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La Storia attraverso una qualsiasi famiglia italiana dal 1888 al 2022
La Storia attraverso una qualsiasi famiglia italiana dal 1888 al 2022
La Storia attraverso una qualsiasi famiglia italiana dal 1888 al 2022
E-book365 pagine3 ore

La Storia attraverso una qualsiasi famiglia italiana dal 1888 al 2022

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Info su questo ebook

«Scrivere questo libro è stato un po’ un modo nuovo di raccontare la storia attraverso tre personaggi di epoche diverse ma appartenenti alla stessa famiglia. Leggerlo è come percorrere con un nonno, un papà ed un figlio, la strada della vita, ancor più arricchita dalle emozioni e dai relativi comportamenti dei personaggi citati e comunque un bel raccontare di cosa sia accaduto nell’ultimo secolo e mezzo intorno a noi.»
Nel ripercorrere le vicende della propria famiglia  – e non solo – Marco Damiani ci ricorda come la Storia non sia altro, in fondo, che la vita vissuta intensamente dalle persone che, nel loro unirsi, avvicendarsi, emozionarsi, creano quei tanti tasselli che compongono la parte migliore dell’umanità. In queste pagine possiamo leggere le difficoltà ma anche i legami forti che hanno permesso di lasciare la propria impronta nel mondo, dando vita a una “storia” appassionante.

Marco Damiani nasce il 4 marzo del 1954 a Roma, dove tuttora vive. Quasi laureato in Giurisprudenza (studi con grande dispiacere non ultimati per motivi familiari), ha speso buona parte della sua vita lavorativa prima come manager nella logistica del settore dei trasporti merci nazionali e internazionali,, e poi – in tarda età, per scelta personale – nell’assistenza all’insegnamento dell’informatica agli studenti delle scuole superiori. Attualmente è un tranquillo pensionato con l’hobby della scrittura.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2023
ISBN9788830683556
La Storia attraverso una qualsiasi famiglia italiana dal 1888 al 2022

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    Anteprima del libro

    La Storia attraverso una qualsiasi famiglia italiana dal 1888 al 2022 - Marco Damiani

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Introduzione

    Non so perché in un momento particolare della mia vita (attualmente ho 69 anni), ho sentito il bisogno di scrivere di un passato ormai lontano che coinvolge i componenti più anziani della mia famiglia. Forse sarà perché voglio lasciare delle testimonianze passate a chi oggi vive il presente o addirittura solo raccogliere e conservare quello che eravamo e che non siamo più.

    È chiaro che il pensiero è rivolto ai miei cari più importanti del passato, due patriarchi di generazioni diverse, mio nonno Romano e mio papà Armando, persone così dissimili tra loro sia nel carattere e nel modo di vivere, e che comunque hanno dato un’impronta indelebile al proseguo di questa famiglia.

    Tutto quanto narrato, tengo a precisare, che trattasi di testimonianze, di vera storia vissuta, raccolte direttamente dagli interessati delle due prime generazioni e raccontatemi quasi come si raccontano fiabe avventurose a qualsiasi bambino. E quel bambino così fortunato sono io, e il desiderio di poter condividere certe testimonianze col prossimo, non possono far altro che inorgoglire ancora di più il mio animo.

    Nel narrare quanto raccolto e per completare il susseguirsi degli eventi della nostra storia, è stato d’obbligo aggiungere anche il mio modesto vissuto che, anche se molto meno avventuroso ed interessante di quello dei miei padri, rimane sempre un’altra esperienza di vita di altra epoca da condividere col prossimo.

    Quanto viene citato nelle prossime pagine rispecchia sicuramente un bagaglio di notizie, di cose accadute, di aneddoti e tant’altro che non avrei mai voluto ricordare e conservare solo per me, ma trasmettere, anche con un po’ di velato orgoglio, ai miei figli e ai miei nipoti, come una vera storia di generazioni a confronto negli anni che furono, e che saranno.

    Buona lettura!

    Marco Damiani

    20 settembre 1888 - Nascita di mio nonno Romano

    Tutto iniziò il 20 settembre del 1888 in una calda notte romana nei pressi di una modesta casa in zona piazza del Popolo a Roma, quando dopo un lungo travaglio venne alla luce mio nonno Romano.

    Piazza del Popolo

    Roma 1888

    All’epoca si usava partorire in casa con l’ausilio di una buona levatrice, tanta acqua calda, tante lampade ad olio accese per fare tanta luce nel caso fosse stata sera e soprattutto tanta, tanta speranza che tutto potesse andar bene. I papà dal canto loro venivano quasi cacciati dalla camera da letto dove solitamente avveniva il parto, per attendere fuori anche lunghe ore i primi vagiti del nascituro.

    Ma prima di proseguire nel racconto vorrei soffermarmi un attimo sul papà di Romano, di cui purtroppo non ricordo il nome, e del suo trascorso storico. Nacque a Roma il 24 settembre 1863 proprio mentre a Roma veniva inaugurato il Ponte dell’Industria, originariamente chiamato Ponte S. Paolo e noto come Ponte di Ferro, oggetto ai nostri giorni tra l’altro di un grosso incendio che ne ha parzialmente limitato l’uso. La cerimonia inaugurale di allora venne presenziata dal Pontefice Papa Pio IX che, mentre benediva la struttura, per la prima volta transitò sul nuovo ponte con la linea ferroviaria Roma-Civitavecchia.

    Il Regno d’Italia da due anni si era unificato, ma lo Stato Pontifico e Roma non ne facevano ancora parte.

    Inaugurazione Ponte di Ferro

    Roma 1863

    Il mio bisnonno (papà di Romano) anch’esso proveniva da una umile e numerosa famiglia e il suo fratello maggiore Ferdinando, che addirittura era quasi venti anni più grande di lui (era del 1844), nel 1867 e precisamente il 3 novembre partecipò come volontario garibaldino al fianco del grande Giuseppe Garibaldi alla battaglia di Mentana, dove purtroppo perse la vita per il suo vero ed unico ideale patriottico.

    Adesso la sua memoria è ricordata col suo nome scritto insieme ad altri eroi sul monumento ai caduti di quella battaglia proprio nella cittadina di Mentana vicino Roma. Il mio bisnonno a quei tempi aveva solo 4 anni e non ricordò certo il dolore che visse la sua famiglia, che partecipò a quel lutto con tanta dignità ed onore. Ma ricordò bene, perché aveva già 7 anni, il giorno del 20 settembre 1870, la presa di Roma, nota anche come la Breccia di Porta Pia, l’episodio del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia. E ricordò pure l’anno successivo quando il 2 luglio del 1871 la capitale d’Italia fu trasferita a Roma. In precedenza infatti le capitali del Regno d’Italia erano state prima Torino e poi Firenze.

    Ritornando a mio nonno Romano, c’è da dire che era il terzo di otto figli. Eh sì, all’epoca le famiglie erano molto numerose. Più la famiglia era modesta, più era numerosa. D’altronde grossi svaghi non esistevano. I mariti lavoravano tutto il giorno e le mogli nel frattempo erano intente a seguire i figli, rassettare la casa, fare il bucato a fiume, fare la spesa e preparare da mangiare con tutti gli annessi e connessi, ed è chiaro che a tarda sera quando rientrava il marito in casa ed i figli dormivano, si faceva l’amore e si facevano figli.

    La Breccia di Porta Pia

    Roma 1870

    Romano cresce

    Intanto Romano cresceva e diventava un bel bambino. Le mamma all’epoca allattavano fino ed oltre i due anni i propri figli e chi aveva tanto latte addirittura allattava anche altri bambini di mamme con poco latte o che non ne avevano affatto. E se vogliamo fare un paragone con i giorni d’oggi, si evidenzia, con un po’ di incredulità, di come la natura umana sia poi così tanto cambiata proprio nel rapporto madre-figlio nei primi mesi di vita del nascituro.

    I bambini a quei tempi vivevano molto la strada e per questo crescevano sempre più in fretta. I giocattoli, soprattutto per le famiglie modeste, erano una rarità e i giochi più belli erano proprio quelli che si facevano per strada all’aria aperta. Tra questi quelli più ‘‘giocati’’ erano Acchiapparella detto anche Ce l’hai o Acchiappino, Nascondarella (nascondino), Aquilone, Altalena, Dondolo, Scaricabarile, Schiaffo del soldato, Gioco della morra ecc., insomma tanta fantasia e tantissimo movimento.

    Romano va a scuola e incontra Trilussa

    Ma ahimè purtroppo oltre al gioco c’era anche la solita scuola mai amata dai bambini sia di allora che da quelli di oggigiorno, e a sei anni Romano iniziò la sua scuola. A fine ‘800 riuscire a fare fino alla quinta elementare equivaleva ad un diploma dei giorni d’oggi, ed era davvero difficile concludere la scuola dell’obbligo che durava proprio cinque anni. Parliamoci chiaro, non è che i bambini di fine Ottocento fossero meno intelligenti dei nostri attuali figli, ma il contesto in cui viveva la scuola era troppo difficile. I bambini, soprattutto quelli delle famiglie modeste, erano costretti per aiutare la propria famiglia ad andare a lavorare anche in tenera età o addirittura per i più grandi quello di fare da babysitter ai tanti fratelli. Lavorare e studiare era difficilissimo e a quei tempi per i ragazzi che si assentavano parecchio c’erano una infinità di bocciature. Si riusciva a ripetere l’anno anche tre volte per la stessa sezione, ed in quinta classe si potevano trovare anche ragazzi di oltre 14 anni, e in queste condizioni si può capire perché arrivare alla terza classe era un buon risultato. Risultato che Romano centrò all’età di 10 anni. Per lui che era di Piazza del Popolo (per chi non conosce Roma, parliamo di una delle piazze più belle di Roma) la mamma scelse una scuola vicino casa a 5 minuti a piedi, la scuola era la scuola Ruspoli di via Gesù e Maria che incredibilmente ancora oggi è attiva (edificio del 1884).

    Scuola Elementare Ruspoli

    anno di costruzione 1884

    Mastro Titta

    Ma prima di continuare con la scuola di Romano, vorrei soffermarmi per un attimo su Piazza del Popolo. Oltre alla bellezza, questa piazza in passato era stata anche teatro di eventi luttuosi, basti pensare al patibolo che anni prima veniva istallato per le pene di morte da eseguirsi con la ghigliottina. Il papà a Romano, oltre che della storia del Risorgimento da lui vissuta da bambino, spesso era solito parlare di un certo Mastro Titta, il boia più famoso di Roma che nella sua carriera di carnefice aveva giustiziato più di 500 persone. Il papà di Romano raccontava questi eventi quasi fossero gesta eroiche, insomma qualcosa di cui vantarsi e raccontava così: Ero piccolo ma c’ero anche io... mio padre mi ci portava sempre a vedere le condanne... Pensa alla mia epoca ho conosciuto il grande e mitico Mastro Titta.

    Trilussa

    Cosa invece che ritengo davvero mitica è che mio nonno Romano nel corso della sua vita conobbe davvero l’immenso Trilussa. Mi raccontava che spesso soprattutto la domenica Trilussa (vero nome Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri) era solito passeggiare per Piazza del Popolo. Romano era un ragazzino e Trilussa già un uomo, credo ci passassero 17 anni di differenza e, a sentir lui, era una persona molto cordiale e alla mano. È chiaro che con gli anni a venire fin quanto Romano rimase nel suo quartiere, ed aveva la possibilità d’incontrarlo e parlarci, la popolarità di Trilussa divenne sempre più grande. Ma che bello sapere che un tuo avo ha conosciuto Trilussa. Non ci posso credere!

    Tornado al discorso della scuola interrotto poco fa, c’è da evidenziare che a quei tempi le mamme con tutti i figli che avevano da accudire, non accompagnavano i bambini a scuola e tanto meno li seguivano nei compiti da fare a casa. Il maestro o la maestra all’epoca oltre ad essere molto severi e maneschi erano molto rispettati dalle famiglie. Erano i veri educatori dei figli e tutto quello che facevano, col bene placido dei genitori, si diceva che era sempre ben fatto proprio per il bene dello scolaro stesso...

    Romano comunque a prescindere dalla severità dei docenti non era uno stinco di santo ed ogni tanto ne combinava una delle sue. In primis era quasi sempre in ritardo, ma il motivo non era perché fosse un bambino dormiglione, bensì il fatto che essendo un grande amante dei cavalli era solito fermarsi, prima di scuola, presso la fontana dei leoni di Piazza del Popolo a fare cavalluccio sui leoni di marmo, come un vero cavallerizzo. E un giorno la combinò proprio grossa. In una calda giornata d’inizio giugno del 1896, di mattina presto nel tragitto tra casa e scuola, si fermò vicino a degli alberi e, arrampicandosi, prese due o tre manciate di cicale ancora dormienti ed infreddolite e se le mise dentro la maglietta all’altezza del petto e se le portò a scuola. Verso le 10 cominciò a fare caldo e le cicale cominciarono a muoversi e a dare fastidio al petto di Romano che, preso dal prurito, si aprì la maglietta e in piena ora di lezione diede la libertà ed il volo a tutte quelle cicale. Potete immaginare la scena in classe e la sinfonia emessa dagli insetti. Un caos totale. Conclusione sospensione di Romano con conseguente punizione a casa: a letto senza cena.

    Se oltre alla disciplina poi vogliamo parlare del profitto scolastico, la musica non cambiava di certo. Il ragazzino purtroppo scriveva come parlava e parlando in dialetto romanesco potete immaginare cosa usciva dai suoi scritti. Resta memorabile il riassunto sulla storia della piccola vedetta lombarda tratto dal libro Cuore di Edmondo De Amicis, nel momento in cui l’ufficiale italiano da terra esortava il ragazzino di vedetta su di un grosso albero a scendere perché era stato scoperto dagli austriaci. Romano quel momento lo riassunse scrivendo così: scegni, scegni, che te hanno svacato; tradotto in italiano: scendi, scendi che ti hanno scoperto. Chiaramente il voto del riassunto fu una insufficienza, una delle tante. Però se l’italiano era il suo tallone di Achille, c’è da dire che in bella scrittura ed in aritmetica andava molto bene.

    1898: Romano, pur bambino, inizia a lavorare

    Finita la scuola nel 1898, Romano iniziò a lavorare definitivamente: pensate aveva dieci anni. Cominciò come maniscalco e a seguire come facocchio. Per meglio specificare cosa facesse Romano, dobbiamo fare un piccolo paragone con i giorni nostri. All’epoca le automobili erano rarissime, quasi inesistenti, ed i cavalli e le carrozze erano i mezzi di locomozione in uso. Quindi possiamo dire che il maniscalco che ferrava i cavalli era l’attuale nostro gommista, mentre il facocchio, che era un falegname, fabbro e costruttore e riparatore di carri, era l’equivalente del nostro carrozziere.

    Romano apprese subito il mestiere e cominciò a lavorare al fianco del padre come carrettiere che per l’epoca era paragonabile all’attuale padroncino trasportatore che consegna merci, in particolare sacchi di farina. Il papà con anni di sacrifici era riuscito a farsi un gran carro condotto da un cavallo incredibilmente forte.

    Mestieri antichi - Il facocchio

    Carro e cavallo chiaramente gli davano la possibilità di lavorare sempre e mantenere in modo dignitoso una famiglia così numerosa. Il padre di Romano lavorava al grande Molino Pantanella di Roma che all’epoca era ubicato in via dei Cerchi, e dava da lavorare a parecchia gente.

    E l’anno successivo, per la cronaca e per la storia, ed esattamente l’11 luglio 1899 a Torino nasceva la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) la più grande azienda italiana che, nel tempo a seguire, segnò in gran parte la storia della economia del nostro paese e del suo sviluppo.

    Atto di nascita della Fiat

    Torino 11 luglio 1899

    1907: Romano parte per il militare - 1908: Terremoto di Messina

    Gli anni passavano e ormai Romano era diventato bravo quasi come il papà, ma era il 1907 quando arrivò la cartolina per andare a prestare il servizio militare presso il Regio Esercito. Sarebbero stati due anni lontano da tutti, due anni che nella mente di Romano risuonavano quasi sicuramente come due anni persi. Il ragazzo stava preparando il suo futuro e all’improvviso tutto doveva fermarsi, non ci poteva credere.

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