RSBN 48 - 02 (Marchionibus) - Libre PDF
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RIVISTA
DI
STUDI BIZANTINI
E NEOELLENICI
FONDATA DA S. G. MERCATI
DIRETTA DA A. LUZZI
N. S.
48 (2011)
ROMA 2012
INDICE
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Stephanos EFTHYMIADIS, Versi su s. Teodoro a proposito del miracolo dei collivi (BHG 1769): lagiografia metrica al servizio della polemica antilatina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Antonis FYRIGOS, Il cardinale Bessarione traduttore della Summa contra gentiles di Tommaso dAquino . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Il concetto di colore a Bisanzio (1) sembra derivare dalla convinzione platonica che gli oggetti/eventi (pragmata) sono dotati di schema,
phon e molti anche di chrma (2), affermazione che, oltre a definire i
tratti percepibili di un oggetto, contemporaneamente sottolinea quelli
necessari alla realizzazione della mimesi.
Nei testi platonici schema diviene, cos, lelemento comune a due
binomi di qualit legati alla percezione: schema e chrma, e schema e
phon.
Associato a chrma, lo schema viene identificato come la linea di
contorno, e, se utilizzato per indicare il lavoro dei pittori, esprime specificamente il disegno.
Il chrma, poi, composto di fuoco ed insito nelloggetto percepito e, grazie alla luce solare, anchessa ignea, transita, come un fluido,
dalloggetto allocchio(3).
Secondo Platone esiste un legame strettissimo tra schema e chrma:
schema, infatti, ci che, solo, sempre si accompagna al colore, inteso,
appunto, come un flusso di schemata (sia i mezzi tecnici utilizzati per
limitazione visuale da pittori e scultori, sia proprio i tratti che, dalloriginale, si possono imitare) (4).
Schema e phon vengono poi interpretati come gli elementi percepibili alla vista e alludito, peculiari dellessere vivente, e come i mezzi
attraverso cui poeti, danzatori, attori e musici esercitano la mimesi(5).
In questo contesto, dunque, schema diviene espressione di gesto,
postura o figura di danza, mentre phon ha la funzione tanto di tratto
percepibile e identificativo di un fenomeno sonoro, quanto di mezzo di
imitazione di altri mimetai, ossia coloro che imitano qualcosa o qualcuno col proprio corpo, in altre parole attori o personaggi, come Ione
nellomonimo dialogo platonico o il poeta della Repubblica (6).
Schema, pertanto, funge da legame fra le figure dinamiche nella vita
e nella danza e quelle statiche in pittura e scultura, e insieme a chrma e
phon, ricade sia nel dominio dellaisthesis uditiva e visuale, sia nel
campo dazione della pratica mimetica. In tal modo queste tre categorie
formali della descrizione dellessere diventano, allo stesso tempo, sia i
tratti che rendono percepibile un oggetto ai sensi tenendo conto che il
senso della vista quello pi fortemente coinvolto nella percezione sia
gli elementi che di questo oggetto possono essere riproducibili, divenendo, cos, anche i tratti necessari alla realizzazione della mimesi, che
, in questa interpretazione, imitazione dellapparenza(7).
Per la fisiologia platonica della visione sensibile, inoltre, relativamente alla vista, il carattere distintivo di un oggetto non tanto la
forma, quanto il suo colore, che, composto di fuoco, presente
almeno potenzialmente nelloggetto visto e, con la mediazione indispensabile della luce solare, anchessa ignea, trapassa, come un fluido,
dalloggetto allocchio. Platone definisce, dunque, il chrma come
fiamma che fluisce da ognuno dei corpi avente particelle proporzionate alla vista tali da generare sensazione (Timeo 67 C 6-7). Nella
fisiologia platonica dellatto visivo locchio e la luce, pertanto, svolgono
un ruolo primario. Infatti, al momento della creazione del mondo
fisico da parte degli di giovani, figli del Demiurgo, nel processo in cui
essi modellarono il corpo umano, come primo atto realizzarono gli
occhi portatori della luce, posizionandoli nella parte anteriore e superiore della testa, dimora di ci che di noi divinissimo e sacro, ossia
dellanima razionale (8).
(11) L. JAMES, Colour and the Byzantine rainbow, in Byzantine and Modern
Greek Studies 15 (1991), pp. 66-95: 80.
(12) DIONYSIUS AREOPAGITA, De Divinibus Nominibus, edizione B. R. SUCHLA,
Corpus Dionysiacum I: Pseudo-Dionysius Areopagita, De divinis nominibus,
Berlin 1990 (Patristische Texte und Studien, 33), p. 118, l. 12. Fonte consultata
nella versione online del Thesaurus Linguae Graecae. A Digital Library of Greek
Literature http://www.tlg.uci.edu (dora in poi TLG on line).
(13) JAMES, Colour cit. (nota 12), p. 80; DIONYSIUS AREOPAGITA, De Ecclesiastica Hierarchia, edizione G. HEIL A. M. RITTER, Corpus Dionysiacum II:
Pseudo-Dionysius Areopagita, De coelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia, De
mystica theologia Epistulae, Berlin 1991 (Patristische Texte und Studien, 36), p. 9,
l. 3 (TLG on line).
(14) JOANNES CHRYSOSTOMUS, In dictum Pauli: Nolo vos ignorare, 4, Discrimen
inter umbram et veritatem, edizione J. P. MIGNE, Patrologiae cursus completus.
Series Graeca (dora in poi PG), 51, Parisiis 1862, col. 247D; IOHANNES CHRYSOSTOMUS, In epistulam ad Hebraeos, edizione PG 63, Parisiis 1862, col. 130A.
(15) Michaelis Pselli Scripta Minora, ed. E. KURTZ F. DREXL, II, Milano 1940,
p. 138.
(16) Cf. H. MAGUIRE, Art and Eloquence in Byzantium, Princeton, New Jersey
1981, pp. 9-21; M. R. MARCHIONIBUS, Icone in Campania. Aspetti iconologici, liturgici e semantici, Spoleto 2011, pp. 99-119.
(17) GREGORIUS NYSSENUS, De S. Theodoro martyre, edizione PG 46, Parisiis
1863, col. 737D.
(18) THEODORUS STUDITES, Antirrheticus Primus adversus Iconomachos,
edizione PG 99, Parisiis 1860, coll. 340D-341A.
(19) E. A. FISHER (ed.), Michaelis Pselli orationes hagiographicae, Stuttgart
1994, pp. 116-198: 197. Sulle immagini parlanti e sulleloquenza delle icone cf.
MARCHIONIBUS, Icone in Campania cit. (nota 16), pp. 94, 99-119.
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Il pavimento di marmo proconnesio della Santa Sofia a Costantinopoli (figg. 1, 2) con le sue striature grigio-bluastre, simili ad onde, evoca,
per esempio, il mare. Tale metafora usata chiaramente da Paolo Silenziario quando, nella sua ekphrasis sullambone di Santa Sofia, descrive il
pulpito affermando che come tra i flutti del mare unisola sorge, adorna
di spighe, ricca di grappoli, qui di floridi prati, l di virenti colline, e il
viandante che la costeggia la stima felice, cercando di addolcire il dolore
e la fatica della vita di mare; cos, nello spazio centrale dellimmensa
dimora, come una torre di marmo, alto si mostra lambone, adorno di un
prato marmoreo e della bellezza dellarte. N sta del tutto isolato nello
spazio centrale, simile a unisola cinta dal mare; ma somiglia piuttosto a
una terra battuta dai flutti che un istmo sporgente sospinge nel mare
canuto, in mezzo alle onde, e, legata soltanto a un estremo, le impedisce
di avere laspetto di unisola vera: quindi correndo innanzi sui flutti
marini, listmo come una fune si annoda al colle vicino al mare(30).
La stessa similitudine compare nella Diegesis o Narratio, il racconto
della edificazione di Santa Sofia risalente al IX secolo, dove il pavimento confrontato con il mare o con le acque di un fiume (31), e nella
descrizione retorica che, nel XII secolo, Michele protecdicus della
chiesa di Tessalonica e poi, in seguito, diacono della Grande Chiesa
dedica alledificio costantinopolitano, in cui la distesa di marmo
proconnesio viene assimilata a una superficie marina increspata da
onde blu, che sembrano provocate da un sasso gettatovi allinterno(32).
Per oltre un millennio i visitatori hanno, del resto, notato che le ondulate venature bluastre del marmo rendevano tale pavimento simile ad
(30) M. L. FOBELLI, Un tempio per Giustiniano. Santa Sofia di Costantinopoli e
la Descrizione di Paolo Silenziario, Roma 2005, p. 112, vv. 224-239. Sui marmi e
sul simbolismo di Santa Sofia cf. M. L. FOBELLI, La Santa Sofia di Costantinopoli
nellet di Giustiniano: sistemi decorativi e strategia delle immagini, in Medioevo:
immagini e ideologie. Atti del V Convegno Internazionale di Studi (Parma, 23-27
Settembre 2002), Parma-Milano 2005, pp. 90-99; EAD., Mito e immagine di Santa
Sofia dalla Diegesis alla caduta di Costantinopoli, in Medioevo: immagine e
memoria. Atti dellXI Convegno Internazionale di Studi (Parma, 23-28 Settembre
2008), Parma-Milano 2009, pp. 495-509; EAD., Santa Sofia. la strategia della luce,
in P. CESARETTI M. L. FOBELLI (a cura di), Procopio di Cesarea. Santa Sofia di
Costantinopoli. Un tempio di luce, Milano 2011, pp. 122-127.
(31) T. PREGER, Scriptores originum Constantinopolitanarum, New York 1975,
pp. 74-108; G. DAGRON, Constantinople imaginaire. tudes sur le recueil des
Patria, Paris 1984, p. 207.
(32) C. MANGO J. PARKER, A Twelfth-Century Description of St. Sophia, in
Dumbarton Oaks Papers 14 (1960), pp. 233-245: 243.
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i colori usati per descriverlo servono per identificare i diversi stadi della
trasformazione.
Dunque, il marmo che decora Santa Sofia e che, in particolare,
compone il pavimento della chiesa, grazie al cangiantismo cromatico
che lo caratterizza, attributo peculiare della trasmutazione della
materia, allude a realt diverse che condividono con quella rappresentata laspetto, per evocare attraverso di esso ossia grazie alla mera
apparenza una dimensione altra da quella terrena, una dimensione
divina.
La chiesa diviene unimmagine del macrocosmo, un modello dellUniverso creato da Dio(46), e le sue strutture, le sue decorazioni, attraverso i colori, trasfigurano le strutture architettoniche nel Regno dei
Cieli, nella Gerusalemme Celeste, nel Verbo e nelle azioni che il Signore
ha compiuto e compir dalla genesi fino alla fine dei tempi.
Giobbe (9, 8) sostiene, del resto, che Dio da solo stende i cieli e
cammina sulle onde del mare, per cui camminare nella casa del Signore
su una superficie di acqua cristallizzata consente al fedele di seguire le
orme di Dio, di agire a sua immagine e somiglianza.
Ma camminare sullacqua allude alla creazione, quando Dio cre la
terra dallacqua, matrice di vita(47): Dio disse: Sia il firmamento in
mezzo alle acque per separare le acque dalle acque. Dio fece il firmamento e separ le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che
son sopra il firmamento. E cos avvenne. Dio chiam il firmamento
cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. Dio disse: Le acque che
sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia lasciutto. E
cos avvenne. Dio chiam lasciutto terra e la massa delle acque mare. E
Dio vide che era cosa buona (Gn. 1, 6-10).
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(48) G. H. BAUDRY, I simboli del battesimo. Alle fonti della salvezza, Milano
2007, p. 23; HIDIROGLOU, Acqua divina cit., p. 80.
(49) BAUDRY, I simboli del battesimo cit. (nota 48), p. 23; CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi Mistagogiche, II, 4 in PG 33, Parisiis 1886, col. 1080.
(50) Gli studi non concordano sul numero delle bande di verde di Tessaglia
che attraversavano il pavimento di Santa Sofia: secondo George P. Majeska
(G. P. MAJESKA, Notes on the Archeology of St. Sophia at Constantinople: The
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Fig. 4 Mappa del Mondo, Libro delle Curiosit: Oxford, Bodleian Library,
ms. Arab. c.90, ff. 27v-28r.
Fig. 9 Aversa, Duomo, Museo Diocesano, Eleousa di Santa Maria a Piazza, icona (foto M. R.
Marchionibus).
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(58) J. CAGE, Color and Culture. Practice and Meaning from Antiquity to
Abstraction, Singapore 1999, p. 62.
(59) Ibid., p. 61.
(60 ) U RSO DI S ALERNO , De commixtionibus Elementorum Libellus, ed.
W. STNER, Stuttgart 1976, p. 110.
(61) R. B. SERJEANT, Islamic Textiles: Materials for a History up to the Mongol
Conquest, Beirut 1972, pp. 142-143.
(62) CAGE, Color and Culture cit. (nota 58), p. 61.
(63) P. A. UNDERWOOD (ed.), The Karije Djami, I-III, New York 1966: I,
pp. 304-306; D. C. WINFIELD, Middle and later Byzantine wall painting methods, in
Dumbarton Oaks Papers 22 (1968), pp. 61-139: 100-104.
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Si deve sottolineare, per, che non esisteva a Bisanzio un simbolismo organizzato dei colori: a ogni pigmento non era assegnato un
significato unico e univoco.
Ma questo non vuol certo dire che la scelta dei colori fosse casuale.
Infatti, nonostante i colori, in quanto tinte, non abbiano una simbologia canonica, sono proprio loro, daltra parte, a dare senso alla raffigurazione, poich solo attraverso i pigmenti che unimmagine pu
rappresentare larchetipo.
Nella lettura delle rappresentazioni sacre, dunque, il significato
assunto dai colori determinato dal contesto, dallo schema, ossia dalla
forma, dal disegno, dallimmagine stessa, a cui, per, i colori, consentendo la rappresentazione e lidentificazione dellarchetipo, danno
sostanza e carne, rendendola, dunque, significante.
Cos i colori, visibili manifestazioni della luce, sono utilizzabili per
la rappresentazione di Dio incarnato e non sorprende che larcobaleno,
in cui, per la sua stessa natura, si uniscono luce e colore, sia interpretato
dalle Sacre Scritture e dai testi esegetici come uno dei visibili indicatori
della gloria e della luce divina, e compaia in scene che esprimono siffatti
concetti, come, per esempio, la Maiestas Domini, la Trasfigurazione o
lAscensione(64).
Il blu ricorre spesso nelle vesti indossate dalla Vergine e dal Figlio, o
negli sfondi di pi complesse raffigurazioni. Il blu il colore della luce
divina, di una luce eterea e immateriale come il cielo stesso.
Giovanni di Gaza descrive, per esempio, la decorazione che ornava
la cupola di un bagno della sua citt, in cui una croce doro era circondata da tre cerchi concentrici di blu: egli definisce questi cerchi come
unimmagine della Trinit e una raffigurazione della sfera celeste(65).
Evagrio Pontico parla di una luce color zaffiro o del colore del cielo,
la luce della Trinit appunto, che brilla nella mente umana durante la
preghiera cos che la stessa mente diventa luminosa. In altre parole,
durante particolari e privilegiati momenti di meditazione, la mente del
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credente illuminata dalla luce che promana da Dio, ossia una luce di
zaffiro(66).
Il blu, inoltre, assume una valenza cosmogonica quando circonda,
sotto forma di banda, uno spazio. , infatti, una convenzione grafica
geografica rappresentare il mondo circondato dalloceano sia nella
tradizione greca che in quella islamica, come dimostrano la Carta della
Terra nel manoscritto vaticano di Cosma Indicopleusta (fig. 3)(67), o la
Mappa del mondo contenuta nel Libro delle curiosit arabo, datato tra
XII e XIII secolo (fig. 4)(68).
Pertanto, se una banda blu circonda un elemento architettonico
centrale, come una cupola (69), essa diviene una sorta di omphalos,
simboleggiando il centro del mondo, e cos il colore associato alla forma
evoca lintero creato, con le acque che circondano la terra, e la cupola
che diviene lempireo celeste, come accadeva nella ormai distrutta
chiesa di S. Polieucto a Costantinopoli (dove Harrison ha documentato
la presenza di pigmento blu utilizzato come sfondo delle lettere della
grande iscrizione che correva intorno alledificio, nelle nicchie e sui
sostegni)(70), o ancora nella cupola della Roccia, ritenuta tra laltro,
nella tradizione islamica, il luogo pi vicino al cielo(71).
Nellabside del monastero di S. Caterina al Sinai una banda colorata
delimita in basso la scena della Trasfigurazione (fig. 5), composta dal
(66) J. MUYLDERMANS, Evagriana, in Le Muson 44 (1931), pp. 37-68; ID., Note
additionnelle Evagriana, in Le Muson 44 (1931), pp. 369-83; W. HARMELESS
R. R. FITZGERALD, The Sapphire Light of the Mind: The Skemmata of Evagrius
Ponticus, in Theological Studies 62/3 (2001), pp. 498-529; G. PEERS, Sacred Shock.
Framing Visual Experience in Byzantium, Pennsylvania State University Press
2004, pp. 126-127.
(67) H. MAGUIRE, Earth and Ocean: The Terrestrial World in Early Byzantine
Art, University Park-London 1987, fig. 13.
(68) J. M. BLOOM, Arts of the City Victorious: Islamic Art and Architecture in
Fatimid North Africa and Egypt, London and New Haven 2007, p. 46 e fig. 29;
L. NESS, Blue behind Gold. The inscription of the Dome of the Rock and its Relatives, in And Diverse Are Their Hues. Color in Islamic Art and Culture, eds. by
J. BLOOM S. BLAIR, New Haven-London 2011, pp. 155-173, fig. 104.
(69) Sul significato cosmogonico della cupola si veda: K. LEHMAN, The Dome
of Heaven, in Art Bulletin 27 (1945), pp. 1-27; E. B. SMITH, The Dome: A Study in
the History of Ideas, Princeton 1950; K. MCVEY, The Domed Church as a Microcosm: Literary Roots of an Architectural Symbol, in Dumbarton Oaks Papers 37
(1983), pp. 91-121.
(70) R. M. HARRISON, A Temple for Byzantium: The Discovery and Excavation
of Anicia Julianas Palace-Church in Instabul, Austin 1989, p. 81.
(71) NESS, Blue behind Gold cit. (nota 68), pp. 163-166.
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colore blu, pi esterno, che sfuma nel verde-azzurro, per sfociare poi nel
verde-oro, che si fonde con loro del catino, al cui centro emerge la
mandorla di luce di Cristo, che appare circondato, cos, dal nero-blu, che
degrada morbidamente dal blu allazzurro. Parrebbe, quasi, che gli artisti
abbiano voluto rappresentare, attraverso lattenta scelta dei colori, oltre
al tema della Trasfigurazione evidentemente palese nellimmagine,
lintero creato: Dio disse: Sia il firmamento in mezzo alle acque per
separare le acque dalle acque. Dio fece il firmamento e separ le acque
dalle acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il
firmamento. E cos avvenne. Dio chiam il firmamento cielo. E fu sera e
fu mattina: secondo giorno. Dio disse: Le acque che sono sotto il cielo si
raccolgano in un solo luogo e appaia lasciutto. E cos avvenne. Dio
chiam lasciutto terra e la massa delle acque mare (Gn. 1, 6-10). Infatti,
il colore blu, che delimita inferiormente la calotta absidale, rappresenta
lacqua che circonda lintera terra, simboleggiata dal verde, mentre loro
della calotta materializza la presenza dello Spirito Santo e di Dio attraverso il riflesso della luce reale sulla superficie dorata concava, che evoca
anche il firmamento rischiarato dalla luce solare, in cui si manifesta,
per, pure la luce come emanazione divina, ossia la mandorla che
avvolge Cristo, assumendo tonalit dal nero-blu allazzurro, e che, riverberando sulle vesti di Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli presenti
allevento, le tinge di sfumature bluastre. La mandorla, declinata in
nero-blu, blu e azzurro, assume, inoltre, una valenza trinitaria(72).
Il colore blu, o zaffiro, del resto, compare in molte descrizioni
legate alla rappresentazione della presenza di Dio, e dei luoghi dove
Egli si manifesta o si compir il suo disegno divino.
Quando Mos, Aronne e i settanta anziani salgono sul Sinai vedono,
per esempio, sotto i piedi del Dio di Israele un pavimento fatto di lastre
di zaffiro, simile al cielo (Es. 24, 10). Isaia, poi, afferma che Gerusalemme sar ricostruita su fondamenta di zaffiri (Is. 54, 11), come del
resto Giovanni, secondo cui le fondamenta della citt celeste saranno di
diaspro, zaffiro, calcedonio e smeraldo (Ap. 21, 19).
(72) Sul significato trinitario della mandorla di luce di Cristo nella scena della
Trasfigurazione cf. M. FALLA CASTELFRANCHI, La teologia trinitaria: aspetti iconologici e iconografici. Le origini e lo sviluppo in area bizantina, in S. PALESE e
G. LOCATELLI (a cura di), Il Concilio di Bari del 1098. Atti del Convegno storico
internazionale e celebrazioni del IX Centenario del Concilio (Bari 1998), Bari 1999,
pp. 285-315: 296.
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(80) Cf. MARCHIONIBUS, Icone in Campania cit. (nota 16), pp. 109-114.
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tomia tra una parte dellimmagine che riflette la luce e unaltra che la
assorbe (87).
Tale rapporto palese nella Vergine con il Bambino raffigurata
nellabside di Santa Sofia a Costantinopoli. Nella foto che mostra il
fondo oro attivato (fig. 14) evidente che il nucleo figurativo stato
strutturato come una sequenza di strati alternati di superfici riflettenti e
assorbenti: il fondo oro, la figura scura della Vergine e la veste dorata
del Cristo.
La consapevolezza di questa costruzione visuale attestata dal
rigore con cui ogni strato circoscritto dal suo opposto.
Il Figlio, per esempio, interamente circondato dalla incombente e
scura forma della Madre, che non ha alcuna crisografia nella veste.
Sembra, quasi, che Cristo sia sigillato dalloscurit, esattamente come la
Vergine sigillata dalla luce. In nessun punto loro sfocia nelloro o
loscurit nelloscurit.
Nellimmagine con loro quiescente (fig. 15) la scena focalizzata
sulla figura di Maria, che emerge come elemento dominante. La dimensione del suo corpo e il viso attraggono lattenzione dellosservatore sia
per le superfici colorate, sia perch sono portatori di identit. Il Cristo
Bambino sembra quasi una figura secondaria.
Nella foto in cui loro attivato, invece, grazie alla dicotomia tra
rifrazione-assorbimento della luce, lintero equilibrio della scena alterato.
Lattenzione attratta da due nuovi fuochi visivi: il fondo oro e la
figura di Cristo, che appare risplendere di luce propria.
Limmagine di Santa Sofia pu essere, dunque, considerata la materializzazione visiva delle parole di Cristo: Io sono la luce del mondo
(Gv. 9, 5), Io come luce sono venuto nel mondo, perch chiunque crede
in me non rimanga nelle tenebre (Gv. 12, 46).
Egli lemittente della luce, la presenza divina, in contrasto con la
Vergine che, senza la sua caratteristica crisografia, appare priva di
splendore soprannaturale (88).
Maria, pur non possedendo luce propria, sembra per avvolta totalmente dalla luce, emessa dalla cassa di risonanza della superficie dorata
(87) R. FRANSES, When all that is gold does not glitter: on the strange history of
looking at Byzantine art, in Icon and Word: the Power of Images in Byzantium.
Studies presented to Robin Cormack, eds. A. EASTMOND L. JAMES, Aldershot
2003, pp. 13-23.
(88) Ibid., pp. 16-18.
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complesse, trasformano le parole in stimoli percettivi visivi, e traducono la letteratura teologica in vocaboli composti da chrma e schema,
ossia in immagini.
Il fondo dorato, dunque, diviene qui non tanto elemento simbolico
della divinit, quanto sua effettiva dimostrazione, sua attualizzazione e,
addirittura, transustanziazione. il luogo della divina immanenza, la
vera sostanza della divinit stessa, lo spazio dove, cio, ottica e teologia
coincidono. Del resto, Cristo composto di immanenza, immanenza
incarnata.
La presenza dello Spirito Santo e di Dio come emanazione luminosa evocata, anche, dagli sfondi dorati delle scene di Annunciazione,
che generano essi stessi la luce cromatica grazie al pigmento che li
compone, ma catturano e riflettono pure quella naturale, magnificandone lintensit, come accade a Daphni (fig. 16), ove lintera superficie,
che circonda e unisce larcangelo Gabriele e la Vergine, risplende di oro,
o nella ben nota icona del Sinai di XII secolo (fig. 12). In tale opera la
luce prende anche forma, facendo apparire, oro su oro, sullo sfondo
uniforme, larco di Dio in alto, la colomba dello Spirito Santo e, profilato sulle vesti porpora e blu di Maria, il feto di Cristo (fig. 13). Dallarco
divino parte, poi, un raggio luminoso e brillante che attraversa la
colomba, circondata da unaureola dorata, e arriva alla Vergine. Inoltre,
le aureole di Gabriele, di Maria, e della colomba, caratterizzate dalla
stessa liquida lucentezza, brillano di una tonalit pi chiara in corrispondenza proprio dei punti dove sono direttamente esposte alla luce
emanata dallarco divino. Laureola della Vergine appare, per, a differenza delle altre, profilata di rosso, che sfuma, quasi sparendo, nel lato
colpito dal raggio divino, confondendosi con esso. Evidentemente la
sostanza che compone le aureole dellarcangelo, della colomba e larco
nel cielo pura luce soprannaturale ed immateriale, mentre la profilatura purpurea di quella di Maria, che diviene dorata quando colpita
dalla luce di Dio, indica lumanit della Madre trasfigurata dallIncarnazione.
Largento sembra, infine, colore preziosissimo, usato raramente, a
volte per sottolineare con enfasi la presenza della luce divina, come per
esempio a Daphni, dove compare nella mandorla della Trasfigurazione,
insieme al bianco e al blu, o nella Nativit, nel raggio che discende verso
il Cristo Bambino(97). Largento materializza Dio come emanazione di
(97) CHATZIDAKIS, Byzantine Mosaics cit. (nota 73), figg. 105, 106, 112.
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REFERENZE FOTOGRAFICHE
Fig. 2: da http://www.flickr.com.
Fig. 3: da M. DELLA VALLE, s.v. Cartografia Area Bizantina, in Enciclopedia dellArte Medievale, IV, Roma 1993, pp. 242-346.
Fig. 4: da L. Ness, Blue behind Gold. The inscription of the Dome of the Rock and
its relatives, in And Diverse Are Their Hues. Color in Islamic Art and Culture,
eds. by J. B LOOM S. B LAIR , New Haven-London 2011, pp. 155-173,
fig. 104).
Fig. 5: da T. VELMANS, Affreschi e mosaici, in T. VELMANS V. KORAC M. SUPUT,
Bisanzio. Lo splendore dellarte monumentale, Milano 1999, pp. 9-307,
tav. XII.
Fig. 6: da M. ACHEIMASTOU-POTAMIANOU, Greek Art: Byzantine Wall-Paintings,
Atene 1994, fig. 11.
Fig. 7: da N. CHATZIDAKIS, Greek Art: Byzantine Mosaics, Atene 1994, fig. 79.
Fig. 8: da T. VELMANS, Affreschi e mosaici, in T. VELMANS V. KORAC M. SUPUT,
Bisanzio. Lo splendore dellarte monumentale, Milano 1999, pp. 9-307,
tav. LXXVII).
Fig. 10: da N. CHATZIDAKIS, Greek Art: Byzantine Mosaics, Atene 1994, fig. 18.
Fig. 11: da K. WEITZMANN, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai. The
Icons, I: From the Sixth to the Tenth Century, Princeton, New Jersey 1976,
tav. XXV.
Fig. 12: da T. VELMANS, Affreschi e mosaici, in T. VELMANS V. KORAC
M. SUPUT, Bisanzio. Lo splendore dellarte monumentale, Milano 1999,
pp. 9-307, tav. LXIX.
Fig. 13 da M. ACHEIMASTOU-POTAMIANOU, Byzantinh Texnh. Byzantinev Toixografev, Atene 1994, fig. 50.
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Fig. 14: da R. FRANSES, When all that is gold does not glitter: on the strange history
of looking at Byzantine art, in Icon and Word: the Power of Images in Byzantium. Studies presented to Robin Cormack, eds. A. EASTMOND L. JAMES,
Aldershot 2003, pp. 13-23, tav. IV.
Fig. 15: da R. FRANSES, When all that is gold does not glitter: on the strange history
of looking at Byzantine art, in Icon and Word: the Power of Images in Byzantium. Studies presented to Robin Cormack, eds. A. EASTMOND L. JAMES,
Aldershot 2003, pp. 13-23, tav. III).