RSBN 48 - 02 (Marchionibus) - Libre PDF

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLANTICHIT

SAPIENZA UNIVERSIT DI ROMA

RIVISTA
DI

STUDI BIZANTINI
E NEOELLENICI
FONDATA DA S. G. MERCATI
DIRETTA DA A. LUZZI

N. S.

48 (2011)

ROMA 2012

INDICE

Maria Rosaria MARCHIONIBUS, I colori nellarte sacra a Bisanzio.

Gianni BERGAMASCHI, S. Fotina, la Samaritana, nei Sinassari e


nei Menologi imperiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

33

Francesco DAIUTO, Unattivit di famiglia? Un copista discendente del calligrafo Efrem . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

71

Alexander SIDERAS, Der unedierte Brief des Gregorios Antiochos


an den Patriarchen Basileios Kamateros . . . . . . . . . . . . . . . . .

93

Stephanos EFTHYMIADIS, Versi su s. Teodoro a proposito del miracolo dei collivi (BHG 1769): lagiografia metrica al servizio della polemica antilatina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

123

Antonis FYRIGOS, Il cardinale Bessarione traduttore della Summa contra gentiles di Tommaso dAquino . . . . . . . . . . . . . . . . .

137

Cristiano LUCIANI, Eclettismo romantico nel Leandrov (1834) di


Panaghiotis Sutsos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

267

Massimo PERI, Nota sulla ricezione ideologica di Soloms . . . .

305

Umberto RINALDI, Noterelle sullaspetto verbale in neogreco . . .

323

Pubblicazioni ricevute (a cura di Laura ZADRA) . . . . . . . . . . . . . . .

353

I COLORI NELLARTE SACRA A BISANZIO (*)

Il concetto di colore a Bisanzio (1) sembra derivare dalla convinzione platonica che gli oggetti/eventi (pragmata) sono dotati di schema,
phon e molti anche di chrma (2), affermazione che, oltre a definire i
tratti percepibili di un oggetto, contemporaneamente sottolinea quelli
necessari alla realizzazione della mimesi.
Nei testi platonici schema diviene, cos, lelemento comune a due
binomi di qualit legati alla percezione: schema e chrma, e schema e
phon.
Associato a chrma, lo schema viene identificato come la linea di
contorno, e, se utilizzato per indicare il lavoro dei pittori, esprime specificamente il disegno.
Il chrma, poi, composto di fuoco ed insito nelloggetto percepito e, grazie alla luce solare, anchessa ignea, transita, come un fluido,
dalloggetto allocchio(3).
Secondo Platone esiste un legame strettissimo tra schema e chrma:
schema, infatti, ci che, solo, sempre si accompagna al colore, inteso,
appunto, come un flusso di schemata (sia i mezzi tecnici utilizzati per
limitazione visuale da pittori e scultori, sia proprio i tratti che, dalloriginale, si possono imitare) (4).

(*) Il presente lavoro scaturisce da unelaborazione della relazione tenuta


dalla scrivente al workshop La comunicazione tra visualit e scrittura: approcci e
contesti a confronto, a cura di A. M. DOnofrio, organizzato dallUniversit degli
Studi di Napoli LOrientale, Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del
Mediterraneo Antico, 15 aprile 2011.
(1) Relativamente allinfluenza del pensiero di Aristotele e Platone sulla
percezione del colore a Bisanzio cf. L. JAMES, Light and Colour in Byzantine Art,
Oxford 1996, pp. 53-61.
(2) M. L. CATONI, Schemata. Comunicazione non verbale nella Grecia antica,
Pisa 2005, p. 279.
(3 ) L. M. NAPOLITANO VALDITARA , Platone e le ragioni dellimmagine.
Percorsi filosofici e deviazioni tra metafore e miti, Milano 2007, pp. 4-5.
(4) CATONI, Schemata cit. (nota 2), p. 23.

Maria Rosaria Marchionibus

Schema e phon vengono poi interpretati come gli elementi percepibili alla vista e alludito, peculiari dellessere vivente, e come i mezzi
attraverso cui poeti, danzatori, attori e musici esercitano la mimesi(5).
In questo contesto, dunque, schema diviene espressione di gesto,
postura o figura di danza, mentre phon ha la funzione tanto di tratto
percepibile e identificativo di un fenomeno sonoro, quanto di mezzo di
imitazione di altri mimetai, ossia coloro che imitano qualcosa o qualcuno col proprio corpo, in altre parole attori o personaggi, come Ione
nellomonimo dialogo platonico o il poeta della Repubblica (6).
Schema, pertanto, funge da legame fra le figure dinamiche nella vita
e nella danza e quelle statiche in pittura e scultura, e insieme a chrma e
phon, ricade sia nel dominio dellaisthesis uditiva e visuale, sia nel
campo dazione della pratica mimetica. In tal modo queste tre categorie
formali della descrizione dellessere diventano, allo stesso tempo, sia i
tratti che rendono percepibile un oggetto ai sensi tenendo conto che il
senso della vista quello pi fortemente coinvolto nella percezione sia
gli elementi che di questo oggetto possono essere riproducibili, divenendo, cos, anche i tratti necessari alla realizzazione della mimesi, che
, in questa interpretazione, imitazione dellapparenza(7).
Per la fisiologia platonica della visione sensibile, inoltre, relativamente alla vista, il carattere distintivo di un oggetto non tanto la
forma, quanto il suo colore, che, composto di fuoco, presente
almeno potenzialmente nelloggetto visto e, con la mediazione indispensabile della luce solare, anchessa ignea, trapassa, come un fluido,
dalloggetto allocchio. Platone definisce, dunque, il chrma come
fiamma che fluisce da ognuno dei corpi avente particelle proporzionate alla vista tali da generare sensazione (Timeo 67 C 6-7). Nella
fisiologia platonica dellatto visivo locchio e la luce, pertanto, svolgono
un ruolo primario. Infatti, al momento della creazione del mondo
fisico da parte degli di giovani, figli del Demiurgo, nel processo in cui
essi modellarono il corpo umano, come primo atto realizzarono gli
occhi portatori della luce, posizionandoli nella parte anteriore e superiore della testa, dimora di ci che di noi divinissimo e sacro, ossia
dellanima razionale (8).

(5) Ibid., p. 279.


(6) Ibid., p. 281.
(7) Ibid., p. 279.
(8) NAPOLITANO VALDITARA, Platone cit. (nota 3), p. 5.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

Secondo linterpretazione platonica la sensazione visiva dipende,


cos, da quattro fattori fondamentali, ossia dal flusso igneo, diversamente dimensionato e proveniente, sotto forma di colore, dagli oggetti
esterni a noi; dal fuoco, affine alla luce diurna, prodotto dallinterno
stesso del nostro occhio; dalla luce solare, simile e complementare a tale
fuoco oculare, che, addensandosi in un corpo compatto proprio con
esso, permette di recepire le particelle igneo-cromatiche fluenti dalle
cose; infine, dal percorso compiuto dal corpo igneo, formatosi nellincontro tra luce esterna e fuoco interno, che ritorna nellocchio attraverso la pupilla e deve, poi, affinch le particelle igneo-cromatiche
fluenti dalle cose siano effettivamente percepite, causare una serie
successiva e continua di movimenti nelle parti del corpo da attraversare
per giungere allanima (9).
La teoria estetica bizantina dellimmagine evidentemente influenzata dal pensiero di Platone considerava la vista come lorgano dei
sensi attivato prima di tutti gli altri, pur condividendo le stesse funzioni
percettive e comunicative dei restanti organi sensoriali. Teodoro
Studita, per esempio, afferma che la vista precede ludito sia nella posizione dei suoi recettori sul viso, sia nella conoscenza esperita dai sensi,
in quanto prima si vede qualcosa e poi si trasmette tale percezione
visiva alludito. Per provare la validit della sua opinione, egli non si
appella alle leggi della natura, ma invoca lautorit della Bibbia: Isaia
vede prima il Signore assiso sul trono di gloria e, poi, sente i serafini
pregarlo (Is. 6, 1); cos come i discepoli vedono Cristo e, solo dopo, ne
tramandano il messaggio(10).
Nella cultura bizantina, dunque, limmagine si manifesta attraverso
la sua materialit, ed lo sguardo che la rende palese, svelandola visivamente grazie alla luce.
Un elemento chiave, infatti, nella percezione bizantina del colore
la relazione esistente tra il pigmento e la luminosit.
I colori sono, in altre parole, considerati come una manifestazione
della luce; tale concezione non sottintende, per, il riconoscimento dellesistenza di una luce bianca scomponibile nellintero spettro cromatico, quanto piuttosto la percezione di una qualit peculiare del singolo
colore come portatore di luce. Questo chiaro nelle descrizioni delle
opere artistiche in cui si enfatizza la natura splendente, quasi incande(9) Ibid., pp. 4-7.
(10) St. Theodore The Studite. On the Holy Icons, transl. by C. P. ROTH, New
York 2001, p. 78.

Maria Rosaria Marchionibus

scente, e luminosa dei pigmenti, piuttosto che la loro tinta; in altre


parole viene ad essere sottolineata la loro qualit luminosa od oscura,
proprio come se la gamma cromatica fosse decisa e scandita prevalentemente dalla maggiore o minore luminosit dei differenti colori (11).
Nei contesti sacri interviene, poi, a dotare tale convinzione di ulteriori valenze e significati, la relazione esistente tra luce e divinit individuata negli scritti teologici e ben espressa dallo Pseudo-Dionigi, che, nei
Nomi Divini, inserisce la luce nellelenco degli appellativi di Dio e sottolinea che essa unimmagine del Bene(12), e, nella Gerarchia Celeste,
delinea il concetto di Dio come fonte di luce: le luci materiali sono, cio,
le immagini delleffusione di un dono immateriale di luce divina (13).
Anche per i Bizantini, come per Platone, esiste, poi, un collegamento strettissimo tra colore, forma e parola.
Giovanni Crisostomo ritiene, per esempio, che il disegno, senza i
colori, rimane una sorta di ombra; per lui, dunque, il disegno si
sostanzia nellimmagine del prototipo, ed appare riconoscibile e identificabile solo quando completato dai colori(14).
Michele Psello, inoltre, sostiene che, affinch unimmagine possa
rappresentare realmente il prototipo, si debba ricorrere ai colori, che
sono i soli in grado di riprodurre la forma vivente del modello (15).
Sembra, pertanto, che sia limmagine stessa ossia la forma a
fornire il contesto entro cui i colori, elemento indispensabile alla
mimesis, caricano di significato la raffigurazione.

(11) L. JAMES, Colour and the Byzantine rainbow, in Byzantine and Modern
Greek Studies 15 (1991), pp. 66-95: 80.
(12) DIONYSIUS AREOPAGITA, De Divinibus Nominibus, edizione B. R. SUCHLA,
Corpus Dionysiacum I: Pseudo-Dionysius Areopagita, De divinis nominibus,
Berlin 1990 (Patristische Texte und Studien, 33), p. 118, l. 12. Fonte consultata
nella versione online del Thesaurus Linguae Graecae. A Digital Library of Greek
Literature http://www.tlg.uci.edu (dora in poi TLG on line).
(13) JAMES, Colour cit. (nota 12), p. 80; DIONYSIUS AREOPAGITA, De Ecclesiastica Hierarchia, edizione G. HEIL A. M. RITTER, Corpus Dionysiacum II:
Pseudo-Dionysius Areopagita, De coelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia, De
mystica theologia Epistulae, Berlin 1991 (Patristische Texte und Studien, 36), p. 9,
l. 3 (TLG on line).
(14) JOANNES CHRYSOSTOMUS, In dictum Pauli: Nolo vos ignorare, 4, Discrimen
inter umbram et veritatem, edizione J. P. MIGNE, Patrologiae cursus completus.
Series Graeca (dora in poi PG), 51, Parisiis 1862, col. 247D; IOHANNES CHRYSOSTOMUS, In epistulam ad Hebraeos, edizione PG 63, Parisiis 1862, col. 130A.
(15) Michaelis Pselli Scripta Minora, ed. E. KURTZ F. DREXL, II, Milano 1940,
p. 138.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

Ma il concetto della vera somiglianza ottenuta attraverso i colori


arricchito dal riconoscimento dellesistenza di un esplicito nesso tra
parola e immagine, per cui la favella e la vista hanno una funzione equivalente. In altri termini la forma creata dai colori legata alla parola e al
linguaggio(16).
Gregorio di Nissa sostiene, infatti, che il pittore scrive con i colori
come se le sue immagini fossero un libro che parla e aggiunge che la
pittura, anche se silenziosa, sa come interloquire dalla parete (17);
mentre Teodoro Studita afferma che quello che scritto con inchiostro
su un foglio pu essere segnato sullicona con i diversi colori(18).
Licona diviene nella mentalit bizantina, cos, una pittura
animata (empsychos graph), secondo unespressione usata da Michele
Psello che, nellXI secolo, nella sua orazione sulla Crocifissione, difende
le raffigurazioni pittoriche contro la vecchia accusa di rappresentare
una realt morta, che invano cerca di dare lillusione della vita. Secondo
Psello, invece, la pittura non muta, ma in grado di parlare, esattamente come la poesia, risvegliando i sentimenti nelle persone. Per lui
licona non si limita ad imitare un modello, ma assolutamente piena di
vita e di movimento: cos naturale da oltrepassare i limiti dellarte(19).
Dunque, il chrma infonde allo schema la vita, consentendo
allimmagine di parlare allosservatore, di comunicare con colui che la
guarda.
La connessione tra forma e colore, oltre ad affondare, per, le sue
radici nella fisiologia platonica, a Bisanzio strettamente legata allalchimia, il cui interesse fior a Costantinopoli sin dal VII secolo. La
nozione del colore, infatti, di grande importanza nel sistema dellalchimista in quanto il colore il riflesso dellessenza, dunque non
indica solo lapparenza, bens la natura del metallo o del composto. Ci

(16) Cf. H. MAGUIRE, Art and Eloquence in Byzantium, Princeton, New Jersey
1981, pp. 9-21; M. R. MARCHIONIBUS, Icone in Campania. Aspetti iconologici, liturgici e semantici, Spoleto 2011, pp. 99-119.
(17) GREGORIUS NYSSENUS, De S. Theodoro martyre, edizione PG 46, Parisiis
1863, col. 737D.
(18) THEODORUS STUDITES, Antirrheticus Primus adversus Iconomachos,
edizione PG 99, Parisiis 1860, coll. 340D-341A.
(19) E. A. FISHER (ed.), Michaelis Pselli orationes hagiographicae, Stuttgart
1994, pp. 116-198: 197. Sulle immagini parlanti e sulleloquenza delle icone cf.
MARCHIONIBUS, Icone in Campania cit. (nota 16), pp. 94, 99-119.

Maria Rosaria Marchionibus

sono, infatti, quattro stadi nel processo di trasmutazione che la materia


deve attraversare per raggiungere la purificazione e il perfezionamento
ultimo, tutti identificati attraverso una modificazione del colore; essa,
infatti, procede dalla melanosis (annerimento), attraverso la leukosis
(sbiancamento), e poi la xanthosis (ingiallimento), per giungere infine
alla iosis (imporporamento) (20).
La scienza della trasmutazione cos diviene ben presto arte di imitazione, poich la trasformazione di un metallo in un altro si riduce, il pi
delle volte, alla ricerca di una tintura che possa imitare la natura della
sostanza da produrre e, pertanto, lalchimia diventa unarte imitativa,
che falsifica i materiali costosi e preziosi come loro, largento, le pietre
preziose, riproducendo i loro colori. Questo proprio perch il chrma
considerato un indicatore standard della trasmutazione della materia in
quanto manifestazione del suo spirito, e soggetto diretto delle metamorfosi nel processo di perfezionamento a cui si pu sottoporre la materia
stessa.
In Oriente, sotto il patronato di Eraclio, il filosofo alessandrino
Stefano muta, poi, lalchimia da una miscela di ricette di metallurgia,
magia egizia, filosofia greca, gnosticismo, astrologia caldea, teologia
cristiana e mito pagano, in un tema usato per le composizioni retoriche,
poetiche e religiose, subordinando latto fisico della trasformazione al
simbolo allegorico.
Egli, cos, arriva a considerare, per esempio, la mutazione dei
metalli come simbolo della forza rigeneratrice della religione che
trasforma lanima umana (21).
A Bisanzio, inoltre, linteresse per lalchimia e le scienze occulte aveva
determinato anche la diffusione della dottrina della symphateia
cosmica, legata, in origine, alla filosofia degli Stoici, traslata nel pensiero
di Platone, in quello dei Neoplatonici, e, infine, negli scritti degli autori
cristiani fin dal II secolo. I Padri della Chiesa come Atenagora di Atene(22),

(20) Relativamente al processo di trasmutazione della materia cf. JAMES, Light


and Colour cit. (nota 1), p. 42.
(21) Ibid., pp. 41-42.
(22 ) A THENAGORAS , Legatio sive Supplicatio pro Christianis, edizione
W. E. SCHOEDEL, Athenagoras. Legatio and De resurrectione, Oxford 1972, cap. 7,
2, l. 3; cap. 22, 12, l. 3; ATHENAGORAS, De resurrectione, ibidem, cap. 15, 3, lin. 2;
cap. 21, 4, l. 8 (TLG on line).

I colori nellarte sacra a Bisanzio

Clemente di Alessandria(23), Basilio di Cesarea(24), Gregorio di Nissa (25),


Socrate Scolastico(26) e Giovanni Crisostomo (27), usano, infatti, tutti il
concetto di sympatheia, che si ritrova anche, pi tardi, nelle opere di
Michele Psello (28).
Secondo le leggi della symphateia, gli oggetti che sono stati in
contatto ma che in seguito non lo sono pi continuano a influenzarsi a
distanza; inoltre, una parte sta allintero come unimmagine sta alloggetto rappresentato. Quindi, se qualcosa cambia nellordine cosmico in
una parte del mondo, questo mutamento potrebbe portare conseguenze
anche altrove, sebbene tra le diverse parti coinvolte sembrino, a prima
vista, non esistere collegamenti. In altre parole, esistono delle connessioni strettissime tra le membra differenti di uno stesso unico corpo, ma
anche tra esseri umani differenti, perch essi fanno parte dellumanit
considerata come unit, o, a livelli diversi, tra ogni cosa nelluniverso
percepita come una parte di unentit unica, o tra il corpo del mondo
e la sua anima ritenute parti di un intero. Questa concezione stoica, si
basa sulla presenza dello pneuma, una mistura di fuoco e di aria che
permea tutto il mondo inteso come organismo vivente costituendone
lanima. Dunque, come lo pneuma permea il corpo umano e lo rende,

(23) CLEMENS ALEXANDRINUS, Stromata, edizione L. FRCHTEL O. STHLIN


U. TREU, Clemens Alexandrinus, II-III, Berlin 1960 e 1970 (Die griechischen
christlichen Schriftsteller, 52), Libro I, 25, 166, 1, l. 6; Libro IV, 13, 94, 4, l. 2;
Libro VI, 16, 143, 1, l. 4; Qui dives salvetur ibidem, 11, 2, l. 4.
(24) BASILIUS MAGNUS, Omelia II, 2, 7-8, edizione Basilio di Cesarea. Sulla
Genesi (Omelie sullEsamerone), a cura di M. NALDINI, Rocca San Casciano (FO)
2001, p. 45.
( 25 ) G R E G O R I U S N Y S S E N U S , In inscriptiones Psalmorum, edizione
J. MC DONOUGH, Gregorii Nysseni opera, V, Leiden 1962, p. 32, ll. 11-17; GREGORIUS NYSSENUS, De Perfectione Christiana ad Olympium monachum, edizione
W. JAEGER, Gregorii Nysseni opera, VIII, 1, Leiden 1963, p. 197, ll. 20-24; GREGORIUS NYSSENUS, Contra Fatum, edizione J. Mc Donough, Gregorii Nysseni opera,
III, 2, Leiden 1986, p. 37, l. 15 (TLG on line).
(26) SOCRATES SCHOLASTICUS, Historia Ecclesiastica, edizione P. MARAVALP. PRICHON, Socrate de Constantinople, Histoire ecclsiastique, Paris 2004-2007,
Libro V, Prmium, ll. 2-11 (TLG on line).
(27) IOHANNES CHRYSOSTOMUS, De incomprehensibili Dei natura (Contra
Anomoeos, homiliae 1-5), edizione A. M. MALINGREY, Jean Chrysostome. Sur
lincomprhensibilit de Dieu, Paris 1970 (Sources chrtiennes, 28bis), Omelia 4,
l. 353 (TLG on line).
(28) K. IERODIAKONOU, The Greek Concept of Sympatheia and Its Byzantine
Appropriation in Michael Psellos, in The Occult Sciences in Byzantium, ed. by
P. MAGDALINO M. MAVROUDI, Geneva 2006, pp. 97-117.

10

Maria Rosaria Marchionibus

insieme allanima, un organismo unico e intero, in cui ogni singola parte


connessa al resto, cos il mondo impregnato e vivificato dallo
pneuma, che identificato con Dio, il quale, creando il mondo, ne
diventato lanima. I filosofi platonici, seguendo il Timeo di Platone,
sostennero lidea che luniverso fosse un intero unificato e che anche
parti del tutto, che si trovavano a grandi distanze, potevano tra di loro
influenzarsi. Essi, per, collocarono lorigine del potere che permeava
luniverso in una sfera immateriale e intelligibile, opposta al mondo
sensibile. In altre parole, essi spiegarono la sympatheia cosmica in virt
di un legame non fisico, ma piuttosto con una sorta di analogia, o pi
specificamente di similarit, esistente tra il mondo immateriale e il
mondo sensibile e materiale, come pure tra le diverse parti del mondo
materiale che sono ugualmente influenzate da quello intelligibile attraverso lanima delluniverso. Lo stesso concetto espresso dai Neoplatonici, che, per, ritenevano che la sympatheia, oltre a essere usata per le
pratiche divinatorie, potesse servire pure per manipolare i demoni.
Anche nel pensiero cristiano la sympatheia cosmica esiste ed Dio stesso
che la realizza. Tutte le parti del mondo sono, cio, strettamente
connesse in accordo con unineffabile sympatheia, costituendo ununit
che sembra anche in questo caso quella di un organismo vivente. Il Dio
cristiano non , per, parte del mondo, egli ha creato il mondo e, in particolare, ha creato lessere umano a sua immagine e somiglianza. Lanima
costituisce, dunque, lelemento divino in noi, che aspira, quando viene
liberata dalla cattivit del corpo, a ritornare in contatto con Dio, e finalmente ad ascendere, dopo la morte, al cielo. Evidentemente molto del
pensiero platonico emerge in questa concezione secondo cui c una
sorta di similitudine tra Dio e la creazione, e tra il Figlio di Dio e lessere
umano. Inoltre, c unanalogia simpatetica anche nel modo in cui le cose
nel mondo sensibile sono affette dal potere divino, poich tutte le parti
del mondo sono strettamente connesse, cos quando una parte influenzata da Dio, altre possono esserne ugualmente interessate (29).
In questa concezione evidente che la somiglianza pu costituire
elemento di sympatheia, per cui luso di materie e di colori che evocano
per similitudine un archetipo, ne manifestano la presenza, ne condividono spiritualmente la natura e ne diventano una sorta di emanazione, una parte di esso.

(29) Ibid., pp. 100-107.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

11

Il pavimento di marmo proconnesio della Santa Sofia a Costantinopoli (figg. 1, 2) con le sue striature grigio-bluastre, simili ad onde, evoca,
per esempio, il mare. Tale metafora usata chiaramente da Paolo Silenziario quando, nella sua ekphrasis sullambone di Santa Sofia, descrive il
pulpito affermando che come tra i flutti del mare unisola sorge, adorna
di spighe, ricca di grappoli, qui di floridi prati, l di virenti colline, e il
viandante che la costeggia la stima felice, cercando di addolcire il dolore
e la fatica della vita di mare; cos, nello spazio centrale dellimmensa
dimora, come una torre di marmo, alto si mostra lambone, adorno di un
prato marmoreo e della bellezza dellarte. N sta del tutto isolato nello
spazio centrale, simile a unisola cinta dal mare; ma somiglia piuttosto a
una terra battuta dai flutti che un istmo sporgente sospinge nel mare
canuto, in mezzo alle onde, e, legata soltanto a un estremo, le impedisce
di avere laspetto di unisola vera: quindi correndo innanzi sui flutti
marini, listmo come una fune si annoda al colle vicino al mare(30).
La stessa similitudine compare nella Diegesis o Narratio, il racconto
della edificazione di Santa Sofia risalente al IX secolo, dove il pavimento confrontato con il mare o con le acque di un fiume (31), e nella
descrizione retorica che, nel XII secolo, Michele protecdicus della
chiesa di Tessalonica e poi, in seguito, diacono della Grande Chiesa
dedica alledificio costantinopolitano, in cui la distesa di marmo
proconnesio viene assimilata a una superficie marina increspata da
onde blu, che sembrano provocate da un sasso gettatovi allinterno(32).
Per oltre un millennio i visitatori hanno, del resto, notato che le ondulate venature bluastre del marmo rendevano tale pavimento simile ad
(30) M. L. FOBELLI, Un tempio per Giustiniano. Santa Sofia di Costantinopoli e
la Descrizione di Paolo Silenziario, Roma 2005, p. 112, vv. 224-239. Sui marmi e
sul simbolismo di Santa Sofia cf. M. L. FOBELLI, La Santa Sofia di Costantinopoli
nellet di Giustiniano: sistemi decorativi e strategia delle immagini, in Medioevo:
immagini e ideologie. Atti del V Convegno Internazionale di Studi (Parma, 23-27
Settembre 2002), Parma-Milano 2005, pp. 90-99; EAD., Mito e immagine di Santa
Sofia dalla Diegesis alla caduta di Costantinopoli, in Medioevo: immagine e
memoria. Atti dellXI Convegno Internazionale di Studi (Parma, 23-28 Settembre
2008), Parma-Milano 2009, pp. 495-509; EAD., Santa Sofia. la strategia della luce,
in P. CESARETTI M. L. FOBELLI (a cura di), Procopio di Cesarea. Santa Sofia di
Costantinopoli. Un tempio di luce, Milano 2011, pp. 122-127.
(31) T. PREGER, Scriptores originum Constantinopolitanarum, New York 1975,
pp. 74-108; G. DAGRON, Constantinople imaginaire. tudes sur le recueil des
Patria, Paris 1984, p. 207.
(32) C. MANGO J. PARKER, A Twelfth-Century Description of St. Sophia, in
Dumbarton Oaks Papers 14 (1960), pp. 233-245: 243.

12

Maria Rosaria Marchionibus

un mare gelato. Persino Maometto II, in occasione della conquista di


Costantinopoli, aveva ammirato la distesa del mare in tempesta di
S. Sofia (33).
Paolo Silenziario, inoltre, descrive i materiali e le superfici della
Grande Chiesa come instabili e mutevoli nellaspetto, quasi fossero
sottoposti a un processo di trasformazione continua. Quando egli
prende in esame il marmo della solea, lo definisce aiolomorphos, ossia
di forma e apparenza mutevole (34).
Nella descrizione dei marmi(35) il poeta cita, quasi in successione, i
quattro colori corrispondenti agli stadi cromatici del processo di mutazione alchemica della materia precedentemente menzionati melanosis
(annerimento), leukosis (sbiancamento), xanthosis (ingiallimento), iosis
(imporporamento) : al bianco lattiginoso della neve reale che ricopre la
pelle nera del marmo della Gallia (36), evocato pochi versi dopo dalla
descrizione del marmo in cui sono mescolati il candore delle nevi
accanto a neri bagliori (37), segue il prezioso giallo del monte Onice(38), e
gli scudi di marmo simili a dischi di porpora(39).
Le propriet camaleontiche del marmo vengono, infatti, sottolineate con enfasi dal Silenziario: il suo splendore cambia da quello
dellacqua(40), al biancore dellaria (41), alla luminosit dei prati (42) e dei
fiori purpurei (43) e alla lucentezza del metallo (44). Le parole usate per
descrivere il marmo palesano lapparente natura mutevole della materia
che si dimostra cos come si detto quasi sottoposta a un processo
alchemico, in cui la pietra si liquefa in acqua e si fonde nel metallo (45) e

(33) A. PERTUSI, La caduta di Costantinopoli, I-II, Milano 1976: I, pp. 329-330,


ll. 666-719.
(34) FOBELLI, Un tempio per Giustiniano cit. (nota 30), p. 102, vv. 79-80, 84-92.
(35) Sui marmi di S. Sofia cf. A. GUIGLIA GUIDOBALDI C. BARSANTI (et al.),
Santa Sofia di Costantinopoli. Larredo marmoreo della Grande Chiesa giustinianea, Citt del Vaticano 2004 (Studi di Antichit Cristiana pubblicati a cura del
Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana LX).
(36) FOBELLI, Un tempio per Giustiniano cit. (nota 30), p. 72, vv. 637-639.
(37) Ibid., p. 74, vv. 645-646.
(38) Ibid., p. 72, v. 640.
(39) Ibid., p. 74, vv. 662-663.
(40) Ibid., p. 112, vv. 224-239.
(41) Ibid., p. 72, v. 623.
(42) Ibid., p. 72, v. 618.
(43) Ibid., p. 72, v. 624.
(44) Ibid., p. 74, vv. 625, 664-667.
(45) Sulla liquefazione della pietra e la trasformazione in metallo si veda

I colori nellarte sacra a Bisanzio

13

i colori usati per descriverlo servono per identificare i diversi stadi della
trasformazione.
Dunque, il marmo che decora Santa Sofia e che, in particolare,
compone il pavimento della chiesa, grazie al cangiantismo cromatico
che lo caratterizza, attributo peculiare della trasmutazione della
materia, allude a realt diverse che condividono con quella rappresentata laspetto, per evocare attraverso di esso ossia grazie alla mera
apparenza una dimensione altra da quella terrena, una dimensione
divina.
La chiesa diviene unimmagine del macrocosmo, un modello dellUniverso creato da Dio(46), e le sue strutture, le sue decorazioni, attraverso i colori, trasfigurano le strutture architettoniche nel Regno dei
Cieli, nella Gerusalemme Celeste, nel Verbo e nelle azioni che il Signore
ha compiuto e compir dalla genesi fino alla fine dei tempi.
Giobbe (9, 8) sostiene, del resto, che Dio da solo stende i cieli e
cammina sulle onde del mare, per cui camminare nella casa del Signore
su una superficie di acqua cristallizzata consente al fedele di seguire le
orme di Dio, di agire a sua immagine e somiglianza.
Ma camminare sullacqua allude alla creazione, quando Dio cre la
terra dallacqua, matrice di vita(47): Dio disse: Sia il firmamento in
mezzo alle acque per separare le acque dalle acque. Dio fece il firmamento e separ le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che
son sopra il firmamento. E cos avvenne. Dio chiam il firmamento
cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. Dio disse: Le acque che
sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia lasciutto. E
cos avvenne. Dio chiam lasciutto terra e la massa delle acque mare. E
Dio vide che era cosa buona (Gn. 1, 6-10).

B. V. PENTCHEVA, Hagia Sophia and Multisensory Aesthetics, in Gesta 50/2 (2011),


pp. 93-111: 97.
(46) O. DEMUS, Byzantine Mosaic Decoration: Aspects of Monumental Art in
Byzantium, Boston 1964, pp. 14-16; K. E. MCVEY, The Domed Church as Microcosm: Literary Roots of an Architectural Symbol, in Dumbarton Oaks Papers 37
(1983), pp. 91-121: 118; P. C. FINNEY, The Invisible God: The Earliest Christians on
Art, New York 1994, p. 290; R. WEBB, The Aesthetics of Sacred Space: Narrative,
Metaphor, and Motion in Ekphraseis of Church Buildings, in Dumbarton Oaks
Papers 53 (1999), pp. 59-74: 66; M. F. HANSEN, The Eloquence of Appropriation:
Prolegomena to an Understanding of Spolia in Early Christian Rome, Rome 2003,
pp. 200-201.
(47) F. BARRY, Walking on Water: Cosmic Floors in Antiquity and the Middle
Ages, in The Art Bulletin 89/4 (Dec. 2007), pp. 627-656.

14

Maria Rosaria Marchionibus

La genesi della creazione rievocata, del resto, nel rito battesimale,


che rappresenta la nascita delluomo, nuovamente creato; pertanto,
lacqua come sostanza allude anche a questo stadio della rigenerazione
in Dio, giustificando ulteriormente la sua presenza congelata nella
chiesa. Infatti, fin dallorigine, lacqua battesimale non solo purificatrice, ma anche e soprattutto unacqua vivificante, unacqua che d la
vita, che rigenera luomo per farne una nuova creatura. Il battesimo
cristiano essenzialmente battesimo di vita, come del resto chiarisce lo
stesso Cristo quando nel colloquio con Nicodemo afferma che se uno
non nasce da acqua e da spirito non pu entrare nel regno di Dio
(Gv. 3, 5). Lacqua battesimale simboleggia, pertanto, la matrice, il
grembo materno che genera i figli di Dio(48), e Cirillo di Gerusalemme
ribadisce il concetto quando dice: E in uno stesso momento morivate
(con limmersione) e nascevate (con lemersione): questacqua salutare
fu sia il vostro sepolcro sia la vostra madre(49).
Questo perch lacqua oltre allinizio rappresenta anche la fine;
infatti, il destino apocalittico si compir in una glaciale purit, come
afferma Giovanni: Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco e
coloro che avevano vinto la bestia e la sua immagine e il numero del suo
nome, stavano ritti sul mare di cristallo (Ap. 15, 2).
Ma nelle Sacre Scritture lo stesso tempio di Dio sembra sorgere
dallacqua, essere esso stesso fonte di acqua, circostanza che rende
quasi naturale ricorrere a materiali che per cromia possano simboleggiare, attraverso la chiesa tempio, trono e altare divino in terra la
Gerusalemme Celeste.
Giovanni nella sua Apocalisse afferma, per esempio, che Davanti
al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al
trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni docchi
davanti e di dietro (Ap. 4, 6).
A Santa Sofia il pavimento attraversato, inoltre, trasversalmente e
a intervalli irregolari, da quattro bande di verde antico di Tessaglia, che
vengono, spesso, definite fiumi(50).

(48) G. H. BAUDRY, I simboli del battesimo. Alle fonti della salvezza, Milano
2007, p. 23; HIDIROGLOU, Acqua divina cit., p. 80.
(49) BAUDRY, I simboli del battesimo cit. (nota 48), p. 23; CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi Mistagogiche, II, 4 in PG 33, Parisiis 1886, col. 1080.
(50) Gli studi non concordano sul numero delle bande di verde di Tessaglia
che attraversavano il pavimento di Santa Sofia: secondo George P. Majeska
(G. P. MAJESKA, Notes on the Archeology of St. Sophia at Constantinople: The

I colori nellarte sacra a Bisanzio

15

Teodoro Andideno, per esempio, confrontando lentrata del vescovo


con larrivo di Cristo al fiume Giordano, dice che per questa ragione
sembra che il nome di fiumi dato alle strisce di marmo scuro che giacciono nel pavimento della Grande Chiesa (51).
Un manoscritto sinaitico menziona il terzo fiume, a partire da
Est, in connessione con il servizio del 22 Dicembre(52). La Diegesis
descrive quattro fasce realizzate da Giustiniano per rappresentare i
quattro fiumi del paradiso e servire da stazioni per i penitenti (53).
Dunque, Santa Sofia che sorge su un mare, attraversato da corsi
dacqua, sembra alludere alle descrizioni del tempio di Dio nella Sacra
Scrittura.
In Ezechiele, infatti, dal tempio del Signore sgorga lacqua (47, 1):
Mi condusse poi allingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del
tempio usciva acqua verso oriente, poich la facciata del tempio era
verso oriente. Quellacqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla
parte meridionale dellaltare. Unacqua vivificante e prodigiosa
(Ez. 47, 9): Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume,
vivr: il pesce vi sar abbondantissimo, perch quelle acque dove giungono, risanano e l dove giunger il torrente tutto rivivr.
NellApocalisse di Giovanni dal trono di Dio e dellagnello che
scaturisce un fiume dacqua viva, limpida come cristallo (Ap. 22, 1).
A Santa Sofia, infatti, al di l delle bande di verde di Tessaglia,
simboleggianti i fiumi, si ergeva il trono(54) che, evidentemente, evocava
quello su cui sieder Dio al momento del Giudizio Finale.
La scelta del verde, dunque, non casuale ma vuole creare nellosservatore limpressione che il pavimento di mare cristallizzato chiara
allusione al mare di cristallo descritto da Giovanni nellApocalisse sia
attraversato da corsi dacqua. Nella cartografia medievale il verde
spesso usato per indicare i fiumi. Nella Tavola Peutingeriana, per
esempio, si ricorre al verde per rappresentare il mare e i corsi dacqua,
Green Marble Bands on the Floor, in Dumbarton Oaks Papers 32 (1978), pp. 299308: 300) quattro, mentre Cyril Mango e John Parker (MANGO PARKER, A
Twelfth-Century Description cit. [nota 32], p. 243) affermano che dovevano essere
per lo meno cinque.
(51) THEODORUS ANDIDENSIS , De divinae liturgiae simbolis ac misteriis,
edizione PG 140, Parisiis 1894, col. 436C.
(52) A. DMITRIEVSKIJ, Opisanie liturgiceskich rukopisej, I, Kiev 1895, p. 157.
(53) MANGO PARKER, A Twelfth-Century Description cit. (nota 33), p. 243.
(54) MAJESKA, Notes on the Archeology of St. Sophia at Constantinople cit.
(nota 50), p. 303.

16

Maria Rosaria Marchionibus

come del resto tessere verde-azzurre compaiono nelle distese marine e


nei fiumi nel mosaico di Madaba, mentre nella Carta della Terra della
Topographia christiana di Cosma Indicopleusta, il mare azzurro e i
fiumi appaiono verdi (fig. 3)(55).
Inoltre, Cristo stesso si definisce legno verde (Lc. 23, 31) e acqua
viva (Gv. 4, 10-15), per cui un fiume di acque verdi sembra poter alludere a Dio come fonte di vita eterna.
Il ricorso al marmo proconnesio il cui aspetto per cromia e caratteristiche estetiche evocava lacqua, e, dunque, secondo una sorta di
trasmutazione alchemica, per sympatheia, ne poteva materializzare la
presenza, anche giustificato dalle teorie geologiche di Aristotele e
Teofrasto, secondo le quali il marmo era composto da particelle di terra
percolate in acqua e poi solidificate in pietra per le esalazioni essiccanti
generate dalle profondit della terra (56).
Se in Santa Sofia stato utilizzato il marmo per alludere allacqua,
in altri contesti, invece, si preferito ricorrere alla stessa materia che si
voleva evocare. Infatti, probabilmente, intorno alla cattedrale di Edessa
erano stati realizzati dei canali attraversati da acqua, esempio di una
consapevole mimesis del mondo creato, come del resto sembrano dimostrare le parole di un inno datato al VI secolo dedicato alla sua inaugurazione, in cui si afferma che ledificio nella sua piccolezza raffigura la
vastit del mondo, non nelle dimensioni ma nellaspetto, con le acque
che la circondano come il mare circonda la terra (57).
Sin dalla Tarda Antichit e per tutto il corso del Medioevo, la predilezione per i colori cangianti dunque per una materia cromatica che
quasi alchemicamente trasmuta appare evidente, inoltre, nella rappresentazione delle stoffe, in cui si preferisce modellare le tinte non con
una sfumatura pi scura della stessa cromia, ma ricorrendo a un altro
colore che abbia la stessa valenza luminosa e possa, cos, mantenere

(55) M. CHELLINI NARI, s.v. Cartografia, in Enciclopedia dellArte Medievale, IV,


Roma 1993, pp. 334-342; M. DELLA VALLE, s.v. Cartografia Area Bizantina,
ibidem, pp. 242-346; A. CARUSO, s.v. Cartografia Islam, ibidem, pp. 346-349.
(56) D. E. EICHHOLZ, Aristotles Theory of the Formation of Metals and Minerals, in Classical Quarterly 43, nos. 3-4 (1949), pp. 141-146; ID., References to a
Theory of he Formation of Stones, in Pliny: Natural History, Libri XXXVI-XXXVII,
London 1962, pp. X-XV ; ID., Theophrastus: De Lapidibus, Oxford 1965, pp. 15-47.
(57) A. PALMER L. RODLEY, The Inauguration Anthem of Hagia Sophia in
Edessa: A New Edition and Translation with a Contemporary Constantinopolitan
Kontakion, in Byzantine and Modern Greek Studies 12 (1988), pp. 117-168: 127,
134.

Fig. 1 Istanbul, Santa Sofia, interno (foto F. Minicucci).

Fig. 2 Istanbul, Santa Sofia, interno (http://www.flickr.com).

Fig. 3 Carta della Terra, Cosma Indicopleusta, Topographia christiana:


Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 699, f. 40v.

Fig. 4 Mappa del Mondo, Libro delle Curiosit: Oxford, Bodleian Library,
ms. Arab. c.90, ff. 27v-28r.

Fig. 5 Sinai, monastero di Santa Caterina, katholikon, abside, Trasfigurazione, mosaico.

Fig. 6 Grecia, monastero di Hosios Loukas, katholikon,


incontro di Cristo con san Giovanni Battista (particolare),
affresco.

Fig. 8 Serbia, monastero di Mileeva,


katholikon, Annunciazione, Vergine
(particolare), affresco.

Fig. 7 Chios, Nea Moni, katholikon, Anastasis, mosaico.

Fig. 9 Aversa, Duomo, Museo Diocesano, Eleousa di Santa Maria a Piazza, icona (foto M. R.
Marchionibus).

Fig. 10 Tessalonica, chiesa di S. Demetrio,


la Vergine e s. Teodoro, mosaico.

Fig. 11 Sinai, monastero di S. Caterina, Crocifissione, icona.

Fig. 12 Sinai, monastero di S. Caterina, Annunciazione, icona.

Fig. 13 Sinai, monastero di S. Caterina, Annunciazione


(particolare), icona.

Fig. 14 Istanbul, Santa Sofia, abside,


La Vergine e il Bambino, mosaico.

Fig. 15 Istanbul, Santa Sofia, abside,


La Vergine e il Bambino, mosaico.

Fig. 16 Grecia, monastero di Daphni, katholikon, Annunciazione (foto M. R. Marchionibus).

I colori nellarte sacra a Bisanzio

17

una tonalit dinsieme alta (58). Un esempio di cangiantismo cromatico


pu essere stato fornito agli artisti dalle stoffe dette a piume di
pavone, identificabili gi in un mosaico presente a Napoli, datato al
I secolo d. C., che raffigura una scena tratta da una commedia(59), ma
note anche in epoca pi tarda, poich ne parla Urso di Salerno alla fine
del XII secolo(60). Di sicuro dallXI secolo, Tinns, citt vicino Alessandria, era famosa per la produzione di una stoffa chiamata bukalamun, il
cui colore cambiava nelle diverse ore del giorno, a seconda della luce, e
che era detta, appunto, a piume di pavone(61).
Il ricorso al cangiantismo cromatico e dunque la predilezione per
effetti ottici che provochino nella percezione dei colori una loro
trasmutazione si osserva, del resto, nello stesso procedimento usato
dagli artisti che, spesso, accostavano colori diversi per comporre
ununit cromatica, come accadeva, per esempio, al verde e al giallo,
probabilmente anche perch il giallo era considerato una tonalit del
verde sin dallAntichit, e questi due pigmenti furono ritenuti membri
di uno stesso genere cromatico per lo meno fino al XV secolo (62).
Consueto era anche labbinamento del rosso al verde, come dimostrano
i mosaici, per esempio, della Nea Moni e gli affreschi della Panagia
Mavriotissa a Kastoria, nella Grecia settentrionale. Dal XII secolo in
poi, in tutto il mondo bizantino si rintraccia una larga gamma di
combinazioni cangianti: blu o verde sul porpora, giallo sul blu o rosso,
rosso sul bianco. Luso di accostamenti cromatici era probabilmente
peculiare della stessa tecnica pittorica, diffusa per lo meno fin dallXI
secolo, che tendeva a creare gli effetti luminosi direttamente dai colori,
e che negli affreschi procedeva spesso da un fondo blu, per ottenere
dalloscurit la luce (63), circostanza che ribadisce la convinzione bizantina che i colori siano in realt una manifestazione dei diversi gradi di
intensit della luce.

(58) J. CAGE, Color and Culture. Practice and Meaning from Antiquity to
Abstraction, Singapore 1999, p. 62.
(59) Ibid., p. 61.
(60 ) U RSO DI S ALERNO , De commixtionibus Elementorum Libellus, ed.
W. STNER, Stuttgart 1976, p. 110.
(61) R. B. SERJEANT, Islamic Textiles: Materials for a History up to the Mongol
Conquest, Beirut 1972, pp. 142-143.
(62) CAGE, Color and Culture cit. (nota 58), p. 61.
(63) P. A. UNDERWOOD (ed.), The Karije Djami, I-III, New York 1966: I,
pp. 304-306; D. C. WINFIELD, Middle and later Byzantine wall painting methods, in
Dumbarton Oaks Papers 22 (1968), pp. 61-139: 100-104.

18

Maria Rosaria Marchionibus

Si deve sottolineare, per, che non esisteva a Bisanzio un simbolismo organizzato dei colori: a ogni pigmento non era assegnato un
significato unico e univoco.
Ma questo non vuol certo dire che la scelta dei colori fosse casuale.
Infatti, nonostante i colori, in quanto tinte, non abbiano una simbologia canonica, sono proprio loro, daltra parte, a dare senso alla raffigurazione, poich solo attraverso i pigmenti che unimmagine pu
rappresentare larchetipo.
Nella lettura delle rappresentazioni sacre, dunque, il significato
assunto dai colori determinato dal contesto, dallo schema, ossia dalla
forma, dal disegno, dallimmagine stessa, a cui, per, i colori, consentendo la rappresentazione e lidentificazione dellarchetipo, danno
sostanza e carne, rendendola, dunque, significante.
Cos i colori, visibili manifestazioni della luce, sono utilizzabili per
la rappresentazione di Dio incarnato e non sorprende che larcobaleno,
in cui, per la sua stessa natura, si uniscono luce e colore, sia interpretato
dalle Sacre Scritture e dai testi esegetici come uno dei visibili indicatori
della gloria e della luce divina, e compaia in scene che esprimono siffatti
concetti, come, per esempio, la Maiestas Domini, la Trasfigurazione o
lAscensione(64).
Il blu ricorre spesso nelle vesti indossate dalla Vergine e dal Figlio, o
negli sfondi di pi complesse raffigurazioni. Il blu il colore della luce
divina, di una luce eterea e immateriale come il cielo stesso.
Giovanni di Gaza descrive, per esempio, la decorazione che ornava
la cupola di un bagno della sua citt, in cui una croce doro era circondata da tre cerchi concentrici di blu: egli definisce questi cerchi come
unimmagine della Trinit e una raffigurazione della sfera celeste(65).
Evagrio Pontico parla di una luce color zaffiro o del colore del cielo,
la luce della Trinit appunto, che brilla nella mente umana durante la
preghiera cos che la stessa mente diventa luminosa. In altre parole,
durante particolari e privilegiati momenti di meditazione, la mente del

(64) JAMES, Colour cit. (nota 11), pp. 66-95.


(65 ) JOHANNES GAZAE , Ekphrasis toy kosmikoy p nakov , I, vv. 41-44, in
P. FRIEDLNDER, Johannes von Gaza und Paulus Silentiarius. Kunstbeschreibungen justinianischer Zeit, Leipzig 1912 (Sammlung wiss. Kommentare zu
griech. und rm. Schriftstellern 8), pp. 137-138; C. CUPANE, Il kosmikov pnaj di
Giovanni di Gaza. Una proposta di ricostruzione, in Jahrbuch der sterreichischen
Byzantinistik 28 (1979), pp. 195-207.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

19

credente illuminata dalla luce che promana da Dio, ossia una luce di
zaffiro(66).
Il blu, inoltre, assume una valenza cosmogonica quando circonda,
sotto forma di banda, uno spazio. , infatti, una convenzione grafica
geografica rappresentare il mondo circondato dalloceano sia nella
tradizione greca che in quella islamica, come dimostrano la Carta della
Terra nel manoscritto vaticano di Cosma Indicopleusta (fig. 3)(67), o la
Mappa del mondo contenuta nel Libro delle curiosit arabo, datato tra
XII e XIII secolo (fig. 4)(68).
Pertanto, se una banda blu circonda un elemento architettonico
centrale, come una cupola (69), essa diviene una sorta di omphalos,
simboleggiando il centro del mondo, e cos il colore associato alla forma
evoca lintero creato, con le acque che circondano la terra, e la cupola
che diviene lempireo celeste, come accadeva nella ormai distrutta
chiesa di S. Polieucto a Costantinopoli (dove Harrison ha documentato
la presenza di pigmento blu utilizzato come sfondo delle lettere della
grande iscrizione che correva intorno alledificio, nelle nicchie e sui
sostegni)(70), o ancora nella cupola della Roccia, ritenuta tra laltro,
nella tradizione islamica, il luogo pi vicino al cielo(71).
Nellabside del monastero di S. Caterina al Sinai una banda colorata
delimita in basso la scena della Trasfigurazione (fig. 5), composta dal
(66) J. MUYLDERMANS, Evagriana, in Le Muson 44 (1931), pp. 37-68; ID., Note
additionnelle Evagriana, in Le Muson 44 (1931), pp. 369-83; W. HARMELESS
R. R. FITZGERALD, The Sapphire Light of the Mind: The Skemmata of Evagrius
Ponticus, in Theological Studies 62/3 (2001), pp. 498-529; G. PEERS, Sacred Shock.
Framing Visual Experience in Byzantium, Pennsylvania State University Press
2004, pp. 126-127.
(67) H. MAGUIRE, Earth and Ocean: The Terrestrial World in Early Byzantine
Art, University Park-London 1987, fig. 13.
(68) J. M. BLOOM, Arts of the City Victorious: Islamic Art and Architecture in
Fatimid North Africa and Egypt, London and New Haven 2007, p. 46 e fig. 29;
L. NESS, Blue behind Gold. The inscription of the Dome of the Rock and its Relatives, in And Diverse Are Their Hues. Color in Islamic Art and Culture, eds. by
J. BLOOM S. BLAIR, New Haven-London 2011, pp. 155-173, fig. 104.
(69) Sul significato cosmogonico della cupola si veda: K. LEHMAN, The Dome
of Heaven, in Art Bulletin 27 (1945), pp. 1-27; E. B. SMITH, The Dome: A Study in
the History of Ideas, Princeton 1950; K. MCVEY, The Domed Church as a Microcosm: Literary Roots of an Architectural Symbol, in Dumbarton Oaks Papers 37
(1983), pp. 91-121.
(70) R. M. HARRISON, A Temple for Byzantium: The Discovery and Excavation
of Anicia Julianas Palace-Church in Instabul, Austin 1989, p. 81.
(71) NESS, Blue behind Gold cit. (nota 68), pp. 163-166.

20

Maria Rosaria Marchionibus

colore blu, pi esterno, che sfuma nel verde-azzurro, per sfociare poi nel
verde-oro, che si fonde con loro del catino, al cui centro emerge la
mandorla di luce di Cristo, che appare circondato, cos, dal nero-blu, che
degrada morbidamente dal blu allazzurro. Parrebbe, quasi, che gli artisti
abbiano voluto rappresentare, attraverso lattenta scelta dei colori, oltre
al tema della Trasfigurazione evidentemente palese nellimmagine,
lintero creato: Dio disse: Sia il firmamento in mezzo alle acque per
separare le acque dalle acque. Dio fece il firmamento e separ le acque
dalle acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il
firmamento. E cos avvenne. Dio chiam il firmamento cielo. E fu sera e
fu mattina: secondo giorno. Dio disse: Le acque che sono sotto il cielo si
raccolgano in un solo luogo e appaia lasciutto. E cos avvenne. Dio
chiam lasciutto terra e la massa delle acque mare (Gn. 1, 6-10). Infatti,
il colore blu, che delimita inferiormente la calotta absidale, rappresenta
lacqua che circonda lintera terra, simboleggiata dal verde, mentre loro
della calotta materializza la presenza dello Spirito Santo e di Dio attraverso il riflesso della luce reale sulla superficie dorata concava, che evoca
anche il firmamento rischiarato dalla luce solare, in cui si manifesta,
per, pure la luce come emanazione divina, ossia la mandorla che
avvolge Cristo, assumendo tonalit dal nero-blu allazzurro, e che, riverberando sulle vesti di Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli presenti
allevento, le tinge di sfumature bluastre. La mandorla, declinata in
nero-blu, blu e azzurro, assume, inoltre, una valenza trinitaria(72).
Il colore blu, o zaffiro, del resto, compare in molte descrizioni
legate alla rappresentazione della presenza di Dio, e dei luoghi dove
Egli si manifesta o si compir il suo disegno divino.
Quando Mos, Aronne e i settanta anziani salgono sul Sinai vedono,
per esempio, sotto i piedi del Dio di Israele un pavimento fatto di lastre
di zaffiro, simile al cielo (Es. 24, 10). Isaia, poi, afferma che Gerusalemme sar ricostruita su fondamenta di zaffiri (Is. 54, 11), come del
resto Giovanni, secondo cui le fondamenta della citt celeste saranno di
diaspro, zaffiro, calcedonio e smeraldo (Ap. 21, 19).

(72) Sul significato trinitario della mandorla di luce di Cristo nella scena della
Trasfigurazione cf. M. FALLA CASTELFRANCHI, La teologia trinitaria: aspetti iconologici e iconografici. Le origini e lo sviluppo in area bizantina, in S. PALESE e
G. LOCATELLI (a cura di), Il Concilio di Bari del 1098. Atti del Convegno storico
internazionale e celebrazioni del IX Centenario del Concilio (Bari 1998), Bari 1999,
pp. 285-315: 296.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

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Ad Ezechiele, nel firmamento, sulle teste dei cherubini, appare una


pietra di zaffiro (Ez. 10, 1), e sopra di essa un trono anchesso di zaffiro
(Ez. 1, 26), il trono cherubico, il trono di Dio.
Nel libro di Tobia scritto che anche le porte della Gerusalemme
celeste sono costituite di zaffiro e smeraldo (Tb. 13, 17) e lo stesso
Cristo si definisce porta, attraversando la quale luomo trova la salvezza
eterna (Gv. 10, 9). Dunque Cristo, rivestito di panni blu (fig. 6), evoca
in un solo sintagma figurativo la sua natura divina, la Gerusalemme
celeste e la redenzione eterna, come per esempio accade nella scena
dellAnastasis a Chios (fig. 7), dove Cristo, soglia dischiusa verso leternit, indossa una veste blu, dalle sfumature nere, percorsa da vibranti
lumeggiature dorate: dunque, Egli luce Io sono la luce del mondo
(Gv. 9, 5) , rivestita di luce.
La scelta di tale colore per la veste della Vergine o per quella di
Cristo, per larcobaleno o anche, in alcuni contesti specifici, per gli
sfondi, simboleggia, cos, la luce di Dio, la luce della Trinit, una luce
che si tinge dei toni dello zaffiro.
Limmagine di Maria, inoltre, avvolta in abiti blu (fig. 8), allude alla
Vergine immersa nella luce del Signore, o, per meglio dire, nella luce
dello Spirito Santo che consente lIncarnazione, come dimostra il fatto
che Ella compare spesso vestita di blu nelle scene relative allAnnunciazione o alla Nativit(73).
Del resto nellinno Akathistos Maria definita pi santa del trono
cherubico, ossia del trono di zaffiro(74), e la Vergine diviene, infatti, essa
stessa trono di carne quando stringe tra le braccia il Figlio neonato o il
Cristo deposto dalla croce, e cos la sua veste o il suo velo si colorano di
blu proprio per evocare il dogma dellIncarnazione divina.
Il blu contornato, sfumato (o, a volte, sostituito) dal nero, che
ne enfatizza, grazie al contrasto con la sua oscurit, la brillantezza.
Del resto il blu strettamente connesso al nero e attraverso di
esso alla divinit; infatti, secondo s. Paolo, Dio abita una luce inaccessibile (1 Tm. 6, 16) e lo Pseudo-Dionigi descrive la divina oscurit

(73) Si vedano, ad esempio, i mosaici di Hosios Loukas (M. CHATZIDAKIS [ed.],


Byzantine Art in Greece. Hosios Loukas. Mosaics Wall Paintings, Athens 1997,
fig. 13) e di Daphni (N. CHATZIDAKIS, Greek Art: Byzantine Mosaics, Atene 1994,
figg. 97, 105).
(74) Akthistos. Canto di lode alla Madre di Dio e della Chiesa, traduzione
metrica a cura di E. M. TONIOLO, Roma 2007, p. 23.

22

Maria Rosaria Marchionibus

dellinaccessibile luce di Dio(75), concetto perfettamente evocato dalla


mandorla che racchiude il Cristo della Trasfigurazione nellabside di
S. Caterina al Sinai (fig. 5), dove, come si detto, dal nero-blu si
arriva, passando dal blu scuro, allazzurro; nero-blu che sembra
materializzare loscurit nella quale, proprio al Sinai, penetr Mos
tra laltro tra i protagonisti della Trasfigurazione per raggiungere
Dio (Es. 20, 21). Dunque, la declinazione nera della luce divina,
probabilmente, dipende dallo schema rappresentato, e dal luogo in
cui esso compare, ossia dal contesto.
Sulloscurit della luce divina si sofferma anche Nicola Mesarita
nella descrizione della Trasfigurazione presente nella chiesa dei
Ss. Apostoli a Costantinopoli, quando parla degli apostoli che non
riescono a sopportare la luce dei raggi provenienti dalla mandorla che
circonda Cristo e generati dalla carne della Divina Ipostasi, che abita
nellinattingibile luce, o quando descrive la nuvola e loscurit che sono
intorno al Figlio di Dio, prodotte dalla stessa luce divina(76).
Un altro colore usato per le vesti di Cristo e della Vergine, che
compone anche larcobaleno, e riempie, talvolta, gli sfondi, il rosso,
declinato nelle sue diverse sfumature, fino ad assumere una tonalit
purpurea.
Il rosso il colore rappresentativo della luce ardente, evoca il fuoco,
e fuoco e luce sono concetti strettamente collegati. Le fiamme sono un
importante attributo di Yahweh, una delle forme in cui Egli si manifesta (77). Sono la Luce che vince le tenebre, ma sono anche larma
contro il nemico e il mezzo di punizione divina sulla terra(78) e nellaltro
mondo (79).
Il fuoco sacrificale si manifesta, per esempio, come diretta emanazione divina, nellepisodio di Elia contro i profeti di Baal, che si

(75) DIONYSIUS AREOPAGITA , Epistola I, edizione HEIL A. M. RITTER, Corpus


Dionysiacum II cit. (nota 13), 1, l. 4; Epistola V, 1, l. 1 (TLG on line).
(76) NIKOLAOS MESARITES, The Description of the Church of the Holy Apostles,
edizione G. DOWNEY, in Transactions of the American Pholosophical Society, n.s.
47 (1957), pp. 855-924: 873.
(77) Sul significato del fuoco in ambito giudeo-cristiano cf. I. E. BUTTITA, Il
fuoco. Simbolismo e pratiche rituali, Palermo 2002, pp. 83-93.
(78) Gn. 19, 24; II Re 1, 10-13; Nm. 11, 1 e 16, 35; Is. 10, 16-19; Ger. 11, 16; 17, 27
e 21, 14; Ez. 15, 7; Os. 8, 14; Am. 1, 14 e 2, 2. Sullira di Yahweh che brucia e
divampa cf. Dt. 32, 22; Ger. 4, 4; 15, 14 e 21, 12; Ez. 21, 36; 22, 21 e 22, 31.
(79) Mt. 3, 11; Lc. 3, 9 e 3, 17; Is. 66, 15-16; Mal. 3, 2-3; Gv. 15, 6; Ap. 8, 5; 8,
7-8; 11, 5; 14, 9-11; 18, 8; 20, 9-10; 21, 8.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

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conclude con queste parole: Allora cadde il fuoco del Signore e


consum lolocausto, la legna, le pietre e la polvere e prosciug lacqua
che era nel canale (II Re, 18, 38).
Dio si rivela a Mos in un roveto avvolto in una fiamma di fuoco
(Es. 3, 2) e guida gli Ebrei nel deserto sotto forma di una colonna di
fumo e di fiamma: Ora il Signore andava davanti a loro: di giorno in
una colonna di nube, per guidarli lungo la via, di notte in una colonna di
fuoco, per illuminarli, perch potessero camminare giorno e notte
(Es. 13, 21-22). Dio in questa forma difende il suo popolo dagli Egiziani:
LAngelo di Dio che precedeva il campo di Israele, si part e and dietro
di loro. [...] venne a mettersi fra il campo dellEgitto e il campo dIsraele.
Ora la nube era tenebra per gli uni, mentre agli altri rischiarava la notte,
cos che non si avvicinarono gli uni agli altri per tutta la notte [...]. E
avvenne verso la vigilia del mattino, che il Signore riguard verso il
campo degli Egiziani da dentro la colonna di fuoco e di nube e mise in
rotta il campo degli Egiziani (Es. 14, 19-24).
Dio si manifesta come fuoco sul Sinai: Ora il Monte Sinai era tutto
fumante, perch vi era sceso il Signore nel fuoco; e il suo fumo si alzava
come il fumo di una fornace e tutto il monte tremava forte (Es. 19, 18).
Durante la consegna della legge il Signore compare come fuoco
divorante sulla cima della montagna: Ora laspetto della gloria del
Signore era come fuoco divorante sulla cima del monte agli occhi dei
figli di Israele (Es. 24, 17).
In quanto veicolo del messaggio divino il fuoco , poi, parola di Dio,
dunque il Verbo divino fuoco. Dice, infatti, il Signore a Geremia:
Ecco, io rendo la mia parola come fuoco nella tua bocca e, questo
popolo, legna, che esso divorer (Gr. 5, 14).
Dal momento che il Verbo di Dio Cristo (Gv. 1, 1; Gv. 1, 14;
Ap. 19, 13) il fuoco, e il rosso, evocano il Figlio di Dio, ma, simboleggiando anche la vita e il sangue, rappresentano contemporaneamente
la sua natura umana e lIncarnazione.
Il rosso porpora in cui, nella scala cromatica bizantina, rosso e blu
si fondono per anche simbolo di potere regale, poich allude alle
vesti dellimperatore (80).
Per tali motivi spesso, infatti, intorno alla vita di Cristo bambino
compare una stola purpurea avvolta in turgidi e sodi rigonfiamenti
(fig. 9), le vesti di Maria (fig. 10), il colobium di Cristo crocifisso (fig. 11)

(80) Cf. MARCHIONIBUS, Icone in Campania cit. (nota 16), pp. 109-114.

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Maria Rosaria Marchionibus

appaiono vermiglie, e la Vergine delle scene dellAnnunciazione tesse un


filo rosso (fig. 12), come narrato nel Protovangelo di Giacomo, circostanza che evoca lIncarnazione e la preparazione nel ventre della Madre
della veste di carne per il Figlio divino. In questi contesti il rosso non
scelto casualmente, ma allude consapevolmente a un piano dimensionale fortemente simbolico, dove ogni segno assume la potenza di un
ideogramma, e viene evocata lIncarnazione del Logos, principale
evento dellAnnunciazione, dogma centrale della Chiesa cristiana e base
della Salvezza, ma viene anche espresso con enfasi un altro dogma della
Chiesa ortodossa, cio lunione delle due nature di Cristo in una sola
ipostasi. Pertanto, il colore rosso del filo, la veste di Maria, la stola drappeggiata sul corpo del Bambino divino e il colobium divengono un riferimento sia alla carne (natura umana), sia alla dignit regale (natura
divina) di Cristo questultima espressa dal colore stesso che attributo
imperiale e della Vergine come Madre di Dio. Nelliconografia della
Crocifissione il colobium porpora, infatti, viene ad essere associato al
corpo del Cristo-uomo, e, dunque, alla sua mortalit, mentre il perizoma bianco allude alla veste dellincorruttibilit, delleternit e
dellimmortalit(81).
Cos Teodoro di Mopsuestia, nelle sue Omelie sul Battesimo,
rapporta le vesti di morte ai panni levati dai catecumeni prima del battesimo e menziona i nuovi vestiti che essi indossano dopo limmersione,
che egli definisce copertura di immortalit(82).
Tali vesti nuove sono bianche, come emerge dagli scritti di Cirillo
di Gerusalemme, o dalla lettere di Girolamo a Fabiola, dove si afferma
che gli indumenti da indossare dopo il battesimo devono essere di lino
bianco. Anche Eusebio, nella descrizione del battesimo di Costantino,
attesta che limperatore, dopo il rito battesimale, si rivest di
bianco(83).

(81) Sullinterpretazione iconologica della stola purpurea intorno alla vita di


Cristo e del colore rosso-purpureo cf. ibid., pp. 109-114.
(82) A. MINGANA, Commentary of Theodore of Mopsuestia on the Lords Prayer
and on the Sacraments of Baptism and the Eucharist, in Woodbrole Studies, VI,
Cambridge 1933, p. 54; H. M. RILEY, Christian Initiation: A Comparative Study of
the Interpretation of the Baptismal Liturgy in the Mystagogical Writings of Cyril of
Jerusalem, John Chrysostom, Theodore of Mopsuestia and Ambrose of Milan,
Washington, D.C. 1974, pp. 156-189.
(83) J. QUASTEN, The Garment of Immortality: A Study of the Accipe Vestem
Candidam, in Miscellanea Liturgica in onore di sua eminenza il cardinale
Giacomo Lercaro, I, Roma 1966, pp. 391-401.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

25

Del resto, limmersione nellacqua battesimale essa stessa simbolo


di morte e rinascita in Cristo, come lunzione con lolio e la nuova veste
sono simbolo di resurrezione e di immortalit(84).
Dunque, il velo della carne di Cristo il veicolo dellIncarnazione
attraverso il quale Dio rivela se stesso al genere umano, e attraverso cui
egli pu morire e risorgere per offrire la sua salvezza a tutti coloro che
credono in lui.
Pertanto evidente che, in tale contesto, ai fedeli divenga familiare
lidea che, nellIncarnazione, il Logos si sia rivestito con labito porpora
della carne della Vergine e, in questottica, fortemente intrisa di riferimenti simbolici e disquisizioni teologiche, la raffigurazione di Maria
che tesse il filo purpureo nelle scene dellAnnunciazione sia quasi naturalmente interpretata come una personificazione di questo complesso
concetto, allinterno del quale la veste rossa indica la divinit rivestita di
carne umana, dunque la doppia natura di Cristo, o, nel caso di Maria, la
sua funzione di mediatrice dellIncarnazione e di tessitrice della carne
del Figlio. Quando, nelle vesti della Vergine, il rosso abbinato al blu,
poi, si evoca il concetto di Maria ripiena delle Spirito Santo e immersa
nella luce divina, ossia si allude al concepimento mediante lintervento
dello Spirito Santo.
Nella scena dellAdorazione dei Magi a Daphni, per esempio, Maria
indossa, sulla veste blu, un maphorion porpora, ossia il manto della sua
regalit come Madre di Dio, colore che allude anche alla veste di carne
da lei approntata nel suo grembo materno per il Figlio divino, il quale
appare qui rivestito di panni intessuti nelloro, scelto evidentemente per
simboleggiare la sua natura divina (85).
Le vesti di Cristo possono essere colorate anche di bianco, soprattutto nella scena della Trasfigurazione per esempio al Sinai , come
racconta Marco, che le descrive talmente splendenti e bianchissime, che
nessun lavandaio le avrebbe potuto rendere tali (Mc. 9, 2-3), o come
emerge dalle parole di Origene, il quale afferma che le vesti di Cristo,
poich superavano in biancore, luminosit e purezza tutte le cose
bianche, sembravano fatte di luce stessa(86).

(84) RILEY, Christian Initiation cit. (nota 82), pp. 413-451.


(85) CHATZIDAKIS, Byzantine Mosaics cit. (nota 73), fig. 107.
(86) J. A. MCGUCKIN, The Transfiguration of Christ in Scripture and Tradition,
Lewiston 1986, pp. 157-158.

26

Maria Rosaria Marchionibus

Le vesti bianche di Cristo possono, poi, emanare bagliori dorati,


del tipo di quelli ancora visibili, per esempio, nella Trasfigurazione del
Sinai (fig. 5), o essere, invece, completamente intessute doro, come
accade nel Cristo raffigurato nellabside della chiesa romana dei Ss.
Cosma e Damiano, o nel Buon Pastore del Mausoleo di Galla Placidia,
scelta cromatica che diviene una probabile allusione alle parole che
Paolo rivolge ad Agrippa: Vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo,
pi splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio
(At. 26, 13).
Dipingere in oro, infatti, significa dipingere con la luce piuttosto
che rappresentarla. Nellarte bizantina loro ha implicazioni iconografiche, visuali, e teologiche. Le immagini, grazie a tale colore, diventano polisemiche e polimorfe, cambiando interamente il loro aspetto e
il loro significato in risposta alle condizioni ambientali di luce. Esse
non rappresentano solo temi teologici, ma li materializzano, li incarnano.
A differenza dei pigmenti normali usati nelle rappresentazioni artistiche, loro possiede non solo colore, ma, in quanto metallo, raggiunge
un pi alto grado di capacit riflettente rispetto agli altri, riuscendo a
rimandare indietro la maggior parte della luce che lo colpisce.
Questa riflettivit al suo massimo grado quando la luce incontra
loro, ossia quando si rifrange direttamente su di esso. Ma tale condizione non quella di solito riprodotta nelle fotografie, in cui loro
ridotto a uno stato di quiescenza e diviene simile agli altri colori, dal
momento che, quando si fotografa, le fonti luminose non sono mai
direttamente volte verso le immagini contenenti pigmenti dorati proprio
per evitare rifrazioni accecanti che le renderebbero illeggibili.
Loro deve essere perci esaminato nella sua dimensione viva per
essere effettivamente compreso.
Infatti, con loro vivo e attivato, il fondale non una semplice
stesura di giallo, una superficie passiva su cui si svolge lazione narrativa, ma diviene un campo brillante e risplendente, quasi incandescente,
una presenza prepotentemente visibile, che ha per forza di cose un
profondo effetto sullequilibrio visuale ed espressivo della scena.
Non pi attratto dalla storia raffigurata, al cospetto delloro attivato
lo sguardo sedotto da un luogo non popolato, senza forma, ma che
unirresistibile entit di pura pienezza ottica, non mero colore, quanto
luce stessa, in cui le forme narrative e narranti sono difficili da individuare e richiedono uno sforzo intellettuale per essere decifrate.
Lessenza di questa esperienza fondata sulla fondamentale dico-

I colori nellarte sacra a Bisanzio

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tomia tra una parte dellimmagine che riflette la luce e unaltra che la
assorbe (87).
Tale rapporto palese nella Vergine con il Bambino raffigurata
nellabside di Santa Sofia a Costantinopoli. Nella foto che mostra il
fondo oro attivato (fig. 14) evidente che il nucleo figurativo stato
strutturato come una sequenza di strati alternati di superfici riflettenti e
assorbenti: il fondo oro, la figura scura della Vergine e la veste dorata
del Cristo.
La consapevolezza di questa costruzione visuale attestata dal
rigore con cui ogni strato circoscritto dal suo opposto.
Il Figlio, per esempio, interamente circondato dalla incombente e
scura forma della Madre, che non ha alcuna crisografia nella veste.
Sembra, quasi, che Cristo sia sigillato dalloscurit, esattamente come la
Vergine sigillata dalla luce. In nessun punto loro sfocia nelloro o
loscurit nelloscurit.
Nellimmagine con loro quiescente (fig. 15) la scena focalizzata
sulla figura di Maria, che emerge come elemento dominante. La dimensione del suo corpo e il viso attraggono lattenzione dellosservatore sia
per le superfici colorate, sia perch sono portatori di identit. Il Cristo
Bambino sembra quasi una figura secondaria.
Nella foto in cui loro attivato, invece, grazie alla dicotomia tra
rifrazione-assorbimento della luce, lintero equilibrio della scena alterato.
Lattenzione attratta da due nuovi fuochi visivi: il fondo oro e la
figura di Cristo, che appare risplendere di luce propria.
Limmagine di Santa Sofia pu essere, dunque, considerata la materializzazione visiva delle parole di Cristo: Io sono la luce del mondo
(Gv. 9, 5), Io come luce sono venuto nel mondo, perch chiunque crede
in me non rimanga nelle tenebre (Gv. 12, 46).
Egli lemittente della luce, la presenza divina, in contrasto con la
Vergine che, senza la sua caratteristica crisografia, appare priva di
splendore soprannaturale (88).
Maria, pur non possedendo luce propria, sembra per avvolta totalmente dalla luce, emessa dalla cassa di risonanza della superficie dorata

(87) R. FRANSES, When all that is gold does not glitter: on the strange history of
looking at Byzantine art, in Icon and Word: the Power of Images in Byzantium.
Studies presented to Robin Cormack, eds. A. EASTMOND L. JAMES, Aldershot
2003, pp. 13-23.
(88) Ibid., pp. 16-18.

28

Maria Rosaria Marchionibus

dellabside un grembo di luce divina , e illuminata dal di dentro dal


corpo del Figlio, in una sorta di evocazione visiva dellIncarnazione: il
corpo umano privo di luce della Madre una mandorla di carne
racchiude nel suo grembo Cristo, che condivide con lei loscurit della
natura umana, rischiarata per dalla sua essenza divina, che si riflette
anche nellaureola della Vergine.
In altre parole, se il Figlio stato concepito da Maria come uomo,
pur essendo Dio, la Vergine concepita come Madre di Dio dal Figlio
stesso, concetto del resto magistralmente espresso in vari passi dellinno
Akathistos, dove la Vergine viene definita colei che porta Colui che il
tutto sostiene, grembo del Dio che sincarna(89), sede di Dio, lInfinito(90), genitrice di Dio(91), tempio vivente che ha contenuto nel suo
grembo colui che, a sua volta, contiene tutto il creato nella sua mano(92).
In un sermone di Basilio di Seleucia (V secolo), inoltre, la Madre si
rivolge al Figlio affermando che, nonostante il cielo sia il suo trono, lei
lo ha portato in seno (93). In un altro sermone pi tardo, attribuito a
Giovanni di Damasco, la Vergine viene acclamata per aver partorito un
Bambino che a sua volta creatore di infanti e creatore dellintero
universo; mentre il Figlio descritto come colui che porta tutto, ma che
egli stesso portato(94). Un anonimo epigramma del 900 ca., infine,
descrivendo unicona della Vergine e del Figlio, sottolinea che il
Bambino rappresentato, pur possedendo tutte le cose, ha bisogno del
grembo di Maria come trono; e che, nonostante egli abbia creato
lintero universo con la sua mano, a sua volta abbracciato, e perci
contenuto, da mani umane (95). Questo gioco di specchi antitetici e allusivi e di metafore volte a evocare, attraverso le parole, il paradosso dellIncarnazione espresso dalla Madre/Vergine e dal Bambino, partorito
come un uomo ma egli stesso creatore e signore del cosmo(96), viene
realizzato in pittura ricorrendo ai colori, che, caricandosi di simbologie

(89) Akthistos cit. (nota 74), p. 9.


(90) Ibid., p. 23.
(91) Ibid., p. 24.
(92) Ibid., p. 30.
(93) BASILIUS SELEUCIENSIS, Sermones XLI, edizione PG 85, Parisiis 1864,
col. 448B87.
(94) JOANNES DAMASCENUS, Sermo in annuntiationem Mariae, edizione PG 96,
Parisiis 1891, col. 653B.
(95) R. BROWNING, An Unpublished Corpus of Byzantine Poems, in Byzantion
33 (1963), pp. 289-316: 297.
(96) MARCHIONIBUS, Le icone in Campania cit. (nota 16), pp. 100-101.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

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complesse, trasformano le parole in stimoli percettivi visivi, e traducono la letteratura teologica in vocaboli composti da chrma e schema,
ossia in immagini.
Il fondo dorato, dunque, diviene qui non tanto elemento simbolico
della divinit, quanto sua effettiva dimostrazione, sua attualizzazione e,
addirittura, transustanziazione. il luogo della divina immanenza, la
vera sostanza della divinit stessa, lo spazio dove, cio, ottica e teologia
coincidono. Del resto, Cristo composto di immanenza, immanenza
incarnata.
La presenza dello Spirito Santo e di Dio come emanazione luminosa evocata, anche, dagli sfondi dorati delle scene di Annunciazione,
che generano essi stessi la luce cromatica grazie al pigmento che li
compone, ma catturano e riflettono pure quella naturale, magnificandone lintensit, come accade a Daphni (fig. 16), ove lintera superficie,
che circonda e unisce larcangelo Gabriele e la Vergine, risplende di oro,
o nella ben nota icona del Sinai di XII secolo (fig. 12). In tale opera la
luce prende anche forma, facendo apparire, oro su oro, sullo sfondo
uniforme, larco di Dio in alto, la colomba dello Spirito Santo e, profilato sulle vesti porpora e blu di Maria, il feto di Cristo (fig. 13). Dallarco
divino parte, poi, un raggio luminoso e brillante che attraversa la
colomba, circondata da unaureola dorata, e arriva alla Vergine. Inoltre,
le aureole di Gabriele, di Maria, e della colomba, caratterizzate dalla
stessa liquida lucentezza, brillano di una tonalit pi chiara in corrispondenza proprio dei punti dove sono direttamente esposte alla luce
emanata dallarco divino. Laureola della Vergine appare, per, a differenza delle altre, profilata di rosso, che sfuma, quasi sparendo, nel lato
colpito dal raggio divino, confondendosi con esso. Evidentemente la
sostanza che compone le aureole dellarcangelo, della colomba e larco
nel cielo pura luce soprannaturale ed immateriale, mentre la profilatura purpurea di quella di Maria, che diviene dorata quando colpita
dalla luce di Dio, indica lumanit della Madre trasfigurata dallIncarnazione.
Largento sembra, infine, colore preziosissimo, usato raramente, a
volte per sottolineare con enfasi la presenza della luce divina, come per
esempio a Daphni, dove compare nella mandorla della Trasfigurazione,
insieme al bianco e al blu, o nella Nativit, nel raggio che discende verso
il Cristo Bambino(97). Largento materializza Dio come emanazione di

(97) CHATZIDAKIS, Byzantine Mosaics cit. (nota 73), figg. 105, 106, 112.

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Maria Rosaria Marchionibus

luce, lo stesso Signore, infatti, che afferma: largento mio e loro


mio (Agg. 2, 8); esso simboleggia il suo Verbo, perch le parole di Dio
sono pure come argento raffinato nel crogiuolo, purificato nel fuoco
sette volte (Sal. 11, 7), e rappresenta anche coloro che credono in lui:
Argento pregiato la lingua dei giusti; il cuore degli empi vale ben
poco (Prv. 10, 20).
Per i Bizantini, in definitiva, la vista discrimina il colore e il colore
definisce la vera forma, spirituale o materiale che sia: limmagine senza
colore , perci, paradossale, quasi come Cristo senza lIncarnazione.
Universit degli studi di Napoli
LOrientale

Maria Rosaria MARCHIONIBUS

REFERENZE FOTOGRAFICHE

Fig. 2: da http://www.flickr.com.
Fig. 3: da M. DELLA VALLE, s.v. Cartografia Area Bizantina, in Enciclopedia dellArte Medievale, IV, Roma 1993, pp. 242-346.
Fig. 4: da L. Ness, Blue behind Gold. The inscription of the Dome of the Rock and
its relatives, in And Diverse Are Their Hues. Color in Islamic Art and Culture,
eds. by J. B LOOM S. B LAIR , New Haven-London 2011, pp. 155-173,
fig. 104).
Fig. 5: da T. VELMANS, Affreschi e mosaici, in T. VELMANS V. KORAC M. SUPUT,
Bisanzio. Lo splendore dellarte monumentale, Milano 1999, pp. 9-307,
tav. XII.
Fig. 6: da M. ACHEIMASTOU-POTAMIANOU, Greek Art: Byzantine Wall-Paintings,
Atene 1994, fig. 11.
Fig. 7: da N. CHATZIDAKIS, Greek Art: Byzantine Mosaics, Atene 1994, fig. 79.
Fig. 8: da T. VELMANS, Affreschi e mosaici, in T. VELMANS V. KORAC M. SUPUT,
Bisanzio. Lo splendore dellarte monumentale, Milano 1999, pp. 9-307,
tav. LXXVII).
Fig. 10: da N. CHATZIDAKIS, Greek Art: Byzantine Mosaics, Atene 1994, fig. 18.
Fig. 11: da K. WEITZMANN, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai. The
Icons, I: From the Sixth to the Tenth Century, Princeton, New Jersey 1976,
tav. XXV.
Fig. 12: da T. VELMANS, Affreschi e mosaici, in T. VELMANS V. KORAC
M. SUPUT, Bisanzio. Lo splendore dellarte monumentale, Milano 1999,
pp. 9-307, tav. LXIX.
Fig. 13 da M. ACHEIMASTOU-POTAMIANOU, Byzantinh Texnh. Byzantinev Toixografev, Atene 1994, fig. 50.

I colori nellarte sacra a Bisanzio

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Fig. 14: da R. FRANSES, When all that is gold does not glitter: on the strange history
of looking at Byzantine art, in Icon and Word: the Power of Images in Byzantium. Studies presented to Robin Cormack, eds. A. EASTMOND L. JAMES,
Aldershot 2003, pp. 13-23, tav. IV.
Fig. 15: da R. FRANSES, When all that is gold does not glitter: on the strange history
of looking at Byzantine art, in Icon and Word: the Power of Images in Byzantium. Studies presented to Robin Cormack, eds. A. EASTMOND L. JAMES,
Aldershot 2003, pp. 13-23, tav. III).

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