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Le Tattiche del Cambiamento - Manuale di Psicoterapia Strategica
Le Tattiche del Cambiamento - Manuale di Psicoterapia Strategica
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E-book252 pagine4 ore

Le Tattiche del Cambiamento - Manuale di Psicoterapia Strategica

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Le Tattiche del Cambiamento è un manuale di psicoterapia strategica completo che illustra storia, modelli e tecniche delle terapie brevi strategiche e si concentra sulle tattiche del cambiamento messe a punto e diffuse da grandi maestri della terapia come Paul Watzlawick, Giorgio Nardone, Jay Haley e Milton Erickson. Contiene casi clinici commentati e suggerimenti utili per la pratica in psicoterapia.

Pubblicato per la prima volta nel 2005, Le Tattiche del Cambiamento è stato accreditato come corso di formazione continua in medicina e valutato positivamente da centinaia di professionisti della salute per qualità, rilevanza e utilità, secondo i criteri Agenas (www.ebookecm.it).

Enrico Maria Secci, psicologo e psicoterapeuta, è specializzato in psicoterapia strategica integrata. Da quindici anni, si occupa di disturbi ansiosi e depressivi, dipendenze affettive e disturbi relazionali nell'età adulta.

E' autore di Blog Therapy, blog di psicologia e psicoterapia di Tiscali con milioni di visite. Tra i suoi libri: "I narcisisti perversi e le unioni impossibili", "Gli uomini amano poco – Amore, coppia, dipendenza", "La comunicazione strategica nelle professioni sanitarie" scritto con Carlo Duò.
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2016
ISBN9788892602120
Le Tattiche del Cambiamento - Manuale di Psicoterapia Strategica

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Le Tattiche del Cambiamento - Manuale di Psicoterapia Strategica - Enrico Maria Secci

Modelli di psicoterapia strategica

Dove c’è un modello c’è un senso.

Watzlawick P.

Dagli anni ’50 ad oggi si è sviluppato e diffuso in tutto il mondo un particolare tipo di psicoterapia noto come terapia breve strategica. Tuttavia non esiste né una definizione univoca, né un unico modello di terapia breve strategica. Per questo si può parlare di una gamma di interventi psicoterapeutici di ispirazione sistemica caratterizzati dal fatto che il terapeuta si assume la responsabilità di influenzare attivamente e in modo diretto il comportamento del paziente (Haley, 1963). Secondo una recente definizione di Nardone e Watzlawick, per terapia strategica si intende un intervento terapeutico usualmente breve, orientato all’estinzione dei sintomi e alla risoluzione del problema presentato dal paziente (Watzlawick, Nardone, 1990, pag. 64). L’aggettivo strategica designa la psicoterapia improntata sulla pianificazione tattica del cambiamento e sull’utilizzo accorto di strumenti per la soluzione dei problemi umani. L’impiego di specifiche tecniche in questo tipo di terapie si richiama al significato letterale del termine strategia, ovvero: piano d’azione minuziosamente preordinato per raggiungere uno scopo. In termini generali l’obiettivo della psicoterapia consiste nella remissione del comportamento sintomatico e nella risoluzione del disagio del paziente, anche se per ciascun caso si individuano scopi specifici, coinvolgendo la persona nella costruzione del risultato che desidera conseguire.

Lungi dal considerarsi depositari di verità assolute o dispensatori di felicità (Watzlawick, Beavin, Jackson, 1974; Skorjanec, 2000), gli psicoterapeuti ad orientamento strategico partecipano al processo di cambiamento insieme al paziente, e si adoperano per creare le condizioni affinché tale cambiamento si verifichi nel più breve tempo possibile.

Nella sua accezione più ampia l’approccio strategico è una scuola di pensiero sul funzionamento degli esseri umani nella relazione con sé stessi, con gli altri e con il mondo (Watzlawick, 1997; Nardone e Watzlawick, Nardone, 1993).

Questa scuola di pensiero ha una tradizione filosofica millenaria ed una storia scientifica recente: le sue radici affondano nella più antica filosofia Zen, attraversano la retorica dei sofisti del V secolo a.C. (Skorjanec, 2000) e si diramano sino all’epistemologia costruttivista. E’ perciò difficile ricostruire con precisione cronologica il mosaico di scritti, pratiche e idee che hanno dato luogo alle psicoterapie brevi ad approccio strategico. Si può affermare con certezza che il loro sviluppo, la loro diffusione ed il loro successo si deve ai contributi di scienziati provenienti dai più diversi campi di ricerca.

Gli assunti teorici e le principali tecniche dell’approccio strategico ai problemi umani sono il frutto della collaborazione e dello scambio tra studiosi di molte discipline, talvolta di rapporti personali e di sodalizi pro-fessionali. Sebbene sia arduo risalire alla fitta rete di relazioni, di opere e di idee che hanno concepito la psicoterapia strategica, possiamo rintracciare alcune linee evolutive fondamentali e disegnare una genealogia minima della costituzione del suo corpus teorico e clinico. Ci riferiremo agli autori più importanti e alle loro opere, delineeremo la struttura dei modelli fondamentali e dei loro presupposti lasciando al lettore la facoltà di attingere ai contributi originali riportati in bibliografia per approfondire direttamente dalla fonte quanto questo libro potrebbe avere soltanto accennato per esigenze di sintesi.

Lo schema che presentiamo nella pagina seguente non ha la pretesa di essere esaustivo. Abbiamo indicato alcune tappe fondamentali della costituzione del Mental Research Institute e del Brief Therapy Center di Palo Alto (CA) che a tutt’oggi sono le strutture a cui si deve la diffusione internazionale delle psicoterapie brevi ad approccio strategico. Le tappe della costituzione di questi istituti sono incontestabilmente anche i passi della formazione del primo modello di psicoterapia breve strategica, che sarà, come vedremo, la matrice di altre terapie brevi.

Di queste ultime, che in misura crescente contribuiscono allo sviluppo e all’innovazione delle strategie terapeutiche sia sul piano teorico che su quello applicativo, si parlerà nei paragrafi successivi.

1. Terapia breve strategica: uno schema genealogico

Nel 1952 un gruppo di studiosi si riunì alla Veterans Administration di Palo Alto, in California, per condurre uno studio sulla comunicazione sovvenzionato dalla Fondazione Rockfeller. Il progetto era di Gregory Bateson, etnologo noto per il libro Naven (1936) sulle tribù della Nuova Guinea. Bateson coinvolse nella ricerca l’ingegnere chimico Jhon Weakland, suo allievo, Jay Haley, che studiava scienze della comunicazione alla Stanford University ed il giovane psichiatra William Fry (Haley, 1963; Marc e Picard, 1984).

L’équipe si occupò sino al 1962 dei paradossi dell’astrazione e della comunicazione, e costituì il primo nucleo della Scuola di Palo Alto, da cui si svilupparono il Mental Reserch Institute, il Brief Therapy Center ma, soprattutto, una concezione rivoluzionaria della comunicazione e della psicoterapia.

Dal punto di vista storico le teorie di Palo Alto sulla comunicazione e sulla psicoterapia hanno seguito percorsi convergenti. Bateson indirizzò i primi studi del gruppo sull’applicazione delle teorie dei tipi logici di Whitehead e Russel a tutti gli aspetti dell’interazione umana. Il focus scientifico era puntato sulla capacità d’influenzamento dei paradossi nell’interazione umana, oggetto che imponeva di riconsiderare per intero sia il concetto di comunicazione che i presupposti epistemologici dei metodi d’indagine e della conoscenza.

Dal 1942, nel corso di vari congressi tenutisi presso la Macy Foundation, teorici come Wiener e Von Neumann avevano posto le basi per una nuova prospettiva interdisciplinare, la cibernetica, i cui principi fornivano nuove interpretazioni del comportamento sociale (Bateson, 1972; Marc e Picard, 1984). I concetti di sistema, di omeostasi e di retroazione intaccarono la tradizionale interpretazione causalistica delle scienze fisiche e sociali e furono accolti, attraverso Bateson, dal gruppo di ricerca della Veterans Administration.

Bateson estese il campo d’applicazione della teoria generale dei sistemi¹ al comportamento umano, operando una rivoluzione copernicana in campo psicologico. L’approccio sistemico riconosce l’influenza dell’osservatore sull’osservato e ridefinisce ogni verità scientifica come costruzione, esito dell’interazione tra sistemi. Come lo scienziato costruisce la conoscenza nel rapporto col sistema osservato, così le persone costruiscono la propria realtà relazionandosi entro sistemi complessi attraverso la comunicazione. Il gruppo di Bateson individuò un modello generale dei processi comunicativi a cui è possibile ricondurre il funzionamento di tutte le interazioni umane, e formulò un’ipotesi basilare: ogni comportamento umano ha valore comunicativo. Questo principio mostrò la sua utilità euristica quando, su suggerimento di Haley, il Guppo di Palo Alto cominciò a studiare la schizofrenia come caso estremo di comunicazione paradossale. Sin dalle prime battute l’indagine sulla comunicazione schizofrenogena rese indispensabile spostare il focus della ricerca dai processi intrapsichici allo studio del sistema di relazioni tra il paziente e i membri della sua famiglia. Ciò comportava in gran parte l’abbandono delle etichette diagnostiche e delle teorie psichiatriche tradizionali; il comportamento sintomatico veniva descritto per la prima volta in relazione al contesto interattivo nel quale si esprimeva ed era considerato come un atto comunicativo orientato alla definizione delle relazioni familiari.

L’interesse primario per la comunicazione si tradusse presto in un approccio sino ad allora intentato nell’indagine della schizofrenia, un approccio che consisteva nell’osservazione dell’interazione tra i pazienti con i loro familiari e del modo in cui veniva co-costruita la condizione della malattia mentale. La tattica terapeutica derivante da questo metodo mirava a persuadere il paziente e le persone con cui era emotivamente coinvolto a modificare il loro atteggiamento. Bateson, Weakland ed Haley arrivarono a concettualizzare la schizofrenia come parte strutturale e strutturante del sistema familiare, come disturbo sistemicamente alimentato dalle interazioni dei suoi protagonisti. Simili conclusioni implicavano che, se la schizofrenia si origina nella comunicazione, può essere efficacemente trattata proprio attraverso la comunicazione. Questo pose il Gruppo di Palo Alto in aperta contrapposizione con la psicoanalisi e la psichiatria che, tradizionalmente, situavano le origini delle malattie mentali all’interno dell’individuo².

A questo punto si ponevano due quesiti fondamentali per lo sviluppo della psicoterapia: come utilizzare la comunicazione per cambiare il sistema che si mantiene disfunzionale proprio grazie ad essa? Come agire sul sistema e modificarne il funzionamento?

1.1. I contributi di Erickson e di Jackson

Bateson conobbe Milton Erickson nel 1940 a New York grazie alla compagna Margaret Mead, che dal 1939 intratteneva una corrispondenza con Erickson a proposito della trance ipnotica osservata e filmata dalla coppia in alcuni rituali balinesi (Zeig e Brent, 1995). I tre si incontrarono al primo congresso della Macy Fondation, al quale Erickson partecipò come relatore, e lavorarono insieme al Centro Studi Interculturali diretto dai coniugi Bateson nell’ambito di uno studio comparativo tra i modelli culturali tedeschi e giapponesi, a cui Erickson partecipò come psichiatra e ipnotista

Milton Erickson era già all’epoca famoso per i suoi successi terapeutici. Fondatore e presidente dell’American Society for Clinical Hypnosis, fu il più grande esempio dell’influenza che un terapeuta può esercitare sui suoi pazienti, e di come tale influenza, quando adeguatamente gestita, agevoli il processo di guarigione. Così quando a Palo Alto cominciò la riflessione sulla comunicazione schizofrenogena Bateson invitò Erickson ad esprimersi su un’analogia riscontrata tra il legame creato dal linguaggio ipnotico e quello prodotto dal linguaggio di una madre schizofrenogena. Il Gruppo di Bateson stava per formulare la teoria del doppio legame quando Haley e Weakland iniziarono una fitta corrispondenza con Erickson, e si recarono a più riprese a Phoenix per imparare le sue tecniche.

Haley rimase molto impressionato da Erickson, che nonostante fosse gravemente ammalato sin dall’adolescenza (era poliomielitico e daltonico) era dotato di un’eccezionale capacità d’intuizione e di uno straordinario potere ipnotico. Riceveva i pazienti nel modesto studio della sua casa a Phoenix che aveva per sala d’attesa il salotto dove circolavano i suoi otto figli (Haley, 1967), e questo è forse uno degli aspetti meno strani del suo lavoro di psichiatra e psicologo. Le tecniche ericksoniane erano basate su nuove forme di comunicazione ipnotica, e fornivano alcune risposte su come modificare il sistema attraverso la comunicazione per aiutare i pazienti a svincolarsi dal proprio disagio.

Lankton (1990) ha riassunto in alcuni punti le caratteristiche della terapia di Erickson:

• l’utilizzo di un modello non patologico;

• la valorizzazione delle risorse della persona;

• l’utilizzazione³ di ogni esperienza portata in terapia dal paziente;

• l’impegno del paziente a rendersi attivo al di fuori delle sedute di terapia per produrre nuovi comportamenti orientati al cambiamento;

• l’impegno del terapeuta a pianificare interventi personalizzati per ciascun paziente (Lankton, 1990).

Ognuno di questi punti caratterizza le moderne terapie ad orientamento strategico. A Erickson si deve uno dei primi lavori che presentano un modello di psicoterapia breve, Special techniques of brief hypnotherapy(1954). L’articolo descrive le modalità di utilizzazione del sintomo e le tecniche di comunicazione ipnotica utili a produrre cambiamenti terapeutici (Haley, 1967). Anche grazie a quest’opera fondamentale la psicoterapia cominciava ad essere pensata come breve, a misura del paziente, focalizzata sul sintomo, tecnicamente basata sull’utilizzazione dei contenuti e dei processi portati dal paziente e sul ruolo attivo del terapeuta (Haley, 1985; Zeig e Brent, 1995).

Milton Erickson fu soprattutto un pragmatico e non lasciò opere sistematiche sul suo modello di terapia ma una consistente mole di audio e video registrazioni sul suo lavoro, e di conversazioni con i suoi allievi e colleghi. Haley fu tra i primi a raccogliere e distillare le tecniche della terapia ericksoniana. Lavori come Strategies of psychoterapy (Haley, 1963) e i celebri volumi Conversation with Milton H. Erickson (Haley, 1985), rappresentano a tutt’oggi pietre miliari dell’approccio strategico ai problemi umani.

Nel periodo della collaborazione tra il gruppo di Bateson ed Erickson entrò alla Veterans Administration Don Jackson, uno psichiatra, che influenzò enormemente il lavoro svolto a Palo Alto sullo sviluppo di strategie psicoterapeutiche. Jackson propose nel 1954 un progetto di ricerca sull’omeostasi familiare che lo avvicinò alla linea scientifica del gruppo di Bateson. Anche Jackson era convinto che la famiglia fosse il più importante contesto d’apprendimento e che ogni comportamento dei suoi membri, incluso quello patologico, potesse essere descritto a partire dal contesto interattivo in cui veniva attuato, senza ricorrere al concetto di malattia psichica. La patologia era da lui intesa come dotata di una funzione equilibrante per il sistema e volta a proteggere dal cambiamento i componenti del nucleo familiare non sintomatici.

Il paziente è il membro della famiglia designato a ricoprire il ruolo di malato all’interno di un sistema in cui i ruoli e le regole sono generalmente molto rigidi e perciò inadatti ad affrontare i cambiamenti del ciclo di vita naturale del sistema (Jackson, 1957a, 1957b, 1959). La funzione omeostatica della patologia può essere studiata attraverso l’osservazione delle interazioni tra i membri della famiglia, e l’individuazione delle ridondanze di schemi comunicativi tendenzialmente fissi. Il focus della terapia è la rottura, attraverso forme di comunicazione terapeutica, dei pattern relazionali rigidi all’interno della famiglia.

Nel 1956 uscì la prima sintesi delle ricerche cominciate quattro anni prima Toward a theory of schizophrenia (Bateson, Jackson, Haley, Weakland, 1956). In questo lavoro si affermavano, come non era mai stato fatto in precedenza, i concetti di sistema, di feedback e di omeostasi in psicoterapia, si esponevano i principi sopra menzionati, e si formulavano ipotesi di intervento sulla comunicazione familiare per un cambiamento efficace in tempi brevi. Venivano inoltre discussi alcuni esempi del lavoro di Milton Erickson.

L’articolo del ’56 rappresentò un manifesto della multidisciplinarietà in campo psicologico in quanto affermava che cibernetica, scienza della comunicazione e neurobiologia possono sinergicamente aprire concrete prospettive all’intervento sul comportamento umano.

La collaborazione tra Jackson e Bateson costituì senza dubbio una svolta nel lavoro del Gruppo di Palo Alto. La vocazione clinica di Jackson orientò gli interessi dei ricercatori della Veterans Administrations verso la psicoterapia ed in breve tempo egli assunse la guida del Gruppo, di cui fu anche il supervisore clinico. Prima della sua morte, occorsa precocemente nel 1968 (all’età di quarantotto anni), Jackson fu uno dei più influenti e prolifici autori del gruppo di Palo Alto.

Bateson continuò ad esercitare incontrastato la leadership teorica sulle idee sviluppate a Palo Alto anche dopo che, nel 1962, lasciò la California per condurre degli studi sulla comunicazione dei delfini in diverse isole del pacifico. Pochi anni prima della sua scomparsa, avvenuta nel 1980, pubblicò due opere che resero noto il suo lavoro in tutto il mondo, Steps to an Ecology of Mind e Mind and nature.

1.2. Il Mental Research Institute ed il Brief Therapy Center

Tra la fine del 1958 ed i primi mesi del 1959 Jackson ottenne un finanziamento per la fondazione di un centro di ricerca sulla psicoterapia che prese il nome Mental Research Institute (MRI). Con l’apertura dell’Istituto si costituì a Palo Alto un secondo gruppo di ricerca, parte del quale continuò a lavorare al progetto di Bateson. Costituivano il secondo gruppo Virginia Satir e Jules Ruskin, Haley e Weakland; pochi anni dopo il MRI acquisì la collaborazione di Paul Watzlawick, di Richard Fisch e di Arthur Bodin. E’ bene precisare che al secondo gruppo di ricerca Bateson non partecipò mai in modo attivo (Marc, Picard, 1984),

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