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Il libro della cucina del sec. XIV
Il libro della cucina del sec. XIV
Il libro della cucina del sec. XIV
E-book220 pagine1 ora

Il libro della cucina del sec. XIV

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LinguaItaliano
Data di uscita26 nov 2013
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    Il libro della cucina del sec. XIV - Francesco Zambrini

    Project Gutenberg's Il libro della cucina del sec. XIV, by Anonymous

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    re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included

    with this eBook or online at www.gutenberg.org

    Title: Il libro della cucina del sec. XIV

    Author: Anonymous

    Editor: Francesco Zambrini

    Release Date: October 1, 2010 [EBook #33954]

    Language: Italian

    *** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LIBRO DELLA CUCINA DEL SEC. XIV ***

    Produced by Carla, Carlo Traverso, Barbara Magni and the

    Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net

    (This file was produced from images generously made

    available by The Internet Archive)

    SOMMARIO

    Avvertenza

    Miscellanea

    Correggi

    IL LIBRO DELLA CUCINA

    Annotazioni

    Tavola di alcune Voci e modi di dire

    Indice d'altre Voci

    Indice dei capitoli

    Rettificazione


    IL

    LIBRO DELLA CUCINA

    DEL SEC. XIV

    TESTO DI LINGUA

    NON MAI FIN QUI

    STAMPATO


    BOLOGNA

    Presso Gaetano Romagnoli

    1863


    Edizione di soli 202 esemplari

    ordinatamente numerati

    N. 99

    TIPI FAVA E GARAGNANI


    Al Chiarissimo Signore,

    SIG. FRANCESCO CORAZZINI

    PROFESSORE DI STORIA E DI GEOGRAFIA

    NEL R. LICEO DI BENEVENTO.

    Molto illustre Signore,

    A un caldissimo amatore e felice coltivatore de' nostri antichi classici studii, quale è la S. V. Ch.ma, non puote certamente ispiacere l'offerta di questo LIBRO DI CUCINA, dettato, a quel che si pare, nell'aureo trecento, o in quel torno, e non mai, per quanto è a mia notizia, fin qui reso di pubblico diritto. La S. V. Ch.ma nel passato anno, tratta da soverchio di amorevolezza, volle testificarmi l'affezione sua pubblicamente, intitolandomi l'erudito e candido suo ragionamento sulla necessità di conservare e accomunare la lingua; ed io oggi voglio in qualche maniera rendernele un poco di contraccambio, per giustizia ed equità, e per la gratitudine e la stima che caldissime verso di Lei sento.

    Or si compiaccia dunque, o molto illustre Signore, di accettare con lieto viso questa mia testimonianza de' prefati ragionevoli sentimenti; e mi creda, quale con singolare affetto ed ossequio, ho l'onore di dichiararmi

    Di Bologna, nel Novembre del 1863.

    Suo Obbl.mo Servidore

    FRANCESCO ZAMBRINI.


    AVVERTENZA

    Niuno si faccia a credere che, nella pubblicazione di questo libro, io abbia avuto in animo porgere ammaestramenti di buona e gentile cucina: no, per mia fede. Le ragioni che mi mossero a torlo dall'oblivione in cui si giacea, trassero dal desiderio di accrescere sempre più la messe de' vocaboli, spezialmente domestici e di cose attinenti alle arti, della quale il nostro libro è assai abbondevole, e di offerire un testo che ci rappresenta al vivo le costumanze de' nostri antichi, per ciò che risguarda l'uso delle loro vivande e delle mense. La qual cosa tanto più feci volentieri, in quanto che niun libro di simil genere, secondo ch'è a mia notizia, scritto in volgare nel sec. XIV, venne finora reso di pubblica ragione. Questo duplice vantaggio dunque me ne dette stimolo, e m'avviso che bastar debba perch'ei torni bene accetto al colto ed erudito leggitore. Nulla ha a fare coll'antico libro De re culinaria di Apicio, nè con altri trattati latini, anteriori al sec. XIV; ma egli è senza dubbio scritto originalmente da penna toscana, e per avventura, non ostante pochi senesismi ed altri vocaboli speciali soltanto a diverse provincie italiane, fiorentina. La semplicità, l'eleganza e la sobrietà, conforme il comporta la materia trattata, vi spirano da ogni lato. Per comprovarlo a un girar d'occhio, veggasi il seguente capitolo:

    Nelle gran feste e dì pasquali, fà di pasta uno arbore o vite, o giardino. E insù l'albore appicca pomi, pere, o uccelli diversi, o uve, ciò che tu vuoli, fatti di pasta distemperata con ova: e debbiansi empire di empiture sopra dette e coloralle di diversi colori, come giallo, verde, bianco e nero. A onore del detto arbore, poni nel mezzo d'esso uno pastello, ovvero gabbia piena d'uccelli; e in tale arbore puoi ponere tutti i frutti, li quali troverai, secondo e diversi tempi. Quando si portarà nella corte, facciasi sotto l'albore (o vite, o giardino) fuoco di legne altamente, e ponanvisi vergelle odorifere; e ponanvisi pomposamente.

    Così scriveva forse un idiota cuoco, che vivea cinquecento anni fa! Ciò nondimeno, colpa dell'antico amanuense, in assai luoghi mi sono abbattuto, senza dubbio corrotti ed errati, la più parte de' quali io mi cimentai colla critica a rettificare. Se ci riuscii felicemente, bene sta; se non, sia come non fatto; anzi prego l'indulgenza del cortese pubblico a passarsene come se le mie osservazioni non fossero, lasciando nel senno de' meglio avveduti l'indovinare più acconciamente, e darne spiegazioni meno lambiccate.

    Secondo il mio costume, io mi tenni strettamente all'originale, nè feci che leggerissime mutazioni di grafia, come predicti in predetti; pescio in pesce; poi, verbo, in puoi; de in di, e cotali altre coserelle scambiai di niun momento, le quali nè danno, nè tolgono la veste del tempo, ma non sono che varietà introdotte per lo più da' copisti.

    Oltre le opportune note, posi in fine una Tavola di voci e modi degni di osservazione, colla giunta di un Indice di que' vocaboli, che, sconosciuti affatto, indarno si cercherebbero ne' lessici della nostra lingua; de' quali poi abbiamo la propria significazione dalla specialità di ciascheduna vivanda, donde traggono il nome. Note esplicative di antichi vocaboli, oggi disusati e proprii soltanto dei primi secoli della lingua, non posi mai, o quasi; tenendo per fermo che non n'avesse bisogno chi si fa a leggere in volumi di simil genere, anco persuaso che per niuno de' miei leggitori non potrebbesi giammai rinnovellare veruno equivoco, della foggia che intravvenne a un cotal Borso Zeminian da Sant'Ambrosi; il qual come fosse, e come la bisogna andasse, voglio brevemente, e secondo un manoscritto da me posseduto, qui a piè dimostrare.

    Secondo che io ho udito raccontare da persona degna di fede, egli ebbe, non sono ancora molti anni passati, nel contado modanese, un cotal Borso Zeminian da Sant'Ambrosi, il quale, tuttavia essendo fanciullo, checchè la cagione si fusse, a Bologna da' genitori suoi fu condotto. Dove poi crescendo negli anni, e, com'è costume, mandato alle scuole perchè egli apparasse leggere e scrivere, ed essere un savio e prob'uomo, intervenne che, stante ch'egli avea dalla natura sortito un così ruvido e ottuso ingegno da non isperarne cosa che buona si fusse, per quanto ei s'affaticasse, e per quantunque i precettori si dessero attorno ad ammaestrarlo, e' non venne giammai a capo di alcun poco di bene; sicchè, pure quasi come colui che non isguardò a libri di sorte alcuna, nella sua innata ignoranza sempre poi fino alla morte si rimase. Ma però che dove è ignoranza, ivi suole essere prosunzione, così perch'egli avea letto più volte il Fiore di Virtù, la Storia di Barlaam, i Reali di Francia e Guerrino detto il Meschino, e ne avea spigolati e ricolti in un suo quadernuccio, come gemme e tesori di lingua, tutti i riboboli e le parole strane che in que' libri si trovano, egli si credeva un gran Sere, e si spacciava per un gran letterato e conoscitore e ristauratore delle opere del trecento: e di libri e di scrittori e di cose letterarie nelle brigate e fuori non finava giammai di strombazzare; e ne diceva le più stolte cose del mondo, e le più ridevoli; e tali e tante in somma da disgradarne quel benedetto Calandrino, e il Carafulla: e, secondo il vezzo degl'ignoranti, a quale vi vogliate scrittura, anche di dott'uomo, che venisse alla luce, costui apponeva, e ne voleva trovar difetti, e ne diceva le sconcie parole con ognuno, ora appuntando una virgola, ora trovando un c rovescio, ora un o corsivo dove tondo, siccome lui, esser dovea, e cotali altre stucchevoli miseriuole, menando per ciò tanto scalpore con chiunque s'abbattesse, ch'e' riusciva più impronto della tosse. A questa sua prosunzione e follia aggiugnevasi per soprappiù una sì sfrenata e sudicia e abbominevole e calunniatrice lingua, che egli avrebbe detto corna anche di messer Domeneddio, quando glie ne fosse venuto il mal talento. Nel contendere, ed anco nel favellare tranquillo e dimestico era sì insolente, plebeo e svergognato, che avrebbe vinto un granducale gabellier livornese, e un birro papale. Insomma egli era uno di que' cotali omicellacci, quasi idrofobi, che,

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