Guardia del corpo (eLit): eLit
Di Sylvia Plath
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Info su questo ebook
J.T. è un Blackwood, e un Blackwood è sempre pericoloso, anche se di mestiere è guardia del corpo e dunque le persone dovrebbe proteggerle e non metterle in pericolo. Ma il pericolo che rappresenta J.T. è del tipo: occhi d'ambra e fisico statuario. Lui è l'unico che può aiutare Joanna Beaumont, che dunque ora ha ben due problemi da affrontare...
Sylvia Plath
Sylvia Plath was born in 1932 in Massachusetts. Her books include the poetry collections The Colossus, Crossing the Water, Winter Trees, Ariel, and Collected Poems, which won the Pulitzer Prize. A complete and uncut facsimile edition of Ariel was published in 2004 with her original selection and arrangement of poems. She was married to the poet Ted Hughes, with whom she had a daughter, Frieda, and a son, Nicholas. She died in London in 1963.
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Anteprima del libro
Guardia del corpo (eLit) - Sylvia Plath
Immagine di copertina:
Vonkara1 / iStock / Getty Images Plus
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:
Blackwood’s Woman
Silhouette Intimate Moments
© 1996 Beverly Beaver
Traduzione di Alessandra De Angelis
Questo volume è stato precedentemente pubblicato con il titolo:
Il diario.
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-359-5
Prologo
Trinidad, Nuovo Messico
Settembre 1925
Domani, Ernest, i ragazzi e io lasceremo il Nuovo Messico per tornare in Virginia, e io non rivedrò mai più Benjamin Greymountain. Lui, però, abiterà sempre i miei ricordi. Il nostro legame è indissolubile. Con lui, ho conosciuto la passione e il vero amore.
Oggi ci siamo incontrati per dirci addio. Ha portato due anelli con sé, due bellissimi anelli di argento, finemente incisi, ognuno con tre turchesi incastonati a simboleggiare noi due e il bambino che non potremo mai avere. Quando mi ha infilato l’anello al dito, ho pianto. In questo modo abbiamo suggellato il nostro amore per l’eternità.
Se solo non ci fossero così tanti ostacoli tra noi e la nostra felicità... No, non devo pensare a come sarebbe la nostra vita se il mondo intorno a noi fosse diverso. Devo sentirmi riconoscente per avere conosciuto l’amore, la passione.
Ogni giorno della mia vita, io amerò Benjamin Greymountain, e saprò che il mio amore sarà ricambiato in uguale misura.
Joanna non poté leggere un’altra parola. Chiuse il diario della sua bisnonna e lo ripose nella valigia.
Negli ultimi sei mesi, da quando era tornata a vivere nella casa dei suoi genitori e aveva scoperto il diario nel vecchio baule di Annabelle Beaumont, dimenticato in soffitta, aveva trovato sollievo per la sua anima nella tragica storia d’amore della sua antenata.
Perché, in un mondo che sembrava impazzito, Joanna non era più capace di credere nell’amore.
Sospirò. I mesi di terapia l’avevano aiutata, ma non avevano cancellato i ricordi angosciosi dell’aggressione di cui era stata vittima. Nemmeno la notizia che il maniaco era stato condannato all’ergastolo anche grazie alla sua testimonianza era servita a restituirle un po’ di fiducia nella vita.
Rispetto alle altre vittime, lei era stata più fortunata per non aver subito la violenza più ignobile, ma la sua vita non sarebbe mai stata come prima. Il suo fidanzato l’aveva lasciata, sua madre la trattava come una bambina malata e lei aveva smesso di lavorare al museo, perché non sopportava più di stare in mezzo alla gente. Gente che sussurrava alle sue spalle.
Ma non voleva restare in quella specie di limbo per sempre. Aveva preso la sua decisione da parecchie settimane, ma ne aveva informato sua madre soltanto quel mattino.
Lei, Joanna Beaumont, stava per trasferirsi a Trinidad, nel Nuovo Messico, dove la sua bisnonna aveva incontrato il vero amore.
Sulla scia di quel pensiero, sollevò la mano e fissò l’anello d’argento con i tre turchesi incastonati che aveva trovato in un sacchetto di pelle insieme al diario. Le calzava alla perfezione.
1
Joanna lanciò un’occhiata incredula alla spia rossa lampeggiante sul cruscotto. No, no, no... Non può essere. Non su questo tratto deserto di strada. Non con trentacinque gradi all’ombra.
Accidenti! La sua Jeep Ranger aveva soltanto quattro anni e non aveva mai saltato un tagliando. Come osava ripagarla minacciando di restare in panne?
D’improvviso, una nube di vapore bianco si sollevò dal cofano. Il radiatore si era surriscaldato o una di quelle stupide manichette si era spaccata.
Ammettendo la sconfitta, Joanna condusse il fuoristrada sul ciglio della strada, spense il motore e rimase seduta per parecchi minuti, furibonda. Guardò di sottecchi il sole accecante. Elena e Alex erano a Santa Fe e non sarebbero rincasati prima di sera, così, se lei avesse telefonato al ranch, si sarebbe vista costretta a chiedere a Cliff Lansdell di aiutarla. Non che le fosse antipatico. Il problema era che Cliff si ostinava a non accettare il fatto che lei non era interessata ad avere una relazione con lui.
Quando il vapore cominciò ad affievolirsi, scese dal veicolo e si avvicinò al cofano, ma, cosciente dei propri limiti in fatto di motori, rinunciò a dare un’occhiata. Non aveva altra scelta. Avrebbe telefonato a Cliff e gli avrebbe permesso di correre in suo soccorso.
Il sudore le imperlava la fronte. La tarda primavera nella parte settentrionale del Nuovo Messico era più fresca rispetto alle zone meridionali, ma, nel corso della giornata, la temperatura poteva raggiungere livelli roventi, persino nel mese di maggio.
Risalì a bordo, recuperò il telefono cellulare dalla borsa e compose il numero del Blackwood Ranch. Il telefono rimase muto. Osservando attentamente il display dell’apparecchio, vide che la batteria era esaurita. La sera prima si era dimenticata di ricaricarla. Come aveva potuto essere così stupida?
E ora che cosa faccio?, si chiese perplessa, pur sapendo che avviarsi a piedi era l’unica opzione possibile. Almeno quindici chilometri la separavano dal ranch, ma, con un po’ di fortuna, avrebbe incontrato qualcuno che le avrebbe dato un passaggio. Trinidad era una città piccola e lei conosceva praticamente tutti.
Chiuse la jeep, si passò la tracolla dell’enorme borsa di pelle, contenente la sua 25mm semiautomatica, sopra la spalla e si incamminò.
Non aveva percorso molta strada, quando ebbe la sensazione di sentire un rullo di tamburi in lontananza. Forse si trattava del rombo di un tuono. La pioggia nel Nuovo Messico non rappresentava un evento impossibile. Levò gli occhi al cielo. Era perfettamente terso. E azzurro. Di quell’azzurro così incredibile che lei non si sarebbe mai stancata di ammirare.
Abbassando gli occhi per difendersi dal riverbero accecante del sole, Joanna scorse un cavallo e un cavaliere solitario sulla sommità di una collina poco distante, verso nord. Batté le palpebre, convinta che l’immagine fosse un miraggio. Non lo era. Cavallo e cavaliere erano ancora al loro posto. Un uomo dal fisico imponente in sella a un magnifico Appaloosa.
Il suo cuore prese a battere all’impazzata. Non aveva nulla da temere, non a Trinidad, non dalle persone che conosceva e rispettava. Sicuramente, quell’uomo era un mandriano del ranch e lei lo avrebbe riconosciuto non appena si fosse avvicinato.
Ma l’uomo non si mosse. Si limitò a fissarla. Lei agitò una mano per attirare la sua attenzione. Lui non rispose.
«Ehi, lassù, lavora al Blackwood Ranch?» gli gridò. «Il mio fuoristrada è in panne!»
Cavallo e cavaliere cominciarono ad avanzare verso di lei.
Joanna aprì la borsa, infilò una mano all’interno e cercò la pistola. Al contatto con il freddo metallo, sospirò. Non avrebbe esitato a servirsene. Dopo l’aggressione di cinque anni prima, aveva comprato una piccola semiautomatica e aveva frequentato parecchi corsi di autodifesa.
Quando il cavallo si fermò a sei, sette metri di distanza, lei fissò l’uomo che lo cavalcava, ma non lo riconobbe. Non lo aveva mai visto prima, ma, inspiegabilmente, ebbe l’assurda sensazione di conoscerlo. Si sentì pervadere da uno strano presentimento. Non riuscì a staccare gli occhi da lui.
Lo sconosciuto aveva un fisico imponente, le spalle larghe, le gambe lunghe e i fianchi stretti, e probabilmente superava il metro e ottanta di altezza. Ma Joanna non era incantata tanto dalla perfezione del suo corpo, quanto dai lineamenti marcati, assolutamente virili, del volto. I capelli diritti e neri erano lunghi fino alla base del collo e gli coprivano in parte la fronte. Sopra l’occhio sinistro, portava una benda nera. Il modo in cui la stava fissando la innervosì. Deglutì.
Con una sola occhiata, notò il suo naso diritto, il mento orgoglioso, la bocca piena e tesa in un’espressione severa. Di chiunque si trattasse, nelle sue vene scorreva di certo sangue indiano.
Nonostante la canicola, un brivido le percorse la schiena. Nei quattro anni che aveva passato nel Nuovo Messico, si era costruita una nuova vita e si era affermata come artista, ma la fantasia romantica di incontrare un uomo straordinario come Benjamin Greymountain era rimasta un’illusione. Fino a quel momento.
Non essere ridicola, si redarguì. Smetti di comportarti come un’idiota. Si costrinse a guardare il cavallo. Prese un respiro profondo e mosse qualche passo incerto verso lo sconosciuto.
«Può aiutarmi?» gli domandò. «La mia jeep mi ha lasciata a piedi e ho bisogno di tornare al ranch dei Blackwood.»
Con studiata lentezza, lui smontò da cavallo. Era molto più alto di un metro ottanta. Forse, sfiorava il metro e novanta. E l’occhio, quello non ricoperto dalla benda, non era marrone come le era sembrato in un primo momento. Era di una tonalità ambrata.
Lui continuò a fissarla, senza sorridere, poi, d’un tratto, corrugò la fronte e incrociò le braccia sul petto. La osservò dalla testa ai piedi.
Joanna infilò una mano nella borsa e strinse il calcio della pistola. L’istinto la avvertiva che quell’uomo era pericoloso, ma in qualche modo era propensa a pensare che lo sconosciuto non avesse intenzione di farle del male.
«Ascolti, devo tornare al ranch dei Blackwood» gli ripeté. La sua voce tradì un tremito.
Lui avanzò di un passo. Lei soffocò l’impulso di indietreggiare ed erse il mento.
«Allora, può aiutarmi?» Qual era il suo problema? Era sordo?
«Non sono diretto al ranch dei Blackwood.» La sua voce era bassa e profonda.
«Lavora al ranch?»
«No.»
Joanna sperò che smettesse di scrutarla. Cominciava a sentirsi come un insetto sotto la lente di un entomologo. «Sa di trovarsi sulla proprietà dei Blackwood, vero?»
Un piccolo accenno di sorriso gli sfiorò le labbra, per svanire completamente lasciando il posto al cipiglio. «Se non ha fretta di tornare a casa, può venire con me. Altrimenti...» Si voltò a guardare la strada che si perdeva all’orizzonte. «Altrimenti, dovrà camminare.»
Era matto? Davvero credeva che lei avrebbe cavalcato chissà dove insieme a un perfetto sconosciuto? «Non può accompagnarmi al ranch e poi riprendere la sua strada?»
«Perché dovrei cambiare i miei programmi?»
Lei lo fissò con gli occhi sbarrati.
«Allora, che cosa ha deciso? Viene con me o prosegue a piedi?»
Senza ribattere, Joanna girò sui tacchi, determinata ad andare a piedi. Lanciò un’occhiata da sopra la spalla e vide che lui stava rimontando a cavallo. Un raggio di sole colpì l’anello di argento che l’uomo portava al medio della mano destra.
Da quando si era trasferita nel Nuovo Messico, lei aveva visto innumerevoli anelli di argento con dei turchesi incastonati, ma nessuno le era parso identico all’anello di Annabelle Beaumont. Era possibile che lo sconosciuto portasse l’anello che era appartenuto a Benjamin Greymountain? Come ne era entrato in possesso?
L’uomo spronò l’Appaloosa in direzione di Joanna. Si fermò a un paio di passi da lei. «Ultima possibilità.» Protese una mano.
Joanna fissò la sua mano enorme, osservò attentamente l’anello d’argento. Il cuore le martellava nel petto. Il battito le rimbombava nelle orecchie. Levò lo sguardo sul suo volto scuro. Si sentì vacillare. Era come se una forza misteriosa la stesse spingendo verso di lui.
«Chi è