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POLITECNICO DI TORINO

Collegio di Ingegneria Gestionale

Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale – indirizzo Innovazione

Tesi di laurea di II livello

L’ITALIA E L’IDROGENO: ANALIZZARE L’EUROPA PER


DEFINIRE UNA STRATEGIA E INCENTIVI EFFICACI

Candidato: Marco Monticone


Relatore: Professor Carlo Cambini
Correlatore: Chiara Ravetti

Anno Accademico 2022-2023


Sommario

Premesse introduttive..................................................................................................................................4
CAP 1 - Letteratura ......................................................................................................................................7
Contestualizzare l’Idrogeno: cos’è, dove si trova, a cosa serve ......................................................................... 7
L’idrogeno e i suoi “colori” ........................................................................................................................... 10
I costi dell’idrogeno ...................................................................................................................................... 20
Opportunità Idrogeno: i possibili impieghi.................................................................................................... 28
CAP 2 - Come si sta muovendo il mondo: strategie internazionali per l’idrogeno ................................... 38
Unione Europea ........................................................................................................................................... 39
Francia.......................................................................................................................................................... 47
Germania...................................................................................................................................................... 51
Olanda .......................................................................................................................................................... 58
Portogallo ..................................................................................................................................................... 64
CAP 3 - Italia: analisi per una strategia e degli incentivi efficaci ............................................................. 68
Francia, Germania, Olanda e Portogallo: quali insegnamenti trarre? .............................................................. 69
Un’impostazione strategica per l’Italia ........................................................................................................... 78
Schemi di supporto: quali adottare per raggiungere gli obiettivi? ................................................................... 84
Conclusioni ............................................................................................................................................... 96
Bibliografia ................................................................................................................................................ 98
Sitografia ................................................................................................................................................. 100
Premesse introduttive

Da qualche anno le istituzioni politiche di tutto il mondo stanno facendo i conti con le evidenze
preoccupanti di una crisi climatica che minaccia la sicurezza e la salute dell’uomo e fa vacillare le certezze
di un sistema energivoro che ora si trova nella necessità di una rifondazione radicale. Il riscaldamento
globale rischia di provocare conseguenze irreversibili per il pianeta Terra che, nel caso in cui si
realizzassero, porrebbero in serio pericolo la sopravvivenza stessa del genere umano.

Alcuni dei segnali di questa drammatica “emergenza clima” sono sotto gli occhi dell’opinione pubblica
da ormai diverso tempo. La crisi idrica, soprattutto, è uno dei problemi più impattanti provocati dal global
warming: ogni anno si registrano livelli di precipitazioni sempre inferiori, a tutto svantaggio dei raccolti e
con il risultato di una desertificazione estesa in molte aree del globo. Ma i sintomi della “sofferenza” del
pianeta sono molteplici: basti pensare allo scioglimento dei ghiacci (anch’essi un’importante riserva
d’acqua dolce che gradualmente scompare), che sta causando un innalzamento del livello dei mari
pericolosissimo per le zone costiere antropizzate. Oppure agli eventi atmosferici catastrofici che, sì, si
sono sempre verificati, ma che nel corso di questi ultimi 10-20 anni hanno fatto registrare un incremento
anomalo del numero di episodi.

Insomma, di fronte a tante evidenze degli effetti dannosi dell’inquinamento, i governi di molti Paesi
hanno via via intrapreso un cammino per l’abbattimento delle emissioni nocive e dei gas serra, assumendo
posizioni sempre più virtuose e fissando obiettivi gradualmente più stringenti. Il primo passo verso il
“net-zero goal” (posto al 2050) è certamente costituito dallo switch alle FER (solare ed eolico in primis)
nell’ambito della produzione energetica: abbandonare lo sfruttamento dei combustibili fossili per affidarsi
alle risorse inesauribili del sole e del vento è tassativo al fine di annullare la generazione di CO2. Oltre a
ciò, occorre poi portare avanti un’analisi critica delle attività e degli usi dell’uomo odierni, per adeguarsi
alla necessità di: contenere al massimo gli sprechi di materie prime, valorizzarne il recupero,
decarbonizzare il settore alimentare (in riferimento soprattutto all’allevamento, grande fonte di
emissioni), le attività produttive ed i trasporti.

Molte delle risposte e delle soluzioni ai problemi d’inquinamento, in particolar modo per quanto concerne
il settore dei trasporti, sono finora provenute dall’elettrificazione. Auto a batteria e treni alimentati dalla
corrente elettrica sono passati, in alcuni anni, dal ricoprire una piccola nicchia ad essere fortemente
appoggiati dalle istituzioni di moltissimi Paesi, europei e non. Tuttavia, ci si è presto resi contro che
l’elettrico non potrà mai essere l’unica soluzione, “l’arma totale” per l’azzeramento delle emissioni. Ci

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sono infatti alcuni ambiti, in particolare l’industria e il trasporto pesante, dove i limiti tecnologici e di
costo di tale mezzo sono evidenti, rendendolo assolutamente inutilizzabile.

Proprio a partire da questa necessità impellente di trovare un alleato credibile per la decarbonizzazione
dei settori cosiddetti hard-to-abate, l’interesse dell’opinione pubblica si è dunque proiettato verso
l’idrogeno: un elemento tanto conosciuto quanto, finora, poco valorizzato. Esso ha trovato negli scorsi
decenni un suo spazio ben definito nei settori dell’industria chimica, della raffinazione del petrolio e
dell’industria siderurgica, dove viene sia utilizzato come agente riducente che sfruttato per il suo elevato
potere calorifico al fine di generare il calore necessario nei processi produttivi.

Attualmente, però, dato il disperato bisogno di trovare risposte concrete per la decarbonizzazione di tutte
le attività umane, comprese le più difficili da convertire allo “zero-emissioni”, le proprietà di tale elemento
sono nuovamente tornate all’attenzione degli esperti e delle istituzioni pubbliche in quanto potrebbero
davvero costituire la chiave per aprire un percorso di transizione verde, anche nei settori che
l’elettrificazione a batteria non è riuscita a raggiungere. Per la sua natura di vettore energetico, infatti, l’H2
risulta una risorsa interessante per ovviare all’intermittenza caratteristica della produttività energetica delle
FER, permettendo di accumulare l’energia in esubero nei momenti di massimo rendimento per poi
rilasciarla all’occorrenza, quando le condizioni ambientali sono sfavorevoli (in assenza di vento, con cielo
coperto o nelle ore notturne). Ma non solo: l’idrogeno sembra poter costituire un ottimo aiuto anche nei
settori hard-to-abate sopra citati (industria pesante, trasporti su terra a lungo raggio, aviazione e trasporti
marittimi…), facendo intravedere di non soffrire le stesse limitazioni tecniche delle soluzioni a batteria.

Per tale ragione i governi di moltissimi Paesi hanno deciso di prendere posizione riguardo alle tecnologie
hydrogen-based, stringendo accordi internazionali per la ricerca e lo sviluppo e pubblicando piani
strategici e di investimento al fine di aiutare la crescita di un mercato globale dell’idrogeno. L’Italia, in
questo senso, parte con leggero ritardo rispetto a molti Stati dell’Unione Europea, avendo finora proposto
solamente le linee guida per la propria strategia nazionale, la quale attende ancora di essere presentata. Il
presente testo vuole pertanto prendere spunto dall’analisi, da un lato, delle strategie dell’UE e di quattro
dei suoi Paesi membri (Francia, Germania, Olanda e Portogallo) e, dall’altro, degli schemi di supporto da
essi implementati, con l’obiettivo ultimo di ricavare le informazioni e gli argomenti necessari per discutere
in modo obiettivo le proposte dell’Italia sotto tali aspetti, valutandone la coerenza, l’efficacia e suggerendo
eventualmente l’adozione di alcune delle misure caldeggiate a livello europeo.

Per arrivare a trarre determinate conclusioni è tuttavia fondamentale introdurre l’argomento fornendo ai
lettori tutti gli strumenti necessari per “orientarsi” e formarsi un’idea personale sul tema. Proprio per
questo la struttura della trattazione prevede un capitolo iniziale interamente dedicato all’analisi della
letteratura, dove saranno approfonditi tutti gli aspetti legati a: le proprietà dell’elemento, i suoi processi
di sintesi (più o meno sostenibili e classificati secondo una scala cromatica convenzionale), i fattori che

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ne determinano il costo di produzione e i potenziali impieghi pratici. Vi sarà poi lo spazio, nel secondo
capitolo, per entrare nel dettaglio delle strategie adottate dall’UE e dagli altri quattro Stati membri scelti
per questa analisi, dove per ognuno verrà utilizzato un adeguato spazio per la presentazione dei principali
strumenti incentivanti messi in campo per sostenere gli investitori in questa fase di start-up del nuovo
mercato dell’idrogeno. Infine, nel terzo e conclusivo capitolo di questa tesi, tutte le informazioni e le
nozioni raccolte nelle pagine precedenti verranno utilizzate per nutrire il confronto con le linee guida
strategiche tracciate dal governo italiano e con gli schemi di supporto previsti dal Paese per dare seguito
agli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030 e il 2050.

Data la vastità e la relativa novità dell’argomento (è vero che l’idrogeno è conosciuto ed utilizzato da
molto tempo, ma solo recentemente esso è salito alla ribalta come possibile alleato nella lotta globale
all’inquinamento), il testo non fonda le proprie argomentazioni su dati numerici che, qualora ci fossero,
aiuterebbero a determinare l’efficacia di determinate scelte rispetto ad altre. Tuttavia l’approccio rigoroso,
seppur basato su elementi prettamente qualitativi, non è mancato, cercando di accompagnare ad ogni
affermazione le evidenze derivanti dall’analisi deduttiva delle informazioni raccolte.

Con queste premesse, dunque, è giunto il momento di entrare nel vivo del testo. Buona lettura.

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CAP 1 - Letteratura

Contestualizzare l’Idrogeno: cos’è, dove si trova, a cosa serve

Prima di approcciare una qualsiasi tematica è sempre apprezzabile dedicare un tempo adeguato alla
contestualizzazione della stessa, mettendo a disposizione del lettore tutti i dettagli utili a guidarlo nella
comprensione di ciò che seguirà. Questa sezione introduttiva del mio elaborato verrà dunque utilizzata
per riportare tutti gli elementi ritenuti necessari per inquadrare la “situazione idrogeno” nel modo quanto
più completo possibile, nel duplice tentativo di fornire una solida base su cui impostare la successiva
analisi e, contemporaneamente, di evitare contraddizioni tra le conclusioni che verranno tratte e quelli
che sono lo stato dell’arte e la natura stessa dell’elemento fisico sotto esame.

A tal proposito ritengo perciò necessario dedicare queste prime righe al riportare alcune nozioni ed
informazioni basilari sull’idrogeno, per permettere in qualche modo di familiarizzare con esso e di
avvicinarsi agli aspetti tecnico-economici della trattazione avendo più chiaro il soggetto a cui essi sono
riferiti.

L’idrogeno, il primo elemento della tavola periodica, è l’elemento chimico più leggero che esista (14,39
volte meno denso dell’aria) nonché il più abbondante di tutto l’universo, occupando il 55% della materia
cosmica e il 77% della materia stellare (chimica-online.it). A temperatura ambiente esso si presenta come
un gas a molecola biatomica (H2) completamente inodore, incolore, insapore, molto stabile ma altamente
infiammabile. E’ pressoché impossibile da trovare in natura come molecola a sé stante, ma allo stato
combinato è, dopo ossigeno e silicio, l’elemento più abbondante: costituisce infatti l’11,9% della massa
dell’acqua ed è un componente onnipresente nella maggior parte delle sostanze organiche (treccani.it),
come ad esempio il gas metano (CH4) e i vegetali. Tuttavia, solo lo 0,9% di esso è presente nella crosta
terrestre e in atmosfera è pressoché inesistente in quanto, per via della sua bassissima densità, tende a
risalire verso l’alto fino a sfuggire al campo gravitazionale. Di seguito è riportata una tabella che riassume
alcune delle sue caratteristiche e proprietà principali.

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Massa atomica 1,0078 g/mol
Massa molecolare 2,016 g/mol
Densità STP 0,08989 kg/m3
Temperatura di fusione -259,203 °C
Temperatura di ebollizione -252,766 °C
Configurazione elettronica 1s1
Numero di ossidazione -1, 1
Elettronegatività 2.2
Tabella 1 - Proprietà dell'idrogeno

Tra le sue proprietà fisiche vi è senz’altro quella di diffondere attraverso sottili lamine metalliche, il che
comporta alcuni limiti ed ostacoli agli attuali progetti di “blending” di idrogeno nell’attuale rete del gas
(ci sarà modo di trattare tale tematica più specificatamente con il prosieguo della trattazione). La proprietà
più interessante è però il suo potenziale energetico, una caratteristica davvero speciale che ha costituito
uno dei motivi che negli ultimi anni hanno spinto molti Paesi (tra cui anche l’Italia) a investire e a
finanziare studi sull’idrogeno per indagare il suo possibile utilizzo come risorsa per combattere la crisi
energetica. L’idrogeno, infatti, messo a confronto con tutti i carburanti e i combustibili in uso, possiede
la più elevata densità energetica. Nello specifico, basti evidenziare che 1 kg di idrogeno porta con sé lo
stesso quantitativo di energia di 2,1 kg di gas naturale e addirittura di 2,8 kg di benzina
(idrogeno.assogastecnici.federchimica.it).

Prima di addentrarsi nel merito degli studi e dei progetti attuali riguardanti l’idrogeno è pero interessante
ed utile citare le attuali applicazioni dello stesso, ed anche quelle passate. Dall’anno della sua scoperta
(1776) da parte del chimico inglese Henry Cavendish (nota: Cavendish chiamò l’elemento appena
scoperto “aria infiammabile”, mentre il nome di idrogeno, letteralmente “generatore di acqua”, venne
affibbiato da Antoine Lavoisier sette anni più tardi) gli impieghi di tale molecola sono stati molteplici. A
inizio del Novecento, proprio per via della sua bassissima densità, l’idrogeno era utilizzato come gas di
riempimento per gli areostati e altri tipi di aeronavi. Questo singolare impiego venne però abbandonato
dopo che nel 1937 un dirigibile tedesco (l’Hindenburg) prese fuoco colpendo il pilone d’ormeggio,
provocando la morte di 34 passeggeri. Da allora e fino al secondo dopoguerra l’idrogeno venne
momentaneamente trascurato, e solo dopo il 1973 (anno della prima crisi petrolifera) ottenne
nuovamente l’attenzione delle istituzioni. Proprio nel ’73 fu infatti organizzata a Miami la prima
Conferenza Internazionale sull’Idrogeno e nacque l’International Association for Hydrogen Energy. Nel
1983 William Conrad riuscì a far volare il primo aereo alimentato a idrogeno liquido, nel ’92 la Germania
realizzò la prima casa solare in grado di produrre idrogeno tramite elettrolisi per l’immagazzinamento

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dell’energia, l’anno seguente il Giappone fissò un piano trentennale per l’idrogeno da ben 2 miliardi di
dollari, nel ’94 vennero introdotti in Belgio i primi autobus urbani alimentati a idrogeno e nel 1997
apparvero i prototipi delle prime automobili a celle a combustibile, con il commercio pubblico di idrogeno
per auto e tir che iniziò poco tempo dopo, nel 1999 (tavolaperiodica.altervista.org).

Attualmente, invece, l’idrogeno trova grande applicazione nell’industria chimica, dove viene impiegato
per la sintesi di numerose sostanze: dall’ammoniaca al metanolo, dagli idrocarburi ai saponi, fino a
prodotti edibili come le margarine (ottenute tramite idrogenazione di oli grassi vegetali e animali). Viene
poi utilizzato nell’industria petrolifera per trattamenti di idrocracking e di idroraffinazione, in quella
metallurgica per la riduzione diretta di alcuni ossidi metallici e per le saldature, e anche in ambito
aerospaziale, dove l’elevato potere calorifico dell’idrogeno (usato come propellente per i missili) permette
di ridurre il quantitativo di carburante, favorendo così il decollo e l’autonomia di volo (treccani.it).

Ad oggi però, con i problemi climatici che affliggono la comunità mondiale e che mettono in profonda
discussione i vecchi paradigmi di approvvigionamento energetico e di consumo, l’idrogeno ha anche la
possibilità di giocare un ruolo fondamentale nel processo di transizione ecologica verso il quale i Paesi
stanno camminando. Esso può infatti essere considerato una fonte energetica secondaria (altrimenti detta
un vettore energetico) e, in tal senso, un possibile mezzo per lo stoccaggio di energia. Negli ultimi decenni
si è dunque iniziato a pensare all’idrogeno come il combustibile che potrebbe annullare la produzione di
anidride carbonica in tutti gli utilizzi finali: dai mezzi di trasporto ai settori dell’industria pesante, fino alla
generazione stessa di energia elettrica.

Ovviamente, però, le soluzioni non sono semplici rispetto a quanto lo possono sembrare. Proprio perché
l’idrogeno si trova in natura combinato assieme ad altri elementi e non libero nella sua forma molecolare,
ha bisogno di essere separato artificialmente, con un dispendio di energia da fonti primarie che risulta
decisamente maggiore di quella che viene resa disponibile con la successiva combustione dell’idrogeno
stesso (tavolaperiodica.altervista.org). La sostenibilità della sua produzione, così come i problemi legati
allo stoccaggio e al trasporto, sono dunque l’ostacolo principale per la sua rapida diffusione, ma è
innegabile che le prospettive di un suo impiego, soprattutto in tutti i settori cosiddetti “hard to abate”,
aprono ad interessanti scenari e giustificano l’interesse e gli sforzi economici dei diversi Paesi.

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L’idrogeno e i suoi “colori”

Parlando di idrogeno, è ormai normale vedere associato ad esso un attributo cromatico. Per esempio, chi
in questi tempi non ha mai sentito parlare di idrogeno “verde”? E non è inusuale anche sentirlo nominare
in affiancamento al colore blu, grigio o marrone (e non solo). Ma allora: quale significato occorre dare a
questa convenzione? L’idrogeno infatti è di per sé un gas totalmente incolore, e dunque non bisogna
pensare che questa “classificazione cromatica” trovi riscontro nel modo in cui esso si mostra all’occhio
umano. Tale attributo viene invece coniato per descrivere il processo adoperato per estrarre l’idrogeno e
renderlo utilizzabile come vettore di energia (l’approfondimento sulle diverse applicazioni dell’idrogeno
verrà affrontato più avanti nella letteratura, in una sezione ad esso dedicata). Come è stato scritto nel
capitoletto precedente, infatti, pur essendo un elemento estremamente diffuso nell’universo esso non si
trova mai nella sua forma molecolare libera. Questo comporta che per separarlo dal resto della materia
con la quale è legato sia necessario un processo di estrazione che prevede il dispendio di una certa quantità
di energia: a seconda della fonte di energia utilizzata (e quindi dell’impatto ambientale di tale processo) la
produzione dell’idrogeno viene perciò classificata secondo una scala cromatica convenzionale, che verrà
descritta di seguito.

I vari “colori dell’idrogeno”, ovvero i suoi diversi metodi di “produzione”, sono dunque i seguenti:

▪ Idrogeno “marrone”:

Esso deriva dal processo di gassificazione del carbone, con il quale viene attualmente realizzato
circa il 23% della produzione diretta globale di idrogeno (eai.enea.it). Quest’attività consiste nella
parziale ossidazione (POX, da Partial Oxidation) del carbone, tramite cui quest’ultimo viene
convertito quasi del tutto in combustibili gassosi (per lo più idrogeno, ossido di carbonio e altri
idrocarburi leggeri) che, una volta “ripuliti”, possono essere impiegati per vari scopi: come
combustibili, appunto, ma anche come materia prima utile per i diversi processi industriali che
sono stati elencati nelle pagine che precedono.
La reazione può avvenire sia cataliticamente che non, come vediamo riportato di seguito
(Newborough & Cooley, 2020):
reazione catalitica: CnHm + 0.5nO2 → nCO + 0.5mH2
reazione non catalitica: CnHm + nH2O → nCO + (n + 0.5m)H2

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In entrambi i casi, poi, il mix di idrogeno e monossido di carbonio (“syngas”) deve essere trattato
tramite Water-Gas Shift Reaction (WGS) per rimuovere il CO generato:
CO + H2O → CO2 + H2
Per l’ossidazione parziale del carbone, da cui tra l’altro deriva quasi tutto il calore necessario per
la gassificazione, si distinguono comunque tre differenti processi applicabili (energoclub.org):
i. fixed-bed: opera a bassa temperatura (425-650 °C) e produce un gas che contiene al suo
interno numerosi “prodotti devolatilizzati”, tra cui metano, etano e altri idrocarburi
liquidi.
ii. fluidized-bed: opera a temperature intermedie rispetto agli altri due processi (925-1040
°C), perciò anche le caratteristiche e la composizione del prodotto finale risultano essere
un ibrido rispetto ai risultati di questi.
iii. entrained-bed: opera ad alta temperatura (sopra i 1260 °C) e per questo i gas ottenuti sono
pressochè privi di prodotti devolatilizzati.
La produzione di idrogeno tramite gassificazione del carbone risulta essere la soluzione più
inquinante tra tutte quelle ad oggi adottate, con valori di CO2 prodotta che si attestano intorno
alle 18-20 t per 1 t di H2 ottenuta (elettricomagazine.it). Questo processo è largamente applicato
in Cina, dove il costo più elevato del gas naturale rende l’alternativa dello Steam Methane
Reforming (SMR) meno competitiva. Si pensi che ogni anno circa il 2% del consumo globale di
carbone (parliamo di 107 Mt) viene impiegato per tale scopo (eai.enea.it).

▪ Idrogeno “grigio”:

In questo caso l’idrogeno viene ricavato a partire dal gas naturale (più precisamente dal metano)
attraverso uno tra i seguenti processi: Steam Methane Reforming (SMR) e Autothermal
Reforming (ATR). Di seguito viene riportata una breve descrizione per entrambi (Newborough
& Cooley, 2020):

i. Steam Methane Reforming: processo endotermico che richiede un elevato apporto di


calore (fino a 1000 °C) e di acqua, sotto forma di vapore molto caldo. La reazione che ha
luogo è la seguente:
CH4 + H2O → CO + 3H2

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A monte di tale processo, tra l’altro, il metano (CH4) deve essere depurato dalle tracce di
zolfo presenti in esso per evitare che queste interferiscano con la reazione (fenomeno di
catalyst poisoning).
Attualmente, per la sua facilità di controllo e per la relativa economicità degli impianti
necessari, la maggior parte dell’idrogeno è prodotta proprio tramite SMR, con una
potenza installata in tutto il mondo di circa 300 GW (nota: un singolo “reformer” ha una
capacità che oscilla tra i 50 e i 1000 MW).

ii. Autothermal Reforming: rispetto allo SMR, qui la temperatura di esercizio è più elevata
(fino a 1150 °C) e alla reazione di reforming viene affiancata quella di ossidazione tramite
l’apporto di ossigeno:
4CH4 + O2 + 2H2O → 4CO + 10H2
E’ importante sottolineare, in questo caso, che l’ATR è più efficiente dello SMR in quanto
la reazione esotermica di ossidazione fornisce essa stessa il calore (o parte di esso)
necessario perché il reforming abbia luogo.
Per entrambi i metodi è comunque necessario passare attraverso un trattamento WGS
per eliminare il monossido di carbonio e ottenere un mix gassoso di idrogeno e anidride
carbonica, come è stato mostrato nel caso dell’idrogeno marrone.
La produzione di idrogeno tramite reforming è ad oggi la pratica più comune a livello globale,
con circa 205 miliardi di metri cubi di gas naturale (pari al 6% del consumo annuo) impiegati a
tale scopo e che coprono oltre il 70% del totale di idrogeno prodotto (eai.enea.it). Come si evince
dalle formule di reazione, però, anche questo processo porta alla produzione di enormi quantità
di anidride carbonica: circa 10 t per 1 t di H2. Basti pensare che idrogeno marrone e idrogeno
grigio generano insieme un’emissione annua di 830 Mt di CO2, a fronte di una produzione di 70
Mt di H2 (eai.enea.it).
Nota: attualmente è stato proposto di fissare al 98% la percentuale minima relativa alla purezza
dell’idrogeno utilizzabile per la combustione (Newborough & Cooley, 2020). Poiché SMR e ATR
raggiungo rispettivamente solo il 94% e il 93% (mentre la POX si ferma addirittura all’87%), un
ulteriore passaggio di depurazione si renderebbe necessario.

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▪ Idrogeno “blu”:

Questa specifica “declinazione cromatica” dell’idrogeno è attualmente al centro dell’attenzione e


del dibattito politico-scientifico in tutti i Paesi impegnati per la transizione ecologica, in quanto
presenta alcune caratteristiche che la rendono particolarmente appetibile per l’implementazione
di una strategia per l’idrogeno che giunga gradualmente al net zero, assicurando al contempo una
disponibilità immediata di H2, in quantità soddisfacenti per un suo utilizzo su larga scala (in questa
sezione l’argomento verrà soltanto accennato: sarà dato il doveroso spazio a questo tema più
avanti nella discussione).
Il processo utilizzato per ottenere l’H2 non differisce in nulla rispetto a quanto presentato in
riferimento all’idrogeno marrone e all’idrogeno grigio, ma in questo caso la CO2 viene gestita e
catturata tramite un sistema di Carbon Capture Utilization and Storage (CCUS, o CCS), che la
“imprigiona” e permette perciò di ottenere un’emissione netta molto più bassa (la riduzione si
attesterebbe intorno al 47-53% rispetto al totale, secondo quanto riportato da Ingale et al. (2022)).
Ma come funziona la CCS? Molto semplice (a parole): l’anidride carbonica prodotta dal SMR
viene catturata prima che venga liberata in atmosfera come scarto di processo ed è
successivamente stoccata nel sottosuolo a grandi profondità (energyfactor.exxonmobil.eu).
Il grosso ostacolo per tale tecnologia è rappresentato dalla consistente quantità di energia che è
necessaria per permettere il suo funzionamento. Si pensi che rispetto all’energia necessaria per lo
SMR (da cui proviene l’idrogeno grigio), la CCS impatta con un ulteriore 17-22% di fabbisogno
energetico (Ingale et al., 2022). Sono perciò sotto la lente d’ingrandimento diverse soluzioni
tecniche che dovrebbero promettere un efficientamento del processo e renderlo disponibile su
vasta scala (e dunque con un surplus di costo accettabile), come ad esempio l’utilizzo di specifiche
celle a combustibile modulari che, oltre alla cattura dell’anidride carbonica fino al 90%,
potrebbero allo stesso tempo generare elettricità tramite essa e dunque recuperare efficienza
dall’attività stessa (energyfactor.exxonmobil.eu).
I pareri scettici intorno a questo approccio all’idrogeno non sono pochi. I pochi siti di stoccaggio
ad oggi presenti nel mondo (iea.org), la grande quantità di Fugitive Methane Emissions (FME)
ad esso connessa (Ingale et al., 2022) e l’incertezza sulla tenuta del tappo geologico che dovrebbe
evitare la graduale dispersione della CO2 in atmosfera (Armaroli, 2021) farebbero pensare che
l’impatto dell’idrogeno blu nella battaglia verso la transizione ecologica sia limitato.
Tuttavia, nonostante il processo non sia esente da controindicazioni, l’interesse verso di esso è
molto alto da parte di tutti Paesi. La necessità di iniziare quanto prima a utilizzare l’idrogeno come
vettore energetico per decarbonizzare gli end-use “hard to abate” spinge infatti verso l’adozione
di tecnologie ben collaudate, che assicurino nel breve e medio termine i volumi di H2 necessari e

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consentano di appoggiarsi alle infrastrutture già esistenti (la rete gas), aggiornandole con
investimenti mirati e sostenibili che traghettino gradualmente verso una configurazione
completamente green (modofluido.hydac.it).
A riprova di ciò è utile menzionare come l’IPCC delle Nazioni Unite (Intergovernmental Panel
on Climate Change), su 116 alternative studiate al fine di contenere il riscaldamento globale al di
sotto del limite dei 2 °C, ne abbia sviluppate addirittura 101 in cui la tecnologia di Carbon Capture
and Storage gioca un ruolo fondamentale (iogp.org). Al contempo, poi, l’IEA (International
Energy Agency) ha posizionato la CCS al terzo posto nelle sue proiezioni di mitigazione delle
GHG emissions, dietro solo all’efficientamento energetico e alle RE (Renewable Energies).
E’ vero: pare strano che nelle strategie internazionali per il raggiungimento del net zero il settore
Oil & Gas giochi ancora un ruolo così centrale. E’ assolutamente fondamentale che in questa fase
così critica le forze in gioco si adoperino seriamente per raggiungere soluzioni sostenibili e
concrete, evitando ogni tipo di greenwashing e ponendo in secondo piano l’interesse proprio o
“l’istinto di sopravvivenza” (Nicola Armaroli su “ilbolive.unipd.it”). Tuttavia è ragionevole, in
un’ottica di lungo termine (gli obiettivi dell’UE hanno come data di termine il 2050), che nella
prima fase di questa transizione ecologica le imprese e i governi sfruttino le tecnologie e le
infrastrutture già collaudate, per preparare il terreno al net zero e fornire un contributo immediato
e sostanziale all’abbattimento dell’impronta carbonica.

▪ Idrogeno “verde”:

Quella dell’idrogeno verde è sicuramente la tecnologia che ad oggi desta il maggiore interesse da
parte dell’opinione pubblica, in quanto è l’unica a garantire un processo totalmente green e
decarbonizzato.
Ma di cosa si tratta? Quando si parla di idrogeno verde si intende che la sua produzione è esente
(o quasi) da emissioni di CO2 in atmosfera: questo si concretizza grazie al fatto che l’energia
necessaria utilizzata per innescare le reazioni proviene da fonti completamente rinnovabili (quali
solare, eolico, idroelettrico, geotermico, biomasse…) e che la materia prima da cui l’H 2 viene
estratto non ha nulla a che vedere con le risorse fossili citate precedentemente.
La tecnologia ad oggi più consolidata per tale scopo è l’elettrolisi dell’acqua, alimentata
dall’elettricità generata da parchi fotovoltaici ed eolici (eai.enea.it). Durante tale processo l’acqua
viene scissa nei suoi elementi costituenti (idrogeno e ossigeno) per via elettrochimica (“water
split”, cita elettricomagazine.it): in tal senso ci si assicura che le emissioni di CO 2 derivate dal
processo siano nulle, potendo dunque concentrarsi sull’approvvigionamento da fonti rinnovabili

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dell’energia necessaria al fine di ottenere un ciclo operativo completamente pulito. La reazione di
elettrolisi dell’acqua avviene in un singolo step ed è molto semplice, come possiamo vedere qui
di seguito:
2H2O → 2H2 + O2
La purezza dell’idrogeno ottenuto in questo modo è davvero molto alta (superiore al 99,5%), e
per tale motivo non si rende necessario alcun trattamento di raffinazione ulteriore, a differenza
di quanto mostrato in relazione all’idrogeno grigio, ad esempio.
Un punto a favore di tale tecnologia risiede nel fatto che le celle elettrolitiche sono utilizzate da
molto tempo e non rappresentano perciò un terreno completamente inesplorato, con
un’efficienza nella conversione dell’elettricità in H2 che oscilla addirittura tra il 70 e l’80%
(Newborough & Cooley, 2020). Tuttavia, finora queste sono sempre state dimensionate per una
produzione di nicchia e dunque una delle sfide da affrontare nel breve periodo è proprio quella
di riuscire a sviluppare sistemi che consentano una produzione di tipo industriale (fino al GW di
potenza) capace di sfruttare economie di scala ed essere al contempo più efficiente e flessibile per
meglio affiancarsi agli impianti di generazione di energia basati sulle risorse rinnovabili
(rivistaenergia.it).
Le tecnologie attualmente disponibili per gli elettrolizzatori sono diverse, con alcune che al
momento risultano più consolidate ed altre che richiedono tempo e studi ulteriori per poter essere
sfruttate su ampia scala. Di seguito vengo presentate le 4 principali:

i. Cella Elettrolitica Alcalina (AEC o AEL): è la soluzione al momento più diffusa in quanto
la conoscenza su di essa è ormai molto approfondita. Inoltre presenta la possibilità di
sviluppare celle elettrolitiche (“stack”) nell’ordine dei MW di potenza.
La temperatura di esercizio è relativamente bassa (100 – 150°C), l’elettrolita utilizzato è
una soluzione di idrossido di sodio o di potassio (purtroppo molto corrosiva), mentre
anodo e catodo sono tenuti divisi l’uno dall’altro tramite un diaframma (crowcon.com).
Il funzionamento è il seguente: l’acqua viene scissa al catodo, dove si formano H2 e anioni
idrossido, e in un secondo momento questi ultimi passano all’anodo dove si ricombinano
per generare ossigeno.
Tale soluzione, essendo notevolmente consolidata, è caratterizzata da un basso costo del
capitale e garantisce una buona stabilità. Di contro, risulta meno flessibile rispetto alla
PEM.
ii. Membrana a Scambio Protonico (PEM): meno efficiente della tecnologia appena
presentata, ma in grado di offrire maggiore flessibilità di utilizzo, con “una risposta
dinamica più rapida e intervalli di potenza di funzionamento più ampi” (rivistaenergia.it).

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Questa soluzione decisamente più recente vede l’utilizzo di un particolare materiale
plastico solido come elettrolita e opera a temperature ancora più basse di quelle viste per
l’AEC (70 – 90°C). L'acqua si scinde all'anodo in O2 e protoni idrogeno (carica positiva),
con gli elettroni che vengono convogliati in un circuito esterno. Successivamente l’H +
passa attraverso la speciale membrana polimerica e giunge al catodo, dove si incontra
nuovamente con gli elettroni del circuito esterno per formare H2 (crowcon.com).
Come detto, questa soluzione presenta pro e contro rispetto alla precedente. Oltre alla
flessibilità del sistema, anche la purezza del gas prodotto è più elevata e inoltre essa rende
possibile lo sviluppo di sistemi più compatti. Il rovescio della medaglia è però costituito
dalla minor durata dello stack e dagli elevati costi del capitale.
In ultima istanza è poi importante sottolineare come è vero che gli elettrolizzatori sono
utilizzati da molti anni in ambito industriale, ma che la loro applicazione energetica
richiede notevoli sforzi ulteriori per adattarsi ai frequenti cicli avvio-arresto a cui è
sottoposta.

iii. Membrana a Scambio Anionico (AEM): questa tecnologia presenta dimensioni (potenze,
per la precisione) della cella elettrolitica molto minori rispetto a quelle delle due alternative
descritte sopra: si parla infatti di stack nell’ordine di alcuni KW, rispetto ai MW considerati
prima. Tuttavia è una soluzione che presenta alcune potenzialità e che potrebbe trovare
la sua applicazione ideale attraverso moduli standardizzati, nell’ambito di una produzione
di idrogeno decentralizzata/distribuita (rivistaenergia.it).

iv. Cella Elettrolitica ad Ossido Solido (SOEC): rispetto a quanto visto per le tre tecnologie
precedenti, in questo caso l’elettrolisi non viene compiuta a partire dall’acqua, ma da
vapore ad alta temperatura. La temperatura di esercizio è perciò nettamente più alta,
aggirandosi tra i 700 e gli 800°C, mentre l’elettrolita è costituito da un materiale ceramico
solido.
Lo studio attorno alle celle SOEC è ancora ai primi passi, ma le potenzialità sembrano
essere concrete, con valori di efficienza termica e di potenza che promettono molto bene
a dispetto di costi relativamente contenuti (crowcon.com).
Il processo di elettrolisi si svolge come descritto di seguito. Al catodo, il vapore si combina
con gli elettroni del circuito esterno generando H2 gassoso e ioni ossigeno caricati
negativamente. Questi ultimi, poi, passano all’anodo attraverso l’elettrolita ceramico e qui
reagiscono per formare O2 gassoso e generare gli elettroni che alimentano il circuito
esterno.

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Al momento l’elettrolisi è dunque la tecnologia principale attraverso la quale l’idrogeno verde
viene prodotto, ma ci sono numerose ricerche in atto per individuare nuove tecniche e nuovi
processi validi (eai.enea.it). Per citarne alcuni: la produzione dalle biomasse, il “water splitting”
innescato dal calore prodotto da impianti solari a concentrazione, e infine lo steam reforming
alimentato da materie prime rinnovabili quali i biogas (in realtà questa terza alternativa viene
presentata in modo più ampio nella sezione dedicata all’idrogeno turchese).
Insomma, è chiaro come il futuro dell’energia debba senza alcun dubbio comprendere l’H2
prodotto da fonti green all’interno dei piano strategici nazionali e internazionali di lungo periodo.
Per fare ciò è assolutamente necessario che si lavori congiuntamente per l’abbattimento del gap
di costo rispetto ai processi tradizionali e per ridurre le incertezze normative intorno a questi temi
(Newborough & Cooley, 2020), al fine di tracciare una rotta chiara ed inequivocabile per tutte le
imprese impegnate nella transizione ecologica. Ad ogni modo, questi argomenti troveranno il loro
spazio nelle sezioni successive.

▪ Idrogeno “viola”:

Anche conosciuto con l’appellativo di idrogeno “rosa” (elettricomagazine.it), questa tipologia di


processo riprende esattamente la tecnologia analizzata al punto precedente, ma si differenzia per
la fonte di energia utilizzata per innescare le reazioni. Infatti, come nel caso dell’idrogeno verde,
si osserva l’impiego di elettrolizzatori per scindere l’H2O in H2 e ossigeno, ma in questa
circostanza la corrente elettrica necessaria per mantenere l’impianto in esercizio viene fatta
provenire da una centrale nucleare (mondoidrogeno.com).
Se dunque è vero che le emissioni di anidride carbonica sono nulle, come quando la reazione di
elettrolisi è spinta da una fonte di energia rinnovabile, occorre altresì considerare che questo
scenario presenta alcune criticità e controindicazioni aggiuntive che necessitano di essere
attenzionate. Il bilancio di impatto ambientale di una fonte energetica deve infatti comprendere
tutte le possibili cause di inquinamento, e la produzione di scorie nucleari (fercam.com) è una di
queste.
Tali scorie devono essere gestite in siti creati appositamente e rimangono radioattive per più di
400 anni: è per questo (ed anche per ragioni economiche) che molti Paesi europei che in passato
avevano investito sul nucleare, come Germania e Inghilterra, hanno avviato una graduale
dismissione dei loro impianti e preferiscono affidarsi ad altre fonti di energia per la produzione
di idrogeno (mondoidrogeno.com). Basti pensare che in Europa solo la Francia risulta essere una
produttrice di H2 viola.

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▪ Idrogeno “turchese”:

L’idrogeno turchese, come succede per l’idrogeno grigio e blu, viene estratto a partire dal gas
metano, ma in questo caso è il processo di produzione a differenziarsi molto dai precedenti. In
tale contesto si parla infatti di pirolisi del CH4, dove il riscaldamento del gas in assenza di ossigeno
riesce a rompere i legami chimici delle molecole e portare alla seguente reazione (Newborough &
Cooley, 2020):
CH4 → 2H2 + C
Come si può facilmente notare, dunque, questa tecnica dovrebbe mettere al riparo dalle emissioni
di anidride carbonica in atmosfera poiché manca l’elemento O2 con il quale gli atomi di carbonio
potrebbero legarsi: tuttavia la realtà non è poi così semplice da spiegare.
Quando si calcolano le Greenhouse Gas (GHG) Emissions di un determinato processo, infatti, i
fattori da prendere in considerazione sono molteplici. Nel caso dell’idrogeno turchese di tipo
“NG-NG”, ovvero quello ottenuto utilizzando il gas naturale sia come materia prima da cui
ricavare l’H2 che come fonte di calore (NG, da “natural gas”), bisogna valutare l’impatto delle
seguenti voci (Ingale et al., 2022): la fonte di calore primaria per estrarre l’idrogeno, l’eventuale
fonte di calore per la cattura dei gas di scarico (FGC, da Flue-Gas Capture), le emissioni indirette
generate nella produzione, processamento e trasporto del metano e, infine, le fughe di gas
(Fugitive Methane Emissions, FME) tipiche del processo. Ci si accorgerà così che la riduzione di
CO2 emessa in atmosfera si attesta sul 71% se comparata all’emissione generata per l’idrogeno
grigio, mentre risulta del 46% circa rispetto a quanto accade con l’idrogeno blu (Ingale et al.,
2022): insomma, un abbassamento sostanziale, ma certamente lontano dal net zero.
Oltre a ciò, poi, non bisogna dimenticare di considerare il fabbisogno energetico specifico per
ogni alternativa, che in tal caso penalizza abbastanza l’H2 turchese: ben il 79% e il 53% maggiore
rispetto ai due procedimenti citati sopra.
Considerato ciò e aggiungendo il fatto che il processo di pirolisi comporta FME molto più elevate
rispetto allo SMR e dunque maggiori GHG emissions (nota: le Fugitive Methane Emissions sono
direttamente proporzionali all’ammontare di gas naturale impiegato, e in questo la pirolisi risulta
una tecnica molto meno efficiente rispetto alle “concorrenti”), si può ben capire che i trade-off
insiti in tale soluzione siano molteplici.
Tuttavia, sono attualmente al vaglio alcune alternative che vedono la sostituzione del NG con RE
(energia rinnovabile) come fonte di calore e l’introduzione di biogas (BG) al posto del metano
come materia prima da cui ottenere l’idrogeno. Sempre secondo quanto riportato da Ingale et al.
(2022), l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili porta a soluzioni il 61% meno impattanti dal punto
di vista delle emissioni di CO2, mentre il passaggio da gas naturale a biogas permette addirittura

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(in abbinamento alle RE) di ottenere il net zero, con solo un 2% extra di energia necessaria
rispetto alla configurazione NG-RE (nota: la combustione del biogas è considerata carbon
neutral). Infine, è doveroso citare la possibilità di una pirolisi “BG-RE Boud” e “BG-BG Boud”,
dove l’anidride carbonica generata dalla separazione del bio-metano viene tramutata in monossido
di carbonio tramite la cosiddetta Boudouard reaction, con il risultato di avere un bilancio di
emissione con segno negativo.
Alla luce di ciò, l’utilizzo dell’idrogeno turchese appare assolutamente interessante nell’ottica di
sfruttare le infrastrutture del gas già esistenti e consolidate per aiutare nella graduale riduzione
delle GHG emissions. In tal senso, l’impegno nel ridurre al minimo le FME e l’impiego del BG
come sostituto del NG sono due punti cruciali che possono fare la differenza nel determinare
l’efficacia ambientale di tale tecnologia (Ingale et al., 2022).

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I costi dell’idrogeno

Nella sezione precedente sono state presentate brevemente le diverse alternative ad oggi percorribili per
la produzione di idrogeno. E’ dunque facile intuire, dopo tale passaggio, come esse si discostino molto le
une dalle altre non solo in termini di tecnologia impiegata, materie prime di riferimento e indice di impatto
ambientale, ma anche dal punto di vista della maturità tecnologica e dei costi di produzione ad esse
connessi.

E proprio i costi di produzione sono un elemento fondamentale per il futuro dell’idrogeno, in quanto da
essi dipende in grande misura la diffusione e il successo di un’alternativa (o di più alternative) sulle altre.
E’ evidente che tecnologie già bene consolidate come quelle relative all’H 2 grigio e marrone siano
estremamente avvantaggiate da questo punto di vista rispetto alle opzioni rivali, che in molti casi stanno
attraversando proprio ora le fasi inziali del loro sviluppo. Poter contare su infrastrutture già “rodate” e
su competenze decennali o addirittura secolari mette infatti al riparo dalla necessità di investimenti esosi
per spingere la tecnologia, con i CAPEX che sono già stati ammortizzati in passato e dunque pesano in
modo del tutto marginale sul prezzo finale dell’idrogeno prodotto.

D’altro canto, però, le diverse “tonalità” di idrogeno non sono tutte accettabili da un punto di vista
ambientale, anzi: sono proprio le alternative più a basso costo quelle che meno si possono conciliare con
le necessità odierne di combattere il riscaldamento globale e avvicinarsi al Net Zero Goal entro il 2050.
Inoltre, a un’analisi più attenta si può notare come vi siano alcune tecnologie (come, ad esempio, quella
relativa all’H2 blu) che, legando l’utilizzo di materie prime e impianti tradizionali alla cattura dell’anidride
carbonica emessa, offrono prospettive di costo sostenibili già nell’imminente e un impatto ambientale
ridotto, ponendosi come eventuali mezzi di transizione verso un’economia dell’idrogeno completamente
green. I dati di costo non sono dunque da considerare semplicisticamente come dei meri dati di fatto con
cui dover fare i conti, ma anzi: devono essere uno degli spunti principali da cui i governi e le istituzioni
devono partire per formulare strategie oculate e indirizzare lo sviluppo nella traiettoria più auspicabile,
facendo crescere il mercato (e di conseguenza la domanda) dell’idrogeno e mettendo le imprese e i centri
di ricerca nelle condizioni ottimali per migliorare le tecnologie ancora “acerbe” e raggiungere economie
di scala che inducano un livellamento dei costi di produzione delle alternative a impatto zero rispetto a
quelle legate al vecchio paradigma.

Di seguito viene dunque fornita una overview degli attuali costi di produzione relativi alle tecnologie
citate (sono state inserite quelle per cui è stato possibile individuare i dati e che, soprattutto, sono incluse
nelle principali strategie internazionali per l’idrogeno), i forecast previsti e i fattori chiave per ridurre il
gap competitivo dell’idrogeno verde rispetto all’H2 grigio e blu.

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A partire dai dati riportati dall’IRENA (International Renewable Energy Agency) e dal sito
“mondoidrogeno.com”, sono stati estrapolati i seguenti grafici al fine di mostrare visivamente l’attuale
vantaggio dell’idrogeno grigio e blu rispetto alle soluzioni a zero emissioni ed evidenziare due ipotetici
trend di diminuzione dei costi a lungo termine (nota: i costi sono espressi in termini di €/kg di H2):

Figura 2 - Costi di produzione, best case (mondoidrogeno.com) Figura 1 - Costi di produzione, worst case (mondoidrogeno.com)

Per quanto concerne l’H2 ottenuto tramite SMR, si può notare come il costo di produzione oscilli tra 1€
e 1,5 €/kg. Un dato così basso è dovuto in gran parte, come anticipato sopra, alla maturità della
tecnologia, che vede i costi di impianto totalmente ammortizzati. A questo si aggiunge il prezzo contenuto
dell’energia proveniente dal metano (circa 0,025 €/kWh). Il valore indicativo di costo si ottiene
moltiplicando quest’ultimo parametro per i circa 50 kWh necessari per realizzare 1 kg di idrogeno
mediante il reforming.

Per ottenere il costo di produzione dell’idrogeno blu, invece, basta considerare la spesa necessaria per il
sequestro dell’anidride carbonica e sommarla alle cifre sopra citate. Per essere precisi, in realtà, occorre
considerare anche una perdita di efficienza del sistema (che passa dal 75-80% dell’H2 grigio a circa il
69%), che porta perciò a un valore di costo di 1,5 – 2 €/kg e ad una proiezione di lungo periodo di poco
inferiore (1,25 – 1,75 €/kg).

Davanti a questi numeri appare immediato quale opportunità possa costituire l’idrogeno blu, fin da
subito. Esso infatti si appoggia su una tecnologia collaudata e sull’uso di una materia prima fossile, e per
questo consentirebbe una riduzione immediata e consistente delle emissioni a costo quasi pari al più
diffuso processo di reforming. Non è un caso dunque che, come anticipato nella sezione precedente,
l’IPCC delle Nazioni Unite (Intergovernmental Panel on Climate Change) abbia considerato
fondamentale la CCS in 101 scenari su 116, al fine di contenere il riscaldamento globale al di sotto del
limite dei 2 °C (iogp.org). Per tale ragione è importante che tutti i Paesi (e ovviamente anche l’Italia, su

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cui verterà il focus nel prosieguo della trattazione) considerino concretamente questa soluzione all’interno
delle loro strategie di “power to hydrogen”, come passaggio graduale verso lo “zero emissioni” che
allontani al contempo il rischio di una vera e propria cannibalizzazione delle FER da parte dell’idrogeno
verde nella sua fase di espansione (rivistaenergia.it).

Sul fronte dell’idrogeno ottenuto tramite elettrolisi dell’acqua alimentata da fonti rinnovabili l’analisi è
decisamente più complessa, così come più elevati sono i costi ad esso connessi. Le tecnologie al momento
disponibili (celle Alcaline, PEM, AEM e celle ad Ossido Solido) si trovano tutte e quattro in fasi diverse
di sviluppo e sono caratterizzate da componenti e complessità non sempre paragonabili. Tuttavia, come
mostra il diagramma a torta qui di seguito, è l’elettricità da FER il maggiore ostacolo alla competitività
dell’idrogeno verde (Patonia & Poudineh, 2022):

Figura 3 - Cost drivers idrogeno verde, al 2019 (Patonia & Poudineh, 2022)

Oltre ad essa, se si considerano le voci di costo strettamente legate alla tecnologia (i CAPEX), si
individuano quattro principali fattori (Patonia & Poudineh, 2022): lo stack (la cella elettrolitica), i
componenti di elettronica necessari per il controllo e la conversione dell’energia elettrica (AC/DC), il
sistema di gas conditioning che serve a mantenere costante la pressione dello stesso e a purificare
l’idrogeno, i componenti necessari al balance dell’impianto (per il recupero e la dispersione del calore, per
il raffreddamento e la ventilazione, i sistemi di sicurezza e di controllo ecc.). Tutti questi incidono
differentemente in termini percentuali e assoluti, a seconda della tecnologia considerata (fig. 4 e tab. 2).

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Figura 4 - Ripartizione dei costi di un elettrolizzatore da 1 MW (Patonia & Poudineh, 2022)

Costo approssimato dei componenti ($/kW) per un elettrolizzatore da 1 MW


Componenti AEC PEM AEM SOEC
Stack 270 - 450 480 -870 >177 690 - 2000

Power electronics 81 - 135 100 – 217.5 ~167.5 690 - 2000

Gas conditioning 81 -135 67 - 145 ~139.5 140- 400

Balance of plant 108 - 180 100 – 217.5 ~447 780 - 2267

Totale 540 -900 667 - 1450 >931 2300 - 6667

Tabella 2 - Costo approssimato dei componenti per un elettrolizzatore da 1 MW (Patonia & Poudineh, 2022)

Si può notare come il costo dello stack sia l’elemento con maggiore peso relativo sia per gli elettrolizzatori
alcalini che per quelli a membrana protonica (in particolar modo la tecnologia PEM, che vede l’utilizzo
di metalli rari quali il platino, presenta un costo dello stack pari a circa il 60% del suo costo totale).
Tuttavia, pur utilizzando materiali meno preziosi, a causa della loro fase di sviluppo ancora acerba anche
le celle ad ossido solido e quelle a membrana anionica mostrano (soprattutto la SOEC) un costo dello
stack elevato in termini assoluti.

Rispetto al costo delle componenti elettroniche si può invece osservare la loro minore incidenza sul totale
dei costi, ad eccezione della tecnologia SOEC che mostra per tale voce un ammontare paragonabile a
quello dello stack. Per quanto concerne gli elementi di gas conditioning, poi, essi risultano l’elemento
meno impattante in tutte e quattro le soluzioni tecnologiche, mentre per il comparto di bilanciamento
dell’impianto si evidenzia un maggiore costo (sia in termini assoluti che percentuali) per le due soluzioni
ferme ancora alla “early stage” di sviluppo: AEM e SOEC. Il plant balance è infatti molto importante per
estendere la durata utile delle membrane, che per queste soluzioni relativamente nuove risulta ancora
molto limitata (Patonia & Poudineh, 2022).

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Tutti questi fattori di carattere tecnico, uniti al prezzo dell’energia rinnovabile già citato, fanno sì che il
costo dell’idrogeno verde si attesti attualmente a circa il triplo di quello blu. Prendendo ad esempio il caso
specifico dell’Italia, dove i costi di eolico e fotovoltaico sono ben più penalizzanti rispetto a quelli dei
Paesi MENA (Middle East & North Africa) per questioni di bassi capacity factors e alti costi locali
generali, il LCOE dell’H2 verde si posizionerebbe a circa 6-8,5 €/kg, contro i 2,3-2,5 €/kg dell’alternativa
“blu” con cattura dell’anidride carbonica (astrolabio.amicidellaterra.it).

Abbattere tale costo è un obiettivo primario affinché la diffusione dell’H2 possa davvero concretizzarsi.
Il primo step da inseguire è la riduzione del costo dell’energia proveniente dalle fonti rinnovabili. Infatti,
sebbene in alcune parti del mondo esse siano già diventate la fonte di corrente elettrica più conveniente
con aste aggiudicate a meno di 20 $/MWh (qualenergia.it), in Paesi come l’Italia dove l’eolico costa circa
68 €/MWh e il fotovoltaico 50 €/MWh (astrolabio.amicidellaterra.it), l’idrogeno verde avrebbe bisogno
di fattori di capacità superiori alle 4000 ore (ad oggi impensabili) per risultare competitivo con la variante
“blu” nel prossimo futuro (nota: “rivistaenergia.it” riporta per il nostro paese una proiezione di costi pari
a 3,7-5,9 €/kg di H2 per il 2030 e di 2,1-4,4 €/kg dopo il 2040, considerando una fonte eolica a elevato
irraggiamento).

Per quanto concerne la tecnologia degli elettrolizzatori, invece, Patonia e Poudineh (2022) individuano i
seguenti possibili fattori di saving (nota: “fontidienergiarinnovabile.it” riporta un dato fornito da IRENA,
secondo cui “fino all’85% dei costi di produzione dell’idrogeno verde può essere ridotto nel lungo
termine, combinando un minor prezzo dell’elettricità agli investimenti per migliorare gli elettrolizzatori”):

- Consumo di energia per “unità di prodotto”: dato appunto il costo elevato dell’energia, migliorare
l’efficienza delle celle elettrolitiche è la prima via percorribile per ridurne l’utilizzo. Gli
elettrolizzatori ad Ossido Solido sono il sistema più avanzato in tal senso, in quanto le alte
temperature operative agevolano la separazione delle molecole di acqua riducendo il fabbisogno
di corrente elettrica.
- Vita utile dello stack: allungare la durata utile delle celle elettrolitiche permetterebbe di distribuire
il costo dell’impianto su volumi di H2 più elevati. Attualmente la tecnologia Alcalina (AEC) è
quella che garantisce il ciclo di vita più ampio, con una durata variabile dello stack tra le 60.000
alle 100.000 ore. Tale risultato è certamente agevolato dal fatto che questa tipologia di sistemi ha
ormai raggiunto un’elevata maturità: è infatti previsto che anche gli altri raggiungano tempistiche
paragonabili, con il progredire del loro sviluppo.
- Dimensione dello stack: aumentare la capacità delle celle o sviluppare sistemi modulari e
standardizzati porterebbe a un netto calo di costi d’impianto per unità di idrogeno prodotte
(IRENA stima che un elettrolizzatore da 20 MW ridurrebbe tale valore di un terzo, rispetto a uno

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da 1 MW). Al momento, però, solo AEC e PEM promettono di poter raggiungere queste
dimensioni.
- Range di carico: data la variabilità dettata dalle fonti rinnovabili, gli elettrolizzatori necessitano di
un range di carico esteso per poter adattarsi a tale regime di “intermittenza” senza compromettere
inesorabilmente l’efficienza. Sotto questo aspetto, le celle PEM e SOEC sono quelle che
garantiscono la flessibilità maggiore, con un range rispettivamente accettato del 5-120% e del 3-
125%.
- Tempo di start-up: questi sistemi sono ancora poco adattabili al regime variabile dettato dalla
fonte rinnovabile e per tale ragione, quando si fermano a causa dell’insufficiente alimentazione,
necessitano di tempi molto lunghi per essere riavviati, con naturali impatti negativi sui costi.
L’unica soluzione che parrebbe poter superare questo ostacolo è la PEM, che registra tempi di
startup compresi tra i 15 e 30 minuti.
- Materie rare: questo aspetto penalizza principalmente le celle a scambio protonico (PEM), le quali
necessitano di platino e iridio per la loro realizzazione. Tale caratteristica porta con sé un secondo
problema molto fastidioso, che è quello della dipendenza della tecnologia dai fornitori (in questo
caso un numero davvero limitato di Paesi, con il Sud Africa a farla da padrone): è per questo,
dunque, che studi ulteriori sono indispensabili per limitare il bisogno di tali materiali.
- Economie di scala: per capire l’importanza di questo fattore, basti pensare che se si raggiungesse
una produzione annua di 1 GW, i costi di produzione degli elettrolizzatori PEM potrebbero
diminuire addirittura del 50%. Collegandosi al punto precedente, inoltre, bisogna sottolineare che
l’utilizzo di materiali rari rappresenta un importante ostacolo per la scalabilità del business,
avvallando quanto detto rispetto alla necessità di sviluppare soluzioni che non ne richiedano
l’impiego (si consideri che l’attuale produzione annua di Ir e Pt potrebbe supportare impianti
PEM per un valore di potenza compreso tra i 3 e i 7,5 GW, contro i 100 GW di domanda che
IRENA stima per il 2030).

In tutto questo, risulta prezioso poter fare riferimento alle evidenze raccolte dallo sviluppo delle energie
rinnovabili, in quanto l’evoluzione dei costi di produzione ad essa legati riescono a fornire una
prospettiva di cosa potrebbe accadere per lo stesso idrogeno verde (Patonia & Poudineh, 2022). La figura
che segue riporta questo dato, confrontandolo con quello delle fonti di energia tradizionali:

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Figura 5 - LCOE delle diverse fonti di energia tra 2009 e 2018 (Patonia & Poudineh, 2022)

Come si evince dal grafico, dunque, le rinnovabili hanno mostrato nell’ultimo decennio un netto calo dei
costi di produzione, rendendole in molti casi concorrenziali con le fonti tradizionali quali il gas metano.
Una buona parte di questo risultato è sicuramente derivata dall’effetto di apprendimento. Per questo
motivo è dunque importante che anche per quanto concerne l’idrogeno verde si punti ad incrementare il
rate di apprendimento tramite: standardizzazione delle tecnologie, specializzazione delle imprese
produttrici di componenti, semplificazione dei processi. E’ confortante, in quest’ottica, vedere come negli
ultimi anni (in particolare nel quinquennio 2015 - 2019) il costo di produzione di un metro cubo di H2
tramite la PEM sia passato da 7600 $ a circa 4900-6000 $: l’obiettivo definito dagli esperti è ora di
raggiungere un rate di apprendimento del 13% per i sistemi a membrana protonica (ora fermi al 7-11%),
per pareggiare quello relativo alla tecnologia fotovoltaica.

L’esperienza fornita dalle rinnovabili ha messo in luce, inoltre, la necessità di pacchetti di policies per
supportare lo sviluppo del mercato, accelerare il calo dei costi e fornire certezze per gli investitori (Patonia
& Poudineh, 2022). Al momento la maggior parte dei Paesi non ha ancora stabilito strategie definite in
tal senso: non è chiaro quale sia il ruolo dell’idrogeno blu, non viene dato peso all’origine più o meno
“green” dell’idrogeno stesso e di conseguenza non è valorizzato il fatto che una soluzione come l’H2
verde possa abbattere sostanzialmente le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Sempre secondo Patonia e
Poudineh (2022), serve pertanto che i governi sviluppino pacchetti di normative concrete, che sostengano
la crescita della supply chain, mitighino il rischio per gli investitori, facilitino l’innovazione e lo sviluppo
delle infrastrutture. Tutto questo, senza dimenticare che le tecnologie per l’idrogeno verde si trovano a
stadi differenti di sviluppo e per questo motivo necessitano di un supporto differente dal punto di vista
delle policies.

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Tuttavia, ulteriori considerazioni a riguardo esulerebbero dallo scopo di questa sezione e per tale motivo
l’approfondimento su tali tematiche viene lasciato alla parte di discussione vera e propria.

E’ però interessante riportare un’iniziativa a livello europeo in cui l’Italia è coinvolta come protagonista
e che punta ad abbattere i costi di produzione dell’Idrogeno verde sotto il muro dei 2 €/kg. Si tratta del
progetto denominato PROMETEO (da “hydrogen PROduction by MEans of solar heat and power in
high TEmperature solid Oxide electrolysers”) e, come si evince dalla sigla estesa, prevede di sfruttare il
calore proveniente dal solare ad alta concentrazione e l’energia elettrica da fonti rinnovabili per sviluppare
un prototipo di elettrolizzatore da 25 kWe (in grado di fornire 15 kg di H2 al giorno), che possa servire a
studiare approfonditamente l’integrazione efficiente di tale tecnologia con gli impianti FER (enea.it).

Tale progetto, coordinato da ENEA, vede coinvolta una pluralità di imprese e istituzioni europee (di cui
molte italiane, appunto) al fine di unire e far fruttare le competenze specifiche riguardanti:
l’ingegnerizzazione e la realizzazione delle celle elettrolitiche, i sistemi di termo-regolazione (plant
balance), l’integrazione con le fonti rinnovabili e la gestione della rete gas (Snam è infatti uno degli attori
in questo progetto). L’investimento totale previsto ammonta a 2,7 milioni di euro e ha una durata di 42
mesi. Dopo tale periodo, il prototipo verrà poi validato presso un impianto fotovoltaico in Spagna.

Lo scopo di PROMETEO è approfondire le soluzioni tecniche adottabili per garantire continuità alla
produzione di idrogeno verde (requisito fondamentale per l’abbattimento dei costi), pur facendo i conti
con l’intermittenza delle fonti rinnovabili. Tuttavia, a prescindere da ciò, esso risulta una grandissima
opportunità per aumentare le competenze specifiche e trasversali che saranno determinanti nel decidere
le sorti di tale risorsa.

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Opportunità Idrogeno: i possibili impieghi

Le sezioni che hanno preceduto hanno cercato di rispondere ad alcuni quesiti fondamentali riguardanti
l’idrogeno. Prima di tutto hanno chiarito brevemente di cosa si tratti e dove esso si possa trovare sul
pianeta Terra. Si è poi dedicato ampio spazio per decifrare l’intricato “codice dei colori” dell’idrogeno,
spiegando in modo dettagliato i molteplici processi da cui tale vettore energetico può essere ricavato e
soffermandosi sul diverso impatto ambientale di ognuno. Per ultimo, proprio basandosi sulle differenze
tra le varie tecnologie attualmente conosciute, si è cercato di incentrare il focus sui costi legati ad esse per
discutere delle reali opportunità e degli ostacoli esistenti alla diffusione delle soluzioni più green.

Tuttavia, prima di procedere all’analisi delle policies e delle strategie internazionali per l’idrogeno, vero
fulcro di questa trattazione, è assolutamente necessario dedicare un capitolo della letteratura per mostrare
quali siano i potenziali utilizzi di tale elemento. Patonia e Poudineh (2022) sottolineano come, per
innescare i fenomeni di miglioramento e apprendimento utili a produrre un calo dei costi di produzione
(e, di conseguenza, a facilitare lo sviluppo e la diffusione di una tecnologia), occorra che vi sia innanzitutto
un bisogno specifico che tale tecnologia sia in grado di soddisfare meglio di qualsiasi alternativa sul
mercato. In questo modo, infatti, la domanda potrà riconoscere nella soluzione offerta la risposta alle
proprie richieste è spingerà per prima le imprese a perfezionarla e ad efficientarla.

Si può dunque capire come il discorso relativo ai costi di produzione e quello inerente agli utilizzi di una
determinata tecnologia siano, sotto un certo punto di vista, inscindibili. Per questo è decisamente
importante indagare per cercare di definire quali siano i bisogni che l’idrogeno (e soprattutto quello
ottenuto a partire da fonti di energia rinnovabile) può soddisfare e se, in tali campi, esso sia davvero la
soluzione migliore. Per quanto riguarda l’avvento e lo sviluppo del fotovoltaico, ad esempio, la domanda
iniziale provenne dal settore aerospaziale (Patonia & Poudineh, 2022), dove c’era un’estrema urgenza nel
trovare un modo per fornire elettricità ai satelliti, che fosse tra l’altro il più economico possibile. A partire
da questo need assai specifico e legato a un settore assolutamente di nicchia, il solare ebbe la possibilità
di svilupparsi: le imprese investirono per migliorare il “prodotto”, la domanda crebbe e man mano il
know-how e i volumi di produzione cumulati permisero di raggiungere i livelli di ottimizzazione e di
standardizzazione dei processi necessari per ottenere il calo dei costi utile a rendere appetibile tale
tecnologia anche per le applicazioni di massa (come la produzione di energia per uso civile e industriale).

Per l’idrogeno c’è la possibilità che si verifichi una spinta simile a quella avvenuta per il solare? C’è una
richiesta, una necessità impellente del mercato e della società che ne giustifichi l’utilizzo e soprattutto che
giustifichi gli investimenti per migliorarne le prestazioni? Probabilmente sì. Come si è detto nella sezione
introduttiva di questa trattazione, la molecola H2 è già impiegata per moltissimi scopi: nell’industria
chimica per la sintesi di numerose sostanze (quali: ammoniaca, metanolo, saponi e margarine), in quella

28
petrolifera per trattamenti di idrocracking e di idroraffinazione, nelle lavorazioni metallurgiche per la
riduzione di ossidi metallici e per le saldature e, addirittura, in ambito aerospaziale come propellente per
i missili (treccani.it). Tuttavia, l’attuale crisi climatica unita alla consapevolezza di dover attuare misure
concrete per frenare il riscaldamento globale generato dalle emissioni inquinanti, sta aprendo all’idrogeno
delle porte che fino a poco tempo fa erano chiuse. Ci si è infatti resi conto che l’elettrificazione non può
costituire l’unica soluzione ai problemi del pianeta. Ci sono campi di applicazione dove le batterie non
sono in grado di fornire prestazioni adeguate alle esigenze, vuoi per i limiti nell’autonomia o per le
dimensioni proibitive. In questi settori cosiddetti “hard-to-abate”, dunque, l’H2 (e più nello specifico
quello ottenuto a partire dalle FER) può davvero proporsi come lo strumento più utile per la loro
decarbonizzazione.

Le pagine che seguono mostrano perciò i possibili impieghi dell’idrogeno e ne discutono l’effettiva bontà:

▪ Trasporti pesanti:

Quando si parla di trasporti pesanti si intende in realtà una pluralità di mezzi di trasporto, con
caratteristiche decisamente diverse le une dalle altre. Bisogna infatti includere in questa categoria:
i camion per il trasporto merci di lungo raggio, i mezzi pubblici metropolitani (autobus), i treni,
le navi e gli aerei. Ebbene, proprio tali applicazioni potrebbero costituire un terreno fertile per lo
sviluppo della tecnologia delle fuel cells alimentate a idrogeno.
Data la complessità ed il costo elevato per la sua produzione, infatti, l’idrogeno (soprattutto quello
proveniente da FER) vede attualmente il suo “raggio d’azione” ideale in tutte quelle aree più
difficili da decarbonizzare (ee-ip.org), e i trasporti pesanti sono certamente una di queste.
Tuttavia, data la diversità che intercorre tra camion, autobus, treni, navi e aerei, non per tutti l’H2
costituisce la risposta a prescindere. Per questo motivo è utile analizzarle separatamente, per
capire le reali opportunità di un’introduzione delle fuel cells nei vari ambiti.

i. Trasporto merci su gomma: riguardo a questa specifica applicazione, è fondamentale


distinguere rispetto alla lunghezza delle tratte previste per le varie categorie di mezzi. Per
quanto concerne le medie percorrenze, pare ragionevole pensare che l’alternativa elettrica
a batteria avrà la meglio sulla tecnologia a idrogeno (Legambiente &
Transport&Environment, 2021). I fattori che giocano a favore dell’elettrico sono
soprattutto: le economie di scala e di apprendimento associate allo sviluppo della
tecnologia nel settore automotive e la maggiore efficienza energetica (si stima che, al 2050,

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la decarbonizzazione in tale ambito richiederebbe all’Italia circa 36 TWh di elettricità da
FER, contro i quasi 70 TWh richiesti dall’idrogeno).
Per i camion destinati alle tratte più lunghe, invece, (>500 km) ecco che l’H2 verde
assume una rilevanza decisamente maggiore. I limiti delle batterie elettriche risiedono
infatti nella loro autonomia, nelle grandi dimensioni in termini di volume e di massa
(necessarie per aumentare la percorrenza) e nei tempi di ricarica dilatati. Queste istanze
possono essere potenzialmente raccolte dalla tecnologia a fuel cells, ed è per questo che
le case costruttrici stanno attualmente prendendo in considerazione entrambe le opzioni.
Nonostante gli “esperimenti” sui veicoli ad idrogeno siano ormai datati (Ustolin et al.,
2022, riportano il 1971 come l’anno del primo mezzo su gomma alimentato a LH2, cioè
idrogeno liquido), è comunque ragionevole pensare che i camion mossi da tale power
train vedranno una loro produzione di serie non prima della seconda metà di questo
decennio (Legambiente & Transport&Environment, 2021).

ii. Autobus: traslando le considerazioni appena fatte riguardo ai mezzi di trasporto delle
merci su gomma, si può rapidamente concludere che per i veicoli urbani quali gli autobus,
la tecnologia elettrica a batteria sia da preferire (Legambiente & Transport&Environment,
2021). A conferma di ciò si registra che alcune città italiane (Torino, Bergamo e Milano)
hanno ormai definito piani per l’acquisto esclusivo di bus “alla spina”, per arrivare alla
completa elettrificazione delle loro flotte entro il 2030.
Nell’ambito del trasporto pubblico interurbano, invece, la partita è ancora aperta a causa
dei limiti dell’elettrico in termini di autonomia. A titolo di esempio viene riportato un
piano sperimentale di Flixbus di 30 autobus a idrogeno con autonomia di 500 km.
Tuttavia, il costo attuale di un autobus mosso da fuel cells e la possibilità concreta di
un’alternativa elettrica fanno pensare che i tempi siano ancora prematuri per un’adozione
dell’H2 in tale contesto (Legambiente & Transport&Environment, 2021).

iii. Trasporto ferroviario: i treni mossi dall’idrogeno non costituiscono del tutto una novità
nel panorama mondiale. Il primo mezzo a rotaia spinto da CGH2 (Compressed Gaseous
Hydrogen) venne sviluppato dalla East Japan Railway Company addirittura nel 2006,
mentre in Europa fu la Germania ad “indicare la strada” nel 2017, adoperando i treni
iLint prodotti da Alstom (Ustolin et al., 2022).
Attualmente si stanno portando avanti studi ulteriori per poter sfruttare i benefici
dell’idrogeno liquido (LH2) in termini di velocità di ricarica e di efficienza nel
trasferimento (il Korea Railroad Research Institute, insieme a Hyundai Rotem, dal 2021

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sono al lavoro per sviluppare questa soluzione per una locomotiva con una percorrenza
di 1000 km).
Tuttavia, come già detto per gli altri mezzi di locomozione su terra, si ripropone il trade-
off tra i costi più elevati per l’idrogeno rispetto all’elettrificazione e i vantaggi che esso
porta in termini di autonomia, velocità di ricarica e dimensionamento. Il PNRR propone
l’utilizzo delle fuel cells in sostituzione dell’attuale diesel, laddove l’elettrico non sia
tecnicamente percorribile (nota: il 72% della rete italiana è già elettrificata), ma
Legambiente e Transport&Environment (2021) sottolineano in opposizione a ciò come
l’investimento per le infrastrutture dell’H2 non sia giustificato per tratti di lunghezza
inferiore ai 200 km (come d’altronde si presenta la quasi totalità della rete italiana non
ancora elettrificata).

iv. Trasporto aereo: questo specifico ambito, rispetto a quello dei trasporti via terra, vede
nell’idrogeno una vera e propria opportunità. La tecnologia dell’elettrificazione a batteria
è infatti molto lontana dal presentare le caratteristiche necessarie per risultare idonea a
tale scopo (dimensioni e massa esagerate e autonomia limitata sono i principali fattori che
ne precludono l’utilizzo).
Come nel caso del trasporto ferroviario, anche per l’aviazione l’idrogeno non costituisce
una novità assoluta, con i primi studi a riguardo datati 1938 (Ustolin et al., 2022). Da
allora, in un alternarsi di alti e bassi nell’interesse per tale soluzione, lo sviluppo è mano a
mano progredito: nel 1988 prese il volo (anche se per soli 36 s) il primo aeroplano
alimentato tramite LH2, nel 2012 Boeing sviluppò e testò un “High Altitude Long
Endurance” UAV (Unmanned Aerial Vehicle) mosso da idrogeno e capace di volare a
quasi 20 km da terra, a una velocità di circa 292 m/s e con un’autonomia di 4 giorni,
mentre nel 2020 Airbus ha svelato ben tre concept per il primo velivolo commerciale
“idrogenato”.
Tuttavia, in tale settore non mancano le alternative tecnologiche. Bisogna infatti fare
riferimento ai cosiddetti SAF (Sustainable Aviation Fuels), carburanti che derivano, ad
esempio, dal recupero degli oli di scarto di origine organica (come l'olio da cucina usato)
o dai rifiuti forestali e agricoli. Questi ultimi, pur avendo un costo che si attesta ancora
ben al di sopra di quello del classico cherosene (circa 3-4 volte meno caro), promettono
una riduzione degli inquinanti pari al 75% e sono già stati introdotti in piccole percentuali
su molti voli commerciali (klm.it).

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v. Trasporto marittimo: come per il trasporto aereo, anche quello marittimo vede
nell’idrogeno una risorsa indispensabile nel percorso di decarbonizzazione. Numerosi
studi di fattibilità e di concept sono stati sviluppati negli ultimi anni, prendendo in
considerazione tutte le tipologie di grandi imbarcazioni (Ustolin et al., 2022): navi
container, traghetti, navi da ricerca, rimorchiatori portuali, “petroliere” e navi per il
bunkeraggio (il rifornimento di combustibile).
Sono state prese in considerazione diverse configurazioni per la propulsione, vagliando
in moti casi delle soluzioni ibride idrogeno-diesel o idrogeno-batteria e utilizzando sia H2
compresso che in forma liquida.
Al momento l’unica imbarcazione “a idrogeno” attiva si chiama Suiso Frontier (Ustolin
et al., 2022) ed è una nave per il bunkeraggio mossa da motore diesel che è stata sviluppata
nel 2015 (è operativa, però, solo da Febbraio 2022) come progetto pilota per dimostrare
la fattibilità di una supply chain dell’idrogeno tra Australia e Giappone. Tuttavia, lo
sviluppo si sta muovendo con velocità crescente ed è già pronto il primo traghetto
alimentato da LH2, con un sistema di propulsione complesso composto da due stack da
200 kW ciascuno, una batteria e due generatori diesel. Inoltre, il programma di ricerca e
innovazione dell’Unione Europea Horizon 2020 include un progetto chiamato HyShip
per la messa in attività nel 2024 di una nuova imbarcazione ibrida (PEM più batteria) che
avrà un duplice impiego: il trasporto passeggeri e quello di LH2 da fornire ai siti di
rifornimento (Ustolin et al., 2022).

Da questo breve excursus risulta ragionevole vedere il naturale impiego dell’idrogeno nei settori
aviazione e navale, piuttosto che nei trasporti pesanti via terra. Le challenge da superare perché
ciò avvenga sono molteplici: la realizzazione di una supply chain dedicata, il costo stesso della
tecnologia, le tematiche sulla sicurezza, la creazione di un contesto normativo e regolatorio
adeguato (Ustolin et al., 2022). Ad ogni modo, concentrare gli investimenti per favorire un
mercato di punta è ciò che serve affinchè la tecnologia possa crescere ed imporsi (Legambiente
& Transport&Environment, 2021).

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▪ Trasporti leggeri:

Per quanto concerne il trasporto leggero (auto e furgoni) il discorso è differente. Di recente diversi
car makers hanno iniziato a indagare sullo sviluppo dei cosiddetti FCEV (Fuel Cell Electronic
Vehicles), con Toyota, Honda e General Motors che addirittura producono gli stack per conto
proprio (Chakraborty et al., 2022). Tuttavia, a differenza dei mezzi più pesanti per i quali al
momento le batterie non sembrano poter garantire autonomia sufficiente e dimensioni
ragionevolmente contenute, per i veicoli leggeri su ruote l’elettrico risulta decisamente
avvantaggiato rispetto all’idrogeno.
Nel documento realizzato da Legambiente e Transport&Environment (2021), si pone
l’attenzione sulla necessità di amministrare al meglio l’energia proveniente da fonti
rinnovabili per poter rispettare gli obiettivi a zero emissioni imposti per il 2050. Questo dovrebbe
essere il cardine dal quale far dipendere le decisioni sul percorso di decarbonizzazione, favorendo
dunque le tecnologie più efficienti e minimizzando il quantitativo addizionale necessario di FER.
Nell’ambito del trasporto leggero la soluzione elettrica a batteria è di gran lunga la più avanti nel
suo processo di sviluppo, l’unica commercialmente pronta su vasta scala e che garantisca la
propria sostenibilità economica. Si potrebbe pertanto sostenere che l’idrogeno, in questo preciso
ambito, sia giunto in ritardo per poter competere alla pari e che ingenti investimenti per renderlo
applicabile in tale contesto potrebbero risolversi in un enorme spreco di risorse (Legambiente e
Transport&Environment, nel 2021, riportano come alcuni esponenti della comunità scientifica
italiana abbiano addirittura definito una “follia energetica” il dare credito all’idrogeno al di fuori
dei settori del trasporto pesante e delle grandi produzioni industriali).
A tal proposito è utile riportare dallo stesso documento sopra citato, un confronto sull’efficienza
della soluzione a fuel cells e di quella a batteria. Basandosi sui dati relativi all’unica stazione di
rifornimento ad oggi attiva in Italia (Bolzano), si sa che gli elettrolizzatori utilizzati per produrre
l’H2 (da FER) presentano un rendimento di circa il 76%. A tale dato bisogna aggiungere il
dispendio energetico (un ulteriore 11-25%) per mantenere la molecola alla pressione necessaria
di 700 atm, e le perdite vicine al 50% per la riconversione dell’idrogeno in elettricità (utile ad
alimentare la batteria e il motore elettrico che aziona le ruote) da parte delle celle a combustibile.
Si ottiene perciò che appena il 30-33% dell’energia da fonti rinnovabili utilizzata nel processo si
trasformi in energia motrice: un dato nettamente deficitario, se paragonato al 70-77% di
rendimento che si otterrebbe alimentando in modo diretto la batteria elettrica. Si pensi infatti che,
considerando l’attuale stato dell’arte, se tutti i veicoli fossero equipaggiati da fuel cells il
fabbisogno di FER sarebbe circa doppio.

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E’ dunque fondamentale mantenere un approccio lungimirante rispetto alle scelte tecnologiche
future. Chakraborty et al. (2022) affermano che gli ostacoli da superare per l’affermarsi
dell’idrogeno nel settore automotive siano: il costo dell’idrogeno stesso e quello dei sistemi per il
suo trasporto, il tasso di avanzamento delle tecnologie hydrogen-based e le restrizioni riguardo le
GHG emissions. Ma è davvero così? Fino a che punto è sostenibile una flotta di veicoli alimentati
da fuell cells? Quali dovrebbero essere gli avanzamenti tecnologici necessari e quanto
costerebbero? In questa fase, infatti, l’ultima delle necessità è quella di sprecare risorse in progetti
che potrebbero rivelarsi meri esercizi di stile.

▪ Industria pesante:

Tra i settori hard-to-abate rientra sicuramente l’industria pesante (industria chimica e metallurgica
soprattutto), che già ad oggi fa largo uso di idrogeno grigio per i suoi processi e che l’Unione
Europea ha individuato come una delle priorità nella strategia di decarbonizzazione per mezzo
dell’H2 verde (per la produzione di acciaio, ad esempio, l’idrogeno potrebbe svolgere il duplice
compito di elettrificare i processi e di servire direttamente come riducente).
Perché gli obiettivi di riduzione delle emissioni possano essere raggiunti è però necessario
affrontare gli ostacoli che si oppongono alla realizzazione di un’industria pesante hydrogen-based.
La carenza di energia prodotta da FER è uno di questi, così come il suo costo. Realizzare quanto
prima un incremento degli impianti eolici e fotovoltaici è un passo fondamentale per avvicinarsi
alla soluzione in quanto, oltre a favorire economie di scala che abbasserebbero il prezzo
dell’energia pulita, metterebbe maggiormente al riparo da una cannibalizzazione delle attuali
risorse energetiche rinnovabili (le quali devono rimanere “libere” e utilizzabili dalla rete).
A tal proposito risulta interessante lo studio tecno-economico presentato da Superchi et al. (2022)
che, confrontando possibili configurazioni per un mini-impianto per la produzione di acciaio
alimentato da idrogeno verde da fonte eolica, ha selezionato due soluzioni (una maggiormente
cost effective e l’altra votata al massimo abbattimento delle emissioni) e ha evidenziato un LCOH
per entrambe di, rispettivamente, 4,95 €/kg e 5,26 €/kg. Partendo da questo dato, decisamente
superiore rispetto al valore di riferimento di 2 €/kg stimato per l’idrogeno grigio, gli autori hanno
anche avanzato alcuni ragionamenti su una possibile incentivazione per remunerare i produttori
di H2 verde e dare un boost alla penetrazione di tale tecnologia nell’industria (i discorsi relativi
alla regolazione del mercato e agli incentivi verranno trattati con la dovuta attenzione durante la
discussione, ma risulta interessante mostrare la seguente proposta):

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PH2 green = PH2 market + xinc*GI
con: xinc: incentivo ; GI = (EnFER + 0,36*Enrete)/EnTOT : Green Index
(nota: 0,36 è la % di FER nella rete elettrica italiana)

L’Europa ha lanciato diversi progetti per validare l’impiego dell’idrogeno green-based


nell’industria hard-to-abate. Tra questi è importante citare “H2 Green Steel”, primo progetto
dell’EGHAC (European Green Hydrogen Acceleration Center) e guidato da EIT InnoEnergy
che, con un investimento di circa 2,5 miliardi di euro e uno start operativo fissato al 2024, punta
a produrre entro il 2030 5 milioni di tonnellate di acciaio “carbon neutral” all’anno (recyclind.it).

▪ Utilizzo nella rete gas (blending):

La rete di trasporto e di distribuzione del gas in Italia è ad oggi responsabile di un’enorme


emissione di anidride carbonica (si stimano circa 160 Mton di CO2 prodotta ogni anno). Per
questo le Linee Guida Preliminari per la Strategia Nazionale per l’Idrogeno pubblicate dal
Ministero dello Sviluppo Economico (2020) suggeriscono che una miscelazione nella rete di
idrogeno a basse emissioni possa dare una spinta duplice alla decarbonizzazione e allo sviluppo
del mercato dell’idrogeno.
L’Italia non è sola in questo impegno e anzi, più di dieci Paesi dell’UE hanno già fissato le soglie
percentuali per la miscelazione dell’idrogeno, a differenza del nostro Paese che non ha ancora
provveduto a introdurre limiti tecnici, ma che verosimilmente potrà fissare una soglia del 2% del
mix entro il 2030 (MiSE, 2020).
Snam, principale operatore europeo nel trasporto e nello stoccaggio di gas naturale, ha annunciato
l’obiettivo di trasportare gas interamente decarbonizzato entro il 2050, coniugando all’idrogeno
anche il biometano (l’obiettivo è comunque quello di poter garantire, nello stesso target
temporale, il passaggio di idrogeno puro al 100%). Dei 7,4 miliardi previsti dal piano industriale
2020-2024 della società, la metà sarà perciò indirizzata al retrofitting o alla sostituzione degli asset
esistenti per garantirne la compatibilità con l’H2 (snam.it). In aggiunta a ciò, nel 2019 Snam (prima
società in Europa a farlo) ha testato per ben due volte l’immissione di un mix di idrogeno (la
prima volta al 5%, la seconda al 10%) e gas naturale nella propria rete di trasmissione, fornendo
con successo H2NG a due imprese industriali per circa un mese.
Un punto a favore della possibile introduzione dell’idrogeno nella rete nazionale sarebbe la
possibilità annunciata dagli attuali player del gas di poter contare sulle infrastrutture attualmente
in uso per veicolare il metano. Per garantire la compatibilità delle tubazioni odierne con il

35
trasporto di idrogeno, dunque, RINA (società italiana di certificazione a livello internazionale) è
al momento impegnata nel valutare il rispetto dello standard internazionale ASME B31.12.

Tuttavia, rimangono alcune ombre su tale impiego dell’H2. Anche nel migliore dei casi, le attuali
condotte della rete gas possono infatti sostenere un’introduzione di idrogeno non superiore al
10% (qualenergia.it). Questa molecola così piccola è infatti capace di diffondere negli interstizi
metallici delle tubazioni, generando un deterioramento meccanico delle stesse e causando ingenti
perdite nel trasporto. Senza contare l’elevata infiammabilità e il potere calorifico tre volte inferiore
a quello del gas, fattore che inciderebbe molto sul costo di trasporto (secondo il rapporto della
IEA “The Future of Hydrogen”, un mix al 5-10% di H2 ridurrebbe l’energia trasportata dal 3,3%
al 6,6%, con un conseguente innalzamento del costo).
Realizzare nuove condotte o riconvertire quelle esistenti costituirebbe, da quest’ultima
prospettiva, uno sforzo economico che porterebbe a risultati poco o per nulla soddisfacenti (a
differenza della volontà espressa dai gestori dei gasdotti europei di investire 64 mld di euro per
costruire 23.000 km di idrogenodotti entro il 2040).
Nicola Armaroli, dirigente di ricerca presso il Cnr e direttore della rivista scientifica SapereScienza,
nelle interviste rilasciate a “cdn.qualenergia.it” e “ilbolive.unipd.it” ribadisce con forza questi
concetti, sottolineando come l’idrogeno verde sia una risorsa troppo preziosa e costosa da
ottenere per sprecarla miscelandola al 5-10% (limite gestibile dalle condotte esistenti) nel blend
della rete nazionale. Ritiene infatti fondamentale che le scelte per le future applicazioni dell’H 2
siano prese con la consapevolezza di dover fare spazio sempre alle soluzioni più efficienti, sia sul
lato dei costi che su quello del consumo di risorse rinnovabili (a tal proposito riporta come, per
riscaldare un edificio tramite H2NG, sia richiesta elettricità rinnovabile in misura addirittura
cinque volte maggiore di quella necessaria impiegando le attuali pompe di calore).
Si unisce infine a questo “coro” Giovanni Battista Zorzoli, il quale pome l’accento sull’importanza
di un’analisi costi-benefici “per individuare le scelte ottimali per il sistema energetico nazionale
ed europeo e per i consumatori” (qualenergia.it).

▪ Sector coupling:

In quanto vettore energetico, l’idrogeno ha suscitato da subito grande attenzione per la sua
possibilità di accoppiarsi alle FER e rendere la loro integrazione più semplice (si otterrebbe così
il cosiddetto sector coupling dei settori gas e power).

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Le fonti di energia rinnovabile (in particolare l’eolico e il fotovoltaico) hanno infatti il risaputo
difetto di essere intermittenti, cioè di non poter garantire una fornitura costante di energia
elettrica. L’intermittenza è talvolta legata a un’insufficiente produzione di corrente (una giornata
nuvolosa o per nulla ventosa possono compromettere il rendimento, rispettivamente, dei pannelli
solari e delle pale eoliche), ma a volte è anche sinonimo di una sovraproduzione. Il surplus
energetico generato, però, se non viene utilizzato nell’immediato viene perso, e con esso svanisce
la possibilità di poterlo sfruttare per colmare i deficit futuri.
L’idrogeno potrebbe essere impiegato proprio per venire incontro a tale esigenza, con l’energia
rinnovabile in eccesso che verrebbe convertita e stoccata sotto forma di idrogeno per poter essere
impiegata in un secondo momento (il cosiddetto P2H, power-to-hydrogen): o tramite turbine,
come combustibile nella generazione elettrica di backup (poco efficiente), oppure tramite fuel
cells per produrre energia per utilizzi industriali collocati nelle vicinanze dei siti di stoccaggio.
Ci sono però altri EESS (Electrical Energy Storage Systems) con i quali l’idrogeno verde deve
confrontarsi: le batterie, con quelle al litio che sono le più diffuse al momento, ma anche le più
recenti batterie a flusso, lo stoccaggio in aria compressa o liquida (rispettivamente CAES o
LAES), volani, sistemi di accumulo gravitazionali o di energia termica (enelgreenpower.com). Su
questo fronte i costi di produzione, la durata del sistema (resistenza all’invecchiamento dovuto ai
continui cicli di carico-scarico) e l’efficienza di conversione saranno i fattori discriminanti che
decideranno quali soluzioni tecniche prevarranno nel prossimo futuro.

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CAP 2 - Come si sta muovendo il mondo: strategie internazionali per l’idrogeno

La letteratura presentata fino a questo punto ha messo in luce le enormi potenzialità dell’idrogeno e
l’opportunità che un suo impiego potrebbe costituire nel percorso di decarbonizzazione intrapreso a
livello globale. In una prospettiva strategica di lungo periodo, proiettata al momento in cui si raggiungerà
finalmente il net-zero goal, l’elettrificazione giocherà sicuramente un ruolo da protagonista e permetterà
di azzerare le emissioni della maggior parte dei consumi, ma non potrà bastare. Esistono infatti alcuni
settori e consumi finali altamente energivori per i quali l’elettrico e le batterie non fornisco l’adeguato
supporto e le prestazioni necessarie: si pensi in riferimento a ciò ai trasporti pesanti a lungo raggio
(camion, bus, ma soprattutto navi e aerei) e all’industria siderurgica, chimica e dell’acciaio.

In questo contesto l’idrogeno, in quanto vettore per il trasporto e lo stoccaggio di energia, è stato
individuato a livello internazionale come il potenziale alleato per colmare tali lacune, nonché per garantire
un supporto integrato allo sviluppo definitivo delle FER, potendo intervenire nella gestione
dell’intermittenza delle prestazioni tipica del campo delle rinnovabili.

Perché ciò possa davvero realizzarsi è però necessario abbattere una serie di ostacoli, il primo dei quali è
relativo ai costi di produzione. Nel capitolo della letteratura dedicato a questo tema è apparso evidente
come tanto debba ancora essere fatto per abbattere il costo dell’energia da fonti rinnovabili, che ad oggi
risulta il fattore che maggiormente incide sulla competitività dell’idrogeno rispetto alle fonti fossili. Ma
tanto è anche l’impegno da profondere da un punto di vista tecnologico per scalare la produzione,
migliorare l’efficienza dei processi, promuovere la specializzazione del settore ed esplorare soluzioni e
materiali più economici.

Per far fronte a tali necessità e abilitare un vero e proprio mercato dell’H2 è chiara la necessità di un
intervento deciso da parte dei singoli Paesi interessati alla tecnologia, con strategie concrete che
forniscano certezze e supporto adeguato agli investitori, che stimolino la domanda di idrogeno nei settori
di punta individuati e che incentivino lo sviluppo con piani e investimenti lungimiranti. Chiarezza
normativa, piani di incentivazione attenti a massimizzare il risultato con il minimo costo possibile e una
gestione ottimale della fase transitoria (che si appoggi, in parte, anche all’idrogeno a basse emissioni per
attivare il mercato nel minore tempo possibile) sembrano essere i punti fondamentali per la
concretizzazione di tale soluzione.

Questo capitolo presenta dunque alcune delle strategie annunciate a livello internazionale soffermandosi
sull’aspetto degli incentivi allo sviluppo, in modo tale da trarre spunti e insegnamenti che possano essere
utilmente utilizzati per tracciare una traiettoria auspicabile per l’Italia.

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Unione Europea

L’8 luglio 2020 la Commissione Europea ha pubblicato il testo “A hydrogen strategy for a climate-neutral
Europe”, confermando il massimo interesse da parte dell’UE nel voler sviluppare quanto prima un vero
e proprio mercato comunitario (e non solo) dell’idrogeno. L’obiettivo annunciato di ridurre le emissioni
di gas serra del 50-55% entro il 2030 non infatti è ritenuto raggiungibile senza considerare un’applicazione
rapida e su vasta scala di tecnologie spinte da H2 pulito.

La Commissione è altresì convinta che gli ostacoli da affrontare siano troppo grandi perché il settore
privato o i singoli Stati membri possano superarli da soli, e per tale motivo suggerisce che la
collaborazione all’interno dell’UE e con i partner esteri e la creazione di un mercato unico siano la strada
giusta da percorrere per dare risposte concrete alle esigenze più impellenti: raggiungere una massa critica
di investimenti, delineare un quadro normativo favorevole, individuare i mercati guida per la
tecnologia, sostenere la ricerca e l’innovazione, progettare e sviluppare una rete infrastrutturale su
vasta scala.

La tabella di marcia prefigurata dall’UE è articolata in 3 fasi distinte (European Commission, 2020):

i. 2020-2024: l’obiettivo è installare almeno 6 GW di elettrolizzatori per l’idrogeno


rinnovabile, in modo tale da produrne abbastanza (1 mln di tonnellate) da decarbonizzare
gli utilizzi attuali (es.: settore chimico) e promuoverlo in nuove applicazioni, industria e
trasporti pesanti in primis.
In questa fase si punta a sviluppare elettrolizzatori di dimensioni sempre maggiori (anche
100 MW) e si predilige uno schema di produzione e consumo contestuali. Al fine di far
crescere il mercato, poi, verranno incentivate anche le produzioni di idrogeno a basse
emissioni (elettrolitico e con CCS). È prevista inoltre la diffusione graduale di stazioni di
ricarica per autobus e autocarri a fuel cells, così come l’aumento di parchi eolici e
fotovoltaici dedicati all’H2.
Sotto l’aspetto normativo, lo sforzo è dedicato a facilitare la creazione di un mercato
liquido e ad incentivare domanda e offerta nei mercati guida (la compensazione delle
differenze di costo rispetto alle soluzioni convenzionali è prevista tra le misure).

ii. 2025-2030: le aspettative per questa seconda fase sono decisamente ambiziose. Si punta
infatti ad installare almeno 40 GW di elettrolizzatori per l’idrogeno rinnovabile (e ulteriori
40 GW nel vicinato europeo), i quali consentiranno di produrne fino a 10 mln di
tonnellate annue (333 TWh).

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Si stima (le stime di IRENA e IEA sono ottimistiche) che in tale lasso temporale l’H2 da
FER potrà competere con le altre forme di produzione, con un costo al kg intorno ai 1,1-
2,4 €. Potrà dunque iniziare ad essere impiegato per il bilanciamento del sistema elettrico
(il sector coupling già presentato), mentre le politiche d’incentivazione e le normative
dovranno convergere per spronare la domanda in nuovi settori d’applicazione: siderurgia,
autocarri, trasporti ferroviari e marittimi.
E’ inoltre in preventivo lo sviluppo di “Hydrogen Valleys” (ecosistemi circoscritti dove
la produzione decentralizzata di idrogeno rinnovabile risponde alle multiformi esigenze
della domanda locale) e l’utilizzo, ancora in questa fase, della CCS per abbattere
ulteriormente le emissioni. Si renderà necessario, infine, lo studio di un’infrastruttura per
il trasporto e il rifornimento di H2 che consenta la produzione decentralizzata in zone ad
alta potenzialità di FER e il collegamento con i diversi centri di domanda.
Dal punto di vista strategico, lo sforzo dovrà sicuramente focalizzarsi sulla creazione
definitiva di un mercato dell’idrogeno aperto e competitivo a livello di UE, mentre si
stimano investimenti ingenti, ripartiti come segue: 24-42 mld per gli elettrolizzatori, 220-
340 mld per aumentare la capacità di produzione da eolico e fotovoltaico di 80-120 GW,
11 mld per aggiornare gli impianti esistenti con strumenti di CCS, 65 mld per il trasporto,
la distribuzione e lo stoccaggio di H2.

iii. 2031-2050: in questa fase l’idrogeno dovrebbe arrivare a coprire tutti gli utilizzi nei settori
hard-to-abate (trasporti aerei compresi) ed è per questo che la produzione di energia da
fonti rinnovabili dovrà essere in grado di sostenere la domanda (la stima è che circa un
quarto delle FER sarà impiegato nella filiera dell’idrogeno).
Per quanto concerne gli impianti di cattura e stoccaggio della CO2, il loro impiego
potrebbe continuare sostituendo al gas naturale il biogas sostenibile, generando
addirittura emissioni negative.
Gli investimenti per la produzione di H2, ipotizzando una proiezione di 500 GW di
elettrolizzatori installati, potrebbero oscillare tra i 180-470 miliardi.

Tuttavia, a fin che i piani strategici possano concretizzarsi è necessario che la domanda e l’offerta in
questo nuovo mercato crescano velocemente e di pari passi l’una rispetto all’altra. A tale scopo, una
normativa e un sistema di incentivazione mirati sono assolutamente prioritari. Ecco, dunque, cosa ha
pensato la Commissione:

40
Come stimolare la domanda nei settori d’uso finali?

La Commissione Europea individua due mercati guida iniziali, ovvero le applicazioni industriali
(raffinerie, produzione di ammoniaca e metanolo, siderurgia e solo in un secondo momento l’industria
dell’acciaio) e i trasporti. Rispetto a quest’ultimo settore, la prima fase dovrebbe prevedere l’utilizzo per
gli usi “vincolati” (autobus urbani, flotte commerciali, tratti non elettrificabili della rete ferroviaria) in
quanto sarebbero facilmente rifornibili tramite elettrolizzatori locali, ma occorre comunque incentivare
le fuel cells anche per gli autoveicoli pesanti. Per quanto concerne il trasporto marittimo, invece,
l’idrogeno potrebbe trovare applicazione nelle imbarcazioni destinate alle tratte brevi e su vie navigabili
interne, mentre per vederlo impiegato a lungo raggio e anche nel settore dell’aviazione (fuel cells o
carburanti sintetici derivati dall’H2) servirà una pianificazione a lungo termine.

I fattori individuati come ostacoli alla diffusione delle tecnologie legate all’H 2 rinnovabile e a basse
emissioni sono: il costo più elevato dovuto in larga parte agli investimenti aggiuntivi per lo stoccaggio e
il rifornimento, i bassi margini sui prodotti finali (dovuti alla concorrenza internazionale) che amplificano
l’impatto potenziale legato ai rischi e all’incertezza di mercato. Per questo la Commissione Europea
prevede i seguenti incentivi sul lato della domanda:

a) Determinazione di quote minime di idrogeno.


b) Fissazione di un prezzo per le emissioni di CO2.

Come stimolare l’offerta?

Attualmente in Europa vi sono circa 280 imprese (di cui il 60% sono PMI) impegnate nel mercato degli
elettrolizzatori, ma la capacità produttiva totale è addirittura inferiore a 1 GW. Per raggiungere gli obiettivi
imposti dalla strategia occorrerà senz’altro sostenere la tecnologia fino a quando potrà essere competitiva
in termini di costi, ma non solo: l’industria e gli investitori necessitano di certezze rispetto a quali
tecnologie si dovranno sviluppare per la produzione di H2 e di una tassonomia univoca che chiarisca le
differenze tra idrogeno rinnovabile e idrogeno a basse emissioni. Inoltre, è di fondamentale importanza
per loro che venga reso noto al più presto un piano per l’infrastruttura europea, in modo tale da poter
indirizzare nei siti migliori gli investimenti per gli elettrolizzatori.

Le misure di sostegno alla filiera dell’idrogeno previste dalla Commissione sono le seguenti:

a) Criterio di incentivo basato sul calcolo delle emissioni di CO2 nell’intero ciclo di vita: (vedi
parametro attuale dell’EU ETS).

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b) Sistemi di gara su contratti per differenza sul carbonio (CCfD): la controparte pubblica salderebbe
all’investitore la differenza tra il prezzo di esercizio e quello della CO2 nell’EU ETS. In tal maniera
verrebbe colmata la differenza di costo rispetto alla produzione di idrogeno da fonti fossili, nel
totale rispetto delle regole di concorrenza. Questo sostegno potrebbe essere fondamentale nelle
fasi iniziali di diffusione dell’idrogeno in diversi settori, fino a quando non si raggiunga il
sufficiente livello di competitività.
c) Sostegno diretto basato sul mercato tramite gare d’appalto: tale regime di sostegno riguarderebbe
esclusivamente l’idrogeno rinnovabile e dovrebbe premiare gli elettrolizzatori per le esternalità
positive da essi generate (maggiore flessibilità del sistema energetico, aumento dei livelli di
produzione da FER, riduzione degli oneri derivanti dagli incentivi rinnovabili).
d) Garanzie d’Origine (GO): (insieme ai certificati di sostenibilità, possono contribuire all’efficacia
di costo della produzione e a favorire gli scambi nell’UE).
e) Valutare meccanismi di adeguamento del carbonio alla frontiera (CBAM, Carbon Border
Adjustment Mechanism): questa misura ha lo scopo di combattere la delocalizzazione delle
emissioni da parte dei settori esposti a tale fenomeno (raffinerie, produzione di fertilizzanti…).
f) Miscelazione dell’idrogeno nella rete del gas naturale: ciò abiliterebbe la produzione
decentralizzata di idrogeno rinnovabile durante la fase di transizione e, abbinata a regimi di
sostegno, genererebbe introiti che stimolerebbero la produzione. Certo è che una tale misura
richiederebbe di rafforzare il coordinamento transfrontaliero per garantire l’interoperabilità del
sistema e non frammentare il mercato comunitario (infatti, diverse percentuali di miscelazione
incidono sulla qualità del gas stesso: i Paesi europei dovrebbero allinearsi in tal senso).

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• Analisi degli strumenti di sostegno:

a) IPCEI- Important Projects of Common European Interest: lo scopo degli IPCEI è


quello di creare una sinergia di competenze, conoscenze e risorse in tutta l’UE con
l’obiettivo di facilitare le innovazioni di tipo radicale. Essi sono dunque progetti finanziati
a livello europeo (a titolo dei bilanci nazionali) dove gli Stati membri sono chiamati a
concordare il tipo di progetto, selezionare le imprese partecipanti e organizzare la
governance del progetto stesso, con la Commissione che si occupa invece di svolgere una
funzione di coordinamento e di orientamento (insic.it).
Affinché un progetto possa essere finanziato come IPCEI, devono essere rispettate le
seguenti condizioni:
- Contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione (e non solo degli Stati
coinvolti in modo diretto).
- Porre rimedio, in modo verificabile, ad importanti fallimenti del mercato.
- Coinvolgere almeno quattro Stati membri (possono esservi delle eccezioni).
- prevedere un cofinanziamento cospicuo da parte delle imprese che ricevono gli
aiuti di Stato.

A luglio del 2022 La Commissione europea ha approvato “Hy2Tech”, il primo IPCEI


dedicato all’idrogeno e in particolar modo alla ricerca e all’innovazione per la sua prima
applicazione industriale. In tale occasione sono stati stanziati ben 5,4 mld €, di cui oltre
un miliardo è stato assegnato a imprese italiane.
A settembre dello stesso anno è poi stata lanciata una seconda tranche (Hy2Use) del valore
di 5,2 mld € al fine di ridurre la sostituzione del gas naturale. Questo pacchetto di progetti
punta a far passare l’Europa da una fase iniziale di supporto allo sviluppo delle tecnologie
alla loro diffusione su vasta scala. Esso è stato predisposto grazie al contributo di tredici
Paesi membri e prevede di dare sostegno su due fronti: le infrastrutture per l’idrogeno
(previsti 3,5 GW di elettrolizzatori) e l’integrazione di quest’ultimo nei processi
dell’industria pesante. Notare che le previsioni per queste prime due “tornate” (sono
quattro quelle programmate) comprendono di poter sbloccare relativamente 8,8 e 7
ulteriori miliardi di euro di investimenti privati (hydrogeneurope.eu).
b) InvestEU: tale fondo mette a disposizione ben 26,2 miliardi di euro per il periodo 2021-
2027, con lo scopo di incentivare gli investimenti pubblici e privati (l’obiettivo è quello di
mobilitarne per oltre 370 miliardi) nei seguenti ambiti: ricerca, innovazione e

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digitalizzazione, infrastrutture sostenibili, PMI, investimenti e competenze sociali (single-
market-economy.ec.europa.eu).
La somma stanziata dall’UE costituisce una garanzia di bilancio nei confronti dei partner
finanziari (come ad esempio la EIB, European Investment Bank) e dovrebbe dunque
agevolare l’accesso al credito bancario per i progetti più rischiosi. Infatti, tali aiuti sono
indirizzati per quelle aree dove si evidenziano fallimenti di mercato o carenza critica di
investimenti e per progetti con elevata incertezza (purché sostenibili economicamente).
Per quanto concerne gli investimenti nell’idrogeno pulito, poi, essi rientrano nella finestra
di InvestEU relativa alle infrastrutture sostenibili, che include: modi di trasporto green,
risparmio energetico negli edifici, interconnessione delle infrastrutture energetiche,
tecnologie per la resilienza ambientale. Gli stanziamenti, tra l’altro, possono essere
impiegati secondo forme di sostegno ad hoc a seconda del tipo di progetto e della sua
fase del ciclo di vita (sono contemplati anche gli investimenti azionari, tra l’altro).
c) Connecting Europe Facility (CEF): tale strumento ha lo scopo di accelerare gli
investimenti a livello Comunitario nei trasporti, nell’energia e nelle infrastrutture digitali
per il periodo 2021-2027.
Per quanto concerne il supporto specifico al settore energetico vi è il CEF-E, il quale mira
a favorire il collegamento e la gestione coordinata dell’infrastruttura energetica dei vari
Stati membri (come previsto dal regolamento sulle reti transeuropee per l’energia, il TEN-
E). Il fondo (il quale può contare su un budget di 5,84 mld €) si rivolge a progetti
dimostrativi, a studi e al cofinanziamento delle infrastrutture energetiche, ponendo come
criterio di precedenza la massimizzazione del valore per l’Europa. I beneficiari vengono
rimborsati delle spese sostenute tramite pagamenti forfettari e continuano a poter godere
dei contributi provenienti anche dagli altri strumenti di sostegno dell’UE, a patto che
questi non coprano i medesimi costi (single-market-economy.ec.europa.eu).
Riguardo all’idrogeno, inizialmente non incluso all’interno del TEN-E, il 15 dicembre
2020 è stata avanzata una proposta di revisione del regolamento per introdurre anche
questa tematica, entrata poi in vigore il 23 giugno 2022 (energy.ec.europa.eu).
d) Horizon Europe: è il principale programma di finanziamento dell'UE per la ricerca e
l'innovazione (95,5 mld € per il periodo 2021-2027) e vede l’impiego del 35% delle sue
risorse per il sostegno ai target di sostenibilità ambientale dell’Unione stessa.
Per quanto concerne l’idrogeno, molti sono i progetti che possono concorrere per un
sostegno da parte di Horizon Europe: dai progetti di ricerca e di innovazione, passando
per quelli rivolti alla diffusione sul mercato, fino ai test delle tecnologie in ambito
industriale. Il secondo dei tre “pilastri” di tale piano (“global challenges and European

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industrial competitiveness”) riguarda infatti i partenariati per la ricerca e l’innovazione tra
la CE, gli Stati membri e il settore privato, dove si possono riscontrare diverse partnership
relative proprio all’H2 (single-market-economy.ec.europa.eu):
- Clean Hydrogen Partnership: il suo focus è quello di implementare le tecnologie
per l’H2 pulito su vasta scala, contribuendo alla decarbonizzazione dei settori
hard-to-abate (industria e trasporti pesanti). Per fare ciò è stato stanziato un
budget di 1 mld €, da investire per ridurre i costi di produzione fino a 1,5-3 €/kg
entro il 2030 (le modalità attraverso cui tale traguardo può essere raggiunto sono
state individuate ad esempio nella spinta alle hydrogen valleys europee).
- The European Partnership for Clean Aviation.
- The European Partnership for transforming Europe's rail system (234 milioni di
euro per il period 2022-2024).
- Zero-emission waterborne transport: l’obiettivo è quello di sviluppare e
dimostrare entro il 2030 le soluzioni a impatto ambientale nullo che
contribuiranno all’azzeramento delle emissioni nel 2050.
- Zero-emission road transport: l’impegno più oneroso sarà quello di sviluppare
veicoli pesanti a lunga percorrenza totalmente puliti.
- Built4People, per ridurre l’impronta carbonica anche in contesto abitativo.
- Clean steel – low-carbon steelmaking: l’obiettivo è raggiungere entro il 2027 un
TRL pari a 8 per le tecnologie green nell’industria siderurgica, con la convinzione
che ciò possa fungere da traino per la decarbonizzazione di ulteriori settori.
- Process4Planet: questa partnership punta ad introdurre modelli circolari
nell’industria di trasformazione (cemento, acciaio, industria chimica).
- EU Missions: la missione “Climate Neutral & Smart Cities” punta a rendere
climaticamente neutre entro il 2030 ben 100 cittadine europee. Queste ultime
dovranno fungere da centri di sperimentazione ed innovazione per promuovere
il passaggio al net-zero di tutte le altre realtà urbane del continente per il 2050.

Per quanto concerne le regole per applicare ad Horizon Europe e il criterio di selezione
dei progetti, basti sapere che possono applicare anche le persone giuridiche provenienti
da Paesi terzi non associati (mentre per i consorzi questa regola è più stringente), mentre
la valutazione delle proposte si basa sull’analisi di: impatto, qualità, efficienza, livello di
rischio, coerenza complessiva del portafoglio di progetti.

e) Innovation Fund: tale programma di finanziamento è stato predisposto per agevolare la


dimostrazione a livello commerciale di tecnologie innovative per l’abbattimento delle

45
emissioni di CO2. I progetti che possono richiedere tale sostegno possono rientrare
nell’ambito dell’industria ad alta intensità energetica, ma possono anche riguardare
prodotti che si propongono come alternative ai sostituti più inquinanti: energie
rinnovabili, accumulo di energia, CCUS, elettrolizzatori ecc. Grazie a tale flessibilità,
dunque, l’idrogeno può essere sovvenzionato a tutti i livelli della catena del valore, dalla
produzione fino alla domanda finale (senza dimenticare i prodotti derivati dall’H2, come
combustibili ed acciaio). Sono tuttavia esclusi dalla lista i progetti di pura ricerca.
Analizzando i dettagli del finanziamento, invece, prima di tutto occorre sottolineare come
le entrate dell’Innovation Fund per il decennio 2020-2030 provengano principalmente
dalla vendita all’asta di 450 milioni di quote del sistema di scambio di quote dell’UE.
Dal punto di vista del sostegno (erogato sotto forma di sovvenzioni), poi, l’Innovation
Fund copre fino al 60% dei costi (a seconda del tasso di riduzione delle emissioni), con
una distinzione tra progetti di diversa dimensione:
- Progetti su larga scala (CAPEX > 7,5 mln €): oltre ai CAPEX vengono tenuti in
considerazione anche gli OPEX, su un orizzonte temporale di 10 anni.
- Progetti su piccola scala (CAPEX < 7,5 mln €): vengono presi in considerazione
i soli CAPEX.
La sovvenzione avviene tramite pagamenti forfettari al raggiungimento delle milestones
concordate. I costi rimanenti possono inoltre essere coperti combinando le forme di
sostegno da parte del Paese membro di riferimento.
Per quanto concerne i criteri di valutazione e selezione dei progetti stessi, infine, essi sono
i seguenti: riduzione delle emissioni di gas serra, livello d’innovazione, maturità, scalabilità,
efficienza dei costi (single-market-economy.ec.europa.eu).

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Francia

La Francia è stata una delle prime nazioni dell’UE a cogliere gli input comunitari sull’idrogeno,
pubblicando la propria strategia nel Settembre del 2020. Il supporto pubblico previsto fino al 2030
ammonta a 7 miliardi di euro e si propone di perseguire tre obiettivi prioritari: la decarbonizzazione
dell’industria (la volontà rispetto a tale settore è quella di portare le emissioni di CO 2 da 80 mln di
tonnellate a 53 mln entro la fine del decennio), l’utilizzo di H2 nell’ambito dei trasporti pesanti e il
supporto alla ricerca (French Government, 2020).

I primi 3,4 miliardi di euro sono già stati allocati per il periodo 2020-2023 con le seguenti destinazioni
d’uso:

Figura 6 - Destinazione d'uso dei 3,4 mld per il periodo 2020-2023 (French Government, 2020)

Come riportato dalla stessa Commissione Europea, anche la Francia ha ribadito la necessità di supportare
in modo coordinato e graduale sia la domanda che l’offerta di idrogeno al fine di indirizzare correttamente
la crescita di questo mercato. E’ però interessante approfondire la strategia che il Paese ha intenzione di
applicare per ottenere tale risultato, analizzando uno per uno i tre cardini evidenziati dal Governo (French
Government, 2020):

i. Decarbonizzazione dell’industria: l’industria francese consuma attualmente 900.000


tonnellate di idrogeno, quasi del tutto proveniente da fonti fossili: sarebbe dunque
auspicabile cercare di sostenere questo fabbisogno sostituendo le tecnologie tradizionali
con quelle rinnovabili. Per raggiungere tale traguardo, lo Stato ha innanzitutto l’intenzione
di puntare sull’aumento della produzione di elettrolizzatori (target fissato a 6,5 GW entro
il 2030) e, nello specifico, di investire nel raggiungimento dei volumi necessari per
beneficiare delle economie di scala ed abbassare i costi di produzione (in questo percorso
è anche chiara la necessità di aumentare la capacità dei singoli elettrolizzatori).

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Sul lato degli incentivi e delle normative per agevolare l’introduzione dell’idrogeno nel
settore industriale (raffinerie e industrie chimiche in primis), la Francia prevede di
implementare le seguenti azioni:
a) Strumenti di compensazione: fino a quando il prezzo dell’H2 non potrà competere
con le alternative fossili sarà opportuno sostenere sia gli investimenti iniziali che
l’operatività delle soluzioni implementate (selezionate tramite il meccanismo delle
gare d’appalto).
b) Meccanismo delle Garanzie d’Origine (GO) per certificare l’utilizzo dell’H2
rinnovabile e low-carbon.

(nota: la pubblicazione della strategia risale al 2020, mentre l’analisi sugli incentivi che
segue includerà anche le informazioni raccolte sulle misure attuate fino ad oggi).

ii. Idrogeno nel trasporto pesante: la Francia ha deciso di puntare con forza e fin da subito
sul settore dei trasporti via terra (LCVs, HGVs, bus, flotte per la raccolta rifiuti e treni
nelle tratte non elettrificate), con l’intento di eliminare 6 Mt di CO2 annue entro il 2030.
La decisione di concentrarsi sul trasporto terrestre dipende da una serie di fattori. Prima
di tutto il Paese vuole fare leva sulle potenzialità interne, potendo infatti contare su
numerose imprese affermate in questo mercato. Il secondo parametro di scelta è stata la
possibilità di condividere le tecnologie e la componentistica tra le varie tipologie di veicoli,
in modo tale da poter sfruttare economie di scala e di scopo. Infine è stata presa in
considerazione la dimensione economica del settore, che con un fatturato di 100 miliardi
all’anno rappresenta una ghiotta opportunità di crescita per l’idrogeno.
Il programma del Governo è quello di favorire ecosistemi regionali (“Regional hydrogen
hubs”) che servano a sincronizzare gli sforzi di imprese e autorità e a sviluppare l’utilizzo
combinato dell’idrogeno sia a livello industriale che nella mobilità.
Al contempo lo Stato sosterrà lo sviluppo tecnologico nel settore navale e nell’aviazione
con l’obiettivo, in una seconda fase, di estendere l’applicazione dell’H2 anche a questi
ambiti.
iii. Sostegno all’innovazione: al fine di rendere pronto il Paese ad estendere l’impiego
dell’idrogeno per gli utilizzi futuri è importante sostenere la ricerca tecnologica e, al
contempo, assicurarsi di formare figure professionali qualificate a riguardo.

È inoltre importante sottolineare come la Francia sia impegnata nel ricercare una coesione e un
coordinamento a livello europeo, considerandolo fondamentale per lo sviluppo di una value chain solida
e per accelerare la crescita del mercato dell’idrogeno.

48
• Analisi degli incentivi

a) Strumenti di compensazione: Tale meccanismo di sostegno pubblico è dedicato alla


produzione di idrogeno rinnovabile o a basse emissioni di carbonio sul territorio francese,
ed è esteso a tutte le imprese dell’UE o dello Spazio Economico Europeo (Code de
l'énergie, 2021).
La selezione dei progetti avviene secondo una procedura di gara competitiva che tiene
conto dei seguenti fattori: redditività economica, prezzo dell’H2 prodotto, volume di
emissioni, livello di aderenza agli obiettivi nazionali.
Per quanto concerne la modalità del sostegno, esso può configurarsi come un aiuto legato
alla sola operatività (OPEX) del progetto, oppure unire a ciò anche l’aiuto finanziario
agli investimenti (CAPEX). Ad ogni modo, tutto questo viene fissato tramite un
contratto tra il beneficiario e lo Stato che definisce: l’importo concesso (il supporto alle
attività operative tiene conto di tutti gli aiuti finanziari e fiscali già a favore del privato), la
modalità di erogazione, la durata (non superiore ai 20 anni) e le condizioni che le parti
dovranno rispettare (gli impianti sono sottoposti a verifica periodica così come le
condizioni stesse dell’aiuto, al fine di valutare l’evoluzione reale dei costi sostenuti e del
funzionamento). Inoltre, il sostegno al funzionamento delle PMI e dei settori non maturi
è soggetto a un periodo di prova.
Tale schema, a differenza dei “power purchase agreements” messi in campo (fino al 2017)
dalla Francia per incentivare le FER, dove ai produttori era dato il diritto di vendere
l’elettricità direttamente a EDF (Électricité de France) o agli operatori regionali, prevede
che le imprese sussidiate trovino i loro clienti sul mercato (Lazerges & Sauzay, 2021). Per
questo motivo la CRE (Commission de Régulation de l’Énergie) ha avanzato qualche
perplessità mettendo in discussione il fatto che uno strumento di gara tradizionale non
sia forse il più adatto per un settore ancora immaturo come quello dell’idrogeno, dove il
numero di progetti candidati così come la conoscenza dei costi e delle condizioni
operative sono ad oggi bassi (ansa.it). Il regolatore propone dunque di valutare un
approccio più flessibile nel transitorio, puntando su contratti bilaterali su misura. Inoltre,
sempre la CRE avanza la tesi secondo cui sarebbe più saggio legare il sostegno finanziario
alla produzione , piuttosto che strutturarlo come un finanziamento diretto agli
investimenti (hsfnotes.com).
Nota: lo strumento di compensazione è, per come ad oggi è strutturato, molto simile ai
contratti per differenza (CR, Complément de Remuneration”) in vigore in ambito solare

49
ed eolico (Lazerges & Sauzay, 2021), dove il sussidio è conferito nella forma di un premio
proporzionale all’energia prodotta ed è calcolato come differenza tra la tariffa di acquisto
in vigore e un prezzo di mercato di riferimento (edf-oa.fr).
b) Sussidio per gli studi di fattibilità: ADEME (Agence de la transition écologique,
istituzione pubblica sotto la supervisione del Ministero della Transizione Ecologica e della
Solidarietà) ha istituito questo sussidio per l’anno 2023 al fine di incentivare gli studi
d’opportunità e di fattibilità per l’idrogeno rinnovabile o a basse emissioni sul territorio
nazionale. Tali studi dovranno essere subappaltati e potranno godere di una sovvenzione
pari fino al 70% delle spese ammissibili, ovvero: 50.000 € per gli studi d’opportunità e
100.000 € per quelli di fattibilità (agirpourlatransition.ademe.fr).
c) Bonus per veicoli pesanti: all’interno del programma France Rilance (programma da
ben 100 mld €, di cui una parte proveniente dai fondi europei del Recovery Fund), 100
milioni di euro sono stati stanziati per il biennio 2021-2022 al fine di favorire la
sostituzione delle flotte attuali di autotrasporti con mezzi a zero emissioni (a batteria o a
fuel cells). Il bonus previsto per l’acquisto o il noleggio di un singolo truck può arrivare
fino a 50.000 € (per gli autobus invece la cifra si ferma a 30.000 €), a cui è possibile
affiancare anche il super ammortamento di cui beneficiano i mezzi carbon-free oltre le
2,5 tonnellate (motori.ilmattino.it).

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Germania

La Germania crede fortemente nell’idrogeno. A dimostrarlo sono senza dubbio le ingenti somme
stanziate dal 2016 ad oggi per sostenere la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie e, recentemente, per
creare i presupposti per la rapida nascita di un fiorente mercato dell’H2 (sono circa 11,1 i miliardi di euro
predisposti dal Paese per il periodo 2020-2023).

Prima di scendere nel merito della strategia nazionale è doveroso soffermarsi sul fatto che il Governo
Federale tedesco consideri essere sostenibile nel lungo termine solo l’idrogeno prodotto utilizzando
energia da fonti rinnovabili (l’idrogeno verde), mentre accetti l’eventualità che quello decarbonizzato (per
intendersi: l’H2 blu e turchese) venga impiegato in modo temporaneo, soltanto per adeguarsi al trend che
verrà adottato da molti dei Paesi dell’UE (in realtà il nuovo esecutivo insediatosi verso la fine del 2021
pare non abbia intenzione di sovvenzionare altro che l’idrogeno verde). Dato il presupposto, la Germania
è consapevole del fatto di non poter impostare una strategia credibile che non consideri l’impossibilità
concreta di poter soddisfare il proprio fabbisogno di idrogeno con la sola forza produttiva interna. Per
questo l’orientamento del Paese è rivolto all’intensificazione delle cooperazioni internazionali,
coerentemente con l’intenzione di importare da fuori gran parte dell’energia (Federal Ministry for
Economic Affairs and Energy, 2020).

Non solo, ma il Governo Federale rimarca anche la necessità di affrontare le sfida dell’idrogeno con un
approccio quanto più europeo possibile. Sviluppare una struttura regolatoria comune, condividere le
esperienze tra gli Stati membri, sfruttare le potenzialità delle singole aree geografiche riguardo all’eolico e
al fotovoltaico, appoggiarsi all’infrastruttura continentale del gas e stabilire condizioni per gli investimenti
uguali per tutti sono elementi fondamentali per favorire la buona riuscita dei piani prefissati.

Di seguito gli obiettivi principali per il Paese stabiliti dalla strategia nazionale sono riportati sinteticamente
per punti:

i. Rendere l’idrogeno competitivo: fintanto che questo punto non verrà raggiunto, il mercato
dell’idrogeno non potrà sbocciare. Prendersi carico di questa istanza vuol dire considerare
finalmente il costo delle emissioni per fissare i prezzi delle alternative fossili, ma anche attuare le
misure necessarie ad accelerarne la produzione e l’utilizzo, quanto serve per raggiungere la massa
critica ed indurre i settori guida a compiere il salto di tecnologia.
ii. Sviluppare il mercato interno: stimando una richiesta interna al 2030 oscillante tra i 90 e i 110
TWh, il progetto è quello di installare entro quell’anno 5 GW di elettrolizzatori (in grado di fornire
circa 14 TWh) e i relativi impianti di energia da FER, con l’ottica di raddoppiare la capacità
produttiva tra il 2035 e il 2040. Per sopperire al resto della domanda verranno intensificati i

51
rapporti con gli altri Paesi comunitari, soprattutto con quelli affacciati sul Mar Baltico e sul Mare
del Nord e con quelli posizionati più a meridione (per via del loro potenziale come produttori su
vasta scala di energia rinnovabile).
iii. Sviluppare i derivati Power-to-X (PtX): le alternative basate sull’idrogeno verde costituiscono
l’opportunità per la decarbonizzazione dove l’elettrificazione trova degli ostacoli insormontabili
(trasporti pesanti, aviazione, trasporti marittimi). La strategia prevede che in una prima fase sia la
mobilità via terra ad accogliere le fuel cells come complemento alla tecnologia dell’elettrico a
batteria, ma che sul lungo periodo i settori che beneficeranno maggiormente dell’H2 (e soprattutto
dei suoi derivati) saranno senz’altro il trasporto marittimo e quello aereo.
iv. Decarbonizzare il settore industriale: la domanda annuale (il dato si riferisce all’anno 2020) di
idrogeno da parte dell’industria tedesca raggiunge i 55 TWh ed è principalmente soddisfatta
producendo H2 grigio (solo il 7% è derivato da processi di elettrolisi). L’obiettivo è quello di poter
sostituire le tecnologie tradizionali con quelle che sfruttano l’elettrolisi e le FER e, entro il 2050,
di stabilire definitivamente l’uso dell’idrogeno anche in quei settori altamente inquinanti
(produzione dell’acciaio, dell’ammoniaca ecc.) che al momento non ne fanno ricorso.
È interessante sottolineare come la Germania sia convinta che sarà proprio l’industria pesante a
far registrare l’incremento maggiore della domanda di H2 verde entro il 2030. Infatti, vi sono già
alcune produzioni (raffinerie più qualche ambito dell’industria chimica) dove la sostituzione
dell’idrogeno fossile con quello rinnovabile non richiederebbe alcun intervento.
v. Migliorare l’infrastruttura di trasporto e distribuzione: questo è fondamentale nell’ottica di
instaurare un mercato dell’idrogeno efficiente. la Germania può attualmente contare su
un’infrastruttura del gas molto sviluppata: poterla riconvertire (almeno in parte) per veicolare il
vettore H2 è un’opzione attraente e cost-effective, ma occorre poter garantire lo stesso livello di
sicurezza.
vi. Sostenere la ricerca e garantire forza lavoro qualificata: il Governo Federale crede che i progetti
di ricerca più importanti siano quelli che coinvolgono nel loro complesso l’intera value chain
(stoccaggio, trasporto, distribuzione ed usi finali) e che prevedono un approccio applicativo fin
da subito, data la necessità di accorciare il più possibile i tempi per il run-up della tecnologia. Allo
stesso tempo occorre già formare nuove figure professionali al fine di garantire il rafforzamento
delle imprese e degli istituti di ricerca tedeschi.
vii. Stabilire un mercato e una cooperazione internazionale per l’idrogeno: questo non deve essere
inteso solo come una necessità per coprire il fabbisogno interno futuro, ma anche come
un’opportunità per diminuire la dipendenza energetica da singoli Paesi diversificando la
provenienza delle forniture.

52
La strategia prevista per ottenere i risultati elencati sopra divide gli obiettivi temporali in due: tra il 2020
e il 2023 deve essere indotta la crescita iniziale del mercato, sfruttando soprattutto le opportunità di
impiego dell’idrogeno già “pronte all’uso”, mentre dal 2024 e fino al 2030 sarà necessario consolidare
questa crescita stabilendo un florido mercato interno ed e esterno.

Per quanto concerne gli incentivi previsti per la prima fase si possono citare i seguenti:

a) Introdurre un prezzo della CO2 per i combustibili fossili utilizzati nel settore dei trasporti e del
riscaldamento: (nota: rispetto al riscaldamento la Germania sostiene che non tutto si potrà
elettrificare e per questo ci sarà bisogno di trovare dei sostituti gassosi per il metano) questa
misura è orientata a ridurre il gap di costo tra l’idrogeno e le soluzioni alternative tradizionali.
b) Ridurre o esentare la produzione di idrogeno dal pagamento dell’EEG surcharge: questo
sovrapprezzo è generalmente imposto ai consumatori che utilizzano l’energia proveniente dalla
rete e serve a finanziare il supporto alla produzione di corrente elettrica da fonti rinnovabili
previsto dal German Renewable Energy Act (EEG).
c) Riforma ulteriore delle componenti di prezzo (in fase di valutazione).
d) Esentare l’elettricità utilizzata per produrre H2 verde dal pagamento di tasse e altri sovrapprezzi
(in fase di valutazione).
e) Fondi per sostenere lo switch del settore industriale verso gli elettrolizzatori.
f) Schemi di gara per finanziare la produzione di idrogeno (ad esempio per la decarbonizzazione
dell’industria chimica e dell’acciaio).
g) Carbon Contracts for Difference (CfD) per l’industria chimica e dell’acciaio: in questo caso è
previsto che il Governo Federale finanzi la differenza tra il costo sostenuto per evitare le emissioni
e i prezzi fissati dall’ETS (Emissions Trading Scheme) con l’accordo che, qualora questi ultimi
superassero il primo, le imprese dovrebbero pagare la differenza allo Stato.
Nota: il fatto che questa misura non venga estesa a più settori industriali è semplicemente dovuto
al fatto che occorre validarne l’efficacia con dei progetti pilota.
h) Fissare un tasso di riduzione delle GHG emissions nel settore dei trasporti.
i) Sovvenzioni per i veicoli spinti da tecnologie alternative.
j) Fondi per la produzione di fuel “electricity-based” e di biofuels.
k) Fondi per la realizzazione dell’infrastruttura per il rifornimento dei veicoli.

Di ispirazione è infine il meccanismo di revisione della strategia previsto dal Governo Federale al fine di
garantire il rispetto dei target fissati. La prima valutazione dei risultati ottenuti è posta dopo tre anni e si
avvantaggerà della collaborazione di un pool di esperti selezionati (il National Hydrogen Council) per le
eventuali misure correttive.

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• Analisi degli incentivi

a) H2Global: al fine di sostenere gli investimenti delle imprese tedesche ed europee nella
produzione, nel trasporto e nell’utilizzo di prodotti PtX sostenibili il Ministero Federale
Tedesco per gli Affari Economici e l’Azione per il Clima (BMWK) ha messo a
disposizione, nel Dicembre 2021, ben 900 mln € attraverso tale strumento basato sul
meccanismo d’asta (h2global-stiftung.com). Il principio alla base di H2Global è quello di
acquistare prodotti derivati dell’H2 al miglior prezzo sul mercato mondiale (da Paesi fuori
sia dall’UE che dall’EFTA) e di venderli al miglior offerente nell'UE: tutto ciò al fine di
promuovere la crescita del mercato globale dell'idrogeno verde (bmwk.de).
L’articolazione del sussidio prevede la presenza di un intermediario tra offerta e domanda,
la Hydrogen Intermediary Network Company (Hintco), il quale ha il compito di
concludere contratti di acquisto a lungo termine (10 anni) sul lato dell’offerta (cioè con le
imprese produttrici e/o trasportatrici di H2 e dei suoi derivati) e contratti di vendita a
breve termine su quello della domanda. I fondi stanziati dal Governo serviranno dunque
per compensare ai produttori la differenza tra i prezzi dell’offerta e quelli della domanda.
Gli aspetti positivi di questo schema sono i seguenti:
- Accordi di lungo termine e sostenuti dal Governo lato offerta, sono un modo
efficace per dare sicurezza agli investitori e dunque per sbloccare investimenti
anche su larga scala che accelerino la crescita del mercato dell’idrogeno.
- I prezzi sono determinati dalla concorrenza, sia dal lato offerta che da quello della
domanda. In queto modo i contratti vengono aggiudicati per soggetti terzi che
propongono, rispettivamente, il prezzo d’offerta più basso e il prezzo di domanda
più alto, così da minimizzare la differenza da compensare.
- Contratti di vendita a breve termine permettono di sfruttare il rialzo previsto per
i prezzi di mercato dei prodotti convenzionali (derivanti da fonti energetiche
fossili). Si può dunque prevedere che le compensazioni possano diminuire
durante il decorso del finanziamento, rendendo H2Global uno strumento più
efficiente rispetto al panorama attuale dei sostegni all’idrogeno.

E’ importante sottolineare che H2Global è la prima procedura di offerta globale per


l'acquisto di idrogeno e dei suoi derivati (bmwk.de). Con essa, dunque, verrà fissato il
primo prezzo di mercato al mondo per tali prodotti.

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Nota: l’arrivo dei primi prodotti PtX in Germania e in Europa è atteso per la fine del
2024, mentre il Governo Federale prevede per il 2023 di aumentare il tesoretto a
disposizione fino al 2036 di ulteriori 3,5 mld €.

b) Carbon Contracts for Differences (CCfD): i CCfD, molto più simili a uno strumento
di copertura che a un vero e proprio sussidio, vedono la loro utilità in un contesto dove
il prezzo della CO2 fissato dall’emission trading system non è sufficientemente alto per
consentire alle nuove tecnologie low-carbon di essere competitive sul mercato (Richstein
et al., 2021). In questo modo, invece, il Governo può garantire alle imprese un prezzo
fisso del carbonio (per un periodo prestabilito di 20 anni) per la riduzione delle emissioni
sotto una soglia di riferimento, pagando loro la differenza rispetto al prezzo realizzato
quando questo è minore di quello convenuto e venendo esso stesso pagato della
differenza qualora il prezzo realizzato eccedesse le cifre pattuite dal CCfD.
Di conseguenza i contratti per differenza riducono di molto il rischio di prezzo relativo
al carbonio (cioè alle sue fluttuazioni) e permettono alle imprese di pianificare azioni sul
lungo termine. Allo stesso tempo, però, essi costituiscono un’opzione sostenibile anche
per lo Stato, che può sensatamente prevedere flussi di cassa positivi per i prossimi anni,
mano a mano che i prezzi delle emissioni lieviteranno (addirittura non è da escludere la
possibilità di avere un risultato positivo dei flussi scontati per l’intero periodo degli aiuti).

Rispetto ai CCfD restano tuttavia aperti i dibattiti su quali siano le azioni corrette per una
loro implementazione efficace. È ragionevole, ad esempio, introdurli in combinazione
con ulteriori strumenti di sostegno al fine di ridurre i rischi per le imprese private e, di
conseguenza, abbassare il prezzo di esercizio (strike price) degli accordi stessi. In tale
direzione pare interessante l’opzione di un RES-CfD, un contratto per differenza
riguardante le rinnovabili che abbatterebbe l’incertezza su un elemento fondamentale per
le produzioni industriali hydrogen-based: il prezzo dell’energia elettrica (Richstein et al.,
2021).
Il secondo punto sul quale il Governo si sta interrogando riguarda invece la definizione
dei meccanismi di selezione e di assegnazione dei contratti. In primo luogo, occorre
stabilire quale ampiezza dare ai gruppi di società che competono tra loro, al fine di evitare
lock-in tecnologico e promuovere una competizione equa tra le imprese. In tal senso
appare opportuno dirigersi verso una soluzione intermedia che da un lato permetta alle
diverse tecnologie disponibili sul mercato di fronteggiarsi tra loro, ma che allo stesso
tempo circoscriva il campo di valutazione al singolo settore d’applicazione (dove

55
verosimilmente le imprese fanno fronte ai medesimi costi di abbattimento delle
emissioni).
Un altro aspetto di primaria importanza riguarda poi le metriche da adottare per la
valutazione dei progetti. Richstein et al. (2021) pongono l’accento sul fatto che sia
prematuro, nel caso dell’idrogeno, basare il sistema di giudizio esclusivamente sull’analisi
dell’opzione meno costosa, in quanto potrebbero esserci alternative ancora poco mature
che tuttavia promettono un potenziale di mitigazione delle emissioni molto più alto
rispetto alle rivali. Per questo motivo essi suggeriscono di introdurre una regola di
punteggio multicriterio che tenga conto anche di questo fattore, così come delle
complementarità tra i progetti in lizza.
La terza riflessione da fare (per quanto concerne il meccanismo di selezione) riguarda la
struttura vera e propria del processo competitivo e dunque la scelta tra il meccanismo
d’asta e la negoziazione. Data la complessità tecnica, il numero non esagerato di imprese
contendenti e dato soprattutto il rischio di forte asimmetria informativa tra ente
governativo ed aziende, la negoziazione sembra poter mettere maggiormente al riparo da
eventuali rinegoziazioni aggressive dei contratti ex-post che potrebbero inficiare la
sostenibilità economica del sistema dei CCfD (Richstein et al., 2021).
Oltre a ciò, anche l’opzione di un tetto massimo al prezzo e/o la combinazione dei CCfD
con altri sistemi di sovvenzione (es.: Innovation Funding) sono presi in considerazione.
Nota finale: al contempo, l’imposizione graduale di aggravi sempre maggiori per le
imprese che continuano ad inquinare permetteranno di rientrare delle spese per i sussidi.
c) Fondi PtX: Nel mese di novembre del 2022, il Governo tedesco ha annunciato la
creazione di due nuovi fondi per gli investimenti nell’idrogeno lungo tutta la catena del
valore: il “Fondo di Sviluppo PtX” (250 mln €, sotto la responsabilità del BMZ, il
Ministero della Cooperazione Economica e dello Sviluppo) riguardante gli investimenti
nei Paesi emergenti o in via di sviluppo e il “Fondo di Crescita PtX” (300 mln €, gestito
dal BMWK, il Ministero degli Affari Economici e dell’Azione Climatica), il quale è invece
pensato per favorire la crescita del mercato globale e l'infrastruttura per l'H2 verde.
Per quanto concerne il primo dei due fondi esso è fondamentale secondo il ministro
federale dello sviluppo Svenja Schulze (bmz.de) per rendere accessibile la produzione ed
il consumo di idrogeno in quei Paesi economicamente meno avanzati, ma che presentano
le caratteristiche più favorevoli all’implementazione di tali soluzioni (principalmente per
il loro grande potenziale in termini di FER). Il secondo fondo, invece, contribuirebbe a
sovvenzionare investimenti da parte delle imprese tedesche e di quelle europee con sede
legale in Germania, al fine di creare una value-chain a livello internazionale, sostenendo

56
in tal modo lo stesso H2Global (quest’ultimo, infatti, il quale incentiva l’import di H2
dall’estero, può sussistere solo se fuori dai confini tedeschi si svilupperà in tempi
ragionevoli un mercato strutturato in tale ambito).

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Olanda

L’Olanda ha pubblicato la propria strategia per l’idrogeno ad Aprile del 2020, prima ancora di quanto
fatto dalla Germania. Basandosi sulle previsioni fornite da IRENA che vedono la possibilità che
l’elettrificazione possa coprire appena il 50% della domanda di energia nel 2050, il Governo olandese si
dichiara consapevole che i gas rimarranno un elemento fondamentale anche per il nuovo paradigma
energetico (sempre IRENA ipotizza che i vettori energetici alternativi soddisferanno almeno il 30% del
fabbisogno mondiale). Come anticipato nel capitolo relativo alla letteratura, vi sono infatti molti consumi
finali per i quali i gas a zero emissioni costituiscono l’unica alternativa tecnicamente o economicamente
percorribile per la decarbonizzazione: industria pesante e trasporti pesanti, in primo luogo, ma anche il
settore agricolo, ad esempio. Inoltre, essi possono essere stoccati efficacemente (caratteristica
fondamentale per il sector coupling con le FER) e trasportati senza troppe difficoltà.

In un tale contesto l’Olanda non può ovviamente ragionare come un unico attore, in quanto la
produzione interna di gas non potrebbe mai avvicinarsi a coprire il fabbisogno necessario per il
raggiungimento del fatidico net-zero-goal al 2050. Anche per questo motivo l’approccio del Paese è
decisamente propenso ad una collaborazione stretta tra tutti gli Stati membri (e non solo).

Oltre a questo primo aspetto, le idee chiave per la strategia sono molto chiare: ampliamento del mercato,
abbattimento dei costi ed innovazione. In un simile contesto il Governo ha il delicato compito di creare
le condizioni favorevoli per la nuova tecnologia, mentre le imprese e i centri di ricerca sono chiamati ad
investire le proprie risorse e le proprie energie in applicazioni scalabili ed innovative (Government of the
Netherlands, 2020).

Nell’impostare il piano d’azione, l’Olanda ha ben chiare le opportunità che vuole cogliere e i punti di
forza sui quali fare leva per espandere il business dell’idrogeno. Prima di tutto consentire alle proprie
industrie altamente energivore di poter affrontare la decarbonizzazione con costi competitivi. In secondo
luogo, sfruttare la propria esperienza nel campo dell’H2 grigio (di cui il Paese è il secondo produttore in
Europa, dietro alla Germania) e la fiorente industria manifatturiera per ritagliarsi un ruolo da protagonista
nella creazione della supply chain interna ed internazionale. Infine, conservare l’attuale funzione di
“centro di smistamento” per i flussi energetici nel Nord-ovest europeo, facendo leva sulle infrastrutture
gas già presenti.

Dopo aver esposto tutti i presupposti del caso, di seguito viene riportata l’agenda fissata dal Governo,
incentrata su 4 pilastri fondamentali:

i. Legislazione e regolazione: innanzitutto il Governo si adopererà per comprendere in che modo


e a quali condizioni l’attuale rete del gas possa essere reimpiegata per il trasporto e la distribuzione

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dell’idrogeno. Il requisito della sicurezza è esplicito e a tal proposito viene suggerita la possibilità
di un coordinamento a livello europeo.
Sul fronte delle norme incentivanti vengono menzionate le seguenti soluzioni:
a) Garanzie d’Origine: seguendo la struttura indicata dalla Renewable Energy Directive
(RED II).
b) Flessibilità regolatoria: il National Climate Agreement prevede questa possibilità per
permettere agli operatori della rete regionale e nazionale di accrescere l’esperienza nel
trasporto e nella distribuzione dell’idrogeno.
ii. Riduzione dei costi e ampliamento del mercato: al fine di raggiungere entro il 2030 una
riduzione dei costi dell’idrogeno verde vicina a quella prospettata dall’Hydrogen Council (cioè di
circa il 50-60%), l’Olanda si impegna a installare elettrolizzatori per una capacità di 500 MW entro
il 2025 e fino a 3-4 GW per il 2030. Consapevole del fatto che un aumento della produzione non
basterà da solo a rendere l’H2 green competitivo rispetto alle alternative più inquinanti, il Paese è
pronto a fornire l’adeguato supporto finanziario attraverso i seguenti schemi:
a) Energy Innovation Demonstration Scheme (DEI+): questo supporto è fornito ai progetti
pilota/dimostrativi ed è dunque pensato per incentivare la ricerca applicata.
b) Supporto ai costi operativi: questo sostegno temporaneo è pensato per quei progetti che
si trovano nel mezzo tra la prima fase di “demo” e il lancio definitivo. A tale scopo il
Governo stanzierà circa 35 milioni all’anno.
c) Sustainable Energy Transition Subsidy Scheme (SDE++): questo schema di
incentivazione è dedicato al lancio dei progetti. Notare che anche i progetti riguardanti
l’idrogeno blu e la CCS potranno concorrere per tale sostegno (l’H2 blu è considerato
nell’ottica di preparare il mercato a quello ottenuto con zero emissioni).

Oltre a queste misure, il Governo valuta la possibilità di fissare una quota obbligatoria di idrogeno
nel blend della rete gas al fine di accrescere la domanda del mercato (nota: al momento è possibile
introdurre nel mix del gas naturale fino al 2% di H2, percentuale che potrebbe crescere
gradualmente fino al 10-20% aggiornando l’infrastruttura esistente).

iii. Sostenibilità del consumo finale: l’industria pesante e quella dei trasporti (compresi i mezzi
agricoli) sono i primi ambiti individuati dal Governo olandese per lo sviluppo delle tecnologie
legate all’idrogeno. I target che sono stati fissati sono i seguenti: 50 stazioni di rifornimento,
15.000 veicoli e 3.000 veicoli pesanti a fuel cells entro il 2025, che dovrebbero salire a 300.000 nel
2030. In tale contesto lo Stato e le autorità territoriali fungeranno da primi clienti del nuovo
mercato.

59
Anche i trasporti marittimi e quelli aerei saranno toccati dalla nuova tecnologia. In particolare,
per il settore dell’aviazione l’Olanda spinge perché si fissi a livello europeo una quota obbligatoria
di idrogeno nel blend dei fuels (se ciò non si realizzasse, il Governo ha già espresso l’intenzione
di istituire internamente una quota del 14% entro il 2030 e del 100% nel 2050).
Per quanto concerne l’utilizzo di H2 nel riscaldamento abitativo, invece, si presuppone che i
volumi necessari per espandersi in questo ulteriore ambito verranno raggiunti solo dopo il 2030.
iv. Policies di supporto: l’Olanda promuove un approccio fondato sulla collaborazione
internazionale per massimizzare i risultati ottenibili e per sfruttare l’opportunità di un mercato
Comunitario armonizzato su tutti i fronti: dagli standard adottati in termini di sostenibilità, qualità
e sicurezza, alle regole riguardo il blend di idrogeno nella rete del gas e nei fuels per il settore dei
trasporti, passando per il coordinamento di progetti complessi su vasta scala e per lo sfruttamento
ottimale del potenziale di ogni Paese, soprattutto in relazione alle possibilità di ottenere energia
da FER in quantità.

• Analisi degli incentivi

a) Energy Innovation Demonstration Scheme (DEI+): come anticipato poco prima


nell’analisi dell’agenda olandese per l’idrogeno, tale schema di sostegno è espressamente
dedicato ai progetti pilota e a quelli dimostrativi. Possono concorrere alla sovvenzione i
progetti che rientrano nelle seguenti categorie (egen.green): produzione di idrogeno verde,
trasporto e stoccaggio dell’H2, utilizzo dell’idrogeno in abiti difficili da decarbonizzare
(produzione di combustibili, trasporti, processi industriali…).
I numeri di tale supporto fino ad oggi sono stati i seguenti: 10 mln € sono stati stanziati
nel 2021 (cliffordchance.com), mentre per il periodo 2022-2023 il budget è stato portato
a 29,4 mln €.
I progetti che accedono al sostegno economico possono essere sussidiati per una quota
dei costi che varia tra il 20% e il 50% (solitamente il 25% per i progetti pilota e il 40% per
quelli dimostrativi), fino a un massimo di 15 milioni di euro. In ogni caso, le PMI possono
godere di un’agevolazione ulteriore del 10-20% (egen.green).

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b) Sustainable Energy Transition Subsidy Scheme (SDE++): come anticipato, lo
SDE++ (il round per il 2022 mette a disposizione 13 mld € nel suo complesso) è
sviluppato appositamente per agevolare il “roll-out” dei progetti nella loro operatività:
dunque il sostegno è relativo agli OPEX e non all’investimento iniziale. Tale sussidio, a
seconda dell’ambito di applicazione, ha una durata di 12 o 15 anni e compensa la
differenza tra il costo dell’energia da FER (o il costo della riduzione dell’emissione di
CO2) e i ricavi (Netherlands Enterprise Agency, 2022). Ovviamente anche l’ammontare
dell’aiuto economico dipende dalla tecnologia usata, ma su di esso incide anche il livello
di anidride carbonica evitata che il progetto riesce a raggiungere.
Ecco come funziona:

intensità del sussidio [€/t CO2] = (application amount [€/kWh] -log-term price
[€/kWh])/(emission factor [kg CO2/kWh]/1000)
Mentre se si tratta di CCS o CCU:
intensità del sussidio [€/t CO2] = (application amount [€/t CO2] -log-term price [€/t
CO2])/(emission factor [kg CO2/t CO2]/1000)

L’application amount è il tasso di sussidio richiesto dal privato e non può eccedere il prezzo
di costo (detto “base rate”) della produzione di energia rinnovabile o della riduzione delle
emissioni. Viene poi introdotto un “correction rate” che tiene conto dei ricavi ottenuti e
dei costi evitati (es.: esenzione dai costi di acquisto dell’energia o dalle quote di emissione).
Esso non può scendere sotto il lower bound fissato dal prezzo dell’energia (o
dall’ammontare di gas serra) base, posto pari ai 2/3 dei ricavi medi attesi per il tempo del
sussidio. In questo modo, il sussidio è pari alla differenza tra “application amount” e
“correction rate” (maggiore è il ricavo, minore sarà la compensazione).
Per quanto concerne l’intensità del sussidio, invece, esso non può superare i 300 €/t CO2
(oltre tale cifra, l’Olanda non ritiene che tale aiuto sarebbe in linea con le necessità di una
decarbonizzazione che sia il più possibile cost-effective). Tale parametro è utilizzato per
definire una graduatoria dei progetti. Infatti, lo SDE++ raccoglie le richieste di sussidio
in 5 round successivi, ognuno dei quali impone un limite mano a mano crescente
all’intensità del sussidio stesso. In questo modo vengono accolte con precedenza le
istanze dei progetti che presentano un minore bisogno di aiuti (e minore è la richiesta
dell’impresa privata, maggiore è anche la probabilità che venga selezionata). Notare,
dunque, che anche la data di applicazione rileva per la graduatoria finale (Netherlands
Enterprise Agency, 2022).

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Affinché l’idrogeno elettrolitico connesso alla rete elettrica sia eleggibile per ricevere il
sussidio, la capacità produttiva dell’impianto deve essere superiore a 0,5 MW. Le ore di
carico massimo coperte dal sussidio sono 4.200 per evitare che tale tecnologia sia più
inquinante rispetto al tradizionale SMR (la rete non è ovviamente alimentata al 100% da
FER, il che comporta ulteriori emissioni che non devono ricevere incentivo). Nota: se in
un anno si eccede o non si raggiunge il numero di full-load hours coperte dagli aiuti, si
può fare “banking” di tali ore in avanzo o in difetto per sfruttarle l’anno successivo (con
l’accortezza che il cumulo di ore in eccesso è limitato al 25% del monte ore eleggibile per
il sussidio).
Per quanto concerne l’idrogeno elettrolitico alimentato direttamente da un impianto
FER, invece, ciò che varia è solo il numero di ore a massimo carico coperte dall’incentivo
(6.154). Inoltre, viene escluso un sostegno duplice per l’impianto eolico o solare collegato
agli elettrolizzatori.
Passando poi all’analisi dei sostegni al CCS, essi hanno durata di 15 anni e vedono fissati
dei limiti per la produzione sia a livello industriale (5,3 Mt/y) che per il settore elettrico
(3 Mt/y): infatti, con le tariffe per il trasporto e lo stoccaggio della CO2 in rialzo, il limite
per il sussidio è necessario per lasciare abbastanza risorse a tutte le atre tecnologie
supportate dallo SDE++. Nota: il “correction rate”, in questo caso, tiene conto del fatto
che il progetto goda o meno del sostegno ETS. Inoltre, è prevista anche la combinazione
dei sussidi per CCS e CCU, salvo per alcune soluzioni che genererebbero sovra-
sussidiazione.
il ché si tradurrà in un compenso di 1064 € per ogni tonnellata di CO2 evitata (se lo
specifico progetto godesse già di ulteriori agevolazioni, questo compenso si ridurrebbe a
un massimo di 300 €/t CO2).
c) Sussidio alle stazioni di rifornimento: per aiutare il mercato dell’idrogeno a estendersi
anche al settore dei trasporti pesanti, il Governo olandese ha introdotto un primo round
di sussidiazione (che dovrebbe vedere lo start nel 2024, per un totale di 22 mln €) per la
realizzazione di nuove stazioni di rifornimento per autocarri (dovrebbero poter essere
realizzate da 5 a 10 spot).
La carenza di punti per il rabbocco di H2 è infatti il primo freno alla produzione stessa
dei mezzi che ne dovrebbero usufruire. Per tale ragione il meccanismo di assegnazione
delle sovvenzioni prevede che i richiedenti debbano includere nel loro progetto, oltre alla
stazione di rifornimento, anche un piano per una flotta (20-26 mezzi per distributore) di
veicoli pesanti (hydrogen-central.com).

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d) Sostegno mirato per l’idrogeno verde: è stato presentato uno schema di sussidi da 250
mln € destinati esclusivamente ai progetti di realizzazione di elettrolizzatori di capacità
compresa tra 0,5 MW e 5 MW (sarà attivo nel 2023). Tale regime di sovvenzione si
discosta dai vari DEI+, SDE++ e IPCEI in quanto è dedicato in modo unico all’H2 verde
(celle elettrolitiche collegate alla rete elettrica o a impianti eolici/fotovoltaici) ed anche
perché prevede il sostegno sia ai costi d’investimento che a quelli operativi (mentre DEI+
e SDE++ si focalizzano rispettivamente solo suo dei due aspetti).
Il sussidio in sé ha una durata di 15 anni (prorogabili a 16 se non si raggiunge la
produzione sussidiata entro il 15esimo) e dovrebbe garantire la copertura per 10-20
progetti la cui realizzazione deve essere completata entro 3 anni (massimo 4)
dall’ottenimento del suddetto sussidio. La parte di aiuti all’investimento iniziale tiene
conto delle spese per l’elettrolizzatore e per le apparecchiature per il BoP (Balance of
Plant), ma esclude quelle sostenute prima della presentazione della domanda
(vandoorne.com). Quella relativa all’operatività del progetto, invece, è articolata in modo
molto simile a quanto visto per lo SDE++ (nota: in questo caso, però, ciò che influisce
per la graduatoria di assegnazione è solo l’importo richiesto dall’azienda e non anche la
data di applicazione).

63
Portogallo

La strategia portoghese per l’idrogeno (EN-H2) ha visto la luce a Maggio del 2020 e proietta il Paese come
protagonista di questo nuovo mercato, grazie soprattutto alle ottime potenzialità intrinseche del territorio
legate alla produzione di energia da fonti rinnovabili (Brandão & Pinto, 2020, riferiscono infatti che il
Portogallo abbia fatto registrare il prezzo dell’energia solare più basso in Europa e che dunque sia
legittimo immaginarlo nel ruolo di futuro esportatore di idrogeno) . Gli impieghi prospettati dal Governo
nazionale per quanto riguarda la molecola di H2 sono essenzialmente quelli per i quali l’elettrificazione
non è ancora riuscita (e non riuscirà, per motivi tecnici e a volte anche di sostenibilità economica) ad
imporsi come una valida alternativa alle fonti fossili tradizioni: industria (raffinerie, cementifici, acciaierie
e industria chimica), trasporti (in particolar modo quelli pesanti) e accoppiamento alla rete elettrica per
bilanciare e rendere più efficiente l’utilizzo delle FER. Oltre a queste applicazioni, poi, l’idrogeno è
considerato un’opportunità anche per la possibilità che offre di sfruttare l’attuale infrastruttura del gas
per il suo trasporto e per la distribuzione.

Gli obiettivi imposti dal PNEC 2030 (National Energy and Climate Plan) sono ambiziosi: entro la fine
del decennio è attesa una penetrazione al 47% delle FER nel consumo finale di energia e addirittura
dell’80% nella produzione di corrente elettrica, a cui si somma l’intenzione di ridurre al 65% la dipendenza
dalle importazioni di energia (Brandão & Pinto, 2020). Per questo motivo l’impegno del Paese nel favorire
la nascita di un vero e proprio mercato dell’idrogeno è massimo, con la strategia che fissa i seguenti target
per il 2030:

- Il 5% del consumo energetico finale dovrà essere coperto dalla produzione di H2 (20% nel 2050),
con la medesima percentuale di penetrazione anche per quanto concerne il settore dei trasporti
su terra e l’industria.
- La percentuale di idrogeno nel blending della rete gas deve raggiungere il 15%.
- Verranno installate dalle 50 alle 100 stazioni di rifornimento.
- Si dovranno raggiungere i 2 GW di capacità installata per quanto concerne gli elettrolizzatori (da
portare a 5 GW nel 2050).

A tal proposito il Governo ha previsto un apporto di 7 miliardi di euro per gli investimenti in progetti
per la produzione di H2, 300-600 mln € per ridurre l’importazione di gas naturale e 900 mln € per
supportare la produzione e gli investimenti delle imprese private (República Portuguesa, 2020).

I punti chiave della EN-H2 sono i seguenti: estendere l’impiego dell’idrogeno nel settore dei trasporti
pesanti e dei mezzi pubblici, decarbonizzare l’industria del Paese (in particolar modo quella dell’acciaio e
le miniere sotterranee), utilizzo delle acque reflue per l’elettrolisi, supporto a grandi progetti che

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permettano di sperimentare e dare slancio all’intera value chain (l’esempio più evidente è il Sines Industrial
Project, per il quale è previsto un esborso di 2,85 miliardi di euro e che dovrebbe garantire il
raggiungimento di 1 GW di capacità entro il 2030), collaborazione stretta con gli Stati membri (con
l’Olanda è già stata siglata una partnership).

I meccanismi di supporto al mercato dell’idrogeno che sono stati previsti sono i seguenti:

a) Trattamento tariffario differenziato: per quanto riguarda l’introduzione dell’idrogeno nella rete
del gas naturale, questa potrebbe beneficiare di un’esenzione temporanea (parziale o completa)
dal pagamento della tariffa di accesso alla rete, nella misura in cui tale risoluzione non comporti
un onere eccessivo per il sistema.
b) Premio variabile sul prezzo del gas naturale: tale misura, che seguirebbe la procedura prevista per
le gare d’appalto, potrebbe rendere la produzione di H2 verde competitiva rispetto a quella del
gas. Essa si rifà essenzialmente allo strumento dei CCfD.
c) Sostituzione tariffe di “feed-in”: la proposta consiste nel convertire alla produzione di idrogeno
verde gli impianti di FER che attualmente forniscono energia al CUR (“Comercializador de
Último Recurso”, ovvero il distributore preposto a fornire nel suo territorio di competenza la
Fornitura di Ultima Istanza di gas, nei casi in cui l’utilizzatore finale si trovi senza un fornitore
proprio) e che beneficiano di una tariffa di feed-in.
d) Tassazione favorevole: è prevista l’esenzione dalle accise sui prodotti energetici sia per l'idrogeno
verde che per i biofuels, certificati rispettivamente tramite GO e Biofuel Title (wts.com).
Al fine di ottenere i risultati di decarbonizzazione auspicati dalla strategia nazionale è infatti
fondamentale strutturare una green tax che internalizzi gli impatti ambientali e discrimini
positivamente prodotti e servizi a impatto zero, incoraggiando la sostituzione del gas naturale con
l’alternativa idrogeno (República Portuguesa, 2020).
e) Garanzie d’Origine.

65
• Analisi degli incentivi

a) “CCfD” per l’immissione nella rete del gas: anche il Portogallo ha mostrato il suo
interesse verso tale strumento finanziario al fine di promuovere lo sviluppo di un mercato
nazionale dell'idrogeno entro il 2030, periodo nel quale appare improbabile che i costi di
produzione dell’H2 possano permettere una competizione equa tra la nuova soluzione e
il gas naturale. Tale sostegno, tra l’altro, risulta essere molto interessante anche dal lato
del consumatore, poiché solleva da egli l’onere di sopportare gli extra-costi legati allo
start-up della tecnologia emergente.
Sulla struttura stessa del sostegno non verranno spese ulteriori parole, data la totale
somiglianza ai CCfD tedeschi (presentati nelle pagine che precedono). Tuttavia è
importante sottolineare come la strategia del Paese sia indirizzata a delineare una
procedura di selezione dei progetti sulla base di un meccanismo di gara competitivo e che
intenda definire un iter di adeguamento periodico del sostegno (es. tasso fisso regressivo
o tasso variabile indicizzato a un determinato parametro) al fine di escludere il rischio di
sovracompensazione dei costi per l’H2 verde (è prevedibile, infatti, che questi ultimi siano
destinati a decrescere sensibilmente nei prossimi anni).
Inoltre per il Portogallo potrebbe essere possibile attivare tale strumento di sostegno
senza il bisogno di stanziare ulteriori somme rispetto a quelle già previste per la
transizione ecologica, ma semplicemente riallocando quelle attualmente destinate al
National Electricity System (SEN) dal FA (Fundo Ambiental) ogni anno (all’incirca 150
mln €): questo perché il venir meno di alcuni oneri di sistema (quali CAE, CMEC e Tariff
Debt) e il calo del prezzo dell’elettricità ha reso superflui tali aiuti (República Portuguesa,
2020).
È importante sottolineare, infine, come i CCfD potrebbero essere introdotti per
incentivare non solo la produzione di H2 destinata alla rete del gas (come attualmente è
in programma), ma anche quella dedicata alle stazioni di rifornimento per i mezzi di
trasporto.

Nota: il 4 gennaio di quest’anno è stata annunciata dal Governo la prima gara per la
fornitura di idrogeno e biometano, con l’obiettivo di incentivare i fornitori che immettono
nella rete nazionale almeno 2.000 GWh/y a sostituire l’1% del gas naturale con gas
rinnovabili (data la domanda interna di gas attorno ai 60 TWh nel 2022, occorrono 600
GWh/y da idrogeno e biometano per rispettare le aspettative).

66
Il sostegno economico statale per le imprese fornitrici si estenderebbe per un tempo di
10 anni, arrivando a un tetto massimo di 127 €/MWh (per la produzione e fornitura di
idrogeno) sovvenzionabili. Le previsioni del Governo sono quelle di ottenere così un
afflusso di circa 120 GWh/y di H2 rinnovabile (icis.com). Un requisito imprescindibile
per le aziende è inoltre di avere l’autorizzazione all’allacciamento con la rete del gas, con
il conseguente vantaggio di poter ridurre i costi di progetto data la non necessità di
prevedere lo stoccaggio dell’idrogeno.
b) Fondi per la mobilità pubblica: nel 2021 è stato approvato dalla CE un pacchetto
cospicuo (40 mln €) per l’acquisto di autobus a emissioni zero (a idrogeno o elettrici a
batteria) e per la realizzazione dell’infrastruttura di rifornimento/ricarica relativa. La
sovvenzione, diretta e non rimborsabile, verrà assegnata ai richiedenti seguendo un
processo di offerta aperto (fuelcellsworks.com).
c) Sostegno alla produzione ed al consumo: nel 2021 sono stati stanziati 62 milioni di
euro per un bando volto ad incentivare la produzione dei primi 88 MW di capacità di
produzione di idrogeno ed i relativi impieghi. Le categorie di progetti coinvolte dalla
manovra sono state le seguenti (linklaters.com):
- Produzione di gas da fonti rinnovabili correlata allo sviluppo ed alla
sperimentazione di nuove tecnologie, dalla produzione al consumo.
- Produzione di gas da fonti rinnovabili correlata a tecnologie collaudate ma non
ancora diffuse nel territorio nazionale, dalla produzione al consumo.
Gli aiuti prevedevano una copertura piena della differenza di spesa rispetto alla
realizzazione di impianti per lo steam reforming del metano, per un massimo di 5 mln €
per il singolo progetto (limite che poteva essere raddoppiato in caso di proposte che
prevedessero un coinvolgimento di più attività all’interno della value chain).
d) Sostituzione delle tariffe di feed-in: La strategia nazionale prevede che il passaggio alla
produzione di idrogeno da parte degli impianti di energia da FER venga accompagnato
da un sistema di acquisto “una tantum” che ripaghi i fornitori del Net Present Value che
sarebbe generato dai flussi di cassa attesi della tariffa di feed-in in vigore (ciò significa che
il produttore di energia pulita viene compensato per la perdita del diritto all’incentivo
destinato a coloro che vendono energia elettrica al CUR).
Nota: la somma ottenuta da questo schema di sostegno dovrebbe essere impiegata per
implementare la produzione di H2 vera e propria.

67
CAP 3 - Italia: analisi per una strategia e degli incentivi efficaci

Arrivati a questo punto della trattazione si hanno tutti gli elementi necessari per tentare di “tirare le fila”
del discorso e cimentarsi nel suggerire quella che potrebbe essere una strategia italiana per l’idrogeno
auspicabile, accompagnata da una struttura di incentivi coerente con i principi di efficacia e di efficienza.

Nella sezione introduttiva dedicata alla letteratura è stato concesso ampio spazio alla presentazione dei
fattori di costo più impattanti nella produzione di H2, oltre che a quelle riguardanti i diversi processi
impiegati per ottenerlo e i possibili settori di applicazione. Tale materiale è servito per creare il “contesto”
entro il quale si è poi articolata la seconda parte dello scritto, la quale ha riguardato le strategie per
l’idrogeno che l’Unione Europea e altri quattro Stati membri (nello specifico: Francia, Germania, Olanda
e Portogallo) hanno definito.

È stato interessante osservare come ognuno dei Paesi appena citati abbia preso in carico la stesura di un
piano strategico e la conseguente attuazione di misure di sostegno, modellando l’intervento in modo
personale. Ovviamente, come era ragionevole aspettarsi, le differenze palesatesi tra gli uni e gli altri non
sono state plateali e questo principalmente per due fattori:

a. Tutti gli Stati analizzati fanno parte dell’UE, la quale ha essa stessa definito una strategia
comunitaria e ha mobilitato ingenti risorse per guidare lo sviluppo del mercato dell’idrogeno in
Europa nella maniera più armonizzata possibile.
b. L’idrogeno stesso presenta peculiarità e “controindicazioni” che sono specifiche del vettore
energetico e che dunque indirizzano le decisioni di ogni Paese in modo molto simile.

Tuttavia, ognuno dei quattro Paesi presi in considerazione ha adattato le direttive europee con modalità
leggermente diverse, focalizzando l’attenzione su aspetti e su applicazioni dell’idrogeno specifiche, in linea
con le caratteristiche intrinseche dello Stato stesso. I fattori da considerare come discriminanti per le
scelte strategiche sono, ad esempio: il numero di industrie attive sul territorio nel campo dell’H2, i settori
produttivi maggiormente sviluppati, la presenza più o meno massiccia delle infrastrutture del gas, le
potenzialità (geografiche) rispetto alla produzione di energia da fonti rinnovabili ecc.

Nelle pagine che seguono verranno dunque rielaborate le informazioni riportate nel capitolo precedente,
con l’obiettivo ultimo di proporre i punti cardine per una strategia italiana sull’idrogeno (confrontandola
anche con le attuali linee guida tracciate dal Governo) e di discutere i sistemi di sostegno che lo Stato
potrebbe mettere in atto per indirizzare gli sviluppi futuri.

68
Francia, Germania, Olanda e Portogallo: quali insegnamenti trarre?

La prima curiosità rispetto all’atteggiamento dei vari Paesi esteri nei confronti dell’idrogeno riguarda
sicuramente le decisioni inerenti i settori di applicazione di questa soluzione. Su quali ambiti vogliono
concentrarsi gli Stati membri per sviluppare un mercato dell’idrogeno ampio e sostenibile? Dove
ritengono che l’H2 possa portare i migliori risultati in termini di aiuto alla decarbonizzazione e, allo stesso
tempo, trovare il terreno pronto per una crescita nell’immediato? Queste sono le domande che
immediatamente ci si pone in tale contesto.

La tabella sottostante mostra, perciò, le scelte strategiche dei quattro Paesi europei analizzati al capitolo
precedente in merito ai settori nei quali diffondere le tecnologie hydrogen-based (un’analisi simile è
disponibile in un documento redatto dal World Energy Council e da E. P. R. I. nel 2021).

Francia Germania Olanda Portogallo


Industria
Ferro e Acciaio
Ind. Chimica
Raffinazione
Cemento
Elettronica
Estrazione mineraria
Ind. Ceramica
Ind. Vetro
Processi alimentari
Trasporti
Automobili
LGVs & HGVs
Mezzi per l'agricoltura
RCVs
Bus
Treni
Settore navale
Aviazione
Riscaldamento
Sector Coupling

Legenda: P rio rità alta P rio rità bassa

Lungo termine No n citato

Tabella 3 - Applicazioni dell'idrogeno nelle 4 strategie estere

69
Ciò che risalta a un primo sguardo sono i fronti comuni, ovvero gli ambiti di applicazione dove tutti gli
Stati presi in considerazione si trovano d’accordo nel proporre l’idrogeno come soluzione per la
decarbonizzazione. Questi settori sono: l’industria chimica, la raffinazione, il trasporto merci su gomma,
i bus.

Per quanto concerne gli utilizzi di tipo industriale, il settore chimico (soprattutto per quanto riguarda la
sintesi di ammoniaca e metanolo per ricavare, rispettivamente, fertilizzanti e varie tipologie di polimeri)
e quello della raffinazione (hydrocracking e hydrotreating del greggio) si vedono assegnati la
“precedenza” rispetto a tutti gli altri per delle motivazioni prettamente di prontezza tecnologica e di
convenienza. Infatti, entrambi vedono l’idrogeno come elemento già largamente impiegato nei loro
processi produttivi e per questo motivo non sono necessari stravolgimenti tecnici per poter introdurre
H2 pulito o a basse emissioni in sostituzione dell’attuale proveniente da fonti fossili (Federal Ministry for
Economic Affairs and Energy, 2020). Per portare alcuni esempi, basti pensare al fatto che oltre 22 TWh
di idrogeno (corrispondenti a circa 640.000 t) sono attualmente richiesti dall’industria tedesca per i
processi di raffinazione e per la sintesi di ammoniaca e che solo il 7% di tale fabbisogno è coperto dalla
produzione tramite elettrolisi dell’acqua (in Francia, addirittura, i TWh di cui necessitano tali settori
ammontano a più di 31). È evidente, dunque, come lo spazio di diffusione per l’H 2 verde in questi due
campi sia davvero molto esteso e relativamente privo di ostacoli (escludendo ovviamente il discorso
relativo agli elevati costi e ai volumi di produzione ancora insufficienti).

Rispetto al settore dei trasporti, invece, è interessante riscontrare come le due applicazioni che vedono
d’accordo i quattro Paesi protagonisti dell’analisi siano entrambe riguardanti i trasporti su gomma e,
oltretutto, le categorie di mezzi dal tonnellaggio medio o elevato. I veicoli per il trasporto merci (LGVs
ed HGVs) e i bus rientrano infatti in una categoria di prodotti dove l’elettrificazione a batteria non è
ancora riuscita a fornire l’adeguato supporto e il livello di prestazioni richiesto per convincere il mercato
ad adottarla come la via per la decarbonizzazione (questo per via delle grandi dimensioni e del peso delle
batterie stesse, che costituiscono due fattori limitanti per l’autonomia di percorrenza). Questo fattore
lascia dunque lo spazio per una competizione aperta tra le nuove proposte tecnologiche, dove l’idrogeno
potrebbe davvero dire la sua. A ciò, poi, vanno sicuramente affiancati dei ragionamenti legati alle necessità
di un ramp-up il più possibile rapido della soluzione a fuel cells. A tale proposito è interessante riportare
le considerazioni del Governo francese, che ha motivato la scelta di focalizzarsi sui trasporti pesanti su
gomma in tre punti, i quali costituiscono gli “ingredienti” fondamentali per una prospettiva di crescita
nel breve periodo: la condivisione di componentistica e tecnologia tra i vari mezzi (fattore abilitante per
ottenere economie di scala e di scopo), il peso economico del settore per il Paese e la presenza sul
territorio nazionale di imprese con le competenze necessarie per sviluppare la supply chain per le nuove
applicazioni dell’idrogeno.

70
Le quattro destinazioni d’uso appena evidenziate appaiono dunque come i punti cardine attorno a cui
basare ogni strategia nazionale, quantomeno in territorio europeo. Tuttavia, essi non sono gli unici settori
dove la molecola H2 potrebbe ritagliarsi uno spazio importante, anzi. Rimanendo con l’attenzione rivolta
al mondo dei trasporti (e, per la precisione, focalizzandosi sempre sui trasporti via terra), anche la mobilità
ferroviaria rientra tra le priorità di quasi tutti i Paesi protagonisti dell’analisi (l’elettrificazione del trasporto
su rotaia è infatti già iniziato da tempo, ma esistono ancora larghe percentuali di rete che per diversi
motivi non possono attendere agli obiettivi di decarbonizzazione tramite questo mezzo). Solo il
Portogallo sembra aver dato minore enfasi alla diffusione delle fuel cells per la propulsione dei treni, ma
tale scelta potrebbe semplicemente essere influenzata dalla minore estensione della sua rete ferroviaria.
Si può quindi affermare che, anche per quanto concerne questo ambito, l’idrogeno costituisca un
elemento di grande interesse e sul quale investire da subito per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni.

Oltre a ciò, vi sono poi da considerare alcuni ambiti dell’industria pesante dove l’H2 pulito risulta
nuovamente importante. Si parla soprattutto dell’industria siderurgica (dove potrebbe sostituirsi al
metano negli altoforni) e, in misura leggermente inferiore, anche di quella del cemento (come alternativa
ai combustibili tradizionali per fornire calore). Attualmente in Europa sono tanti i progetti dimostrativi
per validare l’utilizzo dell’idrogeno per la produzione di acciaio (il già citato “H2 Green Steel” per la
Svezia, ma anche “HyBit” e “HydrOxy Hub Walsum” in Germania e molti altri ancora), mentre per
quanto riguarda il cemento tale ambito mostra un TRL ancora decisamente basso. In entrambi i casi,
tuttavia, i costi per le modifiche e l’aggiornamento delle tecnologie impiegate per la produzione
(soprattutto in riferimento ai forni) sono nettamente più elevati rispetto a quanto vale per i settori della
chimica e per le raffinerie: un fattore, questo, che determinerà tempi leggermente più lunghi nel passaggio
al nuovo paradigma a zero emissioni.

Un discorso molto simile a quello appena presentato al paragrafo precedente può poi essere esteso anche
ai trasporti aerei e a quelli marittimi. Dalla tabella di confronto sulle quattro “rotte” strategiche adottate
dai diversi Paesi europei risalta immediatamente il fatto che la gran parte di essi ha messo in previsione
che l’idrogeno potrà dare una risposta alla necessità di decarbonizzazione di tali settori soltanto in
un’ottica di lungo periodo (ovvero dopo il 2030). Prima di tutto, come per l’industria e in generale per
tutte le possibili destinazioni d’uso dell’H2, la disponibilità stessa della molecola nelle quantità e al prezzo
giusti costituisce il primo grande ostacolo. A ciò occorre sommare lo sforzo economico necessario per la
reingegnerizzazione parziale (ma sostanziale) dei mezzi ed il tempo per il raggiungimento degli standard
normali di sicurezza e di prestazioni. Per questo motivo, anche se l’idrogeno (e soprattutto i fuels da esso
derivati, come il cherosene) appare come l’unica vera soluzione per traghettare verso il net zero il settore
dei trasporti aerei e marittimi, le scelte strategiche degli Stati dell’UE prediligono un approccio più

71
graduale, portando avanti la ricerca e i progetti dimostrativi in tale ambito nel mentre che i mezzi pesanti
su terra, mossi dalle fuel cells, raggiungono il mercato (French Government, 2020).

Infine, è importante evidenziare l’importanza, abbastanza condivisa tra i Paesi sotto esame, attribuita
all’idrogeno in veste di bilanciatore della produzione e della fornitura di energia da FER, mentre poco
credito viene dato all’impiego di H2 nel breve termine per il riscaldamento abitativo. La principale
motivazione è “sempre la stessa”: costi di produzione e volumi produttivi sono entrambi ancora
incompatibili per un utilizzo di questo tipo. A questa si aggiungono poi considerazioni di tipo prettamente
tecnico (Government of the Netherlands, 2020).

Un secondo aspetto da cui serve assolutamente trarre un insegnamento riguarda l’atteggiamento dei
diversi Paesi europei nei confronti dell’impegno per lo sviluppo di un mercato dell’idrogeno. Quale
approccio hanno deciso di mettere in campo? Quali sono secondo loro i drivers di una strategia efficace,
la quale garantisca allo stesso tempo il raggiungimento dei risultati prefissati e il rispetto delle tempistiche
imposte dal net-zero goal? In questa seconda sezione verrà dunque dato il giusto spazio all’analisi di tali
aspetti.

Francia Germania Olanda Portogallo


H2 low carbon X X
Coordinamento nell'UE X X X X
Cooperazione internazionale X X
Milestones intermedie (prima del 2030) X X
Monitoraggio dei risultati X
Elettrolizzatori di grandi dimensioni (> 100 MW) X X X X
Capacità FER dedicata X X X
Target capacità produttiva (GW) X X X X
Hydrogen valleys X X X X
Retroffitting infrastruttura del gas X X X
Formazione di nuove figure professionali X X
Esportazione/importazione -- IM IM ES
Tipologie prevalenti di progetti B;D;L B;D;L D;L D

Legenda: B: ricerca di base D: prog. dimostrativi

L: prog. di lancio

Tabella 4 - Approccio strategico dei 4 Paesi in esame

72
Come primo impatto, guardando la tabella risaltano immediatamente i punti che accomunano le strategie
dei quattro Paesi presi in esame:

a. Coordinamento a livello comunitario: la collaborazione tra gli Stati membri è considerata come
un elemento irrinunciabile per dare impulso al nuovo mercato dell’idrogeno che deve emergere.
Tutti e quattro i Paesi analizzati concordano nell’affermare che l’unione di intenti, di risorse e di
competenze possa portare solo benefici a tale causa. Per prima cosa bisogna considerare che un
approccio coordinato mette al riparo da incongruenze normative che, se ci fossero, porrebbero
un serio freno allo sviluppo. Serve dunque fissare una tassonomia univoca per l’idrogeno che
azzeri le incertezze e i dubbi interpretativi da parte degli investitori e, oltre a ciò, occorre adottare
una linea comune per quanto riguarda: la regolamentazione dello scambio di quote carboniche,
le percentuali di H2 nel mix del gas e gli standard di sicurezza per l’infrastruttura di trasporto
(retrofitting dell’attuale rete del gas).
In secondo luogo, affrontare il tema dello sviluppo di questo nuovo mercato con un
atteggiamento europeista permette un’ottimizzazione nell’uso delle risorse dei singoli Paesi e una
sinergia tra le competenze che risultano fondamentali per accelerare tale processo. Affermando
ciò ci si riferisce infatti alla possibilità, ad esempio, di sfruttare le potenzialità geografiche del
continente concentrando la produzione di energia da fonti rinnovabili nei luoghi dove questo
risulta più efficace, ma anche di unire realtà industriali diverse in progetti di grandi dimensioni
che possano abbracciare l’intera value chain dell’idrogeno.
b. Sviluppo di elettrolizzatori di grandi dimensioni: fino ad oggi la tecnologia relativa agli
elettrolizzatori non si è mai sospinta oltre valori di capacità nell’ordine del singolo MW, o poco
più. Per far fronte alla crescente domanda di idrogeno verde che si prospetta per gli anni a venire,
ma soprattutto per rispettare le specifiche richieste per gli utilizzi stessi dell’H2 (si pensi, ad
esempio, alla fornitura per il settore industriale), è fondamentale che lo sforzo delle imprese e gli
aiuti dei singoli Stati siano entrambi indirizzati verso la realizzazione di elettrolizzatori
sensibilmente più grandi (per dare un valore di riferimento, si consideri che molti tra i Paesi
analizzati ha individuato in 100 MW un valore di capacità auspicabile, da raggiungere
preferibilmente già entro il 2030).
Oltre a ciò, impianti dai grandi volumi produttivi costituirebbero un aiuto molto importante per
ottenere le economie di scala tanto auspicate per poter abbassare in tempi brevi i costi di
produzione dell’idrogeno carbon-free.
c. Fissazione di target in termini di GW di capacità: sembra banale come osservazione, ma fissare
un target di capacità riguardante gli elettrolizzatori è un primo importante passo verso l’attuazione
delle azioni elencate dalle singole strategie nazionali. Dimostra infatti serietà e concretezza da
parte dell’autorità statale e serve per allontanare il rischio di non mantenere gli obiettivi prefissati.

73
Non basta infatti affermare di voler diffondere l’idrogeno verde nei settori hard-to-abate perché
ciò accada: banalmente, occorre riconoscere di quanto H2 si necessita ed entro quali tempi
(ovviamente, anche questi volumi produttivi non si realizzeranno da soli, ma dovranno
intervenire opportuni schemi di supporto come si dirà più avanti nel capitolo).
d. Promozione delle hydrogen valleys: le hydrogen valleys (anche dette “regional hydrogen hubs”,
in Francia) non sono altro che tentativi concreti di testare e validare le soluzioni basate
sull’idrogeno lungo l’intera value chain: dai processi elettrolitici alimentati da FER appositamente
dedicate fino agli utilizzi finali, senza tralasciare l’aspetto del trasporto e distribuzione.
Caldamente appoggiate dall’UE, queste “comunità a idrogeno” sono considerate lo strumento
più forte per generare le economie di scopo e di apprendimento che tanto servono al fine di
portare quanto prima sul mercato strumenti efficienti ed efficaci per la decarbonizzazione dei
settori ancora fortemente legati ai combustibili fossili.

Oltre ai quattro punti appena elencati, la tabella di confronto fornisce molti altri spunti di riflessione che
meritano di essere presi in considerazione. Ad esempio, è interessante notare come solo la Germania e
l’Olanda, tra i quattro Paesi analizzati, abbiano esplicitamente considerato l’idrogeno a basse emissioni
come un importante alleato per rispondere alle esigenze del mercato nel breve e medio termine. Il perché
di questa particolare attenzione all’H2 blu (ed anche turchese) potrebbe essere correlato al fatto che i due
Stati si trovino attualmente al primo e al secondo posto in Europa come produttori di idrogeno grigio da
SMR e che, dunque, desiderino cogliere l’opportunità di poter continuare ad utilizzare le infrastrutture
presenti, semplicemente dotandosi della tecnologia di CCS (ciò spiegherebbe peraltro il comportamento
opposto del Portogallo il quale, forte della sua posizione geografica particolarmente favorevole, ha deciso
di puntare fin da subito solo sull’idrogeno da fonti rinnovabili). Tuttavia la loro non è una scelta da
condannare ex ante anzi, essa pone davanti al trade-off che vede, da un lato, il cercare di azzerare le
emissioni fin da subito e, dall’altro, il garantire volumi produttivi di H2 sufficienti a generare un’offerta
immediata che soddisfi la domanda attualmente “latente” (al momento infatti, si può affermare di essere
in una condizione di parziale stallo, dove i potenziali utilizzatori dell’idrogeno pulito non possono farsi
avanti in quanto manca l’adeguato apporto produttivo).

Un secondo fattore che risalta immediatamente è poi la particolare correlazione tra la volontà di alcuni
Paesi (Germania e Olanda nello specifico) di rafforzare la collaborazione anche al di fuori dei confini
comunitari e la loro scelta di posizionarsi come importatori di idrogeno (oltre che come produttori
interni, ovviamente). Tale evidenza suggerisce che gli Stati meno “fortunati” dal punto di vista della
produzione di energia da FER abbiano considerato come fondamentale per la riuscita dei loro piani
strategici che si intensifichino le relazioni anche con i Governi di quelle regioni poste oltre i margini

74
dell’UE (in particolare il Nord Africa ed il Medio Oriente), le quali possono beneficiare di energia pulita
in abbondanza e a basso costo. Notare che, riguardo alla scelta di impostare un’economia dell’idrogeno
votata all’import piuttosto che all’export, la Francia non abbia esplicitato la propria posizione. L’unica
spiegazione plausibile per questo dato è che il Paese punti principalmente a rendersi autosufficiente,
potendo contare sull’apporto del nucleare (a tal proposito è doveroso sottolineare come si renda
necessario fissare, almeno a livello europeo, i criteri per i quali l’H2 può essere considerato sostenibile o
meno).

Oltre a ciò che è stato evidenziato finora non bisogna poi trascurare l’importanza che la quasi totalità dei
disegni strategici studiati (solo la Francia non rientra in questo discorso) ha attribuito, da un lato, alla
pianificazione di un aumento degli impianti per la produzione di energie rinnovabili e, dall’altro, alla
valorizzazione degli asset esistenti relativi alla rete di trasporto e distribuzione del gas. Il primo
intervento si rende evidentemente necessario per allontanare il rischio di cannibalizzazione, da parte degli
elettrolizzatori, dell’attuale capacità produttiva da FER. Il secondo è invece l’unica strada per scongiurare
l’ipotesi di una dismissione dell’attuale infrastruttura che veicola il metano, convertendola e adattandola
alle esigenze dell’idrogeno. Quest’ultimo aspetto porta con sé la necessità di studi approfonditi per
garantire la fattibilità e la sicurezza del trasporto stesso, ma è senza dubbio un’opportunità molto ghiotta
per contenere il volume di investimenti (e di conseguenza i costi di produzione) necessario a realizzare
una supply chain efficace in tempi relativamente brevi.

Infine, è interessante mettere in risalto alcune peculiarità di alcune delle strategie analizzate. La prima è
quella che vede Germania ed Olanda dividere il periodo 2020-2030 in due parti, in modo tale da
specificare in maniera ancora più dettagliata i target da raggiungere: una cosa apparentemente
insignificante, ma che denota la volontà di concretezza dei due Paesi. La seconda mostra invece
l’attenzione di Francesi e Tedeschi nel volersi assicurare una posizione di forza nel nascente mercato
dell’idrogeno, prevedendo fin da subito la formazione di nuove figure professionali adeguatamente
specializzate. Infine, si evidenzia come la tipologia prevalente dei progetti sostenuti dai diversi Stati sia
quella dimostrativa/applicativa ed il roll-out vero e proprio (in questo caso, principalmente dove è
ammessa anche la produzione di H2 a basse emissioni). Questo è sicuramente dovuto al fatto che la
tecnologia in gioco non sia più alle prime fasi di sviluppo, ma è anche la dimostrazione di come tutti i
Governi volgiano spingere sull’acceleratore per raggiungere in fretta la riduzione di emissioni tanto
agognata.

75
Terminata l’analisi delle quattro strategie estere, prima di estrapolare una possibile configurazione per la
strategia italiana, è doveroso verificare la coerenza tra i risultati che sono stati ottenuti e l’impostazione
definita dalla stessa Unione Europea. Ecco, dunque, una tabella riassuntiva che affianca ai punti più
salienti ottenuti dal confronto tra gli Stati membri, la posizione della Commissione Europea.

Risultato analisi UE
PT 1
Industria
Ferro e Acciaio
Ind. Chimica
Raffinazione
Cemento
Trasporti
Automobili
Bus
Treni
LGVs & HGVs
RCVs e mezzi speciali
Settore navale
Aviazione
Riscaldamento
Sector Coupling
PT 2
H2 low carbon Ger ; Ned X
Coordinamento nell'UE X X
Cooperazione internazionale Ger ; Ned X
Milestones intermedie (prima del 2030) Ger ; Ned X
Elettrolizzatori di grandi dimensioni (> 100 MW) X X
Capacità FER dedicata X X
Target capacità produttiva (GW) X X
Hydrogen valleys X X
Retroffitting infrastruttura del gas X X
Formazione di nuove figure professionali Ger ; Fra
Tipologie prevalenti di progetti D;L B;D;L

Legenda: P rio rità alta P rio rità bassa

Lungo termine No n citato

B: ricerca di base D: prog. dimostrativi

L: prog. di lancio

La prima notizia confortante che se ne ricava è che l’analisi della strategia europea non mette in luce
nessuna mancanza, nessun punto che non sia stato preso in considerazione dai Paesi oggetto di studio,
confermando dunque la qualità del loro lavoro ed anche l’allineamento con quanto suggerito a livello

76
comunitario. Per il resto vi è veramente poco da osservare, se non il fatto che in generale la Germania e
l’Olanda sono stati i due Stati che maggiormente hanno seguito l’impostazione messa sul tavolo dalla
Commissione. Infine, è utile mostrare come l’UE creda fortemente che anche la ricerca di base necessiti
di sostegno da parte delle istituzioni, in quanto da essa potranno svilupparsi, nel lungo termine, ulteriori
soluzioni per la produzione di idrogeno (come, ad esempio, dalle alghe marine).

77
Un’impostazione strategica per l’Italia

E dunque per l’Italia quale dovrebbe essere l’assetto strategico migliore da adottare? La prima risposta
potrebbe essere quella di applicare tutti i punti che, nelle analisi fatte alle pagine che precedono, hanno
messo d’accordo ognuno dei quattro Paesi europei presi in considerazione. Questo approccio non è del
tutto sbagliato (e infatti è molto probabile che le istanze selezionate con tale criterio rientreranno nella
proposta finale di una strategia per la penisola italiana), tuttavia non considera le peculiarità che
differenziano uno Stato dall’altro e per questo motivo potrebbe non risultare come un metodo del tutto
soddisfacente. Si faccia riferimento, ad esempio, a quanto visto per i piani di Francia, Germania, Olanda
e Portogallo: è stato molto interessante accorgersi dei loro diversi punti di vista riguardo al come
affrontare il tema dello sviluppo di un mercato dell’idrogeno tutto nuovo. Le considerazioni che sono
state fatte hanno portato alla luce che ognuno di essi ha essenzialmente “tarato” il focus e le misure su
cui concentrarsi facendo leva non solo sulle caratteristiche e sulle potenzialità dell’H 2, ma anche
soffermandosi sull’analizzare i punti di forza e gli attributi tipici del singolo Stato, al fine di disegnare una
strategia che sfruttasse appieno le risorse e le capacità interne.

Questo ragionamento deve pertanto essere esteso anche alla stesura di un ipotetico scheletro per una
strategia italiana, che sia al contempo efficace ed efficiente. Per tale ragione, di seguito sono discussi i
principali fattori che potrebbero condizionare la scelta:

a) Produzione di energie rinnovabili: come si è ripetuto molte volte nel corso di questa
trattazione, l’ascesa del mercato dell’idrogeno non può essere slegata da considerazioni riguardo
alla produzione di energia da FER. Sotto questo aspetto è dunque importante evidenziare la
posizione dell’Italia rispetto agli altri Paesi presi ad esempio per le analisi, in modo da valutare la
convenienza di un’impostazione totalmente green, o di una che consideri anche l’H2 blu come
alleato per la transizione alla completa decarbonizzazione. Ecco dunque un semplice istogramma
che riporta l’immagine di quanto fatto registrare nel 2021 (ec.europa.eu):

Figura 7 - share delle rinnovabili nei diversi Paesi

78
Come si può osservare Francia, Germania e Italia sono bene o male equiparabili come copertura
delle rinnovabili nei consumi energetici del Paese, mentre l’Olanda si posiziona ben più in basso.
L’unico tra i cinque Stati sotto esame che supera (e di molto) il dato medio dell’UE è il Portogallo,
con il 34% della domanda che viene soddisfatto dalle fonti a zero emissioni.
Non è perciò un caso quanto estrapolato nelle pagine precedenti, che vedono la strategia
portoghese completamente rivolta alla produzione di idrogeno verde, mentre le altre si trovano
nella posizione di dover includere le varianti a basso impatto per poter affrontare la fase transitoria
(nota: la Francia si chiama parzialmente fuori da queste valutazioni, in quanto la disponibilità del
nucleare la rende potenzialmente in grado di produrre grandi volumi di H 2 elettrolitico). Oltre a
ciò è interessante vedere come il Portogallo sia anche indirizzato verso l’esportazione di idrogeno
verde nel medio/lungo termine, mentre Tedeschi e Olandesi riconoscono la necessità delle
importazioni per rispondere alle esigenze interne.
Sotto questo punto di vista, dunque, l’Italia dovrebbe assolutamente considerare l’idrogeno blu
(ed anche quello turchese) per il primo periodo di transizione e, probabilmente, farebbe bene a
intessere accordi con gli altri Paesi dell’UE e del vicinato europeo per ottenere sufficiente H 2
verde in futuro.
b) Posizione geografica: questo punto vuole porre l’attenzione sul fatto che anche la disposizione
geografica di un Paese influisce sulle sue possibilità e sulle sue decisioni, quando si tratta di
idrogeno. Infatti, sempre rifacendosi allo stretto legame che unisce il prodotto dell’elettrolisi alle
FER, l’esposizione più o meno favorevole all’irraggiamento del sole, ai venti e la disponibilità di
risorse idriche costituiscono elementi importanti per definire le potenzialità produttive del singolo
Stato.
Sotto tale aspetto l’Italia non può non ritenersi “fortunata”, data il suo posizionamento nel
meridione dell’UE ed i numerosi bacini acquiferi delle regioni più a nord: solamente per i venti vi
sono Paesi “messi meglio” (quelli che affacciano sull’Oceano e sul Mare del Nord, per l’appunto).
Verrebbe dunque naturale indicare l’Italia come una possibile (oltre che produttrice interna)
esportatrice di idrogeno verde, in opposizione a quanto affermato al punto precedente. Tuttavia,
proprio perché in questo momento le risorse rinnovabili italiane non sono sfruttate al meglio (con
una copertura del fabbisogno energetico da parte delle FER sotto al 20%), questa possibilità è da
intendersi più come un potenziale da poter concretizzare solo nel lungo periodo.
c) Industrie energivore presenti: è stato mostrato dalle analisi precedenti che alcuni settori
dell’industria pesante e dei trasporti hanno visto concordare le strategie dei vari Paesi europei sul
fatto che quelli fossero gli ambiti principali su cui indirizzare gli sforzi ed il sostegno economico
per la diffusione dell’idrogeno. Si è dunque parlato molto di industria siderurgica, chimica,
petrolchimica e dei veicoli su gomma ad elevato tonnellaggio (oltre che del trasporto ferroviario).

79
L’Italia su tale frangente non riserva sorprese, come ben si può evincere dal grafico sottostante
che riporta i dati Istat relativi al fatturato di ogni settore all’anno 2019 (federchimica.it):

Figura 8 - Fatturato per settore in Italia, al 2019

Il primo aspetto su cui focalizzare l’attenzione è sicuramente il settore siderurgico, al primo


posto nel Paese per fatturato e in cui l’Italia si piazza seconda in Europa, dietro alla Germania
(modofluido.hydac.it). Tuttavia, anche l’industria chimica (Italia terzo produttore nel continente)
e della raffinazione risultano essere due elementi importanti per l’economia nazionale e dove, per
questo, l’idrogeno può davvero contribuire alla decarbonizzazione e trovare investitori privati
pronti a mettere in campo le loro risorse per lo sviluppo.
Sul fronte dei trasporti, inoltre, si può constatare il forte peso della voce relativa agli autoveicoli
e, secondariamente, agli altri mezzi di locomozione: un motivo in più per credere nella risorsa H2
anche in tale ambito.
d) Livello di elettrificazione del trasporto ferroviario: Come riportato nel capitolo relativo
all’analisi della letteratura, nella sezione dedicata alle possibili applicazioni dell’idrogeno, bisogna
considerare che attualmente già il 72% della rete ferroviaria italiana è stato elettrificato. A questo
occorre affiancare le valutazioni fatte da Legambiente e Transport&Environment (2021), i quali
affermano che l’utilizzo delle fuel cells per tratti di percorrenza inferiori ai 200 km (ovvero la
quasi totalità dei tratti non ancora elettrificati) sia un’azione poco sensata e per nulla vantaggiosa
a livello economico.
Per questo motivo, probabilmente, il Paese potrebbe concentrare i propri sforzi e gli aiuti
economici in quegli ambiti dove l’H2 risulta avere maggiore spazio di crescita e dove, al contempo,
può arrecare i benefici maggiori.

80
e) Sviluppo dell’infrastruttura del gas: l’Italia è, come l’Olanda per il Nord Europa, un potenziale
punto strategico e di smistamento dei flussi di gas provenienti dal Nord Africa e dall’Azerbaijan.
Soprattutto in questa fase di incertezza delle forniture di metano dalla Russia, la posizione della
penisola italiana assume un’importanza ancora maggiore come hub europeo del gas naturale.
Questo status, di fatto, pone il Paese davanti all’opportunità di giocare un ruolo altrettanto
rilevante nella definizione di un’infrastruttura comunitaria per il trasporto dell’idrogeno che sfrutti
i gasdotti ad oggi esistenti ed eviti, così, che si trasformino in costosi attivi inutilizzati. Certo, però,
occorre portare avanti le analisi e gli studi necessari (possibilmente con un coordinamento a livello
europeo) per fissare le regole e gli standard di sicurezza necessari per garantire il passaggio sicuro
dell’H2 nella rete attuale.

Di seguito viene riportato in modo schematico il risultato delle osservazioni appena svolte, affiancando
alla proposta strategica così elaborata le linee guida tracciate dal Governo italiano:

Strategia proposta Linee guida


PT 1
Industria
Ferro e Acciaio
Ind. Chimica
Raffinazione
Cemento
Trasporti
Automobili
Bus
LGVs & HGVs
RCVs e mezzi speciali
Treni
Settore navale
Aviazione
Riscaldamento
Sector Coupling
PT 2
H2 low carbon X
Coordinamento nell'UE X X
Cooperazione internazionale X
Milestones intermedie (prima del 2030) X
Elettrolizzatori di grandi dimensioni (> 100 MW) X X
Capacità FER dedicata X X
Target capacità produttiva (GW) X X
Hydrogen valleys X X
Retroffitting infrastruttura del gas X X
Formazione di nuove figure professionali X
Esportazione/importazione IM IM/ES
Tipologie prevalenti di progetti B;D;L B;D;L

Legenda: Priorità alta Priorità bassa

Lungo termine Non citato

Tabella 5 - Confronto tra la strategia proposta e le linee guida italiane

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Analizzando prima di tutto i target di riferimento individuati dal Ministero dello Sviluppo Economico
(2020) si evidenzia come, per il decennio 2020-2030, l’Italia voglia puntare su un numero relativamente
ristretto di applicazioni dell’idrogeno, probabilmente con l’intenzione di concentrare gli sforzi su quei
fronti dove è più semplice ottenere buoni risultati in tempi brevi. Sono dunque considerati prioritari i
seguenti settori: industria chimica e raffinazione petrolifera, dove l’H2 viene già impiegato come materia
prima nei processi, il trasporto pesante su gomma e quello ferroviario. Ad essi si unisce la possibilità di
miscelare l’idrogeno nel blend della rete gas attuale, al fine di stimolare la crescita del mercato.

La scelta di circoscrivere il range di azione nel breve periodo è sicuramente condivisibile nell’ottica di
voler fornire il giusto apporto di risorse per i settori più promettenti. Tuttavia, le valutazioni svolte in
questa trattazione suggeriscono alcuni cambiamenti.

Prima di tutto stupisce non vedere attribuito al business del siderurgico lo stesso peso che è stato
assegnato alle altre due applicazioni industriali sopra citate. Dato il suo primato nell’economia italiana in
termini di fatturato, si ritiene che esso debba essere considerato un’ottima opportunità per lo sviluppo di
un mercato dell’idrogeno nel Paese. Oltre ad esso, sempre restando nell’ambito dell’industria, anche la
produzione di cemento risulta di grande interesse, quanto meno in un’ottica di lungo termine.

Per quanto concerne i trasporti, invece, fa specie vedere poste in secondo piano la mobilità urbana e le
flotte di mezzi speciali pesanti, che il testo ha finora presentato come due possibili vettori per
l’economia dell’idrogeno (soprattutto perché, nel loro caso, lo Stato può agire come primo cliente per le
imprese produttrici e dunque può contribuire alla formazione della domanda). Inoltre non si può
concordare del tutto con l’importanza attribuita al trasporto ferroviario, per tutte le considerazioni che
sono state fatte poco prima nella trattazione.

Passando poi alla rassegna del secondo set di determinanti strategiche, lascia assolutamente interdetti non
riscontrare, tra le linee guida tracciate dal MISE, alcun riferimento alla produzione di idrogeno low
carbon nella prima fase transitoria (almeno fino al 2030). Tale mancanza è forse quella che più di tutte
stupisce, in quanto l’adozione delle tecnologie di CCS negli impianti che attualmente producono H2 grigio
mediante SMR sarebbe il modo meno dispendioso e più immediato per ottenere una riduzione delle
emissioni e dei volumi produttivi soddisfacenti per far fronte alle esigenze di un mercato che ha bisogno
di un’offerta concreta per poter attrarre la domanda. L’Italia non è infatti paragonabile al Portogallo per
produzione di energia da FER; perciò, è impensabile puntare fin dal primo istante esclusivamente sulla
soluzione a impatto ambientale zero (perché il rischio è quello di non riuscire a fare niente).

Un altro grosso punto lasciato in sospeso è poi quello riguardante la cooperazione al di fuori dei
confini comunitari. A tal proposito si sottolinea ancora una volta il potenziale strategico che la posizione
geografica della Penisola italiana costituisce, in ottica di futuro hub per il passaggio di idrogeno verde dai

82
Paesi del Nord Africa e dall’Azerbaijan. Per questo motivo la cooperazione deve essere qualcosa su cui
lavorare fin da subito, soprattutto data l’aspirazione dichiarata nel testo del Ministero di rendere l’Italia
un esportatore di H2 nell’UE e non solo un produttore autonomo e un importatore.

83
Schemi di supporto: quali adottare per raggiungere gli obiettivi?

Come probabilmente è già stato sottolineato nel capitolo precedente riguardante l’Unione Europea e i
quattro Stati membri analizzati, una strategia per l’idrogeno necessita per forza di cose di essere affiancata
a un pacchetto di strumenti di supporto che crei le condizioni favorevoli per l’affermazione di questo
nuovo mercato. Il grosso ostacolo alla produzione e all’utilizzo dell’H2 (soprattutto di quello verde) è al
momento il suo elevato costo di produzione: costa l’energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili per
alimentare i processi di elettrolisi e costano i macchinari e le tecnologie necessari (sono elevati sia
l’investimento iniziale in conto capitale che l’operatività degli impianti, a causa soprattutto della scarsa
efficienza dovuta all’immaturità degli stessi).

Ora, per non divagare con argomenti sì strettamente correlati, ma comunque “fuori focus” rispetto alla
presente tesi, non verrà dedicata particolare attenzione agli schemi di incentivo per promuovere la
produzione e l’impiego di energia da FER. Si coglie semplicemente l’opportunità di questo spazio per
ribadire la connessione stretta tra questo settore e quello dell’idrogeno e per sottolineare la necessità di
un impegno deciso da parte dei governi nazionali per agevolare un rapido aumento della capacità
proveniente da parchi solari ed eolici (nota: è inoltre importante menzionare il fatto che, soprattutto nelle
regioni del mondo meglio esposte all’irraggiamento del sole o alla forza dei venti, il costo dell’energia
rinnovabile sia già pienamente competitivo rispetto ai costi delle fonti tradizionali).

Per quanto concerne invece il supporto diretto alle tecnologie riguardanti l’H2 pulito e quello a basse
emissioni, è molto interessante poter ragionare su quale possa essere il pacchetto di sostegni più efficace
e più efficiente da affiancare alle decisioni strategiche dell’Italia. Per farlo, prima di considerare le misure
applicate dai quattro Paesi presentati in precedenza e decretare quali siano le più convincenti, è necessario
spendere un po’ di tempo per alcune valutazioni preliminari:

• La più importante di queste è senza dubbio quella relativa ai TRL (Technology Readiness
Levels) ed ai CRI (Commercial Readiness Indexes) inerenti alle diverse applicazioni e
tecnologie hydrogen-based. In effetti a seconda del proprio grado di “prontezza”, ovvero dello
step di sviluppo raggiunto, una tecnologia beneficerà maggiormente di un certo tipo di sostegno
pubblico rispetto a tutte le altre opzioni percorribili. Prendendo spunto dal lavoro di Patonia A.
e Poudineh R. (2022), ecco una tabella che mostra visivamente la correlazione tra gli stadi del
processo tecnologico e le principali categorie di aiuti, con particolare attenzione al
posizionamento delle soluzioni a idrogeno (le informazioni riguardanti le singole applicazioni
dell’H2 sono state reperite non solo dal documento appena citato, ma anche dal testo del MiUR
del 2020, dall’allegato sulla strategia italiana per l’idrogeno presente sul sito della Commissione
Europea e dal documento del Parlamento Europeo del 2021):

84
Development stages
TRL
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Basic research Technology development System development

in operational environment

in operational environment

Market competition development


Multiple commercial applications
Actual system completed
Basic priciples observed

of subsystem prototype
Experimental proof of

Actual system proven


Laboratory validation

Field demonstration
Technology concept

System prototype
Field validation
of components

of components

demonstration

Commercial scale-up

Bankable asset class


and reported

and certified
concept
Commercial trial
Hypotetical commercial proposition
(small scale)

Idea
1 2 3 4 5 6
CRI
Aldo Aldo
Fiscal incentives
Support policies

R&D
financial
Direct

Aldo
CAPEX - - - - - - -

Aldo
OPEX - - - - - - -
Elettrolizzatori AEC
Elettrolizzatori PEM
Elettrolizzatori SOEC
Elettrolizzatori AEM
Altre tecnologie di elettrolisi
Idrogeno turchese
Technologies and their
Applicazioni della CCS
current TRL/CRI
FCEV
Navi con fuel cells
Combustibili sintetici
Trasporto tramite gasdotti
Stoccaggio H2 compresso
Sector coupling

Legenda: -

Supporto Supporto
Supporto Supporto
poco molto
inadeguato efficace
efficace efficace

Tabella 6 - Alcune delle tecnologie hydrogen-based e i loro rispettivi TRL e CRI

Come si può facilmente notare, la tabella mostra come la maggior parte delle tecnologie hydrogen-
based che sono state riportate sia collocata nella fascia compresa tra i TRL 4 e 6, ovvero quelli
legati allo sviluppo della tecnologia. In questa fase gli strumenti incentivanti più efficaci risultano
essere le forme di incentivo fiscale e i finanziamenti diretti alla Ricerca e Sviluppo.
Oltre a ciò, non bisogna però tralasciare il fatto che molte delle applicazioni citate abbiano ormai
consolidato tali step e stiano affrontando lo sviluppo del sistema (TRL da 7 a 9), il quale si muove
in parallelo con il CRI di livello 2 e, dunque, con l’approdo nel mercato su piccola scala. Tra
queste compaiono, ad esempio: le celle elettrolitiche alcaline e a scambio protonico
(rispettivamente, AEC e PEM), alcuni impieghi della Carbon Capture and Storage, i veicoli su
gomma alimentati da fuel cells e una serie di tipologie di combustibili sintetici derivati dall’H2.
Insieme a questi, inoltre, fanno timidamente “capolino” il sistema di trasporto dell’idrogeno
tramite i gasdotti e l’accoppiamento con la produzione energetica da FER. Per tutte le tecnologie
che rientrano in tale fase di sviluppo si riscontra naturalmente una decisa perdita di utilità per
quanto concerne l’aiuto all’R&D, mentre acquista centralità il finanziamento delle spese operative
(OPEX). Più di tutto il resto, tuttavia, si rendono fondamentali sia gli incentivi fiscali che il
sostegno agli investimenti in strutture e macchinari (CAPEX).

85
Inutile dire come proprio i progetti riguardanti le tecnologie più prossime allo scale-up
commerciale siano quelli che maggiormente dovranno ricevere l’apporto da parte del Governo,
in quanto è fondamentale che la decarbonizzazione dei settori “non elettrificabili” cominci il
prima possibile e che il mercato dell’idrogeno raggiunga in tempi brevi il volume critico. Tuttavia,
la tabella conferma la necessità di non trascurare il sostegno alla ricerca di base, come evidenziato
sia dalle Linee Guida tracciate dal MiSE (2020) che dalla proposta strategica descritta in questa
trattazione (a tal proposito è bene ricordare che la Francia, per il periodo 2020-2023, ha destinato
alle attività di R&D ben il 19% dei 3,4 miliardi di euro stanziati a favore dell’H2).

• La seconda riflessione che merita di essere proposta è invece relativa ai modelli, agli esempi di
schemi incentivanti passati che potrebbero fornire lezioni utilissime rispetto agli errori da non
ripetere: si sta parlando degli incentivi sulle rinnovabili. In Spagna, ad esempio, l’inizio del
secondo decennio ha portato con sé non poche difficoltà dal punto di vista del sostegno alle FER
(tuttogreen.it). Complice anche la crisi finanziaria scaturita nel 2008, il Governo iberico dovette
tornare sui propri passi e sospendere gli aiuti economici per la realizzazione di nuovi impianti,
scatenando non solo le proteste delle imprese, ma anche una seria flessione del settore. Molte,
infatti, erano state le società che si erano costituite proprio cavalcando l’onda favorevole degli
incentivi e che, in breve tempo, hanno dovuto far fronte a un cambiamento repentino che ha
determinato la perdita di molti posti di lavoro.
Si fa riferimento a quegli anni per sottolineare come una politica di aiuti probabilmente troppo
generosa e poco regolamentata possa aver attirato nel mercato delle FER moltissime realtà ed
abbia elargito finanziamenti così estesi, da non poter essere più sostenibile nel giro di qualche
anno. Oltre a questo elemento, poi, non va trascurato l’aspetto della qualità delle attività
imprenditoriali alle quali è stato concesso un supporto economico. Il rischio di utilizzare
malamente il denaro dello Stato fissando criteri di selezione dei progetti che lasciano spazio anche
a proposte di dubbia utilità e valore pubblico è molto alta e, anche su questo punto, l’esperienza
della speculazione sulle rinnovabili in Spagna è un monito per tutti i Paesi.
In Italia, invece, si è assistito nell’ultimo decennio a un crescendo di malcontento per quanto
concerne la componente A3 della bolletta elettrica. Tale voce riguarda la cifra che i singoli cittadini
sono tenuti a pagare (attualmente tale pagamento, che rientra all’interno degli oneri generali di
sistema, è stato sospeso per ridurre il peso degli aumenti del prezzo dell’energia, scaturiti
dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina) affinché siano coperti gli incentivi alle rinnovabili per
il Paese. Nel tempo l’ammontare della quota A3 è salito di molto, fino a superare stabilmente la
somma cumulata di 10 miliardi di euro e impattando per oltre il 10% sul prezzo finale della

86
bolletta. Per questo motivo, già nel 2014 si è cercato di porre un freno a tali aumenti, imponendo
un tetto massimo di spesa per quanto concerne il sostegno dello Stato alle FER
(controllabolletta.it), ma a prescindere da ciò la gestione degli incentivi ha fornito lo spunto per
alcune riflessioni.
Senza entrare nel merito della bontà delle misure che sono state attuate nel corso degli anni (anche
perché la transizione ecologica è una sfida di proporzioni eccezionali, che non può essere vinta
senza mettere in conto di poter sopportare dei sacrifici), certamente si può affermare che uno dei
parametri per valutare l’adeguatezza di uno schema di sostegno è proprio la sua sostenibilità. Le
forme di finanziamento, le agevolazioni fiscali e tutti gli strumenti abilitanti una nuova tecnologia
o un’innovazione dovrebbero infatti servire a queste per trovare quanto prima il “terreno” ideale
dove affermarsi ed espandersi in modo sempre più autonomo.
Anche per quanto riguarda l’idrogeno, dunque, è fondamentale che sia la scelta delle tipologie di
aiuti che i criteri di selezione dei progetti ai quali gli aiuti stessi verranno indirizzati, siano fissati
nell’ottica di un utilizzo efficiente delle risorse e privilegino le imprese e le attività
economicamente più sostenibili.

A questo punto è dunque doveroso prendere in considerazione gli schemi di incentivi che l’Italia ha
deciso di adottare per affiancare la crescita del mercato dell’idrogeno, in modo tale da poter valutare il
loro grado di adeguatezza rispetto alla strategia proposta precedentemente nel testo ed anche per
proporre eventuali adeguamenti, sulla base delle soluzioni messe in pratica dagli altri Paesi europei citati
nel secondo capitolo.

Ecco, dunque, un elenco delle misure per l’idrogeno in Italia:

a) Bonus idrogeno: il Ministero della Transizione Ecologica ha previsto la possibilità di un


rimborso degli oneri generali di rete per tutti i soggetti, privati o pubblici, che installino impianti
per la produzione di idrogeno verde e utilizzino dunque energia proveniente da fonti rinnovabili
per alimentare gli elettrolizzatori (ticonsiglio.com). Tale alleggerimento fiscale libera dal
pagamento della quota variabile di costi che sarebbe destinata al finanziamento degli obiettivi
collettivi del sistema elettrico (essi sono: la produzione di energia da FER, lo smantellamento
delle centrali nucleari, la ricerca di sistema, le agevolazioni per il settore ferroviario e le industrie
energivore, gli oneri per il bonus elettrico) e, in questo modo, contribuisce a rendere l’idrogeno
più competitivo abbattendo il costo dell’energia necessaria a produrlo. L’incentivo viene
riconosciuto sotto forma di rimborso degli oneri versati (ex-post) ed è cumulabile con tutte le

87
altre forme di sostegno alla produzione di H2 elettrolitico, mentre le condizioni che devono essere
rispettate per poter accedere all’esenzione sono le seguenti (rinnovabili.it):
- L’idrogeno prodotto deve comportare una riduzione delle emissioni lungo l’intero ciclo
di vita pari ad almeno il 73,4% del valore di riferimento di 94 g CO2e/MJ (che equivale a
emettere meno di 3 tonnellate di CO2eq per tonnellata di H2).
- Gli elettrolizzatori devono essere collegati agli impianti di FER in modo diretto, oppure
attraverso una rete con obbligo di connessione di terzi e ottenere le garanzie d’origine
rinnovabile per l’elettricità impiegata.

È importante sottolineare che l’obiettivo di tale manovra è quello di agevolare la nascita di una
‘filiera tutta italiana’ entro la metà del 2026 (ticomsiglio.com), la quale sia in grado di produrre sia
gli elettrolizzatori che tutti i componenti necessari e possa raggiungere la capacità di un GW di
potenza annua.

b) Esenzione dall’accisa sui prodotti energetici: a patto che esso non venga utilizzato
direttamente come carburante nei motori termici, l’idrogeno potrà godere di questa ulteriore ed
utilissima esenzione fiscale. I prodotti energetici per i quali è dovuto il pagamento dell’accisa sono
fissati dall’ADM (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) e sono i seguenti: benzina, cherosene,
gasolio, olio combustibile e GPL. L’accisa, dunque, non è altro che un’imposta che, a differenza
dell’IVA, non si basa sul valore del bene o del servizio, ma sulla quantità che se ne consuma (luce-
gas.it). Essa si configura come un tributo di tipo indiretto, in quanto il produttore paga tale tributo
e si rivale per esso sui consumatori (ipsoa.it).
Anche in questo caso l’esenzione è perciò uno strumento utile per abbassare il costo dell’H2 lato
produttore e, di riflesso, contenere il prezzo dalla prospettiva del consumatore.
c) Investimento M2C2 3.5 “Ricerca e sviluppo sull’idrogeno”: il MASE (Ministero
dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ex MiTE) ha pubblicato nei primi mesi del 2022 i
bandi per l’assegnazione dei fondi del PNRR destinati a progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito
dell’idrogeno. Si tratta di una somma pari a ben 160 milioni di euro, da impiegare nei seguenti
quattro filoni (mase.gov.it):
- Produzione di H2 verde e pulito (se l’energia non è prodotta tramite FER, comunque deve
essere assicurata una riduzione delle emissioni nel ciclo di vita del 73,4% rispetto a un
combustibile fossile di riferimento che emetta 94 g CO2eq/MJ);
- Tecnologie innovative per lo stoccaggio, il trasporto dell'idrogeno e la sua trasformazione
in derivati ed elettro-carburanti (nel caso dei combustibili sintetici le emissioni di gas serra
devono essere ridotte di ameno il 70% rispetto al riferimento citato al punto precedente);
- Celle a combustibile per applicazioni stazionarie e di mobilità;

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- Sistemi intelligenti di gestione integrata per migliorare la resilienza e l'affidabilità delle
infrastrutture intelligenti basate sull'idrogeno.

L’obiettivo del Ministero è quello di giungere al 2026 avendo portato a termine almeno un
progetto per ciascuno dei 4 punti elencati.
La distribuzione di tali risorse segue la seguente suddivisione:
- Ben 110 mln € sono stati stanziati a favore di un accordo tra il MASE ed ENEA (l’Agenzia
nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) per
l’attività di ricerca e sviluppo sul vettore idrogeno. Tale somma è da intendere come
inclusiva anche degli aiuti nei confronti del CNR (il Consiglio Nazionale delle Ricerche,
al quale confluiscono 20 mln €) e di RSE S.p.a. (Ricerca sul Sistema Energetico, che si
vede assegnati 15 mln €), soggetti attuatori esterni con i quali ENEA collabora nelle
attività di ricerca.
Il fine di questa cooperazione voluta dal Governo è quello di agevolare il trasferimento
tecnologico dei risultati della ricerca, sfruttando le solide competenze maturate da ENEA
in circa 30 anni di attività in questo settore (confservizi.emr.it).
- 20 mln € sono stati invece dedicati ad un bando per la selezione di progetti di ricerca
fondamentale svolti da enti pubblici ed università. Alla chiusura dello stesso, sono state
raccolte 39 proposte per un totale richiesto di 116 mln €: per tale motivo sono stati
selezionati solo 7 di questi progetti. Nota: il finanziamento copre in questo caso il 100%
dei costi, ma il suo ammontare può oscillare esclusivamente tra i 2 e i 4 milioni.
- 30 mln € indirizzati a un bando per progetti di R&D svolti da imprese private. Anche in
questo caso, le richieste hanno superato di molto la dotazione predisposta dallo Stato (56
progetti per una cifra di 126 mln €) e si è dunque fornito sostegno a solo 15 tra le aziende
partecipanti. Nota: in tale contesto la copertura dei costi va dal 20% all’80% (a seconda
della tipologia di progetto e della dimensione dell’impresa), mentre il montante rimane
compreso tra i 2 e i 4 milioni di euro.
d) Investimento M2C2 3.1 “Produzione di idrogeno in aree industriali dismesse”: la
componente 2 della missione 2 del PNRR prevede ben cinque linee di riforme e di investimenti,
la cui terza è interamente incentrata sull’idrogeno. In particolare, l’investimento 3.1 nasce con
l’obiettivo di diffondere la produzione e l’utilizzo dell’H2 verde (o pulito, secondo i criteri
esplicitati al punto precedente) per molteplici scopi in realtà locali, in modo tale da dare slancio
alla nascita di numerose hydrogen valleys dove si possa sperimentare sul campo l’integrazione di
tale vettore energetico. Per fare ciò, inoltre, si è voluto cogliere l’opportunità di rivalorizzare
vecchie aree industriali ora dismesse, posizionando proprio in questi siti gli impianti per la
produzione di idrogeno (mase.gov.it).

89
Le risorse economiche messe a disposizione dallo Stato ammontano a ben 500 mln € e sono così
suddivise:
- 450 mln € sono destinati alla realizzazione di progetti nelle Regioni e nelle Province
autonome.
- 50 mln € sono invece dedicati ai cosiddetti “progetti bandiera”, che in quanto primi
devono tracciare la strada per le applicazioni successive. Le regioni selezionate per dare
vita a questa sperimentazione sono: Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Basilicata e
Puglia. Proprio il Piemonte, tra l’altro, si è visto aggiudicare ben 19,5 milioni di euro sui
50 totali (bandi.regione.piemonte.it).
La forma del sostegno si concretizza in un finanziamento a fondo perduto fino al 100%
dei costi ammissibili, mentre la selezione dei progetti è decisa tramite una graduatoria
competitiva.

L’obiettivo per il 2026 è quello di portare alla realizzazione di almeno dieci progetti per la
produzione di H2 in zone industriali rivalorizzate, ciascuno con una capacità compresa (come
minimo) tra 1 e 5 MW.

e) Investimento M2C2 3.3 “Sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto stradale”: in


questo caso il focus del PNRR è quello riguardante il trasporto a lungo raggio mediante veicoli
pesanti. A tal proposito sono stati predisposti 230 mln € con l’obiettivo di installare entro il 2026
almeno 40 stazioni di rifornimento, localizzandole inizialmente in modo contestuale alla creazione
delle nuove hydrogen valleys (Italia domani PNRR, 2022).
f) Investimento M2C2 3.4 “Sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto ferroviario”:
ulteriori 300 mln € sono stati predisposti al fine di diffondere l’utilizzo dell’idrogeno nel settore
ferroviario, in tutte quelle circostanze dove l’elettrificazione è attualmente troppo costosa o
tecnicamente impraticabile. La produzione di H2 verde dovrà avvenire a ridosso delle stazioni di
rifornimento, con l’obiettivo al 2026 di installare almeno 10 di queste stazioni lungo sei linee (le
quali dovranno essere opportunamente selezionate tramite procedure pubbliche).
Come per i trasporti su gomma, anche in questo caso la priorità verrà data alle tratte ferroviarie
che ricadono all’interno delle hydrogen valleys italiane, con particolare attenzione a quelle che
rilevano il maggior traffico e che fanno ancora pesante uso di treni a diesel (Italia domani PNRR,
2022).Gli sforzi riguarderanno l’integrazione e il passaggio all’idrogeno di tutta la value chain e,
dunque, coinvolgeranno sia la produzione del vettore tramite elettrolisi che il suo trasporto, fino
alla realizzazione dell’infrastruttura di rifornimento e all’acquisto dei treni. Per tale ragione i
progetti proposti hanno l’obbligo di sviluppare valutazioni di fattibilità tecno-economica che

90
abbraccino l’intero spettro delle azioni necessarie a trasformare il tipo di alimentazione nel
traporto ferroviario.
g) Investimento M2C2 3.2 “Utilizzo dell'idrogeno in settori hard-to-abate”: in questo ambito
particolare, lo Sato ha pensato di concentrare ben 2 mld € per supportare la ricerca e lo sviluppo
delle applicazioni dell’idrogeno in tutti i comparti industriali che attualmente sfruttano il metano
per produrre l’energia termica necessaria ai loro processi (e non solo: tale somma servirà al
contempo a progredire nella produzione di acciaio ad alto utilizzo di H2).
L’obiettivo di ogni progetto finanziato dovrà essere quello di sviluppare non solo un prototipo
industriale, ma anche di collaudarlo sul campo (Italia domani PNRR, 2022).
Gli obiettivi al 2026 sono quelli di introdurre l’idrogeno in almeno un impianto industriale e di
destinare 400 milioni di euro (o più) a iniziative volte alla riduzione del 90% dell’utilizzo di CH 4
e degli altri combustibili fossili all’interno dei processi dei settori hard-to-abate (sostituendoli con
il nuovo vettore, ottenuto dall’elettrolisi alimentata da FER o dalla rete elettrica).

Come valutare, dunque, il pacchetto di aiuti all’idrogeno prospettato dal Paese? Per tentare di rispondere
a questa domanda si cercherà di fare riferimento agli spunti ottenuti dall’analisi degli altri Stati europei
presentati durante la trattazione e, oltre a ciò, si terrà conto delle osservazioni facenti riferimento
all’efficacia di alcuni sistemi d’incentivo in relazione alla prontezza tecnologica delle soluzioni.

• Prima di tutto è doveroso constatare la coerenza che lega gli strumenti di sostegno appena
elencati con le linee guida tracciate dall’Italia per la stesura della strategia nazionale. È abbastanza
semplice, infatti, evidenziare i collegamenti tra gli obiettivi fissati in quel documento e le azioni
specifiche attuate o preventivate dal Governo. Qui di seguito vengono citati quelli principali:
- Trasporto ferroviario: per quanto concerne il trasporto ferroviario, ad esempio, si è notato
come lo Stato punti con decisione all’introduzione del vettore energetico all’interno del
settore, al fine di decarbonizzare quei tratti di rete dove l’elettrificazione non è ancora
riuscita a fornire una risposta valida. Ora, tralasciando il parere più o meno concorde con
tale iniziativa, si può invece riconoscere la consequenzialità tra questa istanza e la concreta
presa di posizione degli organi governativi, con il PNRR che dedica ben 300 mln € per la
causa.
- Hydrogen valleys: stessa concordanza si riscontra sul tema delle hydrogen valleys,
caldamente volute dall’Italia (e non solo) e per il cui sviluppo sono stati stanziati
addirittura 500 mln €.

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- R&D: le linee giuda sulla strategia nazionale per l’idrogeno hanno messo in chiaro
l’intenzione del Paese di non lasciare indietro la componente di ricerca e d’innovazione
per puntare esclusivamente allo sviluppo ed al roll-out delle soluzioni più pronte per il
mercato, ma di portare avanti un impegno coordinato su entrambi i livelli. In quest’ottica
il PNRR ha previsto, con l’investimento M2C2 3.5, di mobilitare ben 160 mln €, con la
speranza di far accrescere le competenze interne in questo settore relativamente nuovo,
ma che solo ora sta vedendo valorizzate le proprie potenzialità.

In linea con quanto appena affermato, si possono poi citare le misure incentivanti previste
nell’ambito dei trasporti a lungo raggio su gomma e in quello dell’industria pesante. Insomma, dal
punto di vista della coerenza tra le due parti (impostazione strategica da un lato e schemi di
supporto dall’altro) l’Italia non ha commesso passi falsi. Inoltre, sempre per avvalorare la tesi
appena espressa, non si può non menzionare che il Paese si è visto autorizzare dall’UE gli aiuti di
Stato per la realizzazione dei primi due Importanti Progetti di Interesse Comune Europeo, a
conferma dell’impegno per valorizzare una cooperazione comunitaria anche su questo tema:
l’IPCEI Hy2Tech e l’IPCEI Hy2Use. Nel primo caso è stato possibile attivare risorse per ben 700
mln €, con l’obiettivo di creare le basi per una value chain europea dell’H2 (i fondi sono stati
destinati a sostegno delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione, comprendendo anche la prima
fase di applicazione industriale). Con il secondo programma (500 mln €), invece, si è cercato di
colmare le lacune lasciate dal primo IPCEI e ci si è dunque dedicati agli aiuti alle infrastrutture
connesse per l’idrogeno ed alle sue applicazioni in ambito industriale (mise.gov.it).

• Un secondo aspetto che incide positivamente sul giudizio riguardante gli schemi di supporto
adottati dall’Italia è sicuramente la presenza di un piano di agevolazioni fiscali dedicate
all’idrogeno. Dall’analisi fatta sui livelli di prontezza delle tecnologie hydrogen-based si è infatti
evinto che molte di esse si trovano in quella fascia compresa tra i TRL 4 e 7, dove l’incentivo di
tipo fiscale risulta essere la forma di sostegno più adeguata (insieme al finanziamento per la ricerca
e lo sviluppo) per favorire la nascita di un settore che ancora stia muovendo “i primi passi”.
Nelle fasi di crescita iniziali lo strumento fiscale risulta effettivamente molto efficiente in quanto,
da un lato, abbassando i costi per i produttori aiuta a mantenere contenuto il prezzo finale (a tutto
vantaggio della competitività sul mercato), mentre dall’altro consente di distribuire i sostegni in
modo proporzionale e “meritocratico”, in base ai volumi di produzione dei singoli soggetti.

• Le considerazioni appena presentate sull’incentivo fiscale sono un ottimo punto di partenza per
introdurre il terzo elemento rilevante in questa analisi, ovvero la valutazione dello strumento di

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gara per l’aggiudicazione dei fondi predisposti dallo Sato per lo sviluppo del mercato
dell’idrogeno. Come già espresso dalla CRE (la Commission de Régulation de l’Énergie) con
riferimento al contesto francese (ansa.it), anche RSE S.p.A. (Ricerca sul Sistema Energetico, 2016)
ha evidenziato come il meccanismo competitivo, che nel frangente da loro analizzato era stato
impiegato nelle fasi di sviluppo del business del fotovoltaico, abbia provocato alcune inefficienze
nell’allocazione delle risorse ed abbia perciò inficiato sul risultato finale.
La critica che viene mossa a riguardo è che, quando un determinato settore si trova ai primi step
della sua espansione (appena dopo la ricerca di base, quando si iniziano a testare le soluzioni sul
mercato in scala ridotta), il numero dei competitors potrebbe essere esiguo a tal punto da far sì
che tutti i progetti candidati possano accedere alle risorse messe a disposizione dello Stato, con la
logica conseguenza che parte di tale somma andrebbe sprecata per finanziare attività dallo scarso
valore aggiunto per la collettività e dalla dubbia sostenibilità economica. Dunque, nonostante non
si neghi l’utilità di aiutare le imprese del settore in modo diretto, coprendo soprattutto gli
investimenti in conto capitale (CAPEX), è evidente la necessità di stabilire criteri di valutazione e
di selezione dei progetti che valorizzino la bontà degli stessi (tecnica e finanziaria al contempo) e
trascendano da una mera valutazione del minor costo (Richstein et al., 2021). Oltre a ciò, non è
da escludere l’ipotesi che un sistema di selezione basato sulla negoziazione possa essere preferibile
al meccanismo d’asta, almeno nella prima fase di transizione all’H2.

• Ricollegandosi al tema trattato al punto precedente, un aspetto molto importante per la buona
riuscita di un programma di finanziamenti per l’idrogeno è quello relativo ai meccanismi di
valutazione e di selezione, adoperati per guidare i processi di gara necessari ad indirizzare
efficacemente le risorse messe a disposizione dal Paese. A tal proposito è fondamentale instaurare
una procedura che escluda il rischio di lock-in tecnologico e permetta alle diverse soluzioni
hydrogen-based di competere equamente, in maniera tale che ognuna possa ottenere il sostegno
necessario alla propria crescita.
Per questo motivo la Germania pone l’attenzione sull’ampiezza dei gruppi di società che devono
spartirsi gli aiuti pubblici, come fattore determinante per una distribuzione efficace di questi
ultimi. Appare dunque ragionevole la soluzione adottata dal governo tedesco di riunire i cluster
di progetti in base al loro settore di applicazione (dove di considera verosimile che le imprese
debbano far fronte agli stessi costi di abbattimento delle emissioni) e, perciò, di focalizzare il
confronto tra le diverse soluzioni tecnologiche proposte per lo stesso ambito, con l’obiettivo di
far emergere quelle più adeguate (in termini di prestazioni e di costi).
Questo aspetto è fondamentale per evitare di commettere alcuni errori già visti in Italia nel
contesto degli incentivi al fotovoltaico, dove un meccanismo di selezione non troppo accurato

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ha favorito lo sviluppo preponderante di alcune categorie di progetti, lasciando però delle lacune
che ad oggi hanno impedito l’affermarsi di una vera e propria filiera a livello nazionale (Ricerca
sul Sistema Energetico, 2016).

• Un punto di merito per quanto riguarda la struttura di incentivi predisposta dall’Italia a supporto
dell’idrogeno è senza dubbio l’attenzione dimostrata nel voler creare le condizioni per una
crescita coordinata di questo nuovo mercato, favorendo la combinazione delle diverse
tecnologie in sviluppo sia a livello comunitario (cooperando con gli altri Stati membri per la
realizzazione dei primi IPCEI dedicati all’H2) che all’interno del territorio nazionale (incentivando
la nascita di numerose hydrogen valleys).
Tale approccio, adottato inoltre in tutti i Paesi europei analizzati durante la trattazione, porta con
se molteplici vantaggi:
- All’interno dell’UE, permette di valorizzare le economie di scopo, di condividere tra Stati
le proprie competenze e le eccellenze tecnologiche e, soprattutto, di porre le basi per
un’infrastruttura europea per l’idrogeno che consenta di generare future economie di scala
e che posizioni il continente tra i primi player di tale mercato.
- A livello nazionale, invece, le hydrogen valleys sono uno strumento potenzialmente
utilissimo per non trascurare alcun aspetto riguardante la produzione, il trasporto, la
distribuzione e l’utilizzo dell’H2, contribuendo così a far nascere una filiera funzionale ed
efficiente nel territorio italiano.
- Come riportato nella relazione di Energy Strategy sulle fonti rinnovabili in Italia (2022),
nella quale si sono analizzate le potenzialità delle CER (Comunità Energetiche
Rinnovabili) al fine di agevolare la diffusione e l’utilizzo delle FER nel Paese, così le
hydrogen valleys possono rappresentare la stessa grande opportunità per lo sviluppo del
mercato dell’idrogeno, fornendo la possibilità alle imprese e agli investitori di condividere
il rischio (e, di conseguenza, i costi annessi) di entrare in un settore così nuovo, ma al
contempo così prezioso per il raggiungimento degli obiettivi di abbattimento delle
emissioni.

Con questo ultimo punto appena presentato si chiude dunque l’analisi sugli strumenti incentivanti
predisposti dall’Italia, per la quale è stato fondamentale poter attingere agli spunti forniti dal confronto
con le strategie già strutturate di altri quattro Paesi dell’Unione Europea (nonché da quello con la stessa
strategia UE).

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Per dovere di completezza, tuttavia, a tali riflessioni va affiancata senza dubbio quella relativa alla struttura
normativa necessaria per accompagnare la crescita del nuovo mercato dell’idrogeno. Non essendo questo
il fulcro e l’obiettivo della presente tesi, ci si limiterà a citarla in queste poche righe, ma è innegabile che
essa sia, insieme agli schemi di supporto, uno strumento imprescindibile per la buona riuscita dei piani
nazionali e comunitari. La necessità di un’evoluzione rapida delle tecnologie hydrogen-based (molto più
rapida di quanto si sia riuscito a fare nello scorso decennio per il fotovoltaico e per l’eolico) unita al
vantaggio inconfutabile di un approccio coordinato nel territorio europeo, pongono davanti
all’impellenza di norme chiare e snelle (si parla di: tassonomia dell’idrogeno, Garanzie d’Origine, target
di decarbonizzazione per le imprese, criteri per il recupero ed il retrofitting dell’infrastruttura del gas…)
che forniscano certezze agli investitori, sicurezza al mercato, che semplifichino gli iter autorizzativi e che
fissino standard qualitativi inequivocabili che preservino la bontà degli sforzi economici per il
raggiungimento degli obiettivi climatici al 2050.

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Conclusioni

Con l’ultimo capitolo si chiude dunque la presente trattazione, il cui fulcro è consistito nell’esaminare
l’impostazione strategica e gli schemi incentivanti messi in campo dall’Italia, alla luce del percorso già
intrapreso dall’Unione Europea e da alcuni suoi Paesi membri: Francia, Germania, Olanda e Portogallo.

Si può dire di aver approcciato la tematica in modo molto graduale, attraversando alcuni step introduttivi
che hanno certamente permesso di conoscere meglio il contesto riguardante l’idrogeno e di farsi un’idea
non solo dei vantaggi, ma anche degli aspetti meno positivi legati alla tecnologia. Il primo capitolo è
servito a far emergere, ad esempio, quanto sia vasto il panorama che si cela dietro a tale elemento,
chiarendo fin da subito che quella della sostenibilità non è una caratteristica intrinseca dell’H 2, ma che
deve essere inseguita mediante processi di produzione fondati sulle risorse rinnovabili (come l’elettrolisi
dell’acqua alimentata da energia prodotta da fonte solare o eolica). La sezione dedicata
all’approfondimento dei costi di produzione, poi, è stata l’occasione per introdurre alcune riflessioni
sull’idrogeno blu (ottenuto tramite SMR accoppiato alla cattura e stoccaggio della CO 2 prodotta) quale
possibile strumento di transizione per garantire, oltre ad un’immediata riduzione delle emissioni
inquinanti, volumi produttivi adeguati a soddisfare la domanda di mercato, in attesa che la dotazione di
impianti di FER e i costi relativi alla sintesi della variante elettrolitica si abbassino e diventino competitivi
su vasta scala. Da qui è derivata la riflessione sulla necessità di concentrare lo sforzo economico
principalmente per sostenere l’implementazione delle soluzioni hydrogen-based più promettenti e
“pronte all’uso” e, proprio per questo motivo il primo capitolo si è concluso con l’analisi delle possibili
applicazioni dell’idrogeno: dal sector coupling con l’energia elettrica “green”, ai trasporti pesanti (su terra,
su rotaia, ma in prospettiva anche in ambito marittimo ed aereo), fino all’industria hard-to-abate.

Il secondo capitolo è dunque servito per entrare nel vivo della trattazione, analizzando quale approccio
avessero deciso di adottare i Paesi europei e la stessa UE, sia in termini di strategia che di incentivi allo
sviluppo. Le evidenze raccolte sono state fondamentali per approcciare il caso italiano e, in sintesi, hanno
messo in luce alcune peculiarità comuni che hanno perciò suggerito la definizione di un benchmark
strategico caratterizzato da: inclusione dell’H2 blu nei piani di breve-medio termine al fine di accelerare la
crescita di un mercato a livello comunitario, adozione di un approccio coordinato tra Paesi dell’UE, senza
trascurare la cooperazione internazionale, ricerca di economie di scala e di scopo attraverso,
rispettivamente, l’implementazione di impianti di grandi dimensioni e la creazione delle cosiddette
hydrogen valleys, investimenti per il retrofitting dell’attuale rete del gas, adeguandola alle necessità per il
trasporto di idrogeno, incremento della capacità energetica da FER, focus sugli impieghi dell’H 2 in ambito

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industriale e dei trasporti su terra, ridimensionando l’importanza di tale soluzione in ambito ferroviario e
pianificandone l’introduzione in contesto marittimo ed aereo solo in un’ottica di lungo periodo.

Sul piano degli incentivi è invece risaltato come essi non possano bastare, da soli, a garantire la riuscita
dei piani nazionali ed internazionali per la crescita di un mercato dell’idrogeno, ma che ad essi debba
necessariamente essere accompagnato un pacchetto normativo che rassicuri gli investitori e detti regole
chiare che allontanino il rischio di vanificare gli sforzi economici (si parla ad esempio, almeno a livello
europeo, di una tassonomia comune per l’H2, di un sistema di Garanzie d’Origine sui volumi prodotti, di
standard equivalenti in ambito di sicurezza della rete di trasporto e di qualità della produzione ecc.). Ad
ogni modo, è stato evidenziato in più di un caso come lo strumento di gara competitiva per l’assegnazione
degli appalti per i nuovi progetti sia forse uno strumento prematuro rispetto al grado di maturità di questo
settore (dove il numero di imprese è ancora troppo limitato perché si possa pensare di instaurare una vera
competizione di prezzo per aggiudicarsi i fondi pubblici), con il metodo della negoziazione che potrebbe
garantire un’allocazione più efficiente delle risorse.

L’Italia, in tale contesto, esce dal confronto “a testa alta”. Si può dire infatti che le linee guida per la
strategia nazionale si discostino molto poco rispetto a quanto il presente testo ha evidenziato essere
l’ipotetico benchmark. Certo, resta il fatto che i precedenti (soprattutto per quanto concerne lo sviluppo
delle rinnovabili, che ad oggi crescono ad un ritmo nettamente sotto aspettativa) sembrano evidenziare
un certo ritardo rispetto ai “vicini europei” per quanto concerne l’adozione di misure sostanziali ed
efficaci, ma in questo caso, nonostante la strategia definitiva non sia ancora stata fissata, lascia ben sperare
il fatto che il Paese si sia già mosso sul piano pratico per creare l’ecosistema di incentivi più appropriato
per facilitare lo sviluppo di questo mercato. A tal proposito, ad esempio, è giusto rimarcare il fatto che
una grande attenzione sia stata dedicata al supporto fiscale dei progetti hydrogen-based, un sistema di
aiuto molto coerente con il livello attuale di prontezza tecnologica del settore. Ed anche la partecipazione
a entrambi i primi due IPCEI sull’idrogeno denota una volontà forte nel ricercare un’unione di forze e di
competenze a livello europeo, in linea con il pensiero di tutti gli altri Paesi membri dell’UE.

Certo, questo ottimismo non deve lasciare spazio al lassismo. L’Italia sta approcciando la sfida sull’H 2 nel
modo corretto, coerentemente con quanto accade nel vicinato europeo. Tuttavia, si può affermare che
tutto sia ancora da fare e che il percorso verso la completa decarbonizzazione dei settori hard-to-abate
sia appena stato intrapreso. Occorre certamente moltiplicare gli sforzi per incrementare la capacità
energetica derivante dalle FER, servono norme e regole concordi all’interno dell’Unione Europea che
traccino una traiettoria univoca e che forniscano garanzie alle imprese che vogliono mettersi in gioco e,
infine, si rende necessario un monitoraggio periodico dei risultati ottenuti, al fine di comprendere quale
sia la reale efficacia degli incentivi messi in campo ed, eventualmente, porre rimedio senza perdere tempo
prezioso.

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