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Malattie Dell Apparato Locomotore

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M A LAT T I E D E L L ‘ A P PA R AT O

LOCOMOTORE
GENERALITÀ
APPARATO LOCOMOTORE .
Insieme costituito da:
• ossa
• articolazioni
• muscoli

Questo insieme forma una struttura che permette il movimento.

CENNI STORICI
L’ortopedia nasce piuttosto tardamente, si sviluppa nella prima fase come una parte della traumatologia.
Ippocrate fonda nel 400 a.C le prime scuole di medicina.
Nel medio pegno cominciano a svilupparsi le prime strutture di ricovero.
Il precursore della patologia generale è Fracastoro.
Leonardo approfondisce l’anatomia tramite i disegni.
La prima definizione di ortopedia risale al 1700, fornita da Nicholas come “l’arte di prevenire e
correggere nei bambini le deformità del corpo”.
Desault, medico francese, idea le prime fasciature, bloccano soprattutto l’arco superiore.
Venne inventato il gesso come sistema di immobilizzazione degli arti (inizialmente erano delle bende
imbevute nel bianco d’uovo).
Una svolta fu segnata dall’invenzione dei raggi X da parte di Röentgen.
La traumatologia non è più legata ad eventi bellici ma a catastrofi naturali, atti di terrorismo o attività
sportiva (è incrementata la velocità e la forza).
Tutto questo porta ad un incremento delle risorse tecnologiche (e con questo anche dei costi).

SINTESI INTERNA
Sistema di modifica della struttura ossea applicato alla stessa:
• placche
• viti
• chiodi endomidollari

FISSAZIONE ESTERNA
Sistema che permette sempre di stabilizzare la struttura ossea dall’esterno:
• circolare
• assiale

PROTESI -

La protesi o artroprotesi sono la sostituzione di un’ articolazione. L’articolazione viene modificata.


Le protesi durano all’incirca 20 anni. Possono essere di due tipi:
• anatomica: lavora con una struttura che le permette un movimento corretto
• inversa: lavora senza struttura, vengono invertite le componenti in modo da garantire il movimento

Nella protesi discale sostituisce completamente il disco con delle parti metalliche che si adattano alle
componenti sovra e sottostanti. Non si è ancora però trovato un modo per fornire una completa stabilità
al sistema.

NAVIGAZIONE
Per mezzo di sensori che correggono l’inclinazione di intervento sulle strutture ossee.
Conferisce una miglior precisione durante gli interventi.
SISTEMI ROBOTIZZATI
Procedura che permette ai chirurghi di essere precisi e costantemente riproducibili nell’impianto di una
protesi. Conferiscono precisione, riproducibilità, affidabilità. Inoltre riducono l’insulto chirurgico.

TECNICA CHIRURGICA DELLA FRATTURA VERTEBRALE


1. Il palloncino viene inserto attraverso una piccola canula
2. Il palloncino viene gonfiato, elevando gli emipiatti ripristinando l’altezza del corpo vertebrale
3. La cavità viene riempita con cemento a bassa pressione

SEMEIOTICA ORTOPEDICA
Riguarda lo studio dei segni in ortopedia:
• ispezione: l’osservazione del soggetto durante la visita, può già conferire un’idea sulla diagnosi
• palpazione: valutazione delle strutture tramite contatto, tutte le pratiche che riguardano gli arti devono
sempre essere confrontate col controlaterale

Le misurazioni della lunghezza degli arti, circonferenze delle masse muscolari sono fondamentali.
Col martelletto si possono testare i riflessi (conferiscono informazioni sullo stato delle terminazioni
nervose).

MOVIMENTI ANGOLARI
• Flessione: portare l’arto vicino al corpo
• Estensione: allontanare l’arto dal corpo

Il contrario avviene con l’articolazione del ginocchio

• Abduzione: allontanare l’arto dal corpo


• Adduzione: avvicinare l’arto al copro

MOVIMENTI ROTATORI
Legati sopratutto alle articolazioni più mobili (anca e spalla):
• rotazione interna
• rotazione esterna
• pronazione
• supinazione

CIRCOMDUZIONE
Non riguarda un singolo movimento, ma è un insieme di movimenti. Sintesi nella spalla e nell’anca della
combinazione dei vari movimenti.

ASSE DI CARICO
L’arto inferiore con un corretto asse di carico prevede che il peso del corpo passi dal centro della testa
del femore al centro della caviglia passando per il centro del ginocchio:
• ginocchio varo: il sovraccarico passa all’interno del ginocchio
• ginocchio valgo: il sovraccarico passa all’esterno del ginocchio

DIAGNOSI
Prima prevede prima la parte clinica:
• anamnesi (storia del paziente)
• semeiotica

Infine la parte strumentale (gli esami per la conferma):


• RX
• Eco
• RM
• MET, contrasto

Dalla clinica si passa a questi esami per la diagnosi corretta.

SCELTA DI UN ESAME
Deve basarsi su:
• accuratezza
• sensibilità
• specificità

Si definisce specificità di un esame diagnostico la capacità di identificare correttamente i soggetti sani,


ovvero non affetti dalla malattia o dalla condizione che ciò si propone di individuare. Se un test ha
un’ottima specificità, allora è basso il rischio di falsi positivi, ovvero di soggetti che pur presentando
valori anomali non sono affetti dalla patologia che si sta ricercando.

Si definisce sensibilità di un esame diagnostico la capacità di identificare correttamente i soggetti


ammalati, l’ovvero affetti dalla malattia o dalla condizione che ci si propone di individuare. Se un test ha
un’ottima sensibilità, allora è basso il rischio di falsi negativi, cioè di soggetti che pur presentando valori
normali sono comunque affetti dalla patologia o dalla condizione che si sta ricercando.

Si deve tener conto del miglior rapporto costo/beneficio.

Gli esami strumentali devono:


• confermare la clinica
• escludere patologia associata ad altro livello

Ogni tanto può accadere che non ci sia una correlazione tra disturbo clinico e reperto strumentale (falso
problema). Il consiglio è rivalutare la clinica.

CENNI DI ANATOMIA
APPARATO LOCOMOTORE
Insieme funzionale costituito da ossa collegate tra loro per mezzo di articolazioni e messo in movimento
per l’azione dei muscoli:
• sistema legamentoso
• sistema vascolonervoso
• sistema muscolare
Lo scheletro è costituito da:
• testa: costituita dal cario e dalle ossa facciali, posta alla sommità della colonna vertebrale
• colonna vertebrale: o rachide, costituita dalla sovrapposizione vertebrale
• gabbia toracica: o torace, costituita dallo sterno e dalle coste che si articolano con le vertebre, fanno
parte del torace anche clavicola e scapola
• arti superiori: braccio-omero, avambraccio-radio e ulna, ossa del polso, ossa della mano, collegati al
torace mediante scapola e clavicola che formano insieme con l’estremo prossimale dell’omero
l’articolazione della spalla
• bacino: costituito da due ossa iliache unite alla parte inferiore del rachide (sacro) e collegate agli arti
inferiori a livello delle articolazioni delle anche (cingolo o cintura pelvica)
• arti inferiori: costituiti da femore (coscia), tibia e perone o fibula (gamba), ossa del tarso e metatarso e
falangi (piede)

ARTICOLAZIONI
Due o più ossa unite tra loro costituiscono un’articolazione, organo mediante il quale avviene il
movimento e la vita di relazione. Le articolazioni a seconda della conformazione anatomica e della forma
si possono distinguere in:
• sinartrosi: articolazioni per continuità in cui i segmenti scheletrici sono divisi dall’interposizione di
tessuto connettivo (non vi è movimento, ex. ossa del cranio, sacro-iliache)
• diartrosi: articolazione per continuità in cui i capi ossei si affrontano mediante superfici costituite da
cartilagine ialina conservando la propria individualità anatomica (il movimento è ampio come a livello
di anca, ginocchio e spalla). In queste articolazioni vanno considerate altre strutture come menischi,
legamenti, capsula sinoviale, capsula articolare, borse sierose, cartilagine, liquido sinoviale.

TESSUTO SCHELETRICO
Composto da diverse forme specializzate di tessuto connettivo:
• osso
• cartilagine
• capsula articolare
• legamenti
• tendini
• entesi, muscolo, vasi, nervi...

OSSO
Costituente fondamentale dello scheletro, struttura in continuo metabolismo, è sempre in attività.
Fornisce alcune sostanze fondamentali per la nostra esistenza. Si rinnova costantemente.
Costituito da diverse strutture:
• canali di Havers: strutture circolari connesse l’una con l’altra da canali vascolari
• osteociti: cellula dell’osso, non in attività (quiescente)
• periostio: membrana esterna vascolarizzata
• endostio: membrana interna vascolarizzata

Il tessuto osseo è composto da:


• componente cellulare: osteoblasti (cellula in attività metabolica), osteociti, osteoclasti (in attività
catabolica)
• tessuto connettivo specializzato: matrice organica extracellulare + componente inorganica, lamelle
elicoidali in cui le fibre collagene sono unite alla sostanza fondamentale impregnata di sali inorganici

Massima resistenza meccanica con minore massa possibile.

E’ una struttura dinamica sottoposta ad un continuo processo di rimaneggiamento e rimodellamento.


L’alterazione di questo processo può portare a osteoporosi, osteomalachia, osteopetrosi, alterata
resistenza biomeccanica dell’osso.

Componenti cellulari:
• osteoblasti: deputati alla sintesi e alla secrezione della matrice proteica in cui precipitano i sali di
calcio dando luogo alla formazione della matrice ossea
• osteociti: osteoblasti maturi circondati dalla matrice ossea (lacuna ossea) e collegati tra loro da
canalicoli che sfociano nei canali di Havers
• osteoclasti: provvedono alla demolizione fisiologica della matrice organica e dei sali minerali

Funzioni dell’osso:
• regolazione dell’omeostasi calcica
• riserva biologica di ioni calcio, fosfati, bicarbonato e magnesio
• supporto meccanico per i tessuti molli
• emopoiesi attraverso il midollo osseo

Da un punto di vista morfologico le ossa si distinguono in:


• ossa piatte: scapola, calotta cranica, in cui predominano la lunghezza e larghezza sullo spessore
• ossa corte: ossa del tarso e del carpo, le tre dimensioni si equivalgono, guarigione più rapida
• ossa lunghe: femore, predomina nettamente la lunghezza, guarigione più lenta

OSSO LUNGO
Morfologicamente un osso lungo è costituito da:
• diafisi: zona centrale, cilindro di tessuto osseo duro e compatto la cui cavità centrale è riempita da
midollo osseo (importante per la formazione delle cellule del sangue)
• epifisi: alle due estremità della diafisi, rigonfiamenti ossei rivestiti di cartilagine
• metafisi: tra diafisi ed epifisi, importante per l’accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe

PERIOSTIO
Tessuto connettivo fibroso denso di spessore variabile che circonda a manicotto l’osso. E’ assente sulle
superfici rivestite da cartilagine e nelle aree di inserzione dei tendini/legamenti. Responsabile del callo
osseo. E’ costituito da:
• strato esterno: molto vascolarizzato, fasci di fibre collagene intrecciate a disposizione
prevalentemente longitudinale e ricco di fibre elastiche
• strato interno: ricco di cellule e osteoblasti (strato cambiale)

Il periostio svolge un ruolo essenziale nel processo di ossificazione e nella riparazione delle fratture
provvedendo alla formazione del callo periostale. E’ ricco di vasi e rami nervosi e rappresenta la
membrana nutritizia dell’osso a cui aderisce tramite fascio di fibre collagene (fibre di Sharpey).

ENDOSTIO
Ha una struttura simile al periostio, seppur più sottile e riveste la superficie interna delle cavità presenti
nell’osso compatto e spongioso. Ha un ruolo importante nell’osteogenesi.

MIDOLLO OSSEO
Nello scheletro infantile il midollo è a carattere emopoietico (midollo rosso). Nell’adulto questo appare
confinato alle ossa piatte (cranio, vertebre, sterno, bacino, coste) e alla meta-epifisi delle ossa lunghe,
mentre l’osso diafisiario è occupato da tessuto adiposo (midollo giallo). Nell’anziano può avvenire anche
una degenerazione in midollo fibroso.

INSERZIONE DEL MUSCOLO ALL’OSSO


Le fibre muscolari si ancorano al periostio.
L’endomisio (struttura fibrosa del muscolo) si continua con il periostio.

RISPOSTA DELL’OSSO ALLE SOLLECITAZIONI - LEGGE DI WOLFF


Le variazioni funzionali o morfologiche delle ossa determinano alterazioni della struttura della sostanza
ossea e dei cambiamenti della conformazione esterna delle ossa. La variazione dei carichi e delle
sollecitazioni statiche e dinamiche incide sullo scheletro e può modificare sia l’orientamento delle
trabecole e degli osteoni, sia la composizione della massa ossea (addensamento o rarefazione della
struttura lamellare).

Ad esempio in pazienti che non deambulano o immobilizzati per lungo tempo si osserva una riduzione
globale o distrettuale della massa ossea.
CARTILAGINE
Tessuto connettivo semi rigido. Composto da condrociti e condroblasti. Presenta un’attività metabolica
elevata nel feto e ridotta o assente nell’anziano. Le caratteristiche sono variabili a seconda delle
proporzioni tra le diverse componenti:
• cartilagine ialina: riveste i capi ossei delle articolazioni, permette il movimento, deputata
all’accrescimento del tessuto osseo, prevalenza di matrice extracellulare amorfa, piccoli aggregati di
condrociti avvolti dalla matrice, aspetto traslucido
• cartilagine fibrosa: caratteristiche intermedie tra cartilagine ialina e tessuto connettivo denso, strati di
cartilagine ialina alternati a spessi strati di fibre collagene, partecipa alla costituzione di alcune
articolazioni come menischi, cercine glenoideo e acetabolare, dischi intervertebrali e sinfisi pubica
• cartilagine elastica: caratteristiche intermedie tra cartilagine ialina e tessuto connettivo elastico,
minore presenza di matrice fondamentale, più condrociti e fibre di ealstina, si trova ad esempio
nell’orecchio esterno, epiglottide e laringe
• cartilagine articolare: tipo particolare di cartilagine ialina, ha uno spessore di circa 0,5-6mm andando
a rivestire quasi interamente le superfici articolari, è liscia e di colorito azzurrognolo, ha il compito di
resistere al carico e assorbire i traumi (molto sviluppata a livello della rotula)

Organizzazione strutturale della cartilagine articolare:


• strato superficiale: condrociti appiattiti e fibre collagene ad andamento parallelo, avvolti da pellicola
condroprotettiva di materiale glicoproteico e acido jaluronico
• strato intermedio: cellule rotonde, circondate da lacune con fibre collagene ad andamento obliquo
• strato profondo: condrociti voluminosi a disposizione colonnare
• cartilagine calcificata: fibre di collagene verticali con sali di calcio e linguette cartilaginee che si
fissano all’osso subcondrale

La cartilagine non è vascolarizzata, per tanto il nutrimento proviene dall’osso subcondrale (sotto la
cartilagine) e dal liquido sinoviale. Non ha capacità riparativa.

Funzioni meccaniche principali:


• trasmettere e ammortizzare le sollecitazioni
• facilitare lo scorrimento delle superfici contrapposte

Il tessuto è un solido deformabile con proprietà viscoelastiche. E’ composto da:


• fase fluida (acqua ed elettroliti)
• fase solida (fibre collagene, proteoglicani e acido jaluronico)

LIQUIDO SINOVIALE
Composto da acido jaluronico, glicoproteine, formazioni lipidiche e acqua. Si trova all’interno di tutte le
articolazioni, film che facilita lo scorrimento, prodotto dalla membrana sinoviale (ricopre l’interno della
capsula articolare). Inoltre la membrana sinoviale ha il compito di difendere l’articolazione dall’esterno.
L’infiammazione della membrana sinoviale produce un eccesso di liquido sinoviale (reazione
dell’articolazione agli insulti) causando un rigonfiamento dell’articolazione (idrartro, si cura tramite
artrocentesi). Si parla di emartro quando nell’articolazione è presente sangue, causato da traumi
distorsivi.

CARTILAGINE DI ACCRESCIMENTO
Tra epifisi e metafisi, provvede alla crescita in lunghezza della struttura ossea. La cartilagine cresce e si
trasforma in tessuto osseo.

LESIONI CARTILAGINEE
• Grado I: rammollimento e rigonfiamento, superficie articolare tumefatta, morbida, ricoperta di
vescicole, il carico si trasmette più insistentemente sulla struttura ossea
• Grado II: frammentazione e fissurazione < 1cm, la superficie articolare presenta solchi e fissurazioni di
diametro inferiore al centimetro
• Grado III: frammentazione e fissurazione > 1cm, le fissurazioni hanno un diametro superiore al cm
• Grado IV: erosione fino all’osso subcondrale, erosione articolare a tutto spessore con interessamento
dell’osso subcondrale
TENDINE
Struttara connettivale, parte finale del muscolo che si attacca all’osso, flessibile ed elastico, rappresenta
la forma più compatta di tessuto connettivo.

MUSCOLO SCHELETRICO
Costituito da un ventre muscolare e due estremità per l’inserzione sui segmenti scheletrici. Si può
inserire direttamente sulla superficie ossea o attraverso un tendine.

CAPSULA ARTICOLARE
Membrana fibrosa rivestita all’interno della membrana sinoviale. Tessuto connettivo riccamente
innervato, ma scarsamente vascolarizzato. Ha la funzione di contenere e isolare l’articolazione.

LEGAMENTI
Robusta struttura fibrosa ad alta resistenza e bassa elasticità, rinforzo della capsula. Struttura simile ai
tendini con fibre collagene di tipo I ma disposte meno ordinatamente. Stabilizzano le articolazioni ai
massimi gradi di mobilità.

GAURIGIONE DELLE FRATTURE


La via “naturale” di guarigione delle fratture, in assenza di una fissazione rigida / stabilità assoluta, è
attraverso la formazione di un callo osseo. Il callo osseo è la risposta al movimento in sede di frattura e
serve a stabilizzare i frammenti il prima possibile.

CALLO OSSEO
Tessuto che provvede alla riparazione ed alla consolidazione delle fratture. Di tipo:
• naturale
• disturbato per interventi terapeutici di vario tipo
• distrazionale (indotto meccanicamente)
• patologico

CALLO OSSEO NATURALE


Il modello di guarigione di un osso lungo si sviluppa attraverso quattro fasi:
1. fase dell’ematoma e del callo fibroso: la rottura dei vasi del periostio e del muscolo adiacente
produce un sanguinamento
2. fase del callo provvisorio: migrazione di cellule infiammatorie al sito di frattura, inizia la
proliferazione e la differenziazione delle cellule mesenchimali in osteoblasti e osteoclasti
3. fase del callo osseo definitivo: progressiva sostituzione del callo provvisorio con uno definitivo
4. fase del rimodellamento del callo osseo: progressiva restituzione della originaria morfologia, si
riforma la cavità midollare

CALLO OSSEO DISTURBATO


Stabilizzazione della frattura tramite placche e viti, disturbazione del periostio facilitando la formazione
del callo osseo interno dell’endostio. Svuotamento chirurgico ell’ematoma.

CALLO OSSEO PATOLOGICO


• Esuberante: quando si forma in maniera eccessiva, con aspetti neoplastiformi, con abnorme
proliferazione periostale e metaplasia dei tessuti molli circostanti (alcolisti cronici, traumi cranici
commotivi)
• Doloroso: quando ingloba delle radici sensitive
• Vizioso: quando salda due frammenti in posizione anomala

• Ritardo di consolidazione: tempo di consolidazione decisamente più lungo tenendo conto di età, tipo e
sede della frattura
• Pseudoartrosi: frattura definitivamente non guarita, tra i due monconi rimane interposto un tessuto
fibrocartilagineo o connettivo

CAUSE DI PSEUDOARTROSI
Biologiche, biomeccaniche, correlate al paziente
• distrazione e separazione dei frammenti (a volte per interposizione dei tessuti molli)
• abnorme motilità dei frammenti
• grave danno ai tessuti molli adiacenti / eccessivo scollamento del periostio
• necrosi ischemica dei frammenti ossei, grave danno alle afferente vascolari
• infezione
• cause generali (cachessia, grave deperimento organico, osteoporosi, disturbi neurologici, malattie
genetiche)

GUARIGIONE PER UNIONE DIRETTA (PRIMARIA)


• Sito di frattura completamente immobile
• ≠ callo osseo che è la risposta al movimento al sito di frattura
• Formazione di tessuto osteoblastico direttamente proveniente dai due frammenti
• Tempi lunghi di guarigione, la stabilità dell’osso può dipendere per molti mesi dall’impianto metallico
che scarica lo stress a livello della frattura (l’osso può diventare osteoporotico e non recuperare
completamente finchè l’impianto non viene rimosso)
• RX: scomparsa rima di frattura

ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA
LESIONI MUSCOLO - SCHELETRICHE
Le principali lesioni dell’apparato locomotore sono:
• fratture (interruzione di un segmento osseo, parziale o totale)
• lussazioni (perdita permanente dei rapporti articolari con impossiblità di tornare alla sede naturale)
• sublussazioni (perdita temporanea dei rapporti articolari)
• distorsioni (danno articolare che prevede una lesione delle strutture legamentose con possibile
sequela successiva ex. instabilità)
• amputazioni
• traumi della colonna vertebrale
• strappi muscolari (rottura di uno o più fasci di fibre muscolari)
• crampi (contrazione improvvisa di un muscolo accompagnata da dolore)

ORDINE DI PRIORITÀ
1. Lussazioni (prima si interviene e più facile è ridurla, altrimenti si interpone il tessuto molle)
2. Fratture esposte
3. Fratture chiuse
4. Distorsioni

DISTORSIONE
Le distorsioni sono l’insieme delle lesioni capsulo-legamentose determinate da un movimento fisiologico
forzato oppure da un’escursione articolare abnorme, che si traduce nella perdita parziale e temporanea
dei rapporti di superfici articolari contigue.

Sedi più colpite:


• tibio-peroneo-astragalica
• ginocchio
• radiocarpica
• gomito
• spalla
• metacarpo-falangee
• interfalangee

ANATOMIA PATOLOGICA
• Distorsioni lievi: rappresentate da semplice distensione dei legamenti o della capsula, da lacerazioni
parcellari di alcuni fasci fibrosi ecc.
• Distorsioni gravi: sono comprese le rotture a tutto spessore di uno o più legamenti, le loro disinserzioni
con eventuale strappamento della corticale ossea sulla quale si inseriscono, lesioni capsulari ecc.

SINTOMATOLOGIA
• Dolore nei punti di inserzione o sul decorso dei legamenti interessati, suscitato dalla digitopressione o
dalle sollecitazioni
• Tumefazione dell’articolazione, per emartro o per infiltrazione nei tessuti molli periarticolari
• Eventuali segni di lassità articolare, in dipendenza alla lacerazione completa di uno o più legamenti

COMPLICAZIONI
• Distorsioni lievi: benigna
• Distorsioni gravi: lassità articolare, traumi distorsivi recidivanti, alterazioni artrosiche

TERAPIA
• Riposo
• Ghiaccio
• FANS
• Immobilizzazione
• FKT

LUSSAZIONE
La lussazione è la perdita dei normali rapporti anatomici tra i capi articolari. Associati a questi eventi c’è
sempre una lesione capsulare e legamentosa. E’ fondamentale l’esame obiettivo nel momento dell’evento
lassativo per verificare che non ci siano ulteriori danni (che l’arto sia ben irrorato).

SINTOMATOLOGIA
• deformità dell’articolazione
• dolore
• edema
• parestesie
• impossibilità nel compiere il movimento articolare

TERAPIA
• Ghiaccio
• Immobilizzazione dell’articolazione in posizione antalgica

RIDUZIONE
Se possibile riduzione urgente (entro le 3-6 ore) e cercare di riportare in sede il capo articolare facendogli
fare un percorso inverso da quello che ha portato alla lussazione. Dopo la riduzione è necessario poi
bloccare l’articolazione in modo che le strutture lesionate possano guarire al meglio.

POSSIBILI SEQUELE
In certi casi però non avviene una completa guarigione, ex. alla spalla una delle possibili sequele che
possono verificarsi è una lussazione abituale (possibilità che la spalla possa riuscire). Se il soggetto sta
svolgendo un’attività per cui i muscoli sono in tensione è più protetto da questi episodi.

CONTUSIONE
Lesione traumatica prodotta dalla violenta compressione di un agente esterno sulla superficie del corpo,
oppure dall’urto del corpo spinto contro un ostacolo.

TRAUMA A BASSA ENERGIA


Lesione del sottocute con le sue terminazioni vascolari e nervose. Si forma una ecchimosi (travaso
ematico modesto con infiltrazione del tessuto sottocutaneo).

TRAUMA AD ALTA ENERGIA


Lesione del sottocute + masse muscolari, vasi ematici, tronchi nervosi. Si forma un ematoma (travaso
emorragico con tendenza ad infiltrate i tessuti e raccogliersi in cavità accidentali.
SINTOMATOLOGIA
La cute si presenta iperemica ed arrossata, raramente ischemica. L’ecchimosi si evidenzia rapidamente
(in poche ore) nelle contusioni lievi con rottura dei vasi superficiali, più tardivamente (3-4 giorni) se
l’insulto interessa i tessuti più profondi.
Il dolore è immediato, di variabile intensità in rapporto alla sede ed all’intensità del trauma. Sollievo
dopo qualche ora.
Il rialzo termico, non sempre presente, è a carattere immediato o tardivo. Il primo dovuto a reazione
nervosa riflessa, il secondo dovuto a reazione contro i prodotti riassorbiti dallo stravaso ematico.

TERAPIA
• Forme lievi: borsa del ghiaccio, FANS
• Forme gravi: drenaggio della raccolta ematica, bendaggio compressivo, riposo, arto in scarico

COMPLICANZE
Nei traumi ad alta energia è possibile che si vada incontro a complicanze:
• miosite ossificante post traumatica: ossificazione intramuscolare che si verifica dopo un trauma,
dovuta a metaplasia del tessuto connettivale proveniente dall’organizzazione dell’ematoma
• ernia muscolare: fuoriuscita del muscolo dalla lesione ella fascia
• rigidità: escursione articolare ridotta, dovuta al non uso dell’articolazione rimasta immobilizzata per la
sintomatologia dolorosa o per fenomeni aderenziali tra i piani di scorrimento interfasciali

FRATTURA
Interruzione della continuità di un segmento scheletrico di origine:
• traumatica (intensità della sollecitazione esterna > resistenza osso)
• patologica (è diminuita la resistenza dell’osso, ex. da metastasi, non c’è scomposizione importante
dei frammenti)
• chirurgica (interruzione provocata a scopo terapeutico)

Si sospetta una frattura quando l’infortunato:


• prova un dolore violento ben localizzato (accresciuto dal contatto o da ogni movimento)
• è incapace di muovere la parte lesa
• non carica il peso del corpo sulla parte lesa
• presenta tumefazioni e poi ecchimosi sulla parte

Si tratta sicuramente di una frattura quando:


• è esposta e si vedono i monconi (comunicazione con l’esterno ad alto rischio di infezione in quanto
l’osso è un elemento completamente sterile, osteomielite, l’infezione è difficilissima da debellare)
• notiamo una deformazione o un accorciamento dell’arto (o una posizione innaturale)
• possiamo sentire un crepitio provocato dallo sfregamento dei monconi dell’osso quando l’infortunato
si muove

DIAGNOSI
• Anamnesi
• Sintomatologia
• Esame RX

PATOGENESI
• Fratture per trauma diretto: interruzione dal punto di applicazione dell’agente traumatizzante
fratture trasversali, comminute + lesione parti molli
• Fratture per trauma indiretto: interruzione a distanza dal punto di applicazione della forza
fratture spiroidi, da torsione

ANATOMIA PATOLOGICA
Sede delle fratture nelle ossa lunghe:
• fratture diafisarie
• fratture metafisarie
• fratture epifisarie
Le fratture si dividono in:
• fratture complete (interruzione del diametro dell’osso)
• fratture incomplete (interruzione parziale del diametro dell’osso, ex. a legno verde)
• fratture composte (senza spostamento dei monconi)
• fratture scomposte (con spostamento dei monconi)
• fratture chiuse
• fratture esposte (con soluzione di continuità della cute)

DEFORMAZIONE DELLE FRATTURE


Legata all’inserzione delle strutture muscolari (vanno in trazione sul moncone al quel sono collegate
determinando una trazione e spostando le strutture interessate).

FRATTURE PEDIATRICHE
Le fratture che interessano cartilagine di accrescimento sono le più delicate. Se il trauma interrompe la
cartilagine di accrescimento il callo osseo che si forma può determinare un arresto della crescita del
segmento interessato e portare a deformità (di lunghezza o deviazione angolare).

TERAPIA DELLE FRATTURE


E’ costituita da due fasi fondamentali:
1. Riduzione (correzione della scomposizione dei frammenti ossei)
2. Contenzione (finalizzata ad evitare movimenti reciproci dei frammenti ossei durante la
consolidazione)

E’ divisa in:
• cruenta (chirurgica)
• incruenta (conservativa, la riduzione si effetti esercitando sul frammento distale una trazione che
tende ad allineare i frammenti, mentre sul frammento prossimale agisce una forza di intensità uguale
ma in senso opposto)

CONTENZIONE CON APPOGGIO GESSATO


Caratteristiche generali:
• immobilizzazione delle articolazioni a monte e a valle del focolaio di frattura
• modellamento in corrispondenza delle salienze ossee
• adeguata solidità

Una volta immobilizzata la struttura in un segmento ingessato rigido per evitare che dopo il trauma si
formino rigonfiamenti è opportuno mantenere l’arto il più alto possibile in modo da far defluire il sangue
lontano dalla zona di frattura.

Una delle più gravi complicanze è la sindrome di Volkmann, retrazione ischemica dei flessori dovuta
alla compressione da apparecchio gessato. L’ischemia determina la necrosi del tessuto muscolare. E’
una condizione irreversibile, danno permanente.

Complicanze precoci possono riguardare:


• esposizione cutanea
• lesione vascolare
• lesione nervosa
• embolia grassosa
• infezione
• gangrena gassosa (infezione da germi anaerobi)

Complicanze tardive:
• callo vizioso (consolidamento vizioso)
• pseudoartrosi (legata ad una mancata stabilità della frattura)
• algodistrofia
• necrosi vascolare (la frattura interrompe i vasi della zona interessata)
• artrosi precoce (la cartilagine viene interrotta dall’evento traumatico causando un’artrosi)
METODI DI OSTEOSINTESI
• Dinamica: generatori endomidollari di forza, applicazione di placche semirigide, montaggi di
fissazione esterna. Il processo riparativo avviene attraverso la callificazione periostale a manicotto
apposizionale
• Rigida: viti e placche a compressione, chiodi bloccati, fissatori esterni in compressione. La giunzione
ottenuta è di tipo endosseo, per ossificazione direttiva haversiana

OSTEOARTROSI
L’artrosi nasce per un problema della cartilagine articolare, è una patologia cronica e degenerativa.
Malattia a livello articolare che determina delle lesione degenerative e produttive a carico della
cartilagine delle articolazioni diartrodiali.

ARTROSI
Articolazioni mobili e fornite di cartilagine, membrana sinoviale e liquido sinoviale, tutte strutture che,
assieme all’osso subcondrale, possono essere coinvolte dell’artrosi in un momento qualsiasi della
malattia, contribuendo al suo sviluppo ed alla sua evoluzione.

CLASSIFICAZIONE
Primaria:
• artrosi localizzata (colpisce più frequentemente le articolazioni della mano)
• artrosi generalizzata
• artrosi erosiva

Secondaria (più frequente):


• a traumatismi
• ad anomalie di sviluppo
• a turbe biomeccaniche
• ad alterazioni della struttura ossea
• a malattie metaboliche ed endocrine (congenite, acquisiste)
• a malattie ereditarie del connettivo
• a malattie ematologiche
• ad artriti
• artrosi endemiche

EPIDEMIOLOGIA
• La più comune patologia articolare
• Principale causa di invalidità e di dolore nei pazienti > 60 anni

PRINCIPALI LOCALIZZAZIONI DELL’ARTROSI SINTOMATICA


• Mani
• Ginocchio (più frequente nell’artrosi asintomatica)
• Anca

EZIOPATOGENESI
• Non completamente nota
• Sicuramente multifattoriale
• Fattori genetici
• Fattori costituzionali
• Fattori ambientali
PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO PER L’ARTROSI
• Età
• Fattori meccanici (fattore di rischio modificabile)
• Sesso (più le femmine)
• Razza
• Ereditarietà
• Obesità (fattore di rischio modificabile)
• Malattie metaboliche
• Infiammazione (fattore di rischio modificabile)

CARTILAGINE
Cartilagine ialina, permette il corretto scivolamento dei capi articolari e distribuisce il carico in modo tale
da non creare alterazioni alle strutture (funzione biomeccanica). La sua caratteristica fondamentale è la
sua durabilità. Nella maggioranza delle persone a cartilagine consente il corretto funzionamento delle
articolazioni per 80 anni o più. Nessun materiale sintetico raggiunge simili prestazioni.
Composta principalmete da condrociti, collanine di tipo II e acqua.

CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI ALLA CARTILAGINE


1. Rammollimento
2. Fibrillazione
3. Fissurazione (le lesioni cartilaginee fanno perdere la levigatezza della superficie che diventa fissurata
fino in profondità, si possono notare dei lembi di cartilagine che si distaccano)
4. Ulcerazione

SCOMPAGINAMENTO DELLA MATRICE NELLA CARTILAGINE ARTROSICA


C’è uno scompaginamento della matrice con depolimerizzazione e frammentazione delle fibre
collagene. Perde la sua capacità di resistere al carico.

LESIONE COMPLETA DELLA CARTILAGINE


Distacco di pezzetti di cartilagine superficiale (detriti). Liberazione all’interno dell’ambiente articolare di
frammenti di cartilagine che vengono riconosciuti come tossici alimentando l’infiammazione. I detriti
cartilaginei irrompono nel liquido sinoviale e sulla membrana sinoviale provocando infiammazione
(sinovite). L’infiammazione a sua volta aumenta il danno della cartilagine.

FATTORI DI RISCHIO
Il rapporto della cartilagine sul carico deve essere perfettamente in equilibrio. Questo permette la
sopravvivenza della cartilagine. Tutte le condizioni che determinano un’alterazione dell’equilibrio
determineranno un danno alla cartilagine.

FATTORI BIOMECCANICI LOCALI


• Obesità
• Sollecitazioni meccaniche
• Malformazioni
• Traumi

FATTORI DI RISCHIO INERENTI ALLA STRUTTURA CARTILAGINEA


• Età
• Genetica
• Malattie metaboliche
• Infiammazione

DANNI DELL’ARTROSI
• Perdita di osso superficiale e laterale (morfologia alterata, testa non sferica)
• Perdita di cartilagine
• Osso subcondrale sclerotico (durissimo) con geode (cavità create da un’iperpressione che si crea
nell’ambiente articolare)
• Osteofita mediale (fenomeno riparativo, la natura cerca di migliorare l’appoggio con nuove strutture)
DIAGNOSI
La diagnosi di artrosi viene solitamente basata sugli aspetti clinici e radiografici.
La gravità della malattia è valutata sulla base della scala di Kellgren e Lawrence:

ASPETTI CLINICI
La cartilagine articolare è priva di terminazioni nervose, il dolore tipico dell’artrosi deriva dalle altre
strutture anatomiche coinvolte. Il dolore articolare è il sintomo che induce il paziente a rivolgersi al
medico, nella maggioranza dei casi. Spesso è presente da tempo (mesi/anni) con caratteristiche di lenta
progressione. In genere, viene descritto come un dolore di tipo gravativo, acutizzato dal carico e dal
movimento dell’articolazione.

SINTOMI
• Dolore articolare (aumenta con l’attività, diminuisce col riposo)
• Rigidità mattutina
• Impotenza funzionale
• Dolorabilità alla palpazione
• Dolore alla mobilizzazione

SEGNI
• Deformità dei capi articolari
• Limitazione alla mobilizzazione
• Rumore di scroscio (crepitio) alla mobilizzazione
• Versamento endo-articolare
• Disallineamento articolare

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI


• Radiologia tradizionale
• Ecografia anteriore e posteriore
• TC (per studio dei capi ossei e menischi)
• RM (per studio di cartilagine, legamenti, borse, osso come struttura, membrana sinoviale)

TERAPIA
• Non farmacologica (
• Farmacologica (molto usata la Tachipirina)
• Chirurgica

OBIETTIVI DELLA TERAPIA


• Educare il paziente sulla malattia
• Alleviare il dolore
• Migliorare la funzione articolare
• Prevenire e ritardare la progressione della malattia

TRATTAMENTO FARMACOLOGICO SINTOMATICO


Controllo dei sintomi (dolore e limitazione funzionale) con farmaci sintomatici aspecifici:
• analgesici puri
• antiinfiammatori non steroidei (FANS)

TERAPIA INFILTRATIVA
Un’articolazione danneggiata può essere curata inserendo il farmaco direttamente in zona (maggior
effetto curativo e minima esposizione ad effetti indesiderati). Usati ex. cortisonici, ialuronici e staminali.
E’ stato dimostrato che l’utilizzo dell’acido ialuronico stimoli la produzione dello stesso all’interno
dell’articolazione. Inoltre diminuisce le forze di attrito, regola il contenuto acquoso e ripristina le
funzionalità dei liquidi sinoviali.

PROTESI
Soluzione finale del processo. Cambia completamente l’articolazione. Hanno una durabilità di circa 20
anni, si usurano molto più rapidamente della cartilagine. Con la protesi si cerca di ripristinare i corretti
assi articolari.

PULIZIA ARTROSCOPICA
Asportazione dei detriti diminuendo l’infiammazione, ma non è una condizione irreversibile.
Non è un intervento raccomandabile.

LOMBALGIA E PATOLOGIE CORRELATE


Riguarda la colonna vertebrale lombare. Il movimento a carico del rachide è espletato da due distretti:
cervicale e lombare (il rachide dorsale non si muove in quanto collegato alle coste).
La vertebra è costituita da un corpo vertebrale collegato alla porzione posteriore dove si trovano i
processi traversi, il processo spinoso e il canale vertebrale. L’insieme delle vertebre lombari costituisce
la colonna lombare, consente movimenti di flesso estensione rotazione. I corpi vertebrali sono collegati
tra di loro ai dischi vertebrali (dischi cartilaginei, funzione di ammortizzatore che interviene nei carichi
assiali). I dischi sono composti da una parte esterna (anello fibroso) e una interna (nucleo polposo).

DEFINIZIONE DI LOMBALGIA
Dolore localizzato al rachide lombare, nella zona compresa tra il margine inferiore delle ultime coste e la
regione glutea.

Si parla di lombalgia quando il dolore è esclusivamente a carico del segmento lombare, può essere
associato ad una distribuzione del dolore a livello periferico. Se il dolore è posteriore si parla di
sciatalgia, se è anteriore cruralgia.

Nella maggioranza dei casi (80%) non è possibile fare una diagnosi eziopatogenetica (non si conosce
esattamente la causa). Si parla pertanto di lombalgia comune (quadro di mal di schiena). La stessa
tecnica di RM non ha portato contributi innovativi (evidenzia di ernie discali asintomatiche nel 20% delle
persone ma che non causano la lombalgia).

EPIDEMIOLOGIA
La prevalenza delle lombalgie nella popolazione totale va dal 12 al 35%. L’incidenza è pari al 70% circa.
Non correlative alla relazione altezza-peso.

PRINCIPALI CARATTERISTICHE
Si autolimita e tende a risolversi
spontaneamente nel tempo.
SITI TISSUTALI DI PRODUZIONE DEL DOLORE
• Periostio
• Corpo vertebrale
• Legamento longitudinale anteriore e posteriore
• Sinovia delle articolazioni
• Tessuto capsulare
• Muscoli
• Radice nervosa
• Dura madre

STRUTTURE NON DOLENTI


• Legamento giallo
• Disco intervertebrale (però il disco che fuoriesce scatena una risposta infiammatoria)

MECCANISMI A BASE DELLA LOMBALGIA ACUTA


Spesso mantenuta da una distensione acuta a livello fibroso, legata alla protusione del disco
intervertebrale.

SINDROMI DOLOROSE DI NATURA FLOGISTICA


• Spondiloartrite siero negativa
• Spondiloartrite tubercolare
• Discite e/o spondilodiscite
• Polimialgia reumatica

CARATTERISTICHE DELLE RACHIALGIE DI TIPO INFIAMMATORIO


• Esordio insidioso
• Peristenza di almeno 3 mesi
• Accentuazione della rigidità del rachide al risveglio o dopo un riposo prolungato
• Dolore notturno
• Miglioramento con l’esercizio fisico

PROTUSIONE DISCALE
Quando il materiale discale vorrebbe uscire ma è ancora contenuto dall’anello fibroso, pertanto non può
creare disturbi alle radici nervose ma l’ammortizzazione perde di efficienza.

ERNIA DISCALE
Dolore permanente in quanto il disco fuoriesce causando un disturbo.

EZIOPATOGENESI
Dolore lombare e radicolare:
• causa meccanica (alterato rapporto contenente-contenuto)
• causa chimica (antigenicità del materiale discale che scatena una reazione autoimmunitaria e
infiammatoria, neoangiogenesi, neovasi, nelle adiacenze del materiale discale estruso)
• causa vascolare (aumento dello spazio epidurale per aumento di calibro dei plessi epidurali)

In rapporto al danno prodotto dall’ernia discale sulle singole radici si hanno diversi quadri clinici:
• fase di irritazione (dolore irradiato ma senza alterazioni neurologiche apprezzabili)
• fase di compressione (dolore, parestesie e/o ipoestesie, ipotrofia e tipo/areflessia)
• fase di interruzione (attenuazione o scomparsa del dolore ma alterazioni neurologiche permanenti)

STENOSI VERTEBRALE
Quando l’artrosi riduce il canale vertebrale, interessa più radici, difficoltà del soggetto a camminare.
La difficoltà nella deambulazione (astenia) va differenziata da un problema di tipo vascolare.
Per differenziarle si usa un cicloergometro, se si avrà lo stesso disturbo l’origine è probabilmente di tipo
vascolare. Il paziente con la stenosi troverà beneficio nel camminare in salita. Il dolore migliora in
posizione seduta. Si applica un trattamento conservativo (ginnastica posturale, busto). Se il dolore
persiste si dovrà ricorrere all’intervento (il canale viene aperto, le lamine vengono rimosse per far trovare
sfogo alle strutture nervose).

SPONDILOLISI
E’ il presupposto per lo scivolamento (olistesi) di una vertebra su quella sottostante. La forza dello
spostamento legata al carico fa si che il corpo vertebrale può avanzare rispetto alla vertebra sottostante
e provocare instabilità, dolore (lombalgia) e stiramento delle radici nervose provocando disturbi
periferici. In caso di sintomatologia grave può essere necessario una stabilizzazione vertebrale in modo
da bloccare un ulteriore scivolamento vertebrale. Un grado ancora più grave è la spondiloctosi (di
origine congenita) in cui la vertebra scavalca per intero quella sottostante.

OBIETTIVITA’: ISPEZIONE
E’ fondamentale valutare la sede del dolore (localizzato tra le ultime coste e i glutei) e l’atteggiamento
del soggetto (postura). E’ inoltre importante valutare la motilità del rachide. In una lombalgia si
riscontrerà una rigidità in flesso estensione.

PALPAZIONE
Segno di Valleix: consiste nel dolore che si risveglia alla pressione su alcuni punti elettivi.

MANOVRE DIAGNOSTICHE DI SCATENAMENTO DEL DOLORE LOMBO SACRALE


Utili per comprendere la situazione:
• Lasegue: elevazione dell’arto inferiore esteso verso l’alto, se positivo a 30° indica un’importante
irritazione dello sciatico e un appiattimento della curva a livello lombare
• Slump test: il paziente esegue la flessione cervicale e successiva estensione del ginocchio, il test è
positivo se riproduce dolore lombare o disturbi radicolari
• Segno di Wasserman: si va ad irritare il nervo femorale o crurale estendendo l'anca in posizione
prona del paziente

ESAME NEUROLOGICO
Fondamentale nelle forme di irritazione periferica. Sarà importante valutare:
• forza muscolare (stimolando l'ileopsoas, interessamento delle radici L2, L3, L4)
• sensibilità (vengono vautati i territori di innervazione)
• riflessi profondi (importanti i rifelssi osteotendinei, possono essere nromali, poco evocabili o assenti)

PREVENZIONE
Mancano evidenze scientifiche per sostenere l'uso dei supporti lombari come misura di prevenzione
primaria. Alla rimozione del busto si riscontrerebbe un deficit del sostegno muscolare.

TRATTAMENTO DELLA LBP IN FASE ACUTA


1. Controllare se sono presenti determinati segni (situazioni che possono essere pericolose per il
paziente): sindrome della cauda equina, pregressi eventi traumatici, febbre, rapida perdita di peso,
pregresse neoplasie, patologia autoimmunitaria, uso prolungato di terapia cortisonica
2. Ridurre la paura del paziente
3. Dare dei consigli per il controllo del dolore (ex. manipolazioni o farmaci)
4. Continuare le attività abituali (nel limite del possibile)

La precoce ripresa della mobilizzazione rispetto all'immobilizzazione determina un miglioramento


sopratutto a livello muscolare e osse-cartilagineo.
Vi sono invece risultati in studi controllati per:
• riposo a letto più breve possibile
• l’uso di farmaci come i FANS e il Paracetamolo per la riduzione del dolore
• le informazioni date in back school (preferibilmente date supposto di lavoro)
• l’attivazione precoce dei pazienti
• la manipolazione (nel primo mese dà risultati migliori del 20% rispetto ai farmaci)

In particolare risultati negativi per:


• esercizi di rafforzamento muscolare
• terapie fisiche
• il riposo a letto prolungato per più di 7 giorni
• le manipolazioni fatte dopo 6 settimane dall’esordio dei dolori

RIPOSO A LETTO
Il riposo a letto per 2-7 giorni non è efficace e non è raccomandato come terapia, se protratto può
portare a debilitazione e rendere più difficile la riabilitazione. Per qualche giorno può essere inevitabile
per pazienti con dolore molto intenso. In ogni caso non va considerato come una terapia, ma come una
conseguenza non desiderata e potenzialmente dannosa.

TRATTAMENTO DOPO UN EPISODIO DI LOMBALGIA


Obiettivi:
• trattamento attivo basato quindi il più possibile su un lavoro applicato sul paziente e quindi sulla
chinesiterapia
• continuità delle attività professionali e lavorative
• correzione posturale il più precoce possibile
• eliminazione del dolore
• recupero delle funzionalità
• adottare e mantenere posture corrette
• non appena possibile esercizi di tipo antalgico

LOMBALGIA CRONICA
Di durata di 3-6 mesi. Non esiste uno studio che indichi come procedere con esattezza. ll miglior modo
è concentrarsi maggiormente sulla prevenzione della cronicità facendo fare ai paziente una vita molto
attiva. Vi è forte evidenza della superiorità dell'esercizio rispetto ad altri trattamenti.

MANIPOLAZIONI
Se ne raccomanda l'esecuzione da parte di personale medico qualificato.
Se ne raccomanda la sospensione se dopo 4 trattamenti non si osservano benefici.
E' controindicato in caso di sospetta lesione radicolare o ernia del disco.

CHIRURGIA ELETTIVA
Passare alla chirurgia quando c’è:
• marcata limiazione nelle attività quotidiane del paziente
• completa congruità tra sintomatologia clinica, obiettività neurologica ed imaging neurodialogico
• ineffiacia del trattamento conservativo con persistenza dei disturbi per 2/3 settimane dall'esrodio
della sintomatologia

RIABILITAZIONE E RITORNO AL LAVORO


L’esecuzione di specifici esercizi per la schiena, compreso il metodo McKenzie.
Superata la fase più acuta è raccomandata la pratica di un’attività fisica motoria a basso impatto
(nuoto, cammino…). L’efficacia della Back School in caso di lombalgia cronica aumenta se realizzata in
specifici ambienti di lavoro.

CONCLUSIONI
• Enfatizzare il ruolo della prevenzione primaria
• Rassicurare
• Comunicare l’alta probabilità di prognosi favorevole legata alla natura benigna
• Fornire un’aspettativa positiva per il ritorno al lavoro
• Favorire l’attivazione precoce del paziente e la ripresa delle attività abituali

LE DEFORMITA’ VERTEBRALI DELL’ADOLESCENZA - LA SCOLIOSI


Per scoliosi si intende una deviazione patologica del rachide sul piano frontale. Si tratta di un
dismorfismo (alterazione di tipo posturale fissa e rigida legata ad una condizione di tipo patologico.

ASIMMETRIA ARTI INFERIORI


Quando un arto è più corto dell'altro. Il bacino si inclina dal alto più corto, la colonna va in compenso per
cercare di mantenere il baricentro e l'equilibrio. Se correggendo la differenza di lunghezza la colonna
riprende il suo corretto atteggiamento indica un paramorfismo, (alterazione posturale legata a condizioni
modificabili).

SCOLIOSI STRUTTURATA
Strutturata in quanto è legata ad una discontinuità di tipo osseo permanente (la vera e propria scoliosi).
Definita come WARP (Wedging Agulation Rotation Position). Legata alla deformità a cuneo del corpo
vertebrale. I due corpi vertebrali non sono perfettamente paralleli l'uno sull'altro ma c'è un'angolazione.
Il corpo vertebrale è anche ruotato (nel soggetto normale i peduncoli sono simmetrici). Può esserci una
sublussazione tra un corpo vertebrale e l'altro. E' un difetto irreversibile.

VARIE FORME DI SCOLIOSI


• Scoliosi idiopatiche
• Scoliosi congenite
• Scoliosi neuromiopatiche
• Scoliosi neurofibromatosiche

SCOLIOSI IDIOPATICHE
La più frequente forma di scoliosi. Non si riconosce una causa eziologica ben precisa. Di solito si
manifesta cin una doppia curva toraco-lombare sinistro convessa. E' presente un'asimmetria dei tringoli
della taglia (area compresa ra braccio e fianco), alterazione dell'altezza delle spalle e nelle forme più
gravi una scoliosi di tipo facciale.

SCOLIOSI CONGENITE
Forma più grave, presente alla nascita. Avrà un'evolutività più grave rispetto alla forma idiopatica. Si
caratterizza da una curva molto più accentuata e grave.

EZIOPATOGENESI
Essendo legata all'accrescimento dell'individuo si manifesta soprattutto intorno alla fascia puberale e
tendenzialemente si assesterà con la fine dell'accrescimento. C'è una certa ereditarietà madre-figlia.
Non è ben definita la condizione determinate. Solo 1 curva strutturata su 10 tenderà ad evolvere
(evoluzione naturale).

EVOLUTIVITA'
Per comprendere l'evolutività della colonna ci si basa sulle potenzialità di accresicmento. Uno dei
sistemi è studiare la maturazione dei nulcei di accrescimento, è legato alla presenza di cartilagini di
accrescimento.
METODI DIAGNOSTICI
Un esempio è la valutazione del gibbo in flessione dorsale (gobba dovuta alla rotazione del corpo
vertebrale). L’esame radiografico deve comprendere la colonna vertebrale in toto, dev’essere
effettuata in stazione eretta.

VALORI DEL DEPISTAGE


Il controllo è fondamentale in quanto 1 scolaro su 2 presenta una forma di scogliosi.
Con questo sistema si era ridotta di molto l’incidenza della scogliosi, con il tempo lo screening però è
andato in disuso.

PREVENZIONE
Come da definizione è difficile prevenire un’alterazione di tipo strutturale, però si può rallentare la
progressione della malattia se non addirittura arrestarla. Non esiste un’attività motoria ideale o dannosa
per quanto riguarda la scogliosi. La cosa fondamentale è permettere al ragazzo di fare un’attività
sportiva desiderata.

Per determinare l’angolazione della curva scogliotica (avere una misura


riproducibile per poterla controllare nel tempo), si utilizza l’angolo di Cobb
(tangente alla vertebra inferiore alla fibre della curva e superiore alla curva e
posizione all’apice della curva). Alle due tangenti si ricava la perpendicolare,
all’incrocio della perpendicolare si ricava l’angolo e avere un indice di
progressione della patologia scogliotica.

Questo sistema permette di graduare le scogliosi in:


• comprese tra 10-20° (modeste, si devono mantenere controllate)
• comprese tra i 20-40° (consigliato il trattamento ortesico, è una condizione che può fermare
l’evoluzione ma riduce lo svolgimento delle normali attività a livello fisico e psicologico)

Il risultato è da porre in relazione all’età di inizio trattamento:


• età del paziente
• maturità ossea
• fase di accrescimento
• periodo di liberazione

TRATTAMENTO CHIRURGICO
• Correzione preoperatoria: il paziente viene messo in un lettino di trazione per cercare di ridurre il più
possibile la curva
• Correzione intraoperatoria: vengono applicate delle viti che vanno a bloccare la parte corretta della
colonna, una volta raddrizzata si crea una fusione (artrodesi) dei corpi vertebrali in quanto una volta
fusi la colonna rimane rigida e bloccata. La fusione ossea è una correzione definitiva. E’ un intervento
chirurgico molto importante

Le curve vengono sia corrette sul piano frontale che sul piano sagittale. Per i primi 4 mesi dopo
l’intervento chirurgico il sistema va prodotto con un bustino. Questo però determina una rigidità della
colonna. Il lavoro di flessione si scatena solo negli ultimi segmenti lombari lasciati liberi, questo
eccessivo sollecitamento di tali segmenti però può portare col tempo ad una forma artrosica.

EVOLUZIONE NELL’ETA’ ADULTA


Nell’adolescente la scogliosi non è dolorosa, mentre nell’adulto è presente in quanto alla scogliosi si
associa l’artrosi dei corpi vertebrali. Nella deformità della gabbia toracica si potrà avere uno sviluppo
alterato degli organi interni (potrà esserci associato un deficit a livello respiratorio).
L’aggravamento è sempre presente in tutti i soggetti con scogliosi non trattata, è di circa 0,4° all’anno.
C’è una corrispondenza tra la gravità iniziale e il peggioramento.
Nell’adulto la chirurgia è più complessa in quanto il segmento tende ad essere più rigido (la correzione
nell’adulto pertanto tende ad essere meno efficace rispetto all’adolescente). Si dovrà ricorrere
all’impianto di viti.

LA SPALLA DOLOROSA
La spalla (cingolo scapolo omerale) è una porzione del corpo umano che congiunge il torace con
un’appendice e l’arto superiore. e’ la parte del corpo con il più ampio range di movimento, cosa che
porta notevoli vantaggi ma anche alcuni svantaggi legati all’instabilità.

Ossa:
• scapola
• clavicola
• omero

Articolazioni:
• acromion-clavicolare
• sterno-clavicolare
• scapolo toracica
• sotto-deltoidea
• scapolo omerale

Muscoli:
• propri della spalla
• toracoappendicolare
• spinoappendicolari

STRUTTURE

SCAPOLA
Osso piatto, pari e simmetrico. E’ posto nella parte postero-superiore del torace, si estende dalla III alla
IV costa. La scapola è l’osso più importante della spalla e presenta cavità e sporgente che ne facilitano
l’orientamento anatomico.

CLAVICOLA
Osso piatto, pari e simmetrico. Le due estremità si articolano con lo sterno e con l’acromion. A forma di
S. Conferisce larghezza alle spalle. Ha un modestissimo arco di movimento. Struttura ossea importante
per l’inserimento delle strutture muscolari.

OMERO
Osso lungo, caratterizzato da due epifesi. L’epifisi prossimale è detta testa dell’omero, rivestita da
cartilagine ialina. Presenta due tuberosità principali (torchite e trochine). La testa omerale forma con la
diafisi un angolo di 130-150° e con essa ha un angolo di retroversione di 20-30° (stabilità intrinseca).

ARTICOLAZIONE STERNO-CLAVICOLARE
Diartrosi di tipo toroide “a sella” (superfici ossee che scivolano su cartilagine articolare che hanno forma
di una sella con doppia curvatura inversa) composta da una parte mediale della clavicola che si articola
con il margine sterno-costale.

ARTICOLAZIONE ACROMION-CLAVICOLARE
Diartrosi artrodia (faccette articolari piatte e poco stabili), si articola tra la faccetta articolare ovolare
dell’acromion e la faccetta articolare della clavicola.
ARTICOLAZIONE SCAPOLO-TORACICA
Falsa articolazione, non comporta delle superfici articolari cartilaginee ma è costituita da due piani di
scorrimento muscolari. Permette lo scivolamento della scapola sul torace.

ARTICOLAZIONE SCAPOLO OMERALE (GLENO OMERALE)


L’articolazione principale del cingolo e la più complessa per i movimenti permessi e stabilità. E’
un’enartrosi (articolazione molto mobile, costituita da una superficie articolare di forma sferica e una
cavità contente anch’essa di forma sferica). Le due superfici ossee che la compongono sono la testa
omerale e la cavità glenoidea. La superficie della glenoide è ricoperta di cartilagine ialina. Le dimensioni
della glenoide sono assai inferiori a quelle della testa omerale ed è per questo che può accogliere solo
un terzo. Viste le seguenti caratteristiche tecniche è palese come la stabilizzazione dell’articolazione
gleno omerale non possa prescindere dalle strutture capsulo-legamentose.

TENDINE CAPO LUNGO DEL BICIPITE


Gioca un ruolo fondamentale nella fisiologia e nella stabilizzazione della spalla. Azione protettiva e
stabilizzante sulla testa dell’omero.

DELTOIDE
Muscolo più potente del cingolo scapolare, costituito essenzialmente da tre fasci (anteriore, mediale e
posteriore). Importante abduttore.

CUFFIA DEI ROTATORI


Composta da:
• sottoscapolare
• sovra spinato
• sotto spinato
• piccolo rotondo

ALTRI MUSCOLI
• Grande rotondo
• Coraco brachiale
• Bicipite brachiale
• Brachiale

MUSCOLI TORACOAPPENDICOLARI
• Grande pettorale
• Piccolo pettorale
• Succlavio
• Dentato anteriore

MUSCOLI SPINOAPPENDICOLARI
• Trapezio
• Gran dorsale
• Romboide
• Elevatore della scapola

MOVIMENTI
• Flesso estensione sul piano sagittale
• Abduzione sul piano frontale combinata con movimenti di flesso estensione
• Rotazione esterna
• Rotazione interna
• Flesso-estensione orizzontale
• Circomduzione (somma di tutti i vari movimenti, non è schematizzabile)

ELEMENTI DI STABILITA’ ARTICOLARE


Nell’articolazione della spalla è data da:
• Fattori statici: superfici articolari, congruenza articolare, labbro glenoideo, complesso capsulo-
legamentoso, pressione intrarticolare negativa (facilita l’adesione tra i capi articolari), fattori idrodinamici
• Fattori dinamici: cuffia dei rotatori, CLB, stabilizzazione della scapola, propriocezione

CERCINE GLENOIDEO
Anello fibroso che ricopre il margine della cavità glenoidea e dà inserzione alla capsula ed ai relativi
legamenti gleno-omerali. Superiorimente si inseriscono le espansione del tendine del CLB (così il CLB
sovrasta la testa dell’omero). Ha una sezione triangolare.

LEGAMENTI INTRARTICOLARI
• Gleno omerale superiore
• Gleno omerale medio
• Gleno omerale inferiore

Nella porzione posteriore della capsula articolare non sono presenti elementi di rinforzo in quanto non
strettamente necessari a dare stabilità alla struttura articolare. I legamenti intrarticolari sono gli elementi
stabilizzatori fondamentali dell’articolazione gleno-omerale. Hanno un ruolo differente a seconda delle
varie posizione dell’arto superiore.

LEGAMENTI EXTRARTICOLARI
• Coraco clavicolari
• Coraco acromiale

CAPSULA
Molto esile (permette così un movimento ampio generando meno contrasti). In riposo funzionale presenta
una certa lassità. Rinforzata dal legamento coraco-omerale e dai legamenti G-O. Avvolta da un astuccio
tendineo (sottoscapolare, sovraspinoso, sottospinoso, piccolo rotondo).

CAPO LUNGO DEL BICIPITE


Presenta fattori dinamici. Si oppone alla traslazione superiore della testa dell’omero (deprime la testa
dell’omero verso il basso mantenendola in sede). Migliora la compressione articolare. Si oppone alla
traslazione anteriore a spalla abdotta ed extraruotata.

GRUPPI TENDINEI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI


Presenta fattori dinamici. Assieme compongono l’astuccio della testa dell’omero (protezione dinamica).
Il sovraspinoso è il vero depressore della testa dell’omero, è il primo che va incontro a sofferenza e
possibile rottura. Il sottospinoso ha un’zione depressiva minore ma una maggiore azione extrarotatoria. Il
piccolo rotondo è un extrarotatore completo. Il sottoscapolare è l’unico intrarotatore puro.

INTERVALLO DEI ROTATORI


Struttura anatomica tra il sovraspinoso e il sottoscapolare in cui passa il CLB.

ESAMI STRUMENTALI PER LA VALUTAZIONE DELLA SPALLA

RX STANDARD
esame poco costo ed efficace. Può evidenziare:
• depositi calcifici
• segno del sopracciglio
• spur
• modificazioni del trochite omerale
• riduzione dello spazio omero-acromion
• femoralizzazione della testa omerale
• acetabolarizzazione dell’arco coraco-acromiale
• distacchi ossei
• forma dell’acromion
• inclinazione dell’acromion
• spessore dell’acromion
ECOGRAFIA
Permette di valutare soprattuto le strutture tendinee, poco costoso, è legata alle capacità dell’operatore
(operatore dipendente). Indispensabile per il confronto con la controlaterale. E’ però difficile capire
l’entità del danno.

RM
Indagine principale in quanto conferisce un’immagine delle parti molli (strutture muscolari e tendinee):
• ipertrofia muscolare
• degenerazione tendinea
• lesioni tendinee parziali
• lesioni tendinee complete

PATOLOGIA DELLA SPALLA


Si suddivide in spalla dolorosa (legata a patologie della strutta tendinea) e spalla instabile (legata alla
difficoltà della struttura articolare di rimanere stabile, legata alla caratteristica dell’elevato movimento
dell’articolazione).

PERIATRITE CALCIFICA DELLA SPALLA


Situazione infiammatoria che circonda l’articolazione della spalla. Esprime una sofferenza dei tendini
della cuffia dei rotatori. La vascolarizzazione della cuffia è critica, non è abbondante pertanto può andare
in contro a crisi causando sofferenze di tipo cronico della struttura tendinea. Il tendine può quindi avere
dei depositi di sali di calcio causando l’artrite.

Nella tendinite si ha una perdita della resistenza della tensione della struttura tendinea, una perdita della
capacità di assorbimento dell’energia meccanica e del contenuto di collagene. Presenta tre gradi:
• grado I: stiramento delle fibre
• grado II: lacerazione delle fibre
• grado III: rottura completa

Il tendine va incontro a degenerazione, per rigenerare la struttura tendinea si avrà bisogno di un


trattamento fisioterapico e onde d’urto (onda acustica che ha la capacità di rigenerare la struttura
rivascolarizzandola). E’ solo al fallimento del trattamento fisioterapico che si procede al trattamento
chirurgico. I tempi di recupero sono lunghi (2-3 mesi) in quanto la struttura tendinea deve rigenerarsi.

CONFLITTO SUBACROMIO-CLAVEARE
Attrito continuo e ripetuto nel tempo tra la cuffia dei rotatori e l’arco coraco-acromiale durante i
movimenti di elevazione dell’arto superiore. L’acro coraco acromiale è una struttura rigida che costituite
il tetto al di sotto del quale scorrono i tendini della cuffia dei rotatori. Un’alterazione delle strutture
porterà quindi al conflitto e anche un deficit a livello neuromuscolare (mancata pressione della testa
dell’omero che si solleva creando il conflitto).

Caratterizzato da dolore sia diurno che soprattutto notturno. Localizzato al braccio. Dolore persistente e
continuo. Causa una limitazione del movimento. Lo scopo del trattamento è quello di decomprimere lo
spazio. Il trattamento chirurgico è legato al fallimento del trattamento fisioterapico.

LESIONE DELLA CUFFIA DEI ROTATORI


Lesione coinvolge uno o più tendini della cuffia. Nel paziente giovane spesso la rottura è dovuta ad un
evento traumatico. Nel paziente anziano la rottura è invece secondaria a conflitto o a tendinopatia
cronica.

Il danno tendenzialmente inizia all’inserzione del tendine a livello del trochide dalla parte articolare.
Successivamente si ha una rottura della struttura tendinea. La lesione diventa sempre più importante
finchè la testa dell’omero non va in conflitto con l’acromion coinvolgendo gli altri tendini.

La diagnosi può essere clinica (dolore e perdita di forza) o per mezzo di esami strumentali (RX, eco o
RM). L’intervento è necessario per tutti i soggetti al di sotto dei 70-75 anni di età in quanto il tendine
deve essere di buona qualità. E’ necessario anche individuare il tipo, l’estensione e la sede della lesione.
E’ necessario inoltre valutare:
• entità della perdita del tessuto tendineo
• qualità del tessuto tendineo
• entità della retrazione
• entità dell’atrofia muscolare

Classificazione della lesione (Classificazione di Snayder):


• A: superficiale
• B: superficiale bursale
• C: rottura completa che mette in comunicazione i lati A e B

Si ripara tramite intervento di tipo artroscopico (senza incisione chirurgica), permette un adeguato
posizionamento delle suture per la riparazione del tendine. L’accesso chirurgico non è sempre l’ideale.
Dopo la ricostruzione deve poi seguire un periodo di immobilizzazione per 21 giorni. 6 mesi per la ripresa
dell’attività sportiva.

Possono anche accadere delle lesioni non riparabili:


• notevole metaplasia adiposa del sovraspinoso
• lesione di due o più tendini

In questo caso viene effettuata una pulizia dell’area lesionata. Non porta però alla soluzione del
problema della testa dell’omero. Alcune possibilità alternative comprendono l’inserimento di uno
spaziatore (mantiene abbassata la testa dell’omero, soluzione transitoria per rallentare il processo
artrosico). Le conseguenze potrebbero comprendere una lesione massiva irreparabile. La soluzione è
una protesi.

SPALLA CONGELATA - CAPSULITE ADESIVA


Spalla che all’improvviso diventa rigida. Causa una limitazione della mobilità attiva e passiva a livello
dell’articolazione scapolo omerale. La rigidità è sempre preceduta da un periodo di dolore importante.
Può essere definita primitiva o idiomatica (non se ne conoscono le cause), bipolare (legata ad un
conflitto subacromiale) o secondaria (dovuta a traumi o interventi chirurgici). Comprende una fibrosi
della capsula articolare che ne determina una progressiva retrazione ed ispessimento.

Può essere collegata ad un’infiammazione (iperemia) della membrana sinoviale che determina una
contrazione della capsula articolare che evolve in fibrosi. La mancanza di elasticità della capsula e delle
strutture tendinee causano l’irrigidità.

Generalmente si manifesta con dolore intenso. Evolvendo il dolore si modificherà dall’essere costante
all’essere provocato dal movimento. Viene affrontata con un trattamento conservativo di tipo
fisioterapico. Sono fondamentali gli esercizi di stretching e tecniche di mobilizzazione. Il trattamento
conservativo viene definito efficace se si osserva una progressione anche se modesta ma continua.

SPALLA INSTABILE
Legata all’instabilità capsulo-omerale. Vengono riconosciuti fattori di instabilità attivi e passivi. Si
suddivide per grado (sublussazione e lussazione), insorgenza e direzione (più frequente quella anteriore).

Classificazione:
• AMBRI: instabilità atraumatica, non ha una direzione, spesso è bilaterale e risponde bene al
trattamento riabilitativo
• AIOS: instabilità legata ad attività sportive e ripetute sopratutto verso l’alto
• TUBS: lussazione traumatica unilaterale, prevede una lesione di Bankart (rottura del cercine)

La lussazione anteriore acuta è caratterizzata da:


• dolore
• testa omerale palpabile anteriormente
• braccio sostenuto in lieve ab-er
• solco sotto-acromiale
La lussazione posteriore è caratterizzata da:
• meno frequenza
• diagnosi difficile (segni meno evidenti)
• ER limitata
• elevazione limitata
• appiattimento anteriore della spalla
• prominenza della coracoide

Anamnesi ed esame obiettivo possono e devono consentire la diagnosi. Gli esami strumentali devon
unicamente definire il danno ed il planning operatorio.

I danni caratteristici della lussazione sono:


• lesione di Hill Sachs (solco sulla glenoide dovuto al trauma)
• lesione di Bankart (lesione del cercine glenoideo che non riesce a riparare in maniera corretta)

Una volta ridotta il paziente dovrebbe mantenere un tutore ed 3-4 settimane e ridurre il rischio di
recidive. Ma spesso è insoddisfacente per l’elevato tasso di recidiva (più il paziente è giovane e più il
rischio di recidiva è alto).

Criteri di esclusione al trattamento artroscopico:


• engaging Hill Sachs
• Bony Bankart > 25%
• iperlassità congenita
• età

Il trattamento artroscopico dell’instabilità recidivante consente di ottenere dei risultati post-operatori


assolutamente soddisfacenti e riproducibili. E’ consigliabile il trattamento artroscopico dell’instabilità
acuta traumatica di spalla in pazienti con meno di 30 anni sportivi o lavoratori pesanti che non abbiano
storia di sublussazioni o di instabilità multidirezionale.

ARTICOLAZIONE COXO - FEMORALE


Tipica enartrosi, sono le articolazioni più mobili, compiono movimenti di rotazione attorno a tre assi e
hanno quindi tre gradi di libertà. Essa si stabilisce tra il femore e il bacino. Lo scheletro dell’anca è
formato dalle due ossa dell’anca, o ossa coxali, che articolate tra loro anteriormente nella sinfisi pubica
costituiscono la cintura pelvica. Insieme al sacro e al coccige costituisce la pelvi e il bacino. L’osso
dell’anca si costituisce per la fusione di tre distinte ossa: ileo, ischio e pube.

Sulla fascia esterna dell'osso dell'anca è presente una profonda concavità di forma emisferica situata al
centro e rivolta in basso e avanti: l'acetabolo. L'acetabolo è delimitato dal ciglio e dal cotiloideo. Il
legamento traverso dell'acetabolo trasforma l'incisura in un foro (foro otturatorio).

Il foro otturatorio è delimitato dall'incisura dell'acetabolo, pube, ischio e branca ischio-pubica.


Superiormente passano vasi e nervi della pelvi della coscia. Importante per l'inserzione dei muscoli
dell'anca.
La fossa iliaca è una superifice liscia incavata situata sulla faccia interna a livello dell'ileo che dà
inserzione al muscolo iliaco.

FEMORE
L'osso più lungo e robusto del corpo, presenta un corpo (diafisi e due epifesi, distale e prossimale.
• Testa del femore: di forma sferoidale di 4/5 cm di diametro, diretta medialmente in alto e leggermente
in avanti
• Fossetta della testa: inserzione del legamento rotondo della testa del femore
• Collo del femore: di forma cilindrica, 4.5 cm, separa la testa dei due trocanteri. Ha un angolo di
inclinazione di 130°
• Grande trocantere: processo quadrangolare posto lateralmente rispetto al collo
• Fossa trocanterica: inserzione di alcuni muscoli
• Piccolo trocantere: rilievo conico posto medialmente alla base della superficie posteriore del collo
del femore

ARTICOLAZIONE
• Superifici articolari: testa del femore, acetabolo dell’anca
• Labbro acetabolare: anello di tessuto connettivo fibroso che aumenta la superficie articolare e ne
aumenta notevolmente la profondità. Fondamentale per la stabilità
• Capsula articolare: manicotto fibroso cilindrico, l’estremità prossimale si fissa sul contorno
dell’acetabolo, sul labbro acetabularie e sul legamento trasverso, quella distale uno la linea
intertrocanterica. Si ispessisce ulteriormente livello del collo del femore per la presenza di fasci
profondi che formano la zona orbicolare
• Legamenti: extracapsulari (ileo femorale, ischio femorale, pube femorale), intracapsulari (legamento
rotondo)

MUSCOLI DELL'ARTICOLAZIONE COXO FEMORALE


• Muscoli anteriori: iliaco, grande psoas, sartorio, tensore della fascia lata, retto del femore
• Muscoli posteriori: grande gluteo, bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso, otturatore
interno, otturatore esterno, gemelli superiore e inferiore, piriforme, quadrato del femore
• Muscoli mediali: pettineo, gracile, grande adduttore, adduttore lungo, adduttore breve
• Muscoli laterali: medio gluteo, piccolo gluteo

MOVIMENTI DELL’ANCA

FLESSIONE DELL’ANCA
Movimento di avvicinamento del ginocchio al busto
• Movimento attivo: a ginocchio teso (90°), a ginocchio flesso (120°)
• Movimento passivo: a ginocchio teso (>120°), a ginocchio flesso (>140°)

Muscoli coinvolti:
• Ileopsoas
• Adduttore breve
• Adduttore lungo
• Retto del femore
• Sartorio
• Pettineo

ESTENSIONE DELL'ANCA
Moviento di allontanamento del ginocchio dal torace.
• Movimento attivo: a ginocchio teso (20°), a ginocchio flesso (<20°)
• Movimento passivo: tra i 20° e i 30°

Muscoli coinvolti:
• Grande gluteo
• Semitendinoso
• Bicipite femorale
• Semimembranoso
• Grande adduttore

ABDUZIONE DELL'ANCA
Movimento di allontanamento dell'arto inferiore dal copro. Può essere aumentata l'escursione articolare
con l'incliazione del bacino verso il lato opposto.
• Movimento attivo: massimo 45°, dalla posizione eretta una volta raggiunti i 30° si inclina il bacino
formano due angoli simmetrici
• Movimento passivo: 180° in soggetti allenati (spaccata)
Muscoli coinvolti:
• Piccolo gluteo
• Medio gluteo
• Grande gluteo
• Tensore della fascia lata
• Otturatore interno ed esterno
• Piriforme

ADDUZIONE DELL’ANCA
Il movimento di adduzione può avvenire solo se preceduto da estensione o da flessione poiché l’arto
controlaterale ne impedirebbe l’esecuzione. In entrambi i casi l’angolo è di circa 30°.

Muscoli coinvolti:
• Grande adduttore
• Grande gluteo
• Gracile
• Adduttore breve
• Pettineo
• Adduttore lungo

ROTAZIONE INTERNA DELL'ANCA


L'ampiezza massima di movimento, partendo con gamba flessa ad angolo retto sulla coscia, è di 30°.

Muscoli coinvolti:
• Otturatore interno ed esterno
• Piriforme
• Sartorio
• Gemelli superiore e inferiore
• Quadrato del femore
• Grande gluteo

ROTAZIONE ESTERNA DELL'ANCA


L'ampiezza massima di movimento, partendo con gamba flessa ad angolo retto sulla coscia, è di 60°.

Muscoli coinvolti:
• Grande adduttore
• Medio gluteo
• Piccolo gluteo

CIRCONDUZIONE DELL'ANCA
Successione di movimenti di: flessione, abduzione, estensione e adduzione. L'arto inferiore descrive un
cono il cui apice si trova al centro dell'articolazione coxo-femorale. Il movimento è meno ampio rispetto
a quello della scapolo-omerale.

VASCOLARIZZAZIONE
La vascolarizzazione della testa del femore è per lo più terminale dal senso distale verso il senso
porssimale. Le arterie coinvolte nell'irrorazione del femore provegono dall'arteria femorale e dalle
circonflesse (portano il sangue dal basso verso l'alto). La vascolarizzazione verrà meno col passare degli
anni.

ANAMNESI E VALUTAZIONE CLINICA


Attua a rilevare eventuali limitazioni funzionali.
A volte si presenta una differenza di lunghezza negli arti inferiori. Un sistema per valutarla è porre i talloni
alla stessa linea: se il ginocchio è più in avanti rispetto al controlaterale e il femore sarà più lungo
rispetto alla gamba, se invece è più alto sarà la gamba più lunga rispetto al femore.
Il segno di Thomas indica una rigidità dell'articolazione dell'anca quando viene flessa la controlaterale in
maniera passiva e l'anca rigida si solleverà dal piano del letto.
COXALGIA
Zoppia di fuga, quando il soggetto appoggia il piede il meno possibile a terra a causa del dolore.
Il paziente con artrosi dell’anca o del ginocchio ridurrà l’ampiezza del passo.
La zoppia di Trendelemburg si riscontra nella deambulazione durante l'appoggio sull'anca lussata in cui i
muscoli glutei allentati non riescono a mantenere orizzontale il bacino che si abbassa dal lato opposto.
Indica un'insufficenza degli estensori dell'anca.

PATOLOGIA PEDIATRICA

DISPLASIA CONGENITA DELL'ANCA


Anormalità dello sviluppo dell’anca che determina un’alterazione più o meno completa della struttura o
dei rapporti delle componenti articolari, colpisce soprattutto le femmine, eziopatogenesi multifattoriale,
frequente la trasmissione da madre a figlia, può essere dovuta anche a fattori estrinseci come manovre
o posture errate, aumenta l'instabilità articolare. Può portare alla sublussazione o alla lussazione
completa dell'anca, quando sfavorevole conduce a postumi gravemente invalidanti a carico della
cartilagine articolare (artrosi),

Diagnosi:
• esame clinico
• ecografia (valutazione morfo-strutturale delle componenti anatomiche e fibrocartilaginee, esame
elettivo della diagnosi precoce)
• esame radiografico
• alla nascita
• nei primi mesi di vita
• dopo l'inizio della deambulazione

Clinica:
• segno dello scatto di Ortolani (manovra per la quale l'operatore prende l'anca e con una piccola spinta
della mano verso l'alto la testa del femore esce dall'acetabolo per poi ristabilirsi compiendo il
movimento opposto)
• riduzione dell'abduzione
• asimmetria delle pliche cutanee inguinali
• manovra di Barlow (anca lussabile)
• segno di Trendelenburg (stazione eretta)

Trattamento:
• pannolone
• cuscino divaricatore (nell'anca lussata)

Complicanze:
• necrosi ischemica dell'epifisi femorale
• sublussazioni

Esiti:
• osteotomie di bacino o collo del femore

MALATTIA DI PERTHES
Osteocondrosi (patologie dei nlucei di accresciment) dell'epifisi prossimale del femore. Malattia di tipo
infiammatorio degenretativo che determina una sofferenza vascolare della unità osteocartilaginea.
Necrosi da insuffcienza vascolare primitiva o secondaria a displasia della cartilagine (compressione
sotto l'effetto del carico) che può portare a ischemia. Colpisce più frequentemente i maschi, nella
maggior parte die casi colpisce un'anca sola.

Classificazione:
• I: alterazione della strututra della cartilagine dell'epifisi che si sposta verso l'esterno
• II: riduzione, epifisi scoperta e orizzontalizzazione
• III riduzione elevata, epifisi scoperta e orizzontalizzazione elevata
Quattro fasi:
• I: sinovitica (irritazione della struttura sinoviale)
• II: metallizzazione
• III: frammentazione della testa del femore
• IV: riparazione

Clinica:
• claudicatio intermittente, migliora con il riposo
• dolore inguinale o irradiato al ginocchio
• contrattura muscoli adduttori e ileopsoas
• limitazione abduzione e rotazione interna
• ipotrofia muscolare (modesta)

Diagnosi:
• esame clinico
• esame radiografico (aumento distanza testa-acetabolo, spostamento laterale nucleo di
ossificazione, nucleo più piccolo del controlaterale, allargamento ed accorciamento collo femorale)
• ecografia, rm

Evoluzione:
• necrosi
• ricostruzione
• rimodellamento (tende ad autoripararsi da sola)

La forma tardiva è più grave di quella precoce in quanto il periodo di ricostruzione è più breve (è
legato alla crescita del soggetto).

Trattamento:
Al concetto di terapia di scarico si è andato sostituendo quello dell’effetto modellante del carico sulla
testa femorale mantenuta in ottimali condizioni di centralmente per tutta l’evoluzione della malattia.
Dipende dall’età e dalla gravità. Nella fase acuta è consigliato il riposo a letto. Nelle forme più tardive
si consiglia il trattamento chirurgico. Di solto si cerca di operare il meno possibile in quanto si
aumenterebbe il rischio di rigidità.

EPIFISIOLISI
Lesione della cartilagine di accrescimento prossimale del femore che si accompagna ad uno
scivolamento del nucleo epifisario della testa femorale indietro ed in basso (cosa vara). Tende a
colpire prevalentemente i maschi. L’evoluzione dell’alterazione dell’asse tra testa e collo del femore
porterà ad un varismo cervice-cefalico che col tempo può scatenare un’artrosi precoce.

Eziopatogenesi:
• obesità
• familiarità
• fattori ormonali
• fattori meccanici

Quadri clinici:
• forma cronica (scivolamento progressivo)
• acuta (scivolamento improvviso)
• acuta su base cronica

Clinica:
• dolore inguinale
• attitudine viziata in extrarotazione
• le flessione della coscia si accompagna ad extrarotazione

Sintomatologia:
• dolore inguinale irradiato al ginocchio
• zoppia di fuga
• riduzione abduzione e rotazione interna
Fondamentale la proiezione assiale (permette di valutare la posizione del nucleo di accrescimento.

Prognosi legata a:
• epoca della diagnosi
• entità dello scivolamento
• presenza di eventuali complicanze
• condrolisi

Trattamento sempre chirurgico:


• correggere lo scivolamento
• evitare la progressione
• bisogna fissare la testa sul collo del femore per impedire ulteriori scivolamenti

ANCA DELL’ADULTO
La patologia del disturbo dell’anca viene definita come coxalgia. Sede del dolore di innervazione
prevalentemente anteriore (dovuto ai nervi femorale, otturatorio e sciatico). Anamnesi fondamentale.
Importante rilevare se viene affetto il rachide, l'anca o il ginocchio in modo da non confondere le
patologie ad essi collegate.

Caratteristiche del dolore:


• a riposo
• notturno
• scompare con il movimento
• ricompare con il sovraccarico
• aumenta con la tosse
• scompare con i salicilati
• durata
• intensità

PATOLOGIA FLOGISTICA - COXARTRITE


Infiammazione acuta dell'articolazione, di natura settica (infettiva) o traumatica. Caratterizzata nella
forma acuta da dolore violento mentre la forma cronica è più subdola.

Diagnosi:
• esame radiografico (allargamento prima e poi osteoporosi, riduzione della rima e infine necrosi della
testa del femore, osteoporosi, rari e tardivi osteiti e geodi, coxa profunda)
• ecografia (versamento corpuscolato)
• risonanza (fondamentale)

Trattamento:
• terapia antibiotica (fondamentale nella prima fase)
• lavaggi articolari
• resezione e spaziatore
• artroprotesi

Artriti reumatiche:
• artrite reumatoide
• artriti sieronegative
• spondilite anchilosante
• artrite psoriasica
• LES
• SDR di Retter
• artropatie enteropratiche
• artriti da cristalli

Quadro clinico:
• rigidità mattutina
• aggravamento del dolore con il movimento
Trattamento:
• terapia medica
• infiltrazioni
• artroprotesi

PATOLOGIE VASCOLARI
La vascolarizzazione del collo del femore è legata al passaggio dall’arteria femorale, l’apporto ematico
avviene dal basso verso l’alto. Le fratture del collo del femore possono essere determinanti per la
riduzione della vascolarizzazione causando una successiva necrosi. Anche la lussazione può portare a
necrosi. Incidenza elevatissima, se il soggetto ha un’età superiore ai 70/75 anni si evita di sintetizzare la
frattura optando direttamente per la protesi in quanto il rischio di necrosi è elevatissimo. Nei soggetti
giovani viene eseguita una sintesi con tre viti e posto in carico immediato (favorisce la guarigione). Le
cause atraumatiche di necrosi della testa del femore possono essere legate a terapia steroide o anche
alcolismo (condizioni che creano un’alterazione della vascolarizzazione).

Quadro clinico:
• aspecifico
• dolore da assente a grave
• limitazione funzionale (scarsa, con aggravamento nelle fasi iniziali)

Trattamento:
• terapia farmacologica
• camera iperbarica
• magnetoterapia (stimola la formazione della nuova vascolarizzazione)
• artroprotesi

Al fallimento di questi trattamenti se avviene un crollo delle strutture si procede con la protesi.

ARTROSI
Patologia degenerativa. Danno che nasce a livello della cartilagine articolare.

Fisiopatologia:
• fragilità relativa o assoluta della matrice cartilaginea
• microfratture
• approfondimento microfratture
• corpi mobili articolari (flogosi)
• esposizione e necrosi dei condrociti
• aumento dello stress all’osso subcondrale

Quadro clinico:
• dolore alla ripresa del movimento, scompare con lo stesso o evolvere fino al dolore continuo
• dolore anteriore
• rigidità articolare
• dismetria (displasia)
• segno di Trendelemburg

Alterazioni della struttura possono essere riconducibili anche a tumori.

LA PATOLOGIA DEL GINOCCHIO


ANATOMIA
Costituita da due articolazioni principali:
• femoro-tibiale: formata dai due condili femorali che poggiano sul piatto tibiale, due superficie
ellittiche che si appoggiano su due piatti, movimento di flesso estensione e ridotto la rotazione,
articolazione instabile che ha bisgno di essere rpotetta da strutture legamwntose come legamento
collaterale esterno (extrarticolare, non è appoggiato alla capsula articolare, rotture di tipo chirurgico)
e collaterale mediale, la stabilità in anteroposteriore e rotazione è garantita dal pivot centrale (crociato
anteriore e posteriore
• femoro-rotulea: tra rotula e femore, la rotula corre sull’insicura del condilo femorale, man mano che il
ginocchio flette la rotula si insinua nel solco trocleare, è composta da due faccette articolari (mediale e
laterale), il condilo laterale che sostituisce il solco trocleare è molto più pronunciato rispetto a quello
mediale in quanto il ginocchio è inizialmente valgo (facilita l’instabilità laterale della rotula), la rotula
aumenta la forza del quadricipite in estensione, ha anche una funzione protettiva (è costituita da uno
spessore cartilagineo superiore alle altre articolazioni, inoltre migliora il profilo rendendo il ginocchio
esteticamente migliore

MENISCHI
I due menischi (laterale e mediale) sono fibrocartilagini di tipo elastico, aumentano la stabilità articolare
in quanto dal centro alla periferia ammortizzano il carico (funzione protettiva sul carico
dell’articolazione). Seguono la conformazione del piatto tibiale. Il menisco mediale è un struttura molto
più rigidità e attaccato alla capsula articolare, il menisco laterale è più libero e meno rigido (consente più
movimento). Nei traumi distorsivi è più frequente la rottura del disco mediale rispetto al laterale in
quanto quest’ultimo sopporta meglio i traumi distorsivi. I danni da lesione meniscale sono più gravi se
affliggono il menisco esterno in quanto porta a conseguenze più gravi.

QUADRICIPITE FEMORALE
Formato da quattro ventri muscolari (retto del femore, vasto laterale, mediale e intermedio) che, separati
alla loro origine, so unisco poi in un tendine comune che si inserisce sui margini mediale e laterale della
patella.

RETTO DEL FEMORE


Origina mediante un tendine diretto dalla spina iliaca anteriore inferiore e mediante un tendine riflesso
dal contorno superiore dell’acetabolo. I due capi poi si uniscono e si inseriscono sulla patella e poi sul
tubercolo della tibia.

VASTO LATERALE
Origina alla base del grande trocantere e dalla linea aspra del femore. Si inserisce mediante il tendine
del quadricipite sulla patella e poi sul tubercolo della tibia attraverso il legamento patellare,

VASTO MEDIALE
Origina dalla linea intertrocanterica e dalla linea aspra del femore. Si inserisce sul tendine del
quadricipite e quindi sulla patella. Presenta una porzione di nome vasto mediale obliquo, è la parte più
terminale del ventre muscolare. Per migliorare la stabilità della rotula si potenzia il vasto mediale obliquo
in quanto la frazionerebbe un po’ di più verso l’interno (si fa però fatica ad isolarlo per potenziarlo, si
potenzia con l’elettrostimolazione).

FLESSORI
Tendono ad essere più potenti del quadricipite. Quando si presenta un problema a livello articolare i
flessori vanno in contrazione causando un dolore da tensione posteriore legato alla contrazione
eccessiva.
• Bicipite femorale: muscolo potente, spesso va incontro a danni muscolari
• Semitendinoso
• Semimembranoso
• Gracile

LESIONI MENISCALI
Il menisco si suddivide in un corno anteriore, corpo e corno posteriore. Il corno posteriore va incontro a
lesione nella maggior parte dei casi.

EZIOLOGIA
Il menisco si lesione per:
• trauma distorsivo (nei giovani)
• iperflessione
• degenerazione (nei soggetti più anziani)
TIPO DI LESIONE
• Isolata: coinvolge solo il menisco
• Associata: coinvolge altre strutture

SEDE DI LESIONE
• Corno posteriore
• Corpo
• Corno anteriore

Il menisco come tutte le strutture cartilaginee non è nè vascolarizzato né innervato (ha difficoltà alla
riparazione). La vascolarizzazione del menisco avviene dalla capsula articolare verso il centro
dell’articolazione (man mano che ci si sposta verso l’interno la vascolarizzazione viene sempre meno).
Si creano delle zone:
• zona rossa-rossa: periferia, capsula articolare e attacco del menisco
• zona rossa-bianca: un settore è vascolarizzato mentre l’altro no
• zona bianca-bianca: non c’è vascolarizzazione, non riparerà

TIPI DI LESIONE
• Lesione longitudinale (menisco mediale)
• Lesione “a manico di secchio” (lesione quasi completa del menisco, menisco mediale)
• Distacco laterale (menisco mediale)
• Flap meniscale (menisco mediale)
• Lesione radiale (menisco laterale)
• Lesione orizzontale (menisco laterale)

CLINICA
• Anamnesi
• Dolore
• Blocchi articolari
• Idrartro (versamento articolare del liquido sinoviale)
• Sensazione corpo mobile (sensazione di qualcosa che blocchi il movimento)
• Pseudocedimenti (non solo legati ad una lesione legamento ma al dolore, movimento inconscio)

DIAGNOSI
• Preminentemente clinica
• TC e RM in pochi casi selezionati

TRATTAMENTO
Le lesioni vengono trattate se fanno male e a qualsiasi età, il rischio di artrosi è uguale che venga
trattato o meno (l’intervento non modifica la storia naturale dell’artrosi del ginocchio). Vengono trattate
le lesioni che danno problematiche. Se è poco sintomatica la lesione è stabile e non necessita di
trattamento. Il trattamento viene effettuato per mezzo di:
• meniscectomia (a lungo termine aumenta il rischio di artrosi precoce, fino a 10 anni dall’intervento,
a fine intervento una settimana di stampelle, ritardare il carico)
• sutura meniscale (paziente giovane, limitata estensione, lesione in zona rossa-rossa o rossa-bianca,
recuperi lunghi)

LESIONI CARTILAGINEE
Se non trattate portano ad artrosi.

CAUSE
• Trauma
• Osteocondrite dissecante (evento infiammatorio dell’osso subcondrale)
• Osteonecrosi (dovuta alla sofferenza vascolare dell’osso subcondrale)
• Artriti infiammatorie (evento infiammatorio che determina la lesione della cartilagine)

CAUSE PREDISPONENTI
• Lesioni legamentose
• Lesioni menischi
• Vizi assiali
• Infezioni

ESITO DELLE LESIONI


La cartilagine ha limitate capacità di autoriparazione, pertanto i difetti della cartilagine articolare
porteranno alla fine ad una lesione cronica. Questa perdita dei tessuti è significativa e definita. La
conseguenza terminale è l’artrosi.

OPZIONI TERAPEUTICHE
• Terapia farmacologica
• Programmi di riabilitazione motoria
• Lavaggi e debridement artroscopici
• Osteotomie
• Applicazione di protesi
• Riparazione / rigenerazione cellulo mediata (stimolazione midollare, innesti di cartilagine
ingegnerizzata, innesto osteocondrale, innesti di condrociti autologhi)

I vantaggi delle tecniche di stimolazione midollare (perforazioni subcondrali, microfrature,


radiofrequenze) sono una rapida copertura della lesione cartilaginea e una veloce ripresa dell’attività.
La cicatrice chi si andrà a formare sarà però costituita da fibrocartilagine e non da cartilagine ialina che
ha caratteristiche meccaniche diverse (il recesso viene rallentato ma non arrestato).

PARADOSSO BIOLOGICO
La cartilagine non ha capacità ripartiva propria, tuttavia i condrociti sono in grado di replicarsi ex vivo.

CONCLUSIONI
Lesioni condrali focali sintomatiche, delle superficie articolari, rappresentano probablematiche cliniche
complesse a causa dell’incapacità da parte della cartilagine articolare di andare incontro ad una
guarigione spontanea. Il trattamento dovrebbe idealmente arrestare/ ripristinare il difetto cartilagineo e
ridurre i sintomi. Il tipo di paziente e il grado della lesione dovrebbero guidare il chirurgo verso la
migliore metodica.

SINDROME FEMORO-ROTULEA
Riguarda la patologia che interessa la rotula.

INSTABILITA’ ROTULEA
La principale causa di problematiche legate alla rotula è dovuta ad un’instabilità rotulea. E’ legata a
• difetti rotazionali degli arti inferiori
• displasia dell’apparato muscolare
• displasia della trocleare femorale
• rotula alta

CLINICA
Sintomatologia:
• dolore retro-rotuleo
• cedimento articolare
• crepitio articolare
• tumefazione articolare

Alterazioni dell’apparato estensore:


• strabismo rotuleo
• scorrimento rotuleo
• salutazione dell’angolo Q
• segno degli occhi di cavalletta
• segno delle gobbe di cammello
• test di contrazione attiva del quadricipite
• test dell’apprensione
Le condizioni che possono portare ad un dolore di rotula sono spesso legate a variazioni nella frequenza
degli allenamenti.

DIAGNOSTICA STRUMENTALE
• RX standard
• RX posizione merchant/laurin
• TAC lionese (misurazioni per l’identificazione di vizi torsionali dell’arto inferiore)
• RM

LESIONE LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE


Viene coinvolto il legamento crociato.

SEDE DI LESIONE
• Prossimale: il crociato può rompersi staccandosi dal femore, la più comune
• Stromale: rara
• Distale: strappo della parte ossea a cui il legamento è inserito sulla tibia, rara, si assiste nei giovani

TIPO DI LESIONE
• Completa
• Parziale

CLINICA
• Dolore spontaneo
• Dolore evocato
• Instabilità
• Versamento

TEST DI LASSITA'
Obiettivabile.
• Cassetto
• Lachman: si afferra il femore e la tibia, la tibia vine traslata verso l'avanti (il crociato evita la traslazione
della tibia verso il femore)

TEST DI INSTABILITA'
Il soggetto lamenta un cedimento articolare.
• Pivot shift: evoca il cedimento, provoca molto dolore
• Jerk
• Slocum
• Losee

EZIOPATOGENESI
• Lesioni da trauma diretto: trauma su comparto esterno del ginocchio con piede fisso al suolo,
trauma diretto sul comparto mediale
• Lesioni da trauma indiretto: più frequente, valgismo in rotazione esterna, varsmo in rotazione interna,
trauma da ipertensione, brusca contrazione del quadricipite a ginocchio flesso

ANAMNESI
• Tipo di trauma
• Sensazione di crack al momento della lesione
• Cedimenti
• Tumefazione

ESAME OBIETTIVO
• Fase acuta
• Fase cronica

PROCEDIMENTO
• Conservativo (lasciarlo così com'è)
• Cruento
PERCHE’ RICOSTRUIRE IL LCA
• Lesione LCA provoca lesione cartilaginee e meniscali
• Attività del paziente
• Compliance
• Aspettative funzionali
• Tecniche mini-invasive

EVENTO SEMPRE PIU’ FREQUENTE


• Aumento della popolazione sportiva e agonista
• Aumentate richieste funzionali post-infortunio
• Migliore capacità diagnostica
• Perfezionamento delle tecniche chirurgiche

TRATTAMENTO
• Tipo I: mai instabilità
• Tipo II: instabilità sport a rischio
• Tipo III: sempre instabilità

RICOSTRUZIONE LCA
Il periodo ideale per trattare una lesione nello sportivo è dopo 3 settimane (il rischio di rigidità post-
chirurgica si riduce).

• Fase acuta
• Fase cronica

Per lesione cronica del LCA si intende quella lesione presente in pazienti in cui sia trascorso un
intervallo di tempo dal trauma originario di almeno 4 settimane. Questi pazienti dovrebbero avere
sperimentato uno o più episodi di cedimento e dovrebbero pienamente apprezzare le limitazioni
funzionali del proprio ginocchio.

La tecnica più utilizzata è tramite un sistema autologo: il semitendinoso e il gracile vengono isolati e
reinseriti all’interno dell’articolazione al posto del crociato. L’assenza dei due tendini nel tempo vine
quasi del tutto ripristinata. Portano a pochissimi disturbi.

LESIONE LEGAMENTO CROCIATO POSTERIORE


Fondamentale per il corretto funzionamento della cinematica del ginocchio, responsabile del roto-
scivolamento a livello della flesso-estensione del ginocchio. Si rompe tendenzialmente con una violenta
proiezione della tibia all’indietro. A differenza dell’LCA non dà delle grosse limitazioni dal punto di vista
della pratica sportiva, ma determina una caduta posteriore della tibia rispetto al femore schiacciando la
rotula contro il femore. Genera dolore legato all’attrito tra femore e rotula (artrosi).

SEDE DI LESIONE
• Prossimale
• Stromale
• Distale (più frequente)

TIPO DI LESIONE
• Completa
• Parziale

CLINICA
• Dolore spontaneo
• Dolore evocato
• Instabilità (diversa da quella dell’LCA)
• Versamento

Test:
• cassetto posteriore (spinta della tibia all’indietro)
TRATTAMENTO
• Conservativo (a differenza dell’LCA permette una ripresa dell’attività sportiva anche senza intervento
chirurgico in quanto la lesione risponde bene al trattamento fisioterapico, potenziando il quadricipite
viene compensata la trazione della tibia all’indietro)
• Cruento (se il dolore alla femoro-rotula persiste e instabilità)

LESIONE LEGAMENTO COLLATERALE MEDIALE


Lesione legata ad un trauma distorsivo per lo più in valgo. A differenza del collaterale esterno, il mediale
è in perfetta connessione con la capsula articolare e per tanto ha ottime probabilità di guarire (se trattato
bene, non in allungamento altrimenti si crea una lassità mediale).

EZIOPATOGENESI
• Trauma distorsivo (più frequente)
• Trauma diretto

TIPO DI LESIONE
• I grado: semplice distrazione delle fibre, non c’è rottura ma solo dolore
• II grado: rottura di fibre con un’apertura in valgo < 5mm
• III grado: rottura in valgo con un’apertura > 5mm

Va testato in flessione, in estensione entrerebbe in gioco anche il LCA.


In un soggetto giovane e sportivo tende a guarire in 3-4 settimane. Il dolore non è significativo di
mancata riparazione (è legato al rimaneggiamento delle fibre in riparazione).

TRATTAMENTO
• Incruento (preferibile)
• Cruento (nelle fasi di instabilità cronica)

LESIONE LEGAMENTO COLLATERALE LATERALE


Non avendo molte connessioni di solito la lesione è associata (sempre trattamento chirurgico).
Legamento molto resistente, spesso è l’unico legamento che resiste al trauma lussativo.

EZIOLOGIA
• Trauma distorsivo in varo
• Trauma diretto
• Lussazione di ginocchio

VIZI ASSIALI
Il metodo clinico per visualizzare correttamente gli assi è quello di porre un nastro a livello della regione
inguinale e portarlo al centro della tibio-tarsica. Se passa per il centro del ginocchio, l’arto inferiore è
normo atteggiato. Per misurare correttamente l’asse si usano le radiografie.

GINOCCHIO VALGO
Deformità in cui l’angolo tra l’asse femorale e l’asse tibiale è minore di 173° sul piano frontale.

GINOCCHIO VARO
Deformità in cui l’angolo tra l’asse femorale e l’asse tibiale formano una convessità esterna sul piano
frontale.

ASSE MECCANICO
Passa per il centro del ginocchio. In un intervento di protesi, essa viene posizionata lungo l’asse
meccanico.

ASSE ANATOMICO
Costituito dalla linea mediana del femore e della linea mediana della tibia. A livello della tibia asse
anamotico e meccanico coincidono.
A livello del femore presentano una differenza di circa 5° (valgismo fisiologico).

GONARTROSI
Una delle condizioni più invalidanti, limita di molto il movimento. Con il termine osteoartrosi o artrosi si
definisce un’affezione degenerativa non infiammatoria delle articolazioni, di tipo progressivo è
caratterizzata da alterazione della cartilagine articolare e dalla formazione reattiva di tessuto osseo a
livello sub-condrale e dei margini articolari.

CLINICA
• Dolore
• Versamento articolare (legato ai prodotti di degrado dell’artrosi)
• Scrosci articolari
• Blocchi articolari

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI


• Ecografia
• Radiografia (punto di partenza, fondamentale)
• TC
• RM

QUADRO RADIOGRAFICO
• Restringimento della rima articolare
• Osteofitosi
• Pseudocisti
• Alterazioni della struttura ossea subcondrale (diventa sclerotico, rigido)

CAUSE
La gonartrosi è sopratutto un problema meccanico favorito da:
• deformazioni femoro-tibiali
• alterazioni delle superfici articolari
• sequele di traumi ossei
• meniscectomie
• rotture di legamenti (LCA)

CHIRURGIA
Le pulizie articolari con artroscopia sono sintomatiche e non fanno altro che ritardare l’intervento di
protesizzazione e poco efficaci. L’osteotomia (modificazione dell’asse del segmento osseo) ha per scopo
l’eliminazione dei dolore più a lungo possibile e il ripristino dell’asse di carico.

PATOLOGIA DEL PIEDE


Lo scheletro del piede è costituito da 26 ossa con caratteristiche differenti.
Esse vengono raggruppate in tre strutture:
• tarso (astragalo, calcagno, navicolare, cuboide, tre cuneiformi)
• metatarso (5 ossa lunghe)
• falangi (tre per ogni dito fatta eccezione per l’alluce che ne presenta due)

MUSCOLI DEL PIEDE


I muscoli del piede sono raggruppati in:
• muscoli del dorso del piede
• muscoli della pianta del piede (regione mediale e regione laterale)
Altri muscoli che collaborano al mantenimento dell’arcata:
• tibiale anteriore
• tibiale posteriore
• peroniero lungo
• peroniero breve
• flessore lungo dell’alluce

EQUILIBRIO ARCHITETTONICO DEL PIEDE


Una forma normale della pianta del piede è fondamentale per un corretto adattamento al suolo ed è il
risultato dell’equilibrio tra le forze create dall’arco interno, esterno e anteriore. L’insufficienza o la
contrattura di un solo muscolo distrugge tutto l’equilibrio e porta ad una deformità. Uno squilibrio tra le
diverse azioni muscolari può portare all’insorgere di:
• piede cavo
• piede piatto

PIEDE DEL BAMBINO

PIEDE TORTO
Situazione congenita, si manifesta alla nascita. Il piede torto embrionario può essere considerato un
arresto della fase tibiale con sviluppo di tutta la fase peroneale.

Forme:
• equinismo, varismo e supinazione
• talismo e valgismo
• varismo

Classificazione:
• I grado (situazioni di deviazione < 20°, correggibiltà completa)
• II grado (situazioni di deviazione fra i 20° e 45°, correggibilità parziale)
• III grado (situazioni di correggibilità > 45°, non correggibile)

Trattamento ortopedico e fisioterapico:


• le manipolazioni vanno iniziate immediatamente
• è bene che la madre assista e ne impari la tecnica
• alternare manipolazioni e apparecchi gessati ogni dieci giorni
• correggere adduzione e supinazione

Trattamento chirurgico:
• allungamento del tendine d’Achille
• capsulotomie posteriori
• tenotomia distale abduttore dell’alluce
• medial release
• allungamento a “Z” dei tendini mediali

PIEDE PIATTO CONGENITO


Tutti i ha,bini nascono con il piede piatto pertanto la forma patologica è difficilmente riconoscibile.
Consiste nel mancato sviluppo/cedimento della volta plantare. Dismorfismo caratterizzato da
pronazione del calcagno e supinazione dell’avampiede con caduta della volta longitudinale mediale e
tipica alterazione dell’impronta plantare. Tendenzialmente non è doloroso.

Classificazione:
• piede piatto congenito o primitivo
• piede piatto acquisito
• piede piatto secondario

Correzione:
non esiste una ortesi ideale, i plantari sono una soluzione transitoria (non correggono definitivamente)
Se non migliora pensare alla chirurgia (2%) valutando età e sesso.

PIEDE DELL’ADULTO

ALLUCE VALGO
Deviazione in valgo dell’alluce con un’alterazione in varo del metatarso. Maggior incidenza nel sesso
femminile. Causa una mancata spinta nella deambulazione è un sovraccarico a livello delle teste
metatarsali.

METATARSALGIE
Legate alla presenza dell’alluce valgo e ad un eccessivo carico delle teste metatarsali.

INSTABILITA’ DELLA TIBIO-TARSICA DA LESIONI LEGAMENTOSE


La lesione legamentosa va trattata in fase acuta, una percentuale può portare ad un’isufficienza
articolare cronica che evolve in instabilità.

DISTORSIONE: LESIONE DEL COMPLESSO LATERALE


La maggior parte delle distorsioni di caviglia avviene per un trauma da inversione (lesione del complesso
laterale, vengono compromesse le strutture legamentose esterne). Evento molto frequente.

FATTORI DI RISCHIO
• Tipo di sport
• Errori nella preparazione
• Errori nel gesto
• Deficit muscolari
• Limitazioni articolari

CLASSIFICAZIONE
• I grado: distrazione del legamento peroneo astragalico anteriore
• II grado: parziale lesione del legamento peroneo astragalico anteriore e calcaneare
• III grado: completa rottura di tutti e tre i legamenti

LASSITA’ LEGAMENTOSE COSTITUZIONALI


• Asintomatiche
• 15% della popolazione sportiva
• Diagnosi scala di Beighton

TRATTAMENTO
Di tipo conservativo (non chirurgico), si porta guarigione la distorsione. Se si evolve in instabilità laterale
cronica e fallisce il trattamento conservativo (durata di circa 3 mesi) si necessiterà di un trattamento
chirurgico.

INSTABILITA’ MECCANICA
Insufficienza articolare da lesione legamentosa cronicizzata evidenziabile mediante test clinici e
strumentali “dinamici”.

INSTABILITA’ FUNZIONALE
Insufficienza soggettiva della stabilizzazione muscolare su base proprio cattiva talora secondaria a
dolore.

ANAMNESI
• Trauma
• Trattamento acuto
• Durata dei sintomi
• Tipo dei sintomi

ESAME CLINICO
• Dolorabilità
• Cassetto anteriore
• Stress in inversione

ESAMI STRUMENTALI
• RX standard
• RX dinamiche (in disuso)
• RM (non definisce l’instabilità ma rivela i danni alle strutture)

TECNICHE CHIRURGICHE
• Anatomiche: sutura diretta e ritensionamento legamenti lesionati (Brostrom)
• Plastiche extrarticolari di rinforzo (Gould)
• Ricostruzioni: tramite innesti tendinei
• Shrinkage: artroscopico (radiofrequenza)
• Tecnica standard: ricostruzione anatomica e ritensionamento dei legamenti lesionati con plastica di
rinforzo mediante lembo di retinacolo degli estensori

Ricostruzione anatomica:
• necessita di residuo legamentoso
• ripristina la stabilizzazione muscolare con meccanismo propriocettivo
• evita la demolizione di elementi tendinei conservando l’azione stabilizzante e di risposta propriocettiva
di queste strutture

Lesioni recidive o assenza di residui legamentosi:


• ricostruzione con innesti cutanei

Lesioni associate osteociti reali o impingement:


• possono essere trattate contemporaneamente
• mini artrotomia
• via trans-malleolare mediale o laterale

RISULTATI DEL TRATTAMENTO CHIRURGICO


• Positivi > 80% dei casi
• Assenza di instabilità dolorosa
• Ripresa dell’attività sportiva

PROTOCOLLO POST OPERATORIO


• Tutore a valva (20 giorni scarico, 20 giorni carico)
• Programma riabilitativo (dalla 20° giornata)

DISTORSIONE: LESIONI DEL COMPLESSO MEDIALE


Molto rare, dovute ad un trauma da eversione. Meccanismo in valgo-extrarotazione esterna

EPIDEMIOLOGIA
Tipicamente in associazione a:
• lesione legamentose laterali
• fratture del perone
• lesione della sindesmosi
• lesione del tendine tibiale posteriore

DIAGNOSI IN FASE ACUTA


• Dati anamnestici
• Elementi clinici obiettivi
• RX standard
• RM lesioni parziali, lesioni associate al tendine tibiale posteriore

TRATTAMENTO DELLA LESIONE IN FASE ACUTA


• Dipende dalle lesioni associate
• Se ridotto guarigione con trattamento incruento (6-8 settimane)
• Se irriducibile (introflesso) riparazione chirurgica

INSTABILITÀ CRONICA
• Rara
• Deambulazione in valgo-abduzione
• RX con aumento “luce” tibio-astragalica (RX dinamiche)
• Necessario escludere la persistenza di lesioni associate

TRATTAMENTO CONSERVATIVO
• Palliativo
• Tutorizzazione
• Rinforzo muscolare

TRATTAMENTO CHIRURGICO
• Ritensionamento residuo legamentoso (Duvries)
• Innesto tendineo (e intendine di tibiale posteriore dallo scafoide al malleolo mediale)

LESIONI DELLA SINDESMOSI


La membrana che connette la tibia al perone al davanti dell’articolazione. LA struttura della caviglia è
legata al mortaio tibio-peroneale che necessita di elasticità per permettere il movimento di flesso
estensione della caviglia (il mortaio deve avere una certa flessibilità). La membrana si adatta ai
movimenti permettendo il corretto funzionamento del mortaio. 1 mm di traslazione laterale dell’astragalo
(tilt astragalico laterale) causa una perdita del 42% di congruenza articolare (porta ad artrosi della
caviglia)

Può però andare in contro a lesioni:


• lesione isolata infrequente (difficilmente si rompe da sola)
• 10% di tutte le distorsioni
• meccanismo di lesione in extrarotazione (apertura della pinza)

DIAGNOSI
• Clinica: dolore alla compressione al terzo medio gamba
• Radiografica: apertura della pinza tibio peroneale > 4 mm

TRATTAMENTO CHIRURGICO
Unico trattamento possibile, stabilizzazione della pinza tramite due viti. Causa una rigidità della struttura
(dopo 6 settimane le viti vanno rimosse). Riavvicinando le due strutture ossee la membrana si
ricicatrizza.

COMPLICANZE
• Rottura dello strumentario
• Mobilizzazione mds
• Intervento di rimozione mds
• Scarico prolungato
• Insuccesso del trattamento
LESIONI MUSCOLARI NELLA PRATICA SPORTIVA
Le lesioni muscolari acute sono piuttosto frequenti in tutte le discipline sportive avendo un’incidenza del
10-30% di tutti i traumi da sport. Il danno muscolare può essere la conseguenza di:
• trauma diretto
• trauma indiretto

TRAUMA DIRETTO
Determina la lesione di un numero di fibre muscolari tanto maggiore quanto più forte è il trauma e quanto
meno è contratto il muscolo al momento della contusione.

INTENSITÀ DEL DANNO


• Lieve: modesta dolorabilità, funzionalità conservata, ROM > 90°
• Moderata: arto tumefatto e dolente, funzionalità compromessa, ROM > 45-90°
• Grave: arto tumefatto, dolenzia alla contrazione, funzionalità fortemente compromessa, ROM < 45°

TRATTAMENTO
• Immobilizzazione i posizione di riposo
• Crioterapia (10 minuti max)
• Impacchi e massaggi freschi per 20 min
• Compressione

EVITARE
• Aspirare l’ematoma (è diffuso nella fibra muscolare, pertanto non è aspirabile)
• Iniettare
• Calore
• Ultrasuoni
• Massaggi

PROTOCOLLO RIABILITATIVO
• Recupero della mobilità senza dolore
• Ghiaccio o massaggi freddi
• Esercizi isometrici senza dolore
• Esercizi a favore di gravità
• Cyclette o vogatore etc con minima resistenza

• Esercizi con resistenza crescente


• Nuoto
• Cammino
• Jogging (su superfici piane)

TRAUMA INDIRETTO
Può essere dovuto a:
• sovraccarico di tensione su di un muscolo passivo
• sovraccarico eccentrico (allungamento del muscolo) su un muscolo contratto attivamente

Essenzialmente vengono coinvolti i muscoli biarticolari (più deboli rispetto ad agonisti e antagonisti).
Il danno generalmente si manifesta alla giunzione muscolo-tendinea (zona di maggior debolezza della
struttura muscolare, al passaggio tra muscolo e tendine).

Il danno può essere legato anche ad un’attività di tipo metabolico, se il lavoro svolto è aerobico si
assiste ad un aumento della temperatura locale con un conseguente aumento di acidosi e una marcata
anossia cellulare. Questo causa un’aumentata fragilità muscolare e possibile necrosi cellulare, sia a
livello muscolare che del connettivo di sostegno.

Più spesso sono interessati i muscoli ischio-crurali.


CLASSIFICAZIONE
La classificazione delle lesioni muscolari viene fatta in relazione all’entità del danno anatomico.
Si distinguono:
• contrattura (fase primaria della sofferenza muscolare)
• elongazione (stiramento)
• distrazione (strappo, di 1°, 2° o 3° grado)

CONTRATTURA
L’atleta che si procura una contrattura riesce solitamente a terminare la gara senza troppi fastidì. Il dolore
compare dopo la partita o il giorno seguente. Non v’è una vera e propria lesione muscolare, ma
un’alterazione del tono di tutto il muscolo o di una parte di esso come reazione ad uno stimolo troppo
intenso e prolungato.

La terapia è rappresentata da:


• calore
• massaggi
• stretching

Prognosi:
• 4-7 giorni (rientro in gara)

ELONGAZIONE
Provoca un dolore immediato e vivo ma generalmente non impedisce il proseguimento dell’attività.
Tuttavia il fastidio tende ad aumentare progressivamente. E’ molto importante smettere subito la gara o
l’allenamento per evitare di procurarsi una distrazione muscolare. Nello stiramento, come nella
contrattura, non v’è una vera e propria rottura delle fibre muscolari, ma un’alterazione marcata e
localizzata del tono muscolare. In questo caso all’interno del muscolo si può apprezzare un ben definito
“cordone” doloroso, e anche il soggetto, a differenza della contrattura, sa individuare bene la zona
dolorosa.

Trattamento: “RICE”
• riposo
• ghiaccio
• compressione
• elevazione

• ultrasuoni pulsanti
• crioultrasuoni
• tens laser

In terza giornata si eseguirà un’ecografia per escludere la presenza di una lesione muscolare

• massaggi
• stretching
• allenamento progressivo
• antinfiammatori
• miorilassanti

Prognosi:
• 15 giorni

DISTRAZIONE
Lesione delle fibre muscolari, divisa in gradi a seconda dell’entità del danno:
• grado I (rottura di < 5% dell’integrità strutturale della giunzione miotendinea)
• grado II (rottura parziale con lesione più significativa, ma una rottura incompleta della giunzione
miotendinea)
• grado III (rottura completa del muscolo, in cui le estremità muscolari sono rotte e sfilacciate
DISTRAZIONE DI 1° GRADO
Sintomi:
• dolore locale
• dolore lieve alla tensione passiva e alla contrazione attiva del muscolo coinvolto
• modesta disabilità

Segni:
• lieve spasmo
• tumefazione
• ecchimosi
• dolore locale
• lieve perdita di forza e funzionalità

Trattamento:
• RICE
• ecografia
• FKT precoce (dopo 48 ore)
• FANS e miorilassanti
• 20-30 giorni di stretching (senza dolore), potenziamento muscolare progressivo e adeguato
riscaldamento

DISTRAZIONE DI 2° GRADO
Sintomi:
• dolore locale
• dolore modesto alla tensione passiva e alla contrazione attiva del muscolo coinvolto
• disabilità moderata

Segni;
• spasmo moderato
• tumefazione
• ecchimosi
• dolore locale
• funzionalità e forza diminuite

Trattamento:
• RICE
• ecografia
• riposo
• deambulazione con 2 stampelle
• FANS, antiedemigeni, miorilassanti…
• FKT
• > 7 giorni stretching (senza dolore) e potenziamento muscolare

Prognosi:
• ripresa agonistica in 30-50 giorni (molto elevato il rischio di recidiva)

DISTRAZIONE DI 3° GRADO
Sintomi:
• forte dolore
• disabilità

Segni:
• grave spasmo
• tumefazione
• ecchimosi
• ematoma
• dolore
• perdita della funzione muscolare
• si può palpare una lacuna
Trattamento:
• RICE
• ecografia
• immobilizzazione in doccia o tutore per 15-20 giorni
• chirurgia (la sutura delle fibre muscolari è molto difficile)
• in seguito trattamento = a lesioni di 2° grado

La chirurgia, nelle lesioni di 3° grado, specie negli atleti agonisti, è sempre da preferire, nonostante non
abbia il risultato certo di riportare il muscolo al 100% della propria attività.

Prognosi:
va sottolineato che la prognosi delle lesioni di 3° grado è da considerarsi riservata, per quel che
concerne il completo recupero agonistico, anche nei casi in cui venga instaurato un corretto trattamento
terapeutico. E’ molto alto infatti il rischio di recidive.

OSTEOPOROSI
L’osteoporosi è una malattia metabolica sistemica dello scheletro caratterizzata da una ridotta massa
minerale e da un deterioramento microstrutturale. Ne conseguono:
• riduzione della resistenza ossea
• aumento del rischio di fratture

La principale e la più diffusa malattia dell’osso. Può comparire a qualsiasi età, ma rimane una malattia
legata al processo di invecchiamento. Prevalenza maggiore con l’avanzare dell’età (molto comune > 70
anni). Inoltre legata anche a sesso, razza, ormoni e stile di vita.

All’RX l’osso presenta una rarefazione a livello trasecolare fino ad arrivare al tipico aspetto a spugna.

EPIDEMIOLOGIA
L’incremento dell’età media della popolazione, grazie al miglioramento delle condizioni sanitarie
alimentari, ha portato ad un aumento di patologie cronico degenerative (patologie cardiovascolari,
neoplasie, malattie osteoarticolari…).

• Prevalenza mondiale osteoporosi: > 200 ML


• 30% donne in post-menopausa
• > 50 anni: 30% F - 12% M
• in Italia 5 ML, > 80% sono donne in post-menopausa
• in Italia l’incidenza annuale per ricoveri per fratture da fragilità è > 130.000 persone

Le fratture da OP hanno gravi implicazioni economiche, sociali e sanitarie. La frattura del femore
prossimale ha un tasso di mortalità del 15-30% entro un anno dalla frattura ed il 50% delle donne con
fratture di femore presenta una consistente riduzioni di livelli di autosufficienza.

CLASSIFICAZIONE
• Osteoporosi primaria: dovuta all’invecchiamento (post-menopausale, senile, post-gravidanza,
idiopatica)
• Osteoporosi secondaria: dovuta ad altri fattori (iatrogena, abuso di alcool, insufficienza renale,
anoressia, immobilità)

FATTORI DI RISCHIO
Malattia multifattoriale nella quale diversi fattori costituzionali e non costituzionali operano da soli o
insieme nel compromettere l’integrità scheletrica.
Conoscere i fattori di rischio per l’OP è di fondamentale importanza poichè su alcuni FR modificabili è
possibile eseguire indagini specifiche ed intervenire

• Fattori genetici (sesso femminile, età avanzata, razza bianca, familiarità)


• Fattori ambientali e comportamentali (dieta povera di calcio, ipo vit. D, vita sedentaria, eccesso di
alcool/fumo, immobilizzazione)
• Malattie endocrine (morbo di Chusing, ipertiroidismo, ipogonadismo)
• Disturbi ormonali (menopausa precoce, malattie renali croniche, assunzione di steroidi, malattie
epatiche, artrite reumatoide)
• Malattie del tratto gastrointestinale (Sdr malassorbimento, celiachia, morbo di Chron)
• Uso prolungato di farmaci (corticosteroidi, anticoagulanti, antiepilettici, ormoni tiroidei,
immunosoppressori)

SINTOMI
Malattia latente, non dà sintomi per diversi anni dalla sua insorgenza e molto spesso non permette un
intervento immediato. Con il tempo si manifesta con dolori ossei e microfratture che possono
degenerare in fratture da fragilità e crolli vertebrali. Una diagnosi appropriata e precoce può rallentarne
la progressione ed il rischio di incorrere in una frattura.

• Dolori ossei
• Dolori articolari
• Difficoltà nel cammino
• Articolarità ridotta
• Rigidità e alterazioni morfologiche del rachide
• Impotenza funzionale
• Fratture

DIAGNOSI
La diagnosi di Op segue cinque punti che permettono di individuare i pazienti a rischio e organizzare
trattamenti specifici:
• visita medica e anamnesi (fattori di rischio
• esame clinico (postura e variazioni dell’altezza)
• analisi di laboratorio (esami ematochimici per l’assetto di Ca)
• mineralometria ossea computerizzata MCO (densità ossea)
• esami radiologici (evidenza di fratture)

Sulla base dei valori rilevati sulla densità ossea del T-score:
• normale (-1 < T-score < +2,5
• osteopenia (-2,5 < T-score < -1)
• osteoporosi (T-score < -2,5)
• osteoporosi grave (T-score < -2,5 ≥ 1 frattura fragilità)

L’osteopenia è la fase antecedente all’osteoporosi nella quale inizia un inadeguato processo di


ossificazione dell’osso. Le alterazioni anatomico-fisiologiche sono:
• allargamento dei canali vascolari con ridotto numero e ampiezza di trabecole
• ampliamento degli spazi midollari dell’osso spugnoso
• aumento del numero di lacune di riassorbimento osteoclastico non riaperte
• osteoni poco numerosi e irregolari
• aumento della superficie di riassorbimento

Bone Mineral Density nelle aree a maggior rischio frattura;


• richiede lombare
• collo del femore
• terzo distale del radio

Esami complementari nelle diagnosi dell’Op e delle fratture da fragilità:


• RX colonna vertebrale (diagnosi e datazione di eventuali fratture)
• morfometria vertebrale (misura dell’altezza dei corpi vertebrali)
• esami di laboratorio (marcatori del metabolismo osseo e della funzionalità ormonale)

TESSUTO OSSEO
Lo scheletro è l’impalcatura del nostro corpo, formato da ossa e tessuto cartilagineo. Ha funzione di:
• sostegno
• interazione con l’apparato muscolare (movimento)
• protezione
• riserva di calcio e sali minerali

Il tessuto osseo è un tipo particolare di tessuto connettivo di sostegno, costituito da:


• componente organica (matrice ossea, proteine, fornisce un importante supporto organico per la
formazione di cristalli minerali e dà all’intera struttura coesione, elasticità e resistenza)
• componente cellulare (osteoblasti, osteoclasti, osteociti e monociti)
• componente minerale (fosfato di calcio e idrossido di calcio, fornisce al TO resistenza alla
compressione, rigidità e robustezza)

Il TO comincia a formarsi intorno alla VI settimana dopo la fecondazione a partire dal tessuto
cartilagineo ed aumenta di dimensioni nelle fasi successive grazie al rimodellamento osseo. La maggior
parte delle ossa si forma a partire da un modello cartilagineo tramite un processo chiamato
ossificazione endocondrale. Inizialmente, la cartilagine sviluppa un periostio nel quale poi si forma un
centro di ossificazione primaria. Qui inizia la calcificazione nella diafisi che prosegue poi anche
nell’epifisi dell’osso. Il processo di accrescimento è garantito dallo sviluppo di osteoblasti e osteoclasti
all’interno del periostio a partire da cellule osteoprogenitrici: mentre gli osteoblasti depositano nuovo
tessuto, gli osteoclasti allargano il diametro della cavità midollare e incrementano il diametro dell’osso.

L’accrescimento osseo prosegue fino ai 25 anni, dove si raggiunge il picco di massa ossea (il massimo
della massa ossea che noi possiamo avere), diverso per ogni individuo e dovuto a diversi fattori:
• alimentazione
• attività fisica
• fattori ormonali
• fattori genetici

Si possono riconoscere due tipologie di tessuto osseo:


• tessuto osseo compatto
• tessuto osseo spugnoso

TESSUTO OSSEO COMPATTO


Osso corticale, presente all’esterno dell’osso. Costituisce l’80% della massa ossea totale, formato da
un insieme di unità strutturali dette osteoni. L’osteone è costituito da un insieme di lamelle disposte in
strati concentrici introno ad un canale centrale detto canale di Havers, in cui decorrono vasi sanguigni,
fibre nervose e vasi linfatici.

TESSUTO OSSEO SPUGNOSO


Osso trabecolare, presente all’interno dell’osso. Costituisce il 20% della massa ossea, formato da una
struttura ad alveare costituito da un insieme di lamelle dette trabecole, disposte in modo da formare
una rete molto fitta.

PERIOSTIO
Esternamente all’osso corticale, tutte le ossa sono ricoperte da una membrana di tessuto connettivo
fibroso che prende il nome di periostio, la quale permette:
• accrescimento in larghezza delle ossa
• protezione dai traumi
• vascolarizzazione del tessuto osseo
• funzione di guida nei processi di guarigione delle fratture

Lo strato più interno, detto strato di Ollier, è invece popolato dagli osteoblasti.
RIMODELLAMENTO OSSEO
Il tessuto osseo è soggetto a continue variazioni di composizione nell’arco della vita e possiede un
metabolismo tutto suo, suddiviso in due fasi principali:
• sintesi
• riassorbimento

Processo sempre attivo ed altamente riorganizzato. Ogni anno è rinnovato circa il 10% della massa
ossea. Le cellule aggiornante responsabili sono osteoblasti e osteoclasti che lavorano per controllare e
mantenere il livello di mineralizzazione ossea tramite meccanismi opposto tra loro. Consente di:
• rispondere alla riparazione delle sollecitazioni meccaniche
• mantenere la qualità ossea
• rilasciare fattori di crescita
• rilasciare minerali essenziali

Il rimodellamento osseo è regolato dalla presenza nel micorambiente di RANK-L/OPG:


• se prevale OPG il rimodellamento si riduce (deposizione)
• se prevale RANK-L la produzione di osteoclasti è favorita (riassorbimento)

Il rimodellamento parte dal versante endostale: dopo la segnalazione di micro danni o stress meccanico
(osteociti) vengono attivati osteoclasti che rimuovono minerali e matrice ossea dalla superficie ossea.
Esaurita la loto funzione promuovono l’inizio della fase di deposizione. Il ciclo avviene normalmente
nell’arco di 3-4 mesi.

Richiede l’intervento di ormoni per regolare il corretto funzionamento dei protagonisti coinvolti:
• ormoni calciotropi (Paratormone, calcitonina e vitamina D, regolano l’omeostasi di calcio)
• ormoni sistemici (androgeni ed estrogeni, GH, prolattina, insulina, cortisolo, influenzano il
metabolismo osseo agendo su altri assi metabolici)
• altri fattori (agiscono indirettamente a livello del TO)

IPOVITAMINOSI D
Nella popolazione anziana l’ipovitaminosi D è molto comune (80% delle donne sui 60-80 anni). Dovuta a:
• insufficiente esposizione solare
• alimentazione scorretta
• patologie renali
• patologie epatiche

La vitamina D è presente in:


• pesce
• carne
• burro
• olio di fegato di merluzzo

OP POST-MENOPAUSALE
L’OP post-menopausale è un’affezione sistemica dello
scheletro, caratterizzata da una diminuzione della
resistenza alle fratture che si determina nel sesso
femminile nei primi anni successivi alla cessazione della
funzione gonadica. Si registra un aumento del turnover
scheletrico e del riassorbimento rispetto alla
neoformazione, provocando un’alterazione della struttura
scheletrica.

L’invecchiamento porta carenze ormonali (ormoni


sessuali e ormoni coinvolti nel metabolismo osseo),
causando un aumento della produzione di citochine e
attività osteoclastica di degradazione dell’osso.
Le donne, una volta iniziata la riduzione, producono circa l’8% della loro massa ossea ogni 10 anni
rispetto all’uomo che ne perde soltanto il 3%. Questa disparità lascia pensare ad una stretta correlazione
tra la malattia e le modificazioni degli ormoni sessuali tipiche della menopausa, causando una maggiore
incidenza nelle donne.

Viene colpita prevalentemente la componente trabecolare con effetti evidenti a livello della colonna
vertebrale.

FRATTURE DA FRAGILITÀ
Principale complicanza dell’OP, il TO più fragile non è in grado di sopportare le normali sollecitazioni
fisiologiche. Le ossa possono fratturarsi anche per traumi banali o spontaneamente. L’assottigliamento e
la fragilità ossea predispongono ad alterazioni dell’architettura scheletrica e possono comparire
deviazioni o schiacciamenti della colonna vertebrale, dolori e difficoltà nella deambulazione.

Più comuni localizzazioni delle fratture da fragilità:


• collo del femore
• colonna vertebrale
• polsi

RIPARAZIONE DELLA FRATTURA


Le alterazioni del TO dovute alla malattia possono influire sulla corretta guarigione. Nelle donne in
menopausa con carenza di estrogeni e un basso apporto di calcio nella dieta, viene influenzato
negativamente il metabolismo osseo e le ultime fasi della guarigione. L’anziano presenta una riduzione di
tessuto muscolare e vasi sanguigni che spiegano il ridotto potenziale riparativo in seguito a fratture.

La riparazione delle fratture è suddivisa in 4 fasi:


• infiammazione (il traumatismo provoca ematoma e infiammazione locale)
• callo morbido (i monconi di frattura sono riassorbiti, la frattura resiste agli stress in accorciamento
ma non in angolazione)
• callo duro (la formazione di TO comincia dove gli stress sono minori)
• rimodellamento (l’osso spugnoso è sostituito da osso lamellare)

SARCOPENIA
Fenomeno multifattoriale che riguarda la progressiva perdita di massa muscolare, concentrata
soprattutto negli aerei inferiori. Legata ad altri meccanismi fisiologici interdipendenti:
• aumento massa grassa
• diminuzione massa magra
• diminuzione temperatura basale
• osteopenia

TO ed il tessuto muscolare sono strettamente connessi. Quando un osso si danneggia/rompe, anche i


muscoli collegati ne risentono poichè condividono un micro ambiente comune e agiscono in sincronia
tramite stimoli esterni e informazioni genetiche.

Con l’invecchiamento si assiste ad una progressiva diminuzione della massa magra e un diminuito
trofismo muscolare che comportano un generale decadimento delle capacità di forza dell’individuo.
Parallelamente al declino della BDM, la massa muscolare decresce del 40% in 20-70 anni. Dopo 60 anni
il deterioramento si fa più consistente con una perdita del 1,4-2,5% ogni anno.

Nel paziente anziano si notano:


• atrofia muscolare con maggiore interesse nelle fibre di tipo II a contrazione rapida
• diminuito calibro delle fibre muscolari scheletriche, CSA dovuta alla diminuzione del numero di
miofibrille e minor contenuto di ATP che provocano diminuite capacità di reclutamento
• diminuzione della forza muscolare e un affaticamento precoce
• diminuzione della vascolarizzazione
• diminuzione dell’elasticità TTM scheletrico per un aumento del tessuto connettivo fibroso
• diminuita capacità di riparazione delle fibre muscolari danneggiate

Nel paziente con sarcopenia si assiste ad una riduzione del numero di cellule satellite e della loro
capacità riparativa. La perdita di potenza (> a carico degli arti inferiori), costituisce uno dei maggiori
rischi di caduta dell’anziano e fattore limitante anche nei movimenti di attività quotidiana.

FRAILITY SYNDROME
Osteopenia e sarcopenia fanno parte della Fraility Syndrome. SDR biologica-clinica caratterizzata da
riduzione delle riserve e della resistenza agli stress provocata dal declino cumulativo di più sistemi
fisiologici, in conseguenza di fattori biologici, psicologici e sociali.

PREVENZIONE
Gli obiettivi di trattamento sono comuni:
• migliorare le caratteristiche qualitative e quantitative del TO
• rallentare il processo patologico
• incrementare la resistenza ai traumi per ridurre il rischio di fratture

Prevenzione primaria:
adozione di comportamenti in grado di ridurre l’insorgenza e lo sviluppo della malattia.
Stile di vita basato su:
• alimentazione corretta
• attività fisica costante
• astinenza dagli alcolici
• cessazione di fumo

Prevenzione secondaria:
diagnosi precoce attraverso la valutazione della BDM e del rischio di fratture.

Prevenzione terziaria:
nei pazienti che hanno già subito una frattura e manifestano clinicamente segni di una fragilità
scheletrica, verrà consigliata:
• terapia farmacologica
• attività riabilitativa
• dieta corretta
• adeguata attività fisica

Lo stile di vita e le abitudini individuali possono essere modificate positivamente a favore di un picco di
massa ossea elevato durante la crescita di un valore di densità ossea adeguata nell’età adulta>:
• alimentazione (incremento delle concentrazioni di calcio, fosforo, sodio)
• esercizio fisico (fondamentale per la prevenzione)
• abitudini voluttuarie

BIOMECCANICA FEMORO - ROTULEA


Forza di reazione femoro rotulea: il vettore risultante della forza del tendine quadricipitale e dalla forza
del tandine rotuleo. All’aumentare della flessione del ginocchio non soltanto aumenta la forza di reazione
ma anche la superficie di contatto della femoro rotulea.

PATOGENESI DANNO CONDRALE PATELLO - FEMORALE


La scelta di un efficace trattamento risiede non solo in una corretta diagnosi, ma sopratutto nell’accurata
identificazione di tutte quelle anomalie anatomiche e biomeccaniche che possono essere causa
d’instabilità femoro-rotulea.
CLASSIFICAZIONE PATOLOGIA ROTULEA
Patologia femoro-rotulea:
• instabilità rotulea obiettiva (displasia trocleare, rotula alta, aumento distanza TA-TG, tilt rotuleo)
• instabilità rotulea potenziale (displasia rotulea, ginocchio valgo, ipertrofia vasto mediale obliquo,
extratorsione tibiale, pronazione sottoastragalica)
• sindromi dolorose rotulee

INSTABILITÀ ROTULEA OBIETTIVA


Ginocchia con instabilità abituali, con almeno un episodio di lussazione-sublussazione in cui è
riscontrabile almeno uno dei fattori predisponenti l’instabilità:
• troclea displasica
• rotula alta
• TAGT patologica
• tilt rotuleo

INSTABILITÀ ROTULEA POTENZIALE


Ginocchia in cui non si è mai verificato un franco episodio di lussazione-sublussazione, ma è presente
almeno uno dei quattro fattori principali di instabilità.

SINDROME DOLOROSA ROTULEA


Ginocchia dolore, in cui non si è mai verificato un episodio di sublussazione rotulea e in cui non è
rilevabile nessuno dei maggiori fattori di instabilità.

IMPORTANZA DELLA VALUTAZIONE


In presenza di un’instabilità obiettiva risulta fondamentale identificare e quantificare i fattori primari di
instabilità secondo la scuola Lionese. Questa valutazione permette di individuare l’associazione di
interventi più indicato nella terapia dei diversi tipi di instabilità.

ANOMALIE ANATOMICHE E BIOMECCANICHE


Principali cause d’instabilità rotulea.

DISPLASIA TROCLEARE
Angolo del solco: formato dalle linee di giunzione tra il punto più profondo del solco intercondiloideo e
il punto punto più alto dei condili femorali mediale e laterale.

ROTULA ALTA
Se la rotula è alta:
• rotula e ginocchio doloroso
• predisposizione a sublussazione e lussazione

Se la rotula è bassa:
• gonalgia persistente e rigidità
• spesso secondaria a retrazione dei tessuti molli o ipertrofia quadricipitale (raramente congenita)

AUMENTO DELLA DISTANZA TA-TG


Il TA-TG misura l’interspazio che separa la gola trocleare dalla tuberosità tibiale anteriore. Un aumento di
tale misura indica la presenza di un ginocchio valgo che sollecita la rotula a sublussarsi all’esterno.

TILT ROTULEO
Inclinazione rotulea: rappresenta l’angolo formato dalla rotula con il piano posteriore dei due condili
femorali.

DISPLASIA ROTULEA
In base alle dimensioni e alla concavità e convessità delle faccette meda le e laterale descriveva tre tipi
di rotula o meglio di configurazioni femoro-rotulee.
GINOCCHIO VALGO
• Aumento angolo Q
• Lateralizzazione della rotula
• Sindrome da iperpressione esterna della rotula

IPERTROFIA VASTO MEDIALE OBLIQUO


Le fibre del VMO si inseriscono sulla rotula con un’inclinazione di 50/55° sul piano frontale.

EXTRATORSIONE TIBIALE
Frequente alla nascita, tipicamente si risolve con l’accresicmento. Una torsione persistente ed eccessiva
può portare a deviazione verso l’interno delle dita e gambe arcuate.

PRONAZIONE SOTTOASTRAGALICA
Piede piatto.

TRATTAMENTO RIEDUCATIVO - MOTORIO


• Controllo del dolore (tecar)
• Stretching IPT
• Correggere iperpronazione (plantari)
• Rinforzo muscolare VMO
• Migliorare tracking rotuleo (tutori, tapes e manipolazione)
• Rinforzo muscolare extrarotatori anca

PROTOCOLLI OPERATIVI
Piano di lavoro individualizzato.

DISPALSIA APPARTO ESTENSORE


L’amento della pressione intrarticolare causa un’inibizione dei muscoli estensori e una facilitazione dei
muscoli flessori. Tutto ciò porta ad una contrattura in flessione.

Protocollo:
Tonificazione VMO
• a catena cinetica chiusa, ROM 0-45°
• a catena cinetica aperta, ROM 0-20° poi aumento graduale

Tonificazione mm. adduttori


• articolazione coxofemorale in RE

Elettro stimolazione

VIZI TORSIONALI
Antiversione del collo femorale ed extratorsione tibiale.

Protocollo antiversione del collo femorale:


Rinforzo mm. extrarotatori dell’anca
• abduzione
• estensione
• rotazione esterna
• step down
• core stability

Protocollo extratorsione tibiale:


Rinforzo mm. interno coscia e sartorio

PRONAZIONE SOTTOASTRAGALICA
Protocollo:
Rinforzo soleo e mm.plantari
ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE
Patologia in costante aumento correlata all’incremento dell’intensità dell’attività sportiva. Uno degli
infortuni più comuni ma più gravi. La rottura del LCA è un grave infortunio che richiede un lungo periodo
lontano dalle competizioni. La percentuale di ritorno all’attività agonistica è compresa tra il 63 e il 94%.

Premessa:
• rottura più in competizione che in allenamento
• popolazione femminile a più alto rischio
• molto spesso lesioni associate
• traumi indiretti (cutting)
• valgo stress

LESIONI DEL LCA NELLA POPOLAZIONE FEMMINILE


Nel calcio, rischio 2.6 volte maggiore rispetto agli uomini:
• cedimento in valgo più frequente
• le dimensioni del LCA sono proporzionali alla forza del quadricipite femorale
• nel LCA recettori degli estrogeni

RISCHIO DI RECIDIVA
La progressa ricostruzione del LCA è un fattore di rischio di recidiva o di lesione del LCA controlaterale.
Si elimina l’instabilità ma diminuisce il rischio di sviluppare future lesioni meniscali a due anni dalla
ricostruzione del LCA del 3%.

Il susseguirsi di studi e ricerche sull’anatomia e cinematica del LCA spinge a proporre la ricostruzione
con doppio fascio.

RITORNO ALLO SPORT


• il 90% dei pazienti ritiene il ginocchio normale
• l’82% dei pazienti riprende a praticare sport
• il 63% ritorna al livello pre infortunio
• solo il 44% torna a sport agonistici

La decisione di permettere ad un atleta di riprendere l’attività sportiva dovrebbe coinvolgere diverse


figure professionali, ma venire basata su fattori intrinseci ed estrinseci. Spesso la decisione viene basata
su criteri soggettivi e poco specifici come “stabilità funzionale” e “normale funzione del ginocchio”.
Quando si parla di criteri oggettivi, invece, i più citati sono:
• tempo trascorso dall’intervento
• forza
• ROM

La causa di abbandono dell’attività sportiva spesso non è legata a problematiche biomeccaniche ma


alla paura del reinfortunio.

FATTORI INTRINSECI
• Risposta biologica
• Lesioni associate
• Variabili anatomiche
• Complicanze
• Motivazione

FATTORI ESTRINSECI
• Tecnica chirurgica
• Tipo di graft
• Programma rieducativo
• Supporti biologici
ANATOMIA
Il LCA non può essere inteso come una singola banda di fibre a tensione costante, ma come una
struttura complessa costituita da due fasci in tensione a seconda del ROM.

BIOMECCANICA
Ogni fascio contribuisce individualmente alla meccanica del LCA. Il fascio AM blocca meglio la
traslazione anteriore della tibia per un range di movimento maggiore durante la flesso-estensione
essendo l’inserzione femorale il centro di rotazione del ginocchio.

Le lesioni del fascio AM sono da attribuire a traumi esplosivi in senso antero-posteriore. Le lesioni del
fascio PL sono da attribuire a movimenti traumatici di pivoting con forza inferiore ma cin importante
componente rotazionale.

CLINICA
• Test di Lachman
• Test del cassetto anteriore
• Pivot Shift

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