In alto sopra la strada vedo la punta della Torre Eiffel che taglia il cielo azzurro. Sono su un’elegante chiatta ormeggiata sulla Senna, dove Arena ha organizzato una giornata di interviste per conoscere i suoi atleti prima dell’Olimpiade di Parigi. Sto aspettando Nicolò Martinenghi e Thomas Ceccon, eccellenze dello sport italiano, medaglie olimpiche, colleghi, certamente amici, diversissimi tra loro, nonostante una differenza d’età di un paio d’anni.

Martinenghi è affabile, estroverso, ci tiene a raccontarsi nel modo più rotondo possibile, appassionato di basket italiano e NBA, di calcio e di Inter, di gioielli, di moda, di spettacolo, lo vedrei facilmente come ospite televisivo ma anche come commentatore sportivo. Ceccon appare al contrario più spigoloso, introverso, uno che nelle risposte ama mettersi di traverso, ossessionato dal nuoto, e poi dal nuoto e poi ancora dal nuoto, enciclopedico nell’archiviare ogni sua gara sul suo profilo YouTube, considerato da tutti (anche dal suo compagno) un fenomeno generazionale e anche qualcosa in più.

Le aspettative di tutto il movimento sono sulle loro spalle e il podio sembra l’obiettivo minimo delle Olimpiadi parigine. Ma quando si siedono non parliamo né di oro, né di argento, proviamo a girarci intorno e a capire come si vive in piscina al massimo livello possibile.

thomas ceccon and nicolo martinenghi during the press conference to present the international swimming championships 59th settecolli trophy at we sport up hall, 22 june 2023, rome, italy photo by domenico cippitellinurphoto via getty imagespinterest
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Ti piacciono questi media day pieni di interviste?

M: Divertenti dai, per scappare un po’ dalla routine.

C: Mmmh… non si può fare una conferenza in cui mi siedo e mi fate una domanda a testa?

La domanda che odi di più? Così non te la faccio.

C: “Sei pronto per le Olimpiadi?”, secondo te? Manca un mese.

Quando sei alle Olimpiadi vivi la città o potrebbe essere un posto qualsiasi?

C: Purtroppo non vedi nulla, potrebbe essere un qualsiasi altro posto nel mondo.

M: Quando ci sono le gare sei totalmente staccato da tutto. Prima e dopo invece è diverso, c’è la possibilità di girare un po’. A Parigi vorrei farmi una passeggiata e anche visitare un museo non mi dispiacerebbe.

Rispetto alla scorsa olimpiade hai cambiato qualche abitudine?

M: Sono cambiato io più che altro, ho capito che devo godermi più a fondo il clima dell’evento da un punto di vista umano, con la consapevolezza che sono manifestazioni uniche, da non dare per scontate.

C: La scorsa Olimpiade era andata molto bene e ho vissuto bene l’avvicinamento alle gare, quindi ho pensato di tornare sullo stesso percorso. Ovviamente a Tokyo c’era il lockdown ed è difficile fare paragoni. Ricordo un’atmosfera surreale, ma mentre gareggi sei così concentrato che ti estranei da tutto.

Prima di una gara importante come ti vivi i momenti extra nuoto?

M: Vado al lago… perché a Varese il mare non c’è (ride ndr). Faccio cose semplici cercando di faticare il meno possibile, soprattutto a livello mentale. Non devi pensare ogni momento alle gare e alla competizione, tanto quelle sono già lì con te. L’altro giorno parlavo con un atleta australiano che nel tempo libero costruisce case. Avere altre passioni non è necessariamente una distrazione, anzi.

C: Cerco di riposarmi mentalmente. Anche adesso sono in quella fase e infatti cerco di fare il meno possibile cose come questa (ride ndr).

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Gian Mattia D'Alberto / LaPresse

Si parla tanto di tennis come sport mentale, frustrante e solitario. Il nuoto sembra ancora più estremo.

M: Il tennis è un gioco, che non significa sia meno pesante o faticoso, ma c’è una palla, c’è una racchetta, ci sono tanti fattori esterni. Il nuoto è una gara, devi andare da un punto A a un punto B, il più forte possibile e basta. Inoltre sei da solo, non puoi parlare con nessuno, sei sott’acqua, non respiri neanche, è una solitudine diversa dalle altre.

C: Se ti alleni in gruppo e hai un buon team è più semplice affrontare questo aspetto. Io mi sono quasi sempre allenato da solo e non è facile. Dipende tanto da come ti costruisci la vita intorno e da come sei tu di carattere.

Come si affronta mentalmente questo isolamento?

M: Da quando sono piccolo mi alleno da solo e la solitudine non mi spaventa. Quando inizi a nuotare seriamente sai che la tua unica compagnia è la fatica. Però secondo me c’è un aspetto di questo isolamento che può essere positivo: ti permette di ragionare, di costruire e anche di maturare.

Quando stai nuotando in gara è meglio pensare o non pensare?

C: La cosa migliore è entrare in una sorta di trance agonistica, in quei momenti sei tranquillo e immerso nel tuo mondo, se cominci a pensare troppo rischi di fare peggio. Ovviamente in una gara da 100 metri e 50 secondi fai fatica a rimuginare, è troppo breve. In quella da 400 è molto diverso ed è lì che fa la differenza il tuo lavoro sulla testa.

Il nuoto sembra uno sport meno creativo rispetto ad altre discipline, è così?

M: Oggi la creatività sta nella costruzione della tua nuotata, una cosa che decenni fa non si faceva, era tutto più rigido. Ci sono tanti dettagli che possono riguardare la scelta degli allenamenti, l’approccio e la tecnica. Vedilo come un puzzle in cui ti devi incastrare al meglio con i vari pezzi di cui è composta la disciplina. Il disegno finito è la gara.

Tu sei riuscito a mettere insieme i tuoi pezzi?

M: Io ho completato il puzzle, poi l’ho disfatto e poi l’ho ricomposto ancora una volta. Ora voglio farlo con altri colori. Durante la carriera cambia perché cambi tu e cambia quello che vuoi ottenere.

Ti piace guardare le gare del passato?

C: Sì mi guardo tutto, mi piace studiare questo sport, mi emoziona, mi carica. Guardo tutti gli stili e tutti gli atleti, guardo anche competizioni di 20 anni fa. Ti rendi conto anche di quanto il nuoto sia cambiato negli anni.

E sta cambiando anche adesso? Tra 5 anni come sarà?

C: Dal punto di vista della fisicità sta cambiando tanto, ogni periodo predilige una tipologia di corpo. Adesso gli atleti sono più alti e longilinei, ma non è detto che tra 5 anni non tornino i fisici più imponenti e grossi.

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Gian Mattia D'Alberto / LaPresse

Nel calcio è uscito il tema della ludopatia e della dipendenza da adrenalina, nel tuo mondo esiste questa sensazione?

M: Esiste, anche perché da noi la competizione dura un attimo e quando è finita ti scontri con un down vertiginoso. Quando sono sul blocco so che mi sto giocando tutto e mi piace. È una sensazione molto potente ma non bisogna esserne sopraffatti. Probabilmente è un tema che affronterò soprattutto alla fine della carriera.

C: Sicuramente è un aspetto che esiste, ma cercare troppo questi picchi può essere distruttivo, io sono rimasto a casa dai mondiali anche per questo motivo. Quando vuoi sempre stare al top ogni anno, ogni gara, a un certo punto non ce la fai più. Ti devi preservare.

Ci pensi mai alla fine della carriera e a quello che potresti fare?

M: Io ho un rapporto buono con quell’idea, nel senso che so che arriverà, ma vorrei essere io a scegliere quando. Non voglio aspettare che il nuoto mi dica basta. Io poi sono molto curioso e ho voglia di capire cosa farò dopo aver smesso, ma il nuoto mi mancherà, questo è certo.

C: Sì, ci penso. Ho provato a darmi delle risposte ma per adesso sto a guardare quello che fanno gli altri, magari mi viene l’ispirazione. Allenare è una rottura di scatole, ma potrebbe essere una strada. Per ora non ho la smania di prendere una decisione.

Ti ricordi la prima volta che sei entrato in piscina?

M: Ricordo che da piccolo la odiavo, non volevo tuffarmi, chiamavano mia madre, odiavo il cloro, odiavo bagnarmi, odiavo il casino, per me era faticoso. Poi quando cominci a decidere con la tua testa cambia tutto e solo lì ho capito che mi piaceva da morire.

Quando hai pensato che sarebbe diventato il tuo lavoro?

M: A 13-14 anni avevo già ottenuto risultati a livello internazionale, poi a 16-17 ho sfiorato le Olimpiadi di Rio. Lì invece di deprimermi ho pensato che quella sarebbe stata la mia strada. Stavo finendo la scuola e già vedevo il mio futuro. Oggi sembra ovvio, ma all’epoca era un sogno.

C: Non c’è stato un momento, l’ho sempre pensato. Da ragazzino quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande mi inventavo sempre una risposta perché mi vergognavo di dire il nuotatore.

Voi due che rapporto avete? Sembrate molto diversi e anche molto vicini.

M e C: Siamo opposti, ma il nuoto ci ha unito.

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Headshot of Valerio Coletta

Nasce a Roma e comincia a scrivere in giro. Collabora con Esquire, L'Ultimo Uomo, Il Tascabile e altre riviste. È stato autore e attore per il programma di Rai 2 "Una Pezza di Lundini". Non beve caffè e non conosce il suo orario di nascita. Molto probabilmente morirà in questo secolo.