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2019 Corea

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Corea, A. (2019). Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento. Italica Wra-
tislaviensia, 10(2), 175–192.
DOI: http://dx.doi.org/10.15804/IW.2019.10.1.24

Annamaria Corea
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
annamaria.corea@uniroma1.it
ORCID: https://orcid.org/0000-0001-5670-9121

Donne “compositrici” di balli


pantomimi in Italia fra Sette
e Ottocento

Women “Composers” of Pantomime


Ballets in Italy
Between the 18th and 19th Centuries

Abstract: This paper describes some aspects of the lives and artistic activities of Anna Binetti, Maria
De Caro, and Giovanna Campilli, “prima ballerinas” who lived between the second half of the 18th
century and the beginning of the 19th century. This research aims to highlight how these personalities
practised as choreographers at a time when this profession was principally a male prerogative.
Through the analysis of ballet programmes and contemporary sources, this paper investigates an area
that has been little explored in the studies of the history of dance that is, the female presence as an
“artistic subject” in the theatre of Italian dance. Thus, this phenomenon is contextualised in the broader
cultural landscape of the time and focuses on three case studies of women choreographers who,
whilst isolated in their extraordinariness, often converged significantly in their performance venues,
in particular in Venice and Naples, and in personalities such as Jean-Georges Noverre and Maria
Carolina of Austria. What is most interesting is that this approach highlights possible relationship
networks and, thus, may open new avenues of research.

Keywords: Anna Binetti, Maria De Caro, Giovanna Campilli, 18th- and 19th-century Italian ballet,
ballet programmes/librettos

Received: 30/04/2019; Accepted: 30/08/2019; Published: 30/11/2019


ISSN 2084-4514 e-ISSN 2450-5943
176 Annamaria Corea

R ipercorrendo a grandi linee la storia della danza occidentale, emer-


ge un dato abbastanza preponderante, ma su cui poco si è riflettuto:
la donna in quanto “soggetto artistico” si afferma pienamente nel XX
secolo e soprattutto nell’ambito di nuove forme come la danza libera,
poi moderna e contemporanea, ricoprendo oltre al ruolo di interprete
anche quello di coreografa. Nel genere di tradizione del balletto, pur
occupando un posto fondamentale come ballerina, spesso responsabile
della creazione dei propri soli, le donne non hanno ricoperto competenze
specificamente autoriali “accreditate” fino al primo Novecento, eccetto
qualche rara eccezione. Concentrandoci su alcuni casi straordinari, si-
tuati tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento, si tenterà
di mettere in luce la presenza di artiste che hanno rappresentato con la
loro attività di coreografe, anche se più o meno sporadica, un’eccezione
rispetto alle pratiche dell’epoca; pratiche d’arte che vedevano l’uomo al
centro delle responsabilità produttive dello spettacolo coreutico, sia nel
campo organizzativo che creativo1.
Possiamo far risalire i primi significativi esempi di “autorialità”
femminile, ascrivibile al genere ballettistico, a due note danzatrici fran-
cesi – Françoise Prévost (1680–1741) e Marie Sallé (1707–1756) – che
si ricordano come pioniere di nuove modalità sceniche e drammaturgi-
che all’insegna di una danza espressiva. Prévost, danzatrice all’Opéra,
è famosa per la sua recitazione muta ed eloquente al tempo stesso, in una
scena dell’Orazio di Corneille, quella dell’uccisione di Camilla (atto IV,
scena 5), rappresentato al castello di Sceaux nel 1714 grazie all’iniziati-
va della duchessa del Maine. L’anno seguente, ricreò attraverso l’inter-
pretazione di dodici danze dell’epoca una sorta di narrazione per quadri
focalizzata sull’amore nelle sue varianti di caratteri e situazioni, all’in-

1
Un altro fondamentale ambito lavorativo, come la formazione del danzatore, era
affidato ufficialmente agli uomini, i maîtres de ballet, i quali sin dalla tradizione cor-
tese avevano anche mansioni di coreografi. Resterà questa la situazione in Italia, con
sporadiche eccezioni, come l’affidamento a Paolina Elisabetta Cholat Naley Neuville
della sezione di perfezione femminile alla scuola del Teatro di San Carlo di Napoli
(Maresca, 1997, pp. 97–98). Alla scuola del Teatro alla Scala di Milano, le donne af-
fiancavano spesso i mariti nell’insegnamento; notiamo inoltre che solo nel 1902 a Ca-
terina Beretta fu assegnata la carica di direttrice (Scafidi, 1998, pp. 24–25).
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 177

terno del divertissement composto per lei da Jean-Ferry Rebel, Les Ca-
ractères de la danse (1715), riuscendo «ad investire la danza accademica
di un colore e di un’intensità espressiva totalmente nuovi» (Pappacena,
2009, p. 76). Allieva di Prévost, Sallé sbalordì per le sue esibizioni fuori
dagli schemi. Nel 1729 all’Opéra di Parigi, a conclusione dell’Alceste
di Lully-Quinault, era apparsa in un pas de deux con un abito comune
e senza la maschera; qualche anno più tardi, nel 1734, al Covent Garden
di Londra, aveva presentato due balletti di sua invenzione, Pygmalion
e Bacchus et Ariane, la cui portata innovativa fu subito registrata dal
recensore del “Mercure de France” che a proposito di quest’ultimo pun-
tava l’attenzione sulle strategie coreutiche finalizzate all’espressività del
corpo: «si tratta delle espressioni e dei sentimenti del dolore più pro-
fondo, della disperazione, del furore, dell’abbattimento; in una parola,
tutti i grandi movimenti e la declamazione più perfetta, attraverso passi,
attitudes e gesti, per rappresentare una donna abbandonata da colui che
ama» (Ibidem, p. 82). Si informava inoltre che nel balletto Pygmalion,
ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, «ella ha osato apparire in questa
scena senza panier, senza gonna, senza bustino, e con i capelli sciolti,
e senza alcun ornamento in testa; indossava, con il corsetto e la sottana,
solo un semplice vestito di mussola drappeggiato e sistemato a modello
di una statua greca» (Ibidem). La scelta delle espressioni e dei costumi2
in base a una precisa coerenza drammatica fa della Sallé una precorri-
trice riconosciuta del balletto narrativo che si svilupperà a partire dagli
anni quaranta del Settecento con le prime forme di ballets-pantomime
e avrà la sua consacrazione teorica con il trattato di Jean-Georges No-
verre, Lettres sur la danse et sur les ballets (prima edizione: 1760).
Spostando lo sguardo all’Italia, la presenza documentata di donne
coreografe nel Settecento è molto rara. I dati raccolti attraverso i cata-
loghi bibliotecari e specifici cataloghi di libretti per musica, incrociati

2
Anche nell’ambito del costume teatrale le donne riuscirono a ritagliarsi un
margine di creatività, influenzando in taluni casi la moda del tempo e assorbendo esse
stesse gli stimoli dagli altri ambiti artistici. Un esempio fra tanti è Marie-Madeleine
Guimard (1743–1816) che aveva modificato l’abito di scena, eliminando le sottogonne
e creando un modello caratterizzato da due gonne sovrapposte diffusosi con successo
nella moda parigina. Cfr. Nordera, 2007 e Bennahum, 2004.
178 Annamaria Corea

con le cronologie dei teatri interessati, ci dicono che nella prima metà
del secolo le donne creano i balli per lo più in coppia con un uomo3; nei
tre decenni di comparsa e sviluppo del ballo pantomimo, ovvero dagli
anni cinquanta a tutti gli anni settanta, non risultano presenze femmi-
nili; dal 1780 al primo ventennio dell’Ottocento sono stati individuati
invece tre nomi di donne “compositrici”, Anna Binetti, Maria De Caro
e Giovanna Campilli. Nei primi due casi si tratta di danzatrici conosciu-
te, anche se oggi poco si sa della loro vita e attività, mentre la Campilli
è una di quelle figure, come tante e non solo femminili, di cui si è persa
completamente traccia4. I tre casi si collocano in un periodo di consoli-
damento del ballo pantomimo in quanto genere di spettacolo entr’acte
all’interno delle opere in musica o in prosa. In questi balli, ispirati a uno
spettro molto ampio di soggetti – mitologico, storico, tragico, comico
ecc. – in cui sezioni interamente pantomimiche si affiancavano a sezioni
di pura danza eseguite secondo la tecnica accademica francese, la scrit-
tura drammaturgica e coreografica spettava ai cosiddetti “compositori
di balli”, i cui nomi comparivano sul frontespizio del programma quali
principali autori dello spettacolo5.

3
A questa altezza cronologica i balli non hanno ancora una struttura narrativa e per
tale motivo sono privi di titolo. Questi i dati estrapolati dal catalogo di Claudio Sartori,
sulla prima parte del XVIII secolo: 1709, Ferrara, fiera di maggio, balli di M.me de
Menemare e monsieur de Raymond; 1713, Palazzo Reale di Napoli, ottobre, balli di
Gio. Battista Du Fort e Anna Daufin; 1716, Teatro Obizzi di Padova, carnevale, balli
di messieurs Jean et André Gallo, de Madame Mariane et monsieur Paule de Corsèl;
1718, Teatro Tron di San Cassiano di Venezia, carnevale, balli di Susanna Dentis (per
le opere Antigona e Farnace); 1732, Teatro Nuovo di Napoli, direttore dei balli Rocco
Luongo insieme a Francesca Melano e compagne; 1738, Teatro di Piazza in Vicenza,
balli di Maria Viganò e Andrea Alberti; 1750, Teatro Omodeo di Pavia, carnevale, balli
di Lodovico e Anna Ronzi.
4
Sollecitazioni a indagare questo ambito sono venute da Pappacena, 2017, p. 15.
Ringrazio Flavia Pappacena per tutti i suggerimenti e gli scambi durante la redazione
di questo saggio.
5
I programmi del ballo, stampati all’interno del libretto d’opera o come opuscoli
a parte, sono fonti di primaria importanza per la danza di questo periodo, attraverso
cui è possibile reperire diverse informazioni sulla messinscena: luogo, anno, stagione;
dati relativi alla compagnia (nomi e cognomi dei componenti, il loro rango, ovvero
la competenza tecnica, il ruolo ricoperto); nomi del costumista e dello scenografo,
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 179

Nella stagione di Carnevale del 1780, al Teatro Giustiniani di San


Moisè a Venezia, andava in scena La filosofia delle donne, «balletto alle-
gorico, inventato e posto in su la scena da Madama Binetti» (La filosofia
delle donne, 1780, p. 1), danzatrice conosciuta per essere stata legata, sia
nella vita privata che in quella artistica, a Charles Le Picq (1744–1806),
uno dei più noti e prediletti allievi di Noverre, nonché riproduttore di
molti suoi balli6. Binetti e Le Picq, che si erano conosciuti nella splen-
dida corte del duca di Württemberg a Stoccarda (Winter, 1974, p. 170),
dopo un tour di circa un lustro che li vede impegnati a Vienna, Var-
savia e San Pietroburgo (Dorvane, 1997), fanno coppia fissa in diversi
teatri italiani: al Teatro Nuovo di Padova (1769–1770), al San Bene-
detto di Venezia (1770, 1772, 1777–1778), al Teatro Ducale di Milano
(1771–1773) e al San Carlo di Napoli (1773–1776), dove ebbero il me-
rito – lui come “compositore di balli” ed entrambi come “primi ballerini
seri” – di introdurre il genere del ballet d’action di stile noverriano (Cro-
ce, 1891, p. 549)7.
Notizie biografiche più dettagliate su Anna Binetti ricaviamo dal-
le memorie di Giacomo Casanova (1725–1798), che di lei scrisse con
molta ammirazione. Veneziana, figlia del barcaiolo Ramon, sposò – per
intercessione della sua protettrice Cecilia Valmarana – il ballerino e im-
presario francese Georges Binet, il quale aveva cambiato il suo cognome
in Binetti, cosicché Anna «non fu costretta a francesizzare la sua natura

e meno spesso dell’autore delle musiche; la trama del ballo organizzata in atti e/o scene
e descritta in modo dettagliato; le fonti letterarie utilizzate e in taluni casi opinioni del
coreografo sul ballo rappresentato e sul ballo in generale.
6
Secondo Winter (1974), Binetti, rimasta vedova negli anni settanta, avrebbe spo-
sato Le Picq, molto più giovane di lei, conosciuto a Stoccarda. Nella voce di Christout
(1959) ci sono diverse inesattezze che riguardano proprio la Binetti: si suppone che
sin dagli anni sessanta sia la moglie di Le Picq e che abbia francesizzato il suo nome
in Binet, come era usuale.
7
Altro aspetto relativo alla condizione delle professioniste, che qui non possiamo
approfondire, è quello economico. Il contratto di Le Picq a Napoli come compositore
di balli prevedeva l’ingaggio di una partner «a sua elezione, ed a sue proprie spese».
Questa modalità di scrittura, in linea con quanto succedeva altrove nella penisola, pre-
vedeva un solo compenso al ballerino maschio che il più delle volte era affiancato dalla
moglie o dalla sorella (Onesti, 2016, p. 108).
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veneziana che le permise di mostrare il suo temperamento in parecchie


avventure che la resero celebre» (Casanova, 1965, vol. I, pp. 690–691)8.
Conosciuta a Venezia, la donna «incatenò il cuore» (Ibidem, p. 690) di
Casanova già dal 1747 e divenne negli anni una cara amica, la sua più
vecchia conoscenza felicemente ritrovata nei viaggi a Stoccarda (1760),
Londra (1763), Varsavia (1765), alcune fra le capitali europee della dan-
za. Dai Mémoires di Casanova emerge non solo un ritratto di donna
«sempre giovane» (Ibidem, p. 691), dalle «incantevoli attrattive» (Idem,
1965, vol. III, p. 449), di cui si sarebbe potuto innamorare, «attrattive
possenti in tutta la persona» (Idem, 1965, vol. V, p. 269) come il «brio
che rapiva la compagnia» (Ibidem), ma anche di donna indipendente,
che viveva autonomamente e «a modo suo» (Idem, 1965, vol. I, p. 691),
frequentando diversi amanti e cercando di stare il più possibile lontana
da un marito irresponsabile che aveva il vizio del gioco ed era solito pa-
gare i debiti con il denaro e i beni della moglie. Dopo una carriera lunga
nelle piazze più prestigiose d’Europa, la Binetti tornò stabilmente nella
sua città, dove nel 1778 danzò ancora il ruolo principale nel ballo Ri-
naldo di Onorato Viganò al San Benedetto di Venezia, ritirandosi dalle
scene subito dopo, e restando attiva come maestra di danza e impresario
teatrale (Idem, 1965, vol. VII, p. 449)9.
La circoscritta esperienza di compositrice di balli, di cui conoscia-
mo solo due titoli, si situa quindi alla fine della carriera. Dall’Avviso al
pubblico di Venezia, che apre il programma del ballo La filosofia delle
donne10, veniamo a conoscenza di un suo primo ballo dal titolo Gelosie

8
Binetti, fra le altre avventure, fu la causa del duello di Casanova con il conte
Francesco Branicki, avvenuto a Varsavia nel 1766, su cui pubblicò Il duello ovvero
Saggio della vita di G. C. veneziano, in Opuscoli miscellanei (Venezia, giugno 1780).
9
Dalle notizie fornite da Casanova possiamo desumere che Binetti fosse nata
intorno ai primi anni venti del Settecento e scomparsa fra il 1784 e il 1786. A partire dal
1786 Le Picq si lega alla ballerina Gertrude Rossi con cui parte per San Pietroburgo.
10
Il ballo è rappresentato fra il primo e il secondo atto del dramma giocoso Le teste
deboli di Giovanni Bertati. Ad Anna Binetti fu assegnata la composizione del primo
ballo, ad Alberto Cavas del secondo. Un ballo dallo stesso titolo viene riproposto nel
1784 al Teatro alla Scala e nel 1788 al Teatro di Reggio da Filippo Beretti. Questo era
sprovvisto di un programma, come avveniva spesso con i balli comici, e quindi non
possiamo affermare che esso fosse una riproduzione di quello precedente della Binetti.
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 181

nel Serraglio. L’autrice inoltre sottolinea che «una tale impresa accet-
tata da una Donna», ovvero la composizione di un ballo, ha «un certo
aspetto di novità, che può soggiacere a de’ pericoli» (La filosofia delle
donne, 1780, p. 3). Se l’argomento allegorico di questo secondo ballo
è di invenzione della stessa coreografa, il primo titolo rimanda al ballo
da lei interpretato, La Gelosìa del Serraglio, che Le Picq mise in scena
al Regio-Ducale di Milano nel dicembre del 1772 come primo ballo
nell’opera di Mozart Lucio Silla, riprendendolo a sua volta da quello
di Noverre, Die fünf Sultaninnen, oder Die traurigen Wirkungen der
Eifersucht, dato al Burgtheater di Vienna nel 1771 (Pappacena, 2015,
p. 117)11.
Possiamo trovare un tratto comune fra questi due balli di Anna Bi-
netti nella centralità conferita alla figura femminile, pur nella diversità
del genere di riferimento: Gelosie nel Serraglio apparterrebbe al filone
“esotico”, improntato sulla spettacolarità dei colori e dei movimenti,
mentre La filosofia delle donne a quello “allegorico”, caratterizzato da
un’ambientazione galante pastorale e agito su un registro mimico-comi-
co. Completamente all’opposto le due comunità di donne rappresentate.
Da una parte, nel mondo turco del ballo Gelosie nel Serraglio le due
prescelte dell’harem si contendono il favore del Gran Sultano a suon di
pugnale, con la partecipazione appassionata delle compagne che parteg-
giano per l’una o per l’altra, tentando invano di dare fine alla rissa. La
filosofia delle donne è invece ambientato in un villaggio immaginario.
La scena rappresenta un bosco e sul fondo un colle praticabile da cui
villanelle «tutte vestite di nero, colle chiome incolte, e disordinate, e un
cappello in capo. Discendono (…) con una serietà comica caricata» (La
filosofia delle donne, 1780, p. 8). L’azione sembrerebbe procedere per
lazzi – come si specifica nel programma: «leggendo comicamente, l’una

Certo è che fosse una prassi consolidata quella di riprodurre i balli, attingendo al vasto
contenitore di soggetti estesi in forma di programma.
11
Il primo ballo di Noverre su questo soggetto, peraltro molto in voga nel Settecento
già con Hilverding, fu dato a Lione nel 1758 e si intitolava Les Jalousies ou Les Fêtes
du Sérail; nel suo continuo rimando alla pittura, il coreografo ne scrive già nella VI
lettera dell’edizione del 1760 del suo trattato, a proposito dell’uso dei colori con le loro
gradazioni e combinazioni.
182 Annamaria Corea

di stupore, l’altra d’orrore, l’altra di giubilo» (Ibidem, p. 9) – attraverso


cui le fanciulle esprimono la loro dedizione allo studio e l’indifferen-
za verso i gesti di affetto dei giovani. I protagonisti sono Cefisa, ricca
pastorella «dedita alle Scienze, e sprezzante d’amore» (Ibidem, p. 5),
e l’innamorato Tirsi, da lei non corrisposto. Lei insensibile, lui disperato
tanto da essere sul punto di trucidarsi davanti al tempio di Apollo, che lo
rassicura e intercede a suo favore. Mentre le fanciulle, opportunamente
ferite dalla freccia di Cupido, subito «s’abbandonano a’ loro amanti»
(Ibidem, p. 10), Cefisa è pronta a lottare con tutta se stessa per difendere
il suo status di donna insensibile al genere maschile, si scaglia contro le
coppie danzanti per dividerle e intraprende una vera e propria lotta con
Cupido che la rimprovera di essere gelosa dell’amore altrui. Non solo
Cefisa respinge con ira Tirsi, quando Cupido minaccia di ferirla, «gli
strappa l’arco, lo spezza, e lo scaglia a terra» (Ibidem, p. 11), ferisce
addirittura il dio con una sua stessa freccia, consentendogli di fingere di
essere sul punto di morire. All’apparente trionfo di Cefisa segue il coup
de théâtre che scioglie la trama: Apollo, vestito con un abito nero da fi-
losofo, attira Cefisa mostrandole un libro, ha così modo di ferirla e otte-
nere la sottomissione della donna che quindi viene ridicolizzata davanti
a tutti gli astanti. Nel finale si esplica quindi il senso allegorico del ballo:
la lezione che esso ci vuole dare è il richiamo della donna a un ordine
sociale che la vedeva relegata in una dimensione privata, dedita non
tanto allo studio e all’atto del filosofeggiare, quanto all’amore coniugale
e alla famiglia.
Di tutt’altro genere è il successivo ballo rintracciato, a firma di
una donna: Oscar e Malvina «Ballo Eroico Pantomimo In cinque Atti,
composto e diretto da Mad. Maria De’ Caro, Prima Ballerina» (Oscar
e Malvina, 1797, p. 21) e rappresentato al Teatro Venier di San Bene-
detto nel 1797, a pochi mesi dalla caduta della Serenissima12. L’ele-
mento in comune fra quest’ultimo ballo e quello di Anna Binetti è Ve-

12
Il soggetto del ballo ebbe una buona fortuna; fu rappresentato al Teatro della
Pergola di Firenze nel 1798 da Giovan Battista Checchi; al Teatro Nazionale di Torino
nel 1801 da Antonio Landini (in cui “prima ballerina seria” era la stessa De Caro);
tutte queste versioni ballettistiche hanno preceduto il dramma per musica omonimo di
Fidanza/Sampieri al Teatro Re di Milano del 1816.
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 183

nezia, città particolarmente vivace e produttiva, dove si era sviluppato


un ampio dibattito teorico sul teatro musicale e sul ruolo del ballo
pantomimo come entr’acte, portato avanti tra gli altri da Francesco
Milizia (1771), Ange Goudar (1773) e Stefano Arteaga (1785). Nel
1794 su uno dei numerosi periodici editi nella laguna, la “Gazzet-
ta Urbana Veneta”, comparve a puntate la prima traduzione italiana
delle Lettres di Noverre, sebbene in forma anonima e non integrale,
e le “libere” traduzioni di alcune voci dell’Encyclopédie relative alla
danza (Ruffin, 1998, pp. 35–58)13. Città dinamica e moderatamente
aperta, Venezia accolse la letteratura d’oltralpe e la cultura illuminista,
anche attraverso due figure femminili come Elisabetta Caminer Turrà
(1751–1796) e Giustina Renier Michiel (1755–1832) che in questa di-
rezione contribuirono significativamente con i loro salotti e l’intensa
attività culturale. La prima avrà un ruolo fondamentale nel giornale
fondato dal padre “L’Europa letteraria” e in quello da lei stessa fon-
dato e diretto, il “Giornale enciclopedico” (poi “Nuovo Giornale en-
ciclopedico”), oltre che nella diffusione in quanto traduttrice di pièce
francesi contemporanee; la seconda fu autrice fra l’altro della prima
traduzione italiana di tre drammi shakespeariani – Otello, Macbeth
e Coriolano – basata sulle versioni originali inglesi14. Entrambe furo-
no legate a Melchiorre Cesarotti (1730–1808), anch’egli figura chiave
della cultura italiana del secondo Settecento, che qui ricordiamo per la
traduzione in endecasillabi dei Fragments of Ancient Poetry di James
Macpherson, le Poesie di Ossian, da cui il soggetto del ballo Oscar
e Malvina trae ispirazione. Sembrerebbe questo il primo ballo rappre-
sentato in Italia, basato su tematiche ossianiche, sull’onda delle varie

13
Delle quindici lettere solo otto vengono tradotte sul bisettimanale. È rimasta
inedita la traduzione di Domenico Rossi del 1778 per un’edizione napoletana, il cui
manoscritto si trova nel fondo Fornaroli della New York Public Library.
14
Si tratta dei tre volumi usciti a Venezia (eredi Costantini) tra il 1798 e il 1800
con il titolo Opere drammatiche di Shakespeare volgarizzate da una dama veneta.
È importante ricordare che in questi anni novanta del Settecento due scritti fondamentali
per la storia delle donne furono pubblicati: Dichiarazione dei diritti delle donne e della
cittadina di Olympe de Gouge (Parigi, 1791) e Rivendicazione dei diritti delle donne
di Mary Wollstonecraft (Londra, 1792).
184 Annamaria Corea

edizioni cesarottiane che si susseguirono a partire dal 1763, e di una


librettistica via via sempre più interessata a nuovi soggetti legati al
mondo celtico, al gusto per il primitivo e il tenebroso e alla riscoperta
del Medioevo e di Shakespeare, che sono indicativi di una emergente
sensibilità romantica (Piperno, 2016, pp. 137–159)15.
Maria De Caro, che aveva esordito come “prima ballerina seria”
proprio nel Teatro di San Moisè nel 1785, era anche lei legata diretta-
mente al maestro Noverre, come Binetti e Le Picq; è infatti una delle
sue più rinomate pupille, oltre che allieva di Armand Vestris; attiva
per un breve periodo a Venezia, trascorse circa sette anni a Londra
dove raggiunse un notevole successo anche economico, poi a Parigi,
sempre insieme alle sorelle, tornando a esibirsi in diverse piazze ita-
liane, come Venezia, Firenze, Milano, Napoli, poi a Vienna, dal 1796
fino al ritiro dalle scene avvenuto nel 1806 (Costa, 1987)16. Il ballo
che la vede coreografa è rappresentato poco dopo il suo rientro in Ita-
lia. Il programma non contiene però un Avviso al pubblico e il singolo
episodio del ciclo epico del leggendario bardo irlandese, Ossian, rela-
tivo a suo figlio Oscar, è riassunto piuttosto schematicamente in cin-
que brevi atti, da cui ricaviamo informazioni soprattutto riguardo
all’ambientazione. Particolarmente ossianica doveva essere la scena
dell’atto III in un bosco, in cui avviene il rapimento della protagonista
Malvina – sposa del guerriero Oscar e figlia del re Toscar, interpretata
dalla stessa De Caro – da parte dell’usurpatore Cairbar; suggestiva
anche la scena dell’atto IV nella grotta in cui vengono imprigionati la
fanciulla e il sopraggiunto Oscar. L’azione si scioglie nell’atto V con
una scena di combattimento fra Oscar e Cairbar e con il trionfo della

15
Segnalo un libretto di ballo stampato a Londra nel 1791, The airs, duets, choru-
ses, and argument of the new ballet pantomime (taken from Ossian) called Oscar and
Malvina; or the hall of Fingal as performed at the theatre-Royal Covent-Garden, da
cui Maria De Caro avrebbe potuto trarre ispirazione, trovandosi all’epoca in quella
stessa città (McCleave, 2011, p. 101).
16
Maria era la primogenita, ma non si conoscono le date di nascita e morte, le altre
si chiamavano Maddalena e Francesca, mentre dell’ultima De Caro si conosce solo
l’esistenza. Una variante del cognome è Del Caro, a cui si aggiunge il cognome del
marito Narducci.
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 185

virtù cavalleresca dell’eroe che rende possibile il ricongiungimento


dei protagonisti Oscar e Malvina.
L’attività di Maria De Caro come coreografa è circoscritta a que-
sta singola esperienza, peraltro poco conosciuta; molto nota è invece
la sua attività di danzatrice, come detto, suggellata da un’incisione
di Giacinto Maina del 1801, pubblicata da Giuseppe Sardi a Trieste
(Winter, 1974, p. 216), che la ritrae su tre quarti di punta e in un at-
teggiamento del corpo “in moto” in cui gesto e danza sembrano fon-
dersi e che testimonia l’evoluzione della tecnica francese verso un
dinamismo e un virtuosismo fino ad allora inesplorati. Movimenti più
ampi sia in larghezza che in altezza sono possibili anche grazie a una
graduale riforma del costume affermatasi in pieno neoclassicismo con
il successo del vestito alla greca. In questa immagine, l’abito stile im-
pero che indossa la ballerina ci rimanda al legame fra Maria De Caro
e l’inglese Emma Hamilton, residente a Napoli fra il 1786 e il 1799
insieme al marito, ambasciatore presso la corte borbonica. Proprio
nella sua casa la Hamilton si esibiva in attitudes ispirate al mondo
dell’antichità che eseguiva vestita con leggere tuniche di mussola,
moda che contribuì a diffondere nell’ambiente artistico. Al Teatro San
Carlo di Napoli, la De Caro fu ingaggiata grazie alla segnalazione di
lady Hamilton, che l’aveva raccomandata alla regina Maria Caroli-
na d’Asburgo-Lorena, come si evince dal carteggio fra le due donne
(Palumbo, 1877). È in questa intrigante trama di relazioni che pure si
inserisce – anche se in modo meno diretto – la terza coreografa di cui
tratteremo, Giovanna Campilli.
A differenza delle colleghe Binetti e De Caro, Giovanna è oggi
pressoché sconosciuta nonostante sia stata “prima ballerina” nei più
prestigiosi teatri della penisola, tanto da ispirare già nel 1801 un af-
fermato compositore di opere serie come Sebastiano Nasolini a de-
dicarle un assolo ballabile. Il primo dato relativo alla sua carriera di
danzatrice si riferisce al Teatro Nuovo di Padova dove fu “prima bal-
lerina” nel 1792, in coppia con Giuseppe Bartolomei, nei balli Bacco
e Arianna e La fiera di Calè. Compare nello stesso cast, nel rango
di «primo ballerino di mezzo carattere fuori de’ concerti», Leopoldo
Campilli, presumibilmente suo padre, attivissimo anche come core-
186 Annamaria Corea

ografo sin dal 1780 nei teatri del circuito veneziano, San Benedetto,
San Samuele, San Cassiano e San Moisè (Massaro, 1985, pp. 251–
–252). La vicinanza di Campilli padre con coreografi e danzatori di
scuola noverriana, come Antonio Terrades e Maria De Caro, che nel
1785 egli stesso aveva diretto al San Moisè, insieme alla competenza
nel ricoprire ruoli di “primo grottesco” e “grottesco fuori dei concer-
ti”, tipici della scuola italiana (Sartori, 1990–1994; Wiel, 1897), fanno
supporre che la formazione di Giovanna sia avvenuta su questo dop-
pio registro italo-francese. I primi anni di carriera, gli anni novanta,
sono segnati dalla collaborazione – prima al San Moisè (1793–1794),
poi al Teatro Regio di Torino (1798) – con Urbano Garzia, coreografo
produttivo e maestro di mimica nella scuola di ballo del Teatro alla
Scala dal 1813 al 1823 (Scafidi, 1998, p. 16). Nel primo decennio
dell’Ottocento, Giovanna come “prima ballerina” lavorò con Gaeta-
no Gioia e Francesco Clerico, rispettivamente al San Carlo di Napoli
(1801–1804) e alla Scala di Milano (1805–1806), a confronto con due
autorevoli personalità, entrambi particolarmente prolifici, ma animati
da una diversa concezione dello spettacolo coreutico e dello stile pan-
tomimico. Se i balli di Gioia possono ascriversi a quel genere deno-
minato da Carlo Ritorni «coreodramma», ovvero «canto muto», il cui
esimio rappresentante – sempre secondo questo autore – fu il coevo
Salvatore Viganò, i balli di Clerico erano delle «pantomimotragedie»,
drammi muti, caratterizzati soprattutto dalle forme dell’assolo e dei
duetti, e dall’uso di una preponderante gestualità di tipo noverriano,
quindi “recitata”, in contrapposizione alla gestualità ritmata tipica del
coreodramma, in cui simultaneamente ai danzatori principali anche
il corpo di ballo si animava in accordo alla musica catturando l’at-
tenzione del pubblico per il dinamismo e la varietà del gioco visivo
(Ritorni, 1838, pp. 32–42).
La Campilli fece esperienza di entrambe le modalità coreografiche.
Ci chiediamo quindi quale sia stato il suo metodo e il suo stile quando
qualche anno più tardi si approcciò alla composizione di balli pantomimi
presso il Real Teatro Carolino di Palermo, per almeno tre stagioni a par-
tire dal 1809, occupando al contempo il posto di “prima ballerina seria
assoluta”, in coppia con Pietro Campilli, presumibilmente suo fratello,
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 187

noto per essere autore della prima traduzione italiana dell’importante


Trattato elementare, teorico-pratico sull’arte del ballo (1820) di Carlo
Blasis, edita a Forlì nel 183017. Sono gli anni in cui la corte borbonica si
trasferì a Palermo in seguito all’arrivo dei francesi a Napoli; un’altra do-
manda viene a questo punto spontanea: è possibile che la regina Maria
Carolina d’Asburgo-Lorena, a cui si deve la denominazione del Teatro
a partire dal 1799, si facesse promotrice della Campilli come già aveva
fatto alla fine degli anni novanta, attraverso Emma Hamilton, con Maria
De Caro al San Carlo? Insieme alla coppia Giovanna e Pietro, vi è il pa-
dre Leopoldo, che alterna con lei la responsabilità della composizione
dei balli, come avviene nella stagione 1811/1218. Fu tuttavia Giovanna
a iniziare le stagioni palermitane con balli per lo più di genere eroico-
tragico: Rossene e Osmano e Ippolita regina delle amazzoni (1809/10);
Le smanie di Armida, Il mastino della scala e Zemira e Azor (1810/11)19.
I titoli di questi balli riecheggiano balli con lo stesso soggetto già
rappresentati da altri coreografi e confermano una pratica molto diffu-
sa all’epoca, ovvero l’utilizzo dei programmi del ballo come materiale
di un repertorio condiviso che circolava fra le varie piazze della peni-
sola senza la preoccupazione del plagio, visto che non esisteva ancora
il diritto d’autore. In particolare, Il mastino della scala è un ballo di
Giuseppe Traffieri in cui aveva danzato Leopoldo Campilli, reppresen-
tato al San Benedetto di Venezia nel 1790. Mentre Zemira e Azor, tratto
da una comédie-ballet di Marmontel, aveva il suo precedente nel ballo

17
È stato possibile reperire i dati relativi ai balli rappresentati al Teatro Carolino
attraverso la HathiTrust Digital Library. Alcuni di essi si possono individuare attra-
verso alcuni database on line come quello dell’Università di Bologna, “Corago”. Non
vi è però traccia di questi balli nel catalogo unico centrale delle biblioteche italiane.
Abbiamo incrociato i dati trovati con la cronologia curata da Ottavio Tiby (1956), che
dei balli riporta solo i titoli, omettendo i nomi dei coreografi.
18
Per la stagione 1811/12 Leopoldo Campilli compone i seguenti balli: Gengis-Kan
in Corea, Il finto morto, Venere benefica, Gli inglesi in Africa e Il convitato di pietra.
19
Non datati sono i seguenti balli rintracciati nella HathiTrust Digital Library di
cui non è disponibile copia digitale, tutti «composti e diretti» da Giovanna Campilli:
Nina, o sia, La pazza per amore, «ballo pantomimo sentimentale», Eduige di Witepsk,
ossia, Il sottoterraneo, «ballo eroico-tragico», Li due ciechi che vedono chiaro, o sia,
Lo sposo burlato, «ballo comico».
188 Annamaria Corea

omonimo di Clerico dato prima al San Samuele di Venezia (1783), poi


alla Fenice (1797) e infine alla Scala (1805), in cui aveva danzato pure
Giovanna Campilli.
Quando rientrò a Napoli, probabilmente sua città natale, Giovanna
non si cimentò in nuovi titoli, tanto meno riprese un’attività continuativa
come coreografa20. Riprodusse a distanza di diversi anni due balli rap-
presentati al Teatro del Fondo – Ippolita (1816) e Venere benefica (1827),
continuando la sua carriera come “ballerina per le parti” o “mima”, af-
fianco a nomi di spicco come Marie Quériau e Louis Henry, in ruoli
maggiormente adeguati all’età più avanzata che ricoprì all’incirca per
tutti gli anni venti dell’Ottocento. «Nome caro alla danza, e con piacere
e con stima ricordato da chiunque si rammenta quanta lode ella ritrasse
altra volta nelle classiche composizioni pantomimiche del Napoletano
Gioja» (“Giornale delle Due Sicilie”, 20 giugno 1816, p. 3), la Campilli
seppe svolgere adeguatamente la sua professione di compositrice di bal-
li se l’Ippolita venne considerato un ballo «degno certamente di lode per
scelta di argomento, per semplicità di condotta, per verità di caratteri,
per disegno e bellezza di danze» benché «mancante di ogni prestigio di
macchinismo» (Ibidem) e difettoso nella scelta dei costumi, non aderen-
ti alla verosimiglianza storica. Doveva essere il personaggio di Ippolita
uno degli ultimi a ricoprire come “prima ballerina seria”, dotata com’era
di una «rara abilità»21 tecnica, prima di dedicarsi a ruoli essenzialmente
mimici. Per quanto riguarda i danzatori, la recensione si focalizza però
sugli astri nascenti, la coppia Adelaide e Salvatore Taglioni, mentre di
Giovanna si scrive di «aver meritato nella composizione i suffragj da’
conoscitori del vero ballo, e di non averne riportato nell’esecuzione mi-
nori da tutti quelli presso i quali è in pregio l’eccellenza della panto-
mima» (Ibidem). Difficile stabilire i modi e lo stile di una professione

20
Nell’Avviso contenuto nel programma di ballo della rappresentazione napoletana
Venere benefica la coreografa si rivolge al pubblico di Napoli usando il termine «con-
cittadini» (p. 9).
21
Lettera del 26 maggio 1802 conservata nel Fondo “Segreteria di stato di casa reale”
dell’Archivio di Stato di Napoli (549. 1269/27), in cui si richiede a nome di Giovanna
Campilli, “prima ballerina” del Teatro di San Carlo, una serata a suo beneficio; serata
che otterrà poiché altre danzatrici successivamente ne fanno menzione.
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 189

come quella coreografica dai soli programmi del ballo, che – come già
accennato – ricalcavano nei soggetti, ma anche nella struttura narrativa,
quelli precedenti a cui attingevano, mentre originale doveva essere di
volta in volta la realizzazione scenica.
Certamente nei primi anni dell’Ottocento Giovanna Campilli come
compositrice di balli rappresentò, qualunque fosse stato il suo stile co-
reografico, un’eccezione alla norma, che vedeva ancora per tutto il XIX
secolo i soli uomini protagonisti della scrittura in movimento. E, nono-
stante un inizio entusiasmante con le coreografe Bronislava Nižinskaja,
Agnes de Mille e Ninette de Valois, ancora nel Novecento le maggiori
compagnie di balletto nazionali sono state caratterizzate da una predo-
minante presenza maschile, sia per quanto concerne l’ambito creativo
che quello della direzione artistica, diversamente da ciò che è avvenuto
nell’ambito della danza moderna, dove si è verificato esattamente l’op-
posto, ovvero una prevalenza di coreografia al femminile. Ancora oggi
l’argomento è attuale; non a caso nel 2012 la rivista “Dance Chronicle”
ha lanciato un dibattitto sul tema “Where Are All the Women Choreo-
graphers in Ballet?” sull’onda di una nota affermazione del coreografo
George Balanchine: «The principle of classical ballet is woman» (Me-
glin, Matluck Brooks, 2012, p. 1).

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sto e diretto da Mad. Maria De’ Caro, Prima Ballerina, il Carnovale
dell’Anno 1797, in Bianca De’ Rossi, Dramma Nuovo per Musica da
rappresentarsi Nel Nobilissimo Teatro Venier in San Benedetto […]. Ve-
nezia: Modesto Fenzo.
(1810). Ippolita regina delle amazzoni, ballo eroico tragico-pantomimo, In-
ventato, e diretto da Giovanna Campilli, in I puntigli per equivoco
190 Annamaria Corea

dramma giocoso per musica da rappresentarsi nel Real Teatro Carolino


[…]. Palermo: Felicella.
(1816). Ippolita regina delle amazzoni, ballo eroico Tragico-pantomimo, in-
ventato, e diretto dalla signora Giovanna Campilli, Rappresentato la
prima volta in Napoli nel real teatro del Fondo a’ 17. Giugno 1816.
Napoli: dalla tipografia Flautina.
(1827). Venere benefica, ballo favoloso pantomimo in quattro atti composto
e diretto da Giovanna Campilli, Prima ballerina delle parti de’ rea-
li teatri. Rappresentato la prima volta nel real teatro del Fondo A’
19. Agosto 1827. Ricorrendo il fausto giorno natalizio di sua maestà
Francesco I, re del Regno delle due Sicilie. Napoli: dalla tipografia
Flautina.

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Riassunto: Il saggio descrive alcuni aspetti della vita e dell’attività artistica di Anna Binetti, Maria
De Caro e Giovanna Campilli, “prime ballerine” vissute fra la seconda metà del Settecento e l’inizio
dell’Ottocento, con il fine di mettere in luce la loro pratica di coreografe in un’epoca che vedeva
questo mestiere riservato per lo più agli uomini. Attraverso i programmi dei balli e altre fonti coeve,
il saggio documenta un ambito poco esplorato dagli studi di danza – ovvero la presenza femminile
come “soggetto artistico” nel teatro di danza italiano – contestualizzando tale fenomeno nel più
ampio panorama culturale dell’epoca e focalizzando l’attenzione su tre casi di donne-coreografe
che, se pur isolati e straordinari, possono trovare delle convergenze significative nei luoghi della
rappresentazione, Venezia e Napoli in particolare, e in alcune figure, come Jean-Georges Noverre
e Maria Carolina d’Asburgo, interessanti a evidenziare possibili reti di rapporti verso cui aprire nuove
prospettive di ricerca.

Parole chiave: Anna Binetti, Maria De Caro, Giovanna Campilli, ballo pantomimo italiano del
XVIII–XIX secolo, programmi/libretti di ballo

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