Vittorio Alfieri

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VITTORIO ALFIERI

Vita:
Nasce ad Asti il 16 gennaio 1749. Rimane orfano di padre ed è affidato alle cure di un “prete di casa”. Alfieri cresce tra giochi vivaci e spericolati e momenti di solitudine
depressiva, dimostrando già da bambino il carattere malinconico che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Nel 1758 entra nell’Accademia Reale di Torino e diventa portainsegna del reggimento, il senso di disciplina militare non fa che alimentare il suo spirito di ribellione verso
ordini e gerarchie. Seguono anni di viaggi tormentati, più fughe che esperienze, dettati dall’insoddisfazione che provava verso di sé verso gli altri e dalla sua irrequietezza,
viaggia per l’Italia, Milano, Firenze, Roma, Napoli, poi in Francia, Inghilterra, Olanda, Austria, Germania, Russia. Disprezza Parigi, la Prussia gli appare come una “universal
caserma”, a Vienna si rifiuta di incontrare Pietro Metastasio, di cui apprezza la produzione, ma che non tollera in quanto secondo lui si è inginocchiato ai piedi
dell’imperatrice (“genuflessioncella”). Avverso verso il popolo del suo tempo, la vita mondana, il vuoto della società, non è in pace se non davanti ai paesaggi selvaggi e
incontaminati dei paesi nordici, davanti ai quali la sua indole libera e indomabile trova lo specchio del proprio io, possiamo considerarlo, in questo, un precursore del
Romanticismo. Tornato a Torino, rifugge una vita vacua come quella dell’aristocrazia e, insofferente verso l’autorità, si rifiuta incarichi politici-amministrativi; poi, nel 1775,
avviene la sua “conversione letteraria”: la sua prima opera è “Abbozzo del giudizio universale”, una satira contro l’alta società torinese, cui segue la sua prima tragedia
“Antonio e Cleopatra” (ispirata a “Cleopatra” di Giovanni Dolfin e alle “Vite parallele” di Plutarco). L’opera non lo soddisfa per niente, in seguito la definirà “Cleopatraccia”
ma gli fa comprendere che la tragedia è la forma letteraria più congeniale per dare voce al suo irruente e passionale sentire e il successo che la tragedia riscuote (16 giugno
1775) gli infonde “un sì fatto bollore e furore” che mai ebbe un desiderio tanto impetuoso quanto quello di essere un glorioso autore tragico. La scrittura diventa la sua
principale occupazione, ha per lui una funzione tanto catartica quanto politica, in quanto voleva educare il suo pubblico alla libertà e riprende lo studio della letteratura sui
classici italiani e latini. Durante il suo soggiorno a Firenze incontra la contessa Luisa Stolberg d’Albany, donna sposata e amore della sua vita, è con lei in Alsazia, a Parigi ed
è ancora lì quando scoppia la Rivoluzione francese nel 1789. L’entusiasmo che lo coglie inizialmente fa presto spazio alla delusione quando trova nel nuovo governo una
tirannia volgare e plebea che gli fa assumere posizioni conservatrici. Dopo pochi anni, minacciato in quanto nobile, torna a Firenze dove muore nel 1803 “tra un’arrogante
irascibilità e una profonda melanconia” come scrive di lui Ugo Foscolo che fino alla fine cercò di incontrarlo. Viene sepolto nella basilica di Santa Croce a Firenze dove la
contessa d’Albany fece erigere per lui un monumento funebre scolpito dall’artista Antonio Canova.

Opere:
• Tragedie: 19 tragedie (da lui approvate, ad esempio “Antonio e Cleopatra ripudiata), 1775-1786, in endecasillabi sciolti e divise in 5 atti. Nei personaggi, storici o
mitologici, ritroviamo la coscienza contrastata dell’autore nella sua irrequieta ricerca della libertà, tanto concreta quanto, e soprattutto, interiore.
• Ciclo tebano:
• “Polinice” 1781, riprende “La Tebaide” di Stazio e “La Tebaide o i fratelli nemici” di Jean Racine, scontro tra i fratelli Eteocle e Polinice per il trono di Tebe;
• “Antigone” 1783, dall’omonima tragedia di Sofocle;
• Ciclo degli Atridi:
• “Agamennone” 1783, opere di Eschilo e di Seneca, morte eroe da Clitemnestra e il suo amante Egisto;
• “Oreste” 1783, continuo “Agamennone”, Oreste uccide Egisto e la madre Clitemnestra rimanendo per sempre sconvolto dal suo matricidio;
• Argomento romano:
• “Ottavia” 1783, da storico latino Tacito, suicidio di Ottavia dopo che Nerone la ripudiò per sposare Poppea;
• “Bruto primo” 1789, l’ira di Lucio Giunio Bruto che aizza il popolo contro Tarquinio il Superbo decretando la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica;
• “Bruto secondo” 1789, da “Vite parallele” di Plutarco, assassinio di Giulio Cesare e, dunque, il parricidio da parte di Bruto;
• “Tragedie della libertà”:
• “Virginia” 1781, Appio Claudio, uomo violento e autoritario, vuole sposare Virginia, sposa promessa, finché il padre la uccide, preferendo per lei la morte;
• “Timoleone” 1783, Timoleone congiure contro il fratello Timofane, tiranno di Corinto, per restituire la libertà alla città, quando questi sta per morire perdona il
fratello;
• “La congiura de’ Pazzi” 1788, da “Istorie fiorentine” di Machiavelli, congiura contro i Medici;
• Capolavori: emerge la sua più intima scissione tra desiderio di amore e pulsione di morte,
• “Saul” 1782, tratto dalla Bibbia, il protagonista è Saul, anziano re d’Israele, che sta gradualmente perdendo la fiducia del popolo. Dopo che egli ha risparmiato un
nemico sconfitto, il profeta Samuele consacra nuovo re il giovane e carismatico Davide ma Saul, sentendosi minacciato da lui, lo accusa di tradimento e lo bandisce
dal regno e, riammesso, lo scaccia di nuovo. Cade preda di una follia e di una paura suscitate dal suo stesso animo e che nulla può placare, si isola nella più completa
solitudine, malvisto dal suo popolo e dai suoi famigliari, anche dalla figlia Micol, e, sfruttando l’ultima luce di lucidità, non vede altra via d’uscita se non la morte.
Figura eccezionale nel teatro alfieriano, Saul è allo stesso tempo vittima e tiranno, al centro della tragedia c’è l’analisi dell’interiorità del protagonista, incapace di
accettare i propri limiti e di rispettare i dettami divini, lacerato da paure e contraddizioni, di una profondità psicologica che anticipa i complessi eroi romantici;
• “Mirra” 1784, da un lato riprende il mito raccontato da Ovidio nelle “Metamorfosi”, dall’altro sconvolge la visione classica del racconto. La Mirra ovidiana è tanto
eloquente e determinata quanto quella alfieriana si chiude nel proprio silenzio, Mirra è innamorata del padre Ciniro ma se la prima comprende l’orrore dei suoi
sentimenti e cerca energicamente di allontanarli, la seconda è incapace di confidare i suoi desideri e li reprime, decide, allora di sposare Pereo sperando di scongiurare
i sentimenti orrendi ma quando Ciniro scopre la verità la figlia si getta sulla spada del padre preferendo la morte alla vergogna dei sentimenti incestuosi. L’azione della
tragedia è piuttosto scarna in quanto tutto il dramma si consuma nell’interiorità di Mirra, la sua è una battaglia intima e che vive in una tragica solitudine. La
repressione e l’occultamento dei sentimenti vengono spinti fino alla loro punta culminante: il suicidio, visto come una liberazione. La donna suscita anche una certa
compassione, appare innocente nella sua giovinezza e nella sua disperazione, nella lotta interiore di un sentimento che è contro natura.
• Trattati politici:
• “Della tirannide”, 2 libri, scritto nel 1777 ma stampato 3 anni dopo. 1=analisi della tirannide. 2=vita di chi è sottoposto alla tirannide e non si rende conto della violenza
che subisce, solo i più virtuosi possono alimentare l’amore per la libertà. Le tirannidi moderne sono ancora più pericolose di quelle antiche perché si mascherano da
poteri illuminati. Il tirannicidio può sembrare una soluzione ma non porterebbe alla Repubblica, solo ad un’altra tirannide;
• “Del principe e delle lettere”, 3 libri, scritto tra il 1778 e il 1786. Analizza rapporto tra cultura e potere. Per Alfieri l’artista dovrebbe essere indipendente dalle istituzioni
politiche perché egli possa ricercare liberamente la verità. I principi fingono di proteggere gli artisti ma in realtà vogliono sottometterli, pensa, invece, che debbano essere
liberi dal bisogno economico in una concezione aristocratica del letterato;
• “Rime”: raccolta, pubblicata nel 1789, di 351 poesie, divise per genere metrico, principalmente sonetti. I temi dominanti sono l’autoritratto, l’analisi dell’io, la
rappresentazione di sé come una personalità estrema ed eroica, e l’amore, di matrice petrarchesca ma con uno stile più aspro;
• “Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso stesso”, 1790, autobiografia.
• “Misogallo” (“Colui che odia i francesi”) 1799, caricaturale invettiva in prosa e versi contro il “mostruoso governo” giacobino, incapace e tirannico, derivato dalla
degenerazione della Rivoluzione francese;
+ “Abbozzo del giudizio universale”, testo satirico giovanile; Cospicuo epistolario; “Giornali”, appunti in francese e in italiano di vario genere; 6 commedie; 17 “Satire” in
terza rima.

Temi:
Alfieri riconosce di avere un’affinità di temperamento con gli eroi tragici e riconosce nella tragedia il genere che più è conforme a quell’idea di arte elitaria che aveva sempre
coltivato. Se il teatro italiano era allora dominato da Carlo Goldoni, lui segue Jean Racine, preferendo, però, trame lineari con grande penetrazione psicologica che mette in
luce i conflitti interiori dei personaggi fino alla morte, vista come una salvezza e una liberazione. Quelli di Alfieri sono Eroi del Dissidio, è una lotta tra forze inconciliabili,
estranei a ogni compromesso, la loro ricerca di libertà si vede nella loro volontà di ribellione verso la natura e i limiti umani e il suicidio è la massima espressioni della libertà.
Da qui il rifiuto di ogni costrizione, Alfieri non mette in dubbio l’autorità ma è insofferente verso i limiti che esso impone; parlando di tirannide guarda alle monarchie
assolute del ‘700 ma intende tutti quei regimi che annichiliscono la libertà dell’individuo, generando paura e terrore, ciò non inteso come una battaglia politica, piuttosto come
la lotta contro un potere crudele e oppressore di cui la figura del tiranno è incarnazione. Non è nel popolo “turpissimo armento” che si trova la chiave per sconfiggere la
tirannide, bensì nel “forte sentire” di pochi individui eccezionali che col tirannicidio o col suicidio preferiscono la morte a una vita di schiavitù. Riconosciamo la posizione
ideologica di un aristocratico dell’Antico Regime. Rimane pressoché lontano dalla riflessione politica illuminista, mentre il suo individualismo e titanismo lo avvicinano alla
sensibilità romantica. Dell’Illuminismo rifiuta anche la concezione del letterato come riformatore e collaboratore del potere, è uno scrittore eroe, artista libero e indipendente,
controcorrente e spesso incompreso, condannato alla solitudine ma per lui è un privilegio: un isolamento che è una rivendicazione di unicità, cosa che parte già dalla scelta del
genere tragico. Si sente circondato da un’aristocrazia incapace di aggiornarsi e non riesce a farsi interprete delle spinte riformistiche della borghesia. Supera il razionalismo
settecentesco e si dedica a una letteratura soggettiva al cui centro stanno gli aspetti esistenziali e psicologici del personaggi, il loro individualismo e gli slanci titanici. La
brama di libertà diventa, al tempo stesso, un desiderio di affermazione di sé, fermata, però, da leggi e vincoli che generano un senso di impotenza e incapacità di vivere,
insieme ad una profonda malinconia, in un senso di vuoto e di solitudine. Nella struttura e nello stile riprende i modelli del passato, rispetta le unità aristoteliche creando
drammi compatti con un intreccio essenziale. Lo stile è aulico e ricercato e la sintassi è articolata, dominata contrasti e da enjambement.

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