I mi scrett: Poesie in dialetto di Villa Verucchio
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Anteprima del libro
I mi scrett - Lazzaro Lazzarini Geranti
Geranti
PER CMANZÈ
I MI SCRÉTT
I mi scrétt n’u v cridôi
ch’a j abia scrétt per l’istruziàun,
ma snà per la pasiàun.
Se quei, ch’i m cnàss, i fa i cumìnt,
o i fa per schirz
o ch’j è mench inteligìnt,
perché u s’avréja da savài
che i mirèchli i n s fa.
La batta la dà e vôin ch’la j à.
S’ai pansè un po’, l’è la verità.
L’inteligìnza la n’è cumè un maritoz
che te càmpri te scartòz.
O ch’la t zirca lì
o si nà ch’ u t tacarà studjì.
Quest l’è quel ch’a pèns jì.
I MIEI SCRITTI / I miei componimenti non crediate / che li abbia scritti per l’istruzione, / ma solamente per la passione di scrivere. / Se chi mi conosce, fa delle critiche, / o le fa per scherzo / o è meno intelligente di me, / perché si dovrebbe sapere / che i miracoli non si fanno. / La botte dà il vino che contiene. / Se ci pensate un poco, è la verità. / L’intelligenza non è come un maritozzo / che si compra nel cartoccio. / O ti cerca lei / oppure devi studiare. / Questo è quello che penso io.
E MI PAIÀIS
Quand ò cminz a capôi,
a guardèva e mi paiàis,
una chesa qua, un’ènta là.
La matôina i raz i cantèva,
i ragiunèva;
l’ira la svéglia dla matôina.
T’e chémp i cuntadôin a cantè!
Sla gioia dla cantèda
i ciudôiva la zurnèda.
Adess ch’a so grand
u m pèr un ént mand.
Tôtta zinta nova, ma bona;
l’è bel e mi paiàis!
A l vegh ancàura c’mè chi dé,
sempra a lé.
L’è jì ch’a stagh fnénd i mi dé,
perà te cor
l’è sempra e mi tesòr.
IL MIO PAESE / Quando ho cominciato a capire, / guardavo il mio paese, / una casa qua, l’altra là; / al mattino cantavano gli uccellini, / ragionavano tra loro; era la sveglia del mattino. / Nei campi i contadini cantavano! / con la gioia di un canto / chiudevano la loro giornata. / Ora che sono diventato grande / mi pare di vivere in un altro mondo. / Tutta gente nuova, ma buona; / è bello il mio paese! / Lo vedo ancora come allora, / sempre lì. / Sono io che sto esaurendo i miei giorni, / ma nel cuore / il mio paese è sempre il mio tesoro
UN COR GRAND
Parlè d’un om u n’è fèz-li.
L’om u s cnass sténd insìn.
Da zamni a santôiva scarr d’Aureli,
vausi pasigìri,
che vlaiva una gran fabrica
tla Vélla da Vrôcc,
e acsé l’è stè.
E distôin l’à vléu ch’a l’incuntréss
Sta persòuna.
Un dé a l vegh antrè
te mi negozji da barbjìr
per fès la bèrba
e acsé a s sém cnuséu.
O’ capôi che l’om u n s’invènta,
e crèsc dé per dé
tl’alma d’un galantom.
Quant bin l’à port t’e nost paiàis
m’al famèji e tla sucietà!
L’à campè ‘na masa ad an;
e Signàur u l’à vléu sa Léu.
L’ à lasc un ricord dla su buntà
te cor dla zìnta.
Quel ch’u s sémna, u s’arcòj;
l’à lasc un chémp molt bun
sa di bun seminadùr…
e lô l’era un ad chi bun.
UN CUORE GRANDE / Parlare di un uomo non è facile. L’uomo si conosce standoci insieme. Da Giovane sentivo parlare di Aureli, voci passeggere che volevano una grande fabbrica a Villa Verucchio; e così è stato. Il destino ha voluto che incontrassi questa persona. Un giorno me lo vidi entrare nel mio negozio di barbiere per farsi la barba; così ci siamo conosciuti. Ho capito che l’uomo non si inventa, cresce giorno dopo giorno nell’animo del galantuomo. / Quanto bene ha portato nel nostro paese alle famiglie ed alla società! Ha vissuto una lunga vita; ora il Signore lo ha chiamato a Sé lasciando il ricordo della sua bontà nel cuore della gente. / Quello che si semina, si raccoglie; ha lasciato un campo fertile e dei buoni seminatori… / lui lo era davvero.
E MI LAVAUR
TESTAMÌNT
Quand ch’a n sarò piô fra vujìlt,
ch’a n putrò piô parlè
e tla mi butàiga amnirà a manché,
a m’arcmànd, urlì fort,
ch’a posa santôi enca dopp mort.
Giôili ch’a j ò sempra lavurè
e ò zarchì da rispetè.
Ai giôi enca s’i m po’ perdunè;
mèj d’acsé a n’ò psù fè.
Chi pu d’an ch’a so stè a qua,
a j ò mèss tôtt la vuluntà
perché ò capôi che stè insìn
e capitèl piô grand l’è vlàis bin.
A m so port in là sl’età;
adèss ò pulôi, a dôi la verità.
Se ò fat mèl, poch u m vèl;
se a j ò fat bin, un dé a