Franco Enrico Tesi
Franco Enrico Tesi
Franco Enrico Tesi
Studente/essa
Enrico Franco
Progetto
Tesi di Bachelor
Tesi di Bachelor
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Abstract
Questo lavoro di tesi tratta la tematica del ritiro sociale negli adolescenti. Gli hikikkomori
sono quei ragazzi che si recludono nella propria camera non volendo più intrattenere contatti
con il mondo esterno. Il fenomeno nasce inizialmente in Giappone, negli anni si è però
diffuso anche in altri continenti e nazioni come l’Europa (Garcia Campayo, 2007; Kato, 2011;
Li et al., 2015; Ricci, 2014). Il termine deriva dai verbi “hiku” (tirare indietro) e “komoru”
(ritirarsi); in inglese si definisce con il termine “social withdrawal” e in italiano “ritiro sociale”
(Li et al., 2015; Ricci, 2014).
L’interessamento verso questa tematica nasce da diversi fattori. In primo luogo, la voglia di
esplorare e conoscere una nuova fragilità che può colpire gli adolescenti. Secondariamente,
la volontà di indagare su una tematica sempre più presente, riscontrata nel contesto di
pratica professionale. Inoltre, grazie a letture preliminari di testi scientifici inerenti al tema.
Infine, dagli stimoli ricevuti dal vissuto del periodo di pandemia, che ha fatto emergere
maggiormente temi come il distanziamento sociale e l’isolamento.
A livello strutturale questo Lavoro di Tesi presenta inizialmente i capitoli inerenti alla
descrizione del contesto professionale. Secondariamente vi è presente la presentazione
della problematica ed il relativo quadro teorico che ha l’obiettivo di fornire una panoramica
del fenomeno e dei principali elementi concernenti. Dopodiché, viene mostrata la domanda
di ricerca del lavoro ed una spiegazione relativa alla metodologia e gli strumenti scelti per
l’analisi. Inoltre, vi è la dissertazione che è la parte centrale del lavoro, dove ci si concentra
sull’analisi della tematica grazie alla correlazione tra le teorie apprese nella letteratura, le
dichiarazioni degli interlocutori e le riflessioni relative al lavoro sociale e il ruolo educativo.
Infine, vi sono le conclusioni dove si riflette sulle potenzialità e i limiti della ricerca e si
analizzano gli elementi principali emersi dall’indagine.
Tesi di Bachelor
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Indice
1. Introduzione..................................................................................................................... 1
5. Domanda di ricerca......................................................................................................... 11
6. Metodologia di indagine e strumenti............................................................................... 12
6.1 Metodologia ....................................................................................................................................12
6.2 Strumenti ........................................................................................................................................12
7. Dissertazione .................................................................................................................. 14
7.1 Il ritiro sociale sul territorio ............................................................................................................14
7.1.1 Presenza del fenomeno sul territorio di indagine ..........................................................................14
7.1.2 Evoluzione del fenomeno negli anni nel contesto indagato ..........................................................15
7.1.3 Considerazioni relative al periodo storico caratterizzato dalla pandemia .....................................16
7.1.4 Caratteristiche dei ragazzi ritirati presi in carico al SMP ................................................................17
7.1.5 L’incidenza del contesto familiare ..................................................................................................19
7.1.6 Il confronto con i pari e l’assenteismo scolastico ...........................................................................20
7.1.7 La rete web e il ritiro sociale ...........................................................................................................21
7.2 Intervento del Servizio Medico Psicologico ....................................................................................23
7.2.1 Multidisciplinarietà e unicità di intervento ....................................................................................23
7.2.2 I diversi ruoli dei professionisti .......................................................................................................24
7.3 Il ruolo dell’educatore .....................................................................................................................25
7.3.1 L’intervento a domicilio ..................................................................................................................26
7.3.2 Lavorare con la persona ..................................................................................................................27
7.3.3 Supporto alla genitorialità ..............................................................................................................28
7.3.4 Collaborazione con le istituzioni scolastiche ..................................................................................29
7.3.5 Il lavoro nei gruppi ..........................................................................................................................30
7.4 Interventi di prevenzione ................................................................................................................30
8. Conclusioni ..................................................................................................................... 32
8.1 Potenzialità e limiti della ricerca .....................................................................................................32
8.2 Elementi importanti emersi dalla dissertazione .............................................................................32
8.3 Futuro professionale .......................................................................................................................36
9. Bibliografia ..................................................................................................................... 37
10. Allegati....................................................................................................................... 40
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1. Introduzione
In questo lavoro di indagine si vuole proporre un approfondimento conoscitivo in merito al
tema del ritiro sociale, inquadrandolo nel contesto Locarnese ed analizzando la presa a
carico del Servizio Medico Psicologico di Locarno, in particolare quella dell’educatore
sociale. Il tema della ricerca è stato scelto per interesse personale dopo aver valutato
insieme ai professionisti del contesto di stage la fattibilità dell’indagine e la presenza del
fenomeno sul territorio. L’interesse verso questa tematica è partito da un iniziale curiosità
generale verso i nuovi fenomeni e le nuove fragilità degli adolescenti. Con l’avvento della
pandemia l’argomento relativo all’isolamento sociale e al distanziamento tra persone si è
fatto sempre più presente e da lì è nato un interessamento particolare verso i temi legati al
ritiro. Dopo alcuni approfondimenti personali si è scoperta la realtà degli hikikomori
giapponesi e la comparsa del fenomeno anche alle nostre latitudini. Conoscendo
personalmente alcune situazioni di ritiro ed avendo potuto leggere diversi articoli che
iniziavano a far emergere la problematica anche nei nostri contesti, mi sono reso conto di
come potesse essere interessante capire maggiormente il fenomeno correlandolo al
contesto relativo all’ultima esperienza di pratica professionale del Bachelor. Il fenomeno del
ritiro sociale o degli hikikomori è nato in Giappone e negli anni si sta espandendo anche in
altri continenti e nazioni come quelle europee (Garcia Campayo, 2007; Kato, 2011; Li et al.,
2015; Ricci, 2014). È una fragilità che interessa principalmente i ragazzi adolescenti,
prevalentemente di sesso maschile anche se con il tempo stanno aumentando anche i ritiri
relativi al genere femminile. Il ragazzo hikikomori si reclude nella propria stanza e non si
interfaccia con il mondo esterno per un periodo superiore a sei mesi, se non tramite web o
social media (Ricci, 2009). In questo lavoro di indagine si vorranno andare ad analizzare e
comprendere maggiormente le peculiarità dei ritirati sociali del contesto indagato, che può
mostrare delle differenze a livello culturale e sociale rispetto al fenomeno degli hikikomori
giapponesi e di altri contesti. Dopodiché ci si vorrà concentrare sulla presa a carico del
Servizio Medico Psicologico e sull’importanza del ruolo educativo, che è il percorso
professionale inerente alla Tesi di Bachelor. Per iniziare la lettura di questo lavoro di
indagine si è ritenuta fondamentale una prima parte inerente alla descrizione del contesto
lavorativo, luogo in cui si è svolta la pratica professionale e da cui si è approfondita la
tematica. Per analizzare il fenomeno è stato inizialmente elaborato un quadro teorico al fine
di avere una panoramica chiara del tema e di quali fossero gli elementi correlati ritenuti
fondamentali dalla letteratura e principalmente presi in considerazione per questo lavoro. Nel
mentre si sono svolte le interviste ai professionisti del SMP rispetto al fenomeno del ritiro e la
relativa presa a carico. Successivamente si è svolta la dissertazione, dividendola in due
parti. La prima si è interessata alla conoscenza del fenomeno sul territorio e la seconda si è
concentrata sugli interventi di presa a carico degli operatori del servizio, con un affondo
inerente all’educatore sociale. Nelle conclusioni verranno considerati gli elementi principali
emersi dalla dissertazione che possono aiutare nel rispondere agli obiettivi del lavoro e la
domanda di ricerca. Nella lettura della parte conclusiva si potrà comprendere come il
fenomeno sia risultato presente in più modalità nel territorio indagato. Sono emerse diverse
similitudini con le realtà prese in considerazione nella letteratura relative ai fattori di rischio
ed i comportamenti dei ritirati sociali del Locarnese. Inoltre, si sono comprese maggiormente
l’importanza e i ruoli fondamentali nella presa a carico di questo fenomeno da parte delle
figure professionali coinvolte e si è capita maggiormente anche la rilevanza che possono
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avere le istituzioni scolastiche e i vari enti sul territorio per rispondere al fenomeno. Inoltre, è
emersa particolarmente la fondamentale rilevanza che occupa il ruolo dell’educatore sociale
negli interventi con i ragazzi hikikomori, sono emerse le diverse metodologie di lavoro e di
presa a carico, come l’intervento domiciliare, il lavoro nei gruppi e il supporto alla
genitorialità, che possono essere di grande aiuto per rispondere alle fragilità di questi
ragazzi. Infine, si è compreso come sia fondamentale la sensibilizzazione e la conoscenza di
un fenomeno ancora abbastanza in ombra su cui sarebbe importante iniziare a ragionare in
maniera preventiva, collaborando sul territorio.
cui si riferisce il SMP, ha lo scopo di “tutelare i diritti delle persone bisognose di assistenza
(dette in seguito utenti) (art.2) e, in modo particolare, di creare le premesse per garantire loro
un’assistenza psichiatrica e sociopsichiatrica pubblica adeguata nel rispetto delle libertà
individuali” (Repubblica e cantone Ticino, 2020, p.1). Le finalità del SMP sono la
prevenzione, la diagnosi e la terapia, con un approccio multidisciplinare che non coinvolge
solamente i medici, ma diversi professionisti dell’ambito sociosanitario. In questi servizi ci si
occupa delle fragilità psichiche dei minori, che possono essere bambini o adolescenti, e
delle loro famiglie. Alla base di questa presa a carico possiamo osservare un grande lavoro
di rete con le istituzioni interessate, gli Enti e i servizi del cantone, e soprattutto con le
persone che sono coinvolte nella vita e nel processo di crescita di questi ragazzi. Il SMP
agisce soprattutto quando si riscontra un disagio psicologico, psichiatrico, affettivo e sociale,
che risulti possa compromettere lo sviluppo e la crescita del bambino/adolescente, sia a
livello personale, a livello sociale, oppure di formazione. Tra questi possiamo riscontrare
anche il fenomeno relativo al ritiro sociale negli adolescenti. La caratteristica principe del
SMP è quella riguardante la multidisciplinarietà, che significa che vi è all’interno del servizio
una presenza differenziata di figure professionali connesse tra loro: medici, psicologi ed
operatori sociali. In determinati casi di importante complessità, c’è la possibilità che vengano
coinvolte tutte queste figure professionali a lavorare in maniera coordinata su diversi aspetti
per un obiettivo comune, la presa a carico della persona. La presa a carico parte da delle
segnalazioni che possono essere fatte su base volontaria, se il ragazzo ha raggiunto i 16
anni di età, oppure, sovente, da parte dei genitori, tramite delle presegnalazioni da parte
delle istituzioni scolastiche, i pediatri o altri servizi e professionisti esterni, infine anche
tramite le autorità, come le ARP o la pretura. In settimana si svolgono delle riunioni tra tutti i
componenti delle équipe dove si discute insieme al capo servizio in merito alle nuove
segnalazioni per capire la situazione contestuale e per comprendere qual è il miglior
percorso da fare e quali sono i professionisti adatti per l’accompagnamento del minore. Per
quanto riguarda l’intervento degli educatori, gli incontri con gli utenti possono essere regolari,
quindi una volta alla settimana, oppure un po’ più lontani nel tempo e quindi una volta al
mese. La funzione dell’educatore consiste nell’eseguire le prese a carico socioeducative
degli utenti del SMP. L’educatore al SMP può seguire individualmente oppure in
collaborazione con altri operatori gli utenti per i quali è ritenuto necessario un intervento
socioeducativo. Può seguire gli utenti che vanno inseriti in un’istituzione per minorenni, che
sia un contesto educativo o terapeutico. Collabora con altri enti o istituzioni nella presa a
carico degli utenti segnalati al servizio. Svolge delle consulenze ad operatori che lavorano
con i minorenni, come ad esempio i docenti. Poi, può svolgere degli interventi preventivi a
favore dei minori. A livello di territorio è presente come riferimento al fine di identificare e
sensibilizzare le situazioni di disagio socio-ambientali e favorendo maggiore consapevolezza
in ottica di interventi ambulatoriali specifici. Ha il compito di pianificare interventi
individualizzati di sostegno cercando di ottenere maggiore regolarità e costanza al fine di
impostare interventi maggiormente strutturati. L’educatore del SMP può inoltre seguire gli
utenti attraverso dei gruppi. Per far ciò deve esistere un quadro terapeutico ragionato e
messo in atto con l’équipe, che possa includere sia il minore che la sua famiglia, cosicché si
possa rispondere in maniera soddisfacente ai bisogni e le necessità operando nei differenti
contesti, che possono essere il luogo abitativo (come spesso accade con i ragazzi ritirati), le
scuole, la sede del SMP ed altri luoghi significativi per la persona. Per quanto riguarda
invece i lavori di gruppo, ci sono quelli di mediazione, di parola, di scrittura e altri. I gruppi
educativi sono una della attività che coinvolge maggiormente l’educatore sociale, in
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particolare vi sono tre gruppi differenti che si creano all’interno del Servizio Medico
Psicologico: il gruppo bambini, il gruppo preadolescenti ed infine il gruppo adolescenti. Le
finalità del lavoro degli operatori sociali che si occupano dei diversi gruppi puntano a
costruire un contesto di accoglienza per i minori che hanno bisogno, o faticano, nelle
relazioni con i pari. Mirano all’interazione tra i ragazzi, lo sviluppo e la crescita delle loro
potenzialità, il lavoro riguardante le loro difficoltà e il favoreggiamento della creatività. Hanno
anche la finalità di incrementare le competenze dei ragazzi che vi partecipano, tramite i
giochi, i momenti di condivisione, l’espressione, e molte altre attività che favoriscono
l’interazione all’interno del contesto. La possibilità di essere partecipe di un gruppo di questo
genere aiuta ad attivare competenze di autonomia nei ragazzi. Il ruolo dell’educatore
all’interno del gruppo è quello del mediatore, ma prevalentemente ha il compito di essere un
costruttore di un ambiente improntato sull’accoglienza che stimola i ragazzi ad essere
maggiormente autonomi e all’autodeterminazione.
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positivi, in quanto sostenevano come fosse una problematica presente e riscontrata sul
territorio negli ultimi anni. Da lì, mi sono posto gli obiettivi di conoscere la presa a carico del
Servizio Medico Psicologico in merito a questa problematica, capire quali sono le specificità
relative all’intervento multidisciplinare e in particolar modo relative al ruolo dell’educatore
sociale. Questo per poter indagare su un fenomeno che potrebbe diventare rilevante nel
mondo del lavoro sociale futuro e su cui credo sia importante rendersi conto delle diverse
sfaccettature e dell’evoluzione anche nel nostro cantone. Il lavoro di tesi si sviluppa a partire
dall’intervento del Servizio Medico Psicologico e nello specifico si circoscrive nella regione
del Locarnese come territorio di indagine, in quanto sede di riferimento dove ho svolto la
pratica professionale.
4. Quadro teorico
In questo capitolo verrà delineato un quadro teorico relativo alla tematica del ritiro sociale. È
stato ritenuto un passaggio fondamentale in questo lavoro di tesi per comprendere meglio la
problematica e le variabili correlate che concorrono alla manifestazione del ritiro e la
successiva analisi rispetto al fenomeno e alla presa a carico del servizio sul territorio
interessato.
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Vi sono filoni clinici e di ricerca che vorrebbero propendere per il riconoscimento formale di
una nuova patologia, mentre altri riconducono il fenomeno ad altri disturbi psichiatrici già
noti. Il DSM IV-TR (2007) menziona il fenomeno degli hikikomori tra le sindromi culturali,
definendola come un insieme di sintomi, espressione di un disagio specifico all’interno del
contesto giapponese. Il DSM-5 (2013) invece, non lo cita nemmeno.
I sintomi principali di questa sindrome sono il ritiro sociale, la fobia sociale, il ritiro scolastico,
antropofobia, automisofobia, mania di persecuzione, sintomi ossessivi e compulsivi, apatia,
letargia, umore depresso, pensieri di morte e tentato suicidio, inversione del ritmo circadiano
e comportamenti violenti nei confronti dei familiari, in particolar modo della madre (Saito,
1998). Secondo Carla Ricci (2009) ciò che accomuna tutti i ragazzi “hikikomori” sono alti
livelli di ansia, il tentativo di annullarsi tramite il ritiro, la consapevolezza che sarebbe meglio
abbandonare questa condizione, la perdita della concezione del tempo causata da una
routine di reclusione sempre uguale e, infine, l’inversione del ritmo circadiano, che viene
messa in atto per diminuire il senso di colpa e l’ansia relativa al pensiero delle attività che
svolgono le persone comuni quotidianamente, mentre loro rimangono reclusi in camera. I
motivi che portano la persona a decidere di ritirarsi possono essere diversi. La sociologa
francese Maia Fansten (2014) spiega come la strada verso il ritiro viene scelta dai giovani
per rispondere alle attese sociali relative alla scuola e alla famiglia. In Giappone di solito il
fenomeno prende vita dopo un periodo di assenza da scuola dovuta allo scarso rendimento,
ad una bocciatura o a situazioni di bullismo. (Borovoy, 2008; Ricci, 2008) Nello stato
nipponico, la madre investe totalmente sul suo ruolo creando un rapporto quasi simbiotico
con il figlio e allo stesso tempo il padre è fortemente impegnato nella sua professione e
molto assente a livello familiare (Lancini, 2019). Il legame caratterizzato da molto amore ed
eccessiva protezione da parte della madre potrebbe indebolire il figlio e favorirne le paure, la
bassa autostima e la dipendenza dal giudizio altrui (Ricci, 2014). Inoltre, gli uomini in
Giappone sono obbligati a partecipare ad un sistema sociale e scolastico molto pressante. Il
ragazzo che sceglie di ritirarsi può inizialmente provare un vissuto di forte inadeguatezza
rispetto alle richieste scolastiche e alle aspettative genitoriali. I fallimenti fan sì che i ragazzi
si sentano inadatti ed inefficaci di fronte alle richieste e alle difficoltà che esse comportano.
Ciò può successivamente portare alla decisione di isolarsi dalla società (Lancini, 2019).
Facendo un parallelo con una realtà europea più vicina alla nostra: in Italia vi sono diverse
similitudini riguardanti le caratteristiche e le motivazioni dell’entrata in ritiro degli adolescenti.
I ritirati sociali italiani non rifiutano a priori la società, ma a causa di fattori individuali,
contestuali e di stati emotivi negativi maturano l’idea di non essere in grado di farne parte.
Inoltre, vi è la convinzione che attraverso il ritiro si raggiunga l’autonomia e la libertà perché
non si hanno più gli obblighi imposti dagli altri (Ricci, 2014). “Restano escluse, invece, le
peculiarità inerenti all’eccessiva timidezza e alla violenza fisica verso i genitori (in particolare,
la madre), tipiche della condizione giapponese” (Bagnato,2017). Inoltre, nella penisola
italiana vi sono molte più situazioni ibride, di ritiro meno severo, in cui il giovane abbandona
la scuola ma mantiene i contatti con i familiari in casa, oppure va a scuola ma appena suona
la campanella si dirige a casa e si isola in camera sua (Bagnato, 2017).
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4.3 Il corpo
Quando inizia l’adolescenza, con l’avvento della pubertà, il ragazzo ha a disposizione una
nuova corporatura, dotata di forza sessuale e fisica, che deve imparare a gestire. Nella
nostra società il giovane spesso cresce accompagnato da favole infantili che descrivono il
codice maschile caratterizzato da forza, generosità, coraggio e molto altro; ed è con questi
miti che il minore comincia a costruire i suoi ideali e valori. Nel periodo relativo all’infanzia,
l’onnipotenza del bambino è rinforzata dai genitori che vedono nel figlio l’opportunità di
realizzare gli obiettivi a cui loro hanno dovuto rinunciare. Di conseguenza, l’adolescenza è
accompagnata da paura, ansie di fallimento, sentore di aspettative alte che, se disattese,
rovinerebbero il sogno di conquistarsi un posto importante nella nostra società caratterizzata
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le strategie più funzionali alla risoluzione delle situazioni problematiche” (Bagnato, 2017, p.
54). Un elemento in comune tra le famiglie di hikikomori italiani e giapponesi è, sebbene in
forme differenti, la forte protezione verso i figli che potrebbe comportare delle difficoltà nel
costruirsi in maniera autonoma una propria immagine di sé, di essere competenti
nell’affrontare i vari ostacoli e di ricercare il proprio percorso anche a costo di sbagliare.
“Quando questi soggetti si troveranno dinanzi a una situazione problematica, anziché
interpretarla come una sfida e un’opportunità per crescere, la considereranno come
qualcosa di insormontabile che li porterà inevitabilmente verso il fallimento” (Bagnato, 2017,
p.55). Il figlio che accetta questa condizione di iper-protezione da parte del genitore potrà
essere fragile emotivamente e psicologicamente, perciò con il passare del tempo potrebbero
crearsi le condizioni per la formazione di un ragazzo ritirato socialmente (Bagnato, 2017).
L’importanza del rapporto con la madre in questo fenomeno è appurata da più esperti,
tuttavia ciò che crea un legame e che frena l’emancipazione dell’adolescente è la
condivisione immaginaria di un ricco progetto narcisistico (Pietropolli Charmet, 2013; Piotti,
2012), “in seguito al quale ogni fallimento è intollerabile e può rivelarsi la fonte di un
pericoloso tracollo narcisistico dominato dal devastante affetto della vergogna” (Piotti, 2015,
p.26) , che non è per forza da addebitare al rapporto con la madre, perché può crearsi anche
nel rapporto con la figura paterna o altri attori del contesto sociale (Piotti, 2015).
I genitori dei ragazzi ritirati assistono al comportamento del figlio senza comprenderlo e non
sapendo più come comunicare. Non capiscono la grande paura nell’andare a scuola e
questa tendenza all’isolarsi in camera piuttosto che fare esperienze di vita con gli amici e i
primi amori. Hanno l’impressione di assistere ad un declino in continua progressione e si
sentono impreparati e persi nell’affrontare la situazione vissuta dal figlio (Pietropolli Charmet,
2013; Piotti, 2012). Per i genitori degli hikikomori, la consulenza educativa alle famiglie
potrebbe fungere da sostegno per dare una lettura al disagio presente tra le mura di casa e
per supportare la ristrutturazione delle relazioni educative, aiutando i genitori a raggiungere
una maggiore consapevolezza e ad indirizzare in maniera positiva l’azione educativa
(Bagnato, 2017). Il lavoro clinico con i genitori è principalmente rivolto all’analisi dei legami
relazionali presenti e delle proiezioni verso il futuro. Ci si concentra su come la madre e il
padre simbolizzano affettivamente la relazione che il figlio ha intrapreso con l’ambiente
circostante dal momento in cui il suo corpo è mutato, trasportando con sé la mente fuori dal
periodo e dalla psicologia infantile. Attorno alle domande relative alla trasformazione, la
crescita e il raggiungimento dei compiti evolutivi da parte del figlio, i genitori costruiscono
teorie affettive che possono determinare la qualità di rispecchiamento svolta nella relazione
con il figlio (Fiorin et al., 2015), tali teorie, più o meno esplicitamente, vengono intercettate
dal figlio e possono divenire per lui motivo di dolore oppure fonte di sollievo, possono
ostacolarlo, influenzarlo o sostenerlo nella risoluzione dei propri enigmi legati alla crescita”
(Fiorin et al., 2015, p.193). L’obiettivo primario è quello di rendere i genitori competenti nel
mettere in atto azioni consapevoli finalizzate a cambiare il contesto di crescita del proprio
figlio (Bagnato, 2017).
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scuola è congiunto da una sintomatologia depressiva; il luogo abitativo diventa l’unico spazio
sicuro, dove il ragazzo rimane bloccato, con pensieri angoscianti, ruminazioni ed un
pervasivo sentimento di vergogna. La persona prova un assoluto senso di inadeguatezza,
non solo per le prestazioni relative al ruolo di studente, ma soprattutto per l’ambito
relazionale, il proprio essere adolescente all’interno del gruppo classe, all’immagine e alla
rappresentazione di sé nella scuola e alla popolarità tra i pari. Nel confronto con i pari
l’adolescente sperimenta una profonda vergogna che gli fa desiderare di uscire di scena.
Nello scambio sociale adolescenziale l’altra persona fa da specchio, lo sguardo dell’altro può
essere di approvazione oppure di giudizio. L’approvazione è costantemente ricercata dal
ragazzo ed invece il giudizio sempre molto temuto (Bagnato, 2017). Il sentimento di
goffaggine diviene una delle motivazioni per non recarsi più a scuola: le ore di lezione sono
un periodo di esposizione agli altri troppo lungo per sfuggire allo smascheramento collettivo
di una goffaggine che aumenta a dismisura il sentore di non appartenenza a un gruppo tanto
ambito quanto temuto (Paracchini, Rossetti, 2015). Il ritiro annulla le interazioni con i pari,
allontana dai pericoli provenienti dal gruppo classe, permette di poter evitare il migliore
amico e i vincoli che quest’amicizia comporta oltre ad evitare totalmente, anche
nell’immaginario, quelli relativi alla relazione di coppia (Andorno, Lancini, 2019). “I ragazzi
ritirati presentano uno scacco rispetto alla possibile nascita della coppia: il vissuto di
bruttezza, percepito come condizione esistenziale non modificabile, ostacola non solo la vita
sociale, ma anche la possibilità di poter incontrare il nuovo oggetto d’amore che avrebbe il
grande potere di salvarli dal loro status attuale e trasformarli in principi azzurri” (Zavarise,
2015, p. 62-63). In generale, si può affermare che anche nei ragazzi ritirati vi è il desiderio
dell’altro, ma ciò è accompagnato da un gande timore che blocca la persona e la fa fuggire
dalla situazione. Di conseguenza, la paura rende impossibile l’avvicinamento nella vita reale,
anche quando si sa di essere ricambiati (Zavarise, 2015).
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5. Domanda di ricerca
Nel capitolo relativo alla presentazione della problematica ho cercato di spiegare in maniera
esaustiva le motivazioni che mi hanno portato ad interessarmi al tema del ritiro sociale. Il
fatto di avere la possibilità di svolgere lo stage al Servizio Medico Psicologico e poter
conoscere più a fondo alcune delle diverse fragilità e difficoltà che interessano gli adolescenti
mi ha stimolato nel riflettere su quale potesse essere una tematica interessante su cui
indagare e su cui elaborare il lavoro di tesi. Inizialmente, il mio interesse era particolarmente
legato alle nuove generazioni di adolescenti e a quali potessero essere le nuove fragilità
influenzate anche dall’era moderna con la preponderanza della tecnologia e di tutto ciò che
potrebbe conseguirne. Con l’inizio del “Lockdown” dovuto dalla pandemia la mia attenzione
si è soffermata in maniera più specifica su temi relativi all’isolamento sociale. Da lì, mi sono
iniziato ad informare ed ho sviluppato maggiore interesse quando mi sono imbattuto nella
storia del fenomeno degli hikikomori giapponesi. Quando ho iniziato il percorso di
avvicinamento allo stage presso il Servizio Medico Piscologico ho discusso insieme al mio
responsabile di pratica rispetto a questi interessi ed ho potuto comprendere che vi era la
possibilità di indagare sulla presenza della problematica relativa al ritiro sociale nel contesto
Locarnese perché al servizio si erano riscontrati più casi negli anni. Quindi, successivamente
ho deciso di voler comprendere maggiormente come si presentasse il fenomeno nel contesto
Locarnese e capire quali fossero gli interventi di presa a carico del SMP e soprattutto
dell’educatore sociale. Ciò per provare a dare il mio piccolo contributo nella conoscenza di
un fenomeno che ritengo importante e che secondo la letteratura è in aumento anche in
nazioni vicine con società che possiamo ritenere per molti versi simili alla nostra.
Il presente lavoro di ricerca vuole, quindi, innanzitutto descrivere il fenomeno del ritiro
sociale negli adolescenti in riferimento alla nostra realtà territoriale, individuando le modalità
di intervento realizzate dall’SMP di Locarno. Nello specifico verrà messo a fuoco l’approccio
da parte dell’educatore in quanto figura professionale correlata al “Bachelor” in questione.
La domanda di ricerca formulata per comprendere maggiormente il fenomeno oggetto del
lavoro di tesi è la seguente:
“Come si presenta il fenomeno del ritiro sociale negli adolescenti sul territorio Locarnese e
quali sono gli interventi dei professionisti del Servizio Medico Psicologico di Locarno e in
particolare degli educatori nella presa a carico?”
Per riuscire a rispondere alla domanda di indagine attraverso l’analisi delle interviste e delle
teorie trattate, sono stati individuati i seguenti obiettivi:
- Comprendere il fenomeno del ritiro sociale nel contesto di indagine.
- Comprendere quali sono le modalità di intervento del Servizio Medico Psicologico di
Locarno rispetto al fenomeno del ritiro sociale.
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- Comprendere quali sono gli interventi educativi messi in atto dal Servizio Medico
Psicologico di Locarno per rispondere al fenomeno del ritiro sociale, nello specifico quelli
effettuati dall’educatore sociale.
6.1 Metodologia
La ricerca oggetto di tesi è di tipo qualitativo e utilizza un approccio induttivo, cioè a partire
dall’osservazione partecipante sul campo si è definito il progetto di ricerca e la raccolta dati.
Lo scopo della ricerca è conoscitivo, poiché mira a comprendere meglio il fenomeno sul
territorio indagato e la relativa presa a carico del Servizio Medico Psicologico.
Dapprima, si è svolto un lavoro di ricerca e di selezione del materiale bibliografico ritenuto
maggiormente adatto per l’approfondimento teorico della tematica. Principalmente, il quadro
teorico del lavoro di tesi è stato elaborato grazie a tre libri di riferimento: “Il ritiro sociale negli
adolescenti: La solitudine di una generazione iperconnessa” di Matteo Lancini; “Il corpo in
una stanza: adolescenti ritirati che vivono di computer” di Roberta Spiniello, Antonio Piotti &
Davide Comazzi; “L’Hikikomori: un fenomeno di autoreclusione giovanile” di Karin Bagnato.
Da questi, si è potuto attingere a diverse ulteriori fonti fondamentali per l’indagine, quali
articoli scientifici ed altri testi. Successivamente, si è creato lo strumento di indagine che
verrà descritto nel paragrafo seguente e si sono svolte le interviste ai professionisti del
servizio. Dopodiché ci si è concentrati sull’analisi dei dati emersi dal lavoro di indagine. Per
quanto riguarda l’analisi dei dati, sono state create delle tabelle riassuntive con le risposte
degli operatori, con lo scopo di unire gli argomenti e le diverse esposizioni degli interlocutori
per facilitare la selezione degli elementi ritenuti più importanti. Gli indicatori attraverso i quali
si è strutturata l’analisi sono stati elaborati tenendo conto degli argomenti principali che
costituiscono il fenomeno del ritiro secondo i libri di riferimento, considerando ciò che
interessava maggiormente l’indagine secondo gli obiettivi preposti e tenendo conto del
funzionamento della presa a carico e del ruolo dell’educatore all’interno del Servizio Medico
Psicologico. Nella dissertazione si è cercato di analizzare il fenomeno nel contesto specifico,
appoggiandosi a ciò che si è potuto comprendere nella letteratura e facendo dei confronti in
merito ai diversi argomenti inerenti alla tematica principale grazie alle testimonianze degli
interlocutori coinvolti. Sono state proposte visioni differenti e simili a supporto delle varie
tematiche e sono state fatte delle riflessioni e dei collegamenti con la teoria estrapolata dalla
letteratura scelta per il lavoro di indagine.
6.2 Strumenti
Lo strumento scelto per l’indagine è quello dell’intervista con domande aperte e semi-
strutturate, costruita con l’obiettivo di creare un discorso argomentativo in cui emergessero
le conoscenze, ma anche le diverse opinioni e percezioni dei vari professionisti coinvolti.
Partendo dall’obiettivo di voler indagare sul fenomeno del ritiro nel territorio Locarnese e
sulla presa a carico del SMP, si è valutata insieme all’équipe la possibilità di svolgere de lle
interviste alle diverse figure professionali presenti, al fine di avere un quadro delineato e
completo della presa a carico multidisciplinare rispetto al fenomeno del ritiro sociale ed una
comprensione maggiore della tematica inerente al territorio indagato. Ci si è posti l’obiettivo
di intervistare almeno un professionista per ogni ruolo professionale presente, a dipendenza
della disponibilità offerta. L’unica figura che non si è intervistata è l’assistente sociale, in
Tesi di Bachelor
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quanto ritenuta meno prioritaria per quanto riguarda la presa a carico di questo fenomeno
dai professionisti del servizio. L’aspettativa era quella di poter ottenere delle risposte relative
alla presenza del fenomeno sul territorio, alle sue specificità rispetto alla teoria, conoscere
l’opinione dei professionisti, conoscere maggiormente le dinamiche grazie ai racconti di
presa a carico e ad esempi specifici, comprendere il lavoro multidisciplinare del Servizio
Medico Psicologico e il ruolo in particolare dell’educatore sociale nella presa a carico del
fenomeno. Si è deciso di creare un documento avente delle domande generali con sotto-
domande più specifiche, da utilizzare con ogni interlocutore, in modo tale da poter delineare
gli argomenti interessati, ma allo stesso tempo di mantenere una certa flessibilità che
permettesse anche libertà di racconto da parte dell’intervistato. Ciò ha comportato la
creazione di strutture di interviste differenti in alcuni aspetti. Lo strumento di indagine è stato
costruito tenendo conto dell’interesse e degli obiettivi preposti in merito all’approfondimento
del fenomeno e della sua presa a carico, delle correlazioni teoriche principali estrapolate dai
testi e con la supervisione dei docenti responsabili. Si è pensato di creare un’intervista in cui
vi fosse una prima parte relativa alla comprensione del tema correlato al nostro territorio ed
una seconda in cui ci si concentrasse principalmente sulla presa a carico; con diversi
professionisti i rimandi sono stati comunque sempre legati a loro prese a carico ed
esperienze e non solamente a conoscenze teoriche personali, ciò ha permesso ancor di più
di concentrarsi sugli obiettivi preposti relativi alla conoscenza del fenomeno nello specifico
sul territorio. Nella prima parte sono state indagate le tematiche relative alla definizione del
fenomeno in generale e alle specificità del territorio. Dopodiché si sono indagate le
caratteristiche dei ragazzi ritirati ed i principali fattori di rischio. Successivamente sono state
poste le domande in merito alla presa in carico e infine si sono approfondite alcuni elementi
centrali dell’argomento come il contesto familiare e l’utilizzo di internet. Inoltre, a dipendenza
dell’interlocutore intervistato si è attuata una modalità di conduzione differente, in quanto
alcuni hanno gestito più autonomamente la discussione degli argomenti ed altri invece sono
stati maggiormente indirizzati dalla strutturazione delle domande. Le interviste sono state
svolte negli uffici del Servizio Medico Psicologico, le domande sono state poste a voce e si è
domandato il permesso di registrare il tutto al fine di poter concentrarsi sull’eloquio per poi
svolgere un successivo lavoro di trascrizione. Le interviste sono state inviate agli interlocutori
per dare la possibilità di modificare alcune frasi. Gli interlocutori coinvolti nel lavoro di
indagine sono stati, infine, sette. Ciò ha permesso di avere più rimandi da diverse figure
professionali che rappresentano la multidisciplinarietà del servizio e i differenti ruoli nella
presa a carico.
I professionisti sono i seguenti e verranno nominati durante l’analisi attraverso le seguenti
abbreviazioni:
- Medico psichiatra capo-settore (M1)
- Medico psichiatra capo-clinica (M2)
- Medico psichiatra assistente (M3)
- Psicologa Psicoterapeuta (P1)
- Educatore (E1)
- Educatrice (E2)
- Educatrice (E3)
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7. Dissertazione
In questo capitolo si svolgerà il lavoro relativo all’analisi delle interviste svolte ai
professionisti in merito al fenomeno indagato, correlandole ad apporti teorici mirati. In questo
modo vi è la possibilità di comprendere meglio il fenomeno sul territorio Locarnese,
analizzare le modalità di presa a carico dei professionisti coinvolti e soprattutto l’approccio
dell’educatore.
M2 (Allegato 2): “Considera che le nostre schede statistiche catalogano in base alla diagnosi
e alla base di un ritiro sociale possiamo avere dei quadri diagnostici diversi, quindi diventa
difficile poi raggrupparli come ritiro sociale.”
Durante il lavoro d'analisi delle interviste si è potuta constatare la presenza del fenomeno del
ritiro sociale anche nel territorio concernente l’indagine, nonostante non vi sia una totale
chiarezza sulla portata. A livello numerico, dagli esempi fatti dagli interlocutori, si possono
contare circa una decina di casi di ritiro sociale presi in carico dal Servizio Medico
Psicologico. Questo numero può dare un’idea sulla presenza negli ultimi cinque anni circa,
ma potrebbero esserci stati altri casi di cui non si è parlato oppure alcuni di essi potrebbero
essere stati presi come esempio da più professionisti che avevano partecipato insieme alla
presa in carico. Il fenomeno degli hikikomori non è considerato una psicopatologia (Ricci,
2008; Saito, 1998), e per questo non è semplice riuscire ad avere dei dati numerici e un’idea
ufficiale di quanto sia presente in un determinato contesto. Al Servizio Medico Psicologico di
Locarno si prendono a carico una vastità di situazioni di disagio differenti in ambito
adolescenziale; il ritiro sociale non sembra essere tra le più rilevanti, ma si può riscontrare
un incremento della problematica negli anni e soprattutto situazioni in cui vi è una tendenza
o comportamenti identificabili come vicini a questo tipo di fenomeno. Durante
l’approfondimento teorico si è potuto comprendere come il ritiro sociale, in Giappone ma
anche in Italia, si riscontra maggiormente negli adolescenti di sesso maschile. Infatti, Lancini
(2019, p.172) scrive: “Nella nostra nazione, come in Giappone, il ritiro riguarda, per la
maggior parte, giovani maschi, anche se il numero delle ragazze appare in continuo
aumento.” Sul territorio Locarnese si sono potute riscontrare diverse situazioni di ritiro che
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interessano l’universo maschile, tuttavia sono stati portati anche alcuni esempi di casistiche
di sesso femminile. Una di queste la racconta E2 (Allegato 6): “Si trattava di questa ragazza,
con una storia personale di abuso sessuale grave avvenuto all’età tra i sei e nove anni, la
ragazza poi ha manifestato una fobia scolare. Poi, ha iniziato a non più uscire di casa,
manifestando anche dei pensieri di persecuzione…”
In generale, dai racconti degli operatori anche nel contesto indagato emerge una prevalenza
maschile anche se non così marcata. Quello che è chiaro è che non vi è ancora possibilità di
contare quanti ragazzi ritirati socialmente vengono presi a carico dai professionisti del
Servizio Medico Psicologico di Locarno, perché ogni ritiro può essere compreso all’interno di
categorie diagnostiche differenti e in base ad esse vengono catalogate statisticamente e non
per la sintomatologia del ritiro. Tuttavia, tra i sette operatori intervistati, sei hanno preso a
carico più di una situazione di ritiro sociale e solamente uno non ha ancora preso in carico
nemmeno una situazione.
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grande di vergogna (Lancini, Salvi, 2018). Dalla letteratura si può intendere come il
fenomeno possa essere in qualche modo correlato alla società moderna e alle nuove
modalità educative genitoriali presenti. Ciò viene confermato dai professionisti del servizio
che sostengono anch’essi come spesso il fenomeno nasca a causa dello scontro con la
realtà troppo arduo per quei ragazzi che nell’infanzia sono cresciuti con un’aspettativa di sé
stessi altissima. Nella letteratura presa in considerazione si sostiene come il grande
investimento dei ragazzi nella dimensione virtuale, invece, non sia all’origine del problema,
ma bensì la soluzione trovata, per rispondere al dolore (Spiniello, 2015). Ciò verrà
comunque approfondito in un capitolo seguente che vuole concentrarsi specificatamente sul
tema dell’utilizzo della rete web. Nei capitoli successivi relativi alla presa a carico si tratterà
anche l’importanza della sensibilizzazione del fenomeno. Si può presumere come l’essere a
conoscenza dell’esistenza di una determinata problematica facilita il fatto di affrontarla e di
richiedere aiuto in merito. Allo stesso tempo da questo paragrafo sono emersi collegamenti
interessanti tra la teoria e le opinioni degli interlocutori relativi l’evoluzione del fenomeno
correlata all’era moderna.
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ragazzi non volessero più riprendere, che peggiorasse un po’ la situazione che era già
preesistente e quindi secondo me può essere un fattore slatentizzante.” Durante le interviste
dalle varie risposte dei professionisti si è potuto intendere come il periodo di reclusione
possa aver avuto realmente un effetto, e si è potuto notare nella difficoltà di più ragazzi nel
tornare a scuola e alla socialità di prima. Ciò che si evince è che possa aver svolto un ruolo
di spinta verso quei ragazzi che già marcavano delle tendenze di ritiro a livello sociale e che
già avevano delle fragilità in questo senso. Diverso è il discorso dei ragazzi che invece
hanno sofferto molto il periodo di reclusione, proprio perché maggiormente bisognosi e a
loro agio nel contatto sociale con i pari. Il fattore che è risultato pericoloso è quello relativo
alla normalizzazione del distanziamento sociale, con l’avvento della pandemia si è
trasformato in un comportamento socialmente accettato che ha permesso la protezione della
salute fisica delle persone, P1 (Allegato 4): “con la pandemia i comportamenti di questi
ragazzi sono diventati nella norma. Loro affermano che ormai ora c’è la pandemia, <non
facciamo nulla, ma tutti fanno così>”. Probabilmente, a causa dell’emergenza sanitaria il
focus verso lo stato psicosociale delle persone è passato in secondo piano e non si ha avuto
il tempo e il modo di effettuare delle azioni che permettessero ai ragazzi di mantenere ciò
almeno in parte e di prevenire questi effetti sui ragazzi già fragili. Anche a livello educativo vi
è stata sicuramente una difficoltà maggiore nell’intervenire, causata dalle direttive del piano
di protezione nei confronti del virus. Durante l’esperienza di stage si sono osservate alcune
situazioni di ragazzi che, nonostante il Lockdown fosse finito, non si presentavano più ai
gruppi perché i genitori avevano timore del Covid. Durante i mesi di reclusione il servizio è
stato messo a dura prova e se pensiamo che vi sono differenti situazioni prese a carico dagli
educatori a livello domiciliare si può capire come durante l’anno passato in molte di esse non
sia stato possibile fare degli interventi. Dall’esperienza di stage, si è potuto constatare come
spesso per i minori i momenti di fragilità maggiore possono emergere dopo un periodo di
pausa dove non vengono seguiti, come ad esempio le vacanze estive. Ciò fa riflettere in
merito al periodo di Lockdown perché è durato come una vacanza estiva ma senza le
diverse esperienze che essa può portare, anzi un periodo caratterizzato da sentimenti di
paura e solitudine. Se si pensa a ragazzi che avevano già delle fragilità, magari legate anche
alla socialità, si può comprendere come esse possano essere peggiorate.
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“Cominciano a non più presentarsi a tavola con la famiglia, mantenere degli orari, ma
invertirli fino ad arrivare a vivere di notte quando il resto della famiglia dorme e a dormire
durante il giorno per limitare ancor più le interazioni”. P1 (Allegato 4) aggiunge: “Giocano ai
videogiochi, vi è un’inversione del ritmo sonno veglia, i pasti alterati. Dalla letteratura, si è
potuto intendere come nella penisola italiana sono state riscontrate situazioni di ragazzi che
hanno dei comportamenti similari agli hikikomori giapponesi ma che riescono ancora a
mantenere il rapporto sociale in alcune circostanze, infatti Karin Bagnato (2017, p. 46) dice:
“E sono proprio queste forme ibride ad essere maggiormente diffuse in Italia: ovvero, rispetto
al Giappone, nel nostro paese si manifestano forme di isolamento meno rigide e severe”.
Durante l’analisi delle interviste si sono potute ricontrare delle conferme in merito alle
peculiarità di questa casistica presente anche nel contesto di indagine. I diversi professionisti
intervistati hanno confermato la presenza di situazioni più ibride dove i ragazzi hanno delle
fragilità ma non per forza in tutti i contesti della loro vita. Spesso quello che riportano è una
difficoltà nel recarsi a scuola, ciò non comporta automaticamente il non riuscire ad andare ad
esempio a svolgere un’attività sportiva in cui il ragazzo si sente gratificato o a mantenere i
contatti all’interno della famiglia. Sono state riportate anche situazioni contrarie in cui il
ragazzo si reca a scuola quotidianamente ma appena finisce torna subito a casa e non ha
nessun contatto sociale al di fuori dell’orario scolastico. M2 (Allegato 2) racconta: “Penso ad
un esperienza che avevo avuto io con un assenteismo scolastico, laddove la fragilità era
veramente una fragilità sul piano narcisistico, quindi nell'affrontare una delusione di un
insuccesso scolastico, l'interazione con i pari parzialmente mantenuta…aveva una
gratificazione nel riuscire bene in quell'attività sportiva per cui in questo lo manteneva un
investimento, tutto quello che invece lo portava ad una frustrazione e una delusione, quindi
prevalentemente l'apprendimento a scuola era stato disinvestito”. Per quanto riguarda l’età
di questi ragazzi, se per gli hikikomori giapponesi sembra partire dai 15 anni (Lancini, 2019),
in Italia “l’inizio del ritiro sociale sembra collocarsi a cavallo tra l’ultimo anno delle scuole
secondarie di primo grado e i primi due anni delle scuole secondarie di secondo grado,
anche se, sempre più frequentemente, s’incontrano preadolescenti che si avventurano lungo
la strada del ritiro già verso gli 11 o 12 anni”(Andorno, Lancini, 2019, p.171). Dall’analisi
delle interviste si comprende come nel contesto indagato vi siano più similitudini con la realtà
italiana ed anche ragazzi più piccoli che manifestano già dei sintomi di questo tipo. Più figure
hanno portato esempi di situazioni in cui vi erano già delle fragilità durante le scuole
elementari. P1 (Allegato 4): “Ad esempio, un ragazzo con ritiro sociale importante, dove
iniziava già con qualche difficoltà alle elementari, magari una certa ansia di separazione
all'asilo, alle scuole elementari fatica a restare a scuola, poca socializzazione, poca
partecipazione nelle attività sportive, societarie”. Questi racconti da parte dei professionisti
del servizio fanno molto riflettere sull’importanza della presa a carico e della prevenzione di
un fenomeno che prima di raggiungere il suo apice fa un lungo percorso, sarà importante
comprendere alcuni aspetti fondamentali nei paragrafi successivi. Da ulteriori esempi dei
professionisti si può intendere come di tendenza non ci si reclude in camera da un giorno
all’altro ma vi è un progressivo ritiro che va a peggiorare con il tempo. “Il giovane in
autoreclusione dapprima abbandona la scuola o il lavoro e successivamente, tende a
sottrarsi gradualmente dalle relazioni sociali…” (Andorno, Lancini, 2019, p.168). M3
(Allegato 3) porta un esempio: “I genitori raccontano che vedono un ragazzo che inizia in un
qualche modo ad isolarsi, a prescindere dal ritiro scolastico. Nel giro di qualche mese
vedono che, se magari prima usciva con gli amici, comincia a non avere più voglia di uscire,
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comincia a trovare scuse per poter non uscire, si dice stanco, si dice che deve fare altro.
Insomma, c’è un graduale ritiro.”
Da quest’analisi si può sostenere come nel territorio circoscritto in cui si è svolta l’indagine,
si siano riscontrate diverse similitudini in merito alle caratteristiche dei ragazzi ritirati con ciò
che si era precedentemente compreso nella letteratura. Sono presenti alcuni casi di ragazzi
che hanno comportamenti molto vicini a quelli degli hikikomori e quindi relativi ad un ritiro più
completo. In altri casi analizzati vi sono delle differenze relative alla gravità e alla
complessità del fenomeno, in quanto similarmente a determinati casi della penisola italiana
non si riscontra per forza una totale chiusura in ogni ambito sociale. Si è compreso come i
primi segnali possano partire già dall’infanzia e come anche il ritiro nel contesto indagato è
un processo e non un fenomeno che esplode da un momento all’altro. Inoltre, si riscontrano
delle differenze rispetto alla nascita della problematica, in quanto spesso si sono osservati
casi di ragazzi di età minore a quelli letti nei principali libri utilizzati per l’approfondimento
teorico.
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figlio si ritira socialmente perché forse non è in grado di abbandonare la figura genitoriale,
perché se si dovesse emancipare che fine farebbe la figura genitoriale? Dove finirebbe?
Rimarrebbe sola. È un po’ come sentirsi in dovere di sostenere questa figura…”. Nella
letteratura viene riportata questa teoria da Matteo Lancini (2019, p.174) che scrive:
“Apparentemente, il ritiro potrebbe sembrare legato alla relazione simbiotica tra i due -
relazione depressiva-, che porta con sé l’impossibilità di separarsi, dovuta al bisogno di
proteggere la madre”. Tuttavia, questa teoria viene anche smentita: “In realtà, sembra che
ciò che unisce profondamente la diade, in questo caso, sia la condivisione di un grande
progetto narcisistico, il cui fallimento è inconcepibile. Il trauma non riguarda il passato, ma il
futuro quale possibile tempo della vergogna e di incontro con il reale che sconfessa il piano
narcisistico” (Lancini, 2019, p.174). Da questo paragrafo si evince come vi siano diversi
elementi che possono entrare in gioco a livello familiare. Si sono riscontrate dichiarazioni
differenti in merito a probabili fattori di rischio di ritiro sociale correlati al contesto familiare e
in particolare al forte legame spesso presente tra madre e figlio. Tuttavia, sia nella letteratura
che dall’analisi delle interviste è emersa la conferma di una correlazione molto importante
con il ruolo genitoriale e lo sviluppo educativo del figlio. Non vi è quindi una particolare
tipologia di famiglia o di fattori per i quali automaticamente si presenti il fenomeno del ritiro
sociale e non bisogna nemmeno concentrarsi unicamente sulle figure genitoriali in quanto
giocano un ruolo importante anche le caratteristiche personali. Tenendo conto di ogni
opinione, dei racconti degli operatori e degli studi teorici a riguardo si può comunque
affermare come la mancanza di determinati strumenti o strategie da parte del genitore nel
percorso di crescita del minore possa creare delle difficoltà, perciò è fondamentale il
sostegno da parte delle figure professionali più idonee che possano aiutare nella ricerca
degli strumenti adatti al fine di migliorare la situazione.
Nella letteratura si è potuto comprendere come la persona che decide di ritirarsi socialmente
prova un forte sentimento di inadeguatezza in merito alle prestazioni scolastiche, ma
soprattutto per ciò che concerne l’ambito relazionale, il suo modo di essere adolescente
all’interno del gruppo classe, all’immagine e alla rappresentazione di sé nel contesto
scolastico e alla popolarità tra i pari (Bagnato, 2017). Si può dedurre, quindi, come non sia
per forza la scuola in sé a provocare disagio al giovane, ma tutto ciò che concerne il
confronto con i pari essendo uno dei contesti principali in cui esso avviene. Nei capitoli
precedenti si è ribadito più volte come il grande progetto narcisistico condiviso con madre o
familiari correlato poi alla scoperta dei limiti in adolescenza e alla conseguente vergogna di
fallimento sono centrali nel ritiro, e in merito a ciò la scuola può svolgere un ruolo chiave,
infatti M1 (Allegato 2) afferma: “Un fattore di rischio è quando le aspettative e gli ideali, che
siano quelli del ragazzo ma anche della famiglia, sono molto alti e quindi questo si scontra
con la realtà e con il rimando della realtà. Quindi, quando il risultato e la prestazione
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scolastica non corrispondono a quello che è stato idealizzato, sia da parte dei genitori, ma
anche da parte del ragazzo stesso, si crea ovviamente una difficoltà poi ad accettare.
Perché il confronto sull'ambito delle prestazioni chiaramente passa attraverso i risultati,
inizialmente quelli scolastici se pensiamo alla scuola dell'obbligo, poi dopo il confronto
avverrà nell'ambito professionale, nell'ambito con i pari a livello di inserimento professionale
o scolastico secondario.” In queste dichiarazioni si possono notare delle differenze con lo
scritto teorico riportato precedentemente, in quanto viene data più rilevanza al risultato
scolastico in sé come elemento di confronto con l’altro. In ogni caso, dall’analisi delle diverse
affermazioni possiamo dedurre come vi siano una moltitudine di elementi attraverso i quali
gli adolescenti si confrontano a scuola e come questi possono poi andare ad influire sul
rapporto tra aspettative e realtà e sulle reazioni conseguenti. Di fatto, la scuola resta uno se
non il principale ambiente di confronto con i pari, perciò, si può comprendere come mai sia
strettamente connesso con i primi segnali di ritiro sociale. Infatti, grazie alla letteratura si è
potuto analizzare come spesso il ritiro esordisce con un assenteismo scolastico per poi
inficiare anche nelle relazioni sociali e nel resto delle attività (Lancini, 2019). P1, infatti,
afferma: “Nei fenomeni correlati al ritiro, sì a livello comportamentale c’è l’assenteismo
scolastico”. E ancora M1 (Allegato 2): “Uno dei segni caratteristici è l'abbandono dell'obbligo
scolastico. Ciò non collega l’abbandono scolastico direttamente con il ritiro sociale in quanto
vi possono essere situazioni di ragazzi che saltano la scuola per altre motivazioni oppure,
come si è potuto comprendere nei capitoli precedenti, vi sono diverse situazioni ibride che
possono inficiare nella scuola o viceversa nei contesti extrascolastici. Infatti, M1 afferma: “Ci
sono degli assenteismi scolastici che non sono caratterizzati da ritiro sociale, ragazzi che
non vanno a scuola, ma poi si vedono con gli amici.”
Da questo paragrafo sono emersi diversi elementi importanti che collegano il fenomeno del
ritiro sociale con il contesto scolastico. Si è inteso come può essere il contesto dove
emergono maggiormente le fragilità essendo il luogo di maggior confronto con gli altri e con
le proprie capacità. È emerso come i primi segnali possano nascere in relazione a questo
contesto, in quanto i ragazzi tendono come prima cosa a non presenziare a scuola. Infine, si
è compreso come l’assenteismo scolastico non debba per forza essere collegato al
fenomeno del ritiro in quanto vi possono essere altre motivazioni dietro oppure ragazzi
tendenti al ritiro che però lo esprimono prima in altri contesti. Con ciò si può fare un
collegamento con il capitolo precedente relativo alle caratteristiche dei ragazzi ritirati nel
Locarnese, in quanto è emerso come possano esistere situazioni differenti e non vi è una
regola fissa che collega direttamente i comportamenti ai contesti correlati.
Tesi di Bachelor
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possono verificarsi delle crisi che espongono i giovani a delle situazioni di vulnerabilità
(Pietropolli Charmet, 2013). Il corpo si trasforma e il giovane assiste a questo cambiamento,
provando un sentimento di estraneità difficile da elaborare. Il processo di mentalizzazione
del proprio corpo è impegnativo e mette alla prova le fondamenta narcisistiche create nel
periodo infantile (Fiorin, 2015). Una delle questioni più rilevanti inerenti al ritiro associato
all’utilizzo della rete, è quella che si pone la domanda se l’uso della stessa è da considerarsi
fattore di rischio oppure elemento di supporto. Nella letteratura presa in considerazione per
questo lavoro di tesi, si evidenzia come la rete sia da considerare uno strumento di sostegno
per il giovane perché lo aiuta a rimanere in contatto sociale con altre persone e a continuare
a lavorare sui compiti evolutivi richiesti per la sua età. Infatti, Federico Tonioni (2013) spiega
come la rete sia un regalo per questi ragazzi, perché offre il prezioso vantaggio di poter
avere delle interazioni parziali escludendo il corpo e nascondendolo dietro lo schermo del
computer. “Solo in questo modo i ragazzi, travestiti da avatar e senza mostrare tracce del
fisico originario, riescono a interagire con gli altri” (Spiniello, 2015, p.85). Roberta Spiniello
(2015) sostiene che il grande investimento dei ragazzi nella dimensione virtuale non è
l’origine del problema, ma bensì la soluzione trovata per rispondere al dolore. Intervistando i
professionisti del Servizio Medico Psicologico, si sono potute riscontrare diverse analogie di
pensiero. Tutti gli interlocutori vedono nella rete un elemento che può fungere da supporto.
Infatti, P1 (Allegato 4) sostiene: “Non penso che sia scatenante, è piuttosto qualcosa che
allora in quel caso lì li può aiutare in qualche modo, no? Perché (il ritiro) ci sarebbe stato
anche senza Internet.” Tuttavia, durante i diversi discorsi si è potuto riscontrare anche
l’aspetto di criticità, infatti sempre P1 (Allegato 4) dichiara: “In senso negativo ci può essere
l'idea di normalizzare la situazione. Dicendo “io ho tanti contatti, ci sentiamo tutti i giorni, non
vado fuori però ho questa modalità qua”, di non problematizzarla e sentire meno la
solitudine. Da un lato è di sostegno, ma potrebbe a lungo andare anche cronicizzare questo
ritiro…”. Anche E3 (Allegato 3) sostiene questo discorso: “È vero che d'altra parte, forse, per
i ragazzi che hanno così difficoltà nel confronto, non sentono più bisogno di dover uscire per
confrontarsi perché possono farlo da casa, quindi ci sono dei pro e dei contro.” E2 aggiunge:
“Il problema è che rimane come unico canale nella quale i ragazzi interagiscono, se si
cristallizza in questa maniera è problematico.” Analizzando questi aspetti si può
comprendere come non vi è una verità assoluta in merito alla positività o negatività
dell’utilizzo di internet per i ragazzi ritirati, sicuramente può essere di supporto ma allo stesso
modo può diventare controproducente con il passare del tempo. Quello che si è potuto
constatare però, è che il ritirato sociale che non utilizza nemmeno lo strumento della rete per
affacciarsi al mondo esterno si trova in una situazione di gravità maggiore. “Alcuni ragazzi,
pur disponendo di device e connessioni veloci, non utilizzano in alcun modo le opportunità
messe a disposizione dalla rete. Per loro l’incontro con l’altro è impossibile, anche attraverso
la mediazione dello strumento tecnologico. L’assenza di vita virtuale non rappresenta certo
un bel segnale” (Andorno, Lancini, 2019). A proposito di ciò, anche durante le interviste ai
professionisti del SMP si sono potute riscontrare delle similitudini di concetto. Infatti, M3
(Allegato 3) racconta: “I casi più gravi sono quelli che proprio non interagiscono, che magari
possono guardarsi la serie, possono farsi il giochino da soli, però non interagiscono con
nessuno, lì sono completamente avulsi da tutto il contesto esterno.” E quindi in merito al
discorso della tecnologia come causa o sostegno dice: “Sicuramente l’avvento delle
tecnologie può aver portato le persone ad isolarsi di più al proprio domicilio, però se non ci
sono già quei fattori predisponenti che portano la persona a ritirarsi socialmente secondo me
non so quale possa essere la vera incidenza, no?”
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Da questo paragrafo sono emersi diversi elementi che fanno comprendere come
l’argomento dell’utilizzo del web dei ragazzi ritirati possa essere un argomento molto
complesso. Da un lato è emersa l’utilità di questi strumenti nel sostenere il percorso
evolutivo di questi ragazzi e dall’altro la pericolosità degli stessi se utilizzati a lungo tempo
come sostituti della realtà. Inoltre, si è potuto comprendere come vi siano anche ragazzi
ritirati con situazioni di fragilità ancora maggiori dove non vi è neanche il web come contesto
di confronto e sperimentazione. Per fare una riflessione relativa al lavoro educativo, ritengo
fondamentale, in caso il ragazzo preso in carico utilizzi determinati strumenti, fare un lavoro
per conoscere il suo mondo e per provare a comunicare. L’operatore sociale che opera con i
minori ha l’obbligo di essere informato sui mondi che interessano loro perché se no risulta
molto difficile riuscire ad interagire ed offrire degli strumenti per provare a cambiare la
situazione. Si è compreso come possono essere degli elementi di sostegno per il giovane
ritirato, perciò ritengo sia fondamentale comprenderne le diverse sfaccettature e capire in
che cosa possono aiutare il giovane a riuscire a superare le sue fragilità e pian piano fare un
percorso per uscire dalla situazione di ritiro.
Come si è potuto comprendere nei capitoli iniziali, il Servizio Medico Psicologico è munito
delle diverse figure professionali per rispondere alle richieste di aiuto e alle fragilità dei
giovani e dei propri genitori sul territorio. All’interno del servizio vi sono diverse figure
professionali che collaborano nella presa a carico. Medici, psicologi ed operatori sociali
possono cooperare in situazioni di importante complessità; ogni figura lavora su diversi
aspetti con l’obiettivo di prendere a carico la persona nel modo più completo possibile.
Nel corso delle interviste è emerso come è fondamentale l’intervento multidisciplinare in
merito ad un fenomeno come quello del ritiro sociale. P1 (Allegato 4) dichiara: “Ma direi tutti i
professionisti, dipende poi anche dalla gravità della situazione, di sicuro la parte psicologica,
educativa e a volte anche medica”. Si è parlato delle differenze che caratterizzano le
situazioni e di come il coinvolgimento dei professionisti avviene in risposta alle esigenze,
infatti M2 (Allegato 2) sostiene: “Il progetto va fatto unico per ogni situazione”. E ancora M1
(Allegato 2) conferma: “Sì. Le prese a carico possono essere molto diverse perché si cerca
Tesi di Bachelor
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nel limite del possibile di fare dei progetti ad hoc, dei progetti personalizzati.” Dalle
dichiarazioni degli interlocutori si può rilevare l’importanza delle diverse risorse professionali
presenti all’interno del servizio ed anche l’importanza di analizzare ogni situazione in
maniera specifica e di non generalizzare gli interventi di presa a carico.
Nell’approfondimento teorico si è potuto comprendere come le situazioni di ritiro sociale in
un minore possono presentarsi in maniera differente, ci possono essere situazioni di una
gravità maggiore o situazioni che sfociano in alcuni contesti piuttosto che altri. Perciò il
lavoro di prassi del servizio di valutare quali siano le figure più idonee per la presa a carico
della persona e di formare un équipe multidisciplinare che possa collaborare e rispondere ai
diversi livelli di esigenza del ragazzo con questa fragilità risulta fondamentale. Nei capitoli
iniziali si è compreso il funzionamento del Servizio Medico Piscologico. Le segnalazioni
possono arrivare dai genitori, dal ragazzo personalmente e dall’ARP o la pretura se vi è la
necessita di svolgere una perizia sulla situazione della persona. Il percorso terapeutico deve
essere voluto dai genitori ed anche dal ragazzo se ha compiuto i sedici anni. Ci sono le
riunioni settimanali in cui si discute insieme al capo servizio o capo clinica in merito alle
nuove segnalazioni arrivate. È in quel momento lì che si cerca di farsi un’idea iniziale della
situazione e si cerca di valutare quale potrebbe essere la miglior presa a carico da offrire e
quali sono i professionisti da coinvolgere. Con il continuum del percorso di presa a carico si
possono inserire nuove figure professionali se vi è ritenuta la necessità, oppure viceversa
diminuire i livelli di intervento. Il coinvolgimento è fondamentale anche nei confronti di tutte le
persone importanti implicate nella situazione del minore preso a carico. Infatti, al SMP si
tengono in considerazione le richieste dei genitori o parenti, si valutano insieme le opzioni di
intervento e i cambiamenti tramite dei colloqui, si valorizza la partecipazione dei genitori o
altri eseguendo colloqui telefonici per avvisare di alcune situazioni, discutere, chiedere pareri
e collaborare e non si agisce se non vi è la volontà delle persone interessate. Come si è
potuto apprendere nel modulo di “percorsi con i minori” la partecipazione delle figure
importanti per la persona coinvolta è un elemento imprescindibile per far funzionare gli
interventi. La qualità della relazione tra operatori e persone responsabili dei minori presi a
carico incide moltissimo sulla qualità dell’intervento, ancor di più delle tecniche e della
validità degli approcci teorici messi in campo (Milani, 2020).
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essere preso a carico dal medico è quando è presente una situazione ritenuta grave dove si
rende necessario un collocamento in una comunità terapeutica o in un contesto ospedaliero.
Ciò è ritenuto essenziale per alcuni ragazzi, per far sì che possano riprendere delle
interazioni sociali in un contesto protetto. In merito a ciò, ad esempio si ritiene importante
citare il primo progetto ticinese relativo agli hikikomori “PH2020” con cui collabora il SMP
rispetto ad alcuni casi di ragazzi ritirati, nato recentemente nella comunità Arco di Riva San
Vitale, in cui si svolgono interventi a domicilio, si svolge del sostegno psicologico alla
famiglia, si organizzano delle attività laboratoriali, incontri di psicoterapia, consulenza
pedopsichiatrica con l’obiettivo di accompagnare i ragazzi e le loro famiglie in un percorso
per uscire dalla situazione di ritiro (Arco Comunità Socio-Terapeutica, s.d.). Quando si
presentano situazioni di una gravità maggiore entrano in gioco altri professionisti e la
collaborazione con la rete si allarga e fuoriesce dal solo contesto del SMP, infatti M3
(Allegato 3) per quanto riguardo l’ospedalizzazione dei ragazzi spiega: “…un luogo protetto
dove gli infermieri riproducono un po' quel legame “infantile” che hanno a casa, come li
accudiscono i genitori, perché in istituto ci sono gli altri adolescenti e non sarebbe stato
possibile”.
Un’altra figura ritenuta fondamentale nella presa a carico e presa in considerazione
nell’indagine, mediante le interviste, è quella dello psicologo-psicoterapeuta.
Nell’approfondimento teorico si è trattato il tema centrale del periodo dell’adolescenza, dei
complessi compiti evolutivi e delle diverse difficoltà che possono emergere in relazione con
l’ambiente circostante. Lo psicoterapeuta svolge un lavoro fondamentale per andare ad
affrontare e lavorare su questi temi insieme al ragazzo, in merito a ciò M3 (Allegato 3)
racconta: “Ci vuole anche un percorso di psicoterapia, perché comunque c’è da lavorare su
tanti sentimenti, su tante emozioni come la vergogna, il senso di colpa, forse anche la
difficoltà a trovare una persona, un modello in cui identificarsi e non sapere chi voglio
diventare, non so cosa voglio essere e non so cosa voglio fare, mi blocco.”
Precedentemente si è sottolineata l’importanza del contesto familiare, dei genitori in primis,
nelle situazioni di ritiro dei ragazzi. Lo psicoterapeuta risulta centrale nel supporto e nel
coinvolgimento di essi. E2 (Allegato 6) sostiene: “Prima lavori con il minore e parallelamente
il terapeuta lavora con i genitori, i genitori anche hanno bisogno di aiuto.” M3 (Allegato 3)
sottolinea l’importanza del sostegno alla genitorialità da parte dello psicoterapeuta in un suo
caso: “C’è uno psicoterapeuta che segue la mamma. Ci vuole un sostegno delle figure
genitoriali anche per riuscire a far capire loro cosa sta passando il figlio, renderli più
consapevoli di tutte le dinamiche legate a questo tipo di patologia, situazione psico-sociale.
È giusto che loro capiscano, che abbiano dei consigli su come intervenire.” Dai racconti
degli operatori si può comprendere come vi siano diversi livelli su cui andare a lavorare e a
dipendenza di essi è presente la risposta del servizio che fa operare e collaborare i suoi
professionisti in base alle loro competenze e specificità.
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individualizzati di sostegno, può seguire gli utenti attraverso dei gruppi, esegue colloqui con i
genitori al fine di supportarli nella gestione educativa dei figli, può eseguire interventi a
domicilio. Nei capitoli precedenti si è potuto intendere come ogni ruolo può risultare utile nel
processo di presa a carico e, durante le interviste, sia agli educatori che alle altre figure
professionali, si ha avuto l’occasione di capire la fondamentale importanza dell’educatore
nella presa a carico dei ragazzi adolescenti che decidono di ritirarsi socialmente. Durante i
mesi di stage al Servizio Medico Psicologico si è potuto comprendere come l’educatore in
una presa a carico multidisciplinare spesso può essere il professionista che facilità il legame
tra l’utente e la rete di supporto. Essendo l’utenza un’utenza molto giovane, il rapporto con
una figura come l’educatore può aiutare a sgravare la situazione, e rendere l’incontro con i
professionisti meno spaventoso e più familiare. M2 (Allegato 2) rispetto a questo argomento
spiega: “A dipendenza del tipo di intervento, l'educatore può essere la figura di riferimento
per il giovane, quindi la figura che viene percepita come meno minacciosa rispetto un
intervento da parte di uno psichiatra che si presenta a casa piuttosto che uno psicologo…”
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comunicare. Se la persona in ritiro sociale utilizza i mezzi tecnologici per passare il suo
tempo, questi possono essere lo strumento per entrare inizialmente in relazione. “L’accesso
al mondo virtuale in compagnia dell’adolescente ritirato rappresenta una grande occasione
per avvicinarsi al suo immaginario ed esplorare insieme le rappresentazioni profonde e i miti
affettivi che sottendono determinati comportamenti”(Scodeggio, 2015). E1 (Allegato 5)
esprime la sua opinione in merito: “Ci sarà da creare un rapporto di fiducia, se è un
affezionato di videogiochi porto volentieri la mia manopola, per cercare di capire un po’ i suoi
giochi, i suoi interessi, cosa gli piace di quel gioco”. Il ruolo fondamentale dell’educatore è
quello di accompagnare la persona nell’esperienza, aiutare la persona a trovare dei nuovi
interessi per riaffacciarsi alla vita sociale. E3 (Allegato 7) conferma dicendo: “La parte
dell’educatore, quindi quella nostra, è quella di provare a riattivare degli interessi, a partire da
casa, iniziare a fare dei piccoli passi verso l’esterno, quindi l’educatore è quello che aiuta la
parte più concreta, di riattivazione.” Dopodiché porta un esempio: “Se penso ad un’altra
ragazza invece, con lei il lavoro educativo era anche quello di riuscire ad andare a casa e
poter fare delle passeggiate, delle piccole cose vicino a casa, iniziare a conoscere nuovi
interessi per vedere se da questi interessi si poteva un pochino ripartire”. Dall’analisi risulta
fondamentale il lavoro da parte dell’educatore con la persona e i suoi interessi. Attraverso la
creatività e la messa in pratica delle proprie competenze l’educatore può riuscire a trovare
delle strategie per far riaccendere qualcosa nel ragazzo ritirato. In merito a questo E1
(Allegato 5) racconta: “Un collega di Lugano una volta mi ha raccontato di come sia riuscito
ad incoraggiare un ragazzo ad uscire piano piano dalla sua casa grazie al suo cane” Da ciò
si comprende come l’educatore abbia sfruttato un mediatore importante, in questo caso il
cane ed ha lavorato sulle risorse della persona, proponendo un’attività che il ragazzo era in
grado di fare per iniziare a lavorare su altro. Con il tempo ha cercato sempre di fargli fare un
passo in più ed attraverso il cane si è riusciti a far uscire di nuovo di casa il ragazzo e a farlo
interagire con l’esterno. E1 (Allegato 5) aggiunge: “… puntare su quello che il ragazzo è
capace di fare, che è un po’ anche la nostra scelta di lavoro, quella di basare il nostro lavoro
su una relazione di fiducia e puntare sulla parte sana, le risorse…” Da questo esempio si
possono fare diverse riflessioni, in quanto dà ancor più valore all’importanza dell’educatore
nel lavoro con i ragazzi ritirati e all’importanza del lavoro sulle risorse in generale.
L’educatore sociale, come spiega molto bene l’educatore, cerca di lavorare sulla parte sana
della persona e vuole riuscire a stimolare e potenziare le risorse che sono presenti e crearne
delle nuove. Grazie al rapporto che si costruisce man mano con la persona alle attività che si
propongono questo processo con il tempo può diventare qualcosa di positivo che aiuta la
persona a ritrovare delle modalità di interazione con l’esterno. Se il medico e lo psicologo si
concentrano maggiormente sulla parte psichica ed emotiva della persona, l’educatore
sociale è fondamentale per la parte esperienziale, il lavoro di valorizzazione delle risorse e di
donazione di nuovi strumenti e possibilità per accompagnare la persona nell’affrontare e
lavorare sulle proprie fragilità.
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presa a carico se non vi è dall’altra parte una volontà e se non si stabiliscono degli obiettivi
in comune ed un’opinione condivisa sul proseguimento. Nel caso degli hikikomori, si può
comprendere come all’inizio possa non esserci alcuna volontà da parte della persona ritirata,
perciò inizialmente può risultare molto difficoltoso. Si è compreso come al Servizio Medico
Psicologico se non c’è la volontà dei genitori o delle persone prese a carico (se hanno più di
quindici anni) non è evidente intervenire. Perciò è fondamentale trovare delle strategie per
far comprendere alla persona che si lavora insieme e si cercano delle strade insieme, ma
che anche la sua parte è fondamentale ed ha le competenze per metterci del suo nel
percorso. Rispetto a questo, M2 (Allegato 2) esprime il suo pensiero: “C'è da lavorare
sull'interazione: un’interazione sana, che rinforza sull'autostima, un’interazione con un adulto
che dà un messaggio lineare.” Ciò lo si ritiene fondamentale, perché alla base di una
creazione della relazione ed alla base di un rapporto di collaborazione ci deve essere la
fiducia nei mezzi dell’altro. La capacità dell’educatore sta anche nel riuscire a trasmettere
della fiducia al ragazzo e fargli capire di esserci sempre. Dalle interviste è emerso come sia
importante anche solo la presenza, nei momenti in cui il ragazzo non vuole uscire dalla
stanza, offrire la propria disponibilità nonostante tutto. L’educatore è anche un professionista
che deve dare il buon esempio e trasmettere valori significativi, il fatto di dimostrare la piena
disponibilità e l’impegno in quello che si sta facendo può portare degli effetti positivi poi
nell’approccio successivo dell’utente e nella sua collaborazione.
In termini generali l’educatore sociale del Servizio Medico Psicologico ha diversi strumenti
con cui lavorare nella presa a carico con la persona. Dispone del colloquio educativo dove
può confrontarsi e progettare insieme all’utente, delle cartelle cliniche in cui poter
visualizzare tutte le informazioni delle persone e aggiornare in merito al proseguo degli
interventi informando anche gli altri colleghi coinvolti, il diario dove poter appuntare le proprie
attività, la supervisione che può aiutare nel riflettere e confrontarsi con altri professionisti su
situazioni complesse prese in carico, la formazione per migliorare sempre il proprio bagaglio
teorico-pratico, la progettazione in collaborazione con l’équipe e con la rete di supporto al
giovane interessato, i giochi e le attività ludiche per mediare la relazione con l’utente, e molto
altro ancora che gli permette di intervenire nel miglior modo possibile in una situazione presa
a carico.
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L’educatore oltre a fare da modello per l’utente, in determinati casi può fungere da esempio
per i genitori. Dalle interviste è emerso come i genitori spesso riproponevano con il ragazzo
ritirato le attività che aveva fatto l’educatore durante l’intervento a domicilio. Durante
l’esperienza professionale al Servizio Medico Psicologico si è potuto cogliere ancor di più
l’importanza del ruolo genitoriale e del sostegno da parte delle figure professionali. Quando
si lavora con i minori è fondamentale ricordarsi l’importanza che svolgono nell’influenza e
nell’educazione i loro genitori, che sono le persone che li conoscono meglio di qualunque
professionista, sono la loro guida, il loro esempio e di conseguenza sono degli interlocutori
necessari per il raggiungimento degli obiettivi di crescita dei ragazzi. Perciò il fatto di
svolgere del supporto alla genitorialità e di fornire degli strumenti di cui possa poi
beneficiarne il minore è essenziale per la presa a carico.
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anche nella letteratura, infatti: “La scuola è, quindi, il luogo privilegiato della prevenzione con
gli adolescenti, dove il gruppo classe rappresenta un soggetto psicologico ricco di
potenzialità” (De Monte et al., 2019, p.289). A proposito di ciò M2 (Allegato 2) racconta:
“Sicuramente tutto quello che è il lavoro all'interno delle scuole nell'identificare delle fragilità
e nel mettere i supporti giusti fin da subito è un elemento.” Dalle interviste è emerso come
risulta fondamentale il sostegno della scuola quando si rendono conto di un allievo che
rimane isolato, preso in giro. Lo sguardo primario lo hanno a scuola perché è il contesto
dove i ragazzi passano più ore al giorno, è il contesto di socializzazione principale. Quindi la
collaborazione con le scuole per il SMP, oltre ad essere importante poi, quando un ragazzo
è ritirato e bisogna reintegrarlo, risulta importante anche prima, quando un ragazzo inizia ad
avere comportamenti tendenti al ritiro. Ovviamente in tutto questo entra in gioco anche la
famiglia, se si rendono conto prima loro di queste fragilità o se vengono a conoscenza anche
grazie alla scuola, possono essere poi loro a rivolgersi al servizio. L’intervento più precoce
possibile risulta fondamentale, infatti per quanto riguarda quei ragazzi che cominciano a
sviluppare dei sintomi M3 (Allegato 3) dice: “Sicuramente quando c’è la fase prodromica,
quindi quando ci sono già i primi segnali di ritiro, sarebbe già utile agganciarli, già fargli fare
un percorso terapeutico, dove si possono affrontare subito queste tematiche e dove si possa
in qualche modo far si che la situazione non precipiti.” Da ciò che emerge risulta molto
importante la conoscenza del fenomeno e la sensibilizzazione in questo senso, per portare
le varie istituzioni ad essere più attente in merito. Infatti, si è visto precedentemente come la
segnalazione della problematica spesso parta in relazione all’assenteismo scolastico,
quando magari vi era un ritiro in diversi contesti anche prima. M3 (Allegato 3) porta un
esempio: “Anche nel caso che sto seguendo io, la scuola i primi segnali ce li aveva e
secondo me era una cosa che andava segnalata molto tempo prima, perché succede
sempre che si segnala quando c’è il ritiro completo, quando il ragazzo interrompe la
frequenza scolastica, questo sicuramente va fatto un po’ prima. Magari anche i prof se
vengono sensibilizzati riconoscono i segni di un inizio di ritiro, e possono in qualche modo
parlare con i genitori e i genitori a loro volta possono imparare a riconoscere. Secondo me
bisogna fare una prevenzione in questo senso, bisogna sensibilizzare.” Per quanto riguarda
la prevenzione in generale nel contesto scolastico, il Servizio Medico Psicologico offre uno
spazio di consulenza al Liceo di Locarno, E1 (Allegato 5) racconta: “Agli SMP a livello
preventivo, quindi che possono anche avere la funzione di non portare qualcuno al servizio,
hanno gli spazi di consulenza al liceo, quindi spazi anonimi in cui va la collega educatrice e
gli studenti possono sentirsi liberi di portare problemi scolastici ed extra scolastici e magari,
difatti, si spera che si possano trovare delle soluzioni prima che sia troppo tardi e che porti
tutto ad una segnalazione o una presa a carico da un privato.” Per ciò che riguarda sempre
l’aspetto educativo negli interventi di prevenzione, vi sono delle prese a carico di ragazzi che
se partono prima dell’acutizzazione della problematica possono essere definite come
preventive, M3 (Allegato 3) spiega: “Se fai già un lavoro educativo in cui comunque aiuti il
ragazzo a non perdere i contatti, a trovare in sé gli strumenti per poter socializzare e stare
nei contesti esterni alla famiglia, magari poi si potrebbero evitare altri interventi”. Un ulteriore
modalità per riuscire a prevenire ed affrontare nella nostra società il fenomeno del ritiro
sociale, sarebbe quella di creare dei gruppi in cui i genitori di ragazzi ritirati possano
confrontarsi tra loro, M3 (Allegato 3) dice la sua opinione in merito: “Poi, c’è tutta la branca
dell’auto mutuo aiuto, che secondo me qui non ce n’è molto. E ciò potrebbe essere di grande
aiuto per i genitori di ritirati, di quelli che magari hanno un ragazzo che sta iniziando, fare dei
gruppi con genitori che ci sono già passati e trovare delle strategie e degli strumenti.” In
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8. Conclusioni
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Durante l’analisi si sono potuti riscontrare diversi elementi importanti che interessano gli
obiettivi iniziali e la domanda di ricerca. In primo luogo, grazie alle diverse testimonianze dei
professionisti si ha avuto la possibilità di constatare la presenza del fenomeno del ritiro
sociale nel Locarnese. Non si hanno dei dati numerici e questo risulta un po’ limitante per
fare delle ipotesi in merito all’ampiezza del fenomeno, però se si tiene conto dell’osservatorio
privilegiato del SMP nel quale sono state tratte le testimonianze e della diversificazione delle
figure intervistate in corrispondenza alla grandezza del territorio si potrebbe approssimare
che si tratta di un fenomeno presente e che parrebbe ampliarsi con il tempo. Grazie alla
letteratura si è compreso come il fenomeno colpisce maggiormente i maschi adolescenti,
con un esordio anche nel periodo della preadolescenza. Sul territorio indagato si sono potute
riscontrare testimonianze in merito a ragazzi anche più piccoli e inoltre alcune relative al
sesso femminile. Nell’analisi delle diverse opinioni dei professionisti sono emerse molte
similitudini. Si può affermare che questo lavoro di indagine non ha evidenziato grandi
divergenze di opinione, in quanto i professionisti del servizio in grandi linee appaiono molto
in sintonia rispetto ai punti di vista sul fenomeno ed alle testimonianze relative alle pratiche.
Le principali differenze di pensiero si sono rilevate nell’argomento relativo all’aumento del
fenomeno negli anni, e rispetto al tema dell’uso delle tecnologie e delle sue potenzialità o
criticità. Quest’ultimo tema si è rilevato molto interessante in quanto vi sono diverse
questioni aperte a proposito anche nella letteratura e, rispetto all’uso della tecnologia in
generale, nella vita di tutti i giorni. Un elemento importante emerso, che ci colloca nel
presente e nel futuro prossimo, è relativo agli effetti della pandemia e alle misure prese in
questi mesi per contrastarla. È emerso come la portata dell’aumento del ritiro sociale nel
territorio indagato si potrà probabilmente riscontrare ed approfondire fra qualche tempo, però
come si è potuto comprendere dalle testimonianze vi sono già dei segnali preoccupanti in
merito che dovrebbero portare ad un maggior focus su questa problematica nei prossimi
anni. Si ritiene infatti importante comprendere il fenomeno sul territorio in considerazione del
periodo storico che si sta vivendo, soprattutto se così rilevante e particolare come quello
caratterizzato dalla pandemia. Per ciò che concerne il fenomeno in sé sul territorio
Locarnese, si è riusciti a riscontrare diverse analogie con le casistiche presenti nella
letteratura analizzata. Grazie alle testimonianze degli operatori si è rilevata la presenza sul
territorio di situazioni di ritiro sociale definite gravi paragonabili in molti aspetti al fenomeno
degli hikikomori giapponesi. Si sono riscontrati comportamenti simili nel luogo di ritiro e nelle
modalità di manifestazione delle fragilità. D’altro canto, si è compreso come, al momento, i
principali ragazzi ritirati socialmente nel contesto Locarnese lo siano in maniera parziale.
Come si è compreso dalla letteratura in merito al fenomeno nella penisola italiana, anche nel
territorio indagato vi sono presenti diversi ragazzi potenzialmente definibili come tendenti al
ritiro o ritirati in alcuni contesti della loro vita. Si è scoperto come a dipendenza della
situazione possano esserci delle differenze, come ragazzi maggiormente in difficoltà nei
contesti scolastici ed altri che invece faticano nelle relazioni sociali al di fuori della scuol a,
ma di giorno presenziano in classe. In genere però si è capito come uno dei sintomi che
appare negli esordi, e che accomuna una gran parte dei casi riscontrati, è l’inizio di
assenteismo scolastico, spesso già con delle difficoltà presenti dalle elementari. Per quanto
riguarda l’utilizzo dei social media e delle nuove tecnologie, è emerso come siano un
elemento centrale anche per gli hikikomori del Locarnese e analogamente a ciò che si è
riscontrato nella teoria, ma vi sono pareri discordanti rispetto al loro ruolo (causa-effetto).
Molti operatori appoggiano le teorie della letteratura presa in considerazione sostenendo
come questi ragazzi grazie agli strumenti tecnologici possono continuare ad interfacciarsi
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con gli altri ed altri sono più dubbiosi rispetto a quanto ciò possa essere causa od effetto. Ciò
che mette d’accordo tutti è che sono ritenute più preoccupanti quelle situazioni in cui il
ragazzo non utilizza nessun mezzo di comunicazione e non interagisce con nessuno nel suo
ritiro. Per ciò che concerne il contesto familiare, si ha avuto la possibilità di analizzare le
diverse sfaccettature grazie alle testimonianze degli interlocutori. Non sono emerse delle
caratteristiche standard che possono far nascere il fenomeno del ritiro sociale, ma si è
potuto comprendere come nelle diverse famiglie implicate, sovente vi siano delle fragilità
anche dalla parte dei genitori e una mancanza di strumenti adatti a fronteggiare la
situazione. Alcuni interlocutori hanno segnalato la presenza di una forte relazione tra madre
e figlio e la difficoltà nel separarsi come prerogativa. Altri invece hanno confermato le teorie
inerenti alla condivisione di un grande progetto narcisistico che comporta poi uno scontro
problematico con la realtà ed una successiva grande vergogna da parte del giovane che
decide di ritirarsi e rimanere in un ambiente protetto. In sostanza, nonostante le opinioni
divergenti, si può affermare come anche dalle esperienze dei professionisti del Servizio
Medico Psicologico risulta fondamentale l’interesse e l’attenzione verso tutto il contesto
relativo alla situazione del ragazzo preso a carico, in particolare la famiglia che è
fondamentale per il minore.
Per quanto concerne invece la presa a carico del SMP, si ha avuto la possibilità di
conoscere i diversi compiti dei professionisti nell’intervento con i ragazzi ritirati socialmente.
Grazie all’esperienza di stage si è potuto comprendere sul campo il funzionamento del
servizio e la presa a carico multidisciplinare delle diverse situazioni. In merito al ritiro sociale
è stata sottolineata dai professionisti l’importanza della collaborazione tra le figure del
servizio su più livelli. È emerso come nelle situazioni più complesse è richiesto l’intervento
del medico, che può occuparsi della terapia farmacologica o di eventuali collocamenti attuati
per fornire un contesto di risocializzazione più protetto all’utente. Inoltre, si è parlato
dell’importanza dello psicoterapeuta per fornire all’utente gli spazi appositi per riuscire a
discutere degli argomenti fondamentali inerenti i sentimenti e le emozioni provate. Lo
psicologo può anche rendersi molto utile nella presa a carico dei genitori, accompagnandoli
in un percorso al fine di affrontare la situazione e trovare insieme delle modalità per agire
positivamente a livello educativo. Dal lavoro di indagine è emerso come non vi è presente
una struttura standardizzata perché ogni presa a carico può essere differente a dipendenza
delle necessità degli utenti. Il SMP valuta caso per caso analizzando in riunione con il capo
settore quali potrebbero essere le migliori modalità per intervenire ed inoltre vi è la possibilità
di inserire nuove figure o di diminuire il carico di professionisti che si occupano di una
situazione a dipendenza dell’evoluzione e dei bisogni.
A questo punto si ritiene fondamentale parlare degli elementi emersi in merito a ciò che
concerne la presa a carico dell’educatore. In un contesto multidisciplinare come quello del
Servizio Medico Psicologico, la figura dell’educatore è quella figura che spesso può fare da
collante tra la rete di professionisti e l’utente. Per il minore può risultare una figura meno
invasiva, meno minacciosa e ciò può facilitare l’aggancio con il servizio e l’inizio della presa
a carico. Rispetto al fenomeno del ritiro sociale, ciò può divenire ancora più rilevante in
quanto si prendono a carico dei giovani che per un periodo di tempo hanno intrattenuto
pochissime relazioni sociali. Infatti, uno degli interventi più importanti emerso dall’analisi
delle interviste è quello domiciliare. Nelle interviste sono stati raccontati anche casi di
ragazzi ritirati che riescono a venire al servizio, ma spesso così non è e diventa
fondamentale la possibilità di intervenire al domicilio. I diversi educatori hanno rammentato
come prima cosa l’importanza di esserci, di dimostrare alla persona che si è lì nonostante
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inizialmente potrebbe non voler uscire dalla stanza o potrebbe far fatica a entrare in
relazione. Risulta fondamentale riuscire con il tempo a stabilire insieme degli obiettivi per
favorire il rapporto di collaborazione tra utente e operatore e per far si che non sia un
intervento a senso unico, è importante far comprendere alla persona che il percorso dipende
molto da lei ed ha le risorse da mettere in campo. Tramite i discorsi con gli operatori è
risultata centrale la finalità dell’educatore sociale nel lavorare sulle potenzialità e sulle
competenze della persona. L’educatore nell’intervento con il ragazzo ritirato deve saper
introdurre le proprie competenze creative e la capacità di utilizzare gli strumenti adatti per
lavorare e far evolvere la situazione. Per esempio, riguardo l’utilizzo del web, dei social e
delle piattaforme di gioco, in caso il ragazzo ne faccia utilizzo sarebbe importante sfruttare
questi mezzi per iniziare a comprendere il suo mondo e provare a trovare delle modalità per
comunicare ed iniziare una relazione. Un passo fondamentale poi sarebbe quello di provare
a far riaffacciare il ragazzo al mondo esterno. Anche lì è emerso come sia importante
riuscire a sfruttare le risorse del ragazzo e gli strumenti disponibili per iniziare un processo
con l’obiettivo di far sempre più passi verso la reintegrazione del ragazzo nella società. Al
Servizio Medico Psicologico l’educatore ha anche i compiti relativi al supporto alla
genitorialità. Si è visto in precedenza come queste mansioni possono essere anche dello
psicoterapeuta, ma a dipendenza della casistica e della situazione contestuale può essere
anche l’educatore sociale a fare un intervento insieme ai genitori. L’educatore sociale oltre a
poter divenire una figura importante per il ragazzo ritirato può fungere da esempio in
determinate situazioni per i genitori. In quelle situazioni in cui i genitori non sanno come
comportarsi è emerso come sia stato fondamentale spesso il fatto di riproporre delle attività
o delle modalità educative adottate dal professionista per continuare a lavorare con il proprio
figlio rispetto alle sue fragilità. Oltre a sfruttare le risorse dei ragazzi si ritiene fondamentale
lavorare anche su quelle delle figure genitoriali che sono le persone più importanti e più
vicine al ritirato sociale che vive una situazione di disagio e di sofferenza. Un altro tassello
fondamentale della presa a carico dell’educatore sociale è quello relativo alla collaborazione
con gli istituti scolastici. Nei piani di reinserimento del ragazzo ritirato socialmente vi è
ovviamente anche la scuola. Ciò che può fare l’educatore però è mediare con essa per
capire se si riesce a collaborare nel costruire un progetto personalizzato per la persona così
che possa rientrare in classe. La scuola ha i suoi obiettivi e le sue modalità di conduzione,
però in casi come quelli dei ragazzi hikikomori emerge come la priorità debba essere quella
di riuscire a farli rientrare nei contesti di socializzazione, abbassando le pretese prettamente
scolastiche relative al raggiungimento di risultati. L’educatore deve collaborare con la scuola
in merito a ciò e sensibilizzare riguardo alla problematica così da poter permettere di
costruire una rete di supporto attorno al ragazzo che lo possa aiutare nel reinserirsi. Anche
per quanto riguarda attività esterne, se vi è la possibilità di cominciare a far interfacciare il
ragazzo in alcuni contesti anche prima di rientrare in un contesto più pressante come quello
scolastico risulta fondamentale. Infatti, in merito a ciò ci si collega ad un ulteriore intervento
degli educatori sociali che è quello relativo ai gruppi organizzati al SMP. Il gruppo può
essere uno dei primi contesti dove il ragazzo può ricominciare, quando se la sente, a
confrontarsi ed interagire con altri che magari hanno le sue stesse difficoltà o comunque
delle fragilità sul piano relazionale. L’educatore all’interno del gruppo può lavorare sulle
potenzialità del ragazzo e mediare in merito alle modalità relazionali per allenare
l’interazione in ottica di un reinserimento a scuola e nei vari contesti di vita quotidiana.
Si è compreso come il servizio possa inoltre collaborare, oltre al livello di cura, anche nella
prevenzione attraverso la sensibilizzazione e la comunicazione con le istituzioni scolastiche
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10. Allegati
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E.F: Inizialmente quello che volevo chiedere è proprio, partendo così in generale, che cos'è il
ritiro sociale? Ed anche una vostra rappresentazione come figure professionali…
M1: Io credo che le definizioni…stavo riguardando giusto qualche minuto fa il manuale del
Dottor Lancini che mi sembra un ottimo testo che, diciamo, fa tutta una serie di
considerazioni attuali e la prima cosa che mi verrebbe da dire è che il ritiro sociale c’è
sempre stato, però evidentemente…cioè è una manifestazione comportamentale quindi
come tale c'è sempre stata, tra l'altro sarebbe anche interessante approfondire il discorso, fa
parte non solamente della patologia no ma fa parte anche della cultura, penso a certe
situazioni…una parte della società, le persone che vivono in montagna, le persone che ce
l'hanno fisiologicamente il ritiro sociale oppure tutto il tema della clausura, no? Quindi ciò fa
parte della nostra cultura anche storica. Adesso all'epoca di Internet, questo credo che sia
una grande novità, il problema ha assunto una dimensione che si vuole configurare come
patologica, questo termine di hikikomori, perché si è cominciato a vedere che anche
quantitativamente una serie soprattutto di giovani che magari sono quelli che
fisiologicamente non andrebbero tanto incontro a ritiro sociale, invece hanno questa
manifestazione favorita da questa realtà virtuale, cioè non è il ritiro sociale del monaco che si
ritira nella sua cella e prega , è ritiro sociale di qualcuno che magari invece ha un'attività
molto intensa però senza contatto con gli altri. Non ha più bisogno del contatto diretto con
questa dimensione importante del nostro vivere che è la socialità. Quindi ecco cosa significa
ritiro sociale adesso.
E.F: Legandomi un po' con quello che mi ha appena detto, molto interessante, perché avevo
elaborato una domanda proprio relativa all'uso di Internet e mi sono chiesto se l'eccessivo
utilizzo può essere considerato un fattore scatenante oppure anche un fattore di sostegno al
ragazzo? C’è chi sostiene comunque che per certi ragazzi ritirati l’Internet aiuta a mantenere
quella parte di socialità che se no magari non ci sarebbe…
M2: Ci sono i due aspetti Enrico…c'è il fatto di ritirarsi e tagliare qualunque ponte come dici
tu, anche quelli che sono virtuali è indice di una gravità. Il fatto di mantenere una socialità
virtuale … quella la si può ritrovare anche in chi non ha un ritiro sociale per forza, cioè
l'interesse e la passione per tutto quello che è la dimensione dei social, quella che è la
dimensione virtuale, la possiamo ritrovare in un adolescente che non per forza è ritirato
socialmente. Forse la dimensione in cui può essere uno strumento anche di contatto o uno
strumento di isolamento la vediamo piuttosto nel contesto del ragazzo isolato. Ci sono i due
aspetti …che non è che uno esclude l'altro. Mi sembra che Lancini anche dicesse che a volte
viene utilizzato come metodo terapeutico, poi dopo riconosco che io non ho quelle basi lì,
non ho seguito dei corsi specifici su questo, però viene anche utilizzato come strumento
d’aggancio per il giovane.
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E.F: Volevo chiedere…come si presenta questo fenomeno sul nostro territorio? Quindi qui in
Ticino, anche magari a livello di dati statistici, non so se e quanti ragazzi ritirate avete
incontrato o se si possono poi reperire dei dati per conoscere un po' di più questa realtà
proprio qui da noi.
M1: Credo che dati numerici …non so quanto ce ne siano aggiornati. L’impressione è che sia
un fenomeno sicuramente in espansione, sarebbe interessante per esempio, io credo che
per esempio i dati potrebbero essere estrapolati da…se si facesse una ricerca di questo tipo
nelle scuole, perché la scolarità, sicuramente non coglierebbe magari i ragazzi che non
vanno più a scuola, perché sopra i 15 anni non c'è più l'obbligo, però le scuole hanno
l’impressione appunto che sia un fenomeno in aumento. Questo, detto per inciso; chi si è
interessato tra gli altri di questo è Stefano Artaria, responsabile di Arco che avendo messo in
piedi questo progetto pilota del PH2020 credo che si sia un po' documentato e sicuramente
c'è stato un contatto con i responsabili delle scuole e esprimevano questa impressione di un
fenomeno in aumento. Però credo che ancora nessuno abbia preso la briga di contarli,
anche perché è una conta molto difficile perché ci sono situazioni che possono evolvere da
un momento all'altro e poi soprattutto per definire numericamente bisogna avere dei criteri,
quindi stabilire dei criteri condivisi e in base a quelli contarli; perché è sufficiente che non
vadano più a scuola o devono essere chiusi in casa? … cioè le cose sono tante.
M2: Considera che le nostre schede statistiche catalogano in base alla diagnosi e alla base
di un ritiro sociale possiamo avere dei quadri diagnostici diversi, quindi diventa difficile poi
raggrupparli come ritiro sociale. Alla base di un ritiro sociale puoi avere il paziente depresso
come puoi avere il quadro psicotico, quindi sulla scheda statistica risulta quell'inquadramento
diagnostico, tutti e tre probabilmente stanno ritirati in casa, però non è così semplice
estrapolarlo dai dati statistici nostri che vanno sull'inquadramento diagnostico e non
sull’assenteismo scolastico o il ritiro sociale.
M1: E poi ci sono degli assenteismi scolastici che non sono caratterizzati da ritiro sociale,
ragazzi che non vanno a scuola, ma poi si vedono con gli amici. Quindi è interessante il
discorso, almeno per noi…interessante il discorso diagnostico, non è e non credo che debba
essere una categoria diagnostica quella del ritiro sociale, io la distinguerei appunto, per
riallacciarmi al discorso di Internet che può essere una causa scatenante, ma può essere
anche un sostegno, noi abbiamo un sintomo importante nel panorama psichiatrico che è il
cosiddetto autismo e non parlo dell'autismo infantile che è una malattia del neurosviluppo.
L’autismo è stato un sintomo importante, è un sintomo importante della schizofrenia di cui ha
cominciato a parlare Bleuler, uno psichiatra svizzero all'inizio del XX secolo che ha fatto un
importante avanzamento teorico rispetto alla schizofrenia. Ecco l'autismo è proprio questo
sintomo che, caratteristico di una malattia grave, psichiatrica che si può manifestare nei
giovani e quindi eventualmente anche nei minorenni; noi sappiamo che abbiamo tutta una
serie di classificazioni della schizofrenia, esordio precoce o molto precoce, che di solito si
manifesta nel giovane adulto e l'autismo è appunto questa difficoltà a interfacciarsi con il
mondo, diciamola così in termini molto generici, poi rimando sicuramente a quello che ha
scritto Bleuler sull'autismo, e quindi questo impedimento di una funzione che invece è
normalmente sviluppata nell'essere umano che è quella dell'Intersoggettività del rendersi
disponibile al colloquio. La nostra esperienza mi sembra che solamente una parte, forse una
minima parte, delle persone che poi manifestano ritiro sociale hanno in realtà questo disturbo
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così importante dell'appetenza a relazionarsi con gli altri, quindi dell'autismo in senso
psicopatologico e in questo senso Internet funge da sostituto del contatto reale con un
contatto virtuale, insomma tutte le cose che vengono dette su Internet , tra l’altro con
un'amplificazione anche di certi stimoli rispetto ad altri, perché su Internet la realtà è diversa.
Io ci metterei dentro, visto che purtroppo siamo coinvolti, anche questi anni di pandemia,
perché nel momento in cui il ritiro sociale almeno, per esempio in Svizzera si è vissuto meno,
ma in altre nazioni europee si sta vivendo, si vive, questa didattica a distanza, quindi la
scuola che non esiste più in reale ma esiste in virtuale, no? Quindi diventa veramente una
trasformazione sociale e culturale, le persone si vedono, almeno una certa categoria di
persone, molto di più su Internet che di persona e quindi veramente stiamo vivendo un
sovvertimento che fino sicuramente prima di Internet era difficile da immaginare. Io sto
rimettendo a posto le mie carte, ho ritrovato le prime esperienze di Internet che facevo a
Losanna quando ero nel Canton Vaud, io mi scrivevo ancora i fax con le persone, ed ero già
tutto contento che c'era uno strumento che mi permetteva di fare questo. Poi c'è stata
un’evoluzione e sto parlando degli anni 90 non è che sto parlando del medioevo, quindi
veramente in pochi anni le cose cambiano molto rapidamente.
E.F: Si…infatti la domanda sulla pandemia era una di quelle che volevo fare, perché è anche
un po' uno dei motivi per cui mi sono interessato a questo argomento…
M2: Forse sulla pandemia puoi mettere che comunque le scuole secondarie come il liceo e
la commercio ci hanno chiesto un parere, se fosse a nostro avviso importante che
mantenessero loro le scuole aperte, l'interazione sociale, e abbiamo molto ribadito che
questo era assolutamente indispensabile, ma i ragazzi stessi se noi chiediamo a Corinne
(educatrice SMP) che va al liceo di Locarno, te lo racconta che loro dicono che è stato
difficilissimo il Lockdown e per quanto possano dire la comodità di starsene a casa, di
connettersi, di stare in pigiama e tutto quello che vogliamo, dicono “non lo vivremmo più” per
la perdita di contatto con i compagni, gli è proprio mancata quella parte, l’interazione, questo
ovviamente in chi funziona bene. Chi ha una fragilità…diventa uno strumento per rifugiarsi,
cioè laddove diventa difficile interagire con l'altro, dove il timore del giudizio dell'altro è
talmente alto che crea angoscia, è chiaro che questo momento di potersi ritirare, oltretutto
autorizzati da un evento quale quello della pandemia, ha sicuramente slatentizzato degli
aspetti e molte persone hanno anche fatto fatica poi a riprendere.
E.F: In merito proprio alle caratteristiche, poi come mi dicevate ovviamente non è una
definizione fissa dei vari ragazzi ritirati, però mi chiedevo se ci fossero dei segni particolari
che precedono il manifestarsi del problema e magari degli esempi in casi visti da voi?
M1: Se per ritiro sociale intendiamo per esempio l'abbandono, uno dei segni caratteristici è
l'abbandono dell'obbligo scolastico. L’abbandono dell'obbligo scolastico frequentemente non
avviene tutto ad un colpo, ma se andiamo a vedere l'anamnesi cominciamo a vedere i
ragazzi che magari hanno fatto fatica già precedentemente a frequentare la scuola, avevano
magari delle manifestazioni psicosomatiche per cui al lunedì arrivavano i mal di testa, i dolori
di pancia. Ecco questo è una cosa che mi ha colpito quasi sempre per questi ragazzi che poi
un certo punto smettono di andare a scuola. Però ci sono dei precedenti dove la scuola non
era vissuta come un luogo così, un luogo di vita piacevole e soddisfacente con tutto il peso
dello studio, però voglio dire una gran parte degli studenti va anche volentieri a scuola, se
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non altro per vedere i compagni. Per loro è difficile trovare una situazione di questo tipo,
quindi se andiamo a vedere dal punto di vista anamnestico questo mi sembra abbastanza
caratteristico.
M2: Sì è vero che quando arrivano da noi, arrivano che il sintomo dell'assenteismo
scolastico comincia a cronicizzarsi e dopo nella raccolta anamnestica scopriamo quelle che
erano le manifestazioni prima. Però difficilmente noi entriamo nel merito quando siamo
proprio agli inizi, c'è la manifestazione del quadro poi dopo c'è una richiesta anche sollecitata
dalla scuola a ricevere i nostri servizi.
M2: Un fattore di rischio è quando le aspettative e gli ideali, che siano quelli del ragazzo ma
anche della famiglia, sono molto alti e quindi questo si scontra con la realtà e con il rimando
della realtà. Quindi, quando il risultato e la prestazione scolastica non corrispondono a quello
che è stato idealizzato, sia da parte dei genitori, ma anche da parte del ragazzo stesso, si
crea ovviamente una difficoltà poi ad accettare. Perché il confronto sull'ambito delle
prestazioni chiaramente passa attraverso i risultati, inizialmente quelli scolastici se pensiamo
alla scuola dell'obbligo, poi dopo il confronto avverrà nell'ambito professionale, nell'ambito
con i pari a livello di inserimento professionale o scolastico secondario. Altri fattori di rischio,
lo diceva il Dr.M1, rispetto all’autismo che è un capitolo a sé, quindi un quadro, comunque,
che parte dalla prima infanzia legato al neuro sviluppo, quindi ci sono degli aspetti patologici
che poi eventualmente ti approfondisce lui. Ci sono delle patologie maggiori, tutto quello che
sono i quadri psicotici che possono esordire, perché quella è la facilità in cui esordiscono in
adolescenza quindi, tra le varie manifestazioni ci può essere anche questo ritiro, ma laddove
il mondo viene percepito come estremamente angosciante e persecutorio. Sono fattori
piuttosto epigenetici e quindi che hanno a che fare non con un fattore genetico specifico, ma
con il contesto familiare, piuttosto che con elementi traumatici particolari.
E.F: Si…infatti, un'altra mia domanda era un po' quella legata proprio a quale ruolo gioca il
contesto familiare in queste situazioni.
M1: Nei fattori di rischio che coinvolgono, diciamo, le problematiche psichiche, c'è una
grossa parte che è legata all'ambiente e ci sono verosimilmente dei fattori anche biologici,
chiamiamoli costituzionali o addirittura, chissà, genetici. Per l'autismo sembrerebbe di sì, c'è
una parte legata alla genetica non necessariamente familiare, queste sono ricerche super
specialistiche rispetto alle quali siamo abbastanza all'inizio; invece, nei fattori ambientali,
gran parte della psichiatria si basa su questo, l'ipotesi che viene seguita maggiormente
anche qui in Ticino è il discorso Bio-psico-sociale, cioè dove ci sono tutte le tre dimensioni. È
chiaro che soprattutto per il bambino la dimensione sociale all'inizio e soprattutto ciò da cui
parte il sociale e la famiglia, quindi è il grosso problema delle interazioni familiari e per
quanto riguarda il bambino noi sappiamo che c'è questo tema particolarmente delicato che è
il discorso dell'attaccamento, quindi io credo che veramente, non so (perché non l'ho letto nel
dettaglio il testo di Lancini) se ci sono delle parti che fanno riferimento a questo, diciamo che
attualmente si cerca di non insistere particolarmente sulla causalità familiare, perché questo
anche storicamente ha creato delle reazioni di rifiuto di una certa lettura che pure può essere
valida; tutto il discorso dell'autismo, del ruolo dei genitori nella manifestazione dell'autismo è
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stato particolarmente rifiutato e quando si rifiuta un concetto si butta via tutto, si buttano via
delle cose interessanti come delle cose obiettivamente negative. Quello che possiamo dire,
ma in termini generici (non so poi come viene ripreso nel testo), in una parte dei ragazzi che
poi manifestano queste problematiche, noi abbiamo visto delle relazioni familiari di
un'intensità e di una qualità preoccupante. Questo non significa che il ritiro sociale è legato
per forza di cose a relazioni familiari disturbate, così come non lo diremmo per patologie
anche più gravi, però non possiamo non segnalare che in una serie di situazioni la relazione
di questi ragazzi con i genitori è una relazione disturbata. Il ritiro sociale è una
manifestazione che potremmo considerare sintomatica come, per fare un esempio banale, la
febbre. La febbre c’è in malattie gravissime come malattie leggere o addirittura ci può essere
dopo l'eccessiva esposizione al sole, quindi il colpo di calore ti può dare febbre, cioè è un
sintomo veramente molto molto aspecifico; il ritiro sociale descrive un quadro, il quadro può
essere legato a problematiche molto più serie e durature come a problematiche diciamo di
tipo diverso. Il ragazzo autistico ha capacità di relazionarsi con gli altri diverse; Bernard
Golse che è un professore di Psichiatria infantile a Parigi e che veniva a Lugano ai tempi in
cui avevamo delle supervisioni un po' internazionali, parla di Intersoggettività e dell'autismo
come di un disturbo dell'Intersoggettività, cioè questi ragazzi per una serie di problematiche
verosimilmente strutturali, cioè proprio legate al funzionamento cerebrale (quando si parla di
neurosviluppo si parla di sviluppo del sistema neurologico), non sappiamo ancora bene cosa
succede, però ci sono delle alterazioni, queste alterazioni impediscono o comunque
forniscono il substrato per cui questi ragazzi non riescono ad avere un'intersoggettività, una
capacità di relazionarsi con gli altri e quindi anche di comprendere gli altri. Tutto il problema
dell’empatia, per esempio, no? L’empatia è una qualità propria dell'essere umano, ma non
solo, perché è anche di certi animali, che è basata anche quella su strutture sia acquisite, ma
sia che fanno parte del sistema nervoso centrale, ci sono tutti gli studi sui neuroni specchio e
l’empatia, quindi, c'è una base biologica e una base poi acquisita. Questa capacità di
immaginarsi l'altro, non solamente di parlare o di vederlo o interagire, cioè l’Intersoggettività
è qualcosa che va aldilà “dell'io parlo con te”, cioè “io riesco ad immaginarmi in una relazione
con una o più persone”. Ecco, questa funzione non è qualitativamente sviluppata, perlomeno
nella stessa maniera nei soggetti autistici, questo non significa che i soggetti autistici non
abbiano delle relazioni con gli altri, quindi non possiamo dire che i bambini autistici
facilmente vanno in ritiro sociale, ci sono dei bambini autistici che hanno voglia di stare con
gli altri, però ci stanno a modo loro; non riescono a capire i messaggi, soprattutto non verbali,
ci sono tutta una serie di studi molto interessanti sul bambino autistico che non riesce a
leggere il volto della madre, il professor muratori a Pisa ha fatto dei filmati famosi dove questi
ragazzini precocemente non riuscivano a guardare il volto materno nella stessa maniera dei
bambini normodotati. Poi si è studiato proprio un sistema di tracciamento dello sguardo e si è
visto che i bambini autistici precocemente non guardano gli occhi o la bocca ma si
soffermano su altre parti del viso, quindi probabilmente non riescono a leggere il
funzionamento comunicativo delle emozioni che vengono espresse dal viso. Quindi c'è una
base biologica e una base poi che diventa comportamentale.
M2: Uscendo un po'… Enrico val la pena che metti uno spazio rispetto all’autismo, uscendo
un po' da quello che è il quadro specifico dell'autismo, davvero lì tutto quello che riguarda le
capacità di interagire socialmente, distogliendoci un attimo dall’autismo e quindi parlando di
chi è in grado di poter acquisire. Dipende ovviamente dalle interazioni primarie, senza voler
colpevolizzare nessun genitore, quest'interazione primaria, quindi quello che apprende il
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bambino fin da piccolo, fa parte dello sviluppo che si modifica, questa modalità di relazionarsi
con i genitori quindi con le figure primarie, e a volte la difficoltà emerge ed emerge in
adolescenza perché quello che poteva essere un meccanismo protettivo del genitore rispetto
al bambino piccolo, di accudimento, di fare attenzione a questo e a quell'altro, in
adolescenza deve mutare in un supporto da parte del genitore con un spinta verso quella
che è la separazione dall’adolescente e l’individualizzazione del giovane ragazzo che sta
divenendo un adulto ed è quel passaggio lì che è molto delicato. Quindi, alcuni meccanismi
messi in atto dal genitore nella relazione col bambino vanno modificati ed è lì che a volte gli
equilibri familiari crollano, perché loro mettono in atto quello che funzionava per un età più
infantile ed è un passaggio che spaventa in primis l'adolescente che vede modificarsi il corpo
al di fuori dal suo controllo, che percepisce il confronto con i pari, il giudizio dei pari, che da
qualche parte ha bisogno di separarsi dai genitori e di affidarsi al gruppo dei pari ma non
riesce a farlo, quindi si ritrova con un vissuto di solitudine che lo destabilizza, però dall'altra
parte cerca anche di rassicurarsi stando in un contesto che gli è familiare e che lo protegge,
da qua il ritirarsi dentro la camera, dentro una tana, capisci?
M1: Ecco qui è tutto il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, perché in effetti c’è da dire che
quasi mai il ritiro sociale è caratteristico dell'infanzia, è caratteristico piuttosto del passaggio
dall'infanzia all'adolescenza, a meno che per ritiro sociale non mettiamo appunto quei gravi
disturbi dell'interazione sociale che hanno alcuni autistici gravi o addirittura tutto il problema
delle disabilità intellettive. È evidente che un ragazzo con delle risorse cognitive molto basse
ha anche una capacità sociale limitata e quindi…però non ce lo mettiamo dentro il ritiro
sociale no un soggetto come questo. Come diceva Tessa è una problematica abbastanza
caratteristica del passaggio dall'infanzia all’adolescenza, quindi con tutte le problematiche
dello sviluppo normale e patologico del bambino che diventa adolescente.
E.F: Volevo domandarvi: Avete qualche esempio? Se avete mai visto qualche ragazzo,
parlando proprio del ritiro in casa, quali sono i comportamenti caratteristici?
M2: Ci può essere il ragazzo che mantiene comunque una ritmicità all'interno della famiglia e
delle interazioni con le persone all'interno della casa, penso ad un esperienza che avevo
avuto io con un assenteismo scolastico, laddove la fragilità era veramente una fragilità sul
piano narcisistico quindi nell'affrontare una delusione di un insuccesso scolastico,
l'interazione con i pari parzialmente mantenuta, nel senso che le attività, gli hobby erano
qualcosa che aveva una gratificazione nel riuscire bene in quell'attività sportiva per cui in
questo lo manteneva un investimento, tutto quello che invece lo portava ad una frustrazione
e una delusione, quindi prevalentemente l'apprendimento a scuola era stato disinvestito,
però lui manteneva per esempio una ritmicità anche in casa con degli orari più o meno in
linea con quelli della famiglia. Mentre in altre situazioni quello che vediamo è che la riduzione
delle interazioni sociali si ripercuotono anche con le interazioni all'interno della famiglia,
quindi cominciano a non più presentarsi a tavola con la famiglia, mantenere degli orari, ma
invertirli fino ad arrivare a vivere di notte quando il resto della famiglia dorme e a dormire
durante il giorno per limitare ancor più le interazioni.
M1: Si, questo può accadere e di solito, per esempio, può essere un motivo di consultazione
da parte della famiglia, perché diventa molto difficile sopportare un figlio che oltre che non
uscire di casa vive durante la notte e durante il giorno dorme. Questo, almeno mi sembra,
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che nei casi in cui questo è successo era vissuta come una fonte di ulteriore problematicità,
quella che noi chiamiamo inversione del ritmo sonno-veglia. Non mi sembra che siano la
maggioranza, magari ci possono essere delle fluttuazioni per cui cominciano ad andare a
letto sempre più tardi e quindi si svegliano sempre tardi, invece ci sono alcuni che prendono
chiaramente questa strada, quindi con una separazione ancora più marcata con il resto della
famiglia, mentre altri partecipano alla vita familiare a modo loro. Certi casi che a noi ci
sembrano più gravi, perché sono più difficilmente raggiungibili, a volte sono proprio segregati
nella loro stanza e parlano anche sicuramente con gli estranei, quando noi cerchiamo di fare
anche gli interventi a domicilio troviamo una porta chiusa e quindi eventualmente parliamo
attraverso la porta, ma da quello che ho visto ho in mente delle situazioni dove anche i
genitori parlavano attraverso la porta, cioè questa dimensione del controllo “questa persona
la vedo, questa persona non la vedo” che viene mantenuta molto forte da parte del ragazzo,
quindi se c'è qualcuno in casa sta dietro la porta e non c'è verso di farlo uscire. Oppure delle
situazioni, come diceva Tessa, un po' miste, dove tendono a non uscire però qualche attività
esterna la mantengono. Vedevo, sfogliando il libro, che in effetti alcuni di questi ragazzi si
riescono a vedere a studio, magari non subito, nel momento in cui si cerca di fare una presa
a carico si riescono a far venire a studio. Per altri invece non c'è verso; questo progetto
PH20 20 partiva dal presupposto che “se la montagna non va a Maometto e Maometto che
va alla montagna”.
E.F: Riguardo l’argomento della presa carico relativa al SMP, quali sono i professionisti
maggiormente coinvolti?
M2: È comunque sempre una presa a carico multidisciplinare; non puoi lavorare in una
situazione quale il ritiro sociale senza tener conto di avere i vari attori delle varie discipline,
quindi sicuramente un educatore è indispensabile in queste situazioni, la figura del medico a
dipendenza della situazione e della gravità clinica anche, e altrettanto importante può essere
uno spazio di psicoterapia, quindi è veramente una presa a carico multidisciplinare. Poi il
progetto va fatto unico per ogni situazione, nel senso che in alcuni casi si trova magari una
famiglia che se supportata con degli spunti, sostenuta anche dall'educatore, può trovare
delle strategie migliori per stimolare l'adolescente e per aiutarlo; altre volte non possiamo
appoggiarci su questo, perché c'è una fragilità importante anche lì, quindi bisogna trovare
una strategia diversa, magari quindi l'educatore è una figura che aggancia il ragazzo
cominciando ad integrare qualche relazione sociale, che fosse in primis quella con
l'educatore, poi mantenere magari quelle interazioni, se pensiamo alle situazioni di prima,
sugli hobby, sulle passioni che il ragazzo ancora gli danno soddisfazioni, aumentano
l'autostima e lo fanno sentire benvoluto nella società, quindi vale la pena di lavorare su
quello. A volte ciò è difficile da spiegare alla scuola che spesso non comprende come mai
insistiamo per mandare un ragazzo a fare gli allenamenti di calcio anche se di giorno non è
andato a scuola, sostenendo che se non è andato a scuola non può neanche avere la parte
bella di andare ad allenamento di calcio, ma in realtà l’importante è che si cominci a
reintegrare nelle interazioni sociali positive che sono apprezzate dal minore e che gli
facciano vivere con meno angoscia l’uscire di casa e poi piano piano si può accompagnare
verso il reinserimento in quei contesti che lo mettono più a dura prova, che sia la scuola, il
lavoro o l’apprendistato, tutto ciò che richiede una prestazione maggiore e il rischio di
incorrere in frustrazioni più alto. Bisogna coordinarsi, bisogna assolutamente trovare un
modo per coordinarsi con l'équipe curante affinché ci si suddivida i compiti, ma che si vada
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nella stessa direzione; è molto complesso, è molto delicato in queste situazioni, bisogna
veramente coordinarsi bene e avere ben in chiaro la direzione che si sta prendendo
adattando ed essendo flessibili a quello che è l'andamento del ragazzo. In alcune situazioni
si è reso necessario proprio una tolta di custodia dal domicilio, un inserimento in una
comunità terapeutica dove le interazioni sociali potessero riprendere in un contesto protetto,
stimolante e selezionato. Quindi le prime interazioni in quel contesto e poi piano piano
un'apertura verso la società, perché non per tutti è possibile reinserirsi subito ed essere
direttamente a contatto con tutti.
M1: Sì… le prese a carico possono essere molto diverse perché si cerca nel limite del
possibile di fare dei progetti ad hoc, dei progetti personalizzati. Il discorso generale è quello
che faceva la dottoressa Pidò, cioè la presa carico multidisciplinare. Una persona da sola
difficilmente riesce a seguire tutto l'iter che spesso è lungo. Poi, appunto, bisogna vedere i
punti di forza e i punti di debolezza del sistema e quindi possiamo per esempio renderci
conto che la famiglia ha una serie di problematiche; però se la famiglia è poco disponibile a
lavorare su questo. In passato si diceva “questa è una famiglia che ha bisogno di una presa
a carico familiare”… spesso lo si diceva di quelle situazioni che invece erano più contrarie a
farsi seguire dal punto di vista familiare, per cui il fatto che c'è qualcosa che non funziona
non automaticamente significa che quella è la porta d'ingresso nel nostro ambito, no cioè la
cosa è ulteriormente complicata da questo, cioè ogni intervento terapeutico di cambiare uno
status quo spesso non viene vissuto come positivo, ma ci sono tutta una serie di difficoltà
che noi le chiamiamo resistenza in senso lato, per cui a volte non è la porta d'ingresso, a
volte magari ci arriviamo come step fra gli ultimi, come segno di un percorso che si è già
fatto, così come appunto una delle evoluzioni di queste situazioni può essere un
collocamento del ragazzo, cioè un allontanamento da casa, può essere, non deve essere,
però a volte (e questo abbastanza frequentemente) non andiamo a prendere, salvo
situazioni dove c'è veramente una messa in pericolo grave, un ragazzino che fino al giorno
prima non riusciva a uscire neanche dalla stanza e lo mettiamo in una comunità terapeutica,
a meno che non ci sono forti motivi per farlo. Però a volte le situazioni, che sono delle
situazioni che covano e che vanno avanti per mesi, poi possono esplodere dal punto di vista
sociale e quindi poi c'è l'intervento dell'ARP, piuttosto che l'intervento della polizia che viene
chiamata. Sto facendo degli esempi, però ci sono stati sicuramente casi che abbiamo
seguito e situazioni che sono venute alla luce e sono state segnalate nel momento
dell’acuzie e si chiede di fare degli interventi rapidi. In questo senso è importante il discorso
della rete, visto che l'allontanamento dalla scuola è sistematico, altrimenti non ci sarebbe
ritiro sociale, ed è abbastanza precoce, cioè la scuola è più facilmente lasciata che il calcio.
Sarebbe importante un discorso di rete che possa avere degli strumenti di intervento
precoce, un ragazzo che chiuso in casa da due anni forse è un po' più difficile da tirare fuori
rispetto a qualcuno che si è chiuso da un mese, questo è un concetto banale diciamo, tutti i
sintomi comportamentali tendono a diventare cronici nel momento in cui perdono anche il
significato e assumono la dimensione della routine, se io faccio tutto il tempo la stessa cosa
alla fine non ci penso neanche più la faccio e basta, questo è un concetto psichiatrico
abbastanza importante.
E.F: Un po' mi avete già risposto, però essendo appunto la mia una tesi in educazione
sociale, volevo capire un quali sono le specificità proprio dell'intervento educativo, quindi
appunto che cosa fa l'educatore in una situazione di ritiro dell’adolescente in casa.
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M2: A dipendenza del tipo di intervento, l'educatore può essere la figura di riferimento per il
giovane, quindi la figura che viene percepita come meno minacciosa rispetto un intervento
da parte di uno psichiatra che si presenta a casa piuttosto che uno psicologo, per cui
l'educatore anche dall’adolescente viene percepito come meno minaccioso. C'è da lavorare
sull'interazione: un’interazione sana, che rinforza sull'autostima, un’interazione con un adulto
che da un messaggio lineare, un messaggio che sia sempre lo stesso, che non mi tiene
nascosto delle cose, è molto importante che sia una relazione, sì, sana, con tutta una serie
di elementi basilari a cui il ragazzo si può affidare, perché sa che quel tipo di risposta se la
sentirà dire anche il giorno dopo e quello successiva ancora. “È importante che lui riprenda
la scuola”, l’educatore glielo dirà “giocando a Pingpong”, glielo dirà con un'attività che gli
piace, ma il messaggio sarà quello costante e stabile, non modificato dalle variazioni
dell'umore, cosa che invece magari nel contesto a domicilio non è così. Quindi è importante
poter creare una relazione veramente costruttiva e una relazione che non è inficiata dal fatto
che l'educatore non è il genitore e quindi non ha nemmeno quella tendenza forse a
infantilizzarlo che invece il genitore potrebbe avere, quindi c'è anche un'apertura magari
diversa da parte del ragazzo. Tutto ciò se l'educatore entra come figura di riferimento per il
minore che è ritirato e di solito è così. In alcune situazioni abbiamo l'educatore che però
entra a supporto delle figure genitoriali che riconoscono la situazione e hanno magari una
richiesta d'aiuto specifica nella gestione del ragazzo, quindi lì anche un ruolo diverso, un
lavoro sulla genitorialità, sul rinforzo del genitore, sul passare attraverso di lui per
raggiungere il ragazzo in una maniera diversa, quindi è possibile anche quello, chiaramente
non è la stessa figura che fa entrambe le cose, quindi ci si suddivide nell'équipe su chi
supporta il genitore, chi supporta il minore e quale intervento è più specifico e mirato e più
utile per noi in quel momento.
M1: Al SMP non abbiamo un protocollo standardizzato, situazioni di questo tipo le prendiamo
come situazioni a problematica complessa, quindi situazioni a problematica complessa,
appunto, dove ci deve essere un intervento multidisciplinare. PH2020 che sta partendo in
maniera diciamo quasi sperimentale con un progetto sul territorio, ha in effetti negli educatori
un punto importante di presa a carico. Tutti quanti devono andare a domicilio perché all'inizio
è quasi una condizione imprescindibile, però l'educatore ha sia le competenze e la familiarità
con questi interventi a domicilio. Come diceva la dottoressa Pidò non ha un ruolo che può
incutere delle riserve, cioè se mi arriva lo psichiatra a domicilio diciamo che non è una
presenza proprio neutra, lo psicoterapeuta può andare a domicilio ma la psicoterapia e il
lavoro psicoterapeutico non si svolge a domicilio, forse ancora più che quello medico, il
medico può fare intervento domiciliare, lo psicoterapeuta lo fa ma non svolge la sua funzione
a domicilio, quindi l'educatore mi sembra la figura più idonea e poi appunto l'educatore può
entrare in relazione con il ragazzo in una maniera più creativa, più libera, sicuramente in tutte
queste prese a carico c’è il lavoro che si fa domicilio, questo mi sembra importante ma è un
funzionamento per noi normale al SMP, c'è la parte con il paziente o con la famiglia e poi c'è
il momento di scambio all'interno dell'équipe che può essere appunto del PH 2020 se c'è un
progetto dedicato oppure al SMP. Questo è altrettanto importante perché c'è un momento di
svolgimento dell'attività lavorativa e un momento di riflessione e di approfondimento sulla
stessa, che è altrettanto importante. Mi sembra che su questo spendesse parole anche
Lancini, di come poi loro fossero un gruppo che era dietro a queste prese a carico del gruppo
anche di riflessione, di lettura. Ecco, succede, succedono, una serie di cose …che tipo di
Tesi di Bachelor
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lettura e di comprensione possiamo dare a quello che il collega è riuscito a riportare? Questa
è una base importante del nostro lavoro, non è solamente un riferire, un aggiornarci, ma
proprio un elaborare. In questa parte è assolutamente essenziale, in problematiche che sono
problematiche complesse e dove non c'è un solo problema ma ci sono tanti problemi, cioè
come intanto cominciamo a leggere le relazioni familiari, anche le prime manifestazioni
relazionali. Adesso mi viene in mente una situazione dove ha cominciato a lavorare il PH20
20: una ragazza che è chiusa in casa da tanto tempo, ma che ha una capacità relazionale
nella relazione individuale nel suo domicilio, è una persona che ha voglia di parlare, che ha
voglia di raccontarsi e con delle capacità relazionali che sembrerebbero ben conservate,
però è una ragazza che non esce di casa, una ragazza che non riesce più andare a scuola e
che non vuole uscire di casa, perché appunto lì il problema diventa spesso fobia sociale,
cioè proprio non riescono ad immaginarsi loro stessi fuori casa, guardati e visti dagli altri;
magari c'è un problema nel caso specifico anche di aspetto, problemi di sovrappeso, ci
possono essere tante cose che confluiscono no? Però non possiamo dire che la fobia
sociale è legata alla bulimia, cioè è legata sì ma non è causa, tante persone sono a disagio
in situazioni di affollamento, ma escono, alcuni scelgono di non uscire più.
M2: Si, ma torniamo al tema dell'accettazione del proprio corpo nell'adolescente che è molto
complesso. Ci sono ragazzine che non hanno il problema del sovrappeso, ma trovano un
altro difetto sul quale si focalizzano e diventa altrettanto invalidante nell’uscire, quindi
veramente il contatto con il proprio corpo e l’accettazione del proprio corpo che muta in
adolescenza, che si trasforma al di fuori del controllo dell’adolescente e questo destabilizza,
quando non corrisponde per forza a quell'ideale che il ragazzo ha in sé e ha in mente.
M1: Si, quindi per tornare al discorso dell'educatore, l'educatore è quello che ci aiuta da una
parte a comprendere tutte queste cose perché non è che tutte sono lì pronte ad essere lette,
le dobbiamo piano piano leggere nel momento in cui interveniamo in un caso, e magari non
hanno mai avuto altre consultazioni, a volte hanno provato già dalle psicoterapie a volte no.
Quindi dobbiamo partire da zero, quindi la parte conoscitiva, ma anche la parte interattiva,
quindi la parte che permette… sicuramente non è che l'intervento è semplicemente andare
a casa a fare due chiacchiere, l’intervento piano piano cerca di introdurre degli elementi di
novità, quindi per esempio cominciare a uscire. Con chi lo facciamo uscire il ragazzo o la
ragazza? Con il medico o con lo psicoterapeuta evidentemente no; l'educatore spesso
conosce meglio il territorio, quindi non è solamente uscire “andiamoci a fare una
passeggiata” è uscire per andare a fare qualcosa, mi sembra che il fare o comunque il fare
delle esperienze sia molto più congeniale all'educatore che al medico o allo psicoterapeuta,
quindi è una parte conoscitiva e una parte interattiva e attiva, no?
M1: Anche perché non si può rischiare di giocarsi…cioè, chiaramente il ruolo del medico se
ci sarà la necessità si penserà ad un ricovero piuttosto che è un altro tipo di intervento,
quindi non può essere quella figura alla quale lui/lei si affida per poter uscire e tessere delle
relazioni e poi la stessa figura che decide per un intervento di ricovero più altre cose,
andando ulteriormente a traumatizzare quello che sono le relazioni. Quindi, deve poter
mantenere questa relazione positiva con una figura che non entrerà mai nel merito di questo,
quindi verrà salvaguardata da eventuali misure quali un ricovero in urgenza, piuttosto che un
collocamento. Quindi è importante proprio che possa distinguere questo e che il ruolo
dell'educatore venga sempre salvaguardato dall’équipe curante. Sono interventi a medio-
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lungo termine, ci vuole un tempo e bisogna metterlo in conto. Quello che è importante
laddove escludiamo quello che sono le situazioni di urgenza e di necessità di messa in
protezione, che quindi lì bisogna intervenire in modo quasi traumatico. Di solito si cerca
appunto di prendersi il tempo per poter allestire un legame di fiducia. Adesso in questo
momento tu non hai avuto l'opportunità di vederlo Enrico, ma se io penso ad una situazione
che io ho conosciuto in ospedale, ma al SMP di Locarno erano seguiti da due anni, con
l'educatore Aurelio che conosceva la situazione, la psicoterapeuta Sanja, eventualmente
fattelo raccontare…e hanno impiegato veramente tantissime energie per creare un legame di
fiducia con questa famiglia, con questo ragazzo, che siamo poi arrivati al ordine della fobia
sociale, lui non aveva veramente contatti più con nessuno, ma aveva proprio una difficoltà
anche nel fare nuove esperienze. Quando poi sono riusciti a portarlo in ospedale, con tutta la
calma di Aurelio, si sono presi una giornata per accompagnarlo, per valutare se ce la
facevano da soli, se ci voleva l'ambulanza oppure no, e sono riusciti a fare un passaggio che
non fosse traumatico ovviamente per il ragazzo. Io ricordo di averlo conosciuto in ospedale e
il suo non avere conoscenza di quello che è il mondo all'esterno si è reso evidente quando la
signorina che passa a chiedere il Menu, gli ha chiesto se voleva la bresaola e lui conosceva
tre cibi, cioè lui aveva quelli nella sua vita e ci ha guardato e ci ha chiesto “cos’è?”. Questa è
la mancanza proprio di esperienze, il Dr. Magnolfi diceva che l’educatore è importante
proprio per fargli vivere delle esperienze, delle esperienze in modo protetto, perché
comunque c'è qualcuno che l’accompagna, che fosse il prendere il bus assieme piuttosto
che andare al cinema, è un’esperienza con una figura che ti rassicura, che ti accompagna,
che è li per proteggerti se ti troverai ad affrontare qualcosa che destabilizza, è assolutamente
indispensabile questo. Poi da me era un ragazzo che stava chiuso nell’ospedale, per cui
chiedeva di essere dimesso e gli ho detto “dovresti cominciare ad uscire dalla camera e
conoscere i ragazzi che ci sono in reparto e poi forse possiamo pensare alla dimissione”, è
stato un grandissimo lavoro, aspettava che mi vedesse passare in corridoio per mettere fuori
un piede e per far vedere che aveva fatto il suo passo ed io potevo prender nota che era
riuscito a uscire dalla camera. Rimane poi una struttura molto fragile, però ha poi fatto un
percorso in comunità, è stato ad arco, e poi si è inserito professionalmente facendo l’OSS
nelle case anziani, una persona molto sensibile, molto accogliente ed effettivamente è
riuscito a intraprendere una professione e a fare comunque un percorso, però ci sono voluti
solo due anni per arrivare in ospedale, quindi un 5-6 anni tutti da quando faceva la seconda
media. Non si può pensare che sia un intervento che tu vai a casa e due giorni dopo il
ragazzo sarà fuori, non è immaginabile questo. Bisogna metterlo in conto e la famiglia deve
sentire che ci sei e ci sarai, che ci potranno essere dei limiti, delle ricadute, dei momenti in
cui sembra fare un passo avanti e ne fa due indietro, c'è tutto questo che bisogna saper
gestire, reggere e sostenere.
E.F: L'ultima domanda… Quali sono gli interventi preventivi che vengono messi in atto?
M1: Visto che è una problematica che è una specie di terreno comune fra problematiche
molto diverse, a me viene da dire, per quanto riguarda problematiche che sono
maggiormente legate a un disturbo dello sviluppo, quello che sarebbe importante è cogliere
precocemente queste difficoltà, sia nel bambino che nella famiglia, cioè ci sono dei bambini
che possono essere maggiormente a rischio, per essere chiari, forse non l’abbiamo detto, il
ritiro sociale non è una problematica propria dell'autismo, ma personalmente abbiamo
conosciuto alcuni casi dove il disturbo soggiacente che era un disturbo appunto dello spettro
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autistico aveva dato anche manifestazioni di questo tipo, per questo bisogna essere molto
chiari che gli interventi attuali si orientano verso una diagnosi precoce e una presa a carico
precoce che migliora le competenze anche sociali di questi ragazzi, quindi un trattamento,
però stiamo parlando di una minima parte, però l’intervento precoce è un intervento che
migliora la prognosi e quindi magari non da luogo a delle manifestazioni successive.
M2: Devi tener presente Enrico che noi siamo un servizio di cura, quindi non siamo un
servizio di prevenzione, noi comunque interveniamo laddove, sia pur minima, come dice il
Dr.Magnolfi di intervenire precocemente, però una manifestazione c'è. Forse la riflessione
che puoi fare tu per la tesi è piuttosto su quali servizi possono occuparsi di fare un lavoro di
prevenzione. Sicuramente tutto quello che è il lavoro all'interno delle scuole nell'identificare
delle fragilità e nel mettere i supporti giusti fin da subito è un elemento. Il sostenere i ragazzi
nel rendersi conto quando cominciano ad essere un po' isolati nel gruppo classe, presi di
mira magari per qualcosa, cioè quello sguardo lì chiaramente ce l'hanno prevalentemente a
scuola perché è il primo contesto di socializzazione, che sia l'asilo la scuola elementare o le
medie, sono i contesti di socializzazione del minore al di fuori dalla famiglia. Quindi o ha una
famiglia molto attenta che si rende conto che anche con i parenti tende a stare isolato in un
angolino, parla poco e allora segnala di suo o altrimenti è il contesto scuola che deve avere
uno sguardo su questo per poter intervenire il prima possibile.
M1: Sì…io direi qualcosa anche sui pediatri, perché è un dato di fatto che i pediatri sono
presenti in tutte le famiglie con bambini o perlomeno nella maggior parte. Sarebbe
importante che il pediatra fosse sensibile anche sicuramente a problematiche del bambino, e
sull'autismo è stato fatto un grosso lavoro di sensibilizzazione, di screening per bambini
eventualmente a rischio, però parliamo sempre dell'autismo come patologia specifica. Dove
la situazione familiare è una situazione fragile alcuni pediatri se ne rendono ben conto, altri
invece fanno il loro lavoro somatico. Sicuramente, voglio dire, visto che il pediatra è ogni
presente, io credo che quello sarebbe, anche dal punto di vista sociale, un elemento
importante.
M2: Sì, è vero che alcune manifestazioni che precedono l’assenteismo scolastico possono
essere legate a delle manifestazioni somatiche, come i famosi mal di testa, i mal di pancia.
Quindi è vero che quelli vengono valutati dal pediatra. L'importante è che, oltre sicuramente
a escludere tutte le possibili patologie somatiche correlate, possa anche dare un'indicazione
e indirizzare verso una valutazione più pedopsichiatrica.
M1: Altrettanto importante, perché questa è un'altra cosa che dobbiamo evidenziare, ci sono
delle situazioni sociali problematiche anche in un cantone svizzero come il Ticino e lì c'è tutto
il problema dell'intervento sociale, magari territoriale e per noi diciamo che il concetto è: un
intervento precoce probabilmente potrebbe ridurre le manifestazioni che poi si hanno
nell'adolescenza. Però è un intervento precoce a vario titolo che può essere appunto dei
servizi medico psicologici nei casi più gravi o magari anche dei servizi sociali nei casi dove
c'è una prevalenza di disadattamento o di difficoltà proprio familiari. Quindi, rispetto alla
prevenzione, io rimanderei a questi concetti generali della prevenzione, come diceva la
dottoressa Pidò: prevenzione primaria significa appunto evitare proprio che le cose
accadano; noi difficilmente interveniamo sulla prevenzione primaria, perché se le cose non
accadono non arrivano a noi, quindi noi eventualmente interveniamo sulla secondaria o
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addirittura sulla terziaria. Però ecco, mantenendo questo schema, è evidente che il problema
è un problema non solamente medico, quindi io ci metterei dentro tutto il discorso sulle
risorse sociali che una società può mettere in ballo. Rispetto a noi, i nostri servizi,
sicuramente l'esperienza dei casi può migliorare poi eventuali modalità di presa a carico,
fermo restando che non c'è… ecco questo è un periodo in cui si sta andando molto rispetto
delle prese a carico formalizzate, cioè con delle procedure di intervento che vengono
descritte in una maniera più rigida rispetto al passato. La psicoterapia è qualcosa che si
apprende e che ha una serie di regole fisse e una serie che è legata alla competenza dello
psicoterapeuta, adesso stanno prendendo piede delle modalità formalizzate, cioè dove ci
sono degli schemi. Ad esempio, nella presa carico dei pazienti borderline ci sono una serie di
modalità di presa a carico che prevedono un intervento individuale, un intervento gruppale,
un intervento medico, un intervento formalizzato in uno schema. Questo ha dei vantaggi e
degli svantaggi, a me sembra che attualmente, il discorso che noi facciamo prevalentemente
è quello di avere una serie di criteri, ma una forma che si adatta alle esigenze personali,
soprattutto in una problematica di così ampio raggio come quella del ritiro sociale, dove ci
possiamo trovare dentro il ragazzo con maggiori tendenze psicopatologiche importanti e il
ragazzo invece che ha delle problematiche diverse, quindi però sicuramente l'esperienza, nel
momento in cui il ritiro sociale diventa qualche cosa che accomuna diverse problematiche,
noi facciamo maggiore attenzione a come prendere in carico queste situazioni che prima
invece magari potevamo leggere maggiormente dal punto di vista psicopatologico, cioè
come medici, psicologi, psicoterapeuti leggevamo il disturbo psicotico piuttosto che il
disturbo della personalità. Sicuramente questi concetti rimangono, però si concretizzano in
certe manifestazioni che non tutti…cioè possiamo dire che alcuni ragazzi con disturbi di
personalità poi manifestano un ritiro sociale, ma non tutti i ragazzi con disturbo di
personalità.
E.F: Per prima cosa, vorrei sapere una tua rappresentazione in merito al ritiro sociale?
M3: Magari, potrei utilizzare una metafora per spiegarmi. Una conchiglia con dentro una
perla che sta in fondo al mare, solitaria, sul fondo del mare sulla sabbia. Rappresenta la
condizione di isolamento e il fatto che stiano in un ambiente chiuso, ovattato. L’idea è che
poi il terapeuta, come in questo ultimo caso che sto seguendo, vada proprio a raggiungere
questa conchiglia in fondo al mare, entri in questo mondo, entri nella sua sfera. Diciamo che
la perla che sta dentro la conchiglia in realtà è il suo dolore. La cosa più preziosa che ha il
ragazzo in quel momento è il suo dolore. Quindi, è un percorso che va fatto a passi lenti,
bisogna entrare in punta di piedi, non si può costringere il ragazzo ad uscire dalla stanza in
maniera troppo repentina, bisogna rispettare molto i suoi tempi, bisogna saper stare nel suo
dolore secondo me, accompagnarlo in questo e cercare di tirare fuori la persona proprio
cercando prima di agganciarlo, di stare con lui, di capire quali sono i suoi interessi, i suoi
hobby che solitamente riguardano i videogiochi, i manga, le anime. Poi, cercare in qualche
modo di conquistarsi la sua fiducia, sempre utilizzando il suo linguaggio, cercare di fargli
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vedere che ci sono altre possibilità. Quindi, è questa la metafora che userei per descrivere
l’isolamento sociale.
E.F: Come si presenta il fenomeno del ritiro sociale sul nostro territorio?
M3: Non ho molta esperienza, ho seguito altri casi in passato ma non erano dei veri e propri
ritiri sociali, erano delle fobie scolastiche per cui non si riusciva ad andare a scuola, ma le
altre cose si riuscivano a fare. Nell’ultimo caso che sto seguendo in questo momento, ad un
certo punto il ragazzo comincia a manifestare una certa sofferenza verso l’uscire di casa,
verso la frequenza scolastica, e quindi si chiude si ritira e non esce più. In qualche modo,
secondo me, ci sono anche dei momenti scioglienti che vive la persona, che possono essere
la questione del “Lockdown”. La fase di isolamento obbligatoria, legata alla questione
dell’emergenza sanitaria, ha secondo me portato alcuni ragazzi a capire cosa significa
seguire le lezioni da casa e non uscire di casa per andare a scuola e secondo me ha nno
trovato sollievo in quella situazione. Magari i ragazzi avevano già una certa ansia sociale,
una difficoltà a relazionarsi con gli altri, a rispondere in maniera pronta alle richieste
scolastiche. Questa condizione del “Lockdown” ha favorito il fatto che i ragazzi non volessero
più riprendere, che peggiorasse un po’ la situazione che era già preesistente e quindi
secondo me può essere un momento sciogliente. Un altro fattore slatentizzante può essere il
bullismo, può essere che a scuola sei sottoposto magari neanche a episodi di bullismo
frequenti, basta anche solo un periodo in cui vieni preso di mira, vieni preso in giro, perché
comunque la caratteristica principale del/la ragazzo/a con ritiro sociale è la vergogna e quindi
questa cosa ti fa sentire ancor di più indesiderato, invisibile. Secondo me, ci possono essere
questi fattori che favoriscono, non è che tutti quelli che vengono bullizzati poi non vanno più
a scuola, però quelli che sono predisposti e che hanno già degli elementi prodromici, se
vanno incontro a degli episodi di bullismo poi finiscono con il ritirarsi, oppure se ci sono dei
grandi problemi a livello scolastico o di apprendimento, magari non si riesce ad andare bene
in una materia, c’è un prof molto esigente. Ci sono comunque tutti fattori esterni che poi
spingono a richiuderti dentro casa, sicuramente ci sono fattori intrinsechi alla persona, però
poi ci sono anche fattori esterni che favoriscono, c’è un concatenamento di fattori, sono
concausali. Poi, relativo alla questione prodromica, i segni sono inizialmente la fatica ad
alzarsi la mattina, il prepararsi per andare a scuola, la difficoltà proprio ad uscire di casa,
alcuni lo descrivono proprio come un blocco, “non riesco ad uscire, mi viene da piangere”.
Oppure, situazioni in cui, raccontano i genitori, vedono un ragazzo che inizia in un qualche
modo ad isolarsi, a prescindere dal ritiro scolastico. Nel giro di qualche mese vedono che, se
magari prima usciva con gli amici, comincia a non avere più voglia di uscire, comincia a
trovare scuse per poter non uscire, si dice stanco, si dice che deve fare altro. Insomma, c’è
un graduale ritiro. E poi, soprattutto nei confronti della scuola, si vede proprio questa fatica,
fatica a fare i compiti a casa, fatica a seguire; insomma, ci sono tutta una serie di segni e
sintomi che si presentano gradualmente secondo me, almeno nell’esperienza che ho io. Per
esempio, immaginando il mio ultimo caso, lui ha iniziato con il “Lockdown” ad avere dei
tentennamenti, ha frequentato poco fino ad interrompere completamente. Sono stati tre mesi
di frequenza saltuaria, fino a poi arrivare all’assenteismo scolastico. La madre raccontava
che ha iniziato a lamentarsi un po’ delle amicizie, perché lui voleva sostanzialmente solo
rapporti esclusivi con le persone, quado veniva coinvolto qualcun’altro lui la prendeva male,
e non voleva stare troppo nel gruppo, c’erano già delle caratteristiche sue, quindi oscurava
completamente quella persona e tagliava i ponti. Ha iniziato ad avere questi atteggiamenti
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fino a che si è ritirato a livello del proprio contesto sociale e di amicizie, fino a che ha
cominciato anche a livello scolastico ad avere questo tipo di atteggiamento. Adesso non mi
baso sui libri per risponderti, penso che quelli li trovi già, mi baso sulle mie esperienze
personali. Anche per un'altra ragazza, lei sostanzialmente ha rifiutato di andare a scuola,
faceva fatica ad uscire però qualche alternativa di uscita c’era. Lei ha cominciato ad
accusare dei sintomi proprio fisici, mal di pancia, sensazione di peso sul petto, cioè sintomi
della sfera ansiosa che portavano poi ad un completo blocco totale, una fatica completa ad
uscire di casa, comportava crisi di pianto, comportava uscire e voler subito ritornare a casa.
C’è sempre questa sensazione della casa, della camera come luogo sicuro dove si è protetti
da tutti e dal mondo. Una fatica a stare all’esterno, a confrontarsi con il prossimo, la
preoccupazione a non riuscire a rispecchiare le aspettative degli altri. Poi, forse la fatica a
dormire, risvegliarsi durante la notte, difficoltà di concentrazione; queste sono cose che ho
rilevato nella raccolta anamnestica.
E.F: Secondo te il fenomeno è evoluto nel tempo? Con l’avvento della tecnologia?
M3: I casi più gravi stanno completamente immobili nella loro stanza e non fanno niente,
hanno difficoltà addirittura a relazionarsi anche tramite un mezzo informatico. Però, ci sono
alcuni che secondo me che sono influenzati dall’avvento delle tecnologie, soprattutto dalle
serie TV, che tu clicchi e ti puoi guardare tutte le puntate in una giornata intera. Sicuramente,
non posso dirti con precisione, però è un fenomeno che esiste già da un po’, ma certamente
è peggiorato con l’avvento di tutte queste “pay tv”, dove possono guardarsi serie con degli
abbonamenti accessibili, vedersi tutte le serie possibili immaginabili; poi ci sono tutti questi
giochi online che sono anche un terreno di relazione. Adesso, non so se c’entra con le
domande che mi vuoi fare, però un modo per monitorare l’andamento della gravità del
fenomeno, della patologia, è vedere un po’ che tipo di interazioni hanno online con le
persone. Chiedere sempre con chi ha giocato, con chi ha fatto videochiamata su
“Whatsapp”. La tecnologia sicuramente ha acuito il fenomeno, però allo stesso tempo è uno
strumento che può aiutare, perché questi ragazzi se non avessero i mezzi tecnologici non si
potrebbero relazionare. Quindi, anche l’idea del genitore che dice tolgo tutto, stacco internet,
non è una buona idea, perché è l’unico mezzo che loro hanno per avere il dono
dell’invisibilità e per poter comunque parlare con le altre persone. Infatti, ripeto, i casi più
gravi sono quelli che proprio non interagiscono, che magari possono guardarsi la serie,
possono farsi il giochino da soli, però non interagiscono con nessuno, lì sono completamente
avulsi da tutto il contesto esterno. Sicuramente l’avvento delle tecnologie può aver portato le
persone ad isolarsi di più al proprio domicilio, però se non ci sono già quei fattori
predisponenti che portano la persona a ritirarsi socialmente secondo me non so quale possa
essere la vera incidenza, no?
E.F: Infatti, una domanda che proprio volevo farti, a cui mi hai già risposto, è se l’eccessivo
utilizzo di internet possa essere un fattore scatenate oppure un elemento di sostegno?
M3: Infatti, secondo me è un po’ “un cane che si morde la coda”, sicuramente questi ragazzi
si rifugiano in internet, ci sono altre cose che li portano a rifugiarsi in internet. Però quando
emerge questa situazione possono essere degli strumenti di aiuto, perché c’è anche la
possibilità, non so se lo sapevi, di fare delle terapie online. Quelli che proprio non accettano
di uscire di casa e che non accettano nessuno in casa, c’è la possibilità di vedere
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l’educatore, di vedere il terapeuta. In questo caso, il mezzo tecnologico è utile, poi dipende
dalla situazione, però sicuramente togliere l’internet e togliere la possibilità di connettersi con
qualcun altro, anche se virtualmente, distruggi la situazione completamente e il ragazzo
rischia poi seriamente una condizione di isolamento dove va a dissociare e non avere più un
contatto con la realtà. Perché, già tra i sintomi c’è il trasferimento del ritmo circadiano,
perché dormono poco la notte e molto più durante il giorno, il fatto che comunque anche a
livello di assunzione dei pasti sono sregolati, quindi in qualche modo c’è gia una situazione
difficile, complessa, e se poi si trovano totalmente isolati scompensano. Un’altra cosa
importante da dire è che questi ragazzi e ragazze tendono a dormire di giorno, perché di
giorno le persone si muovono, fanno, vanno a scuola e loro sono un po’ distaccati da questa
situazione, non ci pensano, e riprendono la loro vita quando gli altri terminano i loro compiti
scolastici oppure finiscono di lavorare, insomma quando anche gli altri sono in una
condizione di riposo. Così facendo sentono meno la vergogna, sentono meno il senso di
colpa.
E.F: Concentrandoci sul Servizio Medico Psicologico. Quali sono i professionisti del servizio
maggiormente coinvolti in situazioni del genere?
M3: Io posso dirti, personalmente, che secondo me deve essere coinvolto uno psichiatra e
uno psicoterapeuta, per capire anche se vi è necessita di avvalersi di una terapia
farmacologica, perché in alcuni casi può essere utile, per riuscire un po’ a sbloccare la
situazione, per togliere quel senso di angoscia, per aiutarli a dormire meglio, insomma per
tutta una serie di questioni. Sicuramente non è la prima scelta, però potrebbe diventare
qualcosa che aiuta, una stampella che inizialmente può aiutare la riabilitazione. Sicuramente
ci vuole l’educatore, nel mio caso io ho attivato il progetto PH2020, dove c’è un’équipe, dove
c’è uno psicoterapeuta, un medico psichiatra e un educatore. C’è un sostegno per la
famiglia, c’è un sostegno per il ragazzo. In questo caso io ero già attiva sulla situazione, per
cui è stato attivato un educatore, e poi c’è uno psicoterapeuta che segue la mamma, che è in
una condizione di famiglia monogenitoriale ed anche quello può influire. Si è visto a livello
anamnestico che molti di questi ritirati sociali hanno un padre assente, che non c’è; o sono
famiglie monogenitoriali dove c’è solo la figura materna o padri che sono fuori per lavoro,
completamente assenti. E sostanzialmente, anche nel mio caso, c’è questa situazione qui.
Quindi, ci vuole un sostegno delle figure genitoriali anche per riuscire a far capire loro cosa
sta passando il figlio, renderli più consapevoli di tutte le dinamiche legate a questo tipo di
patologia, situazione psico-sociale. È giusto che loro capiscano, che abbiano dei consigli su
come intervenire. L’educatore serve anche per mettere in sicurezza il ragazzo, sostenerlo,
cercare di farlo uscire, cercare in qualche modo di interagire con lui, con un'altra persona
che non sia solo in una realtà virtuale. Poi, ci vuole anche un percorso di psicoterapia,
perché comunque c’è da lavorare su tanti sentimenti, su tante emozioni come la vergogna, il
senso di colpa, forse anche la difficoltà a trovare una persona, un modello in cui identificarsi
e non sapere chi voglio diventare, non so cosa voglio essere e non so cosa voglio fare, mi
blocco. È un po’ un blocco evolutivo che è anche determinato, secondo me, dalla difficoltà a
capire chi voglio essere, sentirsi un po’ disarmati, non avere strumenti e risorse per potersi
relazionare con le persone, per trovare il proprio posto nel mondo e quindi questi ragazzi si
chiudono, è come se fosse una fase larvale dove in qualche modo loro si sentono protetti,
sicuri e come se dovessero ancora rinascere, è come se dovessero in qualche modo trovare
un’altra dimensione, un altro stato evolutivo che in quel momento, sono disorientati, e non
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riescono a trovare. Quindi, cosa rischi? Il dolore per loro è prezioso, in qualche modo per
salvaguardarsi, perché se gli facessi uscire e sforzassi un po’ a fare delle cose che in questo
momento non sentono, rischi anche lo scompenso psicotico, rischi degli scompensi e che la
situazione sfoci nel patologico importante, perché non hanno gli strumenti per stare nel
mondo in quel momento lì. Loro isolandosi si proteggono e tu devi fornirgli questi strumenti,
quindi secondo me questo è il senso, e gli strumenti devono essere strumenti
multidisciplinari, per questo ci vuole un’équipe, non puoi seguire un caso di ritiro sociale da
solo. Quindi riassumendo, psichiatra infantile, educatore, psicoterapeuta.
M3: Ad esempio, nel mio caso sostanzialmente l’educatore va a casa, c’è un dialogo
attraverso la porta, quindi cerca in qualche modo di passargli informazioni sul lavoro che
vuole fare. Si cerca di stilare una sorta di contratto, di quali obiettivi si vogliono raggiungere,
di cosa bisogna fare, di quali passi deve fare il ragazzo e quali l’educatore. Si deve essere
chiari sul procedere prossimo, su quello che è ritenuto più giusto fare in queste situazioni.
Poi, sicuramente c’è tutta la parte dell’aggancio, che come dicevo prima, secondo me, varia
non solo per lo psichiatra e lo psicoterapeuta, cercare di entrare nel mondo del ragazzo,
cercare di capire quali sono i suoi gusti e i suoi interessi, cercare di condividerli, cercare un
linguaggio comune e cercare in qualche modo di fornire dei mezzi educativi affinché il
ragazzo possa cercare di trovare altre possibilità, altri modi di leggere la realtà, altri modi di
affrontare le cose, quindi sostanzialmente la relazione è la cosa più importante. Poi, secondo
me per il tipo di figura che va a casa, che entra nella sfera privata, questa già è un’arma a
doppio taglio, perché può essere vissuta anche come una violazione da parte del ragazzo,
perché comunque è un estraneo che entra in casa, per questo è importante il rapporto con la
figura genitoriale che inizialmente fa da mediatore. È il primo che si deve affidare
all’educatore per fare in modo che anche il ragazzo si possa fidare, quindi penso che sia un
lavoro sistemico, circolare.
E.F: Quali sono gli interventi preventivi che vengono messi in atto o che si potrebbero
pensare?
M3: Sicuramente quando c’è la fase prodromica, quindi quando ci sono già i primi segnali di
ritiro, sarebbe già utile agganciarli, già fargli fare un percorso terapeutico, dove si possono
affrontare subito queste tematiche e dove si possa in qualche modo far si che la situazione
non precipiti. Non so se dovrebbe essere un lavoro di équipe anche questo, non saprei dirti,
però sicuramente ci deve essere uno spazio per il ragazzo e per la famiglia, affinché anche
la famiglia metta in atto delle misure preventive, in modo che la situazione non degeneri. Non
so dirti niente di specifico sinceramente sulla prevenzione, però potrebbe essere secondo
me anche una sensibilizzazione a livello scolastico, dove tu vai a parlare dei primi segnali di
ritiro sociale, perché secondo me la scuola, anche nel caso che sto seguendo io, i primi
segnali ce li aveva e secondo me era una cosa che andava segnalata molto tempo prima,
perché succede sempre che si segnala quando c’è il ritiro completo, quando il ragazzo
interrompe la frequenza scolastica, questo sicuramente va fatto un po’ prima. Magari anche i
prof se vengono sensibilizzati riconoscono i segni di un inizio di ritiro, e possono in qualche
modo parlare con i genitori e i genitori a loro volta possono imparare a riconoscere. Secondo
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M3: Gioca un ruolo al pari dei contesti esterni, molto importante. L’entità della persona si
costruisce all’interno del contesto familiare. Sicuramente, c’è la penalità di avere un solo
genitore e comunque ho potuto notare come anche il genitore è un po’ isolato rispetto agli
altri componenti della famiglia. Nel mio caso c’é una madre che è completamente tagliata
fuori da tutto ciò che sono le relazioni familiari, perché vede pochissimo suo padre, vede
poco i fratellastri, ha solo contatti con la mamma. Sostanzialmente, vedo che c’è
dell’isolamento anche da parte della figura genitoriale, magari il genitore solo tende un po’ a
rinchiudersi nella famiglia, ma allo stesso tempo avere una relazione di simbiosi con il figlio e
questo esclude un po’ le altre relazioni, perché tanto “ci siamo noi due”. In queste situazioni il
ragazzo viene anche un po’ parificato, diventa quasi un marito. Quindi, forse gioca anche un
ruolo, se ragioniamo in maniera sistemica, dove il figlio si ritira socialmente perché forse non
è in grado di abbandonare la figura genitoriale, perché se si dovesse emancipare che fine
farebbe la figura genitoriale? Dove finirebbe? Rimarrebbe sola. È un po’ come sentirsi in
dovere di sostenere questa figura, questo anche nelle condizioni in cui c’è un padre assente,
dove la madre si appoggia molto sul figlio o figlia. Secondo me, questo è un fattore
importante e poi anche come vive le relazioni il genitore, perché c’è anche un apprendimento
nel conteso familiare. Tu ti separi, tu vivi le relazioni anche un po’ come le vivono i tuoi
genitori. Questa anamnesi, questa situazione che io seguo, è costellata da separazioni e
abbandoni. Quindi, in qualche modo anche il ragazzo si chiede “io come mi metto in
relazione?”, “e se poi mi abbandonano?”, “e se poi questa relazione finisce?” Insomma, gli
strumenti che mancano sono proprio quelli strumenti che non si riescono a trovare all’interno
del nucleo familiare e che portano a non saper come fare in quelle situazioni lì. Ad esempio,
anche a causa di questo padre che lo ha abbandonato, c’è il senso di vergogna, il ragazzo si
chiede se non lo amava abbastanza. Il senso di colpa c’è in questi ragazzi perché pensano
di non essere abbastanza di valore per essere amati da un genitore, quindi poi ritrovano
questo anche nei contesti esterni, come dire “mi prendono in giro allora è vero che non ho
valore”, “allora è vero che anche loro non mi vedono”, e più non mi vedono e più divento
trasparente, perché mi vergogno del mio corpo. C’è anche la dimensione del corpo da
considerare, che forse adesso non c’entra con la domanda che mi hai fatto, però la
dimensione corporea è importantissima, loro vorrebbero far sparire il loro corpo. L’isolamento
sociale secondo me è un modo per sequestrare e isolare il loro corpo, non farlo vedere alla
società. C’è solo la mia voce su internet, il mio gioco, ma non c’è il mio corpo, il mio corpo
sparisce e quindi, in qualche modo, è un po’ come l’anoressica che lo fa sparire non
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mangiando, lui lo fa sparire reclutandolo all’interno di uno spazio dove nessuno lo può
vedere. Quindi c’è anche lì la dimensione della sessualità, del desiderio, che in qualche
modo sono delle cose molto destabilizzanti, che se non hai i giusti strumenti, supporti e
modelli interni, fai fatica poi a canalizzarli. Nel mio caso, c’è un rapporto con la madre
privilegiato, tra l’altro i soggetti di genere maschile in questa famiglia sono stati un po’ dei
fallimenti. C’è questo nonno che ha lasciato il tetto coniugale per andare con un’altra, il padre
che ha abbandonato la mamma. Insomma, non ci sono tanti esempi maschili positivi, e
quindi anche questo ragazzo si dice “a chi mi identifico?”, quindi sostanzialmente c’è anche
questa fatica qui.
E.F: Per cominciare, vorrei chiederti: qual è la tua rappresentazione del ritiro sociale, che
cos'è secondo te il ritiro, per l’esperienza che hai avuto?
P1: Sul ritiro sociale, secondo me negli ultimi anni abbiamo avuto un po' più di situazioni di
ritiro rispetto a prima, io lavoro qui dal 2006 e per come lo vedo un po’ io il ritiro sociale lo
classificherei piuttosto nella fase della preadolescenza/adolescenza. È non svolgere il
compito evolutivo che spetta a quell’età lì del contatto coi pari, di un distacco dalla famiglia e
quindi essere bloccato un po' quel compito evolutivo che arriva nella fase delle scuole medie
in poi di socializzazione coi pari. Quindi per me lo situerei li, poi c'è il ritiro sociale, chiaro, nel
bambino autistico, però quello di cui pensavo di parlare è un po' il ritiro sociale nella fase
dell'adolescenza.
P1: È un disinvestimento negli altri, una difficoltà a entrare nel confronto, entrare in relazione
con i pari, potersi identificare e condividere i temi di sviluppo anche del corpo, dei sentimenti,
degli interessi, sessualità e tutto quanto che sia rimanere un po' nella fase ancora infantile e
non accedere a queste tappe.
E.F: Certo…ora per parlare un po' proprio del nostro territorio: come si presenta il fenomeno
qui da noi? È simile a quello che si studia sugli hikikomori?
P1: Sì, forse non ti so dire proprio a livello sociale perché ogni situazione è molto diversa. È
vero che c'è qualcosa forse che accomuna, quella fase di cui parla anche Lancini nei suoi
studi è più su il ragazzo maschio con un legame molto forte con la madre, dove c'è un padre
assente, possiamo vederla anche qui questa parte…molti videogiochi, però anche i
videogiochi non sono per forza qualcosa di negativo nel senso che aiutano ancora a
mantenere almeno delle relazioni virtuali. È più preoccupante quando c'è un ritiro sociale di
un adolescente dove non c'è neanche l'investimento nei videogiochi, nessuna relazione
virtuale. Però c’è tutta una fase anche nel femminile di questo ritiro che è un po' diverso, c'è
molto meno la parte di videogiochi, del computer, di Internet. Io ho avuto forse una
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situazione in particolare di una ragazza delle scuole medie che poi ha interrotto in seconda
media anche la scolarità, dove il ritiro sociale diventa piuttosto quasi un non potersi
confrontare, vergogna del proprio corpo, della propria immagine. Come, in qualche modo,
soffre di ritiro sociale anche la ragazza anoressica, nel senso che tutto il mondo è investito
su di sé e sulla paura del giudizio degli altri ed è meno tipico del ritiro maschile, del mondo
virtuale, lì è più anche un appoggiarsi ai genitori, manca anche quella parte lì.
E.F: Sì, è così interessante! Infatti, una domanda che vorrei fare è relativa all'utilizzo di
Internet, no? Se può essere considerato un fattore scatenante oppure anche di sostegno al
ragazzo?
P1: Non penso che sia scatenante, è piuttosto qualcosa che allora in quel caso lì li può
aiutare in qualche modo, no? Perché ci sarebbe stato anche senza Internet; è vero che può
essere, però in qualche modo, in questo senso di sostegno, ma in senso negativo ci può
essere l'idea di dire “io ho relazioni, ho amici”, mantenendo Internet e farcendo si di
normalizzare la situazione. Dicendo “io ho tanti contatti, ci sentiamo tutti i giorni, non vado
fuori però ho questa modalità qua”, quindi di normalizzare la situazione, di non
problematizzarla e sentire meno la solitudine. Da un lato è di sostegno, ma potrebbe a lungo
andare anche cronicizzare questo ritiro, perché non c'è la mancanza totale delle relazioni, di
solitudine o anche di sentirsi così tanto differenti, perché nel mondo ce ne sono tantissimi
come loro che sono connessi ventiquattro ore e quindi possono non vederlo come un
problema. Perché “vedo che tutti gli altri sono fatti come me” e quindi c’è il rischio che possa
normalizzare una situazione che ha degli aspetti di disagio.
E.F: Certo. Un'altra domanda che volevo fare è se il fenomeno è evoluto nel tempo, se c'è
stata un'evoluzione negli anni, se si è potuta vedere, inoltre, relativa proprio al periodo che
stiamo vivendo, se la pandemia secondo te ha contribuito ad aumentare il fenomeno o
potrebbe contribuire più avanti?
P1: Sicuramente, secondo me, negli anni è in parte aumentato. Dall’esperienza clinica
c'erano meno situazioni. Da un lato può esserci stato questo iper-sviluppo della tecnologia,
del mondo dei videogiochi, dei social, di tutte le piattaforme dove si incontrano. Dall'altra
parte è diventato molto più difficile il confronto con gli altri. Cioè il conflitto narcisistico di
essere all'altezza, di essere abbastanza belli, sufficientemente interessanti, il confronto con
gli altri; venendo anche un po' più negli aspetti narcisistici di cui si parla tanto, della società
che ha delle aspettative per cui bisogna essere sempre all'altezza e soprattutto nella fase
dell’adolescenza e del cambiamento questo sicuro è aumentato negli anni, anche perché la
società in questo senso è cambiata. Se poi parliamo un po' anche di questi legami, di avere
l'appoggio dei genitori, in questo senso anche le figure genitoriali sono cambiate, perché non
è che spingono così tanto i figli fuori di casa, anzi, piuttosto fanno fatica molto a separarsi
nell'adolescenza che viene protratta anche fino oltre i vent'anni, quindi questa parte è
cambiata rispetto anche solo a trenta, quarant’anni fa. C’è una fase dell’adolescenza che
inizia forse dai tredici/quattordici anni e si protrae fino ai venticinque/trenta. Quindi, questo
periodo è diventato molto più lungo, non è che prima era definito in due anni, però forse si
intendeva l’adolescenza dai tredici ai diciotto, adesso non è intesa così, quindi anche i
genitori che tendono a tenerli più a lungo in casa, molte più separazioni e quindi legami
piuttosto duali dove c’è meno il ruolo paterno che separa, non per forza maschile, ma il ruolo
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di separazione, c’è sempre più spesso il legame duale genitore-figlio molto più stretto e
quindi in questo senso c'è stato un cambiamento. Con la pandemia, un po' dall'esperienza
clinica che vedo invece, molti ragazzi che seguivo e sono molto ritirati, escono pochissimo,
con la pandemia adesso sono diventati nella norma. In qualche modo loro dicono che ormai
ora c’è la pandemia, “non facciamo nulla, ma tutti fanno così”. E quindi adesso loro sono
diventati i più saggi, che stanno più a casa, che fanno meno assembramenti e in questo
momento si può rendere meno problematico il loro comportamento. Questo rischia un po'
che, quando poi terminerà la pandemia e si riaprirà tutto, forse questa fascia vorrà rimanere
in questa fase, perché non mi sembra che in realtà lo facciano perché hanno più paura del
contagio, lo facevano anche prima, però in questo momento non devono neanche dare delle
giustificazioni.
E.F: Un po' me lo hai già spiegato e già raccontato, però volevo capire proprio sulle
caratteristiche dei ragazzi ritirati, inizialmente una domanda che volevo farti è se ci sono dei
segni particolari che possono precedere il manifestarsi del problema? Se si può parlare di
ragazzi che tendono al ritiro…
P1: Sì, adesso non so se posso fare proprio un discorso in generale, però è vero forse
dall'esperienza clinica sono già comunque un paio le situazioni che ho in mente. Ad
esempio, un ragazzo con ritiro sociale importante, dove iniziava già con qualche difficoltà alle
elementari, magari una certa ansia di separazione all'asilo, alle scuole elementari fatica a
restare a scuola, poca socializzazione, poca partecipazione nelle attività sportive, societarie.
Quindi inizialmente qualcosa che non scelgono, sono già stati dei bambini che hanno
socializzato poco, spesso molto insicuri, si sono sentiti magari presi in giro e non accettati o
loro non si sono sentiti integrati nel gruppo classe, questo è un po' il percorso, con un
legame diciamo molto forte spesso in famiglia soprattutto con la mamma, dove vi sono
poche autonomie a casa, anche le richieste, si occupa di tutto il genitore. Un ragazzo che ho
conosciuto mentre andava in seconda/terza media, non ricordo bene, aveva iniziato a fare
un sacco di assenze già alle elementari, alle medie poi ne ha fatte tantissime fino poi a non
arrivare proprio a scuola. Quindi, si è attivata la docente a casa, l'educatore che andava a
prenderlo per portarlo dal docente privato a fare lezioni private; qui, quando arrivava in
colloquio da me non poteva arrivare senza la mamma. Però per lui andava bene, non ne
soffriva, paradossalmente quella situazione gli dava una certa calma, era l'ansia a dover fare
qualcosa, non c'era nessun desiderio o qualcosa che lo spingesse, se lo si fosse lasciato
così non sarebbe stato sofferente per lui, non chiedeva di uscire fuori. Faccio un esempio
che mi ha colpito molto, quando è arrivato qui ad un certo punto sono andato a prenderlo in
sala d’aspetto ed era in bagno con la madre che era entrata ad aiutarlo. Quel ragazzo poi
l’abbiamo segnalato in ARP perché c’era ancora l’obbligo scolastico, si è provato sei mesi ad
agganciarlo ed inserirlo in un gruppo qui in SMP, ma non c’è mai andato, quindi, poi abbiamo
pensato di fare un collocamento che non è semplice perché si crea uno strappo, una rottura
molto forte per un ragazzino che non si è mai staccato neanche per una notte da casa.
Prima di fare il collocamento in istituto l’abbiamo dovuto fare in ambito ospedaliero, perché
non sapevamo neanche come reagiva senza la mamma. Infatti, è stato quasi due mesi al
civico e poi è stato collocato in istituto, e ha fatto anche una buona evoluzione. Al civico, mi
dicevano le colleghe che erano giù, che lui per esempio mangiava pochissime cose, era
analfabeta anche sul provare nuovi cibi, quindi tutte le tappe un po' di sviluppo, di autonomia,
di esplorazione del mondo sono state inibite, sono bambini che esplorano poco, spesso iper-
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protetti, ma con l’idea che il mondo può essere un po' minaccioso, che ci si può far male, che
gli altri possono non accettare e dove la sicurezza è a casa.
P1: Sì, forse questo sviluppo familiare, un legame molto forte duale senza inserire l'altra
figura genitoriale, molto protettivo con poca spinta verso le autonomie e anche poca spinta
verso la crescita, no? Quasi rimanere in una fase infantile, perché io dico spesso che questi
ragazzi succede anche che la parte pulsionale, sessuale, di interessi dell’adolescenza non
arriva. A quattordici/quindici anni hai anche la spinta di andare a conoscere, quindi quasi
anche le pulsioni che succedono di cambiamento sono bloccate, non si vive quella parte di
volere andare a conoscere il mondo e aprirsi agli altri. Poi è vero che è un discorso
generale, ogni situazione è stata davvero diversa. Non so se si può parlare…non è che
esiste una patologia di ritiro sociale. In questi casi si parla di qualcosa di cronico, chiaro che
può esserci anche il ragazzo che ha funzionato benissimo fino ai quindici anni e ha una
delusione amorosa, per sei mesi/un anno si chiude in casa e questo per me non è ritiro
sociale. È un episodio magari depressivo, ma dove c’è stato uno sviluppo. Quelli che intendo
sono i ragazzi che entrano nella fase della preadolescenza e non fanno proprio nessuna
delle tappe, rimane bloccato proprio lo sviluppo.
E.F: Poi, magari anche legandosi a qualche esperienza personale oppure anche alle
conoscenze teoriche, quali sono i comportamenti caratteristici all'interno del loro luogo di
ritiro, quindi a casa? Cioè, cosa fa il ragazzo ritirato a casa, oltre a ciò che mi hai già
raccontato?
P1: Giocano ai videogiochi, vi è un’inversione del ritmo sonno veglia, i pasti alterati. Ciò che
si fa anche in ambito ospedaliero è proprio ristabilire il ritmo sonno-veglia, il ritmo dei pasti,
anche i rituali giornalieri mancano… la doccia, lavarsi i denti prima di andare a dormire, che
sembrano cose banali ma non sono più in questa ritmicità che segna la nostra giornata.
Quindi, ristabilire questi rituali, la parte anche di anche quando vanno a scuola, per loro non
è che esiste un momento scuola/casa, rimangono svegli spesso tutta la notte, i weekend, le
vacanze scolastiche, i periodi più lunghi sono quelli peggiori perché poi lì passa il tempo.
Anche il ripetersi quasi uguale delle giornate, non c’è variazione, è vero cambiano
videogioco o persona che sentono online, però la ritmicità rimane sempre la stessa e le
giornate sono in qualche modo sempre ripetitive. Questi contatti che hanno poi spesso
soprattutto in videogiochi, le relazioni d'amicizia che stabiliscono lì non hanno una profondità,
sono unicamente basate sul videogioco, non c'è quasi mai una confidenza tanto privata della
loro vita, delle loro emozioni, non c'è niente della corporeità, il corpo è quasi escluso da
queste relazioni. Spesso sono ragazzi anche che sono vestiti in modo anonimo, scuro,
soprattutto i maschi, con felpe grandi che nascondono tutta la corporeità, lo sguardo è
abbassato, i capelli sopra gli occhi quasi da rendersi un po' fantasmi. Questo anche le
ragazze, il fatto di non dare nessun segno del corpo che cambia nell'adolescenza, rimanere
un corpo indefinito. Mi chiedevi di cosa accade a casa, spesso nell’adolescenza, quando
arrivano con questo legame così stretto con i genitori, iniziano le grandi discussioni in
famiglia; parte una discussione in merito al ritiro sociale, che devono uscire di più, che non
vanno bene comportamenti di questo genere, ma partono in modo veramente un po’ tardivo
da parte del genitore con una conflittualità accesa dove il ragazzo non accetta a quel punto il
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limite interno. A livello proprio dell'alimentarsi, spesso mangiano in camera, poche volte ci
sono pasti condivisi in famiglia, mangiano in modo molto poco sano con merende e tutto
quanto e la stanza diventa proprio il luogo sicuro dove hanno tutto e dove è come se il tempo
fosse sospeso, è uguale ogni giornata. Dove non ci sono liti, in queste relazioni sociali non
litigano, al massimo perché hanno perso in un videogioco, ma non ci sono tutte le
dinamiche…non si rischia molto la non accettazione, il conflitto, l'esclusione da un gruppo,
vengono protetti da questi sentimenti sociali che l'adolescente vive anche in maniera forte
dalle scuole medie in poi.
E.F: Entrando un po' in merito proprio del nostro contesto, quindi il SMP, come si prende a
carico di questo fenomeno e quindi quali sono i professionisti del servizio maggiormente
coinvolti nella presa a carico?
P1: Ma direi tutti i professionisti, dipende poi anche dalla gravità della situazione, di sicuro la
parte psicologica, educativa e a volte anche medica; medica dipende, nelle situazioni di forte
ritiro dove ci sono anche dei sintomi così forti che uno non può neanche mettere piede fuori
casa, viene coinvolta anche la valutazione medica, perché possono essere anche dei segni
di una psicosi di un ritiro di altro genere e va un po' capito. Io nelle situazioni che ho più
seguito, era più accompagnata da una figura educativa dove io magari seguivo una/due volte
alla settimana e loro svolgevano più i contatti esterni, dove magari lo accompagnavano.
L'ideale, quando si arriva a segnalare questi ragazzi è di inserirli anche in un gruppo, però
secondo me questo è un percorso che viene dopo, cioè quando c’è il ritiro il gruppo è
qualcosa che si può fare quando si è creato un minimo di desiderio di far uscire prima anche
la relazione individuale, non si può partire da lì, perché spesso lì hanno già fatto una tappa.
A volte, queste due situazioni che ho presentato, sia di questa ragazza che era in ritiro
sociale dopo l'abuso sessuale, quindi una situazione un po' diversa, sia questo maschio che
era bloccato a casa, abbiamo dovuto proprio passare attraverso l’ospedalizzazione. Perché
da casa non era possibile farli uscire, quindi ospedalizzazione per un periodo in un luogo
protetto dove gli infermieri riproducono un po' quel legame “infantile” che hanno a casa,
come gli accudiscono i genitori, perché in istituto ci sono gli altri adolescenti e non sarebbe
stato possibile. Il collocamento dove si riesce è qualcosa di positivo farlo, perché a volte
continuare a venire solo al SMP se il ritiro è molto forte a casa non è più sufficiente, perché
se è talmente cronica la situazione bisogna passare ad un periodo di collocamento e
allontanamento da casa, poi un eventuale rientro, ma restando a casa non è sempre facile
sbloccare la situazione. È molto meglio se si interviene agli inizi del ritiro, allora forse si
riesce senza passare dal collocamento, però dove noi arriviamo spesso non è quando il
ragazzo sta solamente tanto a casa e ha poche amicizie, ma quando inizia ad esserci
l'assenteismo scolastico. Lì il genitore o la scuola intervengono, però poi si va a vedere che
negli ultimi 2/3 anni non aveva amici, è sempre stato solo in casa, non ha fatto nessuno
sport, però quello è un po’ lasciato andare, il problema diventa quando non adempie più agli
obblighi scolastici e non esce più di casa del tutto. Ecco, sarebbe stato meglio intervenire
prima, quando il problema era già eccessivo. Un genitore mi chiedeva quante ore suo figlio
può stare in casa, non è che ci sono tot ore, però 7/8 ore dopo scuola è troppo, è tutto il suo
tempo investito in camera con i videogiochi; non è mai uscito con qualcuno fuori scuola a
13/14 anni, non ha mai voluto provare uno sport, non vanno alle gite scolastiche, che già
sono un segnale di assenteismo scolastico perché sono qualcosa che fa si che si sta nel
gruppo tutta la settimana e dormire insieme. È più facile intervenire quando non sono in una
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fase così cronica, quando la situazione è cronica si rischia, perché anche quella rottura di
allontanarlo a casa a forza l'abbiamo fatto in alcune situazioni, in altre no perché si rischia
davvero il crollo. Sia del contesto famigliare che del ragazzo stesso, perciò bisogna passare
a volte dall’ospedale. Per esempio il ragazzo che seguivo aveva anche il fratello maggiore a
casa bloccato da quattro anni e il fratello maggiore aveva già 18 anni e non è più possibile
intervenire, e io avevo sentito la madre che era molto arrabbiata della nostra segnalazione in
ARP, perché lui era nell’obbligo scolastico a 13 anni e non andava più a scuola, però la
madre dopo due anni è venuta al servizio a farmi vedere come il ragazzo è cresciuto, è
diventato bello, come è cambiato; è passata senza appuntamento, perché non li seguivo più,
a dirmi com'è cambiato ed era il ragazzo che due anni prima era in bagno con la mamma, e
mi ha chiesto se potevamo fare qualcosa anche per il figlio più grande, ma avendo quasi
vent’anni e non essendo un pericolo per gli altri non si può intervenire, non si fa una
forzatura.
E.F: Si, infatti un po' legato a questo discorso, la mia domanda era quella proprio su quali
sono gli interventi preventivi che vengono messi in atto? Mi hai detto che sarebbe meglio
riuscire a intervenire prima in certe situazioni…
P1: Sì, forse favorire, anche dare un occhio in più a casa, se il ragazzo si isola un po’, se ha
pochi contatti, vedere a scuola se rimane isolato. Perché spesso questi bambini/ragazzi
passano inosservati perché sono timidi e chiusi, non è che danno fastidio e disturbano; se
poi se la cavano sufficientemente a scuola senza neanche eccellere, non è che gli viene
dato un occhio in più. Forse questa parte qua…soprattutto dalle scuole elementari, non ci
sono più tanto quelle attività di ritrovo, di aggregazione; una volta andavano tutti al campetto,
adesso non è così scontato, dopo il parco giochi delle elementari scompaiono quei momenti
lì e quindi uno o è cercato, se no rimane un po' isolato a casa, non ci sono più i compleanni
che festeggiano tutti i bambini e si viene invitati, dalle medie in poi o si fa parte di un gruppo
se no non è così scontata quella parte come prima. Questo può essere favorito anche da
momenti di aggregazione delle scuole, hanno fatto il Midnight, possono favorire questi
momenti non per forza di sport, che è anche importante, però se uno è un po’ incapace…ci
devono essere questi momenti di ritrovo giovanile; questa può essere a livello sociale una
prevenzione.
E.F: Visto che io sono educatore in formazione mi chiedevo quali sono le specificità
dell'intervento educativo in questo contesto?
P1: C’è anche l’intervento individuale all'esterno, per me è stato molto importante nelle
situazioni che ho seguito il poter esplorare e fare nuove esperienze e attività; spesso sono
state anche delle famiglie che hanno offerto pochi stimoli. Per esempio, a questi ragazzi gli
chiedevi “cosa ti piace?” “cosa vorresti provare?” non sapevano neanche cosa dire, cosa
proporre. Faccio un esempio di una ragazza che seguivo con Anna (educatrice), lei per
esempio la portava al canile, andavano a prendere un cane e lo portavano a spasso, sono
andate a provare il ristorante etnico, a fare un pranzo; delle esperienze e stimoli che la
famiglia non ha mai tanto proposto. Perché sono spesso anche le famiglie legate più al
mondo del lavoro e alla casa che altro, io non ho mai trovato in questi ragazzi famiglie che
vanno via al fine settimana, che fanno tante attività. Quindi a livello educativo è importante
accompagnarli nel fare delle esperienze, esplorare il mondo e non con un gruppo subito,
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perché c'è troppa ansia. Questo mi è stato molto di aiuto, perché è una cosa che io non
posso fare in terapia in quarantacinque minuti. Poi, anche scambiarci forse le impressioni,
era più facile anche vedere un po' i progressi che il ragazzo fa, che poi arrivavano dopo un
paio di mesi ad avere una loro idea e desiderio, perché i ragazzi inizialmente non sanno
desiderare, non c’è proprio l’idea di proiettarsi sul futuro e di desiderare. Con l’educatore
vedevamo anche a livello pratico questa evoluzione. Inoltre, anche fare da modello ai
genitori, perché non bisogna solo sostituirsi per ciò che non gli hanno offerto al ragazzo,
perché spesso facevano un’attività con l’educatrice e poi il genitore la riproponeva.
E.F: Quali sono le principali correlazioni con il fenomeno del ritiro? Abbiamo parlato un po'
della famiglia, no? Quale ruolo gioca il contesto familiare?
P1: A livello educativo, il modo di non spingerli verso la crescita, verso l’autonomia e di
creare legami molto stretti e di aver quasi i genitori bisogno che il figlio sia lì e non solo
viceversa. Poi, famiglie magari che anche loro hanno poche esperienze, chiusi anche loro
nell'ambito di amicizie dove vi è un nucleo familiare abbastanza chiuso, poi è vero che ci
sono caratteristiche anche personali e del ragazzo. Io spesso ho anche trovato famiglie che
non sono integrate nella società, molte famiglie immigrate che sono venute qui con l’idea di
lavoro e non hanno neanche loro la capacità di aprirsi alla società oltre alla parte lavorativa.
Parlo di un ragazzo che ho seguito per diverso tempo che mi raccontava che non sono mai
andati con i genitori fuori ad un ristorante a mangiare una pizza, e lui era abbastanza ritirato,
non a livello così grave però erano famiglie che hanno offerto pochi stimoli.
E.F: Sempre sulle principali correlazioni, mi parlavi dell'assenteismo scolastico che può
essere uno dei primi segni, la scuola è molto collegata con il fenomeno?
P1: Nei fenomeni correlati al ritiro, sì a livello comportamentale c’è l’assenteismo scolastico,
poi anche la mancanza proprio di legami amicali, le identificazioni, la parte della sessualità e
dei sentimenti, perché è l’età in cui nascono queste pulsioni, ma anche il desiderio di fare
un’esperienza, rimane bloccata proprio a livello mentale la pulsione al desiderio. A livello di
umore spesso rabbia, apatia, tristezza; ci sono un po' tutti questi fattori, perché anche se non
vogliono cambiare non sono contenti di questo stile di vita. Una grande stanchezza fisica,
perché a livello del sonno è tutto invertito, i ritmi dei pasti cambiati del tutto, quindi una
stanchezza fisica, meno cura del proprio corpo, disinvestimento, anche sull’aspetto esteriore,
nessuna progettualità anche professionale futura, non riuscire proprio a adattarsi, come se
non facessero neanche parte della società.
E.F: Come ultima domanda, sai se magari sono già stati fatti dei lavori di analisi, ricerche in
Ticino, in Svizzera sull'argomento?
P1: Sul ritiro non so, non credo specifico. Sulle dipendenze dai videogiochi c’è una parte, se
n’è occupato anche Ingrado (servizi per le dipendenze) in Ticino, anche sulla dipendenza dal
telefonino. Sulla fobia scolastica anche c’erano delle parti sull’assenteismo, però è qualcosa
anche di un po’ diverso. Sicuro con il tempo faranno degli studi su questo fenomeno, che
secondo me è un po’diverso da quello che nasce in Giappone, perché ogni cultura ha le sue
caratteristiche.
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E.F: Per prima cosa volevo conoscere, gentilmente, una tua rappresentazione sul ritiro
sociale…
E1: La mia rappresentazione sul ritiro sociale. Allora, nel mio contesto lavorativo la vedo
sotto diversi aspetti e diverse declinazioni, nel senso che ci sono vari tipi di ritiro per come lo
intendo io. Ci può essere un ragazzo che non va più a scuola, quindi in questo caso una
fobia scolare e quindi si isola; un ritiro sociale totale, quindi proprio il fenomeno degli
hikikomori dove si è proprio rinchiuso definitivamente nella propria stanza. Ci puo essere un
ritiro sociale nella vita sociale, quindi niente vita extra scolastica, niente hobby. C’è chi fa
fatica a relazionarsi nel contesto lavorativo, quindi un ritiro sociale magari dovuto alle
difficolta nell’approccio con i pari, questa è una cosa che vedo tanto. Il ritiro sociale a volte
non è per forza una scelta, a volte penso che sia un’incapacità o difficoltà a entrare in
relazione, questo lo vedo forse già di più; essere un po’ limitati in alcune competenze che
fanno si che piuttosto che provare a relazionarsi con gli altri e quindi essere un po’ meno
ritirati socialmente ci si scoraggia e si preferisce rimanere nel proprio brodo e nella propria
stanza e rassegnati un po’ all’idea che “tanto non ce la faccio a fare amicizie e a creare dei
legami significativi”.
E.F: Un po’ me lo hai già raccontato, ma volevo sapere come si presenta il fenomeno sul
nostro territorio?
E1: Un po’ per riprendere la prima domanda su “cos’è il ritiro sociale?” Se vogliamo, inteso
come ritiro definitivo, il ragazzo chiuso nella sua stanza non va a scuola e non ha amici e
non parla con i suoi genitori, una cosa così, io sono qui in SMP dal gennaio 2019 e non l’ho
mai vista; so che ci sono dei casi, so che dei collegi hanno avuto a che fare con situazioni di
questo tipo e secondo me sono le più estreme, con alcuni di questi ragazzi si passa anche
per il ricovero. Devo dire, io sull’urgenza non ho mai avuto modo di riscontrare questo
fenomeno; sul nostro territorio, per quanto riguarda la mai situazione in SMP, sono situazioni
che vengo a scoprire tramite le segnalazioni, magari come ti ho detto prima una
segnalazione in cui si parla di un ragazzo che fa fatica a relazionarsi con i suoi compagni di
classe, un’adolescente che non vuole andare a scuola, un’adolescente che non ha delle
capacità o ha perso un po’ la fiducia per potersi avvicinare ai compagni, quello si scopre
spesso tramite le segnalazioni.
E.F: Un'altra domanda che mi sembrava interessante, proprio anche per il periodo, mi
chiedevo se il fenomeno è evoluto nel tempo e se il periodo di pandemia ha contribuito
nell’aumentarlo?
E1: Mi verrebbe da dirti sì, sicuramente. Sicuramente sotto tanti aspetti, sai, ci sono ragazzi
che hanno…adesso la pandemia c’è da un anno e siamo partiti tutti con gli slogan “andrà
tutto bene”, è vero adesso ci sono i vaccini, ma siamo secondo me ancora un po’ lontani. Si
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è creata tantissima insicurezza nei ragazzi, gli si è detto andrà tutto bene però parlando di un
fenomeno che non si puo controllare. Quindi penso un po’ che per adolescenti e bambini più
che mai, ci vogliono figure che rassicurano, la pandemia ha smontato tutte le certezze che
avevamo. Mi viene in mente un caso nuovo che ho: si tratta di un bambino che fa fatica a
tornare a scuola, fa delle grandi scenate con i genitori e li minaccia di farsi del male, però se
vai a scavare quando capitano questi episodi, che sono delle crisi belle forti, perché pare che
abbia anche nausea e vomito, si capisce proprio che sta male all’idea di tornare a scuola, la
maggior parte delle volte ti rendi conto che capitano dopo una lunga assenza da scuola,
magari dovuta da una quarantena, susseguita da un periodo di vacanze in cui il bambino si
abitua, passa dieci/quindici giorni a casa sua e poi bisogna ricominciare. Ecco, forse lì sono
situazioni in cui ti rendi conto che la pandemia…le scelte politiche hanno incoraggiato
l’isolamento sociale, il ritiro sociale. L’hanno fatto con gli adulti, l’hanno fatto con i bambini,
con gli adolescenti, è una decisione politica che in un certo senso ha rafforzato il fenomeno e
una patologia esistente, una fobia. Quindi forse la pandemia, in un certo senso sì, ci ha
spinto ad avere sempre paura per l’altro, ma anche le decisioni politiche; dopo, non sono qua
per dire cosa si sarebbe dovuto fare, però fatto sta che siamo comunque stati tutti a casa per
un certo periodo e ciò ci ha limitato nelle relazioni e nelle nostre amicizie. Il fenomeno della
pandemia ha sicuramente avuto un effetto sul ritiro sociale, non so se può bastarti come
risposta, ma io vedo tanto questa correlazione tra pandemia e ritiro sociale. Ricordo bene di
un ragazzo che abbiamo nel gruppo adolescenti, di cui anche tu fai parte, che se non sbaglio
nel mese di maggio scorso, quando le scuole hanno cominciato a riaprirsi e anche noi
abbiamo potuto ricominciare con alcune attività, non tutte perché difatti si stava allentando
piano piano la presa rispetto a quello che è stato il grande lockdown della primavera scorsa,
e questo ragazzo qua con il lockdown si è veramente ritirato tanto, e non era più sufficiente
dirgli “abbiamo riaperto il gruppo”, no, lui non veniva. Abbiamo dovuto andare noi a casa sua,
vedere come stava, aiutare a riprende anche un po’ fiducia rispetto la vita fuori di casa. E
non penso che fosse un ritiro legato alla fobia della pandemia, secondo me più stai a casa
più alcune persone rischiano anche di abituarsi; è anche la società del comfort questa e
quindi se dentro casa nostra stiamo bene non è che hai tanti motivi per uscire. Alla risposta
del “Tu d’estate sei più da mare o da montagna?” la risposta è “io sono piu da ventilatore e
playstation”.
E.F: Sì, anche Anna (educatrice SMP) mi ha fatto questo esempio. Secondo te, in merito alle
caratteristiche dei ragazzi ritirati, nonostante magari non gli hai visti personalmente in questi
anni in SMP, ci sono dei segni particolari che precedono il manifestarsi del problema?
E1: Mi viene in mente la presentazione che, insieme alle mie colleghe educatrici, abbiamo
fatto l’anno scorso durante la formazione del SMP del sopra ceneri. Penso che ti abbia dato
anche i documenti, e la tematica era appunto l’intervento educativo nell’adolescente con ritiro
sociale. E quello che era anche un po’ emerso, facendo un po’ di ricerche, che soprattutto
per gli adolescenti, il ritirarsi soprattutto da scuola, era collegato a quello che è il giudizio dei
compagni, i pari, “come i compagni mi vedono”, “quanto sono popolare”, “quanto sono
apprezzato”. “Mi vedono come quello che ci sta o sono uno sfigato?” Questo è particolare,
ne parla anche il videoclip che ti ho girato del Minotauro (Istituto di analisi dei codici affettivi),
in cui parla che ora il giudice più grande degli adolescenti sono i propri pari, e in questo
senso secondo me anche i social hanno influenzato molto la nuova società, ora la
gratificazione passa molto attraverso i “like”; un conto l’immagine che do nel reale, un conto
Tesi di Bachelor
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la figura di me stesso che voglio darmi attraverso i social come Instagram e Facebook,
queste cose qua contano tanto adesso. Non lo so, non vorrei parlare come vecchio, ho
appena trent’anni, però mi sembra che io da adolescente avevo bisogno di identificarmi, di
apparire o anche di essere gratificato, tramite altri adulti che non fossero i miei genitori,
quindi che fosse l’allenatore di calcio, di basket, il monitore di snowboard, che io vedevo
come un supereroe, perché difatti inizi anche un po’ ad identificarti e trovare dei modelli, e
non lo so se questa cosa qua con i social si è un po’ spenta e si guarda forse meno quello
piu grande di te, ma si guarda il tuo pari e il tuo modello è forse qualcuno che ha a malapena
un paio di mesi più di te se non meno. E quindi non so, per tornare un po’ alla tua domanda,
per riconoscere io penso che alla base ci sia comunque un grande problema di autostima dei
ragazzi, e ciò va a influire tanto su quello che può essere un ritiro. Se si hanno delle
sicurezze, se non si da troppo peso alla faccia, all’aspetto fisico, sono forse degli elementi
che non ti porteranno al ritiro sociale, ma non so è un po’ una mia opinione. Un'altra cosa
che magari può sicuramente influenzare su come identificare il ritiro sociale un po’ prima,
penso sia importante capire la situazione familiare, il rapporto tra genitori, quanto sono
implicati in questa cosa qua. Inizialmente il ritiro sociale potrebbe anche nascere da un
capriccio, dove i genitori non hanno saputo trovare gli strumenti adatti per incoraggiare il
figlio ad uscire di casa e andare a scuola; ecco, potrebbe nascere da quello, poi dopo,
magari, con il protrarsi del tempo è diventata una cosa seria come il ritiro sociale. La famiglia
può essere un grande indicatore a mio modo di vedere.
E.F: Infatti, era anche una domanda che volevo porre, quale ruolo gioca il contesto
famigliare?
E1: E si..forse un'altra cosa sui genitori, bisognerebbe capire anche come sono messi
mamma e papà a livello di coppia. Riprendendo un po’ l’esempio che ho fatto prima, di
questo bambino che episodicamente fa fatica ad andare a scuola, avevo dato una
spiegazione legata ad un lungo periodo di assenza e dopo la crisi si manifesta; forse ci puo
essere dietro anche un conflitto tra i genitori, la vita di coppia può far tanto. Togliendo anche
quest’esempio del bambino, non so quanto vai a scuola sereno sapendo che a casa ci sono
mamma e papà che litigano, quindi quello che dopo può sembrare un ritiro sociale può
essere anche dovuto ad una forma di controllo di quello che succede in casa, possono
esserci delle spiegazioni anche secondo questo punto di vista. Sono ipotesi che però,
nell’esperienza, è un po’ quello che vedo in questo momento.
E1: Ce ne sono tanti. Penso che, anche un po’ in base ai segni di cui si è parlato, sono cose
che meritano di essere accolte dal ragazzo, ma anche un po’ elaborate. Penso che il rischio
principale è se non si faccia qualcosa, poi non è che facciamo dei miracoli, ma già solo un
ascolto, una presenza, un non giudizio, se non ci fossero queste cose qui penserei che il
rischio principale è che la cosa si propaghi a lungo, ed un segnale di “non sto bene” diventa
una cosa definitiva. È la mia opinione, mi sto un po’ proiettando. Altri rischi, rischi inerenti alla
scuola, rischi in merito alle amicizie, alle esperienze di vita, è probabilmente qualcosa che
crea una manifestazione di disagio in casa, quindi avrà sicuramente un impatto anche sui
genitori, sulla famiglia, i rischi sono tanti.
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E.F: Passando al contesto, quindi al servizio medico psicologico, mi chiedevo, quali sono i
professionisti del servizio maggiormente coinvolti nella presa a carico?
E1: Se pensiamo ad un caso “serio”, penso che molto probabilmente sia necessario un
approccio multidisciplinare. Va comunque dato un ascolto importante alla famiglia, un ascolto
al ragazzo, se fosse possibile fare in modo che il ragazzo esca di casa sarebbe una cosa
buona se potesse parlare con un terapeuta, qualora non fosse possibile, mi immagino che in
base ad una discussione in équipe si valuterebbe l’intervento a domicilio di un educatore.
L’educatore, anche perché è forse una figura un po’ meno, non voglio dire traumatizzante,
ma forse una figura un po’ più amica rispetto ad un pedopsichiatra o uno psicoterapeuta. E
quindi sì, sicuramente sarà multidisciplinare. Nel mio caso, se dovesse succedere una cosa
“seria”, si penserebbe ad un intervento multidisciplinare in cui l’educatore possa andare a
casa e perché no riuscire a trovare un dialogo con l’adolescente, penso che sia un po’
questo il modo con cui ci si approccerebbe; dopo, in che cosa si fa, vorrei dirti che c’è una
prassi, ma non è così. È comunque un lavoro basato sulla relazione, partirei da un
presupposto in cui comunque chi si ritira socialmente è anche un po’ diffidente con gli altri e
può essere anche molto delicata l’entrata in relazione.
E.F: Appunto, parlando sempre degli educatori, magari anche tramite racconti e
collaborazioni con le colleghe o per ipotesi tue. Quali possono essere le specificità
dell’intervento educativo?
E1: Dovesse capitarmi una situazione di ritiro sociale estremo, in cui l’adolescente non esce
proprio più di casa e non va a scuola, partirei sicuramente da andare a conoscerlo a casa e
cercare di creare un rapporto di fiducia; penso che sia importante per il ragazzo non essere
giudicato. Forse una cosa un po’ frustrante del ritiro sociale è che può apparire come una
scelta, ma secondo me può essere dettato da una “non scelta”, non so se mi spiego. Quindi
ci andrei molto cauto sul chiedere il perché fa questo. Ci sarà da creare un rapporto di
fiducia, se è un affezionato di videogiochi porto volentieri la mia manopola, per cercare di
capire un po’ i suoi giochi, i suoi interessi, cosa gli piace di quel gioco. Perché dopo, sì, è
vero che parliamo di ritiro sociale in generale, però c’è tutta una fascia molto importante, che
penso che ti sei un po’ letto nella teoria, rispetto le dipendenze da videogiochi, gli hikkomori;
questa cosa qua è un aspetto anche molto importante difatti che è l’ utilizzo della tecnologia.
Io non ne sto parlando in questo momento, ma è difatti una caratteristica di chi può essere
ritirato socialmente; cercare di capire cos’è che gli piace di rimanere a casa, in questo caso,
difatti, se parliamo di videogiochi, chiediamo un attimo il perché di questo videogioco, come
si sente, che effetto gli fa. Anche lì, è importantissimo l’aspetto del videogioco; ti ho fatto
prima un discorso legato alla fiducia, forse bisogna prendere in considerazione che il
videogico ti permette ancora di essere connesso con qualcuno e forse è da lì che bisogna
ripartire. Per il ritiro sociale ci sono delle diagnosi, ci sono delle definizioni del DSM, io ti
faccio un discorso in generale, però penso che si debba vedere del positivo se c’è comunque
un aggancio con qualcun’altro dall’altra parte del mondo con i videogiochi online, non è un
ritiro totale quello.
E.F: Certo, infatti mi collego perché era una domanda che volevo farti. Se, appunto, vi
fossero correlazioni con l’utilizzo di internet e se, secondo te, l’eccessivo utilizzo può esse re
considerato un fattore scatenante oppure anche di sostegno?
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E1: Ma…sono un po’ in difficolta in questa risposta perché farei un discorso più qualitativo
che quantitativo. Ovviamente il discorso quantitativo nel ritiro sociale sarà enorme. Per il
qualitativo, parlo di quello dal momento in cui faccio questo discorso rispetto all’autostima e
la fiducia in sé stessi, chi ci gioca e soprattutto chi è ritirato socialmente, ci sono buone
possibilità che sia molto bravo in quello che fa con i videogiochi, e quindi la gratificazione che
non trova, forse, tra i banchi di scuola, con i pari, giocando a calcio o facendo qualsiasi sport,
forse la trova con i videogiochi. Per qualcuno che fa molta fatica a relazionarsi con gli altri o
a volte può essere deriso, sentirsi dire in chat “ma come sei bravo” può essere una cosa che
tira su il morale. Il problema forse sta nel convincersi di essere bravi solo in quello, ed è forse
anche un po’ lì che bisogna tornare a livello educativo, accompagnare su altri fronti, altre
strade, altre competenze o su altri legami. Un collega di Lugano una volta mi ha raccontato
di come sia riuscito ad incoraggiare un ragazzo ad uscire piano piano dalla sua casa grazie
al cane, e da quel che ho capito era comunque un caso abbastanza importante di ritiro
sociale. Questo ragazzo aveva un cane ed il mio collega a Lugano gli disse “vedi come è
bello il tuo cane, è un peccato tenerlo qua, andiamo a fare una passeggiata!”. Era partito
semplicemente da portarlo fuori casa e tornare su, ma pian piano si è sempre cercato di fare
di più, andare più in là del percorso; son degli esempi quelli che ti porto, però ho trovato
questo molto interessante, quindi, puntare su quello che il ragazzo è capace di fare, che è un
po anche la nostra scelta di lavoro, quella di basare il nostro lavoro su una relazione di
fiducia e puntare sulla parte sana, le risorse; devo dire che con ragazzi di questo tipo non è
ovvio riuscire ad identificarle, però è la parte forse anche più bella del nostro lavoro. Per
tornare all’inizio della tua domanda, sì, il discorso di puntare su tante cose, sulla relazione,
sugli interessi, sui videogiochi, sugli affetti; poi dopo forse nel concreto penso che si possa
pensare ad altro, come un accompagnamento casa-scuola e vedere come va, quindi
mettersi a disposizione. Noi abbiamo uno strumento molto forte qui in SMP che merita di
essere nominato, che sono i nostri gruppi. Non che facciano miracoli, non è questo, però
vedo il gruppo in un certo senso un contesto più protetto che la scuola, in cui il
bambino/ragazzo può sentirsi più protetto e a contatto con altri ragazzi che magari hanno
anche delle difficoltà comuni e lì il lavoro educativo penso sia una cosa importante, perché si
crea un contesto, sì, l’educatore crea un po’ un contesto dei perimetri di quello che è spazio
di gruppo però funge anche da moderatore, sta all’operatore difatti trovare delle tematiche,
degli argomenti che possono magari coinvolgere alcuni ragazzi che sai che hanno
sicuramente la loro da dire, ma che magari non se la sentono di dirlo spontaneamente. Era
successo qualche tempo fa, con questa ragazza che fa molta fatica a parlare di sè stessa e
relazionarsi. Sapendo che faceva le scuole medie a Losone, ho parlato un attimo di come è
la sede a Losone e di come funziona e ho coinvolto due ex studentesse che anche loro sono
passate a Losone e lì dopo si è creata una conversazione su com’è la scuola, i docenti, chi
faceva casino, chi era bravo. Insomma, è vero che all’interno dei gruppi conosciamo bene o
male la storia dei singoli componenti e riusciamo a toccare gli argomenti che sai che
riusciranno a unire. Ad esempio, alla fine di quel momento di gruppo, mi ha fatto molto
piacere vedere che una ragazza ha chiesto il numero di telefono ad un'altra ragazza e le ha
chiesto se le andava di sentirsi di tanto in tanto; queste sono cose che secondo me sono
positive. Quindi è lì la forza del gruppo, il fatto che l’educatore fa un po’ da ponte, in un
contesto un po’ più protetto da quello che può essere la scuola, dove non tutti sono simpatici
con te e sono in tanti. Il gruppo è molto più ristretto e passa anche dalla volontarietà dei
ragazzi, si viene lì per stare bene, non obblighiamo nessuno; almeno io ti parlo del gruppo
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adolescenti, poi nel gruppo dei più piccoli forse più che la volontarietà vi è un’indicazione dei
colleghi.
E.F: Quali sono, secondo te, gli interventi preventivi relativi a questo fenomeno che si
possono mettere in atto da noi educatori?
E1: Al SMP passa tutto da una segnalazione, quindi c’è già una problematica. Mi piacerebbe
essere un po’ più preventivi, ma bisognerebbe fare ragionamenti un po’ più “alti”, perché la
prevenzione è una cosa che, non so se manca, non saprei neanche come funziona a livello
di territorio, dovrei un po’ interessarmi, ma penso che tante cose potrebbero essere fatte a
livello preventivo. Agli SMP a livello preventivo, quindi che possono anche avere la funzione
di non portare qualcuno al servizio, hanno gli spazi di consulenza al liceo, quindi spazi
anonimi in cui va la collega educatrice e gli studenti possono sentirsi liberi di portare
problemi scolastici ed extra scolastici e magari, difatti, si spera che si possano trovare delle
soluzioni prima che sia troppo tardi e che porti tutto ad una segnalazione o una presa a
carico da un privato. A partire da maggio faremo un progetto pilota alla scuola di commercio
di Locarno, vedremo un po’ come andrà. Quindi, questi sono gli strumenti preventivi che mi
vengono in mente qui al SMP. In merito specifico all’isolamento e ritiro sociale, non so
quanto specifico ci sia, può già essere preventivo lo spazio di consulenza nelle scuole. Come
abbiamo detto prima, se può partire da un problema di autostima o di percezione di sé
stessi, se arriva uno studente che dice “non sto bene”, “mi sento deriso da tutti”, “faccio fatica
a relazionarmi”, “i genitori a casa litigano e sono preoccupato quando sono a scuola”, sono
degli indicatori che possono far pensare che se non si interviene, magari, chissà se la
persona potrebbe decidere di isolarsi. Quindi, forse in questo momento abbiamo un po’
questo come strumento di prevenzione, però non è specifico per quanto riguarda il ritiro, può
toccare, ma non è per forza legato solo a quello.
E.F: Che cos’è il ritiro sociale? Ti chiedo una tua rappresentazione in merito…
E2: Che cos’è per me? Per me il ritiro sociale è un tipo di espressione estrema, da una
qualche parte, che i ragazzi mettono in atto per comunicare che questa società è troppo.
Forse nei canoni, forse richiede troppe aspettative genitoriali, formativo-scolastiche, per vari
poi scenari personali in più che vanno aggiunti. Però è un chiaro stop, “ho bisogno di
fermarmi”, di vivere in “due metri per due” e limitare il più possibile il contatto esterno, perché
fa paura.
E2: Io devo dire che, appunto, per quello che sono state le mie prese a carico, ho ben
presente due casi specifici. Ce ne sono stati anche altri gestiti dai miei colleghi. Mi verrebbe
da pensare che va un po’ ad ondate, un po’ come altre problematiche, come ad esempio il
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disturbo alimentare, sì, è sempre presente, però dipende in quale misura, non sono sempre
molto standard. Magari un ragazzo ha bisogno del suo attimo, no? che poi sono mesi, però,
in confronto ad altri che magari è più di un anno che non escono di casa…non so, il
fenomeno è presente, pero mi da anche l’impressione che va un po’ ad ondate. Poi,
soprattutto in questo periodo in cui tutti abbiamo dovuto e ancora adesso limitare, forse certe
situazioni ci sono, ma sono più nascoste, no? Mi viene da pensare proprio adesso nello
specifico, mi viene in mente appunto un ragazzo che fa il gruppo con noi, lui, ecco, prima di
accedere al gruppo ha fatto due anni a casa, dove usciva solo per recarsi al SEMO
(semestre di motivazione), poi ogni tanto “biondeggiava”, però, ecco, lui, la famosa battuta
“sei più da montagna o da mare” e lui rispondeva “Io piu da ventilatore e playstation”. Quella
sì, è una forma di ritiro sociale; mi ricordo nel mese di marzo, durante il lockdown, andavo da
lui a far due passi ed era un mese e mezzo che non usciva di casa, neanche per prendere la
posta, quindi, forse questo fenomeno attualmente è stato anche un po’ nascosto, proprio
anche dettato da una situazione pandemica.
E.F: Sì, infatti, una delle mie domande era proprio su come il fenomeno è evoluto nel tempo
e di come la situazione pandemica ha contribuito a questo fenomeno?
E2: Sicuramente, forse l’aumento ci sarà più in là, però, penso che al momento abbia
coperto, ha nascosto, quelli che potrebbero essere dei ragazzi che manifestano un disagio in
questo senso, il covid gli ha messi in ombra.
E2: Io, proprio ritirati almeno due, poi forse in dieci anni qui anche di più. Mi vengono in
mente questi due particolarmente. Un ragazzo di diciassette anni, dopo aver fatto
l’apprendistato di pittore ha abbandonato e ha svolto quattro mesi di ritiro. Non usciva di
casa, solo per andare a recarsi dalla ragazza, manifestava proprio questa profonda ansia
verso il fare il passo in questa ricerca di un apprendistato. E allora ecco lì, l’intervento è
stato…lo psicoterapeuta più volte aveva ricevuto dei bidoni, perché, cosa succede, i ragazzi
mica hanno voglia di uscire dalla loro zona comfort. In quei casi vedi tanto come educatore,
come la relazione fuori è fondamentale, perché il ritirato sociale lo incontri a casa, da
nessun’altra parte, almeno inizialmente. Quindi, io ero andata a casa a conoscerlo la prima
volta, ho conosciuto la famiglia. Ho fatto un paio di viste domiciliari e dopodiché gli ho
presentato un po’ il progetto e gli ho detto: “guarda, so che abbiamo questa occasione di
poter provare a fare un esperienza di stage”; lui prendeva il bus, io lo aspettavo alla fermata
del bus e lo accompagnavo, ho fatto così per una decina di giorni, sul pranzo andavo,
cercavo di essere una figura presente, ci contattavamo via messaggi, alche la cosa è andata
piuttosto bene, lui poi andava con le sue gambe, io avevo il contatto regolare con il suo
responsabile pratico che mi diceva un po’ come andava, mi faceva un po’ il resoconto
settimanale. Poi, dopo che è finita quell’esperienza di stage di due/tre mesi, abbiamo
optato…cioè le strade erano due, o si andava verso un apprendistato o Midada (Fondazione
Gabbiano). Anche lì, Midada, penso che a livello proprio numerico di statistiche quello ecco
può fornire qualcosa, perché Midada è proprio pensato per un reinserimento professionale e
quindi se un ragazzo passa da Midada vuol dire che tutte le altre scelte sono state scartate,
quindi pre-tirocinio, SEMO. Arrivi a 18 anni e tramite l’assistenza c’è questa parte di aiuto e
di sostegno con dei lavoratori interni e poi dopo con dei graduali inserimento nel contesto
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lavorativo sul territorio. Quindi, abbiamo fatto il passaggio a Midada e come piano B, qualora
fosse andato male questo percorso, avevamo anche la nomina di un curatore educativo,
quindi questo era un po’ lo scenario. Uno precedente più grave, si trattava di questa ragazza,
con una storia personale di abuso sessuale grave avvenuto all’età tra i sei e nove anni, la
ragazza poi ha manifestato una fobia scolare. Poi, ha iniziato a non più uscire di casa,
manifestando anche dei pensieri di persecuzione, in merito agli sguardi della gente “chissà
cosa pensano”, no? Quindi, la ragazza non riusciva più neanche a venire al servizio, io
andavo a casa, l’intervento è durato due anni e settimanalmente facevo dei pomeriggi esterni
con lei. La prima volta a casa, mi ricordo che ero sul divano con sua mamma e lei non voleva
farsi vedere, sentivo i passi dietro di me, la mamma mi diceva che, sì, la ragazza era
arrivata, ma non voleva farsi vedere. Quindi, questo è stato il primo incontro, io non l’ho
vista, ho fatto l’incontro con la mamma, ben sapendo che quello che dicevo lo sentiva anche
la ragazza. Quindi, avevo poi proposto la volta dopo, sulla base di quello che a lei piaceva
fare, perché comunque tutti hanno una cosa che rientra nei loro interessi, e a lei piaceva fare
i muffin, allora son tornata a casa e le ho fatto i muffin. La volta dopo le ho proposto di fare
delle passeggiate, poi ho iniziato ad utilizzare il cane come mediatore, e mi sono resa conto
che è uno strumento molto efficace. Lì, si è aperto un bel dialogo, poi sempre più sull’onda di
quello che anche a lei piaceva fare, siamo andate a Lugano insieme, abbiamo fatto dei
pranzi fuori. Per lei, proprio per la sua storia, lo sguardo degli altri era fonte di vergogna, di
un ritorno a quando a scuola è venuto fuori questo episodio dell’abuso e di come i suoi
compagni l’hanno vista, l’hanno guardata e le hanno chiesto. Poi, c’è stato il collocamento,
che è andato bene sì e no, perché poi c’era una relazione molto conflittuale e confusionale
con la mamma, per cui la ragazza aveva tanti attacchi di panico, però sempre correlati alla
relazione. Però devo dire che, appunto, in generale, per il ritiro sociale iniziale si entra a casa
del ragazzo, cerchi di instaurare…come dire…una relazione di fiducia, un interesse, e poi
anche se non va bene fa niente, “la volta dopo ci sono comunque”, c’è anche quello che è
importante. Certe volte magari non se la sentiva, voleva ritornare a casa e gli dicevo che
andava bene e che ci vedevamo la prossima volta, perché è dandogli una chance che anche
loro si danno una chance. Però è intenso.
E.F: Sì, infatti, una delle mie domande dopo, era proprio quella relativa alle specificità
dell’intervento educativo in questo contesto. Per quanto riguarda, invece, proprio le
caratteristiche dei ragazzi ritirati, mi chiedevo se ci fossero dei segni particolari che
precedono il manifestarsi del problema…
E2: Dici che, se uno a “queste caratteristiche” è probabile che svilupperà una fobia sociale?
E2: Sicuramente sono ragazzi molto timidi, ma aldilà della timidezza, hanno proprio anche
un enorme difficoltà nell’entrare in relazione, nel comunicare. Già questo può essere un
indice per cui…però poi come detto sono tanti i fattori, anche i genitori che non riescono,
perché poi se il figlio non va a scuola, come mai? Come mai non si riesce, oltre alle parole
“si vai a scuola” a dire “ne parliamo”, però poi sai ognuno ha la sua storia.
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E2: Ad esempio i social… ma non è solo quello, ma fa tanto quello. Infatti, questo “social
dilemma” (documentario Netflix) che con alcuni abbiamo visto…una ragazza del gruppo mi
ha detto “non ho voglia di vederlo”, probabilmente perché mette a confronto; loro lo sanno
che con questa modalita di relazione alla fine tutto si è virtualizzato, no? Cioè i ragazzi si
conoscono da prima sul web e poi nella vita reale. Questa parte è sicuramente…è una
generazione con cui è necessario regolamentarne l’utilizzo, perché se no sfugge, perdi il
controllo di questi strumenti e poi ti rendi conto che passi più tempo a guardare il telefonino
che a parlare con la gente ed è abbastanza grave, siamo animali sociali e la tecnologia ci ha
fatto perdere il controllo. I ragazzi, per dire, quando i genitori mi dicono “si annoiano”, ma che
bello che si annoiano…questo bisogno di riempire ogni momento…hai il tempo di annoiarti,
che bello!
E.F: Legandomi a questa domanda, ne avevo una correlata proprio all’utilizzo di internet;
perché c’è chi sostiene che esiste questa controversia sul fattore internet, se è un fattore
scatenante, come dicevi tu, oppure se a volte può essere anche di sostegno, magari, al
ragazzo già ritirato in casa?
E2: La finestra verso il mondo, no? Può esserlo né, però e sempre un rischio. Il problema è
che rimane come unico canale nella quale i ragazzi interagiscono, se si cristallizza in questa
maniera è problematico; come ad esempio gli hikikomori, il loro quotidiano è completamente
legato a questo mondo. Il vero ritirato sociale hikikomori io fin ora non l’ho visto, però in
fondo ci sono varie sfumature su come si può sviluppare il ritiro. Non so quanto l’utilizzo di
internet possa essere un fattore positivo, sì, forse, perchè magari all’inizio puoi comunicare
con lui solo tramite delle mail o messaggi. Forse per trovare un aspetto positivo può essere
quello, poi però il lavoro è tutto nel trovare la forza di affrontare il mondo reale.
E.F: Me ne hai già parlato un po’, raccontandomi le situazioni che hai visto, però mi chiedevo
quali sono i comportamenti caratteristici all’interno del loro luogo di ritiro? Come si
comportano a casa?
E2: Non hanno contatti, se non appunto spostandosi dal salotto alla camera. Si comportano
come se il mondo fosse minaccioso. Poi, ad esempio, il ragazzo che seguivo io dalla
ragazza ci andava. Però l’atteggiamento è questo: il mondo è un posto minaccioso.
E.F: Parlando proprio del SMP e di come si prende a carico di questo fenomeno, in questa
situazione quali sono i professionisti maggiormente coinvolti?
E2: Una multidisciplinarietà. Parte medica, educativa e psicologica. Poi, chiaro, che se
appunto ci sono anche problematiche socio-famigliari-economiche, si aggiunge anche
l’assistente sociale. Nei ragazzi che ho seguito io eravamo due o tre figure. Anche il fatto del
ritiro sociale che può nascondere degli esordi psicotici e quindi ci vuole la parte medica per
un eventuale ricovero, la parte terapeutica e la parte educativa per l’aspetto pratico. Quindi,
una sinergia delle funzioni che formula, diciamo, una rete che sostiene anche la famiglia. Se
prima lavori con il minore e poi il terapeuta lavora con i genitori; i genitori anche hanno
bisogno di aiuto, poi, ovviamente, è anche un'altra presa di coscienza, quanto ci sono poi le
forze per implicarsi, perché se si arriva a questi punti da una qualche parte ci sono anche
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delle mamme e dei papà che sono in difficoltà, quindi bisogna vedere quanta volontà di
essere aiutati ci sia.
E.F: Sulle specificità dell’intervento educativo mi hai già detto molto, non so se volessi
aggiungere qualcosa…
E2: A livello teorico la relazione di fiducia è la base, sentire che tu ci sei sia che l’aria è
buona o che l’aria è cattiva, nel senso, anche se ti mandano a quel paese “domani ritorno”.
Questa accoglienza, devono sentire che ci sei e che hai fiducia in loro, io è quello che ho
sempre cercato di trasmettere, perché in questi casi hanno l’autostima proprio bassa, sono
dei ragazzi che si nascondono e il credere in sé stessi è fortemente messo in discussione. È
bello quando poi fanno i primi passi, però ci vogliono mesi, nella mia situazione con la
ragazza ci sono voluti due anni. È un lavoro perché ormai si tratta della vita e la vita ha dei
tempi.
E.F: Per quanto riguarda invece la prevenzione, quali sono gli interventi preventivi che
vengono messi in atto?
E2: Io avevo in mente l’idea di fare un gruppo per i ragazzi che utilizzano assiduamente la
Playstation ecc. Quello può essere un lavoro a titolo preventivo, dove i ragazzi utilizzano
questi strumenti confrontati ad altri, è una potenza bella forte. Può anche subentrare la Peer
education, perché, sì, poi a livello radix abbiamo qualche progetto, però proprio sull’utilizzo
social, questo sarà appunto materiale sulla quale lavorare prossimamente, perché appunto,
soprattutto in questo periodo dove tutto è diventato online, riunioni, ecc., le linee si sono
intasate, no? Perché da una qualche parte è anche un mondo che funziona sempre più così
e quindi c’è da un lato la necessità di portare avanti un mondo così, però dall’altro bisogna
proteggere le nuove generazioni, è un tema! Però, ecco, è interessante quando nel nostro
gruppo…l’impatto dei ragazzi sul film “social dilemma”, non finivano più di parlarne!
L’autocritica c’è poco in alcuni, il confronto su questa realtà…perché poi riguarda un po’ tutti,
il fatto che si è sempre più prigionieri, dipendenti, da questo meccanismo. Come tutte le
dipendenze c’è la parte di menzogna, “no non è vero, io lo guardo poco”. Per esempio, ne
parlavo anche con alcuni genitori, ma non so quanti poi sono andati a casa a guardarselo.
Un altro strumento è il gruppo genitori che adesso è purtroppo in stand by, questi sono
elementi belli sulla quale poter poi discutere insieme ai genitori.
E.F: Infatti, la mia domanda successiva era: quale ruolo gioca il contesto familiare?
E2: È un bel tema! Si, è fondamentale, ma è anche fondamentale che ci siano anche loro in
questo percorso. Alle volte non c’è una presenza vera, le storie di ogni genitore, ognuno ha i
suoi vissuti, chi vuole condividere e chi no; il genitore, poi, se non vuole implicarsi però i
ragazzi lo sentono; cosa vuoi? che gli diano la forza di uscire da questa situazione? …poi
dopo diventa veramente stagnante. Il più delle volte, quando ci sono sintomi di vario ordine,
è proprio un modo di comunicare che c’è qualcosa all’interno del sistema famigliare che non
funziona, che siano dai piccoli “non detti” che certe volte sono dei macigni. È fondamentale il
lavoro con i genitori però non è sempre facile.
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E.F: Per cominciare, volevo chiederti in generale che cos'è il ritiro sociale per te, una tua
rappresentazione in merito, magari rispetto anche alle esperienze che hai visto?
E3: Il ritiro sociale, per quello che mi immagino e quello che ho visto, è quando i ragazzi
soprattutto non riescono più a stare con gli altri, non riescono più a stare fuori, non riescono
più a fare quelle che sono le loro attività che fino a poco prima riuscivano a fare. Quindi, si
spengono anche tutte quelle che sono le loro passioni e questa cosa li porta poi piano piano
a rinchiudersi sempre di più, lasciando da prima delle attività, la scuola, per poi essere
sempre più ritirati e poter arrivare addirittura alla chiusura in una camera.
E3: Ecco, forse per me qua è un po’ più difficile rispondere, perché è vero che gli studi che si
trovano sono proprio sul Giappone, dove il fenomeno è partito ed è stato riscontrato o
comunque studiato lì, per poi arrivare in Italia. Io, quando cerco un po’, trovo soprattutto
riferimenti italiani. Di situazioni, appunto, nel nostro piccolo se ne possono riscontrare
sicuramente, non è la quantità che hanno altri paesi oppure noi comunque vediamo quelli
che arrivano, ci sono magari situazioni che esistono che non sappiamo nemmeno che ci
sono, potrebbe essere maggiore di quello che ci immaginiamo.
E.F: In merito alla tua esperienza qui al servizio, quanti ragazzi più o meno hai incontrato in
questi anni, anche ragazzi tendenti al ritiro e non ritirati completamente?
E3: Io devo dire che nella mia esperienza sono soprattutto ragazzi che erano ritirati in alcuni
spazi della loro vita, quindi soprattutto la scuola; non riuscivano ad andare a scuola, non
riuscivano a fare delle attività, però magari riuscivano ancora a salvaguardare delle piccole
cose, mi ricordo addirittura di un bambino delle elementari che non riusciva più ad andare a
scuola, a frequentare la parte scolastica però riusciva per esempio a mantenere l’attività
sportiva. Se penso ad un’altra ragazza più grande, anche lei aveva chiuso con quella che era
parte della scuola, la parte dell'apprendistato, faceva fatica anche a stare con gli amici, però
riusciva per esempio a venire al servizio o fare delle piccole passeggiate e quindi riusciva a
fare qualcosa. Per quanto riguarda i numeri non saprei dirti, non ho presente però, non so,
una decina, perché a volte ci sono delle piccole parti… forse si sette/otto lì in giro, però
appunto non proprio di fobie che erano ritirati totalmente, quello no.
E.F: Secondo te il fenomeno è evoluto nel tempo, quindi è cambiato; prima magari non
esisteva?
E3: Penso che, ad un certo punto, queste situazioni si siano presentate ai servizi come
difficoltà presenti, quindi forse oggi, lo dicevo prima, siamo più a conoscenza che ci sono
queste difficoltà e la scuola oggi lo segnala se c’è un ragazzo che inizia a mancare tanto da
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scuola, c’è un’attenzione maggiore. Grazie a ciò sicuramente ne emergono di più, non so se
sono proprio aumentati o se è perché oggi ci si attiva di più per queste situazioni.
E3: Ho due pensieri rispetto a questa cosa. Da una parte, penso che questo “Lockdown”
abbia un po’ normalizzato i ragazzi che già vivevano quella situazione e quindi si sono sentiti
legittimati a poter stare a casa. Quindi, chi era già in quella situazione forse ha avuto un po’
modo di pensare che ora questa cosa nessuno può dire che è sbagliata. Mentre per chi
aveva già delle difficoltà, se posso pensare ai ragazzi che facevano già un po’ fatica ad
andare a scuola, l’essere chiusi in casa per poi riprendere penso che sia stato più difficile per
loro, quello sì. Quindi per chi aveva già delle difficoltà, ma un po’ manteneva ancora il
contatto con l’esterno.
E.F: Parlando proprio delle caratteristiche dei ragazzi ritirati, ci sono dei segni particolari che
precedono il manifestarsi del problema? Magari, tu che vai anche a fare consulenza nelle
scuole hai potuto osservare qualcosa in più…
E3: Una cosa che mi sembra di aver osservato in questi anni è che quando ritroviamo
ragazzi delle medie che hanno delle difficoltà, se si va a ripercorrere la loro storia spesso si
ritrovano già dei momenti dove da bambini facevano fatica ad andare a scuola, lamentavano
dei mal di pancia, faticavano a fare delle attività, quindi secondo me sono dei segnali che un
pochino…poi non è che tutti i bambini che hanno mal di pancia diventano dei ritirati, però a
volte dei segnali ci sono già prima, c’è già un certo tipo di fragilità. Quindi magari proprio
fatica nell’andare a scuola, una certa timidezza nel fare delle di attività.
E.F: Secondo te quali sono i fattori di rischio che possono portare un ragazzo ad avere delle
tendenze di ritiro?
E3: Ci sono dei fattori forse scatenanti, è vero che non è sempre così, perché posso
immaginare lo stesso bambino/ragazzo con dei vissuti simili e non tutti poi sviluppano queste
difficoltà. Quindi, c'è una parte probabilmente sul vissuto, ma non solo. Come dicevamo
prima, può esserci sia una forte timidezza, possono esserci a volte eventi anche di bullismo,
difficoltà ad essere accettati in un gruppo, in una classe, essere preso in giro. Però ecco, non
per tutti è la stessa cosa, le situazioni di bullismo le possono vivere più ragazzi, ma poi non è
che tutti avranno questa difficoltà, però su un certo tipo di ragazzino può avere il suo peso.
Leggendo un po' in merito, ho riscontrato che i maschi sono più soggetti a questo tipo di
chiusure e anche di molto, ci sono anche le ragazze però sono soprattutto maschi.
E.F: Parlando proprio in merito al ragazzo ritirato in casa, quali sono i comportamenti
caratteristici all’interno del luogo di ritiro?
E3: Forse, per quanto riguarda i comportamenti, iniziano piano piano ad avere la tendenza a
rovesciare quello che è la notte con quello che è il giorno. Non è una cosa che succede in
automatico, ma poi si arriva a stare svegli di notte e poi invece di giorno dormire. Poi, avere
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degli interessi limitati, oggi è vero che c’è tutto il mondo relativo a Internet che subentra, però
è ancora qualcosa che gli permette di mantenere delle relazioni.
E.F: Si, infatti, una domanda che ti avrei fatto dopo è relativa all'utilizzo di Internet.
L'eccessivo utilizzo può essere considerato un fattore scatenante oppure di sostegno al
ragazzo ritirato?
E3: Mi è difficile risponderti, però provo a rifletterci. Nel senso che se mi immagino oggi quelli
che sono i giochi alla Playstation via internet, dove i ragazzi possono giocare con altri
ragazzi online, è comunque qualcosa che gli permette di rimanere in contatto con gli altri,
quindi in un qualche modo non c’è una totale chiusura, c’è una chiusura dello spazio però c’è
ancora una relazione. Se non ci fosse questo, mi chiedo un po’ come potrebbe essere
questa chiusura. È vero che d'altra parte, forse, per i ragazzi che hanno così difficoltà nel
confronto, non sentono più bisogno di dover uscire per confrontarsi perché possono farlo da
casa, quindi ci sono dei pro e dei contro.
E.F: Invece, parlando in merito al Servizio Medico Psicologico e di come si prende a carico di
questo fenomeno, la mia domanda è: quali sono i professionisti del servizio maggiormente
coinvolti in situazioni di questo tipo?
E3: In quelle che sono le esperienze che ho avuto, siamo spesso entrati con più figure,
quindi proprio una di quelle prese in carico multidisciplinari, dove c’è la parte sia del
terapeuta che deve fare un lavoro per il ragazzo; tu magari parli dei ritirati che non
verrebbero al servizio, io parlo anche di ragazzi che qui arrivano a fare delle terapie. La parte
dell’educatore, quindi quella nostra, è invece quella di provare a riattivare degli interessi, a
partire da casa, iniziare a fare dei piccoli passi verso l’esterno, quindi l’educatore è quello
che aiuta la parte più concreta, di riattivazione. Lo psicologo aiuta a fare il lavoro più
terapeutico e poi c’è la parte del medico perché nei casi più estremi, per un certo periodo,
può esserci anche la necessità di un medicamento oppure la valutazione di strutture o
all’estremo di un’ospedalizzazione. A dipendenza della gravità, sicuramente una presa a
carico multidisciplinare, poi bisogna valutare se sono due o tre figure a dipendenza del caso.
E.F: Vorrei concentrarmi ora sulla specificità dell'intervento educativo. Quindi, come hai
raccontato è un lavoro multidisciplinare, ma cosa fa l’educatore in particolare?
E3: Secondo me, anche questo cambia un po’ a dipendenza della situazione. Se mi
immagino il bambino che fa tanta fatica con la scuola, il cercare di fare un lavoro con la
scuola per cercare delle modalità per poterlo inserire, anche poter mediare tra quello che è la
richiesta scolastica e quella che invece al momento è la priorità, che per il ragazzino magari
è rimettere piede nella scuola. Quindi, iniziare a ritrovare un equilibrio per far ripartire il
ragazzino tramite questo lavoro con l’esterno. Se mi immagino una ragazza delle medie che
faceva fatica, allora lì insieme al docente di sostegno, insieme al direttore, c’era proprio stata
una modalità di rientro. Lì, c’è un lavoro anche con i docenti, perché devono essere poi
pronti a riaccogliere il/la ragazzo/a senza più mettere l’accento sulla parte scolastica che in
quel momento non è prioritaria. Ovviamente per la scuola lo è comunque, quindi trovare un
po' un modo per far ripartire il tutto. Se penso ad un’altra ragazza invece, con lei il lavoro
educativo era anche quello di riuscire ad andare a casa e poter fare delle passeggiate, delle
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piccole cose vicino a casa, iniziare a conoscere nuovi interessi per vedere se da questi
interessi si poteva un pochino ripartire. Quindi, c’è sia la parte della rete che la parte più
concreta da fare direttamente.
E.F: Quali sono gli interventi preventivi che vengono messi in atto?
E3: Forse ci sono dei campanelli d'allarme, perché se ci penso comunque in certi bambini e
ragazzi qualche segnale c’è e si può stare attenti e capire se poter entrare in merito, se poter
dare dei sostegni, quindi cercare di non aspettare che ci sia un ritiro più importante.
E.F: Parlando delle correlazioni che ci sono con questo fenomeno, quale ruolo gioca
secondo te il contesto familiare?
E3: A dipendenza delle situazioni familiari, forse c’è una maggior difficoltà di poter dare certi
tipi di sostegno. Mi immagino, in situazioni dove i genitori lavorano entrambi oppure in
famiglie monoparentali dove la persona che si occupa del figlio lavora, potrebbero esserci
delle difficoltà nel dare quella continuità quando il ragazzino rimane a casa. Quindi forse, la
parte familiare, se penso a chi magari può far più fatica nell’occuparsi dei figli nei momenti di
difficoltà, perché al lavoro bisogna andarci, una routine c’è e quindi penso alle famiglie
monoparentali che potrebbero essere più in difficoltà.
E.F: Visto che tu sei attiva in questo spazio di consulenza al Liceo, hai qualcos’altro da
raccontare relativo alla correlazione tra scuola e il fenomeno del ritiro sociale?
E3: Quest’anno, dopo la pandemia ho avuto un forte aumento delle richieste di consulenza.
È vero che, a differenza di prima, dal momento del “Lockdown” ho lasciato il contatto e-mail
che i ragazzi trovano sulla pagina Internet del Liceo, quindi possono contattarmi più
facilmente. Ci sono più situazioni e mi è capitato di ritrovare ragazzi che mi parlano di quanto
il rientro a scuola è stato difficile, ritrovarsi con gli altri, ritrovarsi in gruppo, ritrovarsi di nuovo
con la pressione della scuola, è stato complicato poi ripartire. Ci sono ragazzi che mi
dicevano “io l’anno scorso andavo, a volte era un po’ difficile nei momenti dei test, però lo
gestivo”, quindi per chi aveva già delle fragilità, il periodo di “Lockdown” l’ha messo in
difficoltà sul rientro poi a settembre. Quindi questa cosa un pochino l’ho riscontrata nei
ragazzi, l’hanno sentita questa pressione che ad un certo punto è ritornata ed era difficile per
loro gestirla nuovamente. E sono stati a casa, facevano lo studio a distanza, alcuni sono
riusciti a mantenerlo, alcuni no e quindi hanno proprio mollato anche quella parte.
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DIREZIONE DSS
ORGANIZZAZIONE SOCIOPSICHIATRICA CANTONALE (OSC)
DEL DIPARTIMENTO DELLA SANITÀ E DELLA SOCIALITÀ (DSS)
DIVISIONE DELLA
SALUTE PUBBLICA
DIREZIONE
OSC
Consiglio di Direzione
D. Intraina
SERVIZIO DELLE
CLINICA PSICHIATRICA
VICEDIRETTRICE CARL CURE E SETTORE SOTTOCENERI SETTORE SOPRACENERI
CANTONALE
SOCIOTERAPEUTICO
lic.rer.pol. R. Moles sig. L. Pellandini, Direttore sig.ra M. Chiesa, Direttrice dr.ssa med. R.A. Colombo, Direttore dr.med. R. Traber, Direttore dr.med. R. Traber, Direttore
Servizio
giuridico
Unità Laboratori
abitative protetti UTR UTR UTR DCA Disturbi del Home Laboratorio di Progetti SMP
avv. K. Erne SPS SMP SPS
Quadrifoglio Adorna Edera comportamento treatment SPPM psicopatologia complessi
Sottoceneri del lavoro Sottoceneri Sopraceneri Sopraceneri
sig. A. Pagani Sottoceneri Sopraceneri alimentare c/o OBV
Collaboratori
scientifici dr.med. dr.med. dr.med. dr.ssa med. dr. med. dr. med dr.ssa med. dr.ssa med. dr. med. dr.med. dr. med.
Pineta PT Assemblaggio L. De Peri E. Bolla A. Moor C. Ariemma B. Z. Mellacqua M. Preve I. Massari S. Brondolo B. Z. Mellacqua G. Magnolfi A. Tonolini
sig.ra F. Festa
Responsabile
qualità coordinatore
Pineta 1. P Legatoria CPE
sig.ra N. Clerici
dr.ssa med.
sig.ra P. Broggi A. Fabbro
Responsabile
documentazione
Pineta 2. P Legno
sig.ra G. Schmid
Serre
Animazione Servizio di
CARL Socioterapia OSC CD CD CD CD
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