Bsilica Di San Freancesco D Assisi

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Basilica San Francesco ad Assisi

Riconosciuta Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, la basilica di San Francesco venne costruita sotto
la direzione di frate Elia, vicario generale e architetto dell'ordine, a partire dal 1228, appena due
anni dopo la morte del santo, come luogo destinato ad accoglierne le spoglie. La prima pietra venne
posta dal pontefice Gregorio IX il 17 luglio 1228 l'indomani della canonizzazione di san Francesco,
nel luogo in cui si eseguivano le esecuzioni capitali e venivano seppelliti i malfattori. Secondo la
tradizione lo stesso Francesco, in punto di morte, indicò ai compagni questo come il luogo per la sua
sepoltura.
Esterno

L'esterno della basilica ha richiami evidenti al gotico francese nello slancio della facciata e nel portale
bipartito, mitigati dalle mensole orizzontali e dal rosone, che hanno un'aria prettamente umbra, e
dal greve campanile dal largo impianto. Le superfici sono tutte nella pietra del Subasio, che si tinge
di rosa nelle ore del giorno per brillare di bianco sotto la luna.
Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco

Dal primo piano del rinascimentale Chiostro di Sisto IV, si accede al Museo del Tesoro, una raccolta
d'arte sacra che comprende dipinti, oreficerie e manufatti tessili legati alla storia della basilica.
Nella sala adiacente è la collezione Perkins: donata alla città nel 1955 dallo storico dell'arte
americano Frederik Mason Perkins, comprende dipinti su tavola del XIV e XV secolo. La Basilica
di San Francesco è il luogo sacro per eccellenza di Assisi, poiché qui sono conservate e custodite le
spoglie del celebre santo. La Basilica è costituita da un complesso di immenso valore artistico, sia
per le strutture architettoniche sia per i preziosi affreschi e decori interni, che vede integrarsi con
armonia due differenti edifici. L'insieme vede due chiese sovrapposte: la Basilica Superiore di
aspetto gotico, luminosa e slanciata, e la Basilica Inferiore più bassa e austera, cui si accede
attraverso un portale in stile gotico. A queste si aggiunge la Cripta con la Tomba di San Francesco, il
cuore pulsante delle Basiliche. Secondo la tradizione, la Basilica sorge là dove Francesco aveva scelto
di essere sepolto: presso la collina inferiore della città di Assisi, zona che nel Medioevo era nota
come "Collis Inferni" (Colle dell'Inferno) poiché qui venivano solitamente sepolti i condannati dalla
giustizia dopo le esecuzioni pubbliche. Il colle venne rinominato "Collis Paradisi" e vi venne posta la
prima pietra per il cantiere della Basilica. Questo venne avviato per volontà di Papa Gregorio IX nel
1228, a seguito della proclamazione a Santo di Francesco, a soli due anni dalla sua morte. L'edificio
della Basilica Inferiore venne concluso in circa due anni di lavoro, mentre per la parte superiore ne
vennero impiegati circa sei. In seguito, la costruzione fu oggetto di numerosi interventi che nei secoli
contribuirono a determinarne l'aspetto attuale.

La struttura architettonica nel suo insieme vide la progressiva integrazione con:


• la realizzazione di un campanile con cuspidi (1239)
• la costruzione di un portico di fronte all'edificio inferiore (nel corso del '400)
• l'aggiunta di un atrio in pietra ancora per il portale (1445)
• l'eliminazione delle cuspidi del campanile (1518)
Nella Basilica Inferiore, l'interno ad una navata con transetto ospita gli straordinari "affreschi
allegorici" di Giotto, la "Madonna Angeli e San Francesco" e i "Cinque Santi" di Simone Martini, gli
"Episodi della vita e della passione di Cristo", la "Madonna e Santi" e le "Stigmate" di Lorenzetti.
Ancora opere di Simone Martini e Giotto sono rispettivamente nella prima cappella destra con la
"Vita di San Martino" e nella terza con "Santi e storie della Madonna". Nel 1818 in seguito agli scavi
sotto l'altare furono riportate alla luce e, dopo attento esame ufficialmente riconosciute, le spoglia
del Santo; solo due anni più tardi, per volontà del Papa Pio IX, fu avviata la costruzione della cripta
in stile neoclassico nella Basilica inferiore. L'aspetto attuale è tuttavia il frutto di un'opera di
semplificazione avvenuta intorno al 1920. La chiesa superiore ad una sola navata con abside e
raffinate vetrate del 1200 è affrescata con il ciclo "La vita del Santo" di Giotto realizzato fra il 1296
e il 1300, con le "Storie del Vecchio e Nuovo Testamento" della scuola del Cimabue e nel transetto,
nella crociera e nell' abside con affreschi dello stesso Cimabue risalenti al 1277 oltre ad opere di altri
maestri quali Cavallini e Torriti.

La costruzione

Secondo la tradizione fu lo stesso Francesco ad indicare il luogo in cui desiderava essere sepolto. Si
tratta della collina inferiore della città dove, abitualmente, venivano sepolti i "senza legge", i
condannati dalla giustizia (forse anche per questo era chiamata Collis inferni). Quel colle, donato da
Simone di Pucciarello, fu ribattezzato Collis paradisi e su di esso fu edificata la nuova basilica, al
margine nord-occidentale della città murata. Sebbene le disposizioni testamentarie di Francesco
(1226) raccomandassero la costruzione di chiese secondo la primaria regola della povertà,
disposizione confermata anche nello statuto redatto sotto Bonaventura da Bagnoregio (1260), la
basilica rappresentò un'evidente deroga al rigore tipicamente francescano. Tale impresa fu possibile
per una lettura delle strutture ecclesiali come mezzo di trasmissione per il messaggio francescano,
soprattutto attraverso le decorazioni figurative che dovevano creare delle vere e proprie Biblia
pauperum, ovvero "Bibbie per i poveri" analfabeti, incapaci di leggere ma istruibili attraverso le
immagini. La chiesa, che fu uno dei capisaldi della diffusione del gotico in Italia, aveva molteplici
finalità. Prima di tutto era il luogo di sepoltura del fondatore dell'ordine, che già dopo due anni dalla
sua morte veniva considerato una delle figure più significative della storia del Cristianesimo: per
questo si predispose una dimensione adeguata ad una meta di pellegrinaggio e devozione popolare.
Un secondo ordine di interessi era più strettamente legato al papato, che vedeva ormai
nei francescani, dopo la diffidenza iniziale, gli alleati per rinsaldare i legami con i ceti più umili e
popolari. Per questo nella basilica si fusero esigenze legate ai flussi di pellegrini (ampiezza, corredo
di rappresentazioni didascaliche) con lo schema di una cappella palatina (la basilica era infatti
Cappella pontificia) secondo i più aggiornati influssi gotici, come la Sainte-Chapelle di Parigi, dove
pure sono presenti due chiese sovrapposte ad aula unica. La costruzione della basilica venne avviata
nel 1228 da Gregorio IX e fu consacrata il 25 maggio 1253 da papa Innocenzo IV. A cominciare da
papa Innocenzo IV la basilica fu posta sotto la diretta dipendenza del papa. Non si conoscono i nomi
degli architetti, indicati ipoteticamente nelle figure dello stesso frate Elia, di Lapo o Jacopo Tedesco
(quest'ultimo citato da Vasari), di fra Giovanni della Penna o di fra Filippo da Campello. La basilica
inferiore doveva essere già completa nel 1230, quando vi venne solennemente trasferita la salma di
san Francesco e, secondo la tradizione, il corpo fu nascosto per evitare che venisse trafugato. Solo
nel 1818 fu ritrovato, tumulato in un sarcofago sotto l'altare maggiore. Le spoglie provenivano dalla
chiesa di San Giorgio (poi inglobata nel complesso della basilica di Santa Chiara). All'inizio la basilica
(inferiore) doveva corrispondere alle attuali campate dalla seconda alla quarta, di forma
rettangolare in pianta e di una semplicità vicina al modello francescano. La struttura abbastanza
semplice venne presto modificata secondo linee più maestose, ispirandosi in parte all'architettura
romanica lombarda, con nuove suggestioni gotiche legate agli edifici costruiti dall'ordine
cistercense. Quando divenne generale dell'Ordine frate Elia (1232) si decise infatti di edificare due
chiese sovrapposte, di proporzioni ben maggiori, che esaltassero la gloria del santo fondatore e
dell'Ordine stesso. All'impianto primitivo venne aggiunta un'altra campata verso est, il transetto e
l'abside, mentre all'esterno venivano costruiti pilastri e contrafforti per sopportare il peso della
basilica superiore. Per la stessa ragione la copertura originaria a capriate venne rifatta con volte a
crociera costolonate. Si andò così diversificando la doppia funzione dell'edificio: sotto chiesa
tombale e cripta, sopra aula monastica, spazio per le prediche e cappella papale. La svolta gotica
nell'architettura viene verosimilmente legata all'ascesa dell'inglese Aimone da Faversham quale
generale dell'Ordine (1241), che chiamò al cantiere maestranze transalpine. Il risultato fu una sorta
di "gabbia gotica" in cui lo scheletro nervato della basilica superiore contrasta con l'aspetto
romanico delle fronti esterne, generando discontinuità, ma anche la spiccata originalità dell'edificio.
La scarsità di fonti scritte per il periodo successivo impedisce di delineare l'avanzamento dei lavori,
almeno fino alla consacrazione del 1253, data alla quale non necessariamente tutti i lavori dovevano
essere conclusi. La costruzione della cappella di Santa Caterina nel 1367 consacrò l'aspetto della
basilica che non subì sostanziali modifiche nei secoli successivi. Nel XIII secolo vi predicò San
Bonaventura da Bagnoregio, il quale vi tenne ben 16 sermoni; nel secolo successivo vi predicò
anche san Bernardino da Siena. Nel 1798 la basilica fu invasa dai francesi e depredata.
Nel 1810 l'ordine fu soppresso, però nel 1814 i francescani vi ritornarono. L'ordine francescano fu
nuovamente soppresso subito dopo l'unità d'Italia ed il convento divenne un Convitto nazionale. La
Chiesa ne rientrò in possesso solo nel 1927. Nel 1939, con la proclamazione di Francesco patrono
d'Italia, la basilica divenne Santuario nazionale. Nel convento abitò san Giuseppe da Copertino (XVII
secolo), che fu ammirato e seguito da Maria di Savoia. Nel 1702 Angela Maria del Giglio e Giuseppe
Antonio Marcheselli fondarono qui la congregazione delle Suore Francescane Missionarie di Assisi.

Nella basilica si trovano le tombe di:


• Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme ed imperatore latino di Costantinopoli, che si era fatto
frate minore, morto nel 1327;
• Blasco Fernandez, duca di Spoleto, e di suo figlio Garcia, assassinati nel 1367;
• di quattro tra i primi compagni di san Francesco, cioè i beati Leone, Rufino, Masseo ed Angelo e
della beata Jacopa dei Settesoli, nobile romana, chiamata da Francesco frate Jacopa.

Il tesoro della basilica fu ripetutamente depredato; nel 1320 da Muzio di Francesco, capo dei
fuoriusciti ghibellini che si erano impadroniti della città, nel 1492 dai Baglioni, nel 1497 da Jacopo
Fiumi ed alla fine del XVIII secolo dai francesi.

La decorazione

Per quanto riguarda la decorazione ad affresco essa dovette iniziare nella basilica inferiore con le
scene nel transetto (non esistevano ancora le cappelle laterali) ad opera del Maestro di San
Francesco (1253 circa). Seguì probabilmente Cimabue che dipinse la Maestà nel transetto destro
della basilica inferiore (e forse altri affreschi perduti, nel 1278 circa), la cui buona riuscita spinse i
committenti ad affidargli la decorazione del coro e del transetto della basilica superiore. In questa
vasta commissione, oggi in pessime condizioni anche a causa di errori tecnici, si distinsero
gradualmente altri maestri, come il Maestro Oltremontano e il Maestro della Cattura. All'inizio degli
anni novanta si iniziarono a dipingere le vele e i registri superiori della navata, con
maestranze romane (Jacopo Torriti) e toscane. Tra gli artisti impegnati in queste Storie dell'Antico e
del Nuovo Testamento spiccò presto un maestro innovatore, il cosiddetto Maestro di Isacco,
tradizionalmente identificato col giovane Giotto o con un maestro romano, forse Pietro Cavallini. Lo
stesso maestro si vide poi affidato il ciclo più importante, quello delle 28 Storie di san Francesco:
anche in questo caso è tradizionale il riferimento a Giotto, molto probabilmente autore effettivo del
ciclo, ma altrettanto probabile è la presenza di altri capi bottega, in particolare il "secondo capo
bottega" che Federico Zeri e altri studiosi riconobbero in Pietro Cavallini, ipotesi tuttora
controversa. Allo scadere del secolo la decorazione della basilica superiore doveva essere terminata
e il principale capo bottega doveva lasciare il cantiere delegando a un maestro meno dotato il
completamento delle ultime scene, il Maestro della Santa Cecilia. La decorazione riprese
dalla basilica inferiore verso il 1307 e questa volta è sicura la presenza di Giotto, sebbene
coadiuvato da numerosi collaboratori che rendono comunque difficile l'attribuzione delle scene.
Il team giottesco si occupò in sequenza della Cappella della Maddalena, del transetto destro e della
volta sopra l'altare con le Allegorie francescane, terminando nel 1311 circa o, secondo un'altra
ipotesi, nel 1334. La volta con le Allegorie, con uno sfarzoso sfondo dorato, segnò ormai il culmine
la revisione del pauperismo voluto dal fondatore dell'Ordine, all'insegna di una decorazione sempre
più fastosa, secondo un processo graduale avviato dal generalato di Giovanni da Murro in poi. Negli
anni venti del Trecento arrivarono ad Assisi i pittori senesi, quali Simone Martini e Pietro Lorenzetti,
autori di straordinari cicli rispettivamente nella Cappella di San Martino e nel transetto sinistro della
basilica inferiore. Entro gli anni trenta del Trecento la decorazione della basilica poteva dirsi
completata. Nel Seicento si verificò la ridipinture dell'abside della basilica inferiore, per rimediare al
guasto Giudizio di Stefano Fiorentino, ad opera del Sermei (1623) e la decorazione di alcune parti
della campata di ingresso e delle cappelle attinenti nella basilica inferiore ad opera di vari artisti
locali.

Dal ventesimo secolo

Tra il 1965 e il 1983 la basilica subì un'importante serie di lavori di restauro, mirati a consolidare le
strutture e a salvaguardare gli affreschi, talvolta staccati recuperandone anche le sinopie (collocate
nel museo del Tesoro). Il terremoto del 26 settembre 1997 causò profonde lesioni alla basilica
superiore, con il crollo della volta in due punti (che provocò la morte di quattro persone ricordate
con un'iscrizione nel pavimento all'ingresso della basilica) e ingenti danni al timpano sud del
transetto: 130 metri quadrati di affreschi medievali furono ridotti in frammenti. La basilica rimase
chiusa per due anni per i lavori di restauro. Il sisma causò il crollo di parte degli affreschi sulla volta
della prima campata: il San Girolamo (attribuito da alcuni a Giotto giovane), dove erano raffigurati
i Quattro Dottori della Chiesa; la figura di San Matteo, sulla volta raffigurante i Quattro
evangelisti di Cimabue; inoltre, la volta stellata, ridipinta nell'Ottocento. Sull'arco di controfacciata
e sul costolone, anch'essi crollati, sono rovinate a terra otto figure di santi e altre decorazioni. In
quell'occasione ci furono anche delle vittime, sepolte dalle macerie, che vennero riprese nel
momento del crollo da una telecamera amatoriale.

Le volte della Chiesa superiore dopo i crolli in seguito al terremoto del 1997

La Basilica è formata da due chiese sovrapposte, legate a due diverse fasi costruttive: la prima legata
al romanico umbro, di derivazione lombarda, la seconda legata al gotico di matrice francese.
Straordinario è, in entrambi i casi, l'apparato decorativo interno. Di fronte all'atrio che precede
l'ingresso della basilica inferiore si trova l'ex oratorio di San Bernardino, costruito per il Terz'Ordine
francescano da maestranze lombarde intorno alla metà del XV secolo. L'abside, visibile dal Chiostro
grande o dalla terrazza che vi si affaccia, ha forma semicircolare in basso che diventa poligonale in
alto. Fiancheggiata da due piloni cilindrici, vi si aprono finestroni gotici.

Rosone della facciata della Chiesa superiore


La Chiesa superiore

La chiesa superiore presenta una facciata semplice a "capanna". La parte alta è decorata con
un rosone centrale, con ai lati i simboli degli Evangelisti in rilievo. La parte bassa è arricchita dal
maestoso portale strombato. Sul lato sinistro della facciata è stata appoggiata , nel Seicento,
la Loggia delle benedizioni dalla quale, in epoca passata, si mostrava il Velo santo della Madonna.
Sullo stesso lato, poco dopo la costruzione della chiesa superiore, è stato innalzato il campanile, un
tempo cuspidato.

L'architettura interna mostra invece i caratteri più tipici del gotico italiano: archi a sesto acuto che
attraversano la navata, poggianti su semi pilastri, dai quali si diramano costolature delle volte a
crociera ogivali e degli arconi laterali che incorniciano le finestre. La fascia inferiore è invece liscia,
e venne predisposta fin dall'inizio per la creazione di una bibbia per i poveri, rappresentata dalla
decorazione didascalica ad affresco. Rispetto ad esempi marcatamente schiacciati (come la Basilica
di Sant'Ambrogio a Milano) o ad altri orientati verso il verticalismo (gotico d'Oltralpe), la basilica
francescana presenta un bilanciato equilibrio in alzato, con lo slancio dei pilastri e delle volte
interrotto dall'orizzontalità del ballatoio che corre sotto le finestre, che dà un sofisticato ritmo di
linee perpendicolari. Una certa somiglianza viene evidenziata con alcuni edifici francesi, come
la cattedrale di Angers, che presenta affinità sia in alzato sia in pianta.

Navata della Chiesa superiore


La basilica superiore contiene la più completa raccolta di vetrate medievali d'Italia. Quelle della zona
absidale (antecedenti al 1253) sono attribuite ad artisti della Germania nord-orientale, mentre
quelle del transetto e della navata sono in parte di francesi e in parte di una bottega nata nell'ambito
dell'officina del Maestro di San Francesco, databili nella seconda metà del XIII secolo. Intorno al
1288 sarebbero iniziate anche le decorazioni ad affresco. La decorazione di entrambe le basiliche
corrisponde ad una serie di programmi (in qualche caso, in parte, distrutti), ciascuno dei quali è stato
pensato in vista di un piano decorativo integrale, finalizzato all'esaltazione della figura di san
Francesco. Lo straordinario risultato finale è dovuto al contributo essenziale di artisti di altissimo
livello come Cimabue e Giotto, le cui sperimentazioni hanno fatto, della basilica di Assisi, uno dei
luoghi più importanti per l'evoluzione dell'arte italiana ed europea tra il Duecento e il Trecento. La
basilica superiore è adibita alle funzioni liturgiche di carattere ufficiale, come testimonia la presenza
del trono papale nell'abside. La basilica superiore fu modello e ispirazione per le chiese francescane,
anche se talvolta venne liberamente reinterpretato, per esempio usando una copertura
a capriate invece delle volte. Tra le derivazioni più dirette la basilica di Santa Chiara, sempre ad
Assisi, le chiese di san Francesco a Arezzo e a Cortona, la basilica di San Lorenzo Maggiore a Napoli.
Fuori dall'Italia si riscontrano somiglianze per esempio nella Cattedrale di Angers in Francia, dove
probabilmente ci furono contatti tramite Haymo di Faversham, generale dei francescani
dal 1240 al 1244.

La Chiesa inferiore

Il transetto della Chiesa inferiore con l'altare eretto sopra la tomba di san Francesco
La chiesa inferiore fu iniziata sotto la soprintendenza di frate Elia nel luglio del 1228. I lavori
dovevano essere terminati nel 1230 quando vi fu traslato il corpo del santo deposto in un sarcofago
sotto l'altare maggiore, dov'è tuttora conservato in una piccola cripta. Inoltre, ai quattro angoli della
cripta, sono stati sistemati i corpi dei beati frati Angelo, Leone, Masseo e Rufino e, lungo la scala che
dalla basilica conduce alla cripta, il corpo della beata Jacopa dei Settesoli nobildonna romana moglie
di Graziano Frangipane. Quell'edificio, corrispondente all'odierna seconda, terza e quarta campata
dell'odierna chiesa, era probabilmente un'aula rettangolare, nella sua semplicità vicina al modello
francescano. Alle decorazioni della basilica hanno collaborato i più illustri artisti del tempo
da Giotto a Cimabue a Simone Martini. Sempre nella basilica inferiore è situato un locale che ospita
le reliquie di san Francesco, un piccolo ma significativo insieme di oggetti appartenuti al santo. La
chiesa inferiore ha la funzione di chiesa sepolcrale, sottolineata anche dalla presenza della cripta.
Appare ancora quasi romanica: è priva di elevazione, le crociere sono larghe, i costoloni hanno una
sezione quadrangolare, i pilastri sono bassi e grossi per sostenere il grave peso della chiesa
superiore. Ma che siamo ormai in un periodo gotico è reso palese dal forte distacco dei costoloni
dalle vele, che fa risaltare l'ossatura in maniera più sentita che nel romanico. Tra i sepolcri
monumentali, degno di nota quello di Giovanni di Brienne, imperatore latino di Costantinopoli (IV
Crociata)
Il campanile
A ridosso del fianco sud si innalza l'alta torre campanaria (completato nel 1239), con un gioco
di cornici e archetti pensili che ne spezzano la corsa verso l'alto. Percorso verticalmente da lesene,
ha la cella campanaria aperta con triplice arcata. L'originaria copertura a cuspide fu abbattuta
nel 1530[4]. All'interno della cella stessa si trovano sette campane elettrificate a slancio, di cui le 5
più grandi fuse dai Fratelli Baldini di Rimini nel 1837. Solo una di esse (la terza campana, per
l'esattezza) è stata fusa l'anno prima, nel 1836. La prima campana (affettuosamente chiamata
"Francesca") è collocata al centro della cella campanaria. Suona un Si2 calante ed ha un diametro
pari a 164,8 cm e uno spessore pari a circa 13 cm. Pesa 28 quintali, ed è una delle campane più
grandi Assisi, dopo la campana della basilica di Santa Maria degli Angeli (il cui è peso è di 51 quintali)
e la "Campana delle Laudi" della Torre del Popolo (il cui peso è stimato tra i 40-45 quintali). La
seconda campana (che guarda la piazza Superiore) è collocata a destra rispetto alla prima campana.
Suona un Re3 calante, ed ha un diametro pari a 131,5 cm e uno spessore pari a 10,5 cm. Pesa 14,2
quintali. La terza campana (l'unica fusa nel 1836 e che guarda sempre la Piazza Superiore) è collocata
a sinistra rispetto alla prima campana. Suona un Mi3 ed ha un diametro pari a 122,7 cm e uno
spessore pari a 10 cm. Pesa 11,8 quintali. La quarta campana (che guarda la vallata) è collocata
dietro la seconda campana, e suona un Fa#3 calante. Ha un diametro pari a 108 cm e uno spessore
pari a 8,5 cm. Pesa 8 quintali. La quinta campana (che guarda la vallata) è collocata dietro la terza
campana, e suona un Sol#3. Ha un diametro pari a 87,5 cm e uno spessore pari a 6 cm. pesa 4,2
quintali. Le due campane più piccole sono collocate in alto alle campane maggiori.
CASTEL DEL MONTE

Il Castello
Il castello è costruito direttamente su un banco roccioso, in molti punti affiorante, ed è
universalmente noto per la sua forma ottagonale. Su ognuno degli otto spigoli si innestano otto torri
della stessa forma nelle cortine murarie in pietra calcarea locale, segnate da una cornice
marcapiano, si aprono otto monofore nel piano inferiore, sette bifore ed una sola trifora, rivolta
verso Andria, in quello superiore.
Il cortile, di forma ottagonale, è caratterizzato, come tutto l'edificio, dal contrasto cromatico
derivante dall'utilizzo di breccia corallina, pietra calcarea e marmi; un tempo erano presenti anche
antiche sculture, di cui restano solo la lastra raffigurante il Corteo dei cavalieri ed un Frammento di
figura antropomorfa.
In corrispondenza del piano superiore si aprono tre porte - finestre, sotto cui sono presenti alcuni
elementi aggettanti ed alcuni fori, forse destinati a reggere un ballatoio ligneo utile a rendere
indipendenti l'una dall'altra le sale, tutte comunicanti tra loro con un percorso anulare, ad eccezione
della prima e dell'ottava, separate da una parete in cui si apre, in alto, un grande oculo,
probabilmente utilizzato per comunicare.
Le sedici sale, otto per ciascun piano, hanno forma trapezoidale e sono state coperte con
un'ingegnosa soluzione. Lo spazio è ripartito, infatti, in una campata centrale
quadrata coperta a crociera costolonata, (con semicolonne in breccia corallina a pianterreno e
pilastri trilobati di marmo a quello superiore), mentre i residui spazi triangolari sono coperti da
volte a botte ogivali. Le chiavi di volta delle crociere sono diverse fra loro,
decorate da elementi antropomorfi, zoomorfi e fitomorfi.
Il collegamento fra i due piani avviene attraverso tre scale a chiocciola inserite in altrettante torri.

Alcune di queste torri accolgono cisterne per la raccolta delle acque piovane, in parte convogliate
anche verso la cisterna scavata nella roccia, al di sotto del cortile centrale. In altre torri, invece, sono
ubicati i bagni, dotati di latrina e lavabo, ed affiancati tutti da un piccolo ambiente, probabilmente
utilizzato come spogliatoio o forse destinato ad accogliere vasche per abluzioni, poiché la cura
del corpo era molto praticata da Federico II e dalla sua corte, secondo un'usanza tipica di quel
mondo arabo così amato dal sovrano.
Grandissimo interesse riveste il corredo scultoreo che, sebbene fortemente depauperato, fornisce
una significativa testimonianza dell'originario apparato decorativo, un tempo caratterizzato anche
dall'ampia gamma cromatica dei materiali impiegati: tessere musive, piastrelle maiolicate, paste
vitree e dipinti murali, di cui fra la fine del ‘700 ed i primi dell'800 alcuni scrittori e storici locali
videro le tracce, descrivendole nelle loro opere.
Attualmente sono ancora presenti le due mensole antropomorfe nella Torre del falconiere, i
telamoni che sostengono la volta ad ombrello di una delle torri scalari ed un frammento del mosaico
pavimentale nell'VIII sala al piano terra. Nella Pinacoteca Provinciale di Bari sono stati
temporaneamente depositati, invece, due importanti frammenti scultorei, raffiguranti una Testa ed
un Busto acefalo, rinvenuti nel corso dei lunghi restauri, che non hanno restituito alcuna traccia,
invece, della vasca ottagonale posta al centro del cortile, citata da alcuni studiosi del secolo scorso.

La storia
Castel del Monte possiede un valore universale eccezionale per la perfezione delle sue forme,
l'armonia e la fusione di elementi culturali venuti dal Nord dell'Europa, dal mondo Musulmano e
dall'antichità classica. È un capolavoro unico dell'architettura medievale, che riflette l'umanesimo
del suo fondatore: Federico II di Svevia.

Con questa motivazione, nel 1996, il Comitato del Patrimonio Mondiale UNESCO riunito a Merida
(Messico), ha inserito nella World Heritage List il castello, fatto realizzare da Federico II di
Svevia intorno al 1240.
Il solo documento di epoca federiciana riguardante il monumento è un mandato del 29 gennaio
1240, con il quale il sovrano, da Gubbio, ordinava a Riccardo da Montefuscolo, Giustiziere di
Capitanata, di acquistare calce, pietre e quant'altro fosse necessario "...pro castro quod apud
Sanctam Mariam de Monte fieri volumus". In tale documento era usato il termine latino actractum,
suscettibile di varie interpretazioni: pavimento, livellamento del terreno, lastrico di copertura, fino
ad un più generico significato di materiale edilizio.
L'unica certezza, quindi, è che nel 1240 fossero in corso a Castel del Monte dei lavori, sul cui
andamento Federico chiedeva peraltro di avere frequenti aggiornamenti. Sulla natura di tali opere,
se in altre parole fossero di fondazione o di completamento, la critica appare discorde. Alcune
osservazioni sembrerebbero tuttavia avvalorare la seconda ipotesi. Il castello sorge direttamente
sul banco roccioso e non sarebbe stato effettuato alcun intervento di preparazione, o di livellamento
del terreno, prima di avviare la costruzione. Sembra dunque più plausibile che il termine actractum
indichi una copertura.

Poiché Castel del Monte compare come un edificio compiuto nello Statutum
de reparatione castrorum (1241-46), elenco delle strutture castellari bisognose di interventi di
manutenzione, ciò si giustifica solo anticipandone la fondazione rispetto al 1240.
Apparentemente isolato e periferico, in realtà il castello sorgeva non lontano dalla strada che
collegava Andria ed il Garagnone (presso Gravina), importanti nuclei insediativi dell'epoca; la sua
collocazione in cima ad una collina alta 540 metri sul livello del mare e ben visibile a distanza, faceva
di Castel del Monte un elemento essenziale nel sistema di comunicazione all'interno della rete
castellare voluta da Federico II, sebbene gran parte della critica abbia escluso una sua funzione
militare per l'assenza di fossato, caditoie e ponte levatoio.
Tutt'altro che casuale, e non solo a livello strategico, appare quindi la scelta del luogo: una collina
inondata dal sole in tutte le ore del giorno, con cui il monumento sembra costantemente in
relazione. La luce del sole e le ombre che ne nascono, esaltano e definiscono le forme del
monumento, regolarissime eppure sottilmente differenti, e ne valorizzano i colori, anch'essi
uniformi e mutevoli insieme.
Un rapporto, quello col sole, che nel Medioevo condizionava l'orientamento degli edifici sacri e che
appare più che ovvio nel caso di Federico II, appassionato di astronomia e paragonato o addirittura
identificato con l'astro. Così il figlio Manfredi ne annunciò infatti la morte: "E' tramontato il sole
della giustizia, è morto il difensore della pace".
Oggetto di studio e diversamente interpretata è anche la destinazione d'uso del castello. Sebbene il
termine castrum in ambito svevo si riferisca a strutture prevalentemente difensive, pur non
escludendo utilizzi accessori, nel caso specifico la presenza di bagni e camini ad entrambi i piani del
castello, il lusso delle rifiniture, la raffinatezza del repertorio scultoreo rendono plausibile anche un
uso residenziale e di rappresentanza, riservato probabilmente ad una ristretta cerchia di privilegiati
molto vicini al re, viste le dimensioni dell'edificio.
E' altrettanto innegabile che per la sua posizione sopraelevata e per la particolarità della sua forma
Castel del Monte, capace di affascinare anche l'uomo di oggi, fosse oggetto di enorme stupore ed
ammirazione da parte di sudditi, alleati, nemici di Federico II. E che fosse, dunque, uno dei mezzi più
efficaci da lui concepiti per esaltare la sua grandezza, il prodotto più rappresentativo della sua
concezione di "arte al servizio del potere".
Un insieme di funzioni, quindi, si può dire abbia caratterizzato questo eccezionale monumento,
emblematica espressione della variegata personalità del suo committente, uomo del medioevo che
a grandi pregi quali vastità di cultura, molteplicità di interessi, intelligenza, spirito di tolleranza e
amore per la pace e la giustizia, unì anche grande orgoglio ed ambizione.

Il restauro
Al momento dell'acquisto da parte dello Stato, nel 1876, il castello presentava i paramenti murari
esterni gravemente deteriorati per l'azione di una serie di elementi atmosferici: escursioni termiche,
umidità, azione del vento. Non meno precario risultava lo stato di conservazione dell'interno, che
presentava alcune vòlte già crollate ed altre pericolanti, a seguito delle copiose infiltrazioni di acqua
piovana dai terrazzi.
Nel 1879 fu l'ingegner Sarlo a dare avvio alla prima fase dei restauri, indirizzati innanzitutto ad
impermeabilizzare le coperture e le cisterne pensili, a consolidare le strutture e a dotare le finestre
di infissi; in questo periodo tornò alla luce il lacerto di pavimento a mosaico nell'VIII sala al
pianterreno.
A partire dal 1928, sotto la direzione dell'arch. Quagliati, si provvide a rimuovere tutto il materiale
di risulta, accumulato all'esterno per un'altezza compresa fra i due metri e i due metri e mezzo, che
occultava completamente il basamento e falsava il rapporto fra il monumento e l'ambiente
circostante. Si procedette inoltre alla demolizione delle gravemente deteriorati per l'azione di una
serie di elementi atmosferici: escursioni termiche, umidità, azione del vento. Non meno precario
risultava lo stato di conservazione dell'interno, che presentava alcune vòlte già crollate ed altre
pericolanti, a seguito delle copiose infiltrazioni di acqua piovana dai terrazzi.
Il timore era che rimuovere il materiale originale in misura così massiccia rischiasse di sostituire
l'antico castello con uno troppo rinnovato.
Nonostante tali interventi, e quelli effettuati successivamente con la tecnica del cuci-scuci secondo
i criteri metodologici in voga negli anni '60, avessero restituito al monumento un'immagine
effettivamente "ringiovanita", il fenomeno di degrado non si arrestò, rendendo necessario fra il
1975 ed il 1981 un ulteriore consistente intervento sulle cortine murarie, tuttora sottoposte ad una
periodica attività di manutenzione, resa indispensabile dalle difficili condizioni climatiche del sito.

La rete castellare sveva


La fama di Federico II di Svevia è legata soprattutto alla costruzione dei castelli, dislocati sulla base
di un razionale programma di difesa militare e di gestione territoriale, in rapporto funzionale col
preesistente tracciato viario di età romana. Sebbene in buona parte dei casi non si sia trattato di
fondazioni ex novo ma di interventi di ristrutturazione di insediamenti normanni, il rigore
dell'impostazione planimetrica e la forte connotazione dei repertori figurativi hanno impresso
un'impronta così marcata alle strutture preesistenti da annullarle quasi completamente.
Castelli e palazzi, pur concepiti dal sovrano come segno visibile del suo "sacro" potere regale,
secondo una concezione fortemente simbolica e propagandistica dell'architettura, riuscirono
sempre a coniugare l'esigenza dell'apparire e la razionale funzionalità; si trattava infatti di strutture
a destinazione polivalente: difensiva, residenziale, amministrativa. Di tanto è attestazione
emblematica proprio Castel del Monte.
Il sistema castellare federiciano consisteva in una fitta rete di insediamenti, in cui i castra si
integravano con altre tipologie strutturali, allo scopo di garantire un controllo capillare, sia militare
che gestionale, dell'intero territorio: dalla linea costiera fino alle zone più interne della Provincia di
Basilicata.
Nello Statutum de reparatione castrorum, prezioso documento relativo agli anni 1241- 46, risultano
esistere in Puglia e Basilicata ben 111 strutture castellari, distribuite in maniera poco omogenea e
non sempre connessa ad esigenze militari: significativa in tal senso la presenza in Capitanata di 23
castra e addirittura 28 domus, contro appena 13 castra e solo 3 domus in Terra di Bari, a conferma
della preferenza accordata dal sovrano a quella zona della Puglia, in cui amò dedicarsi ai suoi svaghi
preferiti.

Federico II
Federico II nacque il 26 dicembre 1194 a Jesi; figlio di Enrico di Hohenstaufen e di Costanza
d'Altavilla, ultima discendente della dinastia normanna, già orfano a soli quattro anni di entrambi i
genitori, ereditò sia l'Impero che il Regno di Sicilia.
Gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, determinanti nella formazione della sua complessa e
straordinaria personalità, Federico li trascorse a Palermo, capitale del regno normanno, già sede di
un emirato arabo, in cui si erano intrecciate e avevano convissuto razze, religioni e culture
diversissime.

Divenuto maggiorenne nel 1209, finalmente libero dalla tutela di papa Innocenzo III, sposò Costanza
d'Aragona che gli portò in dote trecento cavalieri, grazie ai quali Federico II riuscì a riaffermare i sui
diritti in Germania, sconfiggendo l'usurpatore Ottone IV di Brunswick e ripristinando pace ed ordine
attraverso provvedimenti di risanamento e riorganizzazione dello stato.

Rientrato nell'amato Regno di Sicilia, nel marzo 1221 il re visitò per la prima volta la Puglia, terra
ricca di boschi, fiumi e testimonianze artistiche; molto amata anche dai suoi discendenti.

Nei successivi trent'anni Federico vi fece costruire castra, palatia, domus solaciorum che tuttora
imprimono un carattere inconfondibile al paesaggio agrario ed all'assetto urbanistico, costituendo
una parte significativa del patrimonio artistico della regione.

Nel 1223 la capitale del regno fu trasferita da Palermo a Foggia, poiché la posizione geografica
assegnava alla Puglia un ruolo strategico anche rispetto ai territori dell'impero. Divisa in quattro
province per nulla omogenee, Capitanata, Terra di Bari, Terra d'Otranto e Basilicata, l'Apulia fu
particolarmente coinvolta dal piano di riorganizzazione dello Stato, attuato attraverso una fitta
maglia di controllo, costituita dal sistema castellare e dalla rete delle città e dei borghi, anche
ripopolati, se necessario, come nel caso di Altamura e Lucera.

Un ruolo fondamentale nella gestione dei vastissimi latifondi demaniali svolsero sia le masserie
regie, strutture produttive agro-pastorali, che le foreste, da cui si ricavava il legname impiegato nella
costruzione dei castelli. Non minore cura fu dedicata alle coste, inserite nel piano di revisione
commerciale che riservò molta attenzione ad alcune città, fra cui Brindisi, sede di un importante
cantiere navale e di una zecca.

Tradizionalmente aperta agli scambi commerciali e culturali con l'opposta sponda adriatica e con i
porti dell'Oriente, nell'età federiciana la Puglia vide consolidarsi questa tendenza: la fusione fra il
ricco patrimonio classico e bizantino, la fertile produzione romanica e le influenze della moderna
arte gotica, trovò nei protomagistri impegnati nei cantieri svevi un suo efficacissimo tramite.
Morta Costanza, da cui aveva avuto il figlio Enrico, destinato ad ereditare la corona imperiale,
Federico sposò Jolanda di Brienne, figlia del re di Gerusalemme, che gli diede Corrado, destinato a
regnare in Sicilia. Anche la terza moglie, Isabella d'Inghilterra, morì giovanissima e come Jolanda fu
sepolta nella cripta della cattedrale di Andria.

Tuttavia la sola donna che probabilmente Federico amò fu Bianca Lancia, che gli diede altri figli, fra
cui Manfredi, quello che più somigliava al padre, e che, alla sua morte, cercò disperatamente di
ostacolare gli Angiò nella loro mira di conquista del Regno di Sicilia, forti della protezione del
pontefice.

Alla corte di Federico venivano coltivate molte discipline ed attività, sia artistiche che scientifiche;
fra queste la musica e la poesia e la caccia col falcone, svago preferito da Federico, ma anche
occasione di studio della natura, come attesta il trattato da lui redatto De arte venandi cum avibus,
corredato da pregevoli miniature. Grande spazio veniva dato anche alla cura corporis, in cui l'igiene
quotidiana si univa ai precetti della medicina della scuola salernitana.
Aperto ad una ampia gamma di interessi culturali, dalla matematica all'astronomia, dalle scienze
naturali alla filosofia, il sovrano nel 1224 istituì a Napoli una scuola di diritto e riorganizzò la Scuola
medica salernitana. Insieme al figlio Enzo raccolse intorno alla Magna Curia di Palermo i poeti della
cosiddetta "scuola siciliana", dando origine alla letteratura italiana in volgare, come venne
riconosciuto sia da Dante che da Petrarca.

Alla fine degli anni '40 Federico non solo aveva subito pesanti sconfitte ma cominciava ad avere
problemi di salute. Incurante dei disturbi fisici, a novembre del 1250 volle comunque partecipare ad
una battuta di caccia nella zona fra Foggia e Lucera; colto da malore, il 1° dicembre 1250 fu
trasportato a Castel Fiorentino, presso Torremaggiore, dove il 13 dicembre si compì la profezia che
gli era stata rivelata anni addietro e che lo aveva indotto ad evitare sempre Firenze: "Tu morrai
presso la porta di ferro, in un luogo che porta il nome fiore".
Papa Innocenzo IV, parlando di Federico II, aveva dichiarato: "Guai a lasciare a quest'uomo e alla
sua stirpe viperina lo scettro col quale dominava il popolo di Cristo".
Le redini del regno meridionale furono assunte dal figlio Manfredi ma l'appoggio offerto dal
pontefice agli Angiò fu determinante nella lotta per il potere e il giovane svevo nel 1266 morì
combattendo presso Benevento e Clemente IV incoronò Re di Sicilia Carlo d'Angiò, fratello di Luigi
re di Francia. Due anni dopo un altro discendente appena sedicenne di Federico II di Svevia,
Corradino, figlio di Corrado, tentò un'ultima disperata difesa del regno meridionale contro gli
angioini ma, sconfitto a Tagliacozzo, fu consegnato a Carlo d'Angiò che, dopo un sommario processo,
lo fece giustiziare a Napoli il 29 ottobre 1268 nella Piazza del Mercato, mettendo fine al sogno di un
duraturo governo svevo nelle amate terre del meridione d'Italia accarezzato già da Federico I
Barbarossa, nonno di Federico II.

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