Rivoluzione francese
La rivoluzione francese è un insieme di eventi e di cambiamenti intercorsi tra il 1789 e il 1799 che segna, nella storiografia francese, il limite tra l'età moderna e l'età contemporanea.
Le principali e più immediate conseguenze della rivoluzione francese furono l'abolizione della monarchia assoluta e la proclamazione della repubblica, con la eliminazione delle basi economiche e sociali dell'Ancien régime. Questa fu la prima delle rivoluzioni a connotazione borghese, ispiratrice di quelle che seguiranno nel XIX secolo.
Cause
Molti fattori portarono alla rivoluzione; per certi versi, il vecchio ordine dovette soccombere alla sua stessa rigidità di fronte a un mondo in evoluzione; per altri, cadde sotto l'ambizione di una borghesia rampante, alleata con i contadini e i salariati, e con individui di tutte le classi che furono influenzati dalle idee dell'illuminismo. Con il procedere della rivoluzione e il passaggio del potere dalla monarchia ai corpi legislativi, gli interessi contrastanti di questi gruppi inizialmente alleati divennero fonte di conflitti e bagni di sangue.
Certamente, tutte le seguenti ragioni devono essere considerate come cause della rivoluzione:
- Risentimento per l'assolutismo reale.
- Risentimento per il sistema signorile da parte di contadini, salariati e borghesia rampante.
- Il sorgere degli ideali dell'illuminismo.
- Un debito nazionale ingestibile, causato ed esacerbato dal peso di un sistema di tassazione grossolanamente iniquo.
- La scarsità di cibo negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione.
Storia
1788 - maggio 1789: Luigi XVI convoca gli Stati Generali
Il 13 luglio 1787 il parlamento e la nobiltà avevano richiesto che il re chiamasse gli Stati Generali; questa richiesta era stata assecondata dagli Stati del Delfinato nell'assemblea di Vizille; il 18 dicembre 1787, il re promise di convocare gli Stati Generali nel giro di cinque anni; dopo le dimissioni di Brienne, il 25 agosto 1788, e con Necker di nuovo in carica per le finanze nazionali, il Re, l'8 agosto 1788, acconsentì a convocare gli Stati generali nel 5 maggio 1789, per la prima volta dal 1614.
La prospettiva degli Stati generali evidenziò il conflitto di interessi tra il Secondo stato (la nobiltà) e il Terzo stato (in teoria, tutta la gente comune, in pratica la borghesia).
La società era cambiata dal 1614. Il Primo Stato (il clero) assieme al Secondo Stato rappresentavano solo il 2 percento della popolazione francese. Il Terzo Stato, teoricamente rappresentante del restante 98%, e in pratica rappresentante di una fetta crescente del benessere nazionale, poteva ancora essere messo in minoranza dagli altri due, che storicamente avevano spesso votato assieme. Molti nella classe emergente videro la chiamata degli Stati Generali come una possibilità di guadagnare potere.
In base al modello del 1614, gli Stati Generali sarebbero consistiti di un numero uguale di rappresentanti per ogni Stato. Il Terzo Stato chiese una rappresentanza doppia (che già aveva nelle assemblee provinciali). Questo divenne un soggetto per gli opuscolisti, l'opuscolo più notevole fu quello dell'abate Emmanuel Joseph Sieyès: "Cos'è il Terzo Stato?". Necker, sperando di evitare il conflitto, riunì una seconda assemblea di notabili il 6 novembre 1788, ma, per il suo imbarazzo, questi rigettarono il concetto di rappresentanza doppia. Chiamando l'assemblea, Necker aveva meramente sottolineato l'opposizione dei nobili all'inevitabile politica.
Un decreto reale del 27 novembre 1788 annunciò che gli Stati generali sarebbero ammontati ad almeno un migliaio di deputati; garantiva inoltre la rappresentazione doppia. In aggiunta, i semplici sacerdoti (curés) potevano servire come deputati per il Primo Stato, e i protestanti per il Terzo Stato. Secondo Mignet, dopo delle elezioni ragionevolmente oneste, "I deputati della nobiltà erano composti da 242 gentiluomini e 28 membri del parlamento; quelli del clero, di 48 vescovi e arcivescovi, 35 abati e decani, e 208 curati; e quelli del Terzo Stato, di due ecclesiastici, 12 nobili, 18 magistrati cittadini, 200 membri delle contee, 212 avvocati, 16 medici e 216 mercanti e agricoltori". Altre fonti danno cifre leggermente differenti, vedi Stati Generali.
5 maggio 1789 - 17 giugno 1789: dagli Stati Generali all'Assemblea Nazionale
Quando gli Stati Generali convennero a Versailles il 5 maggio 1789, tra l'acclamazione generale, molti nel Terzo Stato videro la rappresentanza doppia come una rivoluzione già pacificamente conseguita. Comunque, con l'etichetta del 1614 strettamente rinforzata, il clero e la nobiltà in pompa magna, l'ubicazione fisica dei deputati dei tre Stati dettata dal protocollo di un'era precedente, fu immediatamente evidente che in realtà era stato ottenuto molto meno.
Nei cahiers de doléances ("quaderni delle rimostranze") venne stilato un elenco dei soprusi a cui era sottoposto ancora il terzo stato.
Quando Luigi XVI e Barentin (il guardasigilli) si rivolsero ai deputati il 6 maggio, il Terzo stato scoprì che il decreto reale che garantiva la rappresentanza doppia celava un trucco. Avevano sì più rappresentanti degli altri due Stati combinati, ma il voto si sarebbe svolto "per ordini": i 578 rappresentanti del Terzo Stato, dopo aver deliberato, avrebbero avuto il loro voto collettivo pesato esattamente come quello di uno degli altri Stati. L'intento apparente del re e di Barentin era quello che tutti andassero direttamente al problema delle tasse. La maggior rappresentanza del Terzo stato doveva essere solo simbolica, senza dargli nessun potere extra. Necker aveva più simpatia per il Terzo stato, ma in quell'occasione parlò solo della situazione fiscale, lasciando a Barentin il compito di parlare su come gli Stati Generali avrebbero operato.
Cercando di evitare il problema della rappresentanza e di focalizzarsi unicamente sulle tasse, il re e i suoi ministri avevano gravemente malgiudicato la situazione. Il Terzo stato voleva che gli stati si incontrassero come un unico corpo e votassero per deputato. Gli altri due stati, pur avendo le loro doglianze contro l'assolutismo reale, credevano, correttamente, come la storia avrebbe dimostrato, che avrebbero perso più potere verso il Terzo stato di quello che avrebbero guadagnato dal re. Il ministro del re, Necker, simpatizzò con il Terzo stato, ma l'astuto finanziere era un politico non altrettanto astuto. Decise di far continuare l'impasse fino al punto di stallo prima di entrare nella mischia. Il risultato fu che per il momento in cui il re cedette alle domande del Terzo stato, sembrò a tutti una concessione estorta alla monarchia, piuttosto che un dono magnanimo che avrebbe convinto la popolazione della buona volontà del re.
L'impasse fu immediata. Il primo argomento di trattativa degli Stati Generali fu la verifica dei poteri. Mirabeau, nobile egli stesso ma eletto per rappresentare il Terzo stato, cercò senza riuscirci di tenere tutti e tre gli ordini in un'unica sala per la discussione. Invece di discutere le tasse del re, i tre Stati iniziarono a discutere sull'organizzazione della legislatura. La spola diplomatica andò avanti senza successo fino al 27 maggio 1789, quando i nobili votarono per prendere una posizione ferma sulla verifica separata. Il giorno seguente, l'abate Sieyès (un membro del clero ma, come Mirabeau, eletto a rappresentare il Terzo stato) mosse affinché il Terzo stato, che ora si riuniva come i Communes ("Comuni"), procedesse con la verifica e invitasse gli altri Stati a prendere parte, invece di aspettare gli altri due Stati.
Il 17 giugno 1789, con il fallimento degli sforzi per riconciliare i tre Stati, i Communes completarono il loro processo di verifica, diventando l'unico stato i cui poteri fossero stati appropriatamente legalizzati. I Communes quasi immediatamente votarono una misura molto più radicale: essi si dichiararono come Assemblea Nazionale, un'assemblea non degli Stati, ma del popolo. Essi invitarono gli altri ordini ad unirsi, ma resero chiaro che intendevano fare gli interessi della nazione con o senza di loro.
14 luglio 1789 - 1791: l'Assemblea Costituente e la Presa della Bastiglia
Questa assemblea costituita di fresco si collegò immediatamente ai capitalisti -- la fonte del credito necessario per finanziare il debito pubblico -- e alla gente comune. Essi consolidarono il debito pubblico e dichiararono che tutte le tasse esistenti erano state precedentemente imposte illegalmente, ma votarono le stesse provvisoriamente, solo fintanto che l'assemblea continuava a riunirsi. Questo ridiede fiducia al capitale e gli diede un forte interesse nel tenere l'assemblea in sessione. Per quanto riguarda la gente comune, un comitato di sussistenza venne stabilito per affrontare la carenza di cibo.
Il precedente piano di conciliazione di Necker -- uno schema complesso di concessioni ai comuni su alcuni punti e di forte resistenza su altri -- era stato superato dagli eventi. Non più interessato ai consigli di Necker, Luigi XVI, sotto l'influenza dei cortigiani del suo consiglio privato, si risolse a rivolgersi all'assemblea, annullare il suo decreto, comandare la separazione degli ordini, e dettare che le riforme fossero effettuate dagli Stati Generali restaurati.
È (a malapena) immaginabile che se Luigi avesse semplicemente marciato dentro la Salle des États, dove l'Assemblea Nazionale si incontrava, il suo piano avrebbe potuto riuscire. Invece, se ne restò a Marly e ordinò la chiusura della sala, aspettandosi di impedire all'assemblea di riunirsi per diversi giorni, mentre lui si preparava. L'Assemblea spostò semplicemente le proprie deliberazioni nel campo da pallacorda del Re, dove procedette al Giuramento della Sala della Pallacorda (20 giugno 1789), con il quale si accordò per non sciogliersi finché non fosse stata data una costituzione alla Francia.
Due giorni dopo, privata anche dell'uso della Sala della Pallacorda, l'Assemblea Nazionale si riunì nella chiesa di Saint-Louis, dove venne raggiunta dalla maggioranza dei rappresentanti del clero: gli sforzi per ripristinare il vecchio ordine erano serviti solo per accelerare gli eventi. Quando, il 23 giugno 1789, in accordo con il suo piano, il re si rivolse finalmente ai rappresentanti dei tre Stati, si trovò di fronte a un silenzio di pietra. Egli concluse ordinando a tutti di disperdersi, e venne obbedito dai nobili e dal clero. I deputati della gente comune rimasero seduti in un silenzio che venne finalmente rotto da Mirabeau, il cui breve discorso così culminò, «Una forza militare circonda l'Assemblea! Dove sono i nemici della nazione? C'è Catilina alle nostre porte? Io richiedo, investite voi stessi con la vostra dignità, con il vostro potere legislativo, accludete a voi la religione del vostro giuramento. Questo non vi permette di sciogliervi finché non avrete formato una costituzione». [1] I deputati resistettero.
Necker, cospicuo con la sua assenza dal partito reale in quel giorno, si trovò in disgrazia con Luigi, ma nuovamente nelle grazie dell'Assemblea Nazionale. Quelli del clero, che si erano uniti all'Assemblea nella chiesa di Saint-Louis, rimasero; 47 membri della nobiltà, incluso il duca d'Orléans, si unirono a loro; per il 27 giugno, il partito reale aveva ceduto apertamente, anche se la probabilità di un contraccolpo militare rimase nell'aria. I militari francesi incominciarono ad accorrere in grande numero attorno a Parigi e Versailles.
Messaggi di supporto inondarono l'Assemblea da Parigi e da altre città della Francia. Il 9 luglio 1789 l'Assemblea si ricostituì come Assemblea Nazionale Costituente, rivolgendosi al re in termini educati ma fermi, richiedendo la rimozione delle truppe (che ora includevano reggimenti stranieri, la cui obbedienza al re era molto più grande di quella delle truppe francesi), ma Luigi dichiarò che lui solo poteva giudicare il bisogno delle truppe, e li rassicurò che queste erano una misura strettamente precauzionale. Luigi "offrì" di muovere l'Assemblea a Noyon o Soissons: il che vale a dire, di porla in mezzo a due eserciti e privarla del supporto dei parigini.
Parigi fu unanime nel supportare l'Assemblea, vicina all'insurrezione e, nelle parole di Mignet, «intossicata di libertà ed entusiasmo». [2] La stampa pubblicò i dibattiti dell'Assemblea; la discussione politica si estese oltre ad essa e arrivò nelle piazze e nei salotti della capitale. Il Palais Royal e l'area circostante divennero il luogo di continui incontri. La folla, con l'autorità degli incontri al Palais Royal, aprì le prigioni dell'Abbazia per rilasciare alcuni granatieri delle Guardie Francesi che erano stati imprigionati per essersi rifiutati di aprire il fuoco sulla gente. L'Assemblea li raccomandò alla clemenza del Re, questi tornarono in prigione e ricevettero il perdono. Il loro reggimento ora pendeva dalla parte della causa popolare.