di Federico Cella

Categoria "Cellulari"

IMG_0069Apple sta mettendo la testa sul suo nuovo progetto, Arcade, la piattaforma di gioco mobile e non solo, senza pubblicità e acquisti in app, in abbonamento (4,99 euro al mese). La dimostrazione, timida per il momento, va detto, è un evento organizzato a Londra per incontrare una selezione degli sviluppatori di videogame che stanno lavorando sulla piattaforma. Tra questi, la piacevole sorpresa è stata di incontrare i ragazzi torinesi di 34BigThings con il loro Redout Space Assault. Un assaggio veloce della piattaforma che ha esordito il 19 settembre scorso ha permesso ad alcuni giornalisti di fare un focus su come sta andando la nuova esperienza di Cupertino. Come da stile Apple, le risposte sono state poche e molto calibrate. Ma qualcosa siamo riusciti a farcelo raccontare.

IMG_0070Per esempio come Arcade vivrà il rapporto famigliare con l’AppStore nato nel 2008, diventato negli anni di fatto la più vasta piattaforma di gaming a livello mondiale. “Vediamo le due risorse come complementari, senza dubbi sul fatto che l’uno possa cannibalizzare l’altro”, ci ha spiegato un portavoce dell’azienda californiana. “Si tratta di un’opzione in più, sia per i nostri clienti, sia per gli sviluppatori. Che hanno subito dimostrato di apprezzare molto la nostra iniziativa”. E questo è più che vero, come vedremo più avanti. “Non sappiamo se con Arcade riusciremo a sottrarre giocatori da altre piattaforme, l’unica certezza è che la gente giocherà di più. E forse grazie ad Arcade vedremo aumentare anche il numero di giocatori”. Altro tema forte che vedremo qualche paragrafo più avanti, grazie anche a una minore sintesi da parte degli sviluppatori che abbiamo incontrato. Per il resto, da Apple abbiamo appreso che la schermata della piattaforma, piuttosto confusa al momento, sta prendendo forma e diventerà man mano più personalizzata e utile, per indirizzare i consigli di gioco su quei cento titoli a catalogo a cui si punta per le prossime settimane (proprio oggi ne sono usciti un po’ di nuovi).

IMG_0073Non siamo riusciti ad avere informazioni su quanti saranno i giochi che verranno man mano aggiunti al catalogo, e a quale ritmo, nozione fondamentale quando si propone un servizio – game as a service si dice – in abbonamento. I dipendenti di Apple presenti all’evento ci hanno fatto sapere che l’accoglienza da parte di chi possiede un qualche device della Mela – Arcade è fruibile da iPhone, iPad, iPod Touc, Mac ed Apple Tv – è stata molto buona, con alcuni titoli che vantano già centinaia di migliaia di download. Il device di gioco preferito è l’iPhone, ma questo era sospettabile data la diffusione dello smartphone della Mela. È  bene però ricordare che siamo ancora nel mese di prova gratuito. Come Arcade andrà, una volta a regime, è tutto da capire. Se il target è quello dei cosiddetti casual gamer, bisognerà scontrarsi con un folto pubblico che spesso è abituato a giocare con titoli gratuiti – i cosiddetti freemium – e dunque a non dare un valore commerciale al prodotto-videogioco. L’idea di un abbonamento, specialmente in Italia, Paese complicato, funzionerà? Quello che è certo è che Apple ha coniato un nuovo modello economico per i videogiochi. “Vogliamo dare ai nostri clienti un’opportunità di giocare di più e di giocare meglio, con titoli selezionati e produzioni esclusive da parte delle migliori softwarehouse in circolazione”. Un refrain che andrà verificato sul campo, tra qualche mese.

IMG_0075Intanto gli studi di sviluppo hanno ovviamente accolto la novità proposta da Cupertino con grande favore. Molti si sono recati dalla Mela con i propri progetti, magari rimasti nel cassetto per diverso tempo, sperando di entrare nel gruppo dei prescelti. Altri sono starti invece selezionati dall’azienda per il proprio nome di richiamo di massa (Ubisoft, Konami, Sega, Lego) o per le indiscutibili capacità creative (UsTwo Games, Amanita Design, Annapurna Interactive, Capybara Games). “Agli sviluppatori garantiamo il supporto economico e tecnico, tutto quello che serve perché il loro gioco sia esattamente come lo volevano. E come lo volevamo noi”, ci hanno ripetuto da Apple, che alla partenza del progetto ha investito sugli sviluppatori la bella cifra di 500 milioni di dollari. Un modello, quello del sostegno finanziario che non dipende dal successo sul mercato del gioco stesso – anche se poi abbiamo intuito che una forma di guadagno ulteriore sia anche legato all’apprezzamento o meno del gioco – che ha di fatto permesso a chi crea videogiochi un approccio differente. Ed è forse questa la notizia più interessante che arriva dal nostro tour a Londra. Ce l’hanno spiegato i ragazzi di 34BigThings, che hanno immediatamente dirottato su Arcade il proprio Space Assault mentre era in sviluppo per console e pc.

IMG_0071Ai torinesi fanno eco gli olandesi di Picomy, che a Londra ci hanno mostrato il divertente platform Monomals: “Apple si sta dimostrando in costante ricerca di nuovi prodotti di livello da proporre su Arcade, e questo per noi che i giochi li facciamo è un’opportunità davvero senza precedenti”. È però Denis Mikan degli austriaci Kunabi Brother a spiegare anIMG_0078cora meglio un concetto che ha un che di rivoluzionario nel mondo spesso un po’ paludoso dei videogame. Denis aveva per le mani Lifelike da diverso tempo. Il gioco è uno spettacolo di immagini che danzano come pesci al ritmo di musica, ispirazione che gli è venuta mentre faceva immersioni. “È difficile definirlo un gioco, ha un’interazione minima, ma è una meraviglia – con le cuffie indosso – per rilassarsi in modo artistico stando sdraiati sul divano”. C’era però un problema che aveva tenuto il titolo a prendere la polvere. “Un progetto così sullo Store non avrebbe avuto alcuna speranza di vita”. Non poteva essere un gioco free, né una hit da top 10 di download. “La soluzione l’ha fornita Apple con Arcade e un modello economico che premia il valore di un prodotto anche se è difficile inquadrarlo in una qualche categoria di mercato”.

IMG_0076Il discorso va oltre, e si fa ancora più interessante, quando arriviamo davanti a Matthew Newcombe. Non a caso una delle punte di diamante di UsTwo Games, la softwarehouse londinese che ha regalato a tanti gamer e non gamer un piccolo capolavoro come Monument Valley. “Arcade è e sarà sempre di più come un Netflix dei videogiochi, e non lo dico per la sola questione dell’abbonamento”, ci ha spiegato Matthew. “È una questione legata alla qualità dei contenuti che trovi. Su Netflix potrò trovare serie tv che mi piacciono e altre che non fanno per me, ma so che comunque mi imbatterò in un contenuto di valore. Così su Arcade”. Messo in chiaro questo, gli abbiamo chiesto se secondo lui Assemble With Care, il loro titolo per Arcade, si può daIMG_0077vvero definire un videogioco (si tratta di una specie di puzzle game dove abbiamo degli oggetti vintage, dal proiettore di diapositive a un mangianastri, da riparare). “È un’esperienza interattiva con degli scopi precisi. Volendo è un gioco, volendo è altro, un qualcosa che forse non ha un nome: l’etichetta di videogioco è sempre meno definibile”, ci ha spiegato Newcombe insieme alla collega Lea Schönfelder. “Assemble With Care fino a che non c’era Arcade non aveva neanche un luogo dove esistere. Ecco, qui dentro si possono trovare esperienze che possono piacere anche a quelli che dicono <A me non piacciono i videogiochi>”. Frase che, come ha notato un collega, è come dire <A me non piacciono i film>. “Forse non ti piaceranno quelli che hai visto”, ha proseguito il designer britannico. “Ma non può essere un giudizio su tutto il medium narrativo, è una questione di quali contenuti e meccaniche ci trovi. I videogiochi stanno cambiando (e provando in questi giorni Death Stranding di Hideo Kojima è un’affermazione più che vera, ndr) e servono nuove piattaforme per ospitare esperienze meno tradizionali ma che hanno lo stesso diritto a esistere di Call of Duty”. Perché il pubblico dei gamer è vasto, più di due miliardi di persone nel mondo in continuo aumento, e così anche la proposta deve tenere conto di un’enorme diversità di gusti e abitudini. Come scriviamo spesso, malgrado i quasi 50 anni di storia, i videogame stanno diventando un mezzo maturo solo negli ultimi anni. E probabilmente il bello deve ancora venire.

harrypotterA tre anni di distanza dal luglio 2016, una domanda tra i gamer appassionati si pone d’obbligo: il nuovo gioco di Harry Potter sarà in grado di ripetere l’exploit di Pokemon Go? Il delirio di un’estate che ha visto milioni di persone alla ricerca di mostrini? La risposta la possiamo forse già dare: no. “Wizards Unite”, il nuovo gioco di Niantic con Warner, è ben strutturato, con molte più variabili rispetto al “vecchio” Pokemon. Del quale mantiene del tutto la struttura: si va in giro, geolocalizzati, per liberare (volendo in realtà aumentata) oggetti magici sperduti nel mondo ed entrare in luoghi magici, rappresentati dagli edifici reali che troviamo per strada. Bello sì, e graficamente più ricco (anche se un po’ instabile nelle prime versioni) del precedente. Del quale però non mantiene (inevitabilmente) la carica di innovazione. E malgrado la potenza immaginifica dell’universo creato dalla Rowling, forse neanche la seduzione legata ai piccoli mostri da catturare.

SMDP_ZAMA_WWillu01_03_R_ad-0Se del maiale non si butta via nulla, figuriamoci di un eroe dei videogiochi come Super Mario. Così il nuovo gioco firmato Nintendo sugli smartphone, Dr. Mario World in uscita il prossimo 10 luglio per iOS e Android, altro non è che una furba trasposizione di un titolo uscito quasi 30 anni fa per Nes (Nintendo Entertainment System) e GameBoy. Furba perché il gioco di Big N ha caratteristiche e meccaniche di gioco molto simili a uno degli assi pigliatutto del gaming mobile, ossia Candy Crush nelle sue varie versioni. Invece delle caramelle qui abbiamo delle vitamine colorate da far “ingerire” per combinarsi con i virus ed eliminarli associando colori con colori, in combinazioni da minimo tre.DrMarioWorld_scrn_001

SMDP-ZAMA_char05_01_R_ad-0Avendo in casa un titolo dal modello già testato come vincente sui piccoli schermi, perché rinunciare? Così dopo due anni e mezzo dall’esordio mobile SMDP-ZAMA_char02_01_R_ad-0dell’idraulico italiano (qui la spiegazione del perché è un connazionale) con Super Mario Run, l’icona del gaming torna con un nuovo titolo che lo vede di fatto come guest star. Con la complicità di Line, l’app di messaggistica giapponese, e dei coreani di NHN Entertainment, Mario, il Dottor Mario per la precisione, è uno dei personaggi che si possono usare come principali – ci sono anche Peach e Bowser, ognuno con le proprie caratteristiche di abilità speciale e attacco/difesa per i duelli, vedi più avanti -, accompagnati da assistenti presi anch’essi dall’universo nintendiano, da Goomba a Nella.

Come detto, le meccaniche di gioco sono note, quelle di un puzzle game testate su milioni di addicted all’associazione di colori per file ordinate (che se poi vogliamo, tutto nasceva da Tetris), e coinvolgenti anche grazie alla spruzzata sapiente di magia Nintendo qua e là. Il Mondo dei Funghi è malato e dalla classica cascata dall’alto si è passati alla dinamica che vede le capsule galleggiare verso l’alto prima di fermarsi al primo ostacolo. Essendo in più le pillole bicolori (e in numero limitato ogni livello), nonché gli sviluppatori diabolici nel condire i virus man mano che si avanza di livello con caratteristiche sempre differenti, serve ragionamento prima di lanciarsi nella cura. E sfruttare ogni singola mezza pillola che si ha a disposizione.

DrMarioWorld_scrn_004Il gioco è un free-to-play con inevitabili acquisti in-app che mettono a rischio il portafoglio dei giocatori più impulsivi: i cuori per giocare non sono infiniti – anzi, il massimo è 5 – e si ricreano dopo ore e ore di attesa. A meno di scegliere una scorciatoia, a pagamento. Siamo quindi lontani dall’ottima trasposizione mobile di un’importante saga di casa come Fire Emblems, che con Heroes ha mostrato come Nintendo ha ancora molto da insegnare a chi sviluppa giochi per smartphone.

DrMarioWorld_scrn_005Meno banale della modalità “Avventura”, capace comunque di tenere incollati allo schermo per ore (lo diciamo per esperienza), è la versione “Duello”. La modalità si attiva una volta superato il 20esimo livello del gioco e permette di giocare contro i proprio amici, cioè quelli che abbiamo accettato come tali all’interno di MyNintendo, il mini-social di casa. Superati (non pochi) problemi iniziali nel riuscire a connettersi sul gioco in versione test, il duello è una dinamica avvincente perché porta con sé più strategia di quanto si possa immaginare all’inizio. Il confronto tra le caratteristiche dei Dottori, con l’aggiunta della variabile degli Assistenti, determina quanto riusciamo a rompere le uova nel paniere dell’avversario nel suo tentativo di liberare il livello dai virus. In pratica, sul più bello (cioè in base alle proprie caratteristiche) si può aggiungere una riga allo schema dell’avversario e scombinare ogni piano. La pariglia di ritorno sarà la stessa ovviamente, dunque spesso è difficile prevedere la vittoria finale prima che questa arrivi.SMDP-ZAMA_char01_01_R_ad-0

Pur rimanendo dell’idea che Nintendo potrebbe fare di più e di meglio sugli smartphone – ma avendo hardware di casa mobile a Kyoto c’è sempre il terrore della cannibalizzazione -, Dr. Mario World pur non essendo una genialata, porta sullo schermo il gusto e l’equilibrio che spesso mancano ai giochi simili ma che non nascono da una lunga tradizione di divertimento. In ogni caso, essendo gratis, è assolutamente il caso di scaricarlo e provarlo.

nadella-yoshidaPer l’occasione si può coniare una nuova versione del vecchio “quando il gioco si fa duro…” chiudendola con un “…i duri arrivano a stringersi la mano”. Fa impressione vedere Kenichiro Yoshida e Satya Nadella insieme con il loro miglior sorriso mentre scattano una foto che ha fatto il giro del mondo e che da sola racconta di un accordo storico. Sony e Microsoft collaboreranno assieme per migliorare le rispettive esperienze di gioco in streaming, con i giapponesi da un lato che sfrutteranno la potenza del cloud di Azure (e il fratello smart Azure Ai) e gli americani che dall’altro con il futuro Project XCloud potranno contare sull’esperienza ormai quinquennale sul mercato del marchio di Tokyo con Playstation Now (e magari pure qualche appoggio, per l’Asia, sui server ex-Gaikai). Insomma, a volerla dire con un titolone, potrebbe essere così: Playstation e Xbox si alleano per il futuro in streaming dei videogiochi. Servisse un sottotitolo, un sommario: sullo sfondo Google (ma anche Amazon ed Apple) che con l’annuncio del servizio Stadia minaccia seriamente di smuovere rapporti di forza sul gaming che duravano da anni. Infine una chiosa proverbiale, così come abbiamo aperto, che potrebbe suonare come “il nemico del mio nemico è mio amico” con l’aggiunta “anche se continua a essere un mio nemico”. Perché l’accordo di massima raccontato ieri dai due big delle rispettive aziende (vedi sotto le dichiarazioni) non significa certo che sul mercato ci sarà pace. Anzi. Si tratta per ognuno di affilare le armi per la prossima guerra, quella appunto del gaming liquido, senza supporto e senza download.

I numeri dati da Google hanno fatto tremare il mercato

I numeri dati da Google hanno fatto tremare il mercato

Quanto presentato da Google sul proprio progetto di videogiochi in streaming, in un marzo ricco di annunci sul gaming come abbiamo raccontato in questo approfondimento, ha smosso non poco le acque. E in attesa di capire se le promesse di Mountain View, per dire giochi tripla A (in stile Assassin’s Creed, l’esempio fatto da Big G) in 4K senza bisogno di un hardware dedicato (ma con un minimo di 30 Megabit di banda reale), corrisponderanno a una reale offerta sul mercato, i due attuali colossi del gaming – lasciando da parte Nintendo e le sue sperimentazioni in Giappone, e il capofila del mercato, la cinese Tencent per ora attenta solo al mercato interno – hanno deciso di muoversi per non rischiare un testa-coda. In questi termini sono da leggere le dichiarazioni dei due rispettivi boss di Sony e Microsoft. Kenichiro Yoshida si è espresso così sul comunicato congiunto tra le due aziende: “Per molti anni Microsoft è stata per noi un partner commerciale chiave, anche se ovviamente le due società competono in molte aree. Credo che il nostro sviluppo congiunto delle soluzioni cloud contribuirà notevolmente al progresso dei contenuti interattivi”. Gli fa eco Satya Nadella: “Sony è sempre stata leader sia nell’intrattenimento che nella tecnologia, e la collaborazione che abbiamo annunciato oggi si basa su questa storia di innovazione. La nostra partnership porta la potenza di Azure e Azure AI a Sony per offrire nuove esperienze di gioco e intrattenimento per i clienti”.

Un lancio pubblicitario di Playstation Now, arrivata da poco in Italia con alterne fortune

Un lancio pubblicitario di Playstation Now, arrivata da poco in Italia con alterne fortune

Dichiarazioni a parte, va detto che questo accordo è perfettamente in linea che con la nuova Microsoft di Nadella. Che da quando ha alla guida il suo terzo amministratore delegato della storia ha smesso di fare guerre di religione (Ballmer urlava se beccava un iPhone al campus di Redmond e dintorni), trovando decisamente più proficuo la collaborazione con tutti. Da Word su iPad all’Azure Cloud per Playstation il passo non è così lungo. Approccio non dissimile per il nuovo ad di Sony, che come abbiamo potuto sperimentare di persona, è ben disponibile ad adottare soluzioni strategiche (e anche tecnologiche, di conseguenza) ben funzionanti in altre aziende. Con sullo sfondo anche le future velleità interattive di Netflix, per i videogiochi si sta delineando un futuro ancora più ricco e molto differente dall’attuale presente. E l’accordo Microsoft-Sony ne è un tassello importante.

Fifa19 giocato in streaming su uno smartphone montato su un joypad Xbox

Fifa19 giocato in streaming su uno smartphone montato su un joypad Xbox

Una rappresentazione di Cortana nel videogioco Halo

Una rappresentazione di Cortana nel videogioco Halo

Sarà fondamentale trovarsi simpatici, e avere una buona considerazione di sé. Altrimenti il futuro rapporto con gli assistenti digitali partirà da subito con il piede sbagliato. Perché i vari Siri, Alexa, Google Assistant e Bixby se oggi hanno frasi preimpostate, da domani impareranno a parlare da noi. Parole e sintassi compresi, sarà come avere un dialogo con se stessi. Questo almeno è il futuro certo per Cortana, l’assistente di Microsoft che ora ha alle spalle sceneggiatori e scrittori che le hanno fornito vocabolario e “personalità”. Tra qualche mese cambierà tutto, perché grazie al software di apprendimento messo a punto da Semantic Machines, startup acquistata dal colosso di Redmond, il segretario digitale (ognuno di noi ne avrà uno) imparerà a parlare dal suo stesso “padrone”. Sarà come con i bambini. E per molti rischia di essere un involontario corso di autostima, se non proprio di basi grammaticali.

google-gaming-gdc-2019“Più siamo e meglio stiamo”: lo diceva la scorsa settimana Marco Saletta, a capo di Playstation Italia in occasione del lancio di Playstation Now, il servizio di videogiochi in streaming arrivato anche da noi. Ebbene, da domani, martedì 19 festa dei papà, al tavolo ricco ma non troppo variegato del mondo dei videogiochi si siederà ufficialmente un nuovo inviato. E sarà di quelli grossi, capace di spostare gli equilibri con la sola presenza. Google in occasione della Game Developers Conference di San Francisco farà un annuncio e sarà di quelli tosti. Ci si aspettava un nuovo servizio di gioco in streaming figlio del lungo periodo di test di quel Project Stream lanciato qualche mese fa e sfociato lo scorso autunno nella demo piuttosto potente di Assassin’s Creed Odissey giocato nel cloud. E sarà molto probabilmente anche una console. Nome in codice del tutto: Project Yeti. Martedì saranno le ore 18 in Italia e lo scopriremo senza ulteriori dubbi. Ma intanto abbiamo indizi piuttosto interessanti che vanno nella direzione hardware, cioè la scelta di Big G di entrare ufficialmente in un mercato da 140 miliardi di dollari. E non più solo in veste di detentore dello store Google Play ma come protagonista diretto. Come piattaforma di gioco e magari anche in veste di produttore di contenuti. Ma andiamo con ordine.

project-stream-googleIl primo fatto è già di per sé piuttosto indicativo. Il video teaser di quanto andrà a mostrarsi domani, quello che vedete sotto, fa da sfondo a una pagina di lancio presente sul Google Store. Cioè quelle pagine web dove Big G vende il proprio hardware. Come dice Arstechnica, la pagina di lancio poteva essere in uno qualunque dei mille domini gestiti da Google. E invece si trova nel luogo dove a Mountain View vendono “cose” fisiche. Tipo una console.

Evidenza simile la porta l’autore del tweet che qualche giorno fa lanciava l’appuntamento del 19 marzo: si tratta di Rick Osterloh, ossia il vicepresidente che per Google si occupa di… hardware. Dai Pixel Phone a Google Home, tutto passa da lui. Così sarebbe anche nel caso di una console.

 

Secondo The Information, a Mountain View starebbero lavorando a questo lancio da tre anni a questa parte, con il nome in codice di cui sopra. Che tipo di hardware potremmo aspettarci? Forse niente di troppo diverso dal Nexus Player che Big G fece insieme ad Asus nel 2014: un set top box per la Android Tv che presentava un gamepad del tutto simile a quello per Xbox. E niente di diverso da come potrebbe apparire uno scatolotto per erogare videogiochi in streaming, un hardware proprietario che non necessita la potenza di una console tradizionale ma che comunque è in grado di gestire i fitti e pesanti pacchetti di dati di scambio tra i server dove i giochi “girano” e la nostra tv che ce li serve in tempo reale. Il tutto ovviamente solo se abbiamo una connessione valida: le specifiche le sapremo domani, ma da Sony sostengono per il proprio Playstation Now che sotto i 5 Megabit al secondo non si può pensare di andare.google-game-controller-patent-2

Non troppo significativa sarebbe invece la notizia rimbalzata i giorni scorsi sul brevetto di Google apparso in Rete di un controller di gioco, con microfono per i comandi vocali e tasto Google al centro. Brevetto che ha dato vita a una serie di mockup, come quello che vedete sotto. Il brevetto è del 2014, e aziende come Google ne depositano a centinaia all’anno. Un’altra strada ipotizzabile per domani, e deludente per chi si aspetta grandi novità, sarebbe quella che il servizio di giochi in streaming potrebbe semplicemente basarsi sulle nuove versioni della Chromecast, la “chiavetta” che rende intelligenti anche i tv più stupidi/vecchi. Un’ultima notazione l’avevamo già raccontata, ossia il passaggio a Google nel ruolo di vicepresidente da parte di Jade Raymond, vecchia conoscenza del mondo gaming, passata da Sony a Electronic Arts fino a Ubisoft. E proprio i rappresentanti della softwarehouse francese , insieme agli storici della Id Software, faranno compagnia a Osterloh sul palco della Gdc 2019. Raymond va quindi ad aggiungersi all’altro colpo di mercato di inizio 2018, ossia Phil Harrison, ex Xbox e Playstation che da mesi sarebbe al centro di fitte trattative in materia di licenze di giochi da acquisire o professionalità da acquistare per sviluppare giochi in prima persona.google_gaming_console_controller

Come abbiamo già raccontato, né Playstation né tantomeno un nuovo arrivato come Google possono fregiarsi di aver inventato i videogiochi in streaming. Ossia l’altra faccia dell’intrattenimento che corre sul filo della rete in confronto a Netflix, Amazon Prime Video e all’imminente arrivo di AppleNvidia sul gaming fluido ci lavora da anni con il suo Geforce Now, in Italia abbiamo l’esempio di Tim Games, in arrivo dovrebbe esserci anche Amazon e così il Project Xcloud di Microsoft. È però vero, stando ai big del settore, che Google sarebbe l’unica azienda a non avere già un piede o ben di più nel gaming, accontentandosi come dicevamo di mettere la firma su piattaforme da milioni di gamer come appunto Google Play e i telefoni Android. La mancanza di esperienza sarebbe ampiamente colmata in caso di giochi in streaming dal fatto che Google è una potenza per quanto riguarda le infrastrutture di Rete e ha tutte le conoscenze necessarie per fornire un servizio che si baserà su un larghissimo consumo di banda. Alla Youtube, tanto per dire.

EVO KV - horizontal - enLa capacità produttiva senza rivali collegata ad aziende sempre più attente a investimenti in ricerca e sviluppo sta portando diversi marchi cinesi a guadagnarsi fette di mercato sempre più ampie in diversi settori hardware. Fino ad arrivare in alcuni comparti a una sorta se non di monopolio, di leadership con pochi competitor a metterle in discussione. Parliamo di smartphone, pc e droni fino ad arrivare a un comparto piccolo ma molto interessante come quello delle foto e videocamere 360. Qui il nome da segnarsi, per chi ancora non lo conoscesse, è quello di Insta360: dal livello di macchine per i consumatori finali a quello professionale, l’azienda cinese – a cominciare da Google per finire con la Liga spagnola – sta diffondendo le proprie videocamere in tutto il mondo. Questo grazie anche al fatto che altre aziende hanno invece deciso – almeno per il momento – di abbandonare il business. E qui parliamo di Samsung e Nikon ma anche di Nokia.

Forti di questo primato, i cinesi non si fermano nella proposizione di nuovi modelli. Oggi è il turno di un prodotto molto interessante anche perché profondamente differente da quanto visto finora: parliamo di Insta360 Evo, una camera pieghevole capace di video a 360 gradi con una risoluzione da 5,7K e fotografie da 18 Megapixel. Piuttosto leggera (113 grammi) e maneggevole, la Evo si apre e si chiude a seconda del tipo di video e foto che si vuole realizzare. Da chiusa, con le due camere su entrambi i lati si possono girare video a 360 gradi, aperta i due occhi si posizionano sul davanti per registrare video a 180 gradi in 3D, sempre in qualità 5,7K. I momenti catturati nei due modi possono essere poi rivisti tramite qualunque visore di realtà virtuale, con la particolarità – sfruttando l’app Insta360 VR – di dialogare con Oculus Go, Htc Vive e Samsung Gear Vr senza fili. Anche in una forma di diretta, tra camera e visore.

Immagine anteprima YouTube

Un ultimo lancio di giornata da parte di Insta360 riguarda una curiosa cover per telefono, chiamata Holoframe, che nella semplicità della plastica con cui è costruita permette una sorta di magia. Ossia la possibilità di vedere foto e video in 3D realizzati con la Evo a occhio nudo, di fatto proiettati sulla cover che tramuta le immagini in un’ologramma piuttosto sorprendente. Il prezzo della Insta360 Evo, acquistabile online sul sito dell’azienda e in determinate catene di negozi, non è banale: 469,99 euro. Ma la tecnologia che si trova dentro è decisamente all’avanguardia.

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Sony-playstation-nowIl motto e la strategia sono sempre quelli: for the players, per i giocatori. È in questa ottica che oggi Playstation Italia inaugura un nuovo modo di giocare sulla console più amata del Paese. Playstation Now non è l’esordio dei videogiochi in streaming in Italia, dove per citarne uno sta facendo passi da gigante Tim Games, piattaforma molto interessante del primo provider nazionale. Certo è che quando scende in campo il big, le cose cambiano. E cambiano in meglio “prima di tutto per i consumatori”, come ci ha raccontato Marco Saletta, responsabile di Playstation Italia, nel corso della presentazione del servizio lunedì sera a Milano. “Il nostro non vuole essere un servizio per i cosiddetti hardcore gamer ma un’opzione in più per quegli appassionati e quelle famiglie che vogliono entrare nella nostra casa dei giochi, a fronte di un abbonamento dal costo del tutto comparabile a quello di servizi che in Italia stanno facendo faville”. La penetrazione delle console di gioco in Italia non supera il 21% delle famiglie e Playstation Now nasce proprio con l’idea di convincere nuovi gamer a fare il salto qualitativo dal piccolo schermo dello smartphone. Il modello non detto è quello di Netflix, partito alla grande anche da noi proprio per l’agilità – anche economica – di un servizio in grado di convincere anche i più tecnofobi.

rdrNato nel 2014 negli Stati Uniti, Playstation Now è un progetto a lungo studiato dagli strateghi di Tokyo, fin dall’acquisizione di Gaikai, servizio per videogiochi nel cloud, nel 2012. Allora a catalogo c’erano 100 titoli, oggi ne contiamo circa 600, tra quelli di Ps2 rimasterizzati, Ps3 e Ps4. Con la promessa di un’iniezione mensile di nuovi titoli, ad arricchire e differenziare l’offerta. È proprio il menù di titoli gloriosi – dal primo Red Dead Redemption a The Last of Us – e per la famiglia – qui andiamo da Lego Batman a Ratchet & Clank – a essere la vera forza del servizio giapponese, a differenza di quello sempre in abbonamento della rivale Xbox, quel GamePass che propone – non in streaming, s’intende – anche gustosi blockbuster appena usciti. Sony vuole mettere in parallelo i due business, quello tradizionale dell’acquisto del titolo, e quello nuovo dell’abbonamento. Le formule attive da oggi sono due: mensile, a 14,99 euro, e annuale a 99,99. Meno di 10 euro al mese, con la possibilità di provare il servizio gratuitamente per una settimana (per iniziare la prova basta andare sul sito ufficiale). Playstation Now propone su Ps4 anche il download dei giochi, e la possibilità di essere utilizzato anche su pc Windows (dove però non c’è la possibilità di download). Quest’ultima è una novità che segna un passaggio epocale per Sony, in uscita dal solo hardware proprietario pur con delle comprensibili limitazioni. Al pari dell’ultimo aggiornamento dell’app che permette il Remote Play anche su iOS, ossia la possibilità di usare lo smartphone come schermo aggiuntivo. L’hardware di casa, la Playstation, rimane al centro del progetto (e ci rimarrà, in attesa di capire le novità sul lancio a lungo rumoreggiato della Ps5), ma guadagna percorsi paralleli e aggiuntivi che dimostrano come la punta di diamante di Sony non voglia stare ferma in un mercato in veloce cambiamento. “Il prossimo di questi si chiamerà 5G”, conferma Saletta. “Ma quello è tutto un altro film sul quale è impossibile prevedere cosa accadrà”. Anche se abbiamo già la certezza, confermata dall’ultimo Mobile World Congress di Barcellona, che il gaming in mobilità sarà una delle killer application della connettività di quinta generazione. Ma appunto questo è un altro film.

tlouIl servizio ci ha messo 5 anni ad arrivare da noi, facendo importanti tappe intermedie tra Giappone, Canada e quindi in Europa partendo dalla Gran Bretagna. Oggi oltre a noi partono Spagna, Portogallo e i Paesi scandinavi. Altre regioni giudicate idonee a diventare un nuovo mercato sperimentale perché le infrastrutture di rete sono arrivate a fare massa critica. A confronto della banda necessaria per giocare un videogame, specie in multiplayer (immaginate poniamo il caso una sfida infuocata a Nba2K18), guardare Netflix è una passeggiata di salute e i problemi di Dazn diventano risibili. “Abbiamo fatto tanto beta testing”, prosegue Saletta, “grazie anche ai nostri fan. E i risultati sono stati soddisfacenti”. Tradotto in Megabit significa che con la fibra ottica a disposizione, Playstation Now appare perfettamente quello che è, un servizio maturo da cui aspettarsi solo meraviglie per il futuro. Con l’Adsl si può giocare senza troppi problemi, ma solo se abbiamo a disposizione una connessione che garantisce 5 Mega al secondo reali. Altrimenti i guai – leggi lag, tempi di risposta ritardati – diventano poco tollerabili.

n2k18In un mondo, quello dell’intrattenimento digitale, che sta convergendo sempre più verso l’interattività, accade che due contenuti molto originali nel loro comparto arrivano ad avvicinarsi davvero tanto pur partendo da presupposti e punti di partenza molto lontani. Giocare su Playstation a “Detroit: become human” nella versione più narrativa e vedere su Netflix “Bandersnatch”, l’episodio interattivo di Black Mirror che ruota non a caso intorno a un videogioco, appare una differenza più quantitativa che di genere. Pur nella grande distanza che c’è tra un prodotto maturo e di grande livello come quello dell’autore francese Cage e un esperimento studiato dagli strateghi di Los Gatos. Fatto sta che lo streaming è il campo di sfida del futuro. E mentre sul lato televisivo sempre ieri abbiamo avuto la conferma che il 25 marzo scenderà in campo anche Apple, su quello videoludico si allungano le ombre di colossi come Amazon e Google. Saletta taglia corto con un “più siamo e meglio stiamo”. Che poi specifica: “Se arrivano dei colossi nel campo del gaming e questo significa sempre più persone che giocano, non può che essere un bene per tutti. La sfida a quel punto passerebbe sul campo dei contenuti, e lì devo dire che sulla qualità di quelli Playstation siamo piuttosto sereni”.

Si fa prima a chiamarli client, così da non sbagliare. Nell’informatica che va sempre più veloce, l’hardware che comunica con contenuti e servizi cambia, si evolve, si trasforma. Che il mercato dei pc abbia ceduto il passo in tal senso a quello degli smartphone è un’evidenza da anni. Ci sono aziende come Lenovo, da qualche mese di nuovo leader del mercato dei computer (con il 24,6% dello share), emanuele-baldi-lenovoche si sono attrezzate in corsa, nel caso della multinazionale cinese con l’acquisizione nel 2014 del marchio storico Motorola. Un’operazione sempre meno “pubblicitaria” e che assume concretezza con i numeri dell’ultimo trimestre, che vedono il Mobile Business Group di Lenovo per la prima volta in utile grazie soprattutto alla crescita nel mercato nordamericano. In Europa continua a non esserci partita – con il trio Samsung-Huawei-Apple a coprire il 90% del mercato – ma con Motorola che sorride anche Emanuele Baldi, ad di Lenovo Italia, può festeggiare fatturati da primato. “Da qualunque angolo lo vediamo, sia come numeri sia come prodotti, tutte le aree sono in crescita”, spiega il manager italiano. “Ed è ancora più significativo, in ambito pc, se consideriamo che a livello globale il mercato ha visto una contrazione del mercato del 3,6% mentre noi siamo cresciuti anno su anno dell’8,5%. Con un fatturato della divisione pc e smart devices che ha raggiunto la quota record di 10,7 miliardi di dollari per una crescita dell’11,6%”.

lenovo-smart-tabAppunto, smart devices, visori o schermi intelligenti da casa che siano (come lo Smart Tab presentato a Las Vegas con Alexa a bordo), che costituiscono ancora una quota di mercato del tutto marginale ma che per aziende come Lenovo rappresentano una sorta di assicurazione sul futuro. In un mondo digitale che cambia veloce, farsi trovare impreparati, come esempi anche clamorosi del passato hanno dimostrato, può significare il suicidio. “E così continuiamo con la nostra strategia delle tre onde”, ci spiega Baldi in piena filosofia aziendale cinese, “con i client di qualunque genere siano e le nostre soluzioni cloud con i data center a rappresentare le prime due, che si sostengono a vicenda”. La terza è legata al lavoro e al constante investimento in ricerca e sviluppo, una terza gamba che sostiene e porta avanti nelle soluzioni di domani un’azienda che, forte di marchi storici come il ThinkPad e appunto Motorola acquistati dagli americani, in realtà si vede ancora più protagonista nel futuro.

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studenti-smartphoneImmersi nel digitale, riusciamo a crearci spazi reali di benessere? Si potrebbe dire che i device e le piattaforme che usiamo quotidianamente sono arrivati nelle nostre vite senza le istruzioni per l’uso. Alcuni correttivi da parte di una Silicon Valley sempre più attenta ai rischi della tecnologia – al punto di stilare contratti con le tate dove si impone una presenza di fronte ai bambini smartphone-free – stanno arrivando solo ora. È il caso per esempio della funzione “Tempo d’utilizzo” comparsa sugli iPhone con l’ultimo sistema operativo, iOS12. Ma anche qui: come usare questo e altri strumenti? Perché la rivoluzione avvenuta negli ultimi 10-15 anni ci ha colto impreparati a livello culturale e sociale, in particolare in quella generazione, chiamata Z, che nel digitale ci è nata e fatica dunque a trovarne il bandolo, l’approccio critico. Così accade che un terzo dei ragazzi nell’età 15-16 anni, quella critica che è il riferimento di ogni ricerca sul tema, può essere classificato come a rischio di un uso problematico del proprio smartphone. Un uso eccessivo e pervasivo che può portare a disagi psicologici e sociali e che pare colpire più gli utenti femminili di quelli maschili. Questa è una delle evidenze riportate dalla ricerca “Benessere digitale” svolta dall’Università Bicocca di Milano in collaborazione con Fastweb, un progetto volto alla creazione di un modello per l’educazione ai media digitali nelle scuole. La presentazione ufficiale avverrà venerdì 9 novembre alle 14.30 presso l’Aula Sironi dell’università milanese (qui le info).

“Finora le risorse della scuola per il digitale sono state rivolte  verso l’acquisto di software e hardware e sulla didattica con le tecnologie”, ci spiega Marco Gui, docente del dipartimento di Sociologia e Scienze della Formazione della Bicocca. “Con questa ricerca vogliamo far capire che la vera urgenza è lavorare su un’altra direzione, sulla media education cioè la formazione sull’uso di queste tecnologie. In un percorso che oltre gli studenti coinvolge anche i genitori. E ovviamente gli insegnanti, che anzi sono il punto di partenza: la formazione è rivolta a loro”. Così il lavoro dei ricercatori della Bicocca ha coinvolto quasi 3700 studenti appartenenti a 171 classi seconde della secondaria superiore attraverso un pacchetto formativo rivolto ai loro docenti. Il progetto si è quindi svolto su quattro moduli: la gestione del tempo e dell’attenzione, attività svolta anche grazie all’utilizzo di un’app (RescueTime) che ogni studente ha scaricato sul proprio telefono per monitorare quantità e qualità dell’uso del loro tempo digitale; quindi la fase di comunicazione e collaborazione che ha portato ogni classe a stilare una netiquette sull’utilizzo delle risorse online; nel terzo modulo, dedicato alla ricerca e valutazione, studenti e insegnanti sono stati coinvolti nell’identificare i criteri principali di valutazione delle informazioni che si trovano in Rete; infine, per la creazione e pubblicazione di contenuti digitali, ogni classe ha prodotto un “meme” attraverso l’analisi dell’audience e dei registri di comunicazione usati online.

Prosegue Gui: “Nelle scuole bisogna superare l’approccio legato all’esperto esterno, una necessità fisiologica in un momento di partenza ma che ora deve lasciare spazio al docente stesso che deve diventare un media educator. Che poi”, conclude, “è quello che la scuola ha sempre fatto, cioè insegnare ad affrontare la realtà che ti circonda in modo critico”. Da qui l’approccio della ricerca in sé, ossia “affrontare i media digitali non solo come capacità di utilizzo ma sulla capacità degli utenti di viverci bene”. Nei termini appunto di benessere inteso come soddisfazioni nella vita legate a relazioni sociali e realizzazione dei propri progetti. E la famiglia deve essere sì coinvolta nel processo, ma non può esserne la protagonista perché da sola non solo spesso non ha le competenze adeguate, ma pensando un impianto che sia anche su base nazionale, con il coinvolgimento più avanti del Miur, i nuclei familiari presentano diseguaglianze tali da non poter essere il perno di questo processo formativo.

Passando al test di competenza digitale, gli studenti hanno risposto correttamente al 62,5% delle domande previste(20 su 32), percentuale media che diventa 66,1% nei licei, 61,4% nei tecnici e 50,3% nei professionali. Per ciò che riguarda le caratteristiche individuali degli studenti, si osserva uno scarto ridotto tra maschi (62,3%) e femmine (61,8%). Gli studenti provenienti da famiglie con genitori meno istruiti (al massimo licenza media) completano correttamente il 59,1% del test, mentre i figli di laureati raggiungono il 63,7%.  L’area del test in cui gli studenti sono più carenti è Information & Literacy, con una media di risposte corrette pari al 52,2% del totale. Nelle aree di Creation e Security le performance salgono rispettivamente al 61,3% e al 63,9%, mentre l’area di competenza in cui si riscontrano i punteggi più alti è Communication, con una media di risposte corrette pari al 72,9%. Gli studenti appaiono quindi meno ferrati sul processo di selezione e validazione delle informazioni mentre si trovano più a loro agio con la comunicazione su chat e social.

Torniamo nel finale da dove siamo partiti, cioè dalle abitudini di utilizzo dello smartphone da parte degli studenti. L’uso pervasivo porta gli studenti a manifestare anche un grado significativo di disagio derivante dall’utilizzo del dispositivo. Oltre il 25% degli intervistati dichiara di fare spesso uso dello smartphone durante la notte, mentre il 35% di essi inizia ad usarlo appena sveglio; il 50% ne fa un uso frequente durante lo svolgimento dei compiti e il 60% lo usa mentre impegnato in attività ludiche di vario genere (per esempio guardare un film). Si tratta di percentuali da non sottovalutare, sottolineano i ricercatori, ancor più considerando la relazione negativa che emerge tra la pervasività complessiva dello smartphone e il rendimento scolastico. Marco Gui spezza una lancia nei confronti di questa generazione di ragazzi: “È vero che non hanno una guida ma va detto che nel momento in cui gli si da un percorso da seguire si manifesta da subito non solo un grande interesse ma anche motivazioni e capacità nel trovare soluzioni. A livello personale, e per il gruppo”.