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Corea, A. (2019). Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento. Italica Wra-
tislaviensia, 10(2), 175–192.
DOI: http://dx.doi.org/10.15804/IW.2019.10.1.24
Annamaria Corea
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
annamaria.corea@uniroma1.it
ORCID: https://orcid.org/0000-0001-5670-9121
Abstract: This paper describes some aspects of the lives and artistic activities of Anna Binetti, Maria
De Caro, and Giovanna Campilli, “prima ballerinas” who lived between the second half of the 18th
century and the beginning of the 19th century. This research aims to highlight how these personalities
practised as choreographers at a time when this profession was principally a male prerogative.
Through the analysis of ballet programmes and contemporary sources, this paper investigates an area
that has been little explored in the studies of the history of dance that is, the female presence as an
“artistic subject” in the theatre of Italian dance. Thus, this phenomenon is contextualised in the broader
cultural landscape of the time and focuses on three case studies of women choreographers who,
whilst isolated in their extraordinariness, often converged significantly in their performance venues,
in particular in Venice and Naples, and in personalities such as Jean-Georges Noverre and Maria
Carolina of Austria. What is most interesting is that this approach highlights possible relationship
networks and, thus, may open new avenues of research.
Keywords: Anna Binetti, Maria De Caro, Giovanna Campilli, 18th- and 19th-century Italian ballet,
ballet programmes/librettos
1
Un altro fondamentale ambito lavorativo, come la formazione del danzatore, era
affidato ufficialmente agli uomini, i maîtres de ballet, i quali sin dalla tradizione cor-
tese avevano anche mansioni di coreografi. Resterà questa la situazione in Italia, con
sporadiche eccezioni, come l’affidamento a Paolina Elisabetta Cholat Naley Neuville
della sezione di perfezione femminile alla scuola del Teatro di San Carlo di Napoli
(Maresca, 1997, pp. 97–98). Alla scuola del Teatro alla Scala di Milano, le donne af-
fiancavano spesso i mariti nell’insegnamento; notiamo inoltre che solo nel 1902 a Ca-
terina Beretta fu assegnata la carica di direttrice (Scafidi, 1998, pp. 24–25).
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 177
terno del divertissement composto per lei da Jean-Ferry Rebel, Les Ca-
ractères de la danse (1715), riuscendo «ad investire la danza accademica
di un colore e di un’intensità espressiva totalmente nuovi» (Pappacena,
2009, p. 76). Allieva di Prévost, Sallé sbalordì per le sue esibizioni fuori
dagli schemi. Nel 1729 all’Opéra di Parigi, a conclusione dell’Alceste
di Lully-Quinault, era apparsa in un pas de deux con un abito comune
e senza la maschera; qualche anno più tardi, nel 1734, al Covent Garden
di Londra, aveva presentato due balletti di sua invenzione, Pygmalion
e Bacchus et Ariane, la cui portata innovativa fu subito registrata dal
recensore del “Mercure de France” che a proposito di quest’ultimo pun-
tava l’attenzione sulle strategie coreutiche finalizzate all’espressività del
corpo: «si tratta delle espressioni e dei sentimenti del dolore più pro-
fondo, della disperazione, del furore, dell’abbattimento; in una parola,
tutti i grandi movimenti e la declamazione più perfetta, attraverso passi,
attitudes e gesti, per rappresentare una donna abbandonata da colui che
ama» (Ibidem, p. 82). Si informava inoltre che nel balletto Pygmalion,
ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, «ella ha osato apparire in questa
scena senza panier, senza gonna, senza bustino, e con i capelli sciolti,
e senza alcun ornamento in testa; indossava, con il corsetto e la sottana,
solo un semplice vestito di mussola drappeggiato e sistemato a modello
di una statua greca» (Ibidem). La scelta delle espressioni e dei costumi2
in base a una precisa coerenza drammatica fa della Sallé una precorri-
trice riconosciuta del balletto narrativo che si svilupperà a partire dagli
anni quaranta del Settecento con le prime forme di ballets-pantomime
e avrà la sua consacrazione teorica con il trattato di Jean-Georges No-
verre, Lettres sur la danse et sur les ballets (prima edizione: 1760).
Spostando lo sguardo all’Italia, la presenza documentata di donne
coreografe nel Settecento è molto rara. I dati raccolti attraverso i cata-
loghi bibliotecari e specifici cataloghi di libretti per musica, incrociati
2
Anche nell’ambito del costume teatrale le donne riuscirono a ritagliarsi un
margine di creatività, influenzando in taluni casi la moda del tempo e assorbendo esse
stesse gli stimoli dagli altri ambiti artistici. Un esempio fra tanti è Marie-Madeleine
Guimard (1743–1816) che aveva modificato l’abito di scena, eliminando le sottogonne
e creando un modello caratterizzato da due gonne sovrapposte diffusosi con successo
nella moda parigina. Cfr. Nordera, 2007 e Bennahum, 2004.
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con le cronologie dei teatri interessati, ci dicono che nella prima metà
del secolo le donne creano i balli per lo più in coppia con un uomo3; nei
tre decenni di comparsa e sviluppo del ballo pantomimo, ovvero dagli
anni cinquanta a tutti gli anni settanta, non risultano presenze femmi-
nili; dal 1780 al primo ventennio dell’Ottocento sono stati individuati
invece tre nomi di donne “compositrici”, Anna Binetti, Maria De Caro
e Giovanna Campilli. Nei primi due casi si tratta di danzatrici conosciu-
te, anche se oggi poco si sa della loro vita e attività, mentre la Campilli
è una di quelle figure, come tante e non solo femminili, di cui si è persa
completamente traccia4. I tre casi si collocano in un periodo di consoli-
damento del ballo pantomimo in quanto genere di spettacolo entr’acte
all’interno delle opere in musica o in prosa. In questi balli, ispirati a uno
spettro molto ampio di soggetti – mitologico, storico, tragico, comico
ecc. – in cui sezioni interamente pantomimiche si affiancavano a sezioni
di pura danza eseguite secondo la tecnica accademica francese, la scrit-
tura drammaturgica e coreografica spettava ai cosiddetti “compositori
di balli”, i cui nomi comparivano sul frontespizio del programma quali
principali autori dello spettacolo5.
3
A questa altezza cronologica i balli non hanno ancora una struttura narrativa e per
tale motivo sono privi di titolo. Questi i dati estrapolati dal catalogo di Claudio Sartori,
sulla prima parte del XVIII secolo: 1709, Ferrara, fiera di maggio, balli di M.me de
Menemare e monsieur de Raymond; 1713, Palazzo Reale di Napoli, ottobre, balli di
Gio. Battista Du Fort e Anna Daufin; 1716, Teatro Obizzi di Padova, carnevale, balli
di messieurs Jean et André Gallo, de Madame Mariane et monsieur Paule de Corsèl;
1718, Teatro Tron di San Cassiano di Venezia, carnevale, balli di Susanna Dentis (per
le opere Antigona e Farnace); 1732, Teatro Nuovo di Napoli, direttore dei balli Rocco
Luongo insieme a Francesca Melano e compagne; 1738, Teatro di Piazza in Vicenza,
balli di Maria Viganò e Andrea Alberti; 1750, Teatro Omodeo di Pavia, carnevale, balli
di Lodovico e Anna Ronzi.
4
Sollecitazioni a indagare questo ambito sono venute da Pappacena, 2017, p. 15.
Ringrazio Flavia Pappacena per tutti i suggerimenti e gli scambi durante la redazione
di questo saggio.
5
I programmi del ballo, stampati all’interno del libretto d’opera o come opuscoli
a parte, sono fonti di primaria importanza per la danza di questo periodo, attraverso
cui è possibile reperire diverse informazioni sulla messinscena: luogo, anno, stagione;
dati relativi alla compagnia (nomi e cognomi dei componenti, il loro rango, ovvero
la competenza tecnica, il ruolo ricoperto); nomi del costumista e dello scenografo,
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 179
e meno spesso dell’autore delle musiche; la trama del ballo organizzata in atti e/o scene
e descritta in modo dettagliato; le fonti letterarie utilizzate e in taluni casi opinioni del
coreografo sul ballo rappresentato e sul ballo in generale.
6
Secondo Winter (1974), Binetti, rimasta vedova negli anni settanta, avrebbe spo-
sato Le Picq, molto più giovane di lei, conosciuto a Stoccarda. Nella voce di Christout
(1959) ci sono diverse inesattezze che riguardano proprio la Binetti: si suppone che
sin dagli anni sessanta sia la moglie di Le Picq e che abbia francesizzato il suo nome
in Binet, come era usuale.
7
Altro aspetto relativo alla condizione delle professioniste, che qui non possiamo
approfondire, è quello economico. Il contratto di Le Picq a Napoli come compositore
di balli prevedeva l’ingaggio di una partner «a sua elezione, ed a sue proprie spese».
Questa modalità di scrittura, in linea con quanto succedeva altrove nella penisola, pre-
vedeva un solo compenso al ballerino maschio che il più delle volte era affiancato dalla
moglie o dalla sorella (Onesti, 2016, p. 108).
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Binetti, fra le altre avventure, fu la causa del duello di Casanova con il conte
Francesco Branicki, avvenuto a Varsavia nel 1766, su cui pubblicò Il duello ovvero
Saggio della vita di G. C. veneziano, in Opuscoli miscellanei (Venezia, giugno 1780).
9
Dalle notizie fornite da Casanova possiamo desumere che Binetti fosse nata
intorno ai primi anni venti del Settecento e scomparsa fra il 1784 e il 1786. A partire dal
1786 Le Picq si lega alla ballerina Gertrude Rossi con cui parte per San Pietroburgo.
10
Il ballo è rappresentato fra il primo e il secondo atto del dramma giocoso Le teste
deboli di Giovanni Bertati. Ad Anna Binetti fu assegnata la composizione del primo
ballo, ad Alberto Cavas del secondo. Un ballo dallo stesso titolo viene riproposto nel
1784 al Teatro alla Scala e nel 1788 al Teatro di Reggio da Filippo Beretti. Questo era
sprovvisto di un programma, come avveniva spesso con i balli comici, e quindi non
possiamo affermare che esso fosse una riproduzione di quello precedente della Binetti.
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nel Serraglio. L’autrice inoltre sottolinea che «una tale impresa accet-
tata da una Donna», ovvero la composizione di un ballo, ha «un certo
aspetto di novità, che può soggiacere a de’ pericoli» (La filosofia delle
donne, 1780, p. 3). Se l’argomento allegorico di questo secondo ballo
è di invenzione della stessa coreografa, il primo titolo rimanda al ballo
da lei interpretato, La Gelosìa del Serraglio, che Le Picq mise in scena
al Regio-Ducale di Milano nel dicembre del 1772 come primo ballo
nell’opera di Mozart Lucio Silla, riprendendolo a sua volta da quello
di Noverre, Die fünf Sultaninnen, oder Die traurigen Wirkungen der
Eifersucht, dato al Burgtheater di Vienna nel 1771 (Pappacena, 2015,
p. 117)11.
Possiamo trovare un tratto comune fra questi due balli di Anna Bi-
netti nella centralità conferita alla figura femminile, pur nella diversità
del genere di riferimento: Gelosie nel Serraglio apparterrebbe al filone
“esotico”, improntato sulla spettacolarità dei colori e dei movimenti,
mentre La filosofia delle donne a quello “allegorico”, caratterizzato da
un’ambientazione galante pastorale e agito su un registro mimico-comi-
co. Completamente all’opposto le due comunità di donne rappresentate.
Da una parte, nel mondo turco del ballo Gelosie nel Serraglio le due
prescelte dell’harem si contendono il favore del Gran Sultano a suon di
pugnale, con la partecipazione appassionata delle compagne che parteg-
giano per l’una o per l’altra, tentando invano di dare fine alla rissa. La
filosofia delle donne è invece ambientato in un villaggio immaginario.
La scena rappresenta un bosco e sul fondo un colle praticabile da cui
villanelle «tutte vestite di nero, colle chiome incolte, e disordinate, e un
cappello in capo. Discendono (…) con una serietà comica caricata» (La
filosofia delle donne, 1780, p. 8). L’azione sembrerebbe procedere per
lazzi – come si specifica nel programma: «leggendo comicamente, l’una
Certo è che fosse una prassi consolidata quella di riprodurre i balli, attingendo al vasto
contenitore di soggetti estesi in forma di programma.
11
Il primo ballo di Noverre su questo soggetto, peraltro molto in voga nel Settecento
già con Hilverding, fu dato a Lione nel 1758 e si intitolava Les Jalousies ou Les Fêtes
du Sérail; nel suo continuo rimando alla pittura, il coreografo ne scrive già nella VI
lettera dell’edizione del 1760 del suo trattato, a proposito dell’uso dei colori con le loro
gradazioni e combinazioni.
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Il soggetto del ballo ebbe una buona fortuna; fu rappresentato al Teatro della
Pergola di Firenze nel 1798 da Giovan Battista Checchi; al Teatro Nazionale di Torino
nel 1801 da Antonio Landini (in cui “prima ballerina seria” era la stessa De Caro);
tutte queste versioni ballettistiche hanno preceduto il dramma per musica omonimo di
Fidanza/Sampieri al Teatro Re di Milano del 1816.
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 183
13
Delle quindici lettere solo otto vengono tradotte sul bisettimanale. È rimasta
inedita la traduzione di Domenico Rossi del 1778 per un’edizione napoletana, il cui
manoscritto si trova nel fondo Fornaroli della New York Public Library.
14
Si tratta dei tre volumi usciti a Venezia (eredi Costantini) tra il 1798 e il 1800
con il titolo Opere drammatiche di Shakespeare volgarizzate da una dama veneta.
È importante ricordare che in questi anni novanta del Settecento due scritti fondamentali
per la storia delle donne furono pubblicati: Dichiarazione dei diritti delle donne e della
cittadina di Olympe de Gouge (Parigi, 1791) e Rivendicazione dei diritti delle donne
di Mary Wollstonecraft (Londra, 1792).
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Segnalo un libretto di ballo stampato a Londra nel 1791, The airs, duets, choru-
ses, and argument of the new ballet pantomime (taken from Ossian) called Oscar and
Malvina; or the hall of Fingal as performed at the theatre-Royal Covent-Garden, da
cui Maria De Caro avrebbe potuto trarre ispirazione, trovandosi all’epoca in quella
stessa città (McCleave, 2011, p. 101).
16
Maria era la primogenita, ma non si conoscono le date di nascita e morte, le altre
si chiamavano Maddalena e Francesca, mentre dell’ultima De Caro si conosce solo
l’esistenza. Una variante del cognome è Del Caro, a cui si aggiunge il cognome del
marito Narducci.
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 185
ografo sin dal 1780 nei teatri del circuito veneziano, San Benedetto,
San Samuele, San Cassiano e San Moisè (Massaro, 1985, pp. 251–
–252). La vicinanza di Campilli padre con coreografi e danzatori di
scuola noverriana, come Antonio Terrades e Maria De Caro, che nel
1785 egli stesso aveva diretto al San Moisè, insieme alla competenza
nel ricoprire ruoli di “primo grottesco” e “grottesco fuori dei concer-
ti”, tipici della scuola italiana (Sartori, 1990–1994; Wiel, 1897), fanno
supporre che la formazione di Giovanna sia avvenuta su questo dop-
pio registro italo-francese. I primi anni di carriera, gli anni novanta,
sono segnati dalla collaborazione – prima al San Moisè (1793–1794),
poi al Teatro Regio di Torino (1798) – con Urbano Garzia, coreografo
produttivo e maestro di mimica nella scuola di ballo del Teatro alla
Scala dal 1813 al 1823 (Scafidi, 1998, p. 16). Nel primo decennio
dell’Ottocento, Giovanna come “prima ballerina” lavorò con Gaeta-
no Gioia e Francesco Clerico, rispettivamente al San Carlo di Napoli
(1801–1804) e alla Scala di Milano (1805–1806), a confronto con due
autorevoli personalità, entrambi particolarmente prolifici, ma animati
da una diversa concezione dello spettacolo coreutico e dello stile pan-
tomimico. Se i balli di Gioia possono ascriversi a quel genere deno-
minato da Carlo Ritorni «coreodramma», ovvero «canto muto», il cui
esimio rappresentante – sempre secondo questo autore – fu il coevo
Salvatore Viganò, i balli di Clerico erano delle «pantomimotragedie»,
drammi muti, caratterizzati soprattutto dalle forme dell’assolo e dei
duetti, e dall’uso di una preponderante gestualità di tipo noverriano,
quindi “recitata”, in contrapposizione alla gestualità ritmata tipica del
coreodramma, in cui simultaneamente ai danzatori principali anche
il corpo di ballo si animava in accordo alla musica catturando l’at-
tenzione del pubblico per il dinamismo e la varietà del gioco visivo
(Ritorni, 1838, pp. 32–42).
La Campilli fece esperienza di entrambe le modalità coreografiche.
Ci chiediamo quindi quale sia stato il suo metodo e il suo stile quando
qualche anno più tardi si approcciò alla composizione di balli pantomimi
presso il Real Teatro Carolino di Palermo, per almeno tre stagioni a par-
tire dal 1809, occupando al contempo il posto di “prima ballerina seria
assoluta”, in coppia con Pietro Campilli, presumibilmente suo fratello,
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 187
17
È stato possibile reperire i dati relativi ai balli rappresentati al Teatro Carolino
attraverso la HathiTrust Digital Library. Alcuni di essi si possono individuare attra-
verso alcuni database on line come quello dell’Università di Bologna, “Corago”. Non
vi è però traccia di questi balli nel catalogo unico centrale delle biblioteche italiane.
Abbiamo incrociato i dati trovati con la cronologia curata da Ottavio Tiby (1956), che
dei balli riporta solo i titoli, omettendo i nomi dei coreografi.
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Per la stagione 1811/12 Leopoldo Campilli compone i seguenti balli: Gengis-Kan
in Corea, Il finto morto, Venere benefica, Gli inglesi in Africa e Il convitato di pietra.
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Non datati sono i seguenti balli rintracciati nella HathiTrust Digital Library di
cui non è disponibile copia digitale, tutti «composti e diretti» da Giovanna Campilli:
Nina, o sia, La pazza per amore, «ballo pantomimo sentimentale», Eduige di Witepsk,
ossia, Il sottoterraneo, «ballo eroico-tragico», Li due ciechi che vedono chiaro, o sia,
Lo sposo burlato, «ballo comico».
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Nell’Avviso contenuto nel programma di ballo della rappresentazione napoletana
Venere benefica la coreografa si rivolge al pubblico di Napoli usando il termine «con-
cittadini» (p. 9).
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Lettera del 26 maggio 1802 conservata nel Fondo “Segreteria di stato di casa reale”
dell’Archivio di Stato di Napoli (549. 1269/27), in cui si richiede a nome di Giovanna
Campilli, “prima ballerina” del Teatro di San Carlo, una serata a suo beneficio; serata
che otterrà poiché altre danzatrici successivamente ne fanno menzione.
Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 189
come quella coreografica dai soli programmi del ballo, che – come già
accennato – ricalcavano nei soggetti, ma anche nella struttura narrativa,
quelli precedenti a cui attingevano, mentre originale doveva essere di
volta in volta la realizzazione scenica.
Certamente nei primi anni dell’Ottocento Giovanna Campilli come
compositrice di balli rappresentò, qualunque fosse stato il suo stile co-
reografico, un’eccezione alla norma, che vedeva ancora per tutto il XIX
secolo i soli uomini protagonisti della scrittura in movimento. E, nono-
stante un inizio entusiasmante con le coreografe Bronislava Nižinskaja,
Agnes de Mille e Ninette de Valois, ancora nel Novecento le maggiori
compagnie di balletto nazionali sono state caratterizzate da una predo-
minante presenza maschile, sia per quanto concerne l’ambito creativo
che quello della direzione artistica, diversamente da ciò che è avvenuto
nell’ambito della danza moderna, dove si è verificato esattamente l’op-
posto, ovvero una prevalenza di coreografia al femminile. Ancora oggi
l’argomento è attuale; non a caso nel 2012 la rivista “Dance Chronicle”
ha lanciato un dibattitto sul tema “Where Are All the Women Choreo-
graphers in Ballet?” sull’onda di una nota affermazione del coreografo
George Balanchine: «The principle of classical ballet is woman» (Me-
glin, Matluck Brooks, 2012, p. 1).
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Donne “compositrici” di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento 191
Riassunto: Il saggio descrive alcuni aspetti della vita e dell’attività artistica di Anna Binetti, Maria
De Caro e Giovanna Campilli, “prime ballerine” vissute fra la seconda metà del Settecento e l’inizio
dell’Ottocento, con il fine di mettere in luce la loro pratica di coreografe in un’epoca che vedeva
questo mestiere riservato per lo più agli uomini. Attraverso i programmi dei balli e altre fonti coeve,
il saggio documenta un ambito poco esplorato dagli studi di danza – ovvero la presenza femminile
come “soggetto artistico” nel teatro di danza italiano – contestualizzando tale fenomeno nel più
ampio panorama culturale dell’epoca e focalizzando l’attenzione su tre casi di donne-coreografe
che, se pur isolati e straordinari, possono trovare delle convergenze significative nei luoghi della
rappresentazione, Venezia e Napoli in particolare, e in alcune figure, come Jean-Georges Noverre
e Maria Carolina d’Asburgo, interessanti a evidenziare possibili reti di rapporti verso cui aprire nuove
prospettive di ricerca.
Parole chiave: Anna Binetti, Maria De Caro, Giovanna Campilli, ballo pantomimo italiano del
XVIII–XIX secolo, programmi/libretti di ballo