Spedizione dei Mille: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m La spedizione: correzione ortografica
m Annullata la modifica di 2A02:B021:11:529B:CE04:929C:2861:D088 (discussione), riportata alla versione precedente di Luigi Coco
Etichetta: Rollback
 
Riga 1:
{{conflitto
La '''spedizione dei Mille''' è un celebre episodio del [[Risorgimento]] [[Italia|italiano]] del [[1860]], nel quale un corpo di volontari al comando di [[Giuseppe Garibaldi]] sbarcarono nel meridione, alla conquista del [[Regno delle Due Sicilie]] controllato dai [[Borboni]].
|Tipo = Operazione militare
|Nome del conflitto = Spedizione dei Mille
|Parte_di = del [[Risorgimento]]
|Immagine = Partenza da Quarto.jpg
|Didascalia = La partenza dei Mille da [[Quarto dei Mille|Quarto]]
|Data = 5 maggio [[1860]] – [[Incontro di Teano|26 ottobre 1860]] o [[Assedio di Gaeta (1860)|17 gennaio 1861]]
|Luogo = [[isola di Sicilia|Sicilia]] e successivamente [[Italia meridionale]]
|Esito = Vittoria garibaldina, annessione del Regno delle Due Sicilie al [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], futura [[Unità d'Italia]]
|Schieramento1 = {{SAR 1851-1861}} <br />{{•}}[[File:Flag of Italy (1861–1946).svg|bordo|20px]] [[I Mille]]<br />{{•}}[[File:Flag of Italy (1861–1946).svg|20px|border]] [[Esercito meridionale]]
|Schieramento2 = [[File:Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1738).svg|bordo|20px]] [[File:Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1860).svg|20px|border]] [[Regno delle Due Sicilie]]
|Comandante1 = [[File:Flag of Italy (1861–1946).svg|20px|border]] [[Giuseppe Garibaldi]]
|Comandante2 = [[File:Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1738).svg|bordo|20px]] [[File:Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1860).svg|20px|border]] [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]]
|Effettivi1 = * {{formatnum:1162}} alla [[Partenza della spedizione dei Mille da Quarto|partenza da Quarto]]
* {{formatnum:50000}} dopo la [[battaglia del Volturno]]
** {{formatnum:20000}} provenienti dalle [[Sbarchi dei rinforzi alla spedizione dei Mille|spedizioni successive alla prima]]
** {{formatnum:30000}} volontari dell'[[Esercito meridionale]].
|Effettivi2 = * {{formatnum:90000}} in tempo di pace (a cui vanno aggiunti {{formatnum:40000}} della riserva e {{formatnum:3400}} di reggimenti esteri).
|Note = {{Cita|Trevelyan 1909|p. 170}}; {{Cita|Banti|p. 115}}.
}}
{{Campagnabox Spedizione dei Mille}}
 
La '''spedizione dei Mille''' fu uno degli episodi cruciali del [[Risorgimento]]. Si svolse dal [[1860]] al [[1861]] quando un [[I Mille|migliaio di volontari]], al comando di [[Giuseppe Garibaldi]], partì nella notte tra il 5 e il 6 maggio da [[Quarto dei Mille|Quarto]] (borgo di [[Genova]] e allora [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]]), alla volta della [[isola di Sicilia|Sicilia]], che faceva parte del [[Regno delle Due Sicilie]].
== La spedizione ==
Lo scopo della spedizione era di rovesciare il governo borbonico e appoggiare le rivolte scoppiate sull'isola.
La spedizione parte il [[6 maggio]] [[1860]] dallo scoglio di Quarto (vicino a [[Genova]]). Circa [[mille]] volontari (alcuni dicono che per l'esattezza fossero 1089, tra cui una donna) s'imbarcano sulle navi ''Il Piemonte'' e ''Il Lombardo''. Dopo una breve sosta allo scoglio di [[Talamone]], il [[7 maggio]], per rifornirsi di armi, le navi ripartono per la [[Sicilia]].
I garibaldini sbarcarono l'11 maggio presso [[Marsala]] e, con il contributo di volontari meridionali e a rinforzi alla spedizione, aumentarono di numero, creando l'[[Esercito meridionale]].
Le navi sbarcano a [[Marsala]] l'[[11 maggio]], con qualche aiuto da parte delle navi [[Gran Bretagna|inglesi]] presenti nel porto per eludere le navi da guerra borboniche.
 
Dopo una campagna di pochi mesi con alcune battaglie vittoriose contro [[Esercito delle Due Sicilie|l'esercito borbonico]], i Mille e il neonato esercito meridionale riuscirono a conquistare tutto il [[Regno delle Due Sicilie]], permettendone l'annessione al nascente [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]].
Il [[14 maggio]] a [[Salemi]] Garibaldi dichiara di assumere la [[dittatura]] della Sicilia in nome di [[Vittorio Emanuele II|Vittorio Emanuele re d'Italia]].
 
== Premesse ==
I mille vincono, seppure a fatica, la prima battaglia a [[Calatafimi]] il [[15 maggio]] contro circa 2000 soldati borbonici. Nel frattempo i mille sono diventati circa 1200 con l'arrivo di popolazione locale.
[[File:Massacro di perugia napoleone verga.jpg|upright=1.4|miniatura|Massacro di Perugia compiuto dai mercenari svizzeri]]
La [[seconda guerra d'indipendenza italiana|seconda guerra di indipendenza]] terminò l'11 luglio [[1859]]; i termini dell'[[armistizio di Villafranca]], voluto da [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]], che riconoscevano al Regno di Sardegna la [[Lombardia]] (con l'esclusione di [[Mantova]]), ma lasciavano Venezia e tutto il [[Veneto]] in mano austriaca, avevano creato malcontento in gran parte dei patrioti unitari italiani.
Già da maggio 1859 le popolazioni del [[Granducato di Toscana]], della [[Legazione delle Romagne]] ([[Bologna]], [[Ferrara]], [[Ravenna]] e [[Forlì]]), del [[Ducato di Modena]] e del [[Ducato di Parma e Piacenza|Ducato di Parma]] avevano scacciato i propri sovrani e richiesto l'annessione al Regno di Sardegna, mentre il governo pontificio aveva ripreso pieno possesso dell'[[Legazione dell'Umbria|Umbria]] e delle [[Legazione delle Marche|Marche]], le cui popolazioni subirono una dura repressione, culminata il 20 giugno 1859 nelle sanguinose [[stragi di Perugia]] ad opera delle truppe svizzere pontificie al servizio di [[Pio IX]].
Napoleone III e [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] erano reciprocamente in debito: il primo poiché si era ritirato dal conflitto prima della prevista conquista di Venezia, il secondo perché aveva consentito che i moti si estendessero ai territori dell'Italia centro-settentrionale, andando quindi oltre quanto convenuto con gli [[accordi di Plombières]].
 
Lo stallo politico venne risolto il 24 marzo 1860, quando Cavour sottoscrisse la [[Trattato di Torino (1860)|cessione]] della [[Savoia (regione storica)|Savoia]] e del [[circondario di Nizza]] alla [[Francia]], ottenendo in cambio il consenso dell'imperatore francese all'annessione della [[Toscana]] e dell'[[Emilia-Romagna]] al Regno di Sardegna.
Aiutato da un'insurrezione popolare, tra il [[27 maggio|27]] e il [[30 maggio]] Garibaldi conquista [[Palermo]].
 
Il [[20 luglio]] le truppe borboniche vengono sconfitte a [[Milazzo]].
 
== Il contesto storico ==
Il [[19 agosto]] Garibaldi sbarca in [[Calabria]], in netto contrasto con [[Camillo Benso conte di Cavour | Cavour]], ma con il tacito assenso di [[Vittorio Emanuele II]]. Garibaldi dispone ormai di circa ventimila soldati. In Calabria non viene incontrata resistenza significativa, mentre interi reparti dell'esercito borbonico si disperdono o passano con le sue truppe.
[[File:Italy (March 1860).PNG|miniatura|La penisola italiana nel marzo del 1860.
{{legenda|#0080FF|[[Ducato di Savoia|Savoia]] e [[Contea di Nizza|Nizza]]}}
{{legenda|#FFFF80|[[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]]}}
{{legenda|#FF00FF|[[Regno Lombardo-Veneto]]}}
{{legenda|#00FF00|[[Stato pontificio]]}}
{{legenda|#FF0000|[[Regno delle Due Sicilie]]}}|sinistra]]
Nel marzo 1860 esistevano in [[Italia]] tre Stati: il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]], comprendente [[Piemonte]], [[Valle d'Aosta]], [[Liguria]], [[Sardegna]] e ora [[Lombardia]] (eccetto [[Mantova]]), [[Emilia-Romagna]] e Toscana; lo [[Stato Pontificio]], comprendente [[Umbria]], [[Marche]], [[Lazio]] e le [[exclave]] di [[Principato di Pontecorvo|Pontecorvo]] e [[Principato di Benevento (età napoleonica)|Benevento]]; il [[Regno delle Due Sicilie]], comprendente [[Abruzzo]] (inclusa [[Distretto di Cittaducale|Cittaducale]]), [[Molise]], [[Campania]] (incluse [[Distretto di Gaeta|Gaeta]] e [[Distretto di Sora|Sora]]), [[Basilicata]], [[Puglia]], [[Calabria]] e [[Sicilia]]. A questi si può aggiungere la piccola [[San Marino|Repubblica di San Marino]], che tuttavia si era sempre mantenuta distante da ogni spinta unificatrice col resto della penisola.
 
Bisogna aggiungere che l'[[Impero austriaco]] di [[Francesco Giuseppe I d'Asburgo|Francesco Giuseppe]] poteva ancora essere considerato una potenza con forti interessi nella penisola italiana, poiché possedeva intere regioni come il [[Regno Lombardo-Veneto]] (ora limitato a [[Veneto]], [[Friuli]] e [[Provincia di Mantova (Lombardo-Veneto)|Mantovano]]), il [[Trentino]] e la [[Venezia Giulia]], anche se non controllava più nemmeno indirettamente né la Toscana né [[Modena]], governate fino al 1859 dai rami cadetti degli [[Asburgo-Lorena di Toscana]] e degli [[Asburgo-Este]], succeduti alle antiche casate dei [[Medici]] e degli [[Este]].
Il re [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] abbandona Napoli per organizzare la resistenza nella [[fortezza]] di [[Gaeta]] e sul fiume [[Volturno]], cosicché, il [[7 settembre]], Garibaldi può entrare in città accolto da liberatore e quasi senza scontri, pur essendo ancora presenti abbondanti truppe borboniche.
 
La [[Secondo impero francese|Francia]] si presentava nel doppio ruolo di potenza protettrice di Roma e principale alleato del Regno di Sardegna. Questa condizione permise a Napoleone III di possedere forte influenza sulle faccende italiane sino alla fine del suo impero ([[guerra franco-prussiana]] del 1870) e sarà determinante nel 1860. L'imperatore dei francesi, difatti, impediva al Regno di Sardegna tanto un'azione contro l'Austria (senza il suo sostegno), quanto un'azione contro Roma (con la sua opposizione), in base agli [[accordi di Plombières]].
In seguito avviene la decisiva [[battaglia del Volturno]], dove Garibaldi (nel frattempo 'affiancato' dall'esercito del [[Regno di Sardegna]], sceso attraverso le [[Marche]] e l'[[Umbria]]) sconfigge definitivamente l'esercito borbonico (circa 50.000 soldati). La battaglia termina il [[1 ottobre]] (altri dicono il 10 ottobre).
Il Regno delle Due Sicilie era guidato da un monarca giovane e inesperto ([[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II di Borbone]], succeduto al padre [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]] solo il 22 maggio 1859, meno di un anno prima della spedizione); nel 1836 il reame borbonico aveva peggiorato le relazioni con il [[Regno Unito]], a cui aveva dovuto la sopravvivenza durante il periodo napoleonico, con la "[[questione degli zolfi]]"<ref>{{cita libro|cognome=Alianello|nome=Carlo|titolo=La conquista del Sud|anno= 1982|editore= Rusconi|città=Milano|pp=15-16|isbn=88-18-01157-X}}</ref>. Infine, il Regno delle Due Sicilie era caduto in una sorta di isolamento diplomatico<ref>{{cita libro|cognome=Di Nolfo|nome=Ennio|titolo=Europa e Italia nel 1855-1856|anno=1967|editore=Istituto per la storia del Risorgimento italiano|città=Roma|p=412|ISBN=no}}</ref>: aveva infatti rifiutato la partecipazione alla [[guerra di Crimea]] al fianco di Francia e Regno Unito, al cui fianco viceversa aveva partecipato il Regno di Sardegna, e finì con il poter contare solamente sulle proprie forze.
 
Il regno meridionale era ancora lo stato più esteso della penisola e poteva fare affidamento sull'esercito più numeroso, forte di {{formatnum:93000}} uomini (oltre che di 4 reggimenti ausiliari di mercenari) e sulla [[Marina delle Due Sicilie|flotta]] più grande di stanza nel [[Mediterraneo]] (11 fregate, 5 corvette e 6 brigantini a vapore, oltre a vari tipi di navi a vela). Come amava ricordare Ferdinando II, era difeso "dall'acqua salata e dall'acqua benedetta", cioè dal mare e dalla presenza dello Stato della Chiesa che, protetto dalla Francia, avrebbe teoricamente impedito ogni invasione via terra dal nord Italia<ref>{{cita libro|autore=[[Arrigo Petacco]]|titolo=Il regno del Nord: 1859: il sogno di Cavour infranto da Garibaldi|anno= 2009|editore= Arnoldo Mondadori Editore|città=Milano|p=142|isbn=88-04-59355-5}}</ref>.
Subito dopo si svolge un [[referendum]] per l'annessione del Regno delle due Sicilie al Regno di Sardegna, che ottiene uno schiacciante risultato a favore dell'annessione. E' forse da notare il fatto che all'epoca i referendum erano chiamati [[plebiscito|plebisciti]] ed avevano sempre risultati scontati.
Nell'autunno-inverno del 1859 Francesco II propose a Francesco Giuseppe (marito di sua cognata, l'[[Elisabetta di Baviera|imperatrice Elisabetta]]) di intervenire a sostegno delle rivendicazioni di [[Pio IX]], di [[Ferdinando IV di Toscana]] e dei duchi di [[Francesco V d'Este|Modena]] e [[Roberto I di Parma|Parma]] per restaurare i deposti sovrani sui loro troni e territori in [[Italia centrale]], spodestati dalle insurrezioni, non previste negli accordi di Plombières.
Tuttavia, l'Austria, appena uscita militarmente sconfitta dal conflitto della seconda guerra d'indipendenza, non era più in grado di rivestire quel ruolo di restauratore che aveva svolto nei passati decenni e declinò la proposta. L'iniziativa si scontrava direttamente con la politica di Torino e, di conseguenza, di Parigi, dal momento che Napoleone III, per giustificare all'opinione pubblica francese la guerra condotta contro l'Austria, doveva annettere alla Francia i territori oggetto degli accordi di Plombières<ref>{{cita libro|cognome=Bianchi|nome=Nicomède|url= http://books.google.it/books?id=eLlStgD6TRMC&pg=PA82|accesso=22 settembre 2010|titolo=Il conte Camillo di Cavour: documenti editi e inediti|anno= 1863|editore=Unione tipografico-editrice|città=Torino|pp=82-88|ISBN=no}}</ref>.
 
Quando negli ambienti diplomatici europei, nell'autunno 1859, circolò l'idea di una conferenza riguardante la risistemazione dell'Italia a seguito dei recenti eventi, Francesco II si dimostrò indifferente, non cogliendo l'opportunità di mostrare una presenza attiva internazionalmente<ref>{{Cita|Oliva|p. 230}}.</ref>.
L'impresa dei mille si può considerare terminata con l'incontro di [[Teano]] tra il re Vittorio Emanuele II e Garibaldi del [[26 ottobre]] [[1860]], oppure - secondo altri - con l'ingresso del re a [[Napoli]] il successivo [[7 novembre]]. Garibaldi chiede al re di restare ancora per un anno come [[dittatore]] nei territori del [[Regno delle Due Sicilie]]. A seguito del rifiuto del re, si ritira nell'isola di [[Caprera]].
 
=== La situazione nel Regno delle Due Sicilie ===
== Importanza della spedizione ==
{{vedi anche|Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1860#Inquadramento storico}}
[[File:Pisacane morte.jpg|miniatura|La morte di [[Carlo Pisacane]], massacrato dai contadini di Sanza incitati dai notabili filoborbonici]]
 
Nel corso degli anni erano state diverse le ribellioni che i [[Borbone di Napoli|Borbone]] avevano dovuto sedare: i [[Storia della Sicilia borbonica#Moti del 1820|moti siciliani]] del [[1820]] e del [[1837]], la rivoluzione calabrese del 1847<ref group="N">dove [[Domenico Romeo]], nel settembre del 1847, fu a capo di una rivolta, di cui è considerato l'ideatore, il promotore e l'organizzatore. Egli ordì una trama tra Calabria, Sicilia e Basilicata che coinvolse i veterani della Carboneria, e che, in accordo con i patrioti siciliani, doveva propagarsi in tutto il Regno. Il 3 settembre, con 500 insorti, occupò [[Reggio Calabria|Reggio]], ma, non essendoci unità d'intenti tra i dissidenti, la rivolta fallì e venne repressa nel sangue. Romeo fu decapitato, mentre a [[Gerace]] vennero fucilati cinque insorti: [[Michele Bello]], [[Rocco Verduci]], [[Pierdomenico Mazzone]], [[Gaetano Ruffo]] e [[Domenico Salvadori]].</ref>, la [[rivoluzione siciliana del 1848]]-1849 e quella calabrese dello stesso anno<ref group=N>La rivolta fu capeggiata da [[Benedetto Musolino]], che istituì un Governo provvisorio a [[Cosenza]].</ref> e il [[Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1848|movimento costituzionale napoletano del 1848]].
Alcuni ritengono che la spedizione dei mille sia un episodio per certi aspetti sopravvalutato, o quantomeno narrato in modo "[[agiografia|agiografico]]", della [[storiografia]] tradizionale; il rischio sarebbe quello di attribuire un’importanza eccessiva ad un episodio che coinvolse un migliaio di soldati irregolari, trascurando quella fase ben più significativa che va normalmente sotto il nome di “repressione del [[brigantaggio]]” ed arrivò a coinvolgere fino a 140.000 soldati piemontesi (Rif. Villari).
Dal punto di vista militare, fondamentale era stata l'alleanza e il sostegno militare dell'[[Impero austriaco]].
Per due volte, infatti, i Borbone avevano riguadagnato il trono in seguito all'intervento degli eserciti austriaci: nel [[1815]] l'austriaco [[Federico Bianchi]] aveva sconfitto l'esercito napoletano di [[Gioacchino Murat]], cognato di [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]], nella [[battaglia di Tolentino]] e nel [[1821]] l'austriaco [[Johann Maria Philipp Frimont]] aveva sconfitto un secondo esercito napoletano, quello di [[Guglielmo Pepe]], nella [[battaglia di Rieti-Antrodoco]].
Nel 1849 le forze borboniche, che cercavano di invadere la [[Repubblica Romana (1849)|Repubblica Romana]], furono affrontate e vittoriosamente respinte dai volontari italiani comandati da Garibaldi.
Nel giugno 1859 si ebbe una rivolta di una parte dei reggimenti di [[mercenario|mercenari]] svizzeri (il 3º Reggimento Svizzero), in conseguenza del fatto che il governo [[Confederazione Elvetica|elvetico]] quell'anno aveva deciso che i suoi cittadini non avrebbero più potuto prestare servizio militare in potenze straniere<ref>{{Cita|de Cesare|p. 15}}.</ref>, e parte delle truppe mercenarie al soldo dei Borboni vennero disciolte<ref>{{Cita|Oliva|p. 231}}.</ref>.
 
I liberali napoletani, comunque, non avevano avuto la forza sufficiente per imporre una costituzione nemmeno dopo la [[battaglia di Solferino e San Martino]].
Nell’iconografia tradizionale, la discussa figura di [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] assume facilmente le sembianze dell’[[eroe]] che combatte e vince contro un esercito ben più numeroso, mentre i tanti “[[brigantaggio|briganti]]” che in seguito combatterono contro un ben più organizzato esercito piemontese ebbero il torto di essere dalla parte che perse la guerra. Insomma il mito di Garibaldi sarebbe stato funzionale agli assetti di potere vincenti.
Essi erano, però, presenti in buon numero nelle alte cariche dell'esercito e dell'Armata di Mare; lo storico [[Raffaele de Cesare|de Cesare]] afferma che, fin dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia, Francesco II non poté di fatto più contare sulla marina, poiché solo pochi ufficiali di marina rimasero fedeli alla causa del re di Napoli<ref>{{Cita|de Cesare|p. 311}}.</ref>.
Dopo la vittoria franco-piemontese nella [[battaglia di Magenta]], a Napoli si ebbero vivaci manifestazioni anti-austriache dei liberali, che convinsero Francesco II a nominare il generale [[Carlo Filangieri, principe di Satriano|Carlo Filangieri]] primo ministro e ministro della guerra, non lasciandogli tuttavia scegliere i ministri del suo governo<ref>{{cita|de Cesare|pp. 5-6}}.</ref>.
La popolazione delle province continentali conservava la suddivisione in due parti politiche, o in "due nazioni", secondo la definizione di [[Vincenzo Cuoco]]<ref>{{Cita libro|autore=Salvatore Lupo|titolo=L'unificazione italiana: mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile|editore=Donzelli|città=Roma|anno=2011|ISBN=9788860366276|p=11}}</ref>: la prima di possidenti e la seconda del popolo delle campagne e della capitale (ovvero i [[lazzari]]); quest'ultima era generalmente vicina alla dinastia borbonica, come avevano dimostrato il successo del [[Sanfedisti|movimento sanfedista]], che nel [[1799]] aveva rovesciato la [[Repubblica Napoletana (1799)|Repubblica Napoletana]], con la strage dei giacobini del [[Regno di Napoli|regno]], la resistenza antifrancese del periodo 1806-1815 e il fallimento della [[spedizione di Sapri]] di [[Carlo Pisacane]] del 1857 e come dimostrerà anche il successivo e complesso fenomeno del [[brigantaggio postunitario]].
{{#tag:ref|Il brigantaggio postunitario si configurò come un fenomeno di difficile interpretazione, dove le tre classiche chiavi di lettura dello stesso (quella liberale-crociana, quella marxista-gramsciana e quella legittimista), adoperate singolarmente, non sono sufficienti per la comprensione della dinamica complessa delle sinergie rivoluzionarie (quella politica, quella sociale e quella delinquenziale)<ref>{{cita libro|cognome=D'Ambra|nome=Angelo|titolo=Il brigantaggio postunitario in Terra di Lavoro|anno= 2010|editore=Delta 3 Edizioni|città=Grottaminarda|p=5}}</ref>.|group=N}}, mentre la prima si era manifestata con i [[Moti del 1820-1821#Il moto carbonaro di Napoli|moti costituenti]] nel 1820 a Napoli, i [[Moti del Cilento (1828)|moti del Cilento]] nel 1828, i moti di [[Penne (Italia)|Penne]] nel 1837, i moti di Reggio Calabria del 1847 e di Sicilia e Calabria del 1848 [[Moti del Cilento (1848)|ancora nel Cilento]] nel 1848 e nello stesso anno a Napoli con l'ottenimento [[Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1848|della Costituzione]] revocata l'anno seguente.
 
Prima dell’arrivo di Garibaldi si era pensato a un complotto contro il nuovo re Francesco II e la giovanissima consorte [[Maria Sofia di Baviera]]. L’ascesa al trono dei giovani sovrani avrebbe infatti suscitato sentimenti di gelosia da parte della vedova di Ferdinando II e matrigna di Francesco II, la precedente regina [[Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867)|Maria Teresa]], che mal si rassegnava alla perdita del potere. Si pensò allora a una congiura con l’aiuto della [[camarilla]] per sostituire Francesco II con il [[Luigi di Borbone-Due Sicilie (1838-1886)|Conte di Trani]], secondogenito della regina madre austriaca. Le prove, vere o no, raccolte da Carlo Filangieri vennero gettate nelle fiamme del camino dallo stesso Francesco II, che pronunciò le parole “''È la moglie di mio padre''“<ref>{{Cita|de Cesare|pp. 24-25}}.</ref>.
Lo storico [[Denis Mack Smith|Mack Smith]] ne "I re d'Italia", con riferimento al periodo storico che comincia dall'unità d'Italia (1861) scrive: "La documentazione di cui disponiamo è tendenziosa e comunque inadeguata. ... gli storici hanno dovuto essere reticenti e, in alcuni casi, restare soggetti a [[censura]] o imporsi un'autocensura".
 
[[Luigi Settembrini]] aveva evidenziato e denunciato le gravi problematiche in cui versava il regno con la sua [[s:Protesta del popolo delle Due Sicilie|Protesta del popolo delle Due Sicilie]].
La spedizione dei mille è un passaggio obbligato per capire la storia dello stato unitario italiano, e molti ritengono che ebbe la sua influenza su fenomeni come il [[brigantaggio]], lo squilibrio nord-sud e la cosiddetta "[[Questione meridionale]]".
 
=== I mazziniani e la Sicilia ===
I [[latifondismo|latifondisti]] del Meridione favorirono l'impresa dei mille, a condizione che la proprietà terriera non venisse toccata. Come sintetizzato dalla famosa frase del romanzo ''[[Il gattopardo]]'': ''"Tutto deve cambiare affinchè non cambi niente"''. Molti contadini siciliani si unirono invece alla spedizione contando in una distribuzione di terre [[Demanio|demaniali]] a chi le lavorava. Le tragiche conseguenze si videro quando il generale [[Nino Bixio]] ebbe l'ordine di reprimere nel sangue la pretese dei contadini, con un esempio particolare a [[Bronte]] il [[4 agosto]] 1860.
[[File:Rosalino Pilo.jpg|miniatura|Ritratto di [[Rosolino Pilo]]|sinistra]]
L'unica delle forze opposte ai Borbone che mostrasse la volontà di scendere in armi, in quel 1859, era l'indipendentismo siciliano.
A partire dall'ottobre di quell'anno si erano registrati sull'isola focolai di protesta e [[Salvatore Maniscalco]], direttore generale della polizia sull'isola, era scampato a un tentativo di assassinio.
I ricordi della lunga rivoluzione del 1848 che aveva portato ai mesi del [[Regno di Sicilia (1848-1849)|regno di Sicilia]] costituzionale erano ancora vividi. La repressione borbonica era stata particolarmente dura e nulli i tentativi del governo napoletano di giungere a un accomodamento politico. Inoltre, l'insofferenza non era limitata alle classi dirigenti, ma coinvolgeva una larga fascia della popolazione cittadina e rurale, congiuntura pressoché unica nel corso dell'intero [[Risorgimento]]. A dimostrazione di ciò, infatti, vi furono le adesioni di volontari alle schiere garibaldine da Marsala a Messina, sino al [[battaglia del Volturno|Volturno]].
 
Molti dei quadri dirigenti della rivoluzione del 1848 (tra cui [[Rosolino Pilo]] e [[Francesco Crispi]]) erano espatriati a [[Torino]], avevano partecipato con entusiasmo alla seconda guerra di indipendenza e avevano maturato un atteggiamento politico decisamente liberale e unitario. Proprio i mazziniani vedevano nella Sicilia insurrezionalista, nell'intervento di Garibaldi e nella monarchia sabauda gli elementi fondanti per il successo della causa unitaria.
Va considerato che nel 1860 parecchi stati europei avevano raggiunto l’unità nazionale ed in [[Europa]] veniva generalmente vista con favore la nascita di uno stato unitario italiano. Inoltre le finanze dello stato sabaudo, perennemente impegnato in guerre, erano disastrate se confrontate alla floridità economica del Regno delle due Sicilie, dove si trovavano significativi distretti industriali ed il primo esempio di [[ferrovia]] in Italia.
Il 2 marzo 1860 [[Giuseppe Mazzini]] scrisse una lettera ai siciliani, incitandoli alla ribellione, e dichiarando: "Garibaldi è vincolato ad accorrere"<ref>{{cita libro|titolo= Rivista sicula di scienze, letteratura ed arti, Vol. 1|url= http://books.google.it/books?id=ueAWAAAAYAAJ&pg=PA498|anno=1869|editore=Luigi Pedone Lauriel|città=Palermo|pp=498-500|ISBN=no}}</ref>.
 
In particolare, [[Rosolino Pilo]] ebbe un preciso ruolo nel porre le basi per una nuova sollevazione in Sicilia. Sempre nel mese di marzo 1860, questi, intenzionato a salpare alla volta dell'isola, si era rivolto a Garibaldi, prima chiedendo armi e poi invitando il nizzardo a un intervento diretto al di là dello stretto. Garibaldi, però, si era tirato indietro, ritenendo inopportuno qualsiasi slancio che non avesse avuto buone probabilità di successo. Garibaldi avrebbe guidato una rivoluzione solo se a chiederglielo fosse stato il popolo e il tutto fosse avvenuto in nome di Vittorio Emanuele II. Solo con il contributo delle popolazioni locali e l'appoggio del Piemonte, infatti, Garibaldi avrebbe contenuto il rischio di un fallimento, evitando risultati simili a quelli avuti in precedenza dai [[fratelli Bandiera]] o da [[Carlo Pisacane]]<ref>{{Cita|Scirocco|p. 208}}.</ref><ref>{{cita libro|cognome=Gasperetti|nome=Federico|coautori=Nicola Fano|titolo=Castrogiovanni|url=http://books.google.it/books?id=5WDMzcCbt9kC&pg=PA115|accesso=9 ottobre 2010|anno=2010|editore=Baldini Castoldi Dalai|città=Milano|isbn=88-6073-536-X|p=115}}</ref>. Pur non avendo ottenuto l'immediato sostegno di Garibaldi, il 25 marzo Rosolino Pilo partì comunque per la Sicilia con l'intento di preparare il terreno per la futura spedizione<ref>{{cita libro|cognome=Bertoletti|nome=Cesare|titolo=Il risorgimento visto dall'altra sponda|anno=1967|editore=Berisio Editore|città=Napoli|pp=196-197|ISBN=no}}</ref>. Accompagnato da [[Giovanni Corrao]], anch'egli mazziniano, il Pilo giunse nel messinese e prese immediatamente contatti con gli esponenti delle famiglie più importanti. In questo modo egli si assicurò l'appoggio dei latifondisti.
Da rimarcare la scarsa fiducia di [[Camillo_Benso_conte_di_Cavour | Cavour]] in Garibaldi, che quindi fece più spesso riferimento a [[Vittorio_Emanuele_II | Vittorio Emanuele II]] nel corso dell'impresa.
I baroni, una volta sbarcato il corpo di spedizione, avrebbero rese disponibili le bande che erano al loro servizio, i cosiddetti [[picciotto|picciotti]]<ref>{{cita libro|cognome=Del Boca|nome=Lorenzo|titolo=Maledetti Savoia|anno=1998|editore=Piemme|città=Milano|isbn= 88-384-3142-6|pp= 79-81}}</ref>.
La situazione in Sicilia si faceva difficile anche per il capo della polizia Maniscalco che, nonostante i suoi duri metodi, non riuscì a impiegare le “Compagnie d’arme”, specie di vigilantes, per guidarle contro gli insorti, in quanto queste ultime si rifiutarono di assolvere il compito e il governo non ebbe il coraggio di punirle per tale mancanza.
Nel maggio del 1860 il Mazzini scrisse una denuncia contro la possibilità della [[Giuseppe Mazzini#I timori di Mazzini per la cessione della Sardegna|cessione della Sardegna alla Francia]] per la nascita di uno stato nazionale comprendente altri territori. Analogamente a quanto era avvenuto in precedenza per Savoia e Nizza<ref>{{cita libro|autore=Giuseppe Mazzini|titolo=Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini|editore=Commissione editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini|città=Roma|anno=1884|volume=Vol. XIII}}</ref>.
 
=== La rivolta della Gancia a Palermo ===
== Dopo la spedizione ==
{{vedi anche|Rivolta della Gancia}}
[[File:Demolizione del forte di Castellamare a Palermo.jpg|miniatura|Gli arrestati dopo la rivolta della Gancia vennero richiusi nel forte [[Castello a Mare (Palermo)|Castello a Mare]] a Palermo, che venne in parte demolito dalla popolazione dopo l'abbandono della città da parte dei borbonici|destra]]
 
A [[Palermo]], il 4 aprile, si accese la fiamma della rivolta con un [[Rivolta della Gancia|episodio]], subito represso<ref name="Buttà">{{cita libro|cognome=Buttà|nome=Giuseppe|titolo=Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta|url=https://books.google.it/books?id=EHWRAwAAQBAJ&pg=PA23#v=onepage&q&f=false|accesso=27 febbraio 2019|anno=2009|editore=Edizioni Trabant|città=Brindisi|ISBN =978-88-96576-09-0|pp=23-25}}</ref>, che ebbe tra i protagonisti sul campo [[Francesco Riso]] e, lontano dalla scena, [[Francesco Crispi]], che coordinò l'azione dei rivoltosi da Genova<ref>{{cita libro|cognome=Vecchio|nome=Salvatore|titolo=La terra del sole: antologia di cultura siciliana, Vol. 2 - Dal Risorgimento ai nostri giorni|anno=2001|editore=Terzo millennio|città=Caltanissetta|isbn=88-8436-008-0|p=15}}</ref>. La repressione borbonica portò a uno scontro a fuoco al [[Chiesa di Santa Maria degli Angeli (Palermo)|convento della Gancia]] e dopo pochi giorni alla fucilazione in piazza di 13 rivoltosi. Nonostante il fallimento l'episodio dette il via a una serie di manifestazioni e insurrezioni nel [[distretto di Palermo]], a [[Bagheria]], [[Misilmeri]], [[Capaci]] e infine a [[Carini]],
Il [[17 marzo]] [[1861]] Vittorio Emanuele viene proclamato primo re d'Italia. (Convenzionalmente viene ancora usata la notazione "Vittorio Emanuele II", anche se, come fa notare Mack Smith, si tratta del primo re del nuovo stato).
che divenne [[Rivolta della Gancia#Lo scontro di Carini|l'epicentro della rivolta]]<ref name="Buttà"/>, tenuta in vita dalla famosa marcia di Rosolino Pilo e Giovanni Corrao da [[Messina]] a [[Piana degli Albanesi]], tra il 10 e il 20 aprile, durante la quale avvisarono coloro che incontravano lungo il percorso di tenersi pronti ''"…che verrà Garibaldi"''. Lì si riunirono con i rivoltosi provenienti da Palermo e dai circondari<ref>{{Treccani|giovanni-corrao_(Dizionario-Biografico)/|Giovanni Corrao|autore=Luigi Agnello|volume=29|accesso=27 febbraio 2019|v=|citazione=}}</ref>.
La notizia della sollevazione fu confermata sul continente da un telegramma [[codice cifrato|cifrato]] inoltrato da [[Malta]] da [[Nicola Fabrizi]], fondatore della [[Legione italica]], il 27 aprile. Il contenuto del messaggio,
non eccessivamente incoraggiante, accrebbe le incertezze di Garibaldi, fino ad indurlo a rimandare la partenza prevista per il giorno successivo, tanto che aveva già scritto ai direttori del [[Fondo per il milione di fucili]] che la spedizione era annullata. Nella delusione generale, [[Nino Bixio]] si offrì di guidare il bastimento siciliano di [[Giuseppe La Masa]]. I mazziniani esclamarono: "''Garibaldi ha paura''". Tale fu la delusione tra i sostenitori dell'impresa, che Francesco Crispi, che aveva decodificato il telegramma, sostenendo di aver commesso un errore, due giorni dopo ne fornì una nuova versione, comprendendo che senza il generale la spedizione sarebbe stata destinata all'insuccesso. Quest'ultima versione, molto probabilmente falsificata dal Crispi stesso, convinse il nizzardo ad annunciare la definitiva decisione di partire alla volta della Sicilia<ref>{{Cita|Scirocco|p.211}}.</ref><ref>{{Cita|Trevelyan 1909|pp. 244-250}}.</ref>.
 
== La preparazione ==
"Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani". Questo è il motto che ispirò la politica successiva alla spedizione dei Mille.
=== I dubbi di Garibaldi ===
Mentre agli ufficiali dell'esercito del [[Regno delle due Sicilie]] entrarono nell'esercito del neonato [[Regno_d'Italia|Regno D'Italia]] con lo stesso grado che avevano in precedenza, per gli ufficiali di Garibaldi il grado fu riconosciuto in pochissimi casi (Rif. Bianciardi). Tra i pochi che mantennero il grado ci fu il generale Nino Bixio, che aveva avuto il compito di reprimere i disordini contadini.
[[File:Giuseppe Garibaldi 1861.jpg|miniatura|[[Giuseppe Garibaldi]]|sinistra]]
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, inizialmente Garibaldi non era a favore dello sbarco in Sicilia; egli pensava, invece, di poter sfruttare il favorevole momento di giovanile entusiasmo patriottico per tentare un'invasione dello [[Stato Pontificio]] con una rapida e fulminea marcia su Roma. Impresa questa sicuramente più facile, come gli prospettavano i suoi più fidi amici, che affrontare una lunga navigazione e sfuggire al controllo delle 24 navi della Marina borbonica senza essere catturati o affondati. Inoltre in Sicilia i garibaldini avrebbero dovuto affrontare un forte esercito di 25.000 soldati<ref group=N>25.000 secondo George Macaulay Trevelyan, 36.000 secondo Leone Fortis.</ref>, senza considerare altre difficoltà, come superare lo [[Stretto di Messina]].<ref name=Fortis>{{cita libro|titolo=Francesco Crispi|url=https://archive.org/details/francescocrispi00viangoog|autore=[[Leone Fortis]]|editore=Enrico Voghera|anno=1895|pp=[https://archive.org/details/francescocrispi00viangoog/page/n181 166]-168}}</ref>
 
{{citazione|''È a Roma'' – si diceva – ''e non a Palermo che si deve e si può sciogliere per l’Italia il nodo della questione unitaria''.| {{cita libro|titolo=Francesco Crispi|url=https://archive.org/details/francescocrispi00viangoog|autore=[[Leone Fortis]]|editore=Editore Enrico Voghera|anno=1895|pp=[https://archive.org/details/francescocrispi00viangoog/page/n181 166]-167}}}}
 
I sostenitori dell’azione su Roma ritenevano che l'eventuale successo avrebbe avuto un contraccolpo in Francia, dando occasione ai repubblicani francesi di liberarsi dell'[[Secondo Impero francese|impero di Napoleone III]], percepito come il maggiore ostacolo all’unità d’Italia.
Nel 1859 la convinzione che l’azione si dovesse svolgere nel territorio pontificio aveva indotto Garibaldi a prepararsi per una [[Il precedente tentativo di Spedizione di Garibaldi del 1859 e la politica britannica|spedizione nelle Marche pontificie]] con [[Giacomo Medici]], [[Nino Bixio]] e un migliaio di volontari, per partecipare alle insurrezioni che lì si stavano preparando, quando il re lo richiamò, convincendolo a desistere dall’intraprendere l’impresa, quanto mai inopportuna in quanto un attacco allo Stato Pontificio in quel momento avrebbe potuto provocare un intervento francese, austriaco o addirittura entrambi, come sostenevano [[Bettino Ricasoli]] e [[Urbano Rattazzi]], che a loro volta avevano convinto anche [[Domenico Farini]] e [[Manfredo Fanti]], inizialmente anche essi favorevoli all’azione di Garibaldi per un'insurrezione nelle Marche pontificie<ref>{{cita|Trevelyan 1909|pp. 154-155}}.</ref>.
 
[[File:Crispi ritratto intero.jpg|miniatura|[[Francesco Crispi]] in una foto da anziano|destra]]
Si riporta che nel 1854 fosse stato Mazzini a prospettare a Garibaldi, allora di ritorno dall'America con un carico di carbone, l'idea di una spedizione in Sicilia e che poi tale idea fosse stata successivamente ripresa dagli stessi siciliani<ref>{{cita|Trevelyan 1909|p. 210}}.</ref>. Sarebbe stato Francesco Crispi, nel 1859, a pensare concretamente a una spedizione in Sicilia per aiutare la sollevazione popolare antiborbonica nell’isola e avrebbe avuto anche un ruolo importante nel convincere Garibaldi a intraprendere la spedizione e a fugare gli ultimi dubbi sorti due giorni prima della partenza, a causa dei pericoli prospettati da alcuni fedeli del generale sulla difficoltà dell’impresa, che avrebbe potuto concludersi male come nei casi di [[Gioacchino Murat]], [[Carlo Pisacane]] e dei [[fratelli Bandiera]]<ref name=Fortis />.
 
=== La politica piemontese ===
{{Vedi anche|Cavour e la spedizione di Garibaldi}}
[[File:Tuminello, Lodovico (1824-1907) - Cavour.jpg|miniatura|sinistra|[[Camillo Benso, conte di Cavour]] ([[Lodovico Tuminello]])]]
Cavour riteneva rischiosa l'idea di una spedizione, che considerava dannosa per i rapporti con la Francia, essenzialmente sospettando che l'obiettivo finale di Garibaldi fosse Roma, essendo l'imperatore dei francesi obbligato, per ragioni di politica interna, a difendere il Papa. Il conte, pertanto, si sarebbe decisamente opposto alla spedizione, ma il suo prestigio era stato scosso dalle cessioni di Nizza e Savoia, per le quali aveva avuto un forte scontro alla Camera con Garibaldi stesso, e non si sentiva abbastanza forte per manifestare il proprio dissenso<ref>{{cita libro|autore=[[Rosario Romeo]]|titolo=Vita di Cavour|anno=2004|editore=Laterza|città=Bari|isbn=88-420-7491-8|pp=457-458|cid=Romeo}}</ref>.
 
Per di più, Garibaldi, nonostante fosse vicino agli ambienti repubblicani e rivoluzionari, era, in tale prospettiva, già da tempo in contatto con Vittorio Emanuele II. Il nizzardo, infatti, a dispetto delle sue idee repubblicane, ormai da 12 anni aveva accettato di collaborare con [[Casa Savoia]], convinto che l'unificazione nazionale ormai fosse possibile solamente tramite il Piemonte; d'altronde, le contingenze erano tali che lo stesso Mazzini poteva scrivere: ''"Non si tratta più di repubblica o monarchia: si tratta dell'unità nazionale... d'essere o non essere"''<ref>{{cita libro|cognome=Crispi|nome=Francesco|titolo=Repubblica e Monarchia|url=http://books.google.it/books?id=XYA5AAAAcAAJ&pg=PA21|accesso=27 febbraio 2019|anno=1865|editore=Tipografia Vercellino|città=Torino|p=21|ISBN=no}}</ref>.
 
Per Cavour, invece, Garibaldi, pur godendo dell'illimitata stima dell'opinione pubblica liberale italiana, era fonte di grandi preoccupazioni. Solo alla fine del 1859, infatti, questi si era recato in Romagna con l'intento di invadere le Marche e l'Umbria, rischiando di scatenare le ire di Parigi. Secondo alcuni storici, il nizzardo, però, rappresentava anche un'"opportunità", poiché attraverso di lui avrebbe potuto avere successo la sollevazione dall'interno del Regno delle Due Sicilie e "costretto" il Regno di Sardegna a intervenire per garantire l'ordine pubblico. Il conte, pertanto, decise di assumere un atteggiamento attendista e osservare l'evolversi degli avvenimenti, in modo da poter profittare di eventuali sviluppi favorevoli al Piemonte: solo quando le probabilità di un esito positivo della spedizione fossero apparse considerevoli, Cavour avrebbe appoggiato apertamente l'iniziativa<ref>{{cita libro|cognome=Botta|nome=Vincenzo|titolo=Sulla vita, natura e politica del conte di Cavour|url=http://books.google.it/books?id=Jkg-AAAAYAAJ&pg=PA68 |accesso=18 ottobre 2010|anno=1862|editore=Stamperia dell’Iride|città=Napoli|p=68|ISBN=no}}</ref>.
 
Inizialmente Cavour aveva pensato di affidare l’impresa di una spedizione in Sicilia al nizzardo [[Ignazio Ribotti]], in quanto Garibaldi era notoriamente legato agli ideali repubblicani e a Giuseppe Mazzini. Successivamente lo statista piemontese si convinse che Garibaldi era il più adatto a condurre un'operazione nell’isola<ref>{{cita libro|autore=AA.VV.|titolo=Dizionario del Risorgimento Nazionale|volume=Vol. IV|editore=Vallardi|anno=1930|p=189}}</ref>.
 
In quest'ottica, il 18 aprile, in seguito ai moti anti-borbonici, Cavour inviò in Sicilia due navi da guerra: il [[Governolo (pirofregata)|Governolo]] e l'[[Authion (avviso)|Authion]]. Ufficialmente i due vascelli avevano il compito di proteggere i cittadini sardi presenti nell'isola. L'effettivo incarico, però, consisteva nel valutare accuratamente le forze degli opposti schieramenti<ref>{{cita libro|cognome=Martucci|nome=Roberto|titolo=L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864|anno=1999|editore=Sansoni|città=Firenze|isbn=88-383-1828-X|pp=150-151|cid=Roberto Martucci}}</ref>. Nello stesso tempo, il primo ministro piemontese riuscì, attraverso [[Giuseppe La Farina]] (che sarà inviato in Sicilia dopo lo sbarco, per controllare e mantenere i contatti con Garibaldi), a seguire tutte le fasi preparatorie della spedizione<ref name="Romeo1">{{cita|Rosario Romeo|pp. 459-460}}.</ref>, finché egli stesso, il 22 aprile, non si recò a Genova per rendersi conto di persona della situazione<ref>{{cita|Roberto Martucci|p. 153}}.</ref>.
 
A fine aprile si svolse a Torino un convegno dei patrioti italiani esuli in Piemonte che presentava l'[[Rivolta della Gancia|insurrezione siciliana]] come una rivolta nazionale che dovesse avvenire sotto lo stesso [[tricolore]] sventolato a Firenze e a Torino. Di tale convegno venne data notizia anche a Napoli, con un articolo sul [[Corriere di Napoli]]<ref>{{Cita|De Lorenzo|p. 116}}.</ref>.
 
Il 15 aprile 1860, su consiglio del Cavour, Vittorio Emanuele II scrisse una lettera al suo ''“caro cugino”'' Francesco II che, in caso di accoglimento, avrebbe potuto permettere la nascita di due stati indipendenti da influenze straniere con una politica nazionale condivisa.
Tenendo conto che poco prima, dopo il rifiuto di [[Ignazio Ribotti|Ribotti]], era stato concesso a Garibaldi di guidare una spedizione in Sicilia, il messaggio sembrava più un [[ultimatum]], in quanto il governo sardo sapeva bene che Francesco II stava cospirando con il papato e con l’Austria per riportare la geografia politica della penisola alla situazione precedente.
{{Citazione|''Siamo così giunti – diceva il re del nord a quello del sud – ad un tempo in cui l’Italia può essere divisa in due stati, l’uno del Settentrione e l’altro del Mezzogiorno, i quali, adottando una stessa politica nazionale, sostengano la grande idea dei nostri tempi, l’Indipendenza Nazionale. Ma per mettere in atto questo concetto è, com’io credo, necessario che V.M. abbandoni la via che ha finora tenuta…. Il principio del dualismo, se è bene stabilito, e onestamente seguito, può essere tuttora accettato dagli italiani. Se Ella lascerà passare qualche mese senza attenersi al mio suggerimento amichevole, V.M. forse dovrà sperimentare l’amarezza di quelle parole terribili: troppo tardi.''|Garibaldi e i Mille, G.M. Trevelyan, pagg. 239-240}}
 
=== L'organizzazione del corpo di spedizione ===
{{vedi anche|Fondo per il milione di fucili|I Mille}}
[[File:Un milione di fucili.jpg|miniatura|sinistra|Manifesto del comitato di [[Lodi]] e [[Crema (Italia)|Crema]] per la sottoscrizione nazionale "per un milione di fucili" per Garibaldi|249x249px]]
Nel frattempo l'organizzazione della forza di spedizione era in pieno svolgimento. Garibaldi, reduce dalla brillante campagna di Lombardia con i [[Cacciatori delle Alpi]], aveva dimostrato le proprie capacità di capo militare, affrontando con un esercito leggero, costituito da volontari, un esercito regolare. Anche per questa spedizione avrebbe fatto ricorso all'arruolamento di volontari disposti a combattere sotto la sua guida.
 
Nell'ottobre 1859, a seguito di un appello di Garibaldi per l'unità d'Italia, era cominciata la sottoscrizione nazionale "per [[Fondo per il milione di fucili|un milione di fucili]]", sostenuta da comuni e enti nazionalisti, i quali avevano già raccolto notevoli somme: ad esempio la Camera di Commercio di Milano, facendosi voce della borghesia ambrosiana, raccolse {{formatnum:70226.85}} lire per l'acquisto dei fucili<ref group=N>Come riportato nel verbale del consiglio camerale del 28 gennaio 1860.</ref>; secondo [[Angelo Del Boca|Del Boca]], a questa raccolta fondi sono da aggiungersi le somme stanziate dal Piemonte per la spedizione, fino a un ammontare di lire 7.905.607 che saranno computate, a impresa terminata, nel bilancio del nuovo stato unitario<ref>{{cita libro |cognome= Del Boca |nome= Lorenzo |titolo= Maledetti Savoia |anno= 1998 |editore= Piemme |città= Milano |isbn= 88-384-3142-6 |p= 264}}</ref>. È comunque un fatto noto che il governo piemontese appoggiava la causa garibaldina e la finanziava, anche indirettamente, con fondi governativi<ref>{{Cita|Trevelyan 1913|p. 320}}.</ref>. I denari furono consegnati da [[Giuseppe Finzi]] a Crispi, ma le carabine moderne destinate alla spedizione furono sequestrate per ordine del governatore di Milano [[Massimo d'Azeglio]]<ref>{{Cita|Crispi|p.165}}.</ref>.
 
Oltre alla cavourriana [[Società Nazionale]] e al Fondo per il milione di fucili, sussidiato anche dal governo, che finanziarono principalmente le successive spedizioni di giugno e luglio, i finanziamenti per le spedizioni di agosto pervenivano invece dal Comitato Centrale del mazziniano [[Agostino Bertani|Bertani]] e da altri partiti, per un totale di {{formatnum:6201060.13}} lire, provenienti per i cinque sesti rispettivamente dalla Sicilia, in gran parte dalla Zecca di Palermo, per lire {{formatnum:5106655.45}} (pari a once {{formatnum:416000}}), altri importi per lire 201.632,05 provenivano da Napoli, mentre le somme direttamente raccolte dal Comitato [[Agostino Bertani|Bertani]] ammontano a lire {{formatnum:851735.28}}<ref>{{Cita|Trevelyan 1913|p.381}}.</ref>.
 
Il 9 aprile Bixio tornò a Genova con delle istruzioni per [[Agostino Bertani]] e una lettera personale di Garibaldi diretta a [[Giovanni Battista Fauché]], dal 1858 procuratore generale e direttore della [[Raffaele Rubattino|Società di navigazione Rubattino]]. La lettera fu recapitata dal Bertani il 10; in essa l'Eroe dei due mondi richiedeva, per «trasportarmi in Sicilia con alcuni compagni», uno dei due piroscafi, il ''San Giorgio'' o il ''[[Piemonte (nave)|Piemonte]]'', in servizio per [[Cagliari]] e per [[Malta]]; offriva per questo servizio {{formatnum:100000}} [[Franco (moneta)|franchi]], che il Fauché rifiutò, dicendo che «se li porti pure in Sicilia ove possono essergli necessari»<ref>{{Cita|Agrati|p. 26}}.</ref>.
 
Successivamente, intorno al 24 aprile, Garibaldi richiese al Fauché la disponibilità di un secondo vapore, che il direttore confermava, mettendogli a disposizione anche il ''[[Lombardo (nave)|Lombardo]]''; si trattava di due dei migliori vapori&nbsp;– sugli otto totali– della flotta Rubattino<ref>{{Cita|Agrati|pp. 36-37}}.</ref>. I dettagli furono fissati in una riunione il 30 aprile a casa di Bertani, presenti Garibaldi, Fauché e Bixio.
 
Il corpo di spedizione, al momento della partenza da Quarto, era composto da {{formatnum:1162}} uomini. I Mille provenivano prevalentemente dalle regioni centro-settentrionali e, tra essi, non c'erano solo italiani, ma anche volontari stranieri. La [[provincia di Bergamo]] era quella che contava il numero maggiore di uomini rispetto alle altre e, in virtù di questo contributo, Bergamo è ancora oggi soprannominata la "città dei Mille". Nei mesi successivi sbarcarono in Sicilia molte altre spedizioni. La compagine aveva anche un cappellano, il sacerdote [[Alessandro Gavazzi]], che, criticando radicalmente l'istituzione del [[Papato]], arrivò a fondare la [[Chiesa libera evangelica italiana]]. Il più giovane del gruppo, imbarcatosi all'età di 10 anni, 8 mesi e undici giorni, assieme al padre Luigi, fu Giuseppe Marchetti, nato a [[Chioggia]] il 24 agosto [[1849]].
 
== Forze in campo ==
=== Regno delle Due Sicilie ===
{{Vedi anche|Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1860#Esercito}}
L’esercito borbonico era molto ben equipaggiato e armato in gran parte con fucili a canna rigata o adattati con rigatura, possedeva una buona cavalleria e ottima artiglieria, anche a canna rigata, che venne impiegata a Capua<ref>Garibaldi e la formazione dell'Italia, G.M. Trevelyan, appendice E, pagg. 387-388</ref>. La fanteria era armata con fucili a canna rigata di grosso calibro, mentre i [[Cacciatore (tattica)|“Cacciatori”]] erano dotati di un’arma dello stesso calibro, ma più corta. Sebbene sulla carta l'esercito borbonico apparisse come un avversario formidabile (capace di schierare oltre 60.000 uomini), va tuttavia rilevato che era gravato da gravi carenze che ne compromettevano grandemente l'efficienza: in primo luogo la corruzione e il clientelismo erano praticamente endemici per quanto riguardava i quadri degli ufficiali superiori, quindi coloro che ricoprivano ruoli apicali nell'organizzazione delle truppe e nella conduzione delle operazioni erano, nel migliore dei casi, degli incompetenti, dei disonesti nel peggiore; infatti dopo i moti del 1821 e la Prima Guerra d'Indipendenza, il regime borbonico aveva compiuto delle feroci purghe che avevano portato a privarsi degli ufficiali più capaci (come quelli formatisi all'epoca del regno di [[Gioacchino Murat]]) andando a preferire la fedeltà al trono rispetto alla competenza. In secondo luogo l'esercito napoletano non aveva alcuna reale esperienza di combattimento: infatti la principale occupazione delle forze armate nel Regno delle Due Sicilie era essenzialmente il mantenimento dell'ordine pubblico, venendo principalmente impiegate nella repressione del [[Brigantaggio italiano|brigantaggio]] e delle frequenti rivolte contadine.
 
=== Garibaldini ===
[[File:Girolamo Induno - Sentinella garibaldina.jpg|miniatura|upright=0.6|[[Gerolamo Induno|Girolamo Induno]], ''Sentinella garibaldina''|alt=|sinistra]]
{{Vedi anche|I Mille|Esercito meridionale|Marina dittatoriale siciliana|Esercito meridionale#L’armamento dei garibaldini}}
Sulla base della documentazione disponibile, gli storici hanno stimato il numero dei volontari partiti il 5 maggio 1860 da Genova in 1.150, dei quali 1.089 sarebbero dovuti sbarcare a [[Sbarco a Marsala|Marsala]], in quanto una sessantina erano stati destinati alla [[diversione dello Zambianchi]] ed alcuni avevano poi lasciato la spedizione per contrasti politici.
Lo storico Mario Menghini cita anche che a [[Talamone]] Garibaldi scartò dagli effettivi un centinaio di volontari non ritenuti idonei per vari motivi e per questioni di spazio a bordo.
I volontari dismessi fecero quindi ritorno a Genova anche via Livorno (Supplemento al Movimento del 13 maggio 1860); secondo tale dato, il numero dei volontari partiti da Talamone dovrebbe pertanto essere sceso a meno di 1.000.<ref>La Spedizione garibaldina di Sicilia e di Napoli–Mario Menghini - pagg. 13-14 [https://archive.org/stream/laspedizionegari00menguoft#page/12/mode/2up La spedizione garibaldina di Sicilia e di Napoli, nei proclami, nelle corrispondenze, nei diarii e nelle illustrazioni del tempo]</ref>
Ai volontari ripartiti da Talamone qualcuno si era aggregato a [[Porto Santo Stefano]], nascondendosi nelle stive. A Porto Santo Stefano furono respinti molti militari che avrebbero voluto unirsi alla spedizione.<ref>Garibaldi e i Mille - [[George Macaulay Trevelyan]] – pp. 269 e 286 [https://archive.org/stream/garibaldieimille00trev#page/268/mode/2up Garibaldi e i mille]</ref> Le difficoltà di stabilire il numero dipendono anche dal fatto che non sempre i volontari si presentavano con il proprio vero nome e a fine campagna molti non seppero o non vollero essere riconosciuti nell'elenco ufficiale, oltre a quelli caduti dei quali non si conosceva con esattezza l'identità.<ref>I Mille nella storia e nella leggenda, Carlo Agrati, pp. 116-118</ref>
Si ritiene che, prima dello scioglimento dell'[[Esercito meridionale]], il numero totale dei garibaldini avesse raggiunto i 50.000. Occorre però considerare che l’Esercito garibaldino, anche se ispirato alle norme del regolare Corpo dei [[Cacciatori delle Alpi]], era composto di volontari, anche [[I Mille#I garibaldini stranieri|stranieri]], organizzati autonomamente in maniera spesso improvvisata; pertanto le ricostruzioni da parte degli storici, basate solo su documenti, possono incontrare falsi, in quanto la formazione dei reparti e la loro consistenza erano variabili e non sempre documentate come in un esercito regolare, anche per mancanza di tempo e di personale dedicato.
 
Il modo di combattere dei garibaldini venne descritto da un amico intimo di Garibaldi, il capitano inglese C.S. Forbes, R.N., che, arrivato alcuni giorni dopo la battaglia di Milazzo, così scrisse:
{{Citazione|''Generalmente parlando le forze garibaldine erano armate di (fucili) Enfield, ma pochi erano quelli che sapevano servirsi di quelle armi micidiali, parendo ad essi cosa superflua il prender la mira.''
''...Un moschetto o una carabina, sessanta cariche, una fiaschetta per l'acqua e per lo più una bisaccia vuota, ecco tutto il bagaglio di un garibaldino.''|Garibaldi e la formazione dell'Italia - Appendice E - capo V - pag. 389 - (Forbes 92) di G.M. Trevelyan}}
 
== Svolgimento ==
=== La partenza ===
{{vedi anche|Partenza della spedizione dei Mille da Quarto}}
[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Induno Gerolamo, La partenza del garibaldino.jpg|miniatura|sinistra|[[Gerolamo Induno]]: La partenza del garibaldino]]
 
Nella notte fra il 5 e 6 maggio, sotto il comando di Bixio, un gruppo di garibaldini si impadronì delle due navi, simulando il furto, come da accordi e segretamente sorvegliati dalle autorità piemontesi.<ref name="Romeo1"/> Molti volontari, dopo una lunga attesa, partirono su scialuppe dallo scoglio di [[Quarto dei Mille|Quarto]] per raggiungere i due vapori. Garibaldi, impaziente, si era fatto portare al porto e lì si imbarcò. Altri volontari si imbarcarono alla foce del [[Bisagno]].
 
A spedizione conclusa, alla società di navigazione Rubattino sarà anche riconosciuta, con decreto dittatoriale di Garibaldi del 5 ottobre 1860, la somma di 1,2 milioni di lire come risarcimento per la perdita del ''[[Piemonte (nave)|Piemonte]]'' e del ''[[Lombardo (nave)|Lombardo]]'', valutati 750&nbsp;000 lire, e del piroscafo ''Cagliari'', valutato 450&nbsp;000 lire (che era stato adoperato per la fallita spedizione di [[Carlo Pisacane|Pisacane]] nel 1857 e poi restituito all'armatore dal governo borbonico)<ref>{{cita libro |cognome= Servidio |nome= Aldo |titolo= Op. cit. |p= 93 }}</ref>.
 
Subito dopo la partenza della spedizione, Fouché avvisò le autorità portuali della scomparsa delle due navi e contemporaneamente garantì che il servizio postale, in appalto alla ''Rubattino'', non sarebbe stato interrotto. Il "furto" provocò una riunione d'urgenza dei soci e dei creditori della Rubattino, che il 7 maggio indirizzarono una protesta al governo sardo ritenuto colpevole di negligente sorveglianza e quindi responsabile del danno ricevuto dalla società, che finanziariamente non era in buona salute. Il Fauché rifiutò (a lui sarebbe spettato, quale direttore generale, di protestare ufficialmente e di sporgere denuncia per il furto); il fatto di aver abusato della sua posizione portò poche settimane dopo al suo licenziamento<ref>{{Cita|Agrati|p. 38}}.</ref>.
 
L'episodio ebbe anche uno strascico polemico, in quanto il Fauché fece pubblicare sui giornali genovesi una lettera scrittagli dal Bertani<ref>Vedi articolo ''La compagnia Rubattino e la causa nazionale'' in prima pagina del giornale di Genova ''Il movimento'', 21 giugno 1860</ref> in cui questo si rammaricava della sua estromissione dalla Rubattino accusando, senza nominarlo, l'armatore di «non capire che per formare la grande Società della Nazione, deve sacrificarsi qualunque società privata»<ref>vedi pagg. 232-236 in {{cita pubblicazione |cognome=Pipitone Federico |nome=Giuseppe |anno=1931 |mese=XVIII Congresso sociale di Palermo |titolo=Di alcune note autobiografiche di patrioti che presero parte alle rivoluzioni siciliane del 1848 e 1860 |rivista=Rassegna Storica del Risorgimento |volume=anno VIII |numero=suppl. al fasc. I |pp=228-243 |url=http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=16995 |accesso=9 ottobre 2015 |dataarchivio=4 marzo 2016 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160304201714/http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=16995 |urlmorto=sì }}</ref>; [[Raffaele Rubattino]] si difese scrivendo il 23 giugno a [[Giacomo Medici]], chiedendogli che difendesse presso Garibaldi e i conoscenti il suo buon nome di patriota<ref>{{Cita|Agrati|p. 41}}.</ref><ref>{{DBI |nome=FAUCHÈ, Giovanni Battista |nomeurl=giovanni-battista-fauche |autore=Anna Maria Isastia |anno=1995 |volume=45 |accesso=8 ottobre 2015 }}</ref>. La polemica tra il Rubattino e il Fauché su chi aveva il merito patriottico di aver fornito le navi ai Mille sarebbe continuata negli anni a venire.
 
A eccezione delle prime due navi, ''Piemonte'' e ''Lombardo'', che non potevano fare scalo in [[Sardegna]] per espressa disposizione di [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]], a partire dalla Spedizione [[Giacomo Medici|Medici]] tutte le [[#Gli sbarchi successivi al primo di Marsala|spedizioni successive]] fecero scalo a [[Cagliari]] per rifornirsi prima di continuare il viaggio verso le coste della Sicilia<ref>Garibaldi and the making of Italy&nbsp;– G.M. Trevelyan&nbsp;– pag. 49</ref>.
 
=== Il viaggio ===
{{Vedi anche|Sosta dei Mille a Talamone|Diversione Zambianchi}}
[[File:Targa in ricordo della sosta di G.Garibaldi.jpg|upright=0.6|miniatura|Targa in ricordo della sosta dei Mille a [[Porto Santo Stefano]] il 9 maggio 1860]]
I volontari, che al momento della partenza ammontavano sembra a 1.162, erano armati di vecchi [[Moschetto|moschetti]] (a canna liscia) e privi di munizioni e polvere da sparo. Infatti, i due vapori piemontesi avrebbero dovuto incontrarsi nella notte con alcune scialuppe che avevano il compito di rifornirli, ma non vi riuscirono a causa di misteriose e controverse circostanze<ref>Giuseppe Cesare Abba, ''Storia dei Mille'', Bemporad, 1926 (1904)</ref>. Da ciò conseguì la decisione di Garibaldi di compiere una [[Sosta dei Mille a Talamone|sosta]] il 7 maggio a [[Talamone]]; al largo nei pressi di Piombino aveva atteso l'arrivo dei vapori, la tartana Adelina con una settantina di volontari livornesi al comando di [[Andrea Sgarallino]].
 
Tra Talamone e Orbetello, Garibaldi recuperò, oltre alle munizioni, tre vecchi cannoni, un centinaio di [[Pattern 1853 Enfield|moschetti Enfield]] e una [[colubrina]], presso le guarnigioni della [[Regia Armata Sarda]] di stanza nelle fortificazioni toscane.
 
Durante lo scalo decine di bersaglieri, artiglieri e militi della guardia di finanza delle guarnigioni di Orbetello dettero l’assalto alle navi per partecipare alla spedizione, ma Garibaldi, che aveva dato la sua parola sul fatto che non avrebbe accettato soldati dell’esercito italiano, fece scendere tutti, tranne qualcuno che riuscì a nascondersi nelle stive<ref>George Macaulay Trevelyan - Longmans, Green, & Co. - London - 1912 - pag. 221 - Garibaldi and the Thousand</ref>, tra cui [[Francesco Bidischini]].
 
Durante la sosta a Talamone, Garibaldi ordinò al colonnello [[Callimaco Zambianchi]] a 64 volontari e ai livornesi di Andrea Sgarallino di distaccarsi dalla spedizione per tentare un'[[Diversione dello Zambianchi|insurrezione]] nello Stato Pontificio evitando la guarnigione francese nel Lazio. In caso di successo, il gruppo di circa 200 volontari avrebbe dovuto proseguire verso est e poi verso sud, facendo credere che l'attacco garibaldino veniva effettuato su più fronti e quindi provocare un teorico spostamento di forze borboniche verso il nord del Regno delle Due Sicilie, per facilitare l'azione di Garibaldi in Sicilia. L'azione si concluse con un rapido fallimento, il ritiro dai territori papali e l'arresto di Zambianchi, che sarà successivamente liberato e lasciato partire per il Sudamerica. Oltre ai 64 volontari staccatisi dal gruppo, 9 mazziniani, convinti repubblicani, abbandonarono la spedizione quando compresero che si sarebbe combattuto per la monarchia sabauda, mentre i restanti 1.089 proseguirono nel viaggio, con la disposizione, incrociando altre navi, di mostrare solo l'equipaggio, nascondendo quindi alla vista i volontari imbarcati. Le due navi di notte ebbero l'ordine di navigare vicine<ref>{{Cita|Agrati|p. 136}}.</ref>.
 
Non trovando carbone ad [[Orbetello]], una seconda sosta fu effettuata il 9 maggio, nel vicino [[Porto Santo Stefano]], per rifornimento di carbone e acqua potabile, elementi senza i quali non sarebbero mai arrivati a Marsala<ref>{{Cita web|url =http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2012/05/01/news/la-partenza-dei-mille-di-garibaldi-1.4450873|titolo = La partenza dei Mille di Garibaldi/Il Tirreno|accesso = 17 gennaio 2016}}</ref><ref>{{Cita web|url = http://www.comunemonteargentario.gov.it//multimedia/info/1/306_2011/17ot11.pdf|titolo = Archivio Comune di Monte Argentario pag. 2|accesso = 17 gennaio 2016|dataarchivio = 1 gennaio 2017|urlarchivio = https://web.archive.org/web/20170101161313/http://www.comunemonteargentario.gov.it//multimedia/info/1/306_2011/17ot11.pdf|urlmorto = sì}}</ref>. Mentre le due navi erano alla fonda nella rada di Porto Santo Stefano, Garibaldi dette forma e consistenza al suo piccolo esercito, nominò i comandanti e gli ufficiali, assegnò compiti e incombenze, distribuì armi e munizioni<ref name="Le mille storie dei Mille a Porto Santo Stefano/Il Tirreno">{{Cita web|url=http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2012/05/17/news/le-mille-storie-dei-mille-a-porto-s-stefano-1.4661776|titolo=Le mille storie dei Mille a Porto S. Stefano|sito=Il Tirreno|data=2012-05-18|lingua=it-IT|accesso=2021-11-23}}</ref>.
 
Negli stessi giorni, il 7 e l'8 maggio, il comandante della marina sarda [[Carlo Pellion di Persano]], alla guida di una divisione composta da tre pirofregate, aveva ricevuto da Cavour, tramite il governatore di [[Cagliari]], l'ordine di arrestare la spedizione dei Mille solo se i legni di Garibaldi avessero fatto scalo in un porto della Sardegna, ma di non inseguirli se fossero stati incrociati in mare<ref>{{cita libro|cognome= Pellion di Persano |nome= Carlo |wkautore= Carlo Pellion di Persano |titolo= La presa di Ancona: Diario privato politico-militare (1860) |url= http://books.google.it/books?id=AB8VCJ6Q1EkC&pg=PA78 |accesso= 28 ottobre 2010 |anno= 1990 |editore= Edizioni Studio Tesi|città= Pordenone |isbn= 88-7692-210-5 |pp= 78-79 }}</ref>. L'11 maggio, in seguito alla richiesta del Persano di ricevere conferma degli ordini ricevuti, il conte di Cavour rispose con un [[telegramma]], ribadendo le disposizioni del governo piemontese<ref>{{cita libro|cognome= Pellion di Persano |nome= Carlo |wkautore= Carlo Pellion di Persano |titolo= Op. cit. |url= http://books.google.it/books?id=AB8VCJ6Q1EkC&pg=PA8 |p= 8 }}</ref>. Oltre ai legni piemontesi, altre imbarcazioni solcavano le acque del [[Mare Tirreno|Tirreno]]: infatti, il [[contrammiraglio]] [[George Rodney Mundy]], vicecomandante della [[Mediterranean Fleet]] della [[Royal Navy]], aveva ricevuto ordine, dal suo governo, di assumere il comando del grosso delle unità navali della sua flotta e di incrociare nel Tirreno e nel [[canale di Sicilia]], effettuando frequenti scali nei porti delle Due Sicilie, oltre che a scopo intimidatorio<ref>{{cita libro|cognome= Santoni |nome= Alberto |titolo= Storia e politica navale dell'età moderna: XV-XIX secolo |anno= 1998 |editore= Ufficio storico della marina militare |città= Roma |p= 305 }}</ref> e di raccolta di informazioni, anche al fine di attenuare la capacità di reazione borbonica<ref>{{cita libro|cognome= Martucci |nome= Roberto |titolo= L'invenzione dell'Italia unita: 1855-1864 |anno= 1999 |editore= Sansoni |città= Firenze |isbn= 88-383-1828-X |p= 165 }}</ref>, anche se tale supposta presenza dissuasiva non ebbe particolare effetto, in quanto i circa 1.000 del gruppo garibaldino [[Clemente Corte|Corte]], partito da Genova nella notte tra l'8-9 giugno e in navigazione sulle navi ''Utile'' e ''Charles and Jane'', vicini a [[Capo Corso]] erano stati intercettati e catturati dalla [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|Marina borbonica]], che li aveva condotti a [[Gaeta]] e successivamente rilasciati. I circa 1.000 del gruppo Corte si imbarcheranno di nuovo per il Sud il 15 luglio sulla nave ''Amazon''<ref>Garibaldi and the making of Italy - G.M. Trevelyan - Appendice B -pag. 318</ref>.
 
[[File:Mancata collisione tra Piemonte e Lombardo - IMDMSR GO pag. 192.JPG|miniatura|upright=1.2|Immagine caricaturale della mancata collisione tra [[Piemonte (nave)|Piemonte]] e [[Lombardo (nave)|Lombardo]]|alt=|sinistra]]
La navigazione procedette senza problemi l’8 e il 9 maggio, ma nella notte tra il 9 e il 10 in avvicinamento alla Sicilia, Garibaldi decise di navigare coperto dalle isole di [[isola di Marettimo|Marettimo]] e di [[Isola di Favignana|Favignana]] per poi sbarcare nel punto che era più adatto. Il ''Piemonte'' rallentò per attendere il ''Lombardo'' più arretrato e avvertire Bixio dell’operazione, ma a quel punto si presentò una situazione pericolosa, perché a nord e a ponente si vedevano i fanali rossi della flotta nemica; Garibaldi diede l’ordine di spegnere tutte le luci di bordo e di fare silenzio per evitare che il Piemonte fosse individuato<ref>{{Cita|Crispi|pp. 174-175}}.</ref>. Mentre il ''Lombardo'' si avvicinava all'isola di Marettimo intravide la massa scura del ''Piemonte'' a luci spente e, scambiandola per una nave nemica, puntò verso di essa alla massima velocità, in quanto, in caso di incontro con nave nemica, Garibaldi aveva in precedenza dato ordine di gettarsi all’abbordaggio. Questo non avvenne, anche perché [[Augusto Elia]] al timone riconobbe il suono della campana del ''Piemonte'', avvisando prontamente Bixio<ref>[https://archive.org/stream/ricordidiungari01eliagoog#page/n33/mode/2up/search/arrembaggio Ricordi di un garibaldino dal 1847 al 1900], Augusto Elia, pagg. 21-22</ref> e dal ''Piemonte'' si levò la voce di allarme di Garibaldi:
{{Citazione|''Nino ! Oh ! Nino …'' (i due legni si avvicinano) ''… Che fai ? Vuoi colarci a fondo ?'',<br/> ''Nino Bixio risponde'' – ''Generale non vedevo più i segnali.''|{{Cita|Crispi|pp. 174-175}}.}} Da quel momento le due navi navigarono assieme. Sulle modalità di svolgimento del mancato incidente esistono anche altre versioni<ref>{{Cita|Agrati|pp. 144-148}}.</ref>.
 
La partenza aveva provocato proteste diplomatiche a Torino: il Canofari, inviato straordinario e ministro plenipotenziario del Regno delle Due Sicilie, informava minuziosamente di quanto succedeva a Genova il suo governo a Napoli, che aveva forti sospetti per la precedente presenza davanti a Palermo delle navi piemontesi [[Authion (avviso)|Authion]] e [[Governolo (pirofregata)|Governolo]]. Il ministro protestò per la spedizione con [[Luigi Carlo Farini]], appoggiato dai rappresentanti di [[Impero russo|Russia]] e [[Regno di Prussia|Prussia]] a Torino. Anche il francese Talleyrand, incaricato dal suo ministro degli esteri [[Édouard Thouvenel]], richiamò il Cavour sulle responsabilità alle quali andava incontro il governo sardo nei confronti del Regno delle Due Sicilie. Solo l'[[Regno Unito|Inghilterra]] non si allineò al generale coro degli stati europei contro la spedizione, alimentando la convinzione di Parigi che la spedizione garibaldina fosse favorita dal console inglese a Genova<ref>{{Cita|Agrati|pp. 63-64}}.</ref>.
 
=== L'arrivo in Sicilia ===
==== Lo sbarco a Marsala ====
{{Vedi anche|Sbarco a Marsala}}
[[File:Sbarco Marsala 1860.jpg|upright=1.4|miniatura|sinistra|Lo sbarco dei Mille a Marsala da un disegno di un ufficiale osservatore a bordo di una nave inglese]]
I due vapori, per evitare navi borboniche, avevano seguito una rotta inconsueta<ref name="decesare204-205">{{cita libro|cognome= de Cesare |nome= Raffaele |wkautore= Raffaele de Cesare |titolo= La fine di un regno |volume= 2 |anno= 1900 |editore= Scipione Lapi |città= Città di Castello |pp= 204-205 }} {{NoISBN}}</ref>, che li aveva portati fin quasi sotto le coste [[Tunisia|tunisine]]. Su tale rotta vicino alle coste tunisine è stato però osservato che il mattino dell'ultimo giorno di navigazione, alla velocità del ''Lombardo'' di 7 miglia orarie e dopo 40 ore di navigazione, i due vapori non potevano trovarsi a più di 280 miglia dalla partenza dall'[[Promontorio dell'Argentario|Argentario]] e quindi circa all'altezza delle [[isole Egadi]] o a ovest delle stesse, ad almeno 70 miglia dal [[Capo Bon]], senza considerare i ritardi e le soste<ref>I Mille nella storia e nella leggenda, Carlo Agrati, pagg. 148-149</ref>.
I Mille, intenzionati a volgere verso [[Sciacca]], dopo avere escluso [[Porto Palo]], tra [[Selinunte]] e [[Sciacca]], per basso fondale e difficoltà di sbarco, e anche per le informazioni fornite da Calogero Amato Vetrano, che informava Garibaldi per l'appunto che a Sciacca uno sbarco sarebbe stato molto difficile dato che erano presenti numerosi centri Borbonici, questo portò quindi i Mille a puntare a [[Marsala]], poiché informati dagli equipaggi di un veliero inglese e di una paranza da pesca siciliana di padron Strazzeri che il porto della città non era protetto da vascelli borbonici<ref name="decesare204-205"/>. L'assenza di borbonici convinse [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] a dirigersi verso Marsala<ref name="decesare204-205"/>, dove i vapori piemontesi giunsero nelle prime ore del pomeriggio. Secondo un'affermazione di [[Francesco Crispi]], pronunciata a Palermo in occasione del 25º anniversario della spedizione, il cambiamento del punto di sbarco sarebbe stato dovuto al fatto che "''una spia era penetrata nelle nostre file, e il governo di Napoli n'era stato informato''"<ref>I Mille nella storia e nella leggenda, Carlo Agrati, pag. 151</ref>.
[[File:Sbarco di Garibaldi a Marsala - SISSA 1860 pag. 89.JPG|miniatura|upright=1.4|Garibaldi sbarca a Marsala]]
 
Lo sbarco dei garibaldini fu favorito da diverse circostanze, come la presenza nel porto di Marsala di due navi da guerra della [[Royal Navy]], giunte per proteggere le imprese inglesi della zona, come i magazzini vinicoli Woodhouse e Ingham<ref>Editori Vari, ''Cronaca degli avvenimenti di Sicilia da aprile 1860 a marzo 1861'', Harvard College Library, 1863, pp. 78-80.</ref> e che finì per condizionare l'operato della [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie]]<ref>{{cita libro |cognome= Garibaldi |nome= Giuseppe |wkautore= Giuseppe Garibaldi |curatore= Franco Russo |titolo= Memorie |anno=1968 |editore= Avanzini e Torraca|città= Roma |p= 388 }} {{NoISBN}}</ref><ref>{{cita libro|cognome= de Cesare |nome= Raffaele |wkautore= Raffaele de Cesare |titolo= La fine di un regno |volume= 2 |anno=1909 |editore= Scipione Lapi |città= Città di Castello |p= 204 }} {{NoISBN}}</ref><ref>{{cita libro|cognome= Trevelyan |nome= Raleigh |titolo= Principi sotto il vulcano |anno= 2001 |editore= Rizzoli |città= Milano |isbn= 88-17-86671-7 |p= 164 }}</ref> e il ritardo con cui le navi da guerra borboniche giunsero nelle acque marsalesi<ref>{{cita libro|cognome= Saladino |nome= Antonio |titolo= L'estrema difesa del regno delle Due Sicilie (aprile-settembre, 1860) |anno=1960 |editore= Società napoletana di storia patria |città= Napoli |p= xxiii }} {{NoISBN}}</ref><ref>{{cita libro|cognome= de Cesare |nome= Raffaele |wkautore= Raffaele de Cesare |titolo= La fine di un regno, Vol. 2 |anno=1909 |editore= Scipione Lapi |città= Città di Castello |p= 203 }} {{NoISBN}}</ref>, da cui conseguì un'azione difensiva tardiva e sterile<ref>{{cita libro |cognome= Acton |nome= Harold |wkautore= Harold Acton |titolo= Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861) |anno= 1997 |editore= Giunti Editore |città= Firenze |isbn= 88-09-21256-8 |p= 496 }}</ref>.
 
Secondo quanto affermato dallo storico inglese [[George Macaulay Trevelyan]] nel suo libro ‘'Garibaldi e i Mille'’, le due navi inglesi Argus e Intrepid non fecero nulla per aiutare Garibaldi<ref group="N">In definitiva, la tanto famosa presenza di navi inglesi a Marsala si risolse in un nulla di fatto. All'informazione del comandante della flottiglia borbonica, capitano Acton, che avrebbe dovuto far fuoco sui garibaldini, i capitani dell'Argus e dell'Intrepid non opposero la minima obiezione, limitandosi a chiedere che le unità borboniche non colpissero gli inglesi. (George Macaulay Trevelyan, “Garibaldi e i mille”, Bologna 1909, p. 308).</ref><ref>{{cita libro|autore=[[George Macaulay Trevelyan]]|titolo=“Garibaldi e i mille” |editore=[[Zanichelli]]|città=Bologna|anno=1909|p=308}}</ref>, né avrebbero potuto perché avevano le caldaie spente ed erano ormeggiate al largo, con i loro comandanti Marryat e Winnington-Ingram a terra assieme a parte dell'equipaggio<ref group="N">Le due navi inglesi erano ormeggiate al largo e lì rimasero immobili: «Gli ufficiali inglesi gettarono le ancore tenendosi assai lontani dal porto; l'Argus a due o tre miglia, l'Intrepid alquanto più presso ma sempre a un miglio circa, «fra i tre quarti e il miglio di distanza dal faro sulla punta estrema del molo». E non abbandonarono queste posizioni lontane mentre si svolgevano gli avvenimenti straordinari di quel giorno non opponendo così il minimo impedimento materiale a qualsiasi operazione che i napoletani scegliessero o potessero scegliere di eseguire.» (George Macaulay Trevelyan, “Garibaldi e i mille”, Bologna 1909, p. 303).</ref><ref>{{cita libro|autore=[[George Macaulay Trevelyan]]|titolo=“Garibaldi e i mille” |editore=[[Zanichelli]]|città=Bologna|anno=1909|p=303}}</ref>.
La neutralità della marina inglese fu confermata durante la battaglia di Palermo, quando Garibaldi, rimasto quasi privo di polvere da sparo, la richiese inutilmente ai comandanti delle flotte da guerra ormeggiate al largo della città<ref>{{cita libro|autore=[[George Macaulay Trevelyan]]|titolo=“Garibaldi e i mille” |editore=[[Zanichelli]]|città=Bologna|anno=1909|p=416}}</ref>.
 
Inoltre i comandanti borbonici, ignorando le segnalazioni dei servizi di informazione napoletani, appena un giorno prima dello sbarco avevano fatto rientrare a Palermo le colonne del generale Letizia e del maggiore d'Ambrosio per far fronte al pericolo d'insurrezione nella capitale siciliana<ref>{{cita|De Gregorio|p. 8}}.</ref>. Questo cambiamento, però, fu fatale, in quanto, al momento dello sbarco, non vi erano truppe di terra né a Marsala né nei dintorni.
 
I garibaldini lasciarono Marsala e si inoltrarono rapidamente verso l'interno. A loro si unirono, già il 12 maggio, 200 volontari siciliani comandati dai fratelli Sant'Anna.
 
Il 13 maggio a [[Salemi|Rampingallo]] la spedizione si organizzò in due battaglioni: 1º battaglione di [[Nino Bixio|Bixio]] e 2º battaglione di [[Giacinto Carini|Carini]], passando in totale da 8 a 9 compagnie, creando la 9ª compagnia, con aggregati i carabinieri genovesi, comandata da [[Giacomo Griziotti|Griziotti]], mentre [[Giuseppe La Masa|La Masa]] partì, accompagnato da Buscaino e Curatolo, in cerca di volontari siciliani, lasciando il comando della 4ª compagnia al trapanese Mario Palizzolo; anche il calabrese [[Francesco Stocco|Stocco]] lasciò il comando della 3ª compagnia allo [[Francesco Sprovieri|Sprovieri]]; l'artiglieria era comandata da [[Vincenzo Giordano Orsini|Orsini]], che aveva aggregati anche la compagnia marinai del [[Salvatore Castiglia|Castiglia]]<ref>I Mille nella storia e nella leggenda, Carlo Agrati, pagg. 235-236</ref>.
 
==== Proclamazione della Dittatura ====
 
[[File:Le Gray, Gustave (1820-1884) - Palerme. Portrait de Giuseppe Garibaldi, juillet 1860.jpg|miniatura|upright=0.7|Garibaldi fotografato a Palermo nel luglio 1860|alt=|sinistra]]
[[File:D'Angelo Giuseppe patriota Palermo.jpg|miniatura|upright=0.7|alt=|Giuseppe d'Angelo, patriota palermitano]]
Il 14 maggio a [[Salemi]] Giuseppe Garibaldi dichiarò di assumere la [[Dittatura]] della Sicilia in nome di [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]]<ref>http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/PIR_Ifocusdellastoria/PIR_Ladittaturagaribaldina</ref>; tutta l'iniziativa garibaldina si mosse sotto il motto "Italia e Vittorio Emanuele". Il 17 [[Francesco Crispi]] venne nominato primo Segretario di Stato<ref>http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/PIR_Lecartedellastoria/decreto17%20maggio%20-%20segretario%20di%20stato.pdf</ref>.
Il decreto seguente, opera di Crispi, è il primo atto in cui Vittorio Emanuele II viene definito "Re d’Italia".
{{citazione|
''ITALIA E VITTORIO EMANUELE'' <br/>
''Giuseppe Garibaldi, comandante in capo dell’esercito nazionale in Sicilia: dietro l’invito dei principali cittadini e quello dei comuni liberi dell’Isola;''
''considerando che in tempo di guerra è necessario che i poteri civili e militari siano concentrati nella stessa mano: ''
''DECRETA ''
''Che egli prende, in nome di Vittorio Emanuele Re d’Italia la dittatura di Sicilia. '' <br/>
''Salemi 14 maggio 1860. Giuseppe Garibaldi''|}}
Lo stesso giorno Garibaldi emise un altro decreto, controfirmato da Crispi, che istituiva la nuova milizia siciliana, comprendente tutti i siciliani atti alle armi dai 17 ai 50 anni di età, decreto che però risulterà di non agevole applicazione.<ref>CRISPI - PER UN ANTICO PARLAMENTARE COL SUO DIARIO DELLA SPEDIZIONE DEI MILLE, ROMA, EDOARDO PERINO, Editore-Tipografo Roma, 1890 - pag. 178)</ref>
 
A Salemi Garibaldi incontrò [[Giovanni Pantaleo|Fra Pantaleo]], che si unì alla spedizione garibaldina diventando poi amico di Garibaldi e suo grande elemosiniere.
 
==== La battaglia di Calatafimi ====
{{vedi anche|Battaglia di Calatafimi}}
[[File:Calatafimi battaglia - SIDVDG 1860.JPG|miniatura|upright=1.35 |Per tradizione, come per lo sbarco di Marsala, i garibaldini vengono raffigurati tutti con la camicia rossa, anche se la sua adozione in massa avvenne solo dopo la presa di Palermo; inizialmente era solo una minoranza a indossarla]]
I Mille, affiancati da 500 "picciotti", ebbero un primo scontro il 15 maggio 1860 nella [[battaglia di Calatafimi]] contro circa 3.000 soldati borbonici<ref>Secondo il De Cesare (II. 210) i soldati regi sarebbero stati 4.000 ed il de' Sivo dice 3.000 (III. 121). Il numero di 3.000 è stimato in base al fatto che erano previste 20 compagnie (oscillanti da 160 a 90 uomini), per circa 3.000 uomini, poiché però lo stesso Landi afferma essere state presenti sul campo 14 compagnie, il numero andrebbe stimato secondo lo storico Trevelyan in 2.000. - Garibaldi e i Mille - Appendice M, G. M. Trevelyan, pag. 447</ref> guidati dal generale [[Francesco Landi (generale)|Francesco Landi]].
 
Lo scontro si svolse fuori dall'abitato in una località che i memorialisti dell'epoca riportarono come "Pianto Romano" e si risolse in ripetuti assalti alla baionetta dei garibaldini che superarono le successive linee di difesa dei borbonici attestati su terrazzamenti agricoli di un colle. Tanti gli episodi tramandati dall'epica risorgimentale, tra cui l'eroico gesto con il quale [[Augusto Elia]] salvò la vita al generale Garibaldi, riportando una grave ferita al volto.
 
Sconfitte le truppe borboniche, queste si ritirarono verso l'abitato di [[Calatafimi Segesta|Calatafimi]]. La notizia della vittoria garibaldina si diffuse rapidamente nell'area, spesso accompagnata da mirabolanti narrazioni, fomentando la rivolta nella popolazione siciliana. Ad [[Alcamo]], sulla via per Palermo, le truppe borboniche furono attaccate dai siciliani che sparavano dalle case e dai balconi e come rappresaglia i soldati incendiarono molte case<ref>{{Cita|Butta|pag 27}}.</ref>. A [[Partinico]] la popolazione si ribellò al tentativo di requisizione forzata di beni e viveri da parte dei soldati in ritirata con una [[Eccidio di Partinico|sanguinosa rivolta popolare]].
 
Alla notizia della sconfitta di Calatafimi, Francesco II chiese al generale Filangeri di riprendere servizio, ma costui si rifiutò; il re, con una cerimonia ufficiale, depose ai piedi della statua di [[San Gennaro]] lo scettro e la corona, nominando il santo re di Napoli e implorando invano il miracolo della liquefazione del sangue; dietro suggerimento della consorte cominciò a considerare di concedere la costituzione, e cominciò a sondare l'opinione di padre Borelli, influente cappellano di corte, ricevendo una netta risposta negativa<ref>vedi pag. 144-146 A. Petacco (2009)</ref>.
 
==== Attacco e insurrezione di Palermo ====
{{vedi anche|Insurrezione di Palermo (1860)|Convenzione per la capitolazione di Palermo}}
[[File:Nodari Giuseppe, I mille attraversano il ponte Ammiraglio di Palermo.jpg|miniatura|Attacco dei Mille al ponte dell'Ammiraglio in un acquerello di Giuseppe Nodari (uno dei Mille)]]
[[File:Palermo 1860 dopo vittoria garibaldini.jpg|miniatura|upright=1.1|Fotografia di una strada di [[Palermo]] dopo i combattimenti: sono visibili le barricate e gli edifici distrutti dal bombardamento borbonico]]
 
Dopo la battaglia di Calatafimi Garibaldi puntò su Palermo passando da Alcamo e Partinico. Tuttavia il 19 maggio, arrivato a [[Pioppo (Monreale)|Pioppo]] presso [[Monreale]] e ormai vicino a Palermo, decise di ripiegare per l'interno passando da [[Altofonte]] e retrocedendo fino a [[Piana degli Albanesi]]. In questa sorta di ritirata, resa più dura da un temporale, i garibaldini, intercettati da truppe regie, rischiarono di subire una sconfitta, ma tutto si risolse in piccole scaramucce. Garibaldi decise anche di mandare verso [[Corleone]] una colonna con l'artiglieria, al comando di [[Vincenzo Giordano Orsini|Vincenzo Orsini]], cercando di ingannare il nemico. Dopo queste manovre diversive verso l'interno, di cui oggi non è semplice comprendere le ragioni, i garibaldini arrivarono a [[Gibilrossa]] tra [[Misilmeri]] e [[Belmonte Mezzagno]], dove complessivamente con oltre 3.200 siciliani delle squadre raggiungevano il numero di 4.000 uomini<ref>I Mille nella storia e nella leggenda, Carlo Agrati, pag. 449</ref>. Di lì i garibaldini e i volontari siciliani, per strade secondarie scesero verso la costa e il 27 maggio giunsero a Palermo e si apprestarono a entrare in città, attraverso il [[Ponte dell'Ammiraglio]] e la [[Porta Termini]] presidiata dai militari borbonici. Dopo un duro scontro, le truppe reali abbandonarono il campo e rientrarono a Palermo. Una colonna di garibaldini attraversò la [[Porta Termini]] e entrò in città; un'altra colonna attraversò con minori difficoltà la [[Porta Sant'Antonino]]<ref>[[Giuseppe La Masa]], ''Alcuni fatti e documenti della revoluzione dell'Italia meridionale del 1860'', Tipografia Franco, Torino, 1861, p. 54.</ref>.
Negli scontri per l'ingresso in città cadeva l'ungherese [[Lajos Tüköry]], mentre furono feriti, fra gli altri, [[Benedetto Cairoli]], [[Stefano Canzio]] e [[Nino Bixio]].[[File:Fattori. Garibaldi a Palermo.jpg|miniatura|upright=1.1|Fattori, Garibaldi a Palermo|alt=|sinistra]]Aiutati dall'[[Insurrezione di Palermo (1860)|insurrezione di Palermo]], tra il 28 maggio e il 30 maggio i garibaldini e gli insorti, combattendo spesso strada per strada, conquistarono tutta la città, nonostante il bombardamento indiscriminato condotto dalle navi borboniche e dalle postazioni presenti presso il piano antistante il [[Palazzo dei Normanni]] e il [[Castello a Mare (Palermo)|Castello a Mare]]. Il 29 maggio si ebbe un deciso contrattacco delle truppe regie che, però, venne arginato.
Il giorno 30 maggio i borbonici, asserragliati nelle fortezze lungo le mura, chiesero un armistizio. Garibaldi, ormai padrone della città, si proclamò "dittatore", nominando un governo provvisorio in cui risaltava il ruolo di Francesco Crispi.
Dopo un armistizio dal 30 maggio al 3 giugno, il giorno 6 giugno le truppe che difendevano il capoluogo siciliano capitolarono in cambio del permesso di lasciare la città, chiedendo l'[[onore delle armi]], che Garibaldi concesse in quanto anch'essi italiani; nel trattarli così, poté dire di aver riportato un'altra vittoria<ref>Storia dei Mille, Giuseppe, Cesare Abba, pag. 207</ref>.
 
Uno dei primi atti di Garibaldi fu l'emanazione del decreto del 28 maggio<ref>Per il decreto vedere: [[#Le_rivolte_contadine|Le rivolte contadine]]</ref> con il quale disponeva che le terre dei demani comunali (e, in mancanza di queste, quelle appartenenti al demanio statale) fossero divise tra i contadini nullatenenti che avessero combattuto ai suoi ordini come volontari.
 
In quei giorni il porto di Palermo divenne un affollato crocevia dei più disparati personaggi, compresi molti cronisti di giornali inglesi e americani, tra cui l'ungherese naturalizzato britannico [[Nándor Éber]], corrispondente del ''[[Times]]'', che entrò a far parte dei Mille con il grado di colonnello. Il 30 maggio sbarcò dal suo panfilo personale [[Alexandre Dumas (padre)|Alexandre Dumas]] con armi e champagne. Il 6 giugno arrivò [[Giuseppe La Farina]], inviato da Cavour, che temeva una possibile influenza dei mazziniani. La Farina avrebbe dovuto, nel desiderio di Cavour, prendere il controllo politico della situazione a favore del Regno di Sardegna, ma non trovò al momento un'accoglienza favorevole. Lascerà nelle lettere di quei giorni severi giudizi sui garibaldini e il governo dittatoriale e continuerà a complottare per l'immediata annessione, fino alla sua espulsione dall'isola.
 
[[Michele Amari]], osservatore definito imparziale, moderato e cavourriano, rientrato in Sicilia il 3 luglio 1860, così descriveva la situazione a Palermo:{{Citazione|''In Palermo non si sentono né i furti, né gli omicidi, né le altre violenze del 1848; questo lo posso affermare.'' <br/>
''Se hanno continuato fino a pochi giorni addietro ad ammazzare qualche birro, sai bene che il caso è eccezionale dopo tante infamie.'' <br/>
''È male al certo, ma non prova punto l'anarchia.''|Garibaldi e la formazione dell'Italia - appendice D - G.M. Trevelyan - pag. 383.}}
 
==== La formazione del governo dittatoriale ====
{{Vedi anche|Dittatura di Garibaldi}}
Intanto il governo dittatoriale prendeva forma.
Il 2 giugno a Palermo furono creati da Garibaldi sei dicasteri: della Guerra, dell'Interno, delle Finanze, della Giustizia, dell'Istruzione pubblica e del culto, degli Affari esteri e del commercio<ref>http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/PIR_Lecartedellastoria/decreto%202%20giugno%20-%20dicasteri.pdf</ref>. Garibaldi nominò inoltre propri rappresentanti presso i governi di Londra, Parigi e Torino. Firmò anche un decreto che assegnava pensioni alle vedove e assistenza di stato agli orfani dei caduti per la causa nazionale, assimilando a questi anche i tredici fucilati del 14 aprile 1860, durante la cosiddetta [[#La_rivolta_della_Gancia_a_Palermo|Rivolta della Gancia]].
 
Rappresentante presso il governo provvisorio siciliano da parte del [[Regno di Sardegna]] fu inviato il siciliano [[Giuseppe La Farina]], con l'intento di controllare e condizionare l'operato di Garibaldi e per questo già a luglio espulso da Palermo; al suo posto Cavour inviò [[Agostino Depretis]]. Il 20 luglio Garibaldi nominò lo stesso Depretis "prodittattore", con l'esercizio di "tutti i poteri conferiti al Dittatore dai comuni della Sicilia". Il 14 settembre, tuttavia, Depretis si dimise, non avendo potuto convincere il generale all'annessione diretta della Sicilia al Regno di Sardegna e il 17 si insediò al suo posto [[Antonio Mordini]], che restò fino alla conclusione del [[Plebiscito delle province siciliane del 1860|plebiscito d'annessione]]<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/agostino-depretis_(Dizionario-Biografico)/ Agostino Depretis in Dizionario Biografico – Treccani<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref> del 21 ottobre 1860. Nel settembre Cavour fece poi nominare prodittatore di Napoli [[Giorgio Pallavicino Trivulzio]].
 
==== Gli sbarchi dei rinforzi e la formazione dell'esercito meridionale ====
{{vedi anche|Sbarchi dei rinforzi alla spedizione dei Mille}}
Il 2 e il 3 giugno arrivarono a Catania, che intanto era insorta, due imbarcazioni con diversi volontari e rifornimenti provenienti da Genova, dopo un lungo viaggio che aveva toccato Malta. Il 7 giugno arrivarono da Malta 1.500 fucili di produzione britannica. Sbarcò a Marsala una nave di rifornimenti (l'''Utile'') con 69 uomini al comando di [[Carmelo Agnetta]], 1.000 fucili e molte munizioni, che incontrarono [[Giuseppe Cesare Abba]] l'11 giugno a Palermo. Secondo Abba avevano portato "''[...] due migliaia tra schioppi e schioppacci, e molte munizioni e i loro cuori''".<ref>Giulio Adamoli, ''Da San Martino a Mentana. Ricordi di un volontario'', Milano, Fratelli Treves, Editori, 1911, pag. 79</ref><ref>Secondo Abba erano 60 volontari e l'11 giugno era la data di incontro e non di sbarco avvenuto in precedenza (infatti l'Utile era ripartito da Genova tra l'8-9 giugno per il secondo viaggio) - (vedi: Garibaldi e la formazione dell'Italia - appendice B pag. 318-319) - [https://books.google.it/books?id=F0RoBgAAQBAJ&pg=PA9&lpg=PA9&dq=carmelo+agnetta&source=bl&ots=rKlfx9hkj_&sig=sO5WOxN6HXaX-5q64tSmny9mq28&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiTy9mP-7DRAhXFcRQKHbFqDFY4ChDoAQhDMAk#v=onepage&q=carmelo%20agnetta&f=false Da Quarto al faro - Cesare Abba - pagg. 175-176]</ref>.
 
Il 18 giugno sbarcò a [[Castellammare del Golfo]] la seconda vera e propria spedizione, proveniente da Genova e comandata dal generale [[Giacomo Medici]], con tre navi<ref>''Washington, Oregon, Franklin''</ref>, circa 2.500 volontari dei 3.500 partiti, 8.000 fucili moderni e munizioni<ref>Indro Montanelli e Marco Nozza - Garibaldi - Editore Rizzoli - Milano 1962</ref>, sbarcarono solo 2.500 volontari, in quanto i circa 1.000 del gruppo [[Clemente Corte|Corte]], in navigazione sulle navi ''Utile'' e ''Charles and Jane'' erano stati intercettati e catturati dalla [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|Marina borbonica]], che li avrebbe condotti a [[Gaeta]] e successivamente rilasciati. I circa 1.000 del gruppo Corte si imbarcheranno di nuovo per il Sud il 15 luglio sulla nave ''Amazon''<ref>Garibaldi and the making of Italy - G.M. Trevelyan - Appendice B - [[#Gli_sbarchi_successivi_al_primo_di_Marsala|vedere: ''App. B - PAG. 318'']]</ref>.
 
[[File:Medici entra a Palermo 2 Illustration 14 lug 1860.JPG|miniatura|upright=1.2|Medici entra a Palermo|alt=|sinistra]]
{{citazione|'' 21 giugno 1860 ''
''Medici è arrivato con un reggimento fatto e vestito. Entrò da Porta Nuova sotto una pioggia di fiori. Quaranta ufficiali coll’uniforme dell’Esercito Piemontese, formavano la vanguardia.''
''Noi della spedizione dispersi nell’onda dei sopravvenienti, porteremo con noi le memorie di venticinque giorni vissuti come nella solitudine, faticando, combattendo e credendo.''|''Da Quarto al Faro'' libro di [[Giuseppe Cesare Abba]], pag. 199<ref>Da Quarto al Faro, noterelle di uno dei mille, di Giuseppe Cesare Abba, Zanichelli – Bologna – 1882 - [https://archive.org/stream/daquartoalfarono00abbauoft#page/198/mode/2up/search/medici Da Quarto al Faro; noterelle d'uno dei Mille]</ref>}}
[[File:Sbarchi SICILIA 1860.jpg|miniatura|upright=1.2|Sbarchi garibaldini in Sicilia nel 1860]]
Così [[Giuseppe Cesare Abba]], dopo lo sbarco di [[Marsala]], descrive l’arrivo della prima delle altre spedizioni garibaldine costituita da [[Giacomo Medici|Medici]] con circa 2.500 garibaldini; a questa seguiranno altre spedizioni descritte con dettaglio dallo storico britannico [[George Macaulay Trevelyan]] nella sua opera ''Garibaldi e la formazione dell’Italia''<ref>''Garibaldi and the making of Italy'', di George Macaulay Trevelyan, Edizioni Longmans, Green and Co., New York, London, 1911 [https://archive.org/stream/garibaldimakingo00trevuoft#page/n5/mode/2up Garibaldi and the making of Italy]</ref>.
 
Con Medici, tra gli altri, sbarcarono anche [[Jessie White]] (che entrò a far parte dell'ambulanza sotto Pietro Ripari, come Garibaldi le aveva promesso da tempo)<ref>{{Cita libro|autore=Ivo Biagianti|curatore=P. L. Bagatin|titolo=Jessie White, biografa di Alberto Mario|data=1984|editore=Comune di Lendinara. Comitato per il I centenario della morte di Alberto Mario|città=Lendinara|p=85|opera=Alberto Mario nel I centenario della morte. Atti del convegno nazionale di studio.}}</ref> e il marito [[Alberto Mario]], al quale il Generale affidò l'incarico di fondare una scuola militare.<ref>{{Cita libro|autore=Alberto Mario|wkautore=[[Alberto Mario]]|curatore=P. L. Bagatin|titolo=La Camicia rossa|annooriginale=1870|data=2011|editore=Antilia|città=Treviso|pp=9-11}}</ref> Egli la progettò gratuita e capace di 3000 allievi. Quando, il dì dopo, il 24 giugno, sottopose il disegno a Garibaldi, questi l'approvò con decreto dittatoriale e la volle adatta per 6000 ragazzi. Mario, che pretese di non venir pagato per la sua opera e di poter seguire il Generale appena si fosse ripartiti, prese un ospizio che ospitava 60 trovatelli (che furono i primi allievi) e ne fece la sede dell'Istituto, il quale venne in seguito intitolato a Garibaldi per difenderlo dalla successiva gestione governativa. Dispose poi che i ragazzi, fino ad allora vagabondi e non avvezzi alle regole, uscissero dalla scuola come sotto-ufficiali o sottotenenti. Egli diresse l'istituto con grande passione e perizia ed affidò al [[Carlo Rodi|maggiore Rodi]] il primo battaglione di 1000 giovani.<ref>Ivi, pp. 14-16.</ref>
 
[[File:Bartolena I volontari livornesi 1872.jpg|upright=1.4|miniatura|destra|Dipinto di [[Cesare Bartolena]] che raffigura l'imbarco dei volontari livornesi, avvenuto il 9 giugno 1860 con l'ultimo contingente di volontari toscani]]
[[File:Palermo - Palazzo Pretorio lapide Garibaldi.jpg|upright=0.6|miniatura|sinistra|Lapide presso il [[Palazzo Pretorio (Palermo)|Palazzo Pretorio di Palermo]]]]
Durante il mese di giugno ai garibaldini si aggregarono altri volontari siciliani e quelli [[#Gli_sbarchi_successivi_al_primo_di_Marsala|provenienti da altre parti d'Italia]], i cui arrivi si succedevano quasi quotidianamente, inquadrandosi in quello che poi fu chiamato "[[esercito meridionale]]"; sempre in giugno si formò il primo nucleo della [[Marina dittatoriale siciliana]]. Il 1º giugno, proveniente da Malta, sbarcò a [[Pozzallo]], ancora sotto controllo borbonico, [[Nicola Fabrizi]] con 20 volontari della [[Legione italica]], che muoverà verso Catania, raggiunta il 20 giugno, formando la colonna dei Cacciatori del Faro ed accrescendosi di volontari durante la marcia, fino a raggiungere il numero di 300 uomini<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/nicola-fabrizi_(Dizionario-Biografico)/ FABRIZI, Nicola]</ref>.
 
Il 5 e il 7 luglio sbarcarono a Palermo oltre 2.000 volontari<ref name=trev>G. M. Trevelyan - ''Garibaldi e la formazione dell'Italia'' - appendice B - pp. 318-319</ref> comandati da [[Enrico Cosenz]].
Il 9 luglio su una vecchia carboniera arrivarono diverse centinaia di volontari.
Il 22 luglio su due navi arrivarono a Palermo circa 1.535 volontari<ref name=trev/>, quasi tutti lombardi, al comando di [[Gaetano Sacchi]].
 
Le partenze delle successive spedizioni garibaldine avvennero quasi tutte dal porto di Genova e due da [[Livorno]] nel periodo dal 24 maggio 1860 fino al 20 agosto 1860, quando le partenze dal porto ligure cessarono, per poi riprendere con un’ultima spedizione dal porto di Livorno, avvenuta tra il 1º e il 3 settembre (spedizione [[Giovanni Nicotera|Nicotera]]).
 
Complessivamente partirono più di venti spedizioni navali, riepilogate nell’appendice B dell’opera indicata nella nota in calce, per un totale di circa 21.000 volontari, oltre ai primi 1.000. Alla fine di agosto 1860 le partenze dai porti del nord vennero sospese dal Cavour, che intendeva invadere lo Stato Pontificio e il territorio del Regno delle due Sicilie<ref>[https://archive.org/stream/garibaldimakingo00trevuoft#page/316/mode/2up '' (The making of Italy - Appendice B - pp. 316-320'')]</ref>.
 
Al termine dell’appendice B<ref>(Garibaldi and the making of Italy - Appendice B - pag. 320)</ref> lo storico britannico Trevelyan descrive anche le partenze di spedizioni navali con materiali e armi destinati a rifornire l’armata garibaldina, a mezzo delle navi: ''Queen of England'' (chiamata anche ''Anita'' -<ref>Durand Brager, 169</ref>), ''Independence'', ''Ferret'', ''Badger'', ''Weasel'' e le altre navi ''Spedizione'' e ''Colonnello Sacchi'', mentre nell’appendice C vengono illustrate le altre organizzazioni che aiutarono, anche finanziariamente, l’impresa garibaldina, come la [[Società nazionale italiana]], il [[Fondo per il milione di fucili]], i Comitati organizzati da [[Agostino Bertani]], nonché le altre fonti di finanziamento provenienti da quanto l’impresa garibaldina raccoglieva confiscando nei territori occupati i valori della zecca di Palermo.<ref>(Garibaldi and the making of Italy - pag. 63 e Appendice C - pp. 321-322)</ref>.
 
Le fonti del prospetto delle spedizioni garibaldine sintetizzato dallo storico britannico sono ricavate principalmente dai diari e carteggi di [[Agostino Bertani|Bertani]], che annotava le partenze e [[Stefano Turr|Türr]], che registrava anche gli arrivi delle spedizioni nel sud<ref name="books.google.it">''Le spedizioni di volontari per Garibaldi - e da altre fonti cifre e documenti complementari al resoconto del Bertani&nbsp;– estratto dal Corriere Mercantile&nbsp;– Genova&nbsp;– Tipografia e Litografia dei fratelli Pellas & C. – 1861'' – p. 22 e segg. [https://books.google.it/books?id=Qa5ALha0VMIC&pg=PA24&dq=pietro+cortes+garibaldino&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjau8b4wZLRAhUBVBQKHS9DC9cQ6AEIHDAA#v=onepage&q=pietro%20cortes%20garibaldino&f=false Le spedizioni di volontari per Garibaldi cifre e documenti complementari al... - Google Libri]</ref> e altre fonti citate.
 
==== Insurrezione nel resto dell'isola ====
[[File:Insurrezione di Catania - LSGSN 1860 Pag. 86.JPG|miniatura|upright=1.35|Insurrezione di Catania.]]
La città di [[Catania]] era duramente provata da 15 giorni di stato di assedio, che si aggiungeva ai disagi dovuti alla situazione in cui da due mesi si trovava l’isola<ref>La Spedizione di Sicilia e di Napoli–Mario Menghini–Società Tipografico Editrice Nazionale–Torino–1907–pp. 84-87 [https://archive.org/stream/laspedizionegari00menguoft#page/84/mode/2up La spedizione garibaldina di Sicilia e di Napoli, nei proclami, nelle corrispondenze, nei diarii e nelle illustrazioni del tempo]</ref>.
 
Il 31 maggio alle 5 antimeridiane gli insorti, guidati dal maggiore Giuseppe Poletti al grido “''Italia e Vittorio Emanuele''” attaccavano 2.000 soldati delle truppe regie asserragliate nel centro della città, dove avevano occupato anche molte case di cittadini, in quanto venuti a conoscenza che gli insorti stanziati presso Lentini minacciavano i sobborghi di [[Misterbianco]] e [[Mascalucia]].
 
Le truppe regie avevano occupato il seminario, l’arcivescovado, il palazzo della città, il convento di S. Francesco, le logge del monastero femminile di S. Agata e l’Università, dove parecchi pregiati volumi finirono gravemente danneggiati, in quanto utilizzati dai militari per creare dei parapetti difensivi. Dopo otto ore di attacco gli insorti, aiutati dalla popolazione, erano riusciti ad avere un certo successo, strappando due cannoni ai regi, ma l’avvicinarsi di altri 2.000 soldati e la scarsità di munizioni li costrinsero a retrocedere con poche perdite, mentre i regi borbonici perdettero parecchi effettivi.
 
Durante gli scontri si distinse la patriota [[Giuseppa Bolognara Calcagno]] nota anche come "''Peppa la cannoniera''”<ref>Peppa la cannoniera [http://www.150anni.it/webi/stampa.php?wid=1865 Calcagno Giuseppa (Peppa la Cannoniera)]</ref>, in quanto era riuscita a sottrarre un cannone alle forze nemiche.
 
I soldati regi borbonici si abbandonarono quindi a rappresaglie nei confronti della popolazione civile, effettuando eccidi senza distinzione di sesso o di età, appiccando il fuoco a diverse case dopo averle saccheggiate<ref>La Spedizione di Sicilia e di Napoli–Mario Menghini–p. 84 dal giornale “Opinione” del 17 giugno 1860</ref>. A questo si aggiunse anche il bombardamento della città da parte di un vapore da guerra regio ancorato nel porto, gli incendi appiccati non si propagarono a tutta la città a causa del fatto che le abitazioni in muratura offrivano poco materiale combustibile.
 
Il 3 giugno le truppe regie si ritirarono via terra verso Messina, scortate da parte di mare da una nave da guerra seguita da altre navi noleggiate e caricate di munizioni e di tutto quanto avevano potuto prendere nella città da loro abbandonata. Il generale Clary aveva anche ritirato tutto il denaro depositato nella ricevitoria generale, che rimaneva quindi con le casse vuote. Mentre si ritiravano le forze borboniche imponevano ai paesi attraversati il pagamento della tassa di guerra, gravandoli con il pagamento di ingenti somme. Ad [[Acireale]], partite le truppe, la popolazione esasperata si abbandonò a ritorsioni nei confronti di diversi “birri”<ref>Agenti di polizia</ref> che vennero uccisi, ma la situazione venne presto riportata alla calma dai cittadini più influenti.
 
I garibaldini furono riorganizzati e verso la fine del mese di giugno mossero da Palermo, divisi in tre colonne, verso la conquista dell'isola. La brigata di [[Stefano Türr]] (poi comandata da Eber), con circa cinquecento uomini, s'incamminò per l'interno, Bixio con circa 1.700 uomini verso Catania, passando da Agrigento, e Medici con Cosenz, al comando della colonna più importante, avanzarono lungo la costa settentrionale.
 
Intanto, mentre Garibaldi avanzava, erano stati ideati progetti per fermarlo, tramite un attentato alla sua vita<ref>Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della Patria&nbsp;– Documenti inediti&nbsp;– Giacomo Emilio Curatolo&nbsp;– Zanichelli&nbsp;– Bologna MCMXI, pp. 187, 207, 208 [https://archive.org/stream/garibaldivittori00cur#page/186/mode/2up/search/fieramosca Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della patria, documenti inediti, dieci lettere di Vittoria Emanuele a Garibaldi nel 1860. Scritti di Cavour, Mazzini, Cattaneo, Pallavicino, Cosenz, Cialdini, etc., di Garibaldi all'imperatore Guglielmo I ed a Bismarck, con facsimili e quattro illustrazioni]</ref>, come risulta dal testo delle lettere scritte dal [[Salvatore Pes, marchese di Villamarina|marchese di Villamarina]] al [[Alessandro D'Aste Ricci|comandante d’Aste]] e dall’ammiraglio [[Carlo Pellion di Persano|Persano]] allo stesso Garibaldi, nelle quali si rappresentava il pericolo di un tentativo di omicidio nei confronti del generale nizzardo, da parte di un finto disertore borbonico di nome ''Valentini'', caporale della fanteria di marina borbonica e del bandito ''Giosafatte Tallarino''<ref name="ReferenceB">indicato anche come: ''Talarico''</ref><ref name="ReferenceA">. La missione non ebbe successo perché Tallarino o Talarico fu conquistato dalla personalità del [[condottiero]] - L'episodio è raccontato anche da Garibaldi nelle sue memorie, si veda anche [[Alfonso Scirocco]], ''Garibaldi'', Laterza, Roma-Bari, 2001, ed. spec. RCS Libri, 2005, p. 229.</ref> accompagnato da altri sicari inviati al medesimo scopo.
 
==== La battaglia di Milazzo e la caduta di Messina ====
{{vedi anche|Battaglia di Milazzo (1860)}}
[[File:Milazzo scontri sul fianco sinistro - TILN 18-08-1860.PNG|miniatura|upright=1.4|Milazzo - scontri sul fianco sinistro.]]
Il 20 luglio le truppe borboniche vennero sconfitte nella [[battaglia di Milazzo (1860)|battaglia di Milazzo]], a cui partecipò lo stesso Garibaldi, giunto da Palermo con 1.200 volontari<ref>2.000 secondo lo "Scottish Historical Review Trust"</ref> a bordo del vecchio vapore scozzese a pala “''City of Aberdeen''”, già utilizzato per portare in Sicilia la Spedizione ''Strambio'', partita da Genova il 10-11 luglio con 900 volontari<ref>The campaign of Garibaldi in the Two Sicicilies&nbsp;– Charles Stuart Forbes&nbsp;– William Blackwood and Sons&nbsp;– Edimburgo&nbsp;– 1861&nbsp;– p. 88 [https://archive.org/stream/campaigngaribal00forbgoog#page/n110/mode/2up/search/city+of+aberdeen]</ref>.
Il vapore “''City of Aberdeen''” era stato noleggiato grazie alle sottoscrizioni raccolte in Scozia, dove Garibaldi era molto popolare, in quanto considerato il [[William Wallace|Wallace]] italiano<ref>Diversi scozzesi si arruoleranno per unirsi a Garibaldi con la [[Legione Britannica]]</ref><ref>Scottish volunteers with Garibaldi&nbsp;– Janet Fyfe&nbsp;– Scottish Historical Review Trust&nbsp;– Edimburgo&nbsp;– 1978, pagg. 168, 180 [https://www.jstor.org/stable/25529302?seq=1#page_scan_tab_contents], [http://historyonline.chadwyck.co.uk/getImage?productsuffix=_studyunits&action=printview&in=gif&out=pdf&src=/pci/b297-1978-057-02-000003/conv/b297-1978-057-02-000003.pdf&IE=.pdf]</ref>.
 
I garibaldini guidati da Medici giunsero a [[Messina]] il 27 luglio, quando già una parte delle truppe borboniche aveva lasciato la città<ref name = ricciardi>[[Giuseppe Ricciardi (1808)|Giuseppe Ricciardi]], ''Vita di G. Garibaldi'', G. Barbera Editore, Firenze, 1860, p. 70.</ref>. Il giorno seguente, giunse Garibaldi. Con la città in mano ai Mille, il generale [[Tommaso Clary]], comandante dei borbonici, il sottocapo di Stato Maggiore del Comando Militare [[Cristiano Lobbia]] e il gen. Medici sottoscrissero una convenzione, che prevedeva l'abbandono di Messina da parte delle milizie borboniche, a patto che non venisse arrecato alcun danno alla città e che il loro imbarco verso Napoli non fosse molestato<ref name = ricciardi/>.
Garibaldi aveva ottenuto così campo libero, e i soldati borbonici si reimbarcarono verso il continente.
Il 28 luglio capitolarono anche le fortezze di Siracusa e Augusta, controllate dalla 2ª Brigata della 1ª Divisione garibaldina stanziata a Taormina. Così veniva completata la conquista dell'isola. Terminate le ostilità in Sicilia, il sottocapo di Stato Maggiore [[Cristiano Lobbia]] fu nominato Capo di Stato Maggiore per volere dello stesso Garibaldi vista la professionalità e la lealtà dimostrate nella campagna di Sicilia. Da allora il Lobbia avrebbe seguito Garibaldi fino alla sua ultima guerra contro la Prussia nel 1870 insieme all'esercito della terza Repubblica francese.
 
A difesa della [[Real Cittadella (Messina)|Real Cittadella]] di Messina affacciata sul porto, rimase solo una guarnigione borbonica di circa 4.000 soldati<ref>Album della storia dìItalia - Gustavo Strafforello - pag. 41</ref>, ultimo baluardo siciliano del Regno borbonico che non tenterà alcun'azione bellica, ma che si arrenderà solo il 13 marzo [[1861]] con la resa delle truppe del generale [[Gennaro Fergola|Fregola]] al contingente piemontese del generale Cialdini.
 
Con la conclusione della campagna di Sicilia a Messina, mentre si preparava lo sbarco in Calabria, molti volontari siciliani lasciarono le forze garibaldine facendo ritorno alle loro case, a seguire Garibaldi fino al Volturno rimasero il cosiddetto “battaglione inglese” composto di seicento volontari siciliani guidati dal colonnello [[John Clement Dunn|Dunne]], ottocento “Cacciatori dell’Etna” e la brigata siciliana guidata da [[Giuseppe La Masa|La Masa]], [[Giovanni Corrao|Corrao]] e [[Luigi La Porta|La Porta]].<ref>Garibaldi and the making of Italy – [[George Macaulay Trevelyan]] – pp. 115-116</ref>
 
Con la neutralizzazione di [[Messina]], Garibaldi cominciò i preparativi per il passaggio sul continente, nominando [[Agostino Depretis]] prodittatore, per governare la Sicilia. Cavour esercitava fortissime pressioni per procedere subito ai [[Plebisciti risorgimentali|plebisciti]] in Sicilia, preoccupato che la benevola neutralità di [[Francia]] e [[Inghilterra]] potesse rovesciarsi, inficiando le conquiste compiute. Più aggressivo si dimostrava, sicuramente, Vittorio Emanuele II, il quale incoraggiava il generale a passi decisi.
 
Il 13 agosto [[Luigi di Borbone-Due Sicilie (1824-1897)|Luigi di Borbone]], zio di Francesco II e comandante della [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie]], propose in una seduta del Consiglio di Stato di Napoli assieme al principe d'Ischitella, di riunire la flotta napoletana e attaccare il porto di Messina per distruggervi le navi di Garibaldi, questa proposta fu respinta violentemente in consiglio, con grandi discussioni, Luigi di Borbone abbandonò la sala e venne pesantemente accusato di personali ambizioni e ne venne chiesto l'esilio.
[[File:Monarca Bossoli.jpg|miniatura|La tentata cattura della nave Monarca.]]
Sospettato di volersi fare un partito e di aspirare a un vicariato generale, sul tipo di quello di [[Luigi Filippo]], Luigi di Borbone ricevette lo stesso giorno l'ordine di esilio scritto da Francesco II che gli negò la possibilità di un colloquio e dovette abbandonare il regno<ref>pp.139-144 ''Gli avvenimenti d'Italia del 1860: cronache politico-militari dall'occupazione della Sicilia in poi'', Volume 1, Tipografia G. Cecchini, Venezia, 1860</ref>.
La notte fra il 13 e 14 agosto i garibaldini, salpando da Palermo con la [[Tukery (pirofregata)|pirofregata Tukery]] tentarono la cattura del pirovascello borbonico [[Re Galantuomo (pirovascello)|Monarca]] ormeggiata nella baia di [[Castellammare di Stabia]], l'attacco fallì grazie alla pronta risposta del comandante [[Guglielmo Acton]] che venne lievemente ferito. Tuttavia l'attacco mise in allarme le truppe borboniche e [[Giosuè Ritucci|Ritucci]], comandante della piazza e provincia di Napoli, ne proclamò lo stato d'assedio.
 
==== Francesco II e la Costituzione ====
[[File:Francesco II e Maria Sofia - IMI 22-09-1860.PNG|miniatura|upright=1.4|Francesco II e Maria Sofia.|alt=|sinistra]]
{{Citazione|''Questo giovine autocrata ha obbedito in tutta sua vita, prima a suo padre e a sua matrigna, che l’hanno educato in ritiro impenetrabile, caserma ad un tempo e convento. Poi, dal suo avvenimento, alla [[camarilla]], che lo teneva nell’immobilità dell’ultimo regno. Più tardi, al machiavellismo a doppio viso del generale [[Carlo Filangieri, principe di Satriano|Filangieri]], l’uomo che più ha tolto di considerazione, e risospinta questa monarchia già vacillante. E poi per soprassello<ref>”per soprassello” = per giunta, per di più</ref> a quella camarilla, che ha posto in sua mano la polizia, e posto al potere Aiossa, [[Salvatore Maniscalco|Maniscalco]], i due uomini fatali che han portato, l’uno a Napoli, e l’altro a Palermo, gli ultimi colpi di scure al trono abbandonato dei Borboni.''
''Quando Garibaldi è venuto, la demolizione era già fatta.'' | Garibaldi – Rivoluzione delle Due Sicilie – [[Marco Monnier]], pag. 329<ref>Garibaldi – Rivoluzione delle Due Sicilie – [[Marco Monnier]] – Alberto Dekter Editore – Napoli – 1861 – pag. 329 [https://archive.org/stream/GaribaldiELaRivoluzioneDelle2Sicilie/Garibaldi%20e%20la%20Rivoluzione%20delle%202%20Sicilie#page/n353/mode/2up Garibaldi e La Rivoluzione Delle 2 Sicilie]</ref>
}}
La sensazione generale che il crollo della dinastia borbonica fosse ormai inevitabile si era presto delineata dopo le sconfitte in Sicilia, già dopo la presa di Palermo, la proclamazione della Costituzione e l’adozione del tricolore. La libertà di stampa aveva fermato la repressione dei dissidenti politici e la stessa polizia, diretta dall’abile [[Liborio Romano]], era praticamente divenuta un modo per favorire il liberalismo, al punto che il Persano scriveva a [[Camillo Benso Conte di Cavour|Cavour]], che Liborio Romano stava di fatto agevolando la causa dell’unificazione nazionale nei limiti consentiti dalla sua funzione<ref>[https://archive.org/stream/garibaldiandmak01trevgoog#page/n244/mode/2up/search/court Garibaldi and the making of Italy – G.M. Trevelyan – pagg. 166-182]</ref>.
 
[[File:Costituzione a Napoli - IMI 14-07-1860.PNG|miniatura|upright=1.3|La concessione della Costituzione a Napoli.]]
Il ripristino della [[Parlamento delle Due Sicilie#Lo statuto costituzionale|Costituzione]] del 1848, avvenuto il 1º luglio, aveva portato a [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] solo il consenso apparente della [[Francia]] e di pochi altri sudditi, ma non seguì alcun'applicazione pratica di governo costituzionale, in quanto il precedente comportamento della dinastia borbonica faceva temere che, in caso di iscrizione a liste elettorali, si potesse poi successivamente essere perseguiti in caso di revoca o di non applicazione delle norme costituzionali concesse, come già avvenuto in passato nel 1820 e 1848.
 
Mentre Garibaldi si trovava ancora in Sicilia, Cavour scriveva al Persano di non agevolare Garibaldi per il superamento dello stretto, in quanto lo stesso Cavour stava mettendo in atto tentativi per rovesciare il potere borbonico ancora presente a Napoli.
 
Dopo gli inutili tentativi di rovesciare il potere del re di Napoli, Camillo Benso Conte di Cavour si convinse che l’avanzata garibaldina era l’unico modo per provocare la definitiva caduta della dinastia borbonica e, dopo il superamento dello Stretto di Messina da parte delle forze di Garibaldi, permesso anche dalla revoca del blocco navale da parte dell’Inghilterra<ref>Garibaldi and the thousand&nbsp;– G. M. Trevelyan - pag. 4</ref>, Cavour cambiò atteggiamento, facendo sbarcare e distribuire armi a [[Salerno]], per agevolare la marcia di Garibaldi verso Napoli comunicando al suo ambasciatore a Napoli, il [[Salvatore Pes, marchese di Villamarina|Villamarina]], di agevolare il nizzardo, mantenendo il controllo delle fortezze e delle navi.
 
L’ostilità nei confronti della Costituzione e dell’adozione del tricolore come nuova bandiera, avevano indotto la nobiltà reazionaria di Napoli, i contadini nel nord del regno e buona parte dell’esercito a rimanere fedeli al re, nonostante la situazione.
 
Gli agenti di Cavour offrirono il loro aiuto a Finzi, [[Giovanni Visconti Venosta|Visconti Venosta]], [[Nicola Nisco (patriota)|Nisco]], [[Mariano D'Ayala]] e [[Alessandro Nunziante]] per tentare una rivolta anti-borbonica e [[Carlo Pellion di Persano|Persano]] lì arrivato con la flotta fece sbarcare anche una formazione di bersaglieri, ma l’esercito rimase fedele alle consegne ricevute, non coinvolgendo la città di Napoli in combattimenti; d’altra parte i mazziniani non agevolavano l’opera di Cavour e i cittadini della capitale attendevano l’arrivo di Garibaldi, senza peraltro impegnarsi e rischiare di persona.
 
La dinastia era però ormai prossima alla fine e tale convinzione aveva indotto Liborio Romano, oltre che per prestigio, ad accettare la carica di ministro dell’interno nel mese di luglio e a non forzare per le dimissioni del re, impegnandosi per evitare che il crollo dinastico potesse coinvolgere anche la città di Napoli, dove in caso di vuoto di potere potevano verificarsi situazioni pericolose, a causa della forte presenza criminale e della [[camorra]] che in mancanza di un ordine costituito potevano agire senza freno, con l’ulteriore possibilità di scontro tra l’Esercito Reale e la Guardia Nazionale, con conseguenze imprevedibili e nefaste.
 
==== Le rivolte contadine ====
{{vedi anche|Fatti di Bronte}}
Durante l'estate del [[1860]] in alcuni centri della Sicilia nord-orientale, prima dell'arrivo dei garibaldini che avanzavano sulle tre direttrici verso Messina e verso Catania, scoppiarono violente rivolte contadine, non contro eventuali guarnigioni militari ma contro i rappresentanti dei ceti dominanti. I braccianti esasperati da condizioni di vita disperate e nutrendo aspettative di riscatto e giustizia sociale per la notizia dell'imminente arrivo dei [[garibaldini]] assaltarono i nobili locali, causando fatti di sangue molto brutali.
 
Il 17 maggio 1860 [[Alcara li Fusi]] fu interessata da una rivolta che anticipò le altre, localizzate principalmente sui [[Nebrodi]] e dintorni. I contadini assaltarono il "casino dei nobili" trucidando con falci e coltelli numerose persone tra cui un bambino. I garibaldini della colonna Medici, sopraggiunti dopo alcune settimane di anarchia, imprigionarono alcuni dei rivoltosi che, dopo un rapido processo, furono giustiziati<ref>L'episodio è al centro del capolavoro dello scrittore [[Vincenzo Consolo]], ''[[Vincenzo Consolo#Il sorriso dell'ignoto marinaio|Il sorriso dell'ignoto marinaio]]'' e si presta al dibattito sul carattere più o meno popolare del Risorgimento e sui rapporti tra gli avvenimenti storici e la realtà degli strati più bassi della popolazione meridionale.</ref>.
 
Il 2 agosto a [[Bronte]] il malcontento popolare causò la più conosciuta tra queste insurrezioni. Vennero appiccate le fiamme a decine di case e edifici pubblici e furono trucidati sedici fra nobili, ufficiali e civili, prima che la rivolta si placasse. Bixio intervenne con un reparto di garibaldini e, con un processo lampo, fece fucilare cinque rivoltosi il 10 agosto.
Altre analoghe rivolte si svolsero con modalità analoghe a [[Caronia]], Petralia, Mistretta, Polizzi, [[Francavilla di Sicilia|Francavilla]] e in altri centri minori.
 
In relazione ai problemi dei lavoratori e con l’intento di conciliare libertà e rivoluzione, Garibaldi da Palermo, il 2 giugno aveva emanato un decreto che stabiliva un compenso per i volontari consistente in una quota delle terre demaniali comunali posseduti dalle comunità e da tempo immemorabile lasciati a uso di boschi o di pascoli, terre che spesso versavano in condizioni di abbandono e di deplorevole incuria e improduttive. Il decreto, travisato nella diffusione popolare, poté avere un qualche ruolo nella diffusione di tali rivolte.
 
Negli ultimi anni del regno borbonico erano stati fatti piani e progetti per dividere tra i cittadini quelle proprietà, ma sempre senza successo, anche per l'avversione del governo alle novità, oltre che per i pregiudizi popolari e le tristi condizioni dell'isola, fatti questi ultimi che concorrevano a rendere inefficaci i progetti di riforma.
 
Anche [[Carlo Afan de Rivera]], importante funzionario dell'amministrazione borbonica, con le sue ''"Considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle Due Sicilie"'', descrive la situazione arretrata dell'agricoltura nel Sud preunitario<ref>[http://www.150anni.it/webi/index.php?s=37&wid=103 La Scuola per i 150 anni dell'Unità d'Italia - Il problema del Mezzogiorno - Il divario di partenza][[Carlo Afan de Rivera]], ''Considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle Due Sicilie'', Napoli 18332 II, pp. 35-38, 40-45, 52-55 - riprodotto in D. Mack Smith, ''"Il risorgimento italiano. Storia e testi"'', Bari, Laterza, 1968, pp. 152-155.]</ref>.
 
=== L'arrivo sul continente ===
==== Lo sbarco a Melito e la battaglia di Reggio ====
{{Vedi anche|Sbarco a Melito|Battaglia di Piazza Duomo}}
[[File:Sbarco dei Mille a Palmi.png|miniatura|Stampa che erroneamente raffigura lo sbarco dei Mille a Palmi, il 22 agosto 1860.|alt=|sinistra]]
[[File:Volontari calabresi di Stocco 1860 - IMDMSR PAG. 820.JPG|miniatura|upright=1.2|Volontari calabresi di Stocco pronti a bloccare le truppe borboniche.|alt=|destra]]
 
I napoletani avevano radunato in Calabria circa quindicimila soldati agli ordini del generale Vial.
 
Garibaldi aveva per tempo inviato in Calabria autorevoli esponenti della cospirazione antiborbonica come [[Antonino Plutino|Plutino]], [[Francesco Stocco|Stocco]], [[Giuseppe Pace|Pace]] per preparare insurrezioni, mentre aveva inviato [[Nicolò Mignogna|Mignogna]] in Basilicata.<ref>Garibaldi and the making of Italy – [[George Macaulay Trevelyan]] – pag. 115</ref>
 
Già l'8 agosto un piccolo contingente di garibaldini agli ordini di Benedetto Musolino e Giuseppe Missori era riuscito a sbarcare in Calabria. Il numero insufficiente li costrinse a rifugiarsi nell'interno. Mentre le forze borboniche attendevano lo sbarco garibaldino a [[Reggio Calabria|Reggio]] o nei suoi dintorni, Garibaldi prescelse un tragitto alquanto più lungo, partendo da Taormina, con lo [[sbarco a Melito]] (30 chilometri da Reggio) il 19 agosto, sulla spiaggia ionica.<!-- Lo sbarco dei garibaldini il 22 agosto 1860 alla marina di Palmi non è mai avvenuto. Non se ne trova, infatti, traccia né negli scritti degli autori di parte liberale, come il Cesari o la Messineo, né in quelli di parte borbonica, come il de’ Sivo o il Quandel-Vial. Tutti concordano, invece, su uno sbarco di garibaldini nella notte tra il 21 e il 22 agosto sulla costa tirrenica calabrese ma non a Palmi, bensì a Favazzina, venti chilometri più a sud. Erano in mille e trecento, guidati dal generale Enrico Cosenz. Si diressero verso l’Aspromonte e nei pressi di Solano perse la vita Paolo De Flotte, un francese che comandava la compagnia di volontari stranieri. Lo ricorda un bel monumento in marmo nella piazza di questo borgo. In quelle ore, del resto, Palmi, capoluogo dell’omonimo distretto di Calabria Ultra I, era ben presidiata dalle truppe borboniche del tenente colonnello Morisani. La stampa venne prodotta e pubblicata da una rivista inglese sulla base di sommarie informazioni giunte da quel remoto territorio. -->. <s>e il 22 agosto su quella tirrenica di [[Palmi]].</s>
 
A Reggio le forze regie si attestano nella piccola piazza del duomo in attesa dei garibaldini che il 21 agosto penetrarono in città ingaggiando battaglia mettendo in fuga e sbaragliando i borbonici e respingendo anche gli scarsi rinforzi inviati dal [[Fileno Briganti|generale Briganti]]. Le unità della Marina ormeggiate nel porto presero il largo senza partecipare alla battaglia per non colpire la popolazione. Il 22 si arrese anche la guarnigione nel castello. Dopo pochi giorni il generale Briganti fu addirittura ucciso dai suoi stessi soldati in un episodio ancora da chiarire.
 
Il giorno 21 era sbarcato sulla costa tirrenica, tra Favazzina e Scilla, un altro contingente di garibaldini comandati da Cosenz.
 
==== Insurrezioni e avanzata in Calabria e Basilicata ====
[[File:Fontana Garibaldi.jpg|miniatura|sinistra|Targa in ricordo del passaggio dei garibaldini a [[Pizzo (comune)|Pizzo]]]]
Il comando in Calabria fu affidato al generale Vial, che non godeva di buona reputazione nel mondo militare: assente sul campo di battaglia avrebbe fatto carriera grazie alla reputazione del [[Pietro Carlo Maria Vial de Maton|padre generale]]<ref>La fine di un Regno di [[Raffaele de Cesare]] - ediz. 1900 - pagg. 348-349</ref>. In effetti Vial subì passivamente gli eventi e non seguì le indicazioni del generale [[Giuseppe Salvatore Pianell|Pianell]] e fu a sua volta fu mal coadiuvato dai generali Melendez e [[Fileno Briganti|Briganti]] che non seguirono le sue. Ma questi disaccordi non erano l'unica debolezza del regio esercito: ormai né soldati, né ufficiali sentivano più la forza del proprio dovere, l'ambiente era ostile e la forza degli avversari era spesso sopravvalutata. A questo proposito si riporta il seguente aneddoto: {{Citazione|Uno dei De Sauget in un gruppo d'ufficiali, alludendo al re, fu udito un giorno esclamare: <br/>
''Ma se l'Europa non lo vuole, perché dobbiamo farci ammazzare per lui ?.....''|La fine di un Regno - vol. II, Raffaele De Cesare, pagg. 349-350}}
 
Così in Calabria i borbonici non offrirono una dignitosa resistenza: interi reparti del loro esercito si disperdevano o passavano al nemico. Già dai primi di agosto i comitati insurrezionali controllavano parte del territorio della provincia di Cosenza.
 
In conseguenza di questo il generale [[Giuseppe Ghio]] era rimasto chiuso tra i volontari calabresi a nord e Garibaldi che avanzava da sud<ref>I mille di Marsala: scene rivoluzionarie - Giacomo Oddo–Giuseppe Scorza Di Nicola–Milano–1863 - pag. 820 [https://books.google.it/books?id=TaVBAQAAMAAJ&pg=PA820&hl=it&source=gbs_selected_pages&cad=3#v=onepage&q&f=false I mille di Marsala: scene rivoluzionarie - Giacomo Oddo - Google Libri]</ref> e che disponeva ormai di circa ventimila volontari. Il 30 agosto, a [[Soveria Mannelli]], il giovane [[Eugenio Tano]] e il prete [[Ferdinando Bianchi]] con un'azione diplomatica ottennero la resa senza combattere dell'intero corpo di diecimila uomini, comandato dal generale [[Giuseppe Ghio]], all'arrivo della colonna di garibaldini guidata da [[Francesco Stocco]]<ref>Cesare Sinopoli, ''La Calabria: storia, geografia, arte'', Catanzaro: Guido Mauro editore, 1926; nuova edizione a cura di Francesco Giuseppe Graceffa, Soveria Mannelli: Rubbettino, 2004, p. 180 [https://www.google.it/books?id=C1X852CtrdgC&pg=PA180&ots=hNxp9SWpDa&sig=5Xg9ghXyT80NZgwXf88_Rd7l2As#PPA180,M1 on-line]</ref>.
 
Il giorno seguente Garibaldi spedì un telegramma esaltando il successo:
 
{{Citazione|''Dite al mondo che ieri coi miei prodi calabresi feci abbassare le armi a diecimila soldati, comandati dal generale Ghio. Il trofeo della resa fu dodici cannoni da campo, diecimila fucili, trecento cavalli, un numero poco minore di muli e immenso materiale da guerra. Trasmettete a Napoli, e dovunque, la lieta novella''|La fine di un regno, Raffaele de Cesare, cap. XVII<ref>Raffaele de Cesare, ''La fine di un Regno'', Cap. XVII, Città di Castello: S. Lapi, 1909</ref>}}
 
Sempre in agosto, il giorno 16 a [[Corleto Perticara]] [[Insurrezione lucana#Insurrezione a Corleto|iniziava la rivolta]] in Basilicata che in pochi giorni portò alla formazione di un governo proto-dittatoriale guidato da [[Nicolò Mignogna|Nicola Mignona]] e [[Giacinto Albini]].
 
A Napoli il 25 agosto venne diffusa la stampa di una lettera scritta da [[Leopoldo di Borbone-Due Sicilie (1813-1860)|Leopoldo di Borbone]], zio di Francesco II, con la quale chiedeva al sovrano di seguire ''il nobile esempio della nostra regale congiunta di Parma che, all'irrompere della guerra civile, sciolse i sudditi dalla obbedienza e li fece arbitri dei proprii destini''. Il 31 agosto Leopoldo si imbarcò sulla fregata sarda [[Costituzione (pirofregata)|Costituzione]], messagli a disposizione da Persano, alla volta del Piemonte<ref>pp.144-146 ''Gli avvenimenti d'Italia del 1860: cronache politico-militari dall'occupazione della Sicilia in poi'', Volume 1, Tipografia G. Cecchini, Venezia, 1860</ref>.
 
Il 2 settembre Garibaldi e i suoi uomini entrarono in [[Basilicata]] (la prima regione della parte continentale del regno a insorgere contro i Borboni),<ref>[[Tommaso Pedio]], ''La Basilicata nel Risorgimento politico italiano (1700-1870)'', Potenza, 1962, p. 109</ref> precisamente a [[Rotonda (Italia)|Rotonda]]. Il suo passaggio in terra lucana si concluse senza problemi, poiché fu instaurato il governo prodittatoriale ben prima del suo arrivo (19 agosto), grazie all'apporto di [[Giacinto Albini]] e [[Pietro Lacava]], autori dell'[[insurrezione lucana (1860)|insurrezione lucana]] in favore dell'unità nazionale. Il giorno seguente, Garibaldi attraversò in barca la costa di [[Maratea]] e presso [[Lagonegro]] raccolse gli uomini lucani che lo seguirono fino alla [[Battaglia del Volturno]] (tra questi vi fu [[Carmine Crocco]], in seguito famoso [[brigantaggio postunitario|brigante post-unitario]]).<ref>Carmine Crocco, ''Come divenni brigante'', Edizioni Trabant, 2009, p. 11</ref> Il 6 settembre Garibaldi incontrò [[Giacinto Albini|Albini]] ad [[Auletta]] e nominò il patriota Governatore della Basilicata. La notte dello stesso giorno dormì a [[Eboli]] nella casa di [[Francesco La Francesca]] e poi partì per [[Napoli]].
 
==== I rapporti di Garibaldi con Torino ====
Vittorio Emanuele II, che era in buoni rapporti con Garibaldi, scriveva a quest'ultimo il seguente messaggio dettato dal re stesso al marchese Trecchi il 5 agosto 1860, anche se poi Cavour prendeva altre decisioni per opportunità politica.
{{Citazione|'''MESSAGGIO DEL RE PER GARIBALDI (5 agosto 1860)'''<br/>
''Garibaldi in Napoli. Si regolerà secondo l'opportunità: o fare occupare l'Umbria e le Marche colle sue truppe o lasciando andare i corpi dei volontari. Appena Garibaldi in Napoli proclamerà l'unione al resto d'Italia come in Sicilia. Impedire disordini che farebbero male alla nostra causa. Tenere compatto l'esercito napoletano, perché fra breve Austria dichiarerà guerra. Lasciare fuggire il re da Napoli o in caso fosse preso dal popolo difenderlo e lasciarlo fuggire.''|Il Risorgimento italiano, [[Denis Mack Smith]], pag. 454<ref>Messaggio per Garibaldi dettato dal re al marchese Trecchi, ripreso in "Nuova Antologia" giugno 1910, Vol. CCXXXI, p. 426</ref>}}
Cavour era sempre stato al corrente che il re conduceva una parallela politica privata con Garibaldi, ma si rendeva comunque conto dell'importanza dell'opera di Garibaldi nel ridare fiducia agli italiani e mostrare all'Europa come gli italiani sapessero battersi per conquistare una patria, fatto quest'ultimo riconosciuto anche da giornali come il conservatore "''Débats''" e il radicale "''Siècle''". Nella lettera a [[Costantino Nigra]] del 9 agosto 1860 Cavour esprime il suo punto di vista sull'operato di Garibaldi e sui limiti che il governo sardo doveva imporsi:
 
{{Citazione|'''Lettera di Cavour a Nigra (9 agosto 1860)'''<br/>
''Noi possiamo entrate in lizza con Garibaldi soltanto in due ipotesi:<br/>''
''1) Se volesse trascinarci in una guerra contro la Francia;'':<br/>
''2) Se rinnegasse il suo programma, proclamando un sistema politico diverso dalla monarchia con Vittorio Emanuele. Finché sarà fedele alla sua bandiera bisogna marciare d'accordo con lui.'' |Il Risorgimento italiano, [[Denis Mack Smith]], pagg. 448 e 455<ref>Carteggio Cavour-Nigra, vol. IV, pp. 144-45</ref>}}
 
==== Le aspirazioni al trono di Napoli ====
[[File:Palazzo Reale Napoli - Trono.JPG|miniatura|upright=0.75|Napoli - Palazzo Reale - il trono.]]
{{vedi anche|Aspirazioni al trono del regno di Napoli nel 1860}}
L'avanzata di Garibaldi e le debolezze del regno borbonico misero alla luce alcune manovre attorno al trono di quel regno.
 
Il 29 giugno H. di Lazen, segretario dell'infante [[Giovanni Carlo di Borbone-Spagna|Giovanni di Borbone]], consegnò una lettera all'ambasciatore piemontese a Londra, in cui riportando la volontà dell'infante, deprecava l'intervento del governo spagnolo «nelle cose d'Italia» e nello specifico «trattando in singolare maniera la questione dei diritti eventuali de' Borboni di Spagna al trono delle Due Sicilie» puntualizzava che: «Anche nel caso, in cui tutti i Borboni di Napoli venissero a mancare, i diritti della corona sarebbero riversibili nella persona del principe D. Giovanni e non mai nella persona d'[[Isabella II di Spagna|Isabella di Borbone]]– S. A. mi ordina di dirvi ch'egli non vuole punto immischiarsi nelle questioni d'Italia […] S. A. è oggi, inoltre, decisa a farne la rinuncia, se così conviene all'ordine e alla tranquillità dell'Europa. Il Principe desidera che voi abbiate la bontà di far conoscere la sua risoluzione al Governo del Re»<ref>{{cita libro |autore=AA.VV.|titolo=Gli avvenimenti d'Italia del 1860: cronache politico-militari dall'occupazione della Sicilia in poi|anno=1860 |editore= Tipografia G. Cecchini| città=Venezia |volume=Libro primo |pp= 177-178}}</ref>.
 
Un gruppo di napoletani si recò a Parigi da [[Napoleone Luciano Carlo Murat|Luciano Murat]] per offrirgli la corona di Napoli, a cui rispose il 19 agosto con una lettera il cui contenuto venne diffuso, nella quale scrisse:
 
«Quando la rivoluzione agita un popolo, la sola volontà popolare, liberamente espressa, può spegnere le discordie e le incertezze, […] Nello stato presente delle cose, giova all'Italia che venga stabilito in Napoli, più presto che si può, il Governo costituzionale, {{sic|acciocchè}} sia assicurata la libertà e cansato il pericolo dell'anarchia o di un'invasione. […] Sacrifico adunque ogni mio privato interesse, […] ripetendo […] che l'Italia, a parer mio, ritroverà in una confederazione l'antica sua potenza e il prisco splendore.»
 
Queste sue affermazioni vennero interpretate come una decisa rinuncia al trono di Napoli in un commento del ''[[Le Moniteur universel|Moniteur]]'', per cui il 4 settembre con una lettera al giornale puntualizzò: «ho voluto dire, se, fuori di ogni influsso straniero, il suffragio universale si manifestasse in mio favore, il voto delle popolazioni non sarebbe senza dubbio meno rispettato per Napoli, di quel che lo fu per le altre parti d'Italia»<ref>{{cita libro |autore=AA.VV.|titolo=Gli avvenimenti d'Italia del 1860: cronache politico-militari dall'occupazione della Sicilia in poi|anno=1860 |editore= Tipografia G. Cecchini| città=Venezia |volume=Libro primo |pp= 178-180}}</ref>.
 
Anche dall'interno del regno erano presenti aspirazioni al trono: secondo [[Nicola Nisco (patriota)|Nicola Nisco]] una cospirazione contro [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] fu effettivamente tentata da parte di suo zio [[Luigi di Borbone-Due Sicilie (1824-1897)|conte dell’Aquila]], al preciso scopo di divenire reggente e poi re, ma fallì grazie all'intervento di Liborio Romano<ref>{{Cita|Nisco|pp. 97-101}}.</ref>. Diversamente per [[Raffaele de Cesare|de Cesare]] non vi sarebbero prove storiche certe di una congiura, anche se effettivamente vennero sequestrate alcune casse di armi e di abiti confezionati con scritte e indirizzati al Conte, che facevano pensare ad una cospirazione<ref>{{Cita|De Cesare|pp. 302--304}}.</ref>.
 
==== Gli ultimi giorni di Francesco II a Napoli ====
L’ultimo periodo di permanenza di [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] a [[Napoli]] era stato contrassegnato da un clima cospirativo nei suoi confronti, quando verso la metà di agosto il Conte dell’Aquila era stato esiliato.
 
Francesco II non aveva più fiducia nei suoi ministri, anche se all’apparenza a lui leali, e neppure si fidava del già prefetto di polizia e poi ministro dell’interno dal monarca stesso nominato, il liberale Liborio Romano, del quale però non poteva fare a meno, perché controllava efficacemente la polizia, la Guardia Nazionale e teneva a freno l’organizzazione camorristica. Il 20 agosto fu infatti lo stesso Romano che suggerì al re di allontanarsi da Napoli “''temporaneamente''”, presentandogli un “''memorandum''” nel quale si evidenziava:{{Citazione|''… risparmiare al paese gli orrori della Guerra civile, '' - visto – ''che ogni ritorno, ogni scambio di fiducia tra popolo e principe'' – era ormai – ''non solo difficile ma impossibile''.|}}
 
Pochi giorni dopo un altro zio del re, il [[Leopoldo di Borbone-Due Sicilie (1813-1860)|Conte di Siracusa]], aveva pubblicamente invitato il giovane sovrano di Napoli a lasciare il trono per il bene dell’unità d’Italia, fatto che scosse ulteriormente il prestigio di Francesco II, generando l’impressione che la dinastia fosse compromessa in modo irreversibile. La richiesta del re per finanziare un attacco a Garibaldi era stata rifiutata dal Direttore delle Finanze Carlo de Cesare, adducendo formali problemi di prelievo anticipato prima della disponibilità delle somme secondo le scadenze previste e dell'intangibilità dei depositi privati, il Direttore fu molto fermo e pronto a dimettersi<ref>La fine di un Regno - Raffaele de Cesare - pag. 364-365-366</ref>.
 
I militari e i ministri davano consigli contraddittori, denigrandosi gli uni con gli altri, e lo spirito di corpo si era affievolito nei capi più che nella truppa. Il 2 settembre Pianell, ministro della Guerra di Francesco II presentò le sue dimissioni, che non ritirò nonostante il re l'invitasse a rimanere in carica. Il suo gesto fu seguito da altri ministri il giorno seguente.
 
Rimasto senza governo e abbandonato dagli uomini della corte, Francesco II, con Garibaldi che proseguiva senza ostacoli la sua avanzata verso Napoli, il re non aveva quasi più fiducia di nessuno, incerto se avanzare per affrontare Garibaldi, resistere a Napoli o ritirarsi verso nord<ref>La fine di un Regno - Raffaele de Cesare - pag. 367</ref>.
 
L'anziano [[Raffaele Carrascosa]] disse al re molto chiaramente e profeticamente:{{Citazione|''Se vostra maestà mette il piede fuori di Napoli, non vi tornerà più.''|La fine di un Regno, vol. II - Raffaele de Cesare - p. 367}} L’altra possibilità di Francesco II era di mettersi alla testa dell’esercito borbonico e con la sua presenza di monarca infondere coraggio all’esercito demoralizzato, per fronteggiare Garibaldi avanzante da Salerno, ma tale soluzione appariva rischiosa, infatti già dalla metà di agosto gli agenti cavourriani tentavano di provocare una sollevazione a Napoli, che, se avvenuta mentre Francesco II affrontava Garibaldi a Salerno, poteva provocare una sconfitta definitiva, mentre nella zona tra le fortezze di [[Assedio di Gaeta (1860)|Gaeta]] e [[Assedio di Capua (1860)|Capua]], con la flotta lì vicino, il dimezzato esercito borbonico poteva teoricamente resistere a lungo.
I timori che la precaria condizione della dinastia potesse generare gravissimi disordini a Napoli, erano condivisi da molti notabili, che pregavano Liborio Romano di continuare a rimanere ufficialmente in carica come rappresentante della monarchia e mantenere l’ordine almeno fino all’instaurazione di un nuovo stabile governo.
 
[[File:Liborio e Nunzio Benevento - I Mille di Marsala di G. Oddo pag. 996.JPG|miniatura|upright=1.1|Liborio Romano e il nunzio papale che chiede di intervenire a Benevento in rivolta.]]
 
All'approssimarsi di Garibaldi verso [[Napoli]] anche i territori dell'exclave pontificia di [[Benevento#Età moderna|Benevento]] insorsero contro il potere temporale del papato instaurando un governo provvisorio. Il nunzio papale di Napoli si recava prontamente presso [[Liborio Romano]] per chiedergli di intervenire con le truppe per sedare i tumulti nella zona di Benevento e Pontecorvo, allora territori pontifici all'interno del Regno delle Due Sicilie.
 
Liborio, dopo avere ascoltato le parole del nunzio papale rispose: {{Citazione|''Monsignore a quest'ora i nostri soldati non vogliono più battersi per noi: io dubito quindi a ragione, che non volendosi battere per noi, vogliansi poi battere per il papa.''» <br/>
- Al nunzio che proseguiva nella richiesta facendogli presenti le angustie del papa il Liborio disse quindi: <br/>
« ''Sua Santità farà ciò che Francesco II è ora per fare, si rassegnerà a perdere il potere temporale, è più fortunato che il re Francesco, gli resterà il potere spirituale, cioè a dire l'eredità che gli viene in linea diretta da Gesù Cristo.''» <br/>
- Alle parole di malcontento del nunzio il Liborio aggiunse: <br/>
« ''Monsignore, vi resta a benedire tre persone: il re Vittorio Emanuele II, il generale Garibaldi ed il vostro devotissimo servo Liborio Romano''|I Mille di Marsala: scene rivoluzionarie, Giacomo Oddo, pag. 861}}
 
Il 5 settembre il re prese la decisione di rinunciare alla difesa della capitale e comunicò al ministro [[Antonio Spinelli di Scalea|Spinelli]] la decisione di lasciare Napoli per trincerarsi tra Capua e Gaeta. Lasciata la reggia in compagnia della regina, in Via Chiaja i reali videro una scala appoggiata sul muro della farmacia reale: si trattava di alcuni operai che staccavano dall'insegna i gigli borbonici.
 
Tornato alla reggia salutò i capi battaglione della guardia Nazionale, il loro comandante [[Roberto de Sauget]] e il sindaco, ai quali disse anche: {{Citazione|''il vostro ... e nostro don Peppino è alle porte''|La fine di un Regno - Raffaele de Cesare - pag. 368}} pronunciando un discorso dal quale traspariva commozione e difficoltà a trovare le parole.
 
Prima di lasciare Napoli Francesco II fece affiggere manifesti dove spiegava il suo comportamento, augurandosi di tornare presto, alle quattro del pomeriggio convocò e salutò i suoi ministri, che non desideravano seguirlo a Gaeta, quindi in uno stato di apparente buon umore si rivolse a Liborio Romano in tono semi-serio pronunciando la frase “''Don Libò, guardat’u cuollo! ''”, alla quale espressione Liborio Romano impassibile rispose che avrebbe fatto di tutto per farlo rimanere sul busto il più a lungo possibile.
[[File:Francesco II parte da Napoli Palazzo Reale - IMDMSR pag. 834.JPG|miniatura|upright=1.3|Francesco II lascia il palazzo reale a Napoli.|alt=|sinistra]]
Non sentendosi più sicuro nella capitale, il 6 settembre re Francesco II lasciò Napoli per recarsi con la consorte a Gaeta, dove già si trovava il resto della famiglia reale, trincerando le sue forze tra la fortezza di [[Assedio di Gaeta (1860)|Gaeta]] e quella di [[Assedio di Capua (1860)|Capua]], una zona protetta dove poteva difendersi e tentare un'azione di attacco. Tale soluzione gli era stata probabilmente suggerita dai suoi consiglieri segreti ultra-realisti, presumibilmente su consiglio dell'Austria e di [[Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière|Lamoricière]], decisione che il re forse aveva già preso in precedenza, senza però averla rivelata ai suoi ministri nei quali la fiducia era ormai venuta meno.
 
Alla partenza del sovrano si notava l’assenza di molti titolati e ufficiali, che in altri tempi affollavano la corte, quindi in compagnia del fedele capitano Criscuolo il re e la regina si imbarcarono sul Messaggero, una piccola nave, che dopo la sua partenza lanciò inutilmente il segnale per farsi seguire dalle altre navi della [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|marina borbonica]], che rimase ancorata nel [[porto di Napoli]], ad eccezione di tre navi, i due piccoli vascelli "Delfino", "Saetta" e la [[Partenope (fregata)|fregata Partenope]], che seguirono la nave con al bordo il re di Napoli, accompagnata per un breve tratto anche da alcune navi della marina spagnola. La notizia della partenza del re si era comunque già diffusa in precedenza, alla vista di molti carri carichi di bagagli, che sotto scorta si dirigevano verso Capua. Tra le motivazioni della mancata partenza della flotta per seguire il re viene menzionato anche il timore che la flotta potesse essere ceduta all’Austria<ref>Garibaldi e la rivoluzione delle Due Sicilie–Marco Monnier–Ed: Alberto Dekten Libraio Editore. Napoli 1861–p. 292 [https://archive.org/stream/GaribaldiELaRivoluzioneDelle2Sicilie/Garibaldi%20e%20la%20Rivoluzione%20delle%202%20Sicilie#page/n315/mode/2up Garibaldi e la Rivoluzione delle 2 Sicilie]</ref>.
 
Le successive ventiquattro ore di vuoto di potere trascorsero senza particolari difficoltà, Liborio Romano era riuscito a evitare problemi e inviò un telegramma in risposta a Garibaldi, che chiedeva di entrare a Napoli subito dopo l’arrivo del comandante della Guardia nazionale. {{Citazione|''All’invittissimo Generale Garibaldi, Dittatore delle Due Sicilie – Liborio Romano, Ministro dell’Interno e Polizia. ''<br/>''Con la maggiore impazienza Napoli attende il suo arrivo per salutarla come il redentore d’Italia, e deporre nelle sue mani i poteri dello Stato e i propri destini …. M’attendo gli ulteriori ordini suoi, e sono con illimitato rispetto, di Lei, Dittatore invittissimo. ''|''Liborio Romano''}}
 
==== L'ingresso a Napoli di Garibaldi ====
[[File:Napoli Castel Nuovo museo civico - ingresso di Garibaldi a Napoli - Wenzel bis.jpg|miniatura|destra|[[Ingresso di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860]], Franz Wenzel Schwarz.]]
{{vedi anche|Ingresso di Garibaldi a Napoli}}
Intanto, il 6 settembre re Francesco II abbandonava [[Napoli]], imbarcandosi con la famiglia sul vapore ''Messaggero'', cercando di riorganizzare il suo esercito fra la [[fortezza]] di [[Gaeta]] e quella di [[Capua]], con al centro il fiume [[Volturno]]. Così, il 7 settembre, Garibaldi, precedendo il grosso del suo esercito, viaggiando su un treno, che da Torre Annunziata dovette procedere lentamente per non travolgere le ali di folla festante, poté entrare in città accolto da liberatore.<ref>{{Cita|Trevelyan|pp. 176-184}}.</ref> Le truppe borboniche, ancora presenti in abbondanza e acquartierate nei castelli, non offrirono alcuna resistenza e si arresero poco dopo.
 
Dopo l'ingresso di Garibaldi a Napoli, la situazione italiana era questa: le regioni meridionali ([[Sicilia]], [[Calabria]], [[Basilicata]], e quasi tutta la Campania) erano state conquistate da Garibaldi, mentre [[Lombardia]], [[Emilia]], [[Romagna]], [[Toscana]] erano entrate nel Regno d'Italia in seguito alla [[seconda guerra d'indipendenza italiana]] e ai successivi [[plebisciti risorgimentali|plebisciti]]. Il Sud e il Nord della penisola erano però ancora separati dalla presenza dello Stato Pontificio. L'avanzata di Garibaldi, inoltre, preoccupava i moderati e le corti europee sia per una sua possibile avanzata fino a Roma e per il rischio di una svolta repubblicana rivoluzionaria causa la presenza mazziniana sempre più attiva.
 
==== La reazione borbonica in Irpinia e negli Abruzzi ====
[[File:Isernia 1860 reazione - Il Mondo illustrato di Torino - 16-02-1861.JPG|miniatura|La reazione di Isernia - da ''Il mondo illustrato del 16-02-1861.''|alt=|sinistra]]
Nel nord del regno, dove la popolazione subiva maggiormente l’influenza clericale, si verificarono casi di cosiddetta “reazione”, termine allora usato per indicare chi si opponeva al cambiamento verso l’Italia unita. I “reazionari” iniziarono uno stato di guerra civile sporadica, con tutti gli orrori più crudeli che erano stati risparmiati alle province del sud del reame.
Il giorno 8 settembre nel [[distretto di Ariano]] e [[Montemiletto|Monte Mileto]] i generali borbonici Bonanno e Flores, lì arrivati con 4.000 soldati regi, avevano provocato una insurrezione anti-liberale da parte dei contadini realisti, che iniziarono a compiere ruberie, massacri, trucidando i capi del partito liberale che non erano fuggiti in tempo e rapine di ogni genere a danno della locale popolazione di sentimenti liberali.
 
Per sedare i tumulti vennero celermente inviati 1.500 garibaldini comandati da [[Stefano Turr|Türr]] e nonostante la superiorità numerica i regi del generale Bonanno non opposero resistenza, in quanto i racconti dei soldati reduci dalle Calabrie avevano profondamente fiaccato il morale dei soldati al punto che il generale Bonanno non riteneva di poterli impegnare in combattimento, con conseguente sbandamento della truppa borbonica. Il Türr, coadiuvato anche dalla locale Guardia Nazionale, avanzò verso [[Venticano|Venticane]] e Monte Mileto dove a seguito di un piccolo scontro furono effettuati arresti. A [[Grottaminarda]] il generale Flores era stato arrestato dalla Guardia Nazionale di [[Montefusco]].<ref>I Mille di Marsala: scene rivoluzionarie, Giacomo Oddo, pagg. 870-871</ref>
Il Türr agì con responsabilità, ordinando la fucilazione di solamente due dei caporioni del massacro e delle violenze, senza cedere alle richieste dei liberali del luogo, che avrebbero invece voluto una punizione ben più estesa ad almeno una dozzina di responsabili.
Successivamente negli Abruzzi e in Molise le truppe del nuovo regio esercito dovettero effettuare repressioni più dure contro i reazionari che insorgevano contro il nuovo assetto politico.<ref>Garibaldi e la formazione dell’Italia–G.M. Trevelyan, pp. 238-239.</ref>
 
Altri simili e gravi fatti si verificarono a [[Isernia]] per alcuni giorni nel periodo della [[battaglia del Volturno]], quando su indicazioni del vescovo, dell'autorità di Gaeta e, guidati dai gendarmi regi, i contadini invasero la città di Isernia e altri centri vicini compiendo per un'intera settimana saccheggi, eccidi, gravi violenze e perfino mutilazioni alle loro vittime liberali.<ref>Garibaldi e la formazione dell'Italia, G.M. Trevelyan, cap. XIV, pagg. 325-326.</ref><ref>La reazione nel distretto di Isernia, Napoli, Stamperia Nazionale, 1864 [https://books.google.it/books?id=ctc7uqvl9YgC&pg=PA01&dq=le+stragi+di+isernia+1860&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi7z53Mr63aAhXGOhQKHRreBQEQ6AEIJzAA#v=onepage&q=le%20stragi%20di%20isernia%201860&f=false La reazione avvenuta nel distretto d'Isernia dal 30 settembre al 20 ottobre 1860 - Google Libri]</ref>
 
Gli episodi di reazione a danno dei liberali e dei sostenitori dell'unità proseguirono e furono spesso cruenti come riporta la stampa del tempo nel caso dell'eccidio di [[Lauro (Italia)|Lauro]] nell'allora [[Terra di Lavoro]], che avvenne con grande efferatezza descritta dall'articolo del giornale ''Il mondo illustrato'' del 2 novembre 1861.<ref>Il mondo illustrato - Torino - Anno IV - nº 44 - 2 novembre 1861 [https://books.google.it/books?id=TPo1eTxEndUC&printsec=frontcover&dq=il+mondo+illustrato+di+torino&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiuuZuy7q_aAhULkCwKHQrKCIkQ6AEIJzAA#v=onepage&q=il%20mondo%20illustrato%20di%20torino&f=false Il mondo illustrato giornale universale - Google Libri]</ref>
 
==== L'intervento piemontese ====
[[File:Castelfidardo Monumento Battaglia 1860.jpg|miniatura|upright=0.9|Il Monumento in ricordo della Battaglia di Castelfidardo (autore [[Vito Pardo]]).]]{{Vedi anche|Campagna piemontese in Italia centrale|Battaglia di Castelfidardo|Assedio di Ancona (1860)}}
Le dichiarate e apparenti intenzioni di Garibaldi di proseguire la sua marcia vittoriosa anche verso Roma e poi Venezia risulta da un suo decreto del 10 settembre 1860, che preoccupava Napoleone III, il quale temeva un estendersi della rivoluzione Garibaldina e non intendendo impegnarsi di nuovo militarmente, con il trattato segreto di Chambery aveva convenuto con Cavour di acconsentire ad un'occupazione delle Marche e Umbria pontificie, per salvaguardare il papato nel Lazio e fermare l’avanzata di Garibaldi.
 
Vittorio Emanuele II decise allora di intervenire con il proprio esercito per annettere [[Legazione delle Marche|Marche]] e [[Legazione dell'Umbria|Umbria]], ancora nelle mani dello [[Stato Pontificio]], e unire così il nord e il sud d'Italia. Al papa, secondo i piani del re, sarebbe stato lasciato il solo [[Lazio]], come estremo baluardo del dominio temporale.
 
Nel frattempo la rapida avanzata di Garibaldi destabilizzava anche altre aree della penisola: ai primi di settembre, nelle province ancora sotto lo stato pontificio si verificarono tumulti: Urbino, Senigallia, Pesaro, Fossombrone, per la cui repressione si mosse l'esercito papalino da poco rinnovato e rinforzato dal generale [[Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière|Christophe de Lamoricière]]. Subito il governo di Torino protestò contro questa repressione e chiese con una nota ufficiale il disarmo e lo scioglimento delle truppe mercenarie pontificie, ottenendo come risposta un diniego. A seguito di ciò l'11 settembre l'esercito piemontese al comando di [[Manfredo Fanti|Fanti]] attraversava il confine [[Campagna piemontese in Italia centrale|avanzando nelle Marche e in Umbria]]<ref>Costanzo Rinaudo, ''Il Risorgimento Italiano'', p. 685, Scuola di Guerra, Tipografia Olivero, Torino, 1910</ref>, l'intervento si era reso necessario per bloccare da nord ogni possibile avanzata di Garibaldi oltre Napoli verso Roma, che se messa in atto avrebbe rotto la neutralità o il non intervento nella vicenda di potenze europee, in primis la Francia, che dalla restaurazione si era sempre mossa militarmente a difesa del pontefice e del suo potere temporale.
[[File:Assalto lanterna Ancona.jpg|miniatura|upright=0.9|Le navi dell'ammiraglio [[Carlo Pellion di Persano|Persano]] assediano Ancona - cannoneggiamento del "Forte della Lanterna".|alt=|sinistra]]
Il 18 settembre 1860 durante la [[Battaglia di Castelfidardo]] le forze sarde sconfissero quelle pontificie, composte per oltre metà di volontari che, rispondendo all'appello del papa, provenivano da diversi paesi cattolici d'Europa. Secondo i dati forniti dallo storico [[George Macaulay Trevelyan|Trevelyan]] l’armata del generale [[Manfredo Fanti|Fanti]], impiegata in [[Umbria]] e [[Marche]], era composta di 33.000 soldati, comprensiva dei corpi d’armata di [[Enrico Cialdini|Cialdini]] e [[Enrico Morozzo Della Rocca|Della Rocca]].
 
A [[Castelfidardo]] le forze piemontesi disponevano di 16.449 soldati, ma ne vennero impiegati effettivamente 4.880, contro i soldati comandati dal generale pontificio [[Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière|Lamoricière]] che, pur disponendo di una forza da campo di 8.000 soldati, ne impiegò effettivamente 6.650.<ref>Garibaldi and the making of Italy – [[George Macaulay Trevelyan]] – Appendix K (b) – pagg. 346-347</ref>. Ebbero la meglio i piemontesi che inseguirono i superstiti papalini fino alla piazzaforte di [[Ancona]], dove avvenne [[Battaglia di Castelfidardo#Epilogo: la presa di Ancona|l'ultimo scontro]], che vide ancora una volta le truppe regie vittoriose, dopo un assedio da terra e dal mare terminato il 29 settembre 1860. Con la caduta della piazzaforte di Ancona terminerà anche di fatto il potere temporale della chiesa in Umbria e Marche. Il 3 ottobre 1860 [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]], a bordo della nave [[Governolo (pirofregata)|Governolo]], sbarca nel [[porto di Ancona]] calorosamente accolto dalla popolazione e dai generali Cialdini e Fanti, dal commissario [[Lorenzo Valerio|Valerio]] e dai componenti della giunta provvisoria con a capo il presidente [[Michele Fazioli|Fazioli]].<ref>[https://www.isedicifortidiancona.com/assedio-di-ancona-1860 Presa di Ancona 1860 - I sedici forti di Ancona]</ref>
 
==== Le battaglie del Volturno e del Garigliano ====
{{vedi anche|Battaglia del Volturno|Battaglia del Garigliano (1860)}}
[[File:Battaglia del Volturno - combattimento di Porta Romana, verso Santa Maria Maggiore - Perrin - litografia - 1861 (01).jpg|miniatura|Battaglia del Volturno - combattimento di Porta Romana, verso Santa Maria Maggiore.|alt=|sinistra]]
[[File:Ufficiali garibaldini Faconti, Zancani, Baratieri, Bezzi Enoch, Martini, Bezzi Ergisto, Tranquillini, Fontana (1860).jpg|miniatura|upright=1.3|Volontari [[Trentino|trentini]] al comando delle truppe garibaldine dopo la [[Battaglia del Volturno]].]]
Tra fine settembre e i primi giorni di ottobre avvenne la decisiva [[battaglia del Volturno]], dove circa 50.000 soldati borbonici persero lo scontro con gli uomini di Garibaldi, i quali erano approssimativamente la metà.<ref>[[Girolamo Arnaldi]], ''Storia d'Italia, Volume 4'', UTET, Torino, 1965, p. 167</ref> Si ritiene che le forze effettivamente impegnate nella battaglia del 1º ottobre furono di 28.000 regi borbonici contro 20.000 garibaldini, mentre il 2 ottobre ai garibaldini si aggiunsero i volontari calabresi di [[Francesco Stocco|Stocco]], quattro compagnie piemontesi e parecchie dozzine di cannonieri piemontesi a [[Santa Maria Capua Vetere|Santa Maria]] e Sant'angelo.<ref>Garibaldi e la formazione dell'Italia, G.M. Trevelyan, Appendice J-II-b-c, pag. 406</ref> La battaglia, la più aspra di tutta la spedizione, terminò il 1º ottobre (altri dicono il 2 ottobre).
 
Dopo questa sconfitta, il [[Francesco II delle Due Sicilie|re]], la regina e i resti dell'esercito borbonico si asserragliarono a [[Gaeta]], ultimo baluardo a difesa del [[Regno delle Due Sicilie]], assieme alla [[Real Cittadella (Messina)|cittadella di Messina]] e [[Civitella del Tronto]].
 
Il 9 ottobre ad Ancona Vittorio Emanuele II si pose a capo dell'esercito e il 15 ottobre attraversò il confine del Regno delle due Sicilie, l'esercito piemontese proseguì la sua discesa entrando in Abruzzo e convergendo quindi verso la Campania, muovendosi verso Gaeta e andando incontro alle truppe garibaldine.
 
==== L'incontro di Teano e l'assedio di Gaeta ====
[[File:With Victor Emmanuel.jpg|miniatura|upright=1.3|Incontro a Teano.|alt=|sinistra]]
{{vedi anche|Incontro di Teano|Assedio di Gaeta (1860)}}
Il 20 ottobre il generale Cialdini sconfisse le truppe borboniche nella [[battaglia del Macerone]]. Il giorno seguente nei comuni dell'ex regno delle Due Sicilie si svolsero i plebisciti con il quesito: {{Citazione|''Il popolo vuole l'Italia Una e Indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e i suoi legittimi discendenti?''}}
Il 26 ottobre Vittorio Emanuele II incontrò Giuseppe Garibaldi, in quello che diverrà noto come l'[[incontro di Teano]]: si concludeva così simbolicamente la Spedizione dei Mille. Garibaldi salutò Vittorio Emanuele come re d'Italia, consegnandogli le terre appena conquistate.
 
L'[[assedio di Gaeta (1860)|assedio di Gaeta]] fu dapprima iniziato dai garibaldini, sostituiti il 4 novembre [[1860]] dall'esercito sabaudo che concluse l'assedio il 13 febbraio [[1861]].
Durante i primi dieci giorni di novembre 1860 circa 17.000 soldati borbonici, inseguiti dalle truppe di Vittorio Emanuele II, si rifugiarono nello Stato Pontificio a Terracina, dove furono disarmati e internati nei Colli Albani dalle autorità papali e dalla guarnigione francese di Roma.<ref>Garibaldi and the making of Italy - [[George Macaulay Trevelyan]] - pag. 276</ref>
Con la resa di Francesco II, gli ultimi [[Borbone delle Due Sicilie]] andarono in esilio a Roma sotto la protezione di [[Pio IX]]. La cittadella di Messina cadde il 12 marzo e la fortezza di [[Civitella del Tronto]] il 20.
 
==== La partenza di Garibaldi da Napoli ====
[[File:Garibaldi parte da Napoli 9-11-1860.JPG|miniatura|upright=1.4|Partenza di Garibaldi da Napoli - Santa Lucia il 9 novembre 1860.|alt=|sinistra]]
Il giorno 9 novembre 1860 alle ore 4 del mattino Garibaldi saliva su un palischermo<ref>palischermo = barca con molti remi</ref> nella rada di [[Borgo Santa Lucia|Santa Lucia]] di [[Napoli]], per imbarcarsi a bordo della nave [[Washington (pirotrasporto)|Washington]]. Con lui partirono anche il figlio [[Menotti Garibaldi|Menotti]], [[Giovanni Battista Basso|Basso]], Stagnetti, Coltelletti, [[Giovanni Froscianti|Froscianti]], [[Luigi Gusmaroli|Gusmaroli]].<ref>La Spedizione Garibaldina di Sicilia e Napoli&nbsp;– Mario Menghini&nbsp;– Società Tipografico Editrice Nazionale&nbsp;– Torino&nbsp;– 1907 pagg. 405-406 [https://archive.org/stream/laspedizionegari00menguoft#page/404/mode/2up/search/CATTABENI La spedizione garibaldina di Sicilia e di Napoli, nei proclami, nelle corrispondenze, nei diarii e nelle illustrazioni del tempo]</ref> <br />
Gli altri amici che non si imbarcarono con lui lo avevano accompagnato dall’Albergo d’Inghilterra dove Garibaldi alloggiava. Erano trascorsi sei mesi e tre giorni dalla partenza nella notte tra il 5 e 6 maggio 1860.
Tornava a Caprera dopo avere compiuto un'impresa difficile, saliva a bordo della nave [[Washington (pirotrasporto)|Washington]] dopo avere salutato l’ammiraglio britannico Mundy e partiva nonostante una lettera del re gli chiedesse di restare: la risposta di Garibaldi fu che per il momento si allontanava, ma che sarebbe stato pronto a ripartire il giorno in cui la Patria e il Re avessero avuto bisogno di lui.
 
Il giorno prima, dopo avere sbrigato le ultime formalità di passaggio dei poteri da dittatore al governo di Vittorio Emanuele II, il popolo napoletano si radunò sotto le finestre dell’albergo dove alloggiava per salutarlo e Garibaldi ricordò a tutti che ora avrebbero dovuto raccogliersi attorno al re, quindi Garibaldi li salutò dicendo loro che avrebbe serbato per sempre il ricordo del tempo trascorso con loro.
 
Nelle “''Memorie autobiografiche''”<ref>Memorie autobiografiche – [[Giuseppe Garibaldi]] – G. Barbera Editore&nbsp;– Firenze&nbsp;– 1888&nbsp;– pag. 388 [https://archive.org/stream/memorieautobiogr00gari#page/382/mode/2up/search/cagnotti Memorie autobiografiche]</ref> [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]] descriverà, con il suo linguaggio schietto, le adulazioni esagerate di cui era stato oggetto da parte di molte persone di riguardo, che fino a poco prima erano state borboniche e che con grande rapidità si proclamavano garibaldine, oltre ad esprimere critiche nei confronti di altri protagonisti degli avvenimenti di quel periodo e successivo.<ref>Dizionario del Risorgimento Nazionale&nbsp;– Vol. IV - Vallardi&nbsp;– 1930&nbsp;– pag. 191</ref> {{Citazione|''I pochi giorni passati in Napoli dopo l’accoglienza gentile fattami da quel popolo generoso, furono piuttosto di nausea, giustamente per le mene e sollecitazioni dei sedicenti cagnotti delle monarchie - che altro non sono in sostanza che dei sacerdoti del ventre – aspiranti immorali e ridicoli – che usarono i più ignobili espedienti per rovesciare quel povero diavolo di Franceschiello – colpevole di essere nato sul marciapiede di un trono – per sostituirlo del modo che tutti sanno.''|''Memorie autobiografiche – Giuseppe Garibaldi–- (3° per. Cap. XIV, p. 388)'' }}
Il vincitore di un trono, il Dittatore delle Due Sicilie, salpava per Caprera con un fondo cassa di 3.000 lire.<ref>(da “Supplemento al Movimento del 12 novembre 1860.”)</ref>
 
Garibaldi aveva scritto un proclama di congedo, i cui termini e toni sono ovviamente quelli che si usavano nella metà del XIX secolo, secondo i modelli culturali di quell’epoca:
{{citazione|''Penultima tappa del risorgimento nostro, noi dobbiamo considerare il pericolo che sta per finire, e prepararci ad ultimare splendidamente lo stupendo concetto degli ultimi eletti di venti generazioni, il di cui compimento assegnò la provvidenza a questa generazione fortunata.<br />Sì giovani, l’Italia deve a voi un’impresa che meritò il plauso del mondo. Voi vinceste – e voi vincerete – perché voi siete oramai fatti alla tattica che decide delle battaglie. Voi non siete degeneri da coloro che entravano nel fitto profondo delle falangi macedoniche e squarciavano il petto ai superbi vincitori dell’Asia. A questa pagina stupenda della storia del nostro paese ne seguirà una più gloriosa ancora, e lo schiavo mostrerà al libero fratello un ferro arruotato che appartenne agli anelli delle sue catene. All’armi tutti ! – tutti – tutti: e gli oppressori – i prepotenti sfumeranno come la polvere. Voi, donne, rigettate lontani i codardi – e voi, figlie delle terra della bellezza, volete prole prode e generosa ! Che i paurosi dottrinari se ne vadano a trascinare altrove il loro servilismo, le loro miserie. Questo popolo è padrone di sé. Egli vuol essere fratello degli altri popoli, ma guardare i protervi colla fronte alta: non rampicarsi, mendicando la sua libertà – egli non vuol essere a rimorchio d’uomini a cuore di fango. No ! No ! No ! La provvidenza fece il dono all’Italia di Vittorio Emanuele. Ogni italiano deve rannodarsi a Lui – serrarsi intorno a Lui. Accanto al re galantuomo ogni gara deve sparire, ogni rancore dissiparsi ! Anche una volta io vi ripeto il mio grido: All’armi tutti ! tutti! Se il marzo del ’61 non trova un milione d’Italiani, povera libertà, povera vita italiana … Oh ! no: lungi da me un pensiero che mi ripugna come un veleno. Il marzo del ’61, e se fa bisogno il febbraio, ci troverà tutti al nostro posto. Italiani di [[Calatafimi]], di [[Palermo]], del [[Volturno]], di [[Ancona]], di [[Castelfidardo]], d’[[Isernia]], e con noi ogni uomo di questa terra non codardo, non servile: tutti, tutti serrati intorno al glorioso soldato di Palestro, daremo l’ultima scossa, l’ultimo colpo alla crollante tirannide ! Accogliete, giovani volontari, resto onorato, di dieci battaglie, una parola d’addio ! Io ve la mando commosso d’affetto dal profondo della mia anima. Oggi io devo ritirarmi ma per pochi giorni. L’ora della pugna mi ritroverà con voi ancora – accanto ai soldati della libertà italiana. Che ritornino alle loro case quelli soltanto chiamati dai doveri imperiosi di famiglia, e coloro che, gloriosamente mutilati, hanno meritato la gratitudine della patria. Essi la serviranno ancora nei loro focolari, col consiglio e coll’aspetto delle nobili cicatrici che decorano la loro maschia fronte di venti anni. All’infuori di questi, gli altri restino a custodire le gloriose bandiere.<br />Noi ci ritroveremo fra poco per marciare insieme al riscatto dei nostri fratelli, schiavi ancora dello straniero, noi ci ritroveremo fra poco per marciare insieme a nuovi trionfi.<br />Napoli, 8 novembre 1860''|[[Giuseppe Garibaldi]], in ''La Spedizione Garibaldina di Sicilia e Napoli'', Mario Menghini, pp. 407-409}}
 
== Le conseguenze ==
=== La proclamazione del Regno d'Italia e le ripercussioni diplomatiche ===
[[File:Napoli plebiscito 1860.png|miniatura|upright=1.3|Plebiscito a Napoli]]
{{vedi anche|Plebisciti risorgimentali|Proclamazione del Regno d'Italia}}
Sulla base dei [[Plebisciti risorgimentali|plebisciti d'annessione]] dell'ottobre 1860 e in seguito alle capitolazioni delle fortezze di [[assedio di Gaeta (1860)|Gaeta]] e di [[Real Cittadella|Messina]], il 17 marzo [[1861]], mentre la [[fortezza di Civitella del Tronto]], nonostante l'[[Assedio di Civitella|assedio]], ancora resisteva (si arrenderà tre giorni più tardi), venne proclamato il Regno d'Italia, del quale entrarono a far parte le regioni meridionali, già parte del Regno delle Due Sicilie.
 
Il 6 novembre Garibaldi schierò in riga, davanti alla [[Reggia di Caserta]], 14.000 uomini, 39 artiglierie e 300 cavalli. Essi attesero molte ore che il Re li passasse in rassegna, ma invano. Il giorno successivo, 7 novembre, il Re faceva il suo ingresso a [[Napoli]]. Garibaldi, invece, si ritirò nell'isola di [[Caprera]]. Nello stesso mese anche [[Legazione delle Marche|Marche]] e [[Legazione dell'Umbria|Umbria]], con un [[Plebisciti risorgimentali|plebiscito]], scelsero l'unione al Regno d'Italia.
 
Così, unificata la [[penisola italiana]], [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]] poté essere proclamato Re d'Italia dal neoeletto parlamento italiano riunito a Torino. Il sovrano sabaudo mantenne il numerale "II"<ref>Al riguardo si veda [[Vittorio Emanuele II di Savoia#Il numerale invariato]]</ref> e il neoproclamato Regno d'Italia conservò l'apparato normativo e costituzionale del precedente Regno di Sardegna, con la costituzione definitivamente estesa a tutte le province del nuovo regno<ref>{{Cita libro |nome = Giorgio |cognome = Balladore Pallieri |titolo = Diritto costituzionale |editore = Giuffrè Editore |città = Milano |anno = 1970 |p = 138 |volume = Collana "Manuali Giuffré"}}</ref>.
 
"Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani": questo motto, attribuito dai più a [[Massimo d'Azeglio]], ma da alcuni anche a [[Ferdinando Martini]], avrebbe ispirato tutta la politica successiva alla spedizione dei Mille.<ref>Sulla frase vd. ora C. Gigante, ''"Fatta l'Italia, facciamo gli Italiani". Appunti su una massima da restituire a d'Azeglio"'', in "Incontri. Rivista europea di studi italiani" XXVI, 2/2011, pp. 5-15 ({{cita web |url=http://www.rivista-incontri.nl/index.php/incontri/article/view/18/18 |titolo=Copia archiviata |accesso=7 gennaio 2012 |urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20120328073519/http://www.rivista-incontri.nl/index.php/incontri/article/view/18/18 }})</ref>
 
=== Lo scioglimento dell'esercito meridionale ===
{{Vedi anche|Esercito meridionale#Lo scioglimento}}
[[File:The Illustrated London news 24 nov. 1860 - Napoli medaglie ai veterani.jpg|miniatura|upright=1.45|Napoli nov. 1860 - assegnazione di medaglie ai reduci garibaldini.]]
Al termine della campagna l’esercito garibaldino aveva consegnato il [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d’Italia]] a [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]], che però non si recò a passare in rivista le truppe garibaldine a [[Reggia di Caserta|Caserta]], né scrisse alcuna lettera giustificativa e neppure di ringraziamento per i garibaldini che avevano combattuto per lui. La firma sull'“ordine del giorno”, documento di ringraziamento per l’opera dei garibaldini, portava solo la firma del generale [[Enrico Morozzo della Rocca|Della Rocca]] e Garibaldi se la prese con Cavour, pensando che fosse opera sua, mentre il suggerimento che il re non rendesse omaggio ai garibaldini schierati a Caserta era stato determinato dal generale Fanti o della naturale atmosfera di gelosia dell’esercito regolare nei confronti dei volontari garibaldini<ref>Garibaldi and the making of Italy – [[George Macaulay Trevelyan]] - p. 279</ref>.
L’inconveniente poteva provocare un'eventuale mancata presenza di Garibaldi a fianco del Re con tutti i conseguenti problemi, ma [[Enrico Cialdini|Cialdini]] riuscì a convincere Garibaldi a partecipare alla sfilata a fianco di Vittorio Emanuele II, così il 7 novembre Garibaldi era a fianco del re nella carrozza che sfilava per le vie di Napoli e, nonostante la pioggia torrenziale, i napoletani erano in uno stato di entusiasmo frenetico.<ref>Garibaldi and the making of Italy – [[George Macaulay Trevelyan]] - p. 280</ref><br />
Il piano di Cavour di dividere l’armata garibaldina in tre gruppi non ebbe attuazione, il piano prevedeva un primo gruppo da sciogliere, un secondo gruppo per formare i ''[[Cacciatori delle Alpi]]'' e un terzo piccolo gruppo di ufficiali da inquadrare con incarichi nell'esercito regolare.<br />
La truppa garibaldina venne liquidata con una regalia, mentre i garibaldini ungheresi vennero impiegati nella repressione del brigantaggio negli Abruzzi e in Molise e nei successivi due anni vennero ammessi come ufficiali nell'esercito regolare solo 1.584 ex garibaldini, con grande indignazione di Garibaldi e dei suoi fedeli, in quanto Garibaldi aveva sperato che l’armata garibaldina fosse mantenuta come corpo militare per le successive guerre per proseguire l’unità italiana con la liberazione di [[Venezia]] e di [[Roma]].<ref>Garibaldi and the making of Italy – [[George Macaulay Trevelyan]] - p. 281</ref>.
 
=== La questione meridionale e il brigantaggio post-unitario ===
{{Vedi anche|Questione meridionale|Piemontesizzazione|Brigantaggio postunitario italiano}}
[[File:Garibaldini Bresciani.JPG|miniatura|upright=1.3|1860. I reduci garibaldini bresciani dei Mille.]]
Agli ufficiali dei disciolti [[esercito delle Due Sicilie]] e della [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie]] fu consentito di entrare nell'esercito e nella marina del Regno d'Italia mantenendo il medesimo grado. Per contro, coloro che rifiutarono di prestare giuramento in favore del nuovo sovrano, rimanendo fedeli a Francesco II, furono deportati nei campi di prigionia di [[Alessandria]], [[San Maurizio Canavese]] e nel [[Forte di Fenestrelle]] ove secondo il revisionismo neoborbonico, una grande quantità trovarono la morte per fame, stenti e malattie<ref>{{Cita web |url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/05/neoborbonici-all-assalto-di-fenestrelle-in-quel.html |titolo= Neoborbonici all'assalto di Fenestrelle 'In quel forte ventimila soldati morti' |data= 5 maggio 2010 |editore= [[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]] |accesso=29 luglio 2010}}</ref><ref>Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento'', Milano, 2007, p. 178.</ref>, ricostruzioni che secondo altre ricerche sembrano però non trovare fondamento<ref>{{Cita news|autore = Massimo Novelli|titolo = I morti borbonici a Fenestrelle non furono 40mila, ma quattro|pubblicazione = [[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]]|url = http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/07/08/news/i_morti_borbonici_a_fenestrelle_non_furono_40mila_ma_quattro-18872501/|data = 8 luglio 2011|accesso = 26 aprile 2014|città = Torino}}</ref><ref>{{Cita news|autore = Massimo Novelli|titolo = Fenestrelle e il genocidio
(inesistente) dei borbonici|pubblicazione = [[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]]|url = http://torino.repubblica.it/cronaca/2012/08/03/news/festrelle_e_il_genocidio_inesistente_dei_borbonici-40258542/|data = 3 agosto 2012|accesso = 26 aprile 2014|città = Torino}}</ref><ref>{{Cita news|autore = Alessandro Barbero|titolo = Ma Fenestrelle non fu come Auschwitz|pubblicazione = [[La Stampa]]|url = http://www.lastampa.it/2012/10/21/cultura/ma-fenestrelle-non-fu-come-auschwitz-ofDf0w18KemglYXas6yWQM/pagina.html|data = 21 ottobre 2012|accesso = 26 aprile 2014}}</ref>.
 
Per quanto riguarda i soldati borbonici, molti si diedero alla macchia, continuando a combattere per l'indipendenza delle Due Sicilie, e anche tra coloro che si unirono a Garibaldi durante la spedizione, infine, non mancò chi, come [[Carmine Crocco]], già soldato sotto Ferdinando II, poi fuorilegge amareggiato, secondo taluni, per gli esiti della spedizione o deluso, secondo altri, dalla mancata amnistia per le sue precedenti condanne da parte del nuovo governo unitario, sposò la causa [[Legittimismo|legittimista]], contribuendo alla nascita e allo sviluppo del [[brigantaggio postunitario]]<ref>{{cita libro |cognome= |nome= |titolo= Rassegna storica del risorgimento, Vol. 48 |url= http://books.google.it/booksid=2PviAAAAMAAJ&q=soldati+borbonici+uniti+ai+briganti&dq=soldati+borbonici+uniti+ai+briganti&hl=it&ei=DtmlTMr7I8jsOZnm6agC&sa=X&oi=book_result&ct=book-thumbnail&resnum=4&ved=0CDcQ6wEwAzgK |accesso= 6 ottobre 2010 |anno= 1961 |editore= Istituto per la storia del Risorgimento italiano |città= Roma |p= 438 |urlmorto= sì }} {{NoISBN}}</ref><ref>{{cita libro |cognome=Crocco |nome=Carmine |wkautore= Carmine Crocco |curatore= Marcello Donativi |titolo= Come divenni brigante |url= http://books.google.it/books?id=5ajUls60IJ0C&pg=PA7 |accesso= 27 novembre 2011 |anno= 2009 |editore= Edizioni Trabant |città= Brindisi |pp= 7-10 |isbn= 88-96576-04-0 }}</ref>, evento incentivato dal governo borbonico in esilio a Roma, con l'importante sostegno della "''Corte di Roma''" e di altri stati europei contrari alla piena unità italiana.<ref>Il Mondo Illustrato del 25 maggio 1861, nº 21</ref>.
 
[[File:Cimeli proverbio toscano.JPG|upright=1.4|miniatura|Stampa popolare del 1860 che mostra le delusioni garibaldine: un Garibaldi pensieroso regge un foglio sui temi dell'armamento nazionale, liberazione di Roma e Venezia e i suoi decreti emessi a Napoli, a terra giacciono due fogli con i nomi di [[Nizza]] e [[Savoia (provincia)|Savoia]] ormai perse alla unità nazionale, tre volontari garibaldini, di cui due feriti, messi in disparte, volgono le spalle a un gruppo di notabili e reazionari [[Coda (acconciatura)#Coda dei nobili europei|codini]] che ballano, commentati col detto: "Il [[maestro di cappella]] è mutato, ma la musica è la stessa".|alt=|sinistra]]
[[File:Guardabosone-DSCF8872.JPG|miniatura|Garibaldi raffigurato in un affresco sul muro di un edificio a [[Guardabosone]], in [[provincia di Vercelli]].]]
 
Già prima dell'[[unità d'Italia]], negli ultimi mesi del 1860 molte delle aspettative generate dalla spedizione dei mille furono deluse, cominciarono le proteste contro il nuovo governo e nell'Italia continentale cominciò il sostegno al [[brigantaggio postunitario]] da parte dei Borbone e del clero. Nei territori appartenuti al regno delle Due Sicilie i contadini e gli strati più poveri della popolazione, dopo aver inizialmente creduto che con Garibaldi le condizioni di vita sarebbero migliorate, si ritrovarono, invece, ad affrontare maggiori tasse e la coscrizione (servizio di leva) obbligatoria, con una conseguente diminuzione delle braccia in grado di sostenere una famiglia, mentre nel settentrione la leva militare obbligatoria generava meno problemi, in quanto i metodi di coltivazione erano più avanzati.
Va evidenziato che nel sud continentale la leva militare esisteva già in forma limitata a sorteggio e i territori più danneggiati dalla coscrizione erano la Sicilia e lo Stato Pontificio, dove il servizio militare prima dell'unità era esclusivamente volontario e professionale e dove, comunque, non si verificarono rivolte anti-sabaude. La constatazione che il sistema fiscale piemontese, esteso a tutto il Regno d'Italia, fosse troppo pesante per le regioni meridionali annesse e in parte anche per quelle centrali, è la prova del divario allora esistente tra i redditi pro-capite del settentrione e quelli del meridione nel 1861, è infatti facile concludere che, in caso di parità di reddito, negli anni successivi all'Unità le tasse del sistema fiscale del nuovo Regno non sarebbero state pesanti per il contribuente del sud o, comunque, non più di quanto lo erano per il contribuente del nord.
 
Ne ''[[I Malavoglia]]'' di [[Giovanni Verga]] appare chiara la disillusione, seguita da una cocente delusione, della popolazione di fronte alla nuova Italia unita, attraverso i racconti della lunga coscrizione del giovane 'Ntoni, la morte del giovane Luca nella [[battaglia di Lissa (1866)|battaglia di Lissa]] e le nuove tasse<ref>{{Cita libro |cognome= Verga |nome= Giovanni |wkautore= Giovanni Verga |titolo= [[I Malavoglia]] |anno= 1983 |editore= Arnoldo Mondadori Editore |edizione= collana Oscar Mondadori |isbn= 88-04-52519-3 }}</ref>. L'amara delusione di chi sperava che l'unità d'Italia avrebbe cambiato le sorti del Sud è ben raccontata anche nel romanzo di [[Anna Banti]], ''Noi credevamo''<ref>{{cita libro|cognome= Banti |nome= Anna |wkautore= Anna Banti |titolo= Noi credevamo |anno= 1967 |editore= Arnoldo Mondadori Editore |città= Milano}} {{NoISBN}}</ref>. Nel meridione continentale questo malcontento popolare sfociò nel movimento di resistenza definito ''brigantaggio''.
 
Lo stesso Garibaldi nel [[1868]] scrisse in una lettera a [[Adelaide Cairoli]]:
{{Citazione|''... Qui, o Signora, io sento battere colla stessa veemenza il mio cuore, come nel giorno, in cui sul monte del [[Sacrario di Pianto Romano|Pianto dei Romani]], i vostri eroici figli faceanmi baluardo del loro corpo prezioso contro il piombo borbonico! ... E Voi, donna di alti sensi e d'intelligenza squisita, volgete per un momento il vostro pensiero alle popolazioni liberate dai vostri martiri e dai loro eroici compagni. Chiedete ai cari vostri superstiti delle benedizioni, con cui quelle infelici salutavano ed accoglievano i loro liberatori! Ebbene, esse maledicono oggi coloro, che li sottrassero dal giogo di un dispotismo, che almeno non li condannava all'inedia per rigettarli sopra un dispotismo più orrido assai, più degradante e che li spinge a morire di fame. ... Ho la coscienza di non aver fatto male; nonostante, non rifarei oggi la via dell'Italia Meridionale, temendo di esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della spregevole genia che disgraziatamente regge l'Italia e che seminò l'odio e lo squallore la dove noi avevamo gettato le fondamenta di un avvenire italiano, sognato dai buoni di tutte le generazioni e miracolosamente iniziato.''|[[Giuseppe Garibaldi]] a [[Adelaide Cairoli]], [[1868]].<ref>Citato in ''Lettere ad Anita ed altre donne'', raccolte da G. E. Curatolo, Formiggini, Roma 1926, pp. 113-116. [http://dbooks.bodleian.ox.ac.uk/books/PDFs/300061937.pdf on line]</ref>}}
Delusi furono anche molti liberali che avevano riposto nell'unità d'Italia la realizzazione delle loro ambizioni, ma che si ritrovarono in una situazione politica sostanzialmente immutata; mentre il risveglio economico, garantito dalle politiche fiscali di Ferdinando II<ref>{{cita libro |cognome= Nitti |nome= Francesco Saverio |wkautore= Francesco Saverio Nitti |titolo= L'Italia all'alba del secolo XX: discoursi ai giovani d'Italia |anno= 1901 |editore= Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo |città= Torino-Roma |p= 118 }}</ref> e dalle floride condizioni del regno borbonico, cessò di colpo<ref>{{cita libro |curatore= [[Emilio Gentile]] |titolo= Carteggio 1865-1911|anno= 1978 |editore= Laterza |città= Bari |p= 65}}</ref>, non essendo l'economia del sud in grado di sostenere la concorrenza in regime di libero mercato e senza la protezione doganale. Le valutazioni sul buono stato delle condizioni dell’economia preunitaria borbonica non sono condivise da [[Giustino Fortunato]], che evidenzia come le spese erano rivolte in grande maggioranza alla corte o alle forze armate, incaricate di proteggere la ristrettissima casta dominante del regno, lasciando pochissimo agli investimenti per opere pubbliche, sanità e istruzione.<ref>[https://archive.org/stream/ilmezzogiornoelo02fortuoft#page/336/mode/2up Giustino Fortunato, ‘'IL MEZZOGIORNO E LO STATO ITALIANO'’ - DISCORSI POLITICI (1880-1910), LATERZA & FIGLI, Bari, 1911, pagine 336-337 ]
{{citazione|''"Eran poche, sì, le imposte, ma malamente ripartite, e tali, nell'insieme da rappresentare una quota di lire 21 per abitante, che nel Piemonte, la cui privata ricchezza molto avanzava la nostra, era di lire 25,60.''
''Non il terzo, dunque, ma solo un quinto il Piemonte pagava più di noi.''
''E, del resto, se le imposte erano quaggiù più lievi — non tanto lievi da non indurre il [[Luigi Settembrini]], nella famosa 'Protesta' del 1847, a farne uno dei principali capi di accusa contro il Governo borbonico, assai meno vi si spendeva per tutti i pubblici servizi: noi, con sette milioni di abitanti, davamo via trentaquattro milioni di lire, il Piemonte, con cinque [milioni di abitanti], quarantadue [milioni di lire].''
''L'esercito, e quell'esercito!, che era come il fulcro dello Stato, assorbiva presso che tutto; le città mancavano di scuole, le campagne di strade, le spiagge di approdi; e i traffici andavano ancora a schiena di [[Animale da soma|giumenti]], come per le plaghe d'Oriente.”''|}}</ref>
Anche il marxista [[Antonio Gramsci]] attribuì il manifestarsi della Questione meridionale principalmente ai molti secoli di diversa storia dell'Italia meridionale, rispetto alla storia dell'Italia settentrionale, come chiaramente esposto nella sua opera "La questione meridionale".<ref>Pag. 5 [https://archive.org/stream/AntonioGramsciLaQuestioneMeridionale/Antonio%20Gramsci%20-%20La%20questione%20meridionale#page/n3/mode/2up La questione meridionale di Antonio Gramsci - Il Mezzogiorno e la guerra 1 – Progetto Manuzio - www.liberliber.it – tratto da: La questione meridionale, Antonio Gramsci; a cura di Franco De Felice e Valentino Parlato. - Roma: Editori Riuniti, 1966. - 159 p.; (Le Idee; 5)]
{{citazione|''La nuova Italia aveva trovato in condizioni assolutamente antitetiche i due tronconi della penisola, meridionale e settentrionale, che si riunivano dopo più di mille anni.<br />''
''L'invasione longobarda aveva spezzato definitivamente l'unità creata da Roma, e nel Settentrione i Comuni avevano dato un impulso speciale alla storia, mentre nel Mezzogiorno il regno degli Svevi, degli Angiò, di Spagna e dei Borboni ne avevano dato un altro.''<br />
''Da una parte la tradizione di una certa autonomia aveva creato una borghesia audace e piena di iniziative, ed esisteva un'organizzazione economica simile a quella degli altri Stati d'Europa, propizia allo svolgersi ulteriore del capitalismo e dell'industria.''|}}</ref>
Il patriota [[Luigi Settembrini]], mentre era rettore all'università di Napoli, disse agli studenti: «''Colpa di Ferdinando II! Se avesse fatto impiccare me e gli altri come me, non si sarebbe venuto a questo!''».<ref>[[Benedetto Croce]], ''Storia d'Italia dal 1871 al 1915'', Laterza Editore, 1966, p.287.</ref> Rimase rammaricato anche [[Ferdinando Petruccelli della Gattina]], che nella sua opera ''[[I moribondi del Palazzo Carignano]]'' ([[1862]]), espresse la sua amarezza nei confronti della negligenza della nuova classe politica.<ref>{{cita news|url=http://www.ilmediano.it/aspx/visArticolo.aspx?id=9923|pubblicazione=www.ilmediano.it|autore=Carmine Cimmino|titolo=L'Unità d'Italia fatta da delusi e "moribondi"|accesso=21 dicembre 2010|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140904131029/http://www.ilmediano.it/aspx/visArticolo.aspx?id=9923}}</ref> Anche il [[clero]] rimase deluso, sia per la perdita di Umbria e Marche da parte dello Stato pontificio, sia per il frequente esproprio di beni ecclesiastici, la soppressione degli Ordini Religiosi e la chiusura di numerosi istituti di utilità sociale. Non rimasero invece deluse le popolazioni ex pontificie, perché potevano vivere in uno stato laico, senza i condizionamenti e le costrizioni religiose della monarchia teocratica assoluta papale, che discriminava i cittadini in base alla religione professata e che prevedeva tribunali distinti per il clero giudicato dal Foro Ecclesiastico, mentre i cittadini erano giudicati dai tribunali ordinari. Con l'Unità il clero divenne soggetto alle leggi sul servizio militare, obbligo successivamente abolito nel 1929 a seguito dei [[Patti Lateranensi]].
 
Secondo alcuni critici i moti del 1860 e il Risorgimento furono l'espressione dalle classi colte e dalla borghesia e non dalle masse, con la conseguenza che nel meridione la mancata mediazione del governo paternalistico borbonico provocò un rafforzamento della classe dei proprietari terrieri e della locale borghesia, anche a danno delle classi contadine.<ref>Il Risorgimento Italiano, [[Denis Mack Smith]], cap. XXXVII - La Questione Meridionale, pag. 531</ref>
 
[[File:Strade ferrate costruite dopo il 1861.JPG|miniatura|Costruzione di ferrovie nel sud dopo il 1861 dove erano presenti solo 184&nbsp;km nella zona di Napoli e città vicine.]]
Con l'unità si evidenziò il divario infrastrutturale, infatti su una rete complessiva di circa 90.000&nbsp;km di strade della penisola, lo sviluppo della rete stradale del Centro-Nord era stimata approssimativamente 75.500&nbsp;km rispetto ai 14.700&nbsp;km valutati per il Meridione e isole.
La siderurgia della penisola presentava una produzione annuale di 18.500 tonnellate di ferro, delle quali 17.000 prodotte nel nord e solo 1.500 nel sud.
Con l'unità d'Italia venne estesa anche al Meridione la rete ferroviaria largamente presente nel Settentrione, infatti nel 1861 dei 2.520&nbsp;km di ferrovie presenti nella penisola, solo 184&nbsp;km si trovavano nel Meridione limitatamente alla zona attorno a Napoli, lasciando quindi Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria Sicilia e Sardegna senza ferrovie<ref name=autogenerato12>Vedi pag. 420-421 [https://www.aspeninstitute.it/system/files/private_files/2011-07/doc/UNIFICAZIONE_ITALIANA_SEZIONE_4_F_P.pdf L'Unificazione Italiana – Treccani – volume pubblicato con il contributo di Aspen Italia – Sez IV)] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160303215726/https://www.aspeninstitute.it/system/files/private_files/2011-07/doc/UNIFICAZIONE_ITALIANA_SEZIONE_4_F_P.pdf |date=3 marzo 2016 }}</ref>.
Venne avviato anche un programma di insegnamento scolastico per combattere l'analfabetismo, largamente diffuso nella penisola e che nel 1860 raggiungeva la percentuale più elevata nei territori del Regno delle Due Sicilie<ref>150 anni di statistiche italiane: nord e sud 1861-2011, Svimez, Il Mulino</ref>.
 
La [[piemontesizzazione]] ovvero l'estensione a tutti i territori annessi delle leggi e regolamenti del Regno di Sardegna, creò polemiche con i sostenitori del federalismo come [[Carlo Cattaneo|Cattaneo]] e di una più ampia autonomia amministrativa regionale, in particolare nei territori dell'ex Regno delle Due Sicilie dove erano presenti tradizioni diverse, che creavano problemi agli amministratori settentrionali: {{Citazione|'' ... a Napoli o in Sicilia; ben presto tutti urtavano contro i sistemi locali di patronato, clientelismo e nepotismo e pochi furono capaci di evitare il compromesso.''|Il Risorgimento Italiano, [[Denis Mack Smith]], cap. XXXVII - La Questione Meridionale, pag. 525}}
Certamente vennero commessi errori dovuti alla difficoltà di affrontare una situazione complessa:
{{Citazione|'' ... non si può accusare Cavour ed i suoi successori se la rapidità degli avvenimenti impedì loro di trovare una soluzione adeguata.''|Il Risorgimento Italiano, [[Denis Mack Smith]], cap. XXXVII - La Questione Meridionale, pag. 531}}
 
== Il dibattito storiografico ==
=== Cavour e la spedizione di Garibaldi ===
{{vedi anche|Cavour e la spedizione di Garibaldi}}
Secondo il [[George Macaulay Trevelyan|Trevelyan]] la scuola interpretativa di cui [[Alessandro Luzio]] è un accreditato rappresentante, sostiene che il [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] aiutò e favorì la spedizione garibaldina fin dall'inizio, indipendentemente dalle pressioni dell'opinione pubblica e del re e, nonostante le diverse e dibattute interpretazioni, lo storico britannico ritiene assodato che l'aiuto fornito da Cavour a Garibaldi fu comunque fondamentale per la riuscita dell'impresa garibaldina<ref>Garibaldi and the thousand – [[George Macaulay Trevelyan]] – Longmans&nbsp;– Londra - 1909&nbsp;– pagg. 5 (fine) e 6: ''“One school, of which signor [[Alessandro Luzio|Luzio]] is the able representative maintains that the great minister (Cavour) aided and abetted the Sicilian expedition from the first, not under compulsion from king and people, but as a part of his own policy […] but there can be no question that the assistance that he gave was absolutely indispensable to the success of the enterprise.”'' [https://archive.org/details/garibaldithousan01trev Garibaldi: and the thousand: Trevelyan, George Macaulay, 1876-1962: Free Download, Borrow, and Streaming: Internet Archive]</ref> e che l'unità d'Italia fu possibile anche grazie alla decisione dei ministri britannici [[John Russell, I conte di Russell|Russell]] e [[Henry John Temple, III visconte Palmerston|Palmerston]] di non ostacolare Garibaldi nell'attraversare lo [[Stretto di Messina]], mentre gli altri stati europei sarebbero stati favorevoli al blocco navale nello Stretto.<ref>Garibaldi and the thousand&nbsp;– G. M. Trevelyan - pag. 4, riga 13: ''“… Garibaldi’s attack on the Bourbon would have been prevented by the Concert of Europe […] but in July 1860 England broke up such partial Concert of Europe […] and refused to prevent Garibaldi from crossing the Straits of Messina. That decision of Lord John Russel and Lord Palmerston is one of the reasons why Italy is a free and united State to-day”''.</ref>
L'andamento della Spedizione garibaldina generava comunque la preoccupazione per sviluppi politico-istituzionali non prevedibili e convinse anche [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]] che la rivoluzione in corso nel [[Regno delle Due Sicilie]] andasse fermata.
Con il trattato segreto di [[Chambéry]]<ref>Garibaldi and the making of Italy&nbsp;– G. M. Trevelyan&nbsp;– pag. 277, righe 14 e seguenti:
''”[...] Napoleon III, only two months after he had given his consent to Cavour’s invasion of the papal Marches. The secret agreement that he made at Chambéry was that the North Italian Army should invade and traverse the papal territory, so as to arrive at Naples in time to stop Garibaldi and ‘’absorb the revolution’’''.“[https://archive.org/stream/garibaldimakingo00trevuoft#page/276/mode/2up Garibaldi and the making of Italy]</ref>
[[Napoleone III di Francia|Napoleone III]] diede il via libera a Cavour per l’occupazione dell’[[Umbria]] e delle [[Marche]] pontificie per arrivare a [[Napoli]], anche con l’evidente intento di prevenire una possibile invasione del Lazio papale da parte dell’armata garibaldina, già tentata con la cosiddetta diversione di [[Callimaco Zambianchi|Zambianchi]] per provocare un'insurrezione nello [[Stato Pontificio]], terminata con il fallimento.
 
Il Cavour aveva sempre impedito l’attuazione dei progetti mazziniani di sbarchi e attacchi garibaldini diretti anche contro lo [[Stato Pontificio]], fatto questo che avrebbe creato complicazioni internazionali, impedendo prima alla Spedizione del [[Giacomo Medici|Medici]] e poi alle Spedizioni di [[Luigi Pianciani|Pianciani]] e [[Giovanni Nicotera|Nicotera]] di invadere i territori pontifici, per poi dirigersi verso sud, attuando con forze maggiori la iniziale fallita [[Diversione del Zambianchi|“Diversione Zambianchi”]], con l’intento di dividere le forze borboniche, facilitando l’azione di Garibaldi.
Pertanto il successivo invio delle navi francesi per proteggere Gaeta assediata può essere interpretato come un atto di politica interna francese al fine di mantenere il consenso dei clericali francesi, che erano importanti per mantenere il trono a Napoleone III.<ref>Garibaldi and the making of Italy - Trevelyan pag. 277</ref>
 
=== Agiografia e problema del Meridione ===
{{vedi anche|Dibattito storiografico sulla Spedizione dei Mille|Revisionismo del Risorgimento}}
[[File:Briganti arruolamento 1861- IMI 25-05-1861.JPG|miniatura|upright=1.3|Arruolamento di briganti a Roma piazza Farnese.]]
La spedizione dei Mille è un passaggio obbligato per capire la storia dello Stato unitario italiano e ha generato diverse controversie su come sia stato concepito. Diversi storici vedono nell'impresa garibaldina il punto d'origine di fenomeni complessi come il [[Brigantaggio postunitario]], lo squilibrio nord-sud, l'[[emigrazione]] (assente nel Sud Italia prima dell'unità)<ref>[[Massimo Viglione]], [[Francesco Mario Agnoli]], ''La rivoluzione italiana: storia critica del Risorgimento'', Roma, 2001, p. 98</ref> e la cosiddetta "[[questione meridionale]]". [[Denis Mack Smith]] precisava però che nel [[Regno delle Due Sicilie]] le infrastrutture erano scarse, l'agricoltura e l'industria arretrate per scelta politica ed erano necessari passaporti anche per spostamenti all'interno del regno<ref>Italy: a modern history–Denis Mack Smith –University of Michigan–1959–pag. 3 [https://archive.org/stream/in.ernet.dli.2015.185092/2015.185092.Italy-A-Modern-History#page/n13/mode/2up Italy A Modern History]</ref><ref>{{Citazione|This difference between North and South was fundamental. A peasant from Calabria had little in common with one from Piedmont, and Turin was infinitely more like Paris and London than Naples and Palermo, for these two halves were on quite different levels of civilization. Poets might write of the South as the garden of the world, the land of Sybaris and Capri, and stay-at-home politicians sometimes believed them; but in fact most southerners lived in squalor, afflicted by drought, malaria, and earthquakes. The Bourbon rulers of Naples and Sicily before 1860 had been staunch supporters of a feudal system glamorized by the trappings of a courtly and corrupt society. They had feared the traffic of ideas and had tried to keep their subjects insulated from the agricultural and industrial revolutions of northern Europe. Roads were scanty or nonexistent, and passports necessary even for internal travel. In the “annus mirabilis” of 1860 these backward regions were conquered by Garibaldi and annexed by plebiscite to the North.
 
«''La differenza fra Nord e Sud era radicale. Per molti anni dopo il 1860 un contadino della Calabria aveva ben poco in comune con un contadino piemontese, mentre Torino era infinitamente più simile a Parigi e Londra che a Napoli e Palermo; e ciò in quanto queste due metà del paese si trovavano a due livelli diversi di civiltà. I poeti potevano pure scrivere del Sud come del giardino del mondo, la terra di Sibari e di Capri, ma di fatto la maggior parte dei meridionali vivevano nello squallore, perseguitati dalla siccità, dalla malaria e dai terremoti. I Borboni, che avevano governato Napoli e la Sicilia prima del 1860, erano stati tenaci sostenitori di un sistema feudale colorito superficialmente dallo sfarzo di una società cortigiana e corrotta. Avevano terrore della diffusione delle idee ed avevano cercato di mantenere i loro sudditi al di fuori delle rivoluzioni agricola e industriale dell'Europa settentrionale. Le strade erano poche o non esistevano addirittura ed era necessario il passaporto anche per viaggi entro i confini dello Stato. In quell{{'}}''annus mirabilis'' che fu il 1860 queste regioni arretrate furono conquistate da Garibaldi e annesse mediante plebiscito al Nord.''»|Italy: a modern history – Denis Mack Smith - page 3}}</ref>. Anche [[Antonio Gramsci]] evidenzia la grande diversità delle condizioni socio-economiche presenti nella penisola italiana nel 1860 tra settentrione e meridione<ref>(“La questione meridionale - Il Mezzogiorno e la guerra 1, pag. 5), [https://archive.org/stream/AntonioGramsciLaQuestioneMeridionale/Antonio%20Gramsci%20-%20La%20questione%20meridionale#page/n3/mode/2up La questione meridionale di Antonio Gramsci - Il Mezzogiorno e la guerra 1 – Progetto Manuzio - www.liberliber.it – tratto da: La questione meridionale, Antonio Gramsci; a cura di Franco De Felice e Valentino Parlato. - Roma: Editori Riuniti, 1966. - 159 p.; (Le Idee; 5)]</ref><ref>{{citazione|''La nuova Italia aveva trovato in condizioni assolutamente antitetiche i due tronconi della penisola, meridionale e settentrionale, che si riunivano dopo più di mille anni. L'invasione longobarda aveva spezzato definitivamente l'unità creata da Roma, e nel Settentrione i Comuni avevano dato un impulso speciale alla storia, mentre nel Mezzogiorno il regno degli Svevi, degli Angiò, di Spagna e dei Borboni ne avevano dato un altro.<br />Da una parte la tradizione di una certa autonomia aveva creato una borghesia audace e piena di iniziative, ed esisteva una organizzazione economica simile a quella degli altri Stati d'Europa, propizia allo svolgersi ulteriore del capitalismo e dell'industria.<br />Nell'altra le paterne amministrazioni di Spagna e dei Borboni nulla avevano creato: la borghesia non esisteva, l'agricoltura era primitiva e non bastava neppure a soddisfare il mercato locale; non strade, non porti, non utilizzazione delle poche acque che la regione, per la sua speciale conformazione geologica, possedeva. L'unificazione pose in intimo contatto le due parti della penisola''.}}</ref>.
 
Qualche corrente di pensiero ritiene che la spedizione dei Mille sia stata narrata in modo "[[agiografia|agiografico]]" dalla [[storiografia]] tradizionale.
Ciò, in particolare, a fronte al [[brigantaggio]] che fu ferocemente represso dal nuovo Regno d'Italia e a una presunta ''[[damnatio memoriae]]'' che sarebbe toccata alla dinastia borbonica. Nel decennio successivo all'unità, secondo alcune scuole storiografiche si scatenò nel meridione italiano una guerra civile<ref>{{cita libro|cognome= de' Sivo |nome= Giacinto |wkautore= Giacinto de' Sivo |titolo= Storia delle Due Sicilie, dal 1847 al 1861 |url= http://books.google.it/books?id=IE4IAAAAQAAJ&pg=PA64 |accesso= 29 settembre 2010 |anno= 1863 |editore= Tipografia Salviucci |città= Roma |p= 64 }} {{NoISBN}}</ref> per combattere la quale fu necessario l'impiego di un elevato numero di militari, secondo alcuni fino a 140.000<ref>[[Rosario Villari]], ''Corso di Storia'', [[Casa editrice Giuseppe Laterza & figli|Laterza]]</ref>, la sospensione dei [[diritti civili]] ([[Legge Pica]]), nonché devastazioni e saccheggi di interi abitati (come a [[Pontelandolfo]] e [[Casalduni]]) come ritorsione alle violenze, spesso efferate, dei briganti,<ref>{{cita libro|cognome= Di Fiore |nome= Gigi |wkautore=Gigi Di Fiore |titolo= Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento |url= https://archive.org/details/controstoriadell0000difi |anno=2007 |editore= Rizzoli Editore |città= Napoli |isbn= 88-17-01846-5 |p= [https://archive.org/details/controstoriadell0000difi/page/259 259] }}</ref> per poter annientare le bande armate.
Al riguardo si può sottolineare che il meridionalista [[Francesco Saverio Nitti]] affermò come il brigantaggio fosse un fenomeno endemico nel sud preunitario:
{{citazione|'' ... ogni parte d'Europa ha avuto banditi e delinquenti, che in periodi di guerra e di sventura hanno dominato la campagna e si sono messi fuori della legge […] ma vi è stato un solo paese in Europa in cui il brigantaggio è esistito si può dire da sempre […] un paese dove il brigantaggio per molti secoli si può rassomigliare a un immenso fiume di sangue e di odi […] un paese in cui per secoli la monarchia si è basata sul brigantaggio, che è diventato come un agente storico: questo paese è l'Italia del Mezzodì''|Francesco Saverio Nitti, ''Eroi e briganti'', pagg. 9-33.<ref>Francesco Saverio Nitti ''Eroi e briganti'' (edizione 1899) - Edizioni Osanna Venosa, 1987 - page 9-33</ref>,<ref>[https://books.google.it/books?id=3aYTBwAAQBAJ&printsec=frontcover&dq=eroi+e+briganti+di+saverio+nitti&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjr9vr93pnRAhWoB8AKHSmAAR0Q6AEIIzAA#v=onepage&q=agente&f=false Eroi e briganti-]</ref>}}
L'affermazione del Nitti sul brigantaggio come "''agente storico nel sud''" è confermata anche dal fatto che, non essendo in grado di fermare Garibaldi, il governo borbonico si rivolse al famoso bandito calabrese ''Giosafatte Tallarino''<ref name="ReferenceB" />,<ref name="ReferenceA" />, il quale, con una decina di complici, avrebbe dovuto uccidere Garibaldi (vedere: [[#I_progetti_di_attentato_contro_Garibaldi|I progetti di attentato contro Garibaldi]]).
 
Il Nitti prosegue precisando come i briganti del Sud preunitario fossero un gravissimo e insolubile problema per i governi borbonici:
{{citazione| ''Per quanto io sappia, anche le monarchie più potenti non sono riuscite a estirpare del tutto il brigantaggio dal reame di Napoli. Tante volte distrutto, tante volte risorgeva; e risorgeva spesso più poderoso. […] Come le cause non erano distrutte, né si poteva ogni repressione era vana. Così vediamo in tempi assai vicini a noi i briganti riunirsi in bande numerose, formare dei veri eserciti, entrare nelle città, spesso trionfalmente imporre al Governo patti vergognosi: vediamo intere città distrutte dai briganti e questi spingersi non di rado fin sotto le mura della capitale<ref>(Napoli)</ref>.''|Francesco Saverio Nitti, ''Eroi e briganti'', pp. 9-33.}}
 
Per la repressione del gravissimo problema del brigantaggio il [[Regno delle Due Sicilie]] aveva approvato leggi speciali come il Decreto di Re Ferdinando I n. 110 del 30 agosto 1821 e il Decreto di Re Francesco II n. 424 del 24 ottobre 1859, leggi molto più dure della stessa legge Pica successiva all'unità.
 
Il Nitti constatava quindi l'incapacità dei governi borbonici nel debellare il grave fenomeno del [[Brigantaggio]], che formava bande grandi come eserciti e che costringeva addirittura i governi borbonici a vergognosi compromessi, mentre noi possiamo rilevare che al Regno d'Italia l'operazione di risolvere il problema del brigantaggio era invece riuscita.
 
Nell'iconografia tradizionale, la figura di Garibaldi assume le sembianze dell'[[eroe]] che combatte e vince contro un esercito ben più numeroso, mentre i tanti "[[briganti]]" che in seguito combatterono contro un ben più organizzato esercito piemontese ebbero il torto di essere perdenti.
A tale riguardo occorre anche precisare che il brigantaggio post-unitario era capeggiato in gran parte da briganti già condannati dagli stessi tribunali borbonici ed era finanziato dal governo borbonico in esilio a Roma, con il sostegno del clero e di alcune potenze straniere miranti a destabilizzare il nuovo stato italiano, erano infatti presenti ufficiali stranieri<ref>Uomini e cose della vecchia Italia, [[Benedetto Croce]], pp. 308-340</ref>, il più noto dei quali era [[José Borjes|Borjes]] e che il cosiddetto "esercito piemontese" che reprimeva il brigantaggio, in realtà era il Regio Esercito Italiano e comprendeva anche molti ufficiali e soldati meridionali, con l'ausilio della [[Guardia Nazionale Italiana]], milizia locale interamente meridionale. Lo stesso [[Stato Pontificio]], che ospitava il governo borbonico in esilio, dovette poi istituire uno speciale corpo chiamato "''[[Squadriglieri]]''" per fronteggiare le gravi violenze dei briganti che sconfinavano nel Lazio meridionale per sfuggire al Regio Esercito e adottare norme anti-brigantaggio con gli "''editti Pericoli''"<ref>Mons. Luigi pericoli, delegato apostolico della città e provincia di Frosinone, contenenti una serie di norme anti-brigantaggio: «''alla più efficace e pronta repressione del flagello brigantaggio che infesta le province di Velletri e Frosinone.''</ref>.
 
Quindi, secondo i revisionisti del Risorgimento, il mito di Garibaldi sarebbe stato funzionale agli assetti di potere vincenti, non considerando però il diverso comportamento delle popolazioni degli altri stati preunitari anch'essi annessi al Regno di Sardegna, stati che in tale ottica sarebbero da considerare anche essi “vinti”, come il [[Regno Lombardo-Veneto|Lombardo-Veneto]], i [[Ducato di Parma e Piacenza|Ducati di Parma e Piacenza]], [[Ducato di Modena e Reggio|Modena]], il [[Granducato di Toscana]] e lo [[Stato Pontificio]] e che, invece, il revisionismo tende ad assimilare ai “vincitori” con evidente contraddizione.
 
Un'altra contraddizione del revisionismo è la mancata considerazione del grande voto filo-sabaudo in occasione del [[Nascita della Repubblica Italiana|Referendum monarchia-repubblica]] del 1946, mentre il settentrione votò repubblica e tale voto filo-sabaudo del sud è particolarmente significativo, perché erano trascorsi solo 85 anni dall'unità, pertanto molti votanti meridionali al referendum avevano potuto ascoltare i racconti pre-unitari dalla viva voce dei nonni e dei genitori che li avevano vissuti in gioventù. Il revisionismo non considera anche che, con la proclamazione della repubblica fu il napoletano [[Achille Lauro]] a contribuire a fondare il [[Partito Nazionale Monarchico|Partito Monarchico]], che era molto votato a Napoli e nel Sud, divenuto poi [[Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica]] è esistito fino al 1972, quando si fuse con altro partito.
 
Lo storico inglese [[Denis Mack Smith]] ne "I re d'Italia", con riferimento al periodo storico che comincia dall'unità d'Italia, il periodo monarchico dal 1861 fino al 1946, scrive: "La documentazione di cui disponiamo è tendenziosa e comunque inadeguata [...] Gli storici hanno dovuto essere reticenti e, in alcuni casi, restare soggetti a [[censura]] o imporsi un'autocensura."<ref>[[Denis Mack Smith]], ''I re d'Italia'', [[Rizzoli]], 1990 [https://books.google.it/books?id=yygKk164ldAC&printsec=frontcover&dq=i+re+d'italia+denis+mack+smith&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwju_quKwrTaAhWLWxQKHbp-BqkQ6AEIJzAA#v=onepage&q=autocensura&f=false I Savoia re d'Italia - Denis Mack Smith - Google Libri]</ref>, nella prefazione viene precisato anche che la mancanza di documentazione è dovuta soprattutto al fatto che molti archivi privati reali sono stati portati in esilio dopo l'avvento della repubblica. Lo stesso Denis Mack Smith ha però anche denunciato in altre opere il grave stato di arretratezza in cui versava il sud nel 1860<ref>Italy: a modern history–Denis Mack Smith –University of Michigan–1959–pag. 3</ref>.
Va comunque osservato che il brigantaggio anti-sabaudo, verificatosi dopo il 1860 nel sud continentale, non si verificò negli altri territori preunitari annessi del nord-est e del centro Italia, che pure subirono espropriazioni e imposizioni di nuove norme e tasse come il sud. Tale diverso atteggiamento nei confronti del nuovo assetto istituzionale unitario farà presto rilevare quel divario, poi noto come [[Questione meridionale]] e descritto dal meridionalista lucano [[Giustino Fortunato]] come segue: {{citazione| ''che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. C'è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gl'intimi legami che corrono tra il benessere e l'anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale''.|[[Giustino Fortunato]], Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, pp. 311,312}}Anche il politico e patriota torinese [[Massimo d'Azeglio]] aveva espresso il suo pensiero sulla diversità dei comportamenti delle popolazioni dei diversi territori pre-unitari annessi: {{citazione| [...]'' io non so nulla di suffragio, so che al di qua del [[Tronto]]<ref>Il fiume Tronto demarcava approssimativamente il confine fra l'ex-Regno di Napoli e lo Stato Pontificio e comunemente serviva da territorio di confine fra Italia settentrionale e meridionale.</ref> non sono necessari battaglioni e che al di là sono necessari.''|Massimo d'Azeglio, Scritti e discorsi politici, Firenze 1939, III, pp.&nbsp;399–400<ref>{{cita libro|autore=[[Massimo d'Azeglio]]|titolo=“Scritti e discorsi politici”|editore=[[La nuova Italia]]|città=Firenze|anno=1939|p=416}}</ref>
}}
 
=== Le ipotesi di corruzione dei militari borbonici ===
[[File:Rancio dei prigionieri borbonici a Sant'Anna Isernia - IMI 01-12-1860.PNG|miniatura|upright=1.2|Prigionieri borbonici a Sant'Anna Isernia.|alt=|sinistra]]
In passato e in tempi recenti, secondo certe interpretazioni, alcune vittorie di Garibaldi nella Spedizione 1860-1861 sarebbero da attribuirsi non alle azioni garibaldine, bensì alla supposta corruzione di diversi alti ufficiali borbonici, che in cambio di corrispettivi economici avrebbero consentito la vittoria sul campo.
Tali ipotesi di corruzione non risultano peraltro provate e, da un punto di vista logico, non si comprende come generali inclini alla corruzione avrebbero potuto comunque combattere validamente per un re che erano disposti a tradire per denaro.
 
L'interrogativo senza risposta è come mai, pur essendo a conoscenza della spedizione garibaldina con destinazione Sicilia, il Governo e il comando borbonico non si fossero preoccupati di selezionare e inviare contro Garibaldi i migliori generali e perché questi non si fossero proposti spontaneamente a tale compito.
 
Il de Cesare spiega come in quella situazione storica i generali borbonici fossero divisi da rivalità e gelosie, con tendenza a schivare le responsabilità per superare, come meglio si poteva, quel difficile momento, non essendo convinti che valesse la pena di battersi a rischio della vita o della reputazione per un re che non era amato, né temuto<ref>(La fine di un Regno - vol. II, Raffaele De Cesare, pag. 211)</ref><ref>
{{citazione|Certo fu grave errore aver dato al Landi il comando di maggiore responsabilità, potendosi prevedere che la sua colonna avrebbe con maggiore probabilità affrontato il primo urto di Garibaldi; più grave errore d'averglielo dato nelle condizioni riferite; e massimo errore aver richiamato Letizia da Trapani, come fu colpa inescusabile e inesplicabile non aver fatto arrivare in tempo a Marsala i battaglioni chiesti dopo lo sbarco dei Mille.
Occorreva un solo governo, e ve n'erano due: a Napoli e a Palermo; occorreva un sol uomo a comandare, ed erano in tanti, sospettosi e gelosi l'uno dell'altro; occorrevano generali pieni di fede e desiderosi di battersi, e un Re amato e temuto, mentre Francesco II non era né quello, né questo; e dei generali, ciascuno cercava ripararsi dalla procella (procella = tempesta) come meglio poteva, schivando ogni responsabilità, perciò nessuno era veramente convinto che quello stato di cose valesse la pena di difenderlo, col sacrificio della propria vita, o della propria reputazione!|La fine di un Regno - vol. II, Raffaele De Cesare, pag. 211}}
</ref>.
 
Un esempio fu quello di affidare all'anziano [[Battaglia di Calatafimi#Osservazioni sul presunto tradimento del generale Landi|generale Landi]] il comando della colonna che, con maggiore probabilità, avrebbe incontrato la Spedizione garibaldina, nonostante egli non fosse in alcun modo all'altezza delle capacità militari di Garibaldi.
 
Discutibili erano anche l'assegnazione del comando delle truppe in Sicilia all'ultrasettantenne e in condizioni fisiche non idonee generale [[Ferdinando Lanza|Lanza]], oppure di affidare il comando delle truppe in Calabria al generale Vial, che non aveva alcuna esperienza militare.
 
Anche lo storico filo-borbonico [[Giacinto de' Sivo]], nella sua opera: Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, volume III - libro decimottavo<ref>[https://books.google.it/books?id=cwetPw-qg3UC&printsec=frontcover&dq=de+sivo&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwihyZrv5pjbAhWG7xQKHdEvDoUQ6AEIUDAH#v=onepage&q=122&f=false Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 di Giacinto De Sivo, volume III - libro decimottavo, pp. 117-123]</ref>, descriveva in termini negativi la situazione delle forze armate del regno all'epoca dei fatti.
<ref>{{Citazione|... Adunque se togli i gendarmi, gli invalidi, i collegiali, i mancanti e molti altri scritti sì né ruoli, ma inabili al servizio, consegue che l'esercito napolitano effettivo pronto a combattere non passava i sessantamila, su tutta la superficie del Regno.
 
... Gli uffiziali in gran parte né onesti, né sapienti, surti per favori, beneficiati oltre misura, avean grosse mercedi, croci cavalleresche, percettorie, collegi gratis a' figliuoli, e a' figliuoli e nepoti uffizii per grazia in magistratura, in amministrazioni, nelle finanze e nell'esercito. Fatto i Sardanapali all'ombra de' gigli, presero la croce sabauda piuttosto per iscansar fatiche, che per congiurazione. Non che congiuratori vi mancassero, ma i più subirono la congiurazione per codardia.
 
… Da più anni si sussurrava di furti grandi nella costruzione di legni, negli arsenali, sulle mercedi agli operai, sulle tinte de' bastimenti, e su vettovaglie, polvere e carbone.'' ...[ ]...''Ma il male interno era la mancanza di nesso tra gli uffiziali, i pensieri diversi, le avidità, le malizie, l'ignavia di ciascuno. Pochi eran buoni.|Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, [[Giacinto de' Sivo]], volume III - libro decimottavo, p. 122}}</ref>
Le tesi del [[Raffaele de Cesare|de Cesare]] tentano di spiegare l’abbandono del re, da parte della marina, adducendo vari motivi definiti: “'' … patriottismo estemporaneo o volgare egoismo …''”, “''febbre rivoluzionaria''”, “''o effetto delle tradizioni antidinastiche e dei ricordi di [[Francesco Caracciolo (ammiraglio)|Caracciolo]] e [[Gioacchino Murat|Murat]]''” … o tutti questi motivi riuniti insieme.<ref>La fine di un Regno&nbsp;– Parte seconda – [[Raffaele de Cesare]] – S. Lapi Editore&nbsp;– Città di Castello&nbsp;– 1900&nbsp;– pp. 310-312 [https://archive.org/stream/lafinediunregnon02deceiala#page/310/mode/2up/search/murat La fine di un regno (Napoli e Sicilia)]</ref>
 
Il de Cesare cita anche, confutandola, la tesi che gli ufficiali della marina borbonica fossero tutti iscritti alla massoneria, spiegando che solo pochi lo erano, né si trattava di mancanza di fedeltà al re per corruzione o di volontà di tradire, bensì dell’effetto di una “''generale frenesia''” che tutti pervadeva in quel periodo, con la convinzione di essere fedeli al giuramento al re, anche mutando di parte, oppure di “''leggerezza ed inquietudine''” … che contraddistingueva la marina, un po’ come era nella sua tradizione, come già [[Francesco Caracciolo (ammiraglio)|Caracciolo]] aveva fatto nel 1799.
 
Le parole del de Cesare indicano che la dinastia borbonica si trovava spesso in grave crisi di consenso nei livelli più alti delle classi dirigenti, nonostante gli alti ufficiali di marina fossero di diretta nomina reale come gli alti gradi dell’esercito, scelti tra i sudditi, spesso con titoli nobiliari, ritenuti più fedeli alla monarchia, se poi spesso i generali pur non essendo corrotti, si ritiravano evitando lo scontro, si può desumere che la dinastia borbonica non era considerata un valore per il quale impegnarsi e quindi che la dinastia stessa era al suo epilogo.
 
Una prova della scarsa popolarità della monarchia borbonica è rappresentata dal [[#L.27ingresso_a_Napoli|viaggio di Garibaldi da Salerno a Napoli]], effettuato con una scorta minima e la popolazione festante: i militari al suo passaggio non attentarono mai alla sua vita, anche se le condizioni di scarsa scorta lo avrebbero reso facile.
 
Ugualmente, a Napoli, durante la sfilata in [[#L.27ingresso_a_Napoli|carrozza scoperta]] Garibaldi avrebbe potuto essere colpito molte volte, particolarmente nel passaggio di fronte ai forti, [[Castello del Carmine|Forte Carmine]] e [[Maschio Angioino|Castel Nuovo]], con i cannoni carichi e puntati: nessuno lo tentò neppure, nonostante nella enorme confusione sarebbe stato agevole.
 
Alcuni critici basano le loro supposizioni sui numeri degli schieramenti, sulla carta notevolmente a vantaggio delle forze borboniche, dimenticando che i garibaldini erano animati da un ideale per il quale erano disposti a sacrificare la propria vita e in un’epoca in cui le armi erano ancora tecnologicamente poco evolute, il grande idealismo ispirato da un forte sentimento patriottico svolgeva un ruolo molto importante e spesso determinante ai fini della vittoria sul campo tra opposti schieramenti.
 
A tale ultimo riguardo si sottolinea che, a Roma, [[Porta Cavalleggeri]] nel 1849 Garibaldi con i suoi volontari era riuscito a sconfiggere e mettere in fuga i ben più numerosi e famosi soldati francesi del generale [[Nicolas Charles Victor Oudinot|Oudinot]] e le tante altre battaglie vinte da Garibaldi, anche in Sudamerica, molto spesso in notevole inferiorità numerica, in particolare, in occasione della [[Guerra franco-prussiana]], vincendo la [[Battaglia di Digione#Terza battaglia di Digione|Battaglia di Digione]] e impadronendosi della bandiera del 61º Reggimento prussiano conservata a Parigi, Garibaldi con i suoi volontari è stato l'unico a vincere una battaglia contro l'[[Esercito prussiano]] che aveva sconfitto l'Esercito francese, lo stesso generale prussiano Karl Von Kettler affermò che se le armate francesi fossero state comandate da Garibaldi i Prussiani avrebbero perduto più di una bandiera<ref>Una spada per un ideale, Pierercole Musini, pag. 198, Sovera Edizioni, 2011 https://books.google.it/books?id=6WM8lWGNpr4C&pg=PA198&lpg=PA198&dq=bandiera+del+61%C2%B0+reggimento+prussiano&source=bl&ots=CXoa5oebvl&sig=ACfU3U1PaeXrATY2tiP9ev4C68X_nYJkOQ&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwirnKTX_P7oAhVBDewKHalmBEEQ6AEwEHoECAYQAQ#v=onepage&q=bandiera%20del%2061%C2%B0%20reggimento%20prussiano&f=false</ref>. Per questo motivo a Parigi la Francia ha intitolato a Garibaldi l'importante Boulevard Garibaldi, oltre a una Piazza Garibaldi con la statua e una [[Garibaldi (metropolitana di Parigi)|stazione della metropolitana parigina]].
 
Per concludere si evidenzia anche che, con la nascita del [[Regno d'Italia (1861-1946)]], i generali e gli ufficiali, inquadrati nel Regio Esercito, in quanto provenienti dai territori dell’ex [[Regno delle Due Sicilie]] e quelli formatisi successivamente al 1861, hanno poi sempre mostrato fedeltà al [[Re d’Italia]] in tutte le guerre successive, già a partire dal 1866.
 
Lo storico [[Raffaele de Cesare|de Cesare]] rappresenta come segue la situazione presente nelle forze armate borboniche all'epoca dei fatti: {{Citazione|''L'esercito e la marina furono rovinati, è vero, dalla Costituzione, che scompigliò ogni vincolo di gerarchia, ma anche da quello spirito d'indifferentismo, di tolleranza e di falsa pietà, radicato, anzi connaturato all'indole meridionale.''
''Compatimento scambievole, per cui era attutito il senso del lecito e dell'illecito, potendo la pietà per le persone farne perdonare i vizii, e anche le colpe. Se poi queste persone erano in conto di fedeli, allora si chiudevano tutti e due gli occhi.''
''Indifferentismo giustificato anche da questo: dall'opinione divenuta generale che il Regno delle Due Sicilie dovesse scomparire dalla storia, e che perciò non valesse la pena di riscaldarsi per una dinastia, la quale non aveva più difensori, né amici in Europa.''|La fine di un regno – [[Raffaele de Cesare]] – vol. II – p. 326<ref>La fine di un regno – vol. II – [[Raffaele de Cesare]] – p. 326 [https://archive.org/stream/lafinediunregnon02deceiala#page/326/mode/2up/search/maniscalco La fine di un regno (Napoli e Sicilia)]</ref>
}}
 
== Spedizione dei Mille nella cultura di massa ==
=== Stampa dell'epoca ===
{{vedi anche|La partenza della spedizione dei Mille e la stampa internazionale|La stampa internazionale e la spedizione dei Mille in Sicilia}}
La partenza di Garibaldi per la Sicilia era stata commentata da molti giornali internazionali, che riportavano notizie a volte molto diverse da quelle poi accertate dagli storici, sia sul numero dei volontari, sia delle armi imbarcate, oltre che sul numero delle navi, che secondo la stampa di quei giorni, risulterebbero superiori alle due conosciute.
 
Le vicende militari della Spedizione in [[Sicilia]] venivano commentate dalla stampa internazionale in articoli con notizie riferite da fonti, che pur potendo commettere eventuali errori di valutazione, rappresentavano comunque la testimonianza diretta da parte di chi si trovava sui luoghi degli avvenimenti. Secondo tali fonti giornalistiche il numero dei siciliani insorti in tutta la Sicilia veniva stimato tra i 20.000 o 30.000.
 
=== Cinema e televisione ===
* ''[[1860 (film)|1860]]'', regia di [[Alessandro Blasetti]] (1934)
* ''[[Un garibaldino al convento]]'', regia di [[Vittorio De Sica]] (1942)
* ''[[All'ombra della gloria]]'', regia di [[Pino Mercanti]] (1945)
* ''[[Viva l'Italia (film 1961)|Viva l'Italia]]'', regia di [[Roberto Rossellini]] (1961)
* ''[[Il Gattopardo (film)|Il gattopardo]]'', regia di [[Luchino Visconti]] (1963)
* ''[[Napoli 1860 - La fine dei Borboni]]'', regia di [[Alessandro Blasetti]] (1970) - miniserie TV
* ''[[Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato]]'', regia di [[Florestano Vancini]] (1972)
* ''[[Il generale (miniserie televisiva)|Il generale]]'', regia di [[Luigi Magni]] (1987) - miniserie TV
* ''[[Li chiamarono... briganti!]]'', regia di [[Pasquale Squitieri]] (1999)
* ''[[Eravamo solo mille]]'', regia di [[Stefano Reali]] (2006) - film TV
* ''[[Noi credevamo]]'', regia di [[Mario Martone]] (2010)
 
=== Musica ===
* ''[https://www.youtube.com/watch?v=YoxC_6ed8xU Inno di Garibaldi]'', scritta da [[Luigi Mercantini]] musiche di [[Alessio Oliverio]] (1858)
* ''[https://www.youtube.com/watch?v=OSzw_O5v6Cc Camicia Rossa]'', scritta da [[Rocco Traversa]] musiche di [[Luigi Pantaleoni]] (1860)
* ''[https://www.youtube.com/watch?v=wzL7Zi04JSQ Garibaldi blues]'', scritta e cantata da [[Bruno Lauzi]] (1965)
* ''[https://www.youtube.com/watch?v=A1x3bBBh67M Camicie Rosse]'', scritta da [[Massimo Bubola]] e cantata da [[Fiorella Mannoia]] (1994)
* ''[https://www.youtube.com/watch?v=wbF_OKKnAfE Mille]'', scritta e cantata da [[Eugenio Bennato]] (2012)
 
=== Illustrazioni e immagini ===
La spedizione dei Mille è stata molto rappresentata per immagini, quasi sempre disegni, effettuati anche da corrispondenti dei giornali sui luoghi dove si svolgevano i fatti. Si tratta a volte di immagini forse un po’ retoriche o idealizzate, che comunque sono entrate nell’immaginario popolare, contribuendo a far conoscere la spedizione dei Mille e ad alimentarne il mito. Parecchie immagini della campagna del 1860 provengono da giornali dell'epoca come il britannico ''[[The Illustrated London News]]'' a mezzo del corrispondente e artista [[Henry Vizetelly]], il francese ''[[L'Illustration]]''<ref>Molti disegni del giornale ''L'Illustration'' sono presenti nel libro: La Spedizione Garibaldina di Mario Menghini</ref> e il torinese ''Il Mondo Illustrato''.
 
Alcune serie di immagini si distinguono invece per la loro importanza di documentazione storica:
 
* Gli acquerelli di [[Giuseppe Nodari]], giovane garibaldino dei Mille e valente artista non professionista (diventerà medico dopo la spedizione). I suoi taccuini con schizzi di personaggi, luoghi e avvenimenti, rappresentano una preziosissima testimonianza diretta. Non sono stati però pubblicati fino ad epoca recente.
* Le lastre di [[Eugène Sevaistre]], fotografo francese che si trovava a Palermo nel 1860. Le sue immagini documentano le barricate a Palermo e i danni dei combattimenti, con stampe stereoscopiche all'albumina.
* Le foto di [[Gustave Le Gray]], giunto a Palermo al seguito di [[Alexandre Dumas padre|Alexandre Dumas]].
 
== Note ==
=== Esplicative ===
<references group=N/>
 
=== Bibliografiche ===
{{Note strette}}
 
== Bibliografia ==
{{Colonne}}
* {{cita libro |cognome=Garibaldi |nome=Giuseppe|wkautore=Giuseppe Garibaldi |titolo=I Mille |anno=1874 |editore=Tip. e Lit. Camilla e Bertolero |città=Torino|url=https://archive.org/details/imille00gari}} {{NoISBN}}
* {{cita libro|autore=Giuseppe Garibaldi|titolo=Memorie autobiografiche|editore=G. Barbera Editore|città=Firenze|anno=1888|url=https://archive.org/stream/memorieautobiogr00gari#page/n9/mode/2up}}
* {{cita libro|autore =[[Giuseppe Cesare Abba]]|titolo=Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille |anno=1880 |editore=Nicola Zanichelli |città=Bologna|url=https://www.liberliber.it/mediateca/libri/a/abba/da_quarto_al_volturno/pdf/abba_da_quarto_al_volturno.pdf}} {{NoISBN}}
* {{cita libro|autore =Giuseppe Cesare Abba |titolo=Storia dei Mille|editore=R. Bemporad &Figlio Librai editori|città=Firenze|anno=1910}}
* {{cita libro|autore=Atti del convegno nazionale CISM-SISM su Il Risorgimento e l'Europa|titolo=L'anno di Teano|editore=[[Società Italiana di Storia Militare]]|città=Roma|anno=2010|url=https://www.societaitalianastoriamilitare.org/quaderni/QUADERNO%20SISM%202010%20L%20ANNO%20DI%20TEANO.pdf}}
* {{cita libro |cognome=Acton |nome=Harold |wkautore=Harold Acton |titolo=Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861) |anno=1997 |editore=Giunti Editore |città=Firenze |isbn=88-09-21256-8|url=https://books.google.it/books?id=WQH5N7lso90C&printsec=frontcover&dq=gli+ultimi+borboni+di+napoli&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjj2Z6B4OnaAhUDVRQKHWbqCD8Q6AEIJzAA#v=onepage&q=gli%20ultimi%20borboni%20di%20napoli&f=false }}
* {{cita libro |cognome=Agrati |nome=Carlo |titolo=I Mille nella storia e nella leggenda |anno=1933 |editore=Arnoldo Mondadori editore |città=Milano |cid=Agrati}}
* {{cita libro|autore=Anonimo ''(lettere di Eber al Times tradotte)''|titolo=La Rivoluzione siciliana raccontata da un testimone oculare|editore=Stabilimento tipografico delle belle arti|città=Napoli|anno=1860|url=https://books.google.it/books?id=kjudf82S8L8C&pg=PP7&dq=la+rivoluzione+siciliana+raccontata+da+un+testimone&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiJhpuskvTaAhXHxRQKHdaECicQ6AEIJzAA#v=onepage&q&f=false}}
* {{cita libro |autore=Giuseppe Ansiglioni|nome= |titolo=Memorie della battaglia del Volturno |anno=1861 |editore=Tipografia G. Favale e comp. |città=Torino |url=https://books.google.it/books?id=Yu4IK6oL4RAC&printsec=frontcover&dq=memorie+della+battaglia+del+volturno&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiu-qmX6bzaAhVBsBQKHSRwAJAQ6AEIJzAA#v=onepage&q=memorie%20della%20battaglia%20del%20volturno&f=false}}
* {{cita libro|autore=[[Giuseppe Bandi]]|titolo=I Mille. Da Genova a Capua|editore=Adriano Salani Editore|città=Firenze|anno=1903|url=https://books.google.it/books?id=0N-fAwAAQBAJ&printsec=frontcover&dq=i+mille+da+genova+a+capua&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjXyaHqpObaAhUHLcAKHY9zCpYQ6AEIJzAA#v=onepage&q=i%20mille%20da%20genova%20a%20capua&f=false|isbn=978-1-4710-9181-0}}
* {{cita libro|autore=[[Alberto Mario Banti]]|titolo=Il Risorgimento italiano|editore=Laterza|città=Roma-Bari|anno=2008|ISBN=9788842085744|cid=Banti}}
* {{cita libro|autore=[[Francesco Barbagallo]]|titolo=Mezzogiorno e questione meridionale (1860-1980)|editore=Guida Editori|città=Napoli|anno=1982|url=https://books.google.it/books?id=lEQEeuzttIMC&printsec=frontcover&dq=mezzogiorno+e+questione+meridionale+barbagallo&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj659Dtgf7aAhWFFBQKHaQEBdYQ6AEIJzAA#v=onepage&q=mezzogiorno%20e%20questione%20meridionale%20barbagallo&f=false}}
* {{cita libro|autore=Tito Battaglini|titolo=Crollo militare del Regno delle Due Sicilie|editore=Società tipografica modenese|città=Modena|anno=1938}}
* {{cita libro|autore=Tito Battaglini|titolo=Gli avvenimenti di Sicilia, secondo i diari dello Stato Maggiore borbonico|editore=Direzione della nuova Antologia|città=Modena|anno=1913}}
* {{cita libro|autore=[[Agostino Bertani]]|titolo=Cassa centrale soccorso a Garibaldi resoconto 1860 |editore=Tipografia di Lodovico Lavagnino|città=Genova|anno=1860|url=https://books.google.it/books?id=3CVHQrnfS6EC&printsec=frontcover&dq=Cassa+centrale+soccorso+a+Garibaldi+1860&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiv1eP8kOnaAhWIdd8KHSkaBgUQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Cassa%20centrale%20soccorso%20a%20Garibaldi%201860&f=false}}
* {{cita libro|autore=Agostino Bertani|titolo=Le spedizioni di volontari per Garibaldi cifre e documenti complementari al Resoconto Bertani|editore=Tipografia e litografia dei fratelli Pellas & C.|città=Genova|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=JGoOPUeuU1IC&pg=PP5&dq=Le+spedizioni+di+volontari+per+Garibaldi+cifre+e+documenti+complementari+al+Resoconto+Bertani&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiv09KckunaAhVSnRQKHX-_CMwQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Le%20spedizioni%20di%20volontari%20per%20Garibaldi%20cifre%20e%20documenti%20complementari%20al%20Resoconto%20Bertani&f=false}}
* {{cita libro |cognome=Bianciardi |nome=Luciano |wkautore=Luciano Bianciardi |titolo=Daghela avanti un passo : Breve storia del Risorgimento italiano |anno=1969 |editore=Bietti |città=Milano }} {{NoISBN}}
* {{cita libro|autore=Francesco Borghese|titolo=I sessantacinque giorni della rivoluzione di Palermo nell'anno 1860 memorie storiche|editore=---|città=Palermo|anno=1860|url=https://books.google.it/books?id=z9s-XQw-AlYC&pg=PA1&dq=borghese+i+65+giorni+della+rivoluzione+di+palermo&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwib4OPHjPTaAhUFPRQKHfhkAP4Q6AEIJzAA#v=onepage&q=borghese%20i%2065%20giorni%20della%20rivoluzione%20di%20palermo&f=false}}
* {{cita libro|autore=Giacinto Bruzzesi|titolo=Una Parola Sulle Molte Storie Garibaldine: Lettera di Giacinto Bruzzesi a Giuseppe Bandi (classic reprint)|editore=Fb&c Limited (ristampa)|città=Milano|anno=1882|isbn=978-0-483-27825-7}}
* {{cita libro |cognome= Butta |nome= Giuseppe |wkautore=Giuseppe Buttà |titolo=Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta: memorie della rivoluzione dal 1860 al 1861 |url= https://books.google.it/books?id=EHWRAwAAQBAJ&lpg=PA1 |accesso= 4 ottobre 2015 |anno= 2009 |editore=Edizioni Trabant |città=Brindisi |isbn=978-88-96576-09-0|cid= Butta}}
* {{cita libro|autore=Giuseppe Capuzzi|titolo=Garibaldi in Sicilia Memorie di un volontario|editore=Stabilimento tipografico di Francesco Lao|città=Palermo|anno=1860|url=https://books.google.it/books?id=SN9Z16KNbnoC&printsec=frontcover&dq=giuseppe+capuzzi&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjqkc7l-NrbAhWqBcAKHZ6yD9MQ6AEIKDAA#v=onepage&q=giuseppe%20capuzzi&f=false}}
* {{cita libro|autore=[[Salvatore Castiglia]]|titolo=Memorie relative al marino Salvatore Castiglia (prefazione di B. Lodi)|editore=Stamperia S. Meli|città=---|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=LYthAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=Memorie+relative+al+marino+Salvatore+Castiglia+stamperia+S.+Meli&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi9y9Ck8f3aAhXGPRQKHVIyCFIQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Memorie%20relative%20al%20marino%20Salvatore%20Castiglia%20stamperia%20S.%20Meli&f=false}}
* {{cita libro|autore=Nick Carter|titolo=Britain, Ireland and the Italian Risorgimento |editore=Palgrave Macmillan|città=Londra|anno=2015|isbn=978-1-137-29771-6}}
* {{cita libro|autore=Biagio Cognetti|titolo=Sui fatti politico militari della rivoluzione siculo-napoletana dal 1860|editore=Androsio|città=Napoli|anno=1869}}
* {{cita libro|autore=Adolfo Colombo|titolo=L'Inghilterra del Risorgimento italiano|editore=Casa Editrice Risorgimento|città=Milano|anno=1917|isbn=978-0-259-16182-0}}
* {{cita libro|autore=[[Francesco Crispi]]|titolo=Crispi per un antico parlamentare col suo diario della spedizione dei mille|editore=EDOARDO PERINO, Editore-Tipografo|città=Roma|anno=1890|url=https://archive.org/stream/crispiperunanti00crisgoog#page/n9/mode/2up|cid=Crispi}}
* {{cita libro|autore=Felice Cuniberti|titolo=La Spedizione dei Mille. Studio Militare.|editore=P, Montaina &c.|città=Palermo|anno=1880}}
* {{cita libro|autore=Giacomo Emilio Curatolo |titolo=Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della Patria – Documenti inediti|editore=Zanichelli|città=Bologna|anno=MCMXI|url=https://archive.org/details/garibaldivittori00cur}}
* {{cita libro|autore=[[Mariano D'Ayala]]|titolo=I nostri morti in Napoli e Sicilia|editore=Stabilimento Tipografico del cav. Gaetano Nobile|città=Napoli|anno=1860|url=https://books.google.it/books?id=GyxLepEiwRMC&printsec=frontcover&dq=mariano+d'ayala&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiY_OzZ7u3aAhUkJcAKHYJ8CN8Q6AEIRDAF#v=onepage&q=mariano%20d'ayala&f=false}}
* {{cita libro|autore=Mariano D'Ayala|titolo=Vite degli italiani benemeriti della libertà e della patria morti combattendo|editore=Coi tipi di M. Cellini & c.|città=Firenze|anno=1868|url=https://archive.org/stream/bub_gb_bcS46ifkbJYC#page/n7/mode/2up}}
* {{cita libro|autore=[[Alberto Dallolio]]|titolo=La Spedizione dei Mille nelle memorie bolognesi.|editore=Zanichelli|città=Bologna|anno=1910}}
* {{cita libro |cognome=de Cesare |nome=Raffaele|wkautore=Raffaele de Cesare |titolo=La Fine di un regno - vol.II |anno=1900 |editore=S. Lapi tipografo editore |città=Città di Castello|URL=https://archive.org/details/lafinediunregnon02deceiala |cid=de Cesare|isbn=88-17-33601-7}}
* {{cita libro |cognome=de Cesare |nome=Raffaele|wkautore=Raffaele de Cesare |titolo=Una famiglia di patrioti - Ricordi di due rivoluzioni in Calabria|anno=1900 |editore=Forzani &C. tipografi del Senato|città=Roma|URL=https://archive.org/stream/unafamigliadipa00moregoog#page/n7/mode/2up}}
* {{cita libro |cognome=De Gregorio |nome=Giuseppe |titolo=Sullo sbarco dei Mille a Marsala |anno=1907 |editore=Enrico Voghera |città=Roma |cid=De Gregorio}}
* {{cita libro|autore=[[Renata De Lorenzo]]| anno=2013 |titolo=Borbonia felix |editore=Salerno editrice |città=Roma| isbn= 978-88-8402-830-3|cid=DeLorenzo}}
* {{cita libro|autore=[[Giacinto de' Sivo]]|titolo=Storia delle Due Sicilie in 5 volumi|editore=Tipografia Salviucci vol.I|città=Roma-Verona-Viterbo|anno=1863-1867}}
* {{cita libro |cognome=Del Boca |nome=Lorenzo |wkautore=Lorenzo Del Boca |titolo=Maledetti Savoia |anno=1998 |editore=Piemme |città=Casale Monferrato |isbn=88-384-3142-6}}
* {{cita libro|autore=Giovanni delli Franci|titolo=Cronica della campagna d'autunno del 1860 fatta sulle rive del Volturno e del Garigliano dall'Esercito Napolitano - Parte prima|editore=Per tipi di Angelo Trani|città=Napoli|anno=1870|url=https://archive.org/stream/bub_gb_PZaSPpUDag8C#page/n0/mode/2up}}
* {{cita libro|autore=Giovanni delli Franci|titolo=Cronica della campagna d'autunno del 1860 fatta sulle rive del Volturno e del Garigliano dall'Esercito Napolitano - Parte seconda|editore=Per tipi di Angelo Trani|città=Napoli|anno=1870|url=https://archive.org/details/bub_gb_JeEtqnSmNDMC}}
* {{cita libro |cognome=Di Fiore |nome=Gigi |wkautore=Gigi Di Fiore |titolo=Controstoria dell'Unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento |url=https://archive.org/details/controstoriadell0000difi |anno=2007 |editore=Rizzoli |città=Milano |isbn=88-17-01846-5}}
* {{cita libro|autore=[[Federico Donaver]]|titolo=La spedizione dei mille|editore=Libreria Nuova di F. Chiesa|città=Genova|anno=1910|url=https://archive.org/details/laspedizionedeim00dona}}
* {{cita libro|autore=[[Alexandre Dumas (padre)]]|titolo=Les Garibaldiens - Rèvolution de Sicile et de Naple|editore=Michel Lévy Fréres Libraires Éditeurs|città=Parigi|anno=1868|url=https://books.google.it/books?id=EyoeM9EjdaEC&printsec=frontcover&dq=Les+Garibaldiens+-+R%C3%A8volution+de+Sicile+et+de+Naple&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjPvar3ruraAhW0hqYKHR0ZCwQQ6AEILjAB#v=onepage&q=Les%20Garibaldiens%20-%20R%C3%A8volution%20de%20Sicile%20et%20de%20Naple&f=false}}
* {{cita libro|autore=H. Durand-Brager|titolo=Quatres mois de l'Expédition de Garibaldi en Sicile et en Italie|editore=E. Denteur Éditeur|città=Parigi|anno=1861|url=https://archive.org/details/quatremoisdelexp00dura}}
* {{cita libro|autore=[[Augusto Elia]]|titolo=Un garibaldino – Note autobiografiche e storiche|editore=Zanichelli|città=Bologna|anno=1898|url=https://archive.org/stream/noteautobiograf01eliagoog#page/n5/mode/2up|cid=Elia}}
* {{cita libro|autore=[[Giovanni Battista Fauché]]|titolo=Giambattista Fauché e la Spedizione dei Mille|editore=Fb&c Limited (ristampa 2017) |città=|anno=1905|isbn=978-0-259-15937-7}}
{{Colonne spezza}}
* {{cita libro|autore=Giovanni Battista Fauché|titolo=Una pagina di storia sulla spedizione dei Mille|editore=Guerra e Mirri|città=Roma|anno=1882}}
* {{cita libro|autore=[[Gaetano Falzone]]|titolo=Sicilia 1860|editore=Flaccovio |città=Palermo|anno=1978}}
* {{cita libro|autore=Francesco Guardione|titolo=Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861. - Vol.II|editore=Società Tipografico-Editrice Nazionale|città=Torino|anno=1907|url=https://archive.org/stream/ildominiodeibor02guargoog#page/n9/mode/2up}}
* {{cita libro|autore= La Cecilia|titolo=Storia dell'insurrezione siciliana e dei successivi avvenimenti per l'indipendenza e l'unione d'Italia|editore=Libreria di Francesco Sanvito|città=Milano|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=g27tFoQwJ-QC&pg=PA1&dq=Storia+dell'insurrezione+siciliana+e+dei+successivi+avvenimenti+per+l'indipendenza+e+l'unione+d'Italia&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiH8JH02unaAhVN3qQKHR8eAUEQ6AEILDAB#v=onepage&q=Storia%20dell'insurrezione%20siciliana%20e%20dei%20successivi%20avvenimenti%20per%20l'indipendenza%20e%20l'unione%20d'Italia&f=false}}
* {{cita libro|autore=[[Isidoro La Lumia]]|titolo=La Restaurazione borbonica e la rivoluzione del 1860 in Sicilia dal 4 aprile al 18 giugno|editore=Tipografia Clamis e Roberti|città=Palermo|anno=1860|url=https://books.google.it/books?id=v_Ne7dX2AUwC&pg=PA7&dq=la+restaurazione+borbonica&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjwl4PIlfTaAhVEuhQKHRSaBnsQ6AEIJzAA#v=onepage&q=la%20restaurazione%20borbonica&f=false}}
* {{cita libro|autore=[[Giuseppe La Masa]]|titolo=Alcuni fatti e documenti della rivoluzione dell'Italia meridionale del 1860 riguardanti i siciliani e La Masa|editore=Tipografia Scolastica Sebastiano Franco e Figli|città=Torino|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=ClSlai_jmIAC&printsec=frontcover&dq=la+masa+alcuni+fatti+e+documenti&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiLxMOo5uzaAhXGzxQKHUnbCuEQ6AEIJzAA#v=onepage&q=la%20masa%20alcuni%20fatti%20e%20documenti&f=false}}
* {{cita libro|autore=L.E.T.|titolo=L’insurrezione siciliana (aprile 1860) e la spedizione di Garibaldi|editore=Tipografia Fratelli Borroni |città=Milano|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=1vssAAAAYAAJ&printsec=frontcover&dq=L%E2%80%99insurrezione+siciliana+(aprile+1860)+e+la+spedizione+di+Garibaldi&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwixnvbvmOfaAhUDiywKHUsVBl4Q6AEIKTAA#v=onepage&q=L%E2%80%99insurrezione%20siciliana%20(aprile%201860)%20e%20la%20spedizione%20di%20Garibaldi&f=false}}
* {{cita libro|autore=Albert Maag|titolo=Geschichte der Schweizertruppen in neopolitanischen Diensten, 1825-1861|editore=Kommissions-verlag von Schulthess|città=Zurigo|anno=1909}}
* {{cita libro|autore=Pasquale Materazzi|titolo=Avvenimenti politici militari dal settembre al novembre 1860|editore=Tipografia di G. Cardamone|città=Napoli|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=wEm-AYw2bPUC&pg=PA5&dq=Avvenimenti+politici+militari+dal+settembre+al+novembre+1860&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiQzrf84-naAhXIOxQKHRg8BD8Q6AEIJzAA#v=onepage&q=Avvenimenti%20politici%20militari%20dal%20settembre%20al%20novembre%201860&f=false}}
* {{cita libro |cognome=Mack Smith |nome=Denis |wkautore=Denis Mack Smith |titolo=Cavour |anno=1984 |editore=Bompiani |città=Milano}} {{NoISBN}}
* {{cita libro |cognome=Mack Smith |nome=Denis |titolo=I Savoia re d'Italia |anno=1990 |editore=Rizzoli |città=Milano |isbn=88-17-33601-7 }}
* {{cita libro |cognome=Mack Smith |nome=Denis |titolo=Il Risorgimento Italiano |anno=2010 |editore=Gius. Laterza &Figli |città=Bari |isbn=978-88-420-9412-8 }}
* {{cita libro|autore=[[George Macaulay Trevelyan]]|titolo=Garibaldi e i mille|editore=Zanichelli|città=Bologna|anno=1909|url=https://archive.org/stream/garibaldieimille00trev#page/n9/mode/2up|cid=Trevelyan 1909}}
* {{cita libro|autore=George Macaulay Trevelyan|titolo=Garibaldi e la formazione dell'Italia|editore=Zanichelli|città=Bologna|anno=1913|url=https://archive.org/stream/garibaldiandmak01trevgoog#page/n10/mode/2up|cid=Trevelyan 1913}}
* {{cita libro|autore=Romano Aurelio Manebrini|titolo=Documenti della rivoluzione di Napoli 1860-62|editore=Stabilimento Tipografico del cav. Gaetano Nobile|città=Napoli|anno=1864|url=https://archive.org/stream/documentisullar00mangoog#page/n5/mode/2up}}
* {{cita libro|autore=Temistocle Mariotti|titolo=L'epopea italiana del 1860-61 - commemorata nel 1° cinquantenario|editore=S. Lapi|città=Perugia|anno=1912}}
* {{cita libro|autore=Pierre Charles Mathon de La Varenne|titolo=La révolution sicilienne et l'expédition de Garibaldi|editore=E. Dentu Libraire Éditeur|città=Paris|anno=1860|url=https://archive.org/stream/bub_gb_6vssAAAAYAAJ#page/n3/mode/2up}}
* {{cita libro|autore=Piero Mattigana|titolo=Storia del Risorgimento d’italia dalla pace di Villafranca alla proclamazione del Regno d’Italia|editore=Legros e Marazzani Editori|città=Milano|anno=1865|url=https://books.google.it/books?id=wA4GrgWtowMC&printsec=frontcover&dq=Storia+del+Risorgimento+d%E2%80%99italia+dalla+pace+di+Villafranca+alla+proclamazione+del+Regno+d%E2%80%99Italia&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjm45LfkunaAhUKWBQKHc54ANAQ6AEILTAB#v=onepage&q=Storia%20del%20Risorgimento%20d%E2%80%99italia%20dalla%20pace%20di%20Villafranca%20alla%20proclamazione%20del%20Regno%20d%E2%80%99Italia&f=false}}
* {{cita libro|autore=Mario Menghini|titolo=La Spedizione Garibaldina di Sicilia e Napoli|editore=Società Tipografico Editrice Nazionale|città=Torino|anno=1907|url=https://archive.org/stream/laspedizionegari00menguoft#page/n11/mode/2up}}
* {{cita libro|autore=Filippo Mercuri|titolo=Storia di Sicilia e di Napoli dell’anno 1860 al 1861|editore=Luigi Chiurazzi Libraio Editore |città=Napoli|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=lWhVHoA4bXUC&pg=PA1&dq=Storia+di+Sicilia+e+Napoli+dell'anno+1860+al+1861&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwju35mGmOfaAhULlSwKHSKODJUQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Storia%20di%20Sicilia%20e%20Napoli%20dell'anno%201860%20al%201861&f=false}}
* {{cita libro|autore=Franco Mistrali|titolo= Storia popolare della Rivoluzione di Sicilia e della impresa di Giuseppe Garibaldi |editore= Francesco Pagnoni Editore |città=Milano|anno=1860|url=https://books.google.it/books?id=6sBTbk1pVTQC&pg=PA1&dq=Storia+popolare+della+Rivoluzione+di+Sicilia+e+della+impresa+di+Giuseppe+Garibaldi&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi5nsXUmefaAhVIBSwKHTpfC4EQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Storia%20popolare%20della%20Rivoluzione%20di%20Sicilia%20e%20della%20impresa%20di%20Giuseppe%20Garibaldi&f=false}}
* {{cita libro|autore=Franco Mistrali |titolo=Storia aneddotica politica militare della guerra d'Italia (1860) |editore=Editore Francesco Pagnoni|città=Milano|anno=1863|url=https://books.google.it/books?id=lIo3AAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=Storia+aneddotica+politica+militare+della+guerra+d'Italia+(1860),&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwie3oSfmefaAhWLEywKHdMbAPgQ6AEILTAB#v=onepage&q=Storia%20aneddotica%20politica%20militare%20della%20guerra%20d'Italia%20(1860)%2C&f=false}}
* {{cita libro|autore=[[Marc Monnier]]|titolo=Garibaldi e la rivoluzione delle Due Sicilie|editore=Alberto Dekten Editore|città=Napoli|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=1M3t_dtbPogC&printsec=frontcover&dq=Garibaldi+e+la+rivoluzione+delle+Due+Sicilie&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi2zp-62-naAhXOxqQKHXmuCCQQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Garibaldi%20e%20la%20rivoluzione%20delle%20Due%20Sicilie&f=false}}
* {{cita libro|autore=Cesare Morisani|titolo=Ricordi storici, i fatti delle Calabrie nel luglio ed agosto 1860|editore=Stamperia di Luigi Ceruso|città=Reggio Calabria|anno=1872|url=https://books.google.it/books?id=GTAOAAAAQAAJ&printsec=frontcover&dq=Ricordi+storici,+i+fatti+delle+Calabrie+nel+luglio+ed+agosto+1860&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiO29zi5enaAhUJchQKHdp9C2oQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Ricordi%20storici%2C%20i%20fatti%20delle%20Calabrie%20nel%20luglio%20ed%20agosto%201860&f=false}}
* {{cita libro|cognome=Mundy |nome=Rodney|titolo=H.M.S. Hannibal at Palermo and Naples during the Italian Revolution 1860-61|editore=John Murray Albemarle Street|città=London|anno=1868|url=https://archive.org/stream/hmshannibalatpa00mundgoog#page/n10/mode/2up }}
* {{cita libro |cognome=Nievo |nome=Ippolito|wkautore=Ippolito Nievo |titolo= Lettere garibaldine|anno=1961|editore=Sansoni |città=Firenze}} {{NoISBN}}
* {{cita libro |cognome=Nievo |nome=Ippolito |titolo= Diario della spedizione de Mille|anno=2010|editore=Mursia |città=Milano |isbn=88-425-4623-2}}
* {{cita libro|autore=[[Nicola Nisco (patriota)|Nicola Nisco]]|titolo=Storia del Reame di Napoli|editore=Alfredo Guida Editore|città=Napoli|anno=1894|url=https://archive.org/stream/storiadelreamed00niscgoog#page/n7/mode/2up}}
* {{cita libro|autore=Giacomo Oddo|titolo= I Mille di Marsala Scene Rivoluzionarie|editore= Giuseppe Scorza Di Nicola Editore |città=Milano|anno=1863|url=https://books.google.it/books?id=TaVBAQAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=giacomo+oddo+i+mille+di+marsala&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjHx5O7mOfaAhXGkywKHZH6BdgQ6AEIJzAA#v=onepage&q=giacomo%20oddo%20i%20mille%20di%20marsala&f=false}}
* {{cita libro |cognome= Oliva |nome=Gianni|wkautore=Gianni Oliva |titolo=Un regno che è stato grande |anno=2012 |editore=Arnoldo Mondadori |città=Milano | cid=Oliva}}
* {{cita libro|autore=Giuseppe Palmieri|titolo=Cenno storico militare dal 1859 al 1861|editore= ---|città=---|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=iHCWFqrhEXAC&pg=PA1&dq=Cenno+storico+militare+dal+1859+al+1861&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiT3Yu-4-naAhULchQKHZeYCHUQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Cenno%20storico%20militare%20dal%201859%20al%201861&f=false}}
* {{cita libro|autore=Osvaldo Perini|titolo=La Spedizione dei Mille – Storia documentata della liberazione della Bassa Italia|editore=edita per cura di F. Candiani |città=Milano|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=E6OTIfe4UjIC&printsec=frontcover&dq=La+Spedizione+dei+Mille+%E2%80%93+Storia+documentata+della+liberazione+della+Bassa+Italia&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjq0vu0lufaAhUC3iwKHWC7AmQQ6AEIJzAA#v=onepage&q=La%20Spedizione%20dei%20Mille%20%E2%80%93%20Storia%20documentata%20della%20liberazione%20della%20Bassa%20Italia&f=false}}
* {{cita libro |cognome=Petacco |nome=Arrigo |titolo=O Roma o Morte. 1861-1870 : la tormentata conquista dell'unità d'Italia |anno=2010 |editore=Arnoldo Mondadori Editore |città=Milano |isbn=978-88-04-60457-0 }}
* {{cita libro |cognome=Piccione |nome=Paolo |titolo=Le navi di Garibaldi. I piroscafi ''Piemonte'' e ''Lombardo'' e la spedizione dei Mille |anno=2011 |editore=Sagep Editori |città=Genova |isbn=978-88-6373-155-2 |cid=Piccione }}
* {{cita libro|cognome=Piccione |nome=Paolo|titolo=Le navi di Garibaldi. La storia dei piroscafi Piemonte e Lombardo e la spedizione dei Mille attraverso documenti inediti|editore=SAGEP|città=Genova|anno=2011}}
* {{cita libro|cognome=Remsen Whitehouse |nome=Henry |titolo=Collapse of the Kingdom of Naples|editore=Bonnel, Silver & Co., |città=New York|anno=1899|url=https://archive.org/stream/collapseofkingdo00whitiala#page/n9/mode/2up}}
* {{cita libro |cognome=Ricci |nome=Raffaello |titolo=Memorie della Baronessa Olimpia Savio |anno=1911 |editore=Fratelli Treves Editori |città=Milano}}
* {{cita libro|autore=[[Giuseppe Ricciardi (1808)|Giuseppe Ricciardi]]|titolo=Da Quarto a Caprera - Storia dei Mille narrata al popolo|editore=Stamperia del Vaglio|anno=1875|url=https://books.google.it/books?id=FnYpAAAAYAAJ&printsec=frontcover&dq=Storia+dei+Mille&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjTn6Ktk-naAhXuzVkKHemrAgQQ6AEIVzAJ#v=onepage&q=Storia%20dei%20Mille&f=false}}
* {{cita libro|autore=[[Giosuè Ritucci]]|titolo=Comenti confutatorii del Ten. Gen Giosuè Ritucci sulla campagna dell'Esercito Napolitano in settembre e ottobre 1860 trattata nella Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 di Giacinto De Sivo|editore=Stabilimento tipografico dell'Italia|città=Napoli|anno=1870|url=https://books.google.it/books?id=cFUvAAAAYAAJ&pg=PR3&dq=Commenti+confutatori+del+Ten.+Gen+Giosu%C3%A8+Ritucci+sulla+campagna+dell'Esercito+Napolitano+in+settembre+e+ottobre+1860+trattata+nella+Storia+delle+Due+Sicilie+dal+1847+al+1861+di+Giacinto+De+Sivo,&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwidjOyb3enaAhUJDuwKHRO4BNIQ6AEIMDAB#v=onepage&q=Commenti%20confutatori%20del%20Ten.%20Gen%20Giosu%C3%A8%20Ritucci%20sulla%20campagna%20dell'Esercito%20Napolitano%20in%20settembre%20e%20ottobre%201860%20trattata%20nella%20Storia%20delle%20Due%20Sicilie%20dal%201847%20al%201861%20di%20Giacinto%20De%20Sivo%2C&f=false}}
* {{cita libro|autore=[[Wilhelm Rüstow]]|titolo=La guerra italiana del 1860 descritta politicamente e militarmente - prima traduzione italiana|editore=Tipografia di Gio Cecchini editore|città=Venezia|anno=1861|url=https://books.google.it/books?id=MUNSP9xSqlUC&pg=PA1&dq=La+guerra+italiana+del+1860+descritta+politicamente+e+militarmente&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi8-7njj-naAhVFPxQKHS1lBwkQ6AEILTAB#v=onepage&q=La%20guerra%20italiana%20del%201860%20descritta%20politicamente%20e%20militarmente&f=false}}
* {{cita libro|autore=[[Alfonso Scirocco]]|titolo=Giuseppe Garibaldi|anno=2005|edizione=Ed. speciale per il Corriere della Sera|ISBN=no|cid=Scirocco}}
* {{cita libro|autore=Alfonso Scirocco|titolo=In difesa del Risorgimento|editore=Il Mulino|città=Bologna|anno=1998|cid=Scirocco 1998}}
* {{cita libro|autore=Domenico Sampieri|titolo=Storia e storie della prima spedizione in Sicilia|editore=Tip. del Tempo|città=Venezia|anno=1887}}
* {{cita libro|cognome=Servidio |nome=Aldo |titolo=L'imbroglio nazionale: unità e unificazione dell'Italia (1860-2000) |anno=2000 |editore=Guida |città=Napoli |isbn=88-7188-489-2 }}
* {{cita libro|autore=Guido Sylva|titolo=Cinquant'anni dopo la prima spedizione in Sicilia: Impressioni e ricordi di un bergamasco dei mille|editore=Isnenghi|città=|anno=1910}}
* {{cita libro|autore=Charles Stuart Forbes|titolo=The campaign of Garibaldi in The Two Sicilies|editore=William Blackwood and Sons|città=Edimburgo-Londra|anno=1861|url=https://archive.org/stream/campaigngaribal00forbgoog#page/n6/mode/2up}}
* {{cita libro |curatore=Lucio Villari |titolo=Il Risorgimento, Storia, documenti, testimonianze |anno=2007 |editore=La Biblioteca di Repubblica-L'Espresso |volume=8 volumi }}
* {{cita libro|autore=[[Emilio Zasio]]|titolo=Da Marsala al Volturno. Ricordi di E. Z.|editore=Tipografia editrice Sacchetto|città=Padova|anno=1868|url=https://books.google.it/books?id=jHwGURGUSf0C&printsec=frontcover&dq=Da+Marsala+al+Volturno&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjBq9He4unaAhXKvRQKHXeKBC4Q6AEIJzAA#v=onepage&q=Da%20Marsala%20al%20Volturno&f=false}}
* {{Cita libro|titolo = Due di Mille |autore = |curatore =Associazione storica medolese |editore =GAM |città =Rudiano |anno =2011 |cid=|ISBN =9-788889-044766}}
{{Colonne fine}}
 
== Voci correlate ==
* [[Partenza della spedizione dei Mille da Quarto]]
* [[Sosta dei Mille a Talamone]]
* [[Diversione Zambianchi]]
* [[Sbarco a Marsala]]
* [[Incontro di Teano]]
* [[Fatti di Bronte]]
* [[Fondo per il milione di fucili]]
* [[Radioso maggio]]
* [[I Mille]]
* [[Monumento ai Mille (Genova)]]
* [[Monumento ai Mille (Marsala)]]
* [[Cronologia del Risorgimento]]
* [[Risorgimento]]
* [[Revisionismo del Risorgimento]]
* [[Questione meridionale]]
 
== Altri progetti ==
*Sugli argomenti economici che spingevano alla conquista del Regno delle due sicilie da parte del Regno di Sardegna: [[Nicola Zitara]], ''L’unità d’Italia. Nascita di una colonia'', [[1971]], Jaka book
{{Interprogetto}}
*[[Giuseppe Tomasi di Lampedusa]], ''Il gattopardo'', [[1958]], Feltrinelli
*[[Denis Mack Smith]], ''I re d’Italia'', [[1990]], Rizzoli
*Denis Mack Smith, ''Cavour'', [[1984]], Bompiani
*[[Luciano Bianciardi]], ''Daghela avanti un passo'', [[1969]], Bietti
*[[Rosario Villari]], ''Corso di Storia'', Laterza
*[[Giuseppe Cesare Abba]], ''Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille'', [[1880]]
 
== CinemaCollegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{cita web |url=http://www.ariannascuola.eu/joomla/dal-1848-al-1870/96-italia/233-la-spedizione-dei-mille-schema.html |titolo=Schema riassuntivo della spedizione |accesso=10 ottobre 2009 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20100206151025/http://www.ariannascuola.eu/joomla/dal-1848-al-1870/96-italia/233-la-spedizione-dei-mille-schema.html# |urlmorto=sì }}
* {{cita web|http://www.miol.it/stagniweb/mappe/val19-20.jpg|Mappa con l'itinerario dei Mille}}
* {{cita web|http://www.sapere.it/sapere/pillole-di-sapere/italia-150/unita-d-italia-la-spedizione-dei-mille-garibaldi.html|Unità d'Italia: Giuseppe Garibaldi e la spedizione dei Mille}}
 
{{Spedizione dei Mille}}
* ''[[Il gattopardo (film)|Il gattopardo]]'', [[1963]], regia di [[Luchino Visconti]]
{{Controllo di autorità}}
* ''[[Bronte - cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato]]'', [[1972]], regia di [[Florestano Vancini]]
{{Portale|Due Sicilie|guerra|Risorgimento|storia d'Italia}}
* ''[[Briganti (film)|Briganti]]'', [[1999]], regia di [[Pasquale Squitieri]]
 
[[Categoria:Spedizione dei Mille| ]]
[[categoria:Storia d'Italia]]
[[Categoria:Storia contemporanea europea|Mille, spedizione dei]]
[[Categoria:Giuseppe Garibaldi]]