Ivan Illich
Ivan Illich (1926 – 2002), scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco.
Citazioni di Ivan Illich
- Colui che pretende un posto su un veicolo più rapido sostiene di fatto che il proprio tempo vale più di quello del passeggero di un veicolo più lento.[1]
Descolarizzare la società
Molti studenti, specie se poveri, sanno per istinto che cosa fa per loro la scuola: gli insegna a confondere processo e sostanza. Una volta confusi questi due momenti, acquista validità una nuova logica; quanto maggiore è l'applicazione, tanto migliori sono i risultati; in altre parole, l'escalation porta al successo. In questo modo si «scolarizza» l'allievo a confondere insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e competenza, facilità di parola e capacità di dire qualcosa di nuovo. Si «scolarizza» la sua immaginazione ad accettare il servizio al posto del valore.
Citazioni
- Bisogna rendersi conto che la scuola obbligatoria eguale per tutti è, almeno economicamente, inattuabile. (1973, p. 22)
- Due secoli fa gli Stati Uniti guidarono il mondo in un movimento inteso a respingere il monopolio di un'unica chiesa. Oggi occorre il disconoscimento costituzionale del monopolio della scuola, cioè di un sistema che associa legalmente il pregiudizio alla discriminazione. (1973, p. 25)
- Le scuole creano posti di lavoro per gli insegnanti, indipendentemente da ciò che gli allievi imparano. (1973, p. 53)
- La scuola sottrae le cose all'uso quotidiano appiccicando ad esse l'etichetta di sussidi didattici. (1972, p. 122)
- La scuola è l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com'è. (1972, p. 167)
La convivialità
L'anno 1913 segna una svolta nella storia della medicina moderna. All'incirca da quella data, il paziente ha più di una probabilità su due che un medico laureato gli somministri una cura efficace – purché ovviamente il suo male sia registrato dalla scienza medica dell'epoca. Gli sciamani e i guaritori, con la loro pratica dell'ambiente naturale, non avevano aspettato tanto per ottenere risultati analoghi, in un mondo dove la salute era concepita diversamente.
Citazioni
- Trent'anni prima, Bernard Shaw già lo rilevava: i medici, diceva, hanno smesso di guarire per impadronirsi dell'intera vita dei loro pazienti.
- L'uomo che va a piedi e prende erbe medicinali non è l'uomo che corre a centosessanta sull'autostrada e prende antibiotici; ma tanto l'uno quanto l'altro non possono fare tutto da sé e dipendono da ciò che gli fornisce il loro ambiente naturale e culturale.
- Noi dobbiamo e, grazie al progresso scientifico, possiamo edificare una società post-industriale in maniera che l'esercizio della creatività di una persona non imponga mai ad altri un lavoro, un sapere o un tipo di consumo obbligatori.
- Il mondo attuale è diviso in due: ci sono quelli che non hanno abbastanza e quelli che hanno troppo; quelli che le automobili cacciano dalla strada e quelli che guidano le automobili. I poveri sono frustrati e i ricchi sempre insoddisfatti.
- Noi viviamo in questo mondo, in cui il linguaggio ci parla, il sapere ci pensa e il Diritto ci agisce. Il linguaggio si riduce all'emissione e alla ricezione di messaggi; il pensiero all'accumulazione delle informazioni; il Diritto al regolamento del piano.
- La scuola definisce l'educazione come oggetto di competizione.
- I medici nazisti hanno esplorato i limiti di sopportazione dell'organismo.
- L'uomo arriva a diffidare della parola, pende da un sapere presunto. Il voto rimpiazza la discussione, la cabina elettorale il tavolino del caffè. Il cittadino si siede dinanzi allo schermo e tace.
- Il consumatore-utente ha bisogno della sua dose di sapere garantito, accuratamente preconfezionato. Trova la propria sicurezza nella certezza di leggere lo stesso giornale del vicino, di guardare la stessa trasmissione televisiva del suo padrone. Si accontenta di avere accesso allo stesso rubinetto di sapere del suo superiore, anziché perseguire l'uguaglianza di condizioni che darebbe alla sua parola lo stesso peso di quella del suo padrone. La dipendenza, che tutti accettano come ovvia, nei confronti del sapere altamente qualificato prodotto dalla scienza, dalla tecnica e dalla politica, erode la fiducia tradizionale nella veracità del testimone e svuota di senso i modi con cui gli uomini possono scambiarsi le proprie certezze.
- Oggigiorno l'avanzamento scientifico viene identificato con la sostituzione di strumenti programmati all'iniziativa umana.
Per una storia dei bisogni
La disoccupazione utile e i suoi nemici professionali
- Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i paesi diventano casi critici. Crisi, la parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire «scelta» o «punto di svolta», ora sta a significare: «Guidatore, dacci dentro!». [...]
Ma «crisi» non ha necessariamente questo significato. Non comporta necessariamente una corsa precipitosa verso l'escalation del controllo. Può invece indicare l'attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all'improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero. (pp. 18-19) - La lingua, il più fondamentale dei beni comuni, è contaminata da contorti fili gergali, ognuno manovrato da una professione. L'espropriazione delle parole, l'impoverimento del lessico quotidiano e la sua degradazione a terminologia burocratica corrispondono, in modo ancor più intimamente avvilente, a quella particolare forma di degradazione ambientale che toglie agli uomini la capacità di sentirsi utili se non hanno un impiego retribuito. (p. 53)
- Quando io ho imparato a parlare, non esistevano altri «problemi» fuorché quelli di matematica o di scacchi; le «soluzioni» erano saline o legali, e «bisogno» era per lo più usato in forma verbale. Espressioni come «ho un problema» oppure «ho un bisogno» suonavano alquanto bislacche. Quand'ero adolescente, e mentre Hitler elaborava «soluzioni», si diffusero anche i «problemi sociali». Varietà sempre nuove di «bambini con problemi» venivano scoperte tra i poveri man mano che gli assistenti sociali imparavano a marchiare le loro prede e a standardizzarne i «bisogni». Il bisogno, inteso come sostantivo, fu la biada che fece esplodere le professioni fino a instaurarne il dominio. La povertà si venne modernizzando. Da esperienza, i managers la tradussero in misura. I poveri divennero i «bisognosi». (pp. 53-54)
- Quando sono nato io, prima che Stalin, Hitler e Roosevelt salissero al potere, soltanto i ricchi, gli ipocondriaci e gli appartenenti ad alcune categorie d'élite affermavano d'aver bisogno di assistenza medica quando avevano qualche linea di febbre. (pp. 55-56)
- Oggi sono ben pochi coloro che riescono a scansare a lungo le prestazioni mediche. In Italia come negli Stati Uniti, in Francia o in Belgio, un cittadino su due è sorvegliato contemporaneamente da vari specialisti della salute, che lo curano, lo consigliano o, come minimo, lo tengono sotto osservazione. L'oggetto di questa assistenza specialistica è il più delle volte uno stato – dei denti, dell'utero, del sistema nervoso, della pressione sanguigna o dell'attività ormonica – di cui il «paziente» non patisce. Sicché oggi non sono più i pazienti a costituire la minoranza, ma quei devianti che in qualche modo restano fuori da tutte le classi di pazienti. (pp. 55-56)
- È cambiata persino la figura dell'ipocondriaco. Il medico degli anni '40 definiva con questo termine colui che bussava continuamente alla porta del suo studio, il malato immaginario. I medici d'oggi invece indicano col medesimo nome la minoranza che li fugge: gli ipocondriaci sono i sani immaginari. (p. 57)
- Essere attivo cliente di parecchi professionisti ti dà un posto ben definito in quel regno dei consumatori intorno al quale ruota la nostra società. Trasformandosi da professione liberale consultiva in professione dominante e menomante, la medicina ha così incommensurabilmente accresciuto il numero dei bisognosi. (p. 57)
- Già nella scuola materna il bambino viene preso in carico da tutto un gruppo di specialisti: l'allergista, il foniatra, il pediatra, lo psicologo dell'infanzia, l'assistente sociale, l'esperto di educazione psicomotoria, la maestra. Costituendo questa équipe pedocratica, i numerosi e vari professionisti tentano di dividersi quel tempo che è diventato il principale limite all'attribuzione di ulteriori bisogni. (p. 58)
- Sparisce la comunità, sostituita da una nuova placenta composta di tubi che erogano assistenza professionale. Sottoposta a cure intensive permanenti, la vita si paralizza. (p. 59)
Invece dell'istruzione
- [...] l'istruzione forzosa spegne nella maggioranza delle persone la voglia di imparare per proprio conto [...]. (p. 106)
- Io credo che l'abolizione dell'istruzione scolastica sia divenuta inevitabile e che tale fine di un'illusione dovrebbe colmarci di speranza. (p. 107)
- Gli scritti di Karl Marx ci hanno reso familiare l'alienazione dell'operaio dal proprio lavoro nella società divisa in classi; è ormai tempo di riconoscere quello che è lo straniamento dell'uomo dal proprio sapere, quando quest'ultimo diventa il prodotto di un servizio professionale e l'uomo il suo consumatore. (p. 109)
- La scolarizzazione e l'educazione sono correlate tra loro come la Chiesa e la religione o, in termini più generali, come il rito e il mito. (p. 115)
- Decenni di fede nella scolarizzazione hanno tramutato il sapere in una merce, un prodotto commerciabile di tipo speciale. Oggi lo si considera un bene di prima necessità e, contemporaneamente, la moneta più preziosa di una società. (La trasformazione del sapere in merce si rispecchia in una parallela trasformazione del linguaggio. Parole che un tempo avevano funzione di verbi stanno diventando sostantivi che indicano possesso. Sino a non molto tempo fa «abitare», «imparare», «guarire» designavano delle attività: oggi si riferiscono di solito a delle merci o a dei servizi da fornire. Parliamo di industria edilizia, di prestazione di assistenza medica; nessuno pensa più che la gente sia in grado di farsi una casa o di guarire per proprio conto. In una società cosiffatta si finisce per credere che i servizi professionali siano più preziosi della cura personale. Invece d'imparare ad assistere la nonna, l'adolescente impara a picchettare l'ospedale che non vuole accoglierla.) (p. 119)
Bisogni di Tantalo
Nell'ultimo decennio l'istituzione medica è divenuta una grave minaccia per la salute. Le depressioni, le infezioni, le menomazioni e le disfunzioni originate dai suoi interventi causano ormai più sofferenze che non tutti gli incidenti del traffico e gli infortuni sul lavoro. Soltanto i danni organici provocati dagli alimenti di produzione industriale possono competere con la patologia indotta dai medici. Oltre a ciò, la professione medica fomenta la malattia puntellando una società malsana che non solo conserva industrialmente i suoi minorati ma alleva clienti per il terapista con metodo cibernetico. Infine, le cosiddette professioni sanitarie hanno un potere patogeno indiretto, un effetto che nega strutturalmente la salute. Trasformano la sofferenza, la malattia e la morte da impegno personale in problema tecnico, espropriando così la gente d'ogni capacità di misurarsi autonomamente con la propria condizione umana.
Citazioni
- La medicina non può far molto per i mali che si accompagnano alla senescenza. Non può guarire le malattie cardiovascolari, la maggior parte dei tumori, l'artrite, la sclerosi multipla o la cirrosi avanzata. Qualcuno dei malanni di cui soffrono gli anziani può essere talvolta alleviato. Di massima, le cure dei vecchi che comportano un intervento professionale non soltanto aggravano le loro sofferenze ma, se l'intervento riesce, le protraggono. Sorprende quindi la quantità delle risorse che si spendono per curare la vecchiaia. (p. 142)
- La prevenzione della malattia mediante l'intervento di terzi professionisti è diventata una moda. La sua domanda cresce. Donne incinte, bambini sani, operai, vecchi, tutti si sottopongono a periodici check-up e a esami diagnostici sempre più complessi. Per questa via, ci si rafforza nella convinzione di essere macchine la cui durata dipende da un piano sociale. Le risultanze d'un paio di dozzine di studi attestano che questi esami non hanno alcuna influenza sull'andamento della mortalità e della morbilità. In realtà essi trasformano persone sane in pazienti angosciati, e i rischi per la salute che si accompagnano a queste campagne di diagnosi automatizzata sopravanzano i benefici teorici. Per ironia della sorte, i disturbi asintomatici gravi che si possono scoprire soltanto con questo tipo d'indagine sono spesso malattie inguaribili, nelle quali una cura precoce aggrava la condizione patologica del paziente. (p. 144)
- Il vero miracolo della medicina moderna è di natura diabolica: consiste nel far sopravvivere non solo singoli individui, ma popolazioni intere, a livelli di salute personale disumanamente bassi. (p. 160)
Energia ed equità
Da qualche tempo è venuto di moda parlare di un'imminente crisi energetica. Questo eufemismo occulta una contraddizione e consacra un'illusione. Maschera la contraddizione che è implicita nel perseguire assieme l'equità e lo sviluppo industriale; fa salva l'illusione che la potenza della macchina possa sostituire indefinitamente il lavoro dell'uomo. Per superare la contraddizione e dissolvere l'illusione, è urgente chiarire quella realtà che viene oscurata dal linguaggio della crisi: e la realtà è che elevati quanta di energia degradano le relazioni sociali con la stessa ineluttabilità con cui distruggono l'ambiente fisico.
Citazioni
- L'americano tipo dedica ogni anno alla propria auto più di 1600 ore: ci sta seduto, in marcia e in sosta; la parcheggia e va a prenderla […]; lavora per pagare la benzina, i pedaggi dell'autostrada, l'assicurazione, il bollo, le multe. […] investe queste 1600 ore per fare circa 12.000 chilometri: cioè appena sette chilometri e mezzo per ogni ora. Nei paesi dove non esiste un'industria del trasporto, la gente riesce a ottenere lo stesso risultato andando a piedi dovunque voglia, e il traffico assorbe dal 3 all'8 per cento del tempo sociale, anziché il 28 per cento. (p. 177)
- L'uomo in bicicletta può andare tre o quattro volte più svelto del pedone, consumando però un quinto dell'energia: per portare un grammo del proprio peso per un chilometro di strada piana brucia soltanto 0,15 calorie. La bicicletta è il perfetto traduttore per accordare l'energia metabolica dell'uomo all'impedenza della locomozione. Munito di questo strumento, l'uomo supera in efficienza non solo qualunque macchina, ma anche tutti gli altri animali. (pp. 196-197)
- Le biciclette permettono di spostarsi più velocemente senza assorbire quantità significative di spazio, energia o tempo scarseggianti. Si può impiegare meno tempo a chilometro e tuttavia percorrere più chilometri ogni anno. Si possono godere i vantaggi delle conquiste tecnologiche senza porre indebite ipoteche sopra gli orari, l'energia e lo spazio altrui. Si diventa padroni dei propri movimenti senza impedire quelli dei propri simili. Si tratta d'uno strumento che crea soltanto domande che è in grado di soddisfare. Ogni incremento di velocità dei veicoli a motore determina nuove esigenze di spazio e di tempo: l'uso della bicicletta ha invece in sé i propri limiti. Essa permette alla gente di creare un nuovo rapporto tra il proprio spazio e il proprio tempo, tra il proprio territorio e le pulsazioni del proprio essere, senza distruggere l'equilibrio ereditario. (pp. 199-200)
Note
- ↑ Citato in Arpa Campania n. 1, Napoli 2010.
Bibliografia
- Ivan Illich, Descolarizzare la società, traduzione di Ettore Capriolo, Mondadori, Milano, 1972.
- Ivan Illich, Descolarizzare la società, traduzione di Ettore Capriolo, Mondadori, Milano, 1973.
- Ivan Illich, La convivialità, traduzione di Maurizio Cucchi, Mondadori, Milano, 1974.
- Ivan Illich, La nemesi medica: l'espropriazione della salute, traduzione di Donato Barbone, Mondadori, Milano, 1977.
- Ivan Illich, Per una storia dei bisogni, traduzione di Ettore Capriolo, Mondadori, Milano, 1981.
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