Un'altra vita
Di Tesi Stefano
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Un'altra vita - Tesi Stefano
UN’ALTRA VITA
Teoria di Hoggs (storico stellare dell’impero)
Il concetto tradizionale di tempo è solo una convenzione, un filo conduttore su cui sono inanellati gli eventi per comodità di catalogazione e comprensione. Questo criterio di misura, non dimostrabile scientificamente, è ampiamente superato dal concetto di quarta dimensione. Si può infatti , al contrario, dimostrare che il tempo altro non è che questo, un ulteriore binario su cui si muovono gli elementi tridimensionali che noi percepiamo fisicamente. Un binario senza un vero confine restrittivo, ma che ha in comune con le altre tre dimensioni una regola, senza del quale costituirebbe un assurdo metafisico, ossia la possibilità di essere percorso in ogni direzione all’interno delle leggi della fisica quantica. I legami della fisica nucleare ci sono noti e sono quelli che regolano le tre dimensioni fisiche dello spazio, la fisica quantica e le leggi che regolano le falle spazio temporali dei buchi neri sono alla base del concetto di viaggio nel tempo che per sillogismo con l’esistenza della quarta dimensione non può essere negato. Oltre questo esiste il confine della pluridimensionalità dell’universo legata alla materia ed ai possibili ed infiniti livelli di esistenza di altre realtà parallele strettamente connesse alla frequenza d’onda emissiva. L’unica realtà alternativa di cui, ormai, siamo certi è quella antimaterica, ma è solo più facile da percepire e da temere, possiamo aggiungere. Miliardi di altre possibili frequenze esistenziali
sono sicuramente possibili, proprio perché niente ci permette di dimostrarne scientificamente il contrario.
La mia esperienza mi ha permesso di capire che Hoggs ha sempre avuto ragione.
Oggi inizio a scrivere un diario, sono rinato da quasi un anno
DIARIO
aprile 12 2370
Non credevo fosse così, così inaspettatamente ordinario. Certo il risveglio è un po’ doloroso, la sensazione di soffocamento pensi non vorresti provarla più, ma il prendere coscienza di esser ancora vivo non ha prezzo, il resto è riemergere da una notte senza sogni.
Mi ero addormentato il 15 maggio 2014, divorato da un male incurabile
così si diceva allora, ora nessun male è così. Non esiste malattia, menomazione o problema genetico che non possa essere curato. Certo di mezzo c’è stato un conflitto atomico, il grande timore dell’umanità è diventato realtà, ma per chi è sopravvissuto non c’è tempo per le recriminazioni.
Ho letto i libri, olodischi, giornali, da dove è partito il primo vettore atomico non importa, l’importante è che nessuno è riuscito o ha voluto evitarlo.
L’umanità si è ridotta a pochi milioni di individui rintanati nei rifugi atomici che non aveva mai smesso di costruire. Sembra di vivere la storia di quel famoso videogioco dei miei tempi FallOut, con tanto di Vault sotterranei e creature mutate all’esterno. Per duecentocinquanta anni l’uomo è rimasto chiuso dietro gli immensi portali, poi sono iniziate le esplorazioni.
Prima i droidi , poi gli umani coperti da tute che non riuscivano mai ad essere abbastanza spesse da proteggerli hanno iniziato ad uscire dalle tane sotterranee. Tutti quei martiri predestinati avevano raccontato di aver pianto, perché tutto quello che si sapeva dell’inferno la fuori, le informazioni stipate nella memoria dei computer o il poco che si vedeva dalle telecamere esterne dei nidi
, non erano nulla al confronto con la distruzione che si poteva vedere camminando nelle città deserte, era uno spettacolo che aveva un sapore di dolore quasi tangibile.
Dopo centinaia di anni di radiazioni la terra sembrava una luna bruciata dal sole, nei punti d’impatto, e un mondo alieno nei luoghi dove la natura si era adattata al forte irraggiamento radioattivo.
Le città erano, alcune polvere, altre fantasmi incrostati di vegetazione dai colori innaturali e cadaveri, cadaveri, ovunque, nonostante i 250 anni mummie e scheletri ovunque. Molti non avevano retto e non erano tornati.
Io ? Io sono stato ritrovato nel mio guscio
sotto la sede sperimentale della Iberno inc., un locale alimentato da un piccolo reattore ad idrogeno autorigenerante, sembra e qui non c’è nessuna certezza, isolato anche dalle radiazioni da tre strati di piombo ricombinato.
Ancora adesso mi pare incredibile, avevano sentito il battito del mio cuore, o meglio il segnale registrato del battito del mio cuore, che secondo il protocollo di sicurezza, era stato inviato via radio dal mio guscio dal momento del distacco dall’energia principale.
Non capisco perché è toccato a me, eravamo un centinaio, tutti ordinatamente messi in fila con un sorriso da ebete stampato in faccia, ed un liquido azzurrognolo al posto del sangue, ognuno con la sua bella lucetta verde lampeggiante che significava vita, se così si può dire, e subito accanto la sua gemella di un bel rosso vermiglio che si accendeva solo per decretare la nostra prematura dipartita.
Irathem mi aveva descritto più volte, l’emozione di quando era sceso nella buia bocca aperta del corpo scala, quella che portava al piano interrato della Iberno. Era dentro la sua tuta schermata , ma avrebbe giurato di aver sentito nettamente quell’odore misto di muffe, polvere e di ossigeno stantio che è l’odore del tempo.
Le radiazioni erano basse, quasi sopportabili in alcune zone, le bombe usate nel conflitto erano intelligenti usavano isotopi a rapido decadimento, elementi intermedi artificiali, l’arcadio ed il meta iridio, che in due o trecento anni si dovevano trasformare in composti del piombo. Non tutto era stato così perfetto
sai ? Mi aveva detto ogni volta. Svuotati gli arsenali si era passati ad usare i fondi di magazzino e le vecchie bombe al neutrone o all’idrogeno avevano fatto terra bruciata e lo sarebbe stata per millenni !!
Aveva sempre una luce strana negli occhi a questo punto del racconto, giurerei stesse per piangere.
Comunque, riprendeva, arrivai a questa porta coperta di polvere ma sotto la quale continuava a pulsare una scritta che diceva insert code to open
, mi tremavano le mani, sudavo , il codice lo sapevo, preparavamo con cura ogni uscita, sapevamo bene cosa ci aspettava dove andavamo, mandavamo i droni avanti ma poi certi lavori, come ora, erano cose da uomini.
Arcadia , poi enter, un soffio un rumore di componenti idraulici e la porta si aprì.
Non ricordavo quanto potesse essere nero il buio, diceva, sapevo cosa c’era ma avevamo esplorato già altre decine di posti come quelli ed era stato il buio, poi all’accendersi delle luci ad idrogeno, una serie di gusci tutti regolarmente in fila, tutti ancora belli lucidi come quasi trecento anni prima e tutti con la loro sconsolata luce rosso vermiglio lampeggiante.
L’Heart beat non era una garanzia, spesso non si disinseriva con la morte del soggetto.
Quella volta però non riuscivo a calmarmi, sentivo qualcosa di diverso, una due tre, mummie rattrappite, sembrava sorridessero. Poi quella luce fioca, lenta nel suo lampeggiare ma indubbiamente verde, mi sono girato per escludere la possibilità di un’allucinazione, ma quando mi sono di nuovo voltato ho visto il tuo viso incredibilmente pallido ma in carne ed ho sentito la vita che ancora ti scorreva dentro.
Tu sei stato mio figlio da quel momento, ho provato la stessa emozione di un padre, credimi.
Ci credevo, ci avevo sempre creduto ed anch’io mi sentivo un po’ suo figlio.
Avevo tenuto la mia vita stretta fra i denti, quella vita che aveva tentato di tradirmi quasi trecento anni prima ed alla cui fine non mi ero voluto arrendere.
Mi avevano risvegliato, guarito, mi avevano reso alla vita, l’unica cosa che non avevano fatto con la dovuta accortezza era stato cancellare quel po’ di memoria che serviva.
Tutte le notti sogno la mia vita di un tempo, tutte le sante notti, tanto che per molto tempo non ho dormito affatto. La vedo sempre chinarsi sul mio letto a baciarmi la fronte sudata, il sudore della morte, lei è lì gli occhi pieni di dolore, un sorriso per accompagnarmi nel mio viaggio e per dirmi addio.
Mi sveglio urlando e piango come un bambino non riesco ad elaborare, dicono, il distacco. Io so solo che non ho nemmeno un’immagine di lei e solo nei sogni posso rivederla, non so dipingere, non so descrivere il suo volto e mi maledico ogni giorno per questo, ma posso disegnare nell’aria il suo profilo, e lo faccio spesso quando la sera guardo verso il sole che tramonta ed il dolore è più forte.
Comunque sopravvivo sono un esploratore, uno storico prenucleare,. Ma quando sfondo porte di archivi polverosi in zone dove la radiazione è ben oltre il limite della tuta protettiva l’unica speranza che mi guida è trovare qualche frammento della sua vita, dopo quel maledetto 15 maggio.
Mi prendono per pazzo tutti tranne Irathem che non è imparziale. Anche i dottori che mi riempiono di Xrad per abbassare la contaminazione nel mio corpo o che mi ricuciono le ferite . Ma mi ammirano e per questo non mi fermano. In verità non capiscono perché spesso farnetichi cercando di convincermi che potrebbe addirittura essere ancora viva.
Diario Gennaio 15 2371
Non si può capire come il tempo continui a scorrere, come i giorni continuino a susseguirsi, come io abbia ripreso il mio cammino.
La sera le lampade si abbassano qui nel Vault, mi piace chiamarlo così, a simulare il calare della sera, sono in sincrono con il sole, lo so, ma solo fuori in mezzo alla morte, mi sento vivo. Mi siedo sul letto e guardo nella penombra le linee che si incuneano nei miei palmi, spesso li avvicino, convinto che se nella mia mano destra è scritto il passato sulla sinistra non può che essere inciso questo mio futuro. Vivo della mia ossessione, sono quasi due anni che sono qui ed il dolore non si placa. Sono su ogni ruolo per l’esplorazione, in ogni programma di uscita in ogni cosa che mi porti in quel mondo morto o ostile.
Mi hanno restaurato
alla perfezione dicono potrei vivere per molto di più di quello che ho vissuto, ma io vorrei solo quella manciata di anni che ho perso fra l’inizio del mio sonno artificiale e l’apocalisse.
Chiudo gli occhi, sperando di sognare, ma ormai il suo viso è sempre più sfumato ed impreciso, a volte mi sveglio e non ricordo di aver sognato ed allora so già che il nuovo giorno sarà un pessimo giorno, per me e per chi sarà così sfortunato da incrociare il mio passo. Ho provato ad imbottirmi di psico stimolatori ionici, ma mi stavo uccidendo e mi hanno precluso ogni possibilità di usarne ancora. Ieri ho sfondato con un pugno una parete, questi uomini pallidi mi stanno iniziando a temere, li vedo impauriti, presto mi spediranno in qualche posto sperduto dove non possa far altri danni.
Devo calmarmi domani uscirò di nuovo in solitaria, prenderò la tuta B, quella con il comunicatore rotto, a cento metri dal Vault non mi sentiranno più, devo stare un po’ da solo.
Diario Gennaio 16 2371
Stamani mi sono svegliato con un dolore lancinante alla testa, niente sogni, devo fingere normalità poi esco. Proprio fuori della porta il cadetto Tomson
Buongiorno Tenente
Buongiorno, stupida talpa, ma questo lo penso soltanto, Passavi di qui per caso o ti hanno messo di guardia alla mia porta ?
Stavo andando in mensa, anche lei tenente ? Ma che idee le vengono ?
Niente solo il risultato di una notte agitata e senza sogni.
Mentiva, ed aveva paura, si vedeva dal sottile rivolo di sudore che scendeva sulla sua tempia e se non fosse bastato avevo scoperto che il lungo sonno mi aveva lasciato un piccolo regalo, una telepatia che ogni giorno si faceva più percepibile.
Il tempo stringe, più resto fuori dal Vault e più metto una seria ipoteca sul mio esilio, ma ora non riesco a fare altro.
La colazione è come al solito è stata pessima, come lo è il pranzo e la cena. Tutti cibi sintetici, perfetti per essere assimilati, ma insopportabili da mangiare. Alle 10 ora di New York devo uscire, devo controllare una stazione tv a un chilometro da qui, non credo che lo farò, cosa mai posso trovarci ? Sono felice perché sono solo ed ho un giorno intero per starmene fuori. Ciao diario vado, aspetterò in sala di preparazione.
FUORI
Registrazione tuta B tenente TS num . medaglietta 7865436678/ee Gennaio 16 2371 ore 10 e 15
Si apre la controporta del Vault, dietro di me la prima porta, quella verso l’interno è chiusa.. la guardo ma è come se non dovessi tornare, eppure so che devo farlo, dodici ore sono il massimo del tempo che la mia tuta può proteggermi, qui la radiazione è ancora alta, se rimanessi fuori un giorno sarei spacciato, ma questo è un pensiero pericoloso e lo cancellerò dalla memoria del registratore, dopo.
Dio .. Sta nevicando, è bellissimo ! La temperatura è di zero gradi perfetti né una virgola in più né una in meno, ho bisogno di 100 metri per liberarmi dal mio cordone ombelicale
il contatto radio, allungo il passo , dovrò cancellare anche questo, dovrò dire che non mi ero accorto e che poi avevo deciso di proseguire.
Passerò per Regent Park, questa tuta è pesante ma non posso toglierla, mi costringo a scacciare il pensiero, con forza, con determinazione, ma non è facile, non posso sentire l’aria entrare direttamente nei polmoni, il profumo dell’ossigeno per quanto corrotto è meglio di questa miscela che mi tiene in vita. Voglio sentire il freddo, la neve che mi bagna … Via …….. Via …. Non devo pensarci.
E’ inverno questo parco pieno di alberi nodosi pare quasi normale, la neve ha coperto già gli scheletri che sembrano solo piccoli cumuli bianchi disposti a caso nell’erba, che si, potrebbe anche esserci la sotto , perché no ?
Il laghetto, quello rompe un po’ l’atmosfera, è pieno di una poltiglia verde e vi affiorano cose che non riesco a catalogare, ma c’è una panchina sotto un grande albero, magari regge il mio peso, mi fermerò lì a riposare.
Mi siedo, scricchiola ma regge, è il buon acciaio grigio prebellico, qui non è arrivato il calore, qui la morte l’hanno portata le radiazioni. Ho visto delle registrazioni, lontano dall’epicentro rovente delle vecchie bombe all’idrogeno il vento dell’esplosione aveva strappato le foglie agli alberi, aveva fatto cadere le persone in terra, ma non le aveva uccise subito, poi le radiazioni avevano cotto tutto come in un microonde, la gente pregava, urlava, si contorceva, mentre la pelle si rigonfiava e cadeva a pezzi.
Non era proprio un effetto convenzionale, ma si vede che le armi recuperate erano state modificate con qualche buon additivo mortale.
La registrazione va ? Si si , sento il fruscio del microfono attivato.
Sono seduto, la neve copre la tuta nera che indosso, fra poco sarò un comico pupazzo di neve, non mi muovo spengo anche il rilevatore di radiazioni, voglio sentire il silenzio…..
Non basta, non mi basta, l’ultima lettura dava livello radiante 4,3 sopra la media, con una dose di xrad posso anche resistere due o tre minuti. Il mio respiro nel casco mi disturba, devo farlo ora.. stacco le sicurezze e gli allarmi, apro il casco.. respiro… respiro l’aria, la neve è come la ricordavo, cade lenta, riduce il campo visivo, il silenzio è quasi assoluto. Mi chino a raccoglierne una manciata, e sotto vedo il colore scuro della terra morta ed irradiata. La ricreazione è finita, scrollo il capo, mi rimetto il casco e mi inietto una razione generosa di xrad.
Rapporto intossicazione radiante, livello di pericolo basso, xrad riporterà il livello a zero entro trenta minuti
E’ la voce del computer interno, tutto ok, ma dovrò rifarlo, l’aria era buona era come una droga per i miei polmoni .. ora devo proseguire, andrò verso il mio obbiettivo, poi deciderò cosa fare.
I piedi affondano nella neve, ogni tanto uno schiocco, un rumore secco che ben conosco, quello di ossa frantumate, ma quanta gente c’era qui un tempo ? I palazzi sono quasi intatti, solo pochi crolli dovuti al tempo ed all’abbandono, questa strada la conoscevo, poco più avanti c’è il negozio di libri, saranno ancora tutti là. Perlomeno c’erano dieci anni prima del bombardamento.
Cammino sul marciapiede, è l’istinto, ma le auto ferme da secoli non sono più un pericolo, LIBRI PER OGNI TEMPO
la scritta ancora si vede è ancora qui, ci sono davanti e non so nemmeno perché. Questo punto sa di Natale, del mio ultimo Natale, quando le comprai un libro sulle antiche leggende, le era piaciuto così tanto. Ci entrerò, un’altra volta, è come se una forza mi dicesse di andare avanti, perché non assecondarla ? Proseguo, prendere nota delle coordinate computer. Mi manca il fiato, devo fermarmi, questa tuta mi uccide ! altri cento metri e ci sono.
Presenze ostili a 50 metri ore 6
Merda ! proprio ora ! Li vedo per un attimo, sono macchie scure su un cumulo di neve nel mezzo della strada, è grande sotto ci deve essere una macchina, dovrebbero essere imon, una specie di cani mutati, gran brutto incontro in queste condizioni. Ma chi se ne frega ! Li devo eliminare, sono già fuori da due ore, il tempo mi sfugge. Sembrano scomparsi ma per sicurezza ho attivato lo scudo ad antimateria ed ho in pugno la mia arma d’ordinanza, conto i passi, 20, 30, 40, sono vicino al cumulo, sento il fiato pesante degli imon, speriamo attacchino in gruppo. Non sono ancora ben sicuro di come queste armi a raggi si comportino in un ambiente così ostile, la neve rende tutto confuso e la luce del laser potrebbe avere problemi con questo tempo.
Mi piacevano le armi a raggi nei videogiochi, ora mi sentirei più sicuro con un bel fucile vecchio tipo fra le mani.
Sono a poco più di due metri dalla macchina sepolta nella neve, ma non sento più nulla, solo il mio respiro. Trattengo il fiato per ascoltare, intanto i sensori della tuta scandagliano l’intorno, ma niente. Se ne sono andati, strano, di solito non rinunciano.
Devo riposare un poco, i cinquanta metri che mi separano dalla stazione tv sono troppi per me. Non ho l’allenamento dei miei compagni del futuro, io ho dormito per qualche centinaio d’anni,i miei muscoli sono decisamente poco tonici.
Non quadra, cerco di trovare una spiegazione ma qualcosa non torna, mi sono trovato altre volte in circostanze del genere, ma gli imon mi hanno, anzi ci hanno, perché non ero mai da solo attaccato.
Sembrano svaniti nel nulla, sembra che qualcosa li abbia vaporizzati, ok diario tralasciamo queste paranoie, cerco di proseguire, questa neve è bellissima ma mi taglia le gambe. Alzare questi stivali è già un’impresa in condizioni normali, così è quasi impossibile.
Non ho mai desiderato come ora di potermi sedere. La tuta è pesante, il sudore del mio corpo la rende umida ed appiccicosa, la visiera del casco continua ad appannarsi e questo, unito al turbinare della neve, mi rende la visuale limitata, troppo limitata.
Sto proseguendo seguendo il segnale sulla olomappa che si proietta sul visore, ma mi tengo sempre in contatto con il muro dell’edificio che corre lungo la strada, ci potrebbero essere voragini nell’asfalto o altri pericoli, ho visto di tutto da quando ho cominciato ad uscire.
15 metri, il rumore del mio respiro è insopportabile, devo avere anche un po’ di febbre per l’xrad, sento le ginocchia che cedono, non ce la faccio… la cosa comica è che non posso nemmeno chiedere aiuto, la mia radio non funziona, forse sono al capolinea.
Livello radiazioni corporee 0,000 ripristino condizioni ottimali effettuato – Fanculo, computer del cavolo, questo non mi aiuta, non ce la faccio a proseguire, fra poco sarò coperto di neve e ghiaccio ed avrò gli snodi della tuta bloccati, rispondimi a questo cervellone come ne esco ?
So che il silenzio è l’unica possibile risposta, logicamente non c’è via d’uscita, ma infondo non mi importa nulla.
15 metri, il cervello viaggia in fuori giri in una situazione del genere, elabora teorie, anche le più folli, una in particolare mi sembra sufficientemente folle da essere perseguita. Se mi libero della tuta quei maledetti quindici metri li percorro in un attimo.
Certo probabilmente vuol dire morire per le radiazioni o per il freddo ma l’alternativa non è migliore.
Ho deciso, non ci ho messo molto, neanche il tempo di pensarci e dare un’occhiata al livello di radiazioni, neanche troppo al di sopra della soglia di pericolo ed i perni di fissaggio del casco sono già aperti.
Poi è stata la volta del resto,tranne i guanti staccabili, un po’ per il freddo un po’ per proteggermi dal contatto con oggetti pesantemente irradiati, mi son tenuto il minimo equipaggiamento indispensabile. Le armi, il contatore geiger, il registratore, che lascio acceso. In effetti ho una possibilità di sopravvivere, anzi una serie di possibilità a scalare, devono solo verificarsi alcuni piccoli eventi fortunati.
Il primo è che dentro l’edificio, almeno nella sua parte più interna, il livello di radiazioni sia più basso e questo potrebbe darmi un po’ di autonomia in più. Il secondo è che nello scantinato ci sia un bunker di sicurezza, ce n’erano molti in città, ancora ben chiuso e con un bell’assortimento di vecchie tute anti radiazione da indossare.
Naturalmente dovrei, e siamo a tre riuscire ad indovinare la combinazione della porta, ma quella è forse la parte più facile.
Non avrei sperato di poter tornare a respirare aria vera
così presto, ma forse ne avrei fatto anche a meno, morire non servirebbe a nessuno.
Mi sembra di volare, il freddo è intenso ma riesco a dimenticarmelo, focalizzo l’obbiettivo, la porta è in metallo e vetro, molto più vetro che metallo, è chiusa, la serratura probabilmente bloccata, non ho tempo da perdere, e poi mi sento osservato, quei mutati mi potrebbero essere ancora alle calcagna. Mentre cammino porto la mano al fianco, non è una mossa logica una porta chiusa è pur sempre una difesa. Infatti chi è sopravvissuto qui fuori non sa più aprirla, ma non ho tempo per le mosse tattiche. Forse qualche attimo prima di averlo pensato coscientemente ho già premuto il grilletto e la porta dopo più di duecento anni al suo posto, esplode letteralmente in mille pezzi.
Entro fra la polvere secolare che si è alzata per la mia intrusione, la luce è poca, le vetrate sono oscurate da troppi anni di sedimenti, ma c’è caldo i pannelli radianti sotto il pavimento ancora sono in azione. Vuole dire che c’è un minireattore a fusione qui, la speranza di un bunker nel sottosuolo è decisamente più alta.
Cazzo anche l’allarme funziona ! una sirena assordante e pulsante, come le luci rosse sopra la reception, salto il banco con tutta la leggerezza che mi da la leggera sotto tuta che poche mi è rimasta addosso e premo i pulsanti per disinserire questo inferno.
Di nuovo silenzio, neve che inizia ad invadere lo spazio nei pressi della porta ed un vento che lancia un urlo sinistro.
Il contatore segnala un livello di radiazioni basso ma comunque pericoloso, devo muovermi, qui sono troppo esposto.
Qualcosa non mi quadra, mi sembra di esserci già stato qua, ma infondo negli ultimi giorni della mia vita fra antidolorifici e cure di vario genere non ero molto in me.
Di sopra o di sotto ? ci sono le scale, ed anche l’ascensore, la flebile luce che filtra fra le incrostazioni sulla pulsantiera mi dice che è attivo, ma non mi fido.
La logica dice di sotto, se c’è una stanza magazzino è lì, ma la curiosità mi spinge di sopra, c’è una voce gracchiante mi sembra di vedere gli altoparlanti colmi di polvere che alzano piccole nuvole nel transito delle basse frequenze, questo è più che abbastanza per me.
Prima non avevo notato questi suoni, probabilmente il mio ingresso ha rianimato
il palazzo. Penso e mi muovo, scivolo veloce sui gradini polverosi, sono ben conscio che mi sto riempiendo di radiazioni, ma per questo tempo che mi rimane mi sento vivo come non mai.
La polvere è magica in questo corridoio, le plafoniere nascoste nel soffitto illuminano un turbinio di particelle impalpabili. Le flebili luminescenti scaglie di passato mi si fissano sulla pelle sudata, un po’ per la temperatura che sta salendo un po’ per la tensione. Sono al primo piano il rumore viene da qui, poco più avanti si vede una luce tremolante che balla sullo sfondo di una porta aperta, la voce mi guida. Sembro un fantasma quando arrivo sulla soglia, la polvere o forse la cenere mi ricopre. E’ una cabina di regia i monitor sono occhi spenti, debolmente rischiarati da un flebile retro bagliore, ma nell’estremo angolo alla mia sinistra li’ c’è vita.
Non riesco a vedere, sacrifico uno dei miei guanti ed inizio a pulire la superficie incrostata del video, la voce è deformata, come proiettata attraverso uno spesso tessuto, devo trovare una soluzione più pratica, ma in fondo cosa me ne importa ? Deve essere un notiziario degli ultimi giorni o forse delle ultime ore. Non ci riesco a pulire questo schermo, queste immagini sbiadite ed afone mi irritano soltanto.
Qualcosa però a volte succede, quasi per caso o forse perché in quel momento solo un calcio nello stomaco ti può far cambiare direzione, io la stavo cambiando direzione, volevo tornare all’idea dello scantinato, prima di andarmene però mi mancava giusto un gesto inconsulto, e per non essere soffocato dalla rabbia che mi stava sommergendo, non ho potuto far altro che rompere quel maledetto schermo con la prima cosa che mi è venuta fra le mani.
Ora me ne vado stupida ferraglia prebellica, vecchia ed inutile come me ! Lei come si chiama dove stà andando ? Crede che ci saranno altri attacchi ? incredibile il colpo ha liberato uno degli altoparlanti, Ira, Ira Edmond e vado nel nord qui non è sicuro al massimo tra tre giorni io e i miei compagni saremo a R.. In certi momenti è come se ti staccassero la corrente, quelle parole mi hanno staccato il cervello. Ira, quella era la sua voce ed era viva, dopo l’attacco. Un minuto senza fiato, senza parole, senza colore nelle labbra pallide, un minuto in cui lampi di adrenalina mi hanno invaso le tempie, non era morta, non il giorno del primo attacco, era fuggita verso, dove ?
Il video è interrotto, non lo vedo ma lo ascolto, entra in un loop ossessionante, non riesco a capire dove diavolo è l’originale, mi tremano le mani, non c’è un lettore di supporti ottici, ci deve essere un hard disk da qualche parte. Devo provare ad accendere le altre console.
Ci vorrebbe dell’acqua, un panno che non sia intriso da tutto quello sporco incancrenito, mi volto e capisco.
Fuori nevica, la neve si può sciogliere, e in qualche posto ci sarà una stanza chiusa con del tessuto.
La radiazione è straordinariamente bassa qui, potrei vivere anche un mese così, ma non ho provviste, il limite è dato dalla mia resistenza.
Calma, rifletti, la neve è carica di particelle, non puoi andare fuori come se fossi in spiaggia a raccogliere sabbia con il secchiello. Mi parlo mi convinco, forse è un effetto delle radiazioni, non so, decido di scendere nell’interrato, ho bisogno di una tuta,di acqua bevibile, di cibo.
APRITI SESAMO
Vietato l’accesso ai non addetti, la porta che da sulle scale per l’interrato ha questa scritta impressa, ed ancora leggibile, penso che nessuno se la prenderà con me se non rispetto il divieto, mi si accende un sorriso, la situazione in fondo è comica.
La scala è buia, completamente buia, i gradini sembrano umidi, la torcia illumina un pulviscolo più denso di quello del piano superiore, mi porto la mano davanti alla bocca per filtrare il respiro è solo un’illusione, ma mi sembra vada meglio così. Non c’è energia quaggiù, nessuna spia luminosa, neanche nelle luci di emergenza, se scivolo e mi fratturo qualcosa sono perduto. Dodici gradini, una rampa è superata, mi fermo sul pianerottolo e punto la luce verso il budello oscuro della seconda rampa, proprio di seguito all’altra, sul fondo si vede qualcosa, non è il pavimento, ma non riesco a distinguere le forme indistinte rese monocrome dai sedimenti del tempo. Un’idea ce l’ho ma preferisco scacciarla mentre ricomincio a scendere. La luce si rifrange sempre di più, è come l’effetto dei fari nella nebbia, inizio a tossire, mi appoggio al muro, non ce la faccio a respirare, non voglio pensare a che dose di radiazioni stanno assorbendo i miei polmoni, metto la torcia fra le ginocchia e mi sfilo la parte superiore della tuta e mi tolgo la maglietta che ho sotto, è sudata mi da un senso di nausea ma così umida sarà ancora più adatta all’uso che ne voglio fare, me la arrotolo intorno alla testa e la aggiusto ben premuta sulla bocca e sul naso, faccio più fatica a respirare, ma smetto di tossire.
Mancano cinque o sei gradini alla fine della scala, sub 1 dice il cartello, spero non ci sia un sub 2, non riuscirei a tollerare un ulteriore peggioramento, illumino per un attimo il contatore, a cui ho staccato il sonoro perché mi infastidiva. Incredibile la lancetta è sul verde, non mi sembra logico con tutto quel pulviscolo, do dei colpetti sul vetro, ma la lancetta rimane ferma sullo stesso valore, dopo aver ondeggiato sotto i miei colpi.
Perfetto, qui rischio di soffocare ma posso mantenere il mio bilancio di radioattività assorbito o B.R.A. come mi hanno insegnato in uno stato di equilibrio soddisfacente.
Penso ma non avanzo, ora l’immagine del fondo dell’interrato è più chiara, a pochi metri da me il pavimento è ricoperto di cadaveri, orbite disseccate mi guardano, appena percepibili sotto il manto grigio, sembra la scena di una tomba ricolma di vittime sacrificali, c’è un certo ordine nel loro dispiegarsi sulla superficie del pavimento, sembrano esser morti disposti in una fila quasi ordinata.
Quelli più vicini a me sembrano guardarmi perché, forse, stavano guardando il gran bagliore atomico che si era incanalato nel budello della scala, poco prima della fine.
Base 1 a esploratore TS mi senti ?
Diavolo il mio comunicatore da polso, il mio Vault mi chiama.. ma come diavolo ?
Ma certo che stupido, i sistemi riattivati devono aver compreso un potente ponte