Sesso: domande e risposte
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Info su questo ebook
In maniera semplice, chiara e diretta Marinella Cozzolino, sessuologa, risponde alle domande più frequenti in tema di sesso.
Capire, conoscere, chiedere aiuto sono le chiavi necessarie ad aprire la gabbia che frena il desiderio sessuale ed il piacere, per liberarsi e lasciare circolare con serenità l’energia più pura e potente che abbiamo, quella sessuale.
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Anteprima del libro
Sesso - Marinella Cozzolino
Ringraziamenti
Capitol 1
Introduzione
A questo libro avrei dovuto dare un sottotitolo: il sesso è un opinione.
Anni di professione mi hanno insegnato che ciascuno ha una sua idea personale sulla sessualità. Non ho aggiunto, però, alcun sottotitolo perché avrei scritto il falso: il sesso non è, e non può essere, un’opinione.
Il sesso non è peccato anche se molti lo pensano. Non è un dovere. Non è un compito né una prestazione.
Il sesso è parte della nostra struttura psichica. La parte più importante. È parte della nostra capacità di amarci e di amare, di lasciarci andare al piacere, di goderne e di donarlo.
Il sesso è le nostre paure, le nostre ansie, le nostre nevrosi.
Il sesso è il nostro passato, il presente che viviamo ed il futuro.
Nel nostro modo di considerare e vivere il sesso, ci sono molti aspetti della nostra struttura di personalità: l’educazione e la vita sessuale ed affettiva nostra e dei nostri genitori, la loro storia e la nostra storia, le loro esperienze e la nostra esperienza, la religione, l’istruzione, la loro scala di valori e poi la nostra. L’idea che abbiamo del sesso e dei fatti che riguardano la sessualità viene dalle nostre esperienze passate, da come siamo cresciuti, da come siamo stati amati, da quanto ci hanno insegnato a godere del senso di piacere. Dipende da quanto noi stessi ci amiamo e come. C’è sempre un equilibrio psichico labile in chi vive male la propria sessualità perché il piacere del sesso non è in un orgasmo, ma nella gioia che abbiamo di vivere. Nella capacità che abbiamo di godere della vita che è, innanzitutto, piacere.
Il sesso non è un’opinione. È gusto, attrazione, attitudine. È energia. Dinamica e mai statica. È il nostro equilibrio, il nostro essere uomini o donne. È il nostro modo di stare al mondo.
In queste pagine ho raccolto alcune tra le domande a cui ho risposto in venticinque anni di lavoro in qualità di psicoterapeuta sessuologa.
È un libro adatto anche agli adolescenti. Un modo semplice e chiaro per aiutarli a dare risposte a domande ancora troppo spesso difficili da fare. Spero che i miei figli, adolescenti da poco, e i loro amici, possano trarne qualcosa di buono.
Subito dopo questa breve introduzione ci sono la storia di Silvia, una donna che mi ha scritto qualche tempo fa e la storia di Chiara. Ho deciso di pubblicare queste storie, così, senza alcuna risposta mia, affinché arrivino al vostro cuore come sono arrivate al mio. Sono storie d’amore su cui riflettere. Poi, si parlerà di sesso.
Le domande più frequenti le ho divise in capitoli, per tema. Non è stato facile. Nessuna domanda è netta e fine a se stessa. C’è un mondo psichico dietro ogni quesito sessuologico. C’è la vita di ognuno dietro un dubbio che riguarda la sessualità. Ci sono le domande degli uomini, quelle che loro fanno più frequentemente e quelle che più frequentemente pongono le donne. Leggerle tutte significa entrare un po’ di più nel mondo dell’altro, nelle sue ansie, nelle sue paure, nei suoi desideri. Nessuna domanda riguarda solo il sesso, in ciascuna c’è il vissuto emotivo di chi si pone dei dubbi e mi scrive.
Grazie, sin d’ora a chi avrà voglia di leggere, di affidarsi, di porsi domande.
Grazie a chi mi ha aperto il cuore dandomi la possibilità di rispondere a domande che non riguardano mai solo chi le pone, ma tutti noi. Me compresa.
Marinella Cozzolino
Capitol 2
La storia di Silvia
Buongiorno dottoressa mi chiamo Silvia e ho quasi cinquant’anni.
Le scrivo per raccontarle una storia, la più bella tra le storie d’amore, la mia. È durata per più di trent’anni e non ha mai tentennato, nemmeno un giorno, nemmeno un minuto anzi…
Ma forse è bene che inizi dal principio.
Avevo appena finito di litigare con mia madre quella sera, l’ennesima, solita litigata, quella tipica tra ogni madre e figlia adolescente.
Sei una bambina!
No, sono grande, e tu non mi lasci vivere, sei cattiva
.
Le avevo dette e ridette tante di quelle volte queste parole che non ricordo nemmeno per cosa mi criticasse mia madre quella sera, forse per i jeans troppo stretti, o per il lucido sulle labbra.
Eppure ricordo ancora il dolore e la rabbia di quel momento. Le sue parole contro sono sempre state come spine, dottoressa, aghi che entrano dritto al petto e fanno male, male da togliere il fiato.
Sono salita in camera mia e ho passato ore a piangere singhiozzando.
Vattene in camera tua
era il modo preferito da mia madre, l’unico che conosceva, per risolvere tutti i problemi.
I suoi, però, non i miei. Mia madre non lo ha mai saputo ma quella sera non mi ha fatto un torto, ma il più grande, forse l’unico, regalo della sua vita.
Fu quella sera, dottoressa, che successe tutto. Ad un certo punto mi calmai, accesi la TV, c’era uno spettacolo musicale. La musica era la mia unica valvola di sfogo, la mia medicina, una sorta di terapia consolatoria, una casalinga
terapia anti stress. Fu quella sera, in quella trasmissione che la vidi per la prima volta: bella, bellissima, la donna che sarei voluta essere, la femminilità, la dolcezza, la bellezza, l’eleganza che sognavo era lì su quello schermo, tutta dentro una persona. E in più, lei, era quello che sognavo di essere e diventare: una cantante. L’ho amata da subito. L’ho amata per sempre. Prima di poterle stringere solo la mano, sono passati anni. Appena maggiorenne ho lasciato gli studi, non avevo desideri, né sogni, né progetti da realizzare. Volevo solo lei. Ho lasciato il paese, mi sono trasferita a Milano, e l’ho cercata. Dopo meno di un mese sapevo dove abitava, dove lavorava, a che ora usciva, sapevo tutto. Me le sono inventate tutte: l’ho seguita in tutti i suoi concerti, ho frequentato le sue lezioni di canto, ho lavorato come maschera nei teatri dove lei lavorava. Tre quattro mesi di un lavoro noiosissimo pur di vederla un’ora di sera. Lei, intanto iniziava a conoscermi ma per lei io ero solo Silvietta
, quella allieva troppo spesso distratta, niente di più. A Milano, di giorno, lavoravo come cameriera, bar, pub, ristoranti … li ho girati tutti. Di sera la seguivo, si proprio la seguivo. Sarei stata una perfetta reporter, chissà quanti scoop. L’ ho vista salire in tante macchine, uscire con un accompagnatore, rincasare con un altro. L’ho vista piangere, l’ho vista completamente sbronza ballare sotto la pioggia. L’ho vista sposa raggiungere l’altare col fare fiero di chi sa mascherare bene l’infelicità. L’ho vista in tante emozioni. Non l’ho mai vista felice. Io, solo io, so che non si è mai sentita amata, mai abbastanza. Solo io so quanto fosse malata d’amore. Un giorno l’ho vista al parco col pancione: se aspettava un bambino avrebbe avuto bisogno di una tata. Mi sono avvicinata, le ho detto che avevo bisogno di lavorare, che ero disperata. Mi ha chiamata due mesi dopo, quando è nato il bimbo: le serviva una tata fissa. Non potrò mai dimenticare la gioia, quello è stato sicuramente il giorno più felice della mia vita. Ecco finalmente il mio unico sogno si avverava. Sono stata in casa sua per venti lunghissimi meravigliosi anni, i più belli della mia vita. Per lei sono stata babysitter, colf, dama di compagnia, segretaria, amica, compagna di giochi, psicologa, infermiera, tutto fare. Le ho fatto da mamma io che pure avevo tanti anni meno di lei. Non ha mai capito che l’amavo, credo non si sia mai spiegata tanta dedizione. Per fortuna esisti, mi diceva spesso, ma niente di più. Non era fortuna, ma lei non l’ha mai saputo. Non lo saprà mai. Se ne è andata per sempre una settimana fa. Se ne è andata mentre tentavo di dirle qualcosa. Avrei voluto dirle che non sarebbe stata sola, che gran parte di me andava via con lei, che un’altra vita non sarebbe bastata a dimenticarla, che l’amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Avrei voluto.
Ma non ce l’ho fatta.
Capitol 3
La storia di Chiara
Chiara è una bellissima donna di quarantacinque anni, arriva nel mio studio perché il suo ginecologo le consiglia una terapia di sostegno dopo aver subito l’asportazione dell’utero per un tumore. Un tumore devastante che le ha tolto un organo nuovo-nuovo, come dice lei, mai usato, per questo forse inutile. Non è mamma, non è mai stata incinta, non ha mai partorito. Un organo nuovo.
Chiara ha una storia d’amore dolorosa ed eccitante che dura da 12 anni. Al mare incontra Alessandra una ragazza bellissima di cui si innamora perdutamente. Alessandra, fidanzata con Paolo, prima le resiste e la evita, poi cede alla sua corte. Le due passano la maggior parte del tempo insieme ma, Alessandra, non riesce a lasciare Paolo, perché lo ama, perché le fa pena, perché rappresenta il futuro che tutti si aspettano da lei: casa, matrimonio, figli. In fondo, mantenere il piede in due staffe è molto semplice: le due ragazze non danno nell’occhio, per tutti, amici e parenti, Alessandra è la migliore amica di Chiara, Chiara la migliore amica di Alessandra. Vacanze, viaggi, serate in pizzeria, cene a lune di candela, tutto normale, per tutti. Poi la svolta, Alessandra rimane incinta e Paolo le chiede di sposarlo. L’utero di Alessandra, vive, si riempie di vita, dell’amore di Paolo e dei loro progetti che oggi hanno un nome. A luglio nasce Gaia e ad agosto a Chiara scoprono il tumore all’utero. Quell’utero represso, depresso, offeso, abbandonato, inerme, senza vita, forse si sente tradito e, per questo, si è ucciso.
Di tradimento si muore. Anche se non del tutto. Di tradimento si muore un pezzo per volta.
Capitol 4
È normale?
Cara dottoressa ho trentacinque anni, un matrimonio alle spalle finito senza traumi e senza figli, qualche anno di solitudine e divertimento puro, e, da qualche mese un incontro fulminante con l’uomo dei miei sogni. Lui mi piace da impazzire: è bello, simpatico, intelligente. Mi corteggia come un uomo d’altri tempi, è attento, premuroso e galante. Ho vissuto per settimane adagiata su una nuvoletta rosa. Lui è davvero uno di quegli uomini che ti fa sentire tre metri sopra il cielo ma… non mi piace come bacia. È moscio… Non so se mi spiego! Manca di forza, di un briciolo di aggressività, di passione insomma. Abbiamo avuto rapporti che sarebbero anche molto soddisfacenti se non ci fosse questo problema che trascina in un’onda di negatività anche tutto il resto. Che disgrazia, era tutto perfetto! Ma lui ha quaranta anni, mica posso insegnargli a baciare? Grazie per l’attenzione e la prego, non lo consideri un problema stupido. Luciana
Lungi da me, cara Luciana, l’idea di sottovalutare il tuo problema, però lasciamelo dire… tra le possibili disgrazie esistenti questa mi sembra veramente la più semplice da affrontare e risolvere. Non vedo differenze tra l’uomo che descrivi come corteggiatore d’altri tempi attento e premuroso, e il baciatore tiepido che tanto ti infastidisce… sono la stessa persona! Ma una soluzione semplice ed indolore c’è. Bacialo tu. Prendi l’iniziativa, guida tu i giochi e, senza bisogno di tante parole e spiegazioni, fagli vedere cosa ti piace e come piace a te. Mostragli la passione e la forza che vuoi e che serve alla tua eccitazione. Prenditi lo spazio che ti serve e la confidenza necessaria per invadere il suo senso d’intimità o il suo imbarazzo. È possibile infatti che il tuo principe azzurro baci esattamente come tu desideri, con la foga e la passionalità che tanto ti mancano ma che tema di essere inopportuno ed invadente, che tema il tuo giudizio ed abbia paura di non piacerti nelle vesti di amante passionale. Capirà col tuo esempio che non è così.
Ho 49 anni, una moglie di 40, due figli adolescenti di 15 e 17 anni. E’ arrivato anche per me il momento di combattere con le richieste e le scelte un po’ trasgressive
dei miei figli. Ma il mio problema non sono loro. È arrivata una richiesta ancora più strana. Qualche giorno fa, mia moglie mi ha chiesto se, per caso, avessi qualcosa in contrario al fatto che lei facesse un tatuaggio. Una cosa piccola piccola su una spalla o una caviglia. Non ho saputo rispondere, perché non mi sembra un buon esempio per i ragazzi, ma visto che le spiagge sono piene di gente tatuata non me la sono sentita di oppormi. Perché tanta gente si disegna la pelle? Che vuol dire? E perché lei che è già adulta vuole proprio ora un tatuaggio? Io penso ai tatuaggi come ad un richiamo sessuale, una cosa erotica, sexy, penso alla farfallina di Belen ed è per questo che la scelta di mia moglie mi preoccupa. Lei cosa ne pensa? Antonio
Se la scelta è di massa, evidentemente è soprattutto una moda. Non è possibile oggi soffermarsi ad indicare le motivazioni psicologiche che possono esserci dietro il desiderio di farsi tatuare poiché probabilmente, molto spesso, non ci sono. Il significato che il tatuaggio ha avuto, fino ad una ventina di anni fa, è totalmente smarrito. Prima era un segno distintivo (negativo) di pochi, segno di unicità e diversità. Oggi, all’opposto, è segno di omologazione, uguaglianza e appartenenza ad un gruppo. Per molti giovanissimi è un segno di identificazione in alcuni idoli e distacco dai genitori. Se tua moglie farà il tatuaggio, proprio per non somigliarle, è probabile che i tuoi figli non lo faranno mai. Per i ragazzi è soprattutto un segno di trasgressione e per poter trasgredire quello che ho intenzione di fare deve essere proibito. Per gli adulti, invece, può avere diversi significati. Da quello più classico del tatuarsi addosso
un momento importante (le iniziali o la data di nascita di un figlio, di un genitore, di un partner o semplicemente una data importante per se stessi ad esempio) al volersi distinguere dal gruppo dei coetanei, soprattutto delle donne che