Ti guardo
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Anteprima del libro
Ti guardo - Vanni Cigarini
Vanni Cigarini, Marco Sessi
Ti guardo
UUID: 97290183-8673-416b-9661-abb550908f5a
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Indice dei contenuti
Prologo
Noi due
1
2
3
4
5
6
7
8
9
La discesa verso l’inferno
10
Io sto con gli ultimi
11
12
La fabbrica degli ammalati
13
14
15
16
Elisabetta e Giuliana
17
Le lenzuola
18
19
Ciao Ma!
Dedica a Carla
20
21
22
23
Che ci posso fare
24
Cosa fai in cielo?
L’ultimo giro
25
26
La rinascita
27
28
29
30
31
32
33
34
35
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37
38
39
40
41
Epilogo
SULLA VIA DELLE COMETE
Provo ad inventarmi il giorno
in cui l’amore avrà il coraggio degli eroi
per regalare come una magia la fantasia...
Provo ad inventarmi il giorno
in cui l’amore avrà il coraggio degli eroi
per piegare il muro dell’ipocrisia con la poesia...
Questo romanzo è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti, luoghi e persone esistenti, o estinti, è puramente casuale e frutto dell’immaginazione degli autori.
Qua non si studia non serve a niente
Se non conosci quel che senti
O se non vedi ad occhi chiusi, i tuoi sentimenti...
(L’insegnante di fantasia di Vanni Cigarini)
Prologo
Mattia torna, si fa per dire, autonomo dopo cinquanta giorni di ricovero forzato presso l’Ospedale psichiatrico l’Arca Del Fiume di Guastalla. Le fasciature rigide hanno permesso di riannodare le arterie e i tendini, fortemente provati dal tentativo di suicidio e gli consentono di riprendere il percorso di recupero presso il centro di salute mentale, ora situato in via Circondaria a Correggio. Come sempre i risultati sono altalenanti, anche perché l’abuso di alcol si è fatto ancora più serio e mette in forte pericolo la sua tenuta fisica e mentale.
Poche settimane dopo le sue dimissioni, riprendiamo anche i nostri appuntamenti domenicali che si tengono a colazione e, dopo la sua solita abbuffata, siamo pronti per le confessioni, altro puntello importante, messo in piedi per mantenere una parvenza di normalità. Lui, come sempre, è stravaccato sul divano mentre io mi posiziono sulla poltrona di fronte perché voglio guardarlo dritto negli occhi e capire se mi racconta le solite frottole, altra abitudine che non riusciamo a sradicare. Con il tempo ho affinato la mia percezione e, osservandolo attentamente, riesco a valutare il suo grado di sincerità. In effetti, raccontare bugie è insito nella natura umana, ma questo è un altro argomento.
Il silenzio si prolunga più del dovuto, poi finalmente
il mio amico ha un sussulto e con tono dimesso dice: «Vecchio, tu mi hai superato in tutto. Hai una vita piena d’impegni, sai fare tante cose: suoni, canti, scrivi canzoni bellissime, tante persone ti ammirano».
«Guarda, non credo che...»
Mi rigiro una ciocca di capelli tra le dita e cerco di porre fine a questa strana adulazione, ma è lui con un gesto perentorio della mano a stopparmi: «Le mie giornate sono vuote e per riempirle, oltre ad ubriacarmi, ogni tanto decido di fare una passeggiata sotto i portici e spesso sento parlare di te. Quando qualcuno mi ferma per chiedermi tue notizie, per qualche attimo mi sento importante ed è una bellissima sensazione. Pensa un po’, mi sono anche chiesto: Perché spesso mi associano a lui?
E sono arrivato alla conclusione che vedendoci insieme durante i nostri giri in centro, in bar, in pizzeria o durante i tuoi concerti, pensano che io sappia tutto di te, come se fossimo fratelli... e un pochino è vero».
Un sorriso sornione si apre sul suo viso: «Per me è un vanto essere il tuo miglior amico».
Colpito e affondato.
Questa sua esternazione mi confonde, ma ha il potere di rendermi orgoglioso, non per quello che dice la gente, ma perché dopo tanto tempo sento Mattia lucido e deciso nell’esposizione dei suoi pensieri. Non mi dà il tempo di controbattere e continua imperterrito, prima denigrandosi, com’è nel suo stile da quanto è malato: «Io non valgo più niente».
«Ti ricordi? Quando eravamo bambini tutti mi rispettavano e la ciurma non muoveva un dito se io non ero presente. Senza di me non si faceva baldoria e non si rideva... poi arrivavo io...»
Ora spunta un lieve sorriso che gli stira qualche ruga: «e il mondo intorno a noi si accendeva. Avevo sempre la battuta pronta, le ragazzine mi correvano dietro, anche se le prendevo continuamente in giro. Anzi la mia capacità di imitare chiunque, ridicolizzando anche gli adulti, era il mio marchio di fabbrica. E se ricordi a volte facevo più imitazioni contemporaneamente, un vero sballo. Addirittura, inventavo barzellette senza senso e tutti ridevano a crepapelle... e quante volte abbiamo tirato fino a tarda notte restando a cazzeggiare in giro. Ogni momento era buono per fare il buffone, ma ero al centro dell’attenzione. Sempre. Mi sentivo vivo».
Si fa serio e per nascondere una lacrima guarda fuori dalla finestra e sono sicuro che sta cercando dentro di sé quel bambino, anzi, gli piacerebbe vederlo passare lungo la strada o correre a perdifiato sulla pista di pattinaggio, il teatro del nostro mondo infantile. Tira su con il naso e sempre senza voltarsi, riparte con voce incrinata: «Sono anni che non ho più la mia vita, non sono più io. Guardami, sono sempre steso sul divano, al buio e parlo volentieri solo con te. Dimmi, tu che con me sei sempre sincero: ma dove sono finito?»
Sono stordito dalla sua precisa disamina. Per un attimo penso che i problemi degli ultimi anni siano il frutto di un brutto sogno, ma so che non è vero.
Mi prendo tutto il tempo necessario per metabolizzare le sue parole, pesanti come cemento e dopo lunghi secondi di silenzio, provo a raccontargli la mia versione dei fatti: «Non è assolutamente vero quello che affermi. Sei una persona che ha tante cose da dire e lo dimostra il discorso che hai appena fatto. Sai ascoltare e con un po’ d’impegno potresti scrivere cose stupende, perché quello che mi hai appena detto è stupendo! È da tempo che ti sprono ad aprire porte nuove e penso sinceramente che tu abbia le capacità per scrivere e per fare tanto altro».
Il mio non è un complimento fatto così, un tanto al chilo, ma perché credo veramente a quello che ho detto e do fondo alle mie certezze: «Hai una fantasia incredibile e, quando vuoi, anche il tuo sorriso è contagioso come ai vecchi tempi. Ti racconto una cosa che ho sempre tenuto per me. Per anni ho creduto che tu avessi il dono della magia. A te riusciva tutto e subito, come a scuola, perché la tua memoria era ed è prodigiosa. Non te ne rendi conto, ma quello che mi stai donando in questi momenti è talmente potente che non riesco nemmeno a descriverlo e mi fa commuovere. Mi hai confidato cose uniche che solo un vero amico può regalare».
Mi mordo le labbra tremanti e gioco l’asso di briscola: «E dove mettiamo le tue stupende figlie?»
Mi fermo un attimo e prendo fiato. Le parole mi sono uscite di getto come se stessero cavalcando un fiume in piena e ho bisogno anch’io di riprendermi. Una cosa è certa, questo dialogo segnerà per sempre la nostra storia, perché è sgorgato dal profondo del cuore. È la verità nuda e cruda.
La staticità del momento è rotta da Mattia che si alza e si rimette subito seduto. Sembra rinfrancato, forse il sentirsi dire che ha delle figlie bellissime, lo ha galvanizzato. Con gesti titubanti apre una carpetta di plastica che contiene alcuni fogli quadrettati. Se li passa da una mano all’altra, piano... piano... come se fossero di cristallo e finalmente ne sceglie uno: «Vecchio ho seguito il tuo consiglio. Anche se sono sicuro di non esserne capace, questa notte ho iniziato a scrivere e ho riempito questi fogli. Mi piacerebbe tanto se un giorno qualcosa di mio potesse diventare una canzone. Una nostra canzone».
«Che meraviglia Mattia, ti va di leggermi quello che hai scelto?» Sono stato completamente preso alla sprovvista e lo incalzo per non perdere l’alchimia che si è creata: «Ha già un titolo?» Sparo a caso la prima cosa che mi viene in mente.
«Ti Guardo…» sussurra con un filo di voce.
Ed inizia a recitare, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «Ti guardo, mentre stai dormendo. E il sole, si sta spegnendo. Ti guardo, ma sono sempre in ritardo. Mi giro, e mi prendo in giro. Ti guardo, in un insolito orario, e scrivo… per dirti che ti amo. Lo specchio, mi rimanda al contrario, e il tempo inchiodato, riflette l’orario, mi guardo, e non mi accorgo che piango, davvero, potevo fare di meglio. Mi guardo, e mi arrovello il cervello, nascosto, dietro a un cappello...».
Quasi si vergogna di quello che ha scritto e letto e mentre mi guarda speranzoso: «Beh... devo ancora finirla» cerca di giustificarsi.
«Mattia, ma è bellissima, posso tenerla? Ti prometto che ci proverò».
«Certo Vecchio, è tua!»
Essere amico
Essere amico è sapere guardare l’altro quando è triste e condividere.
Essere amico è imparare a vedere il buono e il bello che possiede ogni essere e ammirare.
Essere amico è chiedere, dare il perdono e dimenticare.
Essere amico è ringraziare sempre e renderlo felice.
Essere amico è rimanere al fianco di chi non spera più nulla e amare.
(Mattia)
L’arcobaleno…
...eccomi di nuovo con te, con le nostre parole, col tuo modo gentile, di guardarmi negli occhi,
col tuo nuovo racconto, sempre pronto a stupire a lasciare un bel segno.
Tu non te ne vai, tu resti seduto di fronte al mio sguardo, ammirato
per tutti i colori che hai saputo donare.
Per quel modo sincero e svogliato che, ad ogni occasione,
diventava un nuovo dipinto… il tuo arcobaleno…
(Vanni)
Noi due
1
«Mattia, vieni a darmi una mano!» Urlo a squarcia gola, per attirare la sua attenzione.
Dal garage di casa l’ho visto tener banco, come sempre, ma avendo bisogno di un aiuto, chi, se non lui, può venire in mio soccorso?
Al suono della mia voce, si gira e illumina i presenti con il suo accattivante e carismatico sorriso, un gesto con la mano e una battuta, che non sento, ma che immagino, perché tutti se la ridono alla grande, tranne il malcapitato che è stato travolto dalla sua fine e pungente ironia. Anche se a volte le sue freddure fanno male, a dire il vero, quasi sempre, lui le risolve con una semplice alzata di spalle e un: «Lo sai che scherzo!» incurante dell’altrui stato d’animo.
Due pedalate sulla nuova e fiammante bici da cross, desiderio di tutti noi, ma che solo lui ha la possibilità di cavalcare. Regalo ricevuto dal padre, Augusto, che in questo modo si pulisce la coscienza e lo omaggia della promozione a scuola, mentre io, per lo stesso risultato, ho ereditato la bici da donna e pure scassata, di mia sorella.
A velocità folle taglia in due la pista di pattinaggio, sfidando il solleone che si rispecchia sulle finte, ma luccicanti, sospensioni della due ruote, che ha pure il cambio a tre velocità, posizionato sul canotto orizzontale, come se fosse una cloche d’aereo.
Una sbandata controllata, con relativa scivolata sul lucido pavimento piastrellato e una cantilena attesta il suo arrivo: « Ti amo… In sogno, ti amo… In aria, ti amo...se viene testa vuol dire che basta, lasciamoci...ti amo...». Prima che inizi con il suo divagare, prontamente gli chiedo: «Cosa stai cantando? Non l’ho mai sentita».
Con naturale indifferenza mi racconta che sua madre ha acquistato TV Sorrisi e Canzoni e che c’è il testo di questa nuova canzone: «Ieri Carla, mentre usciva dal Bar Cooperativa ha preso in edicola il giornale… sai quello con tutti quegli articoli che non dicono nulla, le foto di personaggi famosi, i programmi della televisione e i testi delle canzoni? Bene, ho letto il testo...».
«E sai già la canzone a memoria? Ma come fai… non sei normale» controbatto un poco compiaciuto, ma anche con un briciolo (macigno) di sana invidia.
Mattia allarga le braccia come a certificare che è più facile imparare a memoria un capitolo di storia o giocare a flipper per ore (con solo 50 lire), piuttosto che trafficare su quella cosa, sulla quale sto versando ettolitri di sudore.
«Cosa stai facendo?» mi chiede più per amicizia, che per reale interesse, continuando nella sua personale esibizione, stonata: « Io sono, ti amo… In fondo un uomo...».
«Sto cercando di costruire uno skate...». Controbatto fiero della bella idea, dando sfoggio della mia bravura nel costruire cose, tanto soldi in casa non ce ne sono… quindi, mi devo arrangiare alla bell’è meglio.
«Con quel pezzo di legno? Chi sei, mastro Geppetto?» ed inizia a sghignazzare con quella sua risata contagiosa, che fa tanti proseliti, ma che in questo momento non mi coinvolge.
«Certo! Ho svitato quattro coppie di ruote dai vecchi pattini di mia sorella e prima di montarle sotto al mio nuovo skate, voglio inchiodare un secondo strato di legno sul primo, per renderlo più robusto». Prendo un’assicella flessibile e con un taglio di traforo la faccio combaciare con l’altra: «Tu, prendi in mano il martello e mentre io le tengo strette, gli dai una bella inchiodata. È tutto molto semplice». Nel suo sguardo noto un certo scoramento, ma lui non volendo farlo vedere, con finta sicurezza prende il martello e lo impugna a metà manico, anzi le nocche sfiorano la testa dell’attrezzo e prima che faccia male a qualcuno, cioè a me, rimescolo le mansioni: «Facciamo così… tu tieni stretto i due legni che ad inchiodare ci penso io.»
Terminato il montaggio, testo immediatamente la robustezza e, fiero del mio risultato, mi fiondo lungo la pista di pattinaggio. Un paio