Chirurgia Toracica

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Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga

CHIRURGIA TORACICA

VI anno di corso
AA. 2021-2022
24/11/2021
Chirurgia Toracica: Leo
Sbobinatore: André Fiorentino
Revisionatore: Giorgia Orlandi

Il Tumore Polmonare
Epidemiologia
Il cancro al polmone è un tumore potenzialmente evitabile: all’inizio del XX secolo era una rarità e si
riscontrava nelle autopsie in modo più o meno eccezionale, successivamente l’incidenza è aumentata
all’aumentare del consumo di sigarette. Il boom di utilizzo del tabacco è scoppiato dopo la Seconda Guerra
Mondiale, fenomeno che interessava eccezionalmente le donne. Successivamente un’abile strategia di
marketing ha coinvolto anche il sesso femminile che rivendicava i propri diritti e la propria libertà fino a
farlo diventare un costume. Fumo e cancro sono talmente correlati che da quando è cambiato il tipo di
tabacco è cambiata anche l’istologia del tumore polmonare: fino agli anni ‘60-70 prevalevano i carcinomi
squamosi (centrali), successivamente quando il tipo di tabacco è cambiato c’è stato uno shift verso l’ade-
nocarcinoma (periferico). Il tumore del polmone ha un ruolo dominante per incidenza e mortalità. È il
primo big killer al mondo, le morti legate a questa patologia sono 1.600.000 all’anno (dato del 2012), circa
50-60 casi per 100.000 abitanti. Nel 2018 ci sono stati 1.700.000 di morti tra maschi e femmine. Nel 2040
sono attesi il doppio dei casi per mortalità, quindi 3 milioni di morti. La sopravvivenza a 5 anni di tutti i
tumori del polmone valutati complessivamente è del 15-20%, anche se dipende dalla popolazione, ad
esempio i giapponesi hanno una sopravvivenza più alta (30%). Sia per incidenza che per mortalità ci sono
differenze a seconda della razza, ad esempio i maschi afroamericani hanno un’incidenza superiore a 80
casi su 100.000 abitanti. Il dato di mortalità a distanza non si è modificato radicalmente negli ultimi 40
anni, anche se le statistiche degli ultimi 5 anni danno una leggera riduzione della mortalità nella popola-
zione occidentale, dovuta al fatto che abbiamo ridotto e disincentivato il fumo. Tuttavia, non c’è stata una
riduzione d’incidenza a livello mondiale perché ci sono Paesi in cui il tabacco è ancora di largo consumo,
non ci sono politiche per la riduzione ed è ancora molto diffusa la pubblicità per i prodotti del tabacco.
L’incidenza è maggiore nel sesso maschile, perché le donne hanno iniziato a fumare più tardi rispetto agli
uomini. Ciò che ha spinto gli uomini all’abitudine tabagica sono state le Guerre, per le donne invece i
movimenti femministi negli anni ’30 che hanno identificato il fumo come atto di liberazione ed emancipa-
zione. La prevalenza in Italia è superiore a 100.000 persone.

Presentazione clinica
La presentazione clinica del carcinoma bronchiale è molto variabile e dipende da vari fattori, come il sito
della lesione, il volume della massa e l’istotipo. Esistono tutta una varietà di situazioni cliniche, che vanno
dal paziente asintomatico al paziente fortemente sintomatico. Più la malattia è avanzata più aumenta la

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possibilità che sia sintomatica. È possibile avere forme sintomatiche caratterizzate da sintomi aspecifici,
che non vanno sottovalutati. Un paziente che presenta astenia, calo ponderale, segni neurologici o dolore
deve attirare la nostra attenzione. Sono sintomi vaghi, quindi è difficile orientarsi nella diagnosi, ma se il
paziente è un forte fumatore occorre fare un’anamnesi più dettagliata alla ricerca di sintomi specifici to-
racici:

1. Tosse: Spesso i pazienti con tumore polmonare hanno anche una BPCO, quindi hanno sempre la
tosse. In questi casi è importante cercare variazioni del tipo di tosse e della frequenza. Il bronchit-
ico cronico caratteristicamente tossisce molto al risveglio, se dice che si sveglia di notte per accessi
di tosse o ha molta più tosse di prima questo è un campanello d’allarme.
2. Emoftoe o emottisi: Segno ancora più specifico di tumore soprattutto se associato a tosse, che
richiede un’indagine a livello toracico. L’emottisi è più evidente dell’emoftoe.
3. Dolore toracico aspecifico di nuova insorgenza: Spesso non ha nulla a che fare con il tumore
polmonare e può anche essere di origine psicogena. Nel caso del tumore polmonare, potrebbe
derivare da un interessamento della pleura parietale (molto innervata), infiltrazione delle strut-
ture osteomuscolari della parete toracica oppure metastasi ossee a livello costale.
4. Difficoltà respiratoria di recente insorgenza: Induce a pensare a un’ostruzione endobronchiale o
endotracheale in un tumore prossimale che cresce fino a ostacolare il passaggio dell’aria. Se si
chiude un bronco principale vuol dire che non entra più aria nel polmone coinvolto, quella che c’è
dentro viene riassorbita e il polmone diventa atelettasico. Il paziente di colpo diventa come se
avesse un solo polmone funzionante.

Il riscontro radiologico ci permette di spiegare le origini di questi sintomi nella maggior parte dei casi.

La presentazione del tumore polmonare può essere asintomatica (25% dei casi), un piccolo nodulo di
2-3 cm può essere un riscontro del tutto occasionale identificato facendo un RX torace per altre
ragioni (es: sospetta polmonite, costole rotte, controlli per esposizione professionale, angio tac). La
radiografia non è affidabile per fare diagnosi di tumore del polmone ed è per questa ragione che non
viene più utilizzata per gli studi di screening. Altra situazione in cui quindi possiamo trovare un caso
asintomatico è quella di un paziente che partecipa a uno studio sullo screening del tumore polmonare,
per cui esegue una TC senza mdc che evidenzia una lesione nodulare. In Europa i programmi di screen-
ing del tumore polmonare sono ancora sperimentali mentre negli USA, dopo aver notato che lo
screening con TC portava ad una riduzione dei tassi di mortalità del 20%, è stato accettato e validato.

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Nell’immagine a sinistra si vede nel lobo medio un linfonodo intrascissurale parzialmente calcifico, che sia
all’RX che alla TC appare come un nodulo con caratteristiche radiologiche rassicuranti.

Nell’immagine centrale si evidenzia un piccolo tumore polmonare nel lobo superiore sinistro con
caratteristico aspetto spiculato (caratteristica radiologica negativa) e irregolare ai bordi. È probabile che
in questo caso il paziente sia asintomatico, anche se il nodo è molto vicino alla parete di un bronco
segmentario e ciò potrebbe provocare emoftoe. Bisogna comunque fare attenzione perché anche se le
caratteristiche possono essere quelle indicative di un tumore, non vuol dire che per forza questo lo sia e
bisogna fare attenzione che il paziente lo capisca. Non dobbiamo lanciarci in diagnosi, c’è bisogno di
certezza citologica/istologica.

Nell’immagine a destra si evidenzia una voluminosa massa che occupa buona parte del lobo superiore e
del mediastino, con occlusione della vena cava superiore e versamento pleurico. Questo paziente
verosimilmente avrà sintomi molto evidenti e probabilmente rischia di avere una sindrome cavale in cui
tutto il sangue che viene dal distretto superiore ha difficoltà a scaricare e quindi finché non vengono
sviluppati dei circoli collaterali il paziente sarà estremamente gonfio a livello di testa e spalle con difficoltà
ad allacciarsi le scarpe.

Esistono infine sindromi caratterizzate da sintomi molto particolari che ci orientano verso una specifica
sede o uno specifico tipo di tumore:

1. Dolore irradiato all’arto superiore associato a sindrome di Claude-Bernard-Horner (miosi, ptosi,


enoftalmo): pone la diagnosi di una malattia dell’apice del torace che può corrispondere al tumore
di Pancoast, ovvero un tumore del polmone posteriore alla prima costa che infiltra strutture come
il ganglio stellato e il plesso brachiale.
2. Sindrome di Pierre-Marie-Bamberger: ippocratismo digitale, poliartrite e periostite delle ossa
lunghe. Si caratterizza per dolore diffuso alle ossa, ma non è una sindrome specifica o patogno-
monica di tumore polmonare perché può essere presente anche in altre patologie.
3. Sindrome della vena cava superiore (SVC): edema del torace ed ectasia del sistema venoso giu-
gulare con circolo venoso collaterale sottocutaneo a livello toracico. È espressione di un ostacolo
allo scarico della vena cava superiore per la presenza di una grossa massa nel torace.

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I sintomi vengono distinti in sintomi locali (legati al polmone) e sintomi periferici (non polmonari). I primi
comprendono i sintomi che il professore ha definito specifici respiratori, oltre che la sindrome della vena
cava, disfagia (per compressione e coinvolgimento dell’esofago) e disfonia (per compromissione del nervo
laringeo ricorrente di sinistra). Tra le manifestazioni cliniche è possibile riscontrare anche la polmonite
ostruttiva: la vegetazione neoplastica endoluminale altera il passaggio dell’aria e delle secrezioni bron-
chiali, così da causare un ristagno sul quale può maturare una sovrainfezione. La pervietà delle vie aeree
può anche essere ridotta dall’ingrandimento dei linfonodi. I sintomi periferici possono essere costituzion-
ali (perdita di peso, anoressia, febbre, astenia), correlati alla presenza di metastasi (dolore scheletrico e
sintomi neurologici centrali) o paraneoplastici. Questi ultimi possono dare quadri sindromici, endocrino-
logici (ipercalcemia, sindrome da inappropriata secrezione di ADH, sindrome di Cushing), neurologici,
ematologici. Le manifestazioni respiratorie sono più frequenti nei casi in cui la lesione neoplastica interessi
le vie aeree centrali (bronchi principali, lobari e segmentari). I tumori della base provocano disfagia,
dispnea da sforzo e sollevamento dell’emi-diaframma (visibile a RX) per coinvolgimento del nervo frenico.

Diagnosi
La valutazione diagnostica iniziale comprende un’accurata anamnesi e l’esame obiettivo, accompagnato
da iniziali test di laboratorio come emocromo, funzionalità epatica, elettroliti e creatinina. È auspicabile
che la diagnosi, la stadiazione e la pianificazione terapeutica procedano in maniera concomitante e non
secondo una linea temporale sequenziale, per ridurre al minimo i tempi diagnostico-terapeutici. In
presenza delle manifestazioni cliniche elencate in precedenza è necessario valutare il torace. L’esame
chiave per la valutazione del paziente è la TC che ci può presentare situazioni diverse:

1) Nodulo (lesione < 3 cm), magari di riscontro occasionale in un paziente asintomatico. È necessario
stabilire il rischio che possa essere un tumore polmonare, perché non tutti i noduli sono di natura
neoplastica. Se facessimo una TC torace a tutti i fumatori troveremmo noduli nel 10% dei casi, ma
solo l’1% sono tumori, la maggior parte sono di natura infiammatoria o di altra natura. Nodulo
non vuol dire tumore.
2) Massa (lesione > 3 cm di diametro) o paziente fortemente sintomatico o linfonodi ingranditi o
sospetto di metastasi. In questi casi considero la malattia come se fosse un tumore del polmone
fino a prova contraria, per cui inizio già a eseguire gli esami di stadiazione mentre cerco di fare
diagnosi. Si può fare la palpazione delle fosse sovraclaveari alla ricerca di linfoadenopatie, il cui
riscontro può fornire diagnosi e stadiazione allo stesso tempo (N3).

Consideriamo la prima situazione: quando si valuta un nodulo polmonare solitario bisogna stabilire il ris-
chio, che sia effettivamente un tumore, attraverso alcuni fattori di rischio che dipendono sia dal paziente
che dalla radiologia. Dividendo le categorie in basso rischio (meno del 5%), rischio intermedio, alto rischio
(superiore a 65%) è chiaro che possiamo avere lesioni con percentuali di rischio molto diverse (20-50%)
che fanno comunque parte della stessa categoria di rischio intermedio. La classificazione in categorie di

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rischio è necessaria per la decisione clinica ma non ci dice esattamente tra due persone con lesioni ap-
partenenti alla stessa categoria ma con rischio diverso quale sia più a rischio e di conseguenza ci com-
porteremo nella stessa maniera.

Aspetti legati al paziente


1) Età: il tumore polmonare è raro prima dei 40 anni (in questo caso è quasi sempre associato anche
il fumo e in particolare quello di cannabis che fa assomigliare macroscopicamente il polmone a
quello di un settantenne) e il rischio aumenta all’aumentare dell’età. La decade in cui si manifesta
più frequentemente è 60-70 anni.
2) Genere: il tumore è più frequente nel sesso maschile, ma attenzione che l’incidenza nelle femmine
è in aumento.
3) Familiarità (RR 1.5-1.8): avere un familiare con storia di tumore polmonare aumenta il rischio.
4) Fibrosi polmonare (RR 4): è una condizione di infiammazione cronica, quindi aumenta il rischio di
neoplasia. È rara.
5) Fumo (RR 10-35): sicuramente è il più importante fattore di rischio della lista nel determinare il
tumore polmonare. Tra la quantità di sigarette al giorno e il numero di anni in cui si ha fumato
pesa di più il numero di anni, sono più a rischio i pazienti che hanno fumato per un lungo periodo.

Aspetti radiologici
- Aspetto spiculato (RR 2.2-2.5): è abbastanza tipico di patologia oncologica.
- Dimensioni: più la lesione è grande più è a rischio di essere un tumore (Linee Guida
Fleischner 2017)
- Numero: rischio aumenta se i noduli sono 1-4, diminuisce se sono 5 o più.
- Tipo: solido, a vetro smerigliato, in parte solido. Mentre il nodulo solido rappresenta soli-
tamente quello squamoso classico, la lesione a vetro smerigliato se è un tumore si tratta
più probabilmente di un adenocarcinoma detto lepidico che è un tumore a lenta crescita.
Mentre la lesione solida di taglia stabile per due anni di sorveglianza viene considerata
benigna, la lesione a vetro smerigliato richiede almeno 5 anni di sorveglianza. A livello
anatomico la differenza è che la lesione a vetro smerigliato cresce dentro gli alveoli e che
ci mostra alla TC una zona di aumentata densità con un certo contenuto aereo al suo
interno.
- Tempo di raddoppiamento: i noduli neoplastici crescono rapidamente e questo è apprez-
zabile facendo esami radiologici seriati. Quando non sappiamo identificare la natura del
nodulo lo teniamo sotto controllo con delle TC e misuriamo se c’è una variazione nella
sua dimensione. Se il tempo necessario al raddoppio delle dimensioni è inferiore a 400
giorni è sospetto di neoplasia (se la lesione è subsolida il tempo di raddoppiamento è
invece anche di 3-5 anni)

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Nell’immagine a sinistra si vede un nodulo misto a doppia componente, ovvero a vetro smerigliato in
periferia e solido al centro. Questo si sta trasformando da un adenocarcinoma lepidico.

A destra è mostrato un amartoma, la causa più frequente di noduli polmonari benigni. Hanno una forma
rotonda, spesso sono presenti disomogeneità densitarie e calcificazioni caratteristiche che fanno propen-
dere il radiologo verso la benignità della lesione. Bisogna comunque fare attenzione perché molto lenta-
mente nel tempo possono tramutare in taglia divenendo anche molto grossi. Gli amartomi sono costituiti
da isole di tessuto cartilagineo che per una ragione di migrazione non efficace rimane all’interno del
parenchima polmonare aumentando di taglia. Può succedere che l’immagine radiografica dell’amartoma
somigli a quella del carcinoide con cui va messo in diagnosi differenziale nel caso in cui non possiamo
affermare con sicurezza sia una lesione benigna.

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In questa immagine si può vedere l’evoluzione di una lesione a pattern a vetro smerigliato che è molto
lenta. Si nota bene come la crescita dei tumori non sia regolare: dal 2010 al 2012 la taglia aumenta di poco
e poi in meno di un anno a gennaio 2013 la taglia aumenta di molto.

Le linee guida Fleischner ci dicono che l’approccio da tenere è in funzione della dimensione del nodulo.

Nel caso di un nodulo solido:

- > 8 mm: controllo TC a 3 mesi, PET/TC o campione tissutale


- 6-8 mm: controllo TC a 6-12 mesi
- < 6mm: paziente a basso rischio (giovane che non ha mai fumato): no follow up; in paziente ad
alto rischio (forte fumatore): controllo TC a 12 mesi.

Per il nodulo a vetro smerigliato:

- < 6 mm: non significativo


- > 6 mm: TC a 6-12 mesi, da ripetere ogni 2 anni fino ad arrivare a 5 anni.

Per il nodulo con parziale componente solida:

va fatta la TC a 3-6 mesi per confermare la persistenza del nodulo, se rimane immutato e la componente
solida è minore di 6 mm allora si continua con la TC annuale per 5 anni.

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Una volta identificato il nodulo sospetto bisogna fare la diagnosi attraverso agobiopsia percutanea o bron-
coscopia e la scelta della metodica dipende dalla posizione della lesione:

1) In presenza di una lesione periferica è improbabile che la broncoscopia ci permetta di vederla


in quanto è difficilmente raggiungibile con il broncoscopio quindi si opta per l’agobiopsia per-
cutanea
2) Se invece c’è una lesione ilare centrale in cui è probabile avere un’espressione endobronchiale
di malattia la broncoscopia ci permette di fare sia diagnosi (una volta che vedo la lesione la
posso biopsiare) che stadiazione (T).

Una volta confermata la diagnosi di neoplasia va distinto tra tumore polmonare a piccole cellule (SCLC) e
tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC), perché sono due malattie completamente diverse con
trattamenti completamente diversi. È anche possibile una terza situazione, ovvero dopo aver fatto tutte
le indagini non arriviamo alla diagnosi, rimaniamo nella situazione di tumore polmonare fortemente so-
spetto e dobbiamo decidere cosa fare senza però avere una diagnosi accertata. Lo SCLC viene considerato
una malattia sistemica e quindi raramente chirurgico.

Il tipo istologico influenza molto sia l’approccio chirurgico sia la prognosi del paziente. Lo SCLC rappresenta
il 15-20% dei casi, mentre il NSCLC l’80-85%. Quest’ultimo gruppo è suddiviso ulteriormente in carcinoma
squamoso, adenocarcinoma (50%), carcinoma adenosquamoso, carcinoma sarcomatoide.
L’adenocarcinoma è stato riclassificato in due forme in base all’invasività: adenocarcinoma minimamente
invasivo e carcinoma propriamente detto; presenta più tipi istologici che sono correlati al grado e alla
prognosi: Lepidico basso grado; Acinare-papillare grado intermedio; Micropapillare-solido alto
grado.

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Stadiazione
Una volta che abbiamo posto la diagnosi è fondamentale eseguire la stadiazione per definire la prognosi
del paziente e decidere la terapia appropriata. Il clinical TNM viene fatto sulla base dei soli esami svolti
prima della chirurgia, ovvero:

1) TC o RM encefalo con mdc: il contrasto si usa allo scopo di identificare lesioni secondarie.
2) TC torace e addome superiore con mdc: il contrasto si usa allo scopo di identificare lesioni sec-
ondarie.
3) PET: ha sostituito la scintigrafia ossea perché è più specifica per le metastasi ossee. Questo esame
utilizza il glucosio marcato e fornisce un’immagine metabolica di tutto il corpo; laddove si eviden-
zia un ipermetabolismo quella zona è sospetta per localizzazione di malattia.
4) Broncoscopia

Se alla TC trovo un linfonodo mediastinico con diametro dell’asse più piccolo di 1 cm è sospetto di neo-
plasia, ma potrebbe anche essere reattivo, ovvero ingrandito ma non metastatico. Il TNM dà informazioni
sulla prognosi incrociando i dati ricavati dalla valutazione del tumore primitivo (T), dei linfonodi (N) e delle
metastasi a distanza (M). Il peso maggiore lo danno le metastasi, poi l’N e infine il T. Questa classificazione
è stata ideata dal chirurgo francese Pierre Denoix, che si occupava di chirurgia oncologica e si rese conto
che i pazienti che andavano peggio erano quelli con metastasi a distanza, ma che anche i pazienti che
venivano sottoposti a intervento andavano peggio se avevano metastasi linfonodali.

La valutazione dei linfonodi mediastinici è molto importante, in quanto il loro stato determina la reseca-
bilità del tumore. La metodica maggiormente utilizzata per la stadiazione dei linfonodi è la TC e un lin-
fonodo è considerato positivo quando il diametro dell’asse corto del linfonodo supera 1 cm. Questa
metodica però ha una limitata accuratezza diagnostica e il 40% dei linfonodi identificati come maligni sono
dei falsi positivi, mentre il 20% di quelli considerati benigni sono dei falsi negativi. La PET/TC produce falsi
positivi in caso di concomitante infiammazione e falsi negativi dovuti a una bassa risoluzione, ma è più

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accurata della sola TC. Inoltre, essendo una tecnica total body permette di ottenere informazioni su tumore
primitivo, metastasi intratoraciche ed extra-toraciche con una sola indagine. Fa eccezione l’encefalo per-
ché qui la captazione del glucosio è fisiologicamente elevata e non è possibile distinguere tra tessuto sano
e tumorale.

Il concetto è che il cTNM ci fornisce un giudizio clinico, che però non è definitivo al 100%. Se poi si con-
fronta con la pTNM ci può essere una discrepanza di correttezza del 10-15% spesso legata alla presenza
di piccole metastasi linfonodali che non venivano viste durante gli esami strumentali (es. lesioni linfono-
dali di taglia inferiore ai 10mm).

Valutazione del T
Già per 1 cm di differenza c’è una grande differenza prognostica.
Quindi si può dire che più grosso è il T più lo stadio è avanzato, ma
non è solo la dimensione a definire il T. Un tumore T1a con N0 (stadio
IA1) rispetto ad un T1c con N0 (stadio IA3) ha una sopravvivenza a 5
anni il 15% maggiore che è tanto perché l’unica differenza è che si
tratta di tumori di pochi centimetri in più.

T1: lesioni fino a 3 cm

- T1a: < 1 cm
- T1b: 1-2 cm
- T1c: 2-3 cm

T2: tumori di 3-5 cm oppure tumori con:

- infiltrazione del bronco principale ma che non infiltrano la carena (‘’senza coinvolgere la carena’’
criterio di stadiazione fuorviante ormai decaduto)

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- infiltrazione della pleura viscerale (si vedono affiorare sulla superficie all’esplorazione chirurgica)
- associati ad atelettasia polmonare o pneumopatia ostruttiva che si estende alla regione ilare,
comprendendo una parte o tutto il polmone

Si parla di T2a se il tumore è più grande di 3 cm e minore o uguale a 4 cm o T2b se il tumore è maggiore
di 4 cm ma minore o uguale a 5 cm.

Tutte queste informazioni si riescono a ricavare dalla TC tranne quelle riguardanti il grado di infiltrazione
del bronco principale che invece si ottiene generalmente attraverso l’esecuzione della broncoscopia.
Questo dato è importante ai fini chirurgici perché nel caso del coinvolgimento del bronco bisognerà
togliere la parte del polmone a monte del bronco interessato mentre in caso di coinvolgimento lobare
basta togliere la porzione di lobo infiltrata.

T3: lesioni maggiori di 5 e minori/uguali a 7 cm oppure associate a un altro nodulo (non è una considerata
metastasi e merita intervento chirurgico) nello stesso lobo del tumore primario o a infiltrazione delle se-
guenti strutture:

- parete toracica
- nervo frenico
- pericardio parietale

T4: lesioni > 7 cm oppure associate ad uno o più noduli in un altro lobo dello stesso polmone oppure con
invasione di strutture che le rendono inoperabili o operabili con interventi molto estesi:

- Diaframma: si può considerare la resezione del polmone associata a resezione del diaframma
- Mediastino: possono essere inoperabili
- Cuore: dipende a che livello è l’infiltrazione ma possono essere inoperabili
- Vena cava superiore: in casi molto selezionati può essere sostituita
- Trachea: spesso inoperabile
- Nervo laringeo ricorrente: inoperabile
- Esofago: inoperabile
- Corpo vertebrale: indicazioni chirurgiche in alcuni casi
- Carena: indicazioni chirurgiche in alcuni casi

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Valutazione dell’N
N è un parametro che cambia tantissimo la decisione di trattamento loco-regionale. Possiamo per esem-
pio trovarci nella situazione di un piccolo tumore nel lobo superiore di destra con un linfonodo di 15mm
nella finestra aorto polmonare che capta alla PET e in questo caso dobbiamo scegliere tra operare il pa-
ziente (in maniera inutile dato che si tratta di un N3) oppure no. E’ difficile essere sicuri e per questo sarà
necessaria la biopsia chirurgica (l’endoscopista non ci arriva). Paradossalmente dobbiamo fare un inter-
vento a sinistra per sapere se possiamo operare a destra.

N0: nessuna metastasi linfonodale.

N1: metastasi linfonodali nell’ilo polmonare.

N2: metastasi mediastiniche dallo stesso lato del tumore.

N3: metastasi linfonodali mediastiniche controlaterali o nei linfonodi sovraclaveari.

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I linfonodi nel torace sono classificati in linfonodi paratracheali alti 2R/2L, paratracheali bassi 4R/4L, sot-
tocarenale 7, subaortica 5, linfonodi dell’ilo 10 (all’interno della riflessione della pleura viscerale) e parae-
sofagei 8, stazioni linfonodali lobari e interlobari (facenti parte dell’N1).

Se noi abbiamo un paziente con metastasi linfonodale da 10 in poi allora siamo in N1; se invece abbiamo
un paziente con metastasi in una delle stazioni mediastiniche il paziente è N2 se omolaterale alla sede del
tumore N3 se controlaterale. Se all’immagine radiografica questi linfonodi superano i 10mm bisogna con-
siderarli sospetti e fare la biopsia.

Valutazione dell’M
M0: non sono presenti metastasi a distanza

M1a: metastasi intratoraciche, ovvero nel lobo controlaterale oppure metastasi pleuriche o pericardiche
oppure versamento pleurico o pericardico maligno. Un versamento è maligno se dentro si evidenziano
cellule tumorali; vedere un versamento pleurico alla TC può porre il sospetto che sia maligno ma per con-
fermarlo è necessaria la citologia positiva. Sono situazioni più favorevoli rispetto alla singola metastasi
extratoracica.

M1b: una sola metastasi extratoracica. Il paziente oligo metastatico (con una sola metastasi e assenza di
metastasi linfonodale) si può ancora pensare di trattare chirurgicamente il tumore polmonare e magari
chirurgicamente o non la metastasi.

M1c: metastasi extra toraciche multiple in uno o più organi .

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Le sedi preferenziali di metastasi a distanza del carcinoma del polmone sono i surreni, il fegato , l’encefalo,
il sistema muscoloscheletrico.

Mescolando i vari parametri T, N e M si ottiene lo stadio di malattia, in base al quale si stabilisce l’indica-
zione terapeutica, che potrebbe essere la chirurgia d’emblée oppure un trattamento multidisciplinare. La
linea gialla in figura (sopra) separa le situazioni in cui la chirurgia è indicata da quelle in cui non lo è.

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1/12/2021
Chirurgia toracica – Prof. Leo
Chiara Grispi

TUMORE POLMONARE (continuazione)


La sbobina è stata fortemente integrata da slide di quest’anno e sbobine dell’anno scorso, di cui trovate le aggiunte tra parentesi.

VALUTAZIONE DELL’N
La valutazione dell’N è molto importante ai fini prognostico-terapeutici per il tumore al polmone. Andando
nel dettaglio: l’N valuta soprattutto i linfonodi mediastinici, che sono tantissimi e sono stati raggruppati in
base alla localizzazione anatomica.

Tra questi troviamo:

- Stazioni linfonodali sopraclavicolari: denominate con il numero 1 (1R e 1L)


- Stazioni linfonodali paratracheali craniali: si trovano lateralmente alla trachea e possono essere
indagati o tramite procedura endoscopica (meno invasiva) oppure con altre tecniche chirurgiche che
permettono di sfruttare lo spazio paratracheale (più invasive). Le stazioni linfonodali paratracheali
sono denominate con il numero 2 e possono essere destre (2R) o sinistre (2L).
- Stazioni linfonodali paratracheali più caudali: denominate con il numero 4 (4R e 4L)
- Stazioni linfonodali subcarenali: denominate con il numero 7, raggiungibili anch’esse tramite la via
paratracheale
- Linfonodi della finestra aorto-polmonare: ci sono solo a sinistra e sono un po’ più distanziati dalla
trachea rispetto agli altri linfonodi. Si chiamano così perché sono localizzati nello spazio tra l’arco
aortico e l’arteria polmonare sinistra, che è ricco di tessuto adiposo. Sono indicati con il numero 5.
Questa stazione è molto importante perché nello stesso spazio è presente anche il nervo ricorrente
sx1 che compie un giro intorno all’arco aortico: per questo motivo se ci sono metastasi a questo
livello, il pz potrebbe essere disfonico. Bisogna inoltre porre attenzione anche quando lo si opera,
altrimenti potrebbe svegliarsi dall’intervento con una voce flebile e se il danno è definitivo è una
funzione che non può più essere riacquisita.

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Il nervo ricorrente di destra nasce dal vago a livello cervicale e verso la laringe circondando l’arteria succlavia, quindi è
situato a destra dell’apice polmonare; a sinistra il nervo origina dal nervo vago a livello dell’arco aortico e risale da questo
fino alla laringe rimanendo maggiormente esposto al coinvolgimento da parte di lesioni toraciche.

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La decisione su come trattare i pz molto spesso dipende da queste stazioni linfonodali e quindi è importante
sapere come si diagnosticano i linfonodi patologici.

Esistono diverse tecniche di indagine, alcune più invasive, altre meno:

- Ecoendoscopia (EBUS): è la metodica più diffusa, perché non è chirurgica e quindi è meno invasiva.
È un esame che consente di visualizzare i linfonodi fino alle stazioni paratracheali; se ci sono linfonodi
visibili all’ecografia (e quindi devono avere già certe dimensioni e trovarsi in un punto obiettivabile
dall’eco) vengono punti. All’eco i linfonodi si presentano come strutture ovalari ben definite:
nell’immagine sottostante a destra è possibile evidenziare l’ago della biopsia transtracheale nel
momento in cui buca il linfonodo; con ripetuti movimenti si raccoglierà del materiale che verrà poi
analizzato su un vetrino dall’anatomopatologo, il quale come prima informazione deve esprimere un
giudizio di idoneità sul campione. Capita infatti spesso che il materiale non sia idoneo per l’elevata
concentrazione di cellule che non sono caratteristiche del linfonodo (spesso sono vetrini con molte
emazie, dovute alla perforazione dei diversi tessuti). Ovviamente la valutazione in corso d’esame
dell’anatomopatologo aumenta notevolmente la capacità dell’esame di risultare diagnostico.
Altro vantaggio dell’EBUS è quello di essere in grado di diagnosticare anche lesioni ilari: infatti,
l’ecoendoscopio è inserito fin dove riesce a passare attraverso i bronchi, per cui questo vantaggio
dipende dalla variabilità anatomica individuale (tutto dipende dal calibro delle vie aeree, se
abbastanza ampie si possono fare biopsie anche dell’ilo). Le altre tecniche chirurgiche non possono
arrivare fin qui.

Se il sospetto del linfonodo è molto forte (ad esempio capta alla PET e ha una forma tipica e dimensioni
grosse) si può passare a un’altra tecnica diagnostica, di tipo chirurgico, che è molto più invasiva:

- Mediastinoscopia2: in questo caso si otterranno veri pezzi operatori, per cui direttamente frammenti
di linfonodi: il materiale è quindi più ricco in quantità, ma esistono svantaggi legati alla tecnica
chirurgica. Bisogna, infatti, avere qualche accorgimento in più: la tecnica consiste previa piccola
cervicotomia anteriore e successiva preparazione del campo (ci si fa spazio introducendo un dito che
scolla i tessuti sopra la trachea) nell’introduzione del mediastinoscopio, uno strumento ad angolo
retto con al fondo una porzione cava che ha montata una luce fredda al fondo. Una volta entrati si
visualizzano le strutture anatomiche come la trachea stessa, l’incrocio paratracheale, vena azygos, i
linfonodi, il bronco principale destro con la carena e la doccia paracarenale. È comunque un

2
[In era pre-TC per evitare di aprire i pazienti inutilmente si facevano delle biopsie sovraclaveari e se lì c’erano metastasi
non si eseguiva la toracotomia. Il chirurgo Carles si rese conto che dalla loggia sovraclaveare si poteva arrivare fino
davanti alla trachea, infilandosi nello spazio compreso tra questa e i grossi vasi mediastinici (all’epoca era questo
l’accesso). Nasce così la mediastinoscopia, che permette di visualizzare e biopsiare i linfonodi mediastinici. Il
posizionamento del paziente sul tavolo operatorio è in decubito dorsale con un cuscino posizionato sotto le spalle, per
iperestendere il collo e tirare su tutte le strutture mediastiniche; questo rende più semplice l’accesso al mediastino
anteriore e consente di avere lo spazio per lavorare tra il mento e il giugulo.]

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intervento chirurgico, che quindi viene effettuato sotto anestesia generale e prevede una via di
accesso di 2cm circa.
Il problema principale di questo intervento è la ricca presenza di vasi, caratteristica tipica del
mediastino; per cui è importante fare attenzione a non lederne nessuno, in particolare la vena azygos
che si butta nella vena cava superiore e il tronco arterioso anonimo. Nel caso in cui vengano
danneggiati, un intervento che doveva risultare solamente diagnostico può rivelarsi molto
complesso.

A volte, però, la mediastinoscopia può non bastare. Questo succede ad esempio per i linfonodi della finestra
aorto-polmonare, per i quali a volte è prevista la

- Extended mediastinoscopy: prevede un passaggio transmediastinico. In realtà non è la prima scelta;


- Mediastinotomia anteriore: prevede un taglio intercostale

- VATS (video-toracoscopia): è mini-invasiva (basta un piccolo taglio per inserire la telecamerina). Ha


il vantaggio di poter accedere a qualsiasi stazione linfonodale (fino ai paraesofagei anche), ma lo
svantaggio di dover passare dal cavo pleurico. Questo vuol dire che nell’operazione bisogna intubare,
escludere un polmone dalla ventilazione e drenare per un po’ di tempo il polmone interessato dai
linfonodi al fine di “sgonfiarlo”. È comunque una tecnica molto valida e molto utilizzata: è infatti la
prima scelta nelle situazioni più complesse, ad esempio laddove è presente anche un versamento
pleurico (metastatico o reattivo) oltre al linfonodo. In tal caso si risolvono molti problemi con
un’unica tecnica: si drena il versamento, si biopsa il linfonodo e si biopsa anche la pleura nel caso in
cui ce ne fosse bisogno per un sospetto di metastasi.

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[La scelta della tecnica si basa sull’esperienza dell’operatore e sulla fattibilità locale. Le indicazioni a effettuare
una stadiazione con una di queste tecniche sono:

1. Il riscontro PET/TC di un linfonodo mediastinico positivo in pazienti con un tumore clinicamente


resecabile, per assicurarsi di non essere davanti a un falso positivo
2. PET/TC negativa in pazienti che sono probabilmente in stadio N2 (tumori centrali, adenocarcinoma),
per assicurarsi di non essere davanti ad un falso negativo

Domanda: Facendo la biopsia non si rischia la disseminazione delle cellule neoplastiche? Teoricamente sì,
esistono casi segnalati di disseminazione delle cellule lungo il tragitto della mediastinoscopia, ma è
un’eventualità eccezionale, quindi non si rinuncia a eseguire la biopsia per paura dell’insemenzamento.
Questo fatto è più frequente nel caso del mesotelioma, in cui è possibile che le cellule neoplastiche migrino
lungo il drenaggio utilizzato per drenare il versamento pleurico.]

Per cui partendo dall’inizio, prendendo in considerazione i sintomi di esordio, una volta trovata un’anomalia
all’imaging, si va a caratterizzare la lesione che potrà essere:

- Nodulo polmonare: si seguono le linee guida, per cui se ha grosse dimensioni si pensa a una lesione
maligna e si segue l’iter successivo, mentre se ha dimensioni piccole (<8mm) il pz entra in follow-up
e nell’algoritmo illustrato la lezione precedente
- Non un nodulo polmonare

Alla fine del percorso di diagnosi e stadiazione possiamo trovarci in quattro diverse situazioni:

1. Assenza di diagnosi definitiva. Pensiamo a un nodulo polmonare solitario in assenza di sintomi, per
cui tutte le procedure svolte non hanno permesso di arrivare a una diagnosi. È necessario informare
il paziente, ma prima dobbiamo stabilire il rischio del nodulo:
Se il rischio è basso lo sorvegliamo ed eventualmente lo togliamo in caso di crescita volumetrica.
Se il paziente è ad alto rischio e il nodulo è sospetto, anche se l’agobiopsia è risultata negativa il
sospetto rimane, quindi possiamo decidere di asportare il nodulo. In questo caso però non si opera
“per tumore”, ma “per nodulo sospetto” e il paziente deve esserne informato. Se la lesione è
periferica possiamo fare la biopsia estemporanea in corso di intervento ed eventualmente procedere
a lobectomia se viene confermata la natura oncologica del nodulo. Se la lesione è centrale si deve
fare la resezione anatomica di principio, quindi al paziente si propone l’intervento spiegandogli che
viene fatto nell’ipotesi che si tratti di una neoplasia, ma che il risultato definitivo potrà essere dato
dal patologo solo una volta ottenuto il pezzo operatorio.

2. Diagnosi di NSCLC. L’approccio dipende molto dallo stadio clinico di malattia:


Per lo stadio I o II si va alla chirurgia

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Lo stadio III richiede un trattamento multimodale, perché non c’è una risorsa terapeutica che sia
risolutiva da sola; utilizziamo chirurgia, chemioterapia, target therapy, immunoterapia e radioterapia
creando uno schema che sia il più efficace possibile. Lo stadio III è una malattia complessa da trattare
ma c’è ancora la possibilità di fare un trattamento radicale.
Per lo stadio IV, ovvero la malattia metastatica, il trattamento è per definizione sistemico e si basa
su chemioterapia, immunoterapia o target therapy. Ci sono casi selezionati di malattia
oligometastatica in cui si può intervenire chirurgicamente sul tumore primitivo e sulle metastasi ma
sono casi eccezionali, perché è più frequente avere molte sedi metastatiche.
Con l’avvento dell’immunoterapia e della target therapy probabilmente tutto questo capitolo verrà
riscritto. La RT e l’immunoterapia insieme alla target therapy cambieranno il modo di approcciarsi al
tumore polmonare, offrendo chance in più rispetto alla sola chirurgia che rimane comunque uno step
centrale nel controllo della malattia localmente, sia che sia integrata con altre strategie nella malattia
avanzata, sia che sia risorsa esclusiva nella malattia di stadio precoce.

3. Diagnosi di SCLC (microcitoma). Va considerata come una malattia non chirurgica e il trattamento
indicato è la chemioterapia o la radioterapia a seconda dello stadio. L’unica eccezione in cui si può
pensare alla chirurgia è il microcitoma in stadio iniziale, ovvero un nodulo polmonare isolato senza
metastasi linfonodali o a distanza.
Può capitare di operare un nodulo diagnosticato come NSCLC ma che poi all’esame istologico si rivela
essere uno SCLC; questi casi evolvono con metastasi linfonodali o a distanza nel primo anno di follow
up, confermando la natura a piccole cellule.

4. Diagnosi di carcinoide: il trattamento d’elezione è la chirurgia, salvo i rari casi con diffusione
metastatica. Sono tumori che possono avere localizzazioni molto particolari a livello endobronchiale
o all’origine dei bronchi lobari, per cui in questi casi la tecnica chirurgica si deve adattare e facciamo
interventi di broncoplastica.

In ogni caso tutti gli algoritmi della cura del tumore polmonare sono sempre presi in carico da un team
multidisciplinare. Un esempio emblematico della necessità di lavorare in gruppo è lo stadio IIIA: uno studio
degli anni ’90 aveva fatto emergere che i pz con mts linfonodali mediastiniche avevano una prognosi a 5 anni
del 15% circa. Per questo si decise di dividerli in due gruppi: uno avrebbe ricevuto la terapia chirurgica e
basta, l’altro invece CT neoadiuvante + chirurgia. Le curve di sopravvivenza dimostrarono che i pz che
avevano ricevuto la doppia terapia sopravvivevano il doppio rispetto agli altri. Questo studio ha radicalmente
modificato l’approccio al tumore al polmone e ha dato l’inizio alla consultazione interprofessionale
nell’ambito dell’oncologia polmonare.

Importante studiare il TNM andando a consultare le relative curve di sopravvivenza, perché ci si


rende conto di quanto sia fondamentale stadiare nel modo corretto il tumore.

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APPROCCIO CHIRURGICO DEL TUMORE DEL POLMONE
Una volta fatta diagnosi di tumore polmonare, dopo averlo stadiato (cTNM: clinical TNM è diverso dal pTNM,
possono esserci delle differenze) si decide se il pz può essere operato o meno. Per rispondere a questa
domanda bisogna affrontare due ordini di problemi:

- Aspetto tecnico-chirurgico, il tipo di tumore, quale intervento bisogna fare per toglierlo, rischio
dell’intervento, rischio di trovare qualcosa di più brutto
- Aspetti che riguardano il pz: rischio di essere operato, di essere addormentato, comorbidità
preoperatorie. È una domanda di tipo funzionale! Se gli devo togliere un polmone, potrà vivere con
un polmone solo? Bisogna interrogarsi anche sulla qualità di vita del dopo intervento e l’unico fattore
predittivo per provare a comprenderla è la qualità di vita pre-operatoria.

[Dalle sbobine 2019-2020: In altre parole si devono valutare l’operabilità del pz e la resecabilità del tumore

L’operabilità riguarda le caratteristiche del paziente, come storia clinica, comorbilità, funzione
respiratoria. Per la sua valutazione sono necessari test specifici in relazione all’intervento previsto,
perché un conto è fare una lobectomia, un conto è fare la pneumonectomia.
La resecabilità è la possibilità che un intervento chirurgico possa essere radicale (R0), ovvero che non
lasci residui né macroscopici né microscopici di malattia, e dipende dallo stadio della neoplasia. Per
lo stadio IIIA un’opzione è la chirurgia seguita da chemioterapia adiuvante ed eventuale radioterapia.
Ad esempio, nel caso di una malattia mediastinica con tumore primitivo di piccole dimensioni e solo
un linfonodo coinvolto c’è l’indicazione alla chirurgia in prima battuta (lobectomia, perché il tumore
primitivo è piccolo) e poi chemioterapia adiuvante. Se invece il coinvolgimento linfonodale è più
importante, si fa la chemioterapia (neoadiuvante) seguita da rivalutazione TC e se la malattia non è
progredita a questo punto c’è l’indicazione alla chirurgia. Ci sono anche casi in cui la resecabilità o
l’operabilità sono al limite e si spera che la chemioterapia riduca la massa rendendo resecabile una
lesione che inizialmente non lo è.
Se ci fosse uno stadio IIIA inoperabile per ragioni non legate a tumore, si potrebbero utilizzare
chemioterapia e radioterapia a dosi tali da ottenere un effetto curativo. L’efficacia di chemioterapia
e radioterapia dipende dal volume da irradiare e dall’estensione di malattia. In alcune situazioni, dopo
la chemio-radioterapia si può pensare di aggiungere l’immunoterapia.
La gestione del tumore a piccole cellule prevede chemio-radioterapia per la malattia limitata e
chemioterapia per la malattia diffusa. Non c’è opzione di trattamento chirurgico, salvo le eccezioni
già citate.]

Bisogna quindi sempre bilanciare rischi e benefici.


Per meglio definire l’aspetto “operabilità del pz” bisogna prendere in considerazione molti fattori:

- Aspetto generale: età + storia passata (apr) + terapie. Ovviamente ci sono zone grigie nella quale è
più difficile prendere decisioni. Bisogna poi andare a calcolare tramite l’ASA score il rischio
anestesiologico.
- Aspetto respiratorio: la funzionalità pre-operatoria di un pz con tumore al polmone spesso è già
compromessa al 50% (perché la maggior parte sono fumatori). Per questo sono utili le prove di
funzionalità respiratoria come la spirometria (FEV1) e la diffusione alveolo-capillare del monossido
di carbonio (Dlco) che devono essere effettuate entrambe, non si può prescindere da una o dall’altra.
- Aspetto cardiologico: è fondamentale perché con l’intervento chirurgico c’è il rischio di slatentizzare
patologie che prima erano silenti. Si valutano quindi: pressione polmonare + frazione di eiezione +
malattie ischemiche (a volte vengono posizionati gli stent cardiaci prima dell’intervento per k
polmone, così che il pz arrivi all’operazione in sicurezza).

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- Aspetto chirurgico: dipende dall’estensione dell’intervento (lobectomia vs pneumectomia). Come si
fa a sapere se la situazione respiratoria del pz è compatibile con l’intervento?
Innanzitutto bisogna considerare che la perfusione polmonare dx è maggiore di quella sx (55% contro
un 45%). Ammettendo di partire da una FEV1= 100% pre-operatoria (molto difficile), se dobbiamo
procedere con una pneumectomia dx la FEV1 post operatoria cadrà a 45% (Ppo FEV1= FEV1
predictive post-operative). Il criterio dell’inoperabilità per quanto riguarda la chirurgia toracica è una
PpoFEV1= 30%, al di sotto del quale il pz quindi non viene operato.
Essendo il polmone più perfuso, è anche il polmone dominante, per cui se bisogna fare una
pneumectomia dx diventa più problematico rispetto a una sx. In alcuni casi, comunque, queste
percentuali pre-operatorie possono cambiare ed è il motivo per cui viene richiesta una scintigrafia
polmonare: bisogna capire qual è la ripartizione della perfusione. Se poi un pz ha già subito un
intervento chirurgico al polmone precedentemente, allora è ancora più importante avere un quadro
della situazione attuale.
Tanto più quindi il FEV1 preoperatorio è basso, tanto più è necessaria la valutazione del rischio
funzionale:
In prima linea viene quindi effettuata una spirometria
Dopodichè è necessaria una scintigrafia polmonare
In ultimo il test da sforzo cardiorespiratorio
Se però il paziente dovesse essere sottoposto a una lobectomia3? Considerando polmone dx +
polmone sx = 19 segmenti totali (lobo sup dx 3 segmenti; lobo medio dx 2 segmenti; lobo inf dx 5
segmenti = 10 a dx VS lobo sup sx 3 segmenti; lingula 1 segmento + un altro; lobo inf sx 4 segmenti,
più piccolo del dx perché lo spazio è occupato dal sacco pericardico). In base quindi al lobo interessato
si andrà a perdere una funzione respiratoria differente: se venisse asportato il lobo superiore dx,
andranno asportati i 3/19 della FEV1 iniziale, per cui se FEV1= 100% allora PpoFEV1= 100% - 3/19=
84%.

Ovviamente il problema si pone soprattutto quando la FEV1 di partenza è già bassa, ma in qualunque
caso non si può escludere il pz dall’operazione sulla base di un solo esame: non basta una sola
spirometria o una sola Dlco (per la quale si fa lo stesso discorso della FEV1). Questo perché potrebbe
essere che in quella spirometria il pz abbia soffiato male oppure ad esempio abbia smesso di fumare
da poco tempo: in tal caso bisogna aspettare perché l’esame migliori; infatti il pz può recuperare
parte di quella funzionalità persa. Detto ciò, bisogna anche pensare che se il pz parte da una FEV1

3
[Il polmone destro è suddiviso in tre lobi, separati tra loro da scissure, il sinistro in due lobi. All'interno dei lobi ci
sono i segmenti. Il lobo ha una sua pleura viscerale, mentre il segmento no (è più difficile trovare il suo piano di
separazione dagli altri segmenti).]

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bassa i rischi sono notevoli e molteplici: basti pensare al fatto che un pz, dopo un’operazione, può
comunque contrarre una polmonite o farsi numerose atelettasie post-operatorie.
È proprio qui la difficoltà della valutazione pre-operatoria.

[Dalle sbobine dell’anno scorso: parlando invece di resecabilità bisogna tenere conto del rischio di resezione
di altre strutture non polmonari: a destra il tumore può infiltrare le vene polmonari ed entrare nel cuore, nella
vena cava superiore, nel nervo frenico (paralisi frenica), nella pleura parietale, nelle coste e nel diaframma. I
tumori dell’apice (di Pancoast) danno osteolisi della prima costa, infiltrazione dell’ultima radice del plesso
brachiale e crescendo possono infiltrare anche la vena e l’arteria succlavia. La resecabilità dipende anche dal
tipo di intervento che pensiamo di fare, sapendo che l’obiettivo è la radicalità oncologica, ovvero evitare la
resezione con residuo di malattia, la quale ha un beneficio di prognosi molto limitato rispetto al rischio
dell’intervento. Bisogna valutare se c’è bisogno di resezioni estese, ovvero di altre strutture oltre al polmone
(es. parete toracica che è stata invasa per contiguità, non è una controindicazione alla resecabilità ma durante
l’intervento si asporta un pezzo di parete toracica con sufficiente margine sano e allo stesso tempo
asportazione del lobo, insieme). Ci sono anche gli aspetti tecnici intraoperatori: se il paziente ha
un’infiltrazione molto vicina alla carena tracheale si rischia che l’asportazione completa del polmone non sia
sufficiente. Un’opzione possibile è la resezione di carena, che però comporta artifici tecnici e la collaborazione
di altri specialisti, che va anticipata.

Rischio di toracotomia esplorativa: c’è sempre il rischio di toracotomia esplorativa, ovvero di aprire il torace
e trovare una situazione che non permette di togliere il tumore, ad esempio con metastasi sulla pleura
parietale, che rende l’intervento inutile. In tal caso si chiude tutto senza effettuare resezione polmonare.

Bisogna avere bene in mente prima di operare quale sarà l’intervento più opportuno e il rischio di dover
effettuare procedure addizionali (es. vena cava superiore, deve essere clampata e deve essere inserita una
protesi, ma l’anestesista deve saperlo per bypassare il clampaggio).]

VIE DI ACCESSO
La chirurgia toracica ha la problematica di dover accedere all’interno della gabbia toracica e per fare ciò è
necessario aprire lo spazio intercostale e posizionare un divaricatore che consenta di avere un accesso un po’
più largo. Divaricare le coste vuol dire premere sui nervi intercostali che generano moltissimo dolore: per
questo motivo il pz deve essere trattato con una terapia analgesica efficace sia durante che nel post
operatorio, perché avvertire dolore significa non respirare bene e di conseguenza la mobilizzazione diviene
molto più difficoltosa, portando così probabilmente ad altre complicanze.
Perciò la prima vera rivoluzione è stata proprio la variazione nella modalità di accesso che dalla toracotomia
postero-laterale (grossa incisione a S italica che comincia nel punto di mezzo tra la colonna vertebrale e la
scapola, gira sotto la punta della scapola e termina all’altezza del quinto spazio intercostale, sezionando 4
muscoli differenti: gran dorsale e trapezio sul piano superficiale e dentato e romboide su quello profondo),
in cui sicuramente si vedeva tutto molto bene ma era molto invasiva, si è passati a una toracotomia laterale.

- Toracotomia laterale: è l’accesso standard nella chirurgia open. L’incisione non viene più eseguita
nella regione posteriore del pz, ma lateralmente. Con questo tipo di accesso non viene lesionato

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nessun muscolo, poiché si seguono le fibre del solo muscolo gran dentato, senza sezionarle.
Sicuramente la visione è molto più ristretta perché il taglio è nettamente più piccolo, ma viene
rispettata in maniera molto maggiore l’anatomia del pz che ne gioverà nel post operatorio.
- VATS: video-toracoscopia. Si entra nel cavo pleurico facendo 4 incisioni, attraverso cui si introducono
il videotoracoscopio (strumento con la telecamera e la luce montata sopra) + 3 strumenti utili
all’operazione. Esiste anche l’accesso unico chiamato “uniportale” che consiste in un'unica incisione
di 3-4 cm da cui si introducono gli strumenti.
- Robotica: ricorda tantissimo la VATS, ma gli strumenti sono collegati a un robot che viene manovrato
a distanza dal chirurgo. È vantaggiosa poiché si guadagna in precisione e movimento all’interno della
gabbia toracica. Ancora oggi è aperto il dibattito su quale sia la tecnica migliore, ma per ora non vi è
una risposta univoca: entrambe le tecniche mininvasive sono certificate ed efficaci, l’unica risposta
giusta è quella che prende in considerazione l’esperienza del chirurgo.

TIPI DI RESEZIONE
La chirurgia toracica è una disciplina relativamente nuova poiché bisognava risolvere il problema di operare
un polmone mentre il pz dormiva, creando uno pneumotorace da un lato e con una ventilazione meccanica
che introduceva aria dentro entrambi i polmoni. Ci sono voluti anni per riuscire a escludere un polmone dalla
ventilazione e a far respirare solamente l’altro. Il primo intervento per patologia oncologica venne effettuato
dal chirurgo toracico Evarts Graham, che nel 1933 operò di pneumonectomia per cancro polmonare un
ginecologo che fu il primo paziente di questo tipo a sopravvivere per più di 25 anni. Paradossalmente il
chirurgo, che fu tra i primi a denunciare l’associazione cancro-fumo (che venne assodata solo negli ’60, poiché
prima c’era un grandissimo interesse da parte delle compagnie di tabacco a sviare l’attenzione), morì prima
del paziente, proprio di cancro di polmone. All’epoca non c’era la TC che è stata inventata negli anni ’80: i pz
si studiavano con la lastra del torace, la stratigrafia, la broncoscopia rigida e dopodiché si andava sul letto
operatorio.

Togliere un polmone è un intervento grosso: nella parte mediana dell’immagine a sx sottostante si riconosce
la scissura di un polmone sx, antracotico, di un fumatore, interessata da una lesione che infiltra per metà il
lobo superiore e per metà il lobo inferiore.

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[Nell’immagine di destra, invece, si osserva quello che rimane, ovvero un cavo pleurico vuoto. Si vedono il
pericardio, il diaframma, la cava superiore lungo la quale scorre il frenico, la vena azigos, la colonna
vertebrale, l’esofago, il bronco principale destro tagliato e suturato, i monconi vascolari arterioso e venoso. Il
cavo progressivamente si riempie di liquido fino ad essere completamente pieno nei primi 5-7 giorni del post-
operatorio. Non è da svuotare, perché nel tempo il liquido è progressivamente riassorbito e nel corso dei mesi
la cavità si restringe con uno spostamento progressivo del mediastino dal lato della pneumonectomia e
un’espansione vicariante parziale del polmone rimasto.] Una delle complicanze precoci (se il chirurgo non
sutura bene) o tardive (se il bronco non cicatrizza bene) più frequenti è la fistola bronchiale, ovvero la
riapertura del bronco all’interno della cavità pleurica vuota rimanente. Un tempo questa complicanza si
presentava nel 15-20% delle pneumectomie, mentre oggigiorno i numeri sono diminuiti molto.

Questo intervento è gravato da una certa morbilità, soprattutto se insorgono complicanze nel polmone
rimasto. Ad oggi la mortalità per pneumonectomia si attesta intorno al 5%.

Negli anni si è capito che l’intervento di scelta poteva essere la lobectomia, con risparmio parenchimale,
garantendo una radicalità oncologica, isolando e sezionando nell’ordine la vena, l’arteria e il bronco (il bronco
di solito si isola per ultimo perché è più profondo). Il vantaggio è che si lasciano uno o due lobi residui, quindi
la cavità non si riempie di liquido, ma il lobo che rimane progressivamente aumenta di volume e occupa lo
spazio vuoto. La gestione post-operatoria è anche più semplice e la mortalità si aggira attorno l’1%.

Esistono situazioni nelle quali il tumore è piccolo e situato in posizioni tali da poter pensare di togliere solo
un segmento e procedere quindi alla segmentectomia. Ad esempio, un piccolo nodulo polmonare posizionato
sulla punta superiore del segmento apicale del lobo superiore destro: in queste situazioni con una buona
radicalità oncologica si può resecare un solo segmento preservando molto più parenchima. Questo sempre
con la certezza di fare un intervento oncologicamente corretto. [Se il nodulo invece di essere sulla punta,
lontano dal punto di sezione, è vicino al punto di resezione allora non è più una resezione sicura.]

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[C’è una discussione complessa riguardo alla distanza adeguata del margine di resezione rispetto alla lesione
tumorale, che è resa ancora più complessa dalle lesioni sub-solide rispetto alle solide perché si considera che
per le sub-solide basti un margine inferiore.] La segmentectomia è fattibile nei casi in cui sia oncologicamente
accettabile. Non è accettabile invece per il tumore polmonare fare una resezione atipica (ovvero togliere solo
il nodulo polmonare e basta): questo perché si è visto che le recidive locali sono 5-6 volte superiori rispetto
a una segmentectomia/lobectomia/pneumectomia. La resezione atipica è un intervento solo marginale per
il tumore polmonare: è una tecnica elettiva solo nel caso di metastasi polmonari. [È considerata accettabile
soltanto nei pazienti con una ridotta riserva funzionale e per i quali questa è la sola opzione ragionevole in
termini di rischio/beneficio]. Quindi: se il tumore polmonare è primitivo si fa una dissezione anatomica; se
invece è secondario si può eseguire una resezione atipica.

[Dalle sbobine vecchie: se la lesione è di 3-5 cm e a cavallo tra due lobi, sono entrambi da togliere (bi-
lobectomia superiore destra, a sinistra è una pneumonectomia completa). Se a destra sono infiltrate
entrambe le scissure, l’intervento è l’asportazione totale del polmone.]

RESEZIONE LINFONODALE
Aspetto molto importante è che durante l’intervento si tolgano anche i linfonodi. Se facciamo la lobectomia
senza togliere i linfonodi avremo una stadiazione sul T ma l’N sarà X perché non si saprà se i linfonodi sono
coinvolti o meno. I linfonodi sono il principale marcatore prognostico nei malati resecati chirurgicamente.

Ci sono due filosofie di resezione dei linfonodi:

- Campionamento linfonodale (1 linfonodo): non più accettabile, è troppo rischioso


- Dissezione sistematica delle logge linfonodali: ad esempio si toglie tutto il tessuto grasso della loggia
paratracheale destra (4R e 2R) dentro la quale ci sono i linfonodi, che quindi non vengono visualizzati
direttamente dal chirurgo, ma starà all’anatomopatologo analizzarli. Quest’ultimo è il solo modo per
avere una stadiazione completa perché togliendone solo uno non saremo mai sicuri che in quelli che
abbiamo lasciato non ci siano metastasi. Quindi dal punto di vista stadiativo questo è l’intervento
preferito e più corretto.

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[Il peso della pneumonectomia è ovviamente nettamente maggiore alla lobectomia. Questo perché è
maggiore la mortalità post-operatoria, che andrebbe analizzata a tre mesi dall’intervento perché è lì che il
vero impatto si fa sentire. Nella lobectomia la mortalità in un paziente non particolarmente a rischio è intorno
all’1%.]

COMPLICANZE POST OPERATORIE


Nella maggior parte dei casi si incontrano complicanze post-operatorie minori, poco impattanti per il pz:

Air leak: perdita aerea, dalle zone suturate si perde aria, che obbliga a mantenere il tubo di drenaggio
toracico per più tempo (più di 5 giorni) fino a che non sia risolta, mentre se si toglie troppo presto c’è
il rischio di uno scollamento polmonare con pneumotorace. Ha un’incidenza del 10-15% ed è molto
maggiore nei pazienti con enfisema perché il tessuto polmonare è fragile e più difficile da suturare.
Fibrillazione atriale: soprattutto dopo pneumonectomia. È una fibrillazione che può essere
asintomatica e quindi riscontrabile soltanto dal medico sentendo il polso o con ECG, o
moderatamente sintomatica con sensazione di mancanza di fiato. Generalmente rientrano da sole in
ritmo sinusale dopo 24-48h di trattamento (con Cordarone ad esempio) e quindi non rappresentano
un particolare problema. Insorgono perché si deve clampare la vena polmonare che insiste
direttamente sull’atrio: la sua chiusura potrebbe quindi scatenare circuiti di rientro e quindi la FA.
Questa teoria è supportata dal fatto che più la sutura viene eseguita vicino all’atrio, più c’è rischio di
insorgenza di FA. Bisogna fare attenzione soprattutto agli anziani o a chi in apr ha una storia di FA o
ancora a chi presenta disionie come iper/ipokaliemia.
Nel post-operatorio, proprio per questa complicanza, i pz sono monitorati almeno per le prime 24h
(48h se non convince troppo). Il problema è che non è detto che il pz fibrilli in quelle 24h e dall’altro
lato bisogna mobilizzarli il prima possibile per favorire la guarigione: tenerli a monitor non aiuta alla
ripresa. È comunque raro che la fibrillazione atriale insorga dopo 5gg: solitamente entro i 4gg si ha
un episodio, ma appunto è importante favorire la ripresa generale, considerando che la FA rientra
quasi sempre con la terapia farmacologica (c’è un dibattito tra cardiologi i quali consigliano di
rallentare solo la FC e poi scoagulare e i chirurghi i quali sostengono che scoagulare precocemente il
pz nel post operatorio sia un problema e tendono quindi a cardiovertire farmacologicamente). È
comunque fondamentale prendere sempre il polso e nel dubbio eseguire un ECG.
Se la FA rientra subito e avviene nel post-operatorio, non è necessario nessun approfondimento,
perché appunto si presume sia stata innescata dall’operazione; se invece è una FA che recidiva, che
è difficile da trattare o altre situazioni un po’ limite, allora sarebbe meglio seguirlo nel tempo con ad
esempio l’apposizione di un Holter.
Atelettasia: capita soprattutto se il dolore del paziente non è ben controllato e se si tratta di pazienti
che non hanno smesso di fumare da almeno 3-4 settimane prima dell’intervento. Il paziente ha
dolore e tende a non tossire. Nel post-operatorio si può verificare un accumulo di secrezioni
bronchiali (soprattutto appunto nel fumatore cronico che smette di colpo prima dell’intervento) che
se non tossisce ristagnano nel polmone e possono generare tappi di muco che bloccano la
ventilazione della porzione di polmone a valle, soprattutto in quei segmenti il cui albero bronchiale
rimane parzialmente distorto dopo la lobectomia. Il lobo classico che va incontro ad atelettasia è il
lobo medio dopo lobectomia superiore destra, visto che il suo asse, già obliquo, è spostato verso
l’alto con tendenza a piegarsi. Un trattamento efficace, oltre al controllo del dolore, possono essere
i farmaci mucolitici.
Discomfort toracico: sensazione di fastidio, ipoestesia, irradiata alla zona mammaria. Si risolve
spontaneamente in qualche settimana-mese. Non ha trattamenti specifici, neanche gli antidolorifici
sono efficaci. È importante differenziare il dolore toracico che deve essere trattato da questo dolore
neurogeno che è conseguenza delle procedure di accesso nello spazio intercostale.

Le complicanze maggiori, sono rare e sono:

27
Insufficienza respiratoria: non è frequente, ma quando succede il paziente ha bisogno di intubazione
e ventilazione meccanica per almeno tre settimane e ha una mortalità elevata. Una delle cause
scatenanti può essere la polmonite (anche da piccolo focolaio) in pazienti che hanno atelettasie
ripetute, ma anche PNX lievi, ipertensioni lievi, ecc... È una grande difficoltà perché la meccanica
respiratoria e funzionale sono alterate, per cui qualsiasi problema che in un non-operato è risolvibile
facilmente, nell’operato compromette molto la salute e la qualità di vita.
Polmonite
Fistola bronchiale: rara, dopo entrambi gli interventi si sutura il bronco, che è formato da un anello
cartilagineo e da una pars membranacea posteriormente. La sutura a livello cartilagineo può riaprirsi,
perché la cartilagine non ha tendenza a cicatrizzare. È un problema maggiore sia perché l’aria può
passare dentro il cavo pleurico e infettarlo, sia perché dentro il cavo pleurico c’è del liquido infetto
che passa dalla fistola e provoca un’insufficienza respiratoria da inalazione sul polmone. Sono casi
complessi da trattare perché alle volte la fistola si può riparare di prima intenzione riaprendo il
paziente e suturandola di nuovo, ma se la fistola è tardiva non ci sono tante opzioni di riparazione
immediata. Per questo motivo a volte si esegue una toracostomia, ovvero un’apertura permanente
(di qualche mese) nel torace che convoglia il liquido in eccesso che si forma, in modo tale da non
infettare tutto il sito.
Emorragie: da considerare soprattutto per pazienti in trattamenti anticoagulanti/antiaggreganti in
corso che vengono ripresi poco dopo la chirurgia.

I TUMORI NEUROENDOCRINI
In qualche istologia dei tumori del polmone esistono caratteristiche comuni. Ad esempio, prendendo in
considerazione la grande famiglia dei tumori neuroendocrini del polmone, riscontriamo che come
caratteristica comune hanno la presenza delle cellule di Kulchitsky, cellule NE che solitamente si trovano nella
mucosa bronchiale (alcuni pensano siano le cellule d’origine dei tumori NE)4. Spesso il patologo vede
caratteristiche istologiche e di crescita molto simili (come la crescita trabecolare, a rosette, a palizzata,
l’organizzazione in nest, ecc…), ma nella clinica vi è una patologia totalmente differente. La difficoltà, quindi,
è che sono classificati insieme per le loro caratteristiche morfologiche e una possibile origine comune, ma da
un punto di vista pratico sono dei tumori che sono molto diversi tra loro: possono infatti andare dall’innocuo
tumorlet neuroendocrino5 (piccole isolette di cellule NE atipiche) a forme molto più gravi come lo SCLC.

4
Non tutti sono d’accordo, perché in realtà esistono delle differenze tra le categorie di tumori NE che potrebbero far
pensare a due linee di sviluppo diverso. Per esempio, il carcinoide tipico potrebbe essere un’evoluzione dell’iperplasia
a cellule NE, non è legato al fumo e lo si vede in malattie come la MEN, al contrario delle altre forme.
5
Dalle linee guida AIOM 2015: i tumorlet neuroendocrini misurano convenzionalmente meno di 5 mm di diametro, non
mostrano mitosi o necrosi e hanno un basso Ki-67 LI, ma possono essere evidenti all’esame TAC come noduli polmonari
multipli subcentimetrici. L’attenta valutazione istologica può fornire utili informazioni a decidere se multipli noduli

28
Tra i tumori NE del polmone troviamo:

- [Iperplasia diffusa idiopatica delle cellule neuroendocrine: è un riscontro occasionale, dove le cellule
iperplastiche rimangono comunque di piccola taglia. Secondo alcuni potrebbe essere il punto di
nascita del carcinoide tipico.]
- Carcinoidi tipici: guariscono con l’intervento, hanno un grado di differenziazione basso [misurando il
Ki-67, antigene nucleare espresso in tutte le fasi del ciclo cellulare tranne in G0, abbiamo il 2%,
massimo il 5%; mitosi <2 per campo] e colpiscono soprattutto i giovani non fumatori, con
un’incidenza simile tra maschi e femmine. Sono da riconoscere in presenza di sintomi respiratori
strani e inspiegabili in pazienti giovani.
- Carcinoidi atipici: presentano un decorso clinico più aggressivo, con dimensioni generalmente
superiori ai 3 cm di diametro e riscontro di coinvolgimento linfonodale nel 40% dei casi. Le metastasi
a distanza sono presenti nel 20% dei casi. La sopravvivenza a 5 anni è pari al 60%. La chirurgia
rappresenta comunque il trattamento di elezione. Solitamente colpiscono più gli anziani rispetto ai
giovani e hanno una correlazione con il fumo. Hanno un grado di differenziazione intermedio [Ki-67:
dal 5% al 20% + mitosi comprese tra 2 e 10 + necrosi].
- Tumore NE a grandi cellule: è un tumore di alto grado, infatti la prognosi a 5 anni non è brillante. [Ki-
67: sopra il 20%, fino anche a 40-50%]. Correla con l’esposizione al fumo di sigaretta.
- SCLC: microcitoma. [Ki-67: sopra il 60%; cellule più piccole di 3 linfociti]. Correla con l’esposizione al
fumo.

[Ricordiamoci che si tratta di cellule neuroendocrine, che quindi al microscopio hanno granuli secretori ed
esprimono markers tipici, come la cromogranina A, l’enolasi neurospecifica NSE, la sinaptofisina,
CD56/NCAM.]

all’interno del polmone siano espressione di metastatizzazione intrapolmonare o multicentricità, poiché il riscontro di
tali lesioni favorisce la diagnosi di carcinoide multicentrico. Sono delle isole di tessuto tumorale.

29
Dalle slide:
La classificazione è basata soltanto sulle caratteristiche morfologiche incluse le citologiche, sull’attività
mitotica e sulla necrosi. Questa classificazione correla con l’outcome, mentre la classificazione rispetto al Ki-
67 non ha un ruolo classificativo nei tumori NE resecati. Può avere un ruolo però nell’istologico di tumori non
resecati per distinguere i carcinoidi dai tumori ad alto grado, soprattutto nelle biopsie piccole o nei citologici
ed è associato al rischio di recidiva post-chirurgica nei carcinoidi tipici e atipici.
I carcinoidi polmonari/bronchiali sono > 25% di tutti i carcinoidi e 1-3% delle neoplasie polmonari, sono 80-
90% tipici e 10-20% atipici e situati in sede centrale per l’85% (bronchi principali, lobari, segmentari). L’età
media è inferiore rispetto al carcinoma bronchiale (- 20 anni circa). Negli atipici il fumo di sigaretta è presente
in > 80% dei casi e il sesso maschile ha una prevalenza doppia rispetto al femminile (2:1).
I segni/sintomi sono da ostruzione bronchiale: tosse, respirazione rumorosa, asma, emoftoe, infezioni
ricorrenti. Esiste un ritardo diagnostico perché i pazienti asintomatici sono ≥ 25 - 30%.

[SINDROMI PARANEOPLASTICHE DEI CARCINOIDI

Sono rare, ma esistono e sono legate solitamente alla iperproduzione neuroendocrina, ad esempio di
serotonina, che sarebbe responsabile della sindrome da carcinoide. Per quello che riguarda i carcinoidi
polmonari, che sono in un tessuto ricco di monoamino oassidasi è un problema di frequenza limitata, così
come lo è il Cushing. Flushing/diarrea sono riportati nello 0.7% dei casi all’esordio, nel 2-5% nel decorso
successivo. Sono associati a carcinodi atipici nel 5-10% dei casi, a metastasi al fegato per il 90%. In questi casi
si dosa un catabolita urinario che è la serotonina 5-HIAA. La sindrome Cushing si ha nell’1-6% dei casi per
produzione ectopica di ACTH. Alcune volte le sindromi paraneoplastiche sono legate alla MEN1.]

INQUADRAMENTO CLINICO DEI CARCINOIDI


Partendo da un caso clinico: si è di fronte a un nodulo polmonare rotondo, a margini regolari, di dimensioni
un po’ grandi, ma non troppo (1,5cm). Il sospetto diagnostico che si ha possono essere due: carcinoide o
amartoma? Per risolvere il dubbio si esegue una PET, che però spesso nel carcinoide tipico soprattutto può
risultare negativa (a volte anche nell’atipico). Il problema è che con l’amartoma, si può non ricoverare,
essendo una lesione totalmente benigna, mentre con il carcinoide è bene ricoverare e operare.

Spesso le lesioni carcinoidi sono lesioni centrali, soprattutto endobronchiali e solo più raramente
centroparenchimali. Per questo motivo si può andare a vedere la clinica del pz; ci sono alcune caratteristiche
che sono da correlare al dato imaging e sono:
- Giovane età: <40 anni
- Emoftoe

30
- Asma: poiché spesso sono endobronchiali. Si confonde molto con la tosse cronica da carcinoide.

Nell’immagine a lato si può vedere l’aspetto radiografico di


un carcinoide in una ragazza di 26 anni che presentava
emoftoe: sede centrale (nel 60-85% dei casi), nodulo/massa
a limiti distinti, margini netti, a sede ilare/peri-ilare che può
avere possibili alterazioni parenchimali (atelettasia,
polmonite ostruttiva, polmonite recidivante, ristagno di
secrezioni – mucus plugging). Le metastasi linfonodali/a
distanza sono presenti nel ≤ 15% dei casi (fegato, scheletro,
surreni, encefalo).

A volte i carcinoidi tipici sia alla TC che all’AP presentano


calcificazioni all’interno.

Sono più comuni nelle donne giovani con sintomatologia


compatibile con una lesione endobronchiale, che blocca una
via aerea maggiore -> di conseguenza a valle spesso si forma
un’atelettasia e un’infezione con polmoniti recidivanti. Alla TC
è stata confermata la diagnosi di carcinoide che occupava il
bronco.

Nell’immagine a dx si osserva un altro carcinoide più


periferico, ovalare e ben demarcato (al contrario del
non neuroendocrino che è spiculato). Alla radiografia si
può anche non notare niente mentre con la TC si
osserva la zona polmonare non ventilata a valle
dell’ostruzione. I lobi atelettasici, dopo che è stata
riassorbita l’aria rimasta, rimpiccioliscono.

In casi più rari, per un meccanismo a valvola, il polmone può fare air trapping, ossia fa passare l’aria ma non
la lascia uscire. Si ha quindi un aspetto iperlucente del polmone con la lesione.

Si possono anche osservare tappi mucosi a valle della lesione poiché le secrezioni non riescono a scaricarsi.

[La particolarità dei tumori NE è che possono essere indagati con scintigrafie che vanno a identificare dei
recettori espressi solo da loro, come l’Octreoscan, con un analogo radiomarcato con somatostatina (111 In-
pentetreotide). Questo ormai non ha una specificità soddisfacente e quindi è caduto in disuso. La scintigrafia
d’elezione a oggi è quella al Gallio (68 Ga-DOTA-TOC analogo radiomarcato della somatostatina (68 Ga-
edotreotide)) con migliore risoluzione spaziale ed elevata sensibilità diagnostica per il carcinoide tipico, che
invece è negativo alla PET (18-FDG). L’utilizzo della PET nei tumori NE e soprattutto nei carcinoidi è
controverso, perché la maggior parte dei tumori carcinoidi dimostra di possedere una ridotta capacità di
accumulo del tracciante perché sono lesioni a basso indice proliferativo (anche se molti carcinoidi atipici
captano); è ancora dubbia la sua utilità nella ricerca di mts a distanza.

31
Gli esami di stadiazione sono gli stessi del tumore polmonare non NE, cioè TC e broncoscopia (si osserva una
vegetazione endobronchiale a superficie liscia, non ulcerata, e colorito roseo). L’agobiopsia transparietale si
utilizza se la lesione è periferica.

La difficoltà sta nella diagnosi differenziale a volte, se la quantità di tessuto non è ampia, tra i carcinoidi e le
forme più ad alto grado.]

Alla broncoscopia si vede un carcinoide centrale:


spesso se sono centrali possono farci pensare di
essere solo una lesione che aggetta nel lume
bronchiale, ed è la ragione per la quale alcuni
endoscopisti hanno sviluppato tecniche di
trattamento puramente endobronchiale del
carcinoide, cioè con un’ansa ne vanno a tagliare la
base d’impianto e a ritirare la massa senza operare il
paziente. Questo si può fare soltanto in casi
selezionati. Il problema è la base d’impianto, infatti si
tratta di un tumore con alta tendenza alla recidiva,
quindi se non viene resecato del tutto dalla zona
residua può recidivare, di solito dalla periferia al
centro. Per questo è più facile se la lesione è ben peduncolata.

Per il carcinoide quindi sono da tenere a mente aspetti importanti:

- Può anche manifestarsi come un nodulo polmonare periferico ma più spesso è centrale, dove dà
sintomi specifici legati all’ostruzione.
- La terapia dei carcinoidi tipici e atipici è chirurgica, cioè l’exeresi anatomica del polmone +
linfadenectomia, che è tanto più importante quanto più siamo sul versante del carcinoide atipico,
che ha una probabilità di metastasi linfonodali superiore.
La sopravvivenza per carcinoidi tipici è > 90% a 5 e 10 anni senza mts linfonodali; con mts linfonodali loco-
regionali 90% a 5 anni e 75% a 10 anni. Per i carcinoidi atipici è ≥ 70% a 5 anni e ≥ 50% a 10 anni e con mts ai
linfonodi loco-regionali 55% a 5 anni e 45% a 10 anni.

A volte per cercare di salvare una parte di polmone perché ad esempio la lesione si trova a cavallo tra due
bronchi lobari (arrivando perciò al bronco principale) e quindi l’indicazione sarebbe la pneumectomia, si è
obbligati ad effettuare procedure di broncoplastica. La tecnica consiste nella sezione del bronco principale a
monte del tumore, sezione del bronco intermedio a valle del tumore e rimozione del solo lobo insieme al
manicotto bronchiale. Successivamente la via aerea viene ricostruita facendo un’anastomosi tra il bronco
principale e il bronco intermedio.

Per quanto riguarda le forme ad alto grado (a grandi cellule e microcitoma), questi sono molto aggressivi. Il
carcinoma NE a grandi cellule, se la stadiazione lo permette, è ancora chirurgico, mentre il microcitoma per
definizione non è una malattia chirurgica ma sistemica (perché la velocità di replicazione è troppo elevata).

Dalle slide:
I tumori NE a grandi cellule sono più comuni nella settima-ottava decade, nel sesso maschile e nei fumatori.
Sono rare le sindromi paraneoplastiche. La prognosi è scadente e la sopravvivenza a 5 anni è 15-55%.
Il microcitoma ha soprattutto sede centrale (bronco principale/lobare 90-95%) con massa ilare e
linfoadenopatia mediastinica. Possono dare dispnea, tosse, emoftoe, polmonite post-ostruttiva, disfagia,
disfonia, sindrome cavale, lesioni ripetitive extratoraciche all’esordio e sindromi paraneoplastiche. La

32
malattia è estesa all’esordio clinico nel 60-70% dei casi. È molto sensibile alla chemioterapia e radioterapia
iniziale, ma la maggior parte dei pazienti muore di recidiva. Prognosi scadente.
Per la malattia limitata la sopravvivenza mediana è 18-24 mesi e a 5 anni 20-25%. Per la malattia estesa la
mediana è 9-10 mesi e a 2 anni < 10%.
Per lo stadio I (che si riscontra in meno del 5% dei casi) si può effettuare exeresi dopo accurata valutazione,
con chemioterapia adiuvante basata sui composti del platino. La biologia è talmente aggressiva da renderli
inoperabili, tuttavia ci sono delle eccezioni: i noduli polmonari isolati senza linfonodi che sono stati operati
senza diagnosi, quindi si è effettuata lobectomia e all’esame istologico definitivo si è scoperto essere
microcitoma, hanno una sopravvivenza migliore rispetto al microcitoma standard. Va considerato però che
siamo in situazioni molto particolari, con caratteristiche che si presentano in meno del 5% dei microcitomi.
Se sono confinati al torace si chiamano microcitomi limited e si sottopongono a chemioterapia e radioterapia,
mentre se le metastasi sono anche a distanza sono candidati alla chemioterapia sistemica.

LE METASTASI POLMONARI
Nel caso in cui il pz abbia una storia personale di tumore e si trova un nodulo polmonare, bisogna pensare e
tenere presente che quella potrebbe essere una mts, poiché infatti il polmone è un organo frequentemente
colpito da metastatizzazione. Le metastasi possono anche essere isolate: ad esempio un paziente che ha
subito una colectomia per un cancro e alla TC di oggi del torace si trova un nodulo di 1cm, questa potrebbe
essere una metastasi isolata oppure un tumore primitivo polmonare.

[Comunque sia il nodulo polmonare in un paziente che ha avuto patologia neoplastica recente deve entrare
in diagnosi differenziale con la metastasi polmonare. Questo discorso si affina a seconda dei tipi istologici del
tumore primitivo; la malattia metastatica polmonare, comunque, è manifestazione di malattia sistemica,
poiché la via di diffusione principale delle metastasi è ematogena e il polmone è un filtro, dove arrivano le
cellule metastatiche che superano la barriera alveolo capillare. Molte di queste muoiono, ma alcune riescono
a proliferare e generare le metastasi. Le mts linfonodali, invece, arrivano soprattutto dalla mammella, che dà
linfangite neoplastica. Il sarcoma come prima sede elettiva di metastasi ha il polmone, ma quasi tutti i tipi di
tumore possono dare metastasi polmonare.]

Le metastasi si operano? Se la malattia metastatica è limitata (quindi non miliariforme!) e se il tumore


primitivo è trattato in maniera completa, può essere candidata a trattamento loco-regionale, con
sopravvivenza a distanza accettabile. Questi, purtroppo, sono casi isolati.

Il problema in questa situazione è che non esiste ad oggi uno studio randomizzato che comprenda pazienti
con questo tipo di caratteristiche favorevoli che metta a confronto un trattamento loco-regionale con uno
sistemico (questo perché poco etico). Quindi la nostra selezione di questi casi speciali potrebbe avere una
sopravvivenza maggiore semplicemente perché il tumore è meno aggressivo e non per il tipo di trattamento.

La diffusione metastatica probabilmente segue la perfusione polmonare, che è maggiore nei campi inferiori:
questo teoricamente giustifica il fatto che ci siano più metastasi nei campi inferiori. Sono genericamente poco
sintomatiche, a meno che non siano o endobronchiali o in rari casi se derivano da sarcomi possono dare
pneumotorace perché possono andare incontro a necrosi.

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DIAGNOSI MTS POLMONARI
La diagnosi è radiologica e spesso da riscontro radiografico occasionale,
proprio perché in <5% dei casi danno sintomi (dispnea, dolore toracico,
tosse, emoftoe). Ovviamente in una storia tumorale già nota è più
semplice capire che sono mts, così come anche se i noduli sono multipli;
più difficile è il discorso, invece, se il nodulo è il primo riscontro.

Quali sono i tumori che danno mts polmonari? Praticamente tutti. Ciò
che cambia è la prognosi, che va in base al tumore primitivo:

- Le metastasi polmonari da tumore a cellule germinali sono quelle


a prognosi migliore
- A prognosi intermedia sono le metastasi da carcinoma e sarcoma
- A prognosi peggiore quelle da melanoma.
- Esiste poi un problema specifico quando compare una lesione
isolata in pazienti con antecedente tumore ORL, perché può
essere complesso differenziare tra tumore primitivo e metastasi
(spesso è tumore primitivo).

Alla Rx torace standard le mts si presentano come lesione nodulare unica


oppure multiple a forma rotondeggiante con margini ben definiti e
solitamente a sede periferica.

STADIAZIONE E TERAPIA
Nella sottocategoria a prognosi più favorevole, in cui si immagina un trattamento loco-regionale, la
stadiazione preoperatoria deve essere estremamente accurata perché altrimenti si perde il senso
dell’intervento. Prerequisiti dell’exeresi chirurgica sono:

- Neoplasia primitiva controllata (controllabile)


- Lesioni metastatiche solo a carico del polmone
- Sede
- Dimensioni
- Numero: non è un numero assoluto, dipende anche dalla sede e dalle dimensioni
- Exeresi chirurgica radicale con resezione polmonare atipica/anatomica
- Riserva funzionale respiratoria adeguata (prove di funzionalità respiratoria, Dlco, test da sforzo
cardio-polmonare, ecocardiografia): la valutazione funzionale è estremamente importante perché
possono esserci noduli multipli e quindi multiple resezioni atipiche, con impatto funzionale uguale o
superiore a quello di una lobectomia.
- Efficacia della terapia extra-chirurgica (chemio e/o radioterapia)

Bisogna comunque domandarsi se sia necessario un trattamento chemioterapico adiuvante o neoadiuvante.


[Ovviamente più è grande e centrale la metastasi, più la tecnica di resezione atipica con risparmio
parenchimale è difficile da effettuare, così come è difficile che si possa effettuare un approccio chirurgico in
situazioni dove ci sono così tante lesioni nodulari che si diffondono in entrambi i polmoni. Esistono casi di
lesioni con centro cavitario per un effetto di necrosi, forme endobronchiali (più spesso dati da carcinoma
renale, ma rare) con sanguinamento, ostruzione e un aspetto tipicamente nerastro delle metastasi da
melanoma. In questi casi può essere necessario disostruire per permettere la ventilazione del polmone.

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Le vie di accesso per exeresi metastatica sono: toracotomia monolaterale, toracotomia bilaterale in unica
seduta, toracotomia bilaterale in sedute distinte, sternotomia mediana, sternotomia trasversale (clamshell
incision), VATS – videoassisted thoracic surgery.

L’indicazione chirurgica esiste anche nel caso di metastasi bilaterali, che pone il problema della via d’accesso.
Generalmente si fanno due toracotomie a distanza di 4 settimane una dall’altra perché la sternotomia è
subottimale per le lesioni poste in basso e posteriormente e due toracotomie nella stessa seduta operatoria
sono troppo impegnative per il paziente.]

Esistono altri tipi di trattamento in alternativa alla chirurgia, come la chemioterapia (CT), la radioterapia
stereotassica (SBRT) e la radiofrequenza (RFA). Il vantaggio della chirurgia è la possibilità di palpare
fisicamente il polmone, cercare tutte le metastasi e toglierle. Con gli altri approcci invece si trattano solo le
lesioni visibili alla TC (sappiamo che soprattutto nel sarcoma la precisione anche della TC spirale non è il
100%). Se la FEV1 di partenza è bassa ovviamente non si effettuerà una resezione chirurgica, ma si opterà
per trattamenti diversi, come ad esempio appunto la stereotassi. Questo sempre nell’ottica del bilancio
rischi-benefici, per quanto la chirurgia rimanga il gold standard per la radicalità (“il ragionamento è: chirurgia
fino a prova contraria”).

Si possono anche effettuare terapie sequenziali, ad esempio una chirurgia di prima battuta e in caso di
recidiva centrale o non operabile stereotassi o ablazione con radiofrequenze.

PROGNOSI
Per una prognosi migliore le caratteristiche più importanti sono:

- Istologia del tumore primitivo


- Numero delle metastasi: quanto più elevato è il numero di mts polmonari identificate dalla TC tanto
più elevato è il rischio di micrometastasi polmonari o extrapolmonari, oppure che le metastasi
polmonari si rivelino non suscettibili di exeresi chirurgica completa.
- Disease-free interval, ovvero il tempo che passa tra il tumore primitivo e la comparsa delle metastasi,
favorevole se superiore a 36 mesi.
- Radicalità delle resezione
- Assenza di mts linfonodali (es tumore al colon dà spesso mts linfonodali e infatti ha prognosi
peggiore)

Altri potenziali fattori prognostici sono l’età, il sesso del paziente, il grado di differenziazione, la sede, lo stadio
della neoplasia primitiva, se sono molteplici se sono mono o bilaterali, sincrone o metacrone e il numero di
mts riscontrate realmente all’intervento.

VIDEO MOSTRATI A LEZIONE


Il professore mostra una serie di video a lezione. Purtroppo i link di quest’anno non è possibile recuperarli;
di seguito quelli delle sbobine dell’anno scorso con una breve descrizione di uno di questi.

Videomediastinoscopia: https://www.youtube.com/watch?v=xO1prj788DI&feature=youtu.be

Cervical mediastinoscopy: https://www.youtube.com/watch?v=C9k39BEYlnQ

VATS: https://www.youtube.com/watch?v=UoIuP89sguM

EBUS: https://www.youtube.com/watch?v=86ArmoLT1oA
Intervento in robotica: https://www.youtube.com/watch?v=n85q2ix1C_Q Titolo: Robotic-Assisted Left
Upper Lobectomy in Non-Small Cell Lung Cancer With N1 Disease

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Descrizione:
È sezionato il legamento polmonare, che è il raddoppiamento della pleura viscerale che attacca la parte
inferiore del polmone al mediastino posteriore. Sono estratti i linfonodi sotto l’arteria polmonare. Il linfonodo
appare grigiastro e non sempre dall’aspetto macroscopico si capisce se sia metastatico o meno. È inserito in
un dito di guanto prima di essere estratto per evitare di insemenzare il tramite del trocar nel caso fosse
metastatico. Si tolgono in maniera completa tutti i linfonodi che si trovano.
Si vede la scissura dove si identifica l’arteria polmonare, si isola e si seziona con una suturatrice meccanica
(Endo GIA) robotica passando nello stesso tempo tre linee di punti per lato e tagliando con una lama tra le
due file.
Si vede poi la doppia arteria lingulare, dietro la quale c’è sempre un linfonodo.
Si passa un laccio per separare i due lobi e si usa una suturatrice meccanica come prima ma con punti più
spessi.
Nel lobo superiore si separa il piano posteriore, dove corre l’arteria polmonare, dal piano venoso.
Anche sulla vena polmonare superiore si effettua la stessa sutura con laccio e suturatrice. Si appone poi anche
del materiale emostatico per migliorare l’emostasi.

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3/12/2021
Chirurgia Toracica – Prof. Leo
Sbobinatore: Alice morello
Revisionatore: Elisa Catale

TRAUMI TORACICI
Introduzione
I traumi del torace hanno una caratteristica particolare, condivisa da tutta la traumatologia, ovvero di
richiedere un approccio più elastico rispetto all’impostazione classica dei problemi clinici. La traumatologia
non è come un romanzo, in cui si hanno tutti gli elementi per capire come andrà finire la storia. La difficoltà
nei traumi e in particolare nei traumi toracici è che spesso sia ha solo l’incipit e bisogna prendere una
decisione tempestiva; mentre altre volte la situazione è ragionevolmente più tranquilla e si può fare il
percorso solito, ossi decidere qual è il percorso diagnostico del paziente per poi decidere il trattamento.
La difficoltà quindi della traumatologia è che talvolta ci sono situazioni cliniche che impongono una decisione
immediata, senza avere nessun elemento diagnostico al di là del ragionamento clinico del medico.

Definizione
Il trauma è una lesione prodotta da un qualsiasi agente con azione improvvisa, rapida e violenta.
I traumi del torace sono un’evenienza frequente in cui bisogna pensare e agire in fretta: questo perché i
pazienti si possono presentare con quadri di gravità tali per cui l’intervento tempestivo del medico può
consistere in un intervento salvavita.
I traumi sono caratterizzati da azione improvvisa e rapida che si esplicita in un lasso di tempo ridotto; quindi,
si parla di un evento acuto.
I traumi del torace si suddividono in due categorie:
• Chiusi: eventi traumatici che riguardano il torace ma non contemplano l’apertura dello spazio
pleurico. Impattano sul torace non generando una soluzione di continuità della parete toracica, ma
si ripercuotono sulla struttura ossea/osteomuscolare (rigida), per cui la prima fase di assorbimento
dell’energia del trauma è a carico della parete toracica che cede e trasmette l’energia residua agli
organi contigui, quali polmone e mediastino.
Esempi: incidenti stradali, cadute, traumi da schiacciamento. Una decelerazione può non
determinare una apertura della parete toracica, ma si possono verificare lesioni destruenti
all’interno, come rottura dell’istmo dell’aorta toracica.

• Aperti: associati a una soluzione di continuità della parete toracica.


Esempi: arma da taglio, arma da fuoco, impalamenti (caduta su corpi acuminati).

Prima di entrare nell’ambito delle singole patologie, bisogna considerare che nei traumi del torace vengono
comprese una serie di patologie con sintomi specifici, un percorso clinico definito, ma purtroppo i pazienti
non arrivano con la diagnosi scritta in fronte. Inoltre, più è grave il trauma più bisogna basarsi sul proprio
ragionamento. Ci sono infatti due o tre quadri clinici che possono determinare la morte del paziente
sull’ambulanza oppure sul lettino del pronto soccorso, queste situazioni ovviamente devono essere
identificate perché potrebbero richiedere una decisione immediata.

Esempio: Immaginate un importante trauma toracico chiuso, che arriva intubato con un enfisema
sottocutaneo, emodinamicamente instabile (50 di pressione) che sta per arrestarsi. Si potrebbe fare

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un’ecografia transtoracica che può dare delle informazioni sul torace, ma l’aria artefatta interferirà con la
possibilità di ottenerle. In questo paziente bisogna solo basarsi sul ragionamento, gli unici dati a disposizione
sono che ha avuto un trauma toracico e ha un enfisema sottocutaneo.
L’enfisema sottocutaneo può essere estremamente impressionante dal punto di vista dell’esame obiettivo
del paziente, che può gonfiarsi fino al punto di non riuscire nemmeno ad aprire gli occhi rendendo difficile
anche la valutazione dello stato di coscienza. Bisogna quindi collegare il fatto che il paziente è
emodinamicamente instabile con il fatto che ha dell’aria al livello sottocutaneo e pensare cosa potrebbe
uccidere il paziente, ad esempio uno pneumotorace iperteso.
In questo paziente non si ha modo di diagnosticare il PNX né ecograficamente né talvolta radiologicamente1.
Questo paziente deve essere drenato soltanto sul sospetto clinico che possa avere uno pneumotorace
iperteso, che potrebbe anche non avere, ma lo si mette in sicurezza per prevenire un arresto cardiaco. Inoltre,
se avesse un arresto con PNX iperteso, più il paziente viene massaggiato più si aumenta lo pneumotorace e
meno il cuore potrà ripartire.
Questa è una situazione nella quale la presa di decisione deve essere clinica; quindi, se non si ragiona sugli
elementi di fisiopatologia e si aspetta di portarlo a far una TC (se il paziente fosse stabile potrebbe farla) e
solo dopo si porta il paziente in chirurgia, si rischia di perdere troppo tempo, tempo che il paziente non ha
perché nel frattempo continua ad essere instabile emodinamicamente.
Take home message: laddove vi sia un paziente instabile dal punto di vista emodinamico, si è obbligati a
ragionare sulla base della fisiopatologia e su cosa si può fare per poterlo stabilizzare.

Esempio 2: immaginatevi un tentativo anticonservativo, un individuo che si pianta una coltellata in regione
parasternale sinistra. Dietro la regione parasternale a sinistra, si trova l’aia cardiaca, questo paziente rischia
quindi di essersi causato una lacerazione del cuore.
Se il paziente arriva emodinamicamente stabile, si può chiedere un eco-cardio e una TC.
Se invece il paziente fosse emodinamicamente instabile (arriva in PS e fa un arresto), in questo caso ci si trova
in una condizione estrema, in cui ci si deve basare solo sul ragionamento clinico. L’unico gesto salvavita per
il paziente è quello di fare una toracotomia antero-laterale direttamente in PS, per aprire il pericardio perché
probabilmente ha un tamponamento acuto. Se il cuore è perforato e c’è un sanguinamento pericardico, con
l’incremento della pressione intrapericardica si crea un ostacolo maggiore al ritorno venoso e il paziente va
in arresto. Più il paziente viene massaggiato, più sangue si porta dal cuore al pericardio e meno il cuore
riuscirà a ripartire.
Queste condizioni hanno inoltre un’alta mortalità e non è detto che il gesto terapeutico (drenaggio,
toracotomia) salvi la vita al paziente.

Molto spesso il motivo per cui i pazienti, soprattutto i politraumatizzati, muoiono durante il trasporto o
appena arrivati in ospedale è la presenza di pneumotoraci bilaterali, il gesto del drenaggio li avrebbe salvati
ma sono situazioni talmente complesse con pazienti che hanno conseguenze devastanti su tutti i distretti (es.
paziente defenestrato dal settimo piano). Nella difficoltà della presa in carico è possibile che la sequenza
delle azioni cliniche fatte può non essere quella ideale.
Un altro aspetto fondamentale dei traumi sono i traumi poli distrettuali, nella clinica spesso non si
incontrano pazienti solo con traumi del torace, ma pazienti defenestrati o che hanno ricevuto diverse
coltellate o colpi di pistola, e quindi fare distinzione tra una patologia traumatologica toracica esclusiva o una
patologia poli distrettuale può non essere così semplice.

1
È difficile vedere le linee del polmone su radiografie fatte in PS; inoltre, queste lastre vengono fatte da paziente sdraiato, l’aria
distribuendosi verso l’alto rende difficile vedere un PNX. Lo pneumotorace viene visto molto meglio da paziente in piedi.

38
In un paziente defenestrato chiaramente sarà più semplice distinguerle, perché avrà diverse fratture; più
complesso, ad esempio, è capire che tragitto ha fatto il colpo di pistola. In armi a bassa potenza il tragitto di
proiettili può venire deviato dalle strutture rigide della parete toracica; quindi, si potrebbe avere un foro di
entrata nella parete anteriore del torace ma il proiettile potrebbe aver fatto il giro della costa ed essere
trovato a livello della scapola. Diverso è quando si parla delle armi da guerra, la loro potenza è tale per cui i
proiettili riescono a slabbrare tutti i tessuti che incontrano. Le ferite da armi da guerra sono completamente
diverse dalle ferite che possono essere osservate a Torino.

Questo discorso introduttivo generale ha come obbiettivo di far ragionare su quali sono le sindromi toraciche
più frequenti in caso di traumatologica toracica. Si hanno quindi alcuni problemi di massima, che possono
avere cause diverse, e sono:
o Pneumotorace: iperteso o no, monolaterale o bilaterale;
o Emotorace: presenza di sangue nella cavità pleurica, può essere mono o bilaterale, minimo o
abbondante;
o Tamponamento cardiaco
o Instabilità emodinamica
o Insufficienza respiratoria
Dal punto di vista logico, l’instabilità emodinamica e/o insufficienza respiratoria sono problematiche che si
posizionano davanti alle altre e possono o meno essere causate dalla presenza di PNX, emotorace o
tamponamento cardiaco.
Ad esempio, un paziente con insufficienza respiratoria può averla perché ha uno pneumotorace, ma anche
per altre ragioni come una contusione polmonare a seguito di un trauma ad alta energia.
I traumi ad alta energia causano lesioni della parete toracica, ma immediatamente dopo l’energia si trasmette
al polmone e quindi un paziente che abbia un’ampia superficie contusiva ad alta energia può avere una
contusione polmonare maggiore. Il problema della contusione è direttamente proporzionale all’area di
impatto e alla violenza del trauma, inoltre c’è una certa correlazione tra il numero di coste rotte e la
probabilità di avere una contusione polmonare.

[Dalle sbobine 2020-2021: I pazienti con trauma toracico possono arrivare al pronto soccorso instabili
emodinamicamente: quindi, se è vero che la maggior parte dei pazienti muore prima di giungere al PS, i
pazienti che riescono a raggiungere il PS si distinguono in pazienti:
o emodinamicamente stabili
o emodinamicamente instabili

39
Le situazioni di instabilità̀ emodinamica vanno corrette molto velocemente per stabilizzare il pz e cercare di
salvarlo.
Nel trattare i pazienti in pronto soccorso, bisogna farsi essenzialmente 3 domande, per stabilire la causa di
instabilità emodinamica: pneumotorace, emotorace e tamponamento cardiaco. Alcune situazioni di
instabilità emodinamica, se gravi, ma corrette rapidamente, possono risolversi e salvare la vita al paziente.]

PNEUMOTORACE POST-TRAUMATICO
Pneumotorace significa “presenza di aria tra i due foglietti pleurici o cavo pleurico”. Lo pneumotorace può
essere:
- monolaterale o bilaterale
- iperteso o no

Fisiopatologia
Il problema fisiopatologico è che il polmone dentro il cavo
pleurico è completamente espanso perché dentro c’è una
pressione negativa2, se non c’è questa pressione il polmone
si disaccoppia dalla parete toracica e collassa. Lo PNX riduce
notevolmente l’efficienza di funzionamento del polmone,
con uno stesso gradiente pressorio si ha meno volume nel
polmone o per avere lo stesso volume corrente bisogna fare
uno sforzo respiratorio nettamente più ampio.

Eziologia
Dalle slide: Lo pneumotorace può essere associato ad altre lesioni, fratture costali e/o emotorace (20% dei
casi) di entità variabile. È dovuto al baro-trauma che causa rottura alveolare o a perforazione da parte di una
o più coste fratturate. Bisogna sempre posizionare un drenaggio pleurico anche se è uno pneumotorace di
entità moderata.
[Dalle sbobine 2020-2021: Può essere causato da una lacerazione del polmone (per esempio, frattura costale
con meccanismo a coltello che lede il parenchima polmonare), per cui l’aria deriva dal parenchima polmonare,
oppure da una ferita penetrante che mette in comunicazione l’aria esterna (p atmosferica) con il cavo pleurico
(p negativa) per cui a causa della differenza di pressione l’aria esterna passa al cavo pleurico e le due pressioni
si equilibrano causando un collasso del polmone].

Pneumotorace iperteso
È dovuto ad un meccanismo a valvola, tale per cui l’aria continua ad accumularsi senza fuoriuscire con
conseguente spostamento del mediastino, che comprimerà le strutture circostanti, come la vena cava
inferiore. Il paziente presenta:
o Dispnea
o Turgore giugulare dovuto a sbandieramento mediastinico con stiramento della VCS
o Cianosi (a volte)
o MV assente
o La percussione dell’emitorace interessato evoca suono timpanico.
L’Rx del torace non è indispensabile. È necessario detendere subito il cavo pleurico con un grosso ago, lo
pneumotorace diviene così aperto e normoteso e subito dopo posizionare un drenaggio pleurico.

2 La normale pressione intrapleurica è in media pari a -5cmH2O.

40
Trattamento
Il trattamento dello pneumotorace consiste nel drenaggio dell’aria, ovviamente questo drenaggio deve
mettere il paziente in sicurezza.
Quando nelle prossime lezioni verrà trattato il PNX spontaneo, si vedrà che prima di drenare l’aria ci sono
diverse possibilità, ad esempio:
o se non ci fosse moltissima aria si potrebbe anche decidere di non drenare il paziente perché l’aria nel
cavo pleurico, per una questione di tensione dei gas, progressivamente si riassorbe e quindi il PNX si
riassorbe spontaneamente più o meno alla velocità dell’1-2% al giorno e il polmone riuscirà a
riventilarsi;
o Si può decidere di fare una piccola toracentesi evacuativa per permettere all’aria di venire fuori dal
cavo pleurico e permettere al polmone di espandersi.
Queste strategie nello pneumotorace post-traumatico non vanno bene, sono adatte al PNX spontaneo.
Nello pneumotorace post-traumatico o si ha una piccola falda che si può decidere di non drenare, ma se un
paziente ha un PNX iperteso con insufficienza respiratoria, lo pneumotorace va drenato con un drenaggio
adeguato, ossia con un drenaggio di taglia sufficiente da garantire che l’aria che esce dal polmone possa
essere drenata in maniera completa dal sistema di drenaggio. Un secondo aspetto importante è che il
drenaggio di uno pneumotorace post-traumatico può non essere così semplice.
Esempio: immaginatevi un paziente corpulento con un
voluminoso enfisema sottocutaneo, solo la distanza tra
superficie cutanea del paziente e lo spazio intercostale è
di 15 cm, bisogna quindi superare lo spazio intercostale e
fare entrare il drenaggio nel torace del paziente,
altrimenti non evacuerà mai l’aria dal cavo pleurico.
Bisogna quindi effettuare un gesto di una certa
complessità con condizioni anatomiche sfavorevoli ed è
questo il motivo per cui, soprattutto in un paziente
traumatizzato, si deve mettere il drenaggio toracico nelle
zone di sicurezza.
Se si pensa all’anatomia del torace il limite inferiore del torace è dato dalla cupola diaframmatica, che non è
un piano, ma essendo una cupola arriva all’altezza del VI spazio intercostale anteriormente, ma si porta verso
il basso posteriormente. Quindi se si posiziona un drenaggio toracico sulla parete laterale del torace troppo
in basso a livello del VI-VII spazio, il drenaggio passa prima nella cavità addominale. Il punto di sicurezza dove
mettere il drenaggio è il IV-V spazio intercostale sulla linea ascellare media.
Inoltre, bisogna considerare che nei forti traumatismi se si ha anche una lesione diaframmatica associata,
non è detto che il diaframma sia talmente rialzato da creare dei problemi nel posizionamento del drenaggio
nella sede corretta.

EMOTORACE POST-TRAUMATICO
L’emotorace è una raccolta di sangue nel cavo pleurico.
Esempio: immaginate un paziente con instabilità emodinamica, facendo una lastra non si evidenzia uno
pneumotorace, ma ha un torace completamente bianco a destra, questo è un emotorace massivo.
Se il paziente è instabile emodinamicamente, sta sanguinando, bisognerebbe portarlo in sala operatoria e
non c’è tempo di fare alcun altro accertamento, perché il rischio che si arresti e muoia nel frattempo è molto
alto. L’anestesista cercherà di ristabilire un circolo il più possibile adeguato, ma non è detto né che ci riesca
né che ci sia il tempo per farlo. Ci potrebbe essere infatti una lacerazione di un grosso vaso con una portata
molto elevata e quanto più si trasfonde il paziente tanto più sangue perderà dal polmone, dall’aorta o

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dall’arteria polmonare lacerata. Queste non sono situazioni così frequenti, perché un paziente con
lacerazione della cava o dell’aorta difficilmente arriva vivo in pronto soccorso. Può però capitare che la
lesione non sia così importante e che il paziente riesca a sopravvivere fino in ospedale, a questo punto il
passaggio più corretto per poterlo salvare è portarlo immediatamente in sala operatoria.
Chiaramente ci sono diverse problematiche come scegliere dove e come aprirlo e non sempre si hanno tutte
le risposte prima di intervenire chirurgicamente. Riguardo alla domanda “Dove aprirlo?”, se l’emotorace è da
un lato (es. emotorace massivo dx) bisogna fare la toracotomia da quello stesso lato.

Indicazioni toracotomia d’urgenza


Quali sono le indicazioni a fare una toracotomia?

1. Drenaggio drena più di 1500 ml/h inziali o più di 250ml/h per 4 h


Ammettiamo che un paziente sia stabile e si decide di drenarlo, le domande da porsi sono:
• quanto sangue c’è?
• sta ancora sanguinando?
Il risultato del drenaggio è: una quota di sangue accumulato + una perdita oraria.
Se si mette il drenaggio e vengono fuori più di 1500 cc di sangue, questa rappresenta un’indicazione ad
operare il paziente. In un paziente stabile, infatti, non c’è l’emergenza di effettuare una toracotomia, ma
ci deve essere un’indicazione a fare un’esplorazione chirurgica.
L’indicazione ad effettuare una esplorazione chirurgica deve essere valutata nei singoli casi.
Esempio: immaginate un paziente di 90 anni, scoagulato, che si è fatto un emotorace cadendo dalla vasca
da bagno e si è rotto tre coste. Se ponendo un drenaggio, fuoriescono 2 litri, ma alla lastra dopo il
drenaggio il polmone si è completamente riespanso, non ci sono coaguli residui nella cavità e non c’è una
perdita ematica persistente a quel punto non è necessario fare l’esplorazione chirurgica.
Se invece continua ad esserci una perdita persistente, 250 ml all’ora per 4 ore, il paziente non può essere
mantenuto in osservazione per molto tempo, si può tollerare questo tipo di perdita per l’osservazione di
qualche ora, ma se la perdita non smette bisogna portarlo in sala operatoria.

2. Emotorace che residua nonostante il drenaggio


Si è posto un drenaggio ed è uscito un po' di sangue, ma alla lastra si osserva ancora la presenza di sangue,
questo vuol dire che il sangue che è dentro probabilmente si è già coagulato.
Talvolta quando si apre il torace spesso vengono estratti coaguli di sangue; quindi, o si ha la fortuna di
avere un emotorace con una sangue completamente liquido ma se si è coagulato, i coaguli non riescono
ad uscire dal drenaggio. In presenza di coaguli o non esce niente o esce solo la componente liquida
residua. Quindi, un’altra indicazione chirurgica è la presenza di un emotorace già organizzato nel cavo
pleurico.

3. Tamponamento cardiaco
4. Difetti della parete toracica con compromissione ventilatoria:
Un’altra causa possibile di insufficienza respiratoria sono traumi che vedono la presenza di più sedi
frattura lungo almeno due linee di frattura. Se si hanno due linee di frattura che desolidarizzano una
parte di parete toracica dal resto, si ha il volet costale.

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Si ha quindi una parte di torace che può funzionare in maniera paradossa, cioè quando il paziente inspira
il volet viene attratto verso l’interno del cavo pleurico e quando il paziente espira, il volet viene espulso
verso l’esterno del torace (https://www.youtube.com/watch?v=0pNmJ-_Bw70 ). Si crea un movimento
paradosso che rende estremamente inefficacie la dinamica respiratoria e il paziente potrebbe andare in
insufficienza respiratoria.
Due opzioni per trattare questo problema:
- Nessun intervento chirurgico: se un
paziente ha un’insufficienza
respiratoria tale da dover essere
intubato, ventilato, il problema del
respiro paradosso viene risolto
perché in pratica il paziente viene
intubato e ventilato con una
pressione positiva e dopo circa due
o tre settimane il volet costale si
stabilizza da solo, non è necessario
fare un intervento chirurgico;

- Sintesi del volet: se il volet costale è la causa stessa dell’insufficienza respiratoria, a quel punto
bisogna sintetizzare il volet costale, bloccando le linee di frattura da entrambi i lati.

5. Presenza di una massiva perdita d’aria con espansione polmonare incompleta


Questa rappresenta un’altra indicazione all’esplorazione chirurgica.
Esempio: in un paziente viene posizionato un drenaggio per lo pneumotorace iperteso e da questo
drenaggio si ha una perdita aerea enorme.
Se si ha una perdita aerea massiva, si deve sospettare:
o lacerazione polmonare importante
o lacerazione tracheo-bronchiale.
Ci sono dei traumi ad alta energia che arrivano a rompere il bronco principale o il bronco lobare all’interno
del cavo pleurico. Situazioni come queste non sono così facili da sospettare, ma una volta che si ha il
sospetto di una rottura bronchiale, la diagnosi si effettua facilmente con una broncoscopia.
Spesso nei pazienti con PNX ci si limita a posizionare il drenaggio, ma se non si sospetta che alla base vi
possa essere una rottura bronchiale, intorno al bronco si formerà una reazione infiammatoria che non lo
renderà più a tenuta aera, ma lo renderà più difficile da riparare. È infatti molto più semplice riparare
una rottura bronchiale, non appena questa si realizza, piuttosto che ripararla a distanza di tempo.
Lo stesso discorso vale anche per il volet costale o per fratture costali disassate che hanno un’indicazione
chirurgica, un conto è ripararle subito, un altro intervenire dopo una settimana, perché laddove c’è il
focolaio di frattura il polmone ci si accolla. Quando quindi si interviene sulla costa dopo una settimana,
bisogna come prima cosa scollare il polmone che si è adeso, rompere il callo osseo e riallineare infine i
frammenti di frattura. In sintesi, sono interventi che è più semplice fare precocemente che tardivamente.

6. Lesione dei grossi vasi con instabilità emodinamica

ESPLORAZIONE DEL CAVO PLEURICO IN URGENZA


Nell’immagine sottostante si può osservare il cavo pleurico, con le coste visibili e i muscoli intercostali, si può
osservare sia il lobo superiore sia il lobo inferiore del polmone e la presenza di sangue, che indica la presenza
di un emotorace.
L’esplorazione del cavo pleurico viene effettuata con una procedura mininvasiva, VATS (Video assisted
thoracoscopic surgery), che consiste in una telecamera che produce l’immagine visualizzata a destra, inserita

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tramite un orifizio di pochi centimetri di lunghezza, e in una seconda
apertura per gli strumenti, come un aspiratore endoscopico (visibile
nell’immagine) che aspira il sangue.
In presenza di un emotorace è importante andare ad esplorare e nella
maggior parte dei casi non si trovano grandi aree di fonti emorragiche.
Infatti, l’emotorace è spesso la risultanza di un sanguinamento diffuso
nato da lesioni dello spazio intercostale, quando quindi si esplora lo
spazio pleurico non si troveranno sanguinamenti maggiori. Basterà
aspirare bene l’emotorace, con la telecamera si osserveranno i vasi, il
focolaio di frattura e se non si osserva un sanguinamento in atto si drena
solo il sangue con l’aspiratore e si pone un drenaggio.

Invece, quando c’è un emotorace bilaterale e non si sa cosa sia successo, è necessario esplorare il torace con
una procedura molto invasiva, che consiste nell’apertura contemporanea bilaterale dei due cavi pleurici e
dello sterno, sterno-toracotomia secondo Clamshell.
Nell’immagine sottostante, si può osservare il cavo pleurico di destra con il polmone che presenta una grossa
ferita di arma da fuoco, il cavo pleurico sinistro e il pericardio aperto. Se si ha un emotorace bilaterale con
una ferita con entrata da una parte e uscita dall’altra e il paziente è instabile emodinamicamente, bisogna
avere un accesso che consenta il massimo della versatilità, che permetta di operare su un eventuale problema
del polmone o della cava o clampare l’aorta discendente se il paziente diventa ipoteso.
È sicuramente una procedura molto invasiva, perché è una doppia toracotomia anterolaterale con una
sternotomia trasversa. Il divaricatore permette di mantenere una buona visione sul campo operatorio.
Non è una situazione frequente, perché pazienti con questa condizione clinica è molto più probabile che
muoiano durante il traporto prima che arrivino in sala operatoria. Se arrivano vivi in sala, vuol dire che hanno
una chance e l’unico modo per fargliela giocare nel miglior modo è quello di scegliere la procedura adeguata.
Ad esempio, in un paziente con ferita di arma da fuoco sul polmone (come nell’immagine) la VATS non
sarebbe adeguata, mentre la sterno-toracotomia permette al chirurgo di avere entrambi le mani nel cavo
pleurico, con un altro operatore che può aiutare ad aspirare correttamente, mettere dei clamp e fare gesti
di emostasi che possono essere salvavita.

TAMPONAMENTO CARDIACO
Il tamponamento cardiaco consiste nella raccolta di sangue nel sacco pericardico.
Esempio: immaginate che un paziente faccia un arresto cardiaco in PS, bisogna sospettare che ci sia un
tamponamento cardiaco.

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Anche in questo caso ci potrebbe essere un’indicazione ad uno gesto specifico, ossia la toracotomia
d’emergenza antero-laterale sinistra. Se si sospetta che il problema sia un tamponamento cardiaco bisogna
aprire il pericardio ed è molto più semplice farlo a sinistra che a destra, per diversi motivi:
1. Essendo il cuore posizionato più a sinistra, anche il tamponamento risulta più importante a sinistra.
Inoltre, quando si apre il pericardio in una condizione in cui dentro c’è sangue è difficile vedere bene.
2. Un’altra ragione per cui la toracotomia si fa dal lato sinistro è che in pazienti in stato di shock
maggiore una manovra che permette di aumentare un po' la pressione è fare un clampaggio
dell’aorta discendente. Si decide quindi di sacrificare il circolo distale per recuperare un po' di
pressione sul circolo dei tronchi epiaortici, che portano il sangue al cervello.

La toracotomia d’emergenza non viene fatta in sala operatoria ma nella stanza di shockaggio del PS, deve
essere una procedura condivisa con l’equipe perché è un gesto un po' scioccante, consiste nel:
o Apertura con un bisturi dello spazio intercostale
o Apertura del pericardio
o Drenaggio del sangue
o Massaggio cardiaco
o Eventuale clampaggio dell’ilo polmonare --> in caso di
sanguinamento massivo da lacerazione polmonare
o Clampaggio dell’aorta discendente in modo tale da
aumentare la pressione a monte del clampaggio.
[Dalle sbobine 2021-2021: una possibile complicanza è
l’ischemia midollare da mancata perfusione
dell’arteria spinale anteriore].

In traumatologia l’equipe è composta da persone che sono abituate a lavorare insieme, in queste situazioni
non si ha il tempo di fare arrivare il materiale dalla sala operatoria, ma si usa quello a disposizione nel pronto
soccorso. Il personale deve essere formato sulla procedura e conoscerne il razionale. È un lavoro di
sincronizzazione e di confronto costante con l’equipe, la procedura deve essere concordata così come
l’indicazione.
La toracotomia d’emergenza non ha alcun senso eseguirla su un paziente che ha già fatto 5 arresti che sono
magari stati massaggiati per un’ora, questa procedura ha senso nella misura in cui il paziente arriva vivo in
PS e fa il suo primo arresto, la toracotomia rappresenta l’unica azione salvavita.

Sopravvivenza
Se un paziente ha un trauma toracico chiuso e ha fatto un arresto la chance di sopravvivenza è del 5%, è
bassissima perché il trauma toracico chiuso per poter causare un tamponamento cardiaco deve essere un
trauma di una tale energia che ha sicuramente delle lesioni maggiori associate.
Mentre nel trauma penetrante, dove il meccanismo è diretto, come un colpo di pistola o di coltello che passa
la parete toracica, passa il pericardio e arriva al cuore, con una toracotomia si permette al cuore di ripartire
e inoltre si ha la possibilità di far un gesto emostatico temporaneo e riparare la ferita miocardica con un tasso
di sopravvivenza del 15% (anche in questo caso la sopravvivenza non è altissima).

Nell’immagine sottostante si possono osservare altre indicazioni per la toracotomia d’emergenza (tradotte
per completezza):
1. tamponamento pericardico acuto con perdita dei parametri vitali
2. emorragia intratoracica ex sanguinante
3. arresto cardiaco che non risponde alla defibrillazione

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TRAUMI TORACICI CHIUSI
Epidemiologia
Un terzo circa dei pazienti traumatizzati che giungono in ospedale ha un coinvolgimento del torace.
Le lesioni toraciche causano il 25 % di tutti i decessi per trauma e ne sono la concausa nel 50% dei casi.

Definizione
I traumi toracici chiusi sono traumi senza perdita di integrità degli strati esterni del torace. Sono i più
frequenti perché dovuti ad incidenti stradali, traumi sul lavoro o cadute dall’alto.

Meccanismo del danno


• Diretto: è causato da un urto a bassa velocità come, cadute accidentali, lesioni prossime al punto su
cui agisce la forza.
• Indiretto: è causato da un urto ad alta velocità come incidenti stradali o cadute dall’alto, lesioni da
decelerazione in cui gli organi con massa maggiore subiscono trazioni su vasi e legamenti.
• Schiacciamento: è causato da una forza elevata a bassissima velocità che determina un aumento
della pressione endotoracica fino a 300-400 mmHg. Esempi di tali tipi di traumi sono: crolli edilizia,
compressioni da folla, arrotamento.

Nei traumi toracici chiusi si realizza un trasferimento di energia nel distretto toracico, essendo il distretto
toracico un distretto osseo, muscoloscheletrico, nella maggior parte dei casi ciò che andrà a rompere a
seguito del trauma è la struttura scheletrica del torace. Tenendo presente che ci sono delle strutture un po'
più delicate dal punto di vista della resistenza meccanica di altre, come le coste.

Traumi toracici chiusi più frequenti


o Fratture costali (30-40%)
o Lembo parietale mobile o volet costale (5%)
o Fratture sternali (4%): cinture di sicurezza
o Fratture scapolari e clavicolari (2.5%)
o Lussazioni condro-costali (diagnosi clinica poiché di difficile visualizzazione agli esami radiologici)

FRATTURE COSTALI
[Dalle slides: Le FRATTURE COSTALI sono le lesioni toraciche di più frequente riscontro.
L’esame obiettivo del torace e il dolore orientano verso la diagnosi. Il numero di coste fratturate e/o la
bilateralità del trauma sono correlate in maniera lineare alla morbilità e alla mortalità del paziente.
RX o TC? Tanto è maggiore l’energia del trauma quanto più l’indicazione si orienta verso la TC, questo perché
la TC fornisce informazioni non solo sulle fratture ma anche sulla posizione dei monconi ossei e soprattutto
sullo stato polmonare, dell’emitorace controlaterale, di un eventuale pneumotorace.
Nei bambini anche una singola frattura costale è indice di un trauma grave.
Le prime 3 coste: sono corte, poco mobili e protette dai muscoli. La loro frattura è espressione di traumi ad
alta energia e possono coesistere lesioni vascolari (succlavia, aorta). Mentre le fratture dalla IX alla XI costa
impongono lo studio dell’addome superiore per la possibilità di lesioni degli organi ipocondriaci].

Le coste formano un arco che si porta dalla colonna allo sterno e una struttura ad arco è più soggetto a
rottura. Per quanto le coste a seconda dei distretti abbiano una protezione muscolare differente e una

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conformazione anatomica differente, sono sostanzialmente le strutture più a rischio di frattura sia per la loro
conformazione sia perché si trovano sulla linea di trasmissione dell’energia.
Corollario di questo aspetto è che ogni paziente traumatizzato deve essere visitato. Una delle cose che accade
frequentemente in traumatologia è di non accorgersi di una lesione, perché tutti tendono a concentrarsi sulle
lesioni più importanti, poi magari si scopre solo dopo una settimana la presenza di fratture vertebrali
misconosciute, scoperte solo perché il dolore persisteva ed è stata eseguita una TC di controllo.
È importante quindi esaminare il paziente in maniera sistematica, perché spesso si trovano una serie di
informazioni che magari l’urgentista che ha recuperato il paziente sul luogo dell’incidente non ha osservato.

Sono importanti le fratture costali?


L’importanza di una frattura costale dipende da diversi elementi, come la sede, sia per struttura sia per
anatomia muscolare di protezione ci sono delle zone che sono a più rischio di frattura rispetto ad altre.
Le sedi più a rischio di frattura sono quelle dove il raggio di curvatura è maggiore, è molto più facile che a
parità di trauma si rompa una V-VI costa sull’arco laterale, piuttosto che si rompa una I costa. Questo perché
la I costa è più corta ed è molto più solida; quindi, se si ha una frattura della I costa concettualmente il trauma
che ha subito il paziente è molto più importante rispetto a un paziente che abbia avuto solamente la frattura
dell’arco laterale della VI costa.
Questo era soprattutto vero prima dell’adozione delle cinture di sicurezza, adesso in realtà la frattura della I
costa è diventata più frequente, perché nel momento in cui il paziente viene arrestato dalla cintura di
sicurezza, è chiaro che la prima costa viene sollecitata più spesso e quindi vi possono essere fratture di I costa
per traumi di media entità. Mentre in passato la frattura della I costa era un elemento di sospetto per traumi
importanti, anche perché sulla prima costa scorrono i vasi succlavi, che possono essere lacerati (più
frequentemente la vena) e rappresentato una problematica chirurgica maggiore.

Caso clinico:
Paziente precipitato dal terzo piano, con frattura del
bacino e multiple fratture costali, nell’immagine a destra
si può osservare una frattura ingranata (monconi
sovrapposti). Ha fatto uno pneumotorace associato e
presenta un’area piuttosto importante di contusione
polmonare. In questa situazione con una piccola falda di
pneumotorace, il paziente deve essere operato per la sua
frattura del bacino, deve essere intubato e ventilato a
pressione positiva per il suo intervento ortopedico e va
messo in sicurezza con un drenaggio toracico. È possibile
che sia un paziente che non abbia indicazioni di chirurgia
toracica.

Domanda: Cosa si intende per contusione polmonare?


Nella zona di contusione polmonare la trasmissione dell’energia del trauma in parte si perde perché
determina una frattura delle coste, l’energia residua viene trasmessa al parenchima polmonare (come se si
tirasse una martellata sul parenchima polmonare).
A livello degli alveoli si ha un sanguinamento intra-alveolare, essendo la parete degli alveoli molto sottile.
Per questo il paziente nei giorni successivi potrebbe avere emottisi. Di solito l’emottisi non compare subito,
perché i pazienti hanno talmente male che non tossiscono, quando invece cominciano ad avere una tosse
efficacie compare l’emottisi.
Inoltre, nel parenchima polmonare al sanguinamento si associa un fenomeno di edema e di flogosi. Questa
è la ragione per cui, in pazienti con una contusione polmonare bilaterale se si somministrano loro molti
liquidi, questi possono stravasare e causare edema polmonare. Il problema è che proprio questi stessi
pazienti possono essere in shock ipovolemico e hanno bisogno di reintegrare i liquidi, ma bisogna sempre
tenere in considerazione che un polmone contuso non è come un polmone normale e tende a sviluppare un
edema per un sovraccarico di liquidi inferiore.

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INCIDENTI STRADALI
Gli incidenti stradali sono la prima causa di morte fra 15 e 24 anni: in questa fascia d’età, 1/3 di tutti i decessi
dei maschi ed 1/4 di quelli delle femmine avviene in seguito ad un trauma della strada. Gli incidenti stradali
con lesioni a persone, nel 2019 in Italia, sono stati 172183.

https://www.youtube.com/watch?v=9_Af8w2SAT4 il video allegato mostra un crash test all’automobile. In


un trauma frontale anche solo a 40 Km/h è impressionante l’impatto, soprattutto per chi non è bloccato dalla
cintura di sicurezza che può venire proiettato dai sedili posteriori nella parte anteriore dell’automobile e
sbattere contro la testa del passeggero davanti.
È molto importante la raccolta dell’anamnesi con l’urgentista che porta il malato e soprattutto chiedere il
meccanismo del trauma, perché un incidente frontale nella maggior parte dei casi è un trauma ad alta
energia.

Decessi da trauma stradale


I decessi per traumi toracici chiusi da trauma stradale, possono essere:
• Decessi immediati: entro 1 ora dal trauma 45-50%.
• Precoci: entro 6 ore dal trauma 30%;
• Tardivi: a giorni o settimane dal trauma 20-25%, anche se i pazienti superano la prima fase della presa
in carico e si stabilizzano possono morire per delle complicanze che insorgono successivamente.

DECESSI IMMEDIATI:
[Dalle sbobine 2020-2021:
Sono quasi sempre politraumatismi. Il 50% dei pazienti muore per lesioni toraciche cardio-vascolari (es.
rottura di cuore post-traumatica o rottura dell’aorta in corrispondenza del punto di transizione da arco
aortico, fisso a livello del mediastino, ad aorta discendente: in caso di decelerazione brusca questo
movimento dell’aorta discendente rispetto all’arco aortico fa sì che questa si rompa e che l’emotorace che
ne deriva risulti fatale). Le lesioni meno gravi (es. emotorace con infarcimento emorragico del mediastino)
possono essere visualizzate mediante TC con mdc e trattate.]

DECESSI PRECOCI:
Occorrono nelle prime ore successive al trauma e sono dovuti a:
o Emotorace massivo
o Pneumotorace iperteso
o Ostruzione delle vie respiratorie
o Tamponamento cardiaco
o Alterata meccanica respiratoria da lembo parietale
La sopravvivenza dipende dalla diagnosi e dal trattamento immediato delle lesioni che possono
compromettere la vita.

DECESSI TARDIVI:
Avvengono a giorni o settimane dall’evento traumatico. Sono dovuti a:
o infezioni
o ARDS
o MOF
Ad esempio, un paziente con trauma toracico severo che finisce in rianimazione e viene intubato e ventilato
per due o tre settimane con ventilazione meccanica, si espone a delle complicanze correlate con una lunga
intubazione come una polmonite, un ARDS bilaterale e quindi il paziente muore perché non riesce più ad
essere ventilato per quanto è degradato il suo stato di scambi gassosi alveolari.

Inoltre, ci sono due grandi categorie di traumi toracici:


• Traumi toracici che sono gestibili in reparto di pneumologia, medicina d’urgenza o chirurgia toracica
a seconda delle risorse dell’ospedale.

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• Traumi toracici che richiedono una presa in carico dalla rianimazione.

Ci sono diversi criteri che definiscono la gravità di un trauma toracico, valutabile con il Thoracic Trauma
Severity Score (punteggio 0-25) (vedi tabella sottostante):
- numero di coste rotte: la frattura di una sola costa causa molto dolore acuto che dura circa cinque
giorni, dopo di che il dolore diventa più tollerabile; quindi, è sempre importante in un paziente con
coste rotte impostare una terapia del dolore. Se invece il paziente si rompe da 3-6 coste il punteggio
è già di 2. Se c’è invece il flail chest, ossia il volet costale, i punti sono 5.
- Presenza di emotorace, pneumotorace: se si associa al flail chest la presenza di un PNX Iperteso si
sommano altri 5 punti.
- Contusione polmonare
- PaO2/FiO2
- Età del paziente: un conto se un trauma del torace si realizza in un paziente di 18 anni, un conto in
un soggetto anziano.

Caso clinico:
Paziente con una frattura della VI costa,
completamente disassata con i due monconi
sovrapposti. Si osserva una quota di enfisema
sottocutaneo (visibile nell’immagine più a destra) e
una lama di pneumotorace abbastanza importante
sul lato destro che sia associa a un ampio focolaio
contusivo, sicuramente il paziente ha difficoltà a
respirare. Si associa anche la presenza di un
pneumomediastino (presenza di aria nel
mediastino).

TRAUMI DA SCHIACCIAMENTO
Possono esserci anche traumi da schiacciamento, che sono tipici dei traumi sul posto di lavoro.
Sono persone che mobilizzano carichi pendenti molto pesanti, che possono quindi cadergli addosso e causare
uno schiacciamento del torace, o persone che rimangono intrappolate dentro macchine industriali.
Lo schiacciamento della parete toracica può causare:
• fratture costali
• Rottura del diaframma con erniazione della milza e dello stomaco: se il limite anatomico tra cavo
pleurico e addome si rompe, ciò che sta in addome passa nel torace. Di solito è meno grave a destra
perché c’è il fegato che fa un po' “da tappo” sulla rottura diaframmatica e quindi è difficile che ci sia
una grande erniazione, a meno che non ci sia una lacerazione completa del diaframma e a quel punto
anche il fegato può erniare. Mentre a sinistra milza, rene, stomaco, colon possono erniare in torace
in presenza di una rottura dell’emi diaframma sinistra.

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Nella TC si può osservare PNX, enfisema sottocutaneo ed erniazione dello stomaco in torace (vedi
immagine sotto).

Inoltre, se si realizza una compromissione molto


importante sul torace per un certo periodo di tempo, si
determina un incremento delle pressioni in torace e di
conseguenza si riduce lo scarico venoso attraverso la vena
cava superiore.
Se questa compromissione dura per un po' di tempo si può
realizzare la Maschera ecchimotica di Morestin, che è
legata a un’emorragia congiuntivale dovuta proprio a una
difficoltà di scarico nella vena cava superiore.
In presenza di una compressione del torace si può anche realizzare uno stiramento del plesso brachiale.

Un altro esempio di trauma chiuso è quello che si realizza in un motociclista che cade con il braccio esteso.
Si ha una problematica di stiramento sia del plesso brachiale sia della componente vascolare, come la
succlavia, sono pazienti che arrivano con un importante ematoma sullo stretto toracico anteriore.
Attualmente esistono delle tecniche di chirurgia vascolare, con la possibilità di mettere uno stent senza aprire
il paziente. In passato non essendoci questa possibilità, il riflesso di molti chirurghi era di fare un’emostasi
della lesione, ma se si fa un approccio diretto su un vaso arterioso rotto e questo sanguina in maniera
importante è difficile vederci qualcosa, soprattutto in uno spazio stretto come lo stretto toracico superiore.
In quei casi lì l’approccio corretto era un controllo a monte della succlavia nel torace e un controllo a valle e
solo successivamente un apporto diretto sulla lesione vascolare.

FRATTURE STERNALI
Un’ altra struttura che si può lesionare nei traumi toracici chiusi negli incidenti stradali è lo sterno, una volta
si fratturava perché il guidatore sbatteva contro il volante, quindi, era un trauma un po' più ad alta energia
di adesso, dove la cintura di sicurezza blocca il guidatore, ma comunque la presenza di qualcosa di fisso
rispetto al trasferimento dell’energia cinetica fa sì che spesso si possano realizzare delle fratture sternali
legati alla cintura di sicurezza.
Le fratture sternali possono essere complete o interessare solo la corticale, la rima di frattura è di solito
trasversale. Il dolore è sempre presente.
Dal punto di vista diagnostico bisogna effettuare una TC e un ecocardiogramma, anche per escludere la
presenza di una contusione miocardica.
La frattura sternale non è frequentemente un’indicazione chirurgica, perché non tende a spostarsi con gli atti
respiratori del paziente, non dà nessun tipo di movimento paradosso. Si lascia che si realizzi una riparazione
spontanea anche se i due capi non sono completamente allineati. Si è dimostrato infatti che intervenire su
una frattura sternale non determina un grande vantaggio al paziente.

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LEMBO PARIATALE MOBILE
[Dalle slides: il Volet costale o lembo parietale mobile è dovuto a multiple fratture costali bifocali o
multifocali, che interessano coste adiacenti nella porzione antero-laterale del torace. È una condizione grave
che determina insufficienza respiratoria dovuta al respiro paradosso e al movimento pendolare del
mediastino. Può non essere riconosciuto subito se è ingranato.
La sua presenza impone il ricovero in terapia intensiva e la terapia di scelta è la ventilazione assistita, ma nei
casi più gravi è necessario stabilizzare chirurgicamente la parete toracica.]

A differenza delle fratture sternali, il volet costale necessita di una riparazione. Nell’immagine sottostante si
osserva un volet costale dovuto a fratture bifocali dell’arco costale anteriore, con placche di titanio fissate
alla parete toracica con delle viti, che ripristinano una solidità della parete toracica in modo tale che il
paziente perda il respiro paradosso.
È necessaria un’ampia esposizione perché bisogna mettere le placche in tiatnio da entrambe le parti, è
necessario infatti fissare entrambe le due linee di frattura perché se si blocca solo una parte l’altra continua
a fare un movimento paradosso.
Tanto più una costa è fratturata posteriormente tanto più dal punto di vista funzionale non è necessario fare
niente, però se bisogna esporla chirurgicamente occorre fare una grossa preparazione muscolare, perché a
livello dorsale c’è una spessa parete muscolare.

Caso clinico:
Uomo di 39 anni, vittima di aggressione, presenta fratture
costali multiple, molte bifocali, pneumotorace e un
importante enfisema sottocutaneo. La prima opzione è stata
posizionare il drenaggio pleurico.
Tuttavia nel proseguo del suo ricovero è peggiorato ed è
diventato evidente un volet costale, che prima non si vedeva,
e che ha determianto un’insufficienza respiratoria. È stata
quindi eseguita un’osteosintesi con i fili di Kirschner (nelle
slides sono presenti diverse foto del caso clinico).
In sintesi se si ha un’instabilià della parete toracica dovuta al
volet costale, in qualche modo va stabilizzata o con placche e
viti o con i fili di Kirschner.

LESIONI VISCERALI:
A seguito di un trauma toracico chiuso si possono realizzare anche lesioni viscerali polmonari, pleuriche,
diaframmatiche:
• Pneumotorace semplice
• Pneumotorace iperteso

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• Emotorace
• Contusione polmonare 30-75%
• Lacerazione diaframmatica
• Relaxatio diaframmatica
• Fallen lung: nell’immagine a destra il polmone collassa
ma non lo fa in corrispondenza dell’ilo (pneumotorace),
bensì distalmente rispetto al mediastino.

Se l’energia del trauma è tale da fratturare le coste, dare


contusione polmonare e in parte essere trasferita al mediastino,
si possono anche avere lesioni di strutture mediastiniche come
lacerazioni del pericardio.
Nel momento della decelerazione (es.incidente stradale), il
cuore viaggia alla stessa velocità dell’auto, quando l’auto si
ferma anche il cuore si ferma ma tirando il pericardio ne può
causare una sua lacerazione. Queste lesioni vengono identificate
solo in caso di esplorazione chirurgica, perché non c’è anlcun
esame in grado di mostrare una lacerazione del pericardio,
potrebbe essere vista solo se ci fosse un emopericardio
associato.

Altre possibili lesioni viscerali sono quelle che interessano le vie aeree, i grandi vasi e l’esofago:
• Lacerazioni tracheobronchiali (0,4%): è una lesione che deve essere sospettata quando in presenza
di pneumotoraci massivi il drenaggio non consente comunque al polmone di espandersi
completamente Per poter avere una lacerazione tracheobronchiale è necessario un trauma ad
altissima energia.
Caso clinico:
donna di 25 anni che ha fatto un giro su un quad e ribaltandosi le è caduto addosso. Ha causato una
lacerazione del bronco principale sinistro che è rimasto misonosciuto, le è stato posizionato un
drenaggio per il PNX, ma non si è risolto completamente. Solo dopo diversi ricoveri è stata eseguita
una broncoscopia, nella quale è stato visionata la lesione, è stata quindi portata in sala operatoria è
l’unica opzione possibile è stata la pneumectomia sinistra.

• Lesione dei grossi vasi: un’altra possibile lesione in cui è raro vedere vivi i pazienti è la rottura
dell’istmo dell’aorta discendete.
A seguito di una grossa decelereazione, l’aorta si può rompere, laddove l’arco (parte più mobile
dell’aorta) confina con la parte che inizia a essere stabillizzata dai legamenti dell’aorta discendente,
per cui si realizza una rottura dell’istmo aortico subito dopo l’emergenza della succlavia sinistra. In
questi pazienti se la rottura è tale per cui il mediastino contiene la rottura e non si spacca nel cavo
pleurico, quindi non dà un emotorace massivo, si potrebbe vedere una TC con mdc ( vedi immagine)
con il suo aspetto caratteristico.

• Contusione o lacerazione cardiaca (tamponamento)


• Lacerazione esofagea 0,1%

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ASPETTO RADIOLOGICO DEL PNEUMOTORACE IPERTESO
In pazienti traumatizzati la diagnosi di PNX iperteso è una diagnosi radiologica, viene fatta se si osserva la
deviazione della trachea. In un paziente con PNX completo bisogna intervenire immediatamente perché:
• È un torace massivo;
• Potrebbe peggiorare;
• Devono essere messi in sicurezza perché spesso sono pazienti che devono esser sottoposti ad altri
interventi.

In pazienti in cui alla TC non si vede più bene il profilo diaframmatico, dove c’è sangue e pneumotorace è
meglio esplorare chirurgicamenete per osservare possibili lesioni. Quando si hanno più problemi che si
sommano la strategia attendista è rischiosa.

Caso clinico:
Paziente anziano, scoagulato, subisce un trauma non importante come cinetica, ma causa una frattura
vertebrale e un importante emotorace che va drenato con un drenaggio adeguato. Per drenare il sangue
bisogna utilizzare drenaggi di calibro adeguato, è infatti difficile che i drenaggi piccoli siano efficaci, bisogna
mettere drenaggi di un calibro tale da ridurre il rischio di coagulazione del drenaggio.
In questi casi tutto dipende dalla combinazione tra la fragilità del paziente e l’entità del trauma.

Caso clinico:
uomo di 70 anni in terapia con ASA, ha avuto una caduta accidentale da altezza modesta (3 gradini) e si è
fratturato 3 coste, la lastra non mostra niente di particolare ma in pazienti fragili il trauma può evolvere nelle
48/72 ore successive e questo è vero sia per lo PNX sia per l’emotorace.
Ci può essere una evoluzione in due tempi, come nel caso clinico esaminato che in terza giornata ha avuto
uno shock a causa di un importante emotorace. Quindi sono pazienti che se vengono dimessi dal pronto
soccorso, senza ricovero, è importante che si faccia un controllo a 48-72h per controllare ad esempio che la
possibile piccola falda di pneumotorace non sia diventata un PNX completo o che la minima falda di
emotorace non sia diventata un emotorace massivo (come nelle foto sottostante).

TRAUMI TORACICI PENETRANTI


Definizione
[Dalle sbobine 2020-2021: Si caratterizzano dalla perdita d’integrità degli strati esterni della gabbia toracica,
la ferita arriva alla cavità pleurica e/o pericardica, sono possibili lesioni di:
o visceri (cuore - polmoni)
o vasi endotoracici (grandi vasi, mammaria, intercostali)
o organi cavi, enfisema mediastinico (trachea, esofago)
Sono dovuti ad arma bianca o ferita da arma da fuoco e sono gravati da alta mortalità.

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È importante garantire la ventilazione, fermare l’emorragia, ripristinare la volemia, prevenire la sepsi (ATLS
– A.B.C.D.E).
Il ragionamento non deve soffermarsi troppo sull’energia del trauma, ma più sulle traiettorie e sugli eventi
lesivi: ad es. nei pz accoltellati è importante esaminarli, vedere il punto di ingresso e verificare che sia
effettivamente un trauma penetrante (ad es. la lama può fermarsi contro le coste e non giungere a penetrare
la pleura o il polmone); importante anche informarsi su lunghezza e caratteristiche della lama. Le traiettorie
sono importanti nelle ferite da arma da fuoco (punto di ingresso e punto di uscita se presente). Il
ragionamento non è così differente in prima battuta rispetto ai traumi chiusi: il pz può essere
emodinamicamente stabile o instabile, e in tal caso la presa in carico è diversa.]

Nei traumi toracici penetranti è importante ragionare in termini di paziente stabile o instabile e di quale
schema di presa in carico è necessario adottare.
Nel trauma penetrante con paziente instabile, in cui si sospetta che vi sia un emotorace bisogna mettere il
drenaggio e se dà più di un litro e mezzo di sangue lo si apre subito.

[Dalle slides: Sono traumi gravati da alta mortalità. Se è interessato il cavo pleurico il drenaggio è indicato
anche in presenza di lesioni apparentemente lievi. In presenza di ferita soffiante usare un nuovo accesso per
il drenaggio e chiudere la ferita se detersa.
• Se l’emodinamica è stabile: TC con m.d.c
• Se non stabile nonostante la terapia infusionale: Toracotomia d’emergenza].

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FERITE SOFFIANTI
Quando si ha un trauma aperto con una certa perdita di sostanza si potrebbe aver una ferita soffiante.
Quando il paziente inspira, generando pressione negativa, l’aria entra nel torace e quando il paziente espira,
generando pressione positiva, l’aria esce e quindi si
sente un soffio all’altezza della ferita, ciò rende
pendolare il PNX, quindi la situazione è
completamente instabile.
Si consiglia in questa situazione durante il trasporto
di fare una medicazione occlusiva su tre quarti della
medicazione e aperta sul bordo inferiore, affinché
l’aria possa uscire attraverso il bordo inferiore della
medicazione, mentre quando il paziente genera
pressione negativa inspirando l’aria non riesce ad
entrare, essendo la medicazione a tenuta stagna.
Il concetto è lo stesso del drenaggio toracico: avere
un meccanismo unidirezionale che permette all’aria
di uscire dal cavo pleurico ma non di entrare.

Alcuni di questi traumi sono da tentativi anticonservativi, persone che si sparano e si accoltellano.

Caso clinico:
Donna di 38 anni, a seguito di un tentato suicidio, ha
causato una ferita penetrante da colpo di pistola sparato
poggiando la canna sotto la mammella sinistra.
Nell’immagine a destra si può vedere il punto di ingresso a
livello del parenchima polmonare. La donna presentava un
litro di sangue nel cavo pleurico, che non è un emotorace
così importante ma vi è comunque l’indicazione chirurgica
alla toracotomia d’urgenza, senza alcun esame diagnostico
preoperatorio, per esplorare il torace e se possibile
rimuovere il proiettile.
Quando c’è un trauma penetrante con emotorace
l’indicazione chirurgica è molto più frequente rispetto ai
traumi chiusi, perché l’esplorazione è importante per
vedere se c’è un sanguinamento ancora attivo.

Delle volte sul tragitto dei proiettili per evitare di togliere


interi lobi, quando l’intero lobo è attraversato dal proiettile
e c’è un foro di entrata e un foro di uscita, si cerca di
effettuare la trattotomia polmonare (immagine a destra),
che consiste nel mettere a piatto il tragitto del proiettile e
poi si chiudono tutti i bronchioli che rimangono aperti,
perché altrimenti questi generano una perdita d’aria
maggiore particolarmente importante.

Ci possono essere diverse situazioni a seguito di un colpo


da arma da fuoco, ad esempio se non c’è il proiettile il foro
polmonare (come quello del caso precedente) può essere
semplicemente suturato. La presenza di un foro di quel tipo
causa infatti una fuoriuscita d’aria, che di solito non si
realizza subito perché inizialmente c’è un ematoma.

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Nei casi in cui il proiettile non c’è si può semplicemente suturare, il concetto è che non si rimuove tutto
l’ematoma perché si dovrebbe rimuovere una grossa parte di polmone e il rischio è causare un’importante
tossicità da gesto chirurgico. In sintesi, bisogna togliere la minore quantità di parenchima polmonare
possibile.
Se invece ci fosse il proiettile all’interno del parenchima polmonare, siccome i polmoni sono infarciti di
sangue a seguito del passaggio del proiettile è difficile palpatoriamente rilevare la sua presenza; quindi, non
sempre riesce ad essere tolto.

Talvolta non è detto che trovando un buco sulla parete


toracica il trauma sia davvero penetrante. Anche nelle ferite
da arma bianca, se il colpo non è dato in maniera
perpendicolare alla parete toracica, questo può essere
invasivo sulla parete muscolare ma poco in profondità.
Quindi un paziente che ha una lesione come quella nella foto
potrebbe avere una lesione dell’aorta discendente se il colpo
fosse penetrante, ma è anche possibile che tutto quel sangue
sia dovuto a una lesione muscolare. Quindi bisogna valutare il
singolo caso, ad esempio non è detto che in presenza di un
foro d’entrata a livello del torace il proiettile sia entrato nel
cavo pleurico, perché la costa può aver deviato il suo tragitto.

Caso clinico
Paziente con ferita cervicale per un tentato suicidio per
sgozzamento. È importante esplorare chirurgicamente la
regione perché in quella sede c’è trachea, giugulare, carotide.
È possibile che non ci sia alcuna lesione maggiore, ma è sempre
meglio esplorare correttamente, anche solo per rimuovere
tessuti necrotici, dal momento che essendo il coltello non
sterile sono ferite ad alto potenziale di contaminazione.

Caso clinico
Uomo di 32 aa, tentato omicidio, presenta un trauma
penetrante del torace con lesione della lingula e del ventricolo
sinistro per uno spessore di circa 5 mm. Sternotomia con
sutura del polmone e del miocardio.
Le armi bianche in torace non vanno mai estratte fino a quando
non si è in ospedale, perché potrebbe succedere che la
presenza del coltello chiude la ferita stessa. Quindi togliendo
l’arma, l’emorragia potrebbe ripartire e uccidere il paziente.
I corpi penetranti vanno quindi tolti solo in condizioni di
sicurezza, in sala operatoria, e bisogna prima effettuare la
sternotomia e solo dopo rimuovere il corpo.

Caso clinico:
Un paziente che fa un tentativo anticonservativo con un fucile
da caccia spesso causa un importante slabbramento della
parete toracica, con centinaia di pallini che non riusciranno ad
essere rimossi, ma non presenta lesioni viscerali. È poco
efficacie dal punto di vista suicidario, ma hanno un’importante
perdita di sostanza con coste a vista.

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LESIONI IATROGENE
Ogni tanto, qualche ferita può venire dall’interno e possono essere iatrogene (rare), ma possono essere
severe, come:
• Emotorace dopo posizionamento pacemaker
• Lacerazione esofago da sonda ecografica
• Rottura della pars-membranacea della trachea dopo intubazione: pazienti che dopo essere stati
svegliati estubati fanno un enfisema sottocutaneo
importantissimo, spesso correlato a PNX (nel caso clinico
dell’immagine è massivo a sinistra ma presente anche a
destra, con pneumomediastino). In questo caso il sospetto è
clinico. Il trattamento non è per forza chirurgico, ma dipende
dal tipo di lesione e quindi può essere conservativo o
chirurgico.

Nell’ immagine a sinistra si può vedere un esempio di


importante enfisema sottocutaneo, si può osservare il
volto e il distretto sovraclaveare bilateralmente gonfio.
L’aspetto importante non è ciò che succede fuori,
anche se il paziente può essere molto angosciato
perché non vede non riuscendo più ad aprire le
palpebre, ma ciò che succede dentro, ossia se è
presente o no un PNX.
In quest’uomo era stato chiuso il drenaggio per eseguire la TC di controllo e ciò ha determinato PNX bilaterale
ed enfisema sottocutaneo. In presenza di un drenaggio per drenare l’aria, il drenaggio non deve essere mai
chiuso.
Quando vengono messi i drenaggi bisogna posizionarli correttamente nel cavo pleurico, talvolta durante il
posizionamento possono anche essere fatti dei danni, come perforare una parte di parenchima polmonare o
del cuore. Nessuna procedura è infatti priva di complicanze, ma queste si riducono tanto più si è consapevoli
di cosa si sta facendo.

GESTIONE SPECIALISTICA DELLE PROBLEMATICHE


[Dalle sbobine 2020-2021:
Nella maggior parte dei casi un gesto chirurgico apparentemente semplice come il posizionamento di un
drenaggio pleurico può essere risolutivo.
- MAI CHIUDERE I DRENAGGI perché l’aria deve uscire, in caso contrario va ad accumularsi nei tessuti
molli e può creare une enfisema sottocutaneo o peggio uno pneumotorace iperteso con arresto
cardiaco.
- DRENAGGI AL DI FUORI DELLA PARETE TORACICA: durante la procedura ci sono momenti in cui
bisogna vincere determinate resistenze ed entrare nel cavo pleurico, se però si spinge con
un’angolazione troppo acuta il drenaggio rischia di non entrare nel cavo pleurico ma di scivolarci
contro.
- COMPLICANZE: lesioni organi interni.
- PROCEDURA: esplorazione digitale del cavo pleurico e posizionamento per via smussa dei drenaggi.
È necessario sapere cosa si usa (materiali), dove posizionare il drenaggio (tra linea ascellare anteriore
e posteriore in corrispondenza del 4°-5° spazio intercostale, zona sicura perché si è distanti da cuore

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e diaframma). Si può usare l’ecografia come guida ma questa è utile nei drenaggi difficili, se si drena
uno pneumotorace completo o un emotorace massivo non ce n’è bisogno. L’anestesia locale è
importante perché il drenaggio è doloroso. Si incide, si dissecano i muscoli, si inserisce il drenaggio
verificando col dito di essere sul bordo superiore della costa e quando si vince una resistenza si è
sicuri di essere entrati nella pleura parietale, non bisogna però spingere troppo. Dopodiché si vede il
sangue fluire e allora si può mettere il drenaggio. I drenaggi sono connessi a sistemi unidirezionali
per consentire il flusso in uscita.]

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07/12/2021
Prof. Leo
Sbobinatrice: Garzena Valentina
Revisora: Fava Valeria

PNEUMOTORACE
INTRODUZIONE
All’interno del capitolo dello pneumotorace esistono molti sottocapitoli, i quali non differiscono tanto per
l’aspetto di classificazione, quanto per le situazioni cliniche: infatti, ci troveremo di fronte a pazienti
completamente diversi che condividono l‘aspetto fisiopatologico dell’avere dell’aria nel cavo pleurico, ma,
per esempio, nel pneumotorace spontaneo primitivo dei giovani il problema è solo lo pneumotorace, mentre,
nel secondario, i pazienti saranno anziani con patologie polmonari sottostanti o una fibrosi polmonare e
saranno molto difficili da trattare, con un alto rischio di complicanze.

In passato, il meccanismo per cui entrava dell’aria nel cavo pleurico non era ben compreso, però era evidente
che le ferite nel torace potessero dare pneumotorace. Carlo Forlanini1 invece, aveva capito il ruolo dello
pneumotorace, egli infatti utilizzava lo pneumotorace terapeutico. A quei tempi la problematica era la
tubercolosi poiché, in assenza di terapia, le lesioni tubercolari si escavavano (caverne) e spesso sanguinavano
dando emottisi che poteva portare il paziente a morte per soffocamento. Forlanini si rese conto che il fatto
di mettere dell’aria nel cavo pleurico faceva collabire il polmone e le pareti della caverna collabivano una
sull’altra favorendo la fusione delle stesse che si trasformavano in una lesione cicatriziale. Contestualmente,
si rese conto che l’aria che inseriva nel cavo pleurico dopo un po’ si riassorbiva; quindi, l’apparecchio Forlanini
assicurava un’iniezione di aria che veniva ripetuta nel tempo.

Però, se iniettando dell’aria nel cavo pleurico si perde la pressione negativa, che è alla base dello scambio
alveolo-capillare, questo diventa un problema, al punto che se si voleva far respirare un paziente durante un
intervento chirurgico sul torace all’epoca le opzioni non erano molte; una di queste era quella di operare
all’interno di una camera a pressione negativa tenendo solo la testa fuori, in questo modo si manteneva uno
scambio circolatorio adeguato e il polmone veniva fatto espandere regolarmente.

Questo meccanismo è decaduto quando si è sviluppata l’anestesia con la ventilazione meccanica che manda
aria a pressione positiva attraverso un tubo orotracheale e il paziente non ha bisogno di respirare, utilizza
quindi una dinamica completamente diversa rispetto a prima.

1Nel 1877 fondò l'Istituto medico pneumatico, dove iniziò gli studi sulla cura della TBC polmonare, arrivando nel 1882 ad ideare lo pneumotorace
artificiale. Applicò la tecnica con pieno successo nel 1888, ma essa solo nel 1912 ebbe piena accettazione dalla comunità medica.

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Tipologie di pneumotorace
Se la presenza di aria è il fattore comune di tutte le situazioni che vedono nello pneumotorace l’alterazione
fisiopatologica, dal punto di vista clinico avremo situazioni diverse.

Ad esempio, qualora il paziente sia intubato e ventilato a pressione positiva, se si ventila a pressione
eccessiva o se il paziente ha delle condizioni di fragilità polmonare, gli si può causare uno
pneumotorace da barotrauma, e se si continua a ventilarlo l’aria continuerà ad uscire: questo è il
motivo per cui, nei pazienti con ventilazione meccanica, c’è un’indicazione a drenare lo
pneumotorace, perché questo sarà destinato a peggiorare. In realtà sono pneumotoraci abbastanza
rari, ma possono verificarsi, soprattutto in pazienti intubati da molto tempo.

Il concetto di pneumotorace si può sostanzialmente riassumere nel pneumotorace spontaneo (primitivo e


secondario) e post traumatico, che sono le due situazioni più frequenti.

Pneumotorace spontaneo: non è legato ad un evento scatenante, il paziente non ha nulla di


significativo da riferire, alcuni riportano un colpo di tosse, un attacco d’asma, ecc., però non c’è un
vero evento che sia il punto di partenza della cascata degli eventi fisiopatologici. Si divide in primitivo
e secondario.
Pneumotorace post-traumatico: l’evento trauma può ledere il polmone, può essere un trauma:
o Chiuso, con frattura costale in cui la costa entra nella parete toracica e perfora il polmone
o Aperto.

Poi ci sono altre categorie che vanno conosciute per poter arrivare alla diagnosi:

Pneumotorace iatrogeno: ci sono una serie di procedure che per loro natura possono complicarsi
con pneumotorace, ad es. facendo un’agobiopsia toracica, oppure mettendo una via centrale nella
succlavia, in quanto la succlavia è struttura che collabisce, passa sulla prima costa, ha una parete
sottile ed è posta davanti alla pleura: è quindi possibile che ci sia uno sconfinamento nel piano
anatomico successivo, che è il cavo pleurico. È un evento raro ed è tipicamente correlato alla presa
della succlavia, perché se riguarda la giugulare questo discorso non vale più.

Pneumotorace catameniale: insorge nella donna in età fertile in corrispondenza del ciclo mestruale.
Solitamente lo pneumotorace compare nell’uomo, quindi già il fatto di avere una donna fuori dalla
fascia di età tipica dello pneumotorace spontaneo primitivo deve portare a pensare a questa
categoria. Spesso sono pazienti che hanno un dolore toracico in mezzo a molti altri dolori, quindi
sono abituate a soffrire e facendo un’anamnesi accurata si vede che spesso, queste pazienti, in
corrispondenza delle 48-72h dall’inizio del ciclo mestruale hanno un dolore toracico importante.
Può essere legato alla presenza di isole di endometriosi nella pleura parietale e viscerale del
polmone, oppure in altri casi durante il ciclo mestruale ci può essere un passaggio di aria attraverso
le tube in cavità addominale e spesso queste pazienti hanno un deficit diaframmatico, soprattutto
dal lato destro, per cui l’aria passa dall’addome e risale nel cavo pleurico. Quando si opera questo
tipo di pazienti bisognerà valutare anche la presenza di isole di endometriosi sulla pleura e di buchi
sul diaframma, i quali vanno riparati altrimenti lo pneumotorace potrà recidivare.
Sono pneumotoraci complessi da trattare perché possono essere multifattoriali.

60
Aspetti dinamici e il drenaggio toracico
Fino a questo momento si è considerato lo pneumotorace da un punto di vista statico, esiste però anche un
aspetto dinamico da considerare, il quale è importante perché può essere pericoloso: se c’è dell’aria nel
cavo pleurico questa progressivamente si riassorbirà per una questione di tensione di gas differenziali tra il
circolo polmone e l’aria contenuta nel cavo pleurico; la questione più importante non è tanto sapere se c’è
aria o meno e quanta, ma se quest’aria continua a uscire o è un fenomeno estinto. Infatti, se c’è aria che
continua ad accumularsi nel cavo pleurico c’è il rischio che dopo 4h lo pneumotorace diventi iperteso e
possa dare uno scollamento pleuro-parietale, anche se inizialmente alla lastra aveva solo minima falda
apicale.

È difficile dire in quanti casi la perdita aerea sia presente e persistente e in quanti no, però questo è il
ragionamento che fa il chirurgo quando decide di mettere drenaggio toracico. Questo da un lato accelera lo
svuotamento dell’aria, ma soprattutto ci dice se c’è o meno una perdita attiva e persistente.

Questa è quindi la prima domanda che un chirurgo deve porsi quando vede in PS un paziente con
pneumotorace; la seconda domanda riguarda il rischio di recidiva.

Il rischio di recidiva e l’approccio diagnostico/terapeutico


Ad esempio, lo pneumotorace spontaneo primitivo ha nella sua storia naturale il rischio di recidiva, il
quale aumenta quanti più sono gli episodi di pneumotorace che il paziente ha.
All’incirca, al primo episodio di pneumotorace spontaneo primitivo, c’è un 25-30% di probabilità di farne
un secondo, la percentuale può poi variare in funzione di altre variabili (ad esempio nel fumatore il rischio
è maggiore); al secondo episodio il rischio di recidiva sale al 40% circa.
Quando ci si trova di fronte ad un paziente che è al terzo/quarto episodio di pneumotorace bisogna porsi
anche il problema di come fermare questa catena di pneumotoraci.

Il rischio di recidiva esiste a maggior ragione nello pneumotorace secondario, il quale è legato a una
patologia sottostante del polmone presente in pazienti anziani con una funzione respiratoria spesso
limitata, quindi fragili, a cui basta un piccolo scollamento del polmone per andare in dispnea. Spesso
sono pazienti già in ossigeno-terapia, nei quali, il fatto di alterare il meccanismo respiratorio anche di
poco, li porta in scompenso respiratorio.

Inoltre, questi pneumotoraci non sono per niente facili da diagnosticare, soprattutto all’RX, in cui è
complicato fare la diagnosi differenziale tra pneumotorace e bolla pleurica. Se viene messo un drenaggio
in una bolla è un grosso problema perché si rischia una perdita di aria molto importante e ci sarà
necessità di un intervento chirurgico, quindi spesso nello pneumotorace spontaneo secondario c’è
bisogno di fare la TC per essere sicuri del posto in cui si andrà a mettere il drenaggio. L’avere un dato
radiologico preciso (TC) è anche importante perché il più delle volte sono pneumotoraci moderati, in cui
mettere un drenaggio è più complesso e bisogna fare attenzione a non ledere il polmone retrostante.

Talvolta, i pazienti con pneumotorace secondario tollerano così male lo pneumotorace da far venire il
dubbio che sia necessario fare qualcosa senza aspettare la recidiva; bisogna però considerare che sono
anche pazienti a rischio, ad esempio operare un paziente che è già in ossigeno terapia rischia di
peggiorare l’insufficienza respiratoria fino a portare il paziente ad una vita attaccata alle macchine, quindi
è una valutazione molto difficile da fare, in cui bisogna valutare il rischio specifico del paziente e il
beneficio che eventualmente potrebbe avere dalla procedura.

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Per quanto riguarda lo pneumotorace catameniale, è una diagnosi che va ricercata con l’anamnesi e che
a volte si può fare solo con l’esplorazione chirurgica, però il fatto di avere una sintomatologia che si
ripresenta regolarmente è suggestivo.

Lo pneumotorace post-traumatico e quello barotraumatico sono definiti complessi perché:


o in quello post-traumatico ci possono essere tanti tipi di danno che possono causarlo (lesione
polmonare, ferita penetrante, ferita soffiante, si può associare a dolore costale, ecc.)
o mentre in quello barotraumatico sono pazienti che sono già intubati e ventilati e piccoli
pneumotoraci possono essere gravi sia per l’aspetto respiratorio che gestionale.

Dinamica respiratoria dello pneumotorace


Nel cavo pleurico ci sono delle variazioni di pressione: nell’inspirazione il diaframma si contrae, aumenta la
negatività nel cavo pleurico e questo (ammettendo di avere delle vie aeree pervie) fa sì che ci sia un delta di
pressione tra la negatività che c’è nel cavo pleurico, che si traduce nella negatività delle vie aeree, e l’aria
esterna, che può così entrare nelle vie aeree. Questa negatività, quindi, serve per richiamare aria all’interno
del polmone, e ad ogni delta di pressione corrisponde un passaggio d’aria.

A fronte della curva in alto blu, che sono i gradienti pressori che si sviluppano nelle differenti fasi del ciclo
respiratorio, c’è la corrispondente curva blu in basso che indica il volume corrente. Si può notare che al picco
di pressione negativa (-14) c’è picco di volume corrente. Se c’è uno pneumotorace la curva della pressione
si sposta verso l’alto e ci sarà meno volume corrente.

Le soluzioni a questo punto sono due: accontentarsi di meno volume corrente, oppure fare molta più fatica
respiratoria per avere lo stesso volume corrente di prima. Questo manda in crisi il paziente con lo
pneumotorace secondario che, nella prima fase, cercherà di compensare con tachipnea e utilizzo dei muscoli
accessori, i quali, però, non si trovano già in ottime condizioni, e quindi nella seconda fase arriverà allo
scompenso.

Riguardo alla composizione dei gas all’interno del cavo pleurico c’è un po’ di differenza a seconda che l’aria
venga dalla via aerea o dall’esterno e queste differenti tensioni parziali dei gas passano dalla prima fase di
equilibrio rispettivo a una fase in cui il polmone progressivamente si espande. Questa riespansione è un
processo lento: si riassorbe l’1-2% di aria nelle 24h, quindi uno pneumotorace completo richiederà qualche
settimana, una piccola falda di pneumotorace qualche giorno.

La velocità di riassorbimento cambia a seconda dei gas: l’ossigeno è molto più rapido dell’azoto. Per questo
motivo alcuni eseguono procedure a rischio di pneumotorace facendo respirare ossigeno al paziente; in

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questo modo aumenta la concentrazione di ossigeno nell’aria ambiente e se il paziente dovesse mai andare
incontro ad uno pneumotorace, lo pneumotorace avrebbe una concentrazione relativa di ossigeno superiore
a quella di azoto e quindi verrebbe riassorbito più rapidamente.

Se consideriamo le modificazioni di volume del polmone per i delta di pressione possiamo notare una curva
a S che ricorda la curva di dissociazione dell’Hb:

parte ripida della curva: per piccoli delta di pressione ci sono grosse variazioni di volume; qui il lavoro
respiratorio è minimo, il polmone funziona bene.
parte bassa o alta della curva: servono grosse variazioni di pressione per ottenere dei piccoli volumi;
questo capita nella prima parte della curva quando il polmone ha pochissimo volume (es. polmone
atelettasico), oppure nella parte alta della curva nella quando ci sono grossi delta delle pressioni. In
tutte queste situazioni il polmone respira male, infatti quello che aumenta è il lavoro respiratorio.

L’aumento del lavoro respiratorio è in funzione del volume dello pneumotorace: più è grosso lo
pneumotorace più il lavoro aumenta.

Dalla lastra a fianco si possono vedere i segni radiologici


tipici dello pneumotorace iperteso (in questo caso sinistro).

ll polmone normale è composto da una trama di bronchi e


vasi, questi ultimi vanno dall’ilo verso la periferia e poi
ritornano, e si vedono perché contengono liquido, l’aria
invece è nera. La trama di solito si distribuisce in maniera
uniforme dal centro alla periferia, mentre quando c’è uno
pneumotorace la trama (le linee bianche) si arresta e resta
condensata solo in un punto: asimmetria di distribuzione
della trama del polmone.

Un altro elemento indicativo è la linea della pleura


viscerale staccata dalla linea della pleura parietale costale
che permette di seguire il profilo del polmone collassato.

Altri segni sono: un aumento del volume dal lato dello


pneumotorace, una deviazione controlaterale della
trachea.

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Bisogna però fare attenzione a non scambiare le linee dello pneumotorace (le quali delimitano il bordo del
polmone) con le linee normali, come quella delle scapole, per questo durante l’RX si fanno allontanare le
scapole, che altrimenti si proietterebbero lì.

Lo pneumotorace può essere solo apicale in cui il polmone è tutto espanso in laterale e alla base, oppure
apico-laterale in cui è espansa la base o completo come nel caso dell’immagine.

In teoria, sull’RX di uno pneumotorace si dovrebbero vedere tutti questi elementi, se però lo pneumotorace
è piccolo e l’RX è fatta da sdraiato, l’aria va verso l’alto, quindi anteriormente, e sulla lastra si vedrà la
proiezione del polmone che sta in basso con la sua trama, se invece abbiamo un grosso pneumotorace come
quello dell’immagine lo si vede anche da sdraiato. Quindi, se possibile è importante fare la lastra almeno da
seduto per evitare di perdersi falde.

La perdita aerea persistente


Abbiamo detto che nella gestione di questi pazienti serve sapere se c’è aria in cavità pleurica o meno, ma
soprattutto se questa continua ad uscire e ciò lo si può valutare in vari modi:
Sorveglianza: facendo un’altra lastra dopo un po’ di tempo: in questa lo pneumotorace o sarà
rimasto stabile oppure sarà peggiorato, e questo vuol dire che dell’altra aria è uscita. È importante
che le due lastre che confronto siano state fatte nelle stesse fasi del ciclo respiratorio per poterle
paragonare.
Insufflazione, ovvero l’aspirazione dell’aria, dopo di questa, se non c’è perdita attiva il polmone dal
suo stato iniziale si sarà espanso, se invece dopo aver tolto 500/1000cc di aria il polmone è rimasto
uguale, significa che l’aria ha continuato ad uscire.
Drenaggio: quando si mette un tubo nel cavo pleurico serve un meccanismo tale per cui l’aria possa
uscire dal cavo ma non possa rientrare, quindi serve una valvola unidirezionale, altrimenti quando il
paziente inspira l’aria entra nel cavo e quando espira esce e il polmone rimane sempre scollato. Per
risolvere lo pneumotorace serve un meccanismo che faccia uscire ma non entrare l’aria (come una
cannuccia: è una valvola unidirezionale). Questo lo permette il
sistema a bottiglione: esso è composto da un tubo che arriva
dal paziente ed entra in un bottiglione collegato ad una
cannula lunga posta all’estremità dentro uno strato di acqua:
se il paziente ha una perdita aerea, questa esce dalla valvola e
si vedono delle bolle nell’acqua, ma quando il paziente fa
pressione negativa, il menisco dell’acqua sale nella cannula e
l’aria non può uscire perché c’è già l’acqua. L’oscillazione di
questo menisco d’acqua dice anche se il drenaggio funziona:
se il tubo è inserito nel cavo pleurico correttamente, quando il
paziente inspira la valvola va verso alto, quando espira va
verso il basso, se c’è perdita aerea fa le bolle. Questo è il
sistema più semplice, dopo la valvola di Heimlich, per rendere
un sistema di drenaggio unidirezionale. Nel bottiglione c’è
anche una seconda cannula corta che dà verso l’esterno,
sull’aria atmosferica, se questa viene chiusa, il sistema non è più connesso all’esterno e se il paziente
ha una perdita aerea l’aria non può più uscire. Quindi la seconda cannula deve essere pervia
altrimenti il sistema diventa sotto pressione. In questo sistema esiste una resistenza all’uscita
dell’aria dato dalla valvola unidirezionale, che nel sistema del bottiglione è una valvola ad acqua e fa
una resistenza all’aria che è data dai cm di acqua in cui la cannula lunga pesca.
Oltre a questi esistono anche dei sistemi più performanti di drenaggio toracico, come sistemi di
aspirazione digitali con valvole a secco, che risolvono tutta una serie di problematiche, ad esempio

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se un paziente ricoverato con il sistema a bottiglione deve andare a fare una TC e il bottiglione da
terra gli viene posto sul letto coricato di lato, questo non funzionerà più, perché la cannula lunga non
pescherà più nell’acqua.

PNEUMOTORACE SPONTANEO (primitivo e secondario)

Primitivo
riguarda pazienti giovani, sotto i 40 anni, è tipico 15-16 fino 25 anni, alti e magri, ha una presentazione
abbastanza caratteristica e spesso, se non è il primo evento, sono pazienti che si fanno la diagnosi da soli
perché riconoscono facilmente la sensazione: oltre alla difficoltà respiratoria che un giovane può anche non
sentire troppo, c’è un dolore a coltellata evocativo nella descrizione del paziente. La conferma si ha poi con
l’RX, ma la sintomatologia orienta già molto.

La zona più interessata è quella apicale perché coinvolge spesso pazienti durante la fase di pubertà che hanno
preso molti cm in altezza e dal punto di vista dello stress meccanico la zona dell’apice polmonare è quella
che subisce le negatività più importanti ed è sottoposta a maggior stress.

La classificazione di Vanderchuren è
basata su ciò che si vede all’esplorazione
chirurgica: nel 40% dei casi di
pneumotoraci primitivi il polmone è
normale (stadio I), quindi senza alcuna
alterazione bollosa; nel II stadio non si
vedono bolle ma qualche aderenza, si
ipotizza che su quelle aderenze
precedentemente potrebbe esserci stata
qualche breccia parenchimale.

La lesione tipica dello pneumotorace


primitivo è la presenza di piccole bollicine
sotto i 2cm a livello della pleura viscerale
(blebs) che si trovano nello stadio III.

La differenza sostanziale è tra queste


blebs (piccola dilatazione) e le vere e
proprie bolle (distrofie bollose complete
del parenchima, che quando scoppiano
liberano aria in maniera importante), che
sono invece tipiche del secondario.

Il fatto di avere un polmone con solo blebs non esclude comunque la possibilità di fare uno pneumotorace
completo.

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Secondario
Riguarda pazienti che spesso hanno già una difficoltà respiratoria legata alla patologia polmonare di base su
cui se ne va a sommare un’altra. Sono paziente abituati a respirare male, che sanno che la loro patologia può
essere altalenante con esacerbazioni, e quindi i loro sintomi saranno molto meno evocativi. Può sembrare
una polmonite, un’esacerbazione di una bronchite cronica, ecc. per cui è importante fare sempre la lastra
per evitare di perdersi uno pneumotorace che anche semeioticamente è difficilmente valutabile. Può anche
non essere così importante come pneumotorace e la lesione tipica all’esplorazione chirurgica è la bolla
pleurica.

Nei casi di pneumotorace spontaneo in cui all’esplorazione non si trova nulla bisogna capire da dove arrivi
l’aria; un’ipotesi era quella delle aderenze pleuriche, ma un’altra ipotesi dice che sulla pleura viscerale ci
sono delle zone non completamente impermeabili all’aria e da cui l’aria può uscire. Per cui se si fa la
fluorescina prima di operare e poi si esplorano i pazienti con una luce particolare, si possono trovare delle
alterazioni della distribuzione di questo marcatore su delle aree che possono sembrare macroscopicamente
normali.

È importante identificare le bolle perché uno degli scopi dell’intervento chirurgico è andare a togliere quella
lesione che è alla base dello pneumotorace, però abbiamo detto che nel 30-40% dei casi del primitivo non si
capisce esattamente dove sia la lesione.

RISCHIO DI RECIDIVA

Lo pneumotorace spontaneo ha rischio di recidiva.

Per quanto riguarda il primitivo, i pazienti vanno informati che al primo episodio non c’è indicazione
chirurgica, salvo alcune condizioni, ma dal secondo episodio è consigliata l’operazione perché riduce al 5% il
rischio di recidiva che è quasi al 50%. In ogni caso, anche dopo la chirurgia, il rischio di recidiva non è mai allo
0%, quindi il ruolo della chirurgia è di ridurre il rischio di recidiva.

Per il secondario il rischio di recidiva è stimato essere attorno al 20% al primo episodio, però l’indicazione
alla chirurgia viene dall’impatto clinico dello pneumotorace: tanto peggio è tollerato, tanto più ci sarebbe
indicazione alla chirurgia, considerando però i rischi sul paziente.

Quindi quando ci si trova davanti ad uno pneumotorace bisogna sempre:

1. Chiedersi se è da drenare o meno


2. Chiedersi se è da operare o meno, in base a:
a. numero di episodi
b. rischio di recidiva
c. se c’è una perdita aerea persistente nonostante il drenaggio
d. rischi del paziente.

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LINEE GUIDA DELLA PRESA IN CARICO DELLO PNEUMOTORACE SPONTANEO

La prima dicotomia dell’albero decisionale è basata sulle caratteristiche cliniche del paziente:

>50 aa con fumo e significative patologie polmonari: pneumotorace secondario


In assenza di queste condizioni: pneumotorace primitivo

Se poi lo pneumotorace è di taglia superiore ai 2cm all’RX o se vi è dispnea associata bisogna prendere in
carico il paziente e fare qualcosa:

Primitivo: si fa l’insufflazione, ovvero l’agoaspirazione. Se questa risulta essere efficace il polmone si


riespande e il paziente viene dimesso con visita ambulatoriale entro 4 settimane, se invece risulta
inefficace viene posizionato un drenaggio toracico.
Secondario: si fa il drenaggio ed è previsto sempre il ricovero perché sono pazienti troppo instabili.

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Le indicazioni chirurgiche dello pneumotorace sono [tipica domanda d’esame]:

Per il primitivo se:


o è il secondo episodio
o o se nonostante il drenaggio abbia una perdita aerea persistente per più di 5 giorni
o o se è un emo-pneumotorace spontaneo (si assume che in passato il paziente abbia già avuto
episodi di pneumotorace con formazione di aderenze che possono essere vascolarizzate, se
una nuova bolla si rompe, si rompono anche le aderenze che sanguinano)
o o se lo pneumotorace è bilaterale
o o la storia di pneumotorace è bilaterale (di solito in questo caso si corregge il lato che ha
fatto lo pneumotorace per ultimo)
o categorie professionali che hanno bisogno dell’intervento chirurgico per ridurre al minimo il
rischio di pneumotorace, come piloti di arerei caccia per poter riprendere l’abilitazione al
volo devono dimostrare che hanno fatto un intervento efficace, o i subacquei.
Per il secondario: l’intervento è raccomandato anche dal primo episodio in funzione dello stato
clinico del paziente e della sua tolleranza allo pneumotorace, considerando sempre i rischi operatori
che questi pazienti fragili corrono.

TRATTAMENTO CHIRURGICO

È composto da due gesti, il primo gesto chirurgico consiste nel togliere le bolle dove ci sono, il secondo
nell’effettuare la pleurodesi, in modo da fare attaccare il polmone alla parete toracica per ridurre di recidiva.

L’intervento viene eseguito per via mininvasiva, si fanno circa 2-3 buchi, si entra con la telecamera e si
cercano le bolle, le quali vengono resecate e poi si fa la pleurodesi.

La pleurodesi può essere effettuata in tre modi:

abrasione pleurica: si gratta la parete della cavità, questo genera una reazione infiammatoria e
quando la pleura parietale e viscerale si toccano si fondono
pleurectomia: è la rimozione della pleura parietale, in questo modo il polmone tocca la parete
toracica e vi si incolla perché non trova più la superficie pleurica su cui è abituato a scivolare.
Talcaggio: si inietta del talco che genera una reazione infiammatoria che fa incollare le due pleure.

Tra queste diverse procedure ciò che cambia è il rischio di recidiva; l’abrasione pleurica ha un rischio di
pneumotorace tra il 5 e il 10%, mentre la pleurectomia e il talcaggio hanno un rischio di recidiva inferiore al
5%. Il problema è che spesso sono pazienti giovani che magari dopo qualche anno dovranno farsi operare di

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qualcos’altro. Quindi solitamente si sceglie l’ipotesi più efficace dal punto di vista funzionale e si cerca di
motivare il paziente a smettere di fumare, che è il fattore di rischio più importante per la recidiva.

Gli pneumotoraci secondari sono più difficili da operare, ad esempio un paziente con fibrosi cistica magari in
un futuro potrà fare un trapianto e l’avergli fatto un talcaggio metterà il chirurgo che dovrà effettuare il
trapianto in grande difficoltà. Inoltre un conto è togliere una piccola bollicina ad un giovane, un conto è
togliere un complesso distrofico bolloso importante in un paziente enfisematoso.

L’operazione nel giovane di solito non ha complicanze maggiori, il rischio di mortalità è minimo (dovuto
soprattutto all’anestesia generale che è un rischio per chiunque), nel secondario, invece, la mortalità post-
operatoria è del 10%, è difficile capire quali pazienti operare e in quali fare altri trattamenti meno efficaci ma
che non comportino un rischio di morte.

PNEUMOTORACE CATAMENIALE
Insorge entro 36 ore-5 giorni dall’ inizio del ciclo mestruale.
Come si può vedere dalla tabella, a volte è correlato
all’endometriosi toracica, ma esiste anche lo
pneumotorace non catameniale (quindi non in
corrispondenza del ciclo) correlato all’endometriosi.

L’età media delle pazienti è tra i 30-50 anni e l’associazione


con l’endometriosi pelvica si ha nel 20-50% dei casi.

La presenza o meno dell’endometriosi si verifica solo con la


chirurgia, ma la cosa importante di fronte ad una paziente
con queste caratteristiche è pensare a questo tipo di
pneumotorace.

Nell’immagine si possono vedere delle irregolarità diaframmatiche che


possono essere all’origine dello pneumotorace catameniale: i forami nella
superficie diaframmatica (attraverso cui può passare l’aria che fuoriesce
dalle tube durante il ciclo mestruale) e i noduli di endometriosi sul
diaframma.

Ipotesi eziopatogenetiche:

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PNEUMOTORACE POST-TRAUMATICO
Dello pneumotorace iperteso e dell’enfisema sottocutaneo si è già parlato nella scorsa lezione, quello che si
vede bene in questa lastra sottostante sono le due pleure mediastiniche, perché l’aria ha disseccato tutto
quanto, anteriormente c’è solo aria e tutti i vasi sono dietro. Questi casi si vedono soprattutto negli
pneumotoraci post-traumatici e bisogna tenere presente che molti dei pazienti che muoiono nel trasporto
dal luogo dell’incidente all’ospedale muoiono per pneumotorace; su 450 autopsie si è visto che 195 erano
morti di pneumotorace (verificati con una TC post-mortem).

Le linee guida per lo pneumotorace post


traumatico indicano la necessità di
posizionare un drenaggio toracico
laddove sia richiesta una ventilazione a
pressione positiva, oppure un’anestesia o
soprattutto laddove ci sia il rischio che
diventi uno pneumotorace iperteso.

PNEUMO-MEDIASTINO
È una condizione particolare, rara, che può insorgere spontaneamente nei giovani o essere legato al
barotrauma (nei pazienti intubati e ventilati). La presenza di aria nel mediastino può anche essere dovuta ad
un buco nella trachea o nell’esofago, quindi la diagnosi di pneumomediastino è una diagnosi di esclusione,
e si prende in considerazione in un paziente che non ha motivi di avere perforazioni esofagee o tracheali ma
che arriva in PS con un po’ di rinolalia ed enfisema cervicale e alla lastra non si vede granchè.

La TC potrebbe fare vedere l’origine del pneumomediastino, ovvero la lacerazione da barotrauma a livello di
alcuni bronchioli segmentali o distali. Se si rompe il parenchima di fianco a delle strutture bronchiali, l’aria,
come via a minore resistenza trova le vie bronchiali, risale fino all’ilo e arriva al mediastino, da qui può poi
salire fino al collo e diventare palpabile.

Il segno del pneumomediastino è la rinolalia, poi quando l’aria arriva a livello cervicale darà enfisema
sottocutaneo. Questo fenomeno, che si chiama effetto Macklin, si può avere anche in pazienti intubati e
ventilati, se il parenchima si rompe di fianco alle vie aeree l’aria risale fino al collo e il paziente si gonfia
improvvisamente.

70
DRENAGGIO TORACICO
[non ha ancora caricato le slide]

La valvola di Heimlich (è lo stesso della manovra di Heimlich) è un altro sistema, oltre a quello del bottiglione
citato prima, per effettuare un drenaggio unidirezionale. Il problema del bottiglione era il trasporto del
paziente con il drenaggio toracico. Questa è una valvola a secco (non ad acqua) a dito di guanto tagliato al
fondo: quando il paziente espira l’aria passa nel dito e esce, ma quando inspira le pareti collabiscono e l’aria
non può entrare, è un sistema molto più semplice ma anche più pericoloso, poichè è una valvola
unidirezionale con un verso e se la si monta al contrario si crea uno pneumotorace iperteso perché l’aria
continua ad entrare dall’esterno ma non può uscire. Allo stesso modo se si attacca la valvola di Heimlich ad
un sacchetto di plastica come quello delle urine, se c’è la perdita aerea dovuta allo pneumotorace, l’aria entra
nel sacchetto che si gonfia fino a raggiungere la sua massima espansione e a quel punto il sistema non
funzionerà più, perché l’aria non si può scaricare.

Il funzionamento della valvola ad acqua è già stato spiegato precedentemente, essa è il meccanismo di base
di molti dei sistemi di plastica che si usano per il drenaggio pleurico in ospedale. Nei sistemi in plastica oltre
alla valvola unidirezionale sono anche presenti la cannula di raccolta e quella di aspirazione. La valvola
unidirezionale e la cannula di raccolta sono nello stesso bottiglione, però se il paziente perde sangue questo
finisce nel primo bottiglione, ed essendo la resistenza all’aria data dai cm di acqua, se si accumula tanto
liquido la resistenza aumenta, quindi in questi sistemi si sdoppiano o triplicano le camere: nella prima si
raccoglierà il sangue, nella seconda ci sono la valvola unidirezionale e la cannula di raccolta e qui è dove il
liquido (in questa camera l’acqua) ha il livello più basso, nella terza camera c’è la cannula di aspirazione.

Se si vuole aspirare un drenaggio toracico non lo si può attaccare direttamente al muro perché darebbe delle
depressioni altissime, serve quindi una camera di aspirazione specifica (terza camera) per applicare delle
pressioni controllate, in cui c’è un livello più alto di liquido. Quando si attacca il sistema al muro nella terza
camera si formano delle bolle che vengono dall’aria atmosferica, mentre quelle della seconda camera
vengono dal paziente. Quindi se il sistema funziona e il paziente perde aria ci saranno bolle nella seconda
camera e bolle nella terza camera che arrivano dalla cannula lunga che pesca dall’acqua e che fa sì che entri
dell’aria quando c’è troppa negatività nel sistema.

[Ci sarebbe da mettere una bella slide che illustra schematicamente il sistema che però non ha ancora
caricato e non so se caricherà mai]

Esistono anche dei sistemi disposable e dei sistemi digitali, che funzionano con lo stesso principio, solo che
la valvola unidirezionale è meccanica quindi non c’è il problema dell’acqua e successivamente c’è un
motorino di aspirazione che consente di staccare il paziente dall’aspirazione al muro e mandarlo in giro.

Il professore proietta un video che mostra l’inserimento di un drenaggio toracico, ciò su cui pone l’attenzione
è come l’ago perde resistenza quando passa la pleura parietale, questo è un momento in cui bisogna fare
molta attenzione perché se si sta spingendo senza un corretto meccanismo di sicurezza si rischia di pungere
il polmone.

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09/12/21
Prof. Leo
Sbobinatore: Eleonora Dalmasso
Revisionatore: Laura Tavaglione
Domande sulla lezione precedente
Rottura aortica: in caso di importante decelerazione le porzioni cuore-arco e aorta discendente diventano asincrone, ma
quale delle due si comporta da parte fissa e quale da parte mobile? Anatomicamente la parte più mobile è quella costituita
dal cuore e, in particolare, dall’arco aortico, mentre quella fissa dall’inizio dell’aorta discendente. In caso di forte
decelerazione, come ad esempio in seguito a una brusca frenata, l’energia cinetica agisce su tutte le strutture, ma le
strutture più mobili -quindi l’arco- possono muoversi di più rispetto a quelle fisse. La rottura è quindi determinata dalla
presenza di una struttura fissa che non segue il movimento della parte più mobile. (A livello delle vie aeree la struttura
fissa è composta da trachea e prime via aeree, mentre la struttura più mobile è il polmone.)
Emotorace: se il paziente è emodinamicamente instabile lo si porta direttamente in sala operatoria per effettuare un
drenaggio: è corretto dire che questa operazione è finalizzata esclusivamente a evacuare il torace e non a ristabilire
l’emodinamica? Il drenaggio può consentire di evacuare completamente l’emotorace e, quindi, permettere di valutare se
c’è ancora sanguinamento attivo o no: se non c’è sanguinamento attivo si può magari anche decidere di non operare il
paziente. All’estremo opposto vi è il caso in cui non si riesce a drenare l’emotorace a causa di un sanguinamento attivo
da parte di un’importante struttura vascolare (es. aorta): in tal caso per stabilizzare il paziente è necessario intervenire
chirurgicamente.
Riconoscere come causa dell’instabilità emodinamica il sanguinamento toracico è facile in caso di traumi localizzati (es.
ferita da arma da fuoco), ma se il paziente è politraumatizzato (es. con frattura di bacino, sanguinamento toracico, frattura
di femore, frattura vertebrale con ematoma ecc.) risulta più complicato: si potrebbe iniziare a drenare il distretto pelvico
per farsi un’idea dell’entità del sanguinamento, per poi magari passare all’indagine sul torace in un secondo momento.
In sala operatoria, la tipologia di accesso dipende dal tipo di emotorace su cui si interviene: ad esempio, se il
sanguinamento ha origine cardiaca si può preferire un approccio sterno-toracotomico invece che toracotomico. Quando
la causa dell’emotorace non è nota si è invece obbligati ad essere più invasivi: ad esempio se l’emotorace è bilaterale può
essere necessario optare per una toracotomia bilaterale con sternotomia.
Il drenaggio e la successiva valutazione dello stato del sanguinamento si attuano anche in caso di paziente con emotorace
stabile emodinamicamente (ad esempio per frattura costale).
Infine, l’Rx torace è sempre necessaria per controllare il corretto posizionamento del drenaggio stesso, ma può anche
essere utile per evidenziare la presenza di corpi che pongono indicazione per un toeletta chirurgica. Sarebbe bene
eseguire una Rx anche dopo la rimozione del drenaggio al fine di evidenziare complicanze quali lo scollamento del
polmone (anche se, in caso di fratture costali, si sviluppano spesso aderenze e lo scollamento, se avviene, è solo parziale).

VERSAMENTO PLEURICO BENIGNO E METASTATICO


I versamenti pleurici rientrano nel vasto ambito della patologia pleurica e costituiscono un evento frequente
che può essere causato da diverse situazioni. Fare diagnosi può essere a volte molto facile, ad esempio in caso
di:
• Trauma toracico, che si accompagna a emotorace;
• Chilotorace, in quanto riconoscibile già alla toracentesi grazie al colore bianco latte del liquido drenato
dal cavo pleurico;
• Versamenti che si accompagnano ad altre manifestazioni patologiche come la polmonite. In tal caso il
versamento può essere espressione puramente reattiva della pleura all’infiammazione o essere causato
dalla colonizzazione della pleura stessa da parte di batteri anche diversi da quelli che colonizzano il
polmone (tale colonizzazione potrebbe però non essere rilevata in caso di prelievi troppo precoci o
troppo tardivi, dove il materiale risulta ormai purulento).
In altri casi differenziare i versamenti pleurici non risulta altrettanto facile: oltre agli eventi sopra descritti, infatti,
i versamenti possono essere determinati da una lunga serie sia di cause benigne sia di cause maligne.
Quest’ultime comprendono sia tumori primari della pleura (es. mesotelioma) sia metastasi a localizzazione
pleurica originate da tumori di altri distretti.
Un aiuto nella diagnosi può arrivare dalla clinica (ad esempio se mancano sintomi respiratori e non c’è febbre,
è difficile che il versamento sia determinato da una polmonite) e dall’analisi del liquido drenato (ad esempio
se è purulento ci si trova in presenza di un empiema, una complicanza del versamento infettivo).

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La vastità eziologica di tale patologia, pertanto, rende necessaria la differenziazione dei vari tipi di versamento
partendo dalla distinzione tra cause oncologiche e non, nell’ottica di dare una risposta definitiva al paziente e
garantirgli un’adeguata presa in carico.
[Tale patologia ha interesse chirurgico essenzialmente per due motivi:
1. l'aspetto diagnostico, quindi stabilire se il paziente ha una patologia benigna o maligna;
2. gli effetti e le conseguenze, in quanto il cavo pleurico pieno di liquido genera dispnea; alcuni di questi
versamenti hanno la caratteristica di tendere alla recidiva (soprattutto quelli metastatici) e un conto è
la gestione del sintomo, uno conto è la gestione della recidiva.]

FISIOLOGIA PLEURICA
Il cavo pleurico non è secco, ma presenta una minima quota di liquido pleurico con funzione lubrificante che
facilita durante gli atti respiratori lo scorrimento tra la superficie pleurica viscerale e quella parietale -che si
muove meno rispetto alla prima-; tale scivolamento è ben visibile durante l'ecografia toracica con il segno dello
sliding pleurico (si tratta di un segno di esclusione di pneumotorace).
Il volume del liquido pleurico è di 0,3 mL/Kg o di circa 21 mL in un individuo di circa 70 Kg ed è mantenuto
costante grazie all’equilibrio dinamico tra:
• produzione, da parte della pleura parietale tramite un sistema di filtraggio microvascolare
• assorbimento, grazie ai canali linfatici viscerali e parietali

In realtà, generalmente, il polmone e la pleura viscerale sono esenti dalla dinamica di produzione e
riassorbimento della pleura parietale, e ciò è dovuto alla presenza della matrice extra- alveolare -laddove sia
integra-, ma anche allo spessore della pleura viscerale (funzionale alla tenuta aerea).
Lo spessore della pleura viscerale è infatti elevato in rapporto a quello della parietale, in quanto la prima è
spessa all'incirca 100 µm, mentre la seconda solamente 20 µm. Entrambe le pleure sono ricoperte da un

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rivestimento di cellule mesoteliali, saldate tra loro mediante tight-junctions e desmosomi, con spessore di circa
4 µm.
La pleura parietale, però, presenta a livello di tale rivestimento numerose lacune (stoma) distribuite lungo
tutta la sua superficie, seppur con una densità molto più bassa a livello della pleura costale (100/cm2) rispetto
a quella della pleura diaframmatica e mediastinica (8000/cm2). Le lacune non sono visibili alla toracoscopia,
ma a livello della superficie pleurica sono visibili delle zone indentate [25’]* date dall’accumulo di liquido nelle
aree (dette foci di Kampmeier1-non importante da ricordare-) in cui vi è una maggiore concentrazione di stoma.
Gli stoma costituiscono degli importanti punti di drenaggio linfatico e sono funzionali al riassorbimento del
liquido pleurico.
* NdR L’audio disturbato non ha permesso di comprendere con certezza l’aggettivo attribuito a tali zone. “Indentate” è un
termine utilizzato per descrivere le cicatrici “bucherellate” lasciate dall’acne e potrebbe quindi essere coerente. Nella
lezione dello scorso anno il professore parlava di zone “cribriformi, spugnose”.
Nella gestione della quantità di liquido pleurico intervengono sia il differenziale tra le pressioni idrostatiche sia
quello tra le pressioni oncotiche (il liquido pleurico è ipooncotico rispetto al plasma, contenendo 1 g/dl di
proteine). In particolare, la produzione di liquido è maggiore a livello apicale per ragioni legate alla pressione
idrostatica; dopodiché esso scende per gravità e viene riassorbito dalle lacune. In caso di necessità la
produzione e, di conseguenza, il drenaggio del liquido pleurico possono essere aumentati di 15-20 volte,
permettendo così un continuo ricambio.
[La produzione di liquido è causata dal gradiente fra pressione idrostatica e colloidosmotica; la risultante fa sì
che la pressione alla base del cavo pleurico sia pari a -1/-2 cm d'acqua, ma a mano a mano che si sale verso
l'apice la negatività aumenta (di circa 1cm d'acqua per ogni cm di altezza del torace). Questo significa che esiste
un gradiente di produzione di liquido che va dall'apice al cavo pleurico. Il liquido prodotto viene controbilanciato
dall'assorbimento attraverso le lacune (che infatti sono maggiormente presenti a livello mediastinico) e i vasi
linfatici della pleura parietale.]
Il versamento pleurico si verifica quando si ha un disequilibrio tra le fasi di produzione e di assorbimento:
generalmente la causa è un meccanismo che impatta soprattutto sulla capacità della pleura parietale non tanto
di produrre, ma di riassorbire i liquidi (ciò avviene ad esempio nel caso delle patologie linfoproliferative del
mediastino).

CARATTERISTICHE GENERALI DEL VERSAMENTO


(Integrazioni da slides e lezione dell’anno precedente)

[In generale il versamento può:


• Essere unilaterale/bilaterale
• Essere libero nel torace (molto più semplice da drenare) o saccato/pluri-concamerato
• Determinare atelettasia parziale/completa del parenchima polmonare a seconda dell'entità del
versamento; l’atelettasia colpisce inizialmente i lobi inferiori (il liquido si posiziona in maniera declive).
• Causare, se massivo, lo sbandieramento (spostamento) del mediastino
È importante fare DD fra versamento massivo e atelettasia totale del polmone: entrambi sono bianchi in Rx, ma
se l'asse tracheale è attratto dal lato dell'anomalia si tratta di un’atelettasia perché il polmone stira il
mediastino; se l'asse tracheale è spostato dal lato controlaterale si tratta invece di un versamento pleurico
massivo perché il liquido spinge il mediastino. È importante distinguere le condizioni perché si rischia di porre un
drenaggio presumendo vi sia un versamento massivo, ma non drenare nulla perché si tratta di un'atelettasia.]

CLINICA
In presenza di un cavo pleurico che si riempie progressivamente di liquido, il sistema polmone-parete toracica
si disaccoppia (esattamente come accade nel paziente con pneumotorace) e il liquido comprime le strutture

1
Da internet: consistono in aggregati di macrofagi, linfociti, plasmacellule, mastcellule, cellule mesenchimali
indifferenziate attorno a dei vasi capillari e linfatici, la cui funzione è quella di partecipare alla difesa dello spazio pleurico

74
mediastiniche determinando una DISPNEA, sintomo principale del versamento pleurico e indicatore della
funzione respiratoria del paziente.
[Piccoli versamenti (per esempio circa 500cc di liquido), possono anche essere asintomatici, e la diagnosi viene
fatta perché in RX scompare l'angolo costo-diaframmatico. Il versamento diventa sintomatico o quando
diventa di una certa importanza (1 - 1,5L) o se c'è un paziente con una ridotta funzione respiratoria a priori
(es: paziente postpneumectomia con una piccola falda di versamento a livello dell'unico polmone che ha).]
È importante indagare le caratteristiche della dispnea per orientarsi nella diagnosi, ponendo al paziente
domande quali:
- in quanto tempo si è instaurata? Spesso la sintomatologia è ingravescente (il paziente riferisce
progressivo peggioramento nelle attività quotidiane, come ad esempio nel salire le scale) e databile;
- riesce a dormire sdraiato? [Il paziente può rivelare inoltre che non riesce a dormire sdraiato, oppure che
riesce a dormire solo sul lato del versamento -perché il polmone libero riesce così a ventilare
correttamente- e non dall'altro]
[Inoltre, possono essere presenti:
• tosse
• dolore toracico
• altri sintomi correlati all’eziologia]: è necessario ad esempio indagare possibili segni indicativi di
neoplasia, tenendo conto che si possono presentare quadri che vanno da pazienti asintomatici fino ad
arrivare a pazienti defedati à la prognosi sarà molto diversa e a questa sarà correlata anche la
possibilità di intervenire chirurgicamente, in quanto la prima categoria di pazienti ha “solo” il problema
di gestione del liquido e quindi un intervento chirurgico è sensato, mentre il secondo (defedato, con
metastasi ecc.) ha una prognosi talmente infausta che può non avere senso intervenire.

SEMEIOTICA
All’esame obiettivo (importantissimo!) si riscontra:
• Quando unilaterale, asimmetria di espansione dell’emitorace colpito rispetto al sano;
• Fremito vocale tattile ridotto;
• Ottusità alla percussione (da non dimenticare)à ci si accorge fino a dove risale il liquido, orientando
nella realizzazione della toracentesi;
• Murmure ridotto o assente all’auscultazione
[Dal punto di vista della semeiotica strumentale è stata già citata l'RX del torace, ma estremamente utile può
essere l'ecografia toracica, che può far vedere il versamento, i tralci di fibrina dei versamenti multiloculati e i
limiti del torace nel caso in cui sia necessario drenare. L'altro esame chiave è indubbiamente la TC del torace,
che permette di valutare la condizione del parenchima sottostante, la concamerazione del versamento e la
presa di contrasto a livello della pleura parietale e talvolta dei mammelloni nel caso in cui sia presente una
patologia oncologica.]

PERCORSO DIAGNOSTICO E GESTIONALE


ESSUDATO vs TRASUDATO: CONCETTI GENERALI
Come già ricordato, il liquido pleurico è iponcotico (1 g di proteine/dl), in quanto la pleura è poco permeabile
al passaggio di proteine. Pertanto, il riscontro di una quota importante di proteine nel liquido raccolto
mediante toracentesi è indice di un alterato meccanismo di permeabilità -e quindi di malattia della pleura-: si
parla in questo caso di ESSUDATO, in generale espressione di un fenomeno infiammatorio o di patologie
oncologiche.
(Dalle slides) Essudato: liquido infiammatorio extravascolare che si raccoglie nei tessuti sottoposti a
flogosi. = Miscela di proteine e cellule in ambiente acquoso.
Se arricchito da globuli bianchi e batterià liquido purulento.

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• Se questo essudato purulento si raccoglie in una cavità:
o preformata, si ha un EMPIEMA;
o neoformata, si ha un ASCESSO.
Le cause possono essere:
• INFETTIVE: polmonite, TB. à ESSUDATO PURULENTO: plasma + neutrofili (attivi e morti) +
fibrinogeno + cellule necrotiche.
• INFIAMMATORIE: infarto polmonare, AR, LES à ESSUDATO FIBRINOSO: composto da
fibrinogeno e fibrina. Tipico nella cardite reumatica.
• ONCOLOGICHE: ca broncogeno, MTS polmonari/pleuriche, MPM, linfangite carcinomatosa à
ESSUDATO MALIGNO (o canceroso): versamento pleurico in cui sono presenti cellule tumorali.

Meccanismo diverso è quello della produzione di TRASUDATO: in questo caso il contenuto di proteine non è
alterato, ma vi è un problema che riguarda le pressioni idrostatiche.
Il trasudato si forma spesso, ad esempio, per un aumento della pressione idrostatica a seguito di scompenso
cardiaco sx: l'aumento del liquido nello spazio interstiziale porta la pleura viscerale a diventare permeabile.
Nello scompenso cardiaco dx, invece, la produzione di trasudato è causata dall'aumento delle resistenze che
si ripercuote a monte sulla pressione delle vene intercostali della pleura parietale.
L’aumento delle pressioni permette, infatti, un accumulo di acqua nell’interstizio polmonare fino a generare
un accumulo di liquidi nel cavo pleurico: il problema, pertanto, non risiede tanto nel cavo pleurico, quanto si
ripercuote a questo livello. Per risolvere in modo definitivo il versamento è quindi necessario risolvere il
problema a monte, ovvero la patologia che lo ha causato.
In particolare, i trasudati sono generalmente legati a una malattia sistemica che ha un impatto sulle pressioni
(scompenso cardiaco, cirrosi epatica, insufficienza renale, sindrome nefrosica) e a tutte le condizioni che
riducono la pressione oncotica nel sangue, con i liquidi che si spostano nel senso di riduzione del gradiente
(ovvero si spostano dalle zone in cui le proteine sono meno concentrate a quelle in cui sono più concentrate);
(Dalle slides) Trasudato:
o liquido dal plasma sanguigno filtrato attraverso le pareti dei capillari;
o si raccoglie negli spazi interstiziali (edema) o nelle cavità sierose;
o si differenzia dall’essudato per la sua più bassa densità e basso contenuto proteico.
I trasudati sono causati da alterazioni della pressione idrostatica o della pressione oncotica (stasi
circolatoria venosa o linfatica; alterazioni dell’equilibrio osmotico/oncotico; lesioni tossiche delle pareti
dei capillari)
La distinzione tra essudato e trasudato permette di orientarsi relativamente alla diagnosi e alla gestione del
paziente stesso: ad esempio un paziente con cirrosi epatica e con trasudato pleurico è un paziente
estremamente complesso da trattare, perché è la patologia epatica ad essere la responsabile del versamento;
diverso è invece il caso paziente con produzione di essudato da reazione infiammatoria, che quando si risolve
comporta il riassorbimento del liquido.

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CAUSE EZIOLOGICHE DI ESSUDATO E ALGORITMO DIAGNOSTICO
Più nello specifico, le patologie potenzialmente responsabili di essudato pleurico sono numerose e raccolte in
una lunga lista -che può disorientare-, in cui si ritrovano ad esempio: patologie neoplastiche, embolia
polmonare, patologie gastrointestinali (es. pancreatite). Tuttavia, la clinica ad esse associate è il più delle volte
indicativa: il quadro di un paziente con versamento di natura infettiva è differente da quello con embolia, così
come da quello del paziente con rottura dell'esofago (sindrome di Boerhaave).
Per semplificare, gli ambiti di interesse per il chirurgo sono vari, tra cui:
• patologia neoplastica (primaria o secondaria) [I versamenti neoplastici sono dovuti alla presenza di
malattia metastatica o primitiva. Sostanzialmente, il modo in cui le patologie oncologiche generano
versamento massivo e recidivante è dovuto al fatto che la lesione infarcisce gli stomi o lacune.]
• patologia infettiva: i segni e i sintomi sono generalmente indicativi, ad eccezione di alcuni casi di TBC,
in cui la diagnosi può essere una “sorpresa” al momento della biopsia chirurgica.

• Altre condizioni, quali:


o danni iatrogeni: [una situazione classica è il versamento pleurico post chirurgia cardiaca,
legato o all'insulto infiammatorio del gesto chirurgico o più raramente a una risposta
immunitaria da pericardiotomia su antigeni specifici esposti in corso di intervento (versamenti
pericardici associati eventualmente a versamento pleurico à sindrome di Dressler)].
o trapped lung: [è una condizione che deriva dal fatto che il polmone non si espande al 100% à
se la camera pleurica è vuota (e se ovviamente non c'è una perdita d'aria consistente,
altrimenti si forma una pneumotorace) si riempirà di liquido. In questo caso il trattamento è
difficile, perché il polmone non potrà andare a occupare lo spazio e appena il liquido viene
rimosso, tenderà a riformarsi.]
o versamenti pleurici farmaco correlati: si tratta di un evento piuttosto raro, maggiormente
associato ai farmaci elencati al punto 12 (non nominati dal professore).
o sarcoidosi: potrebbe causare un versamento pleurico, tuttavia tale fenomeno non risulta
usuale (è più comune che la patologia provochi un interessamento linfonodale che poi si
ripercuote a livello polmonare);
o patologie autoimmuni
Il primo passo per acquisire informazioni relative al versamento pleurico è effettuare un’analisi del liquido,
misurando:
• proteine: se il rapporto tra quantità di proteine nel liquido e quantità di proteine nel siero è > 0,5
(ovvero > 50%) si pensa a una patologia pleurica che abbia alterato il meccanismo di impermeabilità
alle proteine che il cavo pleurico dovrebbe avere à essudato. NB è preferibile utilizzare il rapporto

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rispetto ai valori assoluti espressi in g/L,
perché se il paziente è defedato avrà una
componente proteica minore che potrebbe
trarre in inganno.
• LDH: se è di 160-200 unità/litro o in caso di
rapporto tra LDH del siero e del cavo pleurico
> 0,6 à essudato
Una volta a conoscenza di essere nella categoria
dell’essudato, si possono avanzare una serie di
ipotesi escludendo prima di tutto il contesto infettivo
e quello neoplastico:
• Dosaggio del glucosio: se i valori sono bassi
(< 60 mg/dl), si sospetta una patologia con
eziologia infettiva o neoplastica
• Misura del pH: se è basso può indicare un
consumo del glucosio nel cavo pleurico (e
quindi può presentare una correlazione con
i bassi valori di glucosio), ma è in realtà un
valore che orienta più che altro
sull’indicazione al posizionamento del
drenaggio pleurico in caso di polmonite (ad
esempio un versamento pleurico
metapneumonico con pH < 7.2 è più
soggetto a organizzazione e, quindi, prima si
drena e meno vi sarà il rischio di una sua
organizzazione).
• Citologia, al il fine di indagare la patologia
neoplastica. È un esame che presenta lo
stesso significato dell’agobiopsia per il K
polmone: se è positiva si è ragionevolmente
sicuri di essere in ambito di patologia
neoplastica, mentre se è negativa non si può
escludere la patologia neoplastica con
certezza à è un esame da fare soprattutto
se non è stata individuata un’eziologia
chiara, ma l’esito negativo non esclude con
certezza l’ambito oncologico.
Non bisogna ovviamente mai dimenticarsi di
effettuare una corretta anamnesi: la
maggioranza dei versamenti oncologici è
data dalla presenza di metastasi, quindi
l’anamnesi oncologica non sarà silente; nel
paziente con anamnesi oncologica silente si
sospetta invece una nuova insorgenza e la
diagnosi sarà più orientata verso il
mesotelioma. Vi è quindi l’indicazione a
ricercare un’eventuale esposizione
all’amianto, tenendo conto tuttavia che ci sono pazienti con anamnesi negativa per esposizione che
però sviluppano comunque il mesotelioma, oppure che non riferiscono un’esposizione diretta, ma
avevano familiari esposti (esempio classico: paziente che lavava i vestiti del convivente esposto
professionalmente in fabbrica) o ancora che non sono a conoscenza di essere stati esposti al materiale.

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ESITI POSSIBILI DOPO TORACENTESI
In presenza di un versamento pleurico la problematica principale risulta però essere la gestione del liquido,
che dipende da come si comporta il polmone in seguito all’aspirazione. Esso può infatti andare incontro a due
condizioni diverse:
• recupero immediato: il polmone ritorna ad un’espansione del 100%, quindi si può pensare
verosimilmente che il versamento non recidivi;
• trapped lung à il polmone risulta intrappolato: se la patologia pleurica causante il versamento causa
contestualmente una pachipleurite a livello della pleura viscerale, provoca l’intrappolamento del
polmone stesso in una determinata posizione. All’Rx di controllo effettuata in seguito al drenaggio del
versamento (toracentesi) si visualizzerà un polmone piccolo, con una grossa camera pleurica vuota che
ricreerà progressivamente il liquido a causa della pressione negativa (generalmente si tratta di
essudati).
In sintesi, dunque, la strategia di presa in carico del paziente con versamento deve tenere in conto degli
elementi relativi a:
1. Diagnosi: mediante la toracentesi viene prelevato liquido pleurico, che può essere analizzato anche
mediante l'esame citologico. Si può arrivare ad avere una diagnosi di versamento oncologico, tuttavia
una citologia negativa non esclude la presenza di un tumore: se dal punto di vista clinico il sospetto
persiste, è necessario approfondire con esami istologici.
[Si considerano le caratteristiche del versamento: un liquido emorragico in toracentesi è indicativo di
tumore, un liquido simile al latte indica chilotorace, il pus indica empiema]
2. Gestione: il paziente con versamento pleurico è dispnoico, e ciò costituisce un problema da gestire.
[Un aspetto importante da considerare è anche il grado di riespansione del polmone a seguito della
toracentesi: se, asportando il liquido, il polmone non ritorna al suo normale volume la gestione del
paziente cambia.]
3. Recidiva: il versamento recidiva? in quanto tempo? à È differente prendere in carico un paziente il
cui versamento si riforma dopo un anno piuttosto che dopo una settimana.
à L’indicazione chirurgica è la risultante di tutte queste componenti considerate insieme.

VERSAMENTI PLEURICI MALIGNI


SOSPETTO DI NEOPLASIA
Nei casi in cui l’indagine sul versamento non stabilisca un’eziologia precisa bisogna cercare di acquisire altri
elementi, che possono ad esempio arrivare dalla storia clinica, tentando così di andare a differenziare storie
oncologiche da quelle non oncologiche. Il dubbio di trovarsi in presenza di un versamento su base oncologica
sorge in caso di:
• versamenti massivi (molto liquido)
• versamenti a componente siero-ematica
• versamenti ricorrenti e importanti: [il fatto che il versamento, in particolar modo se importante,
recidivi dopo la prima toracentesi deve essere considerato come sospetto per patologia oncologica,
soprattutto se vi è in anamnesi (anche patologica remota) un tumore che metastatizza a livello pleurico
quali k polmone o k mammella. In questi casi conoscere la natura del versamento (metastatico o
soltanto reattivo) cambia la gestione del paziente, perché magari un tumore primitivo polmonare che
si accompagna a un minimo versamento reattivo può ancora essere operato, mentre se il versamento
è dovuto a metastasi pleuriche no. Tuttavia, è vero anche che esistono altre situazioni in cui il
versamento recidivante è di natura benigna: trapped lung, chilotorace, post-chirurgia cardiaca.] Si
ricorda in ogni caso che le recidive non costituiscono esclusivamente un elemento utile per fare DD,
ma soprattutto comportano un disagio per il paziente: dal punto di vista chirurgico la gestione delle
recidive costituisce un elemento tanto importante quanto quello diagnostico.

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Nel tentativo distinguere i versamenti
oncologici da quelli benigni ci si imbatte nel
problema della sensibilità delle varie tecniche
diagnostiche:
• TC: la TC ha una sensibilità bassa (< il
70%) e i casi di tumori pleurici con
lesioni così importanti da essere
visibili con la TC -o alcune volte
all’ecografia- sono davvero pochi; nei
casi più frequenti si vedono solo
piccoli segni radiologici difficilmente
correlabili a un tumore.
• PET/TC: la sensibilità è aumentata
dall’uso integrato di PET/TC, tuttavia
rimane circa un 5% di falsi negativi.
• Citologia su liquido pleurico: la
sensibilità, nelle migliori delle ipotesi, è del 60% à 40% di falsi negativi. Inoltre, anche se la citologia
risulta positiva, non è detto che il patologo sia in condizione di distinguere un mesotelioma da un
carcinoma del polmone che infiltra la pleura o metastatico; oppure può accadere che il patologo indichi
la presenza di cellule mesoteliali con atipia con sospetto per mesotelioma, ma ovviamente sulla base
di un sospetto non si può stabilire un trattamento.
• Biopsia trans-toracica alla cieca: tecnica molto usata in passato da parte dei radiologi interventisti,
consiste nel prelievo di porzioni (“carote”) di pleura e nella loro successiva analisi. Se da tale esame
risultano alterazioni neoplastiche, il tumore sarà verosimilmente ovunque (specificità del 100%). I falsi
negativi superavano però il 50%.
• Agobiopsia pleurica sotto guida TC/ECO: la percentuale di FN si riduce al 10% e rimane, dunque, una
parziale incertezza.
Anche arrivando al massimo dell’invasività, pertanto, la sensibilità non arriva al 100% e, quando la malattia
non è visibile macroscopicamente, è necessario procedere con plurime biopsie alla cieca che non garantiscono
l’assoluta sicurezza.

VERSAMENTO PLEURICO MALIGNO SECONDARIO

I versamenti pleurici maligni secondari rappresentano la grande maggioranza dei versamenti pleurici di natura
oncologica. In un paziente con anamnesi oncologica positiva, la presenza di versamento pleurico permette di
identificare la presenza di una localizzazione secondaria (metastasi).

Patogenesi
1. Coinvolgimento diretto dei foglietti pleurici à reazione infiammatoria con aumentata permeabilità
microcircolo
2. Ostacolo al drenaggio linfatico mediastinico e/o parietale: il riassorbimento del liquido pleurico in
condizioni fisiologiche è estremamente efficace, ma se gli spazi addetti sono invasi delle cellule

80
neoplastiche tale funzione viene meno à la pleura genera liquido pleurico che, tuttavia, non viene
riassorbito. L’accumulo di liquido è progressivo e si manifesta con una dispnea ingravescente (compare
prima per sforzi elevati e poi anche a riposo) e impossibilità di dormire sul lato controlaterale al
versamento.
3. (Slides) Diffusione di 3° livello (es. metastasi epatiche)

Eziologia e clinica
[Dalle slides: la clinica è caratterizzata da:
• Dispnea da sforzo, algie toraciche, tosse irritativa
• Segni / sintomi:
o sistemici (anoressia, calo ponderale, …)
o correlati alla neoplasia primitiva
o correlati a un'altra metastasi
• Pazienti asintomatici (riscontro radiografico occasionale)]
Le metastasi possono provenire da:
• K polmone
• K mammella
• Tumori ematologici (linfoma)
• Altri: melanoma, sarcomi, altri carcinomi ecc.
[Mediante l'esame citologico, seguito da un istologico, si ha la possibilità di discriminare, classificare e tipizzare
il tumore (per esempio nel caso del tumore della mammella ci permette di valutare lo stato dei recettori
estroprogestinici o nel caso del tumore del polmone le mutazioni specifiche).]
I quadri clinici e prognostici associati possono anche essere estremamente diversi:
• Paziente con storia di K mammella che sviluppa versamento pleurico: il K mammella può provocare
anche a distanza di molto tempo (addirittura 20 anni) un versamento pleurico à fra le ipotesi
diagnostiche bisogna sempre pensare che tale versamento possa essere dato dalla patologia
mammaria ed è ovviamente necessario confermare il sospetto attraverso una biopsia. Si tratta spesso
di pazienti in ottime condizioni generali (il versamento può anche essere l’unico problema manifesto),
le quali, una volta gestito il discorso del versamento, possono poi essere sottoposte a trattamento con
ottima prognosi a distanza.
• Paziente con K polmone e metastasi pleuriche: la prognosi a 5 anni in questo caso è molto negativa e
al momento della presa in carico è fondamentale valutare le condizioni generali del paziente:
l’intervento non ha senso se il paziente è estremamente defedato e ha già una prognosi infausta (il
rischio di morte per effetto destabilizzante dell’intervento chirurgico è elevato e, in ogni caso, la
prognosi non ne gioverebbe molto). In caso di presenza di metastasi pleuriche è necessario capire,
inoltre, se queste coinvolgano solo la pleura o siano presenti in più distretti (e infatti nel TNM il
parametro M è diviso in tre categorie a seconda che le metastasi siano solo toraciche, oppure
extratoraciche singole o multiple) à confrontando tali dati con le condizioni generali del paziente si
può decidere se sottoporre o no il paziente ad un intervento.
Inoltre, se un paziente è in condizioni tali da non sopportare un intervento viene anche meno la
necessità di avere una diagnosi definitiva: quanto descritto sulle biopsie pleuriche ha un senso quando,
ottenuto il risultato e quindi posta la diagnosi, vi sia poi un trattamento possibile.
La sola istologia non consente l’esclusione di una correlazione tra il versamento e un tumore primitivo, ma vi
sono casi in cui la correlazione può essere esclusa grazie ad altri elementi: ad esempio se si sviluppa un
versamento pleurico in un paziente operato di tumore del polmone 20 anni prima (quindi considerato per
definizione guarito), il versamento è da imputare o a un 2° tumore polmonare o alla mts di un tumore primitivo
in altra sede o a una causa ematologica.
Caratteristiche del liquido pleurico e diagnosi
• [Aspetto macroscopico: sieroso, siero-ematico, francamente ematico

81
• Contenuto:
o linfocitosi > 50%
o proteine: 1.5 – 8.0 g/dL (più spesso > 4.0 g/dL)
o LDH elevato
o pH < 7.30; glucosio < 60 mg/dL à prognosi scadente]

Le agobiopsie possono essere effettuate sotto guida ecografica o TC.


L'esame principale è comunque la toracoscopia: si aspira il liquido presente e si entra nel cavo pleurico con un
toracoscopio, ovvero una telecamera collegata a una fonte di luce, che permette di vedere le anomalie della
pleura (sia nella porzione apicale, sia in quella diaframmatica e mediastinica) e poterne fare delle prese
bioptiche in caso di infiammazione. [Dal punto di vista pratico la pleura, invece di essere trasparente (quindi di
permettere di vedere le coste e i muscoli intercostali) è inspessita, spesso con dei veri e propri mammelloni di
tessuto fibroso sui quali si fanno dei prelievi.]
Tale indagine è molto meno invasiva della tecnica aperta (toracotomia): con una – due incisioni di solo 1.5 cm
si è in grado di evacuare il cavo pleurico, analizzarlo ed effettuare eventuali biopsie, ma anche di trattare il
rischio di recidiva (vedi di seguito).

Terapia
La scelta della terapia si basa sulle condizioni del paziente, sui sintomi, sull’aspettativa di vita e sull’istotipo
neoplasia primitiva.
• Versamento secondario noto:
o toracentesi evacuativa
§ da effettuare come prima manovra in versamento di primo riscontro
§ necessaria per la valutazione della riespansione polmonare post evacuazione
Con tale procedura, tuttavia, non si riesce quasi mai ad evacuare completamente il versamento
(alcuni autori sostengono che non si debba evacuare più di 1500-2000 cc di liquido, ma è da
tenere molto in considerazione il peso del paziente: è diverso evacuare 2000 cc in un paziente
di 50 kg rispetto a uno di 130 kg). Nel corso della procedura, inoltre, il paziente avverte un
dolore ingravescente alla spalla, dovuto al meccanismo di riespansione polmonare, che diviene
sempre tanto intenso da comportare l’interruzione della procedura (ciò vale anche nel
posizionamento di un drenaggio toracico). L’evacuazione massiva e rapida del versamento è
inoltre da evitare a causa del rischio di edema da riespansione: questo perché, a causa della
compressione data dal versamento, la matrice extracellulare viene danneggiata e, quindi,
quando il polmone riprende il suo volume normale lo spazio della membrana alveolo capillare
non è più integro, ma comincia a trasudare e si disaccoppia l’aspetto ??? [h1.15]* delle reti
vascolari. *causa audio disturbato non si è stati in grado di risalire al termine utilizzato per descrivere
l’aspetto delle reti vascolari.
o drenaggio pleurico
§ in caso di recidiva di versamento pleurico
Tale procedura permette uno svuotamento completo del cavo pleurico a patto che, in seguito
allo svuotamento massimo di 1.5 litri di liquido, il tubo venga clampato e riaperto a intervalli
per garantire uno svuotamento progressivo.

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Svuotare completamente il cavo permette inoltre di verificare l’ipotesi della presenza del
trapped lung (si valuta cioè se il polmone ritorna o meno alla parete).
• [Da slides: Versamento secondario sospetto:
o Se paziente “fit”, toracoscopia diagnostica + talcaggio pleurico
- biopsie pleuriche (esame istologico)
- talcaggio per insufflazione]
Il versamento pleurico metastatico ha tendenza alla recidiva. In caso di recidiva (anche ogni 2 o 3 settimane)
si potrebbe intervenire con la toracentesi, ma tale procedura rischierebbe di creare concamerazioni e
organizzazioni del versamento. Drenare un versamento multiconcamerato è particolarmente complesso, dal
momento che è necessario evacuare camera per camera, mentre svuotare una camera unica è molto più
semplice à dal punto di vista chirurgico è preferibile intervenire su un versamento pleurico recidivato una volta sola
piuttosto che all’ennesima recidiva.
Un’alterativa alla toracentesi è il drenaggio pleurico, che consente lo svuotamento completo del cavo e la valutazione
dell’eventuale trapped lung, ma una volta rimosso il tubo di drenaggio si potrebbe andrebbe comunque incontro a
recidiva.
Un intervento possibilmente definitivo è fare in
modo che le due pleure aderiscano (pleurodesi)
in modo tale che la pleura stessa non riesca a
riformare il versamento. Perché questo sia
possibile è però necessario che il polmone si
riespanda totalmente e ritorni alla parete; se ciò
avviene è possibile procedere con il talcaggio: [si
insuffla del talco che crea una reazione
infiammatoria da corpo estraneo, in maniera tale che le due pleure aderiscano l’una all'altra, e quindi annullare
lo spazio in cui si può accumulare liquido. L'alternativa per quei pazienti che non possono andare incontro a
intervento chirurgico è eseguire un talcaggio in sospensione acquosa (il talco in sospensione viene iniettato
attraverso il drenaggio dopo aver drenato il versamento pleurico).
La reazione infiammatoria seguente al talcaggio può dare febbre come effetto secondario, mentre il dolore è
spesso conseguente solo al talcaggio slurry. A distanza non ci sono problematiche.]
NB Bisogna ricordare che il talcaggio è una procedura non curativa, ma palliativa, e che il rischio di recidiva di
versamento non è comunque azzerato: il talcaggio riduce le recidive di versamento a patto che il polmone si
riespanda e vi sia un contatto sufficientemente duraturo fra le due pleure (almeno 3-4 giorni).
Nei casi in cui il polmone si riespande solo parzialmente (ma comunque > 70%) è possibile comunque
procedere con un tentativo di talcaggio, accettando tuttavia la riformazione del liquido nel luogo in cui il
polmone non si è riespanso.
[Alternative poco usate al talcaggio sono:
- abrasione pleurica à non si fa sulla patologia polmonare
- pleurectomia, solo in determinate situazioni]

Quando invece il polmone non si espande e le pleure non si toccano, ovvero nella condizione di trapped lung,
l'unica alternativa è mettere un drenaggio che sia pensato per restare nel cavo e attraverso il quale aspirare

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regolarmente il liquido. Vi sono due opzioni:
• Device pleur-x: il tubo di drenaggio è inserito nel cavo pleurico, poi tunnellizzato per via subcutanea
per un breve tratto e infine fatto fuoriuscire dalla cute; separando il punto di accesso al cavo pleurico
e il punto di uscita del device si cerca di ridurre il rischio di infezioni dato dal passaggio di microbi dalla
cute al cavo pleurico.
• Port pleurico: il drenaggio pleurico viene collegato a un reservoir sottocutaneo; quando si rende
necessario svuotare il cavo pleurico la membrana del reservoir viene punta con un ago di Huber e il
reservoir viene svuotato.
Entrambi i drenaggi vengono posizionati con tecnica di Seldinger: 1. si introduce nel cavo pleurico l’ago; 2. si
cala un filo guida dentro l’ago; 3. l’ago viene rimosso; 4. si inserisce un apposito dilatatore; 5. si cala il drenaggio
all’interno della guida; 6. Il filo guida viene estratto. Il drenaggio viene poi tunnellizzato nel sottocute.
Nella figura seguente sono riportate una serie di immagini relative a un riespansione incompleta del polmone
(trapped lung). Nell’immagine 5a si vede un versamento pleurico destro massivo con deviazione dell’asse
tracheale. In 5b e 5c si vede lo stesso versamento in seguito a toracentesi: il liquido è stato aspirato quasi
completamente, ma il polmone non si è riespanso. Inserendo il drenaggio vi è un po’ di beneficio, ma le due
pleure continuano a non toccarsi. [In RX si vede una linea orizzontale che per definizione rappresenta
un'interfaccia aria-liquido]. In TC (5d) si vede invece che la pleura è molto inspessita (linea bianca netta),
elemento che fa pensare a una pachipleurite viscerale nel punto in cui il polmone non riesce a riespandersi. Il
cavo toracico in questo caso non può essere talcato perché non c’è contatto tra le due pleure: si aumenterebbe
solo il rischio di infezione del liquido a causa dell’introduzione del talco e il versamento andrebbe comunque
incontro a recidiva.

Domanda di una collega: è possibile ridurre chirurgicamente la pachipleurite del trapped lung, permettendo
così al polmone di riespandersi?
à Sì, si può fare in due situazioni diverse:
• in caso di un mesotelioma in fase iniziale: si può procedere con la pleurectomia/decorticazione,
ovvero rimuovendo la pleura viscerale -che è quella che rende il polmone a tenuta aerea-. Il polmone
è però così esteriorizzato e può perdere un quantitativo d’aria anche importante: nonostante la
rimozione della superficie pleurica, pertanto, è possibile che il polmone non riesca comunque a
riespandersi a causa di tale perdita.
• quando la pachipleurite è di natura infettiva (empiema): in questo caso, se si interviene precocemente
o si aspetta a sufficienza la pachipleurite infettiva dovrebbe garantire la riespansione del polmone
(cosa che invece non capita se si sbaglia il momento di intervento).

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VERSAMENTI PLEURICI BENIGNI

Tre cause coprono > 85% dei casi:


1. Versamenti di natura infettiva (40%) quali infezioni del polmone (versamento parapneumonico), della
pleura (empiemi) e infezioni tubercolari della pleura. Tali infezioni possono evolvere in trapped lung
perché la pleura viscerale, in risposta allo stato infiammatorio, aumenta di spessore e va a formare
una sorta di rivestimento (pachipleurite), che rende il polmone incapace di espandersi. Questo è il
motivo per cui i versamenti benigni di natura infettiva vanno drenati precocemente.
2. Scompenso cardiaco (35%): la difficoltà in questo tipo di alterazione è capire quanta della dispnea è
legata allo scompenso e quanta al versamento.
3. Pleurite idiopatica/non diagnosticata (12.5%): rientrano in questa categoria quelle pleuriti che dopo
una o due toracentesi non recidivano o quelle per le quali l’indagine sul versamento non stabilisce
un'eziologia precisa.
A questi si aggiungono:
• Versamenti benigni in pazienti con prolungata esposizione ad amianto (8.3%), ricordando i casi di
esposizione atipici elencati precedentemente. In questo caso la diagnosi differenziale fra mesotelioma
e versamento benigno è quasi esclusivamente istologica.
• Altre cause meno frequenti, tra cui: cirrosi epatica (4%), insufficienza renale (3.1%), embolia
polmonare (1.8%), post stent coronarici (1.2%), reazione a farmaci (0.9%), versamenti reumatoidi
(0.9%), trapped lung (0.6%), pancreatiti (0.6%), altri (1.2%).

VERSAMENTO PLEURICO BENIGNO PARAPNEUMONICO (INFETTIVO)


La produzione di citochine infiammatorie durante l'infezione porta ad un aumento della permeabilità
vascolare, con conseguente accumulo di liquido.

[L’infezione pleurica (pleurite) può rappresentare un processo evolutivo verso:


• empiema: versamento fibrino-purulento saccato (sostanzialmente una raccolta di pus in cavo
pleurico), associato a volte a sepsi à indicazione a intervento chirurgico
• fibrotorace (sindrome restrittiva): fibrosi polmonare quando il versamento non viene trattato

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• empiema necessitatis: drenaggio spontaneo attraverso la parete toracica
• altro: fistola bronco-pleurica, pericardite, mediastinite, ascessi metastatici]

Tre sono gli step che portano alla formazione di versamento:

1. [STADIO I: FASE ESSUDATIVA


a. Liquido sieroso, libero nel cavo.
b. Equilibrio alterato tra produzione e riassorbimento del liquido à meccanismo infiammatorio(IL-
8; TNFα)
c. Liquido sterile con livelli normali di pH e glucosio
2. STADIO II: FASE FIBRINOPURULENTA
a. Il liquido inizia ad organizzarsi formando delle pluri-concamerazioni o saccature: setti di fibrina
à EVOLUZIONE IN EMPIEMA PLEURICO
3. STADIO III: FASE CRONICA
a. Ispessimento pleurico
b. Riduzione della ventilazione/perfusione polmonare (SINDROME RESTRITTIVA da fibrotorace)]
à richiede l’intervento chirurgico ed è una patologia complessa da trattare
[Clinica stadio I
Dipende dal tipo di infezione: se l'infezione è causata da batteri aerobi, si può avere evoluzione verso sepsi con
febbre, leucocitosi, escreato purulento; se l'infezione è causata da batteri anaerobi è possibile che la clinica sia
silente. In generale, in caso di ottusità alla percussione o riduzione del MV bisogna pensare alla presenza di
versamento pleurico.
Rx Torace:
• mostra l’intero spazio pleurico e può confermare/stimare la quantità di liquido presente.
• versamento massivo (>50% dell'emitorace interessato), saccato, ispessimenti pleurici
Ecografia toracica:
• mostra l’organizzazione del versamento, la presenza di setti di fibrina (versamento saccato)
• utile nelle situazioni critiche per stabilire in urgenza la necessità di toracentesi immediata.

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TC Torace:
• permette di visualizzare l’ispessimento pleurico
• l’estensione reale dell’infezione
• alterazioni parenchima
Toracentesi diagnostico-evacuativa: è il Gold Standard per la diagnosi, in quanto permette non solo di eseguire
le analisi chimico-fisiche per confermare la presenza di essudato, ma anche di valutare qual è il patogeno;
permette inoltre di risolvere temporaneamente la dispnea. Quando però il versamento recidiva, oppure la
toracentesi non ha portato alla completa evacuazione del cavo pleurico, o ancora quando il versamento
pleurico da sieroso tende al corpuscolato -ma non concamerato-, sarà necessario posizionare un drenaggio
pleurico.
La toeletta chirurgica viene eseguita in caso di:
• liquido sieroso pluri-concamerato, in quanto con il drenaggio non sarebbe possibile evacuare
completamente il cavo;
• assenza di soddisfacente riespansione polmonare dopo drenaggio pleurico (presenza di ispessimenti
pleurici che stanno incarcerando il polmone)
• empiema pleurico]

Tbc pleurica
Il versamento da Tbc pleurica non è molto frequente e la diagnosi è difficile da effettuare, a meno che il
paziente non abbia una tbc nota con lesioni polmonari e manifesti il versamento. Più spesso si giunge alla
diagnosi a partire da un versamento pleurico di natura da determinare, dove in seguito all’intervento chirurgico
e alla biopsia si vedono le lesioni granulomatose che permettono di porre diagnosi di tbc. [Ci sono tuttavia dei
segni compatibili con lesioni tubercolari:
• TB EXTRA-POLMONARE:
o Secondaria all’infezione primaria
o Versamento pleurico tubercolare nel 5% dei pazienti affetti da TB primaria
o Liquido siero-fibrinoso
• RI-ATTIVAZIONE TB:
o Associata ad empiema pleurico: raro
o Liquido corpuscolato
o Spesso si verifica quando trattamento non è stato ottimale
DIAGNOSI
Sintomi generali: febbricola, astenia, perdita di peso, sudorazione
notturna, tosse non produttiva, dolore toracico pleuritico,
dispnea (da versamento pleurico, che in realtà può essere anche
minimo come in figura).
Nelle fasi iniziali il test cutaneo della tubercolina è positivo nel
75%.]
*
L’Rx torace mostra il versamento pleurico. **
La TC Torace mostra l’ispessimento pleurico (*) e la distribuzione
del liquido (**); vi è la presenza di lesioni parenchimali in 1/3 dei
casi.
La conferma diagnostica si ottiene con l'analisi del liquido ottenuto mediante toracentesi e drenaggio pleurico:
• ESSUDATO: proteine > di 40 g/L e WBC > di 6g/L (> linfociti).
• Assenza di cellule mesoteliali desquamate
• PRESENZA DI M. TUBERCOLOSIS à prova ideale sarebbe anche il suo isolamento
[In alcuni casi, quando il solo liquido non è sufficiente o nel caso in cui debba fare una toeletta chirurgica, potrà
essere indicato fare una biopsia della pleura sulla quale fare la ricerca del micobatterio.]

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[Per riassumere, gli step della diagnosi e del trattamento dei versamenti di origine infettiva sono:
1. Toracentesi evacuativa/diagnostica
2. Drenaggio pleurico, se recidiva il versamento o se non si ha avuto una evacuazione completa
3. Toracoscopia diagnostica/evacuativa video-assistita (VATS), in recidiva di
versamento/versamento pluriconcamerato; può essere associata la decorticazione in caso di
evidenza di ispessimenti pleurici che non permetterebbero una completa riespansione polmonare.]

CHILOTORACE
Il chilotorace è definito come la
presenza di fluido linfatico nello
spazio pleurico a causa di una
rottura dei vasi del sistema
linfatico o del dotto toracico
stesso.
[Da Wikipedia: Per chilotorace si
la presenza di una raccolta
anormale di liquido linfatico nel
cavo pleurico, ovvero lo spazio
che circonda il polmone. Il liquido
linfatico che si forma
nell'apparato digestivo e che viene chiamato "chilo" può accumularsi qui a seguito di un'interruzione o di
un'ostruzione del dotto toracico. Nelle persone che seguono una dieta normale questa raccolta di liquidi può a
volte essere identificata dal suo aspetto torbido e bianco latte, questo perché il chilo contiene trigliceridi. È
importante distinguere un chilotorace da uno pseudochilotorace (una raccolta fluida nello spazio pleurico ad
alto contenuto di colesterolo), che ha un aspetto simile ma è causato da processi infiammatori cronici e richiede
un trattamento diverso. È una condizione rara ma grave. Deriva dalla fuoriuscita del fluido linfatico dal dotto
toracico o da uno dei suoi affluenti. Esistono molti trattamenti, sia chirurgici che conservativi. Circa il 2-3% di
tutte le raccolte di fluidi che circondano i polmoni (versamenti pleurici) sono chilotoraci.]
[(Dalle slides) DOTTO TORACICO:
- Drenaggio linfatico della parte inferiore e superiore sinistra del corpo nel circolo venoso; in una
persona sana e adulta, il liquido che scorre nel dotto origina per il 95% dal fegato e dall’intestino.
- Origina nella Cisterna del Chilo (di PECQUET), anteriormente alla II vertebra lombare (T10–L3) e alla
destra dell’aorta,
- Risale posteriormente all’esofago ed anteriormente ai vasi intercostali,
- In D6, il dotto passa a sinistra, posteriormente all’arco dell’aorta
- Ruolo principale: convogliare gli a. grassi a catena lunga e media al sistema venoso
Il chilotorace può essere:
• congenito (chilotorace primario): idiopatico, è la causa principale di versamento pleurico neonatale; si
verifica alla nascita o entro le prime settimane di vita e determina distress respiratorio
• traumatico, da trauma penetrante o contusivo:
o trauma contusivo: produce un’improvvisa ipertensione con rottura della colonna vertebrale e
del dotto toracico poco sopra il diaframma.
o secondario, a volte, all’emesi o a tosse violenta (sempre per un aumento della pressione a
livello toracico)
• iatrogeno, durante interventi chirurgici nel mediastino o tratto cervicale inferiore (esofagectomia,
resezione della prima costa, interventi sull’aorta, pneumonectomia sinistra, tumori del mediastino
posteriore, simpatectomia)
• neoplastico, dovuto ad invasione, compressione, embolia del dotto toracico che andrà incontro a
rottura. Cause:
o Linfoma: 50% delle cause di chilotorace secondario
o Tumore del polmone, sarcoma retroperitoneale, MTS.

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Sintomi
• da liquido linfatico nel cavo pleurico: dispnea, tosse, ipossiemia
• da CHILOPERICARDIO (raro): tachicardia, sintomi da tamponamento cardiaco]

Diagnosi
In realtà già l’aspetto del liquido drenato alla toracentesi è molto indicativo
della problematica (vedi in figura).
[Analisi del liquido pleurico (tramite toracentesi o drenaggio pleurico):
• Lattiginoso
• alta concentrazione di trigliceridi (>110mg/dL)
• la concentrazione di proteine è < 50% di quella del plasma
(caratteristica meno importante)
Diagnosi differenziale con PSEUDOCHILOTORACE, dovuto ad accumulo di
cristalli di colesterolo in un versamento pleurico cronico (da AR, TBC); in questo
caso però i livelli di colesterolo sono >200 mg/dL e sono assenti i chilomicroni.]

Terapia
1. “mettere a riposo l’intestino” con riduzione fino a quasi annullamento dell’introito di acidi grassi, in
modo da portare a una significativa riduzione del flusso linfatico. È una strategia che funziona
specialmente se il chilotorace è di piccola portata.
[(Da slides) Possibile introdurre a.grassi a catena media o corta: legando l’albumina, sono trasportati
direttamente al circolo portale]
2. Drenaggio pleurico: si rende necessario quando la portata è notevole (si può arrivare anche 1.5-2 l/die!),
ma è una operazione che fa ovviamente perdere molte proteine.
[La dieta libera non verrà re-introdotta finché non si avrà:
• evacuazione completa del cavo pleurico,
• limitate perdite liquide dal drenaggio (< 300 ml/24h), con liquido che deve diventare sieroso,
• parenchima polmonare espanso.
Il drenaggio può invece essere rimosso solo dopo essere passati alla dieta libera, in assenza di persistenza di
perdite di chilo.]
[Nel chilotorace post-traumatico e iatrogeno la risoluzione della breccia si ottiene in modo conservativo in circa
due settimane.
Nel chilotorace neoplastico il trattamento della causa oncologica (CHT/RT) può controllare la fistola
promuovendo la fibrosi locale e alleviando l’ostruzione.
La toracotomia per la legatura del dotto deve essere considerata solo in casi selezionati, tenendo conto anche
della prognosi del paziente e del suo Performance Status.]
Chirurgia
A volte può anche essere necessario chiudere chirurgicamente il dotto toracico, così come si può
eventualmente ricorrere anche a una pleurectomia o a un talcaggio.
[(Da slides e lezione dello scorso anno) Obiettivo: riduzione della perdita di chilo e massimizzazione
dell’espansione polmonare. Le opzioni chirurgiche sono:
1. legatura del dotto toracico per via toracotomica/toracoscopica oppure chiusura della breccia tramite
colle di fibrina
2. pleurectomia o talcaggio, che inducono una reazione infiammatoria che determina delle aderenze fra
le pleure in modo tale che non ci sia lo spazio dove il chimo si possa accumulare à solo se la portata
del chilotorace non è troppo importante

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3. confezionamento di shunt pleuro-peritoneali (oggi non si fa più: consisteva nel porre un lungo tubo di
drenaggio che recuperava il liquido nella pleura e, attraverso un piccolo reservoir che veniva azionato a
mano dal paziente, era pompato nel cavo addominale)
Indicazioni alla legatura del dotto:
• quando le perdite liquide dal drenaggio sono > 1500 mL/24h o > 100mL/h per 4-6 ore consecutive
• perdita liquida persistente oltre le 2 settimane

EMOTORACE
(Argomento integrato totalmente dalle slides e non visto a lezione in quanto già trattato durante la spiegazione dei traumi
toracici)
= Presenza di sangue libero nel cavo pleurico.
Cause:
• traumi del torace
• iatrogeno (in seguito a manovre invasive sul torace)
All’EO:
• riduzione del MV all’auscultazione e ottusità alla percussione
• tachipnea e dispnea
• riduzione dei valori di Hb fino allo Shock emodinamico
Necessario posizionare drenaggio pleurico:
• per evacuazione del cavo pleurico
• per valutazione di eventuale sanguinamento in atto (se perdite liquide > 200 ml/h o > 1500 ml/24 h à
necessaria revisione chirurgica immediata)
A seguito del drenaggio, sarà necessaria una toeletta chirurgica VATS:
• se insoddisfacente evacuazione del cavo pleurico
• se insoddisfacente riespansione polmonare
La toeletta permetterà di rimuovere i coaguli, in quanto la loro presenza aumenta il rischio infettivo e ostacola
la riespansione.

A fine lezione si mostrano e commentano una serie di mini-video di toracoscopie e immagini - non presenti
sulle slide - riguardo a concetti già affrontati nel corso della lezione (talcaggio, mesotelioma, processi
neoplastici, port pleurici, angiosarcoma della pleura). Di seguito i punti salienti (anche dai commenti fatti lo scorso
anno):
• Talcaggio per versamento da mesoteliomaà [l'accesso chirurgico viene fatto abbastanza in basso,
nel punto più declive.] Gli accessi chirurgici sono solitamente due: in uno si inserisce la telecamera e
nell’altro gli strumenti. [Quello che si può notare una volta che la telecamera è nel cavo pleurico è che
la pleura è estremamente spessa. Sono presenti i mammelloni patologici che vengono biopsati; quello
che bisogna fare è un prelievo largo di pleura, in quanto l'anatomopatologo per poter far diagnosi ha
bisogno di valutare la pleura con associato una parte di tessuto della fascia endotoracica per poter dire
se questa è infiltrata o meno. In questo caso successivamente vediamo che il lobo superiore si espande,
mentre quello inferiore no (si può aiutare la ri-espansione applicando una forte aspirazione in modo
che il diaframma si sollevi); nonostante tutto si decide di effettuare talcaggio per fissare la parte che si
è riespansa.] Tendenzialmente si mettono due drenaggi: uno in basso sul angolo costo-frenico [dove il
rischio di recidiva è maggiore] e uno in alto, [affinché il liquido che si forma nel postoperatorio non
vada ad inficiare la resa del talcaggio]. Si ricorda che se il polmone non si incolla vi è un alto rischio di
recidiva). [L'intervento dura in tutto 40 minuti circa].
• 2° esempio di esplorazione chirurgica del cavo pleurico e talcaggio à in questo caso la pleura
parietale ha un aspetto bianco lattaceo e, in seguito alla rimozione del liquido presente, vengono
eseguite una serie di biopsie pleuriche cercando di campionare la più vasta aerea possibile (ricordare

90
che se il campione è molto piccolo è più facile che si perda malattia). Quando si biopsia c’è
sanguinamento perché la pleura parietale è vascolarizzata. Terminate le biopsie il talco viene
distribuito sia sulla pleura parietale sia su quella viscerale.
• Mesotelioma à la pleura può anche apparire trasparente, ma con una serie di micro-noduli “a goccia
di cera”. Il drenaggio è posto nel terzo inferiore perché il liquido tende ad accumularsi in tale zona.
Anche in questo caso è bene fare numerose biopsie (ovviamente dove si vede malattia, ma se questa
non è visibile è importante esplorare bene le zone à ad esempio gli sfondati costo-pleurici sono spesso
patologici), tenendo conto che anche in caso di risultato negativo non si può escludere la diagnosi.
• Riespansione parziale del polmone à viene posizionato un reservoir con tunnellizzazione
sottocutanea.
• Angiosarcoma à si tratta di un tumore raro, con grandi mammelloni francamente patologici. Quando
alla toracoscopia si vede un quadro del genere ovviamente l’ipotesi iniziale non è quella
dell’angiosarcoma, ma di mesotelioma. La diagnosi è poi ottenuta dall’esame istologico.

[Riepilogo
I vari versamenti possono essere distinti in base alla loro storia naturale e alle problematiche che essi generano:
esistono i versamenti che hanno origine da patologia infettiva, e il problema in questo caso è che se il liquido
è a sua volta infetto la patologia di base non può risolversi se il liquido non è drenato; inoltre, dal punto di vista
meccanico una raccolta liquida nel cavo tenderà a generare un polmone intrappolato, con quindi difficoltà alla
riespansione. Una seconda categoria di versamenti, massivi e recidivanti, è rappresentata da quelli di origine
neoplastica, dove si hanno due problemi: il primo è diagnostico, perché non si è certi che il versamento sia
neoplastico, il secondo è gestionale, perché bisogna capire come gestire le recidive (non tanto per il versamento
in sé, ma quanto per la sintomatologia); un fattore che condiziona la terapia però è come spiegato prima la
possibilità di riespansione. La biopsia pleurica, che risolve il primo problema, e il talcaggio, che limita il secondo,
si effettuano nello stesso intervento chirurgico. La terza grande categoria è rappresentata dai versamenti da
patologia sistemica, ovvero dei trasudati nei quali la conferma istologica è meno dirimente perché il quadro
clinico è già abbastanza indicativo.]

Su Moodle sono stati caricati i seguenti documenti relativi alla gestione dei versamenti:
• Benign pleural effusions:
https://elearning.unito.it/medicina/pluginfile.php/271338/mod_resource/content/1/BPE.pdf
• Malignant pleural effusions:
https://elearning.unito.it/medicina/pluginfile.php/271339/mod_resource/content/1/MPE%20ATS%2
0Guidelines.pdf

91
Prof. Leo
Chirurgia Toracica
Sbobinatrice: Silvia Lauria
Revisionatore:
TUMORI PRIMITIVI DELLA PLEURA
I tumori primitivi della pleura sono tumori che nascono a livello pleurico e che si manifestano con i
sintomi tipici dell’area, quali accumulo di liquido, versamento pleurico con conseguente dispnea, ed altri
sintomi propri dell’evoluzione. Si dividono in mesoteliali, di cui il maggiore è il mesotelioma, e
sottomesoteliali, con lo stroma pleurico.
MESOTELIOMA
Il mesotelio è lo strato epiteliale di origine mesodermica che ricopre le sierose (pleura, pericardio e
peritoneo).
Il tumore maligno del mesotelio è il mesotelioma, che può localizzarsi a livello di pleura viscerale,
parietale, diaframmatica e mediastinica.
La prima caratteristica particolare del mesotelioma è quella di non avere un limite dell’estensione
del tumore, siccome la pleura è costituita due foglietti che si integrano l’un l’altro. Di conseguenza è
impossibile pensare di effettuare una esportazione completa del tumore, a meno che non si vada ad eliminare
l’intera pleura, intervento piuttosto complesso di cui si parlerà in seguito.
Epidemiologia
Il mesotelioma è una patologia abbastanza rara: si contano circa 15 casi nel sesso maschile e circa
2-3 casi nel sesso femminile ogni milione di abitanti, quindi circa 1200 casi di nuovi mesoteliomi
all’anno. Ancora oggi è molto difficile da trattare, proprio in virtù della sua estensione e per cui è
necessario immaginare un approccio multimodale, con tutta la difficoltà di gestione che ne deriva.
Eziologia
Il mesotelioma è in relazione diretta con l’esposizione all’amianto.
Amianto: termine che va ad identificare diverse categorie di silicati, ossia il serpentino,
costituito sostanzialmente da fibre di crisotile, con andamento ondulato, e gli anfiboli
/amosite, tremolite, antofilite, actinolite, erionite), fibre sottili dal diametro di 0,20-0,25 µm e
allungate (circa 5 µm), con la caratteristica di poter essere inalate, quindi di attraversare le
vie aeree, depositarsi negli alveoli e poi migrare nella pleura.
La lavorazione dell’amianto era una lavorazione sostanzialmente in polvere. Prima che se ne
conoscesse il processo carcinogenetico, il processo avveniva in ambiente completamente saturo del
materiale, con i lavoratori del tutto privi di protezione e che quindi inalavano direttamente il
materiale, che si accumulava addirittura sui vestiti. Sono noti casi di mesotelioma in mogli di
lavoratori dell’amianto, la cui sola esposizione era data dal lavaggio degli indumenti da lavoro degli
operai.
A livello alveolare l’amianto provoca asbestosi, ossia la reazione infiammatoria locale alle fibre.
Queste possono poi migrare a livello linfonodale o pleurico e dare le placche pleuriche calcifiche.
Queste lesioni non sono tumori, bensì segni di esposizione all’amianto. Nel tempo, possono
evolvere in mesotelioma. Caratteristica fondamentale di questa neoplasia è dunque il tempo: esiste
un lungo periodo di latenza, pari a 20-40 anni, tra l’esposizione all’amianto e la presentazione del
tumore.
Malgrado la normativa sulla proibizione dell’utilizzazione dell’amianto datata 1992, ad oggi si
osservano clinicamente sopratutto i risultati di prima dell’entratain vigore della legge stessa.
Oltre ad essere una malattia rara, è anche una malattia lavorativa e, considerato il lungo periodo di
latenza, è difficile avere un riconoscimento del danno, perché è difficile dimostrare la correlazione
con l’esposizione in ambitolavorativo.
La dati sulla correlazione amianto-mesotelioma era già diffusi nel 1962, tuttavia la legislazione di
proibizione arrivò solo 30 anni dopo. Il motivo di questo è che dal punto di vista industriale
l’amianto è un materiale molto appetibile: è ignifugo 92 (amiantos, dal greco, incorruttibile), facile da
lavorare e trasformare. È stato utilizzato in maniera molto diffusa, con applicazioni anche in alcuni
filtri di sigarette americane, nella coibentazione di transatlantici e nella struttura delle metropolitane delle
maggiori città europee del secolo scorso. Attualmente non è ancora proibito neiPaesi in via di sviluppo.
Fisiopatologia
Quando le fibre raggiungono il polmone, attorno ad esse si genera una reazione macrofagica, a cui
consegue una risposta infiammatoria, alla base di tutte le alterazioni polmonari dell’asbestosi. Le
fibre, data la loro caratteristica forma allungata, hanno la capacità di attraversare tutto il
parenchima e raggiungere la pleura viscerale e poi quella parietale, originando di fatto una reazione
infiammatoria e cronica alla base della formazione del mesotelioma.
Il serpentino non è considerato responsabile del mesotelioma, ma pare essere responsabile di un
aumento di incidenza dei tumori del polmone nei fumatori, nei termini di azione sinergica insieme al
fumo di sigaretta. Gli anfiboli possono invece migrare in periferia e generare rischio di
degenerazione tumorale.
Oltre all’esposizione, è anche importante la predisposizione genetica: non tutti i soggetti coinvolti,
a parità di esposizione, si ammalano di mesotelioma. Questo discorso di esposizione ambientale ha
due conseguenze pratiche importanti:
Pz con versamento pleurico recidivante con storia di esposizione all’amianto Viene
preso in considerazione il sospetto di mesotelioma;
Anamnesi lavorativa. In un certo periodo, l’utilizzo dell’amianto era pressoché ubiquitario,
dall’edilizia, ai cantieri navali, all’industriale delle automobili, industria tessile e
metallurgica (Ethernit Brevetto dell’inizio del XX secolo dato dalla mistura tra cemento,
amianto ed altri componenti, ottenendo un materiale ad alta resistenza e facilmente
lavorabile).
Bisogna effettuare dunque un’approfondita anamnesi lavorativa ai pazienti che si
presentano con sintomatologia sospetta, in quanto, dato il passato lontano di una storia
di esposizione, il pz potrebbe non giungere a riferire tale informazione. In altri casi,
invece, il soggetto riferisce immediatamente dell’evento, perché magari dei colleghi
hanno già avuto gli stessi sintomi, come ad
esempio è accaduto nell’alessandrino e a
Casale Monferrato.
Stadiazione TNM
Si considera l’ottava classificazione, entrata in
vigore nel 2017. Rispetto alla precedente ci sono
piccole modifiche, ad esempio l’eliminazione della
divisione di T1 in a e b. Ora sono infatti uniti,
considerato che si assiste ad una differenza di
sopravvivenza tra i due.
Parametro T
Rispetto al tumore del polmone, non si
utilizza, per il T, il criterio dimensionale,
ma si valuta invece l’estensione e il
coinvolgimento delle varie strutture a
livello ditorace e mediastino.
- T1 Coinvolge la pleura parietale
e/o la pleura viscerale, con o senza la
pleura mediastinica o
diaframmatica;
- T2 Oltre alla pleura, coinvolge
diaframma e parenchima
polmonare;
- T3 Il tumore invade i parametri
93
del T2, ma anche la fascia
endotoracica, il grasso mediastinico,
i tessuti molli della parete toracica, il
pericardio. L’invasione si mantiene
però in forma esterna, non
transmurale;
- T4 Il tumore invade i parametri
del T3, ma coinvolgere in modo
diffuso o multifocale la parete
toracica, eventualmente con
erosione costale, estensione diretta
al peritoneo tramite il diaframma,
la pleura controlaterale e gli organi
mediastinici (esofago, trachea,
grandi vasi).
Parametro N
- N1 Coinvolgimento dei linfonodi
mediastinici omolaterali
intratoracici;
- N2 Raggruppa i precedenti N2 e
N3 della settima edizione della
classificazione. Coinvolge linfonodi
controlaterali e sovraclaveari.
Successivamente, si accorpano in stadi mettendo insieme T, N ed M. Bisogna guardare sempre le
colonne per l’ottava edizione.

Istologia

Esistono le seguenti forme:


Mesotelioma epiteliale. Ha una prognosi migliore, in quanto si tratta degli unici pz che
possono giovare dell’intervento chirurgico. Si tratta anche, secondo studi di coorte con pz lungo-
sopravviventi, di soggetti che possono sopravvivere
94 per altri 4-5aa con terapia palliativa;
Mesotelioma sarcomatoide;
Mesotelioma epitelio-sarcomatoide, una forma combinata delledue precedenti.
Per avere una chiara idea del mesotelioma serve comunque un prelievo, meglio se istologico.
Se si è presente versamento pleurico Si fa toracentesi, a livello di cui liquido si effettua
l’indagine citologica.
Talvolta è sufficiente, ma spesso è importante un istologico, soprattutto per valutare l’invasione.
Inoltre, la citologia non riesce ad essere dirimente in caso di DD mesotelioma e adenocarcinoma
polmonare.
L’altra difficoltà esiste in caso di iperplasia mesoteliale atipica, in cui è difficile definire in maniera
chiara l’effettiva identità del mesotelioma ed in cui si necessita di una valutazione istologica.
In immunoistochimica esistono delle caratteristiche specifiche che consentono di fare diagnosi
differenziale tra mesotelioma e adenocarcinoma, che sono le citocheratine a basso peso
molecolare e la calretinina.
Clinica
I sintomi dati dal mesotelioma sono differenti a seconda del momento della storia naturale della
malattia.
a. Fasi iniziali. Dispnea, originata da compressione da parte del mesotelioma al parenchima
polmonare, algie toraciche e tosse;
b. Fasi avanzate. Dispnea e algie toraciche;
c. Crescita infiltrativa locoregionale. Tamponamento pericardico, versamento pleurico
controlaterale ed ascite;
d. Metastasi a distanza.
La sintomatologia classica è quella del versamento pleurico neoplastico, ossia associato a perdita di
peso ed astenia. Esistono poi delle situazioni particolari in cui vi è un’evoluzione rapida, data non
tanto dal versamento pleurico, bensì dall’inspessimento progressivo della pleura sul versante
parietale (con eventuale infiltrazione costale, muscolare e cutanea) e viscerale (coartazione
polmonare con fissità del polmone e ridotta espansibilità, pericardite costrittiva).
Come tutte le patologie oncologiche vi possono essere metastasi a distanza. Si consideri che il
mesotelio è presente anche a livello peritoneale, quindi una via di diffusione del mesotelioma è a
livello peritoneale passando
attraverso il diaframma. Questo
configura un quadro di metastasi
extratoracica particolarmente
impattante sulla strategia
terapeutica da adottare.
Nelle fasi iniziali, tuttavia, il
mesotelioma può essere
asintomatico: alcuni pazienti sono
seguiti per esposizione certa
all’asbesto e, del tutto privi di
sintomi, presentano al follow up
delle placche pleuriche calcifiche a
livello della pleura parietale, marker
abbastanza preciso dell’esposizione
all’amianto. In questi pazienti,
tuttavia, le placche pleuriche non
sembrano essere un chiaro
precursore carcinomatoso.
Le indagini di approfondimento
partono nel momento in cui il
paziente sottoposto a controllo
95
post-esposizione sviluppa versamento pleurico, che anche questo, nelle fasi iniziale, può essere
asintomatico. Il versamento in associazione alle placche calcifiche rappresentano un campanello
d’allarme che fa sospettare il mesotelioma e richiede un approfondimento diagnostico. Un altro
motivo di approfondimento diagnostico può essere rappresentato dai dolori toracici localizzati o
diffusi.

È indice di malattia già estesa la presenza di versamento pleurico associato a:


Inspessimento pleurico >1cm;
Nodularità pleurica;
Infiltrazione parietale toracica o del diaframma;
Coinvolgimento della pleura mediastinica;
Nodularità a livello della scissura interlobare (ossia della pleura viscerale).

A sinistra, è visibile un’immagine di placche pleuriche


calcifiche bilaterali associate a versamento pleurico e
atelectasia da compressione del lobo inferiore. In
questo caso si dovranno effettuare delle biopsie del cavo
pleurico, direttamente nella parte di pleura esente dalle
placche pleuriche.
Come già detto, comunque non vi è relazione diretta tra
placca e mesotelioma, nonostante alcuni sostengano
che la presenza di placche sia un fattore di rischio per il
mesotelioma. Ciò che è certo è che la presenza delle
placche è patognomonica di esposizione e quindi
indicatrice di predisposizione tumorale.

96
Peculiarità del mesotelioma è il tropismo verso la crescita lungo le vie d’accesso di eventuali
precedenti manovre chirurgiche, seguendone il percorso fino ad esempio al tessuto sottocutaneo,
per cui in forma intra- ed extratoracica.
Il mesotelioma si può associare con malattia metastatica a livello linfonodale, in particolare in forma
di linfoadenomegalie ilo-mediastiniche. Informazioni importanti si possono ottenere dalla PET-TC,
come ad esempio la presenza di linfonodi o metastasi in sedi controlaterali oppure a livello
addominale, definendo così le localizzazioni extratoraciche della malattia.
In caso di sospetto mesotelioma è infine fondamentale eseguire
una toracoscopia, così da avere una visualizzazione della pleura
viscerale e parietale tale da permettere di individuare le
anomalie, effettuare biopsie mirate ed eventualmente
un’emostasi localizzata. Le nodulazioni, nell’immagine sulla
destra, sono millimetriche ed in quanto tali anche non visibili
alla TC. Per questo motivo è comunque importante la
toracoscopia.
Altre volte vi sono quadri di inspessimenti pleurici diffusi con
assenza di nodularità e in questi casi il patologo, al congelatore,
fatica a dire se la biopsia è significativa, per cui se ne devono
eseguire molte random.
Malgrado tutti questi sforzi talvolta si arriva ad una diagnosi di iperplasia mesoteliale atipica: questa è
un’entità clinica differente dal mesotelioma, ma che comunque in qualche anno si evolve in tale. Al
momento non si sa se questa trasformazione derivi da biopsie inadeguate, che quindi non hanno
correttamente diagnosticato la lesione, oppure di una iperplasia mesoteliale successiva all’esame. Per
questo motivo, il numero di campioni da effettuare durante la fase bioptica deve pensato in maniera
adeguata.
N.B. Effettuando una toracoscopia, con il prelievo di liquido per effettuarne biopsia e la
chiusura successiva del torace, il liquido presente precedentemente va incontro alla
riformazione. Al fine dunque di evitare recidive ed in caso di un polmone che si ri-espande
(circostanza confermata dall’anestesia tramite applicazione di pressione positiva), si può
effettuare una pleurodesi chimica, procedura che vede l’insufflazione di talco sterile, dal
potere irritante, tra pleura viscerale e parietale, in modo che il polmone si incolli alla parete.

Terapia
Ciò che è stato detto per il tumore polmonare vale anche per il mesotelioma: la strategia terapeutica
deve essere decisa in modo mutlidisciplinare.

97
a. Terapia chirurgica
Può essere l’approccio di I linea.
Indicazioni
A fronte dell’insieme di tutti i malati di mesotelioma, la quota di pazienti operabili è sottoposta ad
enormi selezioni. Si tratta di pz con malattia limitata e fit per la chirurgia, quindi con aspettativa
e prognosi migliore rispetto alla media.
Per selezionare i pazienti per la chirurgia si utilizzano criteri istologici, per cui si scelgono solo
soggetti con varianti epitelioidi, ma anche giovani.

Di seguito sono riportate le linee guida NCCN per la gestione del mesotelioma epiteliale (gli altri
istotipi non sono indicati per la chirurgia) che prevedono generalmente un trattamento di
induzione con chemioterapico (platinoide + pemetrexed) dopo il quale si rivaluta per la chirurgia.
Se fattibile, in base all’estensione della malattia si sceglie tra la pleurectomia-decorticazione e la
pleuropneumonectomia, seguite generalmente dall’irradiazione dell’emitorace. Se il paziente
non può effettuare la chirurgia, l’indicazione è di un trattamento chemioterapico esclusivo.
Per quanto riguarda l’esplorazione chirurgica, ci sono delle situazioni in cui l’esplorazione
chirurgica è effettuata in prima battuta, ancora prima della chemioterapia, lasciando poi i
trattamenti sistemici ed eventualmente la RT ad un secondo momento. Questa seconda ipotesi è
meno percorsa oggi perché viene meno l’effetto di selezione al trattamento neoadiuvante che
permette di identificarei pazienti che vanno in progressione da chemioterapia e di non operarli.
Tecniche
Pleuropneumonectomia
Intervento citoriduttivo effettuato soprattutto in passato, consiste nella rimozione di
tutta la pleura parietale, del pericardio e del diaframma, in modo da rimuovere il tessuto
mesoteliale. È un intervento molto esteso, gravato da una mortalità post-operatoria
significativa.
Radicalità: si necessita di una resezione che passi oltre il margine del tumore. Nella
malattia mesoteliale non esiste questo limite, perché il mesotelio si espande su una
superficie enorme, per cui la radicalità non è possibile.
In questa chirurgia si deve dunque effettuare una citoriduzione massimale, ossia
giungere a fine dell’intervento senza malattia macroscopicamente visibile.
Prognosi
La sopravvivenza della pleuropneumonectomia oggi è migliore rispetto al passato, con un
massimo di mortalità del 7%. La sopravvivenza a 5 anni è leggermente migliore rispetto
alla pleurectomia-decorticazione, tuttavia si tratta di pz altamente selezionati, cui
vantaggio effettivo è difficile da identificare.
Pleurectomia
Asportazione della pleura parietale. Vi è un piano anatomico di separazione tra le coste e
la pleura e qui si procede allo staccamento.
Decorticazione pleurica
Asportazione della pleura viscerale. Non vi è un piano anatomico ben preciso, soprattutto
nella pleura neoplastica, circostanza in cui il polmone ha una serie di piccole lacerazioni
che provocano perdita aerea. Comunque, a qualche settimana dalla fine della perdita
aerea si ha comunque un polmone in sede, risparmiato dalla chirurgia.
Si è constato che un tipo di approccio che associa pleurectomia e decorticazione pleurica
provoca una mortalità peri-intervento molto più ridotta, del 3-4% rispetto al 16-18%
dell’intervento più invasivo, con una sopravvivenza adistanza non così peggiore.
Dalle analisi di sopravvivenza è possibile osservare la presenza anche di qualche lungo-
sopravvivente anche nel caso in cui si sia deciso di non trattare, a dimostrazione che la malattia
può avere un andamento della prognosi un po’ bizzarro.
Prognosi 98
Si trova influenzata dal punteggio della scala di Karnofsky, importante se <80, presenza di
trombocitosi, di diffusione di malattia, di istologia ed applicazione della chirurgia, che risulta
avere un effetto protettivo.
b. Terapia non chirurgica
Non vi è un consenso univoco su quale sia il migliore trattamento per il mesotelioma. Ci sono
però molti studi in corso volti a trovare la terapia migliore.
Trattamento trimodale (CT neoadiuvante + chirurgia massimalmente radicale + RT
adiuvante)
L’intervento chirurgico ha soprattutto forma di pleuropneumonectomia, seguita da RT
nell’emitorace operato per consolidare il lavoro effettuato.
Indicazione
È un trattamento importante che non può essere offerto a tutti i pazienti. Il paziente
ottimale è giovane, <65 anni, con istotipo epiteliale, LN-, PS=0.
Chemioterapia
Se si effettua chirurgia, che sia a scopo terapeutico o diagnostico/palliativo, il
trattamento chemioterapico del mesotelioma è quasi sempre indicato, a meno che non ci
siano delle condizioni cliniche che non lo permettano. La chemioterapia è di tipo
neoadiuvante, oppure di I o II linea. Non c’è, anche in questo caso, un consenso univoco
su cosa usare. I farmaci più utilizzati sono, al momento, Pemetrexed e Cisplatino, oppure
Gemcitabina e Vinorelbina.
Nuovi approcci terapeutici vedono come protagonisti:
- Inibitori dell’angiogenesi (Bevacizumab). Il VEGF attiva la proliferazione delle
cellule mesoteliali. Nei pz affetti da mesotelioma pleurico, alti livelli di VEGF e del
recettore sono correlati a prognosi peggiore. Alcuni mAb anti-VEGFR possono
inibire le cellule mesoteliali;
- Talidomide. Inibitore dell’angiogenesi;
- Inibitori dell’istone deacetilasi. In studi preclinici questi farmaci inibiscono alcuni
fattori di trascrizione che hanno effetti terapeutici nel mesotelioma. Il Vorinostat è
un farmaco che può essere assunto per via orale ed è nella terza fase del trial;
- Inibitori del target della rapamicina. Inibiscono la proliferazione cellulare. Nel 50-
60% delle cellule del mesotelioma è presente una mutazione del gene NF2, la cui
mutazione determina l’alterazione della proteina Merlin, in grado di modulare la
proliferazione cellulare. Quando c’è mutazione, Merlin non viene prodotta e quindi
il target della rapamicina non viene più inibito, aumentando di fatto la
proliferazione delle cellule del mesotelioma. In corso trial clinici;
- Farmaci diretti contro la mesotelina. La mesotelina è un antigene cellulare
normalmente espresso su pleura, pericardio e peritoneo a bassi livelli. I livelli
aumentano nel mesotelioma, coinvolgendo questo antigene viene coinvolto nella
proliferazione dei segnali cellulare e nella metastatizzazione. Amatuximab è un
farmaco IgG1 in corso di trial di fase 2.
c. Radioterapia
Ci sono studi attivi che combinano radio e chemioterapia.
Limite
Se non si effettua la chirurgia non si possono usare dosi radioterapiche adeguate, al rischio di
determinare danni severi sul tessuto sano. Per questo motivo, la tecnica è studiata per dare dosi
maggiori in seguito alla pleuropneumonectomia, vale a dire ad emitorace vuoto.
Infine, si può fare anche una RT palliativa in caso di dolore toracico da infiltrazione di malattia a
livello della parete.

99
TUMORE FIBROSO SOLITARIO DELLA PLEURA
Si tratta di una lesione a crescita generalmente peduncolata ed originante a partire dalla pleura
viscerale. Si tratta di un problema diagnostico, in quanto può risultare complesso operare DD tra
lesione benigna e maligna basandosi su un prelievo via ago transtoracico. Inoltre, è una lesione che
può raggiungere volumi importanti, gravando molto sullo spazio toracico.
È un tumore generalmente benigno, che negli anni è stato chiamato in diversi modi, tra cui
mesotelioma pleurico localizzato (termine mal utilizzato, data la malignità intrinseca del termine
“mesotelioma”), fibroma pleurico, mesotelioma fibroso localizzato, fibroma sotto-mesoteliale e
tumore fibroso localizzato.
Epidemiologia
È un tumore che si osserva piuttosto raramente, contando un totale di 1500 casi in letteratura. È
maggiore nella sesta e settima decade, con uguale incidenza tra i sessi. Non sembra essere correlato
con l’esposizione all’asbesto.
Anatomia patologica
Circa l’80% delle lesioni origina dalla pleura viscerale ed è dotata di peduncolo. In questo caso, il
comportamento biologico è benigno. Le restanti lesioni sono di tipo sessile e di origine parietale. Al
vetrino si osserva elevata cellularità ed attività mitotica, pleomorfismo cellulare, emorragia e necrosi.
Clinica
I pz possono essere asintomatici oppure sintomatici, questo accade nel 50-67% dei casi di benignità ed
in >75% dei casi di malignità. Nel caso di manifestazione clinica si tratta fondamentalmente di tosse,
algie toraciche e dispnea. Tipica di questa neoplasia è l’associazione con sindromi paraneoplastiche,
come l’osteoartropatia ipertrofizzante pneumica, clubbing ed ipoglicemia sintomatica (perdita di
coscienza, legata alla sintesi del fattore di crescita insuline-like).
Diagnosi
Tendenzialmente si tratta di lesioni localizzate più o meno voluminose con la presenza di liquido.

100
Si osserva come la massa tumorale abbia causato lo schiacciamento del
diaframma, del mediastino e la compressione del polmone. In questa
situazione, più aumenta la taglia della massa più aumenta la probabilità
di trovare delle caratteristiche di malignità.

Anche in questo caso si osserva una lesione voluminosa che però


all’interno mostra anche delle aree di disomogeneità. Lesione voluminosa
non vuol dire per forza lesione maligna: sarà soltanto il patologo a poter
definire se è effettivamente maligna.

Qui si può osservare la lesione a livello intraoperatorio. Il polmone


normale è collegato tramite la sua pleura viscerale a una massa
enorme, capsulata, ben delimitata, che non si attacca a nient’altro se
non al peduncolo polmonare, quindi dal punto di vista chirurgico la
resezione è abbastanza banale: basta tagliare il peduncolo (a una
distanza sufficiente, in quanto, pur essendo un
tumore benigno, c’è rischio di una recidiva locale se la resezione non è
adeguata) per poter poi estrarre la massa.
Qui si osserva l’ago biopsia transtoracica di una lesione di un tumore
fibroso della pleura: si può localizzare in qualsiasi zona del cavo
pleurico che abbia un punto di origine pleurico.

Questo è un tumore fibroso della pleura con posizione


intrascissurale: si osserva la scissura che divide il lobo inferiore da
quello superiore e la massa è cresciuta esattamente nel mezzo.
Basta spostare la lesione per vederne il peduncolo e sezionandolo
la lesione si toglie agevolmente.

Terapia
a. Exeresi chirurgica completa
Se le lesioni sono ben peduncolate la probabilità di recidiva locale è estremamente bassa. Più
la base di impianto è larga e più le caratteristiche istologiche tendono al maligno, più il rischio
di recidiva locale aumenta.
Prognosi
Dopo exeresi chirurgica completa la prognosi nei termini di tasso di recidiva è pari all’8% per le
lesioni sessili benigne, 14% per le peduncolate maligne e 63% per le sessili maligne, con un
tasso di mortalità a 24 mesi del 30%. Le lesioni istologicamente maligne hanno una
sopravvivenza media di 4,6aa.

101
10/01/2022
Francesco Leo
Sbobinatore: Cappa Stefania
Revisionatore: Garzena Valen na

EMPIEMA PLEURICO
L’empiema pleurico è la presenza di liquido purulento all’interno del cavo pleurico, conseguente
all’invasione di microrganismi patogeni.
Come tu e le patologie infe ve si iden ficano due fasi: la prima acuta, per la quale il cavo pleurico
presenta tu a una serie di segni pici dell’infezione, e la seconda di cronicizzazione, dove nel tempo il
quadro patologico cambia completamente il suo paradigma di tra amento, risultando anche più complesso.

Parlando esclusivamente di empiema pleurico, come


presenza di un’infezione purulenta del cavo pleurico, si
descrive una patologia con una certa importanza
clinica, con una mortalità di certo non bassa. Si tra a di
pazien che spesso sono defeda ( picamente non mangiano, hanno febbre, con perdita di peso) a causa di
un’infezione severa che potrebbe anche richiedere un intervento chirurgico. L’ordine di fallimento dei
tra amen conserva vi è del 30% e il carico assistenziale per i pazien non è indifferente con
un’ospedalizzazione che può durare un paio di se mane; sono pazien , infa , che se tra a troppo
rapidamente (es. drenaggio tenuto solo per 24h e rimosso precocemente) hanno un alto tasso di recidiva, in
aggiunta ci sono una serie di fa ori che decretano la necessità di un periodo di osservazione maggiore come
anche solo la terapia an bio ca ev protra a. Si parla di una patologia non frequente ma con un impa o
clinico importante.

[Il prossimo capitolo è un’integrazione della sbobina dell’anno 2019/2020 che può essere u le, sopra u o a livello
dida co, per inquadrare il discorso del Professor Leo, il quale ha usato un approccio più pra co. Successive
integrazioni dalle sbobine degli anni preceden sono riportate in corsivo nel testo o tra parentesi quadre se si tra a di
interi capitoli]

CLASSIFICAZIONE
1. AGENTE EZIOLOGICO
Viene a sua volta suddiviso in due grandi categorie:
- Non tubercolare
o Aerobi G+ (Streptococcus pneumoniae, Streptococcus β-hem Group A, Streptococcus Milleri,
Staphylococcus aureus)
o Aerobi G- (Escherichia coli, Pseudomonas spp. Haemophilus influenzae, Klebsiella spp.)
o Anaerobi (Bacteroides, Peptostreptococcus)
o Infezioni miste (Aerobi G+, G-, anaerobi), sono abbastanza frequen
o Mice (Aspergillus)
o Parassi (Ameba)
- Tubercolare
Nel nostro paese la maggior parte degli empiemi è sostenuta da patogeni non tubercolari anche se, in una
piccola quota, possiamo trovarne alcuni di origine tubercolare.

107
2. MECCANISMO PATOGENETICO
- Primi vo (spontaneo)
o A partenza da processi infe vi loco-regionali:
▪ Polmonite (Community and Hospital Acquired Pneumonia), più frequente
▪ Ascesso polmonare
▪ Bronchiectasie, più rara
▪ Infezioni polmonari mico che e parassitarie
▪ Raccolte purulente subfreniche non adeguatamente tra ate
o A partenza da processi infe vi insor a distanza: sepsi
- Secondario
o Post-chirurgico:
▪ Resezione polmonare (lobectomia, segmentectomia)
▪ Esofagectomia
▪ Miscellanea
o Post-trauma co:
▪ Traumi penetran (FAF = ferita d’arma da fuoco, FAB = ferita d’arma bianca)
▪ Traumi contusivi
▪ Barotrauma
o Iatrogeno: (raro)
▪ Toracentesi
▪ Drenaggio intercostale

Oltre il 70% è rappresentato dall’empiema parapneumonico (o post-pneumonico o metapneumonico),


quindi come complicazione di una polmonite.
3. QUADRO ANATOMOPATOLOGICO MACROSCOPICO
Si basa sull’estensione e la morfologia del versamento empiema co. Viene suddiviso quindi in:
- Libero (totale): interessa il cavo pleurico in toto
Empiema LIBERO: non ha dei limi ben defini , nell’immagine
radiografica a lato sì più notare che interessa non solo l’intero
emitorace di sinistra ma ha anche sospinto controlateralmente la
linea mediana. Corrispe vo ecografico: si vede la falda di
versamento con atele asia del parenchima che viene compresso
dal versamento che si è formato nel cavo pleurico.
- Saccato (zona ben precisa): un'unica camera o concamerazione del cavo pleurico
Empiema SACCATO: Raccolta saccata che nei casi pici avviene
nella porzione dorsale della parete toracica ma che può anche
essere osservata in corrispondenza della parete laterale. Alla
radiografia assume la forma a ‘D’ in cui la parte dri a rappresenta
la base di impianto sulla parete toracica, mentre il profilo panciuto
rappresenta la raccolta endopleurica dell’empiema.
- Pluriconcamerato o complesso: anche il tra amento è più difficile
Empiema PLURICONCAMERATO o COMPLESSO: Sono presen plurime
concamerazioni nel cavo pleurico in varie sedi. Intorno si può apprezzare una

108
so le falda di parenchima polmonare disven la va, atele asica e compressa dalla raccolta liquida. Un
segno altamente patognomonico, in assenza in anamnesi di una pregressa esecuzione di una toracocentesi,
sono le bolle aeree presen all’interno dell’empiema
(so olineiamo in assenza di una pregressa toracocentesi perché
può capitare che durante la sua esecuzione entri dell’aria
all’interno visibile con indagini radiografiche). Viene definito
complesso anche per la difficoltà che si presenta nel tra amento
in quanto, per la guarigione defini va, bisognerebbe me ere in
comunicazione fra loro tu e le raccolte del cavo pleurico.
- Empiema necessita s
Empiema NECESSITATIS: viene così definito quando si ha il coinvolgimento
delle par molli superficiali della parete toracica a partenza da un empiema
pleurico, passando a raverso gli spazi intercostali. In alcuni casi può
addiri ura determinare l’arrossamento della cute sovrastante la raccolta
suppura va. In par colare, nell’esempio della foto l’empiema necessita s si
presentò dopo decenni da una pleurite tubercolare. Questo po di pleurite è
frequentemente associata a even calcifici su entrambi i foglie pleurici anche a distanza di anni.
Nell’immagine TC si può notare il coinvolgimento osseo con un focolaio di osteolisi in corrispondenza
dell’affioramento dell’empiema.
4. EVOLUZIONE
Da acuto a cronico:
- Criterio cronologico: 4-6 se mane
- Criterio anatomopatologico: passaggio da una pleurite essuda va a una pleurite produ va
(organizza va), quando prendono il sopravvento i meccanismi ripara vi dell’organismo
- Criterio clinico:
o L’infezione persiste
o Il polmone non mostra tendenza alla riespansione completa quindi ad occupare interamente il cavo
pleurico
o La camera empiema ca non si modifica ulteriormente

[fine integrazione]

EVOLUZIONE
L’empiema è solo la punta dell’iceberg. La presenza di pus è l’evento finale di tu a una serie di even
concatena tra loro che precedono la fase dell’empiema stesso; la sua naturale evoluzione, dunque, non
parte da un’infezione primi va del cavo pleurico ma, per le cara eris che fisiologiche della pleura, spesso si
genera una forte reazione infiammatoria da cui possono scaturire una serie di even che vanno dal semplice
versamento pleurico, ai versamen pleurici mul locula , fino alla formazione di un vero e proprio empiema
pleurico.

109
Molto spesso il versamento pleurico è l’accompagnamento di un’altra manifestazione infe va
generalmente polmonare: dal punto di vista fisiopatologico, normalmente, la polmonite può dare un
risen mento alla pleura che a sua volta genera una reazione infiammatoria manifestandosi con il
versamento.
Quando il versamento è associato ad una polmonite viene definito parapneumonico.
ATTENZIONE: non si è ancora in presenza di un versamento da infezione del cavo pleurico, ma di un
versamento rea vo! Non tu i versamen che accompagnano una polmonite sono degli empiemi.
Tu avia, serve fare a enzione alle sue cara eris che in quanto può evolvere.
In presenza di una reazione pleurica, primariamente non iden ficabile radiologicamente, nel cavo pleurico
si possono riscontrare a distanza di anni le conseguenze di tale reazione. Ricordando la normale fisiologia
del cavo pleurico, la parete toracica e il polmone scivolano lungo la pleura parietale sincroni agli a
respiratori; tra la pleura parietale e viscerale c’è un movimento di sfregamento e le due pleure non sono
adese (non esiste una pleurodesi nei mammiferi, fa a eccezione per gli elefan ).
Tra le alterazioni conseguen ad una reazione infiammatoria pleurica c’è la pleurodesi: si generano delle
aderenze evidenziabili come dei cordoncini tesi tra i due foglie pleurici, espressione dell’organizzazione
degli stra di fibrina che generalmente si creano nelle fasi acute dell’infiammazione.
→ Se il versamento è minimo o assente tu o ciò regredisce e questo si può notare o dire amente a
seguito dell’ingresso chirurgico nel cavo pleurico per altre ragione o, se questa sinfisi infiammatoria è molto
diffusa, indire amente con l’ecografia valutando lo sliding tra le due pleure: se questo è assente si può
dedurre una pleurodesi da pregressi processi infe vi polmonari.
→ Se la quan tà di liquido che si forma nel cavo è rilevante, ed è quindi manifestazione di
un’importante reazione infiammatoria, si organizza passando da una fase di versamento parapneumonico a
una di versamento pleurico mul loculato: i tralci di fibrina tra le due pleure creano delle camere
indipenden . Nel momento in cui la quan tà di liquido è tale da richiedere un drenaggio questa
organizzazione cos tuisce un problema: c’è differenza tra il drenare 1L di liquido in un'unica camera e
averne 3/4 isolate da drenare ciascuna; in quest’ul mo caso il semplice drenaggio terapeu co sarebbe
inefficace.
Più si progredisce verso il versamento mul loculato tanto più il liquido pleurico che si è raccolto, che
inizialmente era solo espressione di un processo infiammatorio, si contamina divenendo infe o; questo
spiega perché una polmonite che sta guarendo radiologicamente non regredisca clinicamente vista la
presenza di un secondo focus infe vo, quello del cavo pleurico.
Alle volte non è de o che i ba eri responsabili della polmonite siano i responsabili dell’infezione del liquido
pleurico, le condizioni locali che si trovano all’interno dell’alveolo sono completamente diverse delle
condizioni che si trovano al livello del cavo pleurico; quindi, ci saranno dei casi in cui la polmonite è data da

110
un determinato patogeno, mentre l’infezione a livello della pleura è data da un altro patogeno. così come
non è de o che anche se si ritrovasse del liquido chiaramente purulento si riesca a iden ficare i ba eri (pus
sterile).
Dunque, molto spesso una certa quota di versamen parapneumonici che si complicano con la creazione di
versamen mul locula infe andosi evolvono naturalmente nell’empiema.
ALTRE TIPOLOGIE DI EMPIEMA
Esistono, inoltre, altri meccanismi che possono generare un’infezione del cavo pleurico, mutua dalla
contaminazione dire a del cavo pleurico e non da altre patologie:
- empiema post-chirurgico (generalmente chirurgia toracica): è spesso legato a una situazione specifica
che contamina il cavo. Quando si effe ua una resezione, lobectomia o una pneumonectomia, il bronco
restante viene suturato con dei pun metallici che lo chiudono in modo permanente; si deve ricordare
che il bronco è cos tuito per i tre quar da un anello car lagineo, chiuso dietro da una pars
membranacea e che questo anello car lagineo ha una tendenza meccanica a riaprirsi: se questo accade
si genera una fistola bronco-pleurica. Sia l’aria che le secrezioni bronchiali non sterili possono colare
a raverso la fistola contaminando il cavo a valle: è un problema addizionale, se non si risolve la fistola
difficilmente si potrà risolvere l’empiema. Per poter essere chiusa di prima intenzione dev’essere
precoce, insorta nei primi 10-15 giorni dalla lobectomia; se questa è tardiva molto probabilmente i
pun di sutura sarebbero inefficaci e si dovrà ragionare per una guarigione di seconda intenzione. N.B. è
un problema a doppio senso: l’apertura del bronco su una camera con del liquido può perme ere la
risalita di quest’ul mo a raverso la fistola dando degli ab inges s al paziente e una possibile
insufficienza respiratoria.
Esistono empiemi post
rese vi senza fistola, lega
a una contaminazione del
cavo intraoperatoria,
immunodepressione o a
delle condizioni del
paziente tali per cui il
rischio infe vo è maggiore
(es. fumatori a vi).
Cavo pleurico post- pneumectomia destra: non resta altro
che la parete toracica e le stru ure medias niche; si
intravede al centro il moncone bronchiale suturato. Dopo
la pneumectomia progressivamente il cavo pleurico si
riempie di liquido (reazione normale) nella sua totalità.
All’RX si vede chiaramente l’interfaccia tra aria e liquido,
che si alza sempre più nel post-operatorio. Il problema
insorge se si il bronco si riapre:
- Il liquido rischia di inondare il polmone controlaterale
- L’aria e le secrezioni corrono il rischio di infe are questo enorme cavo pleurico.

Fistola broncopleurica dopo pneumectomia destra: il bronco principale è


completamente riaperto, con i pun strappa e a valle il liquido del cavo che
rimonta fino alla via aerea.

111
- empiema secondario ad una perforazione esofagea: la perforazione prevede il passaggio dire o del
contenuto esofageo non sterile altamente irritante nel cavo pleurico. I pazien hanno picamente una
storia di sforzi di vomito prolunga , dolore trafi vo, stato se co con evidenza all’RX di un versamento
e nel drenaggio di materiale alimentare purulento. La problema ca maggiore della perforazione
esofagea è l’instaurarsi di uno stato se co a livello del medias no e del cavo pleurico e la necessità di
un intervento rapido, qualsiasi esso sia; il successo dell’intervento dipende da quanto rapida è la risposta
e dalla presa in carico della perforazione esofagea. All’estremo opposto si riconoscono delle perforazioni
esofagee che non danno infezioni al medias no e che non danno versamento pleurico: si tra a di
perforazioni piccolissime, generalmente generate durante manovre endoscopiche, che possono essere
tra ate conserva vamente con digiuno e osservazione. La presenza di sintomi se ci associa a
medias nite ed empiema determina se si debba o meno intervenire il prima possibile sul paziente.
Es. sindrome di Boerhaave, descrive una ro ura spontanea dell’esofago generalmente nel cavo pleurico
sinistro, legata a sforzi di vomito ripetu che fragilizzano il terzo distale esofageo.

CONSEGUENZE DELL’EMPIEMA
Una volta che l’empiema si è instaurato possono conseguirne tre diverse problema che.
La reazione infiammatoria generata dalla presenza di liquido infe o è di tale portata da trasformare il so le
mesotelio in una cotenna pleurica importante che oppone resistenza meccanica all’espansione del
polmone. A seguito del drenaggio del liquido purulento, la pachipleurite impedisce al polmone di tornare
alla sua posizione iniziale in quanto coartato dal versante viscerale. Il polmone così incarcerato - “trapped
lung”(1) non riespandendosi non andrà ad occupare lo spazio drenato dal versamento lasciando così
un’importante spazio pleurico vuoto (2) nel quale l’infezione ha un’alta probabilità di recidivare.
Non di frequente riscontro ma clinicamente rilevante è la formazione di un “empiema necessita s” (3): la
raccolta pleurica erode la parete toracica facendosi strada tra i tessu molli lungo le vie di minore resistenza
fino a fistolizzare a livello cutaneo. Delle volte ce ne si accorge prima ancora che la cute si ulceri in quanto in
corrispondenza degli spazi intercostali la cute si presenta con rubor, tumor, calor, func o lesa, iniziale segno
di passaggio dell’infezione a raverso i tessu molli della parete toracica che sta per fistolizzare.
Nella maggioranza dei casi l’evoluzione empiema ca di versamen pleurici potrebbe essere evitata grazie
ad una corre a ges one dei versamen parapneumonici: un tra amento precoce può ridurre in maniera
significa va il rischio di progressione verso l’empiema franco. Questo discorso non vale ovviamente per le
perforazioni esofagee e gli empiemi post-chirurgici, dove vale sempre la regola ippocra ca “ubi pus ibi
evacuam” (dove c’è del pus si deve evacuare): un’infezione empiema ca in sede è un problema maggiore nel
momento in cui questa non è drenata perché il pus non va da nessuna parte, o si apre una strada da solo
fistolizzando oppure il paziente con nuerà ad avere i segni dell’infezione.

[In questo po di situazione (paziente con un versamento pleurico parapneumonico che si organizza ed
evolve verso l’empiema) si avranno dei pazien con una sindrome infe va in corso: i pazien presentano
febbre, tosse, segni sistemici come perdita di peso, tu a una serie di sintomi a cui corrispondono ad
alterazioni laboratoris che (leucocitosi, aumento della PCR..) e sono pazien che clinicamente non vanno
bene. La storia clinica è generalmente quella di un paziente che viene ricoverato per polmonite, viene
tra ato conserva vamente e non si osserva miglioramento; si fa quindi una lastra con cui si vede un
versamento pleurico associato, una TC dove si osserva la raccolta e si decide quindi di drenare (tenendo
presente che la diagnosi di empiema si potrà fare soltanto dopo aver ricavato il pus dalla toracentesi: prima
che questo avvenga si è nell’ambito di un versamento parapneumonico, se invece si individua il germe si è
nell’ambito di un’infezione del cavo pleurico).]

112
FASI DELL’EVOLUZIONE DEL
VERSAMENTO PARAPNEUMONICO

Un versamento pleurico di
accompagnamento ad una
polmonite di natura infe va può
evolvere in 3 fasi differen .
Nonostante sia semplice
descriverle e schema zzarle,
capire il momento esa o in cui il
processo si è avviato a volte non
lo è.

I. Fase essuda va
Il versamento parapneumonico è un fenomeno rea vo al processo pneumonico: perdura per circa 2
se mane dall’insorgenza della polmonite, è un trasudato sterile, raccolto in un’unica camera che risponde
molto bene alle manovre di aspirazione. In questa fase il polmone è ancora perfe amente riespandibile
quindi:
- se il versamento è poco e solo un po’ rea vo la fisioterapia può essere sufficiente;
- se la quan tà di liquido è importante la strategia può essere o una toracentesi o un drenaggio tenuto in
sede qualche giorno. Laddove il versamento sia di una certa rilevanza o a pH par colarmente basso o
con LDH alto, sopra u o se il versamento da rea vo diventa infe o, quindi con criteri di rischio di
evoluzione alla fase successiva, è meglio an cipare il problema gestendolo da subito sopra u o se la
l’elas cità del polmone è ancora conservata.
È difficile definire ciò che richieda maggiori a enzioni; è chiaro che in un versamento s mato >7-800 cc,
sopra u o in un paziente dispnoico, il drenaggio possa dare beneficio sintoma co al paziente, recuperando
la porzione di polmone coartata rapidamente; su tale liquido si effe ueranno successivamente un serie di
esami per avere la certezza che non si tra di empiema. In ques casi l’indicazione non si basa solo dalla
quan tà di liquido ma anche sulla sintomatologia del paziente e la possibilità di avere un polmone ancora
riespandibile totalmente!
Cara eris che:
- Deposi fibrinosi e leucoci , granuloci , neutrofili scarsi o assen
- Liquido sieroso limpido, sterile: esami ba erioscopico e colturale nega vi
- pH>7.30
- glucosio normale
- LDH<1.000 UI/L

II. Fase fibrino-purulenta


In questa fase si possono avere due ordini di problemi, che si presentano singolarmente o associa : il
versamento può evolvere nella fase mul loculata, dove l’organizzazione della fibrina separa il versamento in
più camere (fase fibrinosa pura), oppure il liquido si presenta già purulento (il drenaggio è mandatorio!).
Indipendentemente dal pus il problema di questa fase avanzata è il versamento mul loculato necessitando
di un ragionamento più interven s co 🡪 dal punto di vista pra co se si drena il versamento pleurico in
questa fase (cioè non lo si è drenato nella precedente ma lo si drena ora) si riduce ne amente l’efficacia del
gesto di drenaggio perché non si drena più un‘unica grande sacca, ma se ne drena solo una delle tante
formate a causa dei se , quindi è più difficile essere risolu vi con il solo drenaggio.

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Le strategie possibili sono due:
- Drenaggio del cavo pleurico associato ad un lavaggio con fibrinoli ci senza dover operare precocemente
il paziente 🡪 si incomincia drenando una sola camera a raverso la quale si inie a Alteplase o
Urochinasi, 2/3 volte al giorno, per lisare le aderenze; progressivamente si avrà quindi il drenaggio delle
camere adiacen . Il tu o è volto ad evitare la progressione nella terza fase, nella quale difficilmente si
potrà tra are il quadro senza un tra amento chirurgico invasivo.
- Intervento chirurgico mininvasivo in ileotoracoscopia 🡪 tu i tralci di fibrina possono essere disfa
con un semplice gesto meccanico di pressione con un tampone, riportando il versamento nella fase
precedente ricreando una camera unica che possa essere drenata con successo. In questa fase
generalmente la fibrina è presente anche sulla pleura viscerale; tu avia, essendo poco organizzata ne è
possibile la rimozione e una buona riespansione del polmone.
Cara eris che:
- Liquido rela vamente limpido/opalescente, di colore giallo: alla toracentesi con esame ba eriologico e
colturale il liquido può risultare posi vo.
- Comparsa di globuli bianchi. GB > 500/mL.
- Aumento del peso specifico e delle proteine con diminuzione del pH. PS > 1.018. PT > 2.5 g/dL. pH < 7.20.
- LDH ~ 1.000 UI/L.
Da questa fase si passa a una fase di empiema pleurico franco (propriamente de o). Le cara eris che di
questo con nuano a modificarsi: deposi fibrinosi abbondan , liquido francamente purulento
(macroscopicamente). GB > 15.000/mL. pH < 7.0. Glucosio < 50 mg/dL. LDH > 1.000 UI/L.
Se il quadro lo si lascia evolvere e non c’è in questa prima fase (generalmente corrispondente alle prime 4
se mane) una presa di decisione interven s ca, la fase fibrino purulenta evolve nello stadio terzo.

III. Fase cronico-organizzata


Dal punto di vista macroscopico, l’inspessimento della pleura può assumere una consistenza elevata che
conduce ad un incarceramento del polmone (pachipleurite) o ad una retrazione dell’emitorace (fibrotorace).
La pachipleurite coinvolge entrambe le superfici pleuriche, parietale e viscerale: il versamento è talmente
organizzato e delimitato da una cotenna su entrambi i versan che l’unico modo per liberare il polmone
perme endone la riespansione è la rimozione di entrambe le pleure coinvolte.
Di solito la terza fase è accompagnata quasi sempre dal liquido purulento, segnale che la cronicizzazione ha
avuto luogo. Una volta che si è in questa fase l’unica strategia di presa in carico è chirurgica.
Quando c’è del pus è come se la pleura reagisse per isolare completamente il pus dalle sedi circostan e lo fa
con una reazione pleurica che blocca e che si crea tu ’intorno alla sacca di pus, solo che se si drena in
questo stadio si ha uno spazio che si è completamente definito e che diventa immodificabile, quindi, per
ges re tale spazio si hanno due opzioni:
- Entrare per rimuovere chirurgicamente questa cotenna di pleura sia viscerale che parietale che ha
bloccato il polmone.
- Creare un’apertura a permanenza che consenta al pus di uscire regolarmente e di non riaccumularsi
all’interno. Questo avviene perché quando si è nella fase terza (così come nella seconda) generalmente
anche se si drena la sacca il polmone non si scolla più a causa della reazione infiammatoria che si è
venuta a creare e che ha murato il polmone contro la parete toracica; quindi anche fare un’apertura
senza collegare il drenaggio con una valvola di non-ritorno non crea alcun problema, al punto che in
queste situazioni si confeziona una toracostomia, ovvero un foro a permanenza nel torace così che il pus
possa drenarsi all’esterno (ovviamente per il paziente non è una soluzione par colarmente
entusiasmante perché si forma una cavità a permanenza che richiede medicazioni quo diane per lo

114
meno nel primo tempo e che quindi può dare alcuni problemi dal punto divista ges onale; tu avia è una
soluzione per risolvere il problema infe vo).
Da queste tre fasi dipende l’andamento del paziente e la scelta terapeu ca; tanto più precoce è la presa in
carico tanto più basse sono le probabilità di evolvere verso le fasi successive.

[Di seguito altre integrazioni piu osto lunghe (rischi di evoluzione, clinica, diagnosi differenziale, terapia) in quanto il
professor Leo si è concentrato sul processo decisionale che porta ad un’azione terapeu ca piu osto che a un’altra, ma,
di nuovo, l’approccio dida co di Ardissone può essere u le per avere un quadro della situazione migliore]

RISCHI DI EVOLUZIONE
[Qualunque po di polmonite ba erica, da parassi , ma anche virale può essere complicata da comparsa di
versamento pleurico parapneumonico. L’incidenza varia, oltre che in rapporto all’integrità dei meccanismi di
difesa dell’organismo, anche in rapporto all’agente eziologico. La frequenza di complicazione in versamento
è quindi:
- Polmoni virali e da Mycoplasma (a piche) 20%
- Streptococcus pneumoniae 40-50%
- Staphylococcus aureus, Gram -, anaerobi 50%
Invece il rischio di evoluzione di un versamento pleurico parapneumonico in empiema pleurico
propriamente de o è correlato a:
1. virulenza dell’agente eziologico della polmonite
2. cara eris che del paziente
3. efficacia dell’an bio coterapia fa a
Quindi in rapporto all’agente eziologico le variazioni sono queste:
- S. Pneumoniae 40-50% <5%
- S. Aureus (bambini) 70% 80%
- S. Aureus (Adul ) 40% 20%
- E. Coli 50% 90%
- Pseudomonas 50% 90%
- Anaerobi 35% 90%
Il rischio è aumentato in gram nega vi e aneaerobi.
BATTERIOLOGIA
In epoca pre-an bio ca la causa maggiore di empiemi pleurici era lo S. Pneumoniae (60- 70%), inoltre fu la
causa eziologica di complicazione in empiema delle epidemie di Spagnola. Successivamente all’introduzione
degli an bio ci sono comparsi altri microorganismi alla base dell’empiema broncopneumonico
rappresenta da Staphylococcus aureus, gram nega vi e anaerobi. È importante so olineare che in circa il
40% dei casi non è possibile isolare l’agente microbico che causa l’empiema e che la ba eriologia varia a
seconda dei paesi e all’interno di ques anche in base alla regione o all’ospedale stesso. Per esempio, in
Italia c’è una bassa esistenza di Stafilococchi me cillino resisten , molto più presen in Gran Bretagna.
Altra dis nzione dal punto di vista ba eriologico si basa sui pi diversi di broncopolmonite.
La polmonite acquisita in comunità è sostenuta da specie streptococciche (Streptococcus spp 52% - S.
milleri, S. pneumoniae, S. intermedius, Staphylococcus aureus, 11% Aerobi Gram nega vi, 9%
Enterobacteriaceae - Escherichia coli, Anaerobi 20% - Fusobacterium spp, Bacteroides spp,
Peptostreptococcus spp, mixed).

115
La situazione è diversa nelle polmoni acquisite in ospedale: diminuisce il peso degli streptococchi, ma
assumono maggiore importanza l’MRSA, i gram nega vi aerobi, gli anaerobi e le infezioni miste con
associazione di organismi gram - e anaerobi che colpiscono maggiormente i pazien più anziani e con
comorbidità (Streptococchi 18%, S. aureus 10% - MRSA 25%, aerobi Gram-nega vi 23% - E. coli, P.
aeruginosa, Klebsiella spp, Anaerobi 8%, Mixed).]

CLINICA
[Clinicamente l’empiema è una mala a febbrile Con segni e sintomi respiratori quali:
acuta quindi si presenta con: - tosse ± produ va
- temperatura > 38°C - dolore toracico puntorio
- brividi - dispnea
- iperidrosi
- alterazioni sensorio
- stato tossico
All’ esame obie vo si rilevano varie alterazioni che sono espressione della presenza di un versamento
liquido nel cavo pleurico, ma che possono anche derivare dalla presenza del focolaio broncopneumonico.
Queste sono:
- accentuazione FVT - sfregamen pleurici
- ipofonesi plessica - soffio bronchiale
- riduzione MV
Il quadro clinico da infezione di anaerobi può risultare diverso da quello descri o finora con delle
cara eris che più specifiche. Può tra arsi di un paziente cara erizzato da scarsa igiene orale, storia di
alcoolismo, tossicodipendenza o patologia esofagea (MRGE: Mala a da Reflusso Gastro-Esofageo). Si tra a
prevalentemente di una polmonite da inalazione e il decorso può essere insidioso fino ad arrivare a marcate
alterazioni del sensorio come o undimento o stato soporoso.]

DIAGNOSI
Per poter iden ficare a che punto
dell’evoluzione clinica è la patologia, è
importante andare a valutare:
● Anamnesi: fondamentale, se
accurata può datare l’inizio della
sintomatologia infe va es. febbre.
● Ecografia transtoracica: u le per dis nguere tra la prima e la seconda fase. Ha il vantaggio di ricavare
informazioni sia sul cavo pleurico, che sul polmone so ostante e sulla presenza di aderenze,
differenziando un versamento omogeneo senza se e tralci di fibrina da uno disomogeneo. L’unico
svantaggio è l’operatore dipendenza: dev’essere effe uata da qualcuno che sia formato altrimen
l’efficacia dell’esame diminuisce.
Alcuni specialis sostengono che una volta che l’ecografia dimostra la presenza di tralci sia ormai troppo
tardi per drenare il versamento. In realtà il professore non è d’accordo con questa teoria in quanto a suo
avviso merita sempre il tenta vo di drenaggio + lavaggio con un fibrinoli co. Dunque, la presenza di tralci di
fibrina non è di per sé una controindicazione al drenaggio ma richiede, essendo nello stadio II, l’aggiunta del
fibrinoli co nell’ipotesi di drenare così anche le sacche con gue. Non c’è sempre un’efficacia del 100% ma
sono più i risulta par colarmente brillan che i fallimen di questo tra amento.
● Radiografia toracica

116
● TC: ci fornisce informazioni sia sulle cara eris che del versamento che sulla presenza di patologie
polmonari associate, come la polmonite e la sua estensione. Quest’ul mo è un dato importante poiché
può determinare un paziente unfit per la chirurgia e richiedente un approccio più conserva vo.
Tu avia, per le informazioni sui tralci di fibrina (che fanno la differenza tra un versamento mul loculato
e un versamento libero) è più performante l’ecografia transtoracica. Comunque, la TAC resta un
passaggio fondamentale anche per la sorveglianza dell’evoluzione del paziente: basarsi soltanto su una
sequenza di lastre del torace può essere un po’ impreciso, tenendo anche conto della scelta della sede
del drenaggio per la quale invece la TAC risulta essere molto u le.
Talvolta questo bilancio non ci perme e di discriminare in che fase siamo nell’evoluzione dell’empiema,
sopra u o non consente di fare dis nzione franca tra secondo e terzo stadio. Questo è un dato che può
clinicamente emergere: un polmone che non si riespande dopo drenaggio è più dirimente per un terzo
stadio anziché un secondo, situazione alla quale la probabilità che il lavaggio con urochinasi possa essere
efficace si riduce poiché la mancata riespansione rischia di vanificare lo sforzo.
[Possono fornire indizi, ma possono anche non essere informa vi alcuni esami di laboratorio:
- Leucocitosi neutrofila (>15.000) - Emocoltura
- Elevazione indici di flogosi
- Ba eriologico escreato (ba erioscopico o
colturale)
L’esame fondamentale per la diagnosi circostanziata di empiema è la toracentesi perché l’estrazione del
liquido dall’empiema consente di osservarne cara eris che:
- Macroscopiche: liquido è purulento e maleodorante
- Fisico-Chimiche (GB, PS (peso specifico), PT (proteine totali), pH, LDH, Glucosio)
- Ba eriologiche (esame ba erioscopico, colturale, NAAT - Nucleic Acid Amplifica on Techniques)
Le indagini radiologiche, quindi radiologia convenzionale, TC sopra u o ed ecografia, CONFERMANO la
presenza del versamento e danno indicazioni riguardo a CARATTERISTICHE MACROSCOPICHE (sede,
estensione, presenza di se o concamerazioni), la presenza contemporanea di alterazioni parenchimali
(diagnosi differenziale tra ascesso polmonare ed empiema), inoltre fanno da GUIDA (Eco e TC) per
toracentesi e/o drenaggio.
Tu avia, forniscono solo informazioni morfologiche, non stadia vo-prognos che o terapeu che: il quadro
radiologico (sia eco che rx che tc) può risultare abbastanza sovrapponibile nei vari stadi evolu vi di
empiema e quindi non è u le per dis nguere i casi che hanno bisogno di intervento chirurgico (drenaggio)
da quelli che possono essere tra a in maniera conserva va (an bio co + toracentesi evacua va). Queste
pra che, come dimostrato da uno studio più recente possono servire bensì a capire come e dove introdurre
il drenaggio o eseguire la toracentesi.]

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
[È necessario fare DD con l’ascesso polmonare, non sempre agevole. L’ascesso è una raccolta liquida di
forma ovalare (forma che si nota sopra u o in proiezione sagi ale e coronale) contenuta in un parenchima
polmonare addensato. Inoltre, in presenza di un empiema il polmone viene compresso dal liquido e quindi il
polmone e le vie aeree vengono dislocate.
Altra cosa da ricordare è che la presenza di aria in un versamento, se non preceduta da toracentesi, è
patognomonica di empiema.]

TERAPIA

117
[Il Professor Leo ha svolto la terapia dando per scontate le tecniche e analizzandola a seconda degli stadi in cui ci si
trova. Per questo mo vo si riporta alla fine il capitolo spiegato da Ardissone con un approccio più dida co]

PRINCIPI DI TRATTAMENTO
Quando ci si trova davan un
versamento pleurico che potrebbe
essere un empiema il primo fronte da
ges re è la sintomatologia del paziente,
con par colare a enzione allo stato
se co. Ques pazien vanno tra a
con un’an bio coterapia che sia
ada ata al germe responsabile, tenendo presente che non è de o che ci sia infezione nel cavo pleurico e,
nel caso ci fosse, che l’agente patogeno sia lo stesso dell’infezione polmonare. Sulla base delle condizioni
cliniche del paziente è importante valutare se sia il caso di cominciare una terapia empirica, per poi renderla
mirata una volta o enuto l’an biogramma. Spesso si tra a di polmoni acquisite in comunità anche se negli
empiemi dei pazien ospedalizza per lungo tempo ques hanno i profili della polmonite nosocomiale;
queste ul me possono verificarsi in pazien defeda , par colarmente fragili, per i quali è ancora più
importante se possibile il tra amento an bio co e le suppor ve care, quindi correzione di deficit metabolici,
dell’eventuale stato se co, e valutazione dello stato ele rolito. Le colture possono risultare nega ve in una
percentuale che può elevarsi siano al 40% dei casi, mo vo per il quale il ragionamento del tra amento
empirico può rivelarsi necessario per regolarsi in base al po di polmonite che pensiamo di star gestendo.
Dopodichè si deve ragionare sul tra amento del cavo pleurico, che si basa sulla rimozione del liquido, perciò
sulla necessità di un drenaggio. Questo dipende dalla quan tà di liquido e dalla probabilità di o enere una
riespansione del parenchima so ostante (più si an cipa il drenaggio più sarà alta). Il liquido recidiva se c’è
spazio pleurico, quindi l’obie vo deve essere quello di avere una riespansione polmonare: se si o ene la
riespansione in linea di massima si è risolto il problema, se invece rimane uno spazio pleurico residuo quello
sarà fonte molto probabilmente di recidiva di versamento e/o di infezione.

STADIO I 🡪 quando drenare?


Vi sono una serie di studi mira a valutare quando il drenaggio del liquido sia da realizzarsi. Le indicazioni a
drenare sono:
- Quan tà del versamento pleurico: se il versamento pleurico è importante e non si fa niente
difficilmente si risolverà da solo
- Liquido purulento: c’è la certezza che deve essere drenato
- Presenza di ba eri: se agli esami colturali post toracentesi si trovano ba eri si ha la certezza che il
versamento non è solo rea vo ma è anche infe o e quindi non si risolverà da solo
- pH molto basso: è un fa ore di rischio di evoluzione verso le fasi successive

La terapia sistemica da sola è efficace nell’82% dei casi e il drenaggio può fallire nel 40% di casi (dipende
dallo stadio e dalle cara eris che del versamento). L’unica strategia per ridurre il rischio di failure del
drenaggio è an ciparlo. Ovviamente non si andrà mai a drenare un versamento di pochi mL, ma se il
paziente è febbrile con un focolaio e un voluminoso versamento pleurico si deve cercare di fare
un’aspirazione: la probabilità di avere una complicanza successiva se non si interviene in questo caso è
molto più alta.
[In ques casi il consiglio è di drenare. Ci sono mol studi che tra ano sulle metodiche di drenaggio. Si
diceva “se c’è un versamento purulento drena con un drenaggio grosso”: questo non è propriamente vero.

118
Se si hanno dei sistemi di aspirazione efficaci come di dispone al giorno d’oggi, si può u lizzare un drenaggio
di calibro minore connesso con un sistema di aspirazione, ugualmente affidabile ed efficace. Il vantaggio di
me ere un drenaggio più piccolo è che molto spesso, per gravità, le sacche di empiema sono basali e
posteriori; quindi, in quella posizione un grosso drenaggio può essere molto scomodo e pericoloso, mentre
uno più piccolo, magari con tecnica di Seldinger, può facilitarne la ges one (sopra u o considerato che
siamo in uno stadio primo). Il versamento viene drenato un po’ declive cosicché, un po’ per gravità e per
aspirazione del sistema, si risolve; u le l’aggiunta della fisioterapia respiratoria per favorirne il
riassorbimento.]

STADIO II 🡪 drenaggio o chirurgia?


Il ragionamento in questo stadio deve essere più
interven s co. Non è de o che tu i pazien
debbano essere opera ; tu avia, la scelta è tra
drenaggio + fibrinoli ci e chirurgia precoce. Questo
perché il semplice drenaggio come già an cipato in un versamento mul loculato non ha alcuna probabilità
di essere efficace; l’unico razionale è se ci sia una grossa camera con l’80% del liquido e tu a una serie di
microcamere: può avere un senso drenare il versamento grande; tu avia, non è questo un quadro
frequente.
Ogni farmaco fibrinoli co ha a sua volta vantaggi o svantaggi con diversi protocolli di somministrazione,
ogni centro ha i suoi; non esistono studi che abbiano validato un protocollo in assoluto rispe o ad altri. Ci
sono solo range di dosaggio o mali che si considerano sicuri per la loro somministrazione intrapleurica.
Controindicazione al tra amento con lavaggio fibrinoli co è l’insorgenza di tosse ed espe orato con la
soluzione salina impiegata per il lavaggio: è il segno pleurico che dentro al polmone si ha già una
comunicazione con il cavo pleurico, di una fistola. Questo lo si può stabilire o indire amente dopo aver
impostato il drenaggio poiché in aspirazione non si evidenzia perdita aerea quindi non ci sono segni di
comunicazioni pleuro-polmonari, oppure dire amente se durante il lavaggio con fisiologia il paziente
espe ora salato.
L’alterna va è la chirurgia precoce che ha il vantaggio di avere buone probabilità di essere realizzata per via
mininvasiva con l’u lizzo della video-toracoscopia senza ricorrere alla toracotomia. L’obie vo è di rendere
unica la camera del cavo pleurico rompendo le tende di fibrina (debridement) in modo che il liquido possa
essere totalmente drenato e la fibrina rimossa, favorendo così la riespansione polmonare.
[Una volta drenato il versamento se rimane uno spazio pleurico residuo può non bastare fare soltanto il
debridement, ma potrebbe essere necessario fare una decor cazione, cioè liberare il polmone dalla sua
corteccia. Più si aspe a più si va verso l’opzione chirurgica invasiva che è la decor cazione. Più si è precoci
nel decidere, più la prima opzione, cioè quella di drenare e lavare il cavo pleurico con dei fibrinoli ci, può
essere efficace.
Conce ualmente se il paziente ha un versamento massivo, mul loculato già da due/tre se mane, e si
prende la decisione di non operare in quanto non in buone condizioni generali, si può decidere di me ere
un drenaggio, ma questo drenaggio deve essere coadiuvato dal lavaggio intrapleruico con un fibrinoli co.
Il vantaggio del drenaggio e dell’uso dei fibrinoli ci nella fase due, se fa o abbastanza rapidamente, è che il
tasso di successo è tu o sommato consistente: c’è circa l’80-85% di probabilità di non dover portare il
paziente alla chirurgia. Ovviamente in questa fase precoce la scelta tra drenare e fare i fibrinoli ci o andare
dire amente a un debridement può dipendere dal centro in cui ci si trova.
Il rapporto tra vantaggi e svantaggi si può discutere: fare il lavaggio con i fibrinoli ci significa per esempio
che dopo il drenaggio si deve lavare il cavo pleurico con il fibrinoli co tre volte al giorno per 5-7 gg, fare una

119
TC dopo una se mana e, se tu o va bene, dime ere il paziente; operare dire amente significa invece
tra enere il paziente 4-5 gg in post-operatorio e, se tu o va bene, una volta rimossi i drenaggi dime ere il
paziente. Dal punto di vista della degenza post-operatoria le opzioni sono più o meno equivalen , così come
dal punto di vista dell’invasività: il posizionamento del drenaggio è abbastanza simile alla toracoscopia.
L’unica vera differenza tra drenaggio + fibrinoli ci e il debridement per via toracoscopica è il fa o che in
quest’ul ma si deve passare per l’anestesia generale; quindi, dipende un po’ dalle condizioni del paziente:
se il paziente è anziano, defedato, ad alto rischio allora si preferisce rimanere sull’opzione che non prevede
l’anestesia generale. Più si aspe a più si va verso il gesto chirurgico che però è più complesso e può
richiedere una chirurgia open con la toracotomia.]

STADIO III 🡪 quando operare?


In questa fase cronica le cose si complicano ulteriormente. L’unica strategia è la chirurgia che tu avia deve
far fronte a una serie di ques oni:
- La situazione è più complessa dal punto di vista fisiopatologico richiedendo una
pleurectomia/decor cazione (asportazione della pleura viscerale).
- Questa complessità si riflesse su una via d’accesso più invasiva, con toracotomia.
- La pleura viscerale si inspessisce progressivamente e quando la si rimuove dev’essere separata dal
polmone. Con un empiema/versamento in stadio III la separazione tra pleura e parenchima polmonare
è più agevole entro il primo mese e dopo 3 mesi (si troverà un piano di clivaggio evidente tra il polmone
e la sua pleura viscerale - si farà qualche breccia sul polmone ma la pleura viene via agilmente); se si
effe ua una decor cazione nella finestra temporale dalla fine del primo mese al terzo mese la
separazione facilitata che si sarebbe potuta riscontrare non c’è, con il rischio di creare molte più lesioni
a causa della reazione infiammatoria che incolla e fonde il polmone sulla pleura viscerale.
- I pazien possono essere
fit per la chirurgia 🡪
Empiemectomia: indica
l’intervento con cui si entra
nella cavità toracica e si
toglie in blocco la coccia
che isola il pus. Se si toglie
in blocco tu a la coccia
non c’è rischio di
contaminazione del cavo
residuo, ma avviene con
poca frequenza;
decor cazione: asportazione di pleura viscerale e parietale che si fa aprendo la camera.
Nei pazien unfit per la chirurgia (es. defeda ) con empiemi cronicizza , drena ma con un polmone
non riespandibile, l’unico intervento potenzialmente risolu vo è la toracostomia: un’apertura nella
parete toracica cronica. Per realizzarla normalmente si rimuove un pezzo di costa e si introfle ono i
margini cutanei nel cavo pleurico in modo che il cavo empiema co abbia una via di drenaggio cronica e
possa guarire nel tempo (sarà aperto per mesi). Questo intervento è meno invasivo, effe uabile in
anestesia locale che richiede solo l’asportazione della costa e l’introflessione della cute, di minore
durata (1h 15’ a differenza della decor cazione di 3h).

[La terapia deve tenere in conto due variabili principali:

120
- Cara eris che del paziente: l’acuzie del quadro clinico, l’età perché sia l’età pediatrica che quella
avanzata possono essere un criterio per favorire un tra amento a vo, le comorbidità
(broncopneumopa a cronica ostru va, fibrosi cis ca, bronchiectasie, mala a da reflusso
gastro-esofageo) e gli sta di immunodepressione (diabete mellito, alcoolismo, consumo di droghe, HIV
+, prednisone > 10 mg / die, neoplasia ± CT, trapian d’organo).
- Cara eris che della mala a: estensione e morfologia della raccolta pleurica (liquido ± abbondante,
concamerazioni (empiema complesso), ispessimen pleura parietale, le cara eris che fisico-chimiche
del liquido pleurico (liquido purulento (maleodorante), pH < 7.20, glucosio < 40, LDH > 1.000 ci
inducono a un tra amento a vo).

La terapia prevede tre pi di provvedimen :


1) An bio coterapia
Questa può essere fa a su base empirica (storia clinica e storia di evoluzione dell’empiema, storia del
territorio, farmacoresistenza locale) oppure fa a post-indagini ba eriologiche su escreato, sangue o liquido
pleurico. [Leo ha de o che deve essere fa a quanto più possibile mirata e che solo in assenza di
informazioni eziologiche precise deve essere fa a in modo empirico basandosi sull’epidemiologia e le
cara eris che del sogge o]
2) Evacuazione e/o drenaggio
Può non essere necessaria alcuna manovra evacua va, ad esempio quando si ha un sospe o forte senza
aver fa o la toracentesi e l’an bio co fa effe o, in altri casi nel momento in cui si fa una toracentesi
diagnos ca si può andare a togliere tu o il liquido, a raverso un drenaggio intercostale, e a quel punto
diventerà una toracentesi terapeu ca (in caso di versamento parapneumonico non complicato).
Il drenaggio intercostale deve avere principalmente due cara eris che. Deve essere munito di valvola
unidirezionale che separi il cavo pleurico dall’ambiente esterno. Questo per consen re riespansione del
polmone perché la pressione del cavo deve essere mantenuta e quindi non comunicare con l’esterno. Il
drenaggio viene de o esterno se il cavo pleurico rimane aperto.
In alcuni ambien pneumologici si fa ricorso all’introduzione di fibrinoli ci nel cavo pleurico mediante una
toracentesi o un drenaggio intercostale. Il loro ruolo non è ben definito, sono indica sopra u o quando il
versamento è di po fibrino-purulento, ha lo scopo di ridurre la viscosità del liquido purulento e distruggere
i sepimen fibrinosi che si sono forma e hanno portato alle mul ple concamerazioni. La sua reale efficacia
è però discussa e possono essere associa anche a importan reazioni allergiche. [vedi discorso di Leo sui
fibrinoli ci: in sostanza il professore ha de o di u lizzarli quando ci sono sepimentazioni, altrimen si
rischia di avere recidiva]
3) Chirurgia mini-invasiva o chirurgica propriamente de a
È indicato intervenire chirurgicamente in due circostanze:
- Sepsi persistente
- Inadeguata evacuazione della raccolta nonostante an bio coterapia +/- drenaggio intercostale (7 gg).
Le cause più frequen di insuccesso sono cos tuite da ritardo diagnos co, terapia atb non adeguata,
drenaggio non corre o (es drenaggio non declive - ovvero collocato in alto che non raccoglie tu o il
versamento che è invece localizzato in zone declivi) o che cessi di funzionare.

La chirurgia consiste nell’evacuazione completa del versamento e successiva riespansione polmonare.


1. Toele a in VATS: è la più u lizzata. Consiste in una pulizia a va del cavo pleurico con ausilio
toracoscopico.
2. Drenaggio ele vo (declive, quindi nella sede più bassa della raccolta pleurica) previa costotomia. Si
asporta un segmento di circa 2-3 cm di arco costale nel punto più declive della raccolta empiema ca, si

121
fa un’incisione di pleura parietale, si inserisce un drenaggio. Può essere necessario asportare il
segmento di costa (la costa poi ricresce sul perios o) perché togliendolo si previene la possibile
insorgenza di algie toraciche persisten per compressione del nervo intercostale.
3. Vacuum-assisted closure (VAC) therapy (aspirazione so ovuoto della camera empiema ca): tole a
della camera empiema ca, si introduce la spugna collegata ad una pompa ele rica che favorisce
l’aspirazione di secrezioni purulente e corpuscolate ancora presen nel campo, ma anche la graduale
riespansione del parenchima (elisione della camera empiema ca).
4. Toracotomia ± Decor cazione / Pleurectomia. Si esegue una toracotomia in cui si può poi rimuovere il
foglie o pleurico viscerale ispessito (decor cazione) oppure asportare il foglie o pleurico parietale
anche esso ispessito (pleurectomia). Questa procedura va applicata al termine dello stadio organizza vo
(dopo le prime 4 se mane dalla comparsa dell’empiema) in modo che il foglie o ispessito si sia ben
separato dal parenchima polmonare so ostante. La decor cazione in questo modo è eseguibile in
maniera più agevole, non complicata da perdite aeree sistemiche che si possono osservare quando il
foglie o pleurico viscerale è ancora aderente al parenchima polmonare so ostante. Cos tuisce un
intervento chirurgico maggiore e quindi vanno considera l’estensione della camera empiema ca, la
presenza di ispessimen pleurici, la compromissione funzionale respiratoria e le condizioni parenchima
polmonare so ostante (per far si che si possa ancora riespandere in maniera armonica).
5. Toracostomia (open window): procedura da effe uarsi in presenza di un empiema pleurico cronico, in
pazien difficili da so oporre a intervento chirurgico maggiore. Consiste nell’esportazione di 1/3 dei
segmen di archicostali adiacen e sutura dire a della cute sul foglie o pleurico all’interno (parietale).
C’è una dire a comunicazione del cavo pleurico con l’esterno, si crea quello che chiameremmo
pneumotorace aperto, ma in questo po di paziente non vi sono risvol patologici perché essendo un
empiema cronico ci sono aderenze che tengono il polmone a accato. Infa , le pare della camera
empiema ca sono rigide quindi l’emitorace in cui viene fa a la finestra non risponde più alle variazioni
del volume endotoracico. Può quindi essere messo in dire a comunicazione con l’esterno senza creare
le stesse conseguenze che si osservano nella ferita penetrante del torace. Nei casi più favorevoli una
volta confezionata la toracostomia si assiste a progressiva obliterazione della camera empiema ca fino a
ricos tuzione di una cute quasi integra.]

DOMANDE
D: in caso di toracostomia come si ges sce il rischio di infezioni aggiun ve?
R: paradossalmente si ges sce il rischio di infezioni in meno: nei casi in cui il drenaggio è inefficace si può
solo più aprire in modo permanente il cavo; questo non crea un rischio di infezione dal momento che è già
infe o. Non si è nella situazione in cui il versamento parapneumonico è rea vo e devo fare a enzione con
il drenaggio a non infe arlo. La soluzione della toracostomia è un’estrema ra o quando non si può più fare
altrimen . Es. caso della pneumectomia precedente: il bronco si riapre e si ha un empiema
post-pneumectomia. Si me e in sicurezza il paziente con un drenaggio ma non lo si potrà tenere per
sempre in quanto non risolu vo per il processo infe vo, serve aprire il cavo in modo permanete. Si
confeziona una toracostomia di una certa dimensione (frammen di 2-3 coste con gue), tale per cui si
possa non solo far spurgare l’infezione ma anche quo dianamente zaffare il cavo pleurico con delle
lunghe e in modo da perme ergli una detersione completa. Una volta aperta la toracostomia il processo
infe vo richiede mesi di tra amento per risolversi.
[D: è stato de o che si fa un tra amento an bio co mirato sulla polmonite, ma se i ba eri possono essere
diversi tra il cavo pleurico e la polmonite, come faccio a sapere quale tra are?
R: idealmente si fa la terapia an bio ca su tu o quello che si trova: se c’è una polmonite con un
versamento pleurico associato si faranno i prelievi endoscopici da un lato, la toracentesi con il colturale

122
dall’altro e si osserva quali sono i patogeni coinvol , così poi da scegliere la strategia atb. Situazione
alterna va: non si hanno informazioni né da un lato né dall’altro, per esempio l’escreato non dà
informazioni, non è possibile fare prelievi endoscopici e la toracentesi non è informa va. A questo punto si
deve ragionare per termini empirici: è una polmonite da comunità o ospedaliera? Il pz è immunodepresso?
Se non abbiamo da , più il pz è defedato dal punto di vista generale e sintoma co, più si fa un tra amento
ad ampio spe ro cercando di essere il più efficaci possibili. Si deve ada are la strategia al singolo pz. Più si
aspe a nel fare il prelievo più si rischia di trovare tu o più o meno sterile: può succedere che si trova pus
ma senza un patogeno.
D: è possibile che ci sia un empiema dato da un ascesso che si rompe? Si chiama sempre empiema?
R: sì, lo chiamiamo sempre empiema. L’ascesso comunque sarà affrontato nella prossima lezione. È tu avia
una dis nzione dida ca: se il pz ha una polmonite questa può evolvere in ascesso il quale può rompersi nel
cavo pleurico e quindi si potrà formare un piopneumotorace, in quanto si avrà aria, pus, ascesso, empiema,
tu o nello stesso tempo e questo complica ancora di più la strategia: come si procede? Con quale ming?
Su cosa ci si concentra? L’approccio dida co serve per poter ragionare sulla fisiopatologia delle singole
par , ma nella maggior parte dei casi si avrà un coinvolgimento diffuso e non così definito. Spesso i colleghi
si concentrano sul problema polmonare e tra ano il problema pleurico come un corollario, fa o salvo che
poi quel problema pleurico è quello che obbliga
D: nello stadio I, quando c’è sintomatologia, si drena?
R: è difficile rispondere, perché si è in una situazione in cui si ha una polmonite associata a un versamento
pleurici con pz sintoma co → dipende dal versamento: se c’è una minima falda di versamento è possibile
che il pz sia sintoma co per la polmonite, quindi si deve dare 24-48 h di terapia an bio ca per vedere se
risponde; se invece il versamento è importante si deve fare drenaggio o toracentesi. È bene quindi basarsi
sul volume del versamento e sulle cara eris che che si trovano alla toracentesi. Ovviamente se inizialmente
si è deciso di non drenare ma dopo due/tre giorni il pz non sta bene, è meglio fare una toracentesi in più
che una in meno.]

ESEMPI E CASI CLINICI


È importante ragionale non solo in termini di presenza o assenza di versamento pleurico ma di possibile
riespansione polmonare, precocità del tra amento e probabilità che il drenaggio sia defini vo nel tra are il
versamento.
EMPIEMA PLEURICO LIBERO (TOTALE)
In presenza di versamento pleurico unico, che sia
parapneumonico o empiema la possibilità che il drenaggio sia
efficace è superiore rispe o a situazioni in cui sia mul loculato.
Talvolta la valutazione radiologica non ci perme e di capire
bene se sia mul loculato o meno. Si osserva un grosso
versamento pleurico sinistro. Quello che ci fa dire che si tra a
molto probabilmente di un versamento libero è che si osserva
una linea arcuata che risale verso l’alto in maniera regolare ed è una linea che fa immaginare che
innanzitu o non c’è aria nel cavo pleurico perché quando c’è aria e liquido si ha un livello idroaereo, invece
qui si vede solo liquido. Questo si dispone come classicamente si dispone un versamento pleurico libero: si
tra a di un versamento che occupa più o meno il 50% dell’emitorace; quindi, è da drenare o quanto meno
fare la toracentesi: se non si prende un provvedimento pleurico è molto improbabile che si risolva
autonomamente. Nella radiografia a destra il quadro è ancora più evidente: si osserva deviazione della
trachea, un versamento pleurico che occupa buona parte del torace, non ci sono grossi dubbi.

123
VERSAMENTO PLEURICO SACCATO
Il liquido non si dispone secondo gravità ma resta bloccato in
questa posizione posteriore: molto probabilmente perché ha
generato delle aderenze che impediscono al liquido di muoversi.
La lastra postero anteriore mostra che c’è qualcosa vicino al
cuore ma non si riesce a capire se sia solo liquido o un
addensamento connesso a una pneumopa a; si vede una
reazione pleurica perché non si riesce a vedere lo sfondato
costo-frenico, quindi un po’ di liquido c’è per forza; si fa quindi la lastra laterale e si
vede molto più chiaramente.
Stesso discorso per questa radiografia in cui il versamento pleurico sembra appeso a
metà del torace: il liquido viene incastonato in una reazione infiammatoria in una
condizione intermedia (si deve anche tenere a mente che ques pz stanno molto
tempo a le o, quindi il liquido si dispone secondo gravità).

VERSAMENTO PLEURICO PLURICONCAMERATO


Si iden ficano una sacca anteriore, una laterale, una
nella porzione para-vertebrale. Con la TC le
informazioni sono più precise. Il polmone (quella
sorta di mezza luna) è atele asico e bloccato. La
parte nera rappresenta il polmone ancora ven lata.
In questa situazione, decidere di drenare solamente è
difficile in primis perché bisogna stare a en a non
perforare il polmone. Spesso l’empiema genera la
reazione a po fibrotorace: l’emitorace sx è più
piccolo, gli spazi intercostali sono un po’ più stre in
rapporto a quello controlaterale e questo è il segno
dell’empiema che sta evolvendo a fibrotorace, perché
la reazione infiammatoria fa ridurre il volume dell’emitorace interessato.
Si vede una piccola sacca di versamento con una reazione
pleurica parietale. Questo ci fa capire come per me ere un
drenaggio è necessaria anche la TAC per poter trovare un
repere, la lastra non basta. La TAC in questo caso dà
informazioni anche sull’eventuale presenza di aria: quando
si trovano delle sacche di aria e liquido insieme,
organizzate in piccoli spazi aerei sepimenta da
loculazioni, è un chiaro segno di crescita ba erica.

La DD tra empiema e ascesso potrebbe non essere semplice. Dipende dal po di immagine a disposizione.

124
1. porzione apicale con versamento 2. versamento pleurico 3. raccolta liquida tra il lobo
pleurico libero importante laterale e una falda superiore e inferiore. Difficile
paramedias nica dire se sia un ascesso o sacca
empiema ca intrascessurale

4. evidente il focolaio di polmonite, 5. ben evidente il polmone 6. sezione basale


probabile origine del versamento atele asico incarcerato;
eviden i livelli idroaerei in una
cavità posteriore
EMPIEMA NECESSITATIS
Immagine clinica di un versamento pleurico
empiema co che sta per fistolizzare alla parete:
evidente dalla zona di arrossamento cutaneo ne a in
corrispondenza della parete infero-laterale destra. Il pus
si fa strada progressivamente a raverso la parete
creando la raccolta purulenta so ocutanea. Ad un certo
punto la pelle si apre e il pus del cavo toracico si drena
all’esterno a raverso la pleura. Alla TC il versamento
pleurico è importante, associato a placche pleuriche
calcifiche, si sta fistolizzando nei tessu molli (una
cospicua parte si è già fa a strada). Questa è la
situazione immediatamente prima l’apertura di un
empiema necessita s.
Altro esempio di un’importante raccolta pleurica fistolizzata ai tessu molli. Si nota la raccolta cutanea che
ha eroso una costa per aprirsi.

125
EMPIEMA PLEURICO PARAPNEUMONICO
Il versamento è ancora monocamerale dove
immaginare di drenarlo può dare consisten risoluzioni
al problema con il drenaggio dato che la camera è
unica, il versamento sembra ancora abbastanza libero, è
una situazione in cui bIsogna intervenire: c’è talmente
tanto liquido che il paziente da solo difficilmente
recupera. Serve asportare la maggior parte del
versamento e con l’aggiunta di fisioterapia e terapia
an bio ca guarirà.
D: Ma in questa TC è evidente la cotenna pleurica inspessita?
R: Questa sorta di riflessione al livello indicato con la frecce a è un ispessimento della
pleura parietale. Alle volte è evidenziabile nelle RX in proiezione postero-anteriore. In
questo casso il versamento è libero, poco importa che ci sia una reazione pleurica:
meglio me er un drenaggio e al limite provare a fare un lavaggio con urochinasi se non
si libera completamente piu osto che aspe are 2-3 se mane e porsi il problema.
L’evoluzione naturale della mala a fa si che ci siano dei tempi per cui in una fase si è
in una situazione favorevole, successivamente intermedia, per poi entrare nella fase in
cui iniziano le problema che. Con questo po di TC il paziente merita il tenta vo di un tra amento
conserva vo avendo delle buone probabilità che il gesto possa essere
risolu vo.
CASO 1
Giorno 0
Immagine che mostra l’evoluzione di un focolaio broncopneumonico a destra
con uno sfondato costo-frenico libero.
Giorno 15
Miglioramento del quadro polmonare ma con iniziale reazione pleurica e
versamento (possibili circa da 500 a 700 cc). L’evoluzione dipende: dalla
quan tà del liquido pleurico e dal fa o che sia o meno infe o. In questa fase
se il paziente fa fisioterapia e va bene non ci sarà necessità di un drenaggio,
essendo la quota di versamento minima.
CASO 2

L’evoluzione di questo quadro invece è diverso. Il paziente inizia a sviluppare un versamento saccato sulla
parete laterale del torace che 15 giorni dopo evolve in un franco versamento ancora monocamerale. 20
giorni dopo la camera posteriore presenta delle briglie che ne determinano l’insorgenza di una laterale. In

126
quei 5 giorni potrebbe esserci stato un momento intermedio in cui si sarebbe potu intervenire in modo
poco invasivo ed efficace.
Quando si ha una polmonite in un paziente se co che non guarisce è perché ci saranno delle complicazioni
sovrapposte. Davan a quadri radiologici dubbi è sempre meglio valutare una TC in più, in modo da
inquadrare corre amente il paziente.
Quando si hanno queste immagini si è assolutamente
cer che da qualche parte nel torace c’è del liquido
(che si dispone in orizzontale) e di aria (che si dispone
nella parte superiore): livello idroaereo. Quello che
non possiamo sapere da questa lastra è se questo
problema sia all’interno del polmone oppure se la
raccolta di aria e liquido è all’interno del cavo pleurico,
ed è per questo che c’è bisogno di una TC.
[Una delle domande che ci si pone è: possiamo decidere quando operare o non operare solo con la lastra? Il
professore non è dell’idea: la cosa più semplice da fare in fase precoce è decidere la strategia di
tra amento, poi se si decide per la strategia di drenaggio si procede in tal senso e l’evoluzione delle 48-72
ore successive darà l’idea se c’è un miglioramento dei sintomi del pz oppure no; la chirurgia si esegue se il
paziente con nua a non migliorare, in quanto vuol dire che situazione localmente non è controllata. Si deve
però tenere conto che operare un pz con un fenomeno pneumonico in a o non è cosa scevra da rischi.]
Alle volte può non essere semplice la DD tra empiema e ascesso polmonare.
N.B. l’infezione del cavo pleurico può anche nascere da ascessi che si aprono nel cavo.
Non ci sono segni radiologici pre amente patognomonici. L’empiema è descri o come una sacca oblunga
che dà compressione ab-estrinseca delle stru ure verso l’esterno mentre l’ascesso polmonare è molto più
sferico, una camera a pare spesse con segni di distruzione delle stru ure all’interno del parenchima: sono
tu elemen di valutazione.
Tu avia, quando non si riesce a fare la dis nzione è perché il quadro non è così univoco.

In un’immagine come quella in centro è vero che le pare sono più spesse di quanto potrebbero essere in
un empiema, che non si riescono a seguire le stru ure all’interno, però francamente, dal momento che si
associa anche ad una chiara reazione pleurica, sopra u o se non si hanno a disposizione tu e le immagini
della TC, è difficile poter essere conclusivo e dis nguere tra ascesso polmonare ed empiema.

127
Esempio a sinistra di cavo pleurico mal drenato: si vede come il drenaggio finisce nella scissura e quindi
lascia una grossa camera apicale e una grossa camera basale.
A destra evidente problema ca del trapped lung: quando un empiema viene drenato dopo diverso tempo,
resta una grossa camera perchè il polmone non si riespande. Se siamo in una fase ancora precoce si può
giocare l’opzione del lavaggio con fibrinoli ci ed aspirazione intensa; in alterna va l’unica opzione
percorribile è l’intervento chirurgico.

Passa la parola alla do oressa Sobrero che ci presenta alcuni casi clinici
sull’empiema pleurico.

INTRODUZIONE
L’immagine a destra mostra uno dei possibili posizionamen del pazien
per poter effetuare la procedura di toracentesi o puntura esplora va;
so o la procedura stessa. Nella siringa il liquido che fuorisesce ha un
aspe o corpuscolato, denso e non sieroso.
Ogni volta che c’è un sospe o di empiema pleurico è fondamentale
riscontrare la presenza di pus nel cavo pleurico andando a valutare la
natura del liquido e la toracentesi è la procedura più indicata. A volte è
talmente denso che è difficile aspirarlo con una normale siringa.

Versamento pleurico all’ecografia toracica: non è il metodo d’indagine


migliore per la patologia polmonare ma aiuta a capire dov’è esa amente
localizzato il liquido, mostra l’organizzazione del versamento e, in questo
caso, la presenza di se di fibrina (cara eris ca principale di un liquido
ad eziologia infe va) che vanno a concamerare il versamento; è u le
nelle situazioni cri che per stabilire l’urgenza e la necessità di una
toracentesi immediata.

L’RX del torace: mostra l’intero spazio pleurico e può confermare/s mare la
quan tà di liquido presente; nell’immagine accanto è evidente un
versamento basale di sinistra, con un’ispessimento della pleura dato dallo
s molo infiammatorio.

128
Sempre più dirimente è l’esecuzione della TC torace: perme e di
visualizzare l’ispessimento pleurico, mostra l’estensione reale
dell’infezione e le alterazioni del parenchima. In base alla densità ci dà
informazioni sulla natura del liquido, che sia sieroso, a densità
maggiore e se è concamerato.
Nell’immagine, alla base c’è del liquido, la parte nera è aria; spesso si
formano camere pleuriche che a poco a poco si riempiono di liquido
che diventa sempre più denso: una delle cara eris che riscontrabili è
la presenza di bollicine aeree nel liquido denso.

CASO CLINICO 1
Paziente di 61 anni, ex fumatore di 20
sigare e/giorno, non esposizioni professionali note.
All’RX pre-operatoria (sx) si evidenzia la presenza di
un versamento pleurico in
parte concamerato che risale a
camicia con il polmone non completamente espanso, in quanto compresso dal
liquido.
All’RX post-operatoria (dx) dopo una completa toele a del cavo pleurico si ha una
pressoché completa riespansione del polmone.
VATS: concamerazione con tralci di fibrina che determinano le camere pleuriche che,
se ro e, possono liberare il contenuto liquido.

CASO CLINICO 2
Paziente di 69 anni, ex lieve fumatore, possibile esposizione
ambientale all’amianto.
Possibili concamerazioni 🡪 in alto a sinistra nell’immagine
della toracoscopia se ne iden fica una. Solitamente si vede
tu o il cavo pleurico o gran
parte. Una volta entra con la
telecamera, finchè non si
iniziano a lisare i tralci di fibrina,
è difficile riconoscere l’anatomia del cavo. Devono essere lisate cautamente
essendo sicuri che al di so o non ci sia il polmone, rischiando di lesionarlo.

Biopsia della pleura parietale durante un intervento per empiema pleurico: è


sempre bene inviare del materiale biop co all’esame istologico per essere cer
che non ci siano neoplasie e per effe uare esami microbiologici per verificare la
presenza di microrganismi su cui effe uare una terapia an bio ca mirata.

CASO CLINICO 3
Paziente di 48 anni, fumatrice di 10 sigare e/giorno, non esposizioni professionali note, allergia al polline,
artrite reumatoide in terapia e interven pregressi: colecistectomia, intervento ortopedico al ginocchio,
safenectomia per varici.

129
Quando si visita per la prima volta un paziente che sia in ambulatorio o DEA è importante effe uare
un’accurata anamnesi: età, FR come fumo ed esposizioni lavora ve, allergie per poter fare una corre a
terapia pre/post-intervento, interven pregressi.
Accede in DEA per dispnea da sforzo. All’RX si evidenzia un versamento pleurico sinistro associato a
leucocitosi.
RX giorno 1: cavo pleurico in assenza del liquido dopo il drenaggio. La
pleura viscerale può andare incontro ad un inspessimento facendo
perdere l’elas cità del polmone, mo vo per cui si forma questa camera
pleurica.
Essendo che la camera non era eccessivamente grande il
posizionamento di un drenaggio pleurico con un diametro di maggiori
dimensioni es. 20 french non sarebbe stato indicato in quanto poteva
non essere posizionato in sicurezza.
Si posiziona un drenaggio di piccolo calibro po pig-tail (così chiamato
per il gire o che ricorda la coda del maiale) so o guida ecografica con
l’aiuto del radiologo interven sta, per essere sicuri di centrare in modo
corre o il versamento pleurico 🡪 si dimostra la presenza di liquido
purulento. Si avvia la terapia an bio ca e si eseguono dei lavaggi con
Urokinasi 100.000U/giorno per 3 giorni. Quest’ul ma lisa i tralci di fibra
e fluidifica il liquido pleurico, facilitandone l’evacuazione; dopodichè si
a ende che il liquido non solo si riduca in quan tà (monitorando il
drenaggio ogni giorno) ma anche che la natura del liquido viri da
corpuscolato a sieroso.
Grazie al farmaco endopleurico si è resa meno spessa questa pa na di
fibrina perme endo come si vede al giorno 3 il miglioramento
dell’espansione del lobo inferiore. Si vede ancora una camere a con del
liquido ma di dimensioni davvero piccole. Si intravede con intensità
maggiore il pig-tail.
A questo punto si può rimuovere in sicurezza il drenaggio, effe uando
un ulteriore controllo radiologico dopo 30 giorni. All’RX si può vedere il
completo ripris no dell’espansione del parenchima polmonare senza
più la presenza di una camera pleurica.
Se tu gli indici di flogosi si sono rido la terapia an bio ca può
essere modificata da endovenosa a x os. Il paziente è dimissibile con un
controllo ambulatoriale.

130
13/01/2022 – Chirurgia toracica
Prof. Leo
Sbobinatrice: Alice Magnino
Revisora: Rebecca Alpo

LESIONI NEOPLASTICHE E SIMILNEOPLASTICHE DEL


MEDIASTINO
L’obiettivo della lezione è fornire un orientamento nel ragionamento clinico nello studio di questo distretto
piuttosto che conoscere a menadito tutte le varianti istologiche tumorali.

La difficoltà legata alle lesioni mediastiniche risiede nel fatto che il mediastino è una loggia anatomica nella
quale possono svilupparsi lesioni oncologiche di natura sia benigna sia maligna, motivo per cui non è semplice
districarsi.

Il problema delle lesioni del mediastino è innanzitutto clinico: come orientarsi, quando è necessario o meno
eseguire diagnosi, quale sia il tipo di orientamento diagnostico, dopo il referto radiologico e se le lesioni siano
operabili o meno.

Definizione mediastino
Il mediastino rappresenta lo spazio mediano della cavità
toracica, compreso fra i polmoni, che contiene: il cuore,
avvolto nel pericardio, l'esofago, il timo, gran parte della
trachea e i bronchi principali, il dotto toracico, vari nervi,
l'aorta e altri vasi. È delimitato inferiormente dalla cupola
diaframmatica, verso l'alto da un piano immaginario passante
per il margine superiore della prima costa e per il disco
intervertebrale tra la settima vertebra cervicale e la prima
vertebra toracica, anteriormente dal piastrone sternocostale
e dalla muscolatura annessa, posteriormente dalla faccia
anteriore dei corpi vertebrali toracici e dai legamenti
vertebrali che ricoprono i dischi intervertebrali. Lateralmente, è circoscritto dalle pleure mediastiniche destra
e sinistra.

[Da slide. Svariati processi patologici, neoplastici e simil-neoplastici possono interessarlo, e sono in grado di
interferire con il benessere e la sopravvivenza del paziente.
Ci può essere la compressione/infiltrazione/dislocazione delle strutture vitali per:
- Lesioni neoplastiche maligne;
- Complicazioni necrotiche, emorragiche, infettive delle lesioni benigne.

La diagnosi istopatologica è circostanziata e l’approccio è multidisciplinare (diagnostico e terapeutico).]

All’interno di questa zona anatomica ci sono molte strutture anatomiche, che tuttavia nell’adulto sono
soprattutto le strutture vascolari e il cuore con il sacco pericardico. La visione anteroposteriore divide le
regioni mediastiniche classicamente in tre compartimenti:
• Compartimento anteriore/prevascolare: La maggior parte delle patologie oncologiche primitive del
mediastino si trovano a questo livello. Il mediastino prevascolare si colloca davanti al cuore, anche
se questo spazio è virtuale dato che il cuore è a contatto con lo sterno e ai grossi vasi mediastinici.
[Da slide: compresa fra la superficie posteriore dello sterno e delle cartilagini costali anteriormente,
e il pericardio, l’aorta ascendente e i vasi venosi brachiocefalici posteriormente.]
Si hanno:

131
o Il piano vascolare venoso: vena anonima di sinistra che raggiunge la vena anonima di destra
(più corta) e insieme danno
origine alla vena cava superiore
che si getta poi in atrio;
o Il piano vascolare arterioso,
subito dietro, rappresentato
dall’arco aortico da cui partono i
3 rami/tronchi epiaortici: tronco
arterioso brachio-cefalico (a
destra), l’arteria carotide sinistra
e l’arteria succlavia sinistra (già
mediastino posteriore) che esce quasi subito dal torace per girare sulla prima costa.
o Dietro questo secondo piano vascolare, c’è il piano tracheale.
Nell’immagine a sinistra si vede il nervo frenico che corre sulla vena cava superiore e poi sul
pericardio. Se un grosso tumore tocca e infiltra il nervo frenico, l’emidiaframma si alza. Il nervo
frenico scende lungo la porzione anteriore del pericardio e arriva al nervo frenico. Il nervo vago
dà origine, all’altezza dell’arco aortico, al nervo ricorrente, che gira sotto all’arco della aorta, per
poi risalire nel mediastino.
• Compartimento medio/viscerale: si estende dai limiti posteriori della loggia precedente fino al
legamento longitudinale anteriore che riveste i corpi delle vertebre dorsali. Il compartimento
viscerale del mediastino si trova quindi tra la colonna e il mediastino anteriore. A seconda della zona
del torace in cui lo si identifica: in alto è più piccolo, mentre in basso si allarga per diventare virtuale
perché questa loggia è quasi completamente occupata dal cuore; dietro rimangono l’esofago e le
logge paraesofagee.
• Compartimento posteriore/solchi paravertebrali: rappresentata dalle docce paravertebrali (o
regioni o solchi costovertebrali – in giallo nell’immagine), spazi virtuali situati ai lati del rachide
dorsale.

Questa distinzione è importante perché, a seconda della posizione della lesione che si vuole indagare, si
valutano differenti patologie in diagnosi differenziale che coinvolgono un compartimento piuttosto che un
altro da ricercare a livello radiologico.

Sedi elettive delle lesioni mediastiniche:


1. COMPARTIMENTO
ANTERIORE (50% dei casi)
Timomi
All’interno del compartimento anteriore
si trova il timo, posizionato a livello
cervico-mediastinico; è un organo che si
ha fino all’adolescenza e poi va incontro
ad atrofia. Il timo ha una forma ad H: è
costituito da due poli superiori che sono
collegati ai poli inferiori della tiroide e
due poli inferiori maggiormente
rappresentati.

Il timo si appoggia sulla vena anonima


sinistra che drena la circolazione venosa tramite le vene timiche di Keins.

I timomi sono i tumori più frequenti del timo e tutti i tumori del timo sono per definizione del mediastino
anteriore.

132
Il timo può anche avere delle lesioni cistiche, così come ci possono essere dei timomi cistici.

Linfomi
Il compartimento anteriore presenta anche un’altra categoria di tumori: i linfomi, tumori che possono
manifestarsi con un’importante componente mediastinica anteriore. Il linfoma viene sospettato clinicamente
quando si riscontra una grossa massa in mediastino anteriore che si accompagna ad altri linfonodi in altre
sedi, senza una lesione polmonare, soprattutto in paziente giovane o con sintomi caratteristici del linfoma.

Tumori a cellule germinali.


Il compartimento anteriore può essere la sede preferenziale di tumori a cellule germinali extragonadici,
tumori rari divisi in due categorie:
• Seminomi;
• Tumori a cellule germinali non seminomatosi.
La presenza di cellule germinali nel mediastino anteriore fa suppore tale ipotesi embriogenetica:
probabilmente si tratta di cellule germinali che non hanno completato la loro migrazione dal sacco vitellino
e che sono rimaste indovate nel mediastino.

Tra questi si possono anche presentare lesioni differenziate occupanti-spazio, come i teratomi maturi: cellule
germinali isolate che crescono e danno vita a lesioni con al loro interno delle strutture ben differenziate dal
punto di vista istologico (denti, capelli, ghiandole sebacee).

Esiste inoltre una categoria intermedia, i teratomi immaturi, con caratteristiche istologiche intermedie e non
completamente differenziate.

Altre lesioni
Gli strumi mediastinici spesso si sviluppano nel mediastino
anteriore; anche se a volte si possono avere degli strumi che
convergono nel mediastino medio.

2. COMPARTIMENTO MEDIO (25% dei casi)


Il mediastino medio è molto spesso sede di linfomi, come il
mediastino anteriore, ma soprattutto di lesioni cistiche o lesioni
linfonodali.

Le lesioni cistiche sono lesioni sostanzialmente benigne; possono essere essenzialmente:


• cisti broncogene;
• cisti enterogene.
Dal punto di vista embriologico, trachea ed esofago hanno un’origine comune inizialmente e poi si separano.
Le cisti che hanno origine sul versante tracheale o sul versante esofageo e che crescono in quel distretto, si
troveranno ad essere di fianco alla trachea e all'esofago.

(Il professore commenta tutte le immagini delle varie lesioni


cistiche, ma afferma che tutte queste distinzioni non dovrebbero
interessarci al fine dell’esame.)
[Da slide. Nel loro insieme, le lesioni cistiche del mediastino
possono rappresentare oltre il 20%.
LESIONI CONGENITE:
• Cisti mesoteliali: pericardiche e pleuriche; a
localizzazione paramediastinica sono molto rare.
Esempio di lesioni cistiche di fianco al pericardio. La
prima ipotesi da evocare è la cisti pericardica perché il pericardio può avere delle dilatazioni cistiche
date dall’accumulo di liquido pericardico. La diagnosi radiologica, a volte, può essere univoca. Spesso

133
vengono rimosse per ridurre il rischio che nel tempo
possano aumentare di volume, anche se non è evidente
che questo rischio esista.
immagine a fianco: altro esempio di piccola cisti
pericardica. Questo paziente ha una compromissione
cardiaca da altri problemi associati; il problema della cisti
pericardica diventa secondario per cui non si rimuove.
• Cisti dell’intestino primitivo:
o broncogene (bronchiali) >50%.
Nell’immagine si può vedere una cisti
broncogena a partenza dalla loggia
sottocarenale: non c’è contatto diretto tra la via
aerea e la cisti broncogena, altrimenti il liquido
si svuoterebbe nella via aerea.
Altro esempio dell’aspetto di una cisti
broncogena: di solito sono di fianco alle vie
aeree, ma a volte possono anche essere dietro
alla aorta discendente.
o enterogene: esofagee, gastroenteriche,
neuroenteriche.
Di fianco si ha una cisti enterogena a lato
dell’esofago.
Quando si hanno lesioni paraesofagee,
bisogna chiedersi se sia una lesione
extraluminale e fuori dalla tonaca muscolare
esofagea, oppure se sia una lesione dentro la
muscolare esofagea. Per ottenere la risposta
si utilizza l’ecoendoscopia transesofagea. Se
l’endoscopia mostra che è fuori dalla muscolare
esofagea (darà solo segni di compressione),
molto probabilmente si tratta di una cisti
enterogena che ha indicazione chirurgica.
Teorie patogenetiche delle cisti enterogene:
§ mancata coalescenza dei vacuoli
esofagei;
§ abbozzo abnorme dell’intestino
primitivo.
Epitelio di rivestimento: squamoso,
respiratorio, gastrico, enterico.
Rapporti anatomici con l’esofago: tipicamente situate al di sotto della tonaca muscolare
esofagea.
Le cisti neuroenteriche sono ancora più rare e presentano anomalie vertebrali (cervicali o
toraciche) associate. I segni e sintomi dipendono dalla sede, dalle dimensioni e dalle

134
complicanze (segni e sintomi respiratori, algie toraciche, disfagia, ulcerazione peptica).
Probabilmente c’è una comunicazione attraverso la vertebra che giustifica l’accumulo di
liquor in questa lesione cistica extra-vertebrale.
• Cisti linfatiche: linfangiomatose, del dotto
toracico.
Il dotto toracico è la struttura che porta il chilo
nella giugulare sinistra. Puo’ avere delle
dilatazioni cistiche molto importanti che sono
estremamente rare e, nel caso in cui si rompano,
possono essere estremamente difficili da
gestire.
LESIONI ACQUISITE:
• Infiammatorie;
• Timiche;
• Teratogene / Dermoidi;
• Paratiroidee;
• Tiroidee].

Siccome nel mediastino medio sono presenti linfonodi, le patologie oncologiche che danno metastasi
linfonodali in quella zona potrebbero essere:
• metastasi linfonodali di tumori primitivi in altra sede;
• espressioni linfonodali di una patologia non tumorale [esempio tipico sarcoidosi: paziente che fa
accertamenti per altre cause o per una minima sintomatologia e alla TC del torace si riscontrano
grosse adenopatie ilari e mediastiniche: di solito la prima ipotesi è la sarcoidosi (50 anni fa sarebbe
stata la tubercolosi)].

3. COMPARTIMENTO POSTERIORE (25% dei casi)


• Lesioni cistiche;
• Tumori di origine nervosa (v. dopo)
Questa è la sede tipica dei tumori neurogeni: quando c’è una massa in questa zona, la prima ipotesi da
evocare è quella del tumore neurogeno.

Quadro clinico
Ragionando in termini fisiopatologici, il
mediastino è compreso da strutture
rigide, sterno e colonna. A volte questi
tumori possono avere dimensioni
importanti: tutto ciò che cresce
occupando spazio e velocemente andrà a
comprimere le strutture più facilmente

135
comprimibili del mediastino, ovvero il circolo venoso (gli assi delle
anonime e il circolo della vena cava superiore). È il motivo per cui
quando ci sono lesioni occupanti spazio, si può avere la sindrome
mediastinica.

Nell’immagine è visibile l’arco dell’aorta con uno dei tronchi epiaortici


che parte; davanti si ha la vena anonima di sinistra: qualsiasi cosa che
cresca in questa sede può schiacciare l’asse venoso e la trachea. La
trachea è meno sensibile agli eventi compressivi per via dell’anello
cartilagineo che la mantiene beante, ma è chiaro che questo ha un
limite e se la pressione è particolarmente importante può generare
o una compressione estrinseca, qualora qualcosa da fuori schiacci
l’asse tracheale, oppure un’infiltrazione per invasione diretta.

[Da slide. I segni e i sintomi causati da una neoplasia mediastinica


dipendono da numerosi fattori: tipo istologico, grado di invasività, sede, dimensioni, sovrapposte
complicanze (infezione, ischemia, emorragia), elaborazione da parte della neoplasia di sostanze
metabolicamente attive, presenza di sindromi morbose associate.
I segni e i sintomi sono più frequenti:
- nei pazienti portatori di lesioni a comportamento maligno (75-85% dei casi) rispetto ai pazienti
portatori di lesioni a comportamento benigno (33-46%).
- nei pazienti di età pediatrica, nei quali i 2/3 delle neoplasie del mediastino risultano sintomatiche.
Nell’età adulta solo 1/3 delle lesioni produce sintomi.
1. Segni e sintomi respiratori/locali (tosse, dispnea, stridore): dominano il quadro clinico nei
pazienti pediatrici, in quanto masse di piccole dimensioni possono comprimere le vie
aeree e i polmoni o essere causa di infezioni respiratorie. Anche negli adulti possono essere
presenti e sono più spesso correlati alle sovrapposte complicanze della neoplasia o al
carattere infiltrativo di questa.
Una lesione maligna è in grado di dislocare, comprimere, ostruire e infiltrare le strutture
adiacenti: tosse, dispnea, stridore saranno da interessamento delle vie aeree e/o dei
polmoni (paralisi diaframmatica), disfagia da coinvolgimento dell’esofago, disfonia da
interessamento del n. ricorrente.
Sindrome di Horner (miosi, enoftalmo, ptosi palpebrale) da coinvolgimento del simpatico
cervico-toracico, algie toraciche localizzate da infiltrazione pleurica e parietale, sindrome
mediastinica (cavale).
2. Manifestazioni generali di uno stato di malattia (astenia, dimagrimento e rialzi febbrili);
3. Segni e sintomi sistemici secondari alla produzione da parte della neoplasia di sostanze
metabolicamente attive o correlati alla presenza di sindromi paraneoplastiche (autoimmuni
e non).]

LA SINDROME MEDIASTINICA
Insieme di segni e sintomi derivanti da una patologica
compressione e/o infiltrazione delle strutture mediastiniche.
Poiché l’ostacolato ritorno venoso al cuore attraverso la cava
superiore ne costituisce l’elemento saliente, essa viene anche
denominata sindrome della cava superiore o sindrome
cavale.

Nell’immagine è visibile un voluminoso aneurisma dell’aorta ascendente: lesione vascolare, di cui non c’è
bisogno diagnosi perché si vede dalla TC, che va a schiacciare la vena cava superiore.
Quando la vena cava superiore viene bloccata perché una lesione ostruisce l’asse venoso, si hanno sempre

136
dei sintomi per il difettoso scarico a livello della vena cava superiore sia a livello delle anonime che a livello
del tronco della vena cava: la testa e il collo del paziente iniziano ad assumere aspetto taurino con giugulari
esterne dilatate (possono vedersi o non vedersi). Il paziente riferirà che quando si piega ha sensazione di
testa pesante perché il ritorno venoso è ostacolato con conseguente stasi che ha come effetto l’aumento
della pressione a monte che va ad aprire una serie di circoli collaterali, piccole vene che normalmente sono
clinicamente poco influenti e poco visibili. Questi circoli collaterali diventano automaticamente importanti e
visibili sia sul paziente che a livello radiologico. Possono ad esempio farsi strada a ritroso lungo le vene
mammarie andando qui a scaricare in modo tale
da bypassare l’ostruzione. Possono altresì crearsi
dei circoli collaterali lungo le vene intercostali.

Classicamente si faceva la distinzione delle


sindromi mediastiniche sulla base della presenza
di un’ostruzione:
• a monte della vena azygos: tutto il
circolo venoso collaterale troverà modo
di arrivare alla vena azygos e di scaricare
in vena cava superiore. La vena azygos
mantiene un asse di scarico fisiologico
dall’azygos verso il cuore.
• a valle della vena azygos: azygos o la
cava a valle dell’azygos sono chiuse, la
circolazione collaterale cercherà di scaricarsi in vena cava inferiore.
o Se l’ostruzione è a valle dell’azygos, il circolo collaterale prende la via dell’azygos, ma con
flusso invertito e scenderà lungo l’azygos e le altre collaterali per farsi strada nella vena cava
inferiore.
o Se l’ostruzione è a livello dell’azygos, senza modo di recuperare il suo circolo, il circolo
collaterale sarà tortuoso: con accessi nei vasi femorali e/o epigastrici per andare a scaricarsi
in vena cava inferiore oppure all’esterno della parete toracica, attraverso dei circoli venosi
della parete toracica anteriore.

[Da slide: In età pediatrica, la sindrome cavale è di raro riscontro e più spesso di origine iatrogena (secondaria
a interventi chirurgici eseguiti per anomalie cardiovascolari congenite, cateterismo venoso centrale).

In età adulta, il 90% circa dei casi è determinato da neoplasie maligne. I ¾ di queste sono rappresentati da
carcinomi bronchiali. Fra le rimanenti, predominano i linfomi e le metastasi linfonodali di varia origine, seguiti
dai timomi e dai tumori di cellule germinali.

Cateterismo venoso centrale protratto per terapia intensiva, chemioterapia, antibioticoterapia, pacemaker.]

Le manifestazioni cliniche dell’occlusione della vena cava


superiore dipendono da tre fattori:
• l’entità dell’ostruzione vasale,
• la rapidità con la quale essa si instaura,
• il livello al quale essa agisce.

L’entità dell’ostruzione cavale e la sua rapidità di comparsa


determinano l’efficienza del circolo venoso di compenso, mentre
dal livello anatomico dell’ostruzione deriva la messa in opera di
differenti sistemi venosi collaterali di compenso.

137
Alcuni esempi: la TC a lato fa vedere una voluminosa massa del
mediastino che tappa la vena cava superiore completamente e fa
vedere alcuni circoli collaterali a livello del lato destro. Dal punto di
vista anatomico esiste anche la vena emiazygos a sinistra che si
scarica nella vena anonima di sinistra.

Altro esempio: sono visibili tutti i circoli collaterali che si formano in


virtù dell’ostruzione cavale. Tutte le piccole vene, che solitamente
non sono importanti dal punto di vista clinico, per via dell’aumento
di pressione nel circolo venoso determinano la sindrome
mediastinica. Ci sono casi in cui la sindrome mediastinica si manifesta
in pazienti affetti da microcitomi polmonari che crescono in maniera
importante dando delle grosse masse linfonodali anche nel
mediastino, tappando rapidamente il circolo venoso. Il paziente, quindi, sviluppa i sintomi della sindrome
mediastinica, fino a che non si instaurano i circoli collaterali: è infatti il motivo per cui il paziente ad un certo
punto inizia a migliorare perché i circoli di compenso iniziano ad avere una portata tale da poter scaricare in
maniera significativa il ritorno venoso. Sono pazienti che contestualmente fanno terapia cortisonica, terapia
eparinica e a volte protesi cavali per riaprire la vena cava.
Il problema dello scarico venoso è responsabile dell’apparizione dei sintomi perlomeno nella componente
vascolare principale.

[Da slide. I reperti caratteristici della sindrome mediastinica comprendono:


• edema cianotico del volto, del collo, delle porzioni superiori del torace e degli arti superiori (c.d.
edema a mantellina) e comparsa di
• un reticolo venoso superficiale con vasi dilatatati e tortuosi a
livello delle medesime regioni anatomiche.
• cefalea, vertigini, acufeni, insufficienza respiratoria, disfonia da
coinvolgimento del nervo ricorrente.]

A lato è possibile vedere la tipica presentazione di microcircoli di


compenso che raddoppiano o triplicano il loro calibro fisiologico
rimanendo, comunque, piccoli. Il collo del paziente acquisisce una taglia
taurina e le vene del braccio sono di calibro più evidente. Nella foto è
visibile un ostacolo venoso più importante a destra rispetto a sinistra—potrebbe far pensare ad un’ostruzione
venosa alta che ostacoli soprattutto la vena anonima destra con una via venosa sinistra che è ancora efficace.
Diverso sarebbe se ci fosse un’ostruzione completa della vena cava
superiore, per cui la via venosa sinistra potrebbe non essere così efficace.

Nell’immagine è visibile la giugulare esterna del paziente che è ben


evidente. Sembra tuttavia che la componente di ostacolo del circolo sia più
da un lato che dall’altro.

138
Nell’immagine sottostante a sinistra sono visibili dei casi molto più evidenti. A destra è visibile un circolo che
sta andando verso i vasi femorali per scaricarsi in cava inferiore: ciò significa che probabilmente c’è
un’ostruzione all’origine dell’azygos, che non può quindi essere utilizzato, e tutto il ritorno venoso superiore
cerca uno scarico in vena cava inferiore. Spesso si vedono anche dei circoli molto importanti a livello della
parete addominale superiore.

A destra sono visibili varicosità che si sono formate attraverso una vena mammaria che recupera tutto il
circolo e la cui portata diventa talmente grande da scaricarsi in vena femorale che diventa a sua volta
estremamente varicosa. Probabilmente questa era l’unica via percorribile: spesso sono pazienti che hanno
già avuto altri problemi vascolari o altri interventi chirurgici, per cui non è
detto che possano recuperare tutto il microcircolo venoso.

Altro esempio: vena cava superiore ostruita quasi completamente e tronco


venoso sinistro ostruito a causa di un tumore polmonare. La cava è ancora
pervia a valle.

La radiografia del torace dà poche informazioni, a meno di grosse masse


mediastiniche. Tendenzialmente si deve passare dalla TC che rappresenta
l’esame conclusivo. A sinistra sono visibili circoli collaterali nel
compartimento viscerale mediastinico, che di solito sono molto piccoli, e le
vie alternative rappresentate dall’ipertrofia delle vene nel mediastino
medio.

A livello radiologico non si hanno gli elementi per poter discriminare un


tumore del polmone che ha dato una grossa massa metastatica nel
mediastino anteriore, un tumore del mediastino anteriore oppure un
linfoma. Alla TC è visibile una grossa massa che si infila tra i vasi mediastinici
(cava superiore e 3 rami epiaortici), che è disomogenea e comprime la
trachea sia estrinsecamente che in maniera infiltrativa. In questo caso
l’anonima di sinistra scarica ancora.

È importante tener presente che, nei pazienti con sindrome mediastinica, il


rischio di mortalità è legato alla compressione della via aerea e non al rischio
cardiovascolare tale da determinare morte per ostacolo al ritorno venoso. Questi pazienti hanno inoltre il
problema della diagnosi: possono necessitare di essere addormentati per la diagnosi oppure sono pazienti
talmente instabili da dover essere intubati ma, avendo compromesse le vie aeree, è molto complesso

139
estubarli. La ventilazione a pressione positiva elimina la capacità di beanza naturale residua della via aerea,
per cui l’estubazione può risultare difficoltosa.

Nelle immagini sovrastanti sono visibili delle lesioni tracheali. Se la via aerea è troppo schiacciata per poter
garantire un deflusso dell’aria, il problema è come mantenere il passaggio di aria. In questo caso non è una
lesione alta, ma la compressione è a livello della carena (più in basso), per cui la tracheotomia che si fa in alto
non risolverebbe il problema. Se occorre gestire la via aerea in maniera interventistica, allora bisognerà
capire se il paziente merita o meno una protesi nelle vie aeree.

Come visibile a fianco esistono una serie di


sintomi emodinamici come l’edema della faccia,
degli arti superiori, la distensione delle vene e
l’obnubilamento della visione (raro).

Il problema sono tuttavia i sintomi respiratori


perché la gestione delle vie aeree può diventare
molto complessa. È una situazione simile a
quanto capita di fronte ad un enfisema
sottocutaneo e a uno pneumotorace: il
soggetto rischia maggiormente per lo
pneumotorace, nonostante l’enfisema
sottocutaneo possa essere una condizione più
stressante da gestire.

I sintomi neurologici associati possono essere


legati ad un edema o pre-edema cerebrale
perché l’aumento della pressione venosa ne
facilita la formazione, soprattutto se a questi
pazienti viene dato un sovraccarico idrico. Altre
volte la sintomatologia neurologica può essere legata al fatto che il paziente ha un tumore polmonare con
metastasi mediastiniche ed encefaliche.

Quando si cerca di caratterizzare la


gravità della sindrome cavale,
l’edema cerebrale e soprattutto il
problema laringeo o delle vie aeree
rendono severo o a rischio di morte il
paziente. La sindrome mediastinica è
mortale, mentre la componente
dell’ostacolo al ritorno venoso non è
un problema, nonostante sia la
componente più macroscopicamente
evidente quando si visita il paziente.

140
Trattamento
Dopo l’identificazione della sindrome mediastinica, si pone il problema di come fare la diagnosi e l’eventuale
esistenza di un trattamento.
Sono pazienti nei quali bisogna cercare di avere una diagnosi prima di effettuare l’intervento chirurgico.
La sindrome mediastinica non si cura con l’intervento chirurgico, ma gestendo le eventuali problematiche
maggiori (es. problematica della via aerea) e facendo un trattamento chemioterapico per ottenere una
risposta del tumore con conseguente riduzione della massa tumorale.
Alcune patologie possono necessitare invece di intervento chirurgico dopo il trattamento preparatorio.

L’altro trattamento classico della sindrome mediastinica è il


trattamento radioterapico se si vuole ottenere la riduzione
della componente ostruttiva tumorale.

In alternativa posizionamento di stent nella via venosa per


cercare di riaprirla e di dare un calibro tale da poter
perlomeno garantire un recupero parziale del ritorno venoso.

Sono tutte procedure vascolari interventistiche e non


chirurgiche.

Qualsiasi patologia che si presenti all’esordio con una


sindrome mediastinica non ha una prognosi favorevole. La
sindrome mediastinica si può presentare anche per patologia
benigna, ma in linea di massima sono linfomi, tumori
polmonari a piccole cellule o meno frequentemente i tumori
del timo. I tumori del timo meno frequentemente

141
determinano la vera sindrome mediastinica acuta in quanto
è necessario che la crescita del tumore si verifichi in un
tempo rapido; altrimenti se la crescita è lenta, tutti i
meccanismi di compenso del circolo si instaurano
gradualmente per cui il paziente può non accorgersi di questi
cambiamenti. Questa è la ragione per cui si avranno pazienti
che presentano masse mediastiniche molto voluminose, ma
quasi asintomatiche. I pazienti non riferiranno alcuna
sintomatologia, ma visitandoli si vedranno le giugulari
turgide e i segni di circoli collaterali.

Approccio diagnostico
Indagini di laboratorio
[Da slide. Marcatore tumorale: “proprietà biologica” di una neoplasia che ne indica la presenza. Utile per:
1. rafforzare un’ipotesi diagnostica;
2. valutare la risposta a una terapia;
3. individuare una ripresa evolutiva.

Categorie dei marcatori tumorali:


1. prodotto della neoplasia (β-HCG, etc.);
2. marcatori tissutali;
3. alterazioni genetiche / epigenetiche.
Ormoni, enzimi, proteine intracellulari e
antigeni di membrana che possono essere
dosati nel siero o nelle urine oppure
identificati in preparati istologici.]

Sia nel caso di una sindrome mediastinica


che di un tumore del mediastino, ci sono
una serie di indagini laboratoristiche che
sono utili dal punto di vista diagnostico.

Nei tumori del mediastino, soprattutto nel


caso del mediastino anteriore, si possono
avere tumori delle cellule germinali,
soprattutto non seminomatosi: nei casi di
pazienti di sesso maschile con massa del
mediastino anteriore con aspetto
radiologico caratteristico di tumore delle cellule germinali, il fatto di poter dosare l’AFP e la betaHCG è
estremamente utile perché se questi marker sono mossi, vengono considerati da alcuni quasi patognomonici
di tumore a cellule germinale di tipo non seminomatoso.

I marker specifici sono da fare in realtà sempre nel caso di una massa nel mediastino anteriore in giovane
uomo, perché ci possono essere, anche se raramente, dei tumori a cellule germinali senza le caratteristiche
radiologiche tipiche, così come esistono dei seminomi che sono invece marker negativi.

I tumori a cellule germinali sono i seminomi, il tumore del sacco vitellino, il coriocarcinoma e il carcinoma
embrionale (gruppo di patologie rare). È importante ricordarsi di questa possibilità in modo tale da richiedere
questi marker.

142
Soprattutto nella popolazione pediatrica, dove nel mediastino posteriore le diagnosi più probabili sono
ganglioneuroblastomi, neuroblastomi e paragangliomi, è invece importante il dosaggio delle catecolamine
urinarie e plasmatiche, cromogranina e NSE. È un settore tuttavia più particolare.

Per quanto riguarda gli altri tumori è più discutibile e meno utile la ricerca dei marker, se ci si trova davanti
un tumore clinico e dal punto di vista chirurgico è resecabile: non c’è necessità di passare dalla biopsia
preoperatoria perché si ha indicazione chirurgica.

I tumori delle paratiroidi possono avere una loro espressione dal punto di vista sierologico: sono tumori però
molto rari che di solito vengono identificati nel corso di accertamenti per iperparatiroidismo (riscontro di una
captazione a livello mediastinico) e che possono essere molto piccoli con conseguente difficoltà
nell’asportazione chirurgica.

Radiologia
Il primo esame di stadiazione è la TC con mdc che deve essere estesa in quanto i tumori del mediastino
possono dare metastasi a polmoni, fegato, surreni ed encefalo.
Se ad esempio si parla di tumore mediastinico secondario a tumore del polmone, la localizzazione classica
delle metastasi è encefalica.

[Da slide. Prerogative della TC:


Risoluzione spaziale
Dimostrazione di lesioni litiche a carico dello scheletro toracico
Dimostrazione di depositi calcifici intralesionali
Dimostrazione di lesioni nodulari polmonari
Multi Detector Computed Tomography – MDCT → multiplanar reconstruction MIP – VR]

Immagini TC di lesioni del mediastino


anteriore: classica sede nella loggia
prevascolare, si possono accompagnare a
patologie linfonodali.

Per invece differenziare le caratteristiche


tissutali e l’attitudine infiltrativa nei
confronti di alcune strutture la RMN è un
esame obbligatorio che completa i dati
ottenuti dalla TC.
Nei tumori del mediastino posteriore, in
soggetti adulti, le lesioni sono spesso
benigne come i neurinomi: siccome sono
paravertebrali, possono tuttavia avere una crescita a clessidra con una componente toracica e il tumore che
entra nel forame di coniugazione e nel canale midollare. Per valutare questo aspetto a clessidra la RM è
fondamentale e sapere se c’è una lesione endocanalare è importante perché cambia la via d’accesso
chirurgica: se bisogna estrarre la componente endocanalare sarà necessaria una laminectomia, cosa non
necessaria se la componente è soltanto extratoracica.

[Da slide. Prerogative della RMN:


Immagini multiplanari, senza impiego di mezzo di contrasto iodato
Identificazione di raccolte liquide di tipo complesso
Differenziazione dei tessuti molli
Differenziazione fra lesione tumorale e fibrosi
Differenziazione fra lesione tumorale e polmonite ostruttiva

143
Valutazione di plesso brachiale, forami vertebrali, diaframma, midollo osseo Infiltrazione del tessuto cellulo-
adiposo mediastinico.
Studio strutture vascolari]

Medicina nucleare
Spesso l’esame principe è la PET con fluorodeossiglucosio perché è l’esame che meglio stadia le patologie,
soprattutto nel caso di linfomi, timomi e tumori polmonari.

Diverso il discorso nel caso di tumori nervosi del bambino, laddove altri esami possono essere indicati, ma
sono tumori rari che vengono discussi in ambito multidisciplinare. È chiaro quindi che a seconda della
patologia, l’indagine scintigrafica va adattata.

Dalle immagini scintigrafiche è già possibile


farsi un’idea, ad esempio, quando si hanno
masse a crescita irregolare in tutte le sedi
abitualmente linfonodali con massa nella
finestra aorto-polmonare che si accompagna
ad un ingrandimento linfonodale in sede
precavale e a linfonodi paratracheali del lato
sinistro: l’ipotesi evocata in prima battuta è il
linfoma.

Agobiopsia.
Nel linfoma, tuttavia, si propone la
problematica diagnostica: nel caso in cui la
lesione sia nel mediastino anteriore in una sede tale da poter essere raggiunta, l’agobiopsia si può fare, ma
non è sempre così.

L’affidabilità della biopsia è inoltre eccellente


nei carcinomi e nei timomi, mentre può
generare problematiche nel caso in cui il
sospetto clinico sia di linfoma.

L’agobiopsia percutanea si può quindi fare se è


fattibile: bisogna fare tuttavia attenzione
quando la si fa perché per eseguirla si passa di
fianco allo sterno dove ci sono l’arteria e la
vena mammaria. È un’indagine che si fa quindi
sotto guida TC per cercare di non lesionare
queste strutture pena un sanguinamento
importante (emotorace e pneumotorace).

[Da slide. I tipi di accessi dell’agobiopsia possono essere


transparietale, transbronchiale e transesofagea.]

Esempio di agobiopsia parasternale di una massa nel


mediastino anteriore ed esempio opposto, ovvero
agobiopsia con passaggio paravertebrale e ago che entra
nella lesione. In questi casi è necessario avere dei radiologi
estremamente esperti.

144
Il limite dell’agobiopsia transparietale e non, quando il sospetto è di linfoma, è legato al fatto che la natura
del tessuto non basta (esame citologico potenzialmente inadeguato o non rappresentativo).

Biopsia chirurgica.
Nel caso di sospetto clinico di linfoma si può fare una
biopsia chirurgica ed esistono diverse opzioni:
• Mediastinoscopia: cervicotomia che permette
di scendere con il mediastinoscopio nelle sedi
che stanno a livello paratracheale e
sottocarenale per biopsiare i linfonodi (lesioni
peritracheali). Questo si può fare solo se i
linfonodi sono patologici. Nel caso di sindrome
mediastinica bisogna tuttavia tenere in
considerazione che il mediastino sarà pieno di
tutti quei piccoli vasi di compenso che possono
rendere difficoltosa la procedura.
• Mediastinotomia anteriore: se si devono andare
a biopsiare dei linfonodi che sono nella finestra
aorto-polmonare (lesioni prevascolari). Si taglia
e si entra a livello del bordo superiore del
secondo spazio intercostale aiutandosi con
l’inserimento di un mediastinoscopio in quella
sede. È sempre necessario chiedersi se sia
necessario effettuare una biopsia perché nel caso
di lesioni compatibili con quadro clinico di
timoma resecabile, può essere presa la decisione
di operare direttamente. Toracoscopia se si
passa dal cavo pleurico.

[Da slide. Entrambe richiedono la narcosi (sindrome mediastinica).


Complicanze intra / postoperatorie.
Altre tecniche chirurgiche: VATS, toracotomia.]

NEOPLASIE DEL MEDIASTINO


1. TUMORI DEL TIMO
Il timo è un organo fondamentale a
funzione peculiare perché si è visto che in
pazienti con disfunzionamenti timici, come
nel caso della sindrome di Di George, si
hanno una serie di problematiche di
immunocompetenza maggiore, tant’è che
ci sono tecniche sperimentali di trapianto di
timo per trattare questi pazienti.

Sindromi paratimiche
Il timo è anche responsabile della miastenia
gravis (possibile domanda d’esame):
patologia su base autoimmune che genera
problematiche neurologiche con comparsa

145
di sintomi oculari puri, come ad esempio diplopia più o meno marcata, astenia generalizzata e facile
esauribilità muscolare dopo esercizio ripetuto, che tende a regredire o regredisce con il riposo.
I casi più complessi sono i pazienti chirurgici con miastenia che determina difficoltà nella deglutizione perché
possono presentare più problematiche nel postoperatorio. È una patologia non semplice da diagnosticare e
rara: possono esserci pazienti che cominciano ad avere diplopia e nessuno riesce a capirne il motivo, per cui
finiscono dal chirurgo plastico per fare una blefaroplastica, ma il problema non si risolve fino a che non
giungono dal neurologo.

Tutte le manifestazioni neurologiche della miastenia sono legate alla presenza di anticorpi contro il recettore
per l’acetilcolina (presenti nell’80% dei casi). Nei pazienti miastenici il legame con il timo è particolare perché
hanno un 15-20 % di probabilità di avere un timoma, ragione per cui bisogna sempre far loro una TC del
torace in modo tale da verificarne od escluderne la presenza e procedere eventualmente con l’intervento
chirurgico. Si ha anche la situazione opposta: i pazienti con timoma, infatti, nel 30% dei casi possono avere
una miastenia associata. Questo è estremamente importante da conoscere, soprattutto per l’anestesista,
perché se si opera un miastenico esiste il rischio di peggiorare transitoriamente la miastenia.

Al di là della problematica timoma, se in un paziente miastenico, soprattutto se la miastenia è di recente


insorgenza con determinate caratteristiche, si va a rimuovere il residuo timico, la miastenia può
migliorare/scomparire. Bisogna quindi tenere presente il ruolo della chirurgia, anche se non c’è il timoma,
perché è uno dei pochi casi in cui esiste un’evidenza, da uno studio randomizzato pubblicato su New England,
che dimostra che la timectomia (asportazione del residuo timico) nei pazienti miastenici è efficace nel
controllo della miastenia.

[Da slide. La miastenia gravis può esordire a distanza di anni dopo la rimozione di un timoma.]

Classificazione istologica dei timomi


I tumori primitivi della loggia mediastinica anteriore più frequenti sono i timomi.
[Da slide. Neoplasie che prendono origine dalle cellule epiteliali del timo o, in alternativa, dalle cellule
neuroendocrine ivi contenute.
Nella massima parte dei casi, alla componente cellulare neoplastica di tipo epiteliale si associa una
proporzione variabile di elementi cellulari linfocitici di tipo non neoplastico, bensì reattivo (dal fenotipo
identico a quello dei linfociti T immaturi normalmente contenuti nel timo).
Nei pazienti di età adulta, rappresentano attualmente le neoplasie più frequenti a carico della loggia
mediastinica anteriore nonché del mediastino in toto. Sono invece di raro riscontro nei pazienti di età
pediatrica.]

I timomi sono una grossa categoria di tumori classificabili secondo le caratteristiche morfologiche delle cellule
epiteliali neoplastiche e la reciproca proporzione fra queste cellule e i linfociti. Si possono avere:
• Timoma di tipo A – atrofico: tumore a lenta crescita e raramente infiltrante, con comportamento
favorevole, presenti nell’età adulta. [Da slide. Neoplasia epiteliale costituita da cellule di forma fusata
o ovalare, piuttosto uniformi e prive di atipie nucleari, contenente pochi linfociti (o nessuno).
Relativamente poco frequente, rappresenta il 4-19% di tutti i timomi. 24% dei casi associati a
miastenia gravis.]
• Timoma di tipo B - bioattivo: più attivo dal punto di vista oncologico con una grossa componente
linfocitica che può essere più o meno corticale; meno favorevole prognosticamente nel suo
comportamento man mano che si va verso il tipo C. [Da slide. Neoplasia epiteliale costituita da cellule
di forma prevalentemente rotonda o poligonale. Ulteriormente suddiviso, sulla base dell’estensione
dell’infiltrato linfocitico e delle caratteristiche morfologiche delle cellule neoplastiche epiteliali, in tre
sottotipi:
o B1: linfocitico, a predominanza corticale, 6-17% di tutti i timomi, nel 18-56% miastenia gravis;

146
o B2: corticale, 18-42% di tutti i timomi, 30-82% miastenia gravis, raramente sindrome
mediastinica;
o B3: carcinoma timico ben differenziato, più ricco di cellule epiteliali, 7-25% di tutti i timomi,
30-77% miastenia gravis, raramente sindrome mediastinica.
Presenti nell’età fetale e prima età pediatrica.]
• Timoma di tipo C: carcinoma timico ancor più differenziato. [Da slide. Neoplasia epiteliale maligna,
caratterizzata da evidenti atipie citologiche, elevato numero di mitosi, anaplasia istologica e
infiltrazione delle strutture adiacenti, ulteriormente suddivisa in:
o Carcinoma a cellule squamose: Ca indifferenziato / Tumori epiteliali di tipo misto;
o Tumori neuroendocrini: carcinoide tipico/atipico, caricnoma neuroendocrino a grandi/
piccole cellule. Marcatori neuroendocrini: cromogranina A, sinaptofisina, CD56, NSE]. I
tumori neuroendocrini hanno origine dalle cellule di Kulchitsky che danno origine a tutta la
linea di tumori neuroendocrini già visti nei tumori polmonari. Sono tumori molto rari.
Presentano lo stesso tipo di differenziazione per necrosi e numero di mitosi. [Da slide.
§ Carcinoide tipico: assenza di necrosi < 2 mitosi per 2 mm² (10 HPFs – High Power
Fields).
§ Carcinoide atipico: presenza di necrosi e/o 2 - 10 mitosi per 2 mm² (10 HPFs).
§ Caricinoma neuroendocrino a grandi cellule (LCNEC): non-small cell NEC con > 10
mitosi per 2 mm² (10 HPFs)
• Timoma di tipo AB: forma mista. [Da slide. Neoplasia epiteliale caratterizzata dalla contemporanea
presenza di zone di timoma tipo A povero di linfociti e zone tipo B ricche di linfociti. Le cellule
neoplastiche sono costituite da elementi epiteliali piccoli di forma poligonale, che contengono nuclei
piccoli e pallidi. Rappresenta il 15-43% di tutti i timomi. 14% dei casi associati a miastenia gravis.]

La prognosi è in prima battuta legata all’istologia: la peggiore è quella dei carcinomi timici perché sono
altamente infiltranti. Anche il timoma in realtà può infiltrare, ma il carcinoma lo fa con attitudine e frequenza
superiori.
Più avanza il timoma dal punto di vista istologico maggiore è il rischio che sia associato alla miastenia gravis.

Quadro clinico delle neoplasie del timo


A livello timico i sintomi possono essere assenti, legati alla miastenia oppure alla lesione occupante spazio.
[Da slide.
• Assenza di segni e sintomi: ≤ 50% dei casi.
• Segni e sintomi locali (toracici): 30-40% dei casi. Dolore toracico, dispnea, tosse.
• Infiltrazione strutture circostanti: dolore toracico ± grave, sindrome mediastinica, paralisi
diaframmatica, disfonia, versamento pleurico e/o pericardico.
È da tenere presente che nel mediastino si ha il passaggio di strutture nervose, in particolare passano
i due nervi frenici: a destra sulla vena cava superiore e sul pericardio, a sinistra sul pericardio. Si ha
quindi il passaggio dei nervi ricorrenti a destra sotto l’arteria brachiocefalica, a sinistra sotto l’arco
aortico. Tutte le lesioni che vanno a irritare e/o infiltrare i nervi frenici possono dare paralisi
ricorrenziale:
o se la lesione infiltra un solo nervo ricorrente, il paziente avrà disfonia per interessamento di
una corda vocale;
o se ha un interessamento di entrambe le corde vocali, sarà afono; tuttavia, se la paralisi delle
corde vocali è in abduzione, sarà uno stridore laringeo e quella via aerea sarà a rischio.
• Segni e sintomi generali di malattia: astenia, febbre, iperidrosi notturna.
• Segni e sintomi sistemici: 30-50% dei casi Sindromi paratimiche (paraneoplastiche / autoimmuni),
talora fra loro associate.]

147
I timomi possono essere correlati ad altre rare sindromi paraneoplastiche che sono delle eccezioni cliniche
(solo case report).

Quando si ha una massa del mediastino anteriore che non presenta problematiche per l’exeresi chirurgica e
che è compatibile radiologicamente con un timoma, come
nel caso dell’immagine a lato, si può non fare la biopsia,
stadiare tramite PET e, se non ci sono altre problematiche,
si toglie la massa. È importante stadiare perché il timoma
potrebbe dare delle metastasi a distanza o un
insemenzamento del cavo pleurico, con dei mammelloni
pleurici soprattutto nella porzione dorso inferiore nel cavo
pleurico. Questi mammelloni pleurici possono essere
localizzazioni tipiche di timoma o ancor più probabilmente
di carcinoma timico ed è importante da sapere prima di
operare un malato per ridurre al minimo il rischio di
sorprese.

Nell’immagine in alto è visibile un chiaro debordamento del


profilo mediastinico sinistro: si vede la massa che è un po’
più grossa, pur rimanendo nell’ambito di un timoma
capsulato, che si appoggia sulla vena anonima sinistra e sui
vasi epiaortici.

Nella terza immagine è visibile una massa con componente


parzialmente cistica. Quando si seziona la lesione ad
aspetto cistico, si trovano all’interno dei gettoni di crescita
di timoma.

Nella quarta foto si può vedere un timoma invasivo che ha


un’attitudine infiltrante e che può associarsi a metastasi
pleuriche. Nel caso di un grosso timoma invasivo bisogna
chiedersi se non sia un carcinoma timico e, se la
resecabilità è molto dubbia, è necessario passare per una
diagnosi.

È difficile fare diagnosi differenziale tra timoma B e


carcinoma timico radiologicamente, per cui viene fatta
dall’anatomopatologo; tuttavia, clinicamente quando si
hanno grosse lesioni che infiltrano molto, la probabilità
che sia un carcinoma timico è elevata. È chiaro che dal
punto di vista radiologico potrebbe anche essere un linfoma
per cui la diagnosi è necessaria.

Stadiazione secondo Masaoka-Koga


Nell’ambito dei timomi ci sono diverse stadiazioni
considerate come efficaci perché correlate alla prognosi dei
pazienti.
I timomi sono patologie che vanno tenute in follow up per un
periodo sufficientemente lungo (almeno dieci anni) perché
crescono talmente lentamente che le recidive possono
comparire a distanza di 7-8 anni dall’intervento sul tumore
primitivo.

148
[Da slide.
• Stadio I: timoma provvisto di capsula delimitante completa, macro e microscopicamente;
• Stadio IIa: infiltrazione microscopica della capsula tumorale;
• Stadio IIb: infiltrazione macroscopica del tessuto fibro- adiposo mediastinico, intima aderenza con la
pleura mediastinica e/o il pericardio (in assenza di una infiltrazione p.d.);
• Stadio III: invasione macroscopica delle strutture adiacenti (pericardio, grossi vasi, polmone);
• Stadio IVa: disseminazione pleurica e/o pericardica;
• Stadio IVb: metastasi a distanza per via linfatica o ematica.]

Sono tumori che hanno una loro capsula che, anche a distanza di anni, può non essere infiltrata.

Trattamento.
CHIRURGIA
C’è differenza se le metastasi sono soltanto pleuriche o pericardiche oppure se sono metastasi a distanza per
via linfatica o ematica perché:
1. Se la lesione è provvista di capsula delimitante completa o con limitata infiltrazione del pericardio
e/o della pleura mediastinica e del parenchima polmonare, è passibile di exeresi chirurgica radicale.
[Stadio I e II (III)].
2. Se la lesione ha un’estesa infiltrazione delle strutture adiacenti ed un’eventuale sindrome
mediastinica associata oppure metastasi a distanza (stadio III e IV), è sempre necessario un
trattamento di preparazione e poi si valuta l’intervento chirurgico, laddove necessario:
• Chemioterapia pre/postoperatoria;
• Radioterapia postoperatoria;
• Terapia extrachirurgica esclusiva.

Le linee guide riassumono i concetti espressi e sintetizzano il fatto che la biopsia è da farsi soltanto se la
diagnosi clinica è di timoma e il tumore non è passibile di resezione in prima istanza.

L’aspetto tipico anatomico del timo normale è di un


organo ad H rovesciata in cui c’è un polo cervicale
destro e un polo cervicale sinistro; questi due lobi si
raggiungono a livello della branca orizzontale dell’H
all’altezza della vena anonima. A fianco è visibile il
grosso timoma che si sviluppa dai poli inferiori del
timo. L’aspetto in alto è quello fisiologico del timo
anche nell’adulto: il timo regredisce dopo
l’adolescenza, ma nel mediastino anteriore c’è sempre
del tessuto adiposo all’interno del quale esistono aree
di tessuto timico. Questo tessuto timico anche negli
adulti è estremamente interessante: ci sono dei lavori
che hanno dimostrato che in questo tessuto timico,
anche dell’adulto, sono presenti cellule staminali
timiche che possono poi essere fatte differenziare in
tessuto epiteliale. Il timo dell’adulto è quindi un organo
atrofico dal punto di vista istologico; tuttavia, è
possibile che mantenga e conservi un certo potenziale.

Domanda: Il reliquato timico permane in tutti gli adulti?


Un reliquato timico c’è sempre; non c’è più il timo attivato come nel bambino. Anche se nella TC non si vede
niente, c’è sempre del tessuto timico che ha la densità del tessuto adiposo. Ci sono delle cellule interessanti

149
nel reliquato timico ma dal punto di vista sperimentale capire quale sia il loro ruolo non è così facile. Ci sono
studi condotti da una ricercatrice italiana che lavora sul timo a Londra, Paola Bonfanti che hanno dimostrato
che il timo, dall’età adulta in poi, non è praticamente più visibile, ma non è vero che non sia più utile. Es. nei
pazienti giovani con linfoma che fanno la chemioterapia, a volte rifacendo la TC si evidenzia un’iperplasia
timica: il timo diventa ipertrofico come se si fosse riattivato in corso di trattamento, e, anche se non si sa
dare un significato a questa riattivazione, è probabile che in un giovane adulto il timo possa ridiventare
funzionale.

Prognosi.
La sopravvivenza a distanza dei timomi è di dieci anni; a differenza dei tumori polmonari in cui è invece di
cinque anni.

I principali fattori prognostici sono costituiti da:


• stadio evolutivo della neoplasia (Masaoka-Koga);
• tipo istologico WHO;
• radicalità dell’exeresi chirurgica.

I timomi di tipo A e AB in stadio I e II sono lesioni benigne o a malignità molto bassa con una sopravvivenza a
10 anni buona dell’80-100%.
[Da slide. I timomi di tipo B1 sono a bassa malignità con sopravvivenza a 10 anni: del 90%.
I timomi di tipo B2 e B3 e i carcinomi timici sono lesioni maligne con sopravvivenza a 10 anni del 50-100%. Le
sindromi associate (miastenia gravis, altre) hanno solitamente una prognosi più favorevole.]
In realtà nei carcinomi timici la sopravvivenza ai dieci anni è del 50% o meno.
A sinistra è visibile la sopravvivenza in base allo stadio: la differenza tra stadi precoci e stadio terzo è
macroscopicamente evidente, così come la differenza tra stadio
terzo e quarto.

Il ruolo della completezza della resezione è fondamentale


perché la permanenza del tessuto tumorale in sede è un cattivo
fattore prognostico.

2. TUMORI DI CELLULE GERMINALI


[Da slide.
Cellule germinali: progenitrici delle cellule riproduttive (spermatociti, ovociti), normalmente contenute nelle
gonadi.
Solo il 5-10% dei tumori di cellule germinali origina al di fuori delle gonadi.
Il mediastino rappresenta la sede extragonadica dei tumori di cellule germinali di gran lunga più frequente
(ipofisi, retroperitoneo, regione sacro-coccigea).
Teoria oncogenetica più accreditata: cellule germinali primordiali che non avrebbero completato la
migrazione dal sacco di yolk lungo la cresta urogenitale alle gonadi.
Nomenclatura e classificazione seguono quelle utilizzate per i tumori di cellule germinali che insorgono a
carico delle gonadi.
Prognosi più severa.

Si hanno i tumori a cellule germinali contenenti:

150
• Un unico istotipo (puri):
o Seminoma;
o Non-seminoma: carcinoma embrionale, tumore del sacco vitellino, coriocarcinoma;
o Teratoma maturo (elementi somatici maturi ben differenziati), immaturo (elementi somatici
immaturi, di aspetto embrionale o fetale).
• Più istotipo (misti):
o Tumori contenenti più istotipi neoplastici germinali (seminoma ± carcinoma embrionale ±
tumore del sacco vitellino);
o Tumori contenenti altri istotipi neoplastici non-germinali (somatici) (epiteliale o
mesenchimale) – Teratocarcinoma;
o Tumori con associate neoplasie ematologiche maligne.
Epidemiologia: ~ 5% di tutti i tumori di cellule
germinali.
• 20 - 25% di tutti i tumori del mediastino in
età pediatrica - teratomi maturi o
immaturi, tumori del sacco di yolk.
• 10 - 15% di tutti i tumori del mediastino in
età adulta - sesso maschile, teratomi
maturi, GCTs maligni.
• Associazione con S. Klinefelter.
• 2a - 4a decade di vita.
• Forme benigne: 80% del totale. La grande
maggioranza (> 90%) ha sede nella loggia
mediastinica anteriore.

Quadro clinico
• Teratomi maturi: asintomatici nel 50% età pediatrica e nel 66% età adulta.
• Seminoma: asintomatici nel 38%;
• Non-seminoma GCTs: asintomatici nel 10%.
Segni e sintomi locali: dolore toracico 52%, dispnea 48%,
tosse 24%, disfonia 14%, sindrome cavale 14%, febbre.

Pubertà precoce/ginecomastia: β-HCG (NSGCTs o t. misti)

Metastasi: polmone, scheletro, fegato, encefalo. Presenti


all’esordio in ≤ 40% dei seminomi, ≤ 60% nei NSGCTs.

Malattie proliferative ematologiche (leucemia acuta):


NSGCTs (t. sacco di yolk).

Trattamento
- Seminoma: Chemioterapia (e/o radioterapia)

- GCTs maligni non-seminomatosi: Chemioterapia, seguita dalla exeresi chirurgica del residuo neoplastico

- Teratoma maturo: Exeresi chirurgica

151
- Teratoma immaturo:
• Età pediatrica: exeresi chirurgica
• Età adulta: in rapporto allo stadio
- I tumori a cellule germinali di tipo misto sono molto
complessi da trattare perché spesso si inizia la
chemioterapia, ma solo una componente risponde,
mentre l’altra no.

Prognosi
COMPORTAMENTO BENIGNO:
• TERATOMA MATURO (cisti dermoide)
COMPORTAMENTO MALIGNO:
• SEMINOMA
• GCTs NON-SEMINOMATOSI: Carcinoma embrionale, T. sacco di Yolk (T. seno endodermico),
Coriocarcinoma, GCTs misti, Teratoma immaturo.]

Nell’Immagine a fianco è visibile una lesione abbastanza tondeggiante, per cui si potrebbe pensare ad un
timoma. In realtà si vede che ha un bordo calcifico e
dentro c’è un tessuto un po’ più denso: questo è un
quadro di un teratoma mediastinico che fa parte delle
lesioni delle cellule germinali differenziate.

Il problema di questa lesione non è tanto che possa


sdifferenziarsi, anche se questo rischio esiste, ma è quello
che possa continuare a crescere in uno spazio a volumetria
ristretta come il torace (slow growing teratoma), dando
una problematica di lesione occupante spazio.

Esiste anche il problema di de-differenziazione: una


componente non così differenziata che può comportarsi come un tumore; questo aspetto rende
problematica la gestione e tendenzialmente si ha indicazione
chirurgica.

Spesso può capitare di vedere qualche dente (calcificazioni


con aspetto a dente) nel mediastino; questi possono derivare
da:
• cellule germinali che possono differenziarsi in
qualsiasi tessuto;
• deglutizione di protesi dentarie da parte dei
pazienti: l’esofago per decubito si può bucare e si
può avere la protesi nel mediastino, con
conseguente mediastinite.

Tendenzialmente quando l’immagine osservata è regolare,


con aspetto di un tumore non aggressivo, si può porre diagnosi
radiologica di teratoma. A volte le situazioni possono essere
più complicate: ad esempio, in questo caso si ha un teratoma
cistico con una componente cistica e una componente più
solida; nell’immagine non infiltra perché c’è un margine di
sicurezza con l’arteria polmonare.

152
Un altro esempio di un teratoma misto, maturo e immaturo: è una
grossa lesione con importante disomogeneità al suo interno. Più è
grande, maggiore è il rischio che ci sia una componente immatura.
A livello radiologico, l’aspetto di regolarità si identifica meno
rispetto alle immagini dei teratomi maturi.

In un ragazzo giovane (37 anni) con grossa massa irregolare nel


mediastino anteriore, è necessario fare i marker sierologici perché
non è facile dire se sia un seminoma o un linfoma. In questo caso
la betaHCG era appena aumentata: la diagnosi istologica ha poi
confermato che era un seminoma.

I seminomi sono tipicamente del mediastino anteriore, ma


possono ritrovarsi anche nel mediastino medio-posteriore.
I seminomi hanno forte risposta alla chemioterapia: si può partire
da una massa molto grande e arrivare a massa residua
praticamente non più visibile e, andando a togliere quella massa,
si potrebbe avere una risposta completa. Bisogna tenere presente
però che questi farmaci, come il cisplastino e soprattutto la
bleomicina, sono molto tossici, in particolare sui polmoni.

Altro esempio di voluminosa massa disomogenea nel mediastino


anteriore: non è un timoma radiologicamente, ha l’alfa feto
proteina aumentata, per cui il sospetto clinico molto forte è di
tumore a cellule germinali di tipo non seminomatoso.

Il tumore del sacco vitellino è molto raro ed è complesso da


trattare. Quando crescono e non sono controllati, hanno una
crescita veloce, con possibili metastasi a polmoni e fegato.

Il coriocarcinoma è un altro tumore raro, la cui diagnosi è


istologica.
A destra è visibile un quadro di diffusione metastatica quasi
miliare. È sempre molto importante fare attenzione a come si parla
ai pazienti: non è il caso di dire al paziente che ha un tumore con
metastasi, ma bisogna cercare di discutere il problema con le
possibili soluzioni. Si può dire ad esempio che c’è un problema nel
mediastino da diagnosticare che si associa a noduli multipli nel
polmone e, anche se si sospetta fortemente un tumore, bisogna

153
avere una diagnosi per poi attivare una cura in modo da controllarlo. Anche in situazioni impegnative non
bisogna illudere il paziente, ma dargli almeno un’apertura di possibile soluzione e non solo presentargli il
problema.

3. LINFOMI E NEOPLASIE DELLA SERIE EMATOPOIETICA


LINFOMI
[Da slide. I linfomi mediastinici possono insorgere nei linfonodi ivi contenuti oppure nel timo.
I linfomi primitivi del timo riflettono la funzione propria del timo (produzione e differenziazione delle cellule
T).
Linfoma linfoblastico di cellule progenitrici della serie T: massa mediastinica 85% dei casi.
Linfomi di cellule B del timo (più rari): linfoma a grandi cellule B.
Linfoma di Hodgkin tipo sclero-nodulare (genotipo B-cell).
I linfomi che insorgono a carico dei linfonodi mediastinici riflettono in parte lo spettro dei linfomi sistemici,
ma raramente la diagnosi viene posta mediante biopsia mediastinica.
Epidemiologia
Linfoma cellule T: età pediatrica, giovani adulti.
Linfoma grandi cellule B, linfoma Hodgkin: giovani adulti di sesso femminile.
Clinica
• Comportamento tendenzialmente aggressivo.
• Segni e sintomi correlati alla presenza di una voluminosa massa mediastinica.
• Versamento pleurico e/o pericardico legati all’ostacolo da parte delle cellule tumorali dei meccanismi
di recupero (stomata) dei liquidi pleurici e pericardici.
• Linfoma linfoblastico cellule T: esordio acuto, massa > 10 cm, sindrome cavale, versamento pleuro-
pericardico. Prognosi: sopravvivenza ~ 45%.
• Linfoma cellule B: massa > 10 cm, sindrome cavale, versamento pleuropericardico. Prognosi:
sopravvivenza ~ 60%.
• Linfoma Hodgkin (sclero-nodulare): giovani donne 3a decade. Prognosi correlata allo stadio
evolutivo (sopravvivenza 80-90% → 60%).]

Esempio radiologico di linfoma in un giovane di 33 anni che si


presenta con febbre, perdita di peso e sudorazione notturna
associati ad una massa del mediastino anteriore.

Il ragionamento clinico è in questo caso fortemente influenzato


dall’integrazione tra clinica e quadro radiologico. Dalla TC la
massa nel mediastino potrebbe essere un linfoma, ma anche un
carcinoma timico. È sempre difficile da un singolo elemento
avere una visiona chiara.

La diagnosi tra i differenti tipi di linfoma non si riesce a fare dal


punto di vista della semiotica radiologica; tuttavia, la TC serve
per capire dove eseguire biopsia: nell’esempio da davanti perché
c’è una consistente quota di tessuto tumorale ed evitando la
mammaria si riesce a prendere abbastanza tessuto.

Nelle varianti scleronodulari, nel linfoma oppure nei linfomi in


trattamento con cortisone, riuscire a fare delle buone biopsie,
laddove c’è tanto tessuto fibrotico, non è scontato.

154
A sinistra un caso di un paziente di 41 anni che si
presenta, dopo 9 mesi di tosse, dispnea da sforzo,
sudorazione notturna e perdita di peso, con una
linfoadenopatia cervicale e sopraclaveare con
massa in mediastino anteriore LDH positiva: viene
posta diagnosi di LNH. È chiaro che anche in questo
caso, la sola visione delle immagini radiologiche non
permetterebbe la diagnosi.

LINFOADENOPATIE NON NEOPLASTICHE


• Lesioni di tipo granulomatoso:
o Tubercolosi: da tenere presente se c’è un quadro clinico che non torna e in questi casi è
necessario effettuare la ricerca del micobatterio.
o Micosi diffuse in Nord America che spesso danno localizzazioni linfonodali come Histoplasma
capsulatum, Coccidioides immitis, Cryptococcus neoformans, Blastomyces dermatidis.
o Sarcoidosi rappresenta la causa del 90% dei casi di
adenopatie DNDD. [Da slide. Malattia granulomatosa
non-necrotizzante a eziologia ignota. Risposta immune
cellulo-mediata esuberante. Linfoadenopatie ilari e/o
mediastiniche. Infiltrati/noduli polmonari → fibrosi.
Interessamento pluriorgano. F : M = 2 : 1.
3a - 5a decade.
Prognosi variabile. Terapia corticosteroidea.
Diagnosi definitiva: agobiopsia transbronchiale, biopsia
linfonodi sovraclaveare, mediastinoscopia (nel caso di
linfonodi nella loggia per mediastinoscopia o nella finestra
aorto-polmonare), biopsia polmonare. I linfonodi ilari non sono raggiungibili invece con la
mediastinoscopia perché si limita alla zona di fianco e davanti alla trachea e al di sotto della
carena.]
o Silicosi;
o Granulomatosi di Wegener;
• Malattia di Castleman: patologia specifica che può dare adenopatie.
• Altre: lupus eritematoso sistemico, mononucleosi, amiloidosi.

4. TUMORI MESENCHIMALI
Dato che il mediastino anteriore è sede del timo ed essendo la regressione timica in senso adiposo, possono
esistere tumori che originano dal tessuto adiposo, come i timolipomi. L’aspetto è suggestivo perché l’aspetto
è del tessuto adiposo: massa tondeggiante, senza segni di
infiltrazione, nella loggia mediastinica.
Ci sono anche i sarcomi, ma sono estremamente rari.

5. TUMORI DEI NERVI PERIFERICI


Il mediastino è ricco di strutture nervose. Da queste
strutture possono nascere delle lesioni nervose che
possono localizzarsi lungo tutti i nervi e nella doccia
paravertebrale: quando si vede un tumore in questa loggia,
in un soggetto adulto, molto probabilmente è un tumore
neurogeno.
[Da slide.

155
• TUMORI della GUAINA NERVOSA:
o Neurilemoma (schwannoma, neurinoma)
o Neurofibroma
o Sarcoma neurogenico (schwannoma maligno)
• TUMORI dei GANGLI AUTONOMI (simpatici):
o Ganglioneuroma
o Ganglioneuroblastoma
o Neuroblastoma
• TUMORI del SISTEMA PARAGANGLIARE (simpatico e parasimpatico):
o Paraganglioma/chemodectoma
• TUMORE NEUROECTODERMICO PERIFERICO/T. ASKIN

Nei pazienti di età adulta:


La maggior parte prende origine dalle cellule della guaina nervosa e si localizza elettivamente nella loggia
posteriore. Rappresentano circa il 20% di tutti i tumori del mediastino.
Forme maligne < 10% dei casi.
Istotipi:
• Neurilemoma (schwannoma, neurinoma)
• Neurofibroma: si possono associare alla malattia di von Recklinghausen (neurofibromi multipli).
• Sarcoma neurogenico (m. von Recklinghausen)
• Ganglioneuroma
• Ganglioneuroblastoma/Neuroblastoma
• Paraganglioma.

Nei pazienti in età pediatrica:


La maggior parte prende origine dalle cellule dei gangli
simpatici e si localizza elettivamente nella loggia
posteriore. Rappresentano circa il 40% di tutti i tumori del
mediastino.
Forme maligne ~ 60% dei casi.
Istotipi:
• Ganglioneuroma
• Ganglioneuroblastoma / Neuroblastoma.
La maggior parte delle lesioni maligne viene osservata nella
prima età pediatrica (~ 90% entro i 10 anni di età).]

Nell’immagine è visibile uno schwannoma appoggiato al solco


paravertebrale: in questa posizione è complesso da
rimuovere, perché entra nella loggia cervicale e sposta in
avanti i vasi.

Nei casi di neurofibromi con prolungamento endorachideo (crescita


endocanalare a clessidra), soprattutto se di grosse dimensioni, sarà
necessario effettuare una laminectomia per togliere prima la
componente endocanalare.

Nell’immagine a sinistra si può invece vedere il neurinoma lungo il


decorso dei nervi intercostali.

156
Anche il sistema paragangliare può dare origine a tumori. Il sospetto può nascere dal quadro clinico. Il
paraganglioma è indistinguibile da altri tumori del mediastino. [Da slide.
• TUMORI DEL SISTEMA PARAGANGLIARE (simpatico e parasimpatico):
o Feocromocitoma (sede surrenale)
o Paraganglioma / chemodectoma (sede extra-surrenale).
Ipersecrezione di catecolamine (noradrenalina, adrenalina, dopamina) e metanefrine (metanefrina,
normetanefrina). Indagini scintigrafiche (MIBG, 68Ga-DOTATATE-PET-CT).
Quadro clinico: cefalea, palpitazioni, iperidrosi (ansia, attacchi di panico), ipertensione persistente o
parossistica, a decorso maligno (ictus, insufficienza cardiaca e renale), ipermetabolismo, calo
ponderale, intolleranza glucidi, nausea, vomito, algie toraciche e addominali).
Analisi genetica (geni di suscettibilità).
Sindromi associate (MEN-2, von Hippel-Lindau disease, neurofibromatosis 1).
Tecnica anestesiologica.]

6. TUMORI RARI
• Tumori ectopici del timo. Il timo è un organo cervico-mediastinico: nel caso in cui si debbanno
rimuovere tumori del timo, la timectomia deve essere fatta togliendo i poli cervicali del timo tramite
sternotomia, se il timoma è di grandi dimensioni.
• Tumori ectopici della tiroide
• Tumori ectopici delle paratiroidi. Sede ectopica: mediastino anteriore, in prossimità del timo o
all’interno della sua capsula (paratiroidi inferiori: origine comune dalla terza tasca branchiale).
10 – 20% degli adenomi paratiroidei.
Iperparatiroidismo.
Indagini scintigrafiche (Sestamibi Tc99m)

7. METASTASI: polmone, tiroide, mammella, prostata.

157
14/01/2022
Prof. Leo – Chirurgia Toracica
Sbobina: Valeria Fava
Revisione: Eleonora Dalmasso

[Riportiamo in corsivo le immense integrazioni dallo scorso anno.]

Essendoci spostati verso la fine del corso, gli argomenti non riguarderanno più le patologie più frequenti nell'ambito della
chirurgia toracica ma tratteranno parti più specialistiche e meno frequenti.
Il lavoro dello studente deve concentrarsi sulla fisiopatologia e sulle problematiche degli argomenti trattati.

LE STENOSI TRACHEALI
INTRODUZIONE E DEFINIZIONE

Dalle slides:
Stenosi tracheale: riduzione del calibro del lume tracheale che può
comportare seri disturbi del respiro quando sia di entità tale da
compromettere il normale flusso aereo.
È quindi un complesso di condizioni patologiche multifattoriali che
possono portare a conseguenze, anche drammatiche, non solo per la
compromissione che determinano sulla capacitàrespiratoria, ma anche
per le possibili sequele e complicanze dei trattamenti eseguiti nel
tentativo dirisolverle.

Le stenosi tracheali sono patologie rare, con caratteristiche specifiche nell’età pediatrica e nell’adulto.
La patologia è generata da problematiche stenotiche a livello della via aerea che, essendo il canale di flusso
dell'aria, risente enormemente di variazioni del diametro del canale, anche in relazione alla loro entità.

Un breve richiamo di anatomia spiega con


chiarezza la fisiopatologia: la trachea è un
organo beante perché gli anelli cartilaginei
che ne ricoprono la parte anteriore e
laterale mantengono una struttura aperta
e l’unica parte non rigida è la parete
membranosa posteriore, che non ha la
stessa rigidità degli anelli. Questa beanza,
appunto, è mantenuta laddove la
cartilagine sia efficace dal punto di vista
della sua architettura e della sua tenuta.

158
Esiste una serie di patologie che genera
tracheomalacìa, andando ad inficiare la
resistenza meccanica dell'anello
cartilagineo, creando quindi un movimento
asincrono della respirazione: quando il
paziente inspira, e quindi genera persone
negativa, le pareti tracheali tendono a
chiudersi nella tracheomalacia, creando
una stenosi tracheale che non è una stenosi
organica, focalizzata in un determinato
punto della trachea, bensì una stenosi
funzionale che può essere soltanto un
riscontro endoscopico, nel momento in cui
i broncoscopisti effettuano una tracheobroncoscopia, oppure avere anche un impatto dinamico importante sul
passaggio dell'aria, rendendo il flusso turbolento con riduzione del passaggio di aria. La diretta conseguenza di
questo meccanismo è la richiesta di un lavoro ventilatorio maggiore per mantenere gli stessi volumi, riducendo
altrimenti l'efficacia del processo di passaggio dell'aria.

L’anatomia dell’anello tracheale fornisce una resistenza meccanica contro il collassamento della parete
tracheale fino al punto in cui questa resistenza meccanica non viene vinta.
Si possono immaginare, ad esempio, lesioni tumorali e non, come, ad esempio, lo struma tiroideo che
sostanzialmente cresce intorno alla trachea e può comprimerne progressivamente il lume.

Molto importante è il calibro residuo della trachea poiché, grossomodo, il diametro fisiologico è di 12-15 mm
(ovviamente dipende dalla “taglia” del paziente in questione) e, in linea generale, al di sotto dei 5 mm di calibro
residuo si tratta di via aerea a rischio che comincia a diventare instabile, per la quale non si può pensare di lasciare
il paziente così com’è.

La sintomaticità del paziente è in funzione di quanto la stenosi riduce il calibro tracheale: quindi, se per calibri
residui di 8-9 mm il paziente ha una sintomatologia legata alla dispnea da sforzo, a mano a mano che questo
calibro si riduce si avrà dispnea ma soprattutto tirage anche per sforzi minimi, per poi arrivare ai 5 mm limite,
che sono situazioni da considerarsi instabili.

Un altro importante fattore riguarda il tempo che la lesione ci mette a dare una compressione estrinseca della
trachea poiché, per esempio, lo struma si accresce lentamente, la compressione è lenta e i pazienti, nonostante
quadri compressivi importanti, sono paucisintomatici; in realtà, ad un’attenta indagine, questi spesso hanno
sintomi da sforzo, ma se si tratta di anziani con ridotta mobilità non riescono ad essere consapevoli della portata
della limitazione per i ridotti sforzi a cui sono sottoposti. 9.33

Le patologie che possono generare stenosi tracheale sono molte, quindi la lezione si focalizzerà sostanzialmente
sulle più frequenti, ossia le stenosi tracheali post-intubazione, poiché conseguenti, appunto, all'intubazione
orotracheale o al posizionamento di una cannula tracheostomica: questi fattori, vedremo successivamente
come, possono generare un processo infiammatorio a livello della trachea, che, come esito cicatriziale, porterà
a restrizione stenotica.

159
La seconda categoria di patologie che, per frequenza, possono dare delle stenosi tracheali sono i tumori:
esistono, infatti, dei tumori che nascono all'esterno della trachea e da qui la comprimono e/o la possono
infiltrare, oppure esistono dei veri e propri tumori primitivi della trachea, rari (ne discuteremo brevemente alla
fine) ma che possono, crescendo all'interno del lume tracheale, generare una stenosi tracheale.

Ancor più raramente si verificano stenosi post traumatiche: la trachea è, infatti, un organo molto superficiale
nella sua porzione cervicale, soggetto quindi facilmente a traumi. Visionando le TC sagittali del mediastino si nota
proprio come, spostandosi verso il mediastino, la trachea si sposti sempre più in profondità. Allo stesso modo,
durante la mediastinoscopia si trova la trachea al collo ma, quando si scende con il mediastinoscopio, questo
scende profondamente nel mediastino con direzione obliqua.
Questa peculiare localizzazione della trachea fa sì che a livello cervicale possa essere esposta a traumi sia chiusi
che aperti, quindi, facilmente, un colpo di coltello a livello del collo può raggiungere la trachea, esattamente
come chi si lesiona con il filo di ferro sul collo mentre si va a cavallo, in moto o in bicicletta. (ndr: il prof intende
dire che su sentieri di campagna, collina o montagna, si possono trovare dei fili di ferro – difficilissimi da
individuare se si è a cavallo/moto/bici – tesi da un lato all’altro di mulattiere e carrarecce, solitamente posizionati
da residenti che mal sopportano l’esistenza di sentieri turistici/cavalli/moto/ciclisti e quindi decidono di
diventare dei criminali maledetti).

CLASSIFICAZIONE ANATOMICA

Laringo-tracheali: della
giunzione crico-tracheale
Tracheali: suddivise in cervicali,
toraciche, carenali, multiple /
miste

Esistono diversi importanti punti concettuali da tenere in considerazione, sempre per quanto concerne
l’anatomia della trachea, che modificano l’approccio chirurgico al problema.

Quest’ultima, infatti, è un organo cervico-mediastinico, quindi le stenosi si possono trovare nel tratto cervicale,
nel tratto cervicotoracico o soltanto nel tratto toracico.
Le eziologie sono differenti e hanno importanti ripercussioni sull’approccio chirurgico: se, infatti, per le
resezioni cervicali e toraciche medio alte può essere considerata sufficiente una cervicotomia, ciò non è
sufficiente per accedere al terzo inferiore della trachea o la carena tracheale. Per queste ultime le vie d'accesso
sono o per via toracotomica, di solito destra perché a sinistra c’è l’arco dell’aorta che ostacola, oppure per via
sternotomica trasnpericardica, dove bisogna spostare il cuore e i grossi vasi, aprire il pericardio posteriore e si

160
cade direttamente sulla carena.
Inoltre, la trachea comincia con la laringe perché (lo vedremo meglio quando parleremo delle stenosi post
intubazione) a volte la stenosi è tracheale pura, altre volte la stenosi è laringotracheale: in questa situazione le
normali vie d’accesso chirurgiche non sono sufficienti e si dovrà ricorrere a tecniche ricostruttive specifiche che
prevedono, ad esempio, la resezione dell'anello cricoideo senza, però, poter salire ancora più prossimalmente
per la presenza delle corde vocali. In sintesi, il coinvolgimento della laringe nella stenosi è un elemento che
aumenta la complessità.

Ancora, si può immaginare che la stenosi occupi una minima estensione della trachea, che si possa quindi
tagliare sopra e sotto la stenosi e poi riattaccare con dei punti la parte prossimale la parte distale: questo è il
principio di base della resezione-anastomosi tracheale.
Però, essendo la trachea lunga 12-13cm, esiste un limite fisico di quantità di trachea che si può asportare per
poi ricostruire con l’anastomosi: quindi, quanto più è lungo il tratto di trachea da resecare, tanto più
l’anastomosi sarà in trazione e a rischio. In virtù di questo limite, la restrizione-anastomosi tracheale è
eseguibile se l'estensione di trachea da resecare è meno del 50%.
Per questo problema esistono poi delle manovre di release laringeo oppure intratoracico per cercare di
aumentare la mobilità della parte superiore della parte intratoracica tracheale, in modo che l’anastomosi non
sia più sotto tensione. Spesso, poi, ai pazienti sottoposti a questo intervento gli viene fissato il mento allo
sterno per 7 giorni con un punto di sutura per tenere la testa fissa e ridurre ulteriormente la trazione della
trachea (all’estensione della testa, infatti, la trachea diviene più cervicale).

Un’altra problematica legata all’anatomia della trachea riguarda la posizione del nervo ricorrente nell'angolo
diedro tra trachea ed esofago, da un lato dall'altro. Ciò comporta che nelle manovre di preparazione e
confezionamento dell’anastomosi tracheale bisogna fare grande attenzione: se, infatti, si stira o, ancor peggio,
viene reciso un nervo ricorrente, la corda vocale corrispondente non funzionerà più, e se questo problema
coinvolge entrambi i nervi il paziente che si sveglia con entrambe le corde vocali in adduzione e non respirerà
più perché saranno chiuse.

Inoltre, ogni sezione della trachea è irrorata da rami segmentali della tiroidea inferiore e dell’arteria
bronchiale, che si portano dal distretto laterale verso l’anello tracheale: nella resezione della trachea non
bisogna quindi andare troppo in alto o troppo in basso perché alla scheletrizzazione della trachea, se questa è
eccessiva, l’anastomosi avverrà tra parti, prossimale e distale, devascolarizzate, e che, quindi, non potranno
avere lo stesso tipo di cicatrizzazione efficace che può avere un lume bronchiale ben vascolarizzato. Il rischio
sarà, quindi, di deiscenza della stura, che è una problematica maggiore.

161
CLASSIFICAZIONE EZIOPATOGENETICA

Forme congenite
Sono estremamente rare, pediatriche e che possono essere legate o associate a delle anomalie vascolari dei
tronchi sovraortici che gli crescono intorno ma queste direi che le possiamo dimenticare.

Comprendono:

tracheomalacia, emangiomi sottoglottici, stenosi sottoglottiche congenite, atresialaringo-tracheale.


Le forme congenite, estremamente rare, sono caratterizzate dall’assenza congenita della pars membranacea
della trachea. Lo scheletro cartilagineo tracheale è così costituito dalla presenza di anelli cartilaginei completi che
determinano segmenti di stenosi di lunghezza e localizzazione variabile. Circa il 50% delle stenosi tracheali
congenite sono associate ad anomalie dell'arteria polmonare sinistra; il rimanente 50% è caratterizzato dalla
presenza di un'anomalia tracheo- bronchiale (bronco-tracheale, triforcazione della carena, agenesia o ipoplasia
polmonare). Nellestenosi congenite i sintomi possono presentarsi immediatamente alla nascita con difficoltà
respiratoria e necessità di intubazione o, più comunemente, nei primi mesi di vita con stridore, retrazione della
gabbia toracica, infezioni respiratorie, polmoniti ricorrenti, episodi di cianosi e apnea, wheezing e croup
persistente. Tipicamente questi bambini si alimentano poco e tendono ad essere sottopeso.

162
Forme acquisite

Nell’ambito delle stenosi tracheali acquisite ci si riferisce, al 90%, alle forme post-intubazione e post-
chirurghiche (tracheostomia).

IATROGENE
Meccanismi patogenetici: ischemia mucosa-sottomucosa (P >20-40 mmHg), edema, ulcerazione, granulomi /
pseudomembrane fibrinose, danno ischemico pericondrale.

Ø POST INTUBAZIONE
I meccanismi possono essere
diversi.
In generale, il tubo orotracheale,
che arriva in trachea del paziente
intubato, è fissato da un
palloncino che viene gonfiato
attraverso un piccolo lume
esterno. Il galloncino gonfiato
genera una pressione sulle pareti
della trachea che è sì una
struttura rigida, ma nella sua
porzione posteriore è vicina alla colonna vertebrale, che è anch'essa una struttura rigida non comprimibile, e
tra queste due strutture vi è l’esofago, al cui interno molto spesso si trova un sondino nasogastrico: quindi, il
palloncino, se troppo gonfio, genera una reazione infiammatoria a livello degli anelli tracheali che, una volta
che il tubo è tolto, nella sua fase di cicatrizzazione può determinare stenosi progressiva del lume tracheale.
Dalla seconda metà degli anni 70 si è verificata una grande attenzione per l'evoluzione tecnologica, per cui oggi
le cuffie sono a bassa pressione, nonostante questa problematica rimanga in alcuni casi e richieda un’accurata
sorveglianza della pressione del palloncino, perché se poco gonfio il tubo non è a tenuta, si ha rischio di far
passare nella via aerea il contenuto gastrico, causare un ab ingestis e colare ancora più profondamente, mentre
se è troppo gonfio può determinare un'infiammazione a livello del della trachea.

163
Inoltre, questo doppio meccanismo trachea-esofago, può essere a volte responsabile della formazione di
fistole esofago-tracheali: la pressione del sondino contro la colonna ischemizza la parete membranacea della
trachea la parete esofagea quindi si crea una comunicazione (“fa un buco da una parte un buco dall'altro che
poi entrano in comunicazione”) che è un problema importante, causerà una via aerea a rischio e questa fistola
non guarirà da sola, bisognerà poi ripararla chirurgicamente.

Ø POST-CHIRURGICHE (TRACHEOSTOMIA)
Esistono poi altri meccanismi patogenetici,
come quelli che riguardano la cannula di
tracheostomia.

Innanzitutto, c’è sempre il palloncino che


fissa la cannula di tracheostomia che, se
troppo gonfio, può generare una stenosi
legata al palloncino. In secondo luogo,
un'altra fonte possibile di lesione è nel
punto di inserimento della cannula
tracheostomica. La tracheostomia,
generalmente, si fa al secondo - terzo anello, quindi si potrà avere una stenosi che si sviluppa all'altezza del
tracheostoma, una che si sviluppa all'altezza del palloncino oppure entrambe associate. In questo caso, l'entità
della resezione tracheale aumenta perché bisognerà togliere la sede della pregressa stomia oltre alla sede della
stenosi legata al palloncino.

Si può inoltre avere un danno da punta del tubo: se questa, infatti, decubita contro la trachea, di genererà un
processo infiammatorio che può eventualmente evolvere in stenosi tracheale

Quando poi si posiziona la cannula tracheostomica bisogna sezionare l’anello tracheale per ottenere lo spazio
ed esistono diverse tecniche tra cui quella percutanea dove si mette un filo guida e su questo si carica un
dilatatore sul quale si spinge giù la cannula tracheostomica. Una complicanza di questa manovra è la frattura
dell’anello cartilagineo che può cicatrizzare con i bordi della frattura verso l'interno: le stenosi tracheali con
frattura di uno più anelli tracheali sono quindi più complesse rispetto a quelle in cui la stenosi è da sola
reazione infiammatoria perché, ovviamente, sono molto meno efficaci tutti i trattamenti conservativi della
stenosi tracheale.Dalle immagini stratigrafiche si nota la presenza di una stenosi tracheale e il professore ne
approfitta per ribadire l’importanza del capire se c’è coinvolgimento o meno della laringe perché questo
cambia di molto tutto il ragionamento chirurgico, per la delicatezza della situazione, ed il ragionamento
anamnestico di ricerca di sintomi molto
eterogenei tra loro, che spaziano dai più
lievi e nascosti, come possono essere
quelli da sforzo in un paziente anziano (in
questo caso l’endoscopia può essere
prenotata con calma), alla stenosi quasi
completa, con manifestazioni come il
tirage in PS dei più giovani o gravi, per i
quali il problema non è la diagnosi
accurata ma la messa in sicurezza con
bypassaggio della stenosi in una
tracheotomia d’urgenza, per poi
rimandare successivamente tutti gli
aspetti legati alla stenosi tracheale.

164
Facendo un piccolo quadro della situazione fin’ora, si hanno diversi tipi di lesioni possibili più o meno associate
tra di loro: per esempio, le tracheostomie percutanee, se fatte molto alte nello spazio crico-tiroideo (la tecnica
prevede che il filo guida passi sotto l’annelo cricoideo e sopra il primo anello tracheale) possono fratturare la
cricoide e danneggiare le corde vocali con granulomi, ulcerazioni, segni di stenosi della commisura posteriore a
livello della laringe. Oppure, avere una componente prettamente tracheale che può essere soltanto a livello del
buco dove si possono avere dei granulomi, una parte di parete che entra dentro, una vera e propria stenosi a
livello dello stroma, oppure malacia perché ovviamente questi anelli non sono più perfettamente a tenuta dal
punto di vista meccanico ma sono fragilizzati. Più in basso la stenosi è legata alla presenza della cuffia e in basso
si potranno avere le lesioni dalla punta del tubo.
La lesioni più classiche dei pazienti sottoposti a tracheostomia sono quelle partono dallo stroma e arrivano a
livello della cuffia tracheale.

Danno stomale: la stenosi stomale è una stenosi situata a livello dello stoma con forma triangolare ad apice
anterioree mantenimento della parete posteriore.Generalmente si forma quando lo stomatracheostomico creato
è troppo largo o viene escisso un tratto troppo ampio di tessuto. Ciò determina la perdita di sostanza della parete
cartilaginea anteriore e laterale, con conseguente riavvicinamento dei bordi per retrazione del tessutocicatriziale
durante la guarigione. Altri fattori che ne favoriscono l’insorgenza possono essere la pressione esercitata sui
margini dello stoma a livello dei punti di fissaggio utilizzati per la ventilazione meccanica e l’accumulo delle
secrezioni infiammatorie al di sopra delle cuffie gonfiate. La sua incidenza è più elevata con l’uso di cannule di
grosso calibro e per questo è raccomandato l’uso di cannule di diametro più piccolo, che sono idonee sia per la
ventilazione che per la toilette tracheale, sia nella tracheostomia che nell’intubazione trans-laringea.
Occasionalmente, l’ostruzione è dovuta alla formazione ditessuto di granulazione ai margini dello stoma oppure
in prossimità delle aree di ulcerazione sotto le cuffie gonfiabili. Queste granulazioni possono determinare
ostruzionedelle vie aeree dopo la decannulazione. Per prevenire la stenosi stomale, la cannula tracheostomica
deve essere introdotta all’altezza del secondo o terzo anello.
Stenosi post-trattamento: le stenosi della trachea dopo ricostruzione tracheale sono dovute a un'eccessiva
tensione anastomotica e quest’ultima è proporzionale alla lunghezza del tratto resecato. Il grado di tensione è
ritenuto a rischio se il tratto resecato comprende approssimativamente il 50% della lunghezza della trachea
nell’adulto e il 30%nel bambino. Particolarmente a rischio risultano essere i pazienti che assumono cronicamente

165
alte dosi di prednisone. Altro fattore di rischio per lo sviluppo di una stenosi post-intervento è rappresentato
dall’eccessiva dissezione circonferenziale, che danneggiala vascolarizzazione delle pareti laterali della trachea.

Ø POST-ATTINICHE
anche il trattamento radioterapico, in particolar modo la brachiterapia puòessere causa di stenosi
tracheale. Complicanze molto gravi e difficilmente trattabili, ma fortunatamente piuttosto rare.

TRAUMATICHE

Ø TRAUMI CONTUSIVI E TRAUMI APERTI


Il trauma da impatto rimane frequentemente non diagnosticato per molto tempo e quasi sempre i pazienti
presentano una storia di pneumotorace trattato mediante drenaggio, chetalvolta è bilaterale in caso di rottura
della trachea. Spesso, al momento della diagnosi, ilbronco o la trachea sono ridotti a sottili fessure a causa della
stenosi. Il trattamento consiste in una rapida resezione del tratto e riparazione chirurgica.
Il trauma penetrante a livello cervicale o mediastinico può determinare una lacerazione tracheale, che può spesso
risultare letale. Quando non lo è, la diagnosì è clinicabasandosi su segni quali distress respiratorio, enfisema
sottocutaneo, pneumotorace consbandieramento mediastinico. Generalmente la lacerazione può essere riparata
con puntidi sutura riassorbibili, in rari casi è richiesta la resezione.

166
Ø DANNI DA SOSTANZE CAUSTICHE

Le stenosi da sostanze caustiche sono spesso riscontrate:


- nei pazienti che effettuano tentativi anticonservativi con ingestione di caustici
- in bambini per ingestione accidentale-> Il professore sottolinea che questo era frequente negli anni
passati quando si conservavano queste sostanze in contenitori impiegati per altri scopi. (es. in Egitto
era frequente conservare la candeggina nelle bottiglie di cocacola.)
Al momento dell’ingestione del caustico esso può discendere nelle vie aeree causando un danno con
conseguente stenosi cicatriziale. L’estensione ovviamente è proporzionale alla quantità di liquido ingerito.

Lesioni acute:
- I grado - interessamento degli strati superficiali, con iperemia ed edema
- II grado - lesioni della mucosa con essudato, ulcerazione e sanguinamento.
- III grado - erosione strati profondi con ulcerazioni profonde, necrosi e perforazioni.:
Lesioni croniche
- Stenosi
- fistole.
-
Inalazione di sostanze chimiche: la profondità e la lunghezza delle lesioni dipende dalla dose di sostanza irritante
inalata e dalla nocività biologica della stessa. Molto spesso, la lesione è confinata a mucosa e sottomucosa,
risparmiando gli anelli tracheali.
Il trattamento:
Potrà avvenire solo chirurgicamente, non immediatamente, ma una volta verificatasi la stenosi da esito
procicatriziale qualora la lesione non sia troppo estesa. Generalmente prevede, dopo aver ottenuto un
appropriato accesso cutaneo, il posizionamento di un tubo a T in silicone che garantisce una pervietà stabile delle
vie aeree. Nei rari casi in cui è richiesto, l’intervento viene effettuato in un secondo momento, quando è risolta la
risposta infiammatoria acuta

167
INFETTIVE/INFIAMMATORIE

Virali (morbillo, varicella, influenza)


Batteriche (tubercolosi, sifilide, difterite, tifo..)
Micotiche (istoplasmosi, blastomicosi…) A
Specifiche (amiloidosi, Wegener, LES…)
Ø TUBERCOLOSI
Oltre ad essere in grado di causare danni
polmonari attraverso la granulomatosi
persistente progressiva può distruggere le
vie aeree. L’infezione da tubercolosi tende
a coinvolgere principalmentela trachea
distale, un bronco principale o entrambi.
Il processo infettivo, in acuto, simanifesta
clinicamente con tracheite, che può
esitare infibrosi a carico della
sottomucosa provocando la stenosi.

Ø ISTOPLASMOSI: l’infezione da istoplasmosi interessa le vie aeree determinando principalmente una


compressione estrinseca. Infatti, determina l’insorgenza di una densafibrosi mediastinica che insieme a
un ingrandimento ed a una calcificazione dei linfonodi mediastinici pretracheali e sottocarenali,
determina compressione della trachea distale, della carena e dei bronchi principali. Questo patologia è
endemica nel continente americano ma in Europa è rara.

168
IDIOPATICHE.

Questa patologia è ancora più rara delle patologie sopra citate.


La stenosi idiopatica tracheale rappresenta un'entità nosologica a sé stante, più frequente nei soggetti di sesso
femminile. Si tratta solitamente di piccole stenosi in prossimità della regione laringea sottoglottica, in pazienti
che non riferiscono storia di trauma, infezioni, danno da inalazione o intubazione. Da tale categoria è escluso
qualsiasi coinvolgimento da parte di malattiesu base autoimmune.

SINTOMATOLOGIA
I sintomi comprendono dispnea,
disfonia, tosse, disfagia.
La manifestazione clinica delle stenosi
acquisite può essere molto insidiosa e
la diagnosi può avvenire da qualche
giorno fino a 10 anni dopo il danno
iniziale; la diagnosi differenziale con
patologie asmatiformi non è sempre
facile e frequentemente una terapia
steroidea viene intrapresa prima della
corretta diagnosi. In molti casi questa
condizione può essere precipitata da
un'infezione respiratoria acuta.
Tipicamente è presente dispnea sotto sforzo, quando si verifica una riduzione del 50% del lume tracheale (il lume
è ridotto a 8 mm), e dispnea a riposo, quandola stenosi interessa il 75% del lume tracheale (il lume è ridotto a 5
mm). In fase avanzata si manifestano stridore inspiratorio, tosse abbaiante, episodi ricorrenti di croup, raucedine
nel casodi un concomitante interessamento laringeo e aspirazione soprattutto in caso di fistola tracheo-esofagea
(TEF).

169
DIAGNOSI
VALUTAZIONE CLINICA:
La valutazione della stenosi avviene:
- Imaging-> TC permette di valutare la stenosi da un punto di vista anatomico.
- Alterazione del flusso espiratorio-> attraverso la spirometria. Le patologie ostruttive sono caratterizzate
dalla riduzione del flusso d'aria, in modo particolare del FEV1 e dell’indice di Tiffeneau. Il grado di
riduzione del FEV1 comparato con i valori previsti determina il grado del difetto ostruttivo. Con la
velocità ridotta del flusso d'aria, i tempi espiratori sono più lunghi del normale e l'aria può rimanere
intrappolata all'interno dei polmoni a causa dello svuotamento incompleto e dell'aumento dei volumi
polmonari.
o Pazienti con stenosi minima-> può essere indicato eseguire la spirometria per documentare
l’alterazione funzionale
o Pazienti con stenosi maggiori -> è controindicata la spirometria in quanto già il reperto clinico è
indicativo di stenosi, anzi è controindicato richiedere ad un paziente dispnoico di soffiare nello
spirometro, soprattutto perché non ha un’utilità clincia

A dire il vero la valutazione della stenosi deve avvenire su due assi:


1) Asse radiologico
2) Asse Endoscopico

IMAGING
Si possono effettuare:
- Indagini radiologiche convenzionali -> per valutare sede/estensione e rapporti con punti di repere
anatomici. Valutano il piano cordale, la cricoide, la carena.
- TC-> per valutare sede/estensione endo/extraluminale, rapporti con strutture adiacenti, rapporti con
punti di repere anatomici. La TC è utilissima per effettuare:
o le ricostruzioni
o l’endoscopia virtuale
o ricostruzioni 3D

170
o misurazioni delle l'estensione della stenosi tracheale
Tutte queste informazioni sono poi però da rivalutare dal punto di vista endoscopico.
Ad esempio: se si dovesse avere una stenosi completa del terzo superiore della trachea e l'estensione non fosse
misurabile perché non superabile endoscopicamente, sarà necessaria una ricostruzione 3D. Ovviamente questo
soggetto presenterà una tracheostomia che permette al paziente di respirare.

Durante le indagini diagnostiche è importante valutare:


- la lunghezza
- il grado della stenosi (inteso come riduzione del diametro interno)
- La distanza dal margine inferiore della corda vocale alla lesione
- La distanza dal margine inferiore della stenosi alla carena

Queste informazioni sono importanti per la pianificazione dell’intervento, quale tipo di protesi da inserire ( se si
è vicini alle corde vocali non si mette una protesi endotracheale perché mal tollerata.)

La TC fornisceinformazioni precise riguardo alla sede, la lunghezza e il grado di stenosi, evidenzia le alterazioni
della parete tracheale e l’interessamento dei tessuti circostanti nonché la presenza di eventuali linfoadenopatie
metastatiche. La TC spirale, con strati sottili da 1 a 3 mm con ricostruzione multiplanare, fornisce immagini
trasversali e sagittali che permettono di dimostrare anche l’interessamento della glottide e dello spazio
sottoglottico.

ENDOSCOPIA
- Se il paziente ha una stenosi poco significativa-> è possibile effettuare la procedura con fibre ottiche,
realizzabile in anestesia locale.
- Nei pazienti in cui si ha un'instabilità -> è da preferire una broncoscopia rigida, ovvero un tubo rigido che
viene fatto passare dalla bocca attraverso la laringe fino alla trachea. E’ preferito in quanto:
o può essere connesso al ventilatore dell'anestesista per ventilare il paziente-> anestesia generale
o permette di dilatare la stenosi se si ha un calibro residuo di 5 o 6 mm:
§ utilizzando in successione broncoscopi a diametro crescente la trachea comincia a
recuperare un calibro accettabile.
§ Devono essere effettuate da personale esperto: onde evitare di causare lesioni della
trachea in quanto la forza deve essere esercitata in maniera controllata e nel corretto
asse.
§ Si deve essere consci che esiste il rischio di recidiva, anche nelle procedure che oltre a
dilatare con broncoscopi a diametro crescente utilizzano palloncini endotracheali per
ampliare la stenosi.
Nel caso in cui a distanza di 1-2 mesi la stenosi recidivi, è possibile:
- Ritentare la procedura con il broncoscopio rigido.
- Posizionare uno stent a permanenza che mantenga la beanza tracheale
- Effettuare un’operazione chirurgica.
Indicazione chirurgica:

171
- Fallimento di dilatazioni con broncoscopio rigido
- Stenosi tracheali complesse: quando si hanno più anelli tracheali rotti e cicatriaziali nella via aerea. In
questi casi la stenosi è consolidata e non si ha indicaizone alla dilatazione con broncoscopio rigido. In
questo caso si ha come possibilità di posizionare
o Stent -> che però rischia di poter migrare nella trachea
o Tubo a T-> che non è in grado di migrare, presentando una porzione che fuoriesce dalla trachea
e che quindi è a metà tra uno stent e un tubo di tracheostomia. (il professore chiarisce essere
un’informazione specialistica).

LA STADIAZIONE
Se precedentemente si era definito come cut-off i 5 mm, ora è possibile stadiare più finemente le stenosi
attraverso la classificazione di Cotton-Mayer.
1) Paziente asintomatico o paucisintomatico:
- grado I à stenosi è inferiore al 50%
- grado II à 50-70%
2) Paziente severamente sintomatico:
- stenosi grado III à 71 99%
3) Stenosi completa à con cannula tracheotomica.
- stenosi di grado IV à 100%

Le stenosi possono poi essere:


- Diaframmatiche (semplici) à la trachea è stenotica perché si è formato un imbuto, un diaframma che è
sufficiente tagliare per riallargare il lume.
- Estese à diaframma più esteso
- Multiple/complesse

172
TRATTAMENTO
Nel trattamento delle stenosi tracheali bisogna considerare:
● Lo stato respiratorio.
● La natura della stenosi: se di tipo infiammatorio si predilige un trattamento conservativo, nel caso di stenosi
cicatriziali il trattamento è variabile a seconda dell’età e comorbidità del paziente, estensione e eziologia della
stenosi.
● La sede e l’estensione: per piccole aree di stenosi con cartilagine conservata è indicatoil trattamento endoscopico
(dilatazione e laser). Le stenosi complesse ed estese, associate a perdita di cartilagine, possono essere trattate
con dilatazione per un periodo di circa 6 mesi al termine dei quali, in caso di non risoluzione del quadro, il paziente
può essere candidato a chirurgia.
● Età e comorbidità: sia nei bambini che negli adulti l’intervento chirurgico è riservato ai casi di stenosi sintomatica.
In caso di malattie multisistemiche, l’opzione chirurgica deve essere attentamente valutata. Infatti, un diabete
mal controllato, un’insufficienza epatica o renale possono peggiorare e ritardare il processo di guarigione e
portare a fallimento dell’intervento.

Gradi 1 e 2
In assenza di sintomatologia respiratoria (grado 1 o 2), è indicato un monitoraggio endoscopico a 3/6/12 mesi.
La presenza di dispnea moderata è trattata con terapia medica ed è tenuta sotto sorveglianza per vedere
eventuale progressione dei sintomi.

Gradi 2 e 3
Esistono varie opzioni di trattamento endoscopico indicate per i gradi 2 e 3 di Cotton-Mayer, gradi ai quali si
associa una sintomatologia respiratoria. Ogni opzione endoscopica presenta vantaggi e svantaggi e, per questo,
è essenziale un’attenta valutazione delle condizioni cliniche del paziente.
Le opzioni sono:
- Laserchirurgia à imm. con formazione di diaframma creatosi subito sotto il piano gotico che può essere
facilmente rimosso con la metodica laser. Se i due lembi non ritornano in contatto successivamente è
difficile che si riformi la stenosi perché, una volta riepitelizzati a distanza, non si dovrebbero più
reincollare.
- le dilatazioni. Si effettuano con:
• broncoscopio rigido
• broncoscopio flessibile à si cala un palloncino attraverso il broncoscopio flessibile e, dopo
essersi accertati del buon posizionamento del palloncino, lo si gonfia a ridosso delle pareti
stenotiche vincendo progressivamente la resistenza.
- gli stent laringo tracheali. Ne esistono di più tipi:
• Endoprotesi tracheale a T tipo Montgomery in cui la componente orizzontale esce dalla trachea e
viene abboccata alla cute. In tal modo, la protesi resta fissa, in sede per lunghi periodi di
tempo, periodicamente cambiata.
• Endoprotesi tracheale retta tipo Dumon: in silicone, facilmente sostituibili con l’ausilio di una pinza e
non aderiscono bene alla parete tracheale, aspetto che rappresenta al contempo sia un vantaggio
che uno svantaggio. Il vantaggio è dato dalla possibilità di sostituirle senza difficoltà, lo svantaggio è

173
legato alla mobilità all’interno del lume tracheale, svantaggio che si cerca di arginare tramite gli
appositi “dentini” in silicone che permettono maggior fissità.
• Endoprotesi tracheale retta tipo Wallstent in caso di infiltrazioni tumorali à protesi metalliche,
coperte o non coperte (in presenza di tumore meglio usare quella coperta per prevenire l’infiltrazione
tumorale tra le maglie metalliche dello stent.
Vantaggio: maggior fissità.
Svantaggio: non rimovibili.
• Endoprotesi tracheale a Y per stenosi dell’asse inferiore tracheale e della carena. I due bracci della Y
andranno nel bronco principale destro e nel bronco principale sinistro
- le infiltrazioni locali di farmaci.
I prerequisiti per attuare l’opzione endoscopica sono:
➢ lunghezza della stenosi inferiore a 10 mm in senso cranio-caudale
➢ distanza di 5–10 mm dalle corde vocali
➢ stenosi non serrata.

Controindicazioni a tali procedure sono:


➢ stenosi cicatriziale fibrosa circonferenziale con estensione in senso longitudinalemaggiore a 1 cm
➢ stenosi combinata laringotracheale
➢ grave infezione batterica della trachea dopo tracheotomia
➢ fallimento di precedenti trattamenti endoscopici
➢ perdita significativa della struttura cartilaginea.

Tali metodiche, nonostante siano procedure ben tollerate dal paziente e abbiano un indubbio vantaggio in termini
di miglioramento e riduzione dei sintomi, rappresentano però spesso un attoterapeutico transitorio, poiché sono
gravate frequentemente da recidiva.

Laserchirurgia
Il trattamento laser può essere un’opzione risolutiva solo per le stenosi di lunghezza inferiore a 1 cm e per le
stenosi circonferenziali senza supporto cartilagineo. Nelle lesioni più spesse il trattamento laser può peggiorare
solo la gravità della lesione perché crea un tessuto di granulazione che peggiora gli esiti della stenosi.

Dilatazione
La dilatazione endoscopica, d’altro canto, sembra essere solo una misura temporanea, soprattutto nelle stenosi
neoplastiche e infiammatorie. Nel caso, infatti, di stenosi infiammatorie, la ri-stenosi si sviluppanell’arco di breve
tempo, da alcuni giorni a poche settimane dopo. Ad ogni modo la dilatazione delle stenosi tracheali in emergenza
rappresenta la prima opzione terapeutica per ristabilire la pervietà delle vie
aeree, in previsione di una successiva resezione tracheale. Si crea quindi un ponte temporale durante il quale
stabilizzare il paziente per portarlo poi all’intervento.

174
Stent laringo-tracheali
Il posizionamento di stent èun intervento
momentaneoo palliativo riservato a quei
pazienti non candidabili achirurgia.

Una protesi ideale dovrebbe possedere le


seguenti caratteristiche:
❖ capacità di ristabilire e mantenere il lume aereo;
❖ facilità di inserimento e, qualora necessario, di rimozione;
❖ biocompatibilità;
❖ adattabilità all’anatomia della via aerea.

Al contrario, lo stent ottimale dovrebbe evitare di:


❖ ledere la mucosa stimolando la produzione di tessuto di granulazione;
❖ interferire con la clearance muco-ciliare;
❖ andare incontro ad ostruzione secondaria;
❖ dislocarsi dopo il posizionamento.

Gli stent attualmente in commercio possono essere distinti in due gruppi principali: quelli polimerici (vd
Dumon) prevalentemente siliconici, e quelli metallici autoespansibili (vd Wallstent) che permettono diarrivare
in loco e, solo qui, espandersi. Idealmente quindi possono aiutare in caso di stenosi più serrate.

Gradi 3 e 4
Si tratta di stenosi estese o complesse. Questo è il trattamento indicato anche nel caso di ripetuti insuccessi
endoscopici.
Si effettuano resezioni-anastomosi tracheali o resezioni-anastomosi laringo-tracheali.
Aspetto clinico importante dell’intervento di resezione-anastomosi tracheale: al pz si fa l’intubazione
orotracheale à tubo entra dalla bocca, oltrepassa la stenosi e ventila il malato a valle di essa.
Per l’intervento, si esegue la cervicotomia e successivamente si deve tagliare la trachea nel tratto stenotico
all’interno della quale, però, passa il tubo per la ventilazione. Quello che si deve fare è tagliare la trachea a
monte e a valle della stenosi, si sfila il tubo orotracheale, al posto del quale viene inserito un tubo nella
porzione distale che vada a ventilare il polmone. Si confeziona poi l’anastomosi e solo successivamente si
sfila il secondo tubo messo per riposizionare il primo tubo ed ultimare l’intervento.
Tale spiegazione è stata effettuata per far capire l’importanza della presenza di tutta un’équipe medica
dedicata: urgentista, endoscopista, chirurgo, anestesista, radiologo, il tutto in un ambiente di terapia
intensiva (pz con grossa compromissione della via aerea).
La patologia non è frequente ma l’expertise che necessita è di massimo livello.
Il miglior trattamento per una stenosi di lunghezza compresa tra 1-4 cm è rappresentato dalla resezione
circonferenziale e ri-anastomosi terminale, senza fare ricorso a particolari tecniche di mobilizzazione della
trachea superiore e inferiore. Quando la riparazione chirurgica è fattibile, la tempistica dovrebbe essere
correlata alla condizione clinica del paziente. Per eseguire l’intervento è essenziale che i margini tracheali, a
175
livello della futura anastomosi, siano i più sani possibili. Pertanto, nel caso in cui sia presente
un’infiammazione bisogna attendere che questa regredisca e la resezione dovrà includere tutto il tessuto
eventualmente danneggiato.
Risultati: si associa a mortalità del 2% circa, morbidità del 5 - 10% (deiscenza anastomotica, paralisi
ricorrenziale, ristenosi), con risultati a distanza buoni/soddisfacenti nel 90 – 95% dei casi.

176
TRAPIANTO DI POLMONE
In un paziente con una funzionalità polmonare fortemente ridotta si deve prendere in considerazione il
trapianto polmonare.
Si tratta di uno dei capitoli più interessanti ed innovativi della chirurgia toracica. Non entreremo nel dettaglio,
ma se qualcuno fosse interessato e volesse della bibliografia specifica è invitato a scrivere al professore.
Le problematiche di natura tecnica e gestionale sono molteplici. Per realizzare un trapianto efficace si deve
avere una forte collaborazione d’equipe tra pneumologi, chirurghi toracici, anestesisti e riabilitatori.
Spesso i pazienti sottoposti a trapianto presentano la fibrosi cistica quindi sono da coinvolgere anche gli
specialisti della patologia.

STORIA
Il primo trapianto è stato effettuato all’inizio degli anni ’60 su un cane, sia in Francia che negli USA. La tecnica di
anastomosi vascolare è stata messa a punto da Carrel, chirurgo vascolare, mentre quella di anastomosi
bronchiale è stata derivata da quella vascolare. Dal punto di vista tecnico, un trapianto di polmone prevede una
anastomosi bronchiale e due vascolari, ma ovviamente ai tempi non era così semplice.
Il primo gruppo ad aprire la pista è stato quello di Cooper a Toronto, seguito da Saint Luis. Questi gruppi hanno
aperto la strada e risolto alcune delle difficoltà tecniche correlate al trasporto e alla riperfusione dell’organo
trapiantato. Il primo paziente trapiantato, affetto da una patologia funzionale (intorno al ‘63), per esempio,
morì una ventina di giorni dopo l’intervento.
Le principali problematiche riscontrate nel mettere in atto la procedura erano le seguenti:
1) Fattibilità tecnica
2) Problematica principale: I bronchi rianastomizzati andavano incontro a deiscenza e fistolizzavano. Ciò è
anche dovuto al fatto che i pazienti trapiantati erano sotto terapia steroidea ad alte dosi: si è infatti
notato che la terapia con solo cortisone comportava maggiori complicanze chirurgiche e tardava la
guarigione dell’anastomosi. La ciclosporina dimostrò successivamente di avere un alto potere
immunosoppressivo senza impattare sulla guarigione delle anastomosi. - Sepsi: il rischio di infezione sul
polmone è importante
3) Rigetto: il polmone è un organo complesso da trapiantare perché si tratta di un filtro per gli agenti
patogeni ed è quindi necessario che il paziente venga sottoposto a immunosoppressione per ridurre il
rischio di rigetto
4) Procedura chirurgica: Un ulteriore ostacolo può essere determinato dalla procedura chirurgica, in cui si
preleva il polmone dal donatore e deve essere trasportato a lungo. (esempio da Napoli a Milano
Per questo il polmone si lo si condiziona con diverse modalità (la principale consta nell’ipotermia a 4
gradi per alcune ore). Successivamente, quando impiantato nel ricevente, potrà andare incontro a
danno da riperfusione e non funzionare in maniera ideale nelle prime ore post-trapianto. Una delle altre
tecniche più innovative per il condizionamento è rappresentata dalla perfusione ex-vivo, in modo da
poter preservare il polmone e, in caso di polmoni marginali, migliorarne la funzionalità.

Nel 1982 viene effettuato il primo trapianto cuore-polmone in pazienti con patologie rare e complesse quali
patologie vascolari come la sindrome di Eisenmenger, difetti intracardiaci con shunt, inversione di flusso ed
ipertensione polmonare associata. Il concetto di fattibilità nato dal trapianto cuore-polmone portò allo sviluppo
successivo della tecnica del trapianto mono e bipolmonare senza concomitante trapianto di cuore, il quale
venne attuato sempre di meno. I centri che si concentravano maggiormente su questa pratica erano quelli a St
Louis e a Toronto, che per trapianti monolaterali selezionavano in genere pazienti con fibrosi polmonare aventi
quindi circoli polmonari ad alta resistenza. Ciò faceva sì che, per differenza di pressione, la circolazione andava
a privilegiare il polmone trapiantato, facilitando il recupero funzionale. L’evoluzione della tecnica ha portato il

177
trapianto di polmone da essere effettuato in pochissimi centri ed in pochissimi numeri ad essere una procedura
che rappresenta ad oggi un’opzione di cura reale. Ad oggi nel mondo sono effettuati circa 4000 trapianti
polmonari/anno, dei quali circa un migliaio è unipolmonare; vi è poi una netta minoranza di trapianti cuore-
polmone. Se interessati è presente su internet un database con tutti i dati aggiornati sui trapianti di polmone.

SELEZIONE DEL PAZIENTE


Le principali indicazioni al trapianto sono:
1) Bronchite cronica ostruttiva-> 34% dei trapianti
2) Fibrosi polmonare → 23% circa
3) Fibrosi cistica → 17% circa
4) deficit di α1-antitripsina → 6% circa dei
trapianti
Patologie meno comuni:
1) Patologie vascolari complesse (es
Sindrome di Eisenmenger, ipertensione
polmonare primitiva idiopatica) →
spesso il trapianto viene associato alla
correzione dei difetti intracardiaci,
mentre nell’ipertensione polmonare
oltre al polmone va trapiantato anche il
muscolo cardiaco.
2) Bronchiectasie non da FC.
3) Sarcoidosi
In ordine di complessità tecnica, le patologie più semplici sono BPCO, seguita da fibrosi polmonare mentre la
più complessa è la FC. Ciò è dovuto alla presenza di germi multi resistenti nei polmoni espiantati dei pz con FC
che possono però infettare anche i nuovi polmoni.

CONTROINDICAZIONI AL TRAPIANTO:
Le principali controindicazioni al trapianto sono invece costituite da:
1) Recente o attivo abuso di: alcol, sigarette, droga.
2) Recente diagnosi di patologia oncologica (nei precedenti 5 anni) → il trattamento immunosoppressivo
aumenta infatti la recidiva della malattia.
3) Infezioni polmonari in corso o che potrebbero riattivarsi in presenza di immunosoppressione → per
esempio, nella FC potrebbero verificarsi infezioni da germi multi resistenti particolarmente pericolosi
(Burkolderia, Pneumocystis), che rappresentano una controindicazione
4) Patologie extra polmonari associate importanti (clearance della creatinina a <50 ml /min, patologia
coronarica intrattabile, significativa disfunzione ventricolare)
5) HBV, HCV con danno epatico evidente
6) Infezione da HIV ( non citata a lezione e nelle slide si ha un punto interrogativo a fianco )
7) Severa patologia psichiatrica
8) Cattiva complicane terapeutica
9) Assenza di supporto sociale affidabile e consistente
10) Obesità e denutrizione-> aumento del rischio di mortalità e morbosità.
11) Patologie neuromuscolari progressive, patologie vascolari, patologie del tessuto connettivo, osteoporosi
significativa, elevate dosi di corticosteroidi (≥ 20 mg di prednisone giornaliero)

Esiste, inoltre, un limite massimo d’età che però è arbitrario in base alla disponibilità d’organo. Il cut off classico

178
è di 65 anni.
1) 65 anni per un trapianto di un solo polmone
2) 60 anni per trapianto bilaterale
3) 55 anni per trapianto cuore polmone.

Si deve però sottolineare che nel 2011 il 13,5% dei riceventi un trapianto polmonare avevano più di 65 anni.
L’età avanzata è un fattore prognostico negativo per la sopravvivenza al trapianto di polmone. Il tasso di
sopravvivenza a 5 anni è:
- 39% per i soggetti con età superiore a 65 anni
- 51-56% nei soggetti con meno di sessant'anni.
Considerato l'elevato rischio di morte nei pazienti che necessitano di trapianto polmonare alcuni di essi in lista
d'attesa necessitano di supporto cardiocircolatorio e circolazione extracorporea.
Il tasso di sopravvivenza ad uno o due anni di questi pazienti si attesta al 62 e 57% comparato con quello dei
soggetti che non necessitano di ventilazione che si attesta al 79 e 70%.
È ancora più controverso il trapianto di pazienti posti in circolazione extracorporea, il trapianto infatti
raramente viene preso in considerazione per i pazienti acuti con patologie critiche.

Infezioni croniche delle vie aeree nei pazienti con fibrosi cistica sono condizioni universalmente presenti nei
pazienti con fibrosi cistica. Esistono però differenze sostanziali tra le differenti infezioni.
L’infezione multi resistente di pseudomonas aeruginosa comporta un tasso di sopravvivenza ad un anno
dell'87% e a 5 anni dal 58% rispetto a rispettivamente tassi del 97% e 86% dei soggetti che presentano batteri
sensibili alla terapia antibiotica. Per i BCC invece i tassi di sopravvivenza sono nettamente peggiori, e si ha un
alto rischio di complicanze serie o letali nei pazienti trapiantati con questo tipo di infezioni.

Si effettuano inoltre degli studi specifici in base alle patologie dei pazienti.
1) BPCO.
a. BODE index score-> deve essere tra 7 e 10 analizza 4 parametri.
i. Body mass index
ii. O: grado di ostruzione delle viee aeree misurate tramite FEV1%
iii. D: dispnea index
iv. E: exercise->test del cammino di 6 minuti
b. Storia di ospedalizzazioni per esacerbazioni della patologia associata e con un'acuta ipercapnia
c. Ipertensione polmonare o cuore polmonare o entrambi nonostante un'adeguata
ossigenoterapia
d. FEV1 <20% 20% o DLCO minore del 20% o distribuzione omogenea dell’enfisema.
2) fibrosi polmonare idiopatica il parametro più importante è la DLCO.
3) fibrosi cistica parametri funzionali e parametri di ipertensione polmonare.

I pazienti candidati al trapianto vanno incontro ad uno studio funzionale molto importante.
1) Per esempio, è fondamentale sapere se la patologia polmonare si associa o meno ad ipertensione
polmonare. Questo dato è rilevante poiché prima di impiantare il polmone del donatore va asportato
quello originario per cui è necessario chiudere l’arteria polmonare, aumentando ulteriormente la
pressione. Per questi pazienti potrebbe essere indicata una circolazione extracorporea di supporto al
fine di evitare che il polmone controlaterale ed il cuore siano sottoposti ad uno stress eccessivo.
2) Vanno inoltre valutate una serie di caratteristiche del paziente, quali BMI, indice di ostruzione (FEV1),
DLCO, dispnea e capacità di tolleranza allo sforzo (un po’ come ci si è detti prima per la riduzione di
volume). In particolare, per enfisema e BPCO risultano indicati al trapianto i pazienti risultati non adatti
alla riduzione di volume, con FEV1 e diffusione.

179
LISTE D’ATTESA
Un tempo la priorità era data ai pazienti presenti in lista da più tempo. Bisogna però considerare che alcune
patologie (es fibrosi cistica) hanno un’evoluzione molto più rapida rispetto ad altre (es enfisema severo): per
questo motivo sono stati sviluppati degli score di attribuzione degli organi (lung allocation score) che tengano
in considerazione sia l’aspettativa di vita del paziente senza trapianto sia l’aspettativa dopo il trapianto. Ciò fa sì
che vengano prioritizzati i pazienti con maggior rischio di morire in attesa di trapianto e miglior probabilità di
sopravvivere al trapianto. Tra i criteri generali valutati nello score vi sono il rischio di morte entro i 2 anni >50%
e la probabilità di sopravvivere al trapianto >80%.

Vi sono pochi organi da trapiantare proprio perché spesso i polmoni dei donatori non sono adatti, ad esempio
vi sono soggetti donatori che:
1) hanno subito un trauma stradale con contusione polmonare bilaterale
2) hanno polmoniti in corso
3) in vita erano forti fumatori
Sono quindi state introdotti dei criteri per il polmone prelevato per cercare di migliorare la performance del
trapianto. Allo stesso modo si sono sviluppate delle tecniche che permettono di ricondizionare dei polmoni
marginali per cercare di rendere adatti dei polmoni che altrimenti sarebbero stati inutilizzabili.

Criteri standard di un donatore:


1. Età < 55 anni
2. Radiografia del torace chiara
3. PaO2 > 300 mm Hg su FIO2 1,0; PEEP 5 cm H2O
4. Storia di fumo di sigaretta < 20 pack-year
5. Assenza di traumi toracici significativi
6. Nessuna evidenza di aspirazione o sepsi
7. Nessun precedente intervento chirurgico toracico sul lato interessato
8. Assenza di organismi sull'espettorato con colorazione di Gram
9. Assenza di secrezioni purulente e contenuto gastrico alla broncoscopia
10. Negativo per l'anticorpo dell'HIV, l'antigene di superficie dell'epatite B e l'epatite C
11. Nessuna storia attiva o recente di malignità (escluso cancro della pelle squamoso localizzato o delle
cellule basali, cancro cervicale localizzato e del cervello - tumori a basso potenziale metastatico)
12. Nessuna storia di malattia polmonare cronica significativa.

TECNICA
La scelta di trapianto singolo o bilaterale o
cuore-polmone dipende dall’attitudine del
centro e dalla patologia del paziente. C’è
stato un periodo in cui si privilegiavano i
trapianti singoli, mentre ad oggi ci si orienta
maggiormente verso quello bilaterale, che in
genere dà un maggior vantaggio. In
particolare, la patologia assume un ruolo
molto importante: si pensi per esempio ad un
paziente con fibrosi cistica, con
bronchiectasie bilaterali e polmoni infetti. In
questo caso verrà attuato un trapianto
bilaterale in quanto se si impiantasse un solo
polmone si infetterebbe con le secrezioni del
controlaterale.

180
Prelievo: è importante prelevare il polmone dal donatore creando la cosiddetta “cuffia atriale”, che contiene le
vene polmonari e che verrà reimpiantata sul cuore del ricevente. Non si asportano quindi i singoli vasi
altrimenti sarebbe necessario ricostruire una neo cuffia se non venisse asportata quella del donatore.

La sequenza di reimpianto:
Rimozione del polmone donatore
- Sezione dell’aorta ascendente
- Sezione dell’arteria polmonare alla biforcazione
- Creazione della cuffia atriale contenente l’origine delle vene polmonari (da anastomizzare sull’atrio
sinistro del ricevente)
- Resezione della trachea al di sopra della carena Si procede poi con la pneumonectomia del ricevente
legando le vene polmonari, l’arteria polmonare e sezionando il bronco.

Si procede poi con la pneumonectomia del ricevente:


1) legando le vene polmonari, l’arteria polmonare
2) sezionando il bronco.

Trapianto sequenziale:
La procedura di trapianto standard, detta trapianto sequenziale, prevede l’impianto prima di un polmone e poi
dell’altro. La procedura prevede:
1) Anastomosi bronchiale (più posteriore),
a. Bisogna tenere presente che si va ad anastomizzare un polmone che non ha più
vascolarizzazione a livello bronchiale, in quanto la vascolarizzazione dei bronchi è data dalle
arterie bronchiali, che non sono presenti nel polmone da impiantare.

181
b. C’è stata un’equipe a Bordeaux che ha lavorato sulla rivascolarizzazione del bronco principale
attraverso il circolo bronchiale, con scarso successo. La soluzione consiste nel cercare di tenere
il più possibile il bronco ricevente e un bronco donatore molto corto, in modo tale che la zona
a potenziale rischio ischemico sia più ridotta possibile. Il bronco principale sinistro è di per sé
lungo, è quindi necessario accorciarlo.
2) Sutura del tronco principale dell’arteria polmonare sul polmone del donatore
3) Sutura della cuffia atriale (con le vene polmonari).
a. Questa anastomosi è fondamentale in quanto se ci fossero delle resistenze allo scarico del
sangue in atrio, il polmone si infarcirebbe di sangue e fallirebbe il trapianto.
Effettuate le anastomosi si declampa l’arteria polmonare e il declamp del atrio del ricevente e si riventila. Il
polmone quindi si rivascolarizza e da bianco (è stato nel ghiaccio per diverse ore) diventa rosa; si attende che il
sangue cominci a fluire dall’anastomosi atriale, si chiude l’ultimo punto ed il trapianto può dirsi completato.

Vie di accesso:
Per quanto riguarda le vie di accesso, può essere utilizzata:
1) l’incisione clamshell (doppia toracotomia con sternotomia trasversa, figura a lato), la quale permette
di ottenere un accesso perfetto ma risulta particolarmente invasiva.
2) La doppia toracotomia anterolaterale senza sternotomia trasversa, buon compromesso tra visibilità
per il chirurgo ed invasività per il paziente, ed è la più utilizzata oggi.

182
Trapianto polmonare in blocco
I polmoni vengono trapiantati insieme; vi è un’unica cuffia atriale proveniente dal donatore che viene
impiantata in blocco sul cuore del ricevente posteriormente. Il tronco dell’arteria polmonare viene impiantato
all’emergenza dell’arteria polmonare e la trachea sulla sezione tracheale del ricevente. Presenta un maggior
tasso di complicanze.

COMPLICANZE
Le complicanze di tipo chirurgico, fortunatamente sempre più rare, sono correlate a problematiche delle 3
anastomosi (vena, arteria e bronco).
1) Anastomosi bronco: deiscenza, fistolizzazione, stenosi;
2) Anastomosi arteria: se troppo stretta, riduzione della vascolarizzazione polmonare. Il paziente
potrebbe quindi dover essere rioperato; C
3) Cuffia atriale: cuffie troppo larghe possono subire un kinking da parte del polmone appena trapiantato,
mentre anastomosi troppo strette possono ostacolare il deflusso venoso in atrio.
4) Primary graf disfnction: nelle prime ore/giorni dal trapianto può verificarsi edema da riperfusione che
causa la cosiddetta primary graft disfunction, che potrebbe richiedere una ventilazione meccanica
prolungata.
Oltre alle complicanze chirurgiche vi sono tutte quelle correlate al rigetto acuto e cronico.
Queste complicanze hanno assunto una certa rilevanza nel primo decennio di trapianti polmonari, mentre ad
oggi sono piuttosto rare. Recentemente il gruppo di Vienna ha pubblicato dei risultati per cui, su circa 3000
trapianti, la percentuale di complicanze è risultata inferiore al 2%.
1) La Disfunzione graft è indubbiamente un problema ed è difficile differenziarlo da rigetto iperacuto,
sovraccarico idrico, ostruzione anastomotica venosa, polmonite, shock cardiogeno. Tale complicanza
ha un notevole impatto sulla mortalità ed ha un’incidenza pari a circa il 15%. Esistono diverse strategie
volte a ridurre il trauma sul polmone appena trapiantato; per esempio, uno dei fattori di stress per tale
organo è rappresentato dalla ventilazione meccanica. La rivascolarizzazione costituisce già un evento
stressante in quanto attiva una risposta infiammatoria importante; se ad essa si aggiunge uno stretch
importante legato alle pressioni eccessive generate dalla ventilazione meccanica, il quadro della
disfunzione precoce del graft viene peggiorato. È quindi necessario che il polmone venga ventilato con
delle strategie protettive riducendo al massimo le pressioni che si sviluppano in tale organo
2) Rigetto acuto, è un’altra importante complicanza che si presenta in un paziente su tre nel primo anno.
Questo avviene perché i pazienti sono abbinati per gruppo sanguigno ma non per HLA. Il rigetto acuto
provoca una progressiva perdita della funzionalità polmonare e si diagnostica tramite biopsia trans
bronchiale (è questo il motivo per cui i trapiantati fanno controlli endoscopici e funzionali regolari). Il
trattamento è basato sul cortisone.
3) Le infezioni rappresentano un grande problema (virali, batteriche o fungine). Sono la causa più
importante di morbilità e mortalità. Le polmoniti batteriche sono le più frequenti, in particolare nei
pazienti con fibrosi cistica (pseudomonas, s. aureus). Per questo motivo i pazienti trapiantati iniziano
una profilassi col bactrim per le infezioni da pneumocystis e, qualora ricevano un polmone da donatore
CMV+, fanno anche una profilassi con valganciclovir per almeno 6 mesi. Altri microrganismi che
possono portare a complicanze maggiori sono, oltre al CMV, anche le infezioni fungine che possono
andare a colonizzare l’anastomosi bronchiale o dare forme di aspergillosi invasiva (in genere rare ma
più frequenti in queste categorie di pazienti defedati ed immunodepressi).
4) Bronchiolite obliterante, processo fibroproliferativo cronico che oblitera le vie aeree dando
un’ostruzione importante ed irreversibile, fino a necessitare di un retrapianto. Questi pazienti vanno
incontro a progressiva alterazione della funzione respiratoria e presentano sintomi non specifici quali

183
tosse e dispnea. Uno dei maggiori FdR per questa complicanza sono i rigetti acuti ripetuti, per cui il
quadro viene monitorato anche qui con la sorveglianza endoscopica.

OUTCOME
Il trapianto polmonare ha permesso a pazienti in precedenza senza prospettiva terapeutica di ottenere un
trattamento valido; inoltre, l’esperienza del trapianto ha permesso di sviluppare dei principi in grado aprire
altre porte di trattamento, tra cui quella della riduzione volumetrica. In generale il tasso di mortalità associato
al trapianto polmonare è pari a circa il 10%, con una sopravvivenza a 5 anni del 50%. Considerando che i
pazienti in lista trapianti presentano il 50% di probabilità di morire a 2 anni, vi è un netto miglioramento della
prognosi (ovviamente la sopravvivenza e la mortalità dipendono anche dalla patologia di base che ha condotto
al trapianto).

184
DOMANDE
- Il tubercoloma è PET positivo anche se è la forma inattiva, perché? È un esito cicatrizialecon lesioni granulomatose
con tessuto solido che capta, perché è una reazione infiammatoria. Sono operati perché vanno in diagnosi
differenziale con carcinoma polmonare.

- L’ascesso polmonare: l’ascesso cronico persiste per più di 6 settimane dalla diagnosi, nonostante tutto il
trattamento di base effettuato. Il trattamento è antibiotico, mentre i drenaggi si effettuano nel momento in cui
il paziente non risponde, ovvero se le sue condizioni cliniche non migliorano, continua la febbre, la lesione si
ingrandisce, c’è una reazione pleurica importante. Bisogna valutare tutti questi fattori per decidere se effettuare
drenaggio e cambiare terapia. Nell’ascesso polmonare delle volte si tratta di pazienti defedati, con patologie
associate, per cui sono molto delicati, quindi la terapia antibioticaè un cardine, ma c’è bisogno anche di un
trattamento di contorno: nutrizione, supporto, attenzione ai fattori di rischio, con una presa in carico a 360 gradi.
La chirurgia dell’ascesso è riservata a situazioni particolari, ad esempio dopo sviluppo diemottisi massiva o se la
sintomatologia non passa. Questi interventi di resezione polmonare possono essere ad alto rischio, perché c’è
rischio di infezione del cavo pleurico, quindi sono da riservare ai casi con indicazione specifica.

- Trattamento chirurgico del pectus escavatum: quando abbiamo visto Ravitch e Nuss, parliamo solo di quello
simmetrico? Per l’asimmetrico è diverso il trattamento?
Utilizzando la tecnica di Nuss idealmente più è simmetrico il pectus, meglio è. È vero chela barra è modellata sulla
deformità del paziente, ma se lo sterno è di traverso le forze applicate dalla barra non sono simmetriche e il
risultato non è brillante. Se siamo in situazione dove la barra è controindicata o non funziona, si va verso una
riparazione aperta, ovvero Ravitch, togliendo le cartilagini costali e inserendo una barra di correzione.In questo
caso, però, mettiamo la barra per tenere in sede lo sterno rialzato chirurgicamente, mentre con la tecnica di Nuss
è la barra stessa che tira su lo sterno.

- La pneumonectomia nei tumori: in seguito si forma liquido nel cavo rimasto vuoto e non si deve togliere perché
si riassorbe in autonomia. Il mediastino resta deviato e il polmonesano si ri-espande. Come?
Si toglie il polmone e rimane una camera pleurica vuota. La sua evoluzione naturale è di riempirsi
progressivamente di liquido (in 7-10 giorni), poi nell’arco dei mesi progressivamente il liquido si riassorbe e la
camera diventa sempre più piccola. Il polmone controlaterale si espande un po’ di più rispetto al suo volume
naturale, perché trova più spazio (enfisema vicariante). Quindi alla TC si vede la camera di pneumonectomia più
piccola del normale e il polmone controlaterale, che supera la linea mediana e va ad occupare un pezzo di
emitorace controlaterale. Questo fa spostare il mediastino. A volte ci possono essere le cosiddette sindromi post-
pneumonectomia, ovvero la rotazione del mediastino può creare problemi (difficoltà respiratoria ostruttiva) al
bronco principale (più

185
spesso al sinistro) perché lo schiaccia contro la colonna e quindi bisogna inserire protesi in camera di
pneumonectomia per ingrandirla un po’ e rimedializzare il mediastino.
Quindi in EO di paziente pneumonectomizzato, dal lato operato sento ottusità o timpanismo?
Dipende da quanto tempo è stato operato. Nell’immediato timpanismo e soffio bronchiale,perché c’è aria. Con
il liquido si sente ottusità e silenzio respiratorio o murmure trasmessodall’altro polmone. Progressivamente si
sente sempre ottusità, perché permane un po’ diliquido e murmure vescicolare del polmone controlaterale.
È importante in un paziente con cicatrice posteriore o laterale immaginare anomalie nell’EO perché ha subito
l’intervento.

- Nella pleuro-pneumonectomia, elimino tutto il pericardio o soltanto la faccia che aggetta sul lato malato?
L’obiettivo della chirurgia è la citoriduzione massimale, però per quanto pericardio si tolga,il mesotelio è un
rivestimento continuo, per cui non si avrà mai la certezza che quello chesi lascia non abbia residui di malattia.
Per cui per il mesotelioma per definizione non si può parlare di radicalità (ovvero rimuovere il tumore con un
margine libero intorno), ma sieffettua una resezione macroscopicamente radicale. Si toglie quasi tutto, del
diaframma si lascia solo un pezzo minimo sul lato mediastinico per attaccare la protesi, mentre sullaparete
toracica ci si può attaccare alle coste. Si toglie tutto il pericardio tranne un pezzo per passare i punti per
ricostruire il pericardio con protesi. La ragione per cui si ricostruiscono queste strutture è che altrimenti si
potrebbe avere un’erniazione del cuore nel cavo lasciato da pneumonectomia, con torsione delle cave e
arresto cardiaco.
Con tumore N1 (malattia linfonodale) si hanno linfonodi dell’ilo polmonare, quindi si può togliere il polmone.
Con malattia N2 (mediastinica) la prognosi è molto peggiore.

- Il sistema a tre bottiglie:


Quando si ha un sistema a tre bottiglioni e li metto in aspirazione, l’entità dell’aspirazioneche viene applicata
al paziente è data dalla differenza in cm di acqua tra il livello di liquidodel terzo e secondo bottiglione. Cioè se
la differenza tra i due livelli liquidi è 15 cm quandoapro a muro, il sistema aspirerà a -15 cm di acqua, anche se
apro a fondo il manometro ilsistema è settato sempre su -15 cm. Quella è la protezione, perché il sistema a
muro è molto potente. Quindi se si attaccasse direttamente l’aspirazione a muro al sistema di aspirazione
del paziente si rischierebbe di aspirare molto e i manometri sono poco precisi. Il terzo bottiglione quindi si
comporta da camera da aspirazione e quindi da protezione. La cosa importante è che il fondo della cannuccia
deve pescare nell’aria, perché se tappocon un dito la cannuccia tutta l’aspirazione a muro è trasmessa al
paziente. Il terzo bottiglione, quando si apre l’aspirazione a muro, comincia a gorgogliare perché sta
riequilibrando aspirando dell’aria nel sistema, quindi più si apre a muro, più gorgoglia. A monte il sistema è
settato in modo costante però.

- Tumori della giunzione gastro-esofagea: dissezione dei linfonodi, in alcuni casi sono coinvolti anche i
mediastinici. Alcune linee guida mettono il tipo 2 come indicazione per dissezione mediastinica e altre no.
Cosa è giusto?

186
Esistono linee guida differenti che rappresentano scuole di pensiero differenti. Ad esempio, un tumore del
cardias si tratta con resezione di tipo diverso con radicalità diversa. Per la linfadenectomia idem, perché se
si fa una via combinata addominale e toracica la dissezione linfonodale è più agevole, mentre se è soltanto
addominale è più limitata. È un problema dibattuto.

- Il drenaggio dello pneumotorace: altra questione dibattuta, quindi c’è chi dice che è opportuno aspirare e chi
no. Se metto un drenaggio nello pneumotorace massivo e aspirotroppo rapidamente si riespande il polmone e
può fare edema polmonare da riespansione,soprattutto se è collassato da diversi giorni o se ha versamento
pleurico massivo. Il vantaggio dell’aspirazione è che si accelera la riespansione. Si tratta di abitudini, quindi
nei reparti di chirurgia si usa di più l’aspirazione che, con sistemi digitali, misura anche laperdita aerea in
ml/minuto.

LVR
INTRODUZIONE
La tecnica vede le sue origini con il chirurgo Sauerbrook che, riflettendo sulla FP del pz enfisematoso e sulla
sovradistensione della gabbia toracica che ne deriva come tentativo di aumentare lo spazio per gli scambi
respiratori, inventò la condroplastica multipla, una tecnica chirurgica volta ad asportare i segmenti
cartilaginei costali anteriori per aumentare la distensibilità del torace.
Tale tecnica risultò fallimentare: lo spazio riconquistato veniva nuovamente riempito dai segmenti
enfisematosi, schiacciando i segmenti di polmone sani restanti.

Si dovranno attendere gli anni ’50 per assistere ad una nuova procedura, messa a punto da Brantigan: il
chirurgo fu il primo a sperimentare la LVR, resezione del volume polmonare, pensando di rimuovere un
segmento enfisematoso per lasciare più spazio ai segmenti sani. Nel postoperatorio i pz dimostravano di
averne tratto beneficio tramite un miglioramento della spirometria.
Nonostante ciò, la mortalità restava elevata per la fragilità dei pazienti. Si è ridotta quando venne validato
il trapianto di polmone.

RAZIONALE
Non tutti gli enfisemi sono eleggibili a questo tipo di intervento: devono persistere delle zone
completamente sane o quasi (zone target).

I tre criteri per poter indirizzare il pz al trattamento sono:


• Imaging:
§ Rx torace:
➢ polmone iperinsufflato
➢ aumentato diametro AP
➢ diaframma appiattito
§ TC torace:
➢ presenza di enfisema polmonare
➢ presenza di altre patologie sottostanti
(attenzione al tumore polmonare!)
➢ distribuzione dell’enfisema polmonare:
omogeneo o disomogeneo (di solito più ai lobi
sup) 187
• scintigrafia polmonare perfusionale: perdita di
perfusione con ritenzione di gas
• test funzionali:
§ spirometria globale pletismografica
➢ FEV1 < 40% del predetto
➢ TLC > 120% del predetto
➢ RV > 150% del predetto
➢ DLCO > 20% del predetto
§ Ega arterioso
➢ pO2 > 60 mmHg
➢ pCO2 < 55 mmHg
§ test del cammino di 6 min (capacità di esercizio
massimale): limite inferiore per l’eleggibilità
chirurgica 150 m

LVRS
Il paziente deve avere una funzione respiratoria ridotta ma non così tanto da aumentare la probabilità di
morte nel postoperatorio.

La LVRS è un intervento che fa da ponte verso il trapianto, il quale si correla a tutta una serie di
problematiche inerenti alla lista d’attesa e disponibilità degli organi.

Si ottiene:
1. guadagno in termini di volume per il polmone sano - riespansione degli alveoli adiacenti
2. ripristino di una corretta forma della cupola diaframmatica à movimenti più efficaci à riduzione
della resistenza delle vie aeree e diminuzione del lavoro respiratorio, elevatissimo in questi pz.
3. Emodinamicamente - riduzione della pressione intratoracica, con conseguente aumento del
ritorno venoso e riduzione della resistenza vascolare, migliorando l’output cardiaco destro

Candidato ideale a LVRS:


❖ enfisema disomogeneo, con parenchima adiacente funzionante (verifica mediante scintigrafia)
❖ ostruzione polmonare severa, senza componente restrittiva
❖ aumento 150 m percorsi in 6 min al walk test, con qualsiasi
supplementazione di O2
❖ esclusione di patologie CV gravi
❖ aderenza al piano di riabilitazione polmonare preoperatorio (consente
sopravvivenza maggiore nel postoperatorio)

Tecnica:
v Resezione polmonare mediante suturatrici meccaniche con l’intento di resecare
approssimativamente metà o due terzi dei lobi polmonari superiori
v Utilizzo di suturatrici rinforzate di materiale riassorbibile (collagene, polimeri di
carbonio) e non (pericardio bovino, polytetrafluoroethylene)

Ø Approccio chirurgico bilaterale, mediante sternotomia mediana o


videotoracoscopia bilaterale
Ø Approccio monolaterale laddove necessario

188
Nonostante un iniziale entusiasmo, LVRS è ad oggi una tecnica molto dibattuta e sono stati condotti molti
trial allo scopo di dimostrarne l’efficacia.

Nel 2003, il NETT (National Emphysema Treatment Trial) è stato il primo studio randomizzato prospettico
che ha fornito informazioni più accurate riguardo la gestione preoperatoria, la tecnica chirurgica, morbidità
e mortalità postoperatorie.

Il primo risultato clinico fu di identificare un sottogruppo ad alto rischio di morbilità e mortalità peri
operatoria, che mostrava FEV1 <20% del predetto assocciata a:
- DLCO <20% del predetto
- enfisema omogeneamente distribuito

Da maggio 2001 questi pazienti vennero esclusi dallo studio.

LVRS dovrebbe essere considerata per tutti i pazienti con enfisema polmonare terminale predominante ai
lobi superiori e rimane uno dei pochi interventi in grado di migliorarne la sopravvivenza.

L’evoluzione tecnologica ha fatto sì che si sia sviluppata un’altra strategia di riduzione del volume
polmonare, di natura non chirurgica.
Si ricorre all’esclusione di un lobo, tappandolo: analogamente a quanto avviene per i Ca bronchiali,
s’impedisce il passaggio d’aria in quel segmento rendendo il lobo atelettasico.
Tappando un lobo à atelettasia corrispondente à effetto di riduzione del volume (es. il lobo inferiore
buono avrebbe più spazio, il diaframma potrebbe risollevarsi senza dover operare il pz).

RIDUZIONE DI VOLUME BRONCOSCOPICA


L’inserimento broncoscopico di valvole endobronchiali
monodirezionali impedisce l’influsso di aria nelle zone
enfisematose, consentendone l’efflusso.

È una strategia non operativa attuabile nei soggetti non


candidabili a chirurgia.
Non esiste una valvola che chiuda interamente un lobo, la
chiusura procede segmento dopo segmento.

Una volta impiantata la valvola, l’effetto di atelettasia è


rapido, nell’arco di poche ore/giorni.
Svantaggio:

1. infezioni à tappando un bronco segmentario,


tutto ciò che sta a valle si può infettare
2. pneumotorace, se tappo troppo i segmenti. Il meccanismo FP è sconosciuto, non bisogna chiudere
troppi segmenti in una sola volta
3. insuccesso per via di sistemi di ventilazione collaterali presenti nelle scissure che mettono in
comunicazione i lobi (pori di Kohn)

189
DOMANDE (DA ALTRE LEZIONI)
- Domanda su pneumotorace: le bolle subpleuriche piccole sono presenti solo nel PTX spontaneo
mentre le bolle > 2cm le posso trovare sia nel secondario che nello spontaneo?
Sì, la distinzione è alla base di una classificazione che ti dice che quando fai la chirurgia nel PTX
primitivo spontaneo puoi non trovare nulla, solo delle briglie aderenziali, delle blebs < 2cm o delle
blebs > 2 cm. In realtà, questo valore è abbastanza didattico, serve sia per la classificazione che per
la rimozione delle stesse durante l’intervento.
Non tutti gli enfisemi si manifestano con le bolle e non tutte le bolle sono enfisematose.
Per parlare di bullectomia, bisogna avere la bolla, struttura all’interno della quale non ho
parenchima. NB: dentro la bolla non c’è parenchima.

- Nel sistema a tre bottiglie perché l’aspirazione è data dalla differenza di livello tra la valvola ad
acqua e la camera di aspirazione? Perché il terzo bottiglione serve proprio per fissare a quanto
aspira il sistema. Se tu apri il sistema a muro, più tu apri più aspira à sistema potentissimo che va
regolato. Qual è il ruolo del terzo bottiglione, quindi? Più si apre la valvola a muro, più aumenta il
gorgoglio nel terzo bottiglione ma l’aspirazione non cambia perché se apro troppo lui recupera aria
dall’esterno. Abbassa quell’aspirazione che altrimenti sarebbe troppo alta recuperando aria
dall’esterno. È una sorta di equilibratore.

190
19/01/2021

Prof.Leo

Sbobinatrice: Silvia Lauria

Revisore: Daniele Bellotti

PATOLOGIE DELLA PARETE TORACICA


Anatomia
Lo scheletro osseo è costituito da 12 coste, di cui le prime 7 sono coste vere, dotate di cartilagini costali
proprie che vanno a collegarsi direttamente con lo sterno, e le altre 5 sono false in quanto asternali, vale a
dire distanti dallo sterno, che si articolano con questo tramite una parte cartilaginea più estesa.
Posteriormente ci sono le vertebre ed anteriormente, appunto, lo sterno.

I muscoli del torace vengono essere distinti in:

a. Muscoli estrinseci. Sono i muscoli spinoappendicolari, spinocostali e toracoappendicolari, gruppo


formato dal muscolo grande pettorale, piccolo pettorale, succlavio e dentato anteriore. Tra questi si
conta anche il diaframma;
b. Muscoli intrinseci. Sono i muscoli elevatori delle coste, intercostali, sottocostali e trasverso del
torace. Tra costa e costa, il muscolo intercostale si costituisce di 3 “sottomuscoli”, che si dispongono
in maniera perpendicolare l’uno con l’altro, così da garantire una buona escursione e soprattutto un
buon ritorno con gli atti respiratori.

La vascolarizzazione arteriosa è sostenuta dai rami dell’arteria succlavia, in particolare dall’arteria toracica
interna (detta anche mammaria interna), ascellare (con la sua arteria toracica suprema, laterale e
sottoscapolare) e dall’aorta toracica, con tutti i rami intercostali.

Il sangue refluo delle pareti del torace confluisce invece nella vena azigos. I rami affluenti di questa vena
vengono distinti in:

a. Rami parietali. Comprendono le vene intercostali, l’intercostale suprema destra, emiazigos e


emiazigos accessoria;
b. Rami viscerali. Contano le vene bronchiali posteriori, esofagee, mediastiniche e le freniche superiori.

191
Patologie
• Deformità congenite di parete
Patologie abbastanza rare, che riguardano strutture scheletriche e
muscolari.
Ø Pectus excavatum
Depressione posteriore dello sterno e delle cartilagini costali
adiacenti, in cui manubrio sternale e prime due cartilagini
costali risultano di normale morfologia, mentre il corpo dello
sterno e le cartilagini costali corrispondenti appaiono
deformi/depressi.

Può essere simmetrico o asimmetrico, a seconda della


rotazione sull’asse longitudinale del corpo sternale:

v Forma simmetrica. Lo sterno sta sulla linea mediana del torace, che risulta
simmetrico tra le sue due parti, con il corpo che tende a rientrare verso i visceri;
v Forma asimmetrica. Si ha una depressione del corpo sternale ed una conseguente
un’inclinazione sull’asse longitudinale dello sterno verso uno dei due lati, destro o
sinistro che sia. Associata a questa deformazione si può, nel 25% dei casi, avere una
scoliosi, in quanto, rispetto ad un torace normale ad imbuto classico, la presenza
della depressione, spingendo verso l’interno, fa sì che la colonna dorsale, per
fenomeni di schiacciamento, assuma atteggiamento scoliotico con eventuali lordosi
dorsali associate.

Epidemiologia
Non è un difetto così raro, considerando che ha una frequenza di 1/400 nati vivi. È congenito
nell’85% dei casi ed in questa circostanza ha tendenza a peggiorare ed accentuarsi in
adolescenza.
È più frequente nel sesso maschile, con un rapporto M/F di 5:1. Si riscontra un’anamnesi
familiare positiva nel 15-40% dei casi, per cui è corretto pensare che esiste una forma di
ereditarietà.
Associazione con altre malattie
Lo si può trovare in associato ad altre sindromi genetiche, come la sindrome di Marfan, di
Ehlers-Danlos ed alcune miopatie. Alla base di questo ci sono difetti del tessuto connettivo e
muscolo-scheletrico, con conseguente possibile sviluppo di difetti di parete.
Eziopatogenesi
L’eziopatogenesi non è del tutto chiara. L’ipotesi più accreditata è che ci sia una crescita
ipertrofica delle cartilagini costali.
Può capire che il pectus non è così evidente grazie ad esercizio fisico costante, ginnastica
posturale e potenziamento della muscolatura, che possono migliorarne l’aspetto (in questi
casi è necessario effettuare una TC per vederne effettivamente l’aspetto).

192
Gravità
Viene definita tramite l’indice di Haller, il
quale si ottiene facendo il rapporto tra il
diametro trasversale interno della gabbia
toracica e la distanza che separa il rachide
dallo sterno nel punto di massima
depressione. In un torace normale il valore è
di 2,5: la sua crescita è direttamente
proporzionale all’ampiezza della
depressione e quindi alle severità del
pectus.
Clinica
Nella maggior parte dei casi, i pazienti sono asintomatici o paucisintomatici, con riferimento
di algie toraciche precordiali sotto sforzo, episodi di cardiopalmo o in casi ben più rari,
quando il pectus è asimmetrico verso sinistra, aritmie atriali.
Nei pazienti sintomatici, si riscontra una ridotta tolleranza allo sforzo. Solitamente si tratta di
forme molto più gravi, che possono determinare compressione viscerale in forma di marcata
dislocazione e compressione di polmone e cuore, in particolare del ventricolo destro. Si
associa, nel 15% dei casi, prolasso mitralico, soffio sistolico in sede parasternale superiore
sinistra, alterazioni all’ECG (asse deviato) ed all’ecocardiogramma (compressioni sul muscolo
cardiaco), indicative di una dislocazione/rotazione cardiaca.
Le principali alterazioni fisiopatologiche cardiovascolari sono:
§ Riduzione del volume sistolico;
§ Riduzione della gittata cardiaca, in quanto il cuore è molto compresso,
determinando una ridotta escursionedei movimenti cardiaci e quindi anche una
riduzione della frazione di eiezione;

§ Riduzione del volume telediastolico e telesistolico;


§ Problemi di frequenza cardiaca;

§ Alterazioni del test da sforzo cardio-polmonare (consumo massimo di O2);

§ Problemi di Oxygen pulse (VO2 /FC).

Le principali alterazioni fisiopatologiche respiratorie, per compressione sul parenchima


polmonare:

§ Alterazione dei volumi polmonari statici (VC, FRC, RV, TLC) e dinamici (FVC, FEV1);
§ Alterazioni della capacità ventilatoria (MVV);
§ Riduzione della capacità di diffusione del polmone per il monossido di carbonio;

§ Test da sforzo cardio-polmonare che rivela alterazioni nel consumo massimo di O2.

Diagnosi

1. Esame obiettivo

La diagnosi di pectus è prettamente clinica, derivante dall’osservazione del difetto


del pz.

2. TC TORACE

Anche senza MdC, è volto alla valutazione della simmetria o asimmetria del difetto

193
nonché la compressione degli organi interni.

3. Spirometria

È volta ad uno studio funzionale e ad una conferma funzionale della sintomatologia


riferita dal pz.

Trattamento

a. Terapia chirurgica

L’indicazione chirurgica è di tipo funzionale, vale a dire nei rari casi in cui c’è
sintomatologia correlata ad un difetto molto grave, o, più frequentemente, di tipo
puramente estetico e psicologico. La correzione avviene generalmente in età
pediatrica (3-5 anni) fino all’adolescenza, ma ciò non toglie che si possa fare una
correzione in età più tardiva.

Tecniche

- Tecnica sec. Ravitch

Consiste nel fare un’incisione perpendicolare allo sterno, leggermente curvata


a sorriso rovesciato, in cui si vanno a dissezionare i muscoli pettorali che hanno
la loro inserzione sul corpo dello sterno. Si arriva quindi sul piano costale, si
puliscono molto bene le coste e a questo punto si resecano le cartilagini costali,
tendenzialmente dalla III (a livello della quali ci si sposta dal manubrio al corpo)
alla VI, talvolta VII costa, in modo da liberare completamente il corpo sternale.
Si agisce quindi sullo sterno, andando ad asportare un incudine di osso, senza
tagliarlo completamente, ma arrivando quasi al margine viscerale di esso.
Asportato il triangolino, si porta in alto il corpo sternale, cercando di dargli una
direzione continua con il manubrio, e si inserisce una rete di Marlex, talvolta di
Goretex, che si fissa ai monconi costali che si sono lasciati precedentemente, in
modo che sia ben tirata e distesa. Lo scopo della rete è quello di sostenere il
corpo sternale, perché il pezzo cui rimane attaccato lo sterno è molto fragile,
quindi è necessario dare un elemento di supporto. Si richiude per strati.

Rimane una cicatrice relativamente piccola, esito di una sutura eseguita con
punti intradermici.

- Tecnica sec. Nuss

Prevede l’inserzione retrosternale di una barra in titanio, modellata sul torace


del paziente, per un periodo sufficiente di tempo da dare modo alla parte
scheletrica e muscolare di adattarsi e di mantenere quindi la forma.
Tendenzialmente, prima si fa l’intervento, meno bisogna lasciare la barra e più
l’età è avanzata, più c’è il rischio che un minor tempo di permanenza della barra
comporti una recidiva nel paziente.

L’intervento si fa in anestesia locale a paziente intubato e supino. Per prima


cosa, si valuta il sito di inserzione della barra, poi si fanno due incisioni ai lati del
torace ed un piccolo accesso più in alto, dove si inserisce una piccola ottica, la
quale permette di vedere dove avviene il posizionamento della barra. In seguito
all’incisione, si scollano i tessuti e si inserisce un dissettore che crea la strada per
far passare la barra da un emitorace all’altro, stando rasi alla parete toracica. Si
esce dall’altra parte. La barra è collegata al dissettore tramite un filo, per cui la
si porta nel torace e infine con un particolare strumento la si ribalta, in modo da

194
permettere allo sterno di risalire appoggiandosi ad essa. A questo punto si fissa
la barra a due placchette, in corrispondenza delle incisioni eseguite, in modo da
mantenerla in sede. Si richiude quindi la parete toracica. Immediatamente dopo
l’intervento si ottiene un ottimo risultato.

b. Terapia conservativa

Prevede l’applicazione sul torace di


dispositivi vacuum bell, ovvero delle
campane create su misura del
paziente che creano un vuoto e che,
se applicate giornalmente per un
sufficiente numero di ore, nel tempo
permettono allo sterno di innalzarsi,
dando a distanza di tempo degli
ottimi risultati. Si tratta di un
trattamento che deve essere iniziato in giovane età, quando l’ossificazione non è
ancora completa.

Ø Pectus carinatum
È una protrusione anteriore dello sterno.
Epidemiologia
Rappresenta <20% di tutte le deformità
congenite, con un rapporto M/F di 4:1.
L’anamnesi familiare è positiva nel 26% dei
casi. Si osserva un certo grado di scoliosi in
circa il 12% dei casi e, a differenza del pectus
excavatum, l’età media di comparsa quella
pediatrica tardiva (11-15 anni).
Eziopatogenesi
L’ipotesi eziopatogenetica vede alla base
un’ipertrofia delle cartilagini costali, che spingono in avanti tutto o parte dello sterno, anche se
non ci sono certezze a riguardo.
Forme
Se ne distinguono 4 varietà:
v Condrogladiolare. Protrusione anteriore del corpo dello sterno, con concavità delle
cartilagini costali inferiori. Esiste la variante simmetrica e quella asimmetrica, con il corpo
sternale protrude da un lato piuttosto che dall’altro);
v Condromanubriale. Protrusione anteriore del manubrio sternale e della II e III cartilagine
costale, con associata depressione relativa del corpo sternale. In realtà, il segmento che
protrude maggiormente è il manubrio, mentre il corpo è quasi nella sua posizione
fisiologica. Cambiando l’angolo, tuttavua, cambia anche tutta la forma del torace;
v Mista. Con coesistenza di pectus carinatum ed excavatum.
Clinica
Sono assenti alterazioni fisiopatologiche cardiorespiratorie, in quanto la gabbia toracica ha
dimensioni aumentate e gli organi viscerali non vengono compressi.
Diagnosi
1. Esame obiettivo
2. TC TORACE

195
Si effettua per per valutare la simmetria del pectus e determinare la variante presente,
perché spesso i difetti possono essere misti o comunque non così accentuati.
Trattamento
La correzione del difetto può essere conservativa o chirurgica ed è mossa da un motivo
unicamente estetico.
a. Trattamento conservativo
Prevede l’utilizzo di corsetti creati appositamente per il paziente secondo le sue necessità.
Vanno impiegati per alcuni anni, al termine dei quali si ottiene un risultato soddisfacente.
b. Trattamento chirurgico
Se il paziente esprime una preferenza oppure si ha un difetto importante, si ricorre
all’intervento chirurgico.
Tecniche
Una prima tecnica prevede l’impiego di una barra che entra tra le coste, viene fatta passare
sopra lo sterno e poi ripassata tra le coste controlaterali, quindi fissata lateralmente, in
modo da spostare in avanti anche le cartilagini costali e riassestare la forma e la stabilità del
torace. La barra viene lasciata per qualche anno e poi rimossa.
Un’altra tecnica prevede un’incisione perpendicolare allo sterno, con resecazione delle
cartilagini costali e spinta verso l’interno dello sterno, mettendo una rete per dare solidità
alla gabbia toracica, e fissandosi sulle cartilagini costali che sono state lasciate.
N.B. Nell’excavatum così come nel carinatum, la tecnica chirurgica con impiego della
barra è preferibile nei casi di difetto simmetrico.
Nel post-intervento non ci sono grosse limitazioni, se non l’evitare sport da contatto o
comunque condizioni che possono dare traumi al torace (per i primi 2-3 anni), perché il
materiale protesico potrebbe essere dislocato.
Ø Sindrome di Poland

Epidemiologia

È una patologia più rara rispetto alle precedenti descritte,


con una frequenza di 1/30.000 nati.

Eziopatologia e clinica

Prevede l’assenza congenita dei muscoli pettorali, grande e


piccolo, con associata assenza degli archi costali anteriori
dalla II alla V costa. Più frequentemente la sindrome interessa l’emitorace destro e pertanto
un’assenza di queste strutture porta ad una depressione asimmetrica degli emitoraci. Si
associano inoltre altre malformazioni, che colpiscono per esempio le ghiandole mammarie
(ipoplasia, amastia, atelia), ma anche le dita, dando sindattilia e brachidattilia. Alla base di
queste manifestazioni c’è un’alterazione della fase di sviluppo con assenza dei gettoni che
concorrono alla formazione dell’arto superiore e/o della muscolatura della parete. La
riduzione dell’emitorace è dovuta principalmente al ridotto numero di coste.

Esiste una forma semplice ed una complessa, come si ritrova nella tabella sottostante:

196
Diagnosi
1. Esame obiettivo
2. TC TORACE
È volta alla conferma dell’assenza del V, VI, VII ed VIII arco costale.
3. RM TORACE
Permette di valutare meglio i tessuti molli, quindi rende evidente la mancanza dei
muscoli piccolo e grande pettorale.
4. Spirometria
Dà maggiori informazioni grazie allo studio funzionale.
Trattamento
L’indicazione chirurgica è funzionale se queste malformazioni compromettono la fisiologia
cardiovascolare/polmonare ed è anche estetico-psicologica. La chirurgia prevede la
ricostruzione della parete tramite lembi muscolocutanei trasposti a ricoprire il difetto e/o
protesi sintetiche (nel caso di mancanza delle coste), in modo tale da restituire una stabilità
della stessa.

Ø Difetti sternali

Nei difetti precedenti, lo sterno mantiene una sua integrità, ma si ritrova malposizionato. Nei
difetti sternali propriamente detti, invece, si descrivono delle alterazioni proprie dell’osso
sternale. Generalmente alla base di queste condizioni si ha una mancata fusione anteriori degli
abbozzi sternali durante la vita
embrionale. Ne distinguiamo due
tipologie:

a. Sterno bifido (Cleft


sternum). Lo sterno è separato,
mentre il cuore è nella sua sede
ricoperto da tessuti e
tegumenti normali.
Nell’immagine a superiore a dx è possibile osservare i 4 tipi di sterno bifido, ossia il
superiore, subtotale, totale ed inferiore;
b. Ectopia cordis. Si presenta in
forma toracica (65%), toraco-
addominale (20%), cervicale (5%)
ed addominale (10%). Il cuore
protrude anteriormente, al di fuori
della gabbia toracica ed è privo dei
normali tessuti di rivestimento.
Questa condizione rientra nella
cosiddetta pentalogia Cantrell, che comprende l’ectopia cordis toraco-addominale, il difetto

197
sternale inferiore, l’ernia diaframmatica anteriore, l’onfalocele (difetto della linea alba sovra-
ombelicale) ed anomalie di pericardio e cuore.
Epidemiologia
Ha frequenza è dello 0,079/10.000 nascite.

Associazione con altre condizioni

Si associano anomalie cardiache nell’80% dei casi.

Diagnosi

La diagnosi è prenatale ecografica.

Prognosi

La prognosi è infausta perché la maggior parte degli affetti nasce morto oppure muore
precocemente, nei primi giorni o settimane di vita, a causa delle anomalie associate.

Trattamento

Il trattamento prevede la riduzione dei visceri erniati, correggere le anomalie associate e


ricoprire il difetto parietale con protesi in silicone.

• Lesioni flogistiche
Le lesioni flogistiche si classificano in primitive/spontanee, dovute tipicamente ad uno stato di
immunocompromissione del paziente, ed in secondarie, generalmente conseguenti a stati morbosi
già presenti o ad interventi chirurgici che hanno avuto la parete toracica come via di accesso per il
trattamento di infezione/infiammazioni. L’interessamento infiammatorio è a carico dei tessuti molli
e delle strutture cartilaginee ed ossee.

Ø Empiema necessitatis. Infezione di tipo suppurativo delle parti molli superficiali della parete
toracica, secondaria ad empiema pleurico non trattato oppure trattato in maniera
inadeguata in soggetti immunocompromessi o predisposti. Si creano delle raccolte
sottocutanee, che se non vengono trattate possono creare delle fistole cutanee e fuoriuscire
all’esterno;
Ø Malattia di Mondor. Tromboflebite localizzata a carico delle vene superficiali della parete
toracica antero-laterale. Più frequente nelle donne. Si manifesta come un rigonfiamento
sottocutaneo localizzato. Non richiede trattamento in quanto guarisce spontaneamente;
Ø Sindrome di Tietze. Tumefazione dolente e dolorabile di tipo non suppurativo, a carico di
una cartilagine costale, senza alterazioni istologicamente evidenti. L’articolazione costo-
condrale interessata, di solito la II, appare tumefatta e dolente. La TC del torace è utile per
escludere la presenza di una massa parietale o mediastinica che coinvolge la parete e che può
dare compressione/infiltrazione. La terapia è sintomatica e prevede l’impiego di
antinfiammatori non steroidei ad alte dosi, con regressione in 6-8 settimane;
Ø Constocondrite. Processo infettivo ad andamento cronico a carico delle cartilagini dovuto
alla scarsa vascolarizzazione delle stesse. Le cause più frequenti sono quelle post-chirurgiche
(sternotomia, toracotomia, drenaggio intercostale), seguite da trauma toracico e dagli stati di
immunodepressione. Coinvolge generalmente dalla V alla IX cartilagine costale (fra loro
contigue o fuse). La terapia consiste nell’exeresi radicale oppure in un approccio conservativo,
che però dà un aumentato rischio di cronicizzazione, per cui si preferisce il primo intervento;
Ø Osteomielite sternale. Processo infettivo a carico dello sterno, primitivo (TB,
tossicodipendenza da eroina) o secondario (post-chirurgico da sternotomia mediana –

198
incidenza dell’1,5% e mortalità circa del 10% per sviluppo di mediastinite). I fattori
predisponenti la forma post-chirurgica sono età avanzata, obesità, diabete, bassa gittata
cardiaca, bypass mammario bilaterale e re-interventi per emorragia. Il quadro clinico prevede
uno sterno instabile visibile soprattutto con atti di tosse o atti respiratori profondi (le due metà
dello sterno tendono a separarsi e a muoversi), secrezione siero- ematica e tragitto fistoloso
cronico che può dare luogo ad una mediastinite (complicanza temibile). La terapia è chirurgica,
con toeletta del sito e ricostruttiva della parte asportata (omento o trasposizione grande
pettorale o retto addominale) associata a terapia medica specifica (antibiotico);
Ø Osteomielite costale. Processo infettivo poco frequente a carico di una costa, per lo più
secondario al drenaggio chirurgico di un empiema. A livello clinico si osserva una tumefazione
dolente e un tragitto fistoloso cronico. La terapia prevede l’exeresi chirurgica;
Ø Osteoradionecrosi. Rara, è una lesione ulcerosa di tipo necrotico-suppurativo della parete
toracica anteriore, per lo più secondaria a terapia radiante per carcinoma mammario. La causa
eziopatogenetica è un’arterite obliterante post-attinica a carattere evolutivo. Entra in diagnosi
differenziale con un’eventuale recidiva neoplastica. Il trattamento è chirurgico: il chirurgo
plastico esegue una toracectomia (asportazione di parti di sterno e parti di cartilagini costali
interessate dalla necrosi + toeletta), segue la plastica omentale (l’omento viene autonomizzato
dalla grande curvatura gastrica dai vasi gastroepiploici di dx o sn a seconda dell’emitorace
interessato) e si ricopre la perdita di sostanza con l’omento eseguendo un innesto cutaneo
parziale utilizzando lo skin graft mesher, per aumentarne la superficie.

• Sindrome dello stretto toracico superiore


Insieme di segni e sintomi derivanti da una anomala compressione esercitata sul plesso brachiale e
sui vasi succlavi a livello dello stretto toracico superiore. In corrispondenza dell’apertura superiore
del torace, i vasi succlavi e il plesso brachiale attraversano il canale cervico- ascellare per giungere
all’arto superiore.
Anatomia

La prima costa divide il canale cervico-ascellare in due parti:

a. Parte prossimale. Data dallo spazio


costo-clavicolare e triangolo degli scaleni.
Il muscolo scaleno anteriore si inserisce
sull’omonimo tubercolo della prima costa
e separa lo spazio costo-clavicolare, che
contiene la vena succlavia, dal triangolo
degli scaleni, delimitato dai muscoli
scaleni anteriore e medio e dalla prima
costa ed è attraversato dall’arteria
succlavia e dal plesso brachiale. È la zona
più critica per la compressione neuro-
vascolare ed è delimitata dalle seguenti
strutture anatomiche: clavicola e muscolo succlavio, prima costa, sterno e legamento costo-
clavicolare, muscolo scaleno medio e nervo toracico lungo.

b. Parte distale. Costituita dal cavo ascellare.

Eziopatologia
Alla base della condizione c’è un’alterazione anatomica, alla quale possono contribuire fattori
compressivi congeniti, nel 30% dei casi (costa cervicale, anomalie congenite della I costa,

199
anomalie congenite della clavicola), fattori compressivi traumatici (frattura di clavicola che
schiaccia le strutture posteriori, lussazione testa dell’omero, traumi da schiacciamento della
spalla, lesioni del rachide cervicale) e fattori compressivi aterosclerotici intrinseci ai vasi
succlavi.
Clinica
La sindrome dello stretto toracico superiore si può manifestare con tre sindromi cliniche:

v Nervosa (85-90%): compressione/irritazione delle radici nervose del plesso brachiale (C5-T1)
nel triangolo degli scaleni. Segni e sintomi più frequenti di questa forma sono algie e
parestesie (95%) al territorio che il nervo compresso innerva (collo, spalla, bracco, mano –
territorio del nervo ulnare C8-T1) ed ipostenia dell’arto superiore corrispondente (10%). In
alcuni casi le algie e le parestesie possono avere sede precordiale atipica, definendo il quadro
di pseudo-angina;
v Venosa (10-15%): compressione della vena succlavia nello spazio costo-clavicolare; si
manifesta con la trombosi venosa da sforzo. Segni e sintomi più comuni di questa forma sono
ipotermia, ipostenia, facile affaticabilità dell’arto superiore o della mano (claudicatio),
fenomeno di Raynaud (sensazione di freddo e pallore delle dita della mano, seguiti dacianosi
e arrossamento), compressione venosa, con edema, distensione, pallore e cianosi, e
trombosi della vena succlavia, detta anche trombosi da sforzo oppure sindrome di Paget-
Schroetter;
v Arteriosa (2-5%): compressione dell’arteria succlavia dovuta, nella maggior parte dei casi ad
anomalie della prima costa oppure alla presenza di una costa cervicale accessoria; anche
questa si realizza a livello del triangolo degli scaleni.
Diagnosi
1. Anamnesi
2. Esame clinico
Esistono dei test che possono evocare il
disturbo, come il test di Adson (a dx), che
prevede il monitoraggio del posto del pz mentre
egli gira il capo verso il lato esaminato ed è
invitato a respirare profondamente. In caso di
problematiche dello stretto toracico, si presenta
difficoltà nella percezione del polso radiale.
Oltre a questo, esiste anche il test costo-
clavicolare, il test di iperabduzione ed il test
della claudicatio del braccio, ma sono meno
utilizzati.
3. Elettromiografia
Permette di misurare la velocità di conduzione del nervo ulnare ed i potenziali evocati.
4. TC/RM
5. Angiografia
Per valutazioni del versante vascolare.

DD

In caso di sintomi di tipo neurologico, la DD viene posta con patologie che interessano il rachide
cervicale (à frattura del disco intervertebrale, affezioni di tipo degenerativo della colonnacervicale,
osteoartrite, neoplasie midollari), il plesso brachiale (à neoplasia polmonare del solco superiore,
Pancoast che infiltra per contiguità le strutture extra-polmonari, traumi, che danno paralisi
posturale) ed i nervi periferici (neuropatia da intrappolamento del tunnel carpale, nervo ulnare,
nervo radiale e nervo sovra-scapolare).

200
In caso di sintomi di tipo vascolare, invece, la DD è posta, in caso di coinvolgimento arterioso con
aterosclerosi, aneurismi (stessa riduzione dell’onda sfigmica del polso radiale), embolie
(problematiche di ristagno ed edema), malattia di Raynaud e tromboangioite obliterante, e con la
tromboflebite venosa in caso di coinvolgimento venoso, nonché con la Complex regional pain
syndrome, una sindrome morbosa cronica, spesso di natura traumatica, caratterizzata da dolore
urente, iperestesia e marcate variazioni di colore e temperatura cutanea, iperidrosi e succulenza
dell’arto coinvolto.
Terapia

a. Terapia medica associata alla fisioterapia


Si prevedono esercizi per correggere la posturae migliorare la mobilità del cingolo scapolare
e per rilassare/decontrarre i muscoli del collo.
b. Terapia chirurgico
Viene impiegato soprattutto nelle forme vascolari in cui si rende necessaria la resezione
della prima costa o della costa cervicale.

• Neoplasie della
parete toracica
Le neoplasie della parete toracica
non sono patologie frequenti, ma
bisogna conoscerle perché vedono
coinvolte una serie di problematiche
diagnostiche e della presa in carico.

a. Neoplasie primitive della parete toracica

Sono i tumori che vedono la parete come punto di partenza del tumore, esistono tutta una
serie di patologie benigne e di corrispettive lesioni maligne. La problematica specifica della
parete toracica è che dal punto di vista radiologico può essere estremamente difficile
differenziare, ad esempio, un condroma da un condrosarcoma di basso grado. I gesti
diagnostici da eseguire devono essere basati sul sospetto diagnostico specifico, con
conseguenti comportamenti necessari a seconda della tipologia tumorale considerata. Già al
momento di un’eventuale biopsia bisogna ipotizzare la possibile resezione successiva, che
deve essere che sufficientemente ampia da comprendere tutte le zone che sono state
attraversate nel gesto chirurgico a scopo bioptico. Altra problematica propria di queste
patologie è la scelta tra l’esecuzione di una biopsia escissionale, che prevede l’asportazione
radicale della lesione tale da poterla considerare trattata, o la biopsia incisionale, con
piccola via di ascesso che permette l’entrata nel tumore e la biopsia a scopo puramente
diagnostico. La scelta tra le due dipende anche dalla taglia della lesione: un conto è la
resezione di un frammento di costa con spazio intercostale sovra- e sottostante consono,
un conto è una lesione di 20 cm, la cui exeresi radicale prevede un’alterazione anche di più
di metà torace, con successiva ricostruzione e copertura della ricostruzione della parete,
tenendo presente tutte le problematiche annesse.

è Problematiche maggiori dei tumori primitivi della parete toracica sono la difficoltà di
un orientamento diagnostico preciso tramite imaging e la scelta di una buona
strategia diagnostica.

b. Neoplasie secondarie della parete toracica

201
Sono quelle patologie che infiltrano la parete toracica, ma che hanno origine da strutture
diverse. Ad esempio, un tumore del polmone che per contiguità infiltra la parete del torace per
estensione locale, oppure un tumore mammario che crescendo infiltra le coste sottostanti per
contiguità, o ancora un carcinoma timico, localizzato nella loggia mediastinica anteriore, che
infiltra il tavolato sternale, sempre per contiguità. In questa categoria sono comprese anche le
metastasi ossee di malattie nate in altra sede. Il significato biologico della localizzazione ossea è
diverso rispetto all’infiltrazione per contiguità, in quanto la metastasi configura uno stadio IV di
malattia, per cui difficilmente si va adintervenire chirurgicamente su queste lesioni, se non in
casi eccezionali; mentre nel caso di un’estensione ossea per contiguità l’obiettivo è la resezione
della malattia in blocco con la parte di parete toracica infiltrata, perché non bisogna rompere la
continuità tra il tumore e la parete. Il concetto di resezione oncologica prevede che in una
manovra di dissezione non si entri nel tumore, perché comporta il rischio di insemenzamento
del campo operatorio per la rottura della capsula tumorale. Per esempio il tumore a livello
dell’apice polmonare (tumore di Pancoast) che infiltra la parete toracica in corrispondenza della
parte posteriore della prima costa e che può infiltrare, di conseguenza, il plesso brachiale (à
dolore all’arto superiore, miosi, ptosi, enoftalmo, ipoidrosi), prevede la resezione del lobo
superiore del polmone in blocco con la prima costa, con estensione della resezione anche ad un
numero variabile di coste sottostanti alla prima, in base all’estensione tumorale.

Clinica
I tumori della parete toracica, benigni o maligni, possono manifestarsi tramite una tumefazione
della parete toracica in lento accrescimento, di cui il paziente si rende conto mentre fa la doccia
o quando fa dei movimenti particolari. La tumefazione può essere asintomatica o causare algie
localizzate, originanti dall’infiltrazione o irritazione delle strutture nervose da parte della massa.
In alternativa al dolore, si può avvertire fastidio nell’esecuzione di alcuni movimenti1.
È importante esaminare la massa all’esame obiettivo, al fine di fare una distinzione tra quella
che può essere una lesione delle strutture osteo-cartilaginee e una dei tessuti molli: tramite
questa operazione se ne valuta la mobilità (à lesione dei tessuti molli che non ha infiltrato la
componente ossea) o la fissità (à lesione a partenza dalle strutture osteo-cartilaginee della
parete toracica) rispetto ai piani profondi.
Diagnosi

1. Anamnesi
Si considera da quanto tempo il paziente ha la massa e se ci sono state delle variazioni
dimensionali2.
2. Esame obiettivo
3. Radiologia convenzionale

1
Una lesione mobile e ben capsulata che si localizza in corrispondenza della punta della scapola può essere un
elastofibroma del dorso, che generalmente crescendo può, in seguito al movimento di adduzione del braccio,
scivolare sotto la scapola e risultare mascherato, mentre con l’abduzione sgusciare fuori dalla protezione
scapolare e quindi diventare visibile. In questi casi, non trattandosi di una lesione infiltrativa, non si provea
dolore, ma, essendo una lesione occupante spazio, si avverte fastidio in seguito ai movimenti della spalla.
2
Un rapido accrescimento depone per una lesione che possiede un’alta evolutività (sarcoma). Più la lesione
si ingrandisce e più dal punto di vista biologico sarà complicato trattarla, mentre dal punto di vista chirurgico,
dovendo mantenere dei margini di resezione, l’intervento sarà molto più esteso.

202
Può mostrare le alterazioni osteolitiche delle coste e altri elementi importanti. Da sola tuttavia
non è sufficiente ed inoltre ha tendenza a dei falsi negativi, perché esistono lesioni non visibili
all’esame radiologico standard.
4. TC/RM
In presenza di una lesione visibile della parete toracica i due esami principali sono la RM
(coinvolgimento pareti molli, vasi e rachide) e la TC (studio del parenchima polmonare). Le due
tecniche si integrano in maniera importante e risultano equivalenti nello studio delle ossa. I dati
strumentali possono dunque confermare una lesione a partenza dai tessuti molli piuttosto che
una derivante dalle strutture osteo-cartilaginee.
5. Biopsia

La dimensione rilevata dagli esami ha una grande importanza nel decidere come ottenere la
diagnosi: prelievi con aghi sottili, true cut oppure biopsia chirurgica. La difficoltà specifica è
che può essere complesso, se non si ha materiale a sufficienza, fare la DD tra un tumore
maligno di basso grado e uno benigno e per questo si ricorre spesso alla biopsia chirurgica.
Siccome in corso di biopsia (paziente addormentato) si è nelle condizioni di poter togliere
la lesione, soprattutto nel caso abbia dimensioni tra i 4- 6 cm, si opta per una biopsia
escissionale, ovvero si toglie radicalmente la malattia con un margine di tessuto sano
intorno. In questo modo se la diagnosi è quella di una neoplasia maligna, si può considerare
la resezione sufficiente, mentre se la resezione dovesse essere marginale e quindi si è
intaccato il tumore con i margini di resezione, bisognerà prevedere un secondo intervento
per la resezione oncologicamente radicale della lesione. Tutto questo è specifico del
sospetto di neoplasia primitiva della parete toracica: bisogna porsi il problema di biopsia
incisionale o escissionale.

6. Altri

Una volta che la TC e la RM hanno dato una prima indicazione sulla patologia locoregionale,
laddove in DD si rilevi una patologia maligna della parete toracica, si renderà necessario il
completamento della stadiazione (per rilevare lesioni a distanza) con la PET-TC, la
scintigrafia ossea, prove di funzionalità respiratoria.

Trattamento

Quando si va a toccare la parete toracica, si altera anche la struttura e funzionalità dell’apparato


respiratorio. Si utilizzano dunque gli stessi criteri di operabilità delle lobectomie anche quando si
fanno resezioni della parete toracica.

La problematica della valutazione respiratoria pre-operatoria di questi pazienti è che non ci sono gli
stessi dati che si hanno invece per le resezioni polmonari. La resezione della parete toracica, oltre a
determinare una perdita di sostanza, genera tutta una serie di problematiche ricostruttive della
parete stessa, con eventuale perdita funzionale derivante dalla stessa chirurgia e causata dalla
riduzione del volume dell’emitorace operato per una ricostruzione non eseguita correttamente.

In oncologia, e soprattutto nella presa in carico dei sarcomi, è necessario un approccio


multidisciplinare (oncologi, radioterapisti per la terapia di induzione). Questo è valido anche dal
punto di vista chirurgico, dal momento che si deve fare la ricostruzione della continuità del torace
(ortopedico e neurochirurgo per la fase demolitiva e ricostruttiva; chirurgo plastico per la fase
ricostruttiva delle parti molli).

È fondamentale inoltre la radicalità dell’intervento, da cui dipende la prognosi del paziente.


Ottenere la radicalità non è così semplice, infatti ci sono aree del torace estremamente complesse

203
dal punto di vista anatomico in cui si possono non ottenere i margini di resezione necessari. Per le
lesioni di basso grado sono necessari almeno margini di 2 cm, però quando si opera non si conosce
il grado della neoplasia, per cui si opta per un margine di 4 cm. Un margine di queste dimensioni
davanti e dietro la lesione, una costa sopra e una sotto, comincia a fare un sacrificio volumetrico di
una certa importanza.

Un elemento ulteriore che può rendere complesso il trattamento di queste lesioni è se in precedenza
ci sono già stati dei trattamenti. Esistono osteosarcomi radio-indotti della parete toracica che
insorgono in pazienti che 15-20 anni prima hanno fatto una cobalto-terapia per un altro tumore (ex.
Mammario). Andare a resecare una zona già irradiata rappresenta un problema perché anche se la
lesione dovesse essere esclusivamente ossea, la pelle sopra, irradiata, non potrà essere lasciata in
sede perchè non avrà alcuna capacità di cicatrizzazione e andrà facilmente incontro a necrosi; si
dovrà pertanto rimuovere una parte dei tessuti molli della parete toracica e in seguito ricostruire la
continuità della parete con l’aiuto del chirurgo plastico.

a. Fase di rimozione

La specifica tecnica chirurgica è determinata considerando fattori locali (sede, estensione,


profondità, condizione dei tessuti), fattori generali (riserva funzionale cardiorespiratoria,
comorbidità) e prognosi.

b. Fase di ricostruzione

Tecniche

La ricostruzione può prevedere l’impiego di materiali autologhi (coste, muscolià grande dorsale,
grande pettorale, retto addominale, dentato anteriore, obliquo esterno,trapezio e deltoide, grande
omento ed innesti cutanei à split-thickness skin graft) oppure materiali eterologhi riassorbibili e non.
Di questi, i maggiori sono la rete di Vicryl e simili, la rete di prolene, Marlex, Marlex + metil-
metacrilato, PTFR (Goretex), il pericardio bovino, neo-coste in titanio e gli innesti da cadavere.
Bisogna sempre tenere conto che la protesi è un corpo estraneo ed in quanto tale ha un rischio
infettivo, che può essere ridotto posizionandoal di sopra della protesi tessuto ben vascolarizzato. Una
grossa perdita di sostanza cutaneo può essere ricostruita con un innesto cutaneo, che andrà poi a
riepitelizzare completamente la perdita di sostanza.

N.B. Le reti di Goretex e Marlex hanno lo svantaggio di essere materiali morbidi impiegati
nella ricostruzione della parete
toracica, che ha struttura rigida.
Alla luce di ciò, spesso su una
rete di Marlex si fa colare del
meti-metacrilato, sostanza
inizialmente liquida ma poi,
tramite reazione esotermica,
acquista consistenza dura.

Prognosi

Dipende dal tipo istologico, dal grado di differenziazione e stato evolutivo del tumore, dalla radicalità
dell’intervento effettuato (à una resezione ampia dà prognosi buona, mentre una resezione più palliativa
diminuisce la prognosi) e dalla terapia complementare pre- e post-operatoria.

• Neoplasie a carico dello scheletro

204
L’85% si localizza a carico delle coste (88% maligne), mentre il 15% a livello dello sterno (96% maligne).
Nel complesso, nell’89% dei casi si tratta di lesioni a comportamento maligno, il restante 11% benigno.

Le lesioni benigne più frequenti sono l’osteocondroma e il condroma, mentre le maligne più frequenti
sono il mieloma, il condrosarcoma, il sarcoma di Ewing e l’osteosarcoma.

a. Neoplasie costali benigne


Ø Osteocondroma. È il tumore benigno più frequente (50%), con rapporto M/F di 3:1. La
neoplasia insorge in età infantile e cresce lentamente, in modo progressivo.
Origina abitualmente dalla corticale della diafisi delle ossa lunghe e forma alla periferia
una zona di osso compatto e sclerotico con piccolo un rivestimento cartilagineo, per cui
intorno ad una proliferazione ossea netta ed evidente si osserva uno strato di tessuto
cartilagineo. Solitamente è asintomatico e la comparsa di dolore in una lesione
precedentemente asintomatica ne indica la degenerazione maligna.
La diagnosi strumentale impiega l’RX, che mostra il rivestimento di cartilagine ialina, la TC
che individua le calcificazioni e la RM, che rileva il tessuto cartilagineo iperintenso in T2.
Agli esami strumentali si osserva pertanto un’immagine a componente mista, cartilaginea
e ossea.
Complicanze legate a questo tipo tumorale sono fratture patologiche, deformità ossee,
compressione nervosa e degenerazione maligna.
La terapia è chirurgica, in quanto i tumori insorti in età infantile e a lenta crescita vengono
asportati in età adulta o dopo la pubertà; nelle forme sintomatiche o di volume
importante l’intervento chirurgico è d’obbligo a qualsiasi età.
Ø Condroma/Encondroma. Tumore con uguale incidenza nei due sessi che si manifesta
tipicamente nella I-II decade di vita. La dominanza proliferativa è del tessuto cartilagineo
e la lesione si localizza tipicamente nella parete toracica anteriore, spesso in
corrispondenza dell’articolazione costo-cartilaginea. È difficile fare una DD con la sua
corrispettiva lesione maligna, sia a livello clinico che radiografico, per cui si rende
necessaria la rimozione della massa ed essendo questa generalmente molto piccola, può
essere impiegata la biopsia escissionale. La ragione per cui un’agobiopsia è poco
produttiva è che può portare ad una diagnosi di condroma, ma non può escludere la
diagnosi di condrosarcoma a basso grado.
Per quanto riguarda la terapia, è indicata l’exeresi chirurgica con ampi margini di
resezione.
Ø Displasia fibrosa. Non è una lesione neoplastica, ma una proliferazione di tipo cistico,
probabilmente di origine malformativa. Ha la caratteristica di andare a scompaginare il
contesto delle coste e in particolare di alterare la midollare dell’osso costale, per la
presenza di tessuto fibroso e tessuto osseo immaturo al posto delle trabecole ossee.
Si può presentare come una lesione solitaria oppure si può riscontrare sotto forma di
lesioni multiple nella sindrome di Albright, che associa alterazioni cutanee
(pigmentazione cutanea), endocrine (maturità sessuale precoce nel sesso femminile) e
displasia fibrosa (cisti ossee multiple).
Ø Istiocitosi X. Lesione non neoplastica appartenente a un gruppo di affezioni che
coinvolgono il sistema reticolo-endoteliale e comprendono il granuloma eosinofilo
(limitato allo scheletro), la malattia di Letterer-Siwe (segni/sintomi sistemici) e la malattia
di Hand-Schuller-Christian (segni/sintomi sistemici). Il quadro microscopico prevede un
infiltrato infiammatorio costituito da eosinofili e istiociti.
Colpisce soggetti con meno di 50 anni e la sede elettiva è la teca cranica, con solo il 10-
20% dei casi è a carico delle coste.

205
L’exeresi ha una finalità diagnostico-terapeutica ed è essenziale per fare la DD con
l’osteomielite costale.
b. Neoplasie costali maligne
Ø Mieloma/Plasmocitoma. È tra le neoplasie maligne più frequenti a carico delle coste
(30%), colpisce tipicamente soggetti di sesso maschile nella 5°-7° decade di vita. Più spesso
appare come manifestazione di un mieloma multiplo, oppure è seguito dalla comparsa di
lesioni sistemiche. Esistono delle forme di mieloma localizzate (mieloma solitario) dove
l’unico focolaio di mieloma è a livello costale, la DD è complessa e spesso si deve fare la
biopsia per la conferma diagnostica.
La clinica è caratterizzata da anemia, alterazione del quadro proteico elettroforetico
(85%), ipercalcemia, proteinuria di Bence-Jones (50%) ed algie localizzate.
La diagnosi è strumentale, con un quadro radiografico tipico di una lesione osteolitica, con
assottigliamento della corticale, e possibile frattura patologica associata.
L’exeresi chirurgica è impiegata per la conferma diagnostica. La prognosi prevede una
sopravvivenza a 5 anni è del 38%.
Ø Condrosarcoma. Costituisce circa 1/3 delle lesioni maligne a carica delle coste,
localizzandosi elettivamente in sede anteriore (75%), a livello sternale o sterno-condro-
costale. È più frequente nei maschi, si accresce lentamente potendo raggiungere
dimensioni cospicue.
La diagnosi radiologica prevede una massa plurilobata, plurime calcificazioni, interruzione
corticale, frattura patologica, estensione intra-toracica.
La terapia consiste in un’exeresi chirurgica ampia (DD fra condrosarcoma a basso grado e
condroma). La prognosi vede una sopravvivenza a 10 anni > 50% (recidive locali sono più
frequenti delle metastasi a distanza).
Ø Sarcoma di Ewing/Primitive Neuroectodermal Tumor (pNET)/Tumore di Askin.
Costituisce il 12% delle neoplasie costali maligne. Insorge elettivamente (2/3 dei casi) in
soggetti giovani (< 20 anni). Ha un’incidenza doppia nei maschi. La clinica vede algie locali,
segni e sintomi generali. Precoci e frequenti metastasi polmonari e scheletriche (30-75%).
L’RX mostra una lesione litica e blastica. Si fa generalmente una biopsia incisionale perché
spesso sono lesioni molto grosse.
La terapia è multimodale per le grosse dimensioni della lesione (CT + RT + eventuale
exeresi chirurgica). La prognosi vede una sopravvivenza a 5 anni > 50% se si riesce ad
ottenere un’exeresi radicale; questa è complessa e dipende dal fatto che la malattia
all’esordio fosse o meno localmente trattabile.
Ø Osteosarcoma. Costituisce meno del 10% delle neoplasie costali maligne. Insorge per lo
più in adolescenti e giovani adulti (10-25 anni) o dopo i 40 anni, di sesso maschile.
La clinica prevede un comportamento biologico aggressivo e crescita rapida,
accompagnata da importanti algie localizzate. All’RX si ha una lesione osteolitica a margini
indistinti, infiltrante i tessuti adiacenti.
La terapia è multimodale (CT + exeresi chirurgica). Laddove si riesca ad ottenere
un’exeresi radicale, permane comunque un rischio di recidiva a distanza.
La prognosi vede una sopravvivenza a 5 anni del 20%. I risultati ottenuti dal trattamento
per l’osteosarcoma della parete toracica sono molto meno brillanti dei risultati ottenuti
negli osteosarcomi degli arti.
c. Neoplasie benigne dei tessuti molli
Ø Tumore desmoide. Nel 40% dei casi si localizza a carico della parete toracica o della spalla.
Nonostante sia benigna si può presentare con estensione intra-toracica e con infiltrazione
macro/microscopica delle strutture adiacenti. La diagnosi si effettua con TC con mdc, RM
e FNA. La terapia prevede exeresi chirurgica ampia. Può andare incontro a recidive locali

206
perché spesso i margini di resezione cadono in zone che non sono esenti da malattia ed è
possibile una sua degenerazione maligna (fibromatosi aggressiva, fibrosarcoma a basso
grado di malignità).
Ø Elastofibroma. Lesione benigna rara che origina dal tessuto connettivo e che solitamente
si localizza all’angolo della scapola. Nel 66% dei casi è bilaterale. È una patologia che è
stata spesso associata a lavori manuali ripetitivi. Si tratta di una lesione non capsulata
composta da tessuto fibroso con tralci di collagene. Può essere fortemente adesa a
muscoli o ossa e questo, in prima istanza, può far sospettare una patologia maligna.
La diagnosi si effettua con ecografia, TC e RM. La terapia vede la resezione chirurgica
spesso indicata in presenza di una massa di notevoli dimensioni o quando non è possibile
definirne la natura.
Ø Neurinoma. Neoplasia capsulata che origina dalla guaina nervosa. I neurinomi toracici
originano dalle radici dei nervi spinali e dai nervi intercostali e insorgono tipicamente tra
i 20 e i 50 anni. I tumori di piccole dimensioni sono sferici, fissi e con margini ben definiti;
mentre quelli di più grandi dimensioni sono ovalari o polilobulati. Solitamente sono a lenta
crescita.
La diagnosi vede un’RX solitamente non dirimente per i neurinomi di piccole dimensioni;
la TC basale evidenzia una massa omogenea ben definita con intensità di contrasto pari a
quella del muscolo e dopo somministrazione di mdc l’intensità della massa risulta
leggermente maggiore; RM: l’intensità del segnale del neurinoma è ben evidenziabile in
T1, ma ancora meglio in T2.
La presenza di erosione ossea senza frattura e la lenta crescita indicano la benignità della
lesione. Il dolore intenso che spesso si accompagna all’esecuzione di biopsie trans-
cutanee è un ulteriore segno dell’origine nervosa della massa.
d. Neoplasie maligne dei tessuti molli
Ø Istiocitoma fibroso maligno. Predilige soggetti di sesso maschile di età compresa fra i 50
e i 70 anni. La clinica vede una massa indolente a lenta crescita, lungo i piani fasciali o tra
le fibre muscolari. Può a lungo andare scompaginare la struttura ossea, con conseguente
exeresi di entrambe le componenti all’intervento chirurgico.
La terapia considera exeresi chirurgica ampia + terapia complementare. Sono frequenti le
recidive locali. La sopravvivenza a 5 anni è del 50%.
Ø Rabdomiosarcoma. Predilige soggetti in età pediatrica o giovanile. Ha comportamento
biologico aggressivo, a rapida crescita. Si effettua exeresi chirurgica ampia + RT + poliCT.
La sopravvivenza a 5 anni è del 70%.
Ø Liposarcoma. Colpisce soggetti di età compresa fra i 40 e i 60 anni, per lo più maschi. La
terapia prevede exeresi chirurgica ampia RT e CT scarsamente efficaci. Ha sopravvivenza
a 5 anni del 60%.
Ø Neurofibrosarcoma. Origina dai nervi intercostali, colpisce soggetti di età compresa fra
20 e 50 anni, per lo più maschi (75%), portatori di una sindrome di von Recklinghausen
(50%).
Ø Leiomiosarcoma. Rappresentano meno del 5% dei sarcomi dei tessuti molli superficiali.
Insorgono in età adulta tra i 50 e i 70 anni. Solitamente non dolente.
È stata notata un’associazione tra leiomiosarcoma e l’EBV in bambini o giovani adulti con
AIDS o che hanno subito terapie immunosoppressive a seguito di trapianto d’organo.
Tuttora rimane sconosciuto però il ruolo che l’EBV giova nella patogenesi del
leiomiosarcoma.
La diagnosi prevede l’esecuzione di una TC, che mostra una massa di notevoli dimensioni
che spesso presenta aree di necrosi centrale o cisti. È possibile inoltre vedere una

207
distorsione e una dislocazione dei vasi. Il grado istologico, l’invasione ossea e il
coinvolgimento vasale risultano non essere fattori predittivi significativi.
N.B. Nei sarcomi il rischio di recidiva locale e il rischio di diffusione a distanza sono
estremamente consistenti.

208
Chirurgia Toracica – Prof. Leo, 11/01/2022
Sbobinatore: Mattia Costantino
Revisionatore: Marco Russo

ASCESSO POLMONARE
Introduzione: la lezione verterà sugli ascessi polmonari e contestualmente anche sulle lesioni croniche
infiammatori del polmone perché dal punto di vista dell’evoluzione, le due cose vanno poi a convergere su
una via comune.

Prima di parlare delle lesioni infiammatorie croniche del polmone, è bene iniziare a ragionare sull'accesso
polmonare: l'obiettivo in tutti questi ragionamenti (anche quelli delle altre lezioni ndr) è sempre capire
quando ci possa essere un'indicazione chirurgica. Teoricamente, trattandosi di una patologia infettiva,
indicazioni chirurgiche non ci dovrebbero essere, ma andrebbe affrontata con una terapia medica. Quando
però l’infezione determina una componente di infezione pleurica, analogamente a quanto si è visto nelle
lezioni precedenti in merito agli empiemi, questa non potrà risolversi. Per quello che riguarda l'ascesso
polmonare si tratta di una situazione simile: in linea di massima l'ascesso polmonare non è un'indicazione
chirurgica, però è una lesione che può presentare un'indicazione chirurgica laddove si verifichino alcune
determinate condizioni.

L’ascesso polmonare è l’espressione di


un’infezione con valenza necrotizzante all'interno
del parenchima polmonare, che in qualche modo
distrugge una quota di parenchima creando delle
lesioni che poi si riempiono di liquido
(generalmente purulento). Questo liquido è visibile
agli esami di imaging come la TC, che dimostrerà la
presenza di un parenchima normale nel cui contesto
si trova una lesione cavitata, all'interno della quale
c’è del liquido. Per definizione la lesione è di nuova
insorgenza: si potrebbe ritrovare quasi la stessa
immagine in una bolla di enfisema che si sia
complicata con un'infezione al suo interno, per
esempio (ma non sarebbe un ascesso ndr). La
caratteristica dell'ascesso polmonare è che si
ritrova una lesione escavata nel polmone laddove
prima non c'erano lesioni: questo differenzia
l'ascesso polmonare da tutta quella serie di
patologie complicate, magari anche con infezioni a
carattere purulento, che però insorgono su lesioni già precedentemente esistenti. Oramai queste lesioni
“precedentemente esistenti” sono rare, l’esempio classico era la lesione della tubercolosi pre-trattamento
antibiotico, cioè la caverna tubercolare; è chiaro che si potrebbe avere una vecchia caverna tubercolare sulla
quale va a installarsi un’infezione purulenta, che nel tempo può cronicizzare arrivando a distruggere un lobo
o addirittura un intero polmone, ma questo tipo di lesioni sono molto rare. Le lesioni che spesso si possono
sovrainfettare sono, per esempio, le bolle oppure le aree di ostruzione bronchiale nelle quali i secreti, non
trovando la loro via naturale di deflusso nella via aerea, costituiscono le condizioni favorenti per un processo
infettivo localizzato che potrebbe escavarsi e generare un ascesso polmonare. Tuttavia, generalmente la
forma più frequente di conseguenza – sia radiologica che clinica – non è la lesione ascessualizzata, ma
l’atelettasia del segmento o del lobo occupato dalla lesione bronchiale, sulla quale poi si installano infezioni
a ripetizione.

209
All’interno della lesione ascessuale è presente materiale necrotico e purulento, con il risultato di una di una
progressiva distruzione del
parenchima polmonare; questa
lesione può essere unica o
multipla, a contenuto
completamente liquido oppure a
contenuto misto aereo e liquido:
osservando l’RX, si può notare
un’immagine bianca orizzontale
(dov’è posizionato il cursore),
segno di un’interfaccia tra liquido e
aria; in questo caso l'ascesso
potrebbe essere una lesione
tondeggiante completamente
bianca perché completamente
piena di liquido oppure una lesione
soltanto parzialmente piena di
liquido. È inoltre evidenziabile
l’ispessimento della parete intorno
all’ascesso (visibile meglio in TC),
legato al fatto che si viene a creare uno stato infiammatorio che tende a localizzare il processo infettivo;
quindi, la risposta infiammatoria determina questo alone di ispessimento sulle pareti dell'ascesso. Come si è
detto nelle scorse lezioni, può essere complicato far diagnosi differenziale radiologicamente tra un ascesso e
una raccolta saccata empiematica: nel caso dell’RX mostrata questa DD è più semplice perché si vede
chiaramente che la lesione è di natura parenchimale.

Quanto detto finora in merito all’ascesso polmonare spiega quindi ciò che può succedere dal punto di vista
clinico al paziente:

Febbre e tosse;
Sintomi sistemici come perdita di peso o inappetenza;
VOMICA: può capitare che l’ascesso vada ad aprirsi in un bronco ed il paziente riferisca di aver
vomitato/tossito materiale purulento e maleodorante. Questo sintomo è molto importante per
iniziare a sospettare che il paziente possa avere un processo necrotizzante a livello polmonare, e
deriva dal fatto che il liquido – prima contenuto all’interno della cavità ascessuale – ad un certo punto
va a riversarsi all’interno di un bronco.

Nell’immagine TC a lato viene mostrato l’aspetto


tipico di una lesione ascessuale: si nota
l’inspessimento delle pareti che circondano la
cavità, con all’interno prevalentemente aria ed
una piccola componente liquida. L’ascesso
mostrato in questa TC si è già parzialmente
svuotato, ed è possibile osservare anche un
linfonodo molto probabilmente espressione della
reazione infiammatoria: un’immagine TC di
questo tipo non pone nessun dubbio diagnostico,
si tratta chiaramente di un ascesso polmonare.

210
In questa immagine TC è possibile osservare la
presenza di ascessi multipli: sono presenti sia
ascessi già parzialmente escavati, sia aree
ancora completamente piene di liquido.

Classificazione
Una volta individuati gli ascessi, bisogna chiedersi perché essi si siano formati. L’ascesso polmonare può
essere:

PRIMITIVO: espressione di una particolare forma di polmonite con la tendenza alla necrotizzazione,
generando le condizioni anatomiche che favoriscono l’insorgenza dell’ascesso stesso.
SECONDARIO: ascessi che insorgono su precedenti patologie polmonari; per esempio, nei pazienti a
rischio, è importante fare DD tra un vero ascesso ed un cancro-ascesso, cioè grosse lesioni
carcinomatose (generalmente carcinomi squamosi) che possono diventare necrotiche, portando
all’evacuazione del liquido attraverso la via bronchiale, dando però un aspetto radiologico tipico degli
ascessi.

Inoltre, per classificare gli ascessi è anche importante definirne le caratteristiche temporali:

ACUTO: ascesso presente nelle per 4/6 settimane;


CRONICO: ascesso che persiste oltre le 6 settimane.

Questa distinzione tra ascesso acuto e cronico è importante perché richiama la storia naturale della malattia:
se l’ascesso viene trattato in maniera adeguata con la corretta terapia antibiotica ed eventuale drenaggio,
dopo 4-8 settimane andrà incontro a risoluzione. Se l’ascesso persiste, invece, anche la reazione
infiammatoria alla base persisterà: quindi la camera ascessualizzata non andrà incontro a risoluzione, e
l’ascesso diventerà cronico. La differenza importante è che, se l’ascesso non si è risolto, probabilmente il
“buco” nel polmone resterà nel tempo: anche a seguito di risoluzione della componente infettiva (es. a
seguito di drenaggio), la reazione infiammatoria avrà generato una lesione cavitata che potrebbe persistere
nel tempo, soprattutto in presenza di determinate condizioni cliniche che favoriscono l’insorgenza di ascessi.
L’ascesso generalmente è causato dall’inalazione di batteri aerobi o gram- che si trovano nel cavo oro-
faringeo; quindi, spesso si tratta di pazienti che hanno un substrato che facilita l’insorgenza di questo tipo di
infezioni:

Pazienti debilitati
Pazienti con una cattiva igiene orale
Pazienti con habitus di consumo di alcol molto elevato
Pazienti con maggiore predisposizione alla polmonite ab ingestis, come i pazienti intubati; nel caso,
per esempio, di una non perfetta tenuta del tubo di intubazione potrebbero verificarsi fenomeni di
inalazione (ad es. del contenuto gastrico).

211
Quindi, i pazienti che sviluppano lesioni ascessualizzate spesso hanno degli elementi favorenti, a maggior
ragione se si tratta di pazienti che già presentano lesioni cavitate polmonari che vanno incontro ad infezione
(esempi di lesioni cavitate preesistenti sono: lesioni cavitate da TB, lesioni cistiche, fibrosi cistica, enfisema
bolloso etc.). Per questo motivo in questi pazienti si parla di ascessi secondari, perché non si tratta di processi
infettivi che causano una cavitazione, ma di infezioni che insorgono su un processo di cavitazione
preesistente. [Si riporta la slide riassuntiva].

Il quadro di polmonite necrotizzante può anche essere molto diffuso e, ovviamente, la gravità del quadro
clinico del paziente è spesso in funzione della quota di coinvolgimento polmonare; è possibile anche che il
coinvolgimento non sia monolaterale, avendo situazioni in cui un polmone è coinvolto in maniera più grave
e il controlaterale abbia anch’esso delle zone necrotiche.

È, inoltre, molto importante andare a valutare lo stato di immunocompetenza del paziente: infatti, sulla base
di questa, la polmonite necrotizzante può
evolversi in quadri diversi che differiscono
sia per il numero che per la taglia delle
lesioni.
Per esempio, nella TC a lato è possibile
osservare la situazione di un paziente
pediatrico affetto da una lesione cistica
congenita: questa lesione è andata incontro
a sovrainfezione, trasformandosi in un
ascesso. È evidente come una lesione cistica
abbia un rischio di infezione superiore
rispetto ad un parenchima normale, poiché
non ha uno scambio in/out di aria normale
attraverso le vie aeree: se un’infezione va a
complicare un quadro di questo tipo, già
fortemente alterato, il parenchima sarà in
maggiore difficoltà a liberarsene.

212
Fattori di rischio e concause
Scarsa igiene orale (patologia dentale / periodontale);
Anestesia generale;
Alcolismo e tossicodipendenza;
Epilessia;
Patologia neuromuscolare con disfunzione bulbare;
Disturbi della motilità esofagea (es. acalasia);
Ostruzione bronchiale;
Immunodepressione.

La cosa importante è la predisposizione all’inalazione: esistono dei distretti più facilmente colpiti dagli
ascessi polmonari; si tratta delle zone più declivi, quindi i segmenti dorsali del lobo superiore o i segmenti
apicali dei lobi inferiori. Questo dipende dal fatto che spesso si tratta di pazienti allettati per lunghi periodi,
quindi l’inalazione del contenuto della via digestiva passa nelle vie aeree e arriva nelle zone del polmone che
per gravità sono più declivi (cioè proprio i segmenti dorsali).

Per quanto riguarda i pazienti tossicodipendenti, questi sviluppano una serie di patologie e complicanze
altrimenti molto rare nel paziente non tossicodipendente: per esempio sviluppano infezioni particolari come
le condriti delle cartilagini costali o flemmoni della parete toracica; si tratta comunque di pazienti
maggiormente predisposti a sviluppare
problematiche anche multiple. Viene mostrata a
lato la TC di un paziente (giovane e
tossicodipendente) che ha sviluppato
Una lesione cavitata ed ascessualizzata
del lobo superiore sinistro con
versamento pleurico contestuale;
Uno pio-pneumotorace nell’emitorace
di destra causato da un’embolizzazione
di natura settica.

Clinica
La clinica dell’ascesso polmonare è essenzialmente sovrapponibile a quella delle altre infezioni polmonari:

Recente episodio di infezione polmonare o polmonite


Tosse ± produttiva
Rialzi febbrili
Sudorazioni notturne
Algie toraciche di tipo trafittivo
Scadimento delle condizioni generali
Tosse produttiva con escreato purulento, talora maleodorante (~ 50% dei casi) che può esitare in
una vera e propria vomica
Talvolta si possono presentare anche emottisi ed emoftoe: questi fenomeni si verificano perché la
reazione infiammatoria attorno alla lesione ascessualizzata genera una neovascolarizzazione. In
realtà l’emottisi è più tipica delle lesioni infiammatorie croniche in fase subacuta o cronica, ma nel
caso in cui si presentasse nel contesto di un ascesso, rende la patologia di interesse chirurgico.

213
Eziologia microbiologica
I batteri che causano l’ascesso polmonare sono principalmente quelli che colonizzano l’orofaringe, ma nei
pazienti ospedalizzati è possibile che l’ascesso sia causato da batteri tipici delle polmoniti nosocomiali.

Diagnosi
1. Anamnesi: valutazione dei fattori di rischio e delle concause (es. chirurgia odontoiatrica, inalazione);
2. Esame obiettivo: ipertermia ed escreato purulento (maleodorante);
3. RX torace
4. TC torace: esame fondamentale da associare all’RX. Nel caso di un grosso ascesso con un’abbondante
componente liquida all’interno, potrà rendersi necessario il drenaggio eseguito in radiologia
interventistica; a differenza del cavo pleurico dove il drenaggio viene posizionato dal chirurgo, nel
caso del posizionamento di un drenaggio all’interno del polmone in radiologia interventistica è
necessario conoscere le caratteristiche anatomiche e la posizione della lesione.
5. Broncoscopia: innanzitutto è importante per la diagnosi eziologica microbiologica, qualora le
condizioni generali del paziente lo permettano. Inoltre, permette di andare a valutare le condizioni
predisponenti all’ascesso, come le ostruzioni endobronchiali: nel caso, per esempio, di un cancro-
ascesso, la broncoscopia permette di eseguire la biopsia diagnostica; oppure, nel caso di una
sindrome del lobo medio (causata per esempio da una patologia linfonodale che determina
compressione sull’asse bronchiale) permette di andare a valutare l’atelettasia a valle dell’ostruzione,
atelettasia che si è complicata con un ascesso.

214
Per chiarire l’utilità della TC nella patologia ascessuale del polmone, si prendano in considerazione le due
immagini soprastanti: nella sezione TC di sinistra è possibile apprezzare una lesione che sta iniziando ad
ascessualizzarsi, ma non è ancora presente il tipico bordo con presa di contrasto che rappresenta la reazione
infiammatoria circostante alla lesione infettiva che, invece, nella sezione di destra è chiaramente evidente.
Questo tipo di reazione infiammatoria, così come nell’empiema, ha lo scopo di cercare di circoscrivere
l’infezione: il problema è che è proprio questa risposta che, quando cronicizza, non permette la restitutio ad
integrum.

Diagnosi differenziale
[Il Professore ha mostrato moltissime immagini; per rendere fruibile il discorso, abbiamo deciso di utilizzarne
solo alcune come esempio per spiegare i diversi punti importanti del discorso.]

È molto importante differenziare l’ascesso da altre condizioni, quali:

Empiema
Infezioni fungine
Cancro-ascesso

La presenza del cercine infiammatorio iperdenso alla TC e la forma della lesione sono le caratteristiche
fondamentali da valutare per la diagnosi differenziale con l’empiema: infatti, nell’empiema la reazione
infiammatoria con cercine iperdenso non è presente, e anche la
forma differisce da quella dell’ascesso; l’ascesso si sviluppa con una
forma rotondeggiante perché si forma senza incontrare particolari
gradienti di resistenza, mentre l’empiema ha una forma ovoidale
perché spesso si “sacca” ed ha dei gradienti di resistenza diversi (può
estendersi solo dal lato polmonare, dal momento che dalla parte
opposta trova la parete toracica che è inestensibile).

Si riporta a lato un’immagine TC per capire la DD tra ascesso ed


empiema: nell'ascesso polmonare il polmone è “distrutto” e
all’interno dell'area di distruzione si trovano sostanzialmente le
strutture bronchiali, che è possibile vedere e seguire, mentre
quando c'è una raccolta saccata di natura empiematica (come
nell’immagine a lato), il polmone è schiacciato e le strutture bronco
vascolari sono anch'esse schiacciate. In questo caso la diagnosi
differenziale risulta agevole perché le strutture broncovascolari sono
chiaramente evidenti, ma può non essere sempre così immediato.

215
Esistono situazioni più complesse in cui questi criteri radiologici non sono
sufficienti per fare diagnosi differenziale: per esempio, le infezioni fungine
simulano l’ascesso, benché si tratti di infezioni che insorgono su lesioni
preesistenti, colonizzandole. Anche il cancro-ascesso entra in DD con l’ascesso
semplice: come l’ascesso possiede una componente necrotica che, se viene
drenata, può diventare aerea, ma a differenza dell’ascesso possiede una
componente solida molto più asimmetrica. Come si può vedere nell’immagine TC
a lato, è presente una lesione in sede dorsale: è vero che si tratta di una lesione
cavitata con un orletto solido circostante, ma si nota anche chiaramente che la
componente solida posteriore è molto abbondante ed irregolare, facendo sorgere
il dubbio che si tratti di un cancro.

Altre volte è più difficile farsi venire il dubbio: per


esempio, nella TC a sinistra si nota una parete della
lesione irregolare su tutta la circonferenza della
cavitazione; in questo caso il dubbio si pone nel
momento in cui questo tipo di lesione non regredisce
a seguito della corretta terapia in un paziente con i
fattori di rischio per il tumore polmonare; inoltre, per
la diagnosi differenziale – in casi come questi –
bisogna farsi anche guidare dalla clinica:

un paziente con ascesso è un paziente con


evidente sintomatologia infettiva ed una radiologia
compatibile;
un paziente con un tumore può non avere alcun tipo di sintomatologia infettiva, ma manifestare
emoftoe, febbricola serotina (legata alla componente infiammatoria del tumore).
Questa differenza di quadro clinico deve far sospettare una patologia diversa dal semplice ascesso, portando
ad eseguire indagini più approfondite.
Comunque, il ragionamento sui criteri radiologici non
permette di essere sempre così netti nel distinguere le diverse
lesioni polmonari: per esempio è possibile che si vada ad
accumulare del liquido a livello delle scissure; nell’immagine a
lato si vede quella che sembra essere una raccolta fluida
intraparenchimale del polmone di destra, ma in realtà si tratta
di una raccolta fluida intrascissurale: cioè, il fluido va ad
accumularsi tra due lobi polmonari a livello della scissura
separandoli. Nella stessa immagine è comunque apprezzabile
anche un ascesso a livello dorsale (segnalato dalla freccia
bianca): nello specifico, questo ascesso si associa ad atelettasia
del lobo inferiore e ad una falda di versamento pleurico; questo versamento pleurico, risalendo si fa strada
e arriva a livello della scissura dove va a separare il lobo medio dall’inferiore.

216
In questa immagine RX è possibile apprezzare un
evidente livello idro-aereo: questo significa che in
quell’emitorace è presente una certa quota di
pneumotorace; inoltre è presente una velatura che
corrisponde probabilmente a del liquido dentro ad
una lesione escavata: probabilmente si tratta di un
ascesso polmonare (il cui livello idro-aereo è
segnalato dalla freccia) associato ad un
idropneumotorace o piopneumotorace.
(Idropneumotorace = presenza di aria e liquido nel
cavo pleurico; piopneumotorace = presenza di aria
e pus nel cavo pleurico). Chiaramente, la distinzione
non può essere eseguita sulla base di immagini
radiologiche: se una RX o TC dimostrano la presenza
di liquido nel cavo pleurico e alla toracentesi questo
liquido si rivela pus, a quel punto si parla di
piopneumotorace.

La situazione si consolida a seconda di dove si trova la lesione ascessualizzata, di dove si trova il versamento
e di quanto polmone si “scolla”. Nell’immagine TC a
lato si vede una lesione ascessualizzata nel lobo
medio associata ad un voluminoso
idropneumotorace: è difficile apprezzare bene
questa condizione perché l’immagine è eseguita con
un taglio mediastinico, ma quello che si può notare
è che il polmone si è “fissato” in un emitorace nel
quale si è formato anche un idropneumotorace. La
linea orizzontale dell’’idropneumotorace si dispone
a seconda della posizione del paziente per gravità
(nell’immagine il paziente è sdraiato sul lettino della
TC e quindi l’interfaccia liquida si dispone nei campi
dorsali). Il pus, invece, potrebbe non disporsi per
gravità in modo così regolare nel momento in cui
crei delle camere multiloculate: in questo caso si
apprezzerebbero delle irregolarità frastagliate a livello del cavo pleurico.

Trattamento
Dal momento che si tratta di un’infezione:

1. Identificazione dell’agente eziologico


2. Terapia antibiotica protratta (anche per 6-8 settimane)
3. Adeguato drenaggio della raccolta ascessuale nella fase acuta: se la raccolta ha una certa
dimensione

Il drenaggio della raccolta viene eseguito sotto guida TC, di conseguenza l’ascesso ha un interesse chirurgico
in meno del 10% dei casi; le indicazioni chirurgiche per l’ascesso sono:

Ascesso che persiste nonostante la terapia antibiotica;


Paziente persistentemente sintomatico;
Paziente che sviluppa complicanze legate all’ascesso.

217
Come si può vedere nelle immagini a lato, viene
posizionato un drenaggio percutaneo per drenare
l’ascesso (si tratta di un drenaggio di piccolo
calibro).

È chiaro che, una volta che il contenuto liquido


dell’ascesso viene aspirato, la lesione ha la
tendenza a “schiacciarsi”, perdendo la sua forma
sferica; quando le due pareti della lesione
vengono in contatto, la reazione infiammatoria
favorirà il processo di cicatrizzazione. Il problema
si pone nel momento in cui la lesione non riduca
le sue dimensioni a seguito del drenaggio: in
questo caso le pareti non si avvicineranno, non si
assisterà a cicatrizzazione e la lesione avrà
tendenza a cronicizzare.

Complicanze
ACUTE
o Empiema pleurico: ascesso che si rompe nel cavo pleurico
o Emottisi grave
o Fistola broncopleurica
CRONICHE
o Persistenza di segni e/o sintomi (inefficacia della terapia medica protratta per 6-8 settimane)
o Persistenza di una cavità con diametro > 6 cm (terapia medica protratta per 6-8 settimane)
o Complicanze della fase acuta
o Sospetto di cancro-ascesso

Le complicanze possono anche diventare indicazioni chirurgiche nel momento in cui la terapia medica o gli
interventi percutanei non risultino risolutivi, oppure nel caso in cui il quadro sia talmente grave da non poter
aspettare l’efficacia degli altri interventi terapeutici.

Prognosi
In epoca pre-antibiotica la mortalità arrivava al 30-40%, mentre attualmente la mortalità è del 10-20% e
riguarda principalmente pazienti anziani, debilitati, malnutriti ed immunodepressi.

218
MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE DEL POLMONE
Si tratta di patologie accomunate da sintomatologia di emoftoe ed emottisi: il paziente che si presenta con
emoftoe non è a rischio di un’evoluzione drammatica del suo quadro clinico (il problema principale è che
bisogna escludere il cancro del polmone); il paziente con emottisi, invece, è ad alto rischio. È vero che un
paziente con emottisi emette una quantità di sangue maggiore rispetto ad un paziente con emoftoe, ma ciò
che rende più grave l’emottisi è il destino del sangue che viene espettorato: se un paziente si presenta
autonomamente in PS dicendo di sputare “un bicchiere di sangue” al giorno, ma non manifesta dispnea né
segni di instabilità, si tratta di un paziente sicuramente da studiare per individuarne la patologia di base, ma
non è un paziente ad alto rischio. Discorso completamente diverso rispetto ad un paziente che sputa lo stesso
quantitativo di sangue (quindi come sintomo sovrapponibile all’altro paziente), ma che sia anche dispnoico:
in questo caso il “bicchiere di sangue” è solo quello che viene espettorato, ma è possibile che sia presente
una quota di sangue che si sta accumulando nelle vie aeree provocando dispnea. Questo paziente è ad alto
rischio di andare incontro ad insufficienza respiratoria acuta e a necessità di intubazione in condizioni di
emergenza, senza essere neanche in grado di sapere per esempio quale emitorace stia sanguinando. Si tratta
di situazioni catastrofiche, nelle quali è però necessario ragionare su quelli che sono i fattori di rischio
predisponenti: molto spesso ci si troverà di fronte all’evoluzione di patologie infiammatorie croniche del
polmone.

Prendendo in considerazione il distretto toracico, possiamo riconoscere essenzialmente tre forme di


infezione acuta primitiva:

1. Infezione polmonare acuta ascesso polmonare


2. Infezione del cavo pleurico empiema acuto
3. Infezione del mediastino mediastinite acuta [Breve digressione sulla mediastinite: esistono
infezioni mediastiniche primitive: si tratta di una patologia pericolosa e rapidamente mortale, in
quanto i pazienti affetti diventano rapidamente settici; si tratta di pazienti particolari, con storia di
infezione del distretto orale o cervicale (es. infezioni dentarie): l’infezione può discendere lungo le
fasce cervicali e “colare” direttamente in mediastino. Sono pazienti da operare rapidamente
drenando il mediastino ed il distretto cervicale].
4. Esistono poi le forme secondarie, date per esempio da rottura esofagea

Per capire cosa succede nel contesto delle patologie infettive croniche, avendo a disposizione pochi dati sugli
umani, bisogna rifarsi ad alcuni lavori degli anni ’80 eseguiti sulle pecore: si è visto che inducendo la
formazione di ascessi polmonari, a distanza di diverse settimane il processo infiammatorio cronico
polmonare provoca un’ipertrofia del circolo bronchiale. Quindi quello che cambia nell’infezione cronica non
è la vascolarizzazione di arteria-vena polmonare, ma l’ipertrofia avviene a livello del circolo bronchiale:
nonostante tutte le varianti anatomiche possibili, si è visto che le arterie bronchiali passavano da un diametro
di 1-2 mm ad un diametro di 4-8 mm. Sapendo che una lesione di un’arteria bronchiale porta ad un
sanguinamento tanto maggiore quanto maggiore è la portata (direttamente proporzionale al calibro), è
evidente come questi fenomeni di ipertrofia siano estremamente pericolosi: già il sanguinamento da
un’arteria di 1-2 mm è pericoloso, si immagini ora lo scenario di un’arteria di 7-8 mm che si rompe all’interno
di una cavità ascessualizzata in comunicazione con un bronco, che porti all’inondamento del polmone,
causando appunto dispnea ed emottisi. Quindi molto spesso le alterazioni che rendono il paziente
sintomatico per il sanguinamento vengono dall'ipertrofia del circolo bronchiale e questa può derivare da
tutta una serie di patologie:

Bronchiectasie: alterazioni della forma e dello spessore della parete bronchiale legate alla
persistenza e alla ripetizione di episodi infettivi nel tempo; l’arteria bronchiale deputata alla
vascolarizzazione dei bronchi bronchiectasici, a seguito della cronicità dell’infezione, andrà incontro

219
ad un processo di ipertrofia e, nel caso di sanguinamento di quel distretto, l’emorragia sarà molto
importante.
Lesioni cavitate: lesioni che possono derivare da ascessi cronicizzati così come da aspergillomi, cioè
colonizzazione da parte dei funghi Aspergillus. Gli aspergillomi generano un processo infiammatorio
cronico talmente importante da indurre una neovascolarizzazione che deriva dalla parete toracica,
tramite le arterie intercostali. Questo processo è chiaramente un problema molto importante in sede
intraoperatoria: andare ad operare un’area con un doppio fronte di ipervascolarizzazione, cioè
un’ipervascolarizzazione bronchiale (data dall’infiammazione cronica, che agisce sulle arterie
bronchiali) ed un’ipervascolarizzazione toracica (data dal micetoma, che agisce sulle arterie
intercostali), è evidentemente una situazione ad alto rischio per un sanguinamento intraoperatorio
non gestibile.

Si evince quindi chiaramente l’utilità di studiare il circolo bronchiale preventivamente ed embolizzare il


circolo bronchiale o la circolazione accessoria, laddove sia fattibile, in modo da non doversi trovare nelle
condizioni di operare un paziente che sta sanguinando all’interno delle vie aeree e contestualmente gestire
il sanguinamento generato dalla resezione delle arterie bronchiali; è quindi molto importante arrivare
all’intervento nelle condizioni “migliori” possibili.

Actinomicosi: sono lesioni con tendenza alla condensazione, ma come le precedenti


anch’esse generano neovascolarizzazione da parte della parete toracica. Queste lesioni solide sono
difficilmente differenziabili dai tumori e spesso il risultato dell’agobiopsia non è dirimente e, inoltre,
sono lesioni che continuano a crescere provocando dolore e sanguinamenti, rendendo il paziente di
difficile gestione.

Gestione dell’emottisi

220
Non esiste un cut-off per determinare se l’emottisi sia massiva o non massiva: è importante valutare la
quantità di sangue che viene espettorata (tenendone traccia) e monitorarla nel tempo. Un secondo fattore,
ancora più importante, è la necessità di una protezione delle vie aeree: se il paziente va incontro ad
insufficienza respiratoria è importante cercare di intubarlo con un’intubazione selettiva, cioè cercando di
separare la via bronchiale di destra da quella di sinistra, soprattutto se non si sa ancora da che lato stia
sanguinando. Quindi, nel caso di un paziente che si presenti in PS con importante emottisi e dispnea, sarà
necessaria l’intubazione selettiva: in questo modo è possibile separare le due vie aeree, andando ad aspirare
selettivamente uno dei due polmoni.

È possibile, tuttavia, che i pazienti muoiano ancora prima di essere presi in carico. Tra questi pazienti, alcuni
vanno incontro ad emottisi fatale massiva a causa di un sanguinamento dell’arteria polmonare: è possibile
che l’ascesso o la lesione infettiva cronica vadano ad erodere l’arteria polmonare, provocando chiaramente
un sanguinamento non paragonabile a quello di un’arteria bronchiale; un’eccezione a questo drammatico
caso clinico è il paziente che manifesta un sanguinamento sentinella, cioè un’emottisi importante che si
interrompe: questo permette di avere il tempo necessario per eseguire gli esami, valutare la sede del
sanguinamento ed intervenire prima che si verifichi un’emottisi fatale massiva.

Eziologia
Riprendendo il discorso sulle lesioni infiammatorie che possono portare ad emottisi:

Bronchiectasie
Ascessi polmonari cronici
Organizing pneumonia: si tratta di forme rare e particolari di polmonite, costiuite da lesioni
che si strutturano intorno ad un evento infiammatorio polmonare e che spesso sono indistinguibili
da vere e proprie lesioni tumorali; possono, seppur raramente, dare emorragie.
Infezioni croniche ripetute: spesso a seguito di un’ostruzione bronchiale. Per esempio, un
carcinoide del lobo inferiore provoca un’ostruzione bronchiale tale per cui quel lobo andrà incontro
a ripetuti eventi polmonitici; con il passare del tempo, il circolo bronchiale ipertrofico potrà portare
alle conseguenze emorragiche viste prima.
Tubercolosi: attualmente più rara che in passato; ad oggi, le lesioni tubercolari diventano di
interesse chirurgico in caso di multiresistenza o nel caso in cui abbiano completamente distrutto un
lobo polmonare. Si tratta comunque di una chirurgia molto complessa e ad alto rischio.
Echinococcosi polmonare: discorso analogo alla TBC.

BRONCHIECTASIE
“Abnorme ed irreversibile dilatazione dei bronchi”. Si tratta di
dilatazioni croniche delle vie aeree: osservando l’immagine a lato
(pezzo operatorio), è evidente l’alterazione della normale anatomia
del parenchima polmonare, con un lobo medio normale ed un lobo
superiore ed inferiori francamente bronchiectasici.

La caratteristica importante delle bronchiectasie è la tendenza a


generare infezioni a ripetizione, e la ripetizione delle infezioni
peggiora la bronchiectasia stessa; si tratta quindi di un meccanismo
che si autoalimenta.

221
Diagnosi
La diagnosi di bronchiectasie si basa sulla TC ad alta risoluzione; i criteri diagnostici sono:

Lume bronchiale di diametro > del ramo arterioso


adiacente: in una TC di un polmone normale si nota
un’immagine binoculare, in cui si vede il bronco nero
(ipodenso) e adiacente ad esso l’arteria polmonare, circa
della stessa dimensione, che rappresenta l’asse
broncovascolare. Nell’immagine a lato è possibile appunto
vedere un bronco enorme, affianco ad un’arteria
polmonare: questo è il segno dell’anello con castone, tipico
delle bronchiectasie; inoltre, l’immagine spiega come le
bronchiectasie possano – seppur raramente – sanguinare
anche dall’arteria polmonare: si vede come la parete bronchiale sia in stretta contiguità con la parete
arteriosa. È una condizione rara perché intorno al bronco si determina una reazione infiammatoria
estremamente importante.
Diramazioni bronchiali di calibro costante
Diramazioni bronchiali individuabili alla periferia dei campi polmonari (1-2 cm)

Patogenesi

222
Al di là della fibrosi cistica, ad oggi vedere delle
bronchiectasie non è così frequente; il problema
principale comunque rimane che le aree
bronchiectasiche vengono colonizzate da batteri
particolarmente impegnativi (analogamente a
quello che succede nella fibrosi cistica) ed il
processo si automantiene, cronicizzando e
rendendo i bronchi sempre più alterati.

Anatomia patologica
Nella storia della patologia:
1. il bronco passa da un’anatomia normale ad un’alterazione
cilindrica, dove la forma del bronco è mantenuta, ma la parete si
inspessisce ed il bronco si dilata.
2. Successivamente, nella forma varicosa, il bronco comincia a
perdere la sua normale morfologia fino ad arrivare a una forma:
3. Cistica: questa forma è la più grave ed è anche irreversibile.

L’evoluzione bronchiectasica, una volta che si innesca e


soprattutto se si ha colonizzazione da parte di batteri
multiresistenti, evolve molto probabilmente verso la forma
cistica; per questo motivo, bronchiectasie localizzate e/o
sintomatiche possono anche essere un’indicazione chirurgica.

[QUADRO MICROSCOPICO: caratterizzato da flogosi severa della parete bronchiale, specie delle strutture di
piccolo calibro. La dilatazione dei bronchi si accompagna a deficit o scomparsa delle fibre elastiche e
successiva distruzione delle fibre muscolari e delle strutture cartilaginee. Da ultimo, si osservano fibrosi di
grado variabile della parete bronchiale e coinvolgimento del parenchima polmonare adiacente.]

Quadro radiologico
[vengono mostrate diverse immagini di polmoni bronchiectasici, presenti sulle slide; abbiamo deciso di
proporre quelle più significative]

Nell’immagine a sinistra è possibile vedere un quadro molto grave


di bronchiectasie: la via aerea è completamente alterata, nel
contesto di un quadro cistico diffuso; il polmone risulta
essenzialmente distrutto e non si può quasi più neanche parlare
di parenchima, dal momento che il polmone è quasi
completamente sostituito da lesioni cistiche. È chiaro che un
paziente con un quadro radiologico di questo tipo sarà in
condizioni cliniche impegnative

223
In quest’altra immagine è possibile apprezzare delle lesioni cistiche
piene per metà di liquido; dal momento che si tratta di un’immagine
ottenuta tramite broncografia (tecnica ormai desueta, che consisteva
nell’immettere mezzo di contrasto nelle vie aeree del paziente) è
difficile dire se il liquido sia mdc oppure materiale infetto, ma il
concetto è lo stesso: quando le cisti si infettano, si crea all’interno del
liquido purulento che in parte esce attraverso i bronchi ed in parte
rimane all’interno delle dilatazioni bronchiectasiche.

Distribuzione delle lesioni


Si è già parlato della sindrome del lobo medio o sindrome adeno-bronchiale: più frequente in passato, si
tratta di pazienti affetti da TBC che, a seguito dell’ipertrofia dei linfonodi del bronco lobare medio – il bronco
più piccolo e delicato, con un’angolazione tale che se piegato in avanti si ostruisce facilmente – vanno
incontro ad ostruzione bronchiale e conseguente atelettasia.

Volendo classificare le bronchiectasie, queste possono essere:

Localizzate: segmentarie o lobari


Diffuse: plurilobari o bilaterali
Del lobo medio: sindrome del lobo medio, vedi sopra.

[Seguono circa 40 slide che il Professore riferisce non essere importanti, asserendo che le informazioni
importanti in merito al discorso sulle bronchiectasie sono quelli di cui ha parlato. Rimangono comunque a
disposizione su Moodle].

INFEZIONI FUNGINE
Come per l’ascesso, anche per le infezioni fungine esistono dei fattori predisponenti: il più importante di tutti
è certamente l’immunodepressione: anche una semplice terapia cortisonica prolungata o una chemioterapia,
senza necessariamente arrivare ai quadri di immunodepressione dell’AIDS; in ogni caso, quando si manifesta
una infezione fungina deve esserci qualche ragione di fondo.

Nel nostro continente quando si parla di infezioni fungine, si parla principalmente di infezioni da Aspergillo,
diversamente da quanto accade per esempio negli USA dove sono endemiche altre infezioni fungine come
l’istoplasmosi, la blastomicosi o la coccidioidomicosi, che in Europa non si vedono praticamente mai.

Clinica e caratteristiche anatomo-patologiche e radiologiche


L’agente eziologico è Aspergillus fumigatus in più del 90% dei casi: questo fungo va a colonizzare spesso aree
di polmonite necrotizzante o aree in qualche misura già ascessualizzate; l’infezione da questo fungo può dare
origine a diversi quadri clinici:

Aspergillosi saprofitica (aspergilloma/micetoma)


Reazione da ipersensibilità (aspergillosi broncopolmonare allergica)
Aspergillosi semi-invasiva (cronica necrotizzante)

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Aspergillosi invasiva delle vie aeree (tracheobronchite acuta, bronchiolite, broncopolmonite,
aspergillosi broncopolmonare ostruttiva)
Aspergillosi angioinvasiva

[Vengono nuovamente presentate moltissime immagini; sono state scelte le più significative]

Nell’ambito della chirurgia toracica si parla principalmente di aspergilloma o micetoma, cioè quell’infezione
aspergillare che si localizza e organizza in una lesione cavitata parenchimale.

Le quattro radiografie sopra seguono l’evoluzione di un quadro polmonare nello stesso paziente (da sinistra
verso destra): si parte da una lesione cavitata del polmone e si vede come in tale contesto le ife fungine siano
in grado di organizzarsi e colonizzare questa lesione preesistente, fino a generare una sorta di lesione solida.
Spesso inoltre è possibile vedere agli esami radiologici un
aspetto tipico, cioè una lesione cavitata con il micetoma
all’interno, reso più evidente da un alone d’aria che lo circonda
(RX a sinistra, micetoma nel polmone sx); il micetoma può anche
spostarsi in base alla posizione del paziente.
Il micetoma è una lesione che tende a cronicizzare, a creare una
neovascolarizzazione a partenza dalla parete toracica e che può
diventare anche sintomatica; la sintomatologia di un
aspergilloma può essere causata non solo dalla componente
infettiva, ma anche dalla componente legata all’emoftoe: spesso
i pazienti con questa patologia arrivano all’attenzione medica
non per i sintomi infettivi come la febbre, ma perché cominciano
a manifestare i segni delle complicanze dell’aspergilloma (come
appunto l’emoftoe).

Nell’immagine a lato è possibile vedere l’interno di una lesione


cavitata colonizzata da Aspergillo: è chiaro che si tratti di una
lesione preesistente (per esempio una vecchia lesione
tubercolare) dentro alla quale il fungo ha proliferato generando
questa sorta di raccolta tondeggiante di ife.

La DD o è resa semplice dall’aspetto radiologico tipico della falce


aerea che circonda la lesione, oppure può non essere così
semplice.

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Le due immagini TC sovrastanti sono tipiche degli aspergillomi: si può notare innanzitutto che la posizione
del micetoma cambia in base al decubito del paziente (immagine a sx = decubito supino; immagine a dx =
decubito prono); inoltre si può apprezzare la presenza di una piccola lesione solida all’interno di una molto
più grande camera ascessualizzata.

Diagnosi e trattamento

Può essere complesso riuscire ad avere una conferma eziologica dell’aspergilloma, poiché talvolta la
sierologia può risultare negativa: questo dipende dal fatto che la malattia in sé consiste in un sequestro
dell’infezione all’interno del polmone; quindi, il sospetto potrebbe essere solo clinico e radiologico, senza
riuscire a trovare conferme né sierologiche né broncoscopiche.
Più la reazione infiammatoria diventa importante, più l’aspergilloma da semplice diventa complesso: esistono
aspergillomi in grado di distruggere un intero lobo o addirittura un intero polmone e, vista l’imponenza della
reazione infiammatoria che li genera, andare ad operare queste grosse lesioni può essere estremamente
complesso. Come si è detto in merito agli ascessi polmonari, anche per i micetomi (soprattutto se di grandi
dimensioni e complessi) può essere necessario andare ad eseguire la valutazione del circolo ematico
bronchiale e l’embolizzazione prima di un eventuale intervento chirurgico.

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Le indicazioni chirurgiche per gli aspergillomi sono:

Emottisi importante e/o recidivante


Solo per pazienti operabili

Nel caso di aspergilloma semplice l’intervento consiste in un’exeresi polmonare atipica, mentre nel caso di
un aspergilloma complesso l’intervento è un’exeresi polmonare anatomica.

[Dal momento che non hanno indicazioni chirurgiche, il Professore tralascia le successive slide sulle altre
manifestazioni da infezione aspergillare]

TUBERCOLOSI
Si affronta rapidamente il discorso sulla
TBC non tanto perché si tratti di un
problema frequente, ma perché è un
problema con cui talvolta ci si deve
confrontare e deve quindi essere tenuto
a mente quando si parla di lesioni
croniche polmonari. Grazie all’avvento
della terapia antibiotica, in Europa la
TBC è ormai un evento raro, ma in
funzione dei flussi migratori non è così
raro trovarsi di fronte a pazienti
provenienti da aree in cui l’infezione
tubercolare è invece endemica. Prima
della terapia antibiotica, il trattamento della tubercolosi prevedeva di portare il malato presso un sanatorio,
dove per mesi rimaneva a respirare “aria pulita” e veniva accudito; ciò nonostante, spesso erano pazienti che
morivano di emottisi su caverne tubercolari, per le quali all’epoca le uniche opzioni erano: lo pneumotorace
terapeutico di Forlanini (si iniettava aria per fare collabire le pareti) oppure la cosiddetta toracoplastica
(intervento che prevedeva l’eliminazione di alcune coste per fare in modo che i muscoli della parete toracica
schiacciassero il polmone ed eliminassero fisicamente la presenza della caverna). Si trattava chiaramente di
interventi estremamente invasivi (in una toracoplastica potevano venire tolte anche 10-12 coste), che sono
stati eseguiti fino agli anni ’50. Un altro intervento che si utilizzava per chiudere le caverne tubercolari
consisteva nel piombaggio del cavo pleurico: venivano inserite delle sfere di plastica di lucite all’interno del
cavo pleurico tra polmone e parete toracica in modo da schiacciare la parete della caverna tubercolare e farla
guarire.

Attualmente le ragioni per cui un chirurgo toracico può essere chiamato ad operare pazienti con lesioni
tubercolari sono essenzialmente due:

Un’infezione tubercolare multiresistente: non avendo altre opzioni di cura, si può procedere
all’exeresi del lobo o del segmento in cui l’infezione è localizzata.
Una lesione infiammatoria cronica talmente importante e destruente da aver completamente
distrutto un polmone/lobo o da avere reso il paziente sintomatico (sintomi infettivi o
emottisi/emoftoe).

Ovviamente esistono quadri di estensione tubercolare tali per cui, se la malattia non è localizzata in una sola
sede, l’operazione chirurgica non avrebbe senso, causando un poussè di infezione controlateralmente. Può,
inoltre, capitare che ci si trovi di fronte a quadri miliariformi non diagnosticati e che sia necessario eseguire
una biopsia: addormentare questo tipo di pazienti per biopsie o procedure chirurgiche li espone ad un alto
rischio di riaccensione della patologia tubercolare e di complicanze.

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Quindi, a parte i quadri tipici della tubercolosi che ormai fanno parte della storia della medicina, attualmente
è ancora possibile che si verifichino le complicanze della patologia cronica: la TC mostra, per esempio, il caso
di una stenosi del bronco principale di sinistra
legata ad un progressivo disassamento dell’asse
bronchiale che ha portato ad un processo
cicatriziale cronico.

Altre volte, invece, l’infezione tubercolare può


limitarsi a generare un tubercoloma – lesione
infettiva tubercolare spesso calcifica – che può
venire resecata perché entra in diagnosi
differenziale con un tumore primitivo.

Inoltre, quando è presente l’infezione tubercolare


– così come avviene quando ci si trova davanti a
qualsiasi altro empiema – può succedere che
l’infezione colonizzi aree adiacenti, causando:

Empyema necessitatis: colonizzazione della parete toracica


Morbo di Pott: osteite vertebrale tubercolare
Altre infezioni dell’osso

Si tratta, quindi, di una patologia da tenere a mente quando la diagnosi diventa complessa.
[Seguono delle domande da parte dei colleghi ed una discussione di casi clinici; per quest’ultima vengono
riportate le slide, dal momento che il contenuto coincide con quanto detto dalla dottoressa che ne ha parlato]

CASO CLINICO 1: BRONCHIECTASIE

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CASO CLINICO 2: ADDENSAMENTO FLOGISTICO

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CASO CLINICO 3: ASCESSO POLMONARE

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