Ricordi stupendi: Harmony Collezione
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Margaret Mayo
Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Ricordi stupendi - Margaret Mayo
successivo.
1
«Karina, hai pianto.»
Karina si morse il labbro perché aveva sperato che Ford non se ne accorgesse. Però lui la conosceva troppo bene, era questo il problema. «Oggi sono un po' giù» ammise con calma senza alzarsi dalla poltrona quando lui entrò nella stanza. Era un uomo alto e di bell'aspetto, poco più che trentenne, con capelli neri e occhi scuri, la bocca sensuale e il naso leggermente pronunciato. «Dobbiamo proprio uscire?»
«Penso che dovremmo. Trascorri troppo tempo in casa.» Si avvicinò e le diede un bacio in fronte, sfiorandole con un dito la guancia. Nient'altro, soltanto quel piccolo gesto, ma Karina percepì la tensione in lui, il desiderio di andare ben oltre. Non poté fare a meno di ammirarlo per il suo autocontrollo.
Si era già domandata perché non lo amasse, perché non si fosse innamorata di quest'uomo così affascinante che le aveva ridato la vita; tuttavia non era riuscita a trovare una risposta.
Ford si sedette di fronte a lei, allungando le gambe sul tappeto, lo sguardo attento. «Hai voglia di parlarne?»
«Di cosa?» Lei sorrise, il sorriso spensierato che adottava per lui, per nascondergli la stretta al cuore e la disperazione. Senza trucco, con indosso un semplice abito bianco di cotone e con i lunghi capelli neri raccolti in una treccia Karina dimostrava più dei suoi ventisei anni.
«Del motivo per cui hai pianto.»
Lei alzò le spalle e le lasciò ricadere in un involontario gesto colmo di eleganza. «Sto meglio, ora che sei qui.» Immediatamente si rese conto di aver detto la frase sbagliata, e che lui l'avrebbe fraintesa, come in effetti fece.
Un sorriso gli illuminò il volto. «Se è perché ti manco quando non sono qui, forse dovrei diventare una presenza più costante nella tua vita.»
Karina si rintanò contro lo schienale della poltrona, incrociando le braccia con gesto difensivo, con gli occhi blu cobalto aperti e timorosi.
Aveva previsto che prima o poi sarebbero arrivati a quel punto, ma nonostante questo non era preparata. Il pensiero di diventare qualcosa di più per Ford la terrorizzava a morte. Glielo doveva, ma non poteva affrontare l'idea di compromettersi totalmente con un uomo che non amava.
Gli occhi scuri di lui si strinsero e il suo volto si irrigidì, suscitando lo stupore di Karina nel mostrarsi irritato dalla sua reazione. L'uomo che per più di dodici mesi era stato così gentile con lei d'improvviso sembrava differente.
«Mi dispiace che l'idea ti spaventi, ma ritengo di aver avuto abbastanza pazienza. Penso sia arrivato il momento di fare una bella chiacchierata.»
C'era un'incrinazione nella sua voce, un tono che Karina non aveva mai sentito e che la fece rabbrividire qualche istante.
«Ho bisogno di sapere» continuò lui, «esattamente che cosa provi per me.»
«Tu... tu sai cosa provo» rispose con calma ma brusca, accarezzandosi la pelle d'oca che le aveva ricoperto le braccia. All'esterno il sole era ancora alto, tuttavia lei si sentì come colpita da una folata di vento polare.
«Non l'hai mai detto a parole» le ricordò, gli occhi fissi nei suoi. «Lo so che mi consideri qualcuno da cui dipendere, qualcuno che ti ha aiutata nei momenti bui, però - e tu lo sai - io voglio di più. Molto di più. Un tempo mi amavi, devo sapere se puoi amarmi di nuovo.»
Ma come poteva sapere di amarlo? Dal momento dell'incidente Karina non ricordava nulla, né chi fosse, né da dove venisse. Viveva come sospesa nel vuoto e certe volte il peso della situazione era impossibile da sopportare.
Ford Fielding diceva di essere il suo fidanzato, ma lei non ne aveva alcun ricordo. La sua memoria era stata completamente svuotata. Aveva addirittura dovuto imparare di nuovo a parlare, a leggere, a scrivere, a fare tutto ciò che nella vita normale si dà per scontato. E Ford era stato al suo fianco a ogni passo del lungo cammino, incoraggiandola, persuadendola, dimostrando pazienza e comprensione senza limiti.
Le aveva raccontato che sua madre era morta quando lei aveva due anni, il padre quando ne aveva tredici e che, non avendo parenti, era rimasta in collegio fin quando non era stata in grado di cavarsela da sola.
Perciò tutti i suoi legami col mondo esterno si limitavano a Ford, che le piacesse o meno.
Era una situazione delicata. Lei non voleva ferire i suoi sentimenti dal momento che lui era stato così gentile e premuroso con lei. Sarebbe stato peggio che insultarlo dichiarare che non provava niente, anche se era la verità. «Non posso essere sicura di averti amato» esordì bruscamente. «Devo soltanto fidarmi della tua parola. Mi stai mettendo fretta, Ford.»
«Fretta?» fece eco con voce dura. «Questa è la frase del secolo! Personalmente ritengo di aver avuto molta pazienza.»
Era così, infatti. Per diversi mesi, da quando era uscita dall'ospedale, Ford aveva vissuto con lei in quel lussuoso appartamento sulle rive del Tamigi per il quale pagava l'affitto. Aveva provveduto a ogni suo bisogno, aveva fatto di tutto per lei.
E non era andato a letto con lei. Un altro uomo avrebbe desistito da tempo, ma non Ford. Aveva lasciato il lavoro in secondo piano pur di starle vicino, e lei non ce l'avrebbe mai fatta senza di lui. In quanto ad amarlo, semplicemente non era successo.
Per lei era qualcuno su cui appoggiarsi, da cui dipendere, ma non con cui andare a letto. Ed era strano che non provasse nulla per Ford perché lui rappresentava l'ideale di uomo per qualsiasi donna: di corporatura vigorosa, attraente e atletico, e con un fascino fuori dal comune. All'età giusta per pensare al matrimonio avrebbe potuto scegliere tra una quantità di spasimanti. Eppure era rimasto con lei.
«È vero, hai avuto pazienza» gli concesse Karina. «Più di quanto mi aspettassi o meritassi. Non ti avrei biasimato se mi avessi lasciato perdere già da tempo.»
Ford annuì lentamente. «Forse avrei dovuto. Forse dopo tutto non ti ho fatto un favore a restarti accanto.»
«Non ti riterrò colpevole se te ne vai adesso.»
Magari col tempo l'amore sarebbe ritornato. Magari no. Non c'era modo di saperlo. Karina si posò la fronte sul palmo della mano: non voleva affrontare il problema, non voleva pensarci. Forse sarebbe stato meglio se veramente Ford l'avesse lasciata sola.
«Karina?» Si aspettava che aggiungesse qualcosa.
Lo guardò di nuovo e fece una smorfia. «So che cosa vuoi sentire, Ford, ma non posso dirlo. È impossibile per me provare... provare l'amore che intendi tu. Ti voglio bene, è chiaro, ma come a un amico. Penso sia arrivato il momento di trasferirmi: troverò un lavoro e un appartamento che possa permettermi...»
«Non se ne parla nemmeno» la interruppe immediatamente. «Non sei ancora pronta. E comunque non è questo il problema, lo sai bene. Dannazione, non hai la minima idea di che cosa vorrei da te.»
«Ti sbagli» sospirò. Lo sapeva bene, ma non voleva sentirlo.
Ford si alzò e avanzò verso di lei. Le tese le mani e lei non poté fare a meno di afferrarle, permettendole di aiutarla ad alzarsi. Quindi la prese fra le braccia e strinse il suo corpo fragile e tremante contro il proprio.
L'aveva già abbracciata in passato, ma questa volta era differente. Non era un gesto di conforto, ma la stretta di un uomo ardente di desiderio, non più padrone dei propri sentimenti.
Karina percepì le lacrime scorrerle lentamente lungo le guance.
Se solo non avessimo litigato, pensò Ford. Se non avesse accusato Karina di fare il doppio gioco, lei non gli avrebbe gettato addosso l'anello di fidanzamento e non si sarebbe precipitata fuori dalla casa. Non avrebbe avuto l'incidente. Non avrebbe perso la memoria. Sarebbero già stati sposati, probabilmente con un figlio in arrivo. Era stata tutta colpa sua, e Ford non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.
Un'infinità di volte aveva rimpianto quel giorno, ogni singolo secondo. Il ricordo era vivido nella sua mente come se fossero trascorse dodici ore invece che dodici mesi.
Avrebbe dovuto ascoltare Karina, darle la possibilità di spiegarsi invece che assalirla con le accuse più infami. E invece non aveva neanche cercato di fermarla quando lei si era sfilata l'anello con le dita tremanti per la collera e glielo aveva tirato addosso, giurando che non l'avrebbe più rivista mentre sbatteva la porta alle proprie spalle.
Nessuno era venuto a trovarla in ospedale. E poiché i medici avevano consigliato di non forzare il recupero della memoria, Ford non le aveva raccontato nulla del loro fidanzamento, della loro splendi da storia d'amore e di come si era conclusa; soprattutto non le aveva parlato del suo tradimento. E Karina non aveva mai chiesto niente di troppo personale, come se volesse evitare tali questioni.
Ford si era immediatamente reso conto di essere ancora innamorato di lei: la sua relazione con Charles Forester non faceva alcuna differenza. Ed era una tortura per lui, che lei non ricambiasse quel sentimento.
Era certo che prima o poi avrebbe recuperato la memoria, nonostante il neurochirurgo avesse ammesso che con traumi di tale gravità l'amnesia poteva essere permanente. Si era ripromesso di essere paziente, ma stava inesorabilmente raggiungendo il limite.
La percezione del suo corpo soffice e profumato contro il proprio glielo fece oltrepassare. Quante volte negli ultimi dodici mesi aveva desiderato stringerla così, accarezzarle i capelli lucenti, posare le labbra sulla sua pelle candida, assaporarla, ricreare la magia, farla propria, fondersi con lei...?
Sentì un gemito soffocato in gola ma non lo riconobbe come proprio. Inconsciamente strinse le braccia e posò la bocca su quella di lei. A occhi chiusi assaporò il dolce nettare che gli era stato negato tanto a lungo, e per un momento sperò che lei non gli resistesse. Ma quando il bacio si fece più ardito, Karina si ritrasse con forza. «No, no!» gridò quindi angosciata.
Ford sapeva che avrebbe dovuto ascoltare quelle parole e tuttavia il desiderio, il bisogno tenuto a freno così a lungo, una volta sollecitato gli impedì di fermarsi.
«Karina...» mormorò attirando di nuovo a sé il viso con una mano, «ti prego, non combattermi, non aver paura. Non ti farò fare niente che tu non voglia, ma devi baciarmi per capire quali sono i tuoi veri sentimenti.»
«So di non amarti, Ford» replicò. «Un bacio non farà alcuna differenza.»
Percepì la pena nella sua voce, ma era niente in confronto al dolore che lui stesso provava. Era come se gli avesse piantato un coltello nel petto e lo stesse rigirando nella ferita. Doveva fare qualcosa prima che diventasse insopportabile. Posò di nuovo le labbra sulle sue e gli ci volle tutto l'autocontrollo di cui era capace per non lasciarsi sopraffare dal desiderio.
La baciò dolcemente, quasi esitando. Non fece nulla che potesse spaventarla, nulla che la spingesse ad allontanarsi da lui.
Non percepì alcuna reazione, soltanto dei tremori che continuavano a scuoterle il corpo. Fu solo dopo un lunghissimo momento che, pur senza rilassarsi, Karina smise di resistere. Tuttavia rimase passiva, inerte, senza comunicargli alcuna sensazione. Ford cominciò a ricoprirla di teneri baci, a sottolinearle con l'indice il profilo della bocca, ad accarezzarle gli occhi e le orecchie; fece il