Passare col rosso
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Ma osservando lo sguardo deluso di suo padre, Boris capisce che una scelta è sempre possibile…
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Anteprima del libro
Passare col rosso - Hélène Vignal
Capitolo 1
È perché non avevo le scarpe giuste.
Eppure erano nuove. Ma Johana ha detto che avevano la suola troppo alta e che con quelle zattere che mi ritrovavo al posto dei piedi facevo pena. Andava avanti così da tre mesi: da quando avevo iniziato la scuola media su come vestirsi c’era da perderci la testa.
«Ma sì, ha aggiunto Clovis, e poi… Quel rosso non si può guardare…»
Mi sono guardato le scarpe e Sabine ha cominciato a ridere come un’isterica dandomi del clown.
«Tua sorella!» le ho detto per farla tacere.
Ma sono scoppiati tutti a ridere: invece di calmarli, la mia rabbia li aveva come scatenati. Avrei voluto ridere con loro, anche se poi voleva dire ridere di me.
Ma gli angoli della bocca non ne volevano sapere di alzarsi. Mi accorgevo che così avevo una faccia strana, forse sembravo davvero un clown. Allora mi sono voltato, ho alzato le spalle e tutto quello che sono riuscito a dire è stato:
«Rosse un corno! Col cavolo che non si può guardare!»
Come risposta faceva un po’ pena, anzi faceva veramente pena. Ma non riuscivo a dire altro perché avevo la gola che sembrava di cemento armato. E poi, l’ho detto così piano che non deve aver sentito nessuno.
Con fare disinvolto sono andato verso i bagni. Sentivo dietro di me la risata isterica di Sabine. Sembrava un grido barbarico, mi sono chiesto perché nessuno notava quanto fosse ridicola quella risata che non aveva niente di umano.
Mi sono chiuso in bagno. Sono rimasto lì per un bel po’ a guardarmi le scarpe. Le ho trovate anch’io penose, con quelle suole enormi. E poi il colore! Come mi era venuto in mente di scegliere quel rosso così rosso? Ma dove lo ero andato a prendere poi questo rosso? In tutta la scuola, non ce le aveva nessuno le scarpe rosse. Nessuno tranne io: Boris il clown. Allora, per abbassare le suole, sono rimasto lì a sfregare i piedi per terra, uno dopo l’altro. Mi facevano male le cosce e le ginocchia. Ho deciso di andare avanti fino al suono della campanella. Mentre consumavo le suole, riflettevo su come cambiare il colore delle scarpe. Colorarle con il pennarello, magari indelebile? Impossibile: se ne sarebbero accorti subito tutti e io avrei fatto ancora di più la figura del buffone. Camminare nel fango? Un fango bello nero, tipo letame? O ingegnarmi per far finta di sporcarle per sbaglio con i colori che usiamo nell’ora di arte?
Quando la campanella è suonata, alla fine dell’intervallo, sono andato a sedermi tranquillo. Stavo attento che non si vedesse che questa storia delle scarpe era diventata un’ossessione per me, una tragedia. Ero disperato, mi vergognavo di esserlo, ma nessuno lo doveva sapere. Mentre prendevo posto in classe, mi sono accorto