Dispositivi Elettronici (Beta Version)
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Versione beta
Ing. Pazzo
3 gennaio 2010
2
Si consiglia di affiancare il materiale presente in questo riassunto agli appunti presi a lezione. Que-
sto perché (ovviamente!) non si vuole avere alcuna presunzione di esaustività, né di assoluta corret-
tezza: nonostante le revisioni fin’ora effettuate, potrebbero infatti essere ancora presenti molti errori e
imprecisioni.
2
Indice
2 Giunzione PN 31
2.1 Pseudo-livelli di Fermi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.1.1 Andamento degli pseudo-potenziali di Fermi attraverso una giunzione . . . . . . . . 37
2.2 Applicazione di un potenziale su una giunzione: piegamento delle bande . . . . . . . . . . . 38
2.3 Calcolo di potenziali e correnti in una giunzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
2.3.1 Equazioni della corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
2.4 Portatori minoritari all’interno della regione quasi neutra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
2.4.1 Giunzione brusca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
2.4.2 Diodi a base corta e a base lunga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
2.5 Ragionevolezza delle condizioni di Shockley . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
2.6 Capacità della giunzione PN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
2.7 Schema riassuntivo delle relazioni notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
2.8 Giunzione Schottky . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
3
4 INDICE
4
Capitolo 1
Consideriamo la figura 1.1: per semplicità abbiamo considerato un parallelepipedo di materiale omo-
geneo avente dimensioni L (lunghezza) ed A (superficie laterale). Se, fatta l’ipotesi di mantenere costante
la temperatura, colleghiamo agli estremi di questo solido un generatore in grado di erogare tensione V, la
prima legge di Ohm afferma che il rapporto fra tale tensione e la corrente che scorre è costante (resistenza) e
pari a:
V
R= [Ohm] (1.1)
I
La seconda legge di Ohm mette invece in relazione la resistenza R con le proprietà geometriche del nostro
solido:
L
R=ρ (1.2)
A
Il parametro ρ è chiamato resistività e si misura in [Ohm·cm]. Tutti i materiali omogenei sono caratterizzati
da una particolare ρ; in natura troviamo materiali con resistività molto diversa:
• conduttori: hanno resistività molto piccole (alluminio: ρ ≈ 10−6 ; rame: ρ ≈ 10−7 ) e sono ideali,
appunto, per condurre corrente;
• isolanti: hanno resistività molto grandi (quarzo: ρ ≈ 1017 ; ossido di silicio: ρ ≈ 1013 );
• semi-conduttori: si pongono a metà strada tra i conduttori e gli isolanti (silicio: ρ ≈ 6 · 102 ) e hanno
il vantaggio di rendere possibile la modulazione artificiale di ρ. Possiamo dunque avvicinarci al
comportamento del conduttore o dell’isolante, senza però eccellere come potrebbe fare un elemento
’puramente’ conduttivo o isolante.
5
6 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
• una particella viene descritta da un’onda (funzione d’onda ψ(r, t)) la cui frequenza e lunghezza d’onda
sono rispettivamente associate ad energia e quantità di moto del relativo oggetto corpuscolare. Tali
funzioni d’onda ψ(r, t) sono soluzione delle equazioni di Schrödinger, le quali si caratterizzano come
equazioni fondamentali in grado di farci ricavare lo stato di qualunque sistema quantistico; inoltre,
|ψ(r, t)|2 è proporzionale alla probabilità di un certo stato (posizione, tempo, velocità, energia) per la
particella; possiamo infatti scrivere che la probabilità di trovare una particella nel piccolo volumetto
quadridimensionale (cioè spazio-temporale) drdt è pari a:
• energia, quantità di moto, posizione nello spazio-tempo di una particella sono note solo a meno di
una incertezza ineliminabile. Si parla allora di principio di indeterminazione di Heisenberg: esso può
essere ricavato dalla equazione di Schrödinger e pone un limite inferiore alla incertezza con la quale
lo stato di una particella (posizione, quantità di moto, energia e tempo) si può ritenere noto1 . In
particolare, si ha che:
h̄
∆p x ∆x >
2
h̄
∆E∆t >
2
h
dove h̄ è la costante di Planck normalizzata (pari a 2π ). Ciò significa che la precisione nella misura-
zione dell’impulso (∆p x ) va a discapito della precisione sulla conoscenza della coordinata x e che,
analogamente, non possiamo conoscere l’energia di un sistema con una precisione temporale infinita;
• il dualismo onda particella: in alcune occasioni una particella può comportarsi come un’onda e vice-
versa. In particolare, è possibile attribuire comportamento corpuscolare alle onde elettromagnetiche
(associandovi dei corpuscoli chiamati fotoni, aventi energia E = hν). In particolare, una particella di
energia E e quantità di moto p è descritta da un’onda con frequenza f e costante di propagazione k
che obbediscono alle relazioni di Einstein:
E = h f = h̄ω (1.4)
p = h̄k (1.5)
• il concetto di pacchetto d’onda: un’onda piana descrive un’entità ad energia definita ma completa-
mente delocalizzata spazialmente e temporalmente. Tramite sovrapposizione di funzioni d’onda a
energia e quantità di moto definite, e fra loro distinte, possiamo descrivere un pacchetto d’onde che
risulta soluzione dell’equazione di Schrödinger (lineare) in quanto ottenuto come sovrapposizione
lineare di soluzioni. Il suddetto pacchetto risulta solo parzialmente localizzato in posizione e quan-
tità di moto, per il principio di indeterminazione: se tuttavia tali indeterminazioni sono contenute,
il pacchetto si comporta approssimativamente come una particella classica;
• il concetto di quantizzazione dell’energia: non tutti i possibili valori energetici sono permessi. Lo
scambio di energia avviene solo a multipli di hν e, in un determinato sistema quantistico (come può
essere ad esempio un atomo), non tutti i valori di energia sono ammissibili (vedi paragrafo 1.3).
1 Più cerchiamo di essere precisi nella misurazione di una certa grandezza e meno possiamo esserlo in un’altra. Svanisce così il
determinismo che prima del Novecento è sempre stato associato al concetto di misura.
6
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 7
n2 h̄2 π 2
E=
2md2
Lo stato corrispondente ad n = 1, cioè quello a energia minore, è detto stato fondamentale. Notiamo inoltre
che l’energia risulta discretizzata tanto più è minore d (cioè il ’confinamento’, dato che tale parametro
rappresenta l’estensione della buca di potenziale che andiamo a considerare): per d → ∞ recuperiamo un
continuum di livelli energetici (elettrone libero). In figura 1.2 vediamo uno schema molto semplificato del
concetto di ’livelli energetici permessi’: come facevamo notare poco fa, all’aumentare della distanza dallo
stato fondamentale E0 , le possibili energie (cioè i possibili luoghi in cui può risiedere un elettrone) sono
sempre più spazialmente ravvicinate, fino a formare una banda di energia con livelli permessi praticamente
continui. A temperatura di 0 Kelvin il singolo elettrone dell’idrogeno può risiedere solo in E0 : all’au-
mentare di T, invece, aumenta la probabilità di trovarlo in un livello superiore. Il modello dell’atomo
di idrogeno è generalizzabile ad atomi di numero atomico maggiore di uno per i quali il riempimento
degli stati disponibili avviene per energie crescenti (dunque i livelli energetici si riempiranno a partire
dallo stato fondamentale): il principio di esclusione di Pauli impone tuttavia che, ad ogni livello energetico
permesso, possano risiedere solo due elettroni. La struttura di riempimento degli stati disponibili è ri-
specchiata dall’organizzazione della tabella periodica degli elementi.
Un semiconduttore come il silicio è in ultima analisi un cristallo; i nuclei degli atomi che costituisco-
no un reticolo cristallino sono disposti a costituire una struttura ordinata e periodica e, se ipotizziamo
di trovarci alla temperatura di zero assoluto nonché in assenza di potenziali impressi, otteniamo per il
nostro silicio una distribuzione rigorosamente periodica di potenziale (vedi figura 1.3). Come si nota, il
7
8 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
potenziale associato al campo di forze di attrazione coulombiana elettrone-reticolo presenta dei minimi in
corrispondenza di ogni nucleo (da qui il concetto di buca di potenziale).
Gli elettroni nelle bande di valenza e di conduzione possono muoversi lungo il reticolo2 ; tuttavia una
banda di valenza completamente occupata non contribuisce alla conducibilità elettrica perché, in virtù
della simmetria della banda, ad ogni stato con vettore d’onda k j ne corrisponde uno con vettore d’onda
−k j e quindi con quantità di moto uguale ed opposta; essendo entrambi gli stati occupati, il loro contributo
complessivo alla corrente è nullo. La banda di conduzione, qualora parzialmente occupata, contribuisce
alla conducibilità elettrica in misura proporzionale agli elettroni che la occupano in quanto ogni elettrone
è in grado di muoversi acquisendo energia cinetica senza che ne esista necessariamente uno con quantità
di moto uguale ed opposta.
2 Si individuano tre tipi di particelle:
• particelle libere (energie superiori al massimo del potenziale U0 ) le cui energie sono distribuite a formare quasi un continuo
di stati permessi;
• particelle legate (energie molto inferiori a U0 ) confinate all’interno delle varie buche con bassissima probabilità di passaggio
da una buca all’altra. Si tratta degli elettroni ad energie più basse che sono fortemente legati ai rispettivi nuclei;
• particelle quasi-libere (energie poco inferiori a U0 ).
8
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 9
Nel caso dei conduttori banda di valenza e di conduzione sono parzialmente sovrapposte a costituire
una unica successione di stati energetici solo parzialmente occupati (tutti gli elettroni presenti in tale
banda contribuiscono alla conduzione nel cristallo); nel caso di isolanti e semiconduttori le due bande
sono separate da un gap di ampiezza rilevante (l’entità di tale parametro fa la differenza fra isolante e
semiconduttore) rispetto alla energia fornita dalla agitazione termica 32 KT ≈ 38meV (per T = 300K).
Le cose non sono però praticamente mai così semplici e lineari: vuoi perché l’atomo ha una struttura
complessa, vuoi perché è intervenuto il drogaggio (oppure, semplicemente, andando a vedere le cose in
tre dimensioni), si ha che la struttura a bande è spesso molto ardua da studiare (vedi figura 1.7).
In ogni caso, l’aumento di temperatura si ripercuote su una maggiore probabilità di salto degli elettroni
in banda di conduzione. Per semiconduttori intrinseci (quelli in cui il numero n di portatori di carica
negativa è uguale al numero p di portatori di carica positiva), non può esservi elettrone in banda di
conduzione senza la corrispondente lacuna in banda di valenza:
Una lacuna è una pseudo-particella alla quale possiamo attribuire massa e carica in modulo pari a quella
dell’elettrone (la carica della lacuna ha però segno opposto a quella dell’elettrone), nonché altri parametri,
come velocità e quantità di moto, tipici di oggetti corpuscolari quali particelle; come particella, tuttavia, la
lacuna non esiste: è semplicemente un’astrazione indicante la mancanza di elettroni a formare un legame
covalente3 .
Un generico cristallo come quello in figura 1.8, avendo struttura periodica, può possedere bande aventi
anch’esse struttura periodica: quello in figura, in particolare, è un materiale a ben-gap diretto in quanto il
massimo della banda di valenza coincide con il minimo della banda di conduzione. Il silicio, invece, è un
3 Un legame covalente polare o apolare si viene a instaurare quando avviene una sovrapposizione degli orbitali atomici di due
atomi con una differenza di elettronegatività inferiore a 1,67. Ciò avviene per una ragione ben precisa: gli atomi tendono al minor
dispendio energetico possibile ottenibile con la stabilità della loro configurazione elettronica (ad esempio l’ottetto).
9
10 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
materiale a ben-gap indiretto in quanto tali minimi e massimi non sussistono negli stessi punti (l’andamento
delle bande è complicato, vedi figura 1.7): per questo, tale materiale non è idoneo per applicazioni op-
toelettroniche (e tuttavia viene utilizzato lo stesso perché è economico). Tale schematizzazione andrebbe
ahinoi fatta in più dimensioni, quindi si individuano - per semplicità - alcune direzioni preferenziali che
vengono tenute in conto nel parametro chiamato massa efficace (paragrafo 1.3.1).
Figura 1.8: Andamento periodico delle bande in un reticolo cristallino (non silicio)
Il campo elettrico che agisce sui portatori di carica dipende dal profilo di potenziale all’interno del
cristallo, il quale può essere schematizzato - a temperature vicine allo zero assoluto - come nella già
esaminata figura 1.3. La forza che agirà sull’elettrone (o sulla lacuna) sarà pari a:
dv
F = −qE = m0 (1.6)
dt
Sospinti da questa forza, gli elettroni all’interno del cristallo effettueranno tratti di volo libero, descrivibili
medianti le leggi della meccanica classica (si prenda l’equazione 1.6, alla massa a riposo m0 si sostituisca
la massa efficace m∗ e si considerino, al fine del calcolo del campo, le sole forze impresse alle particelle),
inframezzati da urti (schematizzati come istantanei e locali) con il reticolo cristallino.
Possiamo inoltre esprimere la quantità di moto nel seguente modo (sia v la velocità di gruppo degli
elettroni):
p = m∗ v = h̄k (1.7)
Derivando rispetto al tempo:
dp dv dk
= m∗ = h̄
dt dt dt
Risulta chiaro che, con una piccola massa efficace la particella riceve una grande accelerazione.
1 2
Ekin = mv
2
Dunque, sfruttando nuovamente la 1.7, si ha:
1 | p |2 h̄2 |k|2
Ekin = =
2 m 2m
10
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 11
Aggiungiamo ora un termine alla formula chiamando, come mostrato in figura 1.9, k0 il valore del
vettore d’onda nel fondo della banda di conduzione e k il generico valore in un qualsiasi altro punto.
L’espressione dell’energia diventa quindi la seguente
h̄2 |k − k0 |2
E ( k ) = E ( k0 ) +
2m∗
∗
dove m è una opportuna media delle masse efficaci nelle tre direzioni (ipotesi di banda sferica e parabo-
lica).
silicio la relazione E( p) è molto più complessa di quella in figura in quanto consiste in una relazione
vettoriale (cioè dipendente dalla direzione assunta dal momento: nel cristallo, infatti, abbiamo direzioni
privilegiate di conduzione). Inoltre si ha che:
1 p2 ∂p p ∂p 1
∂ ∂
E= −→ −→
2m m m
Al calare di m si accentua la curvatura in figura 1.10, dunque abbiamo conduzione facilitata (con un
piccolo aumento di p si ha un grande aumento di E).
11
12 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
Nel silicio questo parametro è pari, a temperatura ambiente, a 10 · 1010 cm−3 : sembra una quantità consi-
derevole, ma in realtà non lo è se consideriamo che il numero di atomi di silicio che possono stare in un
centimetro cubo è dell’ordine di 1023 e, quindi, che le cariche libere in grado di condurre sono veramente
pochissime rispetto alla totalità delle particelle.
Come possiamo quindi fare per condurre maggiormente? Il procedimento atto a risolvere tale questio-
ne prende il nome di drogaggio e consiste nell’aggiunta di:
• atomi del V gruppo (’donatori’, tipo n): portano con sé un elettrone di conduzione in più;
• atomi del III gruppo (’accettori’, tipo p): si predispongono a legare a sé degli elettroni.
La presenza di drogante genera una perturbazione della struttura a bande del reticolo cristallino; in
particolare, il drogaggio provoca la presenza di stadi elettronici (propri degli atomi droganti) con energie
che vanno a porsi in quello che era il gap fra la banda di valenza e la banda di conduzione (vedi figura
1.11). In particolare:
• se il drogaggio è stato effettuato con atomi accettori, il livello energetico introdotto compare imme-
diatamente sopra la banda di valenza;
• se il drogaggio è stato effettuato con atomi donatori, il livello energetico introdotto compare imme-
diatamente sotto la banda di conduzione.
Questo altera la configurazione elettronica del nostro semiconduttore permettendo di variarne il compor-
tamento in presenza di campi impressi; in particolare, man mano che la temperatura cresce, gli atomi
acquisiscono agitazione termica che permette agli elettroni dello stato introdotto di saltare facilmente4 in
banda di conduzione, dove è presente un gran numero di stati liberi molto vicini fra loro. Gli atomi accet-
tori, invece, introducono stati intermedi tutti occupati da lacune le quali, all’aumentare della temperatura,
decadono in banda di valenza5 . Se il gap è piccolo abbiamo un parametro ni grande in quanto la banda
di conduzione ’comincia presto’; questo implica, ad esempio, una forte corrente inversa nella giunzione
PN e una maggiore dipendenza di tutti i parametri dalla temperatura. Un grande gap rende invece il
nostro semiconduttore utile per applicazioni ad alta temperatura: in tal caso, infatti, ni rimane basso con
la temperatura, quindi gli elettroni e le lacune che effettivamente conducono sono solo quelli provenienti
dal drogaggio.
La densità degli stati elettronici in funzione dell’energia è riportata in figura 1.12: si nota che, ove vi è
il gap, la densità di stati è nulla (non vi sono cioè livelli possibili, a meno che non introduciamo drogante).
Purtroppo l’andamento in figura 1.12 è vero solo in un intorno di valori a bassa energia: in figura 1.13
vediamo invece che la funzione, nel silicio, è complicata e differente per elettroni e lacune.
4 Prendiamo ad esempio il drogaggio effettuato con atomi di fosforo (donatori): il nuovo livello introdotto dista 45 meV dalla
banda di conduzione, quindi gli elettroni sono molto più vicini ad essa rispetto al caso di conduttore intrinseco nonché enormemente
avvantaggiati nel loro salto verso gli stati liberi.
5 Non bisogna intendere che al posto della lacuna va a finire un elettrone: non si formano in nessun modo coppie elettrone-lacuna.
Semplicemente, il materiale drogato porta delle cariche in più (positive, essendo lacune).
12
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 13
Graficando questa funzione per diverse temperature assolute T otteniamo la figura 1.14; il parametro EF
è detto energia di Fermi e assume il significato di energia alla quale la probabilità di occupazione passa da
valori pressoché unitari a valori prossimi allo 0. Di seguito faremo l’ipotesi che la banda di conduzione
inizi lontano da EF . Nel caso dei semiconduttori il livello di Fermi è posizionato all’interno del gap
energetico (ricordiamo ancora che per T = 0 K la banda di valenza è completamente occupata e la banda
di conduzione vuota).
Purtroppo la statistica di Fermi è difficile da maneggiare: per semplificare si utilizza quindi la distri-
buzione di Boltzmann.
P ( E) ∼
(
= 1 per EF − E > 3TK
f ( E) =
∼
P ( E) = 0 per E − EF > 3TK
Questa semplificazione ha senso in quanto, in condizioni non degenerative6 , andiamo a sondare energie
molto lontane da quelle di Fermi e quindi siamo praticamente sicuri della presenza o dell’assenza di un
6E siamo sicuri del non verificarsi di tale eventualità in quanto la condizione necessaria per la validità della statistica di Boltzmann
13
14 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
elettrone. Volendo confrontare l’andamento delle curve di Boltzmann e Fermi-Dirac otteniamo la figura
1.15.
EF − EV
(1.8)
p = NV e− KT
(EV + 3KT ≤ EF ≤ EC − 3KT, dove EV è il livello energetico maggiore della banda di valenza e EC il bottom della banda di
conduzione) individua esattamente il caso di semiconduttore non degenere.
14
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 15
Sia NC che NV dipendono dalla struttura del cristallo, dalla temperatura e dalla massa efficace. Si noti
che se EC = EF (le bande si toccano) risulterebbe n = NC , ma questo risultato sarebbe non accettabile in
quanto è decaduta l’ipotesi di distanza grande fra EC ed EF indicata ad inizio paragrafo.
P1−2 = g1 ( E) F ( E) g2 ( E) (1 − F ( E))
P2−1 = g2 ( E) F ( E) g1 ( E) (1 − F ( E))
Imponendo che
P1−2 = P2−1
EV − EC −( EV − EC )= EG EG
np = NC NV e KT −−−−−−−−−→ NC NV e− KT (1.9)
In un semiconduttore non degenere all’equilibrio termodinamico il prodotto pn non dipende dalla posi-
zione del livello di Fermi (e quindi dal drogaggio), ma solo dalla struttura del cristallo, dalla temperatura
e da come sono fatte le bande. Nel caso particolare di semiconduttore intrinseco n = p = ni ; segue:
EG
NC NV e− 2KT
p
n=p=
La legge dell’azione di massa ci dice una cosa sottile ma fondamentale: se abbiamo più elettroni a causa
di un massiccio drogaggio, abbiamo anche diminuito le lacune, visto che - all’equilibrio - il prodotto fra
elettroni e lacune è costante e funzione della temperatura (quindi, ad esempio, raddoppiando gli elettroni
dimezziamo le lacune).
15
16 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
sul livello di Fermi intrinseco EFi (trattasi del livello di Fermi assunto in caso di semiconduttore intrinseco:
in seguito vedremo come valutarlo). Riscrivendo le equazioni già viste abbiamo7 :
EC − EF
n = NC e− KT EF = EFi EC − EFi EFi − EV
EF − EV
⇒ nintr = pintr = ni = NC e− KT = NV e− KT (1.10)
semic. intrinseco
p = NV e− KT
Dunque possiamo dare un legame per n e p che metta a confronto tali parametri con quelli dei semi-
conduttori intrinseci. Giocando un po’ con gli esponenti (sottraendo e aggiungendo EFi e comparando le
espressioni del semiconduttore intrinseco con quelle del non intrinseco) si ottengono infatti le equazioni di
Shockley:
EC − EFi EC − EFi EC − EF EC − EFi − EC + EF
ni = NC e− KT ⇒ ni e KT = NC = ne
| {z } ⇒ ni e
KT KT =n
| {z }
intrinseco non intrinseco
E −E EFi − EV EF − EV EFi − EV − EF + EV
− FiKT V
ni = NV e ⇒ ni e KT = NV = pe KT ⇒ ni e KT =n
| {z } | {z }
intrinseco non intrinseco
Ed eccoci quindi all’espressione finale:
EF − EFi
n = ni e KT
EF − EFi
(1.11)
−
p = ni e KT
Dalle equazioni di Shockley scopriamo che il drogaggio ha spostato il livello di Fermi rispetto al caso di
semiconduttore intrinseco. Per calcolare EFi si impone che n = p = ni nella 1.10 e si ottiene:
EFi − EC EFi − EV
NC e KT = NV e− KT
NV − EFi + EV −( EFi − EC )
=e KT
NC
N −2EFi + EV + EC
ln C =
NV KT
E + EC KT N
EFi = V − ln C
2 2 NV
Ne deduciamo che:
• se NV = NC il parametro EFi è esattamente la media aritmetica fra EC ed EF (sta ’a metà’ del gap);
• tanto più droghiamo con atomi accettori il nostro semiconduttore e minore sarà EFi (che si ’sposterà’
quindi verso la banda di valenza);
• tanto più droghiamo con atomi donatori il nostro semiconduttore e maggiore sarà EFi (che si
’sposterà’ quindi verso la banda di conduzione).
Si noti che lo spostamento del livello di Fermi non è molto accentuato in quanto il rapporto fra NC ed NV
sta all’interno di un logaritmo. Quanto detto può essere riscontrato in figura 1.16.
EF − EFi
p = ni e − KT
−q(φ−φF )
p = ni e KT
dove φF è il valore (costante perché all’equilibrio) del potenziale corrispondente all’energia di Fermi.
7 Risulta ancora valida l’ipotesi che la banda di conduzione inizi lontano da EF .
16
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 17
In particolare, un elettrone che decidesse di muoversi ad energia costante (percorrendo una traiettoria
’orizzontale’) assumerebbe in questo tragitto una certa quantità di energia cinetica Ecin . In altri termini,
per una generica particella avente carica −q (un elettrone) il potenziale elettrico φ è un parametro scalare
tale per cui si ha
1
E pot = −qφ ⇒ φ = − ( EC − Ere f )
q
dove E pot è l’energia potenziale della particella ed Ere f un livello energetico di riferimento che possiamo
scegliere a nostro piacimento. Siccome siamo furbi, effettueremo tale scelta affinché si abbia, per ipotesi:
EC − Ere f , EFi
Si ha quindi:
1
φ = − EFi
q
1
E = −∇φ = ∇ EFi
q
Il campo elettrico si manifesta quindi come gradiente dell’energia di Fermi (o, se vogliamo, con un cam-
po elettrico agiamo su EFi , modificandola). Alla luce di quanto detto, la presenza di campo elettrico
corrisponde in definitiva ad un piegamento delle bande.
17
18 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
Quella che abbiamo ricavato è la celebre equazione di Poisson, la quale mette in relazione il potenziale φ
e la distribuzione volumetrica di carica ρ.
L’equazione di Poisson, abbinata alle equazioni di Shockley, costituisce sistema risolvibile in qualunque
modello tridimensionale dello spazio, previa conoscenza delle condizioni al contorno:
ρ q ( p − n + ND − NA )
∇2 φ = − = −
ε ε
q(φ−φF )
n = ni e KT
q(φ−φF )
p = ni e− KT
Tuttavia, tale modello smette di funzionare quando elettroni e lacune si muovono generando corrente. Per
questo è stato introdotto il modello drift-diffusion (paragrafo 1.12), che complica un po’ le cose ma è più
aderente alla realtà.
ESEMPIO:
Consideriamo una barra di semiconduttore leggermente drogato8 : punto per punto la quantità di
carica complessiva sarà nulla. Si avrà quindi esatto equilibrio fra ND , NA , n e p:
ρ = ND − NA + p − n
Se droghiamo la barra di cui sopra in maniera leggermente diseguale la regione non è più rigorosamente
neutra, bensì quasi-neutra. La differenza di carica che si viene a formare in questo caso genera un
campo elettrico che si oppone alla diffusione dei portatori; più precisamente: tutte le volte che è
presente un gradiente di concentrazione di drogante9 scaturisce un campo elettrico che si oppone,
all’equilibrio, allo spostamento delle cariche.
Prendiamo ad esempio una porzione di semiconduttore lunga 1 m caratterizzata ND1 ≈ 1016 ad
un estremo e ND2 ≈ 1018 ad un altro. Facciamo inoltre l’ipotesi di trovarci in una situazione di
equilibrio. Possiamo allora scrivere:
KT 1 dND
|E| = − ≈ 2, 5 · 103 V/cm2
q ND1 dx
Tale campo è quello che si è formato per impedire che la diffusione distrugga l’equilibrio che vi è per
ipotesi. Consideriamo ora un campo che varia tra 0 e 104 V/cm in 0, 5 µm (che è all’incirca quello
del nostro caso). Dall’equazione di Poisson abbiamo
ρ dE
= = 2 · 108 V/cm2
e dx
Siccome in questo caso ρ = −n + ND , abbiamo:
−n + ND ≈ 1015 ND1
18
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 19
ESEMPIO:
Facciamo ora l’esempio opposto: prendiamo il campo elettrico di prima, ma questa volta abbattiamo
di un fattore 100 il suo raggio d’azione (da 0 a 104 non più in 0,5 micrometri ma in 5 nanometri).
Questa volta si ha:
ρ
= 2 · 1010 V/cm2
e
Questa volta la nostra ρ = −n + ND è circa 1017 e dunque
−n + ND ≈ ND
da cui
n ND
In pratica la regione tende a svuotarsi di portatori. Questo esempio e il precedente intendono quindi
mostrare che, in base all’entità del campo elettrico, abbiamo tutte le possibili gradazioni che vanno
da zona quasi neutra a zona completamente svuotata.
∂ρ
= −∇ · J
∂t
Applicando l’operatore integrale:
ZZZ ZZZ ZZZ ZZ
∂ρ ∂ ∂
dV = ρdV = QV = − ∇ · JdV = − J · n dS
∂t ∂t ∂t Gauss
V V V S
| {z }
QV
Dunque la variazione temporale della quantità di carica corrisponde al flusso del vettore J (densità di
corrente) attraverso la superficie S.
• p è il numero di lacune;
• n è il numero di elettroni;
+
• ND è il numero di atomi donatori ionizzati positivamente (NB: questo parametro è in generale 6= ND !
+
Solo a temperatura ambiente possiamo scrivere ND ≈ ND );
−
• NA è in numero di atomi accettori ionizzati negativamente (NB: questo parametro è in generale
6= NA ! Solo a temperatura ambiente possiamo scrivere NA ≈ NA− ).
Se ND NA allora
n ≈ ND − NA
n2i n2i
p= =
n ND − NA
e siamo in condizioni di ’doping netto’ (le cariche presenti sono tutte imputate al drogaggio).
19
20 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
• corrente elettrica nulla (assenza di uno spostamento collettivo di portatori di carica lungo una
direzione preferenziale).
Anche in condizioni di equilibrio i portatori di carica non sono immobili ma si muovono in maniera
casuale interagendo con il reticolo (i cui nuclei oscillano nell’intorno della posizione di equilibrio): tali
movimenti casuali danno luogo ad una corrente complessiva nulla. Il comportamento di un generico
elettrone nel cristallo può essere descritto mediante le leggi della meccanica statistica10 , quindi possiamo
fare finta che gli elettroni nel cristallo si muovano come le particelle di un gas perfetto e scrivere che
l’energia media è pari a
3
E = KT
2
Non sempre però l’equilibrio viene mantenuto: alcuni fenomeni come la presenza di un campo elettrico,
che porta a una risultante 6= 0 per la velocità complessiva della massa di elettroni11 , o la temporanea
variazione della concentrazione possono alterare la situazione nel cristallo. Facendo incidere un’onda
elettromagnetica sul reticolo - ad esempio - andiamo a conferire più energia ai portatori di carica permet-
tendo ad alcuni di loro di essere promossi (un elettrone finisce in banda di conduzione e una lacuna in
banda di valenza). Viceversa, l’emissione di un’onda elettromagnetica (fotoni) avviene in seguito ad una
de-promozione dei nostri portatori di carica. Questi fenomeni, all’interno del cristallo, vengono sempre
compensati in qualche modo: tuttavia, anche se momentaneamente, essi sono in grado di portare fuori
equilibrio il sistema.
20
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 21
coordinata spaziale r e del tempo t, oltre che della quantità di moto p. In particolare, la quantità
F (r, p, t)drdp
rappresenta la probabilità che un elettrone abbia posizione compresa fra r e r + dr e quantità di moto fra p
e p + dp: tale area 6-dimensionale (tre dimensioni per la quantità di moto e tre per la coordinata spaziale)
viene chiamata spazio delle fasi (vedi figura 1.19, in cui per ovvie ragioni si è scelto di disegnare un’unica
dimensione per r e p).
possiamo studiare l’evoluzione, nel tempo, della funzione di distribuzione delle cariche nel semicondut-
tore. Tale descrizione è valida solo ad alcune condizioni:
• lenta variazione del campo elettrico sulla scala delle dimensioni del pacchetto d’onde che descrive
le particelle in moto;
• trattazione semi-classica (uso della legge di Newton abbinata ad elementi quantistici nel calcolo);
• per descrivere in modo semplice il termine di collisione si considerano solo collisioni binarie, indi-
pendenti da F, e che avvengono in tempo nullo.
L’equazione di Boltzmann ha inoltre tutti i connotati di una legge di bilancio e - guarda caso - non è
risolvibile in forma chiusa. Per sbrogliarla si utilizzano due principali metodi: il metodo di Montecarlo
(paragrafo 1.11.1) e il metodo dei momenti (paragrafo 1.11.2).
21
22 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
L’algoritmo Monte Carlo è un metodo numerico che viene utilizzato per trovare le soluzioni di proble-
mi matematici, che possono avere molte variabili e che non possono essere risolti facilmente, per esempio
il calcolo integrale. L’efficienza di questo metodo aumenta rispetto agli altri metodi quando la dimensione
del problema cresce. Le sue origini risalgono alla metà degli anni 40 all’interno del Progetto Manhattan.
I formalizzatori del metodo sono John von Neumann e Stanislaw Marcin Ulam, il nome Monte Carlo fu
assegnato in seguito da Nicholas Constantine Metropolis in riferimento al celebre casinò.
La simulazione Monte Carlo calcola una serie di realizzazioni possibili del fenomeno in esame, con
il peso proprio della probabilità di tale evenienza, cercando di esplorare in modo denso tutto lo spazio
dei parametri del fenomeno. Una volta calcolato questo campione rappresentativo, la simulazione esegue
delle ’misure’ delle grandezze di interesse su tale campione. La simulazione Monte Carlo è ben eseguita
se il valore medio di queste misure sulle realizzazioni del sistema converge al valore vero. Da un altro
punto di vista le simulazioni Monte Carlo non sono altro che una tecnica numerica per calcolare integrali.
Trattasi del più noto metodo d’approssimazione-risoluzione: esso si basa sulla riduzione del numero
delle dimensioni del dominio della funzione incognita, ottenuta sostituendo all’equazione di Boltzmann
(in F) una serie di equazioni nei momenti di F rispetto a p. Quel che si fa, in pratica, è di integrare
rispetto a p la nostra F per ricavare i momenti dei vari gradi, i quali hanno un ben preciso significato
fisico, sacrificando in cambio l’informazione sulla quantità di moto.
Z
momento ordine 0 ⇒ n (r, t) = Fdp ⇒ legge di bilancio della carica
p
Z
momento ordine 1 ⇒ p = pFdp ⇒ legge di bilancio della quantità di moto
p
p2
Z
momento ordine 2 ⇒ w = Fdp ⇒ legge di bilancio dell’energia
2m
p
Esempio di applicazione del metodo dei momenti è la formulazione modello drift-diffusion. Se con-
sideriamo infatti il momento di ordine 1 (ottenuto dall’equazione di Boltzmann integrata in p) ottenia-
mo un’equazione in J che, opportunamente semplificata (in particolare è fondamentale l’assunzione che
la temperatura elettronica coincida con quella del cristallo), si riduce alla formulazione di corrente nel
modello drift-diffusion:
12 Si metta l’accento sul fatto che non esistono davvero due correnti ben distinte: l’azione che associamo alla prima corrente è di
fatto indistinguibile e contemporanea rispetto a quella che fa capo all’altra. Il modello drift-diffusion è quindi ’poco fisico’ perché
annebbia la realtà delle cose (però funziona, quindi ce lo teniamo! Siamo proprio degli ingegneri. . . ).
22
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 23
• disuniformità spaziale delle concentrazioni dei portatori cui consegue l’insorgere di correnti elet-
triche (fenomeni di trasporto o diffusione13 : gli elettroni tendono a riequilibrare le differenti concen-
trazioni di carica spostandosi all’interno del reticolo cristallino)14 ;
• presenza di campo elettrico impresso dovuto ad azioni esterne: in sua presenza, gli elettroni di
conduzione e lacune sono soggetti alla forza coulombiana che determina un orientamento prevalente
del vettore velocità nella direzione del campo elettrico (verso concorde o meno a seconda della
polarità).
Si noti, in particolare, che la diffusione - in entrambi i casi - va contro i gradienti delle concentrazioni di
carica ∆n e ∆p (effettuare le sostituzioni q = +q per le lacune e q = −q per gli elettroni e verificare che
permane un segno − in entrambi i casi). Per quanto riguarda l’aver impresso un campo elettrico (cioè aver
variato l’andamento del potenziale), gli elettroni vanno sempre verso i valori ’alti’ e le lacune in direzione
di quelli ’bassi’ (vedi figura 1.20).
Il modello drift-diffusion necessita di un’adeguata calibrazione dei suoi parametri caratteristici, tra cui
troviamo la mobilità (vedi paragrafo 1.12.1) e la resistività (vedi paragrafo 1.12.2); è bene che questi
parametri siano tuttavia pochi, in quanto validarne continuamente un gran numero durante una simula-
zione complica di molto il problema rappresenta un costo dal punto di vista computazionale. Fortuna-
tamente, tuttavia, mobilità e coefficiente di diffusione D sono parenti dunque il modello drift-diffusion è
adeguatamente predittivo.
1.12.1 Mobilità
Consideriamo ora il termine Jn : esso è, per definizione
Jn = ρ hvi
dove hvi è la velocità media di deriva dei portatori, che chiameremo vnDrift . Tale parametro è legato ad E,
campo elettrico, dal parametro mobilità secondo la seguente relazione:
vnDrift = −µn E
Dunque:
Jn = qnµn E
Si noti che, all’aumentare del campo elettrico, la mobilità dei portatori non cresce in maniera lineare.
Esaminando la figura 1.21, in cui è riportato l’andamento della mobilità in funzione del campo elettrico,
ci accorgiamo infatti che, ad un certo punto, la velocità satura perché a causa dei troppi urti il reticolo
13 Fenomeni di trasporto di carica si verificano anche in assenza di campo elettrico a causa di gradienti di concentrazione: a causa
di questi ultimi infatti, si verifica uno spostamento netto di elettroni che tende ad annullare il gradiente che lo ha originato. In
assenza di altre forze, invece, il movimento di portatori è dovuto alla sola agitazione termica; ogni singolo portatore si muove in
modo casuale (distribuzione angolare uniforme del vettore velocità).
14 Se la distanza percorsa dalle particelle tra due successivi eventi di scattering (urti con il reticolo) è grande rispetto alle dimensioni
del pacchetto d’onde che rappresenta la particella, e piccola rispetto alle dimensioni del dispositivo, è lecito e conveniente adottare
un approccio semi-classico al problema del trasporto.
23
24 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
cristallino impedisce agli elettroni molto energetici di andare velocissimi come vorrebbero15 . Possiamo
infatti considerare il moto della drift-diffusion come un moto viscoso e dunque proporzionale alla forza
che sospinge le cariche (che a sua volta dipende dal campo elettrico): al crescere di questa forza, tuttavia,
crescono anche gli attriti e ciò rende il rapporto fra la velocità e la forza/il campo non più lineare. Dalla
figura emerge anche che la velocità degli elettroni è superiore a quella delle lacune a parità di campo
elettrico. Nell’immagine 1.22 scopriamo invece che, nell’ipotesi di completa ionizzazione, la mobilità cala
all’aumentare della densità di drogante in quanto - in tal caso - vi sono più elettroni a collidere e più
atomi contro cui andare a collidere. La mobilità dipende inoltre dalla temperatura, in quanto l’aumento
dell’agitazione termica promuove molti elettroni in banda di conduzione e favorisce un maggior numero
di collisioni.
La mobilità elettronica dipende quindi dal materiale semiconduttore, dal tipo di portatore, dalla
densità di drogante e dalla temperatura (in definitiva dipenda da quasi tutto!).
15 L’interazione reticolare (scattering fotonico) provoca scambio di quantità di moto ed energia fra portatori e reticolo. Alle vibra-
zioni reticolari è possibile attribuire natura corpuscolare facendole coincidere con fotoni dotati di massa nulla, nonché una certa
energia e quantità di moto. Le impurità neutre o ionizzate ionizzate (atomi droganti) perturbano il potenziale elettrostatico del
reticolo ideale, producendo scambio di energia trascurabile ma variazione apprezzabile della quantità di moto. Ad ognuno dei
meccanismi di scattering è associabile un libero cammino medio e, quindi un valore di mobilità. La mobilità complessiva è una
particolare combinazione di tutte questi valori.
24
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 25
1.12.2 Resistività
Altro parametro importante è la resistività ρ:
n2
1
drogaggio prevalente N: n ≈ ND , p ≈ i ⇒ ρ ≈
1 ND qND µn
ρ=
n2
q pµ p + nµn 1
drogaggio prevalente P: p ≈ NA , n ≈ i ⇒ ρ ≈
NA qNA µ p
Essa varia (diminuisce) all’aumentare del drogaggio (vedi figura 1.23); inoltre, elettroni e lacune hanno
differenti valori di ρ.
1.13 Diffusione
Come già abbiamo detto, fenomeni di trasporto di carica si verificano anche in assenza di campo
elettrico a causa di gradienti di concentrazione. In presenza di un gradiente di concentrazione si verifica
quindi uno spostamento netto di elettroni che tende ad annullarlo.
Consideriamo un contenitore pieno di molecole di un gas che supporremo perfetto: tali molecole,
pur mantenendo singolarmente un moto casuale, tenderanno ad uniformare a densità su tutto il volume.
Consideriamo la figura 1.24: fissata nel nostro contenitore una superficie di riferimento e un vettore u
perpendicolare ad essa, si ha un flusso pari a
φ = − D ∇η · u (1.13)
25
26 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
Jn = J p = 0
Questo non comporta tuttavia l’annullamento delle singole componenti di deriva e diffusione, ma solo il
loro bilanciamento: se prendiamo ad esempio la formula 1.12 e consideriamo il solo termine Jn , ponendolo
uguale a zero, otteniamo:
Jn = −qµn n∇φ + qDn ∇n = 0
qµn n∇φ = qDn ∇n
Per semplicità consideriamo una sola coordinata spaziale:
dφ dn
qµn n = qDn
dx dx
µn ndφ = Dn dn
µn dn
dφ =
Dn n
Così facendo abbiamo applicato il metodo della separazione delle variabili, cosicché possiamo applicare
l’operatore integrale ad ambedue le parti e risolvere:
n µn
ln = (φ − φ0 )
n0 Dn
Applicando ora le equazioni di Shockley nella versione col potenziale (paragrafo 1.7.1) e in particolare la
relazione
q(φ−φF )
n = ni e KT
otteniamo, fatta l’ipotesi di equilibrio termodinamico (φF = Costante):
q(φ−φF ) n q(φ−φF ) n q ( φ − φF )
n = ni e KT ⇒ = e KT ⇒ ln =
ni ni KT
q (φ − φ0 )
n µn
ln = = (φ − φ0 )
n0 KT Dn
q µn KT Dn
= ⇒ =
KT Dn q µn
Analogamente, per le lacune:
KT Dp
=
q µp
Le due relazioni precedenti sono chiamate relazioni di Einstein e, per quanto valide a rigore solo in caso
di equilibrio, sono utilizzate anche in caso di piccoli scostamenti dall’equilibrio termodinamico.
26
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 27
∂n 1
= ∇Jn + G − R
∂t q
∂p 1
= − ∇J p + G − R
∂t q
Nelle figure di seguito possiamo vedere graficamente come avvengono tali processi:
• generazione (figura 1.25): un’onda elettromagnetica (fotone, energia hν) fornisce abbastanza energia
ad un elettrone per saltare in banda di conduzione; al suo posto rimane una lacuna. Sia elettrone
che lacuna saranno entrambi utili alla conduzione: questo tipo di generazione, tuttavia, è molto
improbabile in quanto bisogna che l’energia fornita all’elettrone sia relativamente elevata, soprattutto
in caso di materiale con ben-gap indiretto;
• generazione e ricombinazione nel caso di semiconduttore drogato (figura 1.27): sono fenomeni
più probabili rispetto a quelli visti nei due punti precedenti in virtù del fatto che abbiamo livelli
intermedi possibili a cui far saltare i portatori di carica. In questo caso, nella generazione, un
elettrone che saltasse nella banda ’intermedia’ non sarebbe ancora conduttivo (e avrebbe bisogno di
altra energia per arrivare finalmente in banda di conduzione) mentre, nella ricombinazione, l’onda
elettromagnetica emessa nel decadimento non è più nella frequenza del visibile e viene riscontrata
in calore;
• ricombinazione Auger (figura 1.29): l’energia emessa nel decadimento di un elettrone viene ceduta
ad un altro elettrone, che viene portato in banda di conduzione e quindi si stabilizza sul fondo di
quest’ultima;
• generazione da impatto (figura 1.30): un elettrone molto energetico, sospinto da un campo elettri-
co, acquisisce una quantità relativamente alta di energia cinetica fino a quando non urta contro il
reticolo cristallino, perdendola interamente. Quest’energia viene però donata ad un altro elettrone
che viene promosso suscitando un vero e proprio fenomeno di generazione. Al termine del processo
abbiamo quindi tre cariche (2 elettroni, quello promosso e quello decaduto, e una lacuna dovuta alla
generazione) in luogo di una; questo fenomeno ha quindi intrinsecamente un carattere ’pericoloso’
soprattutto quando si manifesta come corrente inversa all’interno del diodo: i continui scontri libe-
rano infatti cariche che vanno a loro volta a impattare, generando un effetto a valanga (avalanche)
che porta la corrente verso +∞ e comporta la rottura della nostra giunzione.
27
28 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
28
CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI 29
29
30 CAPITOLO 1. CONDUZIONE DI CORRENTE IN MATERIALI SEMICONDUTTORI
30
Capitolo 2
Giunzione PN
Quando congiungiamo un semiconduttore di tipo p e uno di tipo n creiamo una giunzione: all’equilibrio
essa sarà caratterizzata da una regione svuotata (ovvero un’area praticamente senza portatori1 , con n
ND o p NA ) e due regioni quasi-neutre agli estremi (in cui si ha circa n − p + NA − ND = 0, ovvero
ρ = 0). All’istante t = 0+ , cioè appena formata la giunzione, ci aspettiamo moti di diffusione (vedi figura
2.2): la parte n, traboccante di elettroni, porterà cariche negative verso la parte p la quale, invece, riverserà
lacune in direzione della zona drogata con atomi donatori. Questi moti di diffusione portano via carica
all’interfaccia cosicché rimangono scoperte delle cariche fisse, cioè gli atomi ionizzati; tali atomi creano
un campo elettrico in grado di generare una corrente di deriva in grado di opporsi al moto di diffusione,
cosicché, all’equilibrio, la diffusione e la deriva si bilanciano e la risultante della corrente è nulla.
Facendo l’ipotesi di non risentire della giunzione a −∞ e +∞, il potenziale elettrostatico varia lungo
di essa mentre il livello di Fermi EF è costante lungo tutta la struttura: infatti sappiamo che la probabilità
che un elettrone salti dalla zona p alla zona n è
P1,2 = f 1 ( E) g1 ( E) g2 ( E) (1 − f 2 ( E))
P2,1 = f 2 ( E) g2 ( E) g1 ( E) (1 − f 1 ( E))
1 Quest’area, ricordiamo, si è formata in quanto gli elettroni degli N atomi donatori hanno attraversato la giunzione andando a
D
raggiungere la zona inizialmente drogata p e, allo stesso modo, gli NA atomi accettori hanno ceduto delle lacune all’altra parte della
giunzione. Si viene quindi a formare un gradiente di potenziale, che risulta crescente dalla parte p alla parte n. Questo gradiente di
potenziale è causa di un campo elettrico che impedisce la diffusione delle cariche, ovvero un rimescolamento omogeneo di elettroni
e lacune.
31
32 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
f 1 ( E) g1 ( E) g2 ( E) (1 − f 2 ( E)) = f 2 ( E) g2 ( E) g1 ( E) (1 − f 1 ( E))
f 1 ( E) (1 − f 2 ( E)) = f 2 ( E) (1 − f 1 ( E))
f 1 ( E) − f 1 ( E) f 2 ( E) = f 2 ( E) − f 1 ( E) f 2 ( E)
f 1 ( E) = f 2 ( E)
Siccome le probabilità f sono legate al livello di Fermi, quest’ultimo non varierà lungo la giunzione.
Scegliendo quindi EF come potenziale di riferimento, si ha:
• il potenziale nella zona neutra p può essere ricavato tramite la seguente equazione di Shockley
(valida all’equilibrio)
qφ
NA = p = ni e− KT
Calcolando il delta fra le tensioni delle due zone neutre (che equivale a trovare il delta φ(∞) − φ(−∞),
una volta scelto di porre la zona p a sinistra e la n a destra2 ) si può ricavare la cosiddetta altezza di barriera3 :
qϕ NA qϕ qϕ (−∞)
NA = ni e− KT ⇒ ln NA = ln ni e− KT ⇒ ln =−
ni KT
qϕ qϕ N qϕ (∞)
ND = ni e KT ⇒ ln ND = ln ni e KT ⇒ ln D =
ni KT
N N qϕ (−∞) qϕ (∞)
ln D + ln A = − +
ni ni KT KT
KT ND NA ND NA
ln = Vth ln = ψB (altezza di barriera)
q n2i n2i
Facciamo l’ipotesi che la giunzione sia brusca, ovvero che il profilo del drogante cali istantaneamente
da NA a ND : ovviamente questa è una condizione ideale e, in quanto tale, assolutamente irrealizzabile
nonché assolutamente desiderabile (la giunzione occuperebbe così pochissimo spazio). Adottiamo inoltre
l’approssimazione di completo svuotamento (che si rivela accurata tranne che in forte polarizzazione
2 Non si faccia confusione fra i grafici in cui si mostra il potenziale e quelli in cui si mostrano le energie, cioè le bande: si ha infatti
una differenza di segno fra i due (dovuta al fatto che E = −qφ). Il potenziale maggiore si ha infatti a +∞, allo stesso modo in cui
l’energia, ivi, è minore.
3 L’altezza di barriera ha un limite: non può essere più grande del gap.
32
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 33
Figura 2.3: Schema dell’andamento del potenziale nella giunzione e altezza di barriera
diretta). In tal caso, allora, abbiamo solo 3 possibili valori per la carica4 in 4 aree spaziali: fissando la
coordinata x = 0 nel punto esatto della giunzione si ha
qND
• per 0 < x < xn abbiamo ρ = ε ;
Ovviamente, visto che complessivamente il sistema deve risultare neutro, le quantità di carica da una
parte e dall’altra della giunzione devono essere uguali e quindi deve sussistere:
Le aree dell’immagine (a) in figura 2.4, rappresentanti la quantità di carica, sono quindi identiche. Si noti
invece che | − x p | 6= | xn |: le due regioni sono asimmetriche rispetto all’origine e le loro coordinate limite
dipendono dalla tensione e dal rapporto fra i due drogaggi. Dall’equazione 2.1, infatti, possiamo ottenere
facilmente5 :
NA N
= D
xp xn
Siccome NA 6= ND allora sarà vero che | − x p | 6= | xn |; la zona svuotata e la quantità di doping, in
particolare, sono inversamente proporzionali6 .
4 Possiamo ricavarli utilizzando l’equazione di Poisson:
d2 φ
qND
− 2 = per 0 6 x 6 xn
dx ε
carica =
2
− d φ = − qNA per - x 6 x 6 0
p
dx2 ε
5 Potevamo arrivare allo stesso risultato integrando l’equazione di Poisson e ricavando l’espressione del campo elettrico in x = 0
di aumentare il doping
33
34 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
Figura 2.4: Grafici di carica, campo elettrico e potenziale a ridosso della giunzione
Facendo l’integrale della quantità di carica otteniamo l’andamento del campo elettrico7 (immagine
(b) della figura 2.4): tale campo raggiunge un valore minimo (cioè massimo in modulo) proprio alla
coordinata corrispondente giunzione metallurgica8 (che è x = 0 in quanto la giunzione è brusca).
Integrando nuovamente, e tenendo conto del fatto che quando si passa da potenziale a campo è neces-
sario invertire i segni, otteniamo l’immagine (c) della figura 2.4, la quale rappresenta l’andamento di φ: in
x = 0 cambia la derivata di E, quindi si ha un flesso. Il risultato dell’integrazione è9 :
KT N qNA 2 KT N qND
φ (0) = − ln A + 0 + xp = ln D − ( x n − 0)2
q ni 2ε q ni 2ε
| {z } | {z }
da sinistra da destra
7 Il vettore spostamento elettrico D = εE è continuo a meno che non si abbia un doppio strato di carica: non è però questo il caso
della giunzione PN, ove D non presenta discontinuità. Considerando che ε per noi è costante (siamo sempre nel silicio), allora anche
E sarà continuo.
8 La giunzione metallurgica è quella in cui cambia il doping: in questo caso tale punto è anche quello in cui il campo elettrico è
massimo perché non solo il drogaggio, ma anche la densità volumetrica di carica ρ cambia segno (giunzione elettrica). Se la ρ tenesse
conto dei portatori mobili questo non sarebbe ovvio e quasi sicuramente la giunzione elettrica e metallurgica non coinciderebbero.
9 Ricordiamo che:
KT ND
φ (+∞) ∼
= φ ( xn ) = ln
q ni
∼ φ −x p = − KT N
φ (−∞) = ln A
q ni
34
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 35
Chiaro è che se x p è piccolo (ed xn dunque è grande), il potenziale non avrà avuto molto tempo di salire
prima della giunzione elettrica. Calcoliamo ora la somma di xn e x p
w , xn + x p
sfruttando due relazioni a noi note:
qND 2 qNA 2
1. φ (0) = φn − x = φp + x
2ε n 2ε p
N
2. NA x p = ND xn ⇒ xn = A x p
ND
Elaborando la seconda e sostituendovi la prima otteniamo, nei vari passaggi:
NA NA + ND ND
w = xn + x p = xp + xp = xp ⇒ xp = w
ND ND NA + ND
NA
analogamente: xn = w
NA + ND
2 2
qND 2 NA qNA 2 ND
sfruttando la prima equazione: φB = φn − φ p = w + w
2ε NA + ND 2ε NA + ND
2 2
2ε NA ND
φB = ND w2 + NA w2
q NA + ND NA + ND
2ε 2 ND NA NA ND ND NA
φB = w + = w2
q NA + ND NA + ND NA + ND NA + ND
Sfruttando l’ultima relazione trovata possiamo ottenere w in funzione di xn ed x p oppure, ricordando la
relazione 2.2, l’energia massima Emax (cioè il valore massimo del campo elettrico, quello che nel caso di
giunzione brusca sussiste esattamente nel punto metallurgico):
s
2 2ε NA + ND 2ε 1 1
w = φB ⇒w= φB +
q ND NA q NA ND
s
NA x p q
q ND NA q ND NA 2ε 1 1
| Emax | = =w = φB +
ε ε NA + ND ε NA + ND q NA ND
ESEMPIO:
Consideriamo il seguente drogaggio:
NA = 1015 cm−1 ND = 1018 cm−1
In questo caso, effettuando i calcoli e usando il livello di Fermi come riferimento, otteniamo
(
φ p = −0, 288 V all’inizio della zona svuotata nella parte p
φB = 0, 755 V che si dividono in
φn = 0, 467 V all’inizio della zona svuotata nella parte n
(
x p = 0, 9928 µm
w = 0, 9938 µm che si dividono fra
xn = 0, 001 µm
φ (0) = 0, 462 V (dunque solo 0, 467 − 0, 462 = 0, 005 V cadono nella parte n)
Emax = 1, 5 · 104 V/cm
35
36 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
Il parametro φn = φ − KT n
q ln ni dipende complessivamente dalla coordinata spaziale e ha la dimensione di
un potenziale: è lo pseudo-potenziale di Fermi riferito agli elettroni. Possiamo in maniera analoga definire
lo pseudo-potenziale di Fermi riferito alle lacune10 :
KT p
φp = φ + ln
q ni
Si noti che ora possiamo esprimere le densità di corrente J p e Jn unicamente come correnti di drift:
J p = −qµ p p∇φ p
Jn = −qµn n∇φn
Possiamo inoltre scrivere la concentrazione di elettroni nel seguente modo:
( φ − φn ) q
n = ni e KT
(φ p −φ)q
p = ni e KT
Si noti che annullando φn e φ p otteniamo le equazioni di Shockley11 ! Inoltre ora, pur in presenza di
correnti, possiamo scrivere n e p unicamente in funzione del potenziale (cosa che altrimenti potremmo
fare solo in assenza di correnti, cioè in condizioni di equilibrio). L’entità di φn e φ p ci dà dunque una
misura di quanto siamo fuori equilibrio: all’equilibrio il gradiente degli pseudo-potenziali è nullo, ma
non appena si ha spostamento di cariche (corrente) φn e φ p presentano una variazione.
Notiamo inoltre che, se moltiplichiamo fra loro le espressioni di n e di p espresse in funzione degli
pseudo-potenziali, otteniamo una formulazione indipendente dal valore di φ:
(φ−φn )q (φ p −φ)q ( φ p − φn ) q
np = ni e KT ni e KT = n2i e KT
Ecco quindi un’ulteriore conferma: all’equilibrio si deve avere pn = n2i e questo si può ottenere unicamente
se φn = φ p ; anche la separazione fra i due pseudo-livelli di Fermi è quindi un importante indice che ci
rivela di quanto siamo fuori equilibrio.
10 Incerte condizioni è necessario considerare entrambi questi parametri (φn e φ p ).
11 Dobbiamo però essere accorti e ricordare che le equazioni di Shockley sono valide se decidiamo di prendere il potenziale di
riferimento pari a zero. Di seguito adotteremo il livello di Fermi
EF = −qφF
come riferimento (pari a zero). Il segno meno nell’equazione poco sopra dipende dal fatto che consideriamo l’energia potenziale φ
dal punto di vista di un elettrone, che ha carica negativa.
36
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 37
• Poiché in condizioni stazionarie ∇Jn = qU, dove U è la funzione di ricombinazione la quale, essendo
trascurabile, fa sì che Jn sia costante attraverso la regione svuotata.
• nelle regioni quasi neutre lo pseudo-livello del portatore maggioritario è pressoché costante;
Considerazioni duali possono essere fatte per l’andamento dello pseudo-potenziale di Fermi φ p : se ad
esempio siamo nella zona neutra p possiamo percepire, già all’applicazione di una piccola differenza di
potenziale, una cospicua corrente (in questo caso un flusso di lacune) dovuta al fatto che abbiamo un
consistente parametro p ≈ NA . Se tuttavia da qui ci spostiamo, avvicinandoci alla regione svuotata e fatta
l’ipotesi di aver polarizzato in diretta la nostra giunzione, tali ipotesi decadono e infatti φ p inizia a calare
(vedi immagine (a) della figura 2.5). La variazione di tale parametro è da imputarsi al fatto che le lacune
37
38 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
tendono a ricombinarsi con gli elettroni e ad avvicinarci alla condizione per cui np ≈ n2i (condizione
d’equilibrio, vedi figura 2.6)12 .
Facendo nuovamente riferimento alla figura 2.5 si ha che quando φ p > φn (immagine (b)) allora np
n2i , mentre quando φn > φ p (immagine (a)) otteniamo np n2i dunque la regione della giunzione è ancora
più svuotata: nel primo caso (tipico della giunzione polarizzata in inversa) la conduzione è ostacolata,
mentre nel secondo (giunzione polarizzata in diretta) è facilitata.
In figura 2.7 vediamo gli andamenti delle bande energetiche nella giunzione in equilibrio: si noti in
particolare il livello di Fermi, che rimane sempre costante e che scegliamo in questa trattazione di prendere
come riferimento.
Applicando ora un potenziale sulla giunzione (vedi figura 2.8) ’spostiamo’ il diagramma a bande in
maniera congruente con la tensione applicata (mantenendo invariato, tuttavia, lo zero del potenziale) come
indicato in figura 2.9. La presenza di un campo elettrico, infatti, è sempre causa del fenomeno denominato
piegamento delle bande: essendo φ = φi − VA l’altezza della barriera φ una volta applicata una tensione VA
12 Ponendoci nel punto fisico della giunzione dovremo infatti avere che n = p = n : tante lacune arrivano da destra quanti elettroni
i
da sinistra.
38
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 39
• una polarizzazione diretta fa calare la barriera e facilita la conduzione. In tale regime prevale la
corrente di diffusione;
• una polarizzazione inversa fa crescere la barriera. In questa situazione prevale la corrente di deriva,
che è comunque autolimitata dalla presenza di pochissimi portatori.
Figura 2.9: Spostamento del diagramma a bande in virtù di una tensione applicata sulla giunzione
In figura 2.10 viene mostrato l’alzarsi e l’abbassarsi della barriera di potenziale in virtù dell’applica-
zione di un potenziale positivo o negativo sulla destra. Si noti che un potenziale positivo alza la barriera
di potenziale rispetto al livello di riferimento (che, lo ricordiamo, è per noi il potenziale di Fermi φF posto
per ipotesi pari a zero).
39
40 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
Questo significa, ad esempio, che nella zona n l’eccesso di lacune δp è molto minore della concentrazione13
nn0 dei portatori maggioritari all’equilibrio, ovvero degli elettroni. Analogamente nella zona p, ove a titolo
di esempio poniamo di avere NA = 1016 , l’ipotesi di piccole iniezioni comporta che si possano avere numeri
come p p0 = 1016 >> n p0 = 104 . Come sappiamo, a +∞ e a −∞ si ha:
KT p KT N
per x → −∞ : ln = ln A = φ p − φ0
q ni q ni
KT p0
all’equilibrio: ln = φF −φ (−∞) = −φ (−∞)
q ni |{z}
Hp: = 0
KT n KT N
per x → ∞ : ln = ln D = φ0 − φn
q ni q ni
KT n0
all’equilibrio: ln = φ ( ∞ ) − φF = φ ( ∞ )
q ni |{z}
Hp: = 0
Nella regione quasi neutra possiamo scrivere che p = p0 e n = n0 , dunque è lecito confrontare le equazioni
scritte sopra e scrivere:
ψB − ∆ψ = −φ p (−∞) + φn (+∞) = V
Dunque i due pseudo-livelli, asintoticamente, differiscono esattamente della tensione applicata14 V (vedi
figura15 2.11).
13 Al pedice la lettera n sta a significare che stiamo considerando la zona di tipo n e lo 0 identifica la condizione d’equilibrio.
14 Quando lavoriamo con tensione diretta dobbiamo prestare attenzione perché, per V molto grande, abbiamo una grande caduta
resistiva nelle zone quasi neutre: le bande inizieranno quindi a piegarsi prima di raggiungere la zona svuotata e non avremo, a
ridosso di quest’ultima, un livello sufficiente di potenziale ad annullare la barriera. Nella realtà si cerca quindi di valutare questo
effetto resistivo al fine di dimensionare adeguatamente V.
15 Si presti attenzione che nella nostra figura abbiamo graficato i potenziali, i quali hanno segni invertiti rispetto ai livelli energetici
delle bande che possono essere visti in figura 2.7 o nell’immagine 2.5.
40
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 41
Se trascuriamo effetti di non idealità, ogni sezione presenta la stessa corrente (è la famosa legge di Kirch-
hoff) ma nelle diverse sezioni sarà diverso il contributo degli elettroni e delle lacune. Proviamo a calcolare
meglio la corrente dei minoritari (lacune) nella regione neutra n; iniziamo con l’elaborare il seguente
termine:
pE − p0 E0 = ( p0 − δp) (E0 − δE) − p0 E0 = p0 E0 + p0 δE + E0 δp + δpδE − p0 E0
I due termini ’estremi’ si annullano per discordanza di segno, mentre i tre termini centrali possono essere
considerati trascurabili perché:
• E0 è piccolo e trascina con sé verso lo zero anche δp;
• δp n per l’ipotesi di piccole iniezioni;
• p0 è piccolo;
• δpδE è piccolo perché è il prodotto di due termini ’delta’.
Dunque si ha che la corrente di lacune è ≈ Jdiffusione
p nella zona quasi neutra n:
∂ ∂δp
J p − J p0 = qµ p ( pE − p0 E0 ) +qD p ( p − p0 ) = qD p per x > xn
| {z } ∂x | {z } ∂x
→0 eccesso di lacune δp
41
42 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
δp
U ∝ δp ⇒ U =
τ
Dove τ è il tempo di vita dei minoritari (in questo caso le lacune). Poniamo ora a sistema le equazioni in
cui compare J p :
dJ p
δp
= −q
d2 δp d2 δp d2 δp
dx
δp δp δp
τp
⇒ Dp 2
= ⇒ 2
− = 2
− 2 = 0 eq. di Fick
dx dx D dx Lp
J p = −qD p dδp
τp τ
p p
dx
Si noti che tale equazione differenziale è espressa unicamente in funzione di L p . Risolvendo l’equazione
otteniamo:
− Lxp x
δp ( x ) = Ae + Be L p
Per x → ∞ si ha che δp = 0 dunque B = 0. Rimane:
− Lxp
δp ( x ) = Ae
Cos’è A? Conoscerlo significa sapere quante lacune vi sono all’inizio della zona quasi neutra n in quanto
si ha:
− xn
δp ( xn ) = Ae L p
Dunque se troviamo δp ( xn ) conosciamo A. Derivando l’espressione di δp
x−x
− x − xn dδp ( x ) 1 − n
δp ( x ) = δp ( xn ) e L p ⇒ = δp ( xn ) − e Lp
dx Lp
e sostituendo in
dδp ( x )
J p ( x ) = −qD p
dx
otteniamo:
qD p
x−x
dδp ( x ) 1 − n − x − xn
J p ( x ) = −qD p = −qD p δp ( xn ) − e Lp = δp ( xn ) e L p (2.3)
dx Lp Lp
42
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 43
n2 ∆φ(xn ) n2 n2 ∆φ( xn )
δp ( xn ) = p ( xn ) − p0 ( xn ) = i e VT − i = i e VT
−1 (2.4)
ND ND ND
Tutta questa fatica, ma almeno ora abbiamo il parametro δp ( xn ): sostituendo nella 2.3 si ha
qn2 D p
∆φ(x ) x−x
n − n
J p (x) = i e VT − 1 e L p
L p ND
Notiamo che più andiamo verso destra (x crescente), la corrente diminuisce. In particolare, nel punto xn
la nostra corrente di lacune ha valore
qn2 D p
V
J p ( xn ) = i e VT − 1
L p ND
dove V è la tensione applicata. Come calcoliamo la corrente di elettroni che fluisce nella parte opposta?
Non possiamo conoscerla in prossimità della sezione xn , perché si tratta di una corrente di maggioritari
(e questo ci rende scomodo il calcolo, visto che non possiamo usare le nostre ipotesi semplificatorie),
tuttavia possiamo calcolarla alla coordinata x p e scegliere - facendo un’approssimazione - di trascurare le
ricombinazioni nella zona svuotata:
qn2i D p
V
Jn − x p = − e −1
VT
L n NA
Fatta l’ipotesi di trascurare la corrente che viene ’sprecata’ nella zona svuotata, possiamo dunque scrivere:
J p ( xn ) + Jn − x p = J p ( xn ) + Jn − x p + Jn ( xn ) − Jn ( xn ) = J TOT +Jn − x p − Jn ( xn )
| {z } | {z }
aggiungo e tolgo J p ( xn )+Jn ( xn )
Da cui si ha, portando alcuni termini da una parte all’altra del segno uguale:
J TOT = J p ( xn ) + Jn − x p + Jn − x p − Jn ( xn )
La differenza tra parentesi quadre è pari, per dualità, alla quantità che otterremmo se facessimo i calcoli
esplicitando J p invece di Jn in quanto il rapporto di ricombinazione è esattamente di 1 a 1 per elettroni e
lacune19 ; se vogliamo trovare il valore esatto di tale parametro, che risulta trascurabile (rispetto alle altre
correnti) se ci troviamo in zona di funzionamento diretta ed è invece più prominente se ci troviamo a basse
tensioni o sotto-soglia, possiamo ricorrere ad un particolare integrale della funzione di ricombinazione:
Zxn
J TOT = J p ( xn ) + Jn − x p + qU ( x ) dx
−x p
| {z }
Jn (− x p )−Jn ( xn )
Si noti inoltre che J p e Jn non sono in generale uguali (vedi figura 2.13) e che tendono ad un valore
asintotico dovuto alla quantità di minoritari presenti nelle regioni drogate20 .
Se la concentrazione di cariche all’interno della regione svuotata è superiore a quella che avremmo
all’equilibrio allora chiaramente U avrà un valore diverso da zero. In particolare, trovandoci in polarizza-
zione inversa, andiamo a diminuire sempre più tale concentrazione rendendo dominante il termine della
generazione spontanea (dovuto unicamente all’agitazione termica). Il grafico della densità di corrente J in
funzione della tensione applicata sarà quindi quello in figura 2.14 L’andamento chiaramente esponenziale
18 Ricordiamo che VT è pari a KT
q .
19 Dai,è ovvio! Un elettrone si ricombina esattamente con una lacuna quindi il processo va avanti coppia dopo coppia. E che
cacchio, devo spiegarti proprio tutto!
20 Ad n2i 1020
esempio, se Np = 1016 , avremo nella regione n una quantità di lacune pari a 1016
= 1016
= 104 . Tale quantità fornisce il
valore asintotico della densità di corrente J p nella zona quasi-neutra n.
43
44 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
Figura 2.14: Densità di corrente in funzione della tensione applicata sulla giunzione
dove Js è il termine costante contenente tutti i parametri sulla diffusione (D p o Dn ) e sul drogaggio (NA o
ND ). Due diodi aventi la stessa area, ma che si accendono a tensioni diverse, differiranno per tale termine
Js : i diodi Schottky, ad esempio, sono caratterizzati da giunzioni metallo-semiconduttore e da una Js molto
più alta, il che li fa ’accendere’ a soli 0, 2 o 0, 3 V e fa ottenere loro le stesse correnti dei diodi PN con molta
meno tensione.
Figura 2.15: Diminuzione della tensione applicata e conseguenze sulla densità di corrente
44
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 45
ricombinazioni nella regione svuotata è alto (vedi figura 2.14): in particolare si noti che l’effetto indeside-
rato di ricombinazione, il quale ’abbassa’ la nostra curva per V < 0, ha un andamento che va con la radice
di |V |.
n2i
V
0
p ( xn ) = e −1
Vth
ND
Se vogliamo scoprire qual è l’andamento anche per x > xn è possibile applicare alcune condizioni al
contorno23 all’equazione differenziale che descrive la nostra funzione p( x ) per ottenere:
sinh WL−p x
p0 ( x ) = p0 ( xn ) (2.5)
sinh LWp
L’andamento di tale funzione è riportato in figura 2.17: si noti che p0 , p0 ( xn ) è fissato dalle relazioni
di Shockley, che le lacune decadono a zero in x = W cioè al limitare della regione quasi neutra (è questa
una delle condizioni al contorno di cui parlavamo prima) e che la derivata di quella curva è il parametro
L p visto nel paragrafo 2.3.1. Derivando il nostro risultato, sostituendo e calcolando al bordo della regione
21 Questo è vero già a tensioni di −1V.
22 Dal momento che scriviamo V vuol dire che abbiamo applicato il concetto di condizione al contorno di Shockley.
23 Vedi pagina 93 delle dispense.
45
46 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
svuotata, otteniamo:
W
dp0(x) qD p p 0 (0) cosh Lp qD p p0 (0)
V
J p = −qD p =− − = n2i e Vth − 1 (2.6)
dx Lp sinh LWp L p ND tanh LWp
Fatta l’approssimazione della tangente iperbolica col suo argomento, anche la 2.6 si semplifica e diventa:
qD p p0 (0) qD p n2i
V V
W piccolo
Jp = n2i e Vth − 1 −−−−−→ p0 (0) e Vth − 1
L p ND tanh LWp ND W
Per un diodo a base lunga (W L p ), invece, l’andamento della funzione che quantifica i minoritari
p0 ( x ) è quasi esponenziale:
W −x
sinh Lp W grande − Lxp
p0 ( x ) = p0 ( xn ) −−−−−→ p0 ( xn ) e
W
sinh Lp
Lp
Anche la 2.6, in seguito ad un’altra semplificazione della tangente (questa volta approssimata W invece
che con LWp ) si modifica e appare come di seguito:
qD p p0 (0) qD p n2i
V V
2 W grande 0
Jp = ni e − 1 −−−−−→ p (0)
Vth
e −1
Vth
L p ND tanh LWp ND L p
Per il calcolo della corrente vera e propria (I) è sufficiente moltiplicare per la superficie A la seguente
somma delle densità di corrente (ove JGR è il contribuito dovuto a generazioni e ricombinazioni ed è pari
Rxn
a JGR = qU ( x ) dx):
−x p
I = A J p + Jn + JGR
Consideriamo il caso di diodo a base corta: in seguito alle approssimazioni fatte, p0 ( x ) è una funzione
dp0 ( x ) dJ p
lineare di x. Pertanto J p ( x ) = −qD p dx è indipendente da x. Ne consegue che dx = 0 ma, poiché
dJ p
dx = −qU se ne deduce che U = 0. Quindi nell’approssimazione di diodo a base corta i portatori
46
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 47
Jdrift − Jdiffusione ≈ 0
Quindi, ricordando le espressioni per le due densità di corrente e semplificando il termine q, si ha:
pµ∇φ + D ∇ p ≈ 0
∇p
µ∇ ϕ + D ≈0
p
∇p ∇p
ni ni p p
µ∇ ϕ + D p ≈0 ⇒ p = ∇ ln ⇒ µ∇ ϕ + D ∇ ln ≈0
ni ni
ni ni
p Vth non dipende dalla coord. spaziale p φF =0 per ipotesi
∇ ϕ + Vth ∇ ln ≈ 0 −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−→ ϕ + Vth ln ≈ costante −−−−−−−−−→ 0
ni ni
Da cui si ha:
φ0 −φ
p V
≈ e Vth = e Vth
pn0
Si noti che se la differenza di due gradienti (in questo caso il potenziale e la concentrazione di lacune)
è più piccola di entrambi ed è proporzionale al gradiente di un’ulteriore quantità (lo pseudo-potenziale di
Fermi), allora quest’ultimo gradiente sarà più piccolo degli altri due e la grandezza che ne fa da argomento
avrà un andamento molto più blando (vedi figura 2.18). Questo ragionamento cade in difetto se V è molto
intenso e la barriera si abbassa a tal punto da far crescere a dismisura J e violare le nostre ipotesi iniziali.
47
48 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
Figura 2.18: Confronto fra gradienti: concentrazione di lacune, potenziale, pseudo-potenziale di Fermi
In questa sede tratteremo soltanto della capacità di giunzione: detta xd la larghezza della parte svuo-
tata, data dalla somma delle larghezze xn e x p (rispettivamente riferite alla parte n e p della giunzione),
s
2ε si NA φi − VA
xn =
q ND NA + ND
s
2ε si ND φi − VA
xp =
q NA NA + ND
qND xn2 qNA x2p
con φi − VA = +
2ε si 2ε si
si ha
esi
Cj =
xd
La capacità di giunzione dipende quindi dal potenziale complessivo ai capi della giunzione; tale relazione
è graficata in figura 2.19.
48
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 49
49
50 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
• continuità di carica:
1 dJn n p − n2i
− =0
q dx τn (n + ni ) + τp ( p + pi )
| {z }
R− G
(2.15)
1 dJ p n p − n2i
− − =0
q dx τn (n + ni ) + τp ( p + pi )
| {z }
R− G
• densità di corrente:
Jn = −qµn n∇φ + qDn ∇n
(2.16)
J p = −qµ p p∇φ − qD p ∇ p
• qψ: affinità elettronica: distanza tra l’inizio della banda di conduzione e l’energia dell’elettrone libero
nel semiconduttore;
Figura 2.20: Livelli energetici nel metallo e nel semiconduttore (presi separatamente)
Nell’immagine 2.21 vediamo invece cosa accade quando mettiamo a contatto le due regioni: i due livelli di
Fermi devono coincidere quindi tutti gli altri livelli si modificano perché questo accada. All’atto della for-
mazione della giunzione metallo-semiconduttore, infatti, gli elettroni si trasferiscono dal semiconduttore
al metallo. Il trasferimento di carica implica la nascita di un campo elettrico nella regione di giunzione
e la formazione di uno strato svuotato dal lato del semiconduttore (mentre nel metallo l’ampiezza della
regione svuotata è praticamente nulla). In figura vengono evidenziati:
• φi = φ M − φS : il potenziale di built-in;
q
2εφ
• d = qNDi : lunghezza della regione svuotata;
Il meccanismo di conduzione prevalente è quello dell’emissione dei elettroni dal metallo dovuto al di-
slivello delle due work-function (φ M e φS ). Dispositivi come il diodo Schottky, creato mediante tale tipo
di giunzione, ha una tensione di soglia minore del ’classico’ diodo PN ed è molto più veloce a condurre
in quanto le particelle - elettroni nel caso di semiconduttore n o lacune nel semiconduttore p - vengono
iniettate invece che diffuse (come nel caso PN). La corrente in diretta viene inoltre fornita dallo sposta-
mento dai maggioritari (elettroni, che nel metallo ce ne sono quanti ne vogliamo). La presenza di stati di
50
CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN 51
interfaccia può alterare in modo sostanziale l’allineamento delle bande ed impedire la formazione corretta
della giunzione. A causa di non idealità quali
• altri problemi;
il diodo Schottky tende a comportasi quasi come una resistenza (effetti Ohmici, vedi figura 2.22); per
evitare problemi di scarsa riproducibilità della barriera dovuti a stati superficiali, il metallo viene dunque
deposto su silicio ad alto drogaggio in modo che vi sia un abbassamento della barriera e la regione
svuotata risulti molto schiacciata. Per questo la barriera, se anche si forma, viene facilmente penetrata per
effetto tunnel quantistico (figura 2.23), dando luogo al comportamento desiderato. Se trascuriamo le non
Figura 2.22: Gli effetti di non idealità paiono rendere la caratteristica I (V ) del diodo Schottky meno pendente della
controparte PN
idealità indicate sopra, il diodo Schottky sbaraglia la giunzione PN per la pendenza della caratteristica
I (V ) (contrariamente a quanto mostrato in figura 2.22).
51
52 CAPITOLO 2. GIUNZIONE PN
52
Capitolo 3
Il transistore bipolare a giunzione (Bipolar Junction Transistor) è storicamente il primo dispositivo elet-
tronico allo stato solido a tre terminali. Dall’anno delle sua invenzione (1947), il BJT si è rapidamente
affermato in campo analogico, digitale e nell’elettronica di potenza, rimanendo il più importante dispo-
sitivo dell’elettronica dello stato solido fino al raggiungimento della maturità delle tecnologie MOS e
CMOS (anni ’70). Recentemente i dispositivi MOSFET hanno acquisito una decisa preminenza, soprattut-
to nell’elettronica digitale, ma i transistori bipolari conservano una notevole importanza per applicazioni
analogiche e miste (analogico-digitali) vista la bassa quantità di rumore prodotta in virtù del fatto che la
conduzione avviene attraverso una corrente che scorre nel corpo del semiconduttore e non al di sotto di
un’interfaccia (oggetto colmo di impurità) come avviene nel MOS. Il transistore bipolare a giunzione è un
dispositivo nel quale due giunzioni pn sono accostate in modo che possano interagire con le caratteristi-
che che vedremo più avanti. Il termine bipolare si riferisce invece al fatto che la conduzione della corrente
all’interno del dispositivo è affidata a portatori di entrambe le polarità. I tre terminali sono detti emettitore,
collettore e base. Emettitore e collettore hanno lo stesso drogaggio (n nei BJT npn e p nei transistori bipolari
di tipo pnp), ma l’emettitore ha un numero ben più alto di atomi droganti. Questo rende tali regioni non
intercambiabili e fa sì che il dispositivo non sia simmetrico. Il transistore bipolare è caratterizzato da un
guadagno gm ∝ IC : questo significa che la capacità di guadagno dipende dalla corrente. Questo purtroppo
fa sì che a poca corrente corrisponda un esiguo guadagno. In figura 3.1 vediamo un transistore npn in
configurazione di base comune (base posta a massa). Essendo un due porte in grado di amplificare, si ri-
chiede al BJT che la corrente d’uscita Iu sia funzione della tensione e della corrente d’ingresso ( f (Vin , Iin )),
ma non della tensione d’uscita Vu : dobbiamo insomma garantire che la maggior parte della corrente della
porta d’uscita sia determinata dalla porta di ingresso. Nella configurazione a base comune, ad esempio, il
collettore rappresenta l’uscita e l’emettitore l’ingresso, dunque IC deve dipendere poco da VC e molto da
VE . Questo tuttavia non può accadere se la base è lunga, in quanto ciò rende emettitore e collettore molto
distanti e quindi disaccoppiati visto che gli elettroni (che sono pari a n p (vbe ) nel confine tra emettitore e
base) precipiteranno velocemente al livello dei minoritari d’equilibrio della base (livello n p0 nella figura
3.6). Questo ci aiuta a comprendere come mai un BJT a base lunga perda l’effetto transistore (possiamo
vedere la versione concentrata di tale componente in figura 3.3): se W > L p è infatti chiaro che non potrà
esservi conduzione efficace fra i terminali C ed E visto che al collettore saranno presenti pochissimi elet-
53
54 CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE
troni e il campo elettrico presente nella giunzione B-C non avrà un granché da convogliare verso l’uscita.
Se la base è corta, invece, la curva di concentrazione si alzerà e - invece che caratterizzarsi come espo-
nenziale negativo - tenderà sempre più ad essere una tangente iperbolica. Ovviamente l’applicazione di
una tensione vbe più alta aiuta la nostra curva di concentrazione ad alzarsi cosicché la corrente aumenta a
dirombella. Riassumendo, dunque, gli elementi che facilitano la conduzione sono una base corta e una vbe
(tensione d’ingresso) sufficientemente alta.
Poco fa si è parlato di un campo elettrico fra base e collettore: tale campo impedisce alle lacune di
andare verso l’uscita, mentre incoraggia gli elettroni ad oltrepassare la giunzione com’è giusto che sia.
Ovviamente, per massimizzare l’effetto transistore, vorremo non avere la corrente di collettore (che scorre
in direzione opposta, cioè dall’uscita verso l’ingresso) - ma ovviamente essa sarà assente solo in condizioni
perfettamente ideali, così come in condizioni ideali la corrente di collettore si specchierà esattamente in
quella d’emettitore. In tal caso, peraltro, non avremmo corrente di base e il nostro BJT sarebbe una valvola
ideale.
54
CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE 55
• vbe > 0 e vbc > 0: BJT saturo. In questo caso sia la regione svuotata fra E e B che quella fra B e
C sono in diretta: questo inibisce l’effetto di amplificazione visto che la base si riempie di carica da
entrambe le parti (collettore ed emettitore) e le due correnti di verso opposto si annientano1 ;
• vbe > 0 e vbc < 0: regione normale diretta (RND). Trattasi della nostra regione preferita: qui il nostro
BJT si comporta come una valvola (o, se preferiamo, come un generatore comandato di corrente) e
alla porta d’uscita abbiamo una corrente comandata dalla tensione d’ingresso;
• vbe < 0 e vbc > 0: regione normale inversa (RNI). Abbiamo unicamente correnti di saturazione: il
dispositivo è in questo caso assolutamente inutile.
Supponiamo ora di essere in regione normale diretta: in tal caso le concentrazioni di minoritari lungo il
BJT sono raffigurate in figura2 3.5 (nell’immagine, in particolare, si mettono a confronto le concentrazioni
di minoritari in equilibrio (pedice 0) e quelle che si hanno in regime di RND). Tutte le curve non all’equi-
librio dipendono da quanto sia consistente la lunghezza del semiconduttore W rispetto alla lunghezza di
diffusione L p e possono somigliare o a un esponenziale o a qualcosa d’altro (arcotangente o retta) a se-
conda se W sia maggiore o minore di L p . A ridosso della giunzione E-B, polarizzata in diretta, la quantità
di lacune al termine nell’emettitore (pn ) e la quantità di elettroni all’inizio della base (n p ) sono fissati dalle
condizioni al contorno di Shockley; presso la giunzione B-C, polarizzata in inversa, i minoritari (elettroni
in B e lacune in C) devono invece crollare verso lo zero. Nel collettore le lacune vengono infatti attirate
dalla base e abbiamo unicamente una piccola corrente di saturazione (presente anche se annulliamo la
vbe ). Grazie a questo schema capiamo anche meglio il senso del cosiddetto effetto Early (figura 3.7): esso
si manifesta quando siamo in RND e fa sì che la vce e la corrente d’uscita siano fra loro legate (orrore!).
Aumentando vce , infatti, aumentiamo la larghezza della zona svuotata nella giunzione B-E: questo vuol
dire che gli elettroni (cioè i minoritari) in base devono crollare più velocemente a zero. La concentrazione
di tali elettroni sarà quindi rappresentata da una retta sempre più pendente e, dunque, aumenterà la cor-
rente (vedi figura 3.6). Purtroppo l’effetto Early è aggravato dal fatto che il drogaggio nella zona p della
base è relativamente basso e dunque la zona svuotata si mangerà buona parte del semiconduttore p al
crescere della tensione vce , aumentando quindi la pendenza della retta di concentrazione (di cui sopra).
Nel caso decidessimo di mettere in diretta la giunzione BC (andiamo nella regione di saturazione) la
1 La regione OFF e la regione di saturazione sono tipiche di un circuito digitale, ma per il BJT sono passate di moda perché i FET
55
56 CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE
pendenza della stracitata retta di concentrazione dei minoritari nella base crollerebbe acciocché3 inonde-
remmo quest’ultima di portatori da entrambe le parti: velocemente la corrente calerebbe dunque verso lo
zero.
Figura 3.8: Schema di riferimento per il calcolo delle correnti caratteristiche del BJT
56
CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE 57
emettitore sarà:
IE = − A( Jn (OE− ) + J p (OE− ))
Il segno meno è dovuto alla convenzione per la quale IE è la corrente che entra al morsetto di emettitore, A
è il fattore d’area del diodo, Jn (OE− ) e J p (OE− ) sono le densità di correnti, ma delle due sappiamo calcolare
solo la seconda: per la prima sarà necessario passare per Jn (OE+ ) e trovare una relazione che mi sposti
all’ascissa OE− . Sfruttiamo quindi l’espressione della corrente di collettore:
IC = − A J p OC+ + Jn OC+
La giunzione EB è polarizzata in diretta ed è piena di portatori, dunque l’integrale che tiene conto del-
la ricombinazione è di importante entità. Viceversa, le ricombinazioni fra B e C sono da considerarsi
trascurabili per cui possiamo scrivere:
IC = − A J p OC+ + Jn OC−
In questo modo le correnti IE ed IC sono espresse attraverso le correnti di portatori minoritari sul bordo
della regione quasi neutra. Mettendo a confronto i due termini possiamo scrivere (si tralasciano i passaggi
intermedi):
IC , h FB IE + ICB0
|{z}
+
AJ p (OC )
Questa relazione mette in relazione il fatto che la corrente di collettore è fatta da una componente di
saturazione di lacune, ovvero il termine ICB0 , e da un termine che è proporzionale ad IE . Facciamo
ora l’ipotesi che ICB0 sia circa zero, visto che tale corrente di saturazione è piccola perché dovuta alle
pochissime lacune minoritarie che dal collettore muovono verso l’emettitore (il drogaggio di collettore è
inferiore a quello di base). Abbiamo quindi:
ICB0 ≈ − AJ p OC+ → 0
Dunque possiamo trovare un’espressione alla costante di proporzionalità h (in assenza di corrente di
saturazione):
AJn OC−
∼ −
IC , h FB IE = AJn OC ⇒ h FB =
IE
Se ora sostituiamo IE per quello che è, e infine moltiplichiamo e dividiamo per Jn (OE+ ), otteniamo:
AJn OC− Jn OC− Jn OE+
h FB = = ·
Jn OE+
IE OE+
+ −
R
| {z } Jn OE + J p OE − q U ( x ) dx
fattore di trasporto in base α T
OE−
| {z }
efficienza di emettitore γE
57
58 CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE
• l’efficienza di emettitore γE (anche lui ≤ 1), che tiene conto di quanto è asimmetrica la giunzione BE.
Riusciamo ad incrementare questa figura di merito rendendo l’emettitore molto meno drogato della
base. Perché la differenza fra i due drogaggi sia rilevante è importante, partendo da una barretta
uniformemente drogata p, mettere moltissimi atomi donori sull’emettitore (vedi grafico 3.9) per
rendere quest’ultimo fortemente n.
Il collettore, a differenza dell’emettitore, è drogato all’incirca come la base per evitare che vi sia la rottura
elettrica della giunzione: il campo elettrico che si viene ivi a formare è infatti funzione del drogaggio cosic-
ché, se quest’ultimo risulta eccessivo, si generano degli Emax così elevati da farci avvicinare al temutissimo
breakdown (VC è applicata in inversa!). Se però droghiamo troppo poco4 ci troveremo con una resistenza
di base molto grande e in grado di provocare una sgraditissima caduta sulla tensione vbe . Operativamente
• drogando molto l’emettitore per fomentare l’effetto tunnel quantistico e abbattere la relativa resistenza;
• la corrente di base è piccola dunque si dà per buono il drogaggio della base. Se esso dovesse
però rivelarsi inadeguato potremmo incappare in un altro problema sottile e insidioso: l’effetto
ohmico che si potrebbe creare provocherebbe una caduta di tensione tale da spegnere una parte della
giunzione (vedi figura 3.11) e mantenere attiva solo quella vicino al contatto (presso il quale entra la
corrente IB ). La cosa è ancor più grave se teniamo conto del fatto che la relazione tensione/corrente è
di tipo esponenziale, quindi una caduta di ’soli’ 100 mV potrebbe farci avere 50 volte meno corrente.
Potremmo allora pensare di drogare un po’ di più la base, ma ciò ci sarebbe impedito dall’aggravarsi
del parametro γE ; tuttavia, per sciogliere quest’ultimo inghippo, la soluzione che normalmente si
adotta è quella di predisporre più contatti d’emettitore (figura 3.12);
• anche la resistenza RC del collettore è un parametro di cui tenere conto, visto che toglie potenza al
carico; come sempre potremmo cercare di ovviare al problema modulando il drogaggio, ma ovvia-
mente un trade-off interviene solerte a romperci gli zebedei: per poter mantenere una buona tensione
4 Che palle ’sti tradeoff !
58
CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE 59
di break-down, il drogaggio non deve infatti aumentare molto. A diminuire la resistività si aggiunge
uno strato sepolto molto drogato (è una zona n+, vedi immagine 3.13) sul fondo della zona di col-
lettore, avendo cura di impedire che la zona svuotata, al crescere di vce , non arrivi assolutamente a
toccarlo5 . Si cerca quindi di isolare il più possibile la parte n+ di cui si è appena parlato con la parte
p del collettore: se le due venissero in contatto, infatti, la catastrofica conseguenza sarebbe quella di
avere due giunzioni in parallelo con due tensioni di breakdown differenti.
59
60 CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE
n 0 ( x ) = n ( x ) − n0 ( x ) (3.1)
0 0
Chiamato nOE + il termine n (0) (ovvero l’eccedenza di elettroni all’ascissa OE + = 0 presenti nel caso
polarizzato rispetto a quello in equilibrio) e tenendo conto del fatto che l’andamento di n( x ) è triangolare,
si ha:
x x
n 0 ( x ) = n 0 (0) − n 0 (0) 0
= nOE + 1 −
W W
Come possiamo calcolare il tempo medio che questa popolazione elettronica impiega per effettuare il pas-
saggio in base? Partiamo dall’espressione della densità di corrente presso il limitare della zona svuotata,
lato emettitore:
v
be
vbe n2 e VT −1
i
qn2i Dn e VT
−1 0
nOE 0
+= N (condizioni di Shockley) qDn nOE +
Jn OE+ A
= −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−→
W NA W
Sappiamo altresì che, per definizione:
Jn ( x ) = qn ( x ) v ( x )
Dalla 3.1 sappiamo che il termine n( x ) è la somma della componente all’equilibrio n0 ( x ) e di quella
’aggiuntiva’ di fuori equilibrio n0 ( x ): la corrente, tuttavia, sarà data soltanto da quest’ultimo termine8 .
x
0
Jn ( x ) = qv0 ( x ) n0 ( x ) = qv0 ( x ) nOE + 1−
| {z W }
n0 ( x )
6 Cioè
gli elettroni, visto che la base è drogata p.
7 Che
per ipotesi consideriamo larga W.
8 Abbiamo in particolare che:
n0 ( x ) , n ( x ) , Jn ( x ) −
→ 0 ⇒ v (x) −
→ v0 = 0
Una velocità media nulla ci indica che - sempre in termini medi - gli elettroni non si muovono, il ché potrebbe anche significare che
un certo quantitativo di elettroni va in una direzione mentre un’altra identica quantità di carica si dirige in quella opposta.
60
CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE 61
Sostituendo x = 0 all’equazione appena ottenuta otteniamo la velocità presso il bordo della zona svuotata
(lato emettitore):
Jn OE+
0
Jn x = OE+ = 0 = qv0 x = OE+ = 0 nOE
0 0 +
+ 1 − ⇒ v O E = 0
W qnOE +
0
Ricordandoci del valore di nOE + otteniamo il seguente notevole risultato:
Jn (O+ )W
Jn OE+ nOE Jn OE+
0 E
0 += qDn Dn
OE+
v = 0 −−−−−−−−−→ + =
qnOE+ Jn (O )W W
q qDEn
Facilmente ci si accorge del fatto che un piccolo termine W (cioè una base stretta) è causa di un’alta velocità
media dei nostri elettroni.
Facciamo ora un errore di approssimazione confondendo la corrente all’ascissa 0 con quella che pos-
siamo avere negli altri punti della base: così facendo, in pratica, stiamo trascurante il fattore di trasporto
in base.
Jn OE+ ∼
= Jn ( x )
0
qDn nOE+ x
= qv0 ( x ) nOE
0
+ 1 −
W W
0 D
v (x) = x
W 1− W
S’evince che la velocità media, ascissa per ascissa, non è costante. Essa aumenta altresì per x crescente, cioè
al calare della concentrazione di elettroni (più o meno quello che accade in un tubo di Venturi9 ): dove vi
sono meno cariche, queste sono più veloci. Con un integrale è possibile sommare tutti gli infinitesimi tratti
della base associando ad essi la propria velocità caratteristica: il risultato sarà il tempo di attraversamento
in base.
x
ZW ZW x
ZW
1 W 1− W dx W 1− W W x W2
0
= ⇒ tnb = = dx = 1− dx =
v (x) D v0 D D W 2D
0 0 0
Purtroppo, in virtù delle pesanti semplificazioni fatte durante la trattazione, questo risultato è approssi-
mato e quindi non del tutto veritiero. Esso ci comunica però importanti informazioni: perché il tempo
di attraversamento in base sia basso (cosa desiderabile, visto che meno tempo gli elettroni impiegano a
zampettare da emettitore a collettore e meno ne morranno, se consideriamo che il tempo di vita è quello
che è. . . ) dovremo avere un grande coefficiente di diffusione e una base stretta. In particolare, la riduzione
di W influisce molto nel diminuire il parametro tnb .
Facciamo ora un passo indietro e torniamo al nostro fattore di trasporto in base: con i nuovi fantasma-
gorici risultati possiamo giungere infatti ad altre importanti conclusioni. Abbiamo:
Jn OC− Jn OE+ + q U ( x ) dx
R R
q U ( x ) dx
αT = = = 1+ = 1 − δT
OE+ Jn OE+ Jn OE+
Jn
| {z }
=−δT
Definiamo il termine indicato dalla parentesi graffa mediante un segno meno per sottolineare il fatto che
rappresenta un contributo sottrattivo (dato che saranno in maggior numero le ricombinazioni rispetto alle
9 L’effetto Venturi (o paradosso idrodinamico) è il fenomeno fisico, scoperto e studiato dal fisico Giovanni Battista Venturi, per
cui la pressione di una corrente fluida aumenta con il diminuire della velocità. È possibile studiare la variazione di pressione
di un liquido in un condotto, inserendo dei tubi manometrici. L’esperimento dimostra che il liquido raggiunge nei tubi altezze
diverse: minore dove la sezione si rimpicciolisce (in cui aumenta la velocità) e maggiore quando la sezione si allarga (ovvero
quando la velocità diminuisce). Dato che la pressione del liquido aumenta all’aumentare dell’altezza raggiunta dal liquido nei
tubi manometrici, è possibile dire che ad un aumento della velocità corrisponde una diminuzione della pressione e viceversa, cioè
all’aumento della pressione corrisponde una diminuzione della velocità. Con esperimenti appropriati, è possibile notare lo stesso
fenomeno nei gas.
61
62 CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE
generazioni e dunque l’integrale in U sarà negativo). Vogliamo ora capire come il termine δT sia parente
del tempo di attraversamento in base. Definiamo analiticamente U come:
−
ZOC
n − n0
U ( x ) dx = U =
τ
OE+
Quest’integrale rappresenta l’area sottesa dalla curva dei minoritari n0 ( x ) (figura 3.15) e cioè, tenendo
conto della banale formula della superficie di un rettangolo:
v
be
n2i e VT − 1
1
U= W
2 NA
Possiamo quindi sostituire questa espressione in quella di δT (omettiamo il segno meno, ma ricordiamoci
vbe
vbe
−1
n2i e VT
−1 2
qDn ni −1
e VT
qU 1 1 W2 1
δT = =q W · = ... =
Jn OE+ 2 NA NA W 2 D τ
| {z }
−1
( Jn (OE+ ))
Nell’espressione testé scritta troviamo il tempo medio di attraversamento in base e il tempo di vita dei
minoritari:
1 W2 1 t
δT = = nb
2 D τ τ
Riarrangiando l’espressione di δ possiamo trovare quest’altro modo equivalente di esprimere tale para-
metro:
W2 1 W 2
tnb
δT = = =
2Dτ τ 2 Ln
62
CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE 63
OE−
| {z }
corrente totale
Possiamo ora dividere questo termine frazionario per il numeratore e individuare parametri notevoli:
Jn OE+
1 1
γE = = =
OE+ OE+ 1 + E + δR
δ
Jn OE+ + J p OE− − q U ( x ) dx
R R
q U ( x ) dx
J p OE−
OE− OE−
1+ + + −
+
Jn O Jn OE
| {z E } |
{z }
δE δR
Il termine δR è poco interessante: ci dice quanta corrente ’ci sfugge’ all’interno dell’emettitore, ma si pre-
suppone che quest’ultimo - essendo molto drogato e stretto - non dia adito a grosse perdite. Trascurando
quindi tale termine abbiamo:
1 ∼ 1
γE = =
1 + δE + δR 1 + δE
Nell’ipotesi di base ed emettitore corti abbiamo:
Ecco dimostrato che il parametro γE dipende dal rapporto fra i droganti. Capiamo inoltre che:
• un emettitore troppo corto (WE piccola) fa crescere il parametro δE e dunque peggiora di molto
l’espressione della corrente. Viceversa, un emettitore troppo lungo è sconsigliabile per l’elevato
effetto resistivo;
Per modulare l’efficienza di emettitore γE si ricorre ad escamotage come ad esempio l’uso eterogiunzioni
silicio-germanio.
63
64 CAPITOLO 3. DIODO BIPOLARE A GIUNZIONE
64
Capitolo 4
4.1 Introduzione
65
66 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Il terminale di gate è uno strato di polisilicio (silicio policristallino) posto sopra il canale e da esso separato
tramite un sottile strato isolante di biossido di silicio (SiO2 ). Quando si applica una tensione superiore
alla tensione di soglia, tra i terminali di gate e source, il campo elettrico che si genera crea quello che si
chiama canale nel substrato sottostante. Il canale è dello stesso tipo (n o p) del source e del drain, quindi
fornisce un percorso conduttivo tra questi due elettrodi. Variando la tensione tra gate e bulk (substrato)
(che di solito si considera implicitamente collegato al source) si modifica di conseguenza la conduttività di
questo strato e rende possibile controllare il flusso di corrente tra drain e source.
Chiameremo φ M la funzione lavoro (work function) del metallo, ovvero il salto energetico tra il livello di
Fermi e il livello del vuoto (vacuum level, vedi figura 4.4). Nel metallo il livello di Fermi si trova all’interno
della banda di conduzione.
Nell’ossido di silicio parlare di bande è una forzatura, visto che tale isolante nasce come amorfo (cioè
privo di struttura cristallina) mentre la base teorica dalla quale è scaturito il concetto di banda prevede
invece l’analisi di un cristallo perfetto. Di seguito però ci spoglieremo di ogni esitazione e non ci faremo
problemi nell’utilizzare questa forzatura a piene mani. Nell’isolante il livello di Fermi si trova all’interno
del gap.
1 Termine
tecnico!
2 Oggi,
sfondata la barriera del nanometro, non si può più utilizzare questa tecnica. Si deve invece ricorrere a materiali (ad alta
costante dielettrica) che a parità di spessore risultano essere meno isolanti dell’ossido di silicio, ma che a parità di tensione inducono
un grande campo elettrico sotto di essi.
66
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 67
Nel silicio (semiconduttore), il diagramma a bande non è univoco, bensì dipende dal drogaggio; univo-
ca è invece la distanza energetica tra il fondo della banda di conduzione e il livello di vuoto: chiameremo
questo parametro affinità elettronica ψ. La funzione lavoro nel silicio è φS ed è funzione del drogaggio3 ;
essa può essere ricavata anche come
ψS = ψ + distanza tra EC ed EF
φS = φ M
come ad esempio accade in un condensatore (in cui si giustappongono metallo - isolante - metallo).
67
68 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
alla legge di conservazione della carica: dato che il quantitativo totale di carica dev’essere nullo, la carica
sul metallo dev’essere controbilanciata da una carica uguale e contraria sul semiconduttore.
Ricavare i livelli energetici significa conoscere il potenziale6 nella struttura; per ricavare quest’ultimo
fa al caso nostro l’equazione di Poisson, la quale lega il potenziale φ alla densità di carica ρ. In partico-
lare possiamo considerare tutta la caduta di potenziale come interamente distribuita fra I (isolante) ed S
(semiconduttore): il metallo del gate ha infatti così tanta carica che le cariche positive depositantivisi una
volta applicata una tensione occupano uno strato sottilissimo e del tutto trascurabile di alcuni Angstrom.
La stessa quantità di carica che si trova in tale esile pellicola è la stessa che si accumulerà a ridosso del se-
miconduttore in una zona molto più spessa visto che, confrontato col metallo, tale materiale risulta essere
molto più povero di carica.
Fatta l’ipotesi di drogaggio uniforme, le bande si piegheranno in maniera lineare sull’isolante e in
maniera parabolica al principio del semiconduttore (per la presenza di cariche). In figura 4.5 vediamo
appunto come si raccordano le bande energetiche all’interno del dispositivo MOS: si noti l’andamento
lineare nell’ossido e le barriere per elettroni e lacune. La distanza del livello di vuoto dal quello di Fermi
EF è pari a φ M = 4,1 eV nel metallo e a φS = 4,85 eV nel semiconduttore: abbiamo quindi 4, 85 − 4, 1 = 0, 75
V di caduta nel dispositivo7 . Tale salto di potenziale, che è in grado di farci capire com’è qualitativamente
strutturato il diagramma delle bande, si distribuirà tra isolante e semiconduttore: inoltre, esso corrisponde
alla quantità di tensione necessaria al gate per pareggiare le bande. Variando il drogaggio è possibile
modulare questa caduta di potenziale: per esempio, drogando maggiormente il semiconduttore, si può
calare il piegamento delle bande ottenendo una φ M − φS = φ MS = 0, 45 V.
7 Attenzione alle unità di misura: i livelli energetici sono misurati in eV (1 eV = energia acquistata da un elettrone libero quando
passa attraverso una differenza di potenziale elettrico di 1 volt nel vuoto), mentre il potenziale è come al solito quantificato in volt.
8 Faremo l’ipotesi di avere fra le mani un dispositivo MOS ideale del quale conosciamo con certezza la funzione lavoro φ .
M
68
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 69
Figura 4.5: Andamento delle bande energetiche all’interno del dispositivo MOS
potenziale in un punto per conoscere il numero di elettroni e di lacune in quel punto. Avendo applicato
il potenziale VG sul metallo, EF verrà trascinato giù di una quantità qVG ; le bande, inoltre, si piegheranno
come mostrato in figura 4.6. Se il livello di Fermi intrinseco EFi è esattamente pari al livello di Fermi sulla
superficie di interfaccia fra semiconduttore ed isolante, la concentrazione di lacune è uguale a quella di
elettroni e pari a
p = n = ni
come accade in un semiconduttore intrinseco. Molto a destra, cioè presso il bulk9 , abbiamo invece
n2
p ≈ NA n≈
NA
Aumentiamo ancora un po’ il piegamento delle bande e pompiamo VG : supponiamo di spingerci fino al
punto in cui EFi − EF sia pari a 0,3 V sull’interfaccia tra semiconduttore ed isolante. Guarda caso, così
facendo, tale differenza diventa uguale alla EF − EFi sul bulk (figura 4.7).
Abbiamo quindi:
( EFi − EF )tra S e I + ( EF − EFi )bulk = ψB + ψB = 2ψB
Questo fantomatico 2ψB è pari al famoso 2φF di Elettronica LA. In tali condizioni abbiamo raggiunto la
cosiddetta condizione di inversione: quando essa si realizza si ha
n = pbulk, all’equilibrio ≈ NA
• accumulazione (VG < VFB ): quando VG è minore di VFB le bande sono piegate, ma sul semicon-
duttore S cade poco potenziale perché la tensione applicata ha ivi richiamato moltissime lacune e la
zona in questione tende a comportarsi come se fosse un metallo;
• banda piatta, flat-band (VG = VFB ≈ −1 V): in questo caso abbiamo raggiunto artificialmente (cioè
mediante l’applicazione della tensione VG ) la situazione di banda piatta; in tal caso, supponendo che
9 Localizzato sul fondo del semiconduttore.
69
70 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Figura 4.6: Piegamento delle bande alla presenza di un potenziale applicato VG sul gate
Figura 4.7: Secondo caso di piegamento delle bande: ( EFi − EF )tra S e I = ( EF − EFi )bulk
• deplition (VFB < VG < VT ): alzando il potenziale oltre la tensione di flat-band, iniziamo a cacciare via
le lacune a scoprire la carica negativa sulla superficie del semiconduttore (iniziamo perciò ad incre-
mentare una zona svuotata): tale carica è tuttavia ancora troppo poca per permettere la formazione
di un canale tra source e drain, quindi il MOS è ancora spento. Finché siamo in accumulazione e fino
a quando non abbiamo raggiunto l’inversione, il vero parametro che conta è NA . Facendo l’ipotesi
che il semiconduttore sia drogato accettore, abbiamo infatti:
• equilibrio (VG = 0): sempre più carica negativa si sta accumulando sotto l’ossido (la regione svuo-
tata aumenta inesorabilmente) e sempre più carica positiva viene respinta verso il bulk. Quando
VG = 0, abbiamo cacciato via abbastanza lacune da far sì che:
pS = nS = 1010
pS = 103 nS = 1017
10 Il parametro φS è la tensione presso la superficie fra S e I.
70
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 71
La situazione è duale rispetto a quella di banda piatta: abbiamo invertito le cariche e sotto l’ossido
c’è ’na marea di elettroni: il canale è ormai completamente formato ed è possibile un’efficace con-
duzione tra source e drain. All’ulteriore crescere di VG , l’extratensione fornita si divide fra ossido e
semiconduttore aumentando l’entità del piegamento delle bande. Chiaramente c’è un limite a tale
piegamento: il numero di elettroni a formare il canale non può certo salire all’infinito! Ad un certo
punto infatti, un po’ come accadeva in forte inversione, la quantità di carica sarà tale da rendere
la superficie del semiconduttore molto simile ad un metallo11 cosicché la caduta di potenziale si
sposterà tutta sull’ossido.
In figura 4.9 si mostra l’andamento delle cariche (pallini bianchi = elettroni, pallini scuri = lacune) in
funzione della tensione VG applicata sul gate. L’andamento è lineare, ma il grafico è logaritmico cosicché
le variazioni sono in realtà esponenziali e quindi molto rapide. La linea tratteggiata nel grafico inferiore
indica il parametro NA (drogaggio del semiconduttore): grazie a tale immagine risulterà dunque più
chiaro cosa s’intendesse nell’affermare che ’NA è dominante’ all’interno della fase di deplition.
71
72 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Figura 4.9: Andamento della quantità di carica in base alla regione di funzionamento
Figura 4.10: Andamento della quantità di carica nel silicio (l’ascissa zero corrisponde all’interfaccia S-I)
a zero, rimanendo tale fino al bulk. Il calcolo della carica totale è quindi molto banale:
Ldepl
Z
Qdepl = ρ ( x ) dx = −qNA Ldepl
0
72
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 73
d2 ϕ ρ qNA
2
=− =
dx ε si ε si
Abbiamo ovviamente bisogno di alcune condizioni al contorno per risolvere questa equazione differen-
ziale; la prima sia la seguente:
dϕ
= ϕ0 ⇒ ϕ0 Ldepl = 0
dx
Possiamo perciò mettere insieme le cose e scrivere:
Quanto scritto fin’ora vale ovviamente fra 0 ed Ldepl , visto che oltre tale ascissa non vi è carica per ipotesi.
Ora che abbiamo separato le variabili possiamo integrare (ricordando la nostra condizione al contorno per
scrivere gli estremi dell’integrale):
Ldepl
Z0
qNA
Z
0
dϕ = dx
ε si
ϕ0 ( x ) x
qN
− ϕ0 ( x ) = − A Ldepl − x
ε si
Ora riapplichiamo il metodo testé abilmente usato: forniamo una nuova condizione al contorno,
ϕ Ldepl = 0
separiamo le variabili
dϕ qNA qNA
ϕ0 ( x ) = = Ldepl − x ⇒ dϕ = Ldepl − x dx
dx ε si ε si
e integriamo:
Ldepl
Z0
qNA
Z
dϕ = Ldepl − x dx
ε si
ϕ( x ) x
Otteniamo infine:
73
74 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Possiamo, se proprio lo desideriamo, ottenere il potenziale sulla superficie fra S ed I (ovvero φS ) sempli-
cemente sostituendo x = 0:
1 qNA
ϕ (0) = ϕS = L2depl
2 ε si
Invertendo questa formula è possibile ricavare Ldepl ovvero il tratto per il quale le bande, all’interno del
semiconduttore, hanno una curvatura parabolica (in altre parole, scopriamo quant’è spessa la regione
svuotata): r r
ε ϕ ε ϕS =2ϕ F ϕ ε
2ϕS si = L2depl ⇒ Ldepl = 2 S si −−−−→ 4 F si
qNA qNA qNA
Scopriamo dunque che, quando ci troviamo in condizione di forte inversione, il potenziale superficiale
varia molto poco al variare della quantità di carica superficiale: in altre parole, con poca tensione sono in
grado di portare molta carica al di sotto dell’ossido. Forti della conoscenza di Ldepl , sfruttiamo il risultato
ottenuto precedentemente per la quantità di carica Qdepl per ricavare:
p p
Qdepl = −qNA Ldepl = 2qϕS ε si NA = 4qϕ F ε si NA
Figura 4.12: Prima superficie sulla quale andiamo ad applicare il teorema di Gauss
Torna utile, in questo frangente, il teorema di Gauss: in soldoni, questo importante enunciato si può
riassumere affermando che il flusso del campo elettrico attraverso una superficie è pari alla carica in essa
contenuta diviso la costante dielettrica del mezzo. Dunque il nostro flusso dipende solamente dalla carica
elettrica contenuta all’interno della superficie, che sceglieremo ad arte:
• superficie parallelepipedoidale12 (superficie delle facce ’laterali’ = A) che comprende parte dell’os-
sido e (almeno) la parte svuotata del semiconduttore: questa situazione è illustrata in figura 4.12.
Abbiamo in tal caso che l’unica carica influente nella determinazione del flusso è la Qdepl ; si ha
dunque:
q
Φ = ⇒ Eox ε ox A − Esi ε si A = Dox A − Dsi A = Qdepl
ε
Immaginiamo ora di schiacciare le superfici laterali del nostro parallelepipedo, portando δ → 0
ma mantenendo pur sempre un’infinitesima quantità di carica Qdepl > 0 all’interno del volumetto in
questione. Avremo allora che, per continuità, i vettori di spostamento elettrico verranno a coincidere:
Dox = Dsi
Ne consegue che:
Eox ε
ε ox Eox = ε si Esi ⇒ = si
Esi ε ox
A cosa ci serve questo risultato? Facendo l’ipotesi che il potenziale sia nullo sul bulk, abbiamo:
φS + Vox = VG − VFB
12 Sei riuscito a leggerlo senza incespicare? Big rispetto per te.
74
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 75
Si può comprendere questa equazione mediante la figura 4.11: presso il metallo (M) si ha VG , Vox è
la caduta di tensione sull’ossido, φS il potenziale sulla superficie fra isolante e semiconduttore, VFB
la tensione di flat-band. Esplicitando Vox :
Vox = VG − VFB − ϕS
Figura 4.13: Seconda superficie sulla quale andiamo ad applicare il teorema di Gauss
Alla tensione di soglia VT , il canale non è ancora formato quindi la carica invertita è nulla:
VG = VT Qn = 0
75
76 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Ci salta immediatamente all’occhio la dipendenza della VT della VSB : questo può essere un problema
non da poco perché è come se vi fosse una capacità interposta fra source e bulk. Chiamando VT0 la
tensione di soglia quando VSB = 0 ( 14 )
p
VT0 = VFB + 2ϕ F + γ 2ϕ F
dVT
∝ γ ∝ NA
p
dVSB
4.4.3 Corrente
Facciamo delle ipotesi semplificative:
• Qn > 0;
Nella precedente relazione W è la larghezza del canale al di sotto dell’ossido ed L la sua lunghezza; questo
ci permette di applicare la seguente semplice legge della meccanica classica:
L L L L2
tSD = =− = − V −V =
vD µn E µn D L S µn VDS
W
IDS = µn Cox (VG − VT ) VDS
L
Come si vede dalla figura sopracitata, la parte preponderante della carica è quella che fa capo a Q B , mentre
Qn è minoritaria; quando però viene applicata sul gate una tensione VG = VT , presso l’ascissa tox si ha che
Q B = Qn e tale quantità di carica è corrispondente ad un piegamento delle bande pari a 2φF . Lo spessore
della zona svuotata, alla soglia (figura 4.15), è pari a:
s
2esi
xd = 2φF
qNA
76
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 77
Dox = Dsi
e che dunque:
Eox ε
ε ox Eox = ε si Esi ⇒ = si
Esi ε ox
Se consideriamo che il silicio ha una costante dielettrica che è circa il triplo di quella dell’ossido, avremo
che Esi sarà tre volte più debole di Eox . Ecco che quindi i diagrammi a bande che abbiamo visto fin’ora
potrebbero essere resi più corretti16 rendendo la pendenza del profilo di potenziale nell’ossido tre volte
superiore a quella che si ha, appena prima, nel semiconduttore (figura 4.16). Ecco quindi che ci si profila
davanti una questione piuttosto sottile ma fondamentale in sede di progetto: per far funzionare il MOS
dobbiamo, mediante l’applicazione di una tensione sul metallo, indurre nel silicio un potenziale sufficien-
te a creare il canale, ma come facciamo a creare questo campo senza sprecare potenza? Se infatti l’ossido
è molto spesso, la caduta di potenziale attraverso di esso sarà molto grande e dovremo applicare molta
tensione al gate per creare il canale. Viceversa, se nell’ossido di silicio cadesse meno tensione (cioè se fosse
14 Siccome supponiamo praticamente sempre che V = 0, intenderemo che V è la tensione di soglia che si ha quando la tensione
B T0
al source è nulla.
15 Anche se ci sono forze esterne, noi supporremo nulla la corrente.
16 Poi però sarebbe scomodissimo disegnarli. . .
77
78 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
meno spesso), potremmo quindi risparmiare sulla VG e sprecare meno potenza (figura 4.17: vengono raf-
figurati diversi spessori per l’ossido assieme alle relative tensioni). Tra gli anni ’70 e gli anni ’90, il grande
lavoro degli ingegneri elettronici è stato quello di ridurre il più possibile il tox . Oggi purtroppo siamo
arrivati a un limite tale per cui l’ossido è talmente poco spesso che, se fosse ulteriormente più sottile,
non isolerebbe adeguatamente. Per migliorare le cose si cerca quindi di calare la pendenza della retta del
profilo di potenziale attraverso l’isolante: l’unico modo per raggiungere questo obiettivo è ahimè17 quello
di cambiare materiale, scegliendone un altro (o altri, perché no) avente una costante dielettrica maggiore
(hi-key18 ). Una figura di merito molto diffusa è quindi la EOT (Equivalent Oxide Thickness, spessore equi-
valente dell’ossido): dato un certo isolante, complesso quanto si voglia, tale parametro ci dice quanto
dovrebbe essere spesso un equivalente strato di SiO2 per avere le stesse prestazioni in termini di caduta
di potenziale. Come al solito, la scelta della struttura dell’isolante soggiace ai capricci di un trade-off : si è
infatti scoperto che facendo crescere uno o due strati di ossido di silicio prima di depositarvi altri ossidi
sopra, il risultato è molto buono19 . Tuttavia, questo spazio usato per il silicio ci fa perdere un po’ delle
buone proprietà del materiale alternativo (e avente e migliore rispetto al SiO2 ) cosicché l’EOT aumenta
immediatamente.
Altro accorgimento per sprecare meno potenza: se aumentiamo la tensione sul gate abbiamo una
crescita di tensione sul semiconduttore in grado di richiamare tantissima carica sul silicio. Non serve
quindi creare un potenziale maggiore dei famosi 2φF per creare il canale: la carica è in tali condizioni già
sufficiente e un aumento (anche infimo) di tensione richiama immediatamente molta alta carica, dunque
possiamo risparmiarci la potenza che sprecheremmo aumentando troppo VG .
17 L’interfaccia isolante di ossido di silicio è così comoda! Per crearla basta infatti infilare il semiconduttore in un forno pieno di
ossigeno, senza bisogno di spalmare meccanicamente del materiale sulla superficie. E poi questo processo elimina anche le impurità
che sarebbero presenti sull’interfaccia S-I. . . Peccato!
18 In inglese la epsilon si chiama così. Mah.
19 Si ha ad esempio un miglioramento della mobilità elettronica.
78
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 79
Se vogliamo visualizzare la cosa, possiamo affermare che l’effetto Body è causa della comparsa di un
terzo elettrodo virtuale (figura 4.19): al crescere di VSB , infatti, presso il source va ad incrementarsi lo spessore
della zona svuotata. L’estendersi della zona svuotata ha come risultato l’allungamento dell’area ove cade
il potenziale (tutta potenza sprecata!). In figura 4.20 vediamo cosa accade se applichiamo una tensione di
bulk negativa: anche se il disegno è fatto un po’ male, il risultato non è quello di un cambio di curvatura
per il profilo di potenziale (il doping non è cambiato), bensì quello di una maggiore penetrazione della
zona svuotata attraverso il silicio.
Ponendo una tensione negativa sul bulk, abbiamo presso il source una quantità di carica Q B maggiore
di quella che avremmo con il terminale B a massa (il confronto è in figura 4.21). Per cacciare questa
(maggiore) quantità di carica nel substrato, e richiamare elettroni sufficienti per creare il canale, servirà
più tensione. . . e da qui l’effetto Body.
una certa tensione tra il drain ed il source, la tensione nei punti del canale non è costante, ma varia man mano che ci si sposta da un
potenziale all’altro (solitamente la massa per il source). Questo effetto è trascurato nella formulazione che porta all’equazione scritta
sopra, che già per questo motivo risulta approssimata. Una ulteriore approssimazione deriva dall’aumento della tensione di soglia.
Il campo elettrico presente nel canale è dettato unicamente dalle tensioni di drain e di source, mentre la carica indotta all’interfaccia
ossido-silicio dipende dalla tensione di gate. Se si considera la tensione di soglia senza effetto Body si ha una carica indotta nel canale
minore di quella che i calcoli vorrebbero, ossia il trascurare l’aumento della tensione di soglia comporta un errore in eccesso nella
valutazione della corrente del canale. Per questa corrente sarebbe necessario aumentare il campo elettrico, ma ciò non è possibile in
quanto E dipende solo dalla tensione tra drain e source. Si ha allora una distribuzione del campo elettrico diversa da quella attesa nella
approssimazione fatta, e una corrente che risulta essere minore. Si può pensare anche di sfruttare vantaggiosamente questo effetto
apparentemente solo negativo. Nella tecnologia scalata sta diventando fondamentale il problema dato dalle correnti di sottosoglia.
Esse comportano una dissipazione statica di potenza considerevole e risultano ormai comparabili come ordine di grandezza con le
correnti a cui funzionano i transistori moderni. Si sfrutta allora l’effetto Body andando a polarizzare ad una tensione bassa (rispetto
a quella di source) il substrato, così da diminuire esponenzialmente le correnti circolanti sottosoglia.
79
80 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
cariche sia uniforme e quindi rettangolare. Se però Vds smette di essere trascurabile, il canale non sarà
più rettangolare bensì triangolare: la carica negativa tenderà infatti ad ammassarsi presso il terminale a
potenziale maggiore (fra S e D). Cade inoltre l’approssimazione di unico ’condensatore’: per un’analisi
più accurata della corrente dobbiamo invece dividere il canale in tante striscioline verticali infinitesime,
80
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 81
ognuna delle quali assimilabile ad un piccolo condensatore che contiene un profilo costante di carica. In
questa situazione ogni condensatore contiene una diversa quantità di carica ed ha un proprio overdrive di
tensione. Supponiamo ora che l’elettrostatica si manifesti principalmente nella direzione verticale21 y: ov-
viamente i nostri condensatori immaginari non sono separati da paratie, tale ipotesi è irrealistica, tuttavia
questo ci permette di semplificare di molto la trattazione. Per ipotesi, dunque, ad ogni dy corrisponderà
un problema elettrostatico a sé stante. Abbiamo quindi adottato un modello di canale graduale (gradual
channel approximation):
∂ϕ ∂ϕ
∂x ∂y
Se la tensione di drain è troppo grande, questo modello non va più bene e smette di essere predittivo.
La corrente che scorre attraverso il singolo condensatore (largo W, con una componente di resistenza
differenziale per il canale pari a dR) dipende da quanta carica gli scorre ’sotto’:
dVC = I · dR
dy dy
dR = ρ =ρ
A WxC
Abbiamo inoltre che:
1 1
ρ (y) = =
σ (y) qn (y) µ (y)
Si noti che la conducibilità è unicamente funzione di quanti elettroni abbiamo all’ascissa che ci interessa.
Sostituendo nell’espressione della resistenza differenziale, compare il termine Qn (y) ovvero la quantità
totale di carica d’inversione all’ascissa y:
dy dy dy
dR = ρ = =−
WxC W xC qn (y) µ (y) WQn (y) µ (y)
| {z }
=− Qn (y)
Otteniamo infine un’espressione che vale striscia per striscia (entro le quali la corrente non cambia);
notiamo immediatamente che, man mano che andiamo verso il drain, la resistività aumenta:
dy
dVC = I · dR = − I
WQn (y) µ (y)
Integrando:
ZL ZVD ZVD
µW
− Idy = − WQn (y) µ (y) dVC ⇒ I = − Qn (y) dVC
L
0 VS VS
se consideriamo che tale ipotesi cozza contro quella di tensione Vds (orizzontale) relativamente alta.
22 Il valore minimo di E è parente della carica presente appena sotto l’ossido: è minore rispetto al primo caso per via del fatto è
C
presente meno carica.
23 Vi dice niente il famoso segno meno? :-)
81
82 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Figura 4.24: Andamento del profilo energetico nel primo e nell’ultimo condensatore del canale
quell’ascissa si ha meno carica invertita24 . La corrente di drain dipende dalla carica di inversione in base
alla relazione:
ZVD
µn W
ID = − Qn (VC ) dVC
L
VS
q
Qn = −Cox [VG + VFB − VC − 2 |φF |] + 2ε S qNA (2 |φF | + VC − VB )
| {z } | {z }
(1) (2)
24 Fettina dopo fettina, andando verso destra, Qb cresce e Qn cala.
82
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 83
Dal termine (1), che dipende linearmente da VC , ci si aspetta una dipendenza quadratica rispetto a VDS ;
dal termine (2), in cui VC è sotto radice, ci aspettiamo una dipendenza ’alla 23 ’ dalla VDS .
Introduciamo un’ipotesi semplificativa: consideriamo Qb costante lungo tutta la struttura e avente
valore minimo25 , ovvero quello che possiede nella prima fettina presso il source. Questo semplifica note-
volmente le cose dato che il termine (2), cioè quello sotto la radice, non va più integrato per ricavare la
corrente, visto che la nostra semplificazione ha lo stesso significato di imporre VC = VS .
Risolviamo ora il nostro integrale, ma prima ridefiniamo al tensione di soglia VT al source:
v
u
u
1 u
VT = VFB + VS + 2 |φF | + u2ε qN 2 |φF | + VS −VB
COX t S A |{z}
=VC
ZVD
µn COX W
ID = − (VG − VT − VC + VS ) dVC
L
VS
µn COX W 1 2
ID = − (VG − VT ) VDS − VDS
L 2
Si ricordi che questo modello (lineare) è stato ricavato mediante approssimazione su Qb ; il modello
completo (GCA), più preciso, fissa il seguente valore per la corrente di drain:
" #
2
VDS
µn COX W 2 3 3
ID = − (VGS − VFB + 2 |φF |) VDS − − γ (2φF + VDB ) 2 − (2φF + VSB ) 2
L 2 3
Questa corrente è inferiore a quella del modello lineare, come si vede chiaramente nel grafico di figura
4.26. Il modello GCA è più preciso, ma non è più valido a partire dalla tensione di drain VD∗ tale
per cui la carica presente al drain stesso è nulla (figura 4.27): aumentando ulteriormente la tensione,
portandola cioè a valori VD > VD∗ , la carica al drain cambierebbe infatti segno e diventerebbe positiva.
Questo fa evidentemente decadere la validità del modello GCA: in figura 4.26 si vede infatti che la corrente
2 .
tenderebbe irrealisticamente a calare per via del prevalere del termine VDS
25 Sottostimando Qb sovrastimiamo Qn .
83
84 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Figura 4.27: Situazione tale per cui VD = VD∗ e la carica presso il drain è nulla
Per VD > VD∗ = VDSsat il canale si strozza, ovvero termina prima del drain: ci troviamo quindi in una
regione in cui non ha più formalmente senso parlare di buca di potenziale. Alzando la tensione di drain,
infatti, il profilo delle bande energetiche evolve come in figura 4.28 e, da un certo punto in poi, la barriera
scompare cosicché gli elettroni possono andare dove vogliono. Un innalzamento della tensione di gate
permette quindi il passaggio di elettroni nel canale (figura 4.29). La barriera cala inizialmente in maniera
lineare, poi, all’aumentare della tensione VDS il suo piegamento è sempre più curvo. Commettendo
un’approssimazione un po’ grossolana26 , oltre la tensione di saturazione VDSsat il canale si strozza e la
caduta di tensione avviene tutta al drain e non più lungo il canale, il quale non modifica il suo profilo.
Quanto detto è mostrato nell’immagine 4.30. Il punto VDSsat = VDS ∗ può essere ricavato mediante il
26 Non è possibile che vi sia una caduta di tensione in spazio zero: parte di essa dev’essere stata persa durante il canale.
84
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 85
• il punto avente derivata nulla della curva ID si sposta sempre più a destra (figura 4.32).
Questi effetti, di cui bisogna tenere grandemente conto quando si va a scalare la nostra tecnologia,
possono esser meglio compresi se vediamo la situazione nel seguente modo: in un MOS a canale lungo
il gate è sufficientemente esteso da regolare in maniera opportuna le linee di campo, prevalendo in tal
senso sugli altri terminali. Un gate molto corto, al contrario, interagirebbe con source e drain fregandosene
altamente di comandare il canale.
Facciamo un passo indietro: avevamo definito come irrealistica la situazione in cui vi era caduta nulla,
lato drain, all’aumentare della tensione VDS = VDSsat (figura 4.29). Ed infatti così non accade. Anzi, c’è di
peggio: immaginiamo di essere sottosoglia, con una tensione di gate VG < VT e quindi insufficiente a creare
il canale. Se agiamo sul potenziale del drain, portandolo a valori negativi e abbassando il diagramma come
illustrato in figura 4.33, la barriera viene comunque modulata: questo provoca il passaggio di corrente, il
quale avrà un’intensità maggiore tanto più è corto il canale (vedi anche il paragrafo 4.8.2, in cui si parla
degli effetti DIBL, Drain Induced Barrier Lowering).
27 Strozzare il canale è come strozzare una gomma d’acqua: li getto che ne fuoriesce è fortissimo.
85
86 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Se esaminiamo le linee di campo in caso di assenza o presenza di effetti SCE (figura 4.34) notiamo che:
• nel primo caso (assenza di SCE) le linee equipotenziali sono perfettamente simmetriche e parallele
al gate. Possiamo utilizzare con profitto l’approssimazione di canale graduale e non vi sono inoltre
effetti di bordo;
• nel secondo caso li linee sono disordinate e fortemente condizionate dal drain, il cui campo penetra
di molto nel canale. Gli effetti DIBL (vedi paragrafo 4.8.2) sono critici e con essi siamo costretti ad
accollarci l’alterazione della VT e l’aumento della corrente di perdita.
86
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 87
vn = µn E vp = µp E
In realtà la velocità dei portatori, per campi elettrici elevati, non aumenta linearmente, ma viene limitata
dagli effetti di scattering (collisioni) col reticolo del semiconduttore. La conseguenza è che la mobilità
non è costante, ma varia con il campo elettrico orizzontale E; in particolare, esiste un valore critico EC
del campo elettrico oltre il quale la velocità satura e non aumenta più per ulteriori incrementi del campo
elettrico. La dipendenza della velocità dal campo non è quindi di tipo lineare e soggiace alla legge:
µn E
vn =
1 + EE
C
Questo effetto è presente anche nei transistor a canale lungo, solo che in tale caso il campo elettrico
orizzontale risulta più piccolo e non raggiunge il valore critico. Si ricorda però che la riduzione delle
dimensioni e contemporaneamente del potenziale applicato ai transistor fa sì che, nel tempo, il campo
elettrico dei vari dispositivi rimanga costante.
Se consideriamo gli effetti della velocity saturation, otteniamo una IDS inferiore rispetto al caso di canale
lungo: " #
2
VDS
µn COX W
IDS = (VGS − VTH ) VDS −
1 + VDS L
L· EC
2
Tale espressione è uguale a quella classica con, in più, un termine al denominatore. La corrente effettiva
è infatti tanto più piccola quanto più è grande il termine VLDS , il quale fornisce una sorta di misura del
’campo medio’ nel canale. Tanto più tale valore si avvicina al valore critico (quindi maggiore è VDS o
minore è L), tanto più il transistor è affetto dal fenomeno di saturazione della velocità.
Le equazioni reali, in questo caso, sono di difficile utilizzo dunque useremo una semplificazione del
prim’ordine molto utile ed efficace per l’analisi dei circuiti digitali: supporremo quindi che la saturazione
della velocità avvenga bruscamente per un certo campo critico e che prima di allora abbia il valore costante
normalmente utilizzato. In questo modo l’equazione del transistor nella regione di triodo (lineare) rimane
quella classica, mentre cambia solo quella della corrente di saturazione, che ricaviamo dall’equazione
classica sostituendo il nuovo valore della tensione di saturazione (che è la tensione per cui il campo
raggiunge valore critico), come mostrato in figura 4.35. In figura 4.36 vediamo i nuovi andamenti della
corrente lungo il canale. Riassumendo, abbiamo:
• curve di corrente non più a pendenza nulla;
87
88 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
• un abbassamento della tensione di soglia, che non si capisce neanche tanto più bene dove sia.
88
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 89
applicata al drain: questo porta ad un incremento del numero di portatori di carica iniettati all’interno del
canale da parte del source e ad un aumento della corrente di sottosoglia. Dunque la corrente di drain viene
controllata non solo dalla tensione di gate, ma anche da quella del drain stesso.
L’entità di questo effetto è chiaramente visionabile in figura 4.37: in tale immagine vediamo la transca-
ratteristica del MOS sia in scala logaritmica che in quella naturale29 (si noti che vi sono due diverse scale
ai lati del grafico). Prima della tensione di soglia VT , cioè nelle regioni di subthreshold, la crescita della
corrente IDS ha andamento lineare in un grafico a scala logaritmica, il ché corrisponde ad una crescita
esponenziale della corrente in scala naturale. Gli effetti di canale corto spingono le curve di figura 4.37
nelle direzioni indicate dalle frecce.
In figura 4.38 vediamo invece le componenti di drift e di diffusione: soprasoglia prevalgono le prime,
mentre nella subthreshold region sono più consistenti le seconde. Nella regione di sottosoglia l’espressione
della corrente è costituita da due termini esponenziali:
2
q (VG − VS )
W KT qV
IDS = µe f f COX (m − 1) exp 1 − exp − DS
L q mKT KT
Il primo è il solito termine dipendente da VGS , edulcorato dal parametro m = VGV−VT ; il secondo termine
DS
dipende da VDS : qui si nota bene l’effetto di cui parlavamo poco fa quando dicevamo che è presente una
sgradevole corrente di sottosoglia se abbassiamo di molto il drain quando VG < VT . La presenza di VDS al
numeratore dell’esponente fa sì che VD molto bassa influenzi sensibilmente la corrente di sottosoglia.
Può essere interessante capire qual è la pendenza della transcaratteristica nella zona di sottosoglia: il
parametro che si usa in sede pratica viene chiamato slope30 e - attenzione - rappresenta l’inverso della
pendenza.
d (log IDS ) −1
mKT
S= = 2, 3
dVG q
Con lo scaling del dispositivo (vedi paragrafo 4.11) il termine m si abbassa, quindi S aumenta e la pen-
denza della transcaratteristica diminuisce, cosa che ci allontana sempre di più dalla caratteristica ideale
avente pendenza infinita presso VT .
In un grafico semilogaritmico la caratteristica della corrente appare come in figura 4.39: abbiamo
denominato con IOFF e ION rispettivamente la minima corrente del dispositivo e quella che si ha quando
esso è acceso. La prima dev’essere possibilmente molto bassa, pena un abbassamento della durata della
batteria; la seconda deve essere la più possibile stabile e netta a partire da VT . Ne consegue che IOFF è
29 Attorno alla tensione VT il modello semplice e quello di canale graduale non vanno più bene.
30 Si misura in mV su decadi di A.
89
90 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
il parametro chiave per le Low Stand-By Power Application, mentre ION è fondamentale per le High-Power
Application. Siccome la differenza fra ION e IOFF dev’essere la più marcata possibile, in modo da coniugare
la stabilità della prima con il desiderio di avere una bassissima corrente di sottosoglia, il parametro IION è
OFF
una figura di merito ottima per descrivere la tecnologia che abbiamo fra le mani.
Tanto più il canale del transistor è stretto e tanto più si fanno sentire questi effetti: in figura 4.40
vediamo infatti che le curve, allo stringersi di L, si alzano. La corrente, di conseguenza, è maggiore.
Infine si ha il cosiddetto threshold roll-off : a parità di tecnologia, appena cala la lunghezza di canale L
crolla anche la VT (figura 4.41).
90
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 91
Questo accade sia in transistor a canale corto che in quelli a canale piuttosto lungo31 (anche superiore ai 2
micrometri).
L’abbassamento della barriera dovuto agli effetti DIBL, tuttavia, permette un facile passaggio di lacune,
le quali diventano quindi in grado di superare la barriera stessa e di fluire verso il source32 : questo ha
l’effetto di ridurre il numero di lacune accumulate presso il drain e di attenuare il calo di VT indotto dai
FBE. Se il canale è corto questo effetto è ancora più evidente, come mostra la figura 4.43.
91
92 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
dunque possiamo localmente definire il livello di Fermi. Si notino le lacune accumulate appena sotto
l’ossido, attirate dal potenziale applicato al metallo;
• banda piatta (VG = VB , figura 4.46): tutte le bande energetiche diventano, appunto, piatte;
• svuotamento (VG > VB , figura 4.47): durante lo svuotamento le bande energetiche invertono la loro
curvatura rispetto alla fase di accumulazione e le lacune vengono spinte verso il substrato. Iniziamo
inoltre ad essere attirati degli elettroni sotto l’ossido;
• inversione (VG VB , figura 4.48): le bande sono clamorosamente piegate e sotto l’ossido è presente
un gran numero di elettroni.
Ai lati opposti dell’ossido si accumulano quindi cariche di segno opposto, analogamente a quanto accade
in un condensatore a facce piane e parallele.
92
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 93
93
94 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
In figura 4.49 vediamo l’andamento della quantità di carica (in scala logaritmica) in funzione della
tensione con, in evidenza, le varie regioni di funzionamento.
Figura 4.49: Quantità di carica in funzione della tensione applicata su un condensatore MOS
94
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 95
C
di COX è mostrato in figura 4.51. In regione di accumulazione e di forte inversione CSC COX , con
C
Figura 4.51: Andamento di COX
dQSC
CSC = −
dφS
95
96 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
Abbiamo dunque grandi variazioni di cariche per piccole variazioni del potenziale φS . Se φS < 2φF , la
densità di portatori diventa molto inferiore a quella di atomi droganti.
Ad alte frequenze non è più vero che CSC COX in forte inversione (figura 4.52): a f sempre maggiore
gli elettroni fanno sempre più fatica a formare lo strato di inversione. Questo perché i fenomeni di
ricombinazione sono lenti e nel substrato n le lacune hanno mobilità relativamente bassa. Il profilo di
C
Figura 4.52: Andamento di COX ad alta frequenza
96
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 97
4.11 Scaling
Allo scopo di realizzare circuiti integrati a MOS sempre più veloci e integrati, la dimensione dei tran-
sistor deve continuare a diminuire (scaling). Il consumo di potenza cresce però in maniera significativa
più aumenta l’integrazione: per contrastare questo inconveniente si può pensare di diminuire la tensione
di alimentazione, cosa effettivamente efficace. Questo porta tuttavia a una degradazione della capacità
di pilotaggio della corrente del MOSFET. Si può a ragione dire che la storia del MOSFET-scaling è quin-
di anche la storia di come evitare gli effetti di canale corto (Short Channel Effect, SCE33 ), i quali causano
la dipendenza delle caratteristiche del dispositivo (come la VT ) nei confronti della lunghezza del canale.
Abbiamo inoltre visto che questi effetti portano ad una degradazione della corrente di sottosoglia e della
pendenza (slope) di subthreshold. Tale degradazione è tanto più grave quanto più la lunghezza del gate
si riduce fino ad essere comparabile con la lunghezza del canale, parametro che si riduce ulteriormente
in caso di pinch-off. E non è ancora finita: a complicare la questione intervengono anche gli effetti DIBL
(Drain-Induced Barrier Lowering), i quali riducono ulteriormente la VT e degradano la transcaratteristica
del nostro MOSFET (e con essa controllabilità della corrente di canale da parte della VG : il gate scambia
quindi sempre più carica direttamente con drain e source, perdendo il controllo sul canale).
Chiaramente noi vorremmo evolvere la tecnologia senza subire le conseguenze negative: in tal caso si
parla di field scaling (Dennard, 1978), o di scaling ideale. In tal caso si avrebbe una riduzione delle dimen-
sioni accompagnata dal miglioramento delle performance: il termine field sta ad indicare che si vorrebbe
mantenere costante il campo nel processo di scaling, agendo sulle quantità fisiche legate ad esso.
Ahimé la natura si oppone allo scaling e gli effetti di non idealità si sprecano più si restringono le
dimensioni, dunque abbiamo bisogno di regole che ci suggeriscano come ridurle in maniera opportuna:
potremmo ad esempio pensare di assottigliare lo spessore dell’ossido (figura 4.55), di ridurre k volte
la lunghezza di canale e anche la tensione. Questo però ci obbliga a ridimensionare al ribasso anche la
profondità delle giunzioni nonostante la regione svuotata, in particolare quella nel substrato (il doping non
è cambiato), sia rimasta inalterata. Questo potrebbe portarci a decidere di variare il drogaggio. Insomma,
fare scaling non è cosa semplice e richiede molta attenzione da parte del progettista.
Per quanto sia faticoso e problematico, vale sempre la pena di fare scaling; i vantaggi sono infatti
molteplici:
97
98 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
• l’affidabilità (reliability).
Ma abbiamo dei limiti ultimi e invalicabili? Nel tempo (figura 4.56) si è più volte pensato di essere
giunti nei pressi di questi: negli anni ’70, per esempio, si credeva che la lunghezza limite assumibile
dal canale fosse L = 14 um. In realtà questa era una grossa baggianata; l’esperienza ha dimostrato che
fortissimi investimenti di denaro possono abbattere (quasi) ogni barriera tecnologica. Ovviamente sugli
effetti quantistici non possiamo agire, ma sembriamo essere ancora ben lontani da tali limiti34 .
Si è parlato spessissimo della lunghezza del canale per indicare la bontà di una certa tecnologia: ed
infatti tale parametro è importantissimo in quanto è legato, oltre che alle dimensioni complessive del
dispositivo, anche allo spessore dell’ossido. Altro esempio storico: in passato si pensava di non poter
tollerare la di corrente di leakage dovuta a un sostenuto assottigliamento dell’ossido. In realtà l’economia
ha imposto questo ’sacrificio’, visto che i benefici dello scaling si sono rivelati ben maggiori: abbiamo
inoltre trovato altri materiali, alternativi al SiO2 , e siamo riusciti a migliorare ancora le prestazioni.
Per essere il più possibile oggettivi si parla anche di nodo tecnologico: esso rappresenta la distanza fra
due bit di memoria (che è sempre superiore alla lunghezza di gate). Tale parametro è molto indicativo
in quanto possiamo anche pensare di progettare transistor con canale strettissimo e ossido supersottile,
ma se poi essi devono essere tenuti reciprocamente a distanza per ragioni tecnologiche la bontà dell’intera
tecnologia ne risente. Considerare la distanza fra i bit di memoria non nasconde invece ’inganni’ di questo
tipo.
98
CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR 99
svuotata diminuisce di un fattore k, mentre la capacità specifica per unità d’area aumenta con k. Se ag-
2
giungiamo il fatto che l’area cala di un fattore k2 , la capacità complessiva si ridurrà con kk = k. Rimangono
invariati sia la carica di inversione (pur avendo diminuito le tensioni) sia la resistenza di canale, in quanto
corrente e tensione contemporaneamente si riducono del solito fattore k. Il delay introdotto dal circuito,
consistendo in CV I , cala di fattore k, mentre la potenza dissipata rimane invariata: se infatti la potenza per
componente si riduce k2 volte, la densità di componenti incrementa dello stesso parametro, cosicché la
potenza complessiva non varia. Infine l’energia dissipata, essendo pari al prodotto P · t, viene abbattuta
k3 volte.
Ahimé VFB non scala, in quanto è data dai materiali; 2φF si alza perché droghiamo maggiormente il
semiconduttore per limitare l’ampiezza della zona svuotata; il γ scala, ma è moltiplicato per una radice
che s’alza col doping. Inoltre la pendenza di sottosoglia non scala, in quanto è legata al KT q , e lo spessore
EOI dell’isolante presso il gate addirittura aumenta, visto che nel polisilicio si crea una sottilissima regione
svuotata se andiamo a porre carica positiva sul gate (figura 4.58).
Vogliamo inoltre che le resistenze al drain e al source (figure 4.59) non varino: ma perché questo accada
dobbiamo compensare il W, che dobbiamo ridurre, con una minore distanza fra il contatto di source e
quello di drain. Inoltre, siccome stiamo stringendo lo spessore di source e drain e, contemporaneamente, la
loro lunghezza, dobbiamo alzare il doping di tali due terminali per ristabilire l’equilibrio.
99
100 CAPITOLO 4. MOSFET: METAL OXIDE SEMICONDUCTOR FIELD EFFECT TRANSISTOR
100
Capitolo 5
5.1 Introduzione
La potenza che colpisce l’atmosfera terrestre è di circa 170 milioni di miliardi di watt (170 PW): in
meno di un’ora il sole invia sulla Terra una quantità di energia pari all’intero consumo complessivo mon-
diale annuale. Ma non è tutt’oro quel che luccica: purtroppo il flusso di energia solare è molto diluito ed
intermittente anche se, fortunatamente, il costo di picco per l’energia elettrica si ha nelle ore più calde dei
mesi estivi, quando il contributo dell’energia solare è potenzialmente massimo.
Purtroppo la conversione di energia solare in energia elettrica non è molto efficiente: parte della luce,
come abbiamo detto, viene riflessa e persino la componente assorbita non viene sfruttata ottimamente
visto che buona parte si disperde sotto forma di calore. Quando infatti un elettrone viene colpito da un
fotone particolarmente energetico avremo un salto energetico ben più grande del necessario verso banda
101
102 CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI
di conduzione (elettrone caldo, vedi figura 5.2). Il surplus di energia, inutile ai fini della conduzione, viene
rilasciato dall’elettrone sotto forma di fononi: questi potrebbero fornire ad altri elettroni energia per essere
promossi, ma in caso contrario essi costituiranno energia sprecata a tutti gli effetti. Questo pone un severo
limite sulla massima efficienza teorica delle celle solari (circa il 32-33% se usiamo il silicio).
102
CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI 103
Figura 5.4: Profilo delle bande energetiche in un semiconduttore a ben gap diretto
visto che l’energia fornibile da parte del reticolo cristallino dipende dalla temperatura cioè dall’agitazione
termica dello stesso, la dipendenza dal parametro T è cruciale in tale categoria di semiconduttori. Risulta
103
104 CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI
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CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI 105
• promozione multi-step, cioè attraverso livelli energetici intermedi fra la banda di valenza e la banda
di conduzione: trattasi di un’arma a doppio taglio, visto che gli step intermedi possono fungere
anche da centri di ricombinazione;
Figura 5.8: Flusso di fotoni in funzione della lunghezza d’onda associata ai fotoni stessi
Siano:
• F ( x ) il flusso di fotoni, cioè il numero di fotoni in grado di attraversare l’unità d’area nell’unità di
tempo (unità di misura: cm− 2 s−1 ;
• dF = −α( x ) F ( x )dx il differenziale della funzione F (il segno meno indica che F, cioè il flusso di
fotoni, cala in virtù del fatto che i fotoni vengono assorbiti);
• x0 un’ascissa di riferimento.
F ( x ) = F ( x 0 ) e − α ( x − x0 )
105
106 CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI
In figura 5.9 è mostrata la struttura di una cella solare; si noti che i contatti metallici, tipicamente in
alluminio, oscurano la regione illuminata dalle radiazioni solari: questa particolare struttura è foriera di
un trade-off fra effetti resistivi (meno importanti se più grandi sono i contatti) e oscuramento della regione
(tanto meno grave quanto più piccoli sono i contatti). Anche per questi motivi l’efficienza teorica della
cella solare in silicio crolla dal 31% al 20%.
A titolo informativo, le celle solari vengono costruite anche con materiali alternativi al silicio: in
particolare si usa
• film sottile silicio amorfo (efficienza tra il 7 e il 9 %);
Faremo l’ipotesi di considerare una giunzione pn brusca cortocircuitata (vedi 5.10); come si nota si pos-
sono distinguere due caratteristiche I (V ) (separate da un dislivello pari a IL , corrispondente ai portatori
106
CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI 107
generati direttamente nella zona svuotata, i quali vengono immediatamente spinti al di là della giunzione
dal campo elettrico di built-in, senza praticamente possibilità che vi sia ricombinazione): una in assenza
di illuminazione (dark) e una in presenza di radiazione solare (illuminated). Quest’ultima, in particolare,
ha un consistente tratto nel quarto quadrante, ove V I < 0 (eroghiamo potenza sul carico). Sotto l’ipotesi
di Gopt costante in tutta la struttura si ha, per la regione n:
d2 ∆p ∆p G
= 2 −
dx2 Lh Dh
Nella precedente formula ∆p rappresenta l’eccesso di minoritari (lacune), Lh è la lunghezza di diffusione
delle lacune, G è il rate di generazione per assorbimento ottico e Dh è il coefficiente di diffusione riferito
alle lacune. Lasciati a sé stessi, e trascurando l’effetto di generazione ottica (cioè il secondo termine),
i portatori minoritari in eccesso diffonderebbero nella regione quasi neutra, ricombinandosi man mano:
fortunatamente il campo elettrico della giunzione fa sì che le lacune vengano spazzate verso la regione p
ovvero nella giusta direzione. Effettuando calcoli simili a quelli già esaminati nel capitolo ??, possiamo
ricavare l’espressione della densità di corrente:
qDh pn0 qV −x − x
Jh ( x ) = e kT − 1 e Lh − qGLh e Lh
Lh
Osservando il decadimento esponenziale
− Lx
e h
deduciamo che i portatori fotogenerati diffondono bene se sono stati creati non troppo distanti dalla giun-
zione, cioè non più distanti di Lh da quest’ultima: in caso contrario, i minoritari non riceveranno la spinta
del campo elettrico e saranno destinati alla ricombinazione. Elaborando ulteriormente le nostre relazio-
ni otteniamo una corrente di generazione (regolata ovviamente dal coefficiente G) dovuta alla regione
di carica spaziale W e alle due lunghezze di diffusione (cioè, lo ricordiamo, tratti che elettroni e lacune
mediamente percorrono prima di ricombinarsi (vedi figura 5.11).
qV
I = I0 e kT − 1 − IL
con corrente di generazione IL = qAG ( Le + W + Lh )
Esaminando più in dettaglio la caratteristica I (V ) illuminated della giunzione PN usata nella cella solare
(figura 5.12), possiamo individuare alcune quantità notevoli:
• Voc (oc = open circuit): tensione a circuito aperto2 (dev’essere la più grande possibile);
• Isc (sc = short circuit): corrente di cortocircuito3 determinata dalla generazione ottica (più è elevata
in modulo e meglio è);
2 Si dimostra in particolare che esiste una correlazione fra ampiezza del gap e la Voc .
3 Anche Isc , come ci si può aspettare, può essere scritta in funzione di Voc .
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108 CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI
• Imp e Vmp : corrente e tensione corrispondenti al punto in cui IV, cioè la potenza, è massima.
Figura 5.12: Caratteristica della giunzione PN usata nella cella solare I (V ) in dettaglio
• un piccolo band-gap: questo ci permette di avere più promozione di elettroni, ma dobbiamo ricorda-
re che ciò comporta anche la perdita di energia in calore (o, meglio, in fononi) a causa degli elettroni
caldi. In figura 5.13 possiamo vedere l’andamento della corrente di corto circuito Isc in funzione del
gap energetico (elettronvolt): com’è ovvio che sia, un grande gap ostacola una grande corrente5 .
Facendo una botta di conti con le relazioni poco fa presentate ci salta all’occhio che, purtroppo, la Voc ha
un limite: essa aumenta per piccoli tassi di ricombinazione (I0 piccole, grandi lunghezze di diffusione) e
con piccole concentrazioni intrinseche (NA ed ND , che però fanno aumentare il band-gap). Questo provoca
un andamento dell’efficienza come mostrato in figura 5.14, ove viene mostrata η in funzione del band-gap.
Il band-gap ottimo viene determinato confrontando i due diversi andamenti di Isc e Voc in funzione di
EG .
4 In tal caso la caratteristica I (V ) assume la forma di una scatola.
5 Neanche un grande pennello può salvarci, in questo caso.
108
CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI 109
La superficie della cella è parzialmente riflettente, ma un rivestimento antiriflettente può ridurre tale
fenomeno del 10%. Un’altra cosiddetta perdita estrinseca è quella dovuta alla superficie dei contatti elettrici,
la quale oscura una consistente parte (circa il 5-10%) della regione esposta alle radiazioni elettromagneti-
che. Inoltre, se la cella è troppo sottile (in rapporto all’inverso del coefficiente di assorbimento), parte della
luce potrebbe non essere assorbita. Altri fattori di perdita sono la ricombinazione che avviene nel bulk e
sulla superficie della giunzione nonché la presenza di resistenze parassite: entrambe queste non idealità
degradano la tensione Voc e il FF.
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110 CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI
110
CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI 111
Figura 5.16: Possibili linee di sviluppo ed evoluzione per la tecnologia delle celle solari
111
112 CAPITOLO 5. SEMINARIO: LE CELLE SOLARI
112
Capitolo 6
6.1 LED
6.1.1 Introduzione
LED è l’acronimo di Light Emitting Diode (diodo ad emissione luminosa). Il primo LED è stato svi-
luppato nel 1962 da Nick Holonyak Jr. Il dispositivo sfrutta le proprietà ottiche di alcuni materiali semi-
conduttori per produrre fotoni a partire dalla ricombinazione di coppie elettrone-lacuna. Gli elettroni e
le lacune vengono iniettati in una zona di ricombinazione attraverso due regioni del diodo drogate l’una
n e l’altra p (vedi figura 6.1). Il colore della radiazione emessa è definito dalla distanza in energia tra i
livelli energetici di elettroni e lacune e corrisponde tipicamente al valore della banda proibita del semi-
conduttore in questione (vedi figura 6.2: in (a) vediamo il diagramma a bande di una giunzione pn (molto
drogata n), senza alcuna tensione applicata. In tal caso si forma un potenziale di built-in che previene la
diffusione degli elettroni dalla parte n+ alla parte p. In (b), invece, vediamo come una tensione applicata
riduca V0 e permetta la diffusione di elettroni nella parte p. La ricombinazione che avviene nei pressi
della giunzione, e quasi totalmente nella zona svuotata, permette l’emissione di fotoni). Quando sono
sottoposti ad una tensione diretta per ridurre la barriera di potenziale della giunzione, gli elettroni della
banda di conduzione del semiconduttore si ricombinano con le lacune della banda di valenza rilasciando
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114 CAPITOLO 6. SEMINARIO: LED E OLED
energia sufficiente da produrre fotoni. A causa dello spessore ridotto del chip un ragionevole numero di
questi fotoni può abbandonarlo ed essere emesso come luce. L’energia dei fotoni emessi è proporzionale
a λ, ovvero alla lunghezza d’onda della luce emessa. Si ha:
hc
λ=
Eg
dove h è la costante di Planck, c è la velocità della luce (cioè la velocità dei fotoni nel vuoto) ed Eg è
l’ampiezza del gap. L’emissione fotonica non è predicibile e i fotoni ’escono da tutte le parti’: questo limita
di molto l’efficienza di tali dispositivi, ma fortunatamente è possibile migliorare il rendimento tramite
astuti stratagemmi come l’introduzione di strati di trappola o di una capsula epossidica che concentri i
raggi verso la direzione desiderata. Purtroppo anche la legge di Snell
ci rema contro: la trasmissione della luce da un materiale ad alto indice di rifrazione n verso uno a basso
indice di rifrazione implica una riflessione parziale o totale della luce incidente (a seconda dell’angolo di
incidenza).
Anche se è cosa poco nota, i LED sono macchine reversibili: infatti, se la loro giunzione viene esposta
direttamente ad una forte fonte luminosa o ai raggi solari, ai terminali appare una tensione, dipendente
dall’intensità della radiazione e dal colore del LED in esame (massima per il blu). Questa caratteristica
viene abitualmente sfruttata nella realizzazione di sensori, per sistemi di puntamento (inseguitori solari)
di piccoli impianti fotovoltaici o a concentratore e per molti altri scopi.
• miniaturizzazione
• colori saturi
• durata di funzionamento (i LED ad alta emissione arrivano fino ad oltre 100.000 ore, vedi figura 6.3);
114
CAPITOLO 6. SEMINARIO: LED E OLED 115
• colori saturi;
• assenza di mercurio;
6.1.3 Struttura
Nell’imm In figura 6.5 vediamo un’illustrazione schematica di una sezione appartenente a un disposi-
tivo LED: nell’immagine (a) lo strato p viene accresciuto epitassialmente su una parte n+. Nell’immagine
(b) viene prima accresciuto tramite epitassia e solo successivamente la parte p viene costruita diffondendo
del drogaggio nella zona n+.
In figura 6.6, infine, si mostra la semplice modalità di connessione di un LED, con una resistenza a
limitare la corrente che l’attraversa.
6.1.4 Materiali
I semiconduttori a ben-gap indiretto non sono idonei alla costruzione di LED: i processi radiativi,
tra i quali la ricombinazione con emissione di fotone, sono infatti penalizzati dalla necessità di conser-
vare il momento e pertanto dominano i processi di ricombinazione assistiti da trappole e smaltimento
dell’energia tramite produzione di calore. Nei semiconduttori a gap diretto, invece, i processi di ricombi-
nazione radiativa sono molto probabili ed efficienti nello smaltire l’eccesso dei portatori: possono pertanto
costituire la base per lampade allo stato solido.
Non è facile trovare materiali adatti per un’alta efficienza:
115
116 CAPITOLO 6. SEMINARIO: LED E OLED
• i semiconduttori III-V sono a gap indiretto, ma hanno un miglior valore di EG (gap energetico);
• i semiconduttori II-IV: hanno gap diretto e un buon valore di EG , ma sono difficili da maneggiare.
116
CAPITOLO 6. SEMINARIO: LED E OLED 117
I LED sono formati da GaAs (arseniuro di gallio), GaP (fosfuro di gallio: sono a gap indiretto e sono
caratterizzati dalla presenza di trappole isoelettroniche appena al di sotto della banda di conduzione.
Queste trappole presentano un’ampia distribuzione di k permessi a favorire la transizione assistita verso
la banda di valenza), GaAsP (fosfuro arseniuro di gallio: sono stati i primi LED rossi (1970) e sono
caratterizzati da gap diretto), SiC (carburo di silicio: materiale non tossico e utile per la costruzione dei
LED blu) e GaInN (nitruro di gallio e indio). L’esatta scelta dei semiconduttori determina la lunghezza
d’onda dell’emissione di picco dei fotoni, l’efficienza nella conversione elettro-ottica e quindi l’intensità
luminosa in uscita.
6.1.5 Colori
I primi LED erano disponibili solo nel colore rosso. Venivano utilizzati come indicatori nei circuiti
elettronici, nei display a sette segmenti e negli optoisolatori. Successivamente vennero sviluppati LED che
emettevano luce gialla e verde e vennero realizzati dispositivi che integravano due LED, generalmente uno
rosso e uno verde, nello stesso contenitore permettendo di visualizzare quattro stati (spento, verde, rosso,
verde+rosso=giallo) con lo stesso dispositivo. Negli anni novanta vennero realizzati LED con efficienza
sempre più alta e in una gamma di colori sempre maggiore fino a quando con la realizzazione di LED
a luce blu fu possibile realizzare dispositivi che, integrando tre LED (uno rosso, uno verde e uno blu),
potevano generare qualsiasi colore. A seconda del drogante utilizzato, i LED producono i seguenti colori:
• GaAlP - verde;
• ZnSe - blu;
La tensione applicata alla giunzione dei LED dipende dall’atomo drogante, il quale determina il colore
della luce emessa: l’elevatissima efficienza nel trasformare la corrente elettrica in luce (i LED non produ-
cono calore o quasi), con conseguente bassissimo consumo in rapporto alla luce emessa, ne fanno il futuro
sostituto di tutte le tipologie di lampadina.
6.2 OLED
6.2.1 Introduzione
OLED è l’acronimo di Organic Light Emitting Diode ovvero ’diodo organico ad emissione di luce’. Que-
sti dispositivi non sono infatti realizzati mediante l’introduzione di particolari molecole organiche: la
ricombinazione, in questo caso, avviene esattamente in uno strato organico (vedi figura 6.8).
Tale tecnologia permette di realizzare display a colori con la capacità di emettere luce propria: a dif-
ferenza dei display a cristalli liquidi, i display OLED non richiedono infatti componenti aggiuntivi (ad
es. una fonte di luce retrostante) per essere illuminati, ma producono luce propria; questo permette di
realizzare display molto più sottili e addirittura pieghevoli e arrotolabili, e che richiedono minori quantità
117
118 CAPITOLO 6. SEMINARIO: LED E OLED
Figura 6.7: Variazione dell’intensità luminosa in funzione della temperatura e del colore
di energia per funzionare. A causa della natura monopolare degli strati di materiale organico, i display
OLED conducono corrente solo in una direzione, comportandosi quindi in modo analogo a un diodo; di
qui il nome di O-LED, per similitudine coi LED. Benché la proprietà di elettroluminescenza posseduta da
alcuni elementi organici sia conosciuta da lungo tempo, i primi tipi di display OLED non andarono mai
oltre lo stadio di prototipo, in quanto richiedevano tensioni di alimentazione troppo alte (oltre 100 V) per
risultare utili nelle applicazioni pratiche. Successivamente, furono sviluppate con successo sottili pellicole
di materiale organico elettroluminescente, le cui piccole dimensioni permettevano l’alimentazione tramite
tensioni più modeste. I primi modelli di display utilizzanti questa tecnologia erano strutturalmente molto
semplici: una pellicola di sostanza organica era posta tra due elettrodi (anodo e catodo): applicando una
tensione ai due elettrodi, il passaggio di corrente nello strato organico ne causava l’emissione luminosa.
Tuttavia, questo tipo di elettrodi non era molto pratico, in quanto richiedevano, per funzionare, un’estrema
precisione in fase di produzione; un allineamento non perfetto, infatti, causava grandi perdite di energia e
conseguente inefficienza dei display. I primi display efficienti e a bassa tensione furono presentati nel 1987
da Ching Tang e Steve Van Slyke; tali display facevano uso di due strati organici: uno predisposto per
ricevere lacune, l’altro per ricevere elettroni; in questo modo, e con successivi miglioramenti, fu possibile
costruire display ad alta luminosità alimentati da basse tensioni (circa 10 volt). In questo caso il materiale
organico è ad esempio un polimero conduttivo elettroluminescente simile alla plastica (in questo caso si
può parlare più correttamente di POLED: polymer organic LED) oppure materiali organici non polime-
rici di peso molecolare relativamente basso. Un elemento viene definito organico in quanto contenente
una struttura costituita prevalentemente da carbonio. Da qui il nome di led organico. Normalmente,
gli strati organici sono in grado di emettere solo luce bianca, ma con opportuni drogaggi (di composti
elettrofosforescenti) è possibile renderli in grado di emettere luce rossa (drogante fluorescente a base di
118
CAPITOLO 6. SEMINARIO: LED E OLED 119
perilene dicarbossammide), verde (cumarina) o blu (β - DNA): essendo questi i colori primari, è possibile
combinarli per produrre tutti i colori dello spettro visibile, in modo analogo a quanto accade in qualunque
display a colori. Ogni punto (pixel) di un’immagine è costituito da 3 microdisplay affiancati (figura 6.9),
che producono luce rossa, verde e blu; visto da lontano, ogni elemento composto da tre microdisplay
appare all’occhio umano come un singolo punto, il cui colore cambia secondo l’intensità della luce di vari
colori emessa dai singoli microdisplay.
Figura 6.10: Pixel creati con OLED sovrapposti piuttosto che affiancati
6.2.2 Peculiarità
La tecnologia OLED ha grandi vantaggi (vedi anche figura 6.11):
• bassa tensione di alimentazione;
• ottimo contrasto;
• brillantezza dei colori;
• grande area attiva;
• aumento della luminosità con la semplice iniezione di corrente supplementare;
• consumi ridotti per la possibilità di spegnere completamente l’OLED se si vuole ottenere il colore
nero (la quantità di corrente consumata dipende dall’immagine e dai colori);
• grande flessibilità e compattezza.
Nonostante tutto questo ben di Dio, la tecnologia OLED presenta ancora dei limiti:
• costo ancora elevato del processo produttivo;
• gli schermi OLED hanno una durata molto inferiore agli schermi a cristalli liquidi e agli schermi al
plasma. Il materiale organico di cui sono composti, infatti, tende a perdere la capacità di emettere
luce dopo poche decine di migliaia di ore di esercizio;
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120 CAPITOLO 6. SEMINARIO: LED E OLED
• bassa efficienza per effetti ottici di riflessione/rifrazione dovuti alla sovrapposizione degli strati
riflettenti e semiriflettenti che costituiscono il dispositivo;
6.2.3 Struttura
Un display OLED è composto da vari strati sovrapposti: su un primo strato trasparente, che ha funzioni
protettive, viene deposto uno strato conduttivo trasparente che funge da anodo; successivamente vengono
aggiunti 3 strati organici: uno per l’iniezione delle lacune, uno per il trasporto di elettroni, e, tra di essi,
i tre materiali elettroluminescenti (rosso, verde e blu), disposti a formare un unico strato composto da
tanti elementi, ognuno dei quali formato dai tre microdisplay colorati. Infine, viene deposto uno strato
riflettente che funge da catodo. Nonostante la molteplicità di strati, lo spessore totale, senza considerare
lo strato trasparente, è di circa 300 nanometri.
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Elenco delle figure
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122 ELENCO DELLE FIGURE
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ELENCO DELLE FIGURE 123
123
124 ELENCO DELLE FIGURE
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Elenco delle tabelle
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