Nesters Microbiology A Human Perspective 9th Edition Anderson Test Bank

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Nesters Microbiology A Human

Perspective 9th Edition Anderson Test


Bank
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Nesters Microbiology A Human Perspective 9th Edition Anderson Test Bank

Nester’s Microbiology, 9e (Anderson)


Chapter 2 The Molecules of Life

1) In addition to investigations with bacteria that led to Pasteur being considered the Father of
Microbiology, he also
A) found that some molecules can exist as stereoisomers AND created aspartame.
B) created aspartame AND separated organic acids using a microscope.
C) found that some molecules can exist as stereoisomers AND separated organic acids using a
microscope.
D) separated organic acids using a microscope AND discovered polarized light.
E) discovered polarized light AND found that some molecules can exist as stereoisomers.

Answer: C
Section: 02.01
Topic: Chemistry
Bloom's: 3. Apply
Learning Outcome: 02.01 Describe the general structure of an atom and its isotopes.
ASM Objective: 03.02 The interactions of microorganisms among themselves and with their
environment are determined by their metabolic abilities (e.g., quorum sensing, oxygen
consumption, nitrogen transformations).

2) The negatively charged component of the atom is the


A) proton.
B) electron.
C) neutron.
D) nucleus.
E) valence.

Answer: B
Section: 02.01
Topic: Chemistry
Bloom's: 1. Remember
Learning Outcome: 02.01 Describe the general structure of an atom and its isotopes.
ASM Objective: 03.02 The interactions of microorganisms among themselves and with their
environment are determined by their metabolic abilities (e.g., quorum sensing, oxygen
consumption, nitrogen transformations).

1
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3) The part of the atom that is most involved in chemical reactivity is the
A) proton.
B) neutron.
C) electron.
D) nucleus.
E) ion.

Answer: C
Section: 02.01
Topic: Chemistry
Bloom's: 2. Understand
Learning Outcome: 02.01 Describe the general structure of an atom and its isotopes.
ASM Objective: 03.02 The interactions of microorganisms among themselves and with their
environment are determined by their metabolic abilities (e.g., quorum sensing, oxygen
consumption, nitrogen transformations).

4) Electrons
A) are found in the area outside the nucleus known as the cloud.
B) may gain energy but do not lose energy.
C) cannot move from one shell to another within the cloud.
D) are located farthest from the nucleus and have the least energy.
E) are positively charged particles in an atom.

Answer: A
Section: 02.01
Topic: Chemistry
Bloom's: 2. Understand
Learning Outcome: 02.01 Describe the general structure of an atom and its isotopes.
ASM Objective: 03.02 The interactions of microorganisms among themselves and with their
environment are determined by their metabolic abilities (e.g., quorum sensing, oxygen
consumption, nitrogen transformations).

5) The atomic number for an atom of a specific element is equal to (Check all that apply)
A) the number of electrons in a single atom of that element.
B) the number of electrons plus neutrons in a single atom of that element.
C) the number of protons in a single atom of that element.
D) the number of neutrons and protons in a single atom of that element.
E) the position of an ion on the periodic table.

Answer: A, C
Section: 02.01
Topic: Chemistry
Bloom's: 2. Understand
Learning Outcome: 02.01 Describe the general structure of an atom and its isotopes.
ASM Objective: 03.02 The interactions of microorganisms among themselves and with their
environment are determined by their metabolic abilities (e.g., quorum sensing, oxygen
consumption, nitrogen transformations).
2
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6) Sharing of electrons between 2 atoms forms a(n)
A) hydrogen bond.
B) ionic bond.
C) covalence bond.
D) atomic bond.
E) covalent bond.

Answer: E
Section: 02.02
Topic: Chemistry
Bloom's: 2. Understand
Learning Outcome: 02.03 Compare and contrast ionic bonds, covalent bonds, and hydrogen
bonds.
ASM Objective: 03.02 The interactions of microorganisms among themselves and with their
environment are determined by their metabolic abilities (e.g., quorum sensing, oxygen
consumption, nitrogen transformations).

7) If electrons are gained or lost in the formation of a bond, the bond is a(n) ________ bond.
A) ionic
B) covalent
C) hydrogen
D) nonpolar
E) intermediate

Answer: A
Section: 02.02
Topic: Chemistry
Bloom's: 2. Understand
Learning Outcome: 02.03 Compare and contrast ionic bonds, covalent bonds, and hydrogen
bonds.
ASM Objective: 03.02 The interactions of microorganisms among themselves and with their
environment are determined by their metabolic abilities (e.g., quorum sensing, oxygen
consumption, nitrogen transformations).

3
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Uno spirito nomade, che avvolge e determina l’agire di una esistenza, era
in lei come nei cieli, aveva insegnamenti biblici:
— Io t’ho creato perchè tu mi ami sii come me incolta e malefica a chi
voglia togliermi l’aspetto mio.
Specchio dei cieli, povera di frutti, ma ampia e padrona come i venti del
nord, come il più alto dei soli.
E però ell’era in quello spegnersi crepuscolare, silente e rossastra, quasi
dolente per la morte di una sua creatura. Non gracidò una rana, non gridi
d’anatre emigranti, dall’alto, nè cenni di vita da lontananze: non fu un
tinnire che piangesse il crepuscolo; ell’era chiusa come da insuperabili
barriere, sicchè sola nel mondo pareva e tutto il mondo in lei.
Sull’acque aperte a tratti i bagliori non si stendevan diritti e dilaganti, ma
erano a interruzioni di ombre violacee; gruppi di steli o qualche stelo
solitario si levava diritto aprendo una corolla.
Eran mollezze verginali, della stanca verginità delle acque e negli spazi
liberi ove più viva si effondeva la luce, sicchè come per fosforescenze
proprie la palude abbagliava, il tuffarsi di una rana, il cadere di un chicco
di sementa, apriva sulle immote superfici, un allargarsi di cerchi oscuri
succedentisi in ritmo fino alle ultime vibrazioni, appena violette nel
rosso acceso.
Qualche argine sottile si allungò sotto il crepuscolo perdendosi; la
melmosa superfice celata da esili canne, stava insidiosa agli inesperti. E
veramente rifulse sotto l’ombra delle canne, fra i giunchi, fra le alghe
ove l’acque eran verdastre per l’ombra, come antichi bronzi dissepolti,
qualche livido profilo di donna, dalle larghe pupille aperte, chiare e
verdi, di un singolare stupore. Le alghe attorcigliandosi, come rettili
lenti, alle carni, ai capelli; le alghe dei fondi oscuri nate dalla putredine,
per loro lento vibrare, davano all’irreale figura apparenza di cosa viva,
sicchè essa si animò nel silenzioso stupore e dai larghi occhi immobili,
sinistramente, come dolorando vibrò insidie, tetra medusa delle
solitudini.
Più discosto un fauno rise di un ampio riso acceso di libidine, nel
dissolversi delle cose, sotto le acque immobili.
E sorgevan corolle e steli esili, e foglie acute come lame, ma non v’era
alito che le smovesse; lo spengersi del sole dava al solitario paese come
un senso di tristezza e di paura.
Miseria andò curvo nella strada interminata. Un uomo che riedeva dal
lavoro (passò con la giacca sulla spalla ed alta la falce sul capo) gli
augurò:
— Buona sera e buona pesca.
Miseria tacque, l’altro si rivolse a guardarlo stupito, ma poi proseguì
silenzioso e forte, sdegnando.
Miseria molto andò, finchè l’ombre furon vicine. Il silenzio era nel suo
essere e nelle cose.
Poi una vena gli tremò presso il core. Sollevò il capo, gli parve d’esser
chiamato.
Un piviere trascorse nell’aria ridendo, era un riso lo stridulo grido, un
riso inumano. Si attenuò, si perse e ancora il silenzio.
Si guardò attorno: solo! Vicino a lui era una pietra miliare e vi si assise.
Una ninfea presso ai suoi piedi fermò il suo sguardo, il bianco de’ petali
condusse il suo pensiero ad altre cose. Vide una piccola bocca di
bambina morta: Mariella! Una bocca bianca, ove a bacio a bacio s’era
esaurito il sangue fino alla morte. E le labbra stavano ancora socchiuse,
ancora inesauste come la corolla di ninfea: Mariella! Il sorriso di un
mattino: la sua bocca trovò quel nome quasi cantasse.
Udì salmodiare, luccicaron molteplici fiaccole, caddero fiori: una vena
presso il core, batteva, batteva, batteva.
Scivolò lentamente dalla pietra sulla terra, le gambe si stesero tanto che i
piedi sfiorarono l’acqua.
Ancora un grido, ancora un riso lungo interminato scivolò negli azzurri.
E le voci furono nel suo orecchio:
— Miseria canta, balla. Il trescone! Il trescone!
Lo tiravano, lo spingevano, lo punzecchiavano.
— Miseria, Miseria, Miseria...
Balbettò:
— Lasciatemi morire.
Poi chiuse gli occhi, ebbe una voluttà di sonno, una voluttà di pace.
Passavan tutte le cose buone: la sua donna, la sua bambina. Erano vestite
di bianco, Francesca conduceva Mariella per mano. In qual paese? Non
sapeva: — Dove andate? — Gli accennavano: Vieni vieni vieni. Gli
pareva che ci fossero dei gigli, che ci fosser de’ pioppi alti e del sole. E si
allontanavano ed egli non poteva seguirle.
Rivolgendosi ad ogni passo lo chiamavan ancora, sempre, con la mano;
ma egli non poteva andare, non poteva.
Presso il core la vena accellerò sempre più il pulsare come martellasse.
Esse erano partite ambedue per lo stesso destino. Tornavano ora,
tornavano più vive che mai.
Ma poi sentì che soffocava, tentò di rizzarsi. Da lontano giungevano altre
grida, altri cachinni, ma ora innumerevoli e selvaggi. La mente sua
immaginava l’ultimo tormento. Una turba l’attorniò (tutti giovani accesi,
avvinazzati) e danzò attorno a lui gettandogli ciottoli.
— Prendine, prendine.
— Lasciatemi, sono vecchio, stanco.
Ma la turba cresceva, sempre, vivace e gagliarda. Lo insultava
calpestandolo perchè voleva il riso, il riso ancora, la gioia fino ad
esaurirsi.
— Via, su, il trescone, il trescone!
Eran mille suoni, una ridda ed uno schianto. Lo prendevano, lo colpivano
atroci e veementi per la crudeltà del riso.
— Miseria ancora il trescone, ancora.
Gli si appesantiva il capo.
— Troppo forte, ah! troppo forte.
Poi d’improvviso un giovane gli si accostò, lo prese alla vita e lo strinse
forte tanto da soffocarlo, finchè egli stese le braccia e gridò:
— Mi schianti il core.
E dagli abissi furon sopra il suo capo le urla.
Ricadde.
Repentinamente la vena vicino al core cessò di pulsare, vide egli in un
attimo ancora la bianca visione di pace; Francesca e Mariella con la
mano accennarono:
— Vieni! Vieni!
Posò il capo vicino alle acque e sorrise nell’alito della morte.
Uno storno d’uccelli migratori si allontanava gridando acutamente nei
larghi spazi, in turbinio veloce.
Un pellegrinaggio
(I )

Forse qualche frate misericorde avea eretto la croce sul culmine del
monte.
Dicevan gli avi dai bianchi capelli ch’essa era stata sempre lassù, diritta
sul monte, sicchè la sua origine ignota per memoria di popolo si perdeva
nelle tenebre. Nessuno pensava di dirne alcuna cosa, essa era come il
monte di granito; l’uomo vi passa e si umilia, chè il pensiero dei semplici
si chiude come il corso del sole fra due limiti insuperabili: ciò che è, è
per forza di Dio, ed è stato in eterno.
E sulle albe, sui tramonti, quando le campane annunziavano dai culmini
o dalle valli, l’evolversi della vita fra due confini, chiunque fosse sul
monte al lavoro, chè molti prima della luce aravan già la terra sotto il
propiziare di qualche stella; chiunque fosse nelle valli, nell’ombre umide
del profondo e vedesse nel cielo erigersi la croce, curvava il capo
scoperto, benedicendo.
Così i giovani, forti del loro sangue novo, forti della prima vita tutta di
vincoli d’amore, sì per la donna, come per l’ultimo stelo dei campi; così i
vecchi curvi e tremanti, più lontani dai cieli del pensiero, e più prossimi
alla pace che la terra, aprendosi benevolmente, avrebbe data loro.
Era quello il monte più prossimo al cielo, brullo, grigio per mille macigni
ammonticchiati; una strada che saliva serpeggiando rompeva sola con
una nota bianca e stridente l’uniformità grigia del granito. Ma
tutt’intorno eran altri monti verdi per ricche vegetazioni, coperti di selve
di castagni e di quercioli sulle cime, più bassi erano ulivi e vigneti.
La valle che si apriva al sol di levante, accoglieva la maggior parte delle
case, le altre eran sparse sulle chine, o nascoste da macchie d’alberi, o
bianche serenamente fra il verde.
Viveva là una tribù, una specie di tribù primitiva, semplice e rude.
Lontanamente nei secoli, qualche orda raminga, sedotta dalla fertilità del
luogo, sostò ivi e presavi di poi dimora con largo intendimento gettò il
primo seme.
E siccome la terra dette grande messe e dai solchi appena smossi,
verzicando rigoglioso il grano empì la valle, con l’amore della terra,
crebbe l’amore fra gli uomini e il numero esiguo lentamente si moltiplicò
nel trascorrere del tempo.
E la valle e i monti intorno sorrisero per nuovi abituri, per nuovi figli
laboriosi, sicchè i campi si accrebbero e dove attorcigliata a fusti
cresceva selvatica la vite e gli uomini appena notavano i suoi frutti, ora
per cura paziente si stendeva in un molle abbandono e dava al sole le
bacche o dorate o sanguigne.
Così nelle menti ignare dal principio de’ secoli non altra cura o pensiero
visse, se non quello della terra. E la gran madre seppe ammaestrarli. Essi
vider gl’inverni, vider le cose addormentarsi e tacere, udirono il gran
silenzio de’ campi, il raccoglimento straordinario dei terreni bianchi per
nevi recenti e pensarono: — La terra dorme è tempo di riposo — e si
raccolsero nelle case. Mandaron così i primi camini il loro fumo
d’argento in alto, verso i bianchi cieli.
Così sulle albe qualcuno che guardò di lontano le molteplici trame di
fumo unirsi in alto in una sola nube leggerissima, come di metallo
inconsistente, vide (forse era in lui il primo germe del poeta) vide una
bianca figura benedire in atto d’incomparabile amore.
E mentre gl’inverni tacquero, nelle solitarie case sorrisero i primi
raccoglimenti famigliari.
Quando fischiò la bufera imperversando l’uomo sentì inconsciamente la
dolcezza del raccoglimento, la fortezza che ne proveniva nell’essere
uniti, nel vivere l’uno per l’altro in vincoli di fratellanza.
E ancora: i vecchi sapienti per lunga vita, insegnarono ai fanciulli,
tremava qualche fiamma nel rude focolare, come il seme si sparga, come
si prepari il terreno, ed anche impartiron loro i primi elementi di una
semplice morale.
Essi vider le primavere, vider dai rami protesi piare soavemente le
gemme, la valle non apparve più una distesa di terreno triste, ma si
raccolse per una sequela di frondi, per una fiorita di messi, ed anche sul
monte furon macchie di color vivo, i melograni: i mandorli narravan così
l’annuncio del risorgere. La terra sorrise ed essi si dissero: — È tempo di
vita. — E come l’anima si univa per inconsapevoli legami a tutto
l’operare dell’ignote forze di natura, sicchè un desiderio di espandersi
premeva forte all’intelletto, qualcuno, forse nel ricordare la donna, nel
guardare un’alba sui monti o il trascorrere d’acque fra steli, parlò alto e
la sua voce tremando si modulò nei primi rudimenti di un canto.
Era tempo di vita e il lavoro non era pena. I campi s’impressero delle
loro orme, ma ove sorgesse uno stelo, non vi fu zolla calpesta.
Impararono l’amore, l’amore pei cieli e per il chicco di sementa; la
donna anche che nella pace del riposo s’ingentiliva, ebbe dal compagno
un pensiero che non fu di desiderio.
I monti furon salda barriera, il vento non lasciò cadere nei solchi aperti
un seme di zizzania.
E così la terra nell’evolversi delle altre stagioni, per ogni periodo ebbe
ammaestramenti savi e gli uomini rudi impararono ed ebbero sempre più
maggior reverenza per la gran madre.
Trascorsero secoli e secoli. Furon dimenticati gli antenati, ogni
generazione ebbe il ricordo della precedente nè altra memoria; d’altra
parte non visse intelletto di potenza superiore alla comune.
La vita loro si chiuse, si delineò e trascorse uguale e soddisfatta;
passaron gli uomini sulla terra come il succedersi delle stagioni, sempre
ugualmente nei secoli.
Solo un avvenimento lasciò traccia di sè ed assunse la grandiosità del
mito. Fu un raggio d’improvvisa luce che trasse le anime concordi alla
fede dei cieli. Si narrò di un’apparizione. Improvvisamente, in un’alba,
dal monte squillò una campana e una voce più sonora del turbo chiamò a
raccolta il popolo, e tutti, tutti come per forza nova andarono.
Anche i vecchi cadenti saliron la ripida china, anche i malati e i fanciulli,
e chi lavorava ne’ campi gettò la marra e si avviò al monte.
E il popolo udì l’avvento di un Dio disceso in terra e morto per l’intera
umanità sulla croce.
Così per la prima volta agli ignari un ignoto apostolo, parlò di Rabbi
Gesù e l’anime semplici si empirono di fede.
Il popolo seppe che Iddio era disceso per redimere gli umili, per umiliare
i potenti; ma l’uomo che loro tali cose disse non fu ricordato se non
come una figura estremamente lontana.
Poi che la nuova fede si espanse, chi aveva visto la morte come un
silenzio, si prostrò, la faccia sulla terra ed adorò piangendo, Cristo, il
Signore!
Gli uomini rudi e diritti furon come ferro nel fuoco, le donne stanche e le
vergini, alzaron le braccia invocando e tutta la valle e tutto il monte
intorno fu convertito alla fede di Cristo Gesù.
Il popolo ricordava il grandioso avvenimento, come si ricorda un sogno
incerto.
Non così della croce; ell’era tragica ed oscura stava sugli abissi, nei
luoghi altissimi, simbolo di morte e di redenzione.
Epperò ell’aveva il fascino dell’ignoto, era la sfinge dei semplici che
dalla pura fede passano al fanatismo idolatra del simbolo.
Gesù non era in lei, l’uomo rude non seppe elevarsi; la croce dei culmini
fu come le cose incomprensibili e mute.
L’uomo la temette e l’adorò.

*
* *

Ogni anno, sulla fine di febbraio, agli inizi della nuova stagione, il
popolo adunatosi, saliva in processione verso la croce, sul monte.
Era quello il pellegrinaggio della disperazione, poichè ognuno in quel
giorno, presi tutti i suoi dolori, gli antichi e i recenti, sotto la pena,
andava come al Calvario, per implorare la grazia. Chè sotto al sole son
due cose impellenti, la vita e il dolore; ovunque la vita germini, il dolore
penetra, contorce, disforma.
Se un uomo dirà ad un suo simile: — Io son con te difendiamoci! Avrà
segnato un patto di fratellanza, ma non si sarà difeso da chi veglia su lui
nelle tenebre e cerca il varco per infiggergli nell’anima l’assillo del
tormento.
Così che anche nella fruttifica valle, anche sui monti ubertosi, ove per
apparenze dolci e solitarie, ove per straordinarie paci, parea regnasse la
gioia, la gioia della semplice vita che si contenta di sè stessa ed aspetta la
morte come un frutto, era disceso il sinistro fato della tenebra, ed aveva
lasciato cadere a larghe mani sulle case remote, sulle case che si
stringevano dappresso, come in allacciamenti, il suo veleno.
E come nei secoli era avvenuto, anche in quel giorno, mentre il sole
accennava a disparire, il popolo s’adunò.
Era luogo di ritrovo uno spiano, nella valle. Ivi convenivano da tutti i
dintorni i fedeli, non uno che si potesse trascinare s’indugiava nelle case;
anche i malati, se pur qualcuno non era presso ad esalare lo spirito,
venivan portati a braccia faticosamente.
Man mano che il sole scendeva, il gruppo nero sempre più si allargò
quasi tumultuante ed alla massa ogni tanto qualche atomo si aggiunse,
qualche atomo che fu come una vibrazione nel punto in cui si aggiunse.
E non era una voce isolata, era bensì un murmure, chè ai gemiti si univan
digià le preci. I malati avevan negli occhi il sole. Tutto era sommesso,
tutto palpitava all’approssimarsi di un avvenimento straordinario, le
anime si univano in vincoli di timore, dall’alto pesava su loro la croce
granitica, il mistero dei cieli.
Le acque han così nell’apparente pace, il turbamento interiore, presso
alla voragine. La folla cresceva di minuto in minuto e per ogni dolore
aggiunto alla massa si aggravò il murmure, crebbe l’aspettazione ed il
tormento.
La terra si copriva di ombre. Tutt’intorno scendevan velari, qualche
albero si lanciò diritto ad accogliere il sole sulla cima.
Chi sentì presso la sua, la spalla del compagno, tremò per due martirii;
chi vide un vecchio implorare, pensò un sepolcro senza sole; nessuno
drizzò il capo al cielo, tutti stettero chini, scoperto il capo, aspettando la
pace.
Ma vi fu chi gridò alto:
— Signore! Signore!
Sicchè molti capi si rivolsero guardando. Una pazza giungeva vestita di
scarlatto, co’ capelli disciolti, lunghi scarmigliati intorno al volto acceso,
ella aveva una veste vibrante, scomposta come l’anima sua.
— Signore, Signore!
E poi che fu presso la folla sostò, girò attorno il largo occhio strano, e si
gettò sulla terra gridando. Fra il murmure della turba si scolpì una parola:
— Misericordia! Poi anche la pazza si compose con gli altri e tacque.
L’aspettazione imperò come una paura, mille orecchi avevano ronzii.
Doveva udirsi una voce prima che la turba prendesse l’andare e la voce
era lontana e vicina; incalzante e fatale.
La terra scendeva nell’ombra sempre più, nell’alto tutto era raggiante.
Poi un cuore, mille cuori, pulsarono veementi e tutta la folla cadde in
ginocchio.
Dall’invisibile (non era quella l’usata campana delle albe) discese un
suono acuto ondulando. Una serpe passava nell’aria, attorcigliandosi
vibrando come mille bronzi su torri, e sotto il suono fu il silenzio della
concentrazione mistica.
Lontanamente si udì salmodiare:

Occurrunt turbae cum floribus et palmis...

Dietro gli alberi, fra le siepi lontane, saliva il salmo come da tutti i germi
della terra. Poi si vide il bianco delle stole, si udiron molte voci di bimbi
e di fanciulle. Il Signore veniva nel sacramento fra i cantici.
Ancora nella folla si mantenne il silenzio. Frattanto la campana pulsava
affannosamente nel respiro reiterato del grido, ma le voci unite, più
vibranti salivano, vincendo il suo strazio.

«Cum Angelis et pueris fideles inveniamur.....»


...... triumphatori mortis, clamantes.....

Sorridevan lontanissime le nubi bianche nel sole.

«Hosanna in excelsis....»
La turba ebbe un fremito, si approssimavano le voci, il sacramento; la
campana gridava stordendo, nell’alto, negli abissi.
Un turbamento, una passione, un martirio sottilmente s’infiltrava,
scuotendo tutte le fibre. Non furon più mille anime, fu un’anima sola,
grande, implorante e addolorata. Ella si accasciò, si torse, ebbe
un’impeto convulso, sicchè nel murmure che lentamente si accrebbe,
quasi acqua in rovina, improvviso, gagliardo, irruente sorse un grido, più
alto di un fragorio di acciaio infranto.

«Hosanna in excelsis..... Hosanna!»

I cantori si avvicinarono; precedette un giovanetto. Era egli biondo e


gentile, aveva in sè qualcosa di soave, come le nubi di fumo che lanciò
dal turribolo, orando; e dopo lui, molti passarono in bianche stole, finchè
il vecchio parroco ricurvo, alte le mani reggenti il simbolo di Dio, si
fermò presso la folla..
Egli si rivolse, fece l’atto del benedire e mormorò:

— Procedamus in pace. —

Risposero i cori:

— In nomine Christi Amen. —

Poi proseguì. Andarono dietro lui i giovanetti e le vergini salmodiando, e


tutto il popolo lentamente si dispose a partire.
Il sole ancora irradiava la valle a ponente, sicchè per tutta la china di
quel versante eran luci vive, dall’altro lato si addensavano umide ombre.
Poco lungi dallo spiano, si apriva la strada del monte, il biondo fanciullo
già vi si inoltrò e salì per la bianca via sull’infranto macigno, che gli
ultimi della folla ancora si ordinavano per la salita.
Tremarono i ceri sorretti dai fanciulli e dalle vergini, i bianchi ceri
propizianti e per l’alito delle voci le fiammelle si ripiegarono.
Il salmodiare allontanandosi si innalzò, venne dalle altitudini.
La folla andò compatta come un sol corpo, si stese sulla via, scomparve
dietro un macigno, ricomparve sull’argine del precipizio, nera, uniforme,
fatale. Il pispigliare fu come di mille abeti in notte autunnale, gli abeti
delle sommità che gemono al vento dei mari, venne a tratti senza suono
di parole decise, ma si fuse coi cori in discontinue cadenze.
Chi ebbe affanno nel salire, trovò il braccio che lo sorresse e lo sospinse,
chi si esaurì nel portare un malato ebbe l’aiuto del vicino, del fratello;
non mai come allora, in nome della fede, la folla si sentì solidale ed una.
Era l’idea. — Essi andavano come al confine dei cieli, ai confini della
morte; tutti aveano sulle spalle la croce e sulla fronte i rovi.
Un Cristo novello era nell’anima di ciascuno. L’invidia e l’odio si
tacquero; chi girò gli occhi attorno vide su mille volti il suo dolore
istesso. Di fronte ai misteri anche l’anima degli ignari rimane nuda
inconsciamente. Ciò che la vita e le abitudini possono avere lasciato in
lei, scompare; i tratti che la diversificano dalle altre, si annientano; la
forza prima rimane ed impera, questo fa sì che molte anime si fondano in
una come un’unica fiamma.
La campana si tacque, la valle ebbe il silenzio, e un’ombra violacea,
mentre la turba si era allontanata e le cime cominciavano a tingersi di
fuoco.
In alto, nelle ultime ritorte della via, ormai confuse col grigio del
macigno, era un agitarsi di cose informi e silenziose; nel tramonto passò
qualcosa di solenne.

— Cum ramis palmarum, Hosanna clamabant in excelsis.... —

Il biondo giovanetto entrò nella vasta spianata ove s’erigeva la croce


sulla cima del monte. Egli entrò salmodiando, chinò il capo e lanciò dal
turribolo larghe spire di fumo, poi procedette verso la croce e
s’inginocchiò. Dietro lui seguirono i cori, seguì il vecchio prete e la
turba.
Il monte granitico si elevava sugli altri tanto da dominare lo spazio
all’intorno. La luce vi batteva direttamente così chè man mano che le
figure salivano, s’illuminavano ad un tratto nel grande folgorio del sole.
E sempre, e sempre dall’ultima ripida ascesa, comparivan uomini,
vecchi, fanciulli ed ogni volto poichè fu contro al sole s’accese e folgorò.
Il tramonto era rosso, privo di nubi e sotto al tramonto si stendeva un
piano, fra nebbie rossastro, interminato. La croce granitica stava alta e
rigida nel tumultuare di mille corpi; radiosa e cupa, pareva sanguinasse.
Poi che tutti furon radunati sulla sommità, il prete alzò le mani e un
silenzio imponente tutto intorno regnò.
Egli disse le laudi; il biondo giovanetto rispondeva con la voce sottile e
carezzevole. Ciò ebbe la durata di alcuni minuti. Poi il sacerdote si
rivolse alla folla ammucchiata.

— Ecce lignum Crucis in quo salus mundi pependit. —

Ad un tratto, vibrando, le squillanti voci dei cori risposero.

— Venite adoremus. —

E fu l’invito. Mille braccia si protesero, mille grida salirono turbinando


nell’aria; uno spirito convulsivo travolse la turba, sicchè per la foga del
dire, le molteplici implorazioni si fusero in un grido unico e selvaggio.
Sulla larga spianata del culmine, sotto il sole moribondo, di un rosso
acceso, come invasa da un folle senso di martirio, la turba si contorse in
un febbrile fanatismo cieco.
Nell’ansia di prostrarsi alla croce, di baciare il macigno, si sospinsero,
con furore gridando; chi fu calpesto e si rialzò col volto sanguinante, si
lanciò più accanitamente verso la croce.
I bambini, le donne, i vecchi, le più deboli creature, trovarono la forza di
aprirsi un varco, di giungere al macigno.
— Gesù, Cristo Gesù, fate la grazia, fate la grazia.
Una donna pallida e macilenta (le si erano sciolti i capelli nella ressa,
pochi capelli lisci e sottili) alzò fra le braccia un bambino, una povera
creaturina deforme, che penzolò nell’aria come un cencio e socchiuse gli
occhi mugolando contro il sole.
Ella ebbe una voce metallica ed aspra, parve che gridando così si
schiantasse.
— Signore, Signore, guarite il bambino mio, Signore, vi darò la mia vita.
E più disse e più si affannò, finchè esausta fu travolta da sopravvenienti.
Quando fu al largo si asciugò la bocca con la mano e sulla palma vide
una traccia di sangue. Il sole l’avvolgeva come nella porpora; diritta
sull’abisso ella guardò il mare di nebbie fluttuare, il suo occhio contro la
luce si allargò addolcendosi:
— Signore, Signore il mio povero bambino, fate ch’io lo conduca fino
alla vita.
S’interruppe, sentì nella gola sgorgare uno zampillo, sentì sconvolgersele
il petto, tossì e lo spasimo la costrinse ad abbattersi sulla terra, poi dalla
bocca contratta rigettò larghi flutti di sangue. Nessuno si rivolse a lei,
nessuno le tese una mano. Ella guardò il rosseggiare oscuro del sangue,
si strinse il petto che le ardeva in ispasimi atroci, ebbe l’idea di
un’orribile morte e curvato il capo sul seno del figlio stette muta; non
maledì, pianse.
Poi vi fu un urlo che superò il tumulto; la pazza si rizzò sulle spalle dei
vicini, sì che metà della sua persona apparve contro al sole diritta e fiera.
La testa gettata all’indietro, turgidi i muscoli del collo, tutta la faccia
contratta, alcune vene le si erano gonfiate come corde. Ella scuoteva il
capo sì che i capelli disciolti turbinavano nell’aria; sul viso ebbe tutto il
sole moribondo.
— Cristo, Cristo...
Il tumulto si tacque. Facendosi il silenzio attorno a lei, aumentò il suo
strazio. Una convulsione scosse tutti i suoi muscoli orribilmente, ad ogni
pulsazione del cuore torceva il collo gridando, il petto le si agitava
rapido, convulso, pareva si fosse schiantata in lei qualche vena e la vita
si accellerasse al suo termine.
Ad un tratto s’irrigidì, la bocca socchiusa, gli occhi aperti sull’abisso.
Alta nel sole, dominante la turba avvilita, rimase come una statua
spaventosa.
Vi fu il silenzio che precede le cose solenni. Ella si curvò lentissima
guardando lo spazio e nell’estrema tensione dei nervi scattò in un urlo e
cadde morente sul granito. Il prete la benedisse. Di poi come un lento
divampare ricominciò il tumulto.
Ciascuno narrò la sua pena ad alta voce, non altri poteva udire se non
Gesù. Già le ombre scendevano, era nell’aria maggior limpidezza,
all’occaso pareva si stendesse una catena di monti infinita e
lontanissima, di un inarrivabile paese; vi fu una dolcezza di anime
esauste, nel languore del vespero primaverile.
Così sulle anime in pena aleggiò lo spirito di Dio e si sparse intorno la
dolcezza di una prossima notte serena.
La terra richiamava i figli lontani. Le grida diminuirono, fu
l’esaurimento delle ultime onde sulla spiaggia. Si udirono preci
sommesse, tremiti di voce, molti s’inginocchiarono in disparte, la croce
si addolcì in una luce estrema.
E salì di molto lontano il suono di una campana, salì dalla valle salì
dall’ombra. Pulsava in essa come in intreccio di vene, un flusso di
sangue, il ritorno alla vita, alla norma semplice della vita, sì che ognuno
sentì lenta in suo cuore trascorrere una beatitudine. Ogni gemma aveva
messo in quel suono un suo invito, ogni albero uno stormire sommesso e
trepido come la voce di un bimbo. Era una chiamata solitaria e continua
dal fondo delle valli, dall’ombra.
Si ristabilì l’ordine tenuto nell’ascesa: Aprì la via il biondo giovanetto,
seguirono uomini in bianche stole, poi il vecchio prete e i cori e la turba.
Le vergini e i fanciulli non più avevano i bianchi ceri tremolanti, stavano
ora con le mani intrecciate. Passarono a due a due di contro al cielo,
come angeli. Le vergini avevano bianche vesti e portavano fiori sui
capelli disciolti, alcuna fra esse era veramente pallida ed esile, passavano
a due a due contro al cielo, quasi bianco, silenziose e tristi, pareva si
dovessero perdere col crepuscolo.
Seguì la turba compatta e mise nel cielo una traccia nera. Solo le teste a
quando a quando si scolpivano nei contorni.
Fu il lento trascorrere di una visione sulle sommità. Tutta quella folla
d’anime scendeva nell’ombra, rassegnata, riportando ciascuna la sua
croce.
Parea che la risposta dei cieli a tutto quel pregare, fosse come la biblica
condanna:

— .... tu mangerai del frutto della terra con affanno, in tutti i


giorni della tua vita. —
L’agguato

Innocenzo tirò le redini ad un tratto, il cavallo fece qualche sobbalzo,


s’inarcò e puntate le gambe di poi rimase immobile e ritto, fiutando.
D’innanzi a lui, sulla polvere, una donna era stesa senza moto. Il vecchio
discese e la raccolse.
L’adagiò sui cuscini del bagherino e spruzzandole acqua sulle tempia
cercò di farle aprire gli occhi.
Poco tempo trascorse ch’egli vi riuscì. Quand’ella girò attorno l’occhio
acquoso, sorrise. Innocenzo le appressò alle labbra una sua fiala che
aveva seco sempre, ed ella bevve sorseggiando appena e le gote ebber
qualche rosseggiare nuovo di vigoria. Poi si rialzò e si assise.
Il vecchio risalì sul bagherino, riprese le redini e dette l’avvio.
Tutto ciò avvenne senza atto di sorpresa nè parola nessuna; egli dette il
suo appoggio, l’altra accettò in riconoscente silenzio.
Fra gli uomini rudi la bontà si esercita come un dovere religioso.
Poichè il cavallo riprese il trotto, la donna si scosse e parlò.
— Andavo a San Zaccaria.
Il vecchio si rivolse:
— Vi ci accompagno.
— Grazie.
Mentre egli la guardò ebbe un aggrottare lieve del ciglio, il suo pensiero
si raccolse, ancora la sua voce forte vibrò:
— Voi siete Malusa?
Rispose la donna.
— Sì.
E chinò il capo. Poi gli toccò un braccio e timidamente disse:
— Se volete, vado a piedi, mi sento bene.
Innocenzo alzò le spalle:
— No, vi accompagno.
Malusa si rintuzzò, si raccolse, cercò ogni modo per occupare il minor
spazio possibile e non alzò il capo mai, nè gli occhi, assecondando con
tutto il corpo le scosse del bagherino. Ancora le sue vesti erano bianche
di polvere, sotto il labbro aveva una ferita sulla quale il sangue
raggrumato e la polvere avevan lasciato un solco nerastro; tutti i capelli
aveva in disordine, il volto immobile, nelle linee quasi di pietra, parea
un’antica maschera di dolore.
Innocenzo non si maravigliò di trovarla sul suo cammino, molte volte
nella pineta l’aveva incontrata; ella raccoglieva le erbe e componeva
filtri speciali per incanti e magie. A questo suo mestiere era stata
costretta, altro non le sarebbe rimasto per vivere, la superstizione cieca e
il destino ve l’avevano costretta.
Ella non sarebbe potuta entrare in nessuna casa, i giovani bensì andavano
a lei per averne qualche aiuto nell’amore. Dava le polveri che avrebbero
avvinta qualsiasi volontà contraria al desiderio dell’amatore. Diceva con
la voce fessa:
— Ella verrà da voi, questa essenza ha la magia della luna di luglio. —
Poi tendeva la mano per avere il frutto del suo inganno.
Era temuta e fuggita, le donne toglievan la polvere dalle orme sue per
farne sul focolare gli scongiuri. Passava di rado fra la gente, quando vi
era costretta lo faceva a capo chino e in silenzio, d’altra parte tutti le
facevan largo con timore.
Ora ella era perplessa e stupita dalla bontà d’Innocenzo, nella vita sua,
per la prima volta le accadeva d’essere trattata con rispetto e alla pari di
qualsiasi altra creatura umana.
Quasi morente fra la polvere egli l’aveva raccolta e curata; ora, sotto al
sole d’agosto, la conduceva via tenendosela accanto senza alcun sospetto
di male.
Lo guardò di sottecchi come una timida bestia che tema e si umilï per il
perdono. Egli aveva l’occhio chiaro e vivo e conduceva il cavallo veloce,
come un giovanotto gagliardo. Malusa rise di compiacimento, pensò:
Innocenzo vincerà anche il demonio.
Avrebbe voluto parlargli per dirgli la sua riconoscenza e fargli palese il
suo cuore. Sentiva dentro di sè un bisogno intenso di dire, che le faceva
tremare la gola come per singhiozzi. Ella non era poi l’orrida fornace ove
un fuoco malefico avesse arso tutto lasciando solo cenere nuda, senza
traccia di scintilla viva; ella non era il male ed il terrore, non la tenebra
oscura e lo spavento, c’era nella sua anima buia tanta potenza di bene da
empirne il mondo. Ma chi era salito mai alla fonte per appressarvi le
labbra? Chi mai aveva detto: — Malusa, tu sei buona ed io lo so, aiutami
nel mio dolore? — Ella allora se avesse trovata improvvisamente vicino
a sè, un’anima che l’implorasse, avrebbe lacerate anche le sue vesti per
coprirne le piaghe, s’egli fosse stato un ferito; avrebbe dato anche la vita
per quel sole che una volta almeno scendeva nell’anima sua a ricercarne
la bontà. Dover sopprimere per condizione d’altri ciò che si ha di buono
in sè stessi; dover passare con la maschera eterna della finzione; esser
costretti senza limiti su di una via fatale fino alla morte; aver bisogno di
sole, sentir la larga voluttà del sole ed esser forzati alla tenebra; aver
volontà di canto e dover tacere in silenzio; soffrire soffrire soffrire infine
isolati, nel silenzio della paura, era certo la condanna di un demonio. Ella
credeva nella sua mente squilibrata di aver stretto un patto con le
tenebre.
Pertanto disse timidamente e cercò quasi un sorriso nella parola:
— Cosa debbo darvi io, poi?
Innocenzo ne ebbe maraviglia.
— Ma per cosa?
— Per ciò che mi avete fatto.
Il vecchio alzò una spalla.
— Nulla Malusa, volevate che vi avessi lasciato morire?
Ella si tacque (nella sua semplicità, non seppe trovar altro) mormorò fra
le labbra una preghiera per raccomandare a Dio, a costo della sua vita,
quell’anima d’uomo che le aveva fatto del bene.
Il bagherino passava velocemente sotto al sole, i pochi uomini che si
trovaron sulla via, si volsero a riguardare con istupore. Qualcuno pensò:
— Forse Innocenzo l’avrà colta mentre rubava e la porterà in prigione. E
qualche altro: — Innocenzo è vicino alla morte. — Tant’era ritenuta
malefica la vicinanza di Malusa.
Presso un gruppo di case il cavallo s’impennò per l’ombra di una veste
scarlatta stesa al sole e siccome la via era selciata in quel punto, gli
zoccoli ferrati scalpitarono sordamente. Molte donne accorsero sugli
usci. Improvvisamente dalla siepe sbucò un piccolo fanciullo e corse in
mezzo alla via. La bestia cieca dall’ira gli fu sopra. Un aspro grido di
orrore si levò, ma le salde braccia del vecchio attorte alle redini,
vigorosamente in un urto violento atterrarono il cavallo. Il bambino era
salvo.
Fu allora che le donne si avvicinarono irate.
— Strega strega!
— Ti farà morire, è la strega, non la conosci?
La madre del bambino, una piccola donna gialla e biliosa, si accostò con
gli occhi luminosi e le labbra livide che mostravano i denti. Gridò
tendendo le mani:
— Ammazzala!
Innocenzo scese e poi ch’ebbe fatto rialzare il cavallo, si volse alla donna
e:
— Che vi ha fatto di male?
Urlarono le più prossime:
— È la strega, voleva uccidere il bambino.
Innocenzo salì, riprese le redini. Disse poi:
— Siete pazze; ella non ne ha nessuna colpa. — Dette l’avvio e ripartì.
Le voci tacquero e la calma strana del pomeriggio d’agosto stette come
un peso su tutte le cose.
Malusa non si era smossa dalla sua primitiva positura, rannicchiata in un
angolo del bagherino aveva ascoltato tutti i vituperi con rassegnazione.
Anche se avesse visto un mazzapicchio alto sul suo capo, non avrebbe
fatto atto alcuno di salvamento, avrebbe bensì stretti gli occhi aspettando
la morte.
Innocenzo aveva visto tutta la sua miseria. Ella si doleva in sè stessa
nella convinzione d’aver procurato quel male.
Un crescente dolore era nel suo essere; ella anche gli era di male augurio,
rendeva male per bene e senza che lo volesse.
Ma però in qualche modo Innocenzo doveva intendere, chè se avesse
taciuto, certo la coscienza dell’uomo non poteva essere se non mal
disposta, e le premeva ch’egli la sapesse almeno incosciente, disgraziata,
vittima del destino.
— Innocenzo fatemi scendere.
— E perchè?
— Non voglio portarvi male.
Egli si rivolse e sorrise, mostrò un sorriso come una gioia, un fanciullo
ed un santo.
— Via, state quieta, fra poco saremo giunti!
E si tacque nè più la guardò.
Ella non potè contenersi e disse:
— Il Signore vi benedica.
Poi chinò il capo ed abbassò gli occhi come s’egli dovesse dolersi di ciò
e qualunque sua parola fosse un veleno per lui.
Ma in fondo a quella umiliazione era una gioia serena e grande e
luminosa come per mille astri; sentiva nascere e crescere in sè stessa un
germe che le dava una grande felicità come non mai; avrebbe
singhiozzato sulla rupe, sotto la neve, nel fuoco; avrebbe voluto nel suo
corpo tutti i martirï, tutte le sofferenze per poter gridare: — Innocenzo,
Innocenzo io vi dò il mio dolore per la vostra bontà; io vi dò l’anima
mia, non posso compensarvi in altro modo se non soffrendo! — e
torcersi fra gli spasimi, ed esser donna nel suo ultimo sorriso di
sacrificio.
Un essere fra i maggiori, un uomo ch’ella non avrebbe osato guardare,
grande ed eletto fra mille, si era curvato fino a lei, l’aveva protetta,

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