I racconti della Biblioteca fantastica
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Con la prefazione di Enrico Rulli e le illustrazioni originali di Ottavio Rodella (Tavio).
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Anteprima del libro
I racconti della Biblioteca fantastica - Icilio Bianchi
Generi
8
Icilio Bianchi
I racconti della Biblioteca fantastica
Ebook design: Cristina Barone
Copertina di Riccardo Fabiani
Titolo originale: I racconti della Biblioteca fantastica
Autore: Icilio Bianchi
isbn: 9788899729127
© 2018 Cliquot edizioni s.r.l.
via dei Ramni, 26 – 00185 Roma
P.Iva 14791841001
www.cliquot.it
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e rimane a disposizione per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti.
Icilio Bianchi: chi è costui?
Premessa
State per leggere un’antologia assai preziosa.
La ragione di ciò risiede nel fatto che l’autore dei racconti qui contenuti è Icilio Bianchi, nome sconosciuto sia al grande pubblico sia agli addetti ai lavori. Solo pochi rammentano quella che rimane probabilmente la sua opera più famosa: il libretto Guido da Verona, dedicato nel 1919 a Guido Verona, uno scrittore che ebbe grande successo commerciale negli anni Venti con lo pseudonimo, appunto, Guido da Verona.
Icilio Bianchi è un autore talmente poco rammentato che di lui si hanno notizie biografiche incerte, essendo difficile da stabilire sia la data di nascita che quella di morte.
Allora, ci si chiederà, perché dedicare un’antologia a un tipo così e definirla preziosa?
Lasciate che vi narri un fatterello del quale sono stato protagonista alcuni lustri or sono.
Ero stato invitato a una presentazione di un volume sul cinema popolare italiano degli anni Settanta. Durante la discussione, dal pubblico pervenne la domanda: perché dedicare un libro a film tutto sommato secondari, che sicuramente non hanno inciso sulla storia del cinema? L’autore rispose: «Perché, quando tra cinquant’anni gli studiosi vorranno sapere come pensavano, come vivevano, quali erano i desideri degli italiani negli anni Settanta, non guaderanno i film d’autore, ma guarderanno questi film, che saranno specchio fedele di ciò che siamo stati».
Aveva ragione. È un po’ la sindrome che coglie tutti noi quando scorriamo le foto scattate dai nostri nonni o dai nostri genitori. Non c’interessano i volti sorridenti in primo piano, o i monumenti, sempre uguali a sé stessi. L’attenzione viene attratta dal particolare modello d’auto parcheggiato sullo sfondo, da un certo tipo di vestito, dalle vetrine dei negozi, dalle acconciature delle passanti.
Si tratta di un atteggiamento culturale che, per dirla con Proust, potremmo definire ricerca del tempo perduto.
Ecco, Icilio Bianchi può essere definito scrittore commerciale perfettamente integrato nel suo periodo storico, leggendo il quale si possono penetrare i gusti, le aspettative, i desideri dei lettori del suo tempo.
La Biblioteca fantastica dei giovani italiani
I racconti contenuti in questa antologia provengono tutti dalla Biblioteca fantastica dei giovani italiani (d’ora in poi bfgi).
La bfgi venne ideata dalla Società Editrice Milanese e vide la luce nel 1907. L’idea dell’editore era quella di pubblicare un volume contenente sedici novelle; prima del tomo, fece uscire nelle edicole, in fascicoli autonomi del costo di dieci centesimi, i singoli racconti che componevano l’antologia.
Per acquisire lustro alla pubblicazione venne chiamato come curatore Luigi Motta e quale illustratore Ottavio Rodella (Tavio): il primo famoso scrittore d’avventure; il secondo apprezzato professionista.
In ossequio al gusto dell’epoca, si alternarono opere di autori italiani ad altri stranieri. In realtà, gli autori erano tutti italianissimi. Lo stesso Icilio Bianchi venne presentato col proprio nome e con lo pseudonimo, assai trasparente, Ycil Whites (o anche Withes).
Che Ycil Whites fosse italiano lo si capisce dal tono assai ingenuo con cui l’autore descrive i paesi in lingua anglosassone.
Basti pensare che nel racconto L’anima dello specchio
l’autore impiega quale descrizione di un cupo maniero inglese la poesia Il tuono
tratta da Myricae di Giovanni Pascoli:
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò infranto,
e poi vanì. […]
Myricae aveva subito diversi rimaneggiamenti: l’edizione definitiva aveva visto la luce nel 1903 e sicuramente non era stata ancora tradotta all’estero.
Fatto salvo questo particolare, come vedremo, tutto l’immaginario che l’autore sciorina è indicativo e interessante. Si tratta infatti dell’immaginario del lettore popolare del 1907.
Il 1907 è un anno particolare, perché esemplare per descrivere il periodo storico al quale appartiene: un periodo assai fecondo di fermenti che coinvolgevano tutta la popolazione italiana; un periodo destinato a modificare profondamente la mentalità e la vita delle persone; un’epoca che vide affermarsi prepotente la modernità.
L’affermarsi della modernità
Il termine modernité (modernità
) era stato coniato alla metà dell’Ottocento dal poeta francese Charles Baudelaire, che gli aveva attribuito come significato la sfuggevole ed effimera esperienza della vita condotta all’interno della città; e, di conseguenza, la responsabilità che l’arte ha di catturare tale esperienza e di esprimerla nelle forme più disparate, suggestive e originali.
Baudelaire viveva a Parigi che, proprio in quegli anni, stava attraversando un periodo di enormi trasformazioni grazie a Napoleone iii il quale, autonominatosi imperatore e malato di grandeur, aveva voluto fare della sua capitale un esempio mondiale d’innovazione. Non è qui il caso di dilungarsi su tutte le opere che vennero messe in cantiere all’epoca, ma, grazie a esse, Baudelaire avvertì come la modernité fosse foriera di grandi trasformazioni e ne percepì sia la tragica decadenza umana che ne derivava, sia una nuova misteriosa bellezza. Il poeta morì nel 1867, a quarantasei anni, non riuscì dunque a vedere la piena realizzazione né le conseguenze del fenomeno da lui descritto.
Il fervore innovativo di Parigi contagiò il resto d’Europa. Questo profondo rinnovamento ben presto divenne fame di modernità. Una fame che vide nella nascita del nuovo secolo (il Novecento) la sua naturale affermazione. E che portò alla realizzazione di opere ciclopiche. Nel 1907, per esempio, vennero iniziati i lavori per il canale di Panama, che sarebbero continuati per altri sette anni.
Espressione esemplare della modernità era l’attenzione spasmodica che veniva riservata alla scienza. Una attenzione che emerge prorompente nelle opere di Icilio Bianchi.
Nel già citato L’anima dello specchio
, l’anziano scienziato Giorgio Harrison protagonista del racconto, lascia scritto nella sua ultima missiva:
Sono felice nel pensiero del pericolo che mi sovrasta perché alla scienza che amai follemente è eroico offrire anche la vita.
In quel periodo la scienza era vissuta come uno strumento capace di sollevare gli uomini da ogni problema e da qualsiasi preoccupazione. Ci si disponeva a che avvenisse il miracolo, e si guardava con favore non solo alle novità tecnologiche che s’affacciavano a getto continuo, ma anche alle modificazioni sociali che ne conseguivano.
La vita sottostava a una continua incertezza perché, di fronte al crollare dei capisaldi culturali che avevano caratterizzato la società fino ad allora, si prospettavano nuove tendenze e possibilità inesplorate che aprivano scenari ignoti.
S’affermarono l’aviazione e i trasporti tramite dirigibile (1906). Si diffuse l’impiego della bachelite, una materia di colore scuro ottenuta combinando il fenolo con la formaldeide, e prese quindi il via l’età della plastica. In quel periodo s’affermò la produzione industriale del calcestruzzo, che influì enormemente sul settore delle costruzioni. L’industria inondò il mercato di oggetti prodotti in serie a basso costo, dando il via alla cosiddetta produzione di massa
.
Il gusto per il Liberty
La produzione di massa provocò la reazione di diversi artisti, che guardavano con inquietudine alla bassa qualità dei materiali utilizzati e al miscuglio confuso di stili degli oggetti realizzati.
Lo scrittore e artista William Morris aveva dato voce a tale malessere teorizzando l’Arts and Crafts, ovvero la libera creazione dell’artigiano quale alternativa alla meccanizzazione e alla produzione in serie di oggetti di dubbio valore estetico. Tale movimento si era coagulato nell’Art Nouveau Bing, un negozio aperto a Parigi da Siegfried Bing nel 1895, nel quale erano messi in vendita oggetti di uso quotidiano dallo stile innovativo. Tale stile venne chiamato Art Nouveau, e dette