Padiglione della Repubblica del Benin

Everything Precious Is Fragile

“Everything Precious Is Fragile” è una mostra che si propone di esplorare la vasta storia del Benin, approfondendo tematiche quali la tratta degli schiavi, la figura dell’Amazzone e la religione Voodoo.

Intitolata “Everything Precious Is Fragile”, la mostra ripercorrerà la ricca storia del Benin, approfondendo tematiche come la tratta degli schiavi, la figura dell’Amazzone, la spiritualità e la religione Voodoo. Si addentrerà inoltre nella realtà contemporanea, raccontando il pensiero Gèlèdé, incentrato sul concetto di rematriation: un’interpretazione femminista dell’idea di “restituzione”, non solo legata agli oggetti, ma anche riferita al ritorno alla filosofia e agli ideali di questa terra antecedenti all’epoca coloniale.

Il curatore Azu Nwagbogu e il suo team – la curatrice Yassine Lassissi e lo scenografo Franck Houndégla – hanno selezionato quattro grandi artisti che rappresenteranno il Benin alla Biennale Arte 2024: Chloé Quenum, Moufouli Bello, Ishola Akpo e Romuald Hazoumè. La tematica scelta dal Benin è “Everything Precious Is Fragile”, attraverso la quale gli artisti si addentrano nell’ampia storia e sociologia del Benin, legata alla tratta degli schiavi, alla figura dell’Amazzone e alla religione Voodoo. Il risultato è una narrazione esaustiva del Benin, della sua storia, cultura, stile di vita e del ruolo che la donna riveste nella società, rappresentata dalle figure della guerriera e dal pensiero Gèlèdé. Grembo del mondo e portatrice dell’identità originaria, la figura femminile racchiude l’espressione assertiva del femminismo storico che le tradizioni del Benin hanno sostenuto e coltivato attraverso percorsi individuali e collettivi e stili di vita rituali e sacri.

“Everything Precious is Fragile” rivela una profonda esplorazione delle tradizioni Gèlèdé del popolo Yoruba, intrecciata con le ombre latenti degli eventi globali contemporanei e la questione dilagante dell’ingiustizia epistemica. Questa proposta curatoriale risponde al delicato scenario mondiale, segnato non solo da sfide ecologiche, conflitti e crescenti disuguaglianze sociali ed economiche, ma anche dall’emarginazione sistemica di sistemi di conoscenza diversi e indigeni.
In uno sforzo di collaborazione con i governanti tradizionali del Benin, i custodi culturali della conoscenza, dell’arte e dell’enigmatico, il concept curatoriale del padiglione riconosce le ingiustizie epistemiche, storiche e attuali, che i sistemi di conoscenza indigeni devono affrontare, e la negazione delle voci femministe.
Azu NWAGBOGU Curatore del Padiglione del Benin

I quattro artisti – Chloé Quenum, Moufouli Bello, Ishola Akpo e Romuald Hazoumè – incarnano l’ethos del Benin, sostenendo la rigenerazione e la [re]matriation – il ritorno all’abbraccio accogliente della madre – e al contempo sfidando le gerarchie che hanno messo a tacere le diverse voci.

La mostra attinge ampiamente all’eredità storica del Benin e alla recente restituzione di manufatti culturali, integrando intenzionalmente narrazioni che affrontano la violenza della destituzione e della cancellazione insita nelle storie di questi oggetti. All’interno del padiglione del Benin, una “library of defiance” esplora l’immenso contributo delle donne, nel corso della storia, affrontando le questioni più urgenti dei nostri giorni, come la perdita di biodiversità, l’identità, l’ecologia, la scienza, le conoscenze indigene, le storie dei Neri, la rappresentazione e domande urgenti su verità eterne e valori intramontabili.