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Arte senza messaggio. Comunicazione e caos nelle Avanguardie Storiche del Novecento
Arte senza messaggio. Comunicazione e caos nelle Avanguardie Storiche del Novecento
Arte senza messaggio. Comunicazione e caos nelle Avanguardie Storiche del Novecento
E-book384 pagine5 ore

Arte senza messaggio. Comunicazione e caos nelle Avanguardie Storiche del Novecento

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Il testo propone una breve panoramica sulle produzioni innovative dell'Ottocento e si focalizza sulle poetiche ed estetiche che si possono definire rivoluzionarie delle "Avanguardie Artistiche del Novecento". La novità del lavoro che ritengo interessante è quella di mettere insieme semplici elementi di Scienza della Comunicazione con le novità delle procedure operative artistiche che si presentano come espressioni del mondo interiore e quindi delle "poetiche" degli artisti.

Il filo del discorso risiede nell'esplicitazione dell'indeterminatezza (caos) delle poetiche del Novecento. I pochi elementi storici, necessari a comprendere e contestualizzare gli argomenti, sono ridotti e semplificati, opportunamente documentati con numerose note.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2017
ISBN9788892686380
Arte senza messaggio. Comunicazione e caos nelle Avanguardie Storiche del Novecento

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    Anteprima del libro

    Arte senza messaggio. Comunicazione e caos nelle Avanguardie Storiche del Novecento - Giovanni

    Tessitore

    Una premessa: alcuni elementi di semiotica

    La conoscenza degli elementi primari della comunicazione è di importanza fondamentale per comprendere alcuni aspetti della produzione artistica novecentesca. Alcune conoscenze di base vanno esplicitate sia per comprendere il modo in cui si attua il percorso dell'informazione/opera d'arte che deve raggiungere il suo luogo di destinazione, il fruitore d'opera, sia per valutare quale effetto reale compie nel ricevente creando una sorta di assorbimento dell'informazione ricevuta.

    In particolare vanno ribaditi i seguenti principali elementi del processo comunicativo spesso considerati inizialmente nei trattati di semiotica¹:

    emittente - messaggio - mezzo o canale - codice - ricevente . Allo stesso modo va preso in considerazione il contesto culturale, storico, artistico, nel quale si sviluppa la comunicazione. Questo perché l'artista crea specificamente producendo un vero e proprio cambiamento di valore dei segni che assumono - in funzione del luogo culturale - significati diversi.

    L'informazione è novità

    Il passaggio di informazione dall'emittente al ricevente non avviene se il ricevente già conosce l'informazione che accoglie. Ossia l'informazione è uguale a zero perché non aggiunge nulla alle conoscenze del ricevente.

    Per concludere: il processo di comunicazione (compreso la comunicazione artistica) avviene solo alla condizione che il contenuto² sia nuovo rispetto alle conoscenze del ricevente, ossia non si presenti come conforme a quanto il destinatario già sa, a quanto già possiede come bagaglio delle conoscenze personali.

    Il segno indica e possiede

    Una delle definizioni più interessanti tra quelle che definiscono cosa è un segno, è quella che utilizza i verbi indicare e possedere: il segno indica. Cosa indica un segno? il segno indica un oggetto, concreto o astratto, naturale o di fantasia. Cosa possiede un segno? Un segno possiede uno o più significati. Pertanto il segno è un evento che indica un oggetto e possiede un significato.

    Nella struttura del segno solitamente si individuano i tre maggiori elementi:

    il segno, l'elemento che indica l'oggetto e possiede il significato;

    il significato, l'idea dell'oggetto che il ricevente si crea nella propria mente mediante il segno. Il significato delle parole, ad esempio, è rintracciabile sul dizionario.

    L'oggetto, o referente³, è la cosa astratta o concreta che viene indicata dal segno⁴.

    Inoltre si ricordi che un segno è un evento che indica altro da sé. Anche questa differente locuzione, questa seconda definizione è utile al discorso che si va a profilare e proprio non va dimenticata.

    Poetica ed Estetica nella storia delle innovazioni artistiche

    Nel campo artistico lo scompiglio che si verifica nella produzione artistica del Novecento esprime un profondo desiderio diffuso soprattutto tra i giovani operatori artistici i quali sentono - ora - la necessità di proporre qualcosa di nuovo rispetto alla tradizione, qualcosa di attuale e innovativo nei confronti di secoli di tradizione classica.

    La produzione artistica del Novecento che appare veramente stravagante, insolita, provocatoria e inaccettabile per gran parte del pubblico e una minoranza degli operatori artistici stessi, si presentata come novità spesso anche a causa della mancanza di riferimenti convenzionali utili a interpretare l'opera e a valutarne i significati. Spesso l'opera d'Arte sembra restare fuori da uno dei campi soliti che rientrano nella tradizione: fuori dal campo della decorazione, da quello della scultura e della pittura, della fotografia e del cinema, della poesia e del testo narrativo. In sostanza si può dire che l'opera d'Arte del novecento spesso non si avvale dei tradizionali codici di comunicazione e pertanto presenta un messaggio incomprensibile o poco chiaro.

    Spesso la novità del linguaggio⁵ consiste anche nell'integrare e unire le varie arti per tendere ad una sorta di Arte totale che chiede il coinvolgimento del pubblico (empatia⁶) e stimola la sua percezione mediante diversi sensi (sinestetica⁷): la pittura non è più soltanto visiva, la poesia non è soltanto verbale, la scultura è composta di oggetti già fatti da altri, la fotografia e il cinema propongono narrazioni pazzesche.

    I motivi profondi, veri primo motore del tutto, espressioni del mondo interiore, spinte inconsce incontenibili dell'agire degli artisti, dei letterati e dei poeti, nascono dal contesto storico e travalicano i contingenti personali per raggiungere valori universali. In questo modo i motivi e i desideri profondi degli artisti possono essere definiti poetiche. Per poetica si può, allora, intendere un insieme organizzato di intenzioni che provengono dalla sfera personale e si trasformano in contenuti generali che un operatore (sia esso artista, poeta o letterato) esprime nelle sue opere.

    La poetica che, provenendo dall'anima dell'uomo, genera un qualcosa di nuovo che stimola il gusto e tende a ingenerare una nuova percezione del bello, con l'opera d'arte sostiene una nuova estetica. Ora il bello va inteso come categoria del gusto che attrae, che piace, che si presenta contemporaneamente necessario e gradevole, va sentito dall'emittente come valido universalmente. Il bello rende quantitativamente e qualitativamente notevole ed eroica l'opera, trasforma la poetica e l'evento che la esprime (poesia, brano musicale, opera artistica) in qualcosa di considerevole e trascendente, di rimarchevole per intensità che va oltre il mero piacere quotidiano. In sostanza il bello presenta la funzione di intensificare, amplificare il significato: fa vibrare l'anima, è trascendente.

    Per questo motivo, in molti casi, si rende necessaria una spiegazione del contesto storico che esprima nello stesso tempo sia il percorso interiore dall'artista o di un gruppo di operatori che utilizzano forme nuove di comunicazione col pubblico, sia la valenza estetica, ossia come l'idea del bello sia cambiata e ora abbia parametri e impulsi emotivi nuovi.

    _____________________

    ¹ La Semiotica o Semiologia è la scienza che studia i segni e i processi comunicativi divisa in tre principali branche: sintattica (analisi strutturale dei segni e degli insiemi dei segni), semantica (analisi delle interpretazioni dei segni) e pragmatica (studio delle variabili dei significati in ragione del variare del contesto).

    ² In queste pagine il contenuto, il messaggio e l'informazione (anche al plurale le informazioni) vengono utilizzati come sinonimi, in modo indistinto.

    ³ Il referente nel triangolo semiologico è l'oggetto indicato dal segno, ossia la cosa alla quale si riferisce il segno.

    ⁴ Questi tre elementi - segno, significato e oggetto - vengono anche chiamati elementi del triangolo semiologico.

    ⁵ Il termine linguaggio viene utilizzato in questo testo come sinonimo di insieme di segni strutturati con intenzionalità col fine di comunicare messaggi. Il linguaggio pittorico, quello scultoreo, quello grafico appartengono tutti al Linguaggio visivo, ossia a quella trasmissione di messaggi mediante segni visivi.

    ⁶ La parola Empatia che nel caso della produzione artistica significa creazio ne di una relazione di forte emozione tra emittente del messaggio e ricevente, trova il suo corrispettivo termine tedesco molto utilizzato nella Storia dell'Arte: Einfuhlung.

    ⁷ Sinestetica: che coinvolge più sensi. La poesia ascoltata in modo tradizionale potrebbe coinvolgere l'udito, ma se il lettore compie gesti e movimenti accompagnato da un sottofondo musicale allora coinvolge anche la vista come avviene nella fruizione di opere teatrali.

    La rivolta antiaccademica come intima necessità

    Un atteggiamento antiaccademico, anticonformista, di rifiuto dell'Arte classica che ha dominato per secoli, si affaccia alla ribalta della spiritualità giovanilistica e ribelle a partire dal primo Ottocento. Lo spirito dissidente caratterizza le innovazioni artistiche del secolo XIX che diventa il sostrato fertile di quella che potrà essere decisamente chiamata rivoluzione operata dalle Avanguardie Artistiche del Novecento.

    I prodromi⁷ delle contestazioni e delle ribellioni dirette verso la pittura e la scultura classiche, espressi contro le scuole di Arte già da secoli organizzate e amministrate da enti pubblici o privati, si presentano già a partire dagli artisti appartenenti alla corrente del Romanticismo.

    Col Romanticismo, infatti, si comincia con il negare il bel disegno, il disegno a tutto effetto che arricchisce di bellezza corpi umani nudi ed eroici, quel disegno che è capace di alterare proporzioni reali degli oggetti e le ombre coerenti per esaltare la grazia e l'armonia delle forme. La pulchritudo⁸ trattata nelle Accademie di Belle Arti è la bellezza corporea affibbiata ai personaggi della mitologia greca e latina. La pulchritudo viene negata, da molti artisti romantici, optando per una riproduzione realistica e in qualche modo fedele o più aderente alla visione del mondo, della natura e degli oggetti, senza modificazioni che possano trasformare il vero in qualcosa di aggraziato e seducente.

    Ben presto, dopo il romanticismo, intorno alla metà del secolo ottocento, proprio a partire dall'invenzione della fotografia, la pittura più di ogni altra Arte è sentita dagli operatori come una sorta di imprecisa registrazione del vero. A seguito della registrazione della natura da parte della fotografia, il pittore finisce con il creare quel giustificato atteggiamento, per lo più conscio e talvolta inconscio, che rifiuta di eseguire caparbiamente la rilevazione realistica ed icastica⁹ del vero e finisce col proporla in forma alternativa. In questo senso la pittura produce un linguaggio sempre più lontano dalla registrazione del vero sino al punto di non competere con la fotografia per non restarne, quanto meno rispetto alla capacità di imitare il dettaglio del soggetto¹⁰, inevitabilmente sconfitta.

    Progressivamente la storia, per questi motivi, fa registrare il rifiuto dei pittori anti-accademici verso l'imitazione icastica del mondo spostando il linguaggio verso uno nuovo che esprima l'universo interiore. Parallelamente, grazie anche ai prodotti a bassi costi forniti dalle industrie, esalta proprio quell'aspetto che la fotografia non può affatto realizzare: il colore. L'Arte rinuncia al colore spesso insaturo e [apparentemente] realistico lasciando esplodere la tavolozza di vivacità che finisce col proporre addirittura anche tinte irreali, ricoprendo la tela di mere vernici primarie e secondarie.

    Desiderio di innovazione nel Romanticismo

    desiderio di rinnovare l'Arte appartiene diffusamente agli artisti del primo Ottocento, agli artisti romanticisti¹¹, ossia a quei giovani esaltatori di emozioni che trovano la vita piatta e inutile se non costellata da provocazioni, pericoli, flussi energetici d'amore, rivolte individuali contro i costumi, sollevazioni personali contro la superficialità spirituale in comunione con profondi sentimenti religiosi o con la natura.

    Molti pittori romanticisti sentono fortemente il desiderio che abbraccia due dimensioni: innovare il codice pittorico (la forma) e proporre nuovi contenuti (il messaggio).

    Anche la tradizione pittorica che su commissione si orienta verso la raffigurazione di scene del Vecchio e Nuovo Testamento restano sul secondo piano della cornice artistica romanticista, pur avendo la religione nuovo impulso vitale proprio con i Nazareni¹² tedeschi e i Puristi¹³ italiani a Roma. Ora i temi prescelti dai romanticisti derivano dalla letteratura nazionale o estera, soprattutto quella medioevale. Parallelamente vengono estratti fatti storici contemporanei quando non traggono linfa vitale addirittura dagli eventi di cronaca. Non è difficile citare, tra questi nuovi contenuti prelevati dalla cronaca nera, l'opera La zattera della Medusa¹⁴ di Théodore Géricault del 1818.

    Il rinnovamento del contenuto è abbastanza quantificabile e visibile: un evento di cronaca drammatico che fa parlare tutta la Francia. Quello che probabilmente appare meno decisivo è il mutamento del linguaggio pittorico, del codice, soprattutto perché gli artisti romanticisti credono di opporsi alla tradizione proponendo qualcosa di fortemente realistico, magari dal sapore macabro o scandaloso, cercando di suscitare empatia nel fruitore dell'opera sublimando il rapporto tra amore e morte.

    Alcuni autori restano, quindi, legati ad una descrizione abbastanza dettagliata e completa degli oggetti raffigurati nella scena pittorica. Questo principio di imitazione convincente e tutto sommato realistico degli oggetti raffigurati non è affatto nuovo. Si pensi al virtuosismo barocco che si era orientato verso la precisione sino al minimo dettaglio nella "Natura morta". Si ricordino le scene di povertà e costume popolare che nel Seicento erano entrate a fare parte dei generi artistici barocchi testimoniando usi e costumi reali. Si ricordino i paesaggi urbani di Venezia realizzati da Antonio Canal detto il Canaletto, quasi delle vere fotografie dell'epoca.

    La mimesi¹⁵ della natura che si propone di non fare i conti con il miglioramento del soggetto che è tutto finalizzato al bello oppure che non si preoccupa degli aspetti aggraziati e composti, equilibrati e armoniosi, è sempre esistita nella cultura artistica. Si pensi alla Vecchia Ubriaca¹⁶ forse di Mirone di Tebe realizzata probabilmente intorno al 280 a.C.¹⁷ che raffigura un'anziana ossuta, magra, ebbra, brutta, scalza e povera nell'atto di abbracciare un otre che si presume pieno di vino perché le decorazioni plastiche dell'otre raffigurano grappoli d'uva e viticci.

    Joseph Mallord William Turner: un primo grande rinnovamento espressivo

    Se da un lato i pittori romanticisti e i realisti come Gustave Courbet si orientano verso la scelta di un linguaggio crudo, senza fronzoli, non ammorbidito né smussato dalla compostezza e dall'armonia classiche, esiste un pittore inglese, questa volta, che si spinge verso livelli di innovazione decisamente elevati che incorporano sia i contenuti sia la forma veramente innovativi e coinvolgenti.

    Si tratta del pittore londinese Joseph Mallord William Turner (1775 - 1851) il quale, fortemente radicato nella cultura romantica del secolo, si orienta verso un paesaggismo del quale, tuttavia, esprime temi nuovi e sconvolgenti: gli agenti atmosferici che agiscono come forze naturali sull'uomo alle quali questi non può opporsi.

    I titoli delle opere dichiarano con chiarezza che l'intento di Turner non è paesaggistico in senso tradizionale, bensì di evidenziare la forza devastante della natura alla quale l'uomo, benché fornito di intelligenza e accortezza, non può opporsi, restando vittima della brutalità e del destino.

    Tra i vari esempi eclatanti che si potrebbero citare, valgano soltanto "Il naufragio della Minotauro¹⁸ del 1793, La sera del diluvio¹⁹ del 1843, Il mattino dopo il diluvio²⁰ del 1843, Pioggia, vapore e velocità" del 1844²¹.

    In queste opere il segno sembra quasi annullare il valore imitativo dell'oggetto raffigurato al punto che sembra volere rappresentare più l'azione delle forze naturali in gioco che quanto ne venga colpito e annientato.

    Nelle opere La sera del diluvio e La mattina dopo il diluvio il segno pittorico in molte aree si fa vago, non imita quasi nulla, sembra disperdersi nella forza dell'agente atmosferico, si spande in modo indefinito sulla superficie della tela senza restare inglobato da contorni lineari descrittivi. Il segno sembra non indicare un oggetto concreto, al contrario sembra rappresentare la forza distruttrice - in senso astratto - della natura. Le campiture delle aree appaiono cosparse di macchie disperse in un marasma confuso, con un orientamento a forma di vortice che sembra trasportare il diluvio naturale verso quello universale minacciato dalla Bibbia.

    Qualcuno per queste opere ha parlato di prodromi dell'Astrattismo. Questa definizione per ora è inammissibile: si tratta di segni sì imprecisi, vaghi, ma soltanto apparentemente non indicanti in modo chiaro ed esplicito il soggetto, in quanto confusione e caos esprimono l'agente atmosferico e non l'oggetto da essi colpito.

    Infatti va detto che i segni presentano pur sempre un loro personale modo di indicare qualcosa che viene chiarito dal titolo: momento atmosferico della sera del diluvio, momento atmosferico del mattino dopo. Nel dipinto Pioggia vapore e velocità è evidente la situazione dinamica accentuata (velocità) con pioggia e vapore di treno, tutti elementi in movimento. Il titolo orienta l'interpretazione, ammette la creazione di un piano semanti co valido per tutti: questi segni visivi poco o per nulla indicativi di oggetti indicherebbero una situazione atmosferica, un frangente speciale e sconvolgente, quasi astratto o aeriforme, gassoso. A causa del titolo non c'è scampo per altre personali interpretazioni. Sotto questo aspetto il testo pittorico non è astratto, indica qualcosa di oggettivo.

    Honoré Daumier: Ecce Homo nel 1851 sconvolge i canoni pittorici ma pochi se ne accorgono

    Il caricaturista Honoré Daumier probabilmente è stato veramente poco onorato²² in vita e raramente collocato ai primi posti insieme con gli artisti che anticipano le innovazioni impressioniste. Daumier è un caricaturista, possiede una verve comica bruciante e corrosiva veramente spiccata. Intorno agli anni trenta dell'Ottocento pubblica su le Chiarivari vignette con personaggi buffi dai corpi e dai volti grotteschi in situazioni amaramente comiche.

    Le caricature di Honoré non presentano un linguaggio visivo tipicamente realista per il fatto stesso che sono caricature. I personaggi raffigurati presentano, infatti, delle esagerazioni anatomiche che sconfinano nel goffo, nel grottesco. Sotto questo aspetto non possono definirsi segni visivi fortemente imitativi della realtà. Pertanto, a primo acchito, non appartengono alla corrente del realismo della metà dell'Ottocento francese. Tuttavia da un punto di vista sociologico e psicologico, dopo un'analisi attenta e accurata, pronta a evidenziare una realtà interiore egoistica e ristretta dei suoi personaggi, dalle scenette litografate e dai suoi dipinti vengono fuori situazioni che sembrano, invece, appartenere realisticamente alla classe sociale media. Tipi umani emergono con le loro miserie personali e le mediocri qualità tipiche di coloro che aspirano ad elevarsi economicamente e non si preoccupano minimamente dello stato di disagio altrui, non si curano di coloro che, un gradino al di sotto di loro, soffrono, vivono nell'indigenza e hanno bisogno d'aiuto.

    Daumier dipingendo l'egoismo infingardo del piccolo/medio borghese abbastanza benestante appartenente a quella classe sociale del ramo dei servizi - soprattutto avvocati, ma anche teatranti, collezionisti di stampe, musicisti, artigiani - tende a rappresentare l'atteggiamento sordido volto a perpetuare i piccoli privilegi di casta sfruttando senza pietà la condizione di necessità di persone di livello economico inferiore e negando loro l'opportuna collaborazione. Pertanto è questo è il realismo del caricaturista francese: un realismo psicologico e sociale, non la registrazione disegnativa icastica del soggetto. Il segno visivo non dice il vero, anzi esagera e deforma: questo è immediatamente visibile e percepibile dallo spettatore anche nell'opera a seguire.

    Ecce Homo²³, realizzato intorno al 1851, è uno dei titoli col quale appare nei testi di Storia dell'Arte e nella pagina del Museo che lo conserva, il Museum Folkwang di Essen. Altro titolo è Vogliamo Barabba oppure Cristo e Barabba.

    Il lavoro sembra lasciato allo stato di abbozzo, con linee di un nero bituminoso di contorno e una tinta unica - ocra - resa chiara con il bianco. L'effetto chiaroscurale è quasi caravaggesco, con un controluce che rende tutte le figure scure appena illuminate da tocchi chiari. La pennellata è veloce, la stesura in parte a corpo ed in parte a velatura, con linee di contorno talvolta nette e talvolta nascoste da campiture a tinte di tono medio.

    Sul primo piano è un marasma di corpi, i farisei, che si agitano, un brulichio di teste e busti dai quali emerge, per bianchezza quasi al centro in basso, il corpo di un bambino in braccio al padre. Sull'strema destra, all'altezza dell'asse mediano orizzontale, un uomo a torso nudo solleva l'arto superiore destro per urlare il proprio pensiero. In alto a sinistra sono i busti di Cristo e di colui che, piegato in avanti, chiede alla folla chi voglia salvare, Gesù o Barabba.

    L'atmosfera è confusa, il controluce suggerisce un evento drammatico ed epico, Cristo appare di profilo appena abbozzato in controluce sullo sfondo luminoso, con la barba e una corona di spine sulla testa.

    Linee lunghe di pasta pittorica stese in modo veloce definiscono un modellato plastico non affatto chiaroscurato in modo tradizionale, bensì realizzato con accostamenti di tinte che restano separate e non sfumate l'una nell'altra. Un tratteggio veloce, privo di definizione disegnativa, riassume la figura, la rende imprecisa anche se l'osservatore si allontana dal quadro e si pone a considerevole distanza.

    In questo modo il linguaggio pittorico è decisamente innovativo, di campiture a masse di colore, di linee di pennello spesse e imprecise che nel loro svilupparsi nello spazio assumono le forme di spalle, mani, teste, nasi, occhi, orecchi. Sono linee che restano visibili, come un bozzetto appena realizzato, sono campiture applicate alla ben meglio come uno schizzo veloce che serve soltanto come traccia compositiva, non come opera d'arte completata.

    Daumier dimostra di anticipare l'Impressionismo sia per avere lasciato il dipinto allo stato di abbozzo, sia per l'esecuzione veloce e approssimativa attuata con grandi pennellate e macchie di pellicola pittorica. La distanza dagli impressionisti, sotto questo aspetto, è annullata. Non esiste ancora in Daumier la poetica dell'impressione della natura di Monet, ma la narrazione espressa in questo dipinto è veramente un insulto alla pittura tradizionale, uno schiaffo al gusto corrente. Si tratta di una tecnica operativa dirompente, distruttiva della tradizione. Quello che non è ancora vera innovazione nel codice pittorico di Daumier è il colore che qui resta non soltanto quasi monocromo con variazioni di luminosità, ma si mostra per lo più insaturo²⁴, formato soprattutto di bruni

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