Vai al contenuto

Alcimo (storico): differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Italica: completo Alcimo.
 
(48 versioni intermedie di 27 utenti non mostrate)
Riga 1: Riga 1:
{{Bio
{{Bio
|Nome = Alcimo
|Nome = Alcimo da Messina
|Cognome =
|Cognome =
|Sesso = M
|Sesso = M
|LuogoNascita =
|LuogoNascita = Messina
|GiornoMeseNascita =
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita =
|AnnoNascita = IV secolo a.C.
|LuogoMorte =
|LuogoMorte =
|GiornoMeseMorte =
|GiornoMeseMorte =
|AnnoMorte = ?
|AnnoMorte = ?
|Epoca =
|Epoca = -300
|Epoca2 = -200
|Attività = storico
|Attività = storico
|Nazionalità = siceliota
|Nazionalità = siceliota
|FineIncipit = è stato uno [[storico]] [[siceliota]], probabilmente il primo tra gli storici della sua epoca ad aver posto in relazione la figura di [[Enea]] con quella di [[Romolo]].
|PostNazionalità =
|FineIncipit = è stato uno [[storico]] [[siceliota]] vissuto intorno al [[IV secolo a.C.]]
}}
}}


== Biografia ==
== Biografia ==
Viene considerato problematico stabilire se l'Alcimo [[retore]], allievo del megarese [[Stilpone]], attivo tra il IV e III sec. a.C. e descritto da Diogene come «il primo tra tutti i retori di Grecia»<ref>Diogene Laerzio, II, 114.</ref>, e l'Alcimo, [[storiografo]], attivo nel IV secolo a.C., fossero la medesima persona o se si trattasse piuttosto di due distinte personalitàː si è più propensi a considerarli in maniera separata, ma non sembra possibile stabilirlo con certezza.<ref>Propendono a considerarli due persone differenti il {{Cita|Goulet, 1994|p. 111}}; {{Cita|Brunet de Presle, Pastoret, 1856|p. 280}}, n. 1; {{Cita|Vattuone, 2002|p. 173}}.</ref>
=== Vita e opere ===
==== Alcimo in Ateneo e in Diogene ====
Viene considerato problematico stabilire se l'[[Alcimo (retore)|Alcimo]] [[retore]], allievo del megarese [[Stilpone]], attivo tra il IV e III sec. a.C. e descritto da Diogene come «il primo tra tutti i retori di Grecia».<ref>Diog. Laert. II, 114.</ref>, e l'Alcimo, [[storiografo]], attivo nel IV sec. a.C., fossero la medesima persona o se si trattasse piuttosto di due distinte personalità.


Inoltre, un passo controverso di Ateneo ha portato alle volte a definire Alcimo in maniera inesatta come nativo di [[Messene]]/[[Messina]], mentre in realtà nel frammento in questione è lo storico siceliota che individua in Messene il luogo di nascita del personaggio che in quel momento sta trattando:
Si è più propensi a considerarli in maniera separata, ma non sembra possibile stabilirlo con certezza.<ref group=N>La critica moderna si divide a tal proposito. ''Aevum antiquum'', Volumi 1-2, 1988, p. 90: {{Citazione|a proposito del retore Alcimo, discepolo del Megarese: «...i discepoli di Stilpone rimasti, tra i quali c'era anche il retore Alcimo, scolaro di Stilpone: 'Voi, o insensati - disse (Metrocle) - (perché?) rendete onore a questo (ragazzo) come se fosse qualcuno?|}} Propendono a considerarli due persone differenti il {{Cita|Goulet, 1994|p. 111}}; {{Cita|Brunet de Presle, Pastoret, 1856|p. 280}}, n. 1; {{Cita|Vattuone, 2002|p. 173}}. Tuttavia non è raro incontrare testi in cui l'Alcimo retore e l'Alcimo storico vengano considerati come un unico personaggio: ad esempio il filologo classico [[Hermann Diels]] in ''I frammenti dei presocratici tradotti'' (ed. 1958) così descrive Alcimo: {{Citazione|Dei frammenti attestati per mezzo di Alcimo, scolaro di Stilpone, nei suoi quattro libri ad Aminta (di Eraclea, scolaro di Platone, Ind. ac. [...]|}}</ref>


{{Citazione|Alcimo, nella sua ''Storia della Sicilia'', afferma che a Messene, su quell'isola [in Sicilia], nacque [[Botri di Messina|Botri]], autore di alcune Bagattelle simili a quelle attribuite a Salpa. Il frammento completo inizia con il confrontare il racconto di Alcimo con quello di [[Ninfodoro di Siracusa]], il quale afferma nella sua ''Navigazione intorno all'Asia'', che a [[Lesbo]] vi fu una poetessa di nome [[Salpa di Lesbo|Salpa]], autrice di alcuni libri intitolati ''Paignia''. Allora Ateneo riferisce che, secondo Alcimo, a Messene (Messina), sull'isola di Sicilia vi era un certo Botri (il cui sesso in realtà non è di facile comprensione) autore anch'egli (o inventore) di queste opere attribuite alla Salpa di Ninfodoro<ref>F. De Martino, ''Poetesse greche'', Bari, Levante, 2006, p. 282 e R. Vattuone, ''Storici greci d'Occidente'', Bologna, il Mulino, 2002, p. 150, che afferma che "Salpa" era in realtà il soprannome del poeta [[Mnasea di Locri]]</ref>||lingua=}}
Inoltre, un passo controverso di Ateneo, ha portato alle volte a definire Alcimo in maniera inesatta come nativo di [[Messene]]/[[Messina]], mentre in realtà nel frammento in questione è lo storico siceliota che individua in Messene il luogo di nascita del personaggio che in quel momento sta trattando, tramite lo scritto posteriore di [[Ateneo di Naucrati]]:
{{Citazione|Alcimo, nella sua ''Storia della Sicilia'', afferma che a Messene, su quell'isola [in Sicilia], nacque [[Botri di Messina|Botri]], autore di alcune Bagattelle simili a quelle attribuite a Salpa<ref group=N>Il frammento completo inizia con il confrontare il racconto di Alcimo con quello di [[Ninfodoro di Siracusa]], il quale afferma nel suo ''Navigazione intorno all'Asia'', che a [[Lesbo]] vi fu una poetessa di nome [[Salpa di Lesbo|Salpa]], autrice di alcuni libri intitolati Bagattelle. Allora Ateneo riferisce che secondo Alcimo, a Messene (Messina), sull'isola di Sicilia vi era un certo Botri (il cui sesso in realtà non è di facile comprensione) autore anch'egli (o inventore) di queste Bagattelle (Paigna: genere lettarario giocoso o memorie in prosa) attribuite alla Salpa di Ninfodoro. Vd. F. De Martino, ''Poetesse greche'', 2006, p. 282 e R. Vattuone, ''Storici greci d'Occidente'', 2002, p. 150: dove si afferma che "Salpa" era in realtà il soprannome del poeta [[Mnasea di Locri]].</ref>|Ateneo, 322 A, trad. a cura di C. D. Yonge, B.A., ''Athenaeus'', vol. 2, 1854, p. 506.<ref group=N>Un'altra versione nota del passo controverso di Ateneo è generalmente questa:
{{Citazione|Alcimus, nuovamente, conferma nella sua Storia di Sicilia che l'ideatore di bazzecole simili a quelle attribuite a Salpa, nacque a Messene, situata di fronte l 'isola di Botrys|Ateneo, 322 A, trad. a cura di Carubia, 1996, p. 161}}</ref>|Ἄλκιμος δ᾽ ἐν τοῖς Σικελικοῖς ἐν Μεσσήνῃ φησὶ τῇ κατὰ τὴν νῆσον Βότρυν γενέσθαι εὑρετὴν τῶν παραπλησίων παιγνίων τοῖς προσαγορευομένοις Σάλπης|lingua=grc}}


[[File:Pictorial history of Epicarmo,poet and writer.jpg|miniatura|Epicarmo, trattato in alcuni frammenti ''Ad Aminta'']]
Nonostante non si conosca la data e il luogo di nascita di Alcimo, grazie a dei frammenti di Ateneo si può stabilire con precisione che egli sia stato uno storico siceliota:
{{Citazione|Alcimo il siceliota, nel libro intitolato Ἰταλική, dice che in Italia tutte le donne non bevono vino per codesta ragione|Athen. X, 441<ref>Trad. ita: {{Cita web|url=http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/3187/822842-1167013.pdf?sequence=2|titolo=Analisi linguistica dei frammenti ‘ex Alcimo’ di Epicarmo e la tradizione degli Pseudepicharmeia|accesso=28 giugno 2015}}, p. 52, n. 171.</ref>|Ἄλκιμος δ´ ὁ Σικελιώτης ἐν τῇ ἐπιγραφομένῃ τῶν βίβλων Ἰταλικῇ πάσας φησὶ τὰς ἐν Ἰταλίᾳ γυναῖκας μὴ πίνειν οἶνον ἀπὸ τοιαύτης αἰτίας·|lingua=grc}}
[[File:Pictorial history of Epicarmo,poet and writer.jpg|miniatura|Epicarmo, la cui figura è al centro dell'opera di Alcimo ''Ad Aminta'']]
[[Diogene Laerzio]] lo cita più volte, ricordando i suoi frammenti su [[Epicarmo|Epicarmo siracusano]], descrivendo l'accusa di plagio che egli rivolge a [[Platone]]. Lo storico [[greco antico]] nella ''Vite dei filosofi'' riporta le parole di Alcimo riguardo ad un pensiero filosofico incentrato nel rendere a sua volta, cioè a porre al centro del suo discorso, il pensiero platonico.


Alcimo infatti viene spesso considerato una fonte [[Dossografia|dossografica]] per comprendere le idee platoniche. Il Gaiser sottolinea che la conoscenza dossografica che dimostra Alcimo implica una sua acquisizione di nozioni sulle dottrine orali del filosofo [[ateniese]]<ref group=N>R. Radice, ''Platonismo e creazionismo in Filone di Alessandria'', 1989, pp. 276-277: lo storico ritiene che Alcimo in queste sue parole riprendesse il pensiero di un qualche Accademico, ed egli lo individua nella persona di [[Senocrate]]; vedendo nei due delle similitudini terminologiche. Per Alcimo fonte dossografica vd. anche Konrad Gaiser, ''La metafisica della storia in Platone: con un saggio sulla teoria dei principi e una raccolta in edizione bilingue dei testi platonici sulla storia'', 1991, p. 38; C. J. de Vogel, ''Ripensando Platone e il platonismo'', 1990, p. 187: la quale vede delle similitudini con il pensiero di [[Aristotele]].</ref>:
[[Diogene Laerzio]] lo cita più volte, ricordando i suoi frammenti su [[Epicarmo]], riportando l'accusa di plagio che egli rivolge a [[Platone]], riguardo ad un pensiero filosofico incentrato nel rendere a sua volta, cioè a porre al centro del suo discorso, il pensiero platonico. Alcimo infatti viene spesso considerato una fonte [[Dossografia|dossografica]] per comprendere le idee platoniche. Il Gaiser sottolinea che la conoscenza dossografica che dimostra Alcimo implica una sua acquisizione di nozioni sulle dottrine orali del filosofo [[ateniese]]<ref>Per Alcimo fonte dossografica cfr. Konrad Gaiser, ''La metafisica della storia in Platone: con un saggio sulla teoria dei principi e una raccolta in edizione bilingue dei testi platonici sulla storia'', 1991, p. 38; C. J. de Vogel, ''Ripensando Platone e il platonismo'', 1990, p. 187</ref>:


{{Citazione|Inoltre, dice Alcimo quel che segue: Dicono i sapienti che l'anima alcune cose senta per mezzo del corpo in quanto sente e in quanto vede, altre da se stessa discerne per nulla servendosi del corpo; perciò le cose che sono si distinguono in sensibili e intelligibili.|Diogene Laerzio, III, 12-13, trad. a cura di [[Mario Gigante|M. Gigante]]|Ἔτι φησὶν ὁ Ἄλκιμος καὶ ταυτί· « Φασὶν οἱ σοφοὶ τὴν ψυχὴν τὰ μὲν διὰ τοῦ σώματος αἰσθάνεσθαι οἷον ἀκούουσαν, βλέπουσαν, τὰ δ' αὐτὴν καθ' αὑτὴν ἐνθυμεῖσθαι μηδὲν τῷ σώματι χρωμένην· διὸ καὶ τῶν ὄντων τὰ μὲν αἰσθητὰ εἶναι, τὰ δὲ νοητά.|lingua=grc}}
{{Citazione|Inoltre, dice Alcimo quel che segue: Dicono i sapienti che l'anima alcune cose senta per mezzo del corpo in quanto sente e in quanto vede, altre da se stessa discerne per nulla servendosi del corpo; perciò le cose che sono si distinguono in sensibili e intelligibili.|Diogene Laerzio, III, 12-13, trad. a cura di [[Mario Gigante|M. Gigante]]|Ἔτι φησὶν ὁ Ἄλκιμος καὶ ταυτί· « Φασὶν οἱ σοφοὶ τὴν ψυχὴν τὰ μὲν διὰ τοῦ σώματος αἰσθάνεσθαι οἷον ἀκούουσαν, βλέπουσαν, τὰ δ' αὐτὴν καθ' αὑτὴν ἐνθυμεῖσθαι μηδὲν τῷ σώματι χρωμένην· διὸ καὶ τῶν ὄντων τὰ μὲν αἰσθητὰ εἶναι, τὰ δὲ νοητά.|lingua=grc}}


Mentre non si conosce quasi nulla delle sue origini, in base alle sue opere letterarie si è potuta ipotizzare l'epoca nella quale questo storico visse: quasi sicuramente verso la fine del V sec. a.C. e tra gli inizi e la metà del IV sec. a.C.<ref>Tra gli altri [[Eugenio Manni]], ''Sikelika kai Italika: scritti minori di storia antica della Sicilia e dell'Italia meridionale'', Volumi 1-2, 1990, p. 518.</ref> A suffragare la sicurezza che gli studiosi hanno nel datare le sue opere, vi è anche il fatto che proprio la prima metà del IV secolo a.C. risulta essere un periodo fondamentale per la nascita di racconti mitici associati alle origini di popoli e città<ref>Lo storico Gabba ad esempio descrive così l'epoca in cui visse Alcimo:
{{Citazione|È proprio nell'età fra IV e III secolo che si posero i fondamenti del ripensamento romano sulla storia della città, che diverrà poi racconto storiografico alla fine del II secolo, sotto l'urgenza del problema politico di controbattere la storiografia filopunica e filoannibalica.|[[Emilio Gabba]], ''Roma arcaica: storia e storiografia'', 2000, p. 58}}</ref>: ed essendo egli autore della prima narrazione mitica sulle origini di [[Roma]], lo si ritiene personaggio significativo dell'epoca in questione.


Ulteriore collegamento tra le opere del siceliota e il suddetto periodo sarebbero i rapporti, probabili, che egli ebbe con la corte letteraria del tiranno di [[Siracusa]] [[Dionisio I]], che viene indicato dalle fonti moderne come il «primo nel mondo ellenico ad aver elaborato mitiche parentele tra etnie greche e barbare»,<ref>L. Braccesi, ''L'Alessandro occidentale: il Macedone e Roma'', 2006, p. 60.</ref> e del suo erede [[Dionisio II]].[[File:Sword of Damocles, 1, (Herbert Gandy).jpg|miniatura|Dionisio (I o II) e la sua corte nel particolare del dipinto di Herbert Gandy ''Sword of Damocles'']]
==== Datazione delle sue opere ====
Pur non essendo noto il luogo di nascita di Alcimo, egli viene spesso individuato dagli studiosi moderni come uno storico, o uno storiografo, siracusano<ref>Così N. Cambi-B. Kirigin, ''Greek influence along the East Adriatic Coast'', Knizevni Krug, 2002, p. 80.</ref>, questo perché si suppone la sua vicinanza alla corte dei [[tiranni di Siracusa]] in [[età dionigiana]].
Mentre non si conosce quasi nulla delle sue origini, in base alle sue opere letterarie si è potuta ipotizzare l'epoca nella quale questo storico visse: quasi sicuramente verso la fine del V sec. a.C. e tra gli inizi e la metà del IV sec. a.C.<ref>Tra gli altri [[Eugenio Manni]], ''Sikelika kai Italika: scritti minori di storia antica della Sicilia e dell'Italia meridionale'', Volumi 1-2, 1990, p. 518. e D. R. Shackleton Bailey, ''Harvard Studies in Classical Philology'', </ref>


Sono diversi gli accorgimenti che fanno tendere la critica moderna a porre Alcimo al fianco dei due tiranni. Anzitutto l'argomento delle sue opere: Platone e le origini di Roma sono due temi che toccano da vicino il periodo più acceso della tirannide dionisiana. In secondo luogo, essendo egli siceliota, ed essendo il periodo nel quale visse fortemente influenzato dal dominio siracusano su gran parte della Sicilia, è logico dedurre che possa aver fatto parte della corte dionisiana: notoriamente frequentata da artisti e letterati provenienti da diverse località geografiche. Dionisio I, e in seguito suo figlio Dionisio II, amava circondarsi a corte di letterati, con i quali però entrava spesso in conflitto. Tuttavia sembra eccessiva la negatività che trapela dagli scritti di [[Plutarco]] quando egli descrive il rapporto dei due Dionigi con il mondo culturale, si è ipotizzato quindi che la fonte seguita dallo storico di Cheronea possa essere in realtà una fonte anti-dionisiana, quindi non del tutto oggettiva. Appare comunque certamente veritiera l'abitudine dionisiana di creare con i letterati della corte un meccanismo politico del consenso<ref>R. Vattuone, ''Storici greci d'Occidente'', Bologna, Il Mulino, 2002, p. 127.</ref>
A suffragare la sicurezza che gli studiosi hanno nel datare le sue opere, vi è anche il fatto che proprio la prima metà del IV sec. a.C. risulta essere un periodo fondamentale per la nascita di racconti mitici associati alle origini di popoli e città<ref group=N>Lo storico Gabba ad esempio descrive così l'epoca in cui visse Alcimo:
{{Citazione|E' proprio nell'età fra IV e III secolo che si posero i fondamenti del ripensamento romano sulla storia della città, che diverrà poi racconto storiografico alla fine del II secolo, sotto l'urgenza del problema politico di controbattere la storiografia filopunica e filoannibalica.|[[Emilio Gabba]], ''Roma arcaica: storia e storiografia'', 2000, p. 58}}</ref>: ed essendo egli autore della prima narrazione mitica sulle origini di [[Roma]], lo si ritiene personaggio significativo dell'epoca in questione.

Ulteriore collegamento tra le opere del siceliota e il suddetto periodo sarebbero i rapporti, probabili, che egli ebbe con la corte letteraria del tiranno di [[Syrakousai|Siracusa]] [[Dionisio I]] - anch'egli vissuto a cavallo del V e IV sec. a.C. -, il quale viene indicato dalle fonti moderne come il «primo nel mondo ellenico ad aver elaborato mitiche parentele tra etnie greche e barbare»,<ref>L. Braccesi, ''L'Alessandro occidentale: il Macedone e Roma'', 2006, p. 60.</ref> e del suo erede: [[Dionisio II]].

{{Citazione|[...] allora, dal momento che Roma e [[Caere]] furono duramente minacciate da Siracusa e dai suoi alleati [[Galli]], è del tutto comprensibile che lo storico siceliota Alcimo, vissuto alla corte dei tiranni siracusani, presentasse la fondazione di Roma come opera di una stirpe etrusco-troiana, senza alcun apporto greco.<ref>E. Bianchi, ''Greci ed Etruschi in Roma arcaica nella storiografia moderna del secondo dopoguerra'', 2013, p. 8.</ref>|}}

==== Titoli delle sue opere ====

Alcimo fu autore di importanti opere:

* Sulla storia della Sicilia scrisse ''Sikeliká'' (Σικελικά),<ref>FGrHist 560</ref> definita sua opera principale<ref>D. R. Shackleton Bailey, ''Harvard Studies in Classical Philology'', vol. 89, 1985, p. 44.</ref>
* Sulla storia d'Italia scrisse ''Italica'' (Ἰταλικὰ), nella quale narra per la prima volta il mito della [[fondazione di Roma]]
* Scrisse ''Ad Aminta'' (Πρὸς Ἀμύνταν),<ref>Diog. Laert. III, 9</ref> opera composta di 4 volumi, nella quale egli spiega perché, secondo lui, il filosofo Platone derivò parecchio da Epicarmo e ne trascrisse il pensiero

== Sulle sue opere ==
=== Alcimo e la corte dionisiana ===
{{Citazione|Basti dire però che, se in Alcimo va visto uno storico vicino ai due Dionisii, anche la sua genealogia appare destinata a caricarsi di un valore e di un rilievo che si avrebbe naturalmente torto a voler minimizzare.|''Annali del Seminario di studi del mondo classico: Sezione di archeologia e storia antica'', vol. 3, 1981, p. 105.}}
[[File:Sword of Damocles, 1, (Herbert Gandy).jpg|miniatura|Dionisio (I o II) e la sua corte nel particolare del dipinto di Herbert Gandy ''Sword of Damocles'']]
Pur non essendo noto il luogo di nascita di Alcimo, egli viene spesso individuato dagli studiosi moderni come uno storico, o uno storiografo, siracusano<ref>Così lo appellano G. Vanottti in ''Hesperìa 3'' a cura di L. Braccesi, 1993, p. 123 e in ''I greci in Adriatico'', a cura di L. Braccesi e M. Luni, 2002, p. 179-180; N. Cambi e B. Kirigin nel loro ''Greek influence along the East Adriatic Coast'', 2002, p. 80. Il Brunet de Presle lo chiama direttamente «Alcimo da Siracusa» in ''Ricerche sullo stabilimento dei Greci in Sicilia'', 1856, p. 325.</ref>, questo perché si suppone la sua vicinanza alla corte dei [[tiranni di Siracusa]] in [[età dionigiana]].

Sono diversi gli accorgimenti che fanno tendere la critica moderna a porre Alcimo al fianco dei due tiranni. Anzitutto l'argomento delle sue opere: Platone e le origini di Roma sono due temi che toccano da vicino il periodo più acceso della tirannide dionisiana. In secondo luogo, essendo egli siceliota, ed essendo il periodo nel quale visse fortemente influenzato dal dominio siracusano su gran parte della Sicilia, è logico dedurre che possa aver fatto parte della corte dionisiana: notoriamente frequentata da artisti e letterati provenienti da diverse località geografiche.<ref group=N>Dionisio I, e in seguito suo figlio Dionisio II, amava cirdordarsi a corte di letterati, con i quali però entrava spesso in conflitto. Tuttavia sembra eccessiva la negatività che trapela dagli scritti di [[Plutarco]] quando egli descrive il rapporto dei due Dionigi con il mondo culturale, si è ipotizzato quindi che la fonte seguita dallo storico di Cheronea possa essere in realtà una fonte anti-dionisiana, quindi non del tutto oggettiva. Appare comunque certamente veritiera l'abitudine dionisiana di creare con i letterati della corte un meccanismo politico del consenso ({{Cita|Muccioli, 1999|p. 150-152}}; R. Vattuone, ''Storici greci d'Occidente'', 2002, p. 127. 136; C. Colonnese, ''Le scelte di Plutarco: le vite non scritte di Greci illustri'', 2007, p. 54, n. 171).</ref>


{{Citazione|[Dionisio II] Desiderando inoltre far sparire la cattiva opinione che i filosofi avevano su di lui a causa di Platone, radunò molti di quelli che erano considerati i più dotti, tenendo dei dibattiti con loro; ma, volendo superare tutti in conoscenza ed eloquenza, finì con il servirsi male di ciò che aveva udito da Platone.|Plutarco, ''Dion''., 18, 2-3.|Βουλόμενος δὲ καὶ τὴν εἰς τοὺς φιλοσόφους διὰ Πλάτωνα κακοδοξίαν ἀναμάχεσθαι, πολλοὺς συνῆγε τῶν πεπαιδεῦσθαι δοκούντων. Φιλοτιμούμενος δὲ τῷ διαλέγεσθαι περιεῖναι πάντων, ἠναγκάζετο τοῖς Πλάτωνος παρακούσμασι κακῶς χρῆσθαι.|lingua=grc}}
{{Citazione|[Dionisio II] Desiderando inoltre far sparire la cattiva opinione che i filosofi avevano su di lui a causa di Platone, radunò molti di quelli che erano considerati i più dotti, tenendo dei dibattiti con loro; ma, volendo superare tutti in conoscenza ed eloquenza, finì con il servirsi male di ciò che aveva udito da Platone.|Plutarco, ''Dion''., 18, 2-3.|Βουλόμενος δὲ καὶ τὴν εἰς τοὺς φιλοσόφους διὰ Πλάτωνα κακοδοξίαν ἀναμάχεσθαι, πολλοὺς συνῆγε τῶν πεπαιδεῦσθαι δοκούντων. Φιλοτιμούμενος δὲ τῷ διαλέγεσθαι περιεῖναι πάντων, ἠναγκάζετο τοῖς Πλάτωνος παρακούσμασι κακῶς χρῆσθαι.|lingua=grc}}


==Opere==
Si è ipotizzato che tra questi dotti filosofi che presero parte a tali dibattiti vi fosse anche il siceliota Alcimo.
Alcimo fu autore di varie opere, tutte perdute<ref>I frammenti in ''FGrHist'' 560.</ref>.
=== ''Italikà'' ===
Sulla storia d'Italia scrisse ''Italikà'' (Ἰταλικὰ), nella quale narra per la prima volta il mito della [[fondazione di Roma]]. {{Vedi anche|Fondazione di Roma|Romolo e Remo}}


Alcimo è un autore molto importante per comprendere la fondazione di Roma, poiché è egli che introduce, per la prima volta nella storia, i principali personaggi che entraranno poi a far parte della leggenda fondativa dell'[[antica Roma]]ː
Albio Cesare Cassio nei suoi studi «''Two Studies on Epicharmus and his Influence''», ha sostenuto l'esistenza di tale collegamento, esplorando il contesto storico dionisiano, ed egli pensa che le mosse di Alcimo diventino ben comprensibili se si tiene conto del [[Viaggi di Platone in Sicilia|secondo viaggio di Platone a Siracusa]] e della forte crepa che si venne a creare tra l'ateniese e il tiranno dopo tale incontro:
{{Citazione|Alcimus ait Tyrrhenia Aeneae natum filuim Romulum fuisse atque eo ortam Albam Aeneae neptem, cuins filuis nomine Rhomus condiderit urbem Romanam.|F 4 J}}
Prima di Alcimo, si avevano solo vaghi accenni al viaggio di [[Enea]] in [[Italia]], ma non lo si collegava mai come una figura ecistica della città laziale<ref name="vanotti">G. Vanotti, ''Roma polis hellenis, Roma polis tyrrhenis. Riflessioni sul tema'', in "Mélanges de l'école française de Rome", Année 1999, 111-1, p. 239.</ref>. Alcimo invece disse che il troiano Enea sposò Tirrenia e che dalla loro unione nacque [[Romolo]] - è questa la prima apparizione storica del personaggio - che, a sua volta, ebbe una figlia di nome [[Alba (mitologia)|Alba]], la quale generò Romo (identificabile anche con Remo o Rodio), che secondo la testimonianza di Alcimo sarebbe stato il solo fondatore di Roma<ref>F 4 J.</ref>.


Secondo la [[genealogia]] di Alcimo il fondatore di Roma sarebbe quindi pronipote di Enea e nipote di Romolo. La fondazione di Roma sarebbe quindi avvenuta nell'arco di quattro generazioni, di 30 anni ciascuna (120 in totale), da quando Enea approdò nel Lazio.
{{Citazione|L'atteggiamento di Alcimo si spiega meglio se lo vediamo sullo sfondo della vita politica e culturale della Sicilia dopo il secondo viaggio di Platone a Siracusa, quando la spaccatura tra le "parti" di Dionigi il Giovane da un lato e Dione e Platone dall'altro, diventa evidente.|Cassio in ''Harvard Studies in Classical Philology'', vol. 89 a cura di D. R. Shackleton Bailey|Alcimus's attitude is best explained if we see it against the backdrop of Sicilian political and cultural life after Plato's second journey to Syracuse, when the split between the "parties" of Dionysius the Younger on one side and Dion and Plato on the other became evident.|lingua=en}}

=== ''Italica'' ===
==== Le origini di Roma ====
{{Vedi anche|Fondazione di Roma|Romolo e Remo}}

{{Citazione|Alcimus ait Tyrrhenia Aeneae natum filuim Romulum fuisse atque eo ortam Albam Aeneae neptem, cuins filuis nomine Rhomus condiderit urbem Romanam.|Alcim. Sic. ''FGrHist'' 560 f 4.}}

Alcimo è un autore molto importante per comprendere la fondazione di Roma, poiché è egli che introduce, per la prima volta nella storia, i principali personaggi che entraranno poi a far parte della leggenda fondativa dell'[[antica Roma]].

Prima di Alcimo, si avevano solo vaghi accenni al viaggio di [[Enea]] in [[Italia]], ma non lo si collegava mai come una figura ecistica della città laziale.<ref>{{Cita|Vanotti, 1995|p. 39}}.</ref> Alcimo invece disse che il [[Troia|troiano]] Enea sposò [[Tirrenia (mitologia)|Tirrenia]] e che dalla loro unione nacque [[Romolo]] - è questa la prima apparizione storica del personaggio. Romolo a sua volta ebbe una figlia di nome [[Alba (mitologia)|Alba]], la quale generò [[Romo (mitologia)|Romo]] (identificabile anche con Remo o Rodio), che secondo la testimonianza di Alcimo sarebbe stato il vero e solo fondatore di Roma.<ref>Alcim. Sic. ''FGrHist'' 560 f 4.</ref>

Secondo la [[genealogia]] di Alcimo il fondatore di Roma sarebbe quindi pronipote di Enea e nipote di Romolo. La fondazione di Roma sarebbe quindi avvenuta nell'arco di quattro generazioni, di 30 anni ciascuna (120 in totale), da quando Enea approdò nel Lazio.<ref>''Kōkalos'', 1963, p. 265.</ref>

==== Contesto storico della mitologia romana nel IV secolo ====
{{Vedi anche|Età dionigiana#Le origini di Roma e gli storici d'epoca dionisiana}}
{{Vedi anche|Età dionigiana#Le origini di Roma e gli storici d'epoca dionisiana}}
Nel IV secolo a.C., ovvero l'epoca in cui sarebbe vissuto Alcimo, stava nascendo l'attestazione della figura romana, con ancora contorni sfumati nel mondo letterario greco, ma già incominciavano a circolare delle voci sulla neo-potenza situata sulla penisola italica, e con essa circolavano anche le prime storie d'origine greca su quella che veniva considerata per lo più come una ''polis Hellenìs''. Tuttavia contro questa affermazione si schierarono diversi storici sicelioti, i quali tramandarono e sostennero che Roma non aveva nulla di greco, poiché l'urbe aveva traeva le sue origini dall'[[Etruria]]; anche Alcimo fa parte di coloro che la connotavano nel mondo etrusco-barbarico.{{Citazione|In altre parole «etruschizzando» il mondo romano e cancellando qualsiasi commistione con l'universo greco, Alcimo tentava di scagionare Dionigi dall'accusa di colpire anche attraverso Roma, saccheggiata dai suoi alleati Galli, la grecità [...]<ref name="vanotti" />.|}}

Nel IV sec. a.C., ovvero l'epoca in cui si sostiene abbia vissuto Alcimo, stava nascendo l'attestazione della figura romana. Essa aveva ancora dei contorni sfumati nel mondo letterario greco, ma già incominciavano a circolare delle voci sulla neo-potenza situata sulla penisola italica, e con essa circolavano anche le prime storie d'origine greca su quella che veniva considerata per lo più come una ''polis Hellenìs''. Tuttavia contro questa affermazione si schierarono diversi storici sicelioti, i quali tramandarono e sostennero che Roma non aveva nulla di greco, poiché l'urbe aveva traeva le sue origini dall'[[Etruria]]; anche Alcimo fa parte di coloro che la connotavano nel mondo etrusco-barbarico.

==== Πόλις Τυρρηνίς e propaganda siracusana ====
Per Alcimo Roma era ''polis Tyrrhenis''. Lo storico siceliota descrisse con un tono negativo il mondo etrusco, e lo collegò ai Romani. Questa sua caratteristica è stata posta in relazione con un possibile sentimento antiromano propagandato dalla corte dionisiana, della quale Alcimo avrebbe fatto parte.
Per Alcimo Roma era ''polis Tyrrhenis''. Lo storico siceliota descrisse con un tono negativo il mondo etrusco, e lo collegò ai Romani. Questa sua caratteristica è stata posta in relazione con un possibile sentimento antiromano propagandato dalla corte dionisiana, della quale Alcimo avrebbe fatto parte.

=== ''Ad Aminta'' ===
=== ''Ad Aminta'' ===
Alcimo scrisse, poi, ''Ad Aminta'' (Πρὸς Ἀμύνταν),<ref>Diogene Laerzio, III, 9.</ref> opera composta di 4 volumi, nella quale egli spiegava, tra l'altro, perché, secondo lui, il filosofo Platone derivò parecchio da Epicarmo e ne trascrisse il pensieroː l'opera si presta a diverse chiavi di lettura per cercare di comprendere il contesto storico di Alcimo e dei personaggi coetanei della sua epoca.
[[File:Plato-raphael.jpg|miniatura|Il filosofo Platone (''[[Scuola di Atene]]'')]]
''Ad Aminta'' è un'opera composta da quattro libri, nei quali lo storico siceliota cerca di dimostrare come Platone copiò molte delle sue dottrine dal più antico Epicarmo. L'opera è molto importante perché ci svela dei versi di Epicarmo che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti. Inoltre l'opera si presta a diverse chiavi di lettura per cercare di comprendere il contesto storico di Alcimo e dei personaggi coetani della sua epoca.


L'opera di Alcimo è dedicata ad un certo Aminta, ma essendo questo un nome comune nell'antica Grecia, si è cercato di sfoltire l'elenco di possibili destinatari, eleggendo le personalità che con questo nome più si avvicinano al contesto di Alcimo e ai quali quindi il siceliota avrebbe potuto dedicare un'opera incentrata sul paragone Epicarmo/Platone. Si è giunti alla conclusione che l'Aminta destinatario dello scritto di Alcimo possa essere il figlio di [[Perdicca III di Macedonia]], [[Aminta IV]], oppure l'allievo di Platone, [[Aminta di Eraclea]].<ref>{{Cita|Muccioli, 1999|p. 38}}.</ref> Tuttavia, dato il soggetto dell'opera, si è più propensi a ritenere che essa fosse destinata all'ellievo platonico.<ref>{{Cita|Vattuone, 2002|p. 174}}.</ref>
Risulta dedicata ad un certo Aminta, ma essendo questo un nome comune nell'antica Grecia, si è cercato di sfoltire l'elenco di possibili destinatari, eleggendo le personalità che con questo nome più si avvicinano al contesto di Alcimo e ai quali quindi il siceliota avrebbe potuto dedicare un'opera incentrata sul paragone Epicarmo/Platone. Si è giunti alla conclusione che l'Aminta destinatario dello scritto di Alcimo possa essere il figlio di [[Perdicca III di Macedonia]], [[Aminta IV]], oppure l'allievo di Platone, [[Aminta di Eraclea]].<ref>{{Cita|Muccioli, 1999|p. 38}}.</ref> Tuttavia, dato il soggetto dell'opera, si è più propensi a ritenere che essa fosse destinata all'allievo platonico.<ref>{{Cita|Vattuone, 2002|p. 174}}.</ref>


Diogene nella sua ''Vita dei filosofi'' riporta le parole di Alcimo, il quale nell'opera ''Ad Aminta'' afferma che Platone disse: «''sensibile è quello che continuamente passa e si tramuta: come le cose che non hanno, se ad esse si toglie il numero, né uguaglianza, né unità [...] intellegibile poi quello, al quale nulla si toglie o si aggiunge. E' questa la natura delle cose eterne, cui tocca sempre di essere simili a se stesse''». E Alcimo riporta di seguito un dialogo di Epicarmo dove, prima di Platone, si sostenevano le medesime cose; per questo egli afferma, il filosofo ateniese non aveva fatto altro che ripetere il pensiero del filosofo siracusano:
Diogene Laerzio, nelle sue ''Vite dei filosofi'', riporta le parole di Alcimo, il quale nell'opera ''Ad Aminta'' afferma che Platone disse: «''sensibile è quello che continuamente passa e si tramuta: come le cose che non hanno, se ad esse si toglie il numero, né uguaglianza, né unità [...] intellegibile poi quello, al quale nulla si toglie o si aggiunge. È questa la natura delle cose eterne, cui tocca sempre di essere simili a se stesse''». E Alcimo riporta di seguito un dialogo di Epicarmo dove, prima di Platone, si sostenevano le medesime cose; per questo egli afferma, il filosofo ateniese non aveva fatto altro che ripetere il pensiero del filosofo siracusano:


{{Citazione|– A. Gli dei sono sempre esistiti,<br />
{{Citazione|– A. Gli dei sono sempre esistiti,<br />
non sono mai venuti meno, l'eterno è uguale, si conserva sempre identico,<br />
non sono mai venuti meno, l'eterno è uguale, si conserva sempre identico,<br />
– B. Veramente si dice che [[Chaos (mitologia)|Caos]] fu il primo degli dei<br />
– B. Veramente si dice che [[Chaos (mitologia)|Caos]] fu il primo degli dei
– A. Figuriamoci! Primo, cominciando da dove?<br />
– A. Figuriamoci! Primo, cominciando da dove?<br />
– B. Allora non c'era niente come primo?<br />
– B. Allora non c'era niente come primo?<br />
– A. Né come primo né come secondo, nelle cose di cui stiamo discorrendo. <br />
– A. Né come primo né come secondo, nelle cose di cui stiamo discorrendo.
|[[Epicarmo]] sugli elementi dell'universo, citato da Alcimo in [[Diogene Laerzio|Diog. Laer.]], III, 10.<ref>Trad. a cura di ''Sileno: rivista de studi classici e cristiani'', vol. 9-10, 1985, p. 20.</ref>|– Ἀλλ' ἀεί τοι θεοὶ παρῆσαν χὐπέλιπον οὐ πώποκα,<br />
|[[Epicarmo]] sugli elementi dell'universo, citato da Alcimo in [[Diogene Laerzio]], III, 10.|– Ἀλλ' ἀεί τοι θεοὶ παρῆσαν χὐπέλιπον οὐ πώποκα,
τάδε δ' ἀεὶ πάρεσθ' ὁμοῖα διά τε τῶν αὐτῶν ἀεί.<br />
τάδε δ' ἀεὶ πάρεσθ' ὁμοῖα διά τε τῶν αὐτῶν ἀεί.<br />
– Ἀλλὰ λέγεται μὰν χάος πρᾶτον γενέσθαι τῶν θεῶν.<br />
– Ἀλλὰ λέγεται μὰν χάος πρᾶτον γενέσθαι τῶν θεῶν.<br />
– Πῶς δέ καὶ ; Μὴ ἔχον γ' ἀπὸ τίνος μηδ' ἐς ὅ τι πρᾶτον μόλοι.<br />
– Πῶς δέ καὶ ; Μὴ ἔχον γ' ἀπὸ τίνος μηδ' ἐς ὅ τι πρᾶτον μόλοι.<br />
– Οὐκ ἄρ' ἔμολε πρῶτον οὐθέν;|lingua=grc}}
– Οὐκ ἄρ' ἔμολε πρῶτον οὐθέν;|lingua=grc}}


Dopo aver riportato altri esempi tra le similitudini del pensiero epicarmico con quello platonico, Alcimo riferisce che colui al quale viene attribuita l'invenzione dell'arte della [[commedia]], sapeva già che qualcuno - che Alcimo riconosce in Platone - un giorno avrebbe copiato le sue dottrine, e costui allora sarebbe stato invincibile:
Dopo aver riportato altri esempi tra le similitudini del pensiero epicarmeo con quello platonico, Alcimo riferisce che colui al quale viene attribuita l'invenzione dell'arte della [[commedia]], sapeva già che qualcuno - che Alcimo riconosce in Platone - un giorno avrebbe copiato le sue dottrine, e costui allora sarebbe stato invincibile:


{{Citazione|Come io credo, e infatti credo, questo io so chiaramente, che un giorno sarà il ricordo di queste mie parole, ancora. Uno le prenderà, le priverà del metro che hanno ora, darà loro una veste purpurea, conferirà il vario ornamento di miti; egli che è invincibile mostrerà gli altri facilmente vincibili.|[[Epicarmo]] citato da Alcimo in [[Diogene Laerzio|Diog. Laer.]], III, 17.<ref>Trad. a cura di M. Gigante, Laterza, 1976</ref>|Ὡς δ' ἐγὼ δοκέω - δοκέων γὰρ σάφα ἴσαμι τοῦθ', ὅτι
{{Citazione|Come io credo, e infatti credo, questo io so chiaramente, che un giorno sarà il ricordo di queste mie parole, ancora. Uno le prenderà, le priverà del metro che hanno ora, darà loro una veste purpurea, conferirà il vario ornamento di miti; egli che è invincibile mostrerà gli altri facilmente vincibili.|[[Epicarmo]] citato da Alcimo in [[Diogene Laerzio]], III, 17.|Ὡς δ' ἐγὼ δοκέω - δοκέων γὰρ σάφα ἴσαμι τοῦθ', ὅτι
τῶν ἐμῶν μνάμα ποκ' ἐσσεῖται λόγων τούτων ἔτι.
τῶν ἐμῶν μνάμα ποκ' ἐσσεῖται λόγων τούτων ἔτι.
Καὶ λαβών τις αὐτὰ περιδύσας τὸ μέτρον ὃ νῦν ἔχει,
Καὶ λαβών τις αὐτὰ περιδύσας τὸ μέτρον ὃ νῦν ἔχει,
εἷμα δοὺς καὶ πορφυροῦν λόγοισι ποικίλας καλοῖς
εἷμα δοὺς καὶ πορφυροῦν λόγοισι ποικίλας καλοῖς
δυσπάλαιστος ὢν τὸς ἄλλως εὐπαλαίστως ἀποφανεῖ.|lingua=grc}}
δυσπάλαιστος ὢν τὸς ἄλλως εὐπαλαίστως ἀποφανεῖ.|lingua=grc}}Si è ipotizzato che ''Ad Aminta'' possa essere stata un'opera scritta per difendere il patriottismo siceliota, gradito dalla tirannide, per contrastare il movimento dell'[[Accademia di Atene|Accademia platonica]], che aveva i suoi cultori in Sicilia.


Negli ultimi anni della tirannide i rapporti tra il filosofo ateniese e Dionisio II si fecero insostenibili. Alcimo potrebbe quindi essere stato posto al servizio del tiranno con lo scopo di screditare la personalità di Platone rivolgendosi alle persone vicine all'Accademia - l'opera sarebbe dedicata proprio ad un allievo platonico -, accusandolo di aver copiato parte delle sue dottrine dal siracusano Epicarmo.<ref>{{Cita|Muccioli, 1999|p. 38-39; 162}}.</ref>


Un'altra coincidenza che alcuni storici trovano curiosa è data dal fatto che il tiranno Dionisio II, contemporaneo di Alcimo, scrisse anch'egli un'opera incentrata su Epicarmo e intitolata ''Sui poemi di Epicarmo'' (se ne ritrova testimonianza nella ''[[Suda (enciclopedia)|Suda]]''), questa, a causa dei presunti rapporti tra lo storico siceliota e la tirannide, è stata messa in relazione con l'opera di Alcimo, anche se non è possibile stabilire in quali termini, poiché nulla, a parte il titolo, è pervenuto dello scritto dionisiano.
==== L'influenza della tirannide su ''Ad Aminta'' ====
Si è ipotizzato che ''Ad Aminta'' possa essere stata un'opera scritta per difendere il patriottismo siceliota, gradito dalla tirannide, per contrastare il movimento dell'[[Accademia di Atene|Accademia platonica]], che aveva i suoi cultori in Sicilia.


Oltre all'eventualità di un Alcimo messo alle dipendenze dei tiranni siciliani, è stata sostenuta l'ipotesi della sua estraneità al conflitto che si consumava in quel periodo tra la tirannide e gli accademici. Ed è stata piuttosto avvalorata la tesi di una sua probabile iniziativa personale. All'origine dell'opera di Alcimo ci sarebbe un sentimento campanilistico che sarebbe stato suscitato in lui proprio dal destinatario di ''Ad Aminta'': l'allievo platonico proveniente da Eraclea.<ref>Tesi sostenuta da M. Gigante, ''Scritti sul teatro antico'', Napoli, Federiciana, 2002, p. 247.</ref>
Negli ultimi anni della tirannide i rapporti tra il filosofo ateniese e Dionisio II si fecero insostenibili. Alcimo potrebbe quindi essere stato posto al servizio del tiranno con lo scopo di screditare la personalità di Platone rivolgendosi alle persone vicine all'Accademia - l'opera sarebbe dedicata proprio ad un allievo platonico -, accusandolo di aver copiato parte delle sue dottrine dal siracusano Epicarmo.<ref>Vd. {{Cita|Muccioli, 1999|p. 38-39; 162}} e ''Studi italiani di filologia classica'', 2006, p. 27.</ref>


L'eracleota Aminta, udendo le lezioni del suo mentore, doveva sicuramente aver sentito parlare di Epicarmo, poiché è risaputa la grande stima che Platone aveva per il filosofo siracusano - egli stesso nel ''[[Teeteto]]''<ref>152e.</ref> definisce Epicarmo «''archegeta della commedia''» (o anche «''principe della commedia''») e lo paragona ad [[Omero]] che definisce «''archegeta della tragedia''»<ref>L. M. Catteruccia Bardi, ''Pitture vascolari italiote di soggetto teatrale comico'', Roma 1951, p. 13.</ref> -, la volontà di riportare alla luce la priorità intellettuale del filosofo siceliota avrebbe portato Alcimo a comporre l'opera ''Ad Aminta''.
Lo storico Cassio, che ha sostenuto il collegamento esistente tra Alcimo e la corte dionisiana per la nascita della mitologia romana, si esprime anche sull'opera ''Ad Aminta'', sostenendo che essa sia stata scritta da un amico di Dionisio per denigrare Platone e i suoi sostenitori:


{{Citazione|L'accusa di plagio mossa a Platone era del resto abbastanza ricorrente già a partire dal IV secolo, ma in questo caso potrebbe addirittura connotarsi di tratti patriottici, in una difesa ed esaltazione da parte di Alcimo della peculiarità e dell'originalità della cultura greca di Sicilia<ref>{{Cita|Vattuone, 2002|p. 149}}.</ref>|}}
{{Citazione|Quindi è molto probabile che il ''Pros Amyntan'' è stato scritto da un amico di Dionisio per denigrare Platone agli occhi di un (potenziale) aderente e ammiratore|Cassio, «HSCPh» 89, 1985, PP. 44-45.|So it is highly probable that the ''Pros Amyntan'' was written by a friend of Dionysius to disparage Plato in the eyes of a (potential) adherent and admirer”.|lingua=en}}


Ma se tale supposizione potrebbe effettivamente avere serie possibilità di avvicinarsi a quella che fu la reale motivazione dello scritto di Alcimo, gli studiosi sono però scettici nell'accettare il fatto che lo storiografo siceliota possa non avere avuto lo scopo di denigrare la personalità di Platone, soprattutto considerando il fatto che nel IV secolo a.C. il filosofo ateniese ricevette molte accuse di plagio, e lo scritto ''Ad Aminta'' sembra avere gli stessi presupposti.
Un'altra coincidenza che alcuni storici trovano curiosa è data dal fatto che il tiranno Dionisio II, contemporaneo di Alcimo, scrisse anch'egli un'opera incentrata su Epicarmo e intitolata ''Sui poemi di Epicarmo'' (se ne ritrova testimonianza nella ''[[Suda (enciclopedia)|Suda]]''), questa, a causa dei presunti rapporti tra lo storico siceliota e la tirannide, è stata messa in relazione con l'opera di Alcimo, anche se non è possibile stabilire in quali termini, poiché nulla, a parte il titolo, è pervenuto dello scritto dionisiano.<ref group=N>Secondo Zuretti l'opera di Dionisio II venne scritta con l'obiettivo di impressionare positivamente filosofo ateniese, il quale si saperva che era un grande estimatore di Epicarmo. Se così fosse verrebbe ovviamente meno il pensiero che le due opere potessero essere in qualche modo collegate tra di esse o che quella di Alcimo fosse stata fatta per ostacolare la reputazione di Platone.</ref>


Infatti furono numerosi coloro i quali nell'arco di quel secolo accusarono Platone di avere copiato dalle opere altrui: Alcimo viene menzionato tra questi, insieme per esempio a [[Teopompo]], [[Timone di Fliunte]] - allievo di Stilpone - [[Aristosseno]] e [[Timeo di Tauromenio]]. Un'accusa molto simile a quella mossagli da Alcimo avrebbe avuto origine in un periodo pressappoco contemporaneo a quello dello storico siceliota e coinvolgeva sempre la corte dionisiana: Una notizia antica (abbastanza controversa, della quale [[Satiro di Callati|Satiro]] è il primo a darne un ampliamento) testimonia che Platone chiese al suo allievo [[Dione di Siracusa|Dione]] di acquistargli, con i soldi guadagnati dai suoi insegnamenti alla corte dionisiana, tre libri del [[pitagorico]] [[Filolao]]. Da questi libri il filosofo ateniese avrebbe tratto la materia per comporre il ''[[Timeo (dialogo)|Timeo]]'', suo primo dialogo su [[Atlantide]]. Alcimo viene quindi accomunato tra coloro, che in maniera critica, accusarono Platone di aver copiato.<ref>A. U. Padovani, A. M. Moschetti, ''Grande antologia filosofica: Il pensiero classico'', Milano, Marzorati, 1954, vol. I, p. 63.</ref>
==== Estraneità dal conflitto dionisiano ====
Oltre all'eventualità di un Alcimo messo alle dipendenze dei tiranni siciliani, è stata sostenuta l'ipotesi della sua estraneità al conflitto che si consumava in quel periodo tra la tirannide e gli accademici. Ed è stata piuttosto avvalorata la tesi di una sua probabile iniziativa personale. All'origine dell'opera di Alcimo ci sarebbe un sentimento campanilistico che sarebbe stato suscitato in lui proprio dal destinatario di ''Ad Aminta'': l'allievo platonico proveniente da Eraclea.<ref name=notadue>Tesi sostenuta dallo storico M. Gigante in ''Scritti sul teatro antico'' (ed. 2002), p. 247, e ripresa dal grecista filologo [[Mario Untersteiner]] in ''Problemi di filologia filosofica'', 1980, p. 127.</ref>


{{Citazione|Del resto ben si inserisce nel filone denigratorio della tradizione antica, tendente a rappresentare Platone come un falsario e la sua filosofia come un plagio di quella [[Pitagora|pitagorica]].<ref>{{Cita|Muccioli, 1999|p. 157}}.</ref>|}}
L'eracleo Aminta, udendo le lezioni del suo mentore, doveva sicuramente aver sentito parlare di Epicarmo, poiché è risaputa la grande stima che Platone aveva per il filosofo siracusano - egli stesso nel ''[[Teeteto]]'' (Plato, ''Teet.'', 152 e) definisce Epicarmo «''archegeta della commedia''» (o anche «''principe della commedia''») e lo paragona ad [[Omero]] che definisce «''archegeta della tragedia''»<ref>Vd. B. Marzullo, W. Bühler, ''Scripta minora. 2(2000)'', p. 724; L. M. Catteruccia, ''Pitture vascolari italiote di soggetto teatrale comico'', 1951, p. 13; ''Dialoghi filosofici'', 2013, n. 67.</ref> -, la volontà di riportare alla luce la priorità intellettuale del filosofo siceliota, avrebbe portato Alcimo a comporre l'opera ''Ad Aminta''.<ref name=notadue/>


Anche se, come è stato fatto notare da alcune fonti moderne, egli rivendica la priorità di Epicarmo con un tono pacato e civile, il che lo contraddistingue dagli altri anti-platonici, facendo trasparire dalla sua opera la reale convinzione delle sue rivendicazioni.
{{Citazione|L'accusa di plagio mossa a Platone era del resto abbastanza ricorrente già a partire dal IV secolo, ma in questo caso potrebbe addirittura connotarsi di tratti patriottici, in una difesa ed esaltazione da parte di Alcimo della peculiarità e dell'originalità della cultura greca di Sicilia<ref>Cit. {{Cita|Vattuone, 2002|p. 149}}.</ref>|}}


==== L'accusa di plagio ====
=== ''Sikelikà'' ===
Sulla storia della Sicilia, poi, Alcimo scrisse ''Sikeliká'' (Σικελικά)<ref>FGrHist 560, FF 5-6 J.</ref>.


== Note ==
Ma se tale supposizione potrebbe effettivamente avere serie possibilità di avvicinarsi a quella che fu la reale motivazione dello scritto di Alcimo, gli studiosi sono però scettici nell'accettare il fatto che lo storiografo siceliota possa non avere avuto lo scopo di denigrare la personalità di Platone, soprattutto considerando il fatto che nel IV sec. a.C. il filosofo ateniese ricevette molte accuse di plagio, e lo scritto ''Ad Aminta'' sembra avere gli stessi presupposti.<ref group=N>La Swift ha a tal proposito una dura opinione sulle accuse che gli scrittori rivolsero a Platone: sostiene che proprio i viaggi in Sicilia resero "vulnerabile" Platone, poiché a quel punto gli scrittori siciliani avrebbero potuto acquistare i libri del filosofo ateniese e servirsene contro di lui; accusandolo di «dipendenza e plagio». La Swift annovera tra costoro «Alimus Siculus (A. Swift Riginos, ''Platonica'', 1976, pp. 165, 179).</ref>
<references/>


== Bibliografia ==
Infatti furono numerosi coloro i quali nell'arco di quel secolo accusarono Platone di avere copiato dalle opere altrui: Alcimo viene menzionato tra questi, insieme per esempio a [[Teopompo]], [[Timone di Fliunte]] - allievo di Stilpone - [[Aristosseno]] e [[Timeo di Tauromenio]].<ref group=N>Un'accusa molto simile a quella mossagli da Alcimo avrebbe avuto origine in un periodo pressappoco contemporaneo a quello dello storico siceliota e coinvolgeva sempre la corte dionisiana: Una notizia antica (abbastanza controversa, della quale [[Satiro di Callati|Satiro]] è il primo a darne un apliamento) testimonia che Platone chiese al suo allievo [[Dione di Siracusa|Dione]] di acquistargli, con i soldi guadagnati dai suoi insegnamenti alla corte dionisiana, tre libri del [[pitagorico]] [[Filolao]]. Da questi libri il filosofo ateniese avrebbe tratto la materia per comporre il ''[[Timeo (dialogo)|Timeo]]'', suo primo dialogo su [[Atlantide]]. Alcimo viene quindi accomunato tra coloro, che in maniera critica, accusarono Platone di aver copiato. Vd. ad esempio ''Forme di religiosità e tradizioni sapienziali in Magna Grecia: atti del Convegno : Napoli, 14-15 dicembre 1993'', vol. 16, ediz. 1995, p. 39; A. U. Padovani, A. M. Moschetti, ''Grande antologia filosofica: Il pensiero classico. I'', 1954, p. 63. e {{Cita|Muccioli, 1999|p. 157}}.</ref>
* [[Eugenio Manni]], ''La fondazione di Roma secondo Antioco, Alcimo e Callia'', in "Kokalos", IX (1963), pp. 235-268.
* Albio Cesare Cassio, ''Two Studies on Epicharmus and his Influence'', in "Harvard Studies in Classical Philology", vol. 89 (1985), pp. 37-51.


== Altri progetti ==
{{Citazione|Del resto ben si inserisce nel filone denigratorio della tradizione antica, tendente a rappresentare Platone come un falsario e la sua filosofia come un plagio di quella [[Pitagora|pitagorica]].<ref>Cit. {{Cita|Muccioli, 1999|p. 157}}.</ref>|}}
{{interprogetto}}


== Collegamenti esterni ==
Anche se, come è stato fatto notare da alcune fonti moderne, egli rivendica la priorità di Epicarmo con un tono pacato e civile; motivo questo che lo contraddistingue dagli altri accusatori anti-platonici, facendo trasparire dalla sua opera la reale convinzione delle sue rivendicazioni. <ref>Vd. ''Studi italiani di filologia classica'', 2006, p. 27.</ref>
* {{Collegamenti esterni}}
* [https://www.academia.edu/1604083/Pythagorean_Comedies_from_Epicharmus_to_Alexis Luigi Battezzato, ''Pythagorean comedies from Epicharmus to Alexis'', in «Aevum Antiquum» N.S. 8 (2008), pp. 139-164].


{{Controllo di autorità}}
== Note ==
{{portale|antica Grecia|biografie}}
;Note al testo
<references group=N/>


[[Categoria:Personaggi della storia siracusana]]
;Fonti
{{references|2}}

== Bibliografia ==
*{{cita libro | autore=[[Eugenio Manni]]| anno=1963 | titolo=La fondazione di Roma secondo Antioco, Alcimo e Callia| annooriginale= | editore=| isbn=|cid=Manni, 1963}}
*{{cita libro | autore=D. R. Shackleton Bailey| anno=1985 | titolo=Harvard Studies in Classical Philology. Vol. 89| annooriginale= | editore=| isbn=|cid=Cassio, Bailey, 1985}}

== Collegamenti esterni ==
*{{Cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/alcimo/|titolo=Àlcimo|sito=[http://www.treccani.it www.treccani.it]|accesso=27 giugno 2015}}
*{{cita pubblicazione | nome= |cognome= |titolo= Pythagorean comedies from Epicharmus to Alexis |rivista=[[Academia.edu]] |editore= |città= |volume= |numero= |anno= N.S. 8 (2008 [published 2012]) |mese= |pp= |id= |pmid= |url=http://www.academia.edu/1604083/Pythagorean_Comedies_from_Epicharmus_to_Alexis |lingua=inglese |accesso=4 luglio 2015 |abstract= }}
*{{cita pubblicazione | nome= |cognome= |titolo= Greci ed Etruschi in Roma arcaica nella storiografia moderna del secondo dopoguerra|rivista=[[Academia.edu]] |editore= |città=Catania |volume= |numero= |anno=2013 |mese= |pp= |id= |pmid= |url=http://www.academia.edu/4210012/Greci_ed_Etruschi_in_Roma_arcaica_nella_storiografia_moderna_del_secondo_dopoguerra|lingua= |accesso=4 luglio 2015 |abstract= }}

Versione attuale delle 20:04, 3 nov 2023

Alcimo da Messina (Messina, IV secolo a.C. – ...) è stato uno storico siceliota, probabilmente il primo tra gli storici della sua epoca ad aver posto in relazione la figura di Enea con quella di Romolo..

Viene considerato problematico stabilire se l'Alcimo retore, allievo del megarese Stilpone, attivo tra il IV e III sec. a.C. e descritto da Diogene come «il primo tra tutti i retori di Grecia»[1], e l'Alcimo, storiografo, attivo nel IV secolo a.C., fossero la medesima persona o se si trattasse piuttosto di due distinte personalitàː si è più propensi a considerarli in maniera separata, ma non sembra possibile stabilirlo con certezza.[2]

Inoltre, un passo controverso di Ateneo ha portato alle volte a definire Alcimo in maniera inesatta come nativo di Messene/Messina, mentre in realtà nel frammento in questione è lo storico siceliota che individua in Messene il luogo di nascita del personaggio che in quel momento sta trattando:

«Alcimo, nella sua Storia della Sicilia, afferma che a Messene, su quell'isola [in Sicilia], nacque Botri, autore di alcune Bagattelle simili a quelle attribuite a Salpa. Il frammento completo inizia con il confrontare il racconto di Alcimo con quello di Ninfodoro di Siracusa, il quale afferma nella sua Navigazione intorno all'Asia, che a Lesbo vi fu una poetessa di nome Salpa, autrice di alcuni libri intitolati Paignia. Allora Ateneo riferisce che, secondo Alcimo, a Messene (Messina), sull'isola di Sicilia vi era un certo Botri (il cui sesso in realtà non è di facile comprensione) autore anch'egli (o inventore) di queste opere attribuite alla Salpa di Ninfodoro[3]»

Epicarmo, trattato in alcuni frammenti Ad Aminta

Diogene Laerzio lo cita più volte, ricordando i suoi frammenti su Epicarmo, riportando l'accusa di plagio che egli rivolge a Platone, riguardo ad un pensiero filosofico incentrato nel rendere a sua volta, cioè a porre al centro del suo discorso, il pensiero platonico. Alcimo infatti viene spesso considerato una fonte dossografica per comprendere le idee platoniche. Il Gaiser sottolinea che la conoscenza dossografica che dimostra Alcimo implica una sua acquisizione di nozioni sulle dottrine orali del filosofo ateniese[4]:

(GRC)

«Ἔτι φησὶν ὁ Ἄλκιμος καὶ ταυτί· « Φασὶν οἱ σοφοὶ τὴν ψυχὴν τὰ μὲν διὰ τοῦ σώματος αἰσθάνεσθαι οἷον ἀκούουσαν, βλέπουσαν, τὰ δ' αὐτὴν καθ' αὑτὴν ἐνθυμεῖσθαι μηδὲν τῷ σώματι χρωμένην· διὸ καὶ τῶν ὄντων τὰ μὲν αἰσθητὰ εἶναι, τὰ δὲ νοητά.»

(IT)

«Inoltre, dice Alcimo quel che segue: Dicono i sapienti che l'anima alcune cose senta per mezzo del corpo in quanto sente e in quanto vede, altre da se stessa discerne per nulla servendosi del corpo; perciò le cose che sono si distinguono in sensibili e intelligibili.»

Mentre non si conosce quasi nulla delle sue origini, in base alle sue opere letterarie si è potuta ipotizzare l'epoca nella quale questo storico visse: quasi sicuramente verso la fine del V sec. a.C. e tra gli inizi e la metà del IV sec. a.C.[5] A suffragare la sicurezza che gli studiosi hanno nel datare le sue opere, vi è anche il fatto che proprio la prima metà del IV secolo a.C. risulta essere un periodo fondamentale per la nascita di racconti mitici associati alle origini di popoli e città[6]: ed essendo egli autore della prima narrazione mitica sulle origini di Roma, lo si ritiene personaggio significativo dell'epoca in questione.

Ulteriore collegamento tra le opere del siceliota e il suddetto periodo sarebbero i rapporti, probabili, che egli ebbe con la corte letteraria del tiranno di Siracusa Dionisio I, che viene indicato dalle fonti moderne come il «primo nel mondo ellenico ad aver elaborato mitiche parentele tra etnie greche e barbare»,[7] e del suo erede Dionisio II.

Dionisio (I o II) e la sua corte nel particolare del dipinto di Herbert Gandy Sword of Damocles

Pur non essendo noto il luogo di nascita di Alcimo, egli viene spesso individuato dagli studiosi moderni come uno storico, o uno storiografo, siracusano[8], questo perché si suppone la sua vicinanza alla corte dei tiranni di Siracusa in età dionigiana.

Sono diversi gli accorgimenti che fanno tendere la critica moderna a porre Alcimo al fianco dei due tiranni. Anzitutto l'argomento delle sue opere: Platone e le origini di Roma sono due temi che toccano da vicino il periodo più acceso della tirannide dionisiana. In secondo luogo, essendo egli siceliota, ed essendo il periodo nel quale visse fortemente influenzato dal dominio siracusano su gran parte della Sicilia, è logico dedurre che possa aver fatto parte della corte dionisiana: notoriamente frequentata da artisti e letterati provenienti da diverse località geografiche. Dionisio I, e in seguito suo figlio Dionisio II, amava circondarsi a corte di letterati, con i quali però entrava spesso in conflitto. Tuttavia sembra eccessiva la negatività che trapela dagli scritti di Plutarco quando egli descrive il rapporto dei due Dionigi con il mondo culturale, si è ipotizzato quindi che la fonte seguita dallo storico di Cheronea possa essere in realtà una fonte anti-dionisiana, quindi non del tutto oggettiva. Appare comunque certamente veritiera l'abitudine dionisiana di creare con i letterati della corte un meccanismo politico del consenso[9]

(GRC)

«Βουλόμενος δὲ καὶ τὴν εἰς τοὺς φιλοσόφους διὰ Πλάτωνα κακοδοξίαν ἀναμάχεσθαι, πολλοὺς συνῆγε τῶν πεπαιδεῦσθαι δοκούντων. Φιλοτιμούμενος δὲ τῷ διαλέγεσθαι περιεῖναι πάντων, ἠναγκάζετο τοῖς Πλάτωνος παρακούσμασι κακῶς χρῆσθαι.»

(IT)

«[Dionisio II] Desiderando inoltre far sparire la cattiva opinione che i filosofi avevano su di lui a causa di Platone, radunò molti di quelli che erano considerati i più dotti, tenendo dei dibattiti con loro; ma, volendo superare tutti in conoscenza ed eloquenza, finì con il servirsi male di ciò che aveva udito da Platone.»

Alcimo fu autore di varie opere, tutte perdute[10].

Sulla storia d'Italia scrisse Italikà (Ἰταλικὰ), nella quale narra per la prima volta il mito della fondazione di Roma.

Lo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma e Romolo e Remo.

Alcimo è un autore molto importante per comprendere la fondazione di Roma, poiché è egli che introduce, per la prima volta nella storia, i principali personaggi che entraranno poi a far parte della leggenda fondativa dell'antica Romaː

«Alcimus ait Tyrrhenia Aeneae natum filuim Romulum fuisse atque eo ortam Albam Aeneae neptem, cuins filuis nomine Rhomus condiderit urbem Romanam.»

Prima di Alcimo, si avevano solo vaghi accenni al viaggio di Enea in Italia, ma non lo si collegava mai come una figura ecistica della città laziale[11]. Alcimo invece disse che il troiano Enea sposò Tirrenia e che dalla loro unione nacque Romolo - è questa la prima apparizione storica del personaggio - che, a sua volta, ebbe una figlia di nome Alba, la quale generò Romo (identificabile anche con Remo o Rodio), che secondo la testimonianza di Alcimo sarebbe stato il solo fondatore di Roma[12].

Secondo la genealogia di Alcimo il fondatore di Roma sarebbe quindi pronipote di Enea e nipote di Romolo. La fondazione di Roma sarebbe quindi avvenuta nell'arco di quattro generazioni, di 30 anni ciascuna (120 in totale), da quando Enea approdò nel Lazio.

Nel IV secolo a.C., ovvero l'epoca in cui sarebbe vissuto Alcimo, stava nascendo l'attestazione della figura romana, con ancora contorni sfumati nel mondo letterario greco, ma già incominciavano a circolare delle voci sulla neo-potenza situata sulla penisola italica, e con essa circolavano anche le prime storie d'origine greca su quella che veniva considerata per lo più come una polis Hellenìs. Tuttavia contro questa affermazione si schierarono diversi storici sicelioti, i quali tramandarono e sostennero che Roma non aveva nulla di greco, poiché l'urbe aveva traeva le sue origini dall'Etruria; anche Alcimo fa parte di coloro che la connotavano nel mondo etrusco-barbarico.

«In altre parole «etruschizzando» il mondo romano e cancellando qualsiasi commistione con l'universo greco, Alcimo tentava di scagionare Dionigi dall'accusa di colpire anche attraverso Roma, saccheggiata dai suoi alleati Galli, la grecità [...][11]

Per Alcimo Roma era polis Tyrrhenis. Lo storico siceliota descrisse con un tono negativo il mondo etrusco, e lo collegò ai Romani. Questa sua caratteristica è stata posta in relazione con un possibile sentimento antiromano propagandato dalla corte dionisiana, della quale Alcimo avrebbe fatto parte.

Alcimo scrisse, poi, Ad Aminta (Πρὸς Ἀμύνταν),[13] opera composta di 4 volumi, nella quale egli spiegava, tra l'altro, perché, secondo lui, il filosofo Platone derivò parecchio da Epicarmo e ne trascrisse il pensieroː l'opera si presta a diverse chiavi di lettura per cercare di comprendere il contesto storico di Alcimo e dei personaggi coetanei della sua epoca.

Risulta dedicata ad un certo Aminta, ma essendo questo un nome comune nell'antica Grecia, si è cercato di sfoltire l'elenco di possibili destinatari, eleggendo le personalità che con questo nome più si avvicinano al contesto di Alcimo e ai quali quindi il siceliota avrebbe potuto dedicare un'opera incentrata sul paragone Epicarmo/Platone. Si è giunti alla conclusione che l'Aminta destinatario dello scritto di Alcimo possa essere il figlio di Perdicca III di Macedonia, Aminta IV, oppure l'allievo di Platone, Aminta di Eraclea.[14] Tuttavia, dato il soggetto dell'opera, si è più propensi a ritenere che essa fosse destinata all'allievo platonico.[15]

Diogene Laerzio, nelle sue Vite dei filosofi, riporta le parole di Alcimo, il quale nell'opera Ad Aminta afferma che Platone disse: «sensibile è quello che continuamente passa e si tramuta: come le cose che non hanno, se ad esse si toglie il numero, né uguaglianza, né unità [...] intellegibile poi quello, al quale nulla si toglie o si aggiunge. È questa la natura delle cose eterne, cui tocca sempre di essere simili a se stesse». E Alcimo riporta di seguito un dialogo di Epicarmo dove, prima di Platone, si sostenevano le medesime cose; per questo egli afferma, il filosofo ateniese non aveva fatto altro che ripetere il pensiero del filosofo siracusano:

(GRC)

«– Ἀλλ' ἀεί τοι θεοὶ παρῆσαν χὐπέλιπον οὐ πώποκα, τάδε δ' ἀεὶ πάρεσθ' ὁμοῖα διά τε τῶν αὐτῶν ἀεί.
– Ἀλλὰ λέγεται μὰν χάος πρᾶτον γενέσθαι τῶν θεῶν.
– Πῶς δέ καὶ ; Μὴ ἔχον γ' ἀπὸ τίνος μηδ' ἐς ὅ τι πρᾶτον μόλοι.
– Οὐκ ἄρ' ἔμολε πρῶτον οὐθέν;»

(IT)

«– A. Gli dei sono sempre esistiti,
non sono mai venuti meno, l'eterno è uguale, si conserva sempre identico,
– B. Veramente si dice che Caos fu il primo degli dei – A. Figuriamoci! Primo, cominciando da dove?
– B. Allora non c'era niente come primo?
– A. Né come primo né come secondo, nelle cose di cui stiamo discorrendo.»

Dopo aver riportato altri esempi tra le similitudini del pensiero epicarmeo con quello platonico, Alcimo riferisce che colui al quale viene attribuita l'invenzione dell'arte della commedia, sapeva già che qualcuno - che Alcimo riconosce in Platone - un giorno avrebbe copiato le sue dottrine, e costui allora sarebbe stato invincibile:

(GRC)

«Ὡς δ' ἐγὼ δοκέω - δοκέων γὰρ σάφα ἴσαμι τοῦθ', ὅτι τῶν ἐμῶν μνάμα ποκ' ἐσσεῖται λόγων τούτων ἔτι. Καὶ λαβών τις αὐτὰ περιδύσας τὸ μέτρον ὃ νῦν ἔχει, εἷμα δοὺς καὶ πορφυροῦν λόγοισι ποικίλας καλοῖς δυσπάλαιστος ὢν τὸς ἄλλως εὐπαλαίστως ἀποφανεῖ.»

(IT)

«Come io credo, e infatti credo, questo io so chiaramente, che un giorno sarà il ricordo di queste mie parole, ancora. Uno le prenderà, le priverà del metro che hanno ora, darà loro una veste purpurea, conferirà il vario ornamento di miti; egli che è invincibile mostrerà gli altri facilmente vincibili.»

Si è ipotizzato che Ad Aminta possa essere stata un'opera scritta per difendere il patriottismo siceliota, gradito dalla tirannide, per contrastare il movimento dell'Accademia platonica, che aveva i suoi cultori in Sicilia.

Negli ultimi anni della tirannide i rapporti tra il filosofo ateniese e Dionisio II si fecero insostenibili. Alcimo potrebbe quindi essere stato posto al servizio del tiranno con lo scopo di screditare la personalità di Platone rivolgendosi alle persone vicine all'Accademia - l'opera sarebbe dedicata proprio ad un allievo platonico -, accusandolo di aver copiato parte delle sue dottrine dal siracusano Epicarmo.[16]

Un'altra coincidenza che alcuni storici trovano curiosa è data dal fatto che il tiranno Dionisio II, contemporaneo di Alcimo, scrisse anch'egli un'opera incentrata su Epicarmo e intitolata Sui poemi di Epicarmo (se ne ritrova testimonianza nella Suda), questa, a causa dei presunti rapporti tra lo storico siceliota e la tirannide, è stata messa in relazione con l'opera di Alcimo, anche se non è possibile stabilire in quali termini, poiché nulla, a parte il titolo, è pervenuto dello scritto dionisiano.

Oltre all'eventualità di un Alcimo messo alle dipendenze dei tiranni siciliani, è stata sostenuta l'ipotesi della sua estraneità al conflitto che si consumava in quel periodo tra la tirannide e gli accademici. Ed è stata piuttosto avvalorata la tesi di una sua probabile iniziativa personale. All'origine dell'opera di Alcimo ci sarebbe un sentimento campanilistico che sarebbe stato suscitato in lui proprio dal destinatario di Ad Aminta: l'allievo platonico proveniente da Eraclea.[17]

L'eracleota Aminta, udendo le lezioni del suo mentore, doveva sicuramente aver sentito parlare di Epicarmo, poiché è risaputa la grande stima che Platone aveva per il filosofo siracusano - egli stesso nel Teeteto[18] definisce Epicarmo «archegeta della commedia» (o anche «principe della commedia») e lo paragona ad Omero che definisce «archegeta della tragedia»[19] -, la volontà di riportare alla luce la priorità intellettuale del filosofo siceliota avrebbe portato Alcimo a comporre l'opera Ad Aminta.

«L'accusa di plagio mossa a Platone era del resto abbastanza ricorrente già a partire dal IV secolo, ma in questo caso potrebbe addirittura connotarsi di tratti patriottici, in una difesa ed esaltazione da parte di Alcimo della peculiarità e dell'originalità della cultura greca di Sicilia[20]»

Ma se tale supposizione potrebbe effettivamente avere serie possibilità di avvicinarsi a quella che fu la reale motivazione dello scritto di Alcimo, gli studiosi sono però scettici nell'accettare il fatto che lo storiografo siceliota possa non avere avuto lo scopo di denigrare la personalità di Platone, soprattutto considerando il fatto che nel IV secolo a.C. il filosofo ateniese ricevette molte accuse di plagio, e lo scritto Ad Aminta sembra avere gli stessi presupposti.

Infatti furono numerosi coloro i quali nell'arco di quel secolo accusarono Platone di avere copiato dalle opere altrui: Alcimo viene menzionato tra questi, insieme per esempio a Teopompo, Timone di Fliunte - allievo di Stilpone - Aristosseno e Timeo di Tauromenio. Un'accusa molto simile a quella mossagli da Alcimo avrebbe avuto origine in un periodo pressappoco contemporaneo a quello dello storico siceliota e coinvolgeva sempre la corte dionisiana: Una notizia antica (abbastanza controversa, della quale Satiro è il primo a darne un ampliamento) testimonia che Platone chiese al suo allievo Dione di acquistargli, con i soldi guadagnati dai suoi insegnamenti alla corte dionisiana, tre libri del pitagorico Filolao. Da questi libri il filosofo ateniese avrebbe tratto la materia per comporre il Timeo, suo primo dialogo su Atlantide. Alcimo viene quindi accomunato tra coloro, che in maniera critica, accusarono Platone di aver copiato.[21]

«Del resto ben si inserisce nel filone denigratorio della tradizione antica, tendente a rappresentare Platone come un falsario e la sua filosofia come un plagio di quella pitagorica.[22]»

Anche se, come è stato fatto notare da alcune fonti moderne, egli rivendica la priorità di Epicarmo con un tono pacato e civile, il che lo contraddistingue dagli altri anti-platonici, facendo trasparire dalla sua opera la reale convinzione delle sue rivendicazioni.

Sulla storia della Sicilia, poi, Alcimo scrisse Sikeliká (Σικελικά)[23].

  1. ^ Diogene Laerzio, II, 114.
  2. ^ Propendono a considerarli due persone differenti il Goulet, 1994, p. 111; Brunet de Presle, Pastoret, 1856, p. 280, n. 1; Vattuone, 2002, p. 173.
  3. ^ F. De Martino, Poetesse greche, Bari, Levante, 2006, p. 282 e R. Vattuone, Storici greci d'Occidente, Bologna, il Mulino, 2002, p. 150, che afferma che "Salpa" era in realtà il soprannome del poeta Mnasea di Locri
  4. ^ Per Alcimo fonte dossografica cfr. Konrad Gaiser, La metafisica della storia in Platone: con un saggio sulla teoria dei principi e una raccolta in edizione bilingue dei testi platonici sulla storia, 1991, p. 38; C. J. de Vogel, Ripensando Platone e il platonismo, 1990, p. 187
  5. ^ Tra gli altri Eugenio Manni, Sikelika kai Italika: scritti minori di storia antica della Sicilia e dell'Italia meridionale, Volumi 1-2, 1990, p. 518.
  6. ^ Lo storico Gabba ad esempio descrive così l'epoca in cui visse Alcimo:

    «È proprio nell'età fra IV e III secolo che si posero i fondamenti del ripensamento romano sulla storia della città, che diverrà poi racconto storiografico alla fine del II secolo, sotto l'urgenza del problema politico di controbattere la storiografia filopunica e filoannibalica.»

  7. ^ L. Braccesi, L'Alessandro occidentale: il Macedone e Roma, 2006, p. 60.
  8. ^ Così N. Cambi-B. Kirigin, Greek influence along the East Adriatic Coast, Knizevni Krug, 2002, p. 80.
  9. ^ R. Vattuone, Storici greci d'Occidente, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 127.
  10. ^ I frammenti in FGrHist 560.
  11. ^ a b G. Vanotti, Roma polis hellenis, Roma polis tyrrhenis. Riflessioni sul tema, in "Mélanges de l'école française de Rome", Année 1999, 111-1, p. 239.
  12. ^ F 4 J.
  13. ^ Diogene Laerzio, III, 9.
  14. ^ Muccioli, 1999, p. 38.
  15. ^ Vattuone, 2002, p. 174.
  16. ^ Muccioli, 1999, p. 38-39; 162.
  17. ^ Tesi sostenuta da M. Gigante, Scritti sul teatro antico, Napoli, Federiciana, 2002, p. 247.
  18. ^ 152e.
  19. ^ L. M. Catteruccia Bardi, Pitture vascolari italiote di soggetto teatrale comico, Roma 1951, p. 13.
  20. ^ Vattuone, 2002, p. 149.
  21. ^ A. U. Padovani, A. M. Moschetti, Grande antologia filosofica: Il pensiero classico, Milano, Marzorati, 1954, vol. I, p. 63.
  22. ^ Muccioli, 1999, p. 157.
  23. ^ FGrHist 560, FF 5-6 J.
  • Eugenio Manni, La fondazione di Roma secondo Antioco, Alcimo e Callia, in "Kokalos", IX (1963), pp. 235-268.
  • Albio Cesare Cassio, Two Studies on Epicharmus and his Influence, in "Harvard Studies in Classical Philology", vol. 89 (1985), pp. 37-51.

Altri progetti

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]
Controllo di autoritàVIAF (EN42229996 · CERL cnp00283287 · GND (DE102378665