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8. Ecker, Einige Bemerkungen über einen schwankenden Charakter in der
Hand der Menschen. (Archiv., für Anthropologie), Mantegazza, Della
lunghezza relativa dell’indice e dell’anulare. (Archivio per l’Antropologia e
l’Etnologia, vol. 7, Firenze 1877, pag. 19).

9. B. Seemann, On the Anthropology of Western Eskimo Land etc. (Journ. of


the anthrop. society 1864, pag. CCCIII).

10. Knud Leem, op. cit., pag. 101.

11. Knud Leem, op. cit., pag. 109.

12. Leem racconta di aver percorso in una slitta lappone 88 chilometri nello
spazio di sei ore.

13. In Kautokeino ed Enare diverse famiglie di lapponi hanno una razza di


cani che nascono senza coda. Naturalmente non è una razza propria, ma
quella particolarità proviene in origine da ciò che per dei secoli,
generazione dopo generazione, si è tagliato loro la coda finchè alcuni
individui finalmente nascessero senza. Questo è talmente inerente alla
razza adesso, che cani di quella razza, anche accoppiati con cani colla
coda producono dei piccoli che ne sono privi.

14. L’abbiamo fotografato. Ebeltoft ci diceva che aveva duemila renne e


4000 sp. daler alla banca.

15. È bello raffrontare il carattere dei ciukci con quello dei lapponi. Anche
quei fratelli orientali dei nostri buoni amici di Scandinavia sono benevoli,
teneri in famiglia; nè ladri, nè omicidi. Se date ad un bambino un dolce
o una leccornia qualunque, invita fratellini ed amici a dividere il dono
con essi. Nulla assaggiano i figliuoli senza prima offrire ai genitori e
ottenere licenza di mangiare. Quei poveri fanciulli a sette od otto anni
incominciano a seguire le carovane, che vanno alla pesca della foca, a 9
o 10 anni guidano già un equipaggio di sette od otto cani; a 13 o 14
hanno già un arpone, una lancia ed un arco, armi che non poseranno
più fino all’ultimo respiro. Son gente allegra e felice. I ciukci sono molto
ospitali e un tempo offrivano le loro donne al loro ospite. Ciò non
avviene più, benchè si debba dir che le donne ciukce non conoscono
affitto il pudore.
Anche i ciukci amano poco la musica e non hanno altri strumenti
musicali che un tamburo fatto colla vescica di foca ed una viola ad una
corda. Conoscono poche canzoni con ritornelli monotoni e dolci. Le sole
ragazze ballano e la loro danza consiste in piccoli salti, ora a destra ed
ora a sinistra, storcendo orribilmente gli occhi e gemendo e soffiando
come le loro belve e i loro cetacei.
Molte analogie esteriori si trovano fra i nostri lapponi e i ciukci. Anche
questi portano nell’inverno due vesti di pelliccia, una col pelo all’infuori,
l’altra col pelo all’indentro. Anch’essi, quando riposano, sogliono con un
rapido movimento ritirare un braccio o ambedue le braccia dalle
maniche, onde riscaldarle meglio. Anch’essi non abbandonano mai il
coltello, la pipa e la borsa di tabacco. Il nostro Bove vide più d’una volta
ciccare le donne dei ciukci e i bambini lasciare il capezzolo materno per
prendere in bocca la pipa.

16. Lo schizzo psicologico che abbiam dato dei lapponi sarà giudicato da
taluno un po’ prolisso; ma noi speriamo che il ritratto sia rassomigliante.
In questi casi la concisione è sempre a scapito della verità e basterebbe
a provarlo il quadro dato dall’illustre Castren: «Son gente lenta,
malinconica e burbera. Sono accusati di invidia, di implacabilità, di
scaltrezza e di altri vizii inerenti a questo carattere. Si lodano invece per
il loro animo mite, per il loro buon volere, per essere servizievoli ed
ospitali, per il loro timor di Dio e la loro continenza.» È questo un ritratto
che può servire per molti altri popoli!

17. Fra gli altri Valdemar Schmidt combatte la credenza che i lapponi
abbiano abitato la Danimarca all’epoca della pietra.
Nel nord della penisola scandinava non si trovano dolmen e i cranii dei
dolmen danesi sono molto diversi da quelli dei lapponi. Le Danémark à
l’Exposition universelle. Paris, 1868, in-8.

18. J. A. Friis, Lappiske sprogpröver. En samling of lappiske eventyr,


ordsprog og gaader, med orbog. Christiania, 1856.

19. Scheffer, Lapponia. Francofurti, 1673, pag. 282.

20. Eppure un passo del Kalevala, l’antico poema epico dei finni, avrebbe
dovuto farci cercare i canti lapponi. Là dove Lemmin-Käine narra il suo
arrivo alla casa di Pohjola in Lapponia, si legge (Canto XII):

La stanza era piena di maghi


I cantori erano seduti sulle panche
Gli uomini sapienti presso la porta
Gli indovini sulla prima panca
Gli scongiuratori presso la stufa;
Tutti cantavano canti lapponi.
. . . . . . . . . . . . . . . . .
Come è noto il Kalevala non fu raccolto dalla bocca del popolo che sul
principio di questo secolo.

21. O. Donner, Lieder der Lappen. Helsingfors, 1876.

22. Lästadius riferì a Marmier una vecchia leggenda lappone, nella quale
una madre mangia il bambino della propria figlia.

23. Deserti della Siberia.

24. Questi versi suonano anche in lappone dolcissimi:

Nabbudalla cabbudalla
Nammositis nalkutalla
Vuoinumitis vilutalla.

25. Sarakka era la Dea, che presiedeva all’allevamento dei figli.

26. Sul valore dei tre nodi delle castità Van Düben dice: «Sanguis in coitu
primo effusus lavando colligitur in linteolo et adservatur; nodi tres in tali
linteolo facti nodi virginitatis appellantur et de his in poemata loquitur.»

27. Questi ultimi versi furono aggiunti modernamente al poema antico.

28. Non si deve intendere però che si parli di elmo di ferro, ma solo di
cappello da guerra. Donner crede che questo canto sia tanto antico da
giungere al di là dell’epoca del ferro.

29. La moglie di Stalu è chiamata Ludac (cimice), perchè essa succhia con
una canna di ferro il sangue dal corpo degli uomini.

30. Si chiamano con parola vezzeggiativa di civetta i piccoli bambini perchè


aprono grandi i loro occhi per guardare.

31. Una regione della Finlandia settentrionale.

32. Il Frijs, fa precedere le sue novelline da una pittoresca descrizione della


vita intima dei lapponi nomadi:
«È specialmente fra i nomadi che ancora si raccontano di queste favole.
Se le raccontano da generazione in generazione nelle lunghe, chiare
notti d’estate accanto all’accampamento nel bosco, o nelle oscure serate
d’inverno intorno al focolare, quando la tenda è impiantata sulle deserte
pianure di neve dell’altipiano.
«Diamo uno sguardo all’interno di una di queste tende in una serata
d’inverno. Là dietro al Boasshjo, l’ultima divisione della tenda, proprio
dietro il focolare, sta seduta una vecchia nonna col viso grinzoso e bruno
come una indiana, fissando il fuoco coi suoi occhi rossi e lacrimosi. In
bocca tiene una pipa, il cui corto tubo sparisce interamente tra le sue
labbra sottili. Essa con voce seria racconta le storie dei tempi passati.
Intorno ad essa stanno seduti rannicchiati colle gambe in croce alcuni
bambini, che ascoltano il racconto con avida attenzione, mentre il figlio e
la nuora stan seduti nel Loaiddo, cioè nella divisione al lato del fuoco e
lavorano lui ad un cucchiaio di corno di renna, lei ad un komagband
(nastro col quale al malleolo si lega la scarpa e il pantalone), che si
tesse con uno strumento molto primitivo che s’impiegava nei tempi
passati anche in Norvegia.
«A un tratto può essere disturbata la quiete dai cani, che fin lì erano
rimasti rincantucciati in qualche angolo della tenda, ma che ora ad un
tratto si precipitano abbaiando fuori della porta della tenda. Vi deve
essere qualcosa di nuovo. Può essere uno dei servi che la notte doveva
stare a guardia delle renne, che arriva col grido il più terribile per il
lappone: Gumpe lae botsuin! (Il lupo è tra le renne!). Tutti quelli che
possono mettersi i ski (pattini) allora saltan su e corrono per salvare
quel che si può ancora salvare. — Può essere un viaggiatore. Per esso
l’abbaiar dei cani è sempre un grato suono, perchè è sicura prova che
non è lontana una capanna di lapponi. Per quanto ristretta sia, essa gli
darà un riparo al freddo e al vento, che soffia sul deserto di neve
dell’altipiano. Gli vien dato subito il posto migliore presso al focolare
ospitale del Fjeldlappe, e senza esserne richiesta viene spesso una delle
donne a levargli i komager (le scarpe) e a dargli nuovo fieno morbido e
asciutto. Forse anche avrà del buon brodo e della carne di renna. — Può
anche essere stato un falso allarme. Il marito che è andato fuori dietro
ai cani non può scorger nulla: sarà stato l’odore di qualche animale
minore che avrà dato l’allarme ai cani. Tutto è tranquillo e non vi è
nessun pericolo. Il marito rientra nella capanna e con lui i cani: questi
cercano di prendersi con mille furberie il posto l’uno all’altro, e
finalmente si rimettono alla cuccia brontolando. Ognuno riprende le
proprie occupazioni, e la vecchia nonna ritrova il filo della sua
narrazione, che spesso è lunga quanto le lunghe e buie serate
dell’inverno.»

33. Lo stesso Knud racconta come alcune vecchie da lui conosciute


continuassero, benchè cristiane, a prestar culto ad idoli antichi. Vi fu
quindi, benchè fugacissima, anche tra essi un’epoca di transizione, nella
quale si poteva dire che servissero due dèi: «Praeter faedam illam et
abominandam, cui olim dediti erant lappones, idolatriam, verum et
trinum Deum, in cujus nomen baptizati erant, cujus verbum audiebant,
cujus sacramentis utebantur, colere etiam videri volebant; priscis
Samaritanis non dissimiles, qui verum Israelis Deum et vicinarum
gentium ficta numina junctim et promiscue adorabant.»

34. I lapponi non hanno capito che la parte più grossa e più superficiale
della religione cristiana. Von Buch racconta al principio di questo secolo,
che essi si accostavano alla Comunione con molta frequenza, ma
soltanto perchè la riguardavano come una specie di sortilegio, che li
preservava dall’influenza degli spiriti maligni. Non è ancora molto tempo,
dice egli, ch’essi portavano alla Chiesa un panno bianco, e vi
inviluppavano con grandissima cura il pane santo, che dividevano poi
alle loro case in una quantità di piccoli pezzi, che davano poi ai loro
rangiferi per difenderli da ogni pericolo.

35. Mantegazza, Quadri della natura umana. Milano, 1871, vol. II, pag. 317.

36. Manoscritto di Naerö, pag. 11-13.

37. Quando a Mace cercavo l’antico cimitero trovai sopra un’area estesa
delle depressioni regolari nel suolo, delle quali non capivo l’origine. La
mia guida non sapeva neppure cosa fossero, ma suggerì che potessero
essere i luoghi dove i lapponi costruivano le loro capanne; egli
supponeva che avessero scavato la terra, perchè non elevandosi i tetti al
disopra degli alberi non si potessero vedere da lontano poichè, mi
diceva, anticamente il paese era sempre soggetto alle scorrerie dei russi,
ed i lapponi cercavano più che potevano di nascondersi, spegnendo i
loro fuochi, perchè non se ne vedesse il fumo quando sapevano che il
russo era vicino. Non so se questa spiegazione valga, ma prova per lo
meno che esiste ancora tra i lapponi la memoria delle incursioni dei loro
vicini e delle astuzie a cui dovevano ricorrere per nascondersi. In quanto
al nome di russi, è probabile che abbia sostituito quello di qualche
popolo, come: tchudi, kareli o altri, essendo oggi i russi i soli vicini
temibili che abbiano.
La voce cutte dal significare Tschudi è passata nella lingua lappone a
significar nemici.

38. Questa credenza delle mosche ganiche è nata sicuramente da qualche


infezione prodotta dalle punture di una mosca, che aveva assorbito il
virus di un animale domestico o selvaggio malato di pustola maligna.
39. Questa superstizione si trova sotto forme poco diverse presso popoli
delle più lontane parti del mondo ed è giunta fino a noi e tra noi
coll’impiccamento in effigie.

40. Di questo libro esiste un’edizione latina, che porta la stessa data
dell’edizione bilingue: Leemius (Canutos). De Lapponibus Finmarchiae,
eorumque lingua, vita et religione pristina, cum notis J. E. Gunneri.
Abbiamo pure una traduzione tedesca stampata a Lipsia nel 1771, in-8.
Lo stesso Leem ha pubblicato una grammatica e un dizionario della
lingua lappone.
Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state


mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori
tipografici.
Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico
dominio.
*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK UN VIAGGIO IN
LAPPONIA COLL'AMICO STEPHEN SOMMIER ***

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