Thomas Mac Greine - La magia del Male
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Anteprima del libro
Thomas Mac Greine - La magia del Male - Roberto di Chio
Petrarca
L’io è memoria e la memoria è coscienza di esistere
1
la città senza nome
Era già sera quando Thomas Mac Greine stava tornando a casa. Nel cielo di settembre la luna piena rischiarava le colline e laggiù, in fondo alla vallata, il paese era avvolto da una fitta nebbia. Con la sua auto rossa Thomas scendeva lentamente l’ultimo tratto della tortuosa stradina lasciandosi alle spalle una grossa nuvola di polvere e, mentre ascoltava l’autoradio che trasmetteva Starway to Heaven
dei Led Zeppelin, i pensieri gli fluivano liberi nella mente.
Pensava e fantasticava su quanto aveva letto nelle prime pagine di un breve romanzo acquistato a Parigi. Parole strane quelle, cariche di tensione. Parole che accennavano ad un druido e ad un’antica sfida. Parole d’inchiostro nero che ora gli evocavano ricordi antichi di un tempo mai vissuto.
Era rimasto affascinato dal mistero e dalla magia che scaturivano da quelle frasi, e adesso s’interrogava sul loro reale significato e se per assurdo fosse possibile vivere più di una vita. Thomas però in quel momento non cercava risposte, quella di fantasticare durante la guida era solo un’abitudine che gli faceva sembrare più breve il viaggio. Così, anche quella sera, come molte altre sere, un argomento nuovo gli aveva tenuto compagnia e lo aveva accompagnato fin dove la nebbia inghiottiva la strada.
L’auto rossa s’immerse nella fumosa atmosfera senza alcuna esitazione, e in quello stesso istante un boato, accompagnato da un lampo accecante, scosse il silenzio che regnava tutt’intorno. Forse era un tuono che annunciava il temporale, ma laggiù, in mezzo a quella nebbia che persisteva fitta, era impossibile avere una qualsiasi certezza. Da quel punto in poi, infatti, la visibilità era praticamente nulla e l’orizzonte che separava il cielo dalla terra non esisteva più. Tutto era confuso, grigio e senza contorni. C’era solo un’auto che penetrava sempre più in un tunnel fatto di sostanze evanescenti. Sembrava un mondo fatato che si apriva davanti ai potenti fari alogeni e si richiudeva subito dopo con un sottile sipario.
In quelle condizioni Thomas cercò di visualizzare il percorso aiutandosi con la memoria. Tuttavia, mentre procedeva lentamente nella nebbia, la realtà piano piano gli appariva sempre più diversa. La strada, infatti, non era più tortuosa, anzi, pareva che proseguisse rettilinea all’infinito, e di fianco alla sua auto ora sfilavano le inquietanti ombre di enormi alberi secolari che non appartenevano certo ai boschi del suo paese. Era un’atmosfera surreale, inquietante, e faceva venire i brividi; così alla fine Thomas ammise a se stesso di aver sbagliato strada e si fermò.
Prima di scendere dall’auto si accese una sigaretta e si distese sul sedile cercando di rilassarsi un po’. Nel frattempo un altro tuono fece vibrare l’aria e subito dopo si alzò un vento gelido e impetuoso che in pochi istanti spazzò via la nebbia.
Finalmente l’aria ritornò a essere trasparente e così Thomas, guardando incredulo lo scenario che improvvisamente gli era apparso davanti al muso dell’auto, capì di essere finito nel bel mezzo di una fitta foresta, dove la strada procedeva stretta dalla folta vegetazione.
Il disappunto per quello che sembrava un semplice contrattempo allontanò momentaneamente da Thomas il panico, ma quel cielo spaventoso che sembrava dovesse inghiottire da un momento all’altro la terra, quei tuoni che invadevano l’aria con il loro insistente fragore e quei lampi che rischiaravano la boscaglia facendola apparire ancor più tetra ed inospitale, gli provocarono ugualmente un freddo brivido lungo la schiena. Così, senza pensarci due volte e obbedendo a un ordine inconscio, Thomas ripartì e si mise alla ricerca di uno spazio dove poter invertire la marcia. Presto però quella ricerca si rivelò vana: la mulattiera, infatti, pareva proseguire dritta come una retta che si protende verso l’infinito e così Thomas fu costretto ad inoltrarsi sempre più nel cuore della foresta.
A un certo punto, dopo quasi un’ora che viaggiava, Thomas ammise finalmente che quella foresta era troppo estesa per essere situata nelle vicinanze del suo paese. Tentò allora di dare una spiegazione razionale a ciò che stava accadendo. Per prima cosa pensò che guidando soprappensiero avesse sbagliato strada, ma dovette scartare subito quell’ipotesi, perché era più che certo di aver visto in lontananza il proprio paese. Pensò che nei dintorni del paese fosse esistita a sua insaputa una simile foresta, ma fu troppo forte in lui la certezza che nelle terre dov’era nato c’erano solo boschi; ed inoltre c’erano colline tutt’intorno per decine e decine di chilometri, invece lui aveva già percorso un lunghissimo tratto di una strada pianeggiante ed inspiegabilmente rettilinea. Tentò di scartare con forza ogni pensiero assurdo che gli si presentava nella mente, ma quel buio, quei lampi, il terribile boato dei tuoni, le voci della foresta e quelle della notte gli aprirono ugualmente le porte della paura. Così, in quegli interminabili attimi dove avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro, suo malgrado si vide costretto a proseguire ancora su quella stradina, spinto dal disperato desiderio di trovare un’uscita o uno spazio per invertire la marcia.
Proseguì con affanno ancora per circa un chilometro aumentando sempre più l’andatura; poi però, quando ormai l’angoscia gli era dilagata dentro e si sentiva la gola come stretta da due mani invisibili, la foresta improvvisamente finì aprendosi in un’ampia e desolata radura. Thomas alzò allora istintivamente lo sguardo oltre il parabrezza e vide che il cielo era completamente coperto con una fitta coltre di nuvole scure e i lampi e i tuoni continuavano a squarciarlo con ritmo frenetico.
Si fermò bruscamente al centro di quel grande piazzale e guardò nella direzione rischiarata dai fari dell’auto. Da quella posizione poté intravedere che in fondo, dove ricominciava la foresta, c’erano altre strade che proseguivano. La vista di quelle strade gli ridiede fiducia e così spense il motore dell’auto e tentò di rilassarsi.
Sentì i lugubri suoni emessi dal vento che scuoteva violentemente le cime degli alberi e giunse fino a lui anche il forte e inconfondibile scroscio dell’acqua di un torrente. Poi, a tratti, gli parve persino di udire in lontananza delle voci umane. Fu anche certo, per un attimo, di sentire il sommesso lamento di un uomo ferito che chiedeva aiuto e con lo sguardo lo cercò nell’oscurità. Tuttavia, presto si convinse che laggiù nel cuore di quella dannata foresta non c’era anima viva. C’era solo lui.
Voltò ancora lo sguardo verso il cielo e vide che tra le nuvole scure brillava solitaria una stella. Poi il cielo per un attimo si squarciò e allora riconobbe la costellazione del Toro; e quelle stelle gli fecero ripensare alle sere in cui sulla terrazza di casa osservava con il telescopio le Pleiadi.
Poi le nuvole nere coprirono quella finestra sul cosmo e Thomas si decise a raggiungere, seppur lentamente, il punto da dove ripartivano le strade.
Quando giunse sull’altro lato del piazzale trovò però un’amara sorpresa, perché le strade che aveva visto in lontananza erano tutte prive d’indicazione ed erano una vicino all’altra, divise solo da file di arbusti che proseguendo in avanti si infoltivano sempre più.
Amareggiato proseguì costeggiando il resto del perimetro della radura alla ricerca di un cartello segnaletico, ma ben presto però dovette costatare con ulteriore disappunto che su ogni lato, tutt’intorno, c’erano altre strade, ma tutte erano prive d’indicazione. Thomas tentò allora di razionalizzare nuovamente ciò che stava accadendo, ma il nervosismo gli spazzò via la voglia di pensare. Decise di fare ancora un giro completo, con la tenue speranza di scovare un cartello segnaletico, ma al termine di quella nuova perlustrazione la situazione continuò ad essere assurda come prima. C’erano, infatti, dieci, quindici, forse anche venti strade che sboccavano tutt’intorno al perimetro di quell’immensa radura, ma conoscerne il numero esatto non aveva alcuna importanza per Thomas, perché ormai aveva capito di essersi perso in una specie di labirinto e ora, purtroppo, sapeva anche che la strada da cui era arrivato risultava fatalmente mescolata con le altre.
Thomas inveì a lungo nei confronti di chi aveva costruito quell’assurdo piazzale. Poi, siccome non aveva assolutamente voglia di aspettare che in quel posto passasse qualche auto cui chiedere informazioni e non intendeva neppure attendere la luce del giorno, decise di proseguire verso una direzione qualsiasi. Accese il motore dell’auto, ma non ripartì, perché non era pienamente convinto di proseguire in una direzione qualsiasi e così indugiò ancora un po’ al centro del piazzale cercando di trovare una soluzione migliore.
Si accese una sigaretta, si distese scompostamente sul sedile con i piedi allungati sul cruscotto e rimase così per parecchi minuti fissando il vuoto. Ma il tempo passò inutilmente e così, siccome i pensieri non fluivano, con uno scatto di rabbia Thomas ripartì improvvisamente facendo sgommare l’auto e infine imboccò una strada a caso.
Quella nuova via però si perdeva anch’essa nella foresta tra gigantesche querce, tassi e betulle e in più, ora, con spietata ironia, c’erano anche parecchi spiazzi che gli avrebbero consentito di invertire agevolmente la marcia.
A Thomas venne più di una volta l’idea di tornare indietro, ma ogni volta trovò sempre un motivo apparentemente valido per rimandare quella decisione, quasi che inconsciamente volesse vedere dove portava quella strada. Così continuò ad andare avanti e, dopo che ebbe superato alcuni chilometri di fitta boscaglia, poté finalmente notare che la vegetazione lentamente iniziava a diradarsi. Thomas intuì che la foresta stava per finire e tirò un lungo sospiro. Poco dopo, infatti, la strada sfociò in aperta campagna e proseguì costeggiando i vasti prati che si perdevano nell’oscurità della sera; non c’era però segno di vita tutt’intorno e così l’auto di Thomas sfrecciò solitaria in quella landa desolata, accompagnata solo dal fragore dei tuoni.
Dopo alcuni minuti di solitario viaggiare, però, una debole luce apparve all’orizzonte e quel lumicino sembrò a Thomas, a prima vista, che provenisse da una finestra. Ne ebbe infine la piacevole conferma quando si avvicinò ulteriormente e vide che in fondo alla strada, a non più di cento metri di distanza, c’era sulla destra un vecchio cascinale.
«Finalmente!» esclamò Thomas «in questo maledetto posto ci vive qualcuno. Spero solo che sappia indicarmi la strada per tornare indietro, perché ho i nervi a pezzi!» e così dicendo aumentò l’andatura giungendo, pochi attimi dopo, davanti a quel gruppo di vecchie case.
Si trattava di una grossa cascina composta da alcune costruzioni in pietra fatiscenti e da un’unica casa, che apparentemente poteva essere abitabile non ostante il lugubre aspetto. C’era solo quella debole luce che rendeva il posto quasi umano, ma tutt’intorno, nella penombra, il luogo appariva spettrale.
Thomas diede una lunga occhiata indagatrice a quel cascinale, poi scese dall’auto e si avviò con passo svelto sul sentiero che portava all’aia. L’oscurità comunque era quasi impenetrabile, perché la luna, ora, era nuovamente sommersa in un mare di nuvole nere e la piccola luce che proveniva dalla casa si perdeva a pochi metri da essa. Così Thomas, vagando in quell’oscurità, non vide i rovi che costeggiavano il sentiero e v’inciampò; sprofondò poi con un piede in una pozzanghera e, solo dopo aver attraversato un mare d’ortiche, spine e pietroni, riuscì infine a raggiungere il caseggiato.
Là, davanti alla facciata dell’edificio più sano, seduto su di una panca situata in prossimità della porta d’ingresso, c’era un vecchio che annoiato faceva ruotare tra le mani il suo nodoso bastone. Thomas si avvicinò a lui e con gentilezza gli domandò: «Mi scusi, buon uomo, siccome mi sono perso potrebbe indicarmi per cortesia la strada per arrivare al paese?». Ma il vecchio, invece di rispondergli, alzò lo sguardo e con un cenno della mano gli fece capire di avvicinarsi ulteriormente. Thomas, inchinandosi verso di lui, gli ripeté allora la domanda ad alta voce, ma quello strano personaggio gli rispose in modo apparentemente assurdo.
«Le labbra della saggezza sono aperte solo alle orecchie della comprensione» disse il vecchio con voce ferma ed imperiosa e poi, alzandosi in piedi e guardando negli occhi il suo interlocutore, aggiunse: «Perché vieni a chiedere a me dove si trova il tuo paese? Io potrei indicarti la direzione sbagliata... non lo sai che ogni verità può essere solo una mezza verità e che tutti i paradossi potrebbero essere invece conciliati? Il tuo sogno potrebbe essere la mia realtà; e la tua realtà sarebbe il mio sogno. Solo se riuscirai ad avvicinarti al centro del tuo essere potrai comunicare con me!».
Thomas, per un attimo, rimase disorientato ascoltando quelle frasi ermetiche, ma evitò di rispondere sgarbatamente. L’informazione che voleva però era troppo importante e così lasciò trascorrere alcuni secondi per ritrovare la calma e poi gli ripeté la domanda, formulandola in modo diverso. Con stentata gentilezza Thomas gli disse: «Le ho domandato quale sia la strada per il mio paese perché più indietro…» e con la mano fece segno verso la direzione dalla quale era venuto «… a circa venti chilometri da qui, sono arrivato in un grande piazzale dove confluivano molte strade, tutte sprovviste di indicazione. Ho cercato di tornare indietro, ma la strada dalla quale ero arrivato si confondeva con le altre e così alla fine ho dovuto imboccarne una a caso. Le ho chiesto se poteva darmi un’indicazione, perché lei è la prima persona che ho incontrato e ho premura di tornare a casa». Il vecchio però lo ascoltò distrattamente e, alzando solo per un attimo gli occhi, gli rispose freddamente: «Se volevi rimanere a casa, non dovevi venire qua! Nessuno viene qua per caso e tu non sei certo un’eccezione. Vai a raccontarla a un altro che ti sei perso, ragazzo! Tu sei una spia di quel lurido serpente del Governatore, ma non m’inganni!».
Sentendo quelle parole, che suonavano come un’inutile e sciocca provocazione, Thomas perse la pazienza e alzando la voce replicò: «Ti ho domandato solo un’informazione, vecchio idiota! Non mi pare di aver chiesto molto! ». Quel tono duro però non ebbe alcun effetto, perché il vecchio per tutta risposta si mise tranquillamente a rovistare nella ghiaia con la punta del bastone, come se davanti a lui non ci fosse nessuno. Thomas allora, sempre più alterato, con un gesto della mano lo mandò al diavolo e poi scostò la testa verso la porta semi aperta per vedere se in casa c’era qualche altra persona con cui poter parlare normalmente. Nel frattempo però il vecchio alzò nuovamente la testa verso di lui e con un sorriso sarcastico gli disse: «Prova a entrare se ci riesci!». Thomas si voltò e con rabbia lo guardò dritto negli occhi, soffermando poi lo sguardo, per un attimo, su quel naso aguzzo e quella barba sudicia. Poi controllandosi a stento gli rispose: «Credevo che la tua età potesse essere simbolo di saggezza, ma devo ammettere che mi sono sbagliato. E’ evidente che quelli come te sanno solo autocompatirsi. Il tuo cuore si è indurito come le tue ossa e la paura della morte ti ha già rubato la memoria, la forza e la dignità. Guardati vecchio, tu non sei più un uomo, sei già un cadavere!» e così dicendo si voltò dandogli la schiena. Poi, prima di allontanarsi, aggiunse a voce alta: «Fottiti vecchio; la strada la trovo da solo!» e rimarcò quelle parole con il dito medio della mano destra alzato.
Alcuni attimi dopo, mentre Thomas stava già scendendo il sentiero, il vecchio lo chiamò: «Ragazzo, vieni qui! Devo chiederti alcune cose prima che te ne vai». Thomas si fermò un attimo, indeciso se proseguire o tornare indietro; poi, siccome quello strano personaggio continuava a chiamarlo, lentamente ritornò da lui.
Mentre Thomas stava ritornando sui suoi passi, il vecchio si avviò verso di lui. I due s’incontrarono così ai margini dell’aia, dove la luce rischiarava appena i loro volti, e quando furono abbastanza vicini da guardarsi negli occhi, Thomas gli disse: «Scusami per le parole di prima».
«Non ti preoccupare» gli rispose il vecchio «le parole ormai non mi fanno più paura e alla fine potresti anche aver ragione tu, perché la paura di morire, quando si è vecchi, fa perdere la memoria. In ogni caso è giusto che sia così, perché il ricordo è l’unico legame con il passato e senza di esso è più facile morire. Io però non sono ancora vecchio, ho solo vissuto... diciamo un po’ più di te. Per me la morte solo il punto centrale di una lunga vita... ma tu, che sei ancora così giovane, come puoi pretendere di conoscere ciò che può provare un vecchio verso la morte? Non lo sai che la morte è soggettiva ed è un momento troppo importante e intimo per essere condiviso con gli altri? …Comunque, non era di questo che volevo parlarti ora. Volevo solo sapere il tuo nome, perché il tuo viso improvvisamente mi ha ricordato quello di una persona che non vedo da tanto tempo ormai. Come ti chiami ragazzo?». Ma Thomas, nel frattempo, si era nuovamente spazientito, perché non aveva certo voglia di mettersi a fare discorsi impegnati con un vecchio stralunato. Lui voleva solo ritrovare la strada di casa e così gli rispose freddamente: «Io sono Thomas Mac Greine. E di come ti chiami tu non me ne frega niente!» e così dicendo si avviò ancor più innervosito verso il sentiero.
Il vecchio lo guardò impassibile e poi, mentre nei suoi occhi brillava una strana luce carica di soddisfazione, replicò con fredda calma: «Il mio nome non ha importanza; io sono solo un povero vecchio. Benvenuto, comunque, Mac Greine! Il libro finalmente è stato aperto e l’alfiere bianco muove e darà scacco matto al re nero... Bene! Ricorda, ragazzo, quando avrai bisogno di me, saprai dove trovarmi». Quindi, alzando la voce per farsi sentire da Thomas che ormai era lontano, aggiunse: «Se prosegui su questa strada arriverai presto in città».
Thomas sentendo quelle parole, le uniche che desiderava sentire, si fermò un attimo facendogli cenno di aver capito e poi lo salutò: «Addio vecchio».
«A presto ragazzo» gli rispose l’altro.
Mentre l’auto sfrecciava veloce verso la città, Thomas ripensò alle parole di quel vecchio e ne dedusse che sicuramente era un po’ pazzo; tuttavia il suo intuito rifiutava quella supposizione e suggeriva invece l’ipotesi di aver incontrato una persona speciale. Ma, mentre la ragione litigava con l’istinto e i pensieri cominciavano ad accavallarsi disordinatamente, Thomas sperava che l’indicazione sulla città fosse vera, perché una volta giunto in centro avrebbe trovato sicuramente qualcuno che conosceva il suo paese o, comunque fossero andate le cose, con un telefono avrebbe risolto il problema.
Thomas, in ogni caso, non aveva la possibilità di scegliere dove dirigersi e così proseguì lungo quella serpeggiante stradina di campagna guidando distrattamente e fumando una sigaretta dopo l’altra. Poi improvvisamente la strada si allargò diventando un lungo e pianeggiante rettifilo e in fine, dopo pochi chilometri, cominciò a scendere lievemente finendo poco dopo in una ripida e tortuosa discesa.
A quel punto, imboccando il primo tornante, Thomas finalmente poté scorgere in fondo alla valle una città che risplendeva nella sera con le sue migliaia di luci.
Quella che appariva ai suoi occhi, però, era una città che emanava una sgradevole sensazione di gelo, come fosse circondata da un muro occulto che la difendeva dagli intrusi. Thomas vedendola provò inconsciamente un profondo senso di disagio. Tuttavia, probabilmente, quella sensazione era dovuta solo al fatto che egli si era trovato di fronte ad una città sconosciuta di cui, prima di allora, ne aveva ignorato completamente l’esistenza.
Thomas comunque non ci pensò su poi tanto e, spingendo sull’acceleratore, in breve giunse alla periferia della città. Qui, mentre cercava sui lati della strada una cabina telefonica o qualche poliziotto cui chiedere informazioni, vide finalmente i palazzi e le persone e tutto gli parve normale. Quella normalità però non bastò a rassicurarlo e così gli restò ancora dentro quella sgradevole sensazione di profondo disagio. Poi, siccome stava andando troppo avanti senza riuscire a trovare un telefono, si decise ad accostare per chiedere informazioni ai passanti.
«Signora, scusi...» disse ad un’anziana donna di passaggio «sa dirmi qual é la strada per arrivare al paese?». La donna però lo guardò sgranando gli occhi come se lo straniero le avesse fatto una difficilissima domanda e poi, continuando a camminare sul marciapiede, mentre Thomas la seguiva con l’auto dalla strada, gli rispose isterica: «Io non so niente e non conosco il suo paese». Quindi, cambiando persino direzione per allontanarsi da lui, aggiunse con tono cattivo: «Se ne vada o chiamo i gendarmi!». Thomas guardò allibito quella donna mentre fuggiva velocemente da lui correndo con piccoli e veloci passi e pensò tra sé: ̶ Questa è la serata dei pazzi ̶ .
Poi, mentre stava per ripartire, passò lì vicino un ragazzino che ad occhio e croce poteva avere non più di dodici anni, e così Thomas propose anche a lui la stessa domanda. Ma anche il bambino non seppe rispondergli.
«Sai almeno dove posso trovare un telefono?» insistette Thomas, sforzandosi di apparire sorridente; così quel ragazzino gli rispose imbarazzato: «Deve andare in città, signore. Qui non ci sono telefoni pubblici». Thomas lo ringraziò e poi allibito lo guardò mentre anch’egli scappava via.
Ma cosa sta succedendo questa sera? » si domandò con un filo di voce Thomas, mentre rimaneva fermo con l’auto vicino al margine destro della strada. Quindi, accendendosi nervosamente una sigaretta, aggiunse: «Il piazzale, il vecchio fulminato, questa strana città, e adesso ci mancava anche la vecchia sclerotica e la periferia senza telefoni!». Poi spazientito gettò via la sigaretta appena accesa e ripartì verso il centro della città. Pensò: ̶ Devo assolutamente trovare un telefono, così chiedo a mia moglie di guardare sulla cartina dov’è che sono finito ̶ .
La periferia di quella grande e misteriosa città sembrava non finire mai e Thomas, mentre cercava di schivare le buche dell’asfalto, guardava incuriosito quegli enormi palazzi con le facciate piene di finestre ingombre di panni stesi ad asciugare e, con un po’ di nostalgia, osservava anche i ragazzini che giocavano a pallone sotto la luce dei lampioni. Poi il suo sguardo finì verso il muretto che costeggiava la strada dove c’erano sedute delle ragazze che chiacchieravano tranquillamente godendosi il fresco della sera e così Thomas, per un attimo, pensò che quella città poteva avere anche i suoi lati positivi.
Poi, proseguendo tra i quartieri, la circolazione si fece sempre più caotica fino al punto che si cominciò ad andare a passo d’uomo e così Thomas ne approfittò per cercare con calma un telefono pubblico. «Finalmente!» esclamò quando ne vide uno a pochi metri di distanza. Accostò l’auto salendo con le ruote sul marciapiede e, incurante dei passanti che lo insultavano pesantemente a causa di quella manovra, lo raggiunse correndo. Compose infine il numero di casa e con trepidazione attese la linea. Alcuni secondi dopo però una fredda e metallica voce maschile gli rispose: «Il numero da lei selezionato è inesistente!». Thomas pensò subito di aver sbagliato a comporre il numero e quindi riprovò ancora, ma la voce metallica spietatamente gli ripeté la frase di prima. Provò e riprovò ancora, con la tensione che intanto gli saliva velocemente, ma il risultato fu sempre lo stesso.
̶ Cosa significa tutto questo! ̶ pensò Thomasraggiungendo l’auto con il morale sotto i piedi. Poi rimase nell’abitacolo della vettura, immobile e con lo sguardo fisso nel vuoto, per parecchi minuti ripetendosi che tutto quello che stava accadendo era assurdo. Solo quando ritornò alla realtà il suo sguardo, casualmente, finì sulle targhe delle auto che passavano. Notò così, per la prima volta, uno strano particolare che prima, impegnato com’era nella ricerca di un telefono, non aveva osservato. Vide, infatti, che le targhe di quelle auto erano diverse dalla sua ed erano di un tipo che non aveva mai visto prima. In pratica quelle targhe avevano al posto dei numeri degli strani segni che sembravano assomigliare alle rune celtiche.
Thomas però non si meravigliò più di tanto per quelle targhe insolite. Ormai si rifiutava di accettare quello che gli stava accadendo e tentava ostinatamente di capire perché la realtà gli era improvvisamente diventata così illogica e irrazionale. Lui, che a tempo perso frequentava la facoltà di filosofia, ora si trovava a vivere improvvisamente una situazione assurda, che non gli consentiva di formulare alcuna valida ipotesi esplicativa. Gli rimaneva solo un perché?
, ma senza risposta.
«O sto sognando oppure sono diventato pazzo. Non c’è altra spiegazione!» si disse accendendo l’ennesima sigaretta e poi, guardando ancora le auto che lentamente gli passavano accanto, aggiunse: «Ma io non sto sognando; tutto questo lo vedo con i miei occhi. E non sono nemmeno pazzo! Sto ragionando... ma allora, dove sono finito!» e così dicendo diede un violento pugno sul volante, come se con quel gesto avesse voluto scaricare sull’auto tutta la sua rabbia, ritenendola responsabile di averlo portato in quei posti. «E adesso cosa faccio?!» si domandò ancora e poi, mettendosi istintivamente le mani nei capelli, continuò: «E ora dove vado? Se torno indietro arrivo di nuovo in quel maledetto piazzale; se resto qui devo trovare un posto dove mangiare e dormire... mi dispiace solo che i miei saranno già preoccupati... pazienza, non ci posso fare niente e qui adesso sta venendo notte. Domani, con calma, vedrò cosa fare!». E così dicendo ripartì alla ricerca di un albergo.
Appena s’immise nuovamente nella circolazione, notò un altro particolare insolito. Vide, infatti, che le insegne dei negozi avevano solo nomi generici. C’erano cartelli con scritto solamente: bar, alimentari, cinema, abbigliamento e così via dicendo.
«Città di merda!»