Gaio Sempronio Gracco

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Gaio Sempronio Gracco
Tribuno della plebe
Félix Auvray, La morte di Gaio Gracco
Nome originaleGaius Sempronius Gracchus
Nascita154 a.C.
Roma
Morte121 a.C.
Roma
GensSempronia
PadreTiberio Sempronio Gracco
MadreCornelia
Questura126 a.C.
Tribunato della plebe123 a.C., 122 a.C.

Gaio Sempronio Gracco (in latino: Gaius Sempronius Gracchus, pronuncia classica o restituta: [ˈɡaː.ɪ.ʊs sɛmˈproː.ni.ʊs ˈgrak.kʰʊs]; Roma, 154 a.C.Roma, 121 a.C.) è stato un politico romano. Fratello del tribuno della plebe Tiberio, nel 123 a.C., dieci anni dopo la morte del fratello maggiore, volle riprendere la sua opera di riforma sociale.

Poiché Gaio appariva intenzionato a continuare l'opera del fratello defunto Tiberio, gli ottimati lo nominarono questore, inviandolo in Sardegna ad amministrare le finanze, in modo che la sua distanza da Roma, unita al fatto di ricoprire già un incarico politico, gli impedisse di candidarsi a tribuno della plebe. Gaio rimase nella provincia sarda per due anni, dopo di che tornò a Roma e si candidò. Accusato di comportamento illegale, così si difese:

«Sono rimasto in provincia in quanto ritenevo fosse utile a voi, e non perché lo ritenessi proficuo alla mia ambizione: non mi sono avvicinato a nessuna taverna, e non ho lasciato oziare nemmeno i giovani di immacolata bellezza, mentre i vostri figli erano più interessati ai banchetti che all'esercito. E in provincia ho vissuto in modo che nessuno potesse affermare che io avessi ricevuto in dono anche un soldo solo o effettuato spese personali. Ho trascorso ben due anni nella provincia, e se una prostituta si è introdotta in casa mia, o se lo schiavetto di qualcuno è stato sedotto da me, potete ritenermi la persona più scellerata e depravata del mondo; ma considerando che mi sono così castamente tenuto alla larga dai loro servi, potrete rivalutare il modo in cui voi credete io mi sia comportato con i vostri figli! E così, o Quiriti, quelle borse che all'andata erano piene d'argento, al mio ritorno a Roma le ho riconsegnate vuote, mentre altri hanno riportato a casa piene di soldi quelle anfore che si erano portati dietro piene di vino.[1]»

Nel 123 venne eletto tribuno della plebe, carica nella quale venne confermato l'anno seguente.

Eugène Guillaume, I Gracchi (Museo d'Orsay)

Gaio cercò di opporsi al potere esercitato dal senato romano e dall'aristocrazia, attuando una serie di riforme favorevoli ai populares, ovvero al proletariato, che si era riversato nell'Urbe dopo l'espansione territoriale delle guerre puniche, composto in parte dagli abitanti delle nuove provincie conquistate, in parte dai piccoli agricoltori italici che non potevano competere con i bassi prezzi delle derrate provenienti dalle province (Sicilia, Sardegna, Nord Africa).

Durante il secondo tribunato proseguì la politica agraria del fratello, permettendo la vendita di grano a prezzo ridotto.

Promosse inoltre la deduzione di varie colonie:

La rilevanza storica di Gaio è legata tuttavia essenzialmente alle sue leges Semproniae.

Le «Leges Semproniae»

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Lo stesso argomento in dettaglio: Lex Sempronia.

Durante la sua carica Gracco fece approvare tramite plebisciti diverse leggi [3] tra le quali:

  • Lex Sempronia agraria che dava maggior vigore a quella del fratello mai abrogata assegnando ai cittadini romani indigenti porzioni dell'agro pubblico romano in Italia, compreso quello dei privati proprietari di terre oltre i 500-1000 iugeri.
  • Lex de viis muniendis: piano di costruzioni di strade per agevolare i commerci e dare lavoro alla plebe con un programma di opere pubbliche;
  • De tribunis reficiendis, con cui si stabiliva la rieleggibilità dei tribuni della plebe;
  • Rogatio de abactis, con cui si toglieva l'elettorato passivo al tribuno destituito dal popolo. Era questa una legge indirizzata a colpire il tribuno Caio Ottavio che si era opposto alla lex Sempronia agraria. Lo stesso Gaio ritirò questa legge.
  • Lex de provocatione, che vietava la condanna capitale di un cittadino senza regolare processo;
  • Lex frumentaria, che disponeva la distribuzione di grano a basso prezzo ai cittadini bisognosi di Roma;
  • Lex iudiciaria, che trasferiva la carica di giudice dai senatori ai cavalieri. La corruzione delle province era ormai un problema diffuso. I governatori, d'accordo con i pubblicani, gonfiavano i tributi da riscuotere e se ne intascavano i profitti. I governatori erano sottoposti al controllo del Senato ma spesso erano loro stessi senatori e a nulla era valso, nel 149 a.C. un tribunale creato proprio per questi casi. Gaio Gracco propose che i tribunali fossero assegnati all'ordine equestre, sfruttando la forte rivalità esistente tra le due fazioni.
  • Lex de coloniis deducendis per la deduzione di nuove colonie.[4]
  • Lex de provinciis consularibus, che imponeva al senato di stabilire prima delle elezioni dei consoli quali provincie dovessero essere loro assegnate per impedire che un console avverso al senato fosse allontanato da Roma;
  • Lex militaris, che stabiliva che l’uniforme dei soldati fosse a carico dello Stato e vietava l'arruolamento prima dei 18 anni.
  • Lex Sempronia de capite civis, che era tesa a vietare la formazione di corti straordinarie (quaestiones extraordinariae) per Senatus consultum riportando la decisione su tale materia al popolo (provocatio ad populum).
  • Lex Sempronia de provincia Asia, che mirava a cercare l'appoggio dei cavalieri. Rendeva infatti i terreni della provincia d'Asia ager publicus populi romani e sottraeva l'appalto delle tasse ai governatori assegnandolo a pubblicani facenti parte dell'ordine equestre.
  • Riconfermò, anche, la lex agraria fatta dal fratello Tiberio nel 133 a.C

In seguito all'introduzione dei comizi tributi ed all'assegnazione delle province, Gracco propose nel maggio del 122 a.C. la concessione della cittadinanza romana, cioè cives optimo iure, ai latini e di quella latina, cioè la condizione di cives sine suffragio, agli italici.

La morte di Gaio Gracco, dipinto di Jean-Baptiste Topino-Lebrun, 1792

L'opposizione al suo disegno di legge trovò concordi il Senato (che trovava così il modo di liberarsi di un pericoloso rivale), la maggior parte dei cavalieri e pressoché tutta la plebe, gelosa dei propri privilegi.

Gaio perse molta della sua popolarità e non fu rieletto al tribunato e dovette difendersi da accuse pretestuose come quella di aver dedotto nuovamente Cartagine, atto che gli indovini avevano dichiarato come infausto. Gaio, il giorno della votazione relativa all'abrogazione proposta dal senato della legge riguardante la fondazione, si presentò all'assemblea per difenderla. I nobili, capeggiati da Publio Cornelio Scipione Nasica Serapione gli gettarono contro il collega Marco Livio Druso e il triumviro Gaio Papirio Carbone. Scoppiarono una serie di disordini che il nuovo console Opimio, eletto dal partito oligarchico, ebbe mano libera di reprimere. Negli scontri Scipione Nasica si vantò di aver ucciso Tiberio Gracco, ma si rese così odioso al popolo romano che lo costrinse a lasciare Roma [5].

(LA)

«Pessimi Tiberium fratrem meum optimum interfecerunt! Em! Videte quam par pari sim.»

(IT)

«Uomini pessimi hanno ucciso l'ottimo mio fratello Tiberio! Ecco! Vedete quanto pienamente io gli somigli!»

Gaio e i suoi sostenitori si rifugiarono sull'Aventino[6] per resistere armati, ma quando Opimio promise l'impunità a chi si fosse arreso e consegnato, l'ex tribuno, rimasto quasi solo, si fece uccidere dal suo schiavo Filocrate [7] nel lucus Furrinae sul Gianicolo. Una feroce repressione portò alla morte nelle carceri di quasi 3000 dei suoi partigiani. La memoria dei Gracchi fu maledetta e alla madre fu proibito d'indossare le vesti a lutto per il figlio defunto.

«La sconfitta dei Gracchi consolidò apparentemente il potere dell'aristocrazia, ma dimostrò anche che questa, rifiutandosi a qualsiasi soddisfazione delle esigenze dei plebei e degli Italici, non si reggeva ormai più che con la violenza.[8]»

  • Aulo Gellio racconta che Gaio, durante le proprie orazioni pubbliche, si faceva coadiuvare da un suonatore di flauto, per accordare la propria voce a seconda del tono che doveva assumere l'orazione.[9]
  1. ^ Gaio Sempronio Gracco, (citato in Gellio, Noctes atticae, XV, 12)
  2. ^ Pasquale Giuseppe Frisone, Storia romana da Gaio Mario a Lucio Cornelio Silla, Elison Publishing, 2016
  3. ^ Plinio Fraccaro, Sempronie leggi, Enciclopedia Italiana Treccani (1936)
  4. ^ Si noti che la deduzione di Iunonia Carthago in Africa fu stabilita con la lex Rubria de colonia Carthaginem deducenda del 123 a.C., facente parte delle leggi Rubrie, e non con questa legge. Cfr. Leggi Rubrie, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  5. ^ Dizionario di storia, Treccani
  6. ^ Le fonti (in Enciclopedia Italiana Treccani, alla voce corrispondente) ci hanno tramandato il percorso che fece, testimoniandoci anche la topografia dell'area: rifugiatosi nel tempio di Diana coi suoi amici e seguaci, da questo passò nel vicino tempio di Minerva. Incalzato dovette di nuovo fuggire fino alla punta occidentale del colle, nel tempio di Luna, dove si lussò una caviglia nel saltare giù dal podio. Da qui scese di corsa l'Aventino passando sotto la Porta Trigemina e attraversò il Pons Sublicius, mentre alcuni suoi amici si sacrificavano sulla strada per rallentare l'inseguimento dei rivali.
  7. ^ Roma antica
  8. ^ Enciclopedia Italiana Treccani alla voce "Gracco, Gaio Sempronio"
  9. ^ Aulo Gellio, Noctes Atticae, I, 11, 10-16
  • Oratorum Romanorum Fragmenta, Enrica Malcovati (a cura di), Torino, Paravia, 1930, 1955², 1967³, 1976 (4ª edizione).

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