Astensionismo
L'astensionismo è, in ambito politico, la non partecipazione sia al voto, quando si venga sporadicamente chiamati ad esprimersi in particolari occasioni referendarie, sia ad elezioni che si ripetono con frequenze regolari. Nel primo caso l'astensionismo varia notevolmente a seconda dell'interesse dell'elettore e del suo coinvolgimento emotivo riguardo ai temi proposti a votazione mentre nell'occasione delle elezioni si sta registrando (almeno sino al 2008) un astensionismo costantemente crescente.[1]
L'astensionismo in Italia
Le analisi statistiche dimostrano che il fenomeno dell'astensionismo è andato crescendo in Italia a partire dagli anni '70[2] quando con la "questione morale" messa in luce nel 1977 da Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, si cominciò a denunciare la corruzione dei partiti politici.[3]
Dall'iniziale astensionismo del 6,6% degli elettori alle politiche del 1976, considerando anche i cosiddetti voti inespressi, cioè le schede bianche e nulle, si è in tempi recenti arrivati alla non partecipazione al voto di un elettore su quattro.[4]
Le elezioni dal 1948 al 1976 vedono l'affluenza degli elettori alle urne con un'incidenza assai rilevante del 92% che diminuisce sempre più a partire dal 1979.
L'analisi politologica, messe da parte le valutazioni moraleggianti, ha identificato le cause del fenomeno innanzitutto nel progressivo sfaldamento dei partiti e delle loro organizzazioni politiche sul territorio che ha fatto mancare la mobilitazione degli elettori e quel senso di identificazione con il programma politico del partito di appartenenza che si traduceva in un'alta partecipazione al voto.
La quasi assenza dell'astensionismo nelle prime elezioni del dopoguerra si giustifica anche per il desiderio dei cittadini di recuperare la libertà politica repressa nel periodo fascista e per la volontà di mettere in atto quel diritto-dovere che la nuova costituzione repubblicana assicurava ai cittadini e che la legge ordinaria sanzionava in caso di non partecipazione al voto.
L'astensionismo aumenta alla fine degli anni '70 anche in coincidenza della nascita di un maggior numero di partiti che, per la necessità di vincere le elezioni, si adattano alla formazione di cartelli elettorali talora eterogenei col risultato di aumentare la sfiducia degli elettori.
Se però con la sfiducia aumenta, negli anni '80 e '90, la decisione di non andare a votare, questa secondo alcuni politologi, è anche significativa di una maggiore razionalizzazione dell'espressione del voto. Mentre prima ci si sentiva legati alle ideologie dei partiti ora alla mancanza della loyalty (fedeltà) nei loro confronti si associa un aumento della exit (uscita), del non voto, con una crescita della voice, della protesta nei confronti di chi ha deluso certe attese magari rivolgendosi a formazioni politiche che fanno professione di rifiuto del sistema partitico.[5]
Discordanti presso gli studiosi le valutazioni dell'astensionismo[6]: secondo alcuni la non partecipazione al voto contraddistingue le democrazie mature dove si assiste a una naturale diminuzione dei votanti collegata a una minore passionalità politica secondo altri l'astensionismo è un pericoloso segnale di sfiducia nella politica. Di fatto oggi l'astensionismo è stato, contrariamente al passato, riconosciuto nell'ambito di un comportamento legittimo del cittadino ridefinendo con le leggi 276 e 277, del 4 agosto 1993 l'espressione del voto come un diritto e non più anche come un dovere.
Le forme dell'astensionismo
Vi sono quindi diverse forme dell'astensionismo:
- Astensionismo fisiologico-demografico
- Un'assenza dal voto, determinata da cause fisiologiche che generano malattie invalidanti, che va distinta da quella dovuta a motivazioni demografiche quali il minor numero di iscritti nelle liste elettorali per la diminuzione della natalità o per l'invecchiamento degli aventi diritto al voto che rende loro difficoltoso recarsi a votare.
- Astensionismo tecnico-elettorale
- Astensionismo causato dalle difficoltà di capire o di accettare nuove modalità di voto o da una scarsa efficienza nel recapito dei certificati elettorali.
- Astensionismo apatico
- Fenomeno questo connesso alla crisi delle ideologie e dei partiti verso la fine degli anni '70.
- Astensionismo di sfiducia-protesta
- Caratteristico delle ultime consultazioni elettorali dopo la fine della cosiddetta prima repubblica.
Il confronto con l'astensionismo in Europa
Se confrontiamo l'astensionismo in Italia con quello degli altri paesi europei vediamo che la non partecipazione al voto pone gli italiani al primo posto[7], con un'astensione che si traduce non tanto nell'assenza ai seggi, come nel resto d'Europa, quanto piuttosto nell'inserire nell'urna schede bianche o nulle. Il che fa pensare che gli italiani risentano ancora del giudizio morale negativo che la società esprime nei confronti di chi non vota e mascherino la loro volontà di astenersi con la presenza al seggio ma con l'espressione di un voto non valido.[8]
L'astensionismo fra Nord e Sud d'Italia
L'astensionismo è stato fino al 1953 storicamente maggiore di circa due punti percentuale nel meridione italiano rispetto al resto d'Italia: si pensi per esempio alla intensa partecipazione al voto delle cosiddette regioni "rosse"; anche se bisogna tener conto del fenomeno migratorio che ha caratterizzato essenzialmente le regioni meridionali con la spesso frequente difficoltà per gli emigrati di raggiungere i seggi nei paesi d'origine o di ricevere i certificati elettorali. Dai dati statistici risulta ora che nelle tre consultazioni politiche, del 1994, 1996, 2001, sebbene vi sia stato un aumento dei non votanti anche nel Nord, l'astensionismo del meridione, specie quello delle isole, è in costante aumento:[9] segnale questo indubbio di un'aumentata sfiducia generale di un elettorato sempre più deluso da dove emerge inoltre che, a livello nazionale, dal '94 al '96 non vi è più molta differenza tra la non partecipazione maschile e quella femminile: e questo anche perché mentre diminuisce l'astensionismo femminile al Sud rispetto a quello maschile, che rimane sostanzialmente immutato, al Nord cresce quello maschile rispetto a quello femminile.
Conclusioni
Rispetto ai primi anni della storia della Repubblica oggi il significato del voto è cambiato: ha perso quell'aura di "sacralità" legata alla conquista della libertà dopo la dittatura
«Attualmente è considerato normale recarsi a votare, come non recarsi a votare. Il deporre la scheda nell’urna è percepito sempre meno come un diritto, e ancor meno come un dovere, e sempre più come una facoltà di cui avvalersi.»
La difficoltà a capire le trasformazioni politiche come scissioni, ricomposizioni ed alleanze, ed altri bizantinismi lontani dagli interessi concreti dei cittadini rendono l'astensionismo "fisiologico", come sfiducia e rifiuto ma anche con un significato "sanzionatorio" nei confronti di quei partiti dai quali i votanti con una condotta più razionale, si considerano ormai in gran parte non più legati ideologicamente e ai quali inviano un messaggio di non voto equivalente a un rimprovero e a un invito a modificare i loro comportamenti politici.[10]
Note
- ^ «Elezioni politiche 2008. La maggior crescita di astensionismo elettorale del dopoguerra, assieme a quella del 1996. Nelle elezioni politiche appena concluse, l’incidenza di non votanti ha sfiorato il 20% (19,5%), con un sensibile aumento rispetto alle precedenti elezioni del 2006.» Istituto Cattaneo, Elezioni politiche 2008
- ^ Ministero per le Pari Opportunità, Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna. Linda Laura Sabbadini, Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere, Roma, 28 febbraio 2006
- ^ Giovanni Greco, Davide Monda Novecento italiano raccontato da scrittori, Liguori Editore Srl, 2008 p.464)
- ^ Nelle elezioni del 2001 la percentuale degli astenuti è stata del 18,6% (in L. L. Sabbadini, op.cit.)
- ^ Hirschman, A.O. Exit, Voice and Loyalty, Harvard University Press, 1970.
- ^ Corbetta, P. e Parisi, A., Il calo della partecipazione elettorale: disaffezione dalle istituzioni o crisi dei riferimenti partitici? in Polis, 1987, n.1.
- ^ Tav. 3.2 in Scaramozzino, P. Il voto di chi non vota, in Mussino, A. (a cura di) Le nuove forme di astensionismo elettorale, Roma, La sapienza,1999, pp. 49-50.
- ^ Vittoria Cuturi, Rossana Sampugnaro, Venera Tomaselli, L'elettore instabile-voto-non voto, Ed.FrancoAngeli, 2000 p.54
- ^ Tav.4.5 in Scaramozzino P., op.cit.
- ^ L. L. Sabbadini, op.cit., pag.44
Bibliografia
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- Caciagli, M. e Scaramozzino P. (a cura di), Il voto di chi non vota, Milano, Comunità, 1983;
- Cartocci, R., Elettori in Italia. Riflessioni sulle vicende elettorali degli anni Ottanta, Bologna, Il Mulino, 1990;
- Corbetta, P. e Parisi, A., Il calo della partecipazione elettorale: disaffezione dalle istituzioni o crisi dei riferimenti partitici? in Polis, 1987, n.1;
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- Caciagli, M. e Spreafico, A. (a cura di), Vent’anni di elezioni in Italia, Padova, Liviana, 1990.
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- U. Engler, Stimmbeteiligung und Demokratie, 1973
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- Adriano Gianturco Gulisano, "La fenomenologia del non voto e del voto no alle elezioni europee 2009”, in Election day. Votare tutti e tutto assieme, fa bene alla democrazia?, R. De Mucci (a cura di), Luiss University Press, Roma, 2010.