Diverso d'amore
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Ecco, questa è la prima constatazione da fare, ma c’è subito un’altra non meno significativa e importante: quella della scrittura “a quattro mani” realizzata magicamente grazie soprattutto alla maestria di un’autrice di grande spessore come Bruna Nizzola che ha saputo fissare sulla carta in maniera veridica, profonda, intensa le sofferenze, i palpiti di un cuore bisognoso di umana, partecipe comprensione e di totale accettazione del proprio autentico stato, della propria vera, genuina personalità.
E il miracolo della particolarissima malia che permea tutto questo appassionato e appassionante diario di un’anima e del suo grande amore, è avvenuto perché, al di là delle incontestabili capacità narrative, artistiche, di penetrazione nei più nascosti meandri dell’animo umano da parte di Bruna Nizzola, ella è riuscita ad attuare un mirabile transfert, a realizzare una perfetta, simbiotica sintonia percettiva, sentimentale, umana e quindi espressiva, grazie a un atto d’amore più che materno nei riguardi di Sauro Farnocchia che, da parte sua, ha saputo mettere a nudo se stesso tramite un’impietosa autoradiografia interiore, con disarmante sincerità, senza pudori nè ipocrisie o infingimenti.
Un libro privo di retorica che, sul filo di sentimenti puri, totalizzanti, profondamente sentiti perché scaturiti da un bisogno irrefrenabile del cuore, ci induce, come ho premesso, a rivedere le nostre consolidate certezze, il nostro tetragono mondo interiore, conducendoci per mano nell’intus di una creatura imprigionata in un corpo che non corrisponde affatto alla sua intima essenza, alla sua sensibilità, alla sua vera sessualità.
Un’opera dunque che rappresenta un intenso documento umano e, per certi versi poetico in cui Bruna Nizzola dispiega a piene mani la sua ben fornita tavolozza descrittiva e la dovizia del suo corredo lessicale, unitamente ad un’innata delicatezza interiore e ad un profondo arco di comprensione umana, seguendo, magari inconsapevolmente, l’invito di Sant’Agostino: “Ama e fa’ quello che vuoi perché amando non si può non fare bene quanto si sta facendo”.
Manrico Testi
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Anteprima del libro
Diverso d'amore - Bruna Nizzola
Nizzola
Al ragazzo che amava le stelle
Il sogno
Era una notte lunga, interminabile.
Dalla finestra socchiusa entravano leggere folate di vento che gonfiavano le tende di mussola bianca. Con la brezza tiepida mi sembrava di percepire profumi di primavera: teneri annunci di nuova vita, di dolce rinascita.
Io, invece, mi sentivo morire!
Me ne stavo immobile, come se un macigno mi schiacciasse il petto impedendomi di respirare. Avvertivo l’ansito dei polmoni, il battito del cuore che mi pulsava frenetico nelle orecchie. Mi mancava l’aria.
Sì, mi sentivo morire…
Poi, ad un tratto, fui come avvolto da un’ovattata nuvola di silenzio.
Allora lo vidi:
Se ne stava mollemente adagiato sull’erba smeraldina di un prato, all’ombra di un albero carico di frutti. Aveva le braccia incrociate dietro la nuca, il viso dalla lucida pelle scura per metà nascosto dai lunghi capelli ricci che gli arrivavano alle spalle. Fra le labbra stringeva una spiga di grano.
Fissava lo sguardo assorto ad un punto indefinito dell’orizzonte appena delineato dal profilo di una collina. Tutto attorno un mondo di colori: giallo, verde tenero, rosa, cobalto… Come in un dipinto di Gauguin…
Non provavo più alcun senso d’oppressione. La serenità del bellissimo ragazzo di colore sembrava contagiarmi. Non soffrivo più.
Mi chiedevo chi fosse, perché se ne stesse lì, felicemente perduto nella contemplazione di un mondo che pareva noto a lui solo.
Ad un tratto vidi l’immagine rimpicciolire ed appiattirsi in due sole dimensioni e m’accorsi che la mia visione altro non era che la copertina di un libro.
Mancava il titolo.
Ma c’era il nome dell’autore: il nome più importante nella storia della mia vita…
Racconterò questa storia e completerò quella copertina con un’intestazione per la quale vorrei trovare le parole più belle che possano annunciare un racconto d’amore: il MIO amore.
Chi sono?
Mi chiamo Sauro.
Sauro: cinque letterine dell’alfabeto, cinque fonemi, come dicono le grammatiche moderne, che all’atto della nascita mi hanno ufficialmente identificato sia all’anagrafe come in famiglia.
Eppure quel nome mi fu dato in modo del tutto casuale.
Era il nome del dottore che accolse sorpreso, quanto la mamma, il mio debutto sulla scena della vita.
Il mio arrivo era infatti del tutto inaspettato.
Era già nato il gemello che si era appropriato del nome programmato per lui, il maschio tanto atteso: Daniele.
Ed io prematuro, piccolissimo e bruttino ricevetti un battesimo affrettato con il nome della persona più importante per me in quel momento perché, come in seguito mi avrebbe detto tante volte la mamma, allora ero più del medico che suo.
(Così avrei potuto presentarmi: Io sono Sauro!
Ma questo non sarebbe proprio bastato perché gli altri potessero affermare di conoscermi)
Comunque era il 15 giugno 1974, le due del mattino e due furono i maschi che comparvero fra lo stupore generale.
Mio padre era fuori di sé per la gioia di questa doppia conferma della sua virilità e volle comunicare a tutti il lieto evento.
Appese al cancello un grande foglio: Sono arrivati due MASCHIONI!
Il mio sfortunato fratellino ebbe poco tempo per inorgoglire il genitore con la sua mascolinità. Morì senza che nessuno mai sapesse spiegare il perché.
Io lottai a lungo fra la vita e la morte, ma ce la feci (chissà perché) e rimasi l’unico maschio a gratificare l’autostima paterna.
Unico e nemmeno tanto perfetto.