La storia di Souleymane: la recensione del film di Boris Lojkine premiato a Cannes

08 ottobre 2024
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Vincitore di due premi a Cannes nella sezione Un certain regard, La storia di Souleymane racconta di un ragazza della Guinea che fa il rider e prepara il decisivo colloquio per ottenere l'asilo in Francia. Un intenso dramma con la tensione di un thriller di qualità. La recensione di Mauro Donzelli.

La storia di Souleymane: la recensione del film di Boris Lojkine premiato a Cannes

Parigi la sera, alle porte dell’inverno. I neon si riflettono sull’asfalto bagnato dalla consueta piggiorellina che non risparmia quasi ogni giornata. Una bicicletta sfreccia decisa fra le corsie preferenziali e i marciapiedi per ottimizzare i tempi e consegnare cibo a domicilio. Una città trasformata, dopo gli attentati terroristici e la pandemia, in cui appena prima di cena con il tramonto si svuota di impiegati che tornano a casa o prendono un bicchiere in brasserie e si affolla di rider impegnati ad attendere fuori dai ristoranti. Molti sono africani, si ritrovano a chiacchierare e un occhio distratto da occidentale non nota le specificità di ogni comunità. Il regista di La storia di Souleymane, Boris Lojkine ha fatto, come nei precedenti lavori, un lavoro di grande attenzione alla credibilità compiendo sapienti ricerche, nello scandagliare abitudini e organizzazione interna delle varie realtà nazionali di richiedenti asilo a Parigi, in molti occupati come rider, spesso subappaltando account da chi ha documenti regolari. Sono guineani, della Costa d’Avorio e di altri paesi, si punzecchiano sui risultati della loro nazionali di calcio o presunti abitudini o vizi.

Se in Camille aveva raccontato di una fotografa occidentale alle prese con una guerra civile nella Repubblica Centroafricana, persa nella ragnatela di un universo complesso da districare, ne La storia di Souleymane inverte il paradigma e pone davanti a uno specchio la “società civilizzata” occidentale e benestante, focalizzandosi su una grande città alle prese con delle persone che sembrano trasparenti, nella maggior parte dei casi viste come facenti parte del paesaggio urbano. Isolando uno di loro, e delineando una rete di comunicazione e organizzazione, gli restituisce la dignità di individuo. Souleymane è alle prese con le ultime iper cinetiche due giornate prima del colloquio cruciale con una funzionaria pubblica per ottenere (o meno) l’asilo politico. Ripete ad alta voce la lezione memorizzata malamente e registrata in un vocale, per cui deve ancora pagare lautamente un suo connazionale, che a tanti come lui fornisce la stessa storia di persecuzione politica in Guinea.

Non c’è un attimo per respirare, ne La storia di Souleymane, che sceglie la strada del thriller pieno di tensione e di una grande credibilità visiva nel raccontare questa vicenda. Luce naturale, riprese a tutta velocità con l’operatore in bicicletta come il protagonista, in un domino di situazioni che continuano a porre piccoli e grandi ostacoli al nostro volenteroso “eroe”. Un ragazzo dal cuore d’oro, preoccupato per la madre malata e sempre più depressa, mentre vede la fidanzata tentata da un matrimonio combinato con un benestante del paese. Una scivolata e una consegna compromessa può generare una catena di imprevisti pronti a compromettere il difficile equilibrio che cerca ogni giorno, prima di finire con l’ultimo bus a tarda notte a dormire in un rifugio gestito dalla municipalità.

Se il ritmo è trascinante e l’immedesimazione inevitabile è sicuramente merito di una regia attenta e priva di scivoloni retorici, con il pragmatismo unica stella polare, a far cedere definitivamente atri, ventricoli e viscere dello spettatore è lo straordinario protagonista, un non professionista trovato dopo un lungo casting come da tradizione. Abou Sangare somiglia molto al suo personaggio. Le sue esitazioni e i suoi silenzi, ma soprattutto i suoi occhi ci commuovono e conquistano, fino al momento in cui entra finalmente nell’ufficio per il colloquio finale, quello in cui ogni schermo rischia di cadere, e la sua storia diventare unica e personale, ma con una portata universale come il viaggio di speranza di milioni come lui, pronti a fuggire in cerca di un futuro migliore.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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