Quaderni Fiorentini 31 - L'Ordine Giuridico Europeo

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QUADERNI FIORENTINI

per la storia del pensiero giuridico moderno

31
(2002)

Lordine giuridico europeo:


radici e prospettive

TOMO I

giuffr editore milano

Dott. A. Giuffr Editore - Milano

PIETRO COSTA

PAGINA INTRODUTTIVA

1. Lo spazio giuridico europeo costituisce indubbiamente


unoccasione straordinaria per chiunque voglia sorprendere un ordinamento in statu nascenti, studiandone la genesi e il progressivo (e
problematico) assestarsi: le forze e le forme del diritto, come
avrebbe detto Vittorio Emanuele Orlando, si dispiegano in tutta la
loro varieta` nello scenario dellUnione Europea ed esigono un
notevole sforzo intellettuale per essere individuate e decifrate.
Se vogliamo entrare in contatto con la concreta esperienza
politica e giuridica del nostro tempo e` difficile prescindere dal
fenomeno Europa, ma e` altrettanto difficile offrirne una descrizione esauriente, almeno per due ordini di motivi: in primo luogo, il
nuovo ordine europeo e` un oggetto complesso, un prisma a molte
facce che richiede, per essere adeguatamente rappresentato, lintervento di molteplici competenze disciplinari e una loro effettiva (e
non sempre facile) sinergia; dallaltro lato, il carattere dinamico ed
aperto del processo di formazione del nuovo ordine europeo, se
rafforza linteresse del fenomeno, aumenta anche la difficolta` di
applicare ad esso formule precise e durevoli e costringe ad una
difficile navigazione a vista che rischia di lasciare in ombra i princ`pi
portanti e le coordinate fondamentali dellesperimento in corso.
Delle difficolta` e delle insidie implicite in ogni tentativo di
unanalisi complessiva delloggetto Europa la redazione dei Quaderni Fiorentini e` consapevole: e` sembrato pero` che largomento
avesse, per la auto-comprensione del giurista odierno, una rilevanza
tale da giustificare lassunzione dei rischi connessi allimpresa.
Certo, lo spazio politico-giuridico europeo e` fatto oggetto di una
crescente attenzione da parte delle piu` diverse discipline, dalleconomia alla filosofia, dalla sociologia al diritto. Per quanto riguarda il

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diritto, in particolare, si sta sviluppando una riflessione imponente


che investe tanto i princ`pi generali quanto le singole discipline e gli
specifici istituti. Non meno ricca peraltro appare la riflessione
storiografica, che si avvale ormai di una vasta messe di ricerche
dedicate alla genesi (prossima e remota) dellUnione Europea. Potrebbe sembrare allora esiguo o inesistente lo spazio per un approccio storico-giuridico al problema Europa, dal momento che la
struttura istituzionale e normativa dellattuale ordine europeo e` il
campo di elezione del giurista, mentre la formazione dellUnione
europea e` studiata, nella sua traiettoria complessiva e nei suoi singoli
episodi, dallo storico (dallo storico generale, dallo storico politico,
dallo storico delle dottrine politiche).
E` possibile dunque ipotizzare un approccio al problema Europa che possa dirsi (in senso lato, ma non impreciso) storicogiuridico, distinto come tale da una prospettiva esclusivamente
storiografica o esclusivamente giuridica? La scommessa sulla quale
il Quaderno si e` venuto costruendo e` appunto che tale approccio
esista e abbia una sua specificita` ed utilita`. Riflettere come storicigiuristi (come storici interessati alla dimensione giuridica della societa` e come giuristi interessati alle radici storiche del diritto)
sullordine europeo significa in sostanza avviare un tentativo di
storicizzazione dellattuale ordine giuridico europeo: un tentativo di
comprensione dei nessi di continuita` e di discontinuita` che legano
lUnione Europea al passato, al suo passato prossimo o remoto.
Occorre insomma impostare (intorno ai princ`pi-guida e agli
istituti dellodierno spazio giuridico europeo) due domande complementari: occorre chiedersi se e in che modo il nuovo ordine
giuridico intervenga trasformando le coordinate culturali del giurista, modificando quelle dottrine e quelle pratiche venute ad esistenza nelle diverse tradizioni nazionali; e occorre (viceversa) chiedersi se in che modo le culture giuridiche antecedenti al nuovo
ordine giuridico europeo siano state recepite, trasformate, rinnovate
entro la nuova realta` unitaria.
Non sono in questione soltanto il funzionamento delluno o
dellaltro istituto, la portata e gli effetti delluno o dellaltro principio
nellodierno spazio giuridico europeo; e nemmeno sono in questione
soltanto i capitoli canonici della formazione dellUnione europea, il
Trattato di Roma o di Maastricht o di Amsterdam; finalita` primarie

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del Quaderno non sono la ricostruzione storico-genetica dellUnione Europea ne lanalisi giuridica del funzionamento dei suoi
congegni istituzionali. Lipotesi di fondo che ispira e sorregge
lintero Quaderno e`, per cos` dire, lesigenza di una dilatazione e
complicazione dei tempi storici e insieme di una piu` approfondita
storicizzazione dellesperienza giuridica attuale: il tentativo di realizzare una gadameriana fusione degli orizzonti fra passato e presente, nella convinzione che grazie ad essa la rappresentazione dello
spazio giuridico europeo possa ottenere quella profondita` di campo
di cui non sempre appare provvista.
In questa prospettiva, il passato dellUnione Europea non puo`
essere riduttivamente fatto coincidere con il processo della sua
genesi immediata. LUnione Europea e` un esperimento istituzionale
e culturale di grande portata e come tale esso non nasce e non si
consuma nellorizzonte di qualche decennio, ma postula, come
condizione stessa del suo esserci e del suo svilupparsi, il rifluire in
esso di tradizioni molteplici (e magari discordanti) che vengono da
lontano, implica il confronto (o lo scontro) con dispositivi istituzionali e modelli culturali anchessi legati a contesti antecedenti.
E` questo lorizzonte problematico entro il quale il Quaderno
intende situarsi. Il suo programma potrebbe essere condensato nella
seguente formula riassuntiva: comparazione diacronica; una comparazione fra il presente politico-giuridico dellEuropa unita e il passato delle diverse tradizioni europee. La comparazione diacronica
risponde alla doppia esigenza di comprendere storicamente, in
profondita`, lo spazio giuridico europeo senza identificarne la storia
con la sua genesi prossima, e di intendere la cultura e la prassi
giuridiche che in quello spazio vengono sviluppandosi senza farle
immediatamente coincidere con le tecniche di cui pure necessariamente si avvalgono.
Comprendere storicamente il nuovo diritto europeo, dare profondita` di campo allo sguardo del giurista costretto a venire a capo
dei complicati meccanismi del nuovo ordine, appare un compito
difficile, ma in qualche modo imposto dalla rilevanza del processo in
atto. E` un processo che incide su realta` e dottrine che per lungo
tempo (per lintero Ottocento e per buona parte del Novecento) si
sono poste come il principale quadro di riferimento del giurista: la
realta` e la dottrina degli Stati-nazione e delle rispettive sovranita`. E`

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in questo quadro che si sono sviluppate le diverse culture giuridiche


nazionali ed e` in rapporto (o in contrasto) con le tradizioni e le
sovranita` nazionali che il nuovo ordine giuridico europeo e la cultura
che lo esprime e lo rappresenta prendono forma. Comprendere
storicamente lodierno spazio giuridico europeo significa ricostruire
il gioco sottile delle continuita` e delle discontinuita` che segnano il
rapporto fra il nuovo ordine e le precedenti esperienze, fra il
presente e il passato.
Il passato (relativamente) prossimo e` la tradizione (il complesso
delle tradizioni) dei diversi Stati nazionali; non e` pero` soltanto e
obbligatoriamente il passato prossimo il termine della comparazione
diacronica proposta dal Quaderno: la dilatazione dei tempi storici,
la compiuta storicizzazione delloggetto Europa, non puo` obbedire
a scansioni rigide e previe, ma e` affidata alla sensibilita` del singolo
ricercatore e alla specifica definizione del suo oggetto di ricerca.
Proprio perche il processo di formazione del nuovo ordine europeo
e`, insieme, effetto e acceleratore della crisi delle sovranita` nazionali
otto-novecentesche, un problema interessante (e discusso nel Quaderno) riguarda proprio la possibilita` di gettare un ponte fra
contesti molto lontani, di creare una sorta di corto circuito fra quella
realta` post-statuale cui la nuova Europa sembra tendere e le esperienze pre-statuali dellEuropa medievale o proto-moderna.
Situare lordine giuridico europeo entro un orizzonte temporale
dilatato rispetto allimmediatezza del presente: e` questo lapproccio
proposto dal Quaderno; un approccio specificamente storicogiuridico, sempre che si dia a questo termine non unaccezione
burocratica, evocativa di raggruppamenti ministeriali e concorsuali,
ma una valenza culturale e sostantiva, coincidente con lesigenza di
stabilire un rapporto ineludibile (ancorche problematico) fra passato
e presente.
Guardare in una prospettiva storico-giuridica allordine giuridico europeo, tentare di offrirne una compiuta storicizzazione, non
puo` essere pero` il monopolio di una specifica disciplina, ma esige
labbandono di ogni miope campanilismo disciplinare e il ricorso
alla sinergia di saperi diversi. Non e` quindi un caso che fra i
collaboratori del Quaderno figurino, accanto agli storici del diritto
in senso stretto, giuristi, sociologi, filosofi, storici; non e` un caso, ma
e` una necessita` imposta dalla complessita` delloggetto e dallapproc-

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cio suggerito. E` lordine giuridico europeo loggetto comune ai vari


saggi ed e` condiviso da tutti il tentativo di contribuire ad una piu`
compiuta storicizzazione di questo complesso e sfuggente fenomeno. Al contempo pero` la condivisione delloggetto e del programma coesiste con una salutare e istruttiva varieta` di prospettive e
di metodi, legati alla formazione culturale dei singoli studiosi non
meno che alle loro personali scelte e inclinazioni.
Il compito che i collaboratori del Quaderno hanno generosamente assunto non e` facile: e` il tentativo di gettare un ponte fra il
presente e il passato, di offrire dellordine giuridico europeo una
rappresentazione multidimensionale, sottratta alla tirannia dellimmediatezza; proprio per questo tutti loro, gli storici come i giuristi,
i giuristi come i sociologi o i filosofi, hanno contribuito, ciascuno a
suo modo, a fare di questo Quaderno un esempio di storia del
diritto interessata a cogliere le radici del presente.
2. Sara` ovviamente il lettore a giudicare dei risultati dellimpresa e a muoversi fra le pagine del volume seguendo litinerario piu`
consono ai suoi interessi e alle sue curiosita`. Puo` essere pero` di una
qualche utilita` offrirgli alcune brevi istruzioni per luso di un
volume che si presenta, sia per la dimensione che per i contenuti,
piuttosto impegnativo.
Occorre innanzitutto sgombrare il campo da una possibile
aspettativa: nonostante la mole, il Quaderno non persegue alcun
obiettivo di completezza e sceglie, fra i molti possibili, solo alcuni
profili tematici di indubbio rilievo. Cio` non impedisce pero` al
Quaderno, al di la` del suo taglio selettivo e delle diverse angolazioni dei saggi che lo compongono, di possedere una sua unitarieta`
di fondo proprio in quanto attento a situare loggetto Europa in un
orizzonte storico-temporale piu` ampio e complesso di quanto approcci esclusivamente tecnico-giuridici o esclusivamente storiografici avrebbero permesso.
Studiare storicamente il fenomeno Europa significa fissare
quelle coordinate spaziali e temporali che permettano di coglierne la
specificita`: proprio per questo il saggio di apertura (di Maria Rosaria
Ferrarese) e` dedicato allEuropa nella cornice dei processi di globalizzazione, mentre il saggio successivo (di Paolo Grossi) si interroga sulle caratteristiche e sui rischi (cui la rappresentazione del-

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lodierno spazio giuridico europeo puo` andare incontro) di una


commistione fra tempi storici profondamente diversi.
Sono rischi cui intende sfuggire questo volume, interessato a
cogliere i tratti caratterizzanti del fenomeno Europa indicando le
differenze e le continuita` che collegano il nuovo ordine con le
tradizioni e i modelli culturali appartenenti al recente o meno
recente passato. E` appunto in questa direzione che si muovono (pur
con grande liberta` e varieta` di impostazione e di risultati) i saggi che
compongono il Quaderno.
Un primo gruppo di saggi ruota intorno alla dimensione politico-giuridica della nuova Europa, per mettere a fuoco alcuni profili
tematici di assoluto rilievo: dallidentita` europea (affrontata, in
unottica storico-costituzionale, da Antonio Padoa Schioppa) alla
sovranita` (studiata in differenti prospettive da Dimitri DAndrea,
Giuseppe Duso, Sabino Cassese, Corrado Malandrino ed Enzo
Cannizzaro), alla costituzione (analizzata da Maurizio Fioravanti).
Il successivo nucleo tematico appartiene ancora al momento
politico-giuridico, ma ha a che fare non con le strutture portanti
dellordine bens` con il rapporto fra lindividuo, i diritti e la comunita` politica, analizzato sotto il profilo della cittadinanza e della
partecipazione politica (nel saggio di Richard Bellamy e Dario
Castiglione) e della resistenza (nel saggio di Angela De Benedictis).
Dallesperienza politico-giuridica europea si passa al funzionamento stricto sensu giuridico del nuovo ordine; prima vengono messi
a fuoco alcuni dei princ`pi generali che lo sorreggono dal
principio di sussidiarieta` (studiato da Giorgio Berti) al problema
delle fonti (esaminato da Ugo Mattei) mentre poi vengono
discusse le trasformazioni cui vanno incontro, entro il nuovo scenario europeo, diversi settori disciplinari: dal diritto del lavoro (cui e`
dedicato il saggio di Silvana Sciarra) al diritto penale (cui e` destinato
il contributo di Alessandro Bernardi), dal diritto amministrativo e
dal problema dei pubblici servizi (presi in esame da Bernardo Sordi)
alla politica economica e alla disciplina della concorrenza (discusse
rispettivamente da Knut Wolfgang No rr e da Stefano Mannoni).
E` dalla ricostruzione accurata delle vicende e dei profili intrinseci dellordine politico europeo che puo` scaturire una accurata
rappresentazione (una compiuta storicizzazione) di questo nuovo e
problematico fenomeno. Per il pieno conseguimento di questo

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obiettivo e` pero` altrettanto importante tentare di uscir fuori dallo


spazio europeo, tentare di guardare allEuropa da una qualche
prospettiva esterna, per rafforzare quella profondita` di campo cui
il Quaderno aspira: e` a questa finalita` che obbediscono esemplarmente i saggi di Bartolome Clavero, di Gaetano Rametta e di
Richard Hyland, che concludono il volume.
Il trentesimo volume della nostra Rivista si apriva con una
pagina introduttiva dove il fondatore e direttore dei Quaderni
Fiorentini, Paolo Grossi, prendeva congedo dai lettori e presentava
loro i nuovi responsabili del Centro Studi e della Rivista. Il trentunesimo volume, dedicato al tentativo di storicizzare lordine giuridico europeo, e` stato disegnato nella consapevolezza che una siffatta
impresa era concepibile soltanto allinsegna di un forte scambio fra
discipline diverse: proprio allinsegna di quel dialogo fra storici del
diritto e giuristi (e fra storici del diritto e cultori delle scienze
umane) che Paolo Grossi aveva promosso e perseguito nel lungo
periodo della sua direzione. E` di questo dialogo e di questo programma che il presente volume dei Quaderni vuol essere unideale
prosecuzione.

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Modelli e dimensioni

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MARIA ROSARIA FERRARESE

IL DIRITTO EUROPEO
NELLA GLOBALIZZAZIONE: FRA TERRA E MARE
1. Diritto e prospettive spaziali. 2. Ordine giuridico terrestre e antropologia della
paura. 3. La proprieta` tra valore duso e valore di scambio. 4. Sovranita` e proprieta`.
5. Ordini giuridici tra tradizione e rivoluzione. 6. Il nuovo pluralismo dellordine
giuridico europeo: tra democrazia, tradizione e aristocrazie.

1.

Diritto e prospettive spaziali.

Per indagare la posizione giuridica dellEuropa di fronte alle


sfide della globalizzazione, intese come sfide agli spazi tradizionali
ed allorganizzazione politica e giuridica che su essi era allignata,
vorrei seguire alcune delle suggestioni che Carl Schmitt offre in un
libretto del 1942, recentemente ritradotto in italiano, in cui racconta
a sua figlia Anima una breve storia del mondo a partire dai quattro
elementi della filosofia greca (terra acqua, fuoco e aria), visti come
altrettante possibilita` dellesistenza umana (1). Il racconto, che si
sviluppa soprattutto attraverso la dicotomia terra-mare, ci fa assistere ad una progressiva sortita di umane possibilita` delle certezze
della terraferma, per avventurarsi via via in unesistenza marittima
che, dopo varie anticipazioni storiche, trova infine nellInghilterra
del 500 il paese protagonista, un paese che da isola volge le spalle
alla terraferma e si trasforma in una parte del mare, in una nave, o,
meglio ancora, in un pesce (2). Il mare era gia` comparso nellopera
di Schmitt, specie attraverso lattenzione tributata al Leviatano,
(1) C. SCHMITT, Terra e mare, Adelphi, Milano 2002. La precedente traduzione e`
del 1986, per i tipi di Giuffre` e con introduzione a cura di A. Bolaffi.
(2) Ivi, p. 95. come una nave o un pesce puo` raggiungere via mare unaltra parte
del pianeta, perche ormai non e` altro che il centro mobile di un impero mondiale
frammentariamente diffuso in tutti i continenti (ivi, p. 97).

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mostro marino hobbesiano; qui compare la balena con significato


fortemente simbolico: in quanto mammifero-pesce, idealmente collocata tra dimensione terrestre e dimensione marittima, che ha avuto
la capacita` di fare da richiamo e da guida ai propri cacciatori,
attraendoli verso loceano, emancipandoli dalla costa (3).
La narrazione si chiude con un breve ma acuminato sguardo alla
possibilita` di una nuova rivoluzione spaziale planetaria, sulla base
anche degli altri due elementi (aria e fuoco), non privo di geniali
intuizioni su quello che per lAutore si poneva come futuro prossimo
e che e` per noi il presente in cui siamo immessi, un presente che vede
venire meno il vecchio nomos della terra (4). Dalla prospettiva
aerea (5) che Schmitt vede come lesito estremo di una rivoluzione
spaziale totale, non si salva piu` nessun angolo della terra.
Dunque, dalla prospettiva adottata da Schmitt si puo` parlare di
tre epoche della storia umana: le prime due contrassegnate luna
dalla separazione tra terra e mare, e laltra dalla commistione tra
questi due elementi; la terza, infine, appena tratteggiata, che apre ad
una del tutto inedita rivoluzione degli spazi che noi oggi chiamiamo
globalizzazione. Per restare dentro questa tripartizione, si potrebbe
dire che la seconda epoca e` stata compiutamente sperimentata solo
dal mondo anglosassone: dallInghilterra prima e dagli Stati Uniti
dopo. LEuropa continentale, invece, come una vecchia signora che
si e` attardata in veterocostumi un po demode, nonostante il rapporto di progenitrice di quel mondo, e` dunque arrivata allappuntamento con la globalizzazione senza aver mai abbandonato la
prospettiva della terraferma, per cedere al richiamo dellesistenza
marittima. Ma, se e` riuscita a resistere alla prospettiva marittima
dellesistenza e del diritto, che gli Stati Uniti, isola non meno della
Gran Bretagna, hanno da questa ereditato, e` stata infine travolta
dalla prospettiva aerea, che non si lascia piu` scegliere, non ha
bisogno del richiamo della balena per uscire allo scoperto, poiche
(3) Ivi, p. 36. Schmitt rivisita in proposito Michelet e Melville, con il loro elogio
del baleniere.
(4) C. SCHMITT, Il nomos della terra, Adelphi, Milano 1991.
(5) Per la verita`, Schmitt fonde lidea dellaria, quale nuova sfera elementare
dellesistenza umana con il fuoco, al fine di caratterizzare la nuova rivoluzione
spaziale, una rivoluzione che sembra chiudere anche il tradizionale rapporto tra terra e
mare (ivi, pp. 108-110).

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MARIA ROSARIA FERRARESE

ormai non e` il mondo ad essere nello spazio, bens` e` lo spazio a


essere nel mondo (6).
Lidea schmittiana di una esistenza marittima, a cui lEuropa
continentale si e` sottratta, verra` qui utilizzata per indagare il volto
giuridico dellEuropa continentale. A partire da questa assenza, si
cerchera` di ricostruire alcune linee divisorie tra luniverso giuridico
europeo, ancorato alla terraferma ed ai suoi miti, e quello anglosassone, contrassegnato da una concezione marittima dellesistenza,
che ha trovato il suo principale vettore negli Stati Uniti, dopo un
primo significativo avvio sul suolo britannico. Che vi fosse un
rapporto tra esistenza marittima e civilta` giuridica non sfugg` a
Schmitt, che, come nota Volpi nella postfazione, gia` nel 1942, in uno
scritto precedente, aveva colto la sfida che il mare rappresenta per
il pensiero giuridico (7). Del resto, gia` Marx (8) aveva anticipato il
tema della liquefazione del mondo nel profetico scritto del 1948,
in cui avanzava lidea che, con il capitalismo, all solid melts into
air (9).
Si cerchera` dunque di mettere a fuoco le implicazioni che una
concezione terrestre ed una concezione marittima dellesistenza
hanno per il diritto e le istituzioni. Si tratta di una prospettiva gia`
nota, specie ai cultori di Hobbes. Come ricorda Portinaro, in
Hobbes Behemoth simboleggia il disordine e la guerra civile, Leviathan lordine e lo Stato e di qui, per estensione, luno il principio
della paura e del male, laltro il principio della sicurezza e del
bene (10). Le due concezioni riflettono la contrapposizione tra una
cultura oceanica, con la sua apertura al commercio e alla liberta`
economica, ed una cultura della terra ferma, vicina al modello dello
(6) Cfr. ivi, p. 109.
(7) Cos` F. VOLPI, Il potere degli elementi, in C. SCHMITT, Terra e mare, cit., p. 124.
(8) Forse anche con Marx Schmitt vuole dialogare alla fine del suo volume,
attraverso la mediazione di Hegel, di cui fa la seguente citazione, tratta da Lineamenti di
filosofia del diritto: come per il principio della vita famigliare e` condizione la terra, base
e terreno stabile, cos` per lindustria lelemento naturale che lanima verso lesterno e` il
mare.
(9) Il riferimento e` al Manifesto del partito comunista, le cui traduzioni in italiano
hanno generalmente fatto perdere la immediatezza di questa frase.
(10) P. PORTINARO, La crisi dello jus publicum europeum. Saggio su Carl Schmitt,
Comunita`, Milano 1982, p. 163. Va aggiunta losservazione di Portinaro secondo cui
Hobbes vede nel Leviatano, signore dei mari, il simbolo dellunita` statale (p. 180).

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stato commerciale chiuso e al centralismo degli antichi imperi a base


agraria (11): esse sono dunque alla base di diverse ed anzi opposte
ingegnerie istituzionali: due ingegnerie che, con J. Elster, potremmo
efficacemente raffigurare come rispettivamente intente a combattere il vizio o, al contrario, ad incoraggiare la virtu` (12).
Cercheremo dunque di ricostruire i principali tratti di tali
ingegnerie istituzionali, per cogliere infine la prospettiva mista adottata dal diritto europeo nel mondo globale, quale nuovo sviluppo
istituzionale rispetto alle prospettive terrestre e marittima.
Al fine di sviluppare queste differenze, si ricorrera` ad unottica
comparata, mettendo a fuoco alcune delle differenze centrali tra
luniverso giuridico dellEuropa continentale e luniverso giuridico
degli Stati Uniti. Ma, come si e` detto, la prospettiva del diritto
europeo in epoca globale non e` puramente e semplicemente un
riflesso della prospettiva statunitense: essa risponde al bisogno di
nuovi e piu` complessi rimescolamenti e adattamenti, che recano
traccia sia del mondo terrestre che di quello marittimo.
2. Ordine giuridico terrestre e antropologia della paura.
Lideologia europea della terraferma ha trovato riflesso in una
struttura giuridica fondamentalmente monolitica e tendenzialmente
statica. Entrambi questi caratteri possono essere collegati ad una
visione essenzialmente panlegislativa del diritto. La riduzione del
diritto ad ununica versione di tipo legislativo, inizialmente derivata
dal Principe, e successivamente dal demos, ha dato una colonna
vertebrale piuttosto rigida al sistema giuridico, congelando le stesse
dinamiche istituzionali di divisione dei poteri, che hanno finito per
corrispondere a mere articolazioni di tipo funzionale di un unico
potere (inteso essenzialmente come legislativo), piuttosto che dar
voce a distinte espressioni di potere: la ratio legislativa e` insomma
rimasta priva di contrappesi (13).
(11) Cfr. ivi, p. 167.
(12) J. ELSTER, Argomentare e negoziare, Anabasi, Milano 1993.
(13) Si pensi al ruolo tradizionalmente ancillare svolto dalla magistratura in
Europa, laddove negli Stati uniti essa ha tradizionalmente svolto un ruolo against
government.

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MARIA ROSARIA FERRARESE

La versione legislativa, riducendo il diritto a norme e comandi, ha finito per corrispondere ad un intento di stabilita`
giuridica, che trovava nel mito della legalita`, una preziosa cerniera conchiudente (14), senza curarsi eccessivamente di esigenze di
raccordo con luniverso sociale. Il predominio della ratio legislativa
ha corrisposto ad unidea forte della sovranita` ed il mezzo piu`
congruo per indagare luniverso giuridico europeo e` stato fornito
dalla lente dello jus publicum europeum (15). In queste pagine,
tuttavia, per rispondere allinterrogativo sul perche il diritto europeo
sia rimasto ancorato alla terraferma, si cerchera` di procedere, invece
che attraverso questo percorso principale, gia` autorevolmente e
ripetutamente esplorato, attraverso alcuni percorsi secondari, forse
non meno rilevanti per comprendere la prospettiva terrestre delle
istituzioni, che deriva dalla concezione europea della sovranita`.
Verranno, sia pur frettolosamente, e lungi da pretese di esaustivita`, intrapresi due sentieri. In primo luogo, il rapporto privilegiato che esiste tra sistema giuridico europeo-continentale e proprieta`, fino a intravedere una somiglianza tra la concezione europea
della sovranita` e la proprieta`. In secondo luogo, si cerchera` di
collegare il progetto delle istituzioni europee al trionfo di una classe
sociale: la borghesia, che tuttavia non aveva la capacita` di assumere
valenze universali e ha generato un dualismo conflittuale. Ma
prima ancora di intraprendere questi due percorsi e` necessario
caratterizzare storicamente la prospettiva terrestre del diritto, come
un derivato della dissoluzione delluniverso medievale e dellantropologia della paura, con cui la si fronteggio`.
Il riferimento alla guerra civile e al principio homo homini lupus
che sta alla base dellantropologia hobbesiana del Leviatano, vede
un mondo mosso unicamente dalla paura e dal desiderio di evitare
il male: ciascuno e` portato a desiderare cio` che per lui e` il bene,
e a fuggire cio` che per lui e` male, soprattutto il massimo dei mali
naturali, che e` la morte; e questo con una necessita` naturale non
minore di quella per cui una pietra va verso il basso (16). Dunque,
(14)
p. 75.
(15)
(16)

Cfr. P. GROSSI, Mitologie giuridiche della modernita`, Giuffre`, Milano 2001,


P. PORTINARO, La crsi dello jus publicum europeum, cit.
T. HOBBES, De Cive, Editori Riuniti, Roma 1988, p. 84 (corsivo mio).

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lantropologia hobbesiana e` determinata da una sorta di legge di


gravita` che impedisce allontanamenti o voli dal terreno: e` pesante,
negativa, pessimista, poco incline ad accettare sfide e pericoli ulteriori oltre a quelli che gia` gravano per natura sulluomo, e percio`
impossibilitata a lasciare la dimensione terrestre. In un mondo in cui
ogni uomo e` un nemico per laltro uomo, non vi e` posto per
lindustria; poiche il frutto e` incerto: e in conseguenza non vi e`
cultura della terra, ne navigazione, ne uso dei beni che possono
essere importati per mare; ne costruzioni per la comodita`; ne mezzi
per muoversi e rimuoversi, cose tali che richiedono molta forza; ne
conoscenza del volto della terra; ne importanza del tempo; ne arti;
ne lettere; ne societa` (17).
Ed e` proprio la gravita` delle sfide presenti nelluniverso hobbesiano che produce la necessita` di un potere supremo, come
assicurazione contro la paura, ed una concezione politica ossessionata dal tema dellobbedienza (18). Ora, questa ossessione, che
permea le istituzioni europee, piegandole ad una logica di disciplinamento, come ha mostrato lopera di Michel Foucault, si riflette in
una visione spaziale e quasi architettonica delle stesse, ispirate come
sono al modello del Panopticon (19), con tutta la sua terrestre visibilita`. Ma la sorveglianza panottica della societa`, attraverso le sue
molteplici istituzioni, non puo` non essere vista come una necessita`
derivante da una cesura rispetto al passato storico europeo. Lo stato
moderno e le sue propaggini istituzionali devono dare lordine di
una fabbrica, se non di una prigione, al mondo di vagabondi,
sradicati, disperati e ribelli che ha prodotto la rottura dellordine
medievale. Per questo mondo sociale sconquassato, si tratta di
evitare che la proliferazione della melancolia, intesa come malattia
sociale, porti al rifiuto del patto sociale ed al rischio di comportamenti sovversivi (20).
(17) T. HOBBES, Il Leviatano, 1. XIII-9.
(18) Il nesso che intercorre tra protezione e ubbidienza viene ripetutamente
sottolineato da C. SCHMITT, Osservazioni in risposta a un discorso radiofonico di Karl
Mannheim, in C. SCHMITT, Ex Captivitate salus, Adelphi, Milano, 1987, p. 23.
(19) Ho sottolineato questa conformazione ancorata allo spazio delle istituzioni
nel mio Il diritto al presente, il Mulino 2002.
(20) P. SCHIERA, Specchi della politica, Il Mulino, Bologna 1999, p. 361 e ss. In
particolare, si vedano pp. 380-383.

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Il riferimento al passato medievale per intendere lordine giuridico europeo appare importante ancor piu` se si considera come
proprio lassenza di tale passato abbia contribuito a forgiare un
diverso universo giuridico in terra americana (21), come si dira` piu`
avanti. A partire da questo sfondo storico, dunque, possono essere
considerati due aspetti che hanno influito sullo scenario istituzionale
europeo, contribuendo a determinarne la prospettiva terrestre,
ossia compatta e poco mobile. Si tratta di due discontinuita` rispetto
al passato medievale. Il primo aspetto e` la preminenza assunta dalla
proprieta` rispetto al contratto, fino a permetterci di scorgere un
rapporto significativo che esiste persino tra sovranita` e proprieta`. Il
secondo aspetto e` la continuita` che esiste tra trionfo della ragione
borghese ed esclusivita` della ratio legislativa, con conseguente inibizione di un tessuto istituzionale piu` mobile e variegato.
3. La proprieta` tra valore duso e valore di scambio.
Lordine europeo medievale era fondato su alcuni fatti normativi fondamentali: terra, sangue, e tempo (22). La terra era dunque
un fatto fondante del diritto, ma non era intesa tanto come proprieta`, bens` come cosa produttiva per eccellenza aperta allappropriazione collettiva (23). Lordine terrestre creato in Europa
puo` sembrare in continuita` rispetto al medioevo, nel suo restare
ancorato a una ratio di tipo spaziale. E la proprieta` e` listituto
giuridico che meglio risponde allesigenza di registrare un mondo di
spazi definiti e misurabili: essa diventa metafora giuridica di un
mondo che tende alla stabilita` ed alla persistenza (24). Tuttavia,
quando si parla di proprieta`, e` necessario avere presente la comples(21) Il tema e` presente in L. HARTZ, La tradizione liberale in America. Interpretazione del pensiero politico americano dopo la Rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1960.
(22) P. GROSSI, Lordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 74.
(23) La caratteristica principale della concezione feudale e` il suo riconoscimento
di una proprieta` doppia, vale a dire la proprieta` superiore del signore del feudo che
coesiste con la proprieta` inferiore o possedimento, del feudatario. Cos` H. S. MAINE,
Diritto antico, Giuffre`, Milano 1998, p. 222.
(24) Sulla persistenza di forme di proprieta` comunitarie, si veda M. GUIDETTI P.H. STAHL, Il sangue e la terra. Comunita` di villaggio e comunita` familiari nellEuropa
dell800, Jaca Book, Milano, 1977.

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sita` della sua storia, che registra un lungo corso di mutazioni (25) e
diversi modi di possedere (26), ossia funzioni sociali della proprieta` che sono storicamente e geograficamente mutevoli. Si pensi
alla duplice possibilita`, indicata gia` da Marx, di intendere la proprieta` sia come valore duso, ossia capace di provare una condizione di status del soggetto, sia come valore di scambio, ossia
esposta alla contrattazione per fini utilitaristici. Ora, specialmente
questa differenza funzionale della proprieta` ci puo` aiutare a comprendere due diverse storie della proprieta`, con diversi gradi di
esposizione allimprenditorialita`, che hanno avuto luogo sul suolo
dellEuropa continentale e sul suolo anglo-americano.
A questa diversa storia ha corrisposto, sotto un profilo piu`
propriamente giuridico, un diverso e forse persino opposto equilibrio tra proprieta` e contratto, che ha avuto luogo in Europa e negli
Stati Uniti. Proprieta` e contratto sono due istituti giuridici entrambi
essenziali per la vita economica capitalistica, ma con una diversa
ratio ed un diverso peso specifico per le relazioni di mercato. La
centralita` della proprieta` intesa come valore duso ha segnato
significativamente buona parte della storia del capitalismo: non solo
del capitalismo agrario (27), ma anche di quello industriale, che
ancora reca con se una grande solennita` e visibilita` della proprieta`,
attraverso limpresa intesa come oggetto di un proprietario (28)
che, come tale, inibisce la contrattualizzazione e dunque le relazioni
di mercato: si pensi al motto chi vende, scende, che ancora
costituiva comune consapevolezza sociale fino ad un passato recente.
Lindividualismo possessivo (29) ottocentesco, stabilizzando la
proprieta` in una dimensione solitaria ed individualistica, ed in una
finalita` di status, svolse un ruolo ambivalente sotto il profilo della
(25) H. S. MAINE, Diritto antico, cit., p. 185 e ss.
(26) P. GROSSI, Un altro modo di possedere. Lemersione di forme alternative di
proprieta` alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffre`, Milano 1977, e, ID., Il dominio e le
cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Giuffre`, Milano 1992.
(27) Si veda R. MARRA, Capitalismo e anticapitalismo in Weber, Il Mulino, Bologna
2002.
(28) Rimando al mio Della corporate governance, ovvero dellimperfezione del
diritto societario, in Scritti giuridici per Guido Rossi, Giuffre`, Milano 2002.
(29) C. B. MACPHERSON, Liberta` e proprieta` alle origini del pensiero borghese, Isedi,
Milano 1973.

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funzionalita` economica. Per un verso attuo` una sorta di property


rights theory (30) ante litteram, nellintento di potenziare lefficienza
economica. Ma per un altro verso, la proprieta` intesa in senso
individualistico tendeva a creare situazioni stabili e sicure, in conflitto con la possibilita` di realizzare ulteriori frontiere di efficienza,
attraverso maggiore esposizione al contratto ed al mercato.
Nel caso europeo, lopzione a favore della proprieta`, che segnava posizioni di status, ha resistito dando luogo ad un capitalismo
cosiddetto renano, caratterizzato dalla scarsa esposizione delle
imprese al mercato finanziario e dal legame privilegiato con le
banche: non il capitalismo, ma piuttosto le ragioni del welfare state
ponevano sfide alla proprieta` (31) intesa come valore duso. Nel
caso americano, al contrario, la proprieta`, chiamata subito a corrispondere ad esigenze di contrattualizzazione proprie del mercato, ha
prevalentemente viste mortificate le valenze di status, a favore di
finalita` di scambio e di crescita economica, fino ad accettare tutte le
sfide che leconomia finanziaria ha posto alla ratio proprietaria.
Negli Stati Uniti, furono le ragioni dello sviluppo capitalistico,
ben piu` che quelle dello stato amministrativo (32), a richiedere un
ridimensionamento dei diritti della proprieta`: lideologia dei diritti
naturali, che tendeva a trasformare la proprieta` in un diritto
assoluto, a misura esclusiva del soggetto proprietario, entro` in
conflitto con le ragioni dello sviluppo economico e dellimprenditorialita` (33): il mercato impone una visione piu` socializzata del
valore dei beni, in contrasto con una interpretazione individualistica
dello stesso. Ancor piu`, laffermazione delleconomia finanziaria
(30) Per avere massimo rendimento dalla terra bisogna che le leggi provvedano
ad accentrare nel proprietario tutti i diritti e le facolta` che il feudalesimo ha sparpagliato
(Cfr. G. DE RUGGIERO, Storia del liberalismo europeo, Feltrinelli, Milano 1977, p. 36).
(31) S. RODOTAv , Il terribile diritto. Studi sulla proprieta` privata, Il Mulino, Bologna
1981.
(32) Lo stato amministrativo puo` considerarsi la versione americana del nostro
welfare state, incentrata su valori di bene pubblico, ma legata alla centralita` del
mercato. Rimando in proposito al mio Diritto e mercato. Il caso degli Stati Uniti,
Giappichelli, Torino 1992.
(33) M. J. HORWITZ ricostruisce la storia della crisi della concezione naturalistica
del diritto di proprieta` in America in The Transformation of American Law 1870-1960.
The Crisis of Legal Orthodoxy, Oxford University Press, Oxford 1992, p. 128 e ss. e
passim.

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avrebbe interrotto la certezza e la visibilita` della proprieta`, come


Berle e Means denunciarono nel loro lavoro del 1932 (34): questa
venne non solo frantumata e dispersa in pacchetti di azioni (35),
ma anche consegnata a nuove forme di incertezza e instabilita` che
sono proprie del mercato finanziario. Via via che le esigenze di
reperire nuovi finanziamenti per le imprese pongono il mercato
finanziario al centro delleconomia, il volto proprietario delle imprese acquista contorni sempre meno definiti e stabili. Dopo il
decollo sul suolo inglese, leconomia finanziaria, trovata negli Stati
Uniti la propria patria delezione, costringe la proprieta` sempre piu`
a condividere con il contratto, ed anzi con un meccanismo di estesa
contrattualizzazione, il proprio ruolo di istituto giuridico di riferimento per il capitalismo (36).
Mentre gli Stati Uniti hanno consumato quasi integralmente il
vecchio volto proprietario delle imprese, fino agli eccessi della
societa` dellaccesso (37), in Europa continentale (cos` come in
Giappone), il capitalismo e` rimasto prevalentemente ancorato ad
unidea proprietaria, mantenendo le imprese sulla terraferma della
ratio proprietaria e respingendo linvito ad affrontare i rischi ma
anche le opportunita` delleconomia finanziaria. Cio` ha significato
maggiore stabilita` delleconomia, ma anche minore slancio imprenditoriale e ridotta capacita` di innovazione.
(34) A. A. BERLE-G. C. MEANS, Societa` per azioni e proprieta` privata, Einaudi,
Torino 1966. Gli autori analizzano sia il frazionamento della proprieta` delle imprese (la
disintegrazione del diritto di proprieta` distrugge la base stessa su cui ha poggiato il
sistema economico degli ultimi tre secoli p. 11), sia lo smantellamento dei diritti
proprietari dellazionista in favore di chi esercita il controllo sulle societa` (proprieta` di
beni senza poteri di controllo e controllo di essi senza partecipare in misura apprezzabile
alla loro proprieta`, sembrano essere le risultanti logiche dello sviluppo del sistema
societario p. 69).
(35) Cos` J. A. SCHUMPETER, Capitalismo, socialismo, democrazia, Etas, Milano
1977, che coglie come la proprieta`, con leconomia finanziaria, divenga smaterializzata,
funzionalizzata e assenteista (p. 113).
(36) Mi sono soffermata su questo distacco delleconomia finanziaria dalla proprieta` nel mio Il diritto al presente, cit., pp. 47 e ss.
(37) J. RIFKIN, Lera dellaccesso. La rivoluzione della new economy, Mondadori,
Milano 2000, dove si descrive come, in uneconomia priva di peso, mentre la proprieta`
diventa sempre piu` un peso morto, cio` che diventa significativo e` il diritto allaccesso.
Si vedano specie p. 316 e ss.

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Leconomia finanziaria, per cos` dire, porta in mare la proprieta`,


facendola divenire una nave in movimento piuttosto che una casa
ancorata alla terraferma (38). Come la casa e` quiete, la nave e`
movimento, cos` per il diritto di proprieta` il contratto e` una sfida
continua, che erode la ratio proprietaria, scuotendo la terraferma del
valore duso, per portarla sui lidi dello scambio contrattuale.
4.

Sovranita` e proprieta`.

La proprieta`, intesa come valore duso, lascia unaltra importante traccia nellEuropa continentale attraverso lo stato e lidea
della sovranita` statale. A prima vista, questo accostamento puo`
apparire del tutto fuori luogo, tanto proprieta` e sovranita` sono
termini che indicano realta` giuridiche antitetiche. La prima, emblema per eccellenza del diritto privato e di quella societa` civile
rousseauiana che trova nelleconomia il suo scenario principale. La
seconda, emblema eccellente del regno della politica e di tutto cio`
che e` pubblico. Tuttavia, a dispetto di questa consueta maniera di
discriminare, si possono ravvisare non poche linee di continuita` tra
proprieta` e sovranita` (39). Cio` che si cerchera` di osservare e` un
risvolto proprietario e forse persino privatistico della sovranita`,
che si contrappone alla retorica fortemente pubblicistica della
comunicazione legislativa dello stato.
Del resto, a ben guardare, la parentela tra proprieta` e sovranita`
e` emersa talora esplicitamente o implicitamente in letteratura. Non
e` un caso se Botero, nel 1589, nellindividuare lo stato e la ragione
di stato, veda il primo come dominio fermo sopra popoli e la
(38) Casa e nave sono le due metafore di unesistenza di terra o di mare: casa e
proprieta`, matrimonio, famiglia e diritto ereditario, tutto questo si forma sulla base di
unesistenza terricola, e in particolare, agricolaIl nucleo dellesistenza terrena e`
dunque la casa. Quello di unesistenza marittima, invece, e` la nave che va e che e` in se
stessa un mezzo piu` intensivamente tecnico che non la casa. La casa e` quiete, la nave e`
movimento. Cos` in Dialogo sul nuovo spazio, che appare nel volume Terra e mare del
1986, a cura di Angelo Bolaffi, pp. 102-103.
(39) Nel fare luce su alcune di queste linee di continuita`, un notevole contributo
e` stato dato dai giusrealisti americani, allinterno di una linea di indagine tesa a rompere
la tradizionale opposizione tra pubblico e privato. In particolare, M. R. COHEN, Property
and Sovereignty, Cornell University Press, Ithaca 1927.

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seconda come notizia de mezzi atti a fondare e conservare un


dominio, sentendosi peraltro in dovere di precisare che la conservazione ha preminenza sulla ampliazione, tanto quanto sulla
fondazione (40). E, nello stesso Hobbes, si puo` intravedere una
implicita caratura proprietaria della sovranita` statale: questa, infatti,
pur avendo una fondazione di tipo contrattuale, costruisce un potere
sovrano cos` centripeto e sottratto ad ogni diritto di resistenza, da
escludere ogni riferimento alle venature contrattuali del potere
pubblico medievale.
Per rilevare una certa affinita` tra proprieta` e sovranita`, si
possono richiamare almeno due aspetti che meglio la evidenziano. In
primo luogo, la composizione del mondo dopo la pace di Westfalia
da` luogo ad uno spazio internazionale, che non ha una propria
spiccata identita` e che assomiglia piuttosto ad una sommatoria di
spazi privati gestiti autonomamente dagli stati. La filosofia dello
stato sovrano superiorem non recognoscens presenta non poche
affinita` con quel soggetto proprietario che, allinterno della propria
proprieta`, si sente perfettamente autonomo nelle sue azioni ed
indenne da altrui supervisioni. La liberta` del soggetto legislatore e`
sconfinata ed assomiglia alla liberta` di autonormazione del proprietario sul proprio territorio, che non tollera limitazioni neanche dal
soggetto pubblico. Tutto cio` portava, nellepoca degli stati sovrani,
a teorizzare lo spazio internazionale non come spazio specifico,
pervaso dallidea di un bene pubblico internazionale, ma piuttosto
come mera sommatoria del bene privato di ciascuno stato (41).
Limpotenza del diritto internazionale era visibile specie verso stati
che si rendevano autori sul proprio suolo di gravi attentati alle
liberta` ed ai diritti fondamentali dei cittadini. Unaltra conferma di
questa idea privatistica della sovranita` statale si riceve pensando
alla regola dellunanimita`, regola idealizzata dai liberisti piu` strenui
per ladozione di decisioni collettive, e che vigeva rigidamente per
ladesione ai trattati internazionali: regola che, solo oggi, una nuova
(40) Cfr. G. BOTERO, La ragion di stato, Donzelli, Roma 1997, p. 7.
(41) Sul rapporto tra diritto statale e diritto internazionale, H. KELSEN, Il problema
della sovranita`, Giuffre`, Milano 1989, dove si conclude per la necessaria rimozione del
concetto di sovranita`, per creare un ordinamento internazionale che non abbia bisogno
di alcun riconoscimento (p. 469).

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stagione del diritto internazionale, e specie lottica della sovranazionalita` e del multilateralismo, stanno modificando (42).
Lispirazione essenzialmente proprietaria della sovranita` statale riceve una ulteriore conferma se si guarda al fatto che lo stato
sovrano, non diversamente dal soggetto proprietario, si pone come
soggetto essenzialmente monologante, piuttosto che dialogante:
esso non ha bisogno di creare istituzioni capaci di dialogare con i
propri sudditi, di registrare i loro impulsi e reazioni. Esso ha bisogno
di cittadini ubbidienti e disciplinati (43). Il diritto diventa cos` una
mera tecnica di trasmissione dei comandi del sovrano, che non ha
bisogno che di una legittimazione di tipo formale: la legislazione e` lo
strumento piu` adatto a dare espressione a quei comandi, cos` come
a garantire la piu` ampia liberta` di scelta del soggetto normatore.
Il soggetto sovrano esprime insomma non solo unidea essenzialmente centripeta del potere, allergica a divisioni e contrappesi,
ma anche una grammatica del potere di tipo rigidamente normativo,
ossia un universo istituzionale che adotta ununica linea di comunicazione con i sudditi, una linea che va unidirezionalmente dal potere
verso i sottoposti, e non in direzione contraria (44). Al nuovo Principe non interessa registrare impulsi, sentimenti e commenti provenienti dal basso della societa` e diretti al suo indirizzo. Sotto questo
profilo, e` interessante notare come il compimento del progetto di
uno stato sovrano coincida con linterruzione della pratica di quegli
specula principum, genere letterario antico, tornato in auge in epoca
carolingia, che per tutto il Medio Evo ebbe intenti didascalici nei
confronti del principe, affinche il suo potere corrispondesse alla
legge morale condivisa ed al buon governo (45). Gli specchi dei
principi rispondevano ad unidea di monarchie contractuelle, che fu
viva per tutto il medio Evo, e alla pretesa di orientare e contem(42) Rinvio in proposito al mio Le organizzazioni internazionali e gli stati contraenti, in corso di pubblicazione in Rassegna italiana di sociologia 2003.
(43) M. FOUCAULT, La microfisica del potere, Einaudi, Torino 1976.
(44) C. Schmitt, nei giorni bui del suo coinvolgimento nel processo di Norimberga, considera la stupefacente attitudine a farsi organizzare delluomo tedesco,
collaborando lealmente con tutto cio` che il governo di volta in volta legale ordinasse.
Cfr. Osservazioni in risposta a un discorso radiofonico di Karl Mannheim, cit., p. 20.
(45) Si veda A. DE BENEDICTIS, Politica, governo e istituzioni dellEuropa moderna,
Il Mulino, Bologna 2001, p. 251 e ss.

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poraneamente condizionare la realta` secondo un sistema di valori


naturali dei quali il sovrano era portatore (46).
Linterruzione di questo tipo di comunicazione istituzionale
rispecchia linstaurazione di un ordine politico e giuridico di tipo
tendenzialmente autoritario, che, per secoli, trovo` nella metafora
dellorologio la piu` appropriata rappresentazione (47), fino al sogno illuminista di una societa` governata da un corpo di leggi
perfette, che, come notava Federico il Grande, sarebbe il coronamento dello spirito umano per quel che concerne la politica di
governo; vi si osserverebbe ununita` di disegno e di regole cos` esatta
e cos` ben proporzionata che uno stato guidato da simili leggi
ricorderebbe un orologio (48). In questo tipo di ordine istituzionale,
con il tempo fisso e chiuso dellorologio, le prerogative dellautorita`
centrale erano linformazione, la memoria, il giudizio e la decisione
che venivano irradiati dallalto sulla societa`, senza che fosse avvertito
il bisogno di una comunicazione di ritorno: ovviamente il suo
successo era affidato non solo alla capacita` di varare programmi
adeguati, capaci di anticipare tutte le possibilita`, ma anche alla
produzione di una societa` sufficientemente disciplinata e ubbidiente, nonche priva di eccessivi margini di iniziativa.
A questa concezione autoritaria dellordine, che fu condivisa
dalle societa` europee nei primi secoli moderni, sfugg` solo lInghilterra che, tra il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo, prese ad
indirizzarsi verso un modello politico di tipo liberale, a cui la
metafora dellorologio si adattava poco: fu piuttosto limmagine
della bilancia, con la sua capacita` di autoregolazione e di registrare
i feedback, a rappresentare un diverso tipo di ordine, basato non piu`
su una concezione centripeta del potere, ma piuttosto sullidea di
checks and balances (49).
La differenza tra le due concezioni del potere e dellordine corre
sulle gambe di uneconomia che, nel caso inglese, dopo avere
intrapreso le vie del mare, dando luogo alla cultura economica
(46) Cfr. ivi, p. 256.
(47) Si veda O. MAYR, La bilancia e lorologio. Liberta` e autorita` nel pensiero
politico dellEuropa moderna, Il Mulino, Bologna 1988, nonche la bella introduzione di
Lorenzo Ornaghi.
(48) Cit. ivi, p. 191.
(49) Ivi, p. 239 e ss.

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mercantilista, ancora incentrata su una logica di potere degli stati, si


diresse senza incertezze verso un modello di produzione e di distribuzione dei beni di tipo capitalistico. Un modello che muove da una
concezione positiva degli interessi individuali, visti come motori di
progresso e sviluppo economico. Non a caso e` lInghilterra a rivelare
per prima lantitesi tra fautori della terra e fautori del denaro (50), ossia tra ceti agrari e ceti finanziari, i primi legati ad una
concezione della proprieta` terriera trasmissibile ereditariamente, gli
altri come fautori non solo del commercio, ma soprattutto di quel
credito in cui gli altri ravvisavano una temibile fonte di corruzione (51). Se la proprieta` rispondeva allidea di un soggetto proprietario detentore di virtu` civiche, proprie di una societa` civile libera e
forte, dunque anche aperta ai commerci (52), leconomia finanziaria
si allontana dalla sponde sicure della proprieta`, per imbarcarsi non
solo nelle acque tranquille del commercio, ma ancor piu`, nelle acque
agitate delle speculazioni e di forme contrattuali esposte al rischio.
Il modello e la concezione inglese presto troveranno nella
nazione americana non solo una nuova e piu` importante patria, ma
interpreti ben piu` estremisti, fino ad alimentare lidea popolare degli
Stati Uniti quale terra della liberta` per antonomasia. Una terra che,
pur restando a lungo estranea a quel richiamo degli oceani che tanto
avevano avvertito gli inglesi, riproduce un tipo di ordine giuridico e
di governo politico il piu` vicino possibile allidea di una nave in
movimento, piuttosto che di una casa fissa al suolo: un ordine
giuridico, come suggerisce Hurst, perennemente in bilico tra di-

(50) Si veda J. G. A. POCOCK, Il momento machiavelliano. Il pensiero politico


fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Il Mulino, Bologna 1980, vol. II, La
Repubblica nel pensiero politico anglosassone, p. 556. Pocock peraltro insiste sul carattere
non netto della contrapposizione e sulle molte ambivalenze che attraversavano entrambi
i gruppi.
(51) In verita` il commercio rimase indenne da attacchi polemici, poiche entrambi
i gruppi condividevano lidea che il valore della terra fosse dipendente anche dal
commercio. Gli attacchi riguardarono piuttosto il credito, accompagnato dalla trinita`
diabolica della speculazione sui titoli, della fazione e dellesercito permanente (ivi,
p. 757).
(52) Questa prospettiva e` stata esaltata specie dalla prospettiva del repubblicanesimo, filone teorico a cui aderisce il volume di Pocock sopra citato.

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rection e drift ed in cui e` piuttosto il drift, la corrente spontanea,


a prevalere rispetto ai tentativi di direzione (53).
5. Ordini giuridici tra tradizione e rivoluzione.
Al fine di chiarire meglio limmagine di un ordine giuridico e
politico di tipo marittimo, quale ha caratterizzato la civilta` angloamericana e soprattutto quella statunitense, si procedera` per differenze rispetto allordine giuridico terrestre. Le differenze verranno rilevate facendo riferimento ad un diverso processo genetico,
da individuare nella natura piu` o meno rivoluzionaria dellordine
giuridico che fu instaurato in Europa continentale e negli Stati Uniti.
Si tratta di temi che meriterebbero una ben piu` approfondita analisi
e competenza storica. Qui si provera` solo ad avanzare schematicamente lidea che lordine giuridico instaurato in Europa continentale, rispondendo ad una esigenza di netta cesura storica rispetto al
vecchio ordine medievale, abbia avuto una natura autenticamente
rivoluzionaria. Al contrario, negli Stati Uniti, a dispetto della
cosiddetta rivoluzione americana, fu instaurato s` un nuovo ordine, ma che, nella sua novita`, conservo` piu` numerosi elementi e
dinamiche tipici del passato medievale (54).
La natura rivoluzionaria dellordine giuridico europeo-continentale puo` dirsi segnata dalla vittoria di un soggetto sociale ben
riconoscibile: quella borghesia calvinista e accumulatrice che Weber
pone allorigine del processo capitalistico (55) e che Schmitt cos`
caratterizza: la fede nella predestinazione e` il massimo grado di
autocoscienza di une lite sicura del suo rango e del suo momento
storico e` la certezza di essere salvati, e la salvezza e` alla fin fine, a
(53) Cio` che e` accaduto nel processo di crescita di questa nazione come
probabilmente in tutta la storia degli uomini e` accaduto senza piano o intento o scopo
o desiderio di cio` che era in corso. Cos` J. W. HURST, Law and Social Process in United
States History, Da Capo Press, New York 1972, p. 63.
(54) Del resto, questa era lipotesi originaria di diritto europeo, secondo la
ricostruzione storica di M. LUPOI, Alle radici del mondo giuridico europeo, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1994.
(55) Il riferimento e` a M. WEBER, Letica protestante e lo spirito del capitalismo,
Rizzoli, Milano 1991.

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dispetto di qualsiasi idea razionale, il senso decisivo di ogni storia del


mondo (56).
Luniverso giuridico dellEuropa continentale fu segnato non
solo dalla forza ma anche dallesclusivita` del modello borghese, che
a sua volta trovo` riflesso nellesclusivita` della fondazione legislativa
del diritto: si realizzo` cos` una concezione monolitica e terrestre
del potere, che trovava nellidea di sovranita` statale il proprio
monumento piu` significativo. Agli americani manco` il legislatore, il
classico gigante che quasi invariabilmente nasce con la rivoluzione e
viene investito dellautorita` di gettare le fondamenta (57). I rivoluzionari del 1776 infatti guardarono con riluttanza allidea dellaccentramento di potere implicita nel concetto di sovranita` (58) e
preferirono affidarsi ad una dinamica di decentramento e di pluralismo istituzionale, ispirati da un profondo conservatorismo. Laddove il diritto europeo restava inchiodato ad ununica prospettiva
legislativa, protesa verso il futuro, il diritto americano sceglieva un
piu` complesso spettro istituzionale, ponendosi in grado di colloquiare con il presente, pur senza rinunciare sia ad elementi tradizionalistici, sia alla ratio legislativa (59). Alla mescolanza di elementi
diversi si deve dunque anche una maggiore capacita` del diritto
americano di giocare con il passato, il presente e il futuro, dando
luogo ad una dialettica nuova, capace di conciliare le componenti
antagonistiche dello spirito europeo: il passato diventava un futuro
continuo, ed il Dio dei tradizionalisti sanzionava larroganza degli
uomini che lo sfidavano (60).
Il predominio della legislazione apparve invece assoluto nellEuropa continentale, cosicche la ratio legislativa rimase priva di contrappesi, creando una civilta` unidimensionale, anchilosata nella sua
perenne terrestrita`, apparentemente stabile su una sola base portan(56) Cfr. C. SCHMITT, Terra e mare, cit., p. 85.
(57) Cfr. L. HARTZ, La tradizione liberale in America, cit., p. 53.
(58) Come osservo` Sir W. Asheley, non essendosi il feudalesimo trapiantato nel
Nuovo Mondo, non occorreva, per stroncarlo, il polso di ferro di un potere centrale.
Cit. in L. HARTZ, La tradizione liberale in America, cit., p. 50.
(59) Ancor piu`, attraverso gli influssi del pragmatismo, il diritto americano si
sarebbe messo in grado di colloquiare con il presente. Rimando in proposito al mio
Diritto al presente, cit.
(60) Cfr. HARTZ, La tradizione liberale in America, cit., p. 56.

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te (61). Lo stile eminentemente legislativo del potere, daltra parte,


annullo` altri contrappesi, come quelli di carattere giudiziario e
aristocratico, che invece sia in Inghilterra, sia negli Stati Uniti,
continuarono a permanere, dando luogo ad una prospettiva giuridica improntata al movimento, al riequilibrio ed alla diversificazione:
una prospettiva di tipo marittimo, anziche terrestre, che non permette piu` definitivi radicamenti e fondazioni sicure, e che, come una
barca, e` destinata al movimento, tanto che limmobilita` a cui costringe la bonaccia viene percepita come innaturale e minacciosa (62). La stessa istituzione legislativa negli Stati Uniti assunse presto
tratti di irrequietezza e di instabilita` che non mancarono di impressionare Tocqueville, il quale noto` come in America lazione del
legislatore non entri mai in stasi (63). Del resto, questa irrequietezza
legislativa puo` essere legata, in America, ad almeno due fattori che
si pongono oltre la naturale instabilita` del governo democratico. In
primo luogo, una concezione open door della legislazione (64), che
pose subito lo strumento legislativo, piuttosto che come veicolo della
volonta` del sovrano, come un canale di espressione di interessi,
anche di natura particolaristica, presenti nella societa`. In secondo
luogo, una qualche prossimita` con il mandato imperativo, che la
nazione americana ha sempre mantenuto, a dispetto del formale
diniego che di esso viene fatto (65). Il mandato imperativo sup(61) Cos` P. GROSSI, Un altro modo di possedere, cit., p. 8.
(62) E` ancora J. CONRAD, specie in La linea dombra, a suggerire questa lettura
della bonaccia come infida e subdola: dalla prospettiva del mare, la bonaccia appare un
malefico incanto, una muta calma che consegna la nave al capriccio delle correnti,
privandola della sua capacita` di movimento e della sua autonomia.
(63) A. TOCQUEVILLE, La democrazia in America, Utet, Torino 1981, p. 295.
(64) Sulla concezione open door della legislazione in America, ossia esposta alle
pressioni dal basso, allinfluenza ed al gioco degli interessi, si veda J. W. HURST, Dealing
with Statutes, Columbia University Press, New York 1982. In proposito mi permetto di
rimandare altres` al mio Diritto e mercato, cit., p. 155 e ss.
(65) Ancora una volta e` Tocqueville a cogliere tempestivamente questa sfumatura
istituzionale: Si diffonde sempre piu`, negli Stati Uniti, un costume che finira` per
rendere vane le garanzie del governo rappresentativo: capita molto frequentemente che
gli elettori, nominando un deputato, gli traccino una linea di condotta e gli impongano
un certo numero di obblighi positivi da cui egli non puo` in nessun modo allontanarsi.
Tolti i tumulti, e` come se la maggioranza stessa deliberasse sulla pubblica piazza. Cfr.
ivi, p. 293.

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MARIA ROSARIA FERRARESE

pone una comunicazione istituzionale biunivoca che, a dispetto di


molte differenze, che discendono dalla pressione degli interessi e
dalla dinamica democratica, puo` ricordare quella propria degli
specchi dei principi di medievale memoria (66).
La bonaccia istituzionale e` invece alla base del progetto
dellEuropa continentale, dove la preminenza del soggetto borghese
porto` ad una completa espulsione di elementi di pluralismo istituzionale che potessero dar luogo ad una dinamica di potere basata su
meccanismi di checks and balances: qui si assiste alla rimozione tanto
di elementi di natura tradizionalistica, che di quegli elementi di
natura aristocratica che erano stati presenti nellordine precedente:
una sorta di uccisione freudiana del padre, di cui lAmerica non
ebbe bisogno (67).
Proprio lassenza di oppressione arrogante del feudalesimo
aristocratico determino` in America una conseguente assenza di
quellappassionata coscienza borghese di cui era permeato il pensiero liberale europeo e la presenza, invece che di una borghesia
sicura di se , di un ceto medio trionfante e pieno di fiducia (68).
Dunque, quella che era stata in Europa la monolitica certezza di una
borghesia trionfante, in America si sfrangia sia verso il basso che
verso lalto: in basso, nella sicurezza di un ceto medio privo di
frustrazioni, che non fu mai costretto ad assumere una coscienza di
classe (69); in alto, in un ceto aristocratico, che rinacque, specie
nellAmerica del 700, se pur privo di privilegi di nascita e capace di
mescolarsi ai riti del capitalismo in ascesa.
Del resto, la capacita` dei ceti aristocratici americani di affidarsi
alle dinamiche del capitalismo, trova unascendenza diretta nella
madrepatria inglese, dove tale capacita`, oltre ad essere un luogo
consolidato della storiografia (70), trova una celebrazione sintomatica nella figura di J. Conrad, scrittore-marinaio per eccellenza, in cui
(66) Lidea di limitatezza del potere pubblico propria delleta` medievale va
piuttosto connessa con una fondazione morale del giuridico, su cui P. PRODI, Una teoria
della giustizia, Il Mulino, Bologna 2000.
(67) Si veda L. HARTZ, La tradizione liberale in America, cit., p. 70.
(68) Cfr. ivi, pp. 57 e 58.
(69) Cfr. ivi, p. 61.
(70) Si veda L. STONE-J. C. FAWTIER STONE, Une lite aperta? LInghilterra tra 1540
e 1880, Il Mulino, Bologna 1989.

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questa mescolanza di somma ad unaltra significativa simbiosi: quella


tra lelemento aristocratico e lelemento borghese. Come` stato
notato, la sua figura assurge a simbolo di una crisi che vede
congiungersi i resti del mondo aristocratico, sopravvissuto oltre le
rivoluzioni ottocentesche, col furore dellenergia borghese coinvolta
a fondo nel demoniaco (non sempre di segno negativo) degli automatismi capitalistici, ma parzialmente illusa di poter salvare lelemento liberale che aveva consentito la sua ascesa (71). Per Conrad,
aristocratico polacco in fuga dal raggelato oceano terrestre dellimpero zarista, in cui tutti, polacchi compresi, sono ibernati, limpero
britannico, proteso sullaperto mondo dei mari rappresenta la
prospettiva del liberalismo, di uno spazio che estasia con le sue
possibilita`, di possibili conversioni e metamorfosi, sia pure al
prezzo di norme minacciate, stravolte, contestate, anzi di micronorme conviventi nello spazio in cui sta scomparendo la Norma (72).
E se in Inghilterra il passato aristocratico rivive soprattutto nella
Camera dei Lords, la presenza in America di elementi di natura
aristocratica rinuncia alle ragioni di nascita, per rispecchiare particolari qualita` delle persone: una presenza che non sfugge a Tocqueville (73), che in essa ravvisa un formidabile contrappeso al rischio di
tirannia della maggioranza: sono i legisti, secondo Tocqueville,
padroni di una scienza indispensabile, la cui conoscenza non e`
diffusa (74), che, con la loro naturale inclinazione per lordine e per
le forme, formano il solo elemento aristocratico che possa mescolarsi senza sforzo agli elementi naturali della democrazia e combinarsi in maniera felice e durevole con essi (75). La natura aristocratica e` ravvisabile soprattutto nel potere giudiziario, che serve a
correggere gli errori della democrazia (76) e specialmente in quella
Corte Suprema, che e` posta piu` in alto di ogni altro tribunale
(71) Cos` A. GRANZOTTO, in una bella introduzione a J. Conrad, Il compagno
segreto, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1975, p. 16.
(72) Le citazioni sono tratte ancora da GRANZOTTO, cit., risp. p. 18 e p. 17.
(73) A. TOCQUEVILLE, La democrazia in America, cit., p. 309 e ss.
(74) Cfr. ivi, p. 311.
(75) Cfr. ivi, p. 314.
(76) Cfr. ivi, p. 339.

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MARIA ROSARIA FERRARESE

conosciuto, sia per la natura dei suoi diritti, che per la qualita` dei
soggetti alla sua giurisdizione (77).
Insomma, il diritto negli Stati Uniti, invece di assumere una
prospettiva di terrestre stabilita`, si costituisce ad un mosso crocevia
dove gli elementi di natura democratica (presenti nella legislazione,
ma anche nelle giurie delle corti) sono istituzionalmente sfidati sia da
elementi di tradizionalismo (presenti nella Costituzione, oltre che
nel common law), sia da sponde di carattere aristocratico (presenti in
un certo carattere sapienziale dellattivita` dei giudici, nonche nella
Corte Suprema, specie attraverso la nomina a vita dei suoi componenti).
Se la proprieta` troneggia come metafora giuridica della sovranita` politica europea, il contratto appare listituto giuridico piu`
adatto a interpretare le ragioni di un ordine giuridico marittimo.
A prima vista potrebbe apparire sorprendente lapparentamento
della civilta` giuridica americana con il contratto piuttosto che con la
proprieta`: infatti, la proprieta` ha goduto di protezioni costituzionali
molto estese, s` da ingenerare talora lidea che la costruzione giuridica americana sia stata incentrata soprattutto intorno a questo
diritto economico (78). Come si e` gia` detto, se la proprieta`, intesa
quale valore duso ha avuto, in America, una significativa ed
estremistica epopea, nella lunga stagione delleconomic due process (79), essa si e` poi indirizzata sempre piu` verso il valore di
scambio, per reggere alle sfide del mercato e delleconomia finanziaria, nonche a quelle dellera dellaccesso. Come nota Hurst,
noi abbiamo rispettato i diritti di proprieta` e di contratto, ma
innanzitutto per la loro utilita` nel tenere gli affari in un atteggiamento produttivo; laddove gli uomini cercavano semplicemente di
restare aggrappati ad una posizione raggiunta, senza promettere un
(77) Cfr. ivi, p. 179. Tocqueville aggiunge: il potere dei giudici federali e`
immenso ma si tratta di un potere essenzialmente morale. Essi sono onnipotenti fino a
che il popolo acconsente a obbedire alla legge; non possono nulla quando la disprezza
(p. 180).
(78) Questa prospettiva ha trovato una significativa celebrazione in C. A. BEARD,
Interpretazione economica della Costituzione degli Stati Uniti dAmerica, Feltrinelli,
Milano 1959.
(79) Rinvio ancora al mio Diritto e mercato, cit., p. 176 e ss.

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nuovo avanzamento, noi eravamo inclini a trovare strumenti dottrinali per lasciarli indietro (80).
Limportanza del contratto, che negli Stati Uniti segna anche la
storia del diritto pubblico, realizzando un ordine politico di carattere contrattuale, secondo gli auspici di Locke, completa limmagine
di una civilta` giuridica di tipo marittimo, segnato dalla pluralita`
delle fonti e dei soggetti e dalla ininterrotta dinamica equilibratrice
che tra essi si verifica. Peraltro il contratto oggi si pone, attraverso
una continua ricerca di nuove forme e di nuovi beni, come componente principale di quella lex mercatoria che celebra fasti rinnovati
nel mondo senza confini delle grandi corporation transnazionali,
rinviando allidea di nuovi legisti, che svolgono la funzione di
legislatori privati ed invisibili.
Questo pluralismo giuridico di fonti e di prospettive, rispecchiata altres` dalla scelta federalista, che moltiplica i legislatori, ha
impedito negli Stati Uniti quella teologia politica che Schmitt vide
incarnata nel mito europeo del legislatore (81). AllAmerica, priva del
dio-legislatore, il diritto appare un universo in ricomposizione continua, che modifica ininterrottamente la sua immagine con sempre
nuovi movimenti ed increspature, come una superficie marittima.
6. Il nuovo pluralismo dellordine giuridico europeo: tra democrazia,
tradizione e aristocrazie.
Finora si e` insistito, forse anche a costo di qualche forzatura,
sulla differenza tra lordine giuridico dellEuropa continentale, che
appare segnato da una fondazione terrestre, e lordine giuridico
che e` proprio della civilta` anglo-americana, che appare segnato
piuttosto da una immagine marittima. Ma oggi, quale ordine
giuridico caratterizza lEuropa? Regge ancora il suo carattere terrestre? E come lo si deve guardare? Dal basso delle varieta` nazio(80) Cfr. J. W. HURST, Law and Social Process in United States History, cit., p. 116.
(81) C. SCHMITT, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972, dove si vede
incarnato lo spirito razionalistico nellidea che le opere costruite da piu` uomini non
sono cos` perfette come quelle a cui ha lavorato uno solo. Un solo architetto deve
costruire una casa o una citta`; le migliori costituzioni sono opera di un solo legislatore
intelligente (p. 70).

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nali, ancora largamente sussistenti, o dallalto del patrimonio costituzionale europeo (82) gia` esistente, e dei tentativi di rifondazione
costituzionale, che oggi puntano al varo di una Convenzione?
Nel considerare quanto sta avvenendo in Europa, che oggi
costituisce certamente il piu` interessante laboratorio istituzionale del
mondo, non si puo` non considerare le sue dinamiche istituzionali
alla luce del processo di globalizzazione. Questo ci pone di fronte ad
un paradosso: mentre avvicina le varie parti del mondo e mette in
moto spinte alla loro sincronizzazione, allincontro ed allarmonizzazione tra tradizioni diverse, fa apparire con maggiore evidenza
proprio quelle diversita` di tradizioni e angolazioni culturali, che nel
passato restavano sotto traccia. Alla luce di questo paradosso, il
diritto europeo va innanzitutto considerato come frutto di una
continua e contraddittoria dinamica che e` insieme tendente alla
unificazione ed armonizzazione, tanto quanto a tentativi di distinzione e diversificazione (83). Una dinamica ancor piu` interessante se
si considera che oggi, piu` che mai, lEuropa non ha confini certi e
definitivi (84): e` uno spazio aperto. Il luogo Europa e` anche unarea
un insieme di luoghi dai limiti sfuggenti (85). Questa irresolutezza spaziale dellEuropa, che oggi non e` piu` soltanto culturale,
ma anche politica, significa una ancor piu` accentuata dinamica del
gioco diversificazione-unificazione.
Ma la irresolutezza spaziale dellEuropa viene accentuata altres`
dallimpatto che sul suo continente hanno altre culture giuridiche, e
specialmente quella anglo-americana che domina nel mondo degli
affari. Sarebbe tuttavia una frettolosa approssimazione quella di
vedere le attuali istituzioni europee come un mero riflesso di tendenze americane: lEuropa sta compiendo un suo cammino giuridico
peculiare che si potrebbe collocare tra terra e mare, e forse oltre
terra e mare, per riprendere le metafore schmittiane usate in questo
scritto. Linfluenza della cultura giuridica anglo-americana, che
(82) A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Il Mulino, Bologna 2002.
(83) Largomento e` sviluppato da M. TARUFFO, Sui confini. Scritti sulla giustizia
civile, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 99 e ss.
(84) Sullidea insiste B. DE GIOVANNI, Lambigua potenza dellEuropa, Guida,
Napoli 2002, p. 19 e ss.
(85) Cfr. LEuropa. Una geografia, Comunita`, Milano 1999, p. 59. Traggo la
citazione da B. DE GIOVANNI, Lambigua potenza dellEuropa, cit.

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indubbiamente si fa sentire, rispecchia tuttavia non solo e non tanto


la potenza economica americana, ma anche e soprattutto una attitudine, che e` diventata globale, a pensare le istituzioni in maniera
economica, ossia alla luce dei costi e dei vantaggi che esse procurano, oltre che in maniera funzionale alle nuove forme di individualismo, che percorrono le nostre societa` (86): due ottiche che si
scontrano immediatamente con la grammatica normativa del nostro
tradizionale diritto.
Oggi lEuropa conosce un pluralismo di fonti giuridiche, che
sotto piu` profili ci richiama il passato medievale. Mentre la legislazione perde posizioni, ma soprattutto perde il ruolo di indiscussa
regina dello scenario giuridico e si stinge nelle forme attenuate del
soft law, nuove fonti, che erano state bandite dalla cultura giuspositivista e dalla sua teologia politica, riacquistano nuovo vigore
e protagonismo. Il contratto, ergendosi a modulo giuridico a misura
delle esigenze di sempre nuovi incontri del mondo globale, supera i
confini delle relazioni private, dove svolge un ruolo di grande rilievo,
e suggerisce un nuovo stile di formazione e formulazione del diritto
pubblico, anche in settori di particolare solennita`, come il diritto
costituzionale ed amministrativo (87). Persino usi e costumi ritrovano
un proprio ruolo nel mondo giuridico, diventando non solo adattatori di moduli giuridici troppo astratti e generali a contesti particolari e specifici (88), ma anche strumenti di efficienza economica,
perche fanno risparmiare i costi di nuove artificiali attrezzature
istituzionali. Infine, le istituzioni giudiziarie, o a postura giurisdizionale (come le Autorita` indipendenti o i grandi arbitri privati
delle controversie transnazionali), riacquistano ruolo di primo piano
come fonte, dando luogo ad un diritto pretorio capace di incarnare
nuovi ideali di giustizia a misura sovranazionale e transnazionale.
Ora, non e` difficile vedere dietro queste nuove fonti, un mondo
giuridico che si ricompone secondo linee che non rispecchiano piu`
criteri solo democratici, rispondenti alla volonta` legislativa legitti(86) Ho ricostruito queste due nuove maniere di pensare le istituzioni in Diritto al
presente, cit., pp. 53 e ss.
(87) Si veda S. CASSESE, La crisi dello stato, Laterza, Roma-Bari 2002.
(88) Sul ritorno di usi e costumi in ambito commerciale, si veda F. GALGANO, Lex
mercatoria, Il Mulino, Bologna 2001.

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mata elettoralmente. Accanto a fonti di natura rappresentativa, sono


riconoscibili fonti di natura privata, tradizionalistica, e persino
aristocratica. Il nuovo omaggio tributato a costumi, usi e tradizioni, che, in modo diverso e per diverse ragioni, riacquistano
protagonismo, nel rispecchiare criteri di natura tradizionalistica,
permette anche di compensare il senso di estraniazione che deriva da
un mondo che va perdendo la cultura dei confini. Ma specialmente
visibili sono i tratti di natura aristocratica di alcuni soggetti
istituzionali che oggi movimentano il quadro giuridico europeo,
come alcune corti o figure di giudici, e che non rispondono piu` a
criteri di schietta natura democratica (89). Si pensi alle Autorita`
indipendenti, affidate a personalita` di alto profilo, che svolgono
funzioni di garanzia, e dunque di controbilanciamento dei poteri
democratici, in virtu` di un carattere aristocratico loro riconosciuto.
Altrettanto si avverte un certo carattere aristocratico in alcune
istituzioni giudiziarie internazionali e sovranazionali: specie la Corte
europea di giustizia, che ha svolto un ruolo decisivo per la costituzionalizzazione dellordine giuridico europeo (90), sembra aver ricoperto un ruolo del genere: ponendosi alla guida di un processo di
costruzione di un nuovo catalogo di diritti, non necessariamente
coperti dalla protezione legislativa degli stati, essa ha corrisposto a
fini di giustizia, piu` che a fini di legalita`, ponendosi come nuova
fonte di diritto processuale e sostanziale.
La Corte europea ha reso particolarmente visibile in Europa la
tendenza alla giurisdizionalizzazione del diritto, che rappresenta un
rovesciamento dellottica tradizionale europea, che si puo` cos` riassumere: non il diritto come fonte della giustizia, ma piuttosto la
giustizia come fonte di un diritto che, pertanto, non e` piu` necessariamente rigido e definito, ma che si presta a continue revisioni e
correzioni, attraverso dinamiche di tipo giudiziale.
Quanto e` avvenuto e sta avvenendo in Europa si puo` vedere
tuttavia non solo come una conferma di quel processo di giuri(89) Del resto, la stessa avventura unitaria dellEuropa, come ha osservato Padoa
Schioppa, fu inaugurata dal dispotismo illuminato di alcuni statisti europei, senza il
quale non avrebbe mai avuto avvio. Si veda T. PADOA SCHIOPPA, Europa, forza gentile, Il
Mulino, Bologna 2001, p. 21.
(90) A. SWEET STONE, Governing with Judges. Constitutional Politics in Europe,
Oxford University Press, Oxford 2000.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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sdizionalizzazione del diritto, che sta avvenendo nellintero mondo,


ma anche come parziale eccezione. Mentre lEuropa partecipa a
quella una nuova cordata transnazionale di giudici, corti e sentenze,
che sviluppa un dialogo di costituzionalismo sempre piu` esteso ed
aperto alle corti di tutto il mondo (91), sganciato da logiche e
procedure democratiche, essa tende anche a costituire una eccezione, tornando a proporre il momento della scrittura costituzionale (92) Proprio quando le tradizionali costituzioni scritte, pur
continuando ad esistere, sono sempre piu` sfidate da una realta`
costituzionale complessa, in cui si sommano e si integrano, ma anche
si scontrano e si elidono, spinte diverse, dovute non necessariamente
a testi costituzionali, di natura sovranazionale o internazionale, ma
anche a fatti costituzionali sempre piu` produttivi di effetti, limpresa di una costituzione scritta appare ardita (93). E` come se, con
una Costituzione scritta, lEuropa, oltre a voler dare un testo
unificato al proprio territorio, volesse proporre il proprio progetto
costituzionale al mondo intero, ponendosi come un faro giuridico,
con le proprie specificita` ed i propri punti irrinunciabili (94), al
crocevia della comunicazione costituzionale, che percorre il mondo
intero. E tuttavia, nonostante la scrittura, neanche il diritto costituzionale europeo puo` sottrarsi alla curvatura sempre piu` giurisdizionale, resa necessaria da un mondo di relazioni globali che
sembrano riproporre la foggia antica di una cultura dominata dalla
questione della giustizia e quindi dalle discipline che della giustizia
si occupavano, cioe`, insieme al diritto, la teologia, e in generale delle
discipline della filosofia pratica aristotelica: letica, leconomia e la
politica (95).
(91) M. SLAUGHTER, Judicial Globalization, in Virginia Journal of International
Law, vol. 40 (2000).
(92) C. PINELLI, Il momento della scrittura. Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Il Mulino, Bologna 2002.
(93) Ho fatto ripetutamente riferimento a questo cambiamento in Il diritto al
presente, cit., specie p. 110 e ss.
(94) Si pensi ad esempio al divieto della pena di morte, che in Europa appare
quasi superfluo, ma che vuole segnalare quasi una contrapposizione costituzionale
rispetto alla cultura giuridica americana.
(95) A. DE BENEDICTIS, Politica, governo e istituzioni nellEuropa moderna, cit.,
p. 244.

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Il diritto, anche in Europa, si avvia ad essere meno solitario ed


autosussistente di quanto non sia stato nel sogno del progetto
illuminista e nella sua realizzazione giuspositivista: rinuncia in buona
parte alle vesti di una scienza autoreferenziale, e, mescolandosi ad
altre scienze e ad altri linguaggi, si presta di piu` a rispecchiare
specifici tessuti sociali e peculiari esigenze spaziali e temporali. Esso
rinuncia altres` alla fissita` della misura statale, assumendo riferimenti
e misure piu` ampi: se la legge continua a sussistere e ad amplificarsi
negli stati, nellUnione proliferano non solo varie espressioni di soft
law, ma anche contratti, usi e costumi giuridici, nonche risoluzioni
giudiziarie o para-giudiziarie, per dare risposta a bisogni giuridici
sempre piu` differenziati e mutevoli. Lo scenario giuridico europeo
mescola in forme nuove, ed in un equilibrio ancora incompiuto, la
dimensione terrestre della stabilita` e quella marittima del movimento.
Ma sarebbe erroneo vedere nel protagonismo del diritto giudiziario, che oggi campeggia anche in Europa, sia una mera riproposizione della cultura giuridica medievale, sia un puro effetto della
cultura americana del judge-made law. Non ci ritroviamo di fronte
ad un nuovo medioevo, perche la ratio temporale dellattuale diritto
europeo e` rivolta soprattutto verso il presente e le sue mutevoli
esigenze e non piu` soprattutto verso il passato coagulato in una
storia (96). Non ci troviamo di fronte ad una mera americanizzazione del diritto europeo, perche il giudiziario, in Europa, non
assume un ruolo erculeo, non ha il compito di sorreggere tutte le
altre istituzioni giuridiche, come tende a fare nella realta` nordamericana: pur diventando una istituzione sempre piu` paradigmatica, essa risponde piuttosto al modello Mercurio, un modello che
rispecchia esigenze di movimento e comunicazione tra le varie
istanze giuridiche (97).
Il nuovo diritto europeo si pone, per cos` dire, tra terra e mare,
ed integra in forme nuove la dimensione spaziale fissa della terra ed
il movimento continuo della nave. Come Schmitt aveva lucidamente
(96) Per maggiori riferimenti su questa differenza di ratio temporale, rimando a Il
diritto al presente, cit.
(97) Rimando ancora a Il diritto al presente, cit., specie p. 197 e ss.

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intravisto, assistiamo alla fine del rapporto tra terra e mare invalso
finora: un nuovo senso sta lottando per il suo ordinamento. Non
vi e` dubbio che il vecchio nomos stia venendo meno, e con esso un
intero sistema di misure, di norme e di rapporti tramandati (98).

(98)

C. SCHMITT, Terra e mare, cit., p. 110.

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PAOLO GROSSI

UNITA
v GIURIDICA EUROPEA:
UN MEDIOEVO PROSSIMO FUTURO?
1. Maturita` di tempi e illusioni continuistiche. 2. Lesilio del medioevo giuridico
durante il moderno. Riscoperte novecentesche. 3. La maturita` di tempi medievale.
4. Messaggi fruttuosi.

1.

Maturita` di tempi e illusioni continuistiche.

Quando lamico Pietro Costa mi ha invitato a collaborare a


questo Quaderno monografico assegnandomi il tema indicato nella
intitolazione di queste mie pagine, sono stato lusingato e imbarazzato. Lusingato, perche mi premeva (come mi preme) di essere
presente solidale ed entusiasta in questo primo Quaderno
diretto e organizzato da Costa; imbarazzato, pero`, per via del tema
proposto alle mie riflessioni, tema di cui avvertivo (come avverto)
lambiguita`, in cui vero e falso, realta` e parvenza, venivano a
mescolarsi rischiosamente.
E` che io sono sempre stato (come sono) un inguaribile insofferente a soluzioni continuistiche nella analisi storiografica, sia che
percepiscano il divenire come un progresso incessante, sia che
concepiscano la linea storica dominata da alcuni modelli insuperabili
e pertanto trapiantabili tranquillamente nelloggi, come se il tempo
non fosse trascorso ad accumulare le sue inevitabili sedimentazioni,
modificazioni, trasformazioni.
La prima soluzione non ci interessa in questa sede, ne sembra
comunque offrire troppi rischi culturali, per la piu` che semplice
ragione che nessuno metodologicamente appena un po provveduto si sentirebbe di tornare a danzare oggi il ballo Excelsior
come i nostri candidi antenati di cento anni addietro.
La seconda soluzione, invece, e` rischiosissima, perche la ve-

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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diamo concretamente affacciarsi proprio nellattuale dibattito europeo, con un rigurgito che le iniezioni storicistiche del passato
potevano farci falsamente ritenere esorcizzate per sempre. E` percio`
opportuno che si svolga qualche considerazione generale prima di
calare al nostro specifico oggetto, per liberare il passo da pesanti
ingombri capaci di viziare imperdonabilmente lapproccio metodologico.
Il modello, come strumento comparativo caricato di intrinseca
assolutezza e tale da annullare o almeno attenuare la effettivita` della
comparazione instaurata, e` un arnese inadatto sia per lo storico che
per il comparatista, perche implica sempre uno scarso rispetto sia
per il passato, sia per il presente, sia per il futuro.
La pretesa di proiettare sulloggi modelli passati e` un gesto di
suprema presunzione da parte di chi dovrebbe, al contrario, esercitare la virtu` somma dellumilta`. Umilta` di rispettare il distendersi
della storia nella sua misteriosa sequela di tante maturita` di tempi,
umilta` di rinunciare a costruire immodesti ingabbiamenti che non
possono che sacrificare e immiserire il mistero ma anche la ricchezza
della storia; mistero insondabile certo ma che e` anche ricchezza esuberante e incoercibile.
Si tratta pur sempre di ingabbiamenti quando si vuol fissare
modelli positivi in rapporto ai quali misurare la varieta` espressiva
delle diverse epoche ed esperienze, e pertanto modelli immobilizzanti. Perche non arrestarci alla elementare verita` che il corpo
sociale e` realta` in continuo divenire, in una crescita continua ma non
segnata da scansioni, sviluppi, itinerarii predeterminabili? Il modello
non puo` non porsi per quel corpo che come un vestito troppo stretto
o troppo ampio, comunque goffo e non conveniente a esprimerne
tutte le capacita` e a soddisfarne tutte le esigenze, anzi probabilmente
coartante. Si pensi a come sia stato pesantemente condizionante
nella storia della cultura il riferimento ricorrente allarchetipo del
classico, e nella storia del diritto al romano grossolanamente
inteso come modello archetipico.
La linea storica soprattutto quando si tratta di una lunga,
lunghissima linea va interpretata non come un forziere di modelli
da trapiantare nelloggi e a cui ispirare lazione delloggi; una linea
che, in mano dello storico, non solo non diminuisce il suo rispetto e
la sua disponibilita` piena verso il passato e il presente, ma che

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PAOLO GROSSI

significa soltanto ricchezza e consapevolezza per i suoi occhi. Una


linea discontinua fatta di tante maturita` di tempi, ciascuna delle
quali capace di offrire un messaggio meritevole di essere ascoltato.
Non modelli carichi necessariamente di assolutezza, ma qualcosa
di ben diverso: momenti dialettici da porre in contatto e collegamento
con il patrimonio di cui siamo portatori. Momenti dialettici che vogliono semplicemente, nella relativita` del loro messaggio, rendere piu`
complessa e pertanto piu` ricca la coscienza del giurista di oggi. Il
passato non serba archetipi trapiantabili, giacche nella storia dei corpi
sociali i rigetti sono assai piu` violenti che nei corpi fisici. Il passato
serba la testimonianza di una vita interamente vissuta, espre`ssasi e
matura`tasi in tutta la sua compiutezza, e percio` meritevole di essere
raffrontata con quel moncone incompiuto di vita che noi stiamo vivendo nel nostro presente. Per di piu`, diverse, tante maturita`, ciascuna
con un volto tipico, ciascuna con soluzioni sue proprie e che nel loro
insieme non possono che affinare lo sguardo critico di chi le contempla
disponibilmente. Se lo sguardo e` attento, si irrobustisce lo stesso progetto per la costruzione del futuro.
In altre parole, il nostro presente noi non possiamo che edificarlo in base alle nostre esigenze, grazie alle nostre forze, tenendo
dietro ai nostri valori, cioe` rispettando la maturita` del nostro tempo.
Solo che questa ha un difetto grave ai nostri occhi miopi; e` la
maturita` che stiamo vivendo e che ci e` pertanto difficile oggettivare
criticamente anche per la sua incompiutezza. Lacqua in cui siamo
immersi se ci e` permessa una immagine e` ancora smossa dalla
nostra presenza viva e convulsa, e tardera` a chiarificarsi. Occorrono
dei puntelli, occorrono dei momenti da porre dialetticamente in
approccio, e momenti piu` riposati, che la storia si e` dato cura di
decantare e consolidare. Pero` solo momenti comparativi, non da
imitare fedelmente o da tradurre passivamente, bens` contributi alla
nostra riflessione critica e pertanto contributi alla nostra autonomia
di costruttori della nostra maturita`.
Chiudevo un mio intervento di qualche anno fa in seno a un
provvido Incontro internazionale dedicato al tema scottante della
virulentissima neo-pandettistica di fine Novecento (1), sottolineando
(1) Mi riferisco allIncontro internazionale organizzato in Ascona da Pio Caroni e
Gerhard Dilcher nellaprile 1996. Il mio intervento: Modelli storici e progetti attuali nella

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a chiare lettere il monito dellantica sapienza: omnia tempus habent, ogni cosa ha il suo tempo (2). Quel monito vorrei oggi
riprendere come precetto di elementare buonsenso, prima ancora
che come guida epistemologica.
Malgrado tutto quel che ora si e` detto, il modello riaffiora
sempre, e sempre protagonisti sono la sprovvedutezza culturale,
lingenuita`, la pigrizia del giurista. Lesempio piu` lampante e` quella
ohime` convinta! riaffermazione di un usus hodiernus Pandectarum quale fondamento sicuro dellunita` giuridica europea di
oggi e di domani, riaffermazione tanto virulenta quanto insensata.
Ma un altro esempio e` certamente dato dallaffiorare sparso ma
preciso di un medioevo giuridico prossimo futuro, con un modello
medievale riesumato a bella posta e appiccicato forzosamente alla
realta` cosmopolitica che stiamo costruendo.
Discorso ambiguo come dicevamo allinizio , perche portatore congiuntamente di falso e di vero, e pertanto rischiosissimo.
Al solito, il rischio maggiore e` dato dalla pigrizia dellodierno
giurista, che puo` trovare comodo ripararsi allombra di un modello
prefabbricato. Qui giova sicuramente lintervento dello storico del
diritto proprio nella veste che gli e` piu` congeniale (anche se troppo
spesso abbandonata) di coscienza critica del cultore del diritto
positivo. Cosciente della complessita` della linea lunga della storia,
cosciente quale nessun altro che questa linea e` impastata di passato,
di presente e di futuro, egli e` per sua indole un relativizzatore
e un demitizzatore. In questa veste e` il miglior compagno di corsa
per il giurista, giacche , richiamandolo a visioni culturalmente piu`
appaganti, gli puo` impedire di operare scelte avventate e di costruire
un futuro senza reali fondamenti.
Per il nostro oggetto, lufficio dello storico non e` facile, e nasce
da questo il dichiarato imbarazzo nellaccettare il co mpito generosamente offertomi da Costa. Non e` facile. Non ve` dubbio che tra
soluzioni medievali e soluzioni delloggi e dellimmediato domani
assonanze ci siano. Io credo che non possiamo restarne appagati e
formazione di un futuro diritto europeo, puo` leggersi, oltre che negli atti dellIncontro,
anche in Rivista di diritto civile, XLII (1996), parte prima (la citazione fatta nel testo
e` a p. 286).
(2) Qoe`let (Ecclesiastes), 3, 1.

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parlare come si fa di un medioevo prossimo futuro. Io credo


che si debba evitare il rischio di cadere in un suadente ricorso
modellistico. Ma credo anche che sia opportuno e fertile riflettere
sui messaggi che da quella esperienza interamente vissuta e compiuta possono provenirci.
Una maturita` di tempi storici (il medioevo) lo si diceva
allinizio quale momento dialettico per la nostra maturita` temporale. Se si riuscisse nellintento, il profitto culturale non sarebbe
poco. Ma ripeto lufficio nostro non e` facile.
2.

Lesilio del medioevo giuridico durante il moderno. Riscoperte


novecentesche.

Non ve` dubbio che il moderno si e` costruito e strutturato


come rifiuto del medievale: un momento di regresso storico da
dispregiare in ogni aspetto e relegare tra le soffitte non edificanti
della storia. Allinterno di quella civilta`, ovviamente, anche il diritto
che ne era espressione fedele. A differenza del diritto romano, che
lindividualismo umanistico riesuma; che riesuma sforzandosi di
restituirlo in tutta la sua purezza di messaggio per le sintonie
ideologiche riscontrate; che diventa pertanto nervatura portante del
moderno, sia pure nelle variazioni dellusus modernus Pandectarum
e della Pandettistica tedesca, il diritto medievale si vide condannato
senza appello.
Era un rifiuto basato su buone ragioni. Il moderno si affermava come rifondazione della societa` su valori diversi, anzi opposti
a quelli convintamente vissuti dalleta` precedente.
La` si era creduto intensamente in una societa` di societa`, valorizzando ogni aggregazione comunitaria, tanto da impedire od ostacolare per tutta la sua durata la realizzazione duna conversione della
societa` in quella entita` unitaria che sara`, poi, lo Stato. Il medioevo e`,
pertanto, caratterialmente una societa` senza Stato, e il diritto che
ha come referente la societa` puo` ben dirsi un diritto senza
Stato (3).
(3) E` la tesi che fa da supporto alla nostra ricostruzione tentata nel volume:
Lordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari 20029. Osservazioni puntuali e altres`
una puntuale fondazione teorica sono offerte nel nostro saggio specificamente dedicato

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La` si era vissuto la assoluta fusione tra dimensione religiosa e


dimensione politico-economico-sociale, tra metafisica e storia, tanto
da farci apparire una terrestrita` che ha per tetto il cielo.
Il moderno puntava, al contrario su una pervicace opera di
individualizzazione: rifiuto e dispregio della nebulosa comunitaria,
ma realizzazione di una individualita` politica compatta e valorizzazione del singolo individuo. Per di piu`, imboccata la strada di una
decisa secolarizzazione, si tese a liberarsi di tutti i condizionamenti
piovuti dallalto; fra questi, primi, quei moralismi che avevano
sacrificato la vita economica medievale e che apparivano repellenti
allembrionale ma progrediente capitalismo.
Il moderno e`, insomma, una sorta di zona vuota dove di
medioevo meno si parla meglio si fa. Lesempio piu` clamoroso nel
campo del diritto riguarda la persona giuridica. Perno della civilta`
giuridica medievale, perno della struttura della Chiesa Romana che
non lha solo applicata quotidianamente ma raffinatamente teorizzata, perno aggiungiamo ineliminabile di ogni societa` complessa, eppure per quel lezzo di medievale e di chiesastico che
evocava sub` il piu` letale esorcismo: quello del silenzio. Infatti, se il
legislatore rivoluzionario sul piano politico spazzava dun
colpo le strade di Francia da ogni ingombro corporativo, il Codice
napoleonico sul piano giuridico si limitava a non farne parola
come se si trattasse di un istituto tibetano ignoto allesperienza
francese.
NellOttocento italiano parve sicuramente ben strano se non
ereticale la voce di un civilista culturalmente singolarissimo, Vincenzo Simoncelli, il quale, non pago delle dommatiche del diritto
romano attuale, in un momento di persistente sordita` verso i valori
sociali e soprattutto verso la perturbante dimensione sociale del
lavoro, si immerse con gusto nei cartarii altomedievali dissepolti e
appena pubblicati da una storiografia eruditissima, sottolineando
alla attenzione dei giuristi alcuni contratti agrarii consuetudinarii nel
tessuto dei quali il lavoro diventava horribile dictu per la quieta
a: Un diritto senza Stato - La nozione di autonomia come fondamento della costituzione
giuridica medievale (1996), ora in Assolutismo giuridico e diritto privato, Giuffre`, Milano
1998, nonche , in lingua tedesca, in Staat, Politik, Verwaltung in Europa - Geda chtnisschrift fu r Roman Schnur, Duncker u. Humblot, Berlin 1997.

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societa` borghese addirittura un modo dacquisto della proprieta` (4); Simoncelli vi aggiunse una attenzione tutta nuova per lenfiteusi, altra creatura giuridica esorcizzata da un silenzio prevalente a
causa dello sdoppiamento del dominio che provocava (5). Meno
ereticale dovette invece sembrare lo zelo di Cesare Vivante per i
primordii medievali del contratto di assicurazione (6), giacche ai
commercialisti personaggi coltivatori, agli occhi sdegnosi dei
civilisti, di una scienza empirica e tecnicamente grossolana era
consentito di allontanarsi dalle purezze di Gaio e del Codice civile.
Dalle pagine civilistiche di Simoncelli scatur` tuttavia, sia pure con
parecchie ingenuita`, un elogio sincero del medioevo giuridico; ma si
tratto` di voce abbastanza solitaria.
I riferimenti medievali si infittiscono durante il Novecento,
quando le ferme certezze delleta` borghese divengono instabili,
quando i due pilastri dellordine giuridico, lo Stato e lindividuo,
subiscono incrinature in una societa` sempre piu` di massa e sempre
piu` sollecitatrice di una sgradevolissima dimensione collettiva,quando il rigido individualismo proprietario e` costretto a concessioni per il montare delle lotte sociali.
Ve` chi, come il giovane Panunzio, non ha esitazione a richiamare il modello medievale per legittimare la presenza tutta nuova dei
sindacati (7), posizione macroscopicamente ingenua e antistorica che
viene severamente respinta innanzi tutto proprio da storici del
diritto. Ma vi sono giuristi che, deposte senza un rimpianto le
vecchie repulsioni, hanno un atteggiamento culturalmente provveduto e corretto che fa del medioevo ne una bottega da rigattiere ne
un paradiso di modelli, bens` un forziere di messaggi storici.
Santi Romano vi sorprendera` tracce consistenti di pluralismo
(4) Il principio del lavoro come elemento di sviluppo di alcuni istituti giuridici
(1888), ora in V. SIMONCELLI, Scritti giuridici, vol. I, Soc. Ed. del Foro Italiano, Roma
1938.
(5) Nei tardi anni Ottanta vi dedico` parecchie ricerche, oggi tutte ricomprese
sotto la dizione Studi sullenfiteusi nei sopracitati Scritti giuridici, vol. I.
(6) Si vedano i tre volumi che il Vivante pubblica su Il contratto di assicurazione,
Hoepli, Milano 1885-1887-1890.
(7) S. PANUNZIO, Sindacalismo e medio evo (Politica contemporanea), Casa Ed.
Partenopea, Napoli s.d. (ma 1911).

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giuridico (8) e il grande sistematore italiano della teoria della persona


giuridica, il civilista Francesco Ferrara, mettera` a frutto la lezione
medievale in una cospicua parte storica del suo volume (9). Per le
nuove teorie dellapparenza e del possesso, a Venezian (10) e al suo
allievo Finzi (11) sembreranno preziosi gli ammonimenti provenienti
dallo schema addirittura hochmittelalterlich della Gewere, e lo
stesso Finzi, rifondatore negli anni Venti e Trenta di una teoria non
piu` solo soggettivistica della proprieta` (12), attingera` alle spregiudicate intuizioni dei medievali che erano arrivati alla geminazione del
dominio. Non solo. Quando, negli anni Venti sempre del Novecento, ritenute insoddisfacenti le architetture astratte del diritto
civile, si guarda piu` da vicino ai fatti economici e in nome di essi si
comincia a costruire un diritto della produzione agraria, un diritto
agrario, si ritiene necessario di allungare lo sguardo oltre i limiti
delleta` borghese (13).
E` questa soltanto una esemplificazione parzialissima, perche il
secolo XX e` ricco di indicazioni in proposito.
Ma vi fu un contributo non secondario anche degli stessi storici
del diritto. Il medio evo era stato sempre studiato dai tempi di
Pertile in poi; anzi, non si era studiato che quello; anzi, si era
studiato specialmente il suo momento piu` remoto. E` che, sul fondamento delle sue premesse positivistiche, quella storiografia giuridica aveva ficcato ben a fondo il suo sguardo nei documenti della
prassi, e, invasata dal sacro fuoco di una concretezza positiva, si era
data a ricerche minuziose, eruditissime, il piu` delle volte localmente
(8 )
( 9)

S. ROMANO, Lordinamento giuridico, Sansoni, Firenze 19462.


F. FERRARA, Teoria delle persone giuridiche, Marghieri-Ute, Napoli-Torino

1915.
(10) G. VENEZIAN, La tutela dellaspettativa (1900), ora in Opere giuridiche, vol. II,
Athenaeum, Roma 1930.
(11) E. FINZI, Il possesso dei diritti (1915), Giuffre`, Milano 1968.
(12) E. FINZI, Le moderne trasformazioni del diritto di proprieta`, in Archivio
giuridico, LXXXIX (1923); Diritto di proprieta` e disciplina della produzione, in Atti del
Primo Congresso Nazionale di Diritto Agrario, Accademia dei Georgofili, Firenze 1936.
(13) Giangastone Bolla, il massimo sollecitatore in questa direzione, si dedica lui
stesso a ricerche medievistiche, colloquia con gli storici del diritto medievale, apre la sua
Rivista di diritto agrario a contributi medievistici e fonda negli anni Trenta lo Archivio
Vittorio Scialoja per le consuetudini giuridiche agrarie e le tradizioni popolari italiane,
dove si da` un ruolo giustamente protagonistico a fonti medievali e a scrittori medievalisti.

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determinate. Il colloquio con i giuristi di diritto positivo era sostanzialmente mancato, fatta salva qualche rara eccezione. Fu un grande
merito di Francesco Calasso, uno storico che aveva profondamente
avvertito la lezione dellidealismo, di spostare lattenzione sul secondo medioevo, sul medioevo sapienziale, su una grande maturita`
di scienza giuridica. I risultati positivi furono parecchi; uno di questi
e`, a mio avviso, la ripresa di un colloquio, e, con la ripresa, una
maggiore familiarita` di civilisti e pubblicisti con la civilta` giuridica
artificiosamente rimossa e minimizzata (14).
Oggi, questa familiarita` si e` addirittura trasformata in un attingimento ripetuto. Lo storico dovrebbe essere ricolmo di soddisfazione, soprattutto uno come me che non ha mai mancato di valorizzare quella rilevante esperienza giuridica e di ritenerne doveroso
(e fruttuoso) lo studio.
Il problema e` pero` di indole squisitamente culturale: ben vengano questi riferimenti, non e` certo un cattivo segno. Ma una
domanda si impone: sono frutto di analogizzazioni frettolose, di
entusiasmi infondati? Nascono da una conoscenza reale di quello
che il medioevo fu? E fino a che punto si spinge il riferimento? Si
ricade, forse, in quella modellistica che si deprecava allinizio?
Lesempio del buon Panunzio, che vedeva bonta` sua un
medioevo rigoglioso di sindacati e di sindacalismo autentico e` l`
proprio ad ammonirci e a impedirci di fare scelte criticamente
incaute, inaccettabili culturalmente e fonti soltanto di equivoci
grossolani. E il futuro resta totalmente da costruire. Cerchiamo,
pertanto, di far chiarezza o di tentar di farla.
3. La maturita` di tempi medievale.
Il medioevo giuridico fu creatura storica originale, perche fu
costruzione lentissima di una prassi investita del co mpito di edificare
(14) Si veda il colloquio di Calasso con Santi Romano, di cui e` evidente testimonianza il volume scientifico-didattico Gli ordinamenti giuridici del rinascimento medievale, Giuffre`, Milano 1948; o quello piu` tardo dello stesso Calasso con i civilisti in tema
di negozio giuridico (Il negozio giuridico, Giuffre`, Milano 1959), in un libro che ha molte
debolezze ma che segnala una sincera istanza colloquiale; o il colloquio con Calasso del
civilista SALVATORE ROMANO, Ordinamenti giuridici privati (1955), ora in Scritti minori,
vol. I, Giuffre`, Milano 1980.

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dopo il crollo della civilta` romana. Fu creatura originale proprio


perche il crollo della civilta` giuridica precedente costrinse quella
prassi a lavorare su due vuoti un vuoto politico e un vuoto
culturale riscoprendo forze e valori che non traevano autorita` da
modelli gia` sperimentati.
Forze e valori furono reperiti nellesperienza quotidiana, sparsamente, empiricamente, facendo emergere giorno dopo giorno
nella lunghissima durata un costume giuridico che la nuova civilta`
ebbe modo di consolidare e definire in quasi mille anni di vita;
giacche in un millennio si distese quella grande maturita` storica che
la retorica velenosa del futuro umanesimo avrebbe chiamato riduttivamente media aetas. Il canone vincente non fu la validita`, ossia la
corrispondenza a un modello autorevole, bens` la effettivita`, ossia la
forza interiore che certi fatti recavano in se incidendo sulla vicenda
storica senza ricorsi a sussidii esterni (15).
Il medioevo fu originale perche fu fattuale: i fatti nascono nel
particolare e del particolare si impregnano, trovando in esso la loro
cifra; voce che viene dal basso, il fatto non ha la capacita` di tradire
la domanda storica eludendola o mistificandola con dei modelli.
Questo e`, per esempio, avvenuto nel tempo medievale in relazione a
quel modello forte che e` il romano: se lo vedremo talora riaffiorare,
se dopo il secolo XI, divenuta ormai la nostra una civilta`
sapienziale constatiamo un gremio di giuristi chiamarsi glossatori
e commentatori e fare i conti con testi romani, fu un mantello
formale di autorevolezza che essi si misero addosso, ma non fu mai
tradimento delle aspettative a loro contemporanee, restando quei
giuristi piu` interpreti dei fatti di costume circolanti che del lontano
frammento del Digesto.
Civilta` di prassi, tanto fattuale che noi non abbiamo esitato a
qualificare come primitivo il suo momento iniziale, primitivo in un
significato squisitamente antropologico: civilta` dove i soggetti subiscono la imponenza dei fatti, si mescolano con essi fino a essere

(15) Per maggiori chiarimenti non posso che rimandare al mio libro Lordine
giuridico medievale, cit., dove a intelaiatura della analisi storiografica si utilizza la
dialettica validita`/effettivita` (si veda soprattutto p. 56 ss.).

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incapaci di oggettivarli (16). Qualificarla primitiva almeno nella


sua genesi significa coglierla nascente in una incandescenza
socio-economica, senza ipoteche, senza eteronomie.
Sta qui la motivazione della nostra insistenza sulla fattualita` ai
fini del discorso che stiamo facendo. Ci permette di cogliere la
originalita` della civilta` medievale, che certamente non nasce dal
nulla perche la storia e` sempre una concatenazione, ma che certamente e` un anello munito di una sostanziale autonomia. Da qui
loriginalita` anche del processo di costruzione del diritto medievale,
dalla indole sostanzialmente consuetudinaria. La fattualita` impone
questa scelta, giacche la consuetudine e` soltanto un fatto osservato e
ripetuto, striscia per terra e di terra si impregna, registrando in
assoluta liberta` i bisogni emergenti e corrisponde`ndovi.
Fattualita` significa, dunque, che non ce` un potere centrale e
centralizzante forte, intenzionato e capace di controllare i fatti
riconduce`ndoli a modelli imperativi generali. Significa che il diritto
medievale ha una sua irripetibile storicita`: e` un diritto che si adagia
sui fatti, che percepisce e segue le forze storiche e le loro domande,
restando nella terrestrita` bassa dove quelle forze vivono e segnalano
bisogni. E` allinsegna del particolarismo piu` esasperato ma anche di
un sostanziale pluralismo.
Il pluralismo giuridico. Ecco il punto. Non e` una concessione
dello Stato (che non ce`), ma lassestamento spontaneo della dimensione giuridica di una civilta` che vive autonomamente e con autonomia si realizza. Medioevo giuridico significa appunto una coscienza collettiva che genera forme giuridiche plastiche, dalla intensa
storicita`, che individua il diritto come sua espressione riconduce`ndolo alla globalita` e complessita` della societa` e non di una cristallizzazione politica ingombrante, o di un apparato forte di potere. In
un mondo politico-giuridico senza burattinai invadenti il pluralismo
e` nelle cose. Non una fonte unica di produzione che impone canoni
sui quali misurare la giuridicita`, ma pluralita` di fonti, convivenza di
fonti e di diritti: non a caso Santi Romano guardava al medioevo
come a un laboratorio di ordinamenti giuridici conviventi e covigenti.
(16) Su questa qualificazione primitivistica del proto-medioevo mi sia consentito
di rinviare ancora a Lordine giuridico medievale, cit., p. 61 ss.

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Questo spiega anche perche , nel mondo giuridico medievale, si


stemperi assai quella distinzione su cui il mondo moderno si e`
strutturato: pubblico e privato come realta` separate e che debbono
restar separate; con il risultato sclerotizzante di riservare al pubblico la misura della giuridicita`, di fare del principio di validita` il vero
fondamento di una sorta di Grundnorm non scritta ma imperiosa.
Nel mondo medievale e` invece una continua interconnessione di
fonti, ciascuna rappresentante una dimensione specifica della societa`. E` la Chiesa che produce regole nel proprio ordine, o e` il ceto
feudale, o quello mercantile, senza che luna dimensione misuri
sullaltra il proprio grado di giuridicita`. Diritto plurale, espressione
di una realta` plurale, plurale e sfaccettatissima: la societa`.
Assumiamo un esempio oggi corrente. Oggi, infatti, si parla
frequentemente, anche da chi e` immerso nella prassi giuridica, di lex
mercatoria, tributando forse lultimo omaggio a una lingua latina che
nessuno conosce piu`, nemmeno i chierici di una Chiesa che si
qualifica come romana. E il riferimento e` chiaro alleta` del maturo
medioevo, quando un vivace e intelligente ceto mercantile intu` e
costru` un complesso attivo di strumenti congeniali alle attivita`
mercatorie.
Allora, i mercanti poterono tranquillamente gettare la loro rete
giuridica transnazionale di nuove invenzioni efficaci a snellire e a
vieppiu` garantire i proprii traffici economici. Lo fecero spontaneamente, liberamente, perche le cose lo esigevano, creatori di un
ordinamento giuridico che si aggiungeva ad altri (quello canonico,
quello feudale, per esempio), senza alcun complesso di inferiorita` o
di eccessiva separatezza. Essi si limitavano a corrispondere alle
esigenze duna dimensione della societa` vista e sentita come un
naturale intreccio di piu` dimensioni. Quel che mancava era una
presenza ingombrante che pretendesse di fornire la misura della
giuridicita` o, peggio ancora, che pretendesse il monopolio del
giuridico.
Facciamo lesempio piu` limpido, e cioe` di una serie di istituti,
ignoti al paradiso dei modelli romani ma affiorati con vigoria nel
groviglio convulso ed incerto di traffici commerciali ormai a livello
transnazionale: i titoli di credito, che nacquero come invenzione
tipicamente mercantile, frutto di fantasia giuridica e di sicura percezione dei bisogni economici da parte di una prassi ignara di

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sapienza romana, carte che incarnavano un diritto, che potevano


circolare come se fossero merci senza avere la pesantezza immobilizzante delle merci.
Oggi, i grandi mercanti del mondo contemporaneo hanno dato
vita alla cosiddetta globalizzazione giuridica, ma si tratta di un canale
che corre accanto al grande canale del diritto dello Stato e degli
Stati, con una reciproca ignoranza (17). Lo Stato lo ignora volutamente, ritenendosi il depositario della giuridicita`, mentre i mercanti
si infischiano della superbia e sufficienza dello Stato e tiran diritto
per la loro strada.
Pero`, al fondo, ce` sempre questo spettro dello Stato, che non e`
certamente smentito dallesistenza di comunita` transnazionali, che
sono comunque comunita` di Stati. E ce` una cultura statalistica che
ancora domina e che determina nella coscienza comune, malgrado le
elucubrazioni di taluni dotti, la inconcepibilita` dun diritto senza
Stato.
Il post-moderno cerca di liberarsi dalle grinfie del moderno, ma
non ce` ancora riuscito. E continuiamo a esser figli del moderno o
da questo almeno profondamente condizionati e segnati. Del moderno ce` restato il peso e lingombro dello Stato, un peso e un
ingombro che il medioevo non conobbe. Il suo modo di generarsi e
di svilupparsi porto` a quel totale pluralismo giuridico, che e` ancora
lontano da noi e sul quale la piu` gran parte dei giuristi attuali
continua pervicacemente ad essere piu` che perplessa.
La maturita` di tempi medievale fu realta` originale, storicamente
tipica, perche provocata dalla incandescenza di quel momento storico. Una sua riproduzione manca di fondamento, sa di antistoricita`.
Quel medioevo e` irrimediabilmente consumato nella sua vicenda
storica. Ovviamente, cade anche lipotesi arrischiata di un modello;
e non solo per le cautele metodologiche sopra segnate, ma in grazia
della sua assoluta e irripetibile tipicita`.
(17) Su di un piano rigorosamente giuridico, ho tentato io stesso una recente
sintesi: Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Il foro italiano, maggio 2002, V. Sul
piano sociologico-giuridico, si puo` contare su una ricca e pregevole letteratura a livello
internazionale; in quella italiana fanno spicco due intelligenti e co lti volumi di M. R.
FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione - Diritto e diritti nella societa` transnazionale,
Il Mulino, Bologna 2000 e Il diritto al presente - Globalizzazione e tempo delle istituzioni,
Il Mulino, Bologna 2002.

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Puo` servire da momento dialettico: storia compiuta, interamente vissuta da un pianeta storico di intensa originalita`, ha dei
messaggi forti, soprattutto in questo momento in cui abbiamo
gettato alle ortiche quei vestimenti antimedievali di cui i moderni
polemicamente si ammantarono e in cui i valori di quella civilta` sono
ormai oggetto di spassionata considerazione. Oggi che tentiamo di
liberarci dellabbraccio soffocante dello Stato, oggi che tentiamo la
costruzione di un diritto sempre piu` aperto a una proiezione transnazionale se non addirittura universale, il messaggio medievale puo`
riuscire proficuo.
Non so, invece, se siamo convinti di tentare la realizzazione di
un vero e non dimidiato pluralismo giuridico. Ad avviso di chi
scrive, sta qui un messaggio da ascoltare con attenzione e rispetto,
ma su cui, allopposto, constato distrazione o, peggio ancora, infastidimento. Ma sara` bene un esame piu` specifico.
Con una precisazione. Qualcuno potrebbe eccepire che non
vede distinzione alcuna fra il seguire un modello o ascoltare con
rispetto un messaggio. Rispondo: il modello va imitato e tradotto; la
realta` storica vi si deve conformare. Il messaggio e` un contributo al
rafforzamento duna riflessione in ricerca, ma non esige passivita`,
non esige obbedienza. Esige una cosa, di cui abbiamo tanto bisogno:
ascolto rispettoso e confronto con gli attuali valori, esige una
comparazione dialettica, dove le rispettive diversita` non solo non
vengano annullate o contratte, ma siano messe in evidenza. Con la
coscienza ripetia`molo che ogni cosa ha il suo tempo.
4.

Messaggi fruttuosi.

Vediamo, dunque, quali possono essere i messaggi che ci provengono e che paiono confortarci nellattuale momento di scelte
superatrici delle vincolanti soluzioni della modernita`.
La prima voce netta, che viene da una esperienza come quella
medievale caratterizzata da un diritto senza Stato, e` sicuramente che
la giuridicita` e` connessa alla societa`. Allo Stato sono speculari le
branche giuridiche strettamente legate allesercizio della sovranita`
(un esempio: il diritto amministrativo; un altro: il diritto penale), ma
il diritto regolatore della vita quotidiana dei privati, espressione di
soggetti che agiscono nella societa` da privati, puo` e deve ritrovare

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quella plasticita` che sembra oggi richiesta da un mutamento (soprattutto economico e tecnico) in rapidissimo sviluppo. Altrimenti, il
costo da pagare e` lo sdoppiamento pernicioso tra un diritto ufficiale
e canali privati che corrono paralleli. Oggi, non a torto si dubita del
grande strumento ordinatore ma controllore della vita giuridica dei
privati, che e` stato ed e` il Codice, ammirevole invenzione della
modernita` ma inadeguato a tener dietro con coerenza al mutamento.
Accanto alla legge-madre, si dubita anche della inadeguatezza dello
strumento legislativo in genere.
E qui si aggiunge unaltra voce netta strettamente consequenziale alla prima. La legge non e` lunico canale di manifestazione della
giuridicita`. Lo e` se il potere esige di controllarla, ma oggi il controllo,
sempre a causa della rapidita` del mutamento, rischia di essere
inefficace provocando situazioni di crisi (crisi politica ma anche
socio-giuridica) fra un diritto legale inosservato e un osservatissimo
diritto non legale. Nel medioevo non fu la legge lo strumento
ordinatore, anche perche il genuino Principe medievale non si sent`
legislatore, rispettando una acquisizione della coscienza collettiva
che coglieva il diritto alle radici della societa` e pertanto da identificarsi prevalentemente nella fonte materna della consuetudine affidata alla interpretazione dei giuristi (giudici e dottori). Il medioevo
non fu un pianeta legalitario malgrado quanto si e` sostenuto
nellonda di una plagiante sub-coscienza moderna (18) , anche se
fu un pianeta dove alla dimensione giuridica spetto` una centralita`
senza uguali. Un motivo di impellente riflessione, nel momento
attuale in cui teorici del diritto e giuspubblicisti si interrogano
sempre piu` fittamente sul ruolo di una legalita` formale come quella
che abbiamo ereditato dalla modernita`.
Il che ci introduce a un altro messaggio forte. Questa giuridicita`
intuita cos` centrale per la societa`, non affidata se non marginalmente a legge e legislatore, fu identificata nel medioevo in una realta`
di radici profonde realta` squisitamente o`ntica che il costume
(18) Un esempio vistoso e` il volume di UGO NICOLINI, Il principio di legalita` nelle
democrazie italiane - Legislazione e dottrina politico-giuridica delleta` comunale, Marzorati, Milano s.d. (ma 1946), che risente del parossismo legalitario di quegli anni, un
parossismo che nasceva dalla fallace convinzione nella funzione garantistica e benefica
della legge.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

e, a livello giuridico, un fascio enorme di consuetudini avrebbero


avuto il co mpito di consolidare e definire senza farle perdere il
requisito fondamentale dessere ordinamento del sociale, ossia modellatrice plastica e aperta di questo. Ma le consuetudini potevano
essere matrici propulsive in una societa` statica, interamente agraria,
come il primo medioevo; viziate dal particolarismo che e` proprio di
ogni manifestazione usuale, si dimostreranno inadeguate per la
seconda fase di sviluppo della civilta` medievale percorsa e dominata
da una dinamica intensa e da una circolazione parimente intensa. La
soluzione di fronte alla esigenza crescente di categorie generali
ordinanti fu laffidamento alla scienza giuridica e, secondariamente, al giudice. E il secondo medioevo, medioevo sapienziale,
dette vita al forse piu` completo e riuscito modello storico di Juristenrecht, di autentico diritto giurisprudenziale.
Riflettere oggi piu` criticamente su questo modello (che certamente non fu lunico nella lunga storia del diritto occidentale) puo`
portarci a qualche (ormai necessaria) scelta coraggiosa. Non sarebbe
lora di smettere di ripetere a noi stessi e ai nostri allievi la vieta
favoletta della gerarchia delle fonti e del culto acritico della legge?
Non sarebbe lora di riesaminare il ruolo della scienza giuridica?
Non sarebbe lora di riesaminare il rilievo del ruolo del giudice? E`
rischioso ripetere (anche se solo su un ipocrita piano formale)
vecchie favolette, quando la societa` pos-moderna le sta mettendo da
parte, dando a scienza e prassi il ruolo sostanziale che spetta ai reali
meccanismi propulsori dellordine giuridico (19).
Scienza e prassi applicativa hanno goduto di una duplice e
giustificatissima rivalutazione: teorica, con la notevole riflessione
ermeneutica, che ha ridicolizzato il giudice bocca della legge o il
maestro di diritto quale esegeta; pratica, perche attualmente e` il
trionfo di invenzioni tecniche novissime che la prassi ha intuito e
cominciato a vivere, e la scienza ha prontamente principiato a
categorizzare, che il legislatore al contrario o non ha avvertito
o ha tardato ad avvertire e a disciplinare.
(19) Ho tentato di riflettere assai recentemente su questo ruolo della prassi,
discorrendo con gli allievi della fiorentina Scuola di specializzazione per le professioni
legali: Il diritto tra norma e applicazione - Il ruolo del giurista nellattuale societa` italiana,
in Rassegna forense, XXXV (2002).

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PAOLO GROSSI

Si aggiunga che, oggi, ve` una coscienza nuova nel giurista, piu`
attiva, piu` propulsiva. Il giurista vede le deficienze e le sordita` del
legislatore e tenta di supplirvi; soprattutto, tenta ed e` questo un
profilo rilevantissimo di farsi lui portatore di un diritto finalmente
insofferente alle artificiose frontiere statuali gettando la rete al di la`
e al di sopra delle tante insularita` nazionali e cominciando a creare
un tessuto comune: i recenti esperimenti europei per la fissazione di
principii regolatori dei contratti e dei contratti commerciali in
specie, che hanno visto protagonistica la migliore scienza giusprivatistica europea, sono il segno di questa rinnovata coscienza. Un
grande insegnamento della civilta` giuridica medievale e` che il diritto
e` cosa non da politici ma da giuristi, ed e` precisamente linsegnamento che quella civilta` ha trasmesso al suo figlio diretto, il common
law. Recuperare il diritto ai giuristi puo` essere una divisa per il
nostro impegno culturale e di politica del diritto.
Un altro recupero va fatto, ma, in fondo, discende gia` da quanto
si e` detto piu` sopra, ed e` un recupero pluralistico. Si deve realizzare
un piu` sincero pluralismo giuridico. Il medioevo lo visse interamente, e il suo mondo socio-giuridico fu autenticamente pluriordinamentale. Del resto, non stiamo vivendo forse noi un pluralismo
latente con la montante globalizzazione giuridica? Un pluralismo
fattuale, che lo Stato continua a ignorare e di cui i tanti giuristi
statalisti beatamente si disinteressano; che pero` ce`, e` forte, e`
virulento, e mette in crisi nel concreto dellesperienza dove il
diritto si misura quotidianamente il sublime castello legalistico.
Dobbiamo affrettarci verso una me`ta che e` un diritto senza Stato; il
conseguimento di questa me`ta e` anche conseguimento di un effettivo pluralismo giuridico. Conseguimenti, pero`, che dobbiamo innanzi tutto realizzare nella nostra coscienza di giuristi. Non si puo`
pretendere dallapparato statuale quel rinnovamento che manca
almeno nella consapevolezza dei piu`. La complessita` della societa`,
elementare dato omnipresente ma tanto piu` presente oggi, deve
rispecchiarsi nella complessita` plurale delluniverso giuridico.
Diritto senza Stato significa che al diritto ripugna di immiserirsi
allinterno di confini invalicabili, significa che il diritto e` una ragione
del vivere civile e che la sua proiezione piu` naturale e` quella
universale. Piu` che un sentimento, e` una percezione che si fa strada
nelle menti piu` aperte: dopo che lEuropa e` stata ridotta nelleta`

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

moderna e post-moderna a un arcipelago, cioe` a un coacervo di


isole, si avverte lesigenza politica e culturale di paesaggi piu` ampii,
di unita` piu` comprensive. E si puo` giustificare il richiamo ricorrente
a quel pre-moderno in cui lallora Europa civilizzata conobbe una
unita` giuridica. Da questo riferimento non scorretto ma sommario si
puo` calare a messaggi che non sono da sottovalutare. Non ve`
dubbio che il medioevo compie la sua giuridicita` come ius commune,
diritto doppiamente comune, accomunante cioe` la dimensione religiosa e quella civile (ius civile/ius canonicum), nonche le varie regioni
formanti il campo europeo. Diritto universale, dunque, a piu` di un
titolo, del quale vogliamo sottolineare qui due peculiarita` degne
della nostra riflessione.
Lo ius commune e` diritto scientifico. Anche se vi sono coinvolti
i giudici con le loro sentenze e i notai con i loro formularii, i
protagonisti sono uomini di scienza, certamente non disdegnanti
lavori di consulenza per i poteri costituiti, per i giudici, per i privati
ma, innanzi tutto, maestri di diritto, doctores, demiurghi grandi e
piccoli della nuova scientia iuris che trovava nella folta diaspora
universitaria del secondo medioevo il suo luogo delezione. Qui la
scienza, sulla base dei testi romani del Corpus iuris civilis e canonici
del Corpus iuris canonici, crea diritto sia pure nella forma di una
tipicissima interpretatio. Alla scienza e` confidato il co mpito di
ordinare giuridicamente il tessuto socio-politico del proprio tempo.
E la scienza fa il mestier suo: questi dottori che, insieme agli
studenti, erano cittadini dEuropa insegnando a Bologna come a
Salamanca, a Orle ans come a Oxford, che sentivano il diritto come
realta` non legata alle miserie dei particolarismi politici, costruiscono
in una proiezione universale, sovraordinata ai confini che la miopia
e la superbia degli uomini darme e di governo han segnato sul
terreno.
Ma ve` una seconda peculiarita`, che mi sembra di gran rilievo.
Questo tessuto universale do`tto non soffoco` i particolarismi giuridici. Il diritto di questa o quella citta` comunale, di questo o quel
principato laico od ecclesiastico, le mille consuetudini striscianti in
un territorio determinato, le regole dei mercanti e del ceto feudale,
continuarono a vivere intatte. Ius commune e iura propria costituirono un grande sistema percorso da una fertilissima dialettica
universale/particolare, come intu` felicemente tanti anni addietro

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PAOLO GROSSI

Francesco Calasso (20). Luniversale ne disturbo` il particolare ne fu


da questo disturbato: ve` piuttosto un sistema di integrazione,
perche il tessuto universale e` plastico, complesso, articolatissimo. E`
lo Stato che si propone quale struttura rigida e compatta, struttura
intollerante. La sua manifestazione naturale, geograficamente precisata, e` la sovranita`, ossia un potere assolutamente indipendente cui
ripugna ogni posizione di autonomia, anche se la autonomia
come indipendenza relativa non e` una concorrente ne ostile ne
insidiosa per la sovranita`.
Nel momento in cui scrivo queste note, sono appena ritornato in
Italia da un soggiorno nel Messico per conferenze e lezioni, e,
parlando cola` con egregii colleghi messicani, ho avuto la riprova di
quanto ora si sta dicendo. Trattando con loro il problema cos`
scottante in quel paese delle lotte di popolazioni indigene in difesa
delle loro immemorabili autonomie, i colleghi messicani mi sottolineavano che, finche il Messico fu un Virreynato allinterno della
grande coine` ispanica, pochi problemi sorsero. Cominciarono, invece, a porsi in modo clamoroso dopo le lotte ottocentesche di
indipendenza e la nascita dello Stato messicano completamente
separato dalla madrepatria e dalle altre ex-colonie spagnole, uno
Stato che, come tutti gli Stati di questo mondo, ha immediatamente
te so alla compattezza e si e` rivestito di intolleranza come il vecchio
re di Spagna e il suo vicere non lo erano stati per il passato.
Sotto questo profilo il mondo del diritto comune, mondo di
autonomie e non di sovranita`, tessuto universale unitario ma complesso, non compatto anzi articolatissimo, non vorrei dire che ci si
puo` proporre come modello, perche mi smentirei, ma puo` fornirci
un messaggio degno di essere ascoltato soprattutto nella feconda
simbiosi fra scienza, costruzioni scientifiche, invenzioni della prassi
e regole di comunita` particolari.
In una grande Europa unita, comunita` sofferenti per la violenza
operata contro di loro dagli Stati, potranno trovare un rispetto
maggiore.

(20) In ripetuti saggi ed esperimenti didattici. Una enunciazione limpidissima e` in


Il problema storico del diritto comune (1939), ora in Introduzione al diritto comune,
Giuffre`, Milano 1951.

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La dimensione giuridica

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ANTONIO PADOA SCHIOPPA

NOTE SU ORDINE GIURIDICO EUROPEO


E IDENTITA
v EUROPEA
IN PROSPETTIVA STORICO-COSTITUZIONALE (*)

1. La questione dellidentita` europea ha assunto un rilievo


crescente negli ultimi anni, in coincidenza con levoluzione istituzionale e politica comunitaria. La natura giuridica e istituzionale
dellUnione europea forma attualmente loggetto di accese discussioni. Una delle teorie sostenute dalla dottrina e` che essa abbia
tuttora le caratteristiche di unorganizzazione internazionale finalizzata essenzialmente alla creazione e alla corretta disciplina di un
libero mercato tra stati sovrani. In questa prospettiva, che chi scrive
ritiene non fondata, una definizione dellidentita` europea nella sfera
dellordine giuridico sarebbe evidentemente superflua. Unaltra teoria tra le piu` accreditate e` che lUnione presenti invece molti dei
caratteri propri di uno stato federale in via di formazione, dal
momento che il perseguimento delle sue finalita` economiche e
politiche sono affidate ad un complesso di istituzioni (Parlamento
europeo, Consiglio, Commissione, Corte di giustizia) che presentano
molti elementi propri della statualita`.
Se cos` fosse, un primo aspetto vorremmo sottolineare: non
consta che in passato il processo di formazione di nuovi stati abbia
di norma comportato la preventiva o concomitante ricerca di un
criterio di identita`. La fondazione di un nuovo stato fu spesso il
risultato di una conquista militare e di una guerra vittoriosa (cos`
avvenne ad esempio per i regni germanici altomedievali, cos` per
lInghilterra e la Sicilia normanne, cos` in infiniti altri casi dalleta`
(*) Queste pagine sono dedicate ad Erik Jayme e figureranno anche negli Scritti
in suo onore.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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antica alleta` contemporanea). Altrettanto spesso il consolidamento


di uno stato derivo` dalla politica di potenza e dalle vicende dinastiche (cos` avvenne in Francia dal medioevo alleta` moderna, mediante
la successiva aggregazione alla corona di principati o stati confinanti).
In taluni casi lidentita` di uno stato emerse dalle rivendicazioni
di liberta` economica o politica rispetto allo stato egemone (si pensi
alle Provincie Unite delle Fiandre nei confronti della Spagna o alle
Colonie americane alla vigilia della guerra di indipendenza nei
confronti dellInghilterra). In altri casi lidentita` nazionale venne
invece data per presupposta e preesistente alla fondazione dello
stato da quelle correnti di cultura che miravano a far coincidere
lidentita` linguistica e culturale con la nazione e la nazione con lo
stato (cos` per lItalia e per la Germania dellOttocento).
2. Negli stati europei di piu` antica formazione lidentita` nazionale nella sua accezione moderna venne dunque di norma
costruita a posteriori, come risultante del nuovo ordine giuridico
imposto dalla potenza egemone alle terre, alle regioni, alle etnie e
alle popolazioni conquistate o comunque in essa progressivamente
incorporate. Tuttavia sarebbe del tutto antistorico ricondurre allantico regime la genesi di una tale identificazione tra stato e nazione.
Per creare ununione effettiva giuridica, culturale, linguistica
dei territori via via annessi alla corona di Francia si richiesero secoli
di sforzi da parte della monarchia. Ma per secoli la nazione non
coincise ne con la patria ne con lo stato: in Italia la patria indicava
la citta` dorigine, la nazione la regione storica, mentre lo stato
poteva non coincidere ne con luna ne con laltra; in Francia ancora
alla fine del Settecento i Bretoni, i Provenzali, i Piccardi e cos` via
costituivano altrettante nazioni allinterno del regno.
Solo a partire dalla rivoluzione francese stato e nazione vennero
identificandosi, attraverso un processo che raggiunse lacme nel
secondo Ottocento e nel Novecento. In occasione della prima guerra
mondiale il ricorso alla guerra di trincea che comportava la morte di
migliaia di uomini per la conquista (o per la perdita) anche solo di
pochi ettari di terra venne giustificato in nome dellideologia dello
stato-nazione, trasformato ormai in un concetto politico apicale e
caricato di simboli esplicitamente sacrali: si dichiaro` sacra ogni

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zolla del suolo della patria. La patria divenne allora lequivalente


dello stato-nazione. E la nazione divenne una patria esclusiva e
totalizzante, la sola identita` in nome della quale si poteva chiedere
(anzi imporre) il sacrificio della vita merce la coscrizione obbligatoria. Prima dallora, per secoli, la morte in battaglia costituiva piu`
semplicemente il rischio professionale di chi aveva scelto il mestiere
delle armi. E il passaggio di intere regioni e popolazioni da uno stato
ad un altro, dal dominio di una corona a quello di unaltra corona
per lItalia si pensi alla Lombardia o alla Sardegna del primo
Settecento, dopo Utrecht e Rastadt non sembrava creare traumi
particolari.
Altra cosa, naturalmente, era il rischio della perdita della liberta`
di una citta`-stato o di unetnia sotto la minaccia di conquista da
parte di una potenza vicina: un rischio rispetto al quale gia` nel
mondo antico e poi di nuovo nel medioevo e nelleta` moderna non
solo gli uomini in armi ma anche popoli interi si dimostrarono
disposti ad affrontare la morte.
3. Esiste unidentita` europea nella sfera dellordine giuridico?
La questione puo` porsi con riferimento a due dimensioni distinte,
ciascuna delle quali si scinde a sua volta in due rami. Da un lato ci
si puo` chiedere, in chiave storica, se il diritto e le istituzioni che
hanno visto la luce e si sono succedute nei diversi stati dEuropa nel
corso dei secoli dal primo medioevo sino alleta` contemporanea
abbiano una loro unita` o addirittura una loro specificita` rispetto al
diritto e alle istituzioni proprie delle altre civilta` della storia. Daltro
lato si tratta di valutare se le istituzioni che dapprima la Comunita` e
poi lUnione europea si sono date nella seconda meta` del Novecento
presentino una fisionomia particolare nel panorama internazionale e
se esse debbano mantenere questi eventuali caratteri distintivi nel
processo di riforma oggi in atto ad opera della Convenzione.
La risposta e` a nostro avviso affermativa per ciascuna di tali
questioni.
4. In altra sede chi scrive ha tentato di tracciare alcune linee di
prospettiva storico-giuridica con lo scopo di mostrare come la storia
del diritto dei diversi ordinamenti territoriali dellEuropa medievale
e moderna sia talmente interconnessa da formare in effetti ununica

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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storia. Consuetudini, leggi, dottrine, uomini e libri hanno costantemente viaggiato scavalcando le frontiere politiche: dalleta` tardo
antica allalto medioevo germanico, dalle istituzioni feudali alle
consuetudini rurali, dalla svolta della nuova scienza giuridica al
diritto canonico classico, dalle istituzioni pubbliche dei comuni a
quelle degli stati moderni in via di formazione, dalle correnti del
moderno pensiero umanistico e giusnaturalistico sino alle riforme
dellilluminismo, dalle codificazioni ottocentesche alle dottrine della
scuola dellesegesi, dalla scuola storica alla pandettistica, sino agli
indirizzi di pensiero delleta` contemporanea.
Anche il sistema di common law inglese, pur cos` diverso e cos`
originale, ha in diverse sue fasi ricevuto apporti fondamentali dal
continente ed ha a sua volta influenzato, nel tardo Settecento e
soprattutto nellOttocento, levoluzione legislativa continentale. Il
diritto processuale penale, il diritto commerciale e marittimo, il
diritto del lavoro sono alcuni dei settori in cui tali influssi biunivoci
si sono manifestati. Per tacere dellinflusso profondo esercitato dal
costituzionalismo britannico sulla genesi del moderno costituzionalismo europeo.
5. Sulla base dei quattro grandi lasciti culturali del mondo
antico i profili filosofici del pensiero greco, i profili giuridici della
civilta` romana, i profili religiosi della civilta` ebraica e del cristianesimo ci limitiamo ad enumerare alcuni istituti che hanno avuto
diffusione transnazionale e possono dirsi propri della storia della
civilta` europea nella sfera del diritto. Alcuni sono stati creati e poi
sono scomparsi nel corso delleta` medievale e moderna, altri sono
tuttora ben vivi: ormai non solo in Europa ma su scala piu` vasta,
sovente addirittura su scala planetaria.
Citiamone semplicemente alcuni, tratti sia dalla`mbito pubblicistico che da quello privatistico. Il principio fondamentale della
distinzione, sul terreno del diritto, tra la sfera temporale e la sfera
spirituale, tipico delloccidente cristiano a partire gia` dalla fine del
mondo antico. Il sistema delle istituzioni feudali, pur caratterizzato
dalle differenze tra le regioni europee che la moderna storiografia ha
posto in evidenza. La signoria fondiaria con lesercizio dei poteri
economici, fiscali e giurisdizionali concessi o comunque acquisiti,
legati al controllo della terra e degli uomini che vi vivevano. Lor-

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ganizzazione delle istituzioni comunali cittadine e rurali nel loro


variegato assetto di autonomia politica e giuridica. Le corporazioni
di mestiere e le molteplici funzioni economiche, sociali, legislative e
giurisdizionali da esse esercitate. La scienza giuridica e il metodo di
matrice bolognese, fondato sui testi romani, interpretati e applicati
col supporto di nuovi strumenti concettuali. Il diritto della Chiesa e
il suo complesso sistema di regole e di istituzioni. La dottrina e la
disciplina delle persone giuridiche. Luniversita` come fucina, ad un
tempo, di ricerca scientifica e di formazione superiore. Il notariato e
il pieno valore probatorio attribuito allatto pubblico. Le teorie
relative alle procedure di decisione proprie degli organi collegiali,
anzitutto il principio maggioritario. Lo stato moderno e il suo
complesso apparato di istituzioni e di regole per lesercizio del
potere e per il controllo del territorio, in alternativa o in sostituzione
rispetto alle istituzioni concorrenti e non statuali. La disciplina
giuridica e istituzionale del patriziato di antico regime nei suoi
risvolti privatistici e pubblicistici. Il sistema penale del diritto comune, fondato sulle prove legali. La costruzione dei sistemi di diritto
naturale. Le dottrine giuridiche dellilluminismo e le riforme settecentesche sul sistema delle pene, sulla separazione dei poteri, sul
governo della famiglia, sulle liberta` economiche. Le regole sulle
societa` commerciali a responsabilita` limitata e per azioni. La dottrina
costituzionale dei diritti delluomo e del cittadino, con lenunciazione delle liberta` individuali e collettive, versione secolarizzata dalla
fondamentale nozione cristiana della dignita` della persona umana: di
ogni persona.
Il principio di legalita` dei reati e delle pene. Le codificazioni del
diritto privato, penale e processuale. Le garanzie di imparzialita` e di
terzieta` dei giudici e le nuove regole del processo civile e penale ad
esse ispirate. Le garanzie costituzionali delle moderne democrazie
fondate sulla sovranita` popolare. Il controllo di costituzionalita` delle
leggi ordinarie. La tutela giurisdizionale dei privati nei confronti
delle pubbliche amministrazioni. Il diritto del lavoro.
Lelenco potrebbe continuare. E` appena il caso di sottolineare
che ciascuno di questi complessi di regole e di istituzioni e` nato in
luoghi specifici, per opera di singoli individui e in circostanze
precise, spesso senza la piena consapevolezza delle sue implicazioni
pratiche e ideali, ne delle difficolta` connesse alla sua affermazione,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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ne della sua durata nel tempo. Anche i modi della realizzazione


parziale o compiutamente attuata, improvvisa o protratta nel tempo,
coerente o contraddittoria rispetto al contesto storico sono stati
infinitamente vari nelle diverse realta` politiche, economiche, sociali,
culturali dEuropa: nel tempo e nello spazio.
6. Lordine giuridico che e` proprio dellUnione europea di oggi
elude le categorie consuete della dottrina giuridica. Nato e sviluppato
sino al presente nella forma collaudata del trattato di diritto internazionale, tale ordine presenta indubbiamente molti dei caratteri che
sono propri degli accordi tra stati sovrani. Ogni modifica dei trattati
deve essere sancita unanimemente da tutti i governi dellUnione e deve
essere ratificata da ciascuno stato nelle forme previste dalle rispettive
costituzioni per i trattati internazionali. Anche allinterno delle competenze attribuite dai trattati allUnione, le decisioni piu` rilevanti richiedono lassenso unanime dei governi che compongono il Consiglio.
Nei settori della politica estera e della sicurezza, degli affari interni e
della giustizia, inseriti tra le competenze dellUnione a partire dal
1992, ogni decisione effettiva e` riservata al Consiglio, cioe` ai governi
nazionali, e richiede inoltre lunanimita`.
Tuttavia nel tempo, in particolare negli ultimi anni, alla prospettiva internazionalistica con la quale a lungo si sono analizzate le
regole e le istituzioni comunitarie si e` venuta affiancando la prospettiva costituzionalistica. LUnione e` stata progressivamente percepita
dalla dottrina sotto il profilo costituzionale, nel senso che le istituzioni di cui essa e` composta sono state valutate con il metro adottato
per valutare le istituzioni politiche di stampo statuale.
Sotto questo profilo le quattro principali istituzioni dellUnione
chiaramente delineate gia` nel 1951 con il Trattato della Comunita`
del carbone e dellacciaio e mantenute sino al presente, pur con le non
esigue trasformazioni istituzionali decise nel 1957, nel 1974, nel 1986,
nel 1992, nel 1997 e nel 2000 possiedono alcune caratteristiche
comuni alle istituzioni politiche delle esistenti federazioni di stati ed
altre che invece ne differiscono e sono peculiari dellUnione europea.
7. Il quadro istituzionale dellUnione e` ben noto. Il Consiglio
dei ministri ha poteri legislativi e poteri esecutivi insieme. I primi
esercitati in comune con il Parlamento europeo mediante la proce-

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dura di codecisione introdotta nel 1992 e con le altre varie procedure previste dai trattati, che pero` di norma non operano quando la
decisione del Consiglio richiede lunanimita`, richiesta in molte tra le
materie di maggior rilievo. Dalla meta` degli anni Settanta le decisioni
piu` importanti e quelle di impulso politico per lUnione sono
assunte dal Consiglio europeo composto dai capi di stato e di
governo. Il Parlamento europeo ha ereditato le competenze della
primitiva Assemblea composta di parlamentari nazionali ed e`, dal
1979, eletto a suffragio universale ogni cinque anni dai cittadini di
tutti gli stati membri dellUnione, sicche possiede nei confronti
dellUnione il medesimo grado di legittimazione democratica che e`
proprio dei parlamenti nazionali rispetto agli stati nazionali. Dal
1992 il Parlamento europeo vota la nomina del presidente della
Commissione proposta dal Consiglio europeo (dal 2000 anche a
maggioranza qualificata) nonche quella dei commissari scelti dal
presidente stesso dintesa con il Consiglio. La Commissione ha
lesclusiva delliniziativa legislativa comunitaria, esercita funzioni di
controllo sullattuazione dei trattati e ha vasti poteri esecutivi quanto
al primo pilastro, concernente lunione economica, la concorrenza, il
mercato unico, la politica commerciale internazionale dellUnione e
le altre attribuzioni connesse, inclusa la disciplina di bilancio degli
stati membri adottata con il patto di stabilita` che pure fa capo
principalmente ai governi e al Consiglio. La Commissione dispone di
una non certo pletorica burocrazia comunitaria, accentrata a Bruxelles. La Corte di giustizia dirime (dal 1997 con il Tribunale di
primo grado) le controversie tra singoli, stati membri e Comunita`
europea nelle materie di competenza di questultima. La sua giurisprudenza, come pure il diritto comunitario dei trattati, ha immediata e diretta applicazione allinterno degli ordinamenti nazionali.
Da questa pur sommaria elencazione delle funzioni appare gia`
chiaro come la` dove la procedura richiesta dai trattati esige lintervento del solo Consiglio deliberante alla unanimita` non si possa
ritenere operante se non una forma di cooperazione tra stati sovrani,
che non raggiunge neppure lassetto istituzionale di una confederazione. E questo vale oggi per settori cruciali del mercato unico e
dellunione economica che costituiscono il primo pilastro, dallarmonizzazione fiscale alla sicurezza sociale alle politiche di coesione.
E vale per la massima parte delle politiche e delle azioni relative alla

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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politica estera, alla sicurezza, alla difesa, alla giustizia e allimmigrazione, cioe` per il secondo e per il terzo pilastro.
Dove si puo` decidere a maggioranza lunione certamente esiste.
Ma quando le opzioni di natura legislativa o le decisioni di governo
politicamente rilevanti non richiedono lintervento del Parlamento
eletto, cio` che ne risulta e` ununione priva del requisito costituzionale che e` alla base delle moderne democrazie, lancoraggio alla
sovranita` popolare. Se e` vero che in ciascuna di esse il ruolo del
parlamento e` assai differenziato in politica economica, in materia
fiscale, in politica estera o in tema di operazioni militari, non e` meno
vero che in tutti questi settori nessun governo democratico puo`
esimersi dal controllo parlamentare.
Nei campi in cui esse operano congiuntamente, le tre istituzioni
Consiglio, Parlamento, Commissione formano un insieme
istituzionale assimilabile a quello di una federazione, con il governo
costituito dalla Commissione e con il bicameralismo che rappresenta
da una parte gli stati, dallaltra la sovranita` popolare. Il Consiglio
costituisce in effetti, dove vi e` la possibilita` di decisione a maggioranza, non un semplice luogo dincontro tra ministri nazionali bens`
un collegio, cioe` un organo dellUnione, rappresentativo degli stati
membri come avviene in ogni struttura politica di stampo federale.
E la Corte di giustizia chiude il classico triangolo montesquiviano,
che nonostante gli sforzi meritorii di una parte della dottrina e
nonostante le trasformazioni profonde dellultimo mezzo secolo
ancora non e` stato sostituito da un modello di pari efficacia descrittiva e normativa. Se a cio` si aggiunge la Banca centrale europea, alla
quale spetta la piena sovranita` monetaria allinterno del gruppo di
dodici stati membri che hanno adottato la moneta unica (Eurogruppo), quanto meno rispetto a questi ultimi si ha limmagine di una
federazione in fieri.
8. Quali tessere ancora manchino al raggiungimento di un
compiuto assetto federale dellUnione europea non e` difficile vedere. Occorre che nei settori residuali del primo pilastro in cui opera
tuttora lassetto interstatuale ed intergovernativo questo venga sostituito con la procedura maggioritaria che sola consente la formazione di una volonta` comune. Occorre la piena legittimazione del
parlamento europeo (in codecisione con il Consiglio) nella funzione

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legislativa primaria e nella nomina della Commissione e delle altre


autorita` dellUnione. Occorre lattribuzione allo stesso parlamento
europeo della piena potesta` di bilancio (funzione originaria e ineliminabile di ogni parlamento eletto) con laffermazione del principio
delle risorse proprie dellUnione.
Occorre poi che la politica estera e la difesa siano riconosciute
quali competenze concorrenti dellUnione rispetto agli stati membri,
con le ineludibili conseguenze costituzionali che ne derivano quanto
alle risorse necessarie e quanto alle procedure (deliberazioni a
maggioranza qualificata del Consiglio europeo, ruolo di controllo
del Parlamento europeo sia per le spese che per le decisioni essenziali). Quanto alla presidenza dellUnione, e` singolare che mentre si
va rafforzando la richiesta di dare una sola voce allEuropa, vi sia chi
propone a questo fine la nomina di un presidente del Consiglio
europeo non piu` a rotazione, ma istituzionalmente distinto dal
presidente della Commissione. La diarchia istituzionale del governo
dellUnione e dei connessi poteri che pure in taluni ordinamenti
esiste: si pensi anzitutto alla Francia, ma anche allItalia che attribuisce al presidente della repubblica e non al presidente del consiglio la guida delle forze armate e la presidenza dellorgano di
governo della magistratura diverrebbe, se non inevitabile, quanto
meno probabile e dunque rischiosa ai fini dellauspicata unita` di
indirizzo dellUnione europea.
Il coinvolgimento del Parlamento e della Commissione va attuato, pur se in forme in parte diverse, anche per le normative e per
le azioni comuni in tema di giustizia, di immigrazione dai paesi terzi
e di polizia, cioe` per il terzo pilastro, che costituisce materia tipica di
competenza concorrente con gli stati. Anche la rappresentanza
esterna dellUnione nei fori internazionali (a cominciare dallOnu e
dal Fondo Monetario) dovrebbe evidentemente essere unitaria come
gia` lo e` per la politica commerciale. Inoltre: la Carta dei diritti va
integrata nel trattato costituzionale. E ancora: il metodo di votazione
entro il Consiglio dovrebbe basarsi sulla regola della doppia maggioranza degli stati e della popolazione europea, la sola regola
coerente con la doppia legittimazione dellUnione, fondata ad un
tempo sulla sovranita` popolare e sugli stati nazionali.
Infine: lentrata in vigore del trattato costituzionale dovrebbe
essere legata al raggiungimento di una soglia di ratifiche pari a una

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maggioranza superqualificata di stati membri e di popolazione su


scala europea, con validita` nei soli confronti di chi labbia ratificato.
Nessuno potrebbe obbligare uno stato membro a procedere sulla via
dellunione, ma nessuno stato o governo dovrebbe poter impedire
agli altri di farlo.
9. Se questi elementi venissero inseriti nel trattato costituzionale che la Convenzione sta predisponendo potremmo ritenere
raggiunta la fase di stabilita` istituzionale e costituzionale dellUnione
europea. Essa presenterebbe in tal modo alcuni caratteri distintivi
rispetto alle altre federazioni politiche oggi esistenti, tali da raffigurare unidentita` costituzionale originale. Il che non puo` sorprendere,
dal momento che mai prima dora si era giunti alla formazione di
una libera e consensuale federazione di preesistenti stati nazionali.
I principali aspetti peculiari di tale costituzione sono cos` riassumibili. Poche competenze esclusive dellUnione: concorrenza,
politica commerciale, moneta. Competenze concorrenti: politica
economica e settori connessi, politica estera, difesa, giustizia, immigrazione. Gestione delle competenze concorrenti mediante un capillare ricorso al principio di sussidiarieta` monitorato ex ante dai
governi e dai parlamenti nazionali, ex post dalla Corte di giustizia.
Legislazione europea come legislazione di princip, con largo ricorso
alla potesta` regolamentare della Commissione e al meccanismo delle
direttive che lasciano spazio a modulazioni differenziate nei diversi
stati membri. Limitazione della legislazione europea ai soli settori in
cui lo esige il mercato unico o lo suggeriscono le esigenze delleconomia. Principio del mutuo riconoscimento normativo. Ricorso alle
amministrazioni nazionali come terminali operativi della Commissione, senza la necessita` di istituire organi esecutivi periferici. Cos`
pure per le sedi diplomatiche, salvo alcune eccezioni. Procedura
coinvolgente i parlamenti nazionali quando si deve decidere di
fissare o di modificare il tetto delle risorse proprie dellUnione,
anche mediante trasferimenti di risorse (ad esempio in tema di
difesa) dal bilancio nazionale a quello europeo, con conseguenti
economie di scala a parita` di carico fiscale per il cittadino. Apertura
permanente agli stati europei che intendessero rimanere (almeno
temporaneamente) fuori dalla rinnovata Unione. Predisposizione di
accordi di associazione con gli stati extraeuropei che vogliano

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entrare in rapporto stretto con lUnione sul terreno delleconomia.


Infine: riconoscimento del diritto alla pace come diritto degli individui e delle collettivita`, con la conseguente disponibilita` a trasferire
quote di sovranita` allOnu e alle altre organizzazioni planetarie,
debitamente riformate, analogamente a quanto previsto nellart. 11
della nostra Costituzione.
E` da sottolineare che tutte queste innovazioni sono in linea
diretta di continuita` con quanto i trattati e la prassi comunitaria del
mezzo secolo trascorso hanno prescritto e ormai realizzato. Nessuna
rottura, nessuna deviazione, bens` prosecuzione rettilinea di un
cammino da tempo intrapreso.
10. Ponendosi in una prospettiva storico-giuridica non si puo`
non osservare che diversi profili del paesaggio istituzionale dellUnione europea quale e` gia` oggi e ancor piu` quale potrebbe
divenire domani richiamano elementi non secondari di tradizioni
che sembravano solo pochi anni orsono quanto meno inattuali, se
non tramontate definitivamente. Ci riferiamo in particolare a tre
profili, distinti anche se tra loro collegati.
Sussidiarieta`. Il principio introdotto a Maastricht nel 1992 e
perfezionato ad Amsterdam nel 1997 e` lungi dallaver ricevuto piena
attuazione, ma ormai informa comunque lintero sistema comunitario affidando al livello europeo, in tema di competenze concorrenti,
solo le scelte e le azioni che al livello inferiore non potrebbero
ottenere risultati soddisfacenti. Occorre rammentare che il diritto
comune poneva al primo posto nella graduazione delle fonti proprio
i diritti locali?
Pluralita` dei livelli normativi. Il tendenziale monopolio normativo dello stato e` ormai venuto meno. La maggioranza delle innovazioni legislative nazionali nel diritto delleconomia deriva non da
oggi da direttive comunitarie. Al livello nazionale si e` aggiunto il
livello europeo e si e` aggiunto il livello regionale negli stati che lo
riconoscono. Anche qui si puo` rammentare il modello di una
plurisecolare tradizione costituita dalla sovrapposte stratificazioni
normative. E inoltre vi e` ormai il fondamentale principio del mutuo
riconoscimento normativo, che traspone allinterno di un ordinamento nazionale regole degli ordinamenti di altri stati membri
dellUnione.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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Dottrina e consuetudine quali fonti del diritto. Una volta di piu`


si coglie la crisi di un elemento non certo secondario del modello di
origine illuministica: si torna a riconoscere il ruolo creativo della
dottrina elaborata dai giuristi e il ruolo ineliminabile, a sua volta
creativo e tuttaltro che statico, delle consuetudini, che sovente
travalicano senza ostacoli i confini nazionali e perfino i confini
continentali. Due fonti di produzione del diritto che per lunghi
secoli erano state riconosciute come tali, prima del bisecolare trionfo
della legislazione statale. La quale peraltro non scompare (ed e`
giusto che non scompaia), ma assume un ruolo sia orizzontalmente
che verticalmente piu` circoscritto.
11. Sarebbe davvero dar prova di ingenuita` il ritenere che gli
obbiettivi costituzionali per lUnione europea sopra accennati siano
condivisi o condivisibili da tutti. Tra le obiezioni piu` frequenti,
espresse da qualificati studiosi e riecheggiate da una parte considerevole delle classi politiche e dei governi nazionali, ci limitiamo a
rammentarne alcune e a formulare sinteticamente un principio di
risposta.
Una prima obiezione nasce dal timore che lUnione possa
assumere i caratteri di un superstato europeo. Ma qui occorre
intendersi. Nel momento in cui la moneta, la spada e la toga gia`
hanno acquistato o potranno acquistare una dimensione europea
mediante lattribuzione di competenze esclusive o concorrenti allUnione, questa non potra` non essere inquadrata nelle categorie
proprie della statualita`. Anche se e` chiarissimo che tali categorie
sono a loro volta categorie storiche e percio` profondamente differenziate e differenziabili nel tempo e nello spazio. Possiamo anche
non impiegare il termine stato a proposito dellUnione. Tuttavia il
problema di configurare correttamente checks and balances dellUnione in direzione verticale e in dimensione orizzontale e`
un problema costituzionale di natura statuale.
Daltra parte le competenze dellUnione e le dimensioni stesse
del suo bilancio di oggi (pari all1,27 del Pil complessivo) ed anche
quelle di un possibile futuro bilancio inclusivo di una quota di spese
militari (in tal caso il bilancio dellUnione potrebbe essere circa
doppio, dunque dellordine del 2,5 del Pil complessivo, ma con
unauspicabile connessa diminuzione degli oneri di bilancio nazio-

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nali) non sono certo di tale entita` da configurare uno stato leviatano.
Infine, va osservato che gia` oggi le decisioni essenziali in tema di
politica della concorrenza ed anche quelle relativo allequilibrio di
bilancio dei singoli stati dellunione sono assunte al livello europeo.
Una seconda obiezione muove dallassunto che un popolo
europeo non esiste ne puo` esistere, perche incompatibile con la
realta` e con lidentita` dei singoli popoli nazionali. A questo riguardo
occorre invece non dimenticare che il concetto di popolo e` tra i
piu` polivalenti della storia. La concezione monistica e totalitaria di
popolo deve ritenersi ormai superata o da superare, al pari di
quella monistica e totalitaria di cittadinanza. Si puo` e si deve
essere ad un tempo cittadini di una citta`, di una regione, di uno stato
nazionale, di ununione federale, del mondo. Sono livelli diversi, ma
non incompatibili perche ancorati a interessi e a valori in parte
comuni, in parte distinti e specifici di ciascun livello. E` questo un
ulteriore profilo per il quale lesperienza storica del diritto comune
offre interessantissimi spunti: si pensi alle teorizzazioni del concetto
di populus da parte di giuristi del livello di Bartolo da Sassoferrato
o di Baldo degli Ubaldi.
Esiste dunque, anche se tuttora in via di formazione, un popolo
europeo che non contraddice affatto lesistenza e la permanenza dei
popoli nazionali (cos` come questi a loro volta non sostituiscono ne
sminuiscono le realta` tuttora vivissime anche sul terreno del
diritto vivente delle identita` regionali e addirittura cittadine):
perche il popolo europeo si manifesta nei processi che coinvolgono
lUnione, le sue competenze, le sue istituzioni, i suoi interessi e i suoi
valori. Tra i quali certamente figurano accanto a quelli propri
delle moderne democrazie di matrice europea: sovranita` popolare,
equilibrio dei poteri, diritti delluomo, liberta` religiosa la concorrenza, la solidarieta`, la sussidiarieta`, la pace istituzionalmente garantita. Quando questi valori sono in gioco, il demos europeo viene ad
emergere e si manifesta se (e solo se) le istituzioni dellUnione gliene
danno la concreta possibilita`, istituzionalmente garantita.
Altrettanto frequente e` lobiezione che la sovranita` e` indivisibile e appartiene agli stati nazionali. Anche questa nozione di
sovranita` non corrisponde alla realta` del presente ne ai valori pur
condivisi da molti se non da tutti, in particolare ai valori della
sussidiarieta`, della solidarieta` e dei diritti delluomo. Gli stati euro-

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pei da tempo non sono piu` veramente sovrani se non di nome.


Lideologia dello stato superiorem non recognoscens e` una creazione della storia risalente addirittura al secolo XIII, che pero` solo
nelleta` contemporanea (nel Novecento) ha raggiunto i confini di
unideologia totalizzante, come si e` gia` ricordato. Ma la sovranita`
formale, che e` prerogativa di ciascuno dei quasi duecento componenti dellAssemblea delle Nazioni Unite, non corrisponde affatto
alla nozione sostanziale di sovranita`.
Se sovranita` significa non gia` lastratta facolta` di non riconoscere
alcuna autorita` politica superiore ma il concreto potere di determinare il destino del popolo e dello stato la pace e la guerra, la
giustizia e le sanzioni, la moneta e leconomia oggi questi poteri
sfuggono ai singoli governi europei. Chi decide sono altri, eccetto
che per le competenze economiche e monetarie trasferite dagli stati
allUnione, ove in effetti le posizioni europee hanno riacquistato un
peso planetario. UnUnione compiutamente strutturata in senso
federale, lungi dal sottrarre quote di sovranita` fittizia agli stati,
consentirebbe semmai di recuperarla.
Sul piano dottrinale la sovranita` va concepita come unattribuzione che in ultima istanza fa capo al singolo individuo, il quale la
esercita liberamente e collegialmente nelle diverse formazioni e ai
diversi livelli in cui si articolano le istituzioni politiche: dal municipio
alla regione, dallo stato nazionale allEuropa, sino al livello planetario, oggi (imperfettamente) rappresentato delle Nazioni unite. Sovrano non e` ne lo stato nazionale ne alcuna altra istituzione politica
sovra o infranazionale bens` soltanto il cittadino: attraverso il meccanismo complesso delle istituzioni della democrazia rappresentativa, ma anche attraverso i mercati, la democrazia diretta, la libera
espressione degli interessi e dei valori (di qui limportanza di una
nuova disciplina di rilevanza costituzionale per i sondaggi e per i
mezzi di comunicazione di massa che inevitabilmente condizionano
una quota non irrilevante del consenso nelle moderne comunita`). E`
un meccanismo a piu` livelli verticali e a piu` comparti orizzontali,
nessuno dei quali, da solo, puo` ritenersi detentore della sovranita`:
solo la loro somma puo` essere considerata titolare di una sovranita`
che e` comunque loro delegata direttamente o indirettamente dai
cittadini. Un meccanismo per il quale una nuova teorizzazione in

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termini di strutture costituzionali costituisce un compito arduo ma


fondamentale della dottrina giuridica del secolo da poco iniziato.
12. Qualora i princip di cui si e` detto sopra e i connessi
mutamenti istituzionali dellUnione europea fossero riconosciuti
dalla Convenzione e accettati dai governi in occasione della conferenza intergovernativa che seguira`, lUnione non solo raggiungerebbe lo stadio della stabilita` e della irreversibilita`, ma costituirebbe
un modello di federazione continentale di straordinaria valenza
perche davvero nuovo sia in prospettiva storica che nel panorama
internazionale. Qui risiederebbe lidentita` europea sul terreno cruciale dellordine giuridico.
Quante probabilita` vi siano che le linee sopra indicate giungano
a realizzarsi e` impossibile prevedere. Ed e` anche vano. La storia e`
sempre matrice di innovazioni impreviste. Anche la vera natura e
lidentita` costituzionale della Comunita` e poi dellUnione europea
erano sfuggite alla massima parte degli osservatori. Sicche le conclusioni stesse della Convenzione (che costituisce gia` di per se un
fatto senza precedenti nelliter della costruzione europea) potranno
essere valutate solo a distanza di tempo. La storia costituzionale
recente e remota conosce daltronde anche involuzioni e crisi non
reversibili, cos` da rendere tuttaltro che inverosimile, in luogo di un
esito alto e coerente con il percorso sin qui compiuto, un esito al
ribasso dei lavori della Convenzione e del processo di allargamento,
che segnerebbe linizio del declino dellUnione, in linea con la
prospettiva auspicata da alcuni governi, che lavorano per la sua
trasformazione riduttiva in una semplice zona di libero scambio.
In tal caso lUnione entrera` nei libri di storia costituzionale
come uno dei non pochi tentativi falliti forse il piu` ambizioso,
forse il piu` avanzato di incanalare le vere o presunte sovranita`
degli stati lungo il cammino segnato ormai da secoli dalla ragione
umana.

Nota bibliografica.
Ci limitiamo a poche indicazioni di testi che approfondiscono alcune delle tematiche sopra accennate sulla costituzione europea, in direzioni spesso diverse rispetto a
quelle espresse in queste pagine.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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Le prospettive dellUnione europea e la Costituzione (Milano, 4-5 dicembre 1992),


Padova 1995; M. LEONARD, Network Europe, The new Case for Europe, London 1999; S.
HIX, The Political System of the European Union, Houndmills GB, 1999; J.H.H. WEILER,
The Constitution of Europe, Cambridge 1999; M. CARTABIA-J.H.H. WEILER, LItalia in
Europa, Bologna 2000; M. LEONARD (ed.), The Future Shape of Europe, London 2000; L.
SIEDENTOP, Democracy in Europe, London 2000; PH. C. SCHMITTER, Come democratizzare
lUnione europea e perche , Bologna 2000; J.-L. QUERMONNE, LEurope en que te de
le gitimite , Paris 2001; S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari 2002; C. PINELLI, Il
momento della scrittura, Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Bologna 2002;
Institutional Reforms in the European Union, EuropEos, Rome 2002.
Limpostazione di chi scrive riguardo ad una storia del diritto europeo e` delineata
in Verso una storia del diritto europeo, in Studi di storia del diritto, III (2001), pp. 1-26;
per le tesi qui esposte sulle istituzioni comunitarie e la loro riforma, si vedano in
particolare: A. PADOA SCHIOPPA, Il Trattato sullUnione europea, in Il Mulino, 41
(1992), pp. 59-72; Id., Il diritto comune in Europa: riflessioni sul declino e sulla rinascita
di un modello, in Il Foro italiano 121 (1996), V, 14-20; anche in I giuristi e lEuropa,
a cura di L. Moccia, Roma-Bari 1997, pp. 40-55; ID., Le riforme costituzionali del Trattato
di Amsterdam, in Il Federalista, 40 (1998), pp. 8-23; ID., Lassetto istituzionale
dellUnione europea, in Il Mulino, 51 (2002), pp. 281-292.

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DIMITRI DANDREA

OLTRE LA SOVRANITA
v . LO SPAZIO POLITICO EUROPEO
TRA POST-MODERNITA
v E NUOVO MEDIOEVO
1. Crisi della sovranita` o crisi dello Stato-nazione? 2. Un mondo neo-medievale?
3. La sovranita` protomoderna. 4. Sovranita`: evoluzione e persistenza. 5. Medioevo
o Impero: quale metafora per leta` globale? 6. UnEuropa neo-medievale?

1.

Crisi della sovranita` o crisi dello Stato-nazione?

Nel 1962, in piena Guerra fredda, un realista classico coniava


lespressione New Medievalism per indicare la direzione verso cui
sembrava convergere una serie di trasformazioni della politica internazionale: la perdita di distinzione fra dimensione interna e arena
internazionale, laffermarsi di lealtav multiple e lesistenza di livelli
sovrapposti e confliggenti di potere/autorita` (1). Si trattava di
unespressione esplicitamente metaforica e allusiva che mirava a
segnalare una direzione di trasformazione, ma che subito lasciava il
posto al riconoscimento della sua insostenibilita` analitico-scientifica.
Se il virgolettato segnalava la consapevolezza delluso improprio
dellespressione, il seguito dellargomentazione evidenziava le resistenze che, malgrado la presa datto dei cambiamenti, si frapponevano al riconoscimento del suo nucleo di verita`. Nonostante il venire
in essere di relazioni politiche che trascendevano i confini nazionali,
le relazioni interstatali tra attori sovrani continuavano ad
occupare il centro della scena. I pur drastici cambiamenti verificatisi
non sembravano portare al superamento della politica di potenza
interstatale tipica dellepoca moderna (2).
(1) Cfr. A. WOLFERS, Discord and Collaboration: Essays on International Politics,
John Hopkins University Press, Baltimore 1962, pp. 241-2.
(2) Ivi, p. 242.

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Sara` soltanto una quindicina di anni piu` tardi che Hedley Bull
si impegnera` in una definizione meno approssimativa della nozione
e in una discussione serrata della plausibilita` del suo impiego che
segneranno lingresso di questo concetto nel panorama della filosofia
politica e delle Relazioni internazionali (3). La definizione di Bull
contiene gli elementi chiave che orienteranno tutta la discussione
successiva: il riferimento alla cristianita` medievale e al Sacro romano
impero come esempi di una articolazione del potere politico che
sfugge allesclusivita` tipica della sovranita`. It is [] conceivable
that sovereign states might disappear and be replaced not by a world
government but by a modern and secular equivalent of the kind of
universal political organisation that existed in western Christendom
in the Middle Ages. In that system no ruler or state was sovereign in
the sense of being supreme over a given territory and a given
segment of the Christian population; each had to share authority
with vassals beneath, and with the Pope and (in Germany and in
Italy) the Holy Roman Empire above. The universal political order
of Western Christendom represents an alternative to the system of
states which does not yet embody universal government. [] It is
familiar that sovereign states today share the stage of world politics
with other actors just as in medieval times the state had to share the
stage with other associations (to use the medievalists phrase). If
modern states were to come to share their authority over their
citizens, and their ability to command their loyalties, on the one
hand with regional and world authorities, and on the other hand
with sub-state or sub-national authorities, to such an extent that the
concept of sovereignty ceased to be applicable, then a neo medieval
form of universal political order might be said to have emerged (4).
La plausibilita` di uno scenario neo-medievale appare legata al
prodursi di un sistema con una pluralita` di autorita` politiche legittime che esclude la possibilita` di definire una di esse lautorita`
suprema su di un dato territorio. Che cosa significhi concretamente
in termini di modalita` di organizzazione del potere politico un
sistema di autorita` legittime sovrapposte e di lealta` multiple Bull lo
chiarisce subito dopo con un esempio: We might imagine, for
(3 )
( 4)

H. BULL, The Anarchical Society, Palgrave, Basingstoke 1977, pp. 248-271.


Ivi, p. 245-6 (corsivo mio).

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example, that the government of the United Kingdom had to share


its authority on the one hand with authorities in Scotland, Wales,
Wessex and elsewhere, and on the other hand with European
authority in Brussels and world authority in New York and Geneva,
to such an extent that the notion of its supremacy over the territory
and people of the United Kingdom had no force (5). La conclusione e` che if such a state of affairs prevailed all over the globe, this
is what we may call, for want of a better term, a neo-medieval
order (6). Linsistere sopra un determinato territorio di una pluralita` di autorita` legittime magari differenziate funzionalmente ma
comunque tra loro non gerarchicamente ordinate configurerebbe
uno scenario neo-medievale. La legittimita` del concetto di nuovo
medioevo si gioca per Bull sulla verosimiglianza di uno scenario
planetario caratterizzato da un sistema di autorita` sovrapposte e di
lealta` multiple (obblighi nei confronti di autorita` regionali e mondiali, ma anche nei confronti di autorita` sub-nazionali) che mette in
discussione la capacita` esplicativa del concetto di sovranita`. La vera
posta in gioco e` costituita, infatti, dalla nozione di sovranita`: New
Medievalism indica la diffusione e la generalizzazione di forme
politiche post-sovrane, di tipi di potere politico legittimo ai quali la
categoria di sovranita` non e` piu` applicabile, perche non possiedono
piu` la titolarita` esclusiva del comando e dellobbligo politico.
Dopo aver per la prima volta definito in modo non puramente
metaforico il concetto, Bull si impegna anche a verificarne lefficacia
descrittiva, a verificare, cioe`, se i processi politici, le metamorfosi
delle forme politiche contemporanee legittimino o meno il ricorso a
questo concetto. Quali sono i fenomeni politici che possono fornire
argomenti alla tesi di una direzionalita` neo-medievale nella politica
contemporanea? Quali sono le novita` della politica contemporanea
che possono essere portate a sostegno di una trasformazione delle
forme politiche nel senso della diffusione di un sistema di autorita`
sovrapposte e segmentate (7)?
Bull si sofferma su cinque fenomeni: lintegrazione regionale fra
gli Stati, la disintegrazione degli Stati-nazione in nuovi corpi politici
(5 )
( 6)
( 7)

Ivi, p. 246.
Ibidem.
Ivi, p. 254.

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sub-nazionali, il risorgere della violenza privata internazionale, lo


sviluppo di organizzazioni transnazionali, lunificazione tecnologica
del mondo (8). Nel primo e nel secondo caso vengono discussi come
fenomeni a sostegno dellipotesi neo-medievalista i processi
aggregativi e scompositivi di ridefinizione dei territori che gia` alla
fine degli anni Settanta investivano in particolare lEuropa: da un
lato lintegrazione europea (CEE), dallaltro le spinte disintegrative
che nella seconda meta` degli anni Settanta investivano oltre alla
Jugoslavia anche diversi paesi occidentali dal Canada alla Spagna,
dalla Gran Bretagna al Belgio. Cio` che emerge con forza e chiarezza
dal ragionamento di Bull e` la divaricazione fra il destino dello
Stato-nazione e quello della sovranita`. La crisi dello Stato-nazione
indubitabile ed evidente in entrambi i fenomeni di ridefinizione
dello spazio politico e` cosa profondamente diversa dalla crisi della
sovranita`. La sovranita` e` una modalita` di organizzazione dello spazio
politico che prescinde dalle sue dimensioni, dalla sua ampiezza. La
crisi dello Stato-nazione e`, invece, crisi di un determinato ambito,
della dimensione prevalentemente nazionale dei corpi politici. In
altri termini: e` la crisi della nazione come dimensione dellattore
politico adeguata al governo dei processi economici, politici e sociali
che condizionano il benessere dei cittadini. La crisi dello Statonazione non implica nulla in merito alla sovranita` perche la questione delle dimensioni dello spazio non decide della sua forma,
della sua qualita`. Ridimensionamento o integrazione dei corpi politici possono avvenire senza intaccare minimamente la loro qualita`:
dalla scomposizione dei territori possono nascere soggetti politici
sovrani a carattere sub-nazionale, cos` come processi integrativi
possono portare a soggetti sovrani di dimensioni sovranazionali.
La possibilita` che i processi di ridefinizione spaziale degli attori
politici vengano chiamati a sostegno di unipotesi neo-medievalista e`
legata percio` non al mutare delle loro dimensioni, ma al fatto che da
tale ridefinizione spaziale emergano soggettivita` politiche ibride,
(8) Per una accurata ricostruzione della argomentazione di BULL, cfr. A. GAMBLE,
Regional Blocs, World Order and the New Medievalism, in M. TELOv (ed.), European
Union and New Regionalism, Ashgate, Aldershot 2001, pp. 30-1 e J. FRIEDRICHS, The
Meaning of New Medievalism, in European Journal of International Relations, n. 4,
VII (2001), pp. 483-6.

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incompiute, incompletamente sovrane: As in the case of the integration of states, the disintegration of states would be theoretically
important only if it were to remain transfixed in an intermediate
state. If these new units were to advance far enough towards
sovereign statehood both in terms of accepted doctrine and in terms
of their command of force and human loyalties, to cast doubt upon
the sovereignty of existing states, and yet at the same time were to
stop short of claiming that same sovereignty for themselves, the
situation might arise in which the institution of sovereignty itself
might go into decline (9). I processi integrativi e disintegrativi che
investono molti paesi occidentali testimoniano la crisi della dimensione nazionale dello Stato, ma non dicono di per se ancora nulla sul
destino della sovranita`. La crisi della dimensione nazionale degli
Stati potrebbe infatti approdare ad una riproposizione della sovranita` come modus essendi di corpi politici le cui dimensioni possono
essere sia piu` ridotte, sia piu` ampie di quelle delle nazioni moderne.
Fin dal suo esordio la legittimita` della metafora neo-medievalista
rimanda alla crisi della sovranita` nella sua differenza specifica dallinadeguatezza dello spazio politico della statualita` nazionale. La
plausibilita` di uno scenario neo-medievalista e` legata per Bull al
fissarsi delle nuove entita` politiche che si profilano allorizzonte nello
spazio di una condizione ibrida irriducibile alla sovranita`.
Che tale condizione ibrida sia il risultato dei processi scompositivi che investono anche alcuni Stati della vecchia Europa e` per
Bull possibile, ma poco probabile. Molto piu` probabile e` che
unentita` politica di tal genere costituisca lapprodo di unesperienza
integrativa come quella europea. Il paradigma neo-medievale scommette sulla permanenza del processo di integrazione europea in uno
stadio intermedio fra lo Stato-nazione e una Europa super-Stato, gli
Stati uniti dEuropa che sarebbero soltanto uno Stato writ large (10). La tesi del New Medievalism trova un sostegno nellesperienza dellintegrazione europea soltanto se ipotizziamo che la natura ibrida dellentita` alla quale ha dato luogo non costituisce la
forma preliminare di unentita` che riproporra` alla fine del processo
i tratti di uno Stato anche se non piu` di carattere nazionale. Esiste,
(9) H. BULL, The Anarchical Society, cit., p. 257.
(10) Ivi, p. 256.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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quindi, fin dal suo esordio propriamente concettuale un legame


privilegiato fra integrazione europea (lallora CEE) e la possibilita` di
diagnosi neo-medievalista (11).
La natura ibrida (12) dellintegrazione europea e`, tuttavia, un
argomento a sostegno del paradigma neo-medievale soltanto se si
scommette sul suo carattere esemplare e anticipatore. Il nuovo
medioevo e`, infatti, per Bull la metafora di un superamento generalizzato della fisionomia vestfaliana dei corpi politici e delle loro
relazioni su scala mondiale. In questa prospettiva lEuropa politica
puo` essere un argomento soltanto se non viene letta e interpretata
come fenomeno legato a condizioni storiche, politiche e culturali
uniche, tipiche ed esclusive dellEuropa. Solo se si riesce ad argomentare il carattere esemplare e anticipatorio dellEuropa politica
rispetto a processi di metamorfosi delle forme politiche contemporanee, lintegrazione in atto in Europa puo` essere utilizzata come
argomento di un nuovo medioevo, di una fisionomia delle relazioni
internazionali che testimonia il superamento della territorialita`
esclusiva degli Stati sovrani.
2.

Un mondo neo-medievale?

Il terzo trend che Bull discute come argomento di un paradigma


neo-medievale e` lerosione, lincrinatura del monopolio statale della
forza fisica legittima. Il fenomeno empirico a cui Bull fa specificamente riferimento non e` costituito dallesistenza di unorganizzazione internazionale che rivendica il diritto allesercizio della forza
su scala internazionale (ONU), ma dal proliferare di attori non
statali e spesso neppure pubblici che non soltanto ricorrono alla
violenza nei confronti sia del loro avversario diretto (il governo
del loro paese, quello di un paese straniero occupante, ecc.), sia di
paesi o soggetti terzi , ma che possono anche contare sul riconoscimento della legittimita` della loro violenza da parte di una por(11) Sul carattere fortemente in anticipo sui tempi di questa osservazione di BULL
cfr. A. GAMBLE, Regional Blocs, World Order and the New Medievalism, cit., p. 30.
(12) Bull e` stato tra i primi ad impiegare questo aggettivo (hybrid) per indicare la
natura sui generis dellEuropa politica. Cfr. H. BULL, The Anarchical Society, cit., pp.
256-7.

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zione significativa della societa` internazionale. Il riferimento empirico e` ai numerosi gruppi rivoluzionari e terroristici (interni e
internazionali: dai Palestinesi ai Tupamaros) che nella seconda meta`
degli anni Settanta operavano un po in tutti i continenti e al
riconoscimento di cui godevano da parte di molti paesi del blocco
sovietico e del terzo mondo.
Si tratta di fenomeni tuttaltro che nuovi o senza precedenti. La
vera novita` di queste forme, solo in parte inedite, di lotta politica e
di uso della forza sul piano interno e internazionale sta, tuttavia,
nella loro scala ormai globale e nel riconoscimento di cui questi
gruppi godono da parte di una larga fetta della societa` internazionale. Cio` che impedisce di trasformare questa novita` in un argomento a sostegno della tesi neo-medievalista, in una prova del
tendenziale superamento della sovranita` statuale, e segnatamente del
monopolio della forza fisica legittima che la definisce, e` la constatazione del fatto che, come nel caso delle integrazioni e delle scomposizioni territoriali, lobiettivo di questi gruppi e`, in realta`, proprio
ledificazione di uno Stato territoriale sovrano nel senso piu` tradizionalmente moderno del termine. Si tratta, cioe`, di forme nuove di
lotta per un potere che queste forze tendono a concepire e edificare,
laddove hanno successo, in modo sostanzialmente conforme ai
dettami della modernita` politica.
Il quarto fenomeno che Bull prende in considerazione come
argomento per lipotesi neo-medievale e` quello del vertiginoso incremento delle organizzazioni transnazionali, delle forme molteplici
e variegate di attori politici economici e sociali che agiscono perforando i confini politici degli attori statuali: dalle aziende multinazionali alle organizzazioni internazionali non governative, dalla Chiesa
Cattolica Romana alla Banca mondiale. Malgrado la pluralita` dei tipi
di attori transanazionali presi in esame, lattenzione di Bull si
concentra sulle imprese multinazionali e sul loro ruolo nelleconomia mondiale. Le obiezioni di Bull alla significativita` delle multinazionali per una ipotesi neo-medievalista si organizzano sostanzialmente intorno a due argomenti: il carattere tuttaltro che inedito del
fenomeno di imprese che oltrepassano i confini degli Stati, e che ne
condizionano la politica (lesempio e` quello della Compagnia delle
Indie Orientali); e la perdurante capacita` dello Stato di mettere sotto

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

controllo lattivita` delle multinazionali imponendo restrizioni, vincoli e condizioni al loro operare.
Lultimo processo preso in considerazione da Bull come argomento per unimminente epoca neo-medievale e` costituito dallunificazione tecnologica del mondo, dalla nascita del villaggio globale,
dalla compressione dello spazio e dalla crescita esponenziale dellinterazione e dellinterdipendenza su scala planetaria. A questo argomento Bull replica con quello che diverra` un topos nella letteratura
sulla globalizzazione: la semplice interdipendenza e la compressione
spazio-temporale non implicano lunificazione politica del globo e
non contraddicono la perdurante attualita` dei confini e la suddivisione del mondo in unita` territoriali discrete.
La conclusione del ragionamento di Bull e` allinsegna di un
cauto scetticismo: A time may come when the anomalies and
irregularities are so glaring that an alternative theory, better able to
take account of these realities, will come to dominate the field. If
some of the trends towards a New Medievalism that have been
reviewed here were to go much further, such a situation might come
about, but it would be going beyond the evidence to conclude that
groups other than state have made such inroads on the sovereignty
of states that the states system is now giving way to this alternative (13). Due sono i punti significativi: la questione della sovranita`
come elemento decisivo per la verifica dellipotesi neo-medievale e il
carattere ancora limitato e iniziale dei processi che indicano un
superamento della sovranita`. La legittimita` del New Medievalism e`
legata al declino, al superamento della categoria che definisce la
modernita` politica: la sovranita`. In tanto si puo` parlare di nuovo
medioevo, in quanto si prende atto della inadeguatezza descrittiva
della sovranita` di fronte ad una serie di trasformazioni della politica
contemporanea. La risposta di Bull pone una questione di ampiezza
e di profondita` dei processi: esistono processi che indicano una
direzione neo-medievale, ma lentita` di tali processi non autorizza a
(13) H. BULL, The Anarchical Society, cit., p. 275. Poco sotto si legge: We have
recognised, after all, that there are certain trends particularly in relation to the
possible emergence of a new medieval form of universal order which do make
against the survival of the state system, and which, if they went a great deal further, might
threaten its survival.

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diagnosticare la fine del sistema degli Stati sovrani. Per giungere a


questa conclusione occorrerebbe che i processi in atto si rafforzassero e si diffondessero ulteriormente, che acquisissero unampiezza
e una profondita` che ancora non possiedono, ma che e` possibile
anche se tuttaltro che certo che assumano in un non lontano
futuro. In altri termini: la diagnosi neo-medievale e` prematura anche
se non mancano gli indizi di una trasformazione del sistema politico
mondiale in tale direzione.
Fin qui lanalisi bulliana della efficacia descrittiva della categoria
New Medievalism. Ma lipotesi neo-medievale suscita in Bull, accanto ad un pacato scetticismo analitico, riserve anche piu` profonde
in merito alla sua desiderabilita`. Si tratta di un punto decisivo anche
per la discussione odierna sul neo-medievalismo: e` tuttaltro che
scontato che il superamento della sovranita` come principio organizzatore del sistema degli Stati coincida con un incremento della pace
e della sicurezza (14). Il medioevo della cristianita` fu un epoca di
conflittualita` endemica e non esistono garanzie che una sua riproposizione sfugga a quella che fu una delle sue caratteristiche salienti.
Sebbene non inevitabile, esiste il rischio tuttaltro che residuale che
il superamento della sovranita` come principio cardine del sistema
degli Stati si associ al ritorno di un sistema di lealta` multiple che
renda nuovamente endemico il conflitto violento.
Lipotesi neo-medievale si definisce con Bull come un paradigma interpretativo della politica mondiale che allude al tramonto
della sovranita`. La grande ampiezza semantica del New Medievalism
nel dibattito scientifico degli ultimi venticinque anni e` legata, dunque, non tanto al carattere metaforico e allusivo del concetto, quanto
a due radici di ambiguita` che hanno accompagnato la fortuna di
questa metafora. Da una parte, la difficolta` di una definizione chiara
e condivisa della categoria di sovranita`. Lo stesso Bull, pur definendo un possibile assetto neo-medievale a partire dallelemento
(14) The case for doubting whether the neo-medieval model is superior is that
there is no assurance that it would prove more orderly than the states system, rather than
less. It is conceivable that a universal society of this kind might be constructed that
would provide a firm basis for the realisation of elementary goals of social life. But if it
were anything like the precedent of Western Christendom, it would contain more
ubiquitous and continuous violence and insecurity than does the modern states system
(H. BULL, The Anarchical Society, cit., p. 246). Cfr. anche ivi, p. 275.

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a mio avviso decisivo della dispersione delle funzioni del potere


sovrano su una pluralita` di territorialita` non coincidenti, adduce
nondimeno come argomenti a sostegno di questa ipotesi fenomeni
che poco hanno a che fare con il prodursi di questo scenario,
indicando semmai una crisi della sovranita` declinata in direzione
non della dispersione dellautorita` legittima, ma della perdita di
autonomia e di effettivita`. Dallaltra, lintreccio e la sovrapposizione
fra la metafora del nuovo medioevo e quella dellimpero. Limpero,
il Sacro romano impero e`, come abbiamo visto, un elemento costitutivo e definitorio della metafora neo-medievale fin dalle origini, ma
a partire soprattutto dall89 e dal crollo del sistema bipolare ha finito
per assumere una valenza profondamente ambigua, essendo sempre
piu` spesso evocato per indicare proprio cio` che la metafora neomedievale tendeva ad escludere: lesistenza di un centro, di una
gerarchia anche se dai contorni non sempre giuridicizzati. Questa
doppia ambiguita` ha consentito la presenza del concetto di New
Medievalism, con significati diversi e spesso non coincidenti, sia
nellambito della riflessione sullassetto delle relazioni internazionali
nel mondo post-bipolare, sia nellambito della riflessione sulla natura dellUnione europea come principale esperienza di integrazione
regionale.
Tentare di mettere ordine in questo dibattito impone, in primo
luogo, di affrontare una riflessione sulla categoria di sovranita` e di
valutarne le trasformazioni storiche. Su questa base si trattera`, in un
secondo momento, di distinguere la fine della sovranita` come contenuto concettuale della metafora neo-medievale da contenuti concettuali diversi connessi, invece, a quella di impero per poi valutare
quali siano i fenomeni politici del mondo contemporaneo ai quali la
metafora neo-medievale possa applicarsi. La mia tesi e` che il New
Medievalism in quanto metafora di un mondo post-sovrano
possa essere impiegato in modo pertinente, anche se non pienamente adeguato, soltanto in relazione agli assetti politici dellUe.
Partendo da una definizione il piu` possibile univoca della crisi della
sovranita`, si trattera` poi di liberare il ricorso analitico-descrittivo al
New Medievalism da implicazioni e significati che non sono concettualmente inseparabili dalla metafora, ma che il dibattito ha finito
per associare strettamente ad essa.

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3.

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La sovranita` protomoderna.

Una delle principali difficolta` per una definizione del concetto


di sovranita` e` legata alla pluralita` delle versioni che ne sono state
fornite e alle profonde trasformazioni che questa nozione ha subito
nel corso della modernita`. La mia strategia argomentativa sara` quella
di caratterizzare, in prima istanza, il concetto protomoderno di
sovranita` e, dopo averne tracciato sommariamente le metamorfosi,
isolarne le invarianze, e valutare se le forme di organizzazione del
potere politico nel mondo generalmente inteso o in alcune parti
con caratteristiche peculiari ne impongano il superamento e
labbandono.
La sovranita` e`, innanzitutto, una categoria con cui si intende
significare non semplicemente la titolarita` di un potere di decisione
legittimo, ma una determinata forma di organizzazione del potere
politico e una prevalente e idealtipica modalita` di esercizio
(modus operandi). Partendo da questa distinzione, e assumendo
come paradigmatica della versione protomoderna della sovranita`
limmagine elaboratane da Thomas Hobbes, ritengo sia possibile
descrivere la specificita` della forma sovrana di organizzazione del
potere politico specificando cinque diverse accezioni in cui essa puo`
dirsi assoluta.
La sovranita` e` assoluta, in primo luogo, nel senso della monopolizzazione della forza fisica legittima allinterno di un determinato
territorio. Questo implica lo scioglimento di qualsiasi condivisione
della legittimita` di ricorrere alluso della forza con altri poteri sia
interni, sia esterni ai confini dello spazio politico. Sovrano e` quel
potere politico che allinterno di un determinato territorio non
spartisce con nessuna altra autorita` ne interna, ne esterna ai
confini dello Stato la possibilita` di ricorrere legittimamente
alluso della forza a garanzia degli ordinamenti. La sovranita` realizza
un prosciugamento assoluto delle fonti della legittimita`: il suo
carattere superiorem non recognoscens ne garantisce lindipendenza
di diritto rispetto ad altri poteri politici esterni, mentre il suo
carattere di summa potestas indica lassenza di poteri che allinterno
del territorio detengano autonomamente un potere legittimo di
decisione politica. La sovranita` e` la detenzione in forma esclusiva
della capacita` legittima di ricorrere al mezzo che rende politica una

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autorita`: la forza. Un potere e` sovrano quando e` la fonte esclusiva


del comando politico, quando nessuno allinterno o allesterno di un
dato territorio puo` rivendicare legittimamente il diritto di comandare (politicamente) o di determinare (politicamente) la validita` di
un ordinamento. Sovrano e`, dunque, chi non deve coesistere nellesercizio del potere politico con nessunaltra autorita` che sia
legittimamente autonoma o indipendente.
La sovranita` moderna segna, dunque, il debutto della territorialita` esclusiva. Quello che distingue la sovranita` da altre forme di
organizzazione del potere politico non e` ladozione dello spazio
come forma della validita` degli ordinamenti, ma la sua torsione in
direzione dellesclusivita` del suo riempimento politico, del carattere
monopolistico della legittimita` politica (15). La proiezione spaziale
della validita` degli ordinamenti costituisce, infatti, la forma generale
astratta dellesistenza autonoma e ordinata di un corpo politico, la
conditio sine qua non della sua esistenza: una sorta di requisito
ontologico minimo. I gruppi politici possedevano anche nel mondo
feudale una delimitazione di tipo spaziale, ma su di uno stesso
territorio insistevano una pluralita` di soggetti politici differenziati per
contenuti e per funzioni: un solo gruppo per una sola funzione;
molteplici gruppi per molteplici funzioni. Il tratto caratteristico della
spazialita` premoderna non e` lassenza del principio di territorialita`,
ma la coesistenza di una pluralita` di autorita` e di poteri politici.
Viceversa, cio` che definisce lo Stato come forma moderna della
comunita` politica e` lavere prosciugato la societa` dalla pluralita` delle
autorita` che potevano esercitare con diritto la coercizione fisica.
Lo spazio politico della sovranita` e` lo spazio omogeneo di un
controllo politico che non ammette smagliature o eccezioni.
Nella sua fisionomia originaria la sovranita` e`, in secondo luogo,
una forma di organizzazione del potere politico assolutamente mo(15) Su questo aspetto particolarmente interessante e` il saggio di J.G. RUGGIE,
Territoriality and beyond: Problematizing Modernity in International Relations, in International Organization, n. 1, XLVII (1993), in particolare pp. 148-9 anche se non mi
sembra condivisibile la tesi dellesistenza di comunita` politiche a carattere non territoriale. Ancora piu` discutibile laffermazione di Kobrin circa la non territorialita` dei modi
di organizzazione politica premoderni: cfr. S.J. KOBRIN, Neomedievalism and the Postmodern Digital World Economy, in PRAKASH ASEEM, HART JEFFREY A. (eds.), Globalization
and Governance, Routledge, London 1999, p. 167.

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nolitica. Nella versione protomoderna sovranita` e divisione dei


poteri sono termini inconciliabili e antitetici. Lesclusivita` si declina,
dunque, non soltanto spazialmente, ma anche funzionalmente: un
solo potere politico una sola autorita` legittimata a ricorrere alla
forza significa non soltanto saturazione dello spazio, ma anche
assoluta indivisibilita`, compattezza e coesione delle funzioni. La
totalita` delle funzioni sovrane e` concentrata in un unico detentore:
lunicita` del potere politico allinterno di un dato territorio implica
limpossibilita` di una suddivisione delle funzioni politiche essenziali
alla creazione e alla conservazione dellordine fra una pluralita` di
soggetti.
Se la sovranita` delle origini esclude la condivisione del potere
politico con altre autorita`, questo riguarda non soltanto la coesistenza con poteri concorrenti (interni o esterni al territorio), o la
suddivisione delle funzioni politiche fondamentali fra differenti
autorita` centrali, ma anche la frammentazione dei poteri sovrani su
base territoriale. Divisione dei poteri e federalismo sono ugualmente
estranei alla sovranita` protomoderna. Lo scandalo dei corpi intermedi riguarda anche i corpi intermedi a carattere territoriale, vale a
dire qualunque forma, per quanto attenuata, di federalismo o di
decentramento dei poteri. Lattribuzione di alcuni poteri politici ad
entita` territoriali diverse da quella sovrana e` decisamente esclusa in
una dottrina della sovranita` come quella hobbesiana ossessionata
dallequazione fra pluralita` e fragilita`.
Lassolutezza della sovranita` si declina, in quarto luogo, nel suo
essere legibus soluta. Le norme da cui si definisce legittimamente
indipendente non sono soltanto quelle poste da autorita` altre in
senso estremamente lato, ma anche quelle eventualmente poste in
passato dal titolare della sovranita`. Lassenza di vincoli legittimi
allesercizio del potere si estende anche ai vincoli costituiti dalle
decisioni pregresse di chi detiene la sovranita`. La sovranita` non e`
obbligata alla fedelta` a se stessa, il sovrano non puo` essere obbligato
neppure a se stesso. Lincondizionatezza e lindipendenza radicale
della prima sovranita` si traducono nella liberta` anche rispetto alle
norme precedentemente poste dal medesimo sovrano.
Questa assenza di vincoli legittimi siano essi dovuti alla
dipendenza da autorita` politiche esterne, alla compresenza di altre
autorita` legittime allinterno (corpi intermedi eventualmente anche

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a carattere territoriale), o alla suddivisione funzionale della sovranita` (divisione dei poteri) si completa, infine, nella mancanza di
qualsiasi forma di controllo o di legittimo condizionamento da
parte di coloro che al sovrano si sono sottomessi con il patto
istitutivo. Il titolare della sovranita` e` escluso dal patto, non e` parte
contraente, e la sua autorizzazione da parte degli individui non
configura nessuna limitazione politica legittima del suo operato. Il
singolo suddito puo` legittimamente opporsi ad uneventuale punizione, ma la legittimita` di questa resistenza si scontra con il diritto
del sovrano di punirlo e soprattutto con lobbligazione degli altri
sudditi allobbedienza. Il paradigma contrattualista si declina cos`
nellassoluta mancanza di qualsiasi potere legittimo dei sudditi nei
confronti del sovrano.
Oltre a questa forma del potere politico (forma essenzialmente
giuridicizzata e comunque relativa allarticolazione del potere politico legittimo), la nozione di sovranita` indica, tuttavia, anche un
modus operandi, una modalita` prevalente o idealtipicamente
ricostruita del funzionamento del potere politico nella forma
della sovranita`. In altri termini, mentre la sovranita` come forma di
organizzazione del potere politico individua la forma dellindipendenza legittima, il modus operandi si riferisce al modo in cui idealtipicamente tale indipendenza dovrebbe manifestarsi nella condotta
del potere sovrano sia allinterno che allesterno del proprio territorio. Non si tratta qui del modo in cui un determinato potere e`
legittimato a comportarsi, ma del modo in cui effettivamente si
comporta, o si comporta di norma o dovrebbe comportarsi coerentemente con lasserita-riconosciuta indipendenza del proprio ordinamento (16).
Lidea dellassenza di una subordinazione legittima ad un altro
potere politico si e` intrecciata fin dallinizio della storia concettuale
della sovranita` con lindicazione del modo di agire che sarebbe
(16) Per questa distinzione cfr. tra gli altri R.O. KEOHANE, Hobbess Dilemma and
Institutional Change in World Politics: Sovereignty in International Society, in HANSHENRIK HOLM, GEORG SRENSEN (eds.), Whose World Order? Uneven Globalization and
the End of the Cold War, Westview Press, Boulder 1995, in particolare pp. 175-7, ma
anche D. HELD, Democracy, the Nation State, and the Global System, in Economy and
Society, n. 2, XXIX (1991), in particolare pp. 150-1, e R. JACKSON, Introduction:
Sovereignty at the Millennium, in Political Studies, n. 2, XLVII (1999), p. 424.

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proprio o tipico di un potere politico sovrano: lautonomia e luguaglianza nei rapporti con gli altri attori politici sullo scenario internazionale, e la completezza del controllo, la capacita` effettiva di
governo politico verso linterno, nei confronti della totalita` dei
fenomeni sociali che avevano luogo in un determinato territorio. La
titolarita` di un potere assoluto allinterno e indipendente allesterno
si e` cioe` declinata fin dallinizio nella teorizzazione di una condotta
che si presentava come la proiezione fattuale adeguata di una
nozione relativa alla legittimita`.
Lo Stato moderno in senso pieno intreccia la propria indipendenza giuridica con la propria capacita` di stare in modo autonomo
sulla scena internazionale. La capacita` di decidere autonomamente
in ambito internazionale viene vista come il correlato normativo
della indipendenza giuridica. E` Stato in senso forte soltanto quellentita` politica che dalla propria forma di organizzazione politica, fa
discendere un modo di stare in mezzo agli altri stati coerente con la
sua indipendenza giuridica.
Ma oltre che dallautonomia in ambito internazionale, il modo
di agire dello Stato sovrano della prima modernita` e` caratterizzato
anche dalla tendenziale completezza del controllo politico. Per
produrre ordine il comando del sovrano non deve avere smagliature,
non deve conoscere zone dombra o di dubbia efficacia. La sovranita`
delle origini interpreta il proprio ruolo in termini di esercizio di un
controllo pervasivo che raggiunge anche le forme del culto e la
professione di fede appunto secondo la logica cuius regio eius
religio.
Presupposto della pervasivita` di questo controllo e` non soltanto
la capacita` della politica di controllare linsieme dei fenomeni sociali,
ma anche la convinzione della sua autonomia. Le decisioni del
sovrano sono indifferenti a qualsiasi logica che non sia quella
politica, e non possono incontrare in linea di principio in caso di
un perfetto funzionamento del meccanismo statuale nessuna
resistenza efficace ne da parte dei cittadini, ne da parte di altri
soggetti sociali. La volonta` politica del sovrano si trasmette in modo
lineare e diretto allintera societa` informando di se la condotta dei
cittadini.

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4.

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Sovranita`: evoluzione e persistenza.

La storia della sovranita` e` storia di un debutto assoluto (17) e di


un lento e graduale addomesticamento e imbrigliamento nel progredire della modernita`. Nata come categoria portante di una modalita`
essenzialmente politica di produzione dellordine, la sovranita` deriva
la propria assolutezza da una concezione antropologica che esaspera
il carattere polemogeno dellindividuo moderno. La sovranita` deve
essere assoluta perche gli individui sono recalcitranti allordine,
perche comportamenti pacifici sono in contrasto con la propensione
degli individui a sfruttare tutte le smagliature del comando politico
come occasioni per attivare comportamenti conflittuali e violenti.
Lossessione hobbesiana per il carattere assoluto e monolitico della
sovranita` e` legata alla sua visione del carattere contro-natura dellordine.
A fronte di questo debutto, la parabola evolutiva della sovranita`
e` scandita da un processo di de-assolutizzazione che procede lungo
quattro linee guida: giuridicizzazione, divisione dei poteri, articolazione spaziale (federalismo), democratizzazione (18). A questa trasformazione del concetto, della natura della sovranita` e delle sue
caratteristiche definitorie corrisponde una altrettanto radicale trasformazione della sua modalita` di esercizio.
La storia della sovranita` e`, in primo luogo, storia del suo incatenamento giuridico, del suo venir ricondotta alla legge come sua
misura e limite allo scopo di limitarne il carattere arbitrario. La rimozione della sua natura legibus soluta non consiste soltanto nella
limitazione della discrezionalita` assoluta di un potere che non e` sottoposto neppure al vincolo di una decisione pregressa, ma si muove
anche in direzione della traduzione giuspositiva dellidea che si
afferma con Locke che i diritti naturali costituiscono il fine e per
cio` stesso anche il limite del potere politico. Il percorso della sovranita`
moderna e`, infatti, anche quello della sua limitazione propriamente
(17) Su questo aspetto cfr. B. DE GIOVANNI, Lambigua potenza dellEuropa, Guida,
Napoli 2002, p. 39 e G. MARRAMAO, Dopo il Leviatano. Individuo e comunita`, Giappichelli, Torino 2000, pp. 300-1.
(18) Per una ricostruzione del percorso della sovranita` nei termini di un inizio
assoluto e di una successiva mitigazione cfr. M. REVELLI, La sinistra sociale. Oltre la civilta`
del lavoro, Bollati Boringhieri, Torino 1997, pp. 103-4.

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liberale in virtu` dellindividuazione di un nucleo di liberta` negative che


rappresentano qualcosa di indisponibile per la decisione sovrana.
De-assolutizzazione della sovranita` significa, in secondo luogo,
una divisione dei poteri che la definiscono fra una pluralita` di
attori-titolari almeno parzialmente autonomi. In linea con lincatenamento giuridico si fa strada anche una articolazione della sovranita` che delimita le diverse competenze, le separa e rende possibili
forme di controllo reciproco fra detentori di funzioni essenziali per
lordine politico. E` lidea che oltre alla limitazione strettamente
giuridica sia praticabile e auspicabile una limitazione legata
alla pluralita` degli attori e al loro bilanciamento reciproco.
Forma particolare di questa scomposizione della sovranita` e` la
sua distribuzione territoriale, ovvero il suo articolarsi nel variegato
insieme di assetti federali. La linea della scomposizione, del bilanciamento e del reciproco controllo trova qui una mediazione di tipo
territoriale. La dinamica fra potere federale e poteri locali raddoppia
leffetto di bilanciamento fra i poteri realizzato dalla loro divisione in
poteri almeno parzialmente autonomi, inserendo una diversificazione, una discontinuita` territoriale allinterno dello spazio sovrano.
Funzioni tipiche del potere politico sono cos` divise non soltanto fra
attori diversi, ma anche fra entita` territoriali diverse.
Di questo itinerario moderno di de-assolutizzazione della sovranita` fa parte, infine, anche la sua riappropriazione democratica, la
riconduzione del potere sovrano sotto il controllo dei cittadini. Si
tratta di un processo piu` ambiguo dei precedenti che illustra efficacemente il rapporto concettualmente problematico fra liberalismo e
democrazia. In questo caso, infatti, la rimozione della separatezza e
dellassoluta indipendenza della sovranita` politica protomoderna non
intrattiene un rapporto necessario con la sua mitigazione liberale. I
processi di democratizzazione hanno operato una ridefinizione del
carattere intangibile della sovranita`, della sua estraneita`-indifferenza
alla volonta` dei cittadini, ma non rendono concettualmente inevitabile
il riproporsi assoluto della sovranita` nella sua forma popolare.
La modernita` ha, inoltre, operato una ridefinizione sempre piu`
profonda della concreta modalita` di esercizio della sovranita`, in
primis della sua pretesa di completezza ed esaustivita`. Concepita
originariamente come strumento di un ordine non-naturale, se non
addirittura contro-natura, la sovranita` si caratterizzava per lestrema

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ampiezza della sua funzione regolativa, unampiezza che tendeva a


coincidere con ogni forma di agire sociale. La tendenza della modernita` e` viceversa quella alla riduzione della estensione della sovranita`: la politica moderna tende a liberare settori sempre piu` ampi di
agire sociale dai vincoli normativi imposti dalla sovranita`. La sovranita` e la politica si riducono e si concentrano nei punti decisivi per
la produzione e la riproduzione dellordine, lasciando spazi sempre
piu` ampi alla liberta` di agire dei cittadini. E` la storia della tolleranza
e della privatizzazione di questioni un tempo pubbliche. Luso della
sovranita` politica tende a mutare in direzione della crescente limitazione dei settori su cui interviene la decisione politica che rende
cos` disponibili per la discrezionalita` privata ambiti di agire sociale
prima ritenuti di rilevanza pubblica.
La seconda trasformazione del modo concreto di esercizio della
sovranita` avviene in direzione della crescente limitazione della sua
autonomia a partire dallo sviluppo di una rete sempre piu` fitta di
interdipendenze. Anche se il modello di Stati pressappoco uguali e
autonomi e` sempre stato piu` un modello teorico che una realta`
pratica, e anche se la storia della politica internazionale della modernita` occidentale e` stata piuttosto storia di rapporti tra diseguali
che intrecciavano indipendenza giuridica e condizionamento di fatto
delle scelte dei deboli da parte dei piu` forti, il fenomeno nuovo che
e` venuto via via emergendo e` quello di una crescente interdipendenza generalizzata che toglie sempre piu` spazio ad una capacita` di
decisione autonoma che abbia anche i requisiti dellefficacia.
Infine, sempre piu` incerto diventa il carattere politico della sovranita`, sia nel senso della presenza crescente di apparati burocratici
che limitano di fatto la capacita` politica di governo dei fenomeni sociali
la burocrazia di Max Weber , ma anche nel senso di una perdita
di centralita` del sottosistema politico (Luhmann) e di una sua subordinazione di fatto alle logiche di altri sottosistemi, in particolare alla
logica delleconomia. Qui la metamorfosi, prima, e la crisi, poi, della
sovranita` si radicano negli effetti di lungo periodo delle trasformazioni
antropologiche che segnano la tarda modernita`, e su cui non possiamo
soffermarci in questa sede (19).
(19) Sul rapporto fra sovranita` e costituzione antropologica dellindividuo moderno cfr. D. DANDREA, Prigionieri della modernita`. Individuo e politica nellepoca della

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Malgrado la profondita` delle trasformazioni della sovranita` sia


dal punto di vista concettuale, sia da quello del suo modo di operare,
il pensiero politico moderno e` stato almeno fino alla meta` del secolo
scorso un pensiero della sovranita`. Per rendere ragione di questa
centralita` occorre brevemente discutere due questioni: la prima
riguarda il ruolo della modalita` di esercizio nella definizione della
sovranita`; la seconda i caratteri persistenti che al di la` delle metamorfosi persistono nel concetto di sovranita`.
La sovranita`, in quanto forma specifica di organizzazione del
potere politico, si definisce a prescindere dal modo in cui il potere
politico viene esercitato perche la sua semantica si dispone sul piano
della validita` e non su quello delleffettivita`: individua cioe` la forma
di organizzazione legittima declinata essenzialmente in modo
giuridico dellesercizio della forza allinterno di un determinato
territorio. Sovraccaricare il concetto di sovranita` del riferimento alla
modalita` effettiva con cui il potere politico viene esercitato allinterno o allesterno significa non soltanto introdurre il riferimento ad
elementi difficilmente valutabili e ad una soglia di autonomia
difficilmente individuabile , ma anche sminuire il significato della
distinzione fondamentale fra autonomia fattuale e indipendenza
legittima, o, se si preferisce, fra potenza e potere, fra rapporti di
influenza e condizionamento piu` o meno reciproco e rapporti di
obbligazione legittima. Pretendere che nella definizione di sovranita`
entri a pieno titolo il riferimento al modo in cui il potere sovrano
viene esercitato sarebbe come pretendere il libero arbitrio per
riconoscere la nostra titolarita` a decidere cio` che e` bene o meglio per
noi.
Laltra questione e`, invece, quella a mio avviso decisiva. Esiste
nella nozione di sovranita` un nucleo concettuale costante e persistente nonostante tutte le trasformazioni che questo concetto ha
sub`to? La mia risposta e` senzaltro positiva, e gli elementi che
giustificano la persistenza di questo concetto nella modernita` ma
anche, come vedremo, la sua difficile riproponibilita` in alcuni contesti e` legata a tre aspetti.
Il primo e` costituito dalla antitesi fra la spazialita` sovrana e una
globalizzazione, in D. DANDREA, E. PULCINI, (a cura di), Filosofie della globalizzazione,
ETS, Pisa 2001, pp. 41-9.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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spazialita` politica a geometria variabile. Per quanto articolato anche


spazialmente, il potere sovrano mantiene sempre una rigida demarcazione interno-esterno: il confine esterno dello Stato rappresenta il
margine allinterno del quale si dispongono tutte le funzioni sovrane.
Le funzioni cardine del governo politico insistono su un territorio
che puo` essere articolato soltanto allinterno, ma che in nessun modo
accomuna lo Stato ad altri soggetti politici o che vede parti del
territorio sottratte allesercizio di alcune funzioni. Anche nella sua
versione federale la sovranita` dello Stato e` articolata al massimo su
due livelli, e quello interno e` rigorosamente distinto dallesterno nel
senso che non e` sottoposto ad alcuna istanza legittima situata al di la`
del confine federale che e` identico per tutte le competenze non
attribuite ai poteri locali.
Il secondo elemento costante nella teoria della sovranita` e`
costituito dal carattere chiaramente gerarchizzato dei poteri titolari
delle funzioni politiche fondamentali. Allunicita`-rigidita` del confine
interno-esterno corrisponde il carattere gerarchizzato delle funzioni
politiche sovrane. La dislocazione delle diverse funzioni del potere
politico allinterno del confine dello Stato si traduce in un sistema
ordinato e gerarchizzato in cui e` sempre formalmente riconoscibile
il titolare della sovranita`.
Il terzo elemento persistente della sovranita` e` costituito dalla
coincidenza fra chi detiene la capacita` di decidere politicamente in
modo legittimo e chi detiene in modo monopolistico la capacita` di
ricorrere legittimamente alla violenza. Lo Stato sovrano e` lentita`
politica che detiene in modo monopolistico la possibilita` di ricorrere
in modo legittimo alluso della forza e che deriva da questo monopolio il proprio carattere di unico decisore legittimo allinterno di un
certo territorio. Anche dove non si lascia ridurre alla monolitica
concentrazione hobbesiana, lo spazio politico sovrano e`, comunque,
sempre uno spazio chiuso, chiaramente gerarchizzato, monopolizzato da un detentore della forza fisica legittima che e` anche titolare
della legittimita` politica a decidere.
5.

Medioevo o Impero: quale metafora per leta` globale?

Anche se la Guerra fredda aveva gia` suscitato con le dottrine


della sovranita` limitata forti perplessita` sulla utilizzabilita` del

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concetto di sovranita`, le sfide globali (20), la rapida progressione


della globalizzazione economica, tecnologica e comunicativa, il
crollo del muro di Berlino hanno costituito un incentivo potente al
ripensamento della politica mondiale alla luce di un superamento
della categoria di sovranita`. E` indubbio, infatti, che gli anni che ci
separano dal crollo del muro di Berlino abbiano visto una potente
accelerazione ed intensificazione dei processi di unificazione economica, tecnologica e comunicativa del pianeta, un vertiginoso incremento degli attori politici non statuali dalle organizzazioni internazionali alle organizzazioni non governative. Sulla scia di Bull, la
crescente interdipendenza economica, lintensificazione della cooperazione tra gli Stati ed il connesso sviluppo delle organizzazioni
internazionali, il sorgere di organizzazioni regionali, lo sviluppo di
forme embrionali di societa` civile globale intorno alle organizzazioni
non governative costituiscono appunto i fenomeni piu` spesso invocati dai sostenitori della tesi neo-medievalista (21).
In questa prospettiva, lanalogia neo-medievale funge da paradigma per la politica mondiale, viene utilizzata, cioe`, per significare
un generalizzato superamento, o una generalizzata tendenza al superamento, della forma sovrana degli attori politici. Kobrin, ad
esempio, lega la crisi della territorialita` esclusiva della sovranita` alle
conseguenze integranti della crescente finanziarizzazione e digitalizzazione del commercio e della finanza, allemergere di uneconomia
mondiale incentrata sulle reti, allincremento della complessita` e
delle dimensioni di scala delle tecnologie, al formarsi di e lites
transnazionali (22). Per Friedrichs il ricorso alla metafora neo-medievale costituisce una valida alternativa teorica al paradigma della
globalizzazione perche consente di evidenziare lesistenza degli ele(20) Sulla nozione di sfide globali, nella sua specifica diversita` da quella di
globalizzazione cfr. F. CERUTTI, Sfide globali e istituzioni sovranazionali, in Discipline
filosofiche, n. 2, (1995) V, n.s., pp. 75-96 e IDEM, Le sfide globali e lesito della modernita`,
in D. DANDREA, E. PULCINI, (a cura di), Filosofie della globalizzazione, ETS, Pisa 2001.
(21) Per una discussione critica del ruolo attribuito allo sviluppo delle ONG nella
tesi di un nuovo medioevo cfr. R. GILPIN, Attori nelleconomia globale, in E. BATINI,
R. RAGIONIERI, (a cura di), Culture e conflitti nella globalizzazione, Olschki, Firenze 2002,
pp. 54-9.
(22) Cfr. S.J. KOBRIN, Neomedievalism and the Postmodern Digital World Economy, cit., pp. 175-83.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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menti universalistici che, sia pure in competizione tra loro, bilanciano le forze frammentanti della globalizzazione: il sistema internazionale degli Stati e leconomia transnazionale di mercato (23).
Questi due sostituti funzionali della Chiesa e dellImpero medievali
hanno i loro portatori nella e lite manageriale transnazionale e nei
policy-makers e i burocrati delle organizzazioni internazionali. David
Held insiste, invece, sia pure allinterno di un discorso che non sposa
interamente la tesi neo-medievalista (24), sul ruolo di quattro fattori:
la globalizzazione economica, il ruolo delle organizzazioni internazionali e delle organizzazioni non governative, lo sviluppo del diritto
internazionale, la politica di sicurezza sempre piu` legata allappartenenza a blocchi.
Il limite fondamentale di questo tipo di argomenti consiste nel
non tenere ferma la distinzione fra la dimensione de jure e quella de
facto della sovranita`, o fra indipendenza e autonomia. Generalmente
riferita alla politica mondiale, la metafora del New Medievalism puo`
essere legittimata soltanto da processi che mettono sicuramente in
discussione lautonomia degli Stati nazionali, ma che sono insufficienti di per se a giustificare il superamento di una nozione che ha
il suo cuore nellindipendenza giuridicamente sancita dellinsieme
del potere politico su di un dato territorio. Proprio su questa base
Keohane ha proposto di parlare non di un superamento della
sovranita`, ma di una ridefinizione del suo ruolo nellambiente internazionale, insistendo sulla sua funzione di risorsa per la contrattazione: What sovereignty does confer on states under conditions of
complex interdependence is legal authority that can either be exercised to the detriment of other states interests or be bargained away
in return for influence over others policies and therefore greater
gains from exchange. Rather than connoting the exercise of supremacy within a given territory, sovereignty provides the state with a
legal grip on an aspect of a transnational process, whether involving
multinational investment, the worlds ecology, or the movement of
migrants, drugs dealers, and terrorists. Sovereignty is less a territo(23) Cfr. J. FRIEDRICHS, The Meaning of New Medievalism, cit., pp. 479-81 e
486-93.
(24) Cfr. D. HELD, Democracy, the Nation State, and the Global System, cit., in
particolare pp. 150-7.

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rially defined barrier than a bargaining resource for a politics


characterised by complex transnational networks. [] I suggest,
therefore, that within the OECD area the principle and practice of
sovereignty are being modified quite dramatically in response to
changes in international interdependence and the character of international institutions (25). La sovranita` e` non piu` titolarita` di un
potere autonomo e autosufficiente, ma possesso di una risorsa di
decisione politica che ha una destinazione costitutivamente internazionale: e` risorsa destinata ad essere spesa in contrattazioni internazionali, anziche potesta` monologica in ambito nazionale. La crisi
dello Stato-nazione si traduce in generale nella ridefinizione del
modus operandi della sovranita`, piu` che in un suo superamento tout
court.
Il ricorso alla metafora medievale per la descrizione dei caratteri
della politica internazionale trascura il fatto decisivo che il proliferare delle organizzazioni internazionali, delle organizzazioni non
governative, dellinterdipendenza economica e non solo limita drasticamente lautonomia degli Stati, ma non ne intacca di per se la
sovranita`, non ne erode lindipendenza giuridica: trasforma il modo
in cui gli Stati agiscono nellambiente internazionale, ma non ne
trasforma la natura.
La metafora medievale applicata in modo generalizzato allinsieme delle relazioni politiche internazionali trascura il peso della
cifra giuridica, formale della legittimita` della titolarita` della
decisione politica. Questo vale anche per quelle interpretazioni che
del panorama medievale hanno valorizzato la struttura imperiale,
piuttosto che quella del policentrico convivere di autorita` multiple
non gerarchizzate. Non e` rilevante discutere in questo contesto
quale versione abbia migliori argomenti dal punto di vista storico,
quanto sottolineare come a partire dallinizio degli anni Novanta si
sia affacciata una declinazione della metafora neo-medievale in una
direzione diversa da quella messa a fuoco da Bull e centrata sulla
valorizzazione della struttura imperiale: una interpretazione spesso
tematicamente pensata in alternativa o addirittura in contrasto con la
tesi medievale. Punto discriminante fra le due letture e ragione del
(25) R.O. KEOHANE, Hobbess Dilemma and Institutional Change in World Politics:
Sovereignty in International Society, cit., p. 177.

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(2002)

successo della metafore imperiali e` la sottolineatura della questione del centro: il ricorso allimpero come metafora per le relazioni
internazionali trova le sue migliori ragioni in una analisi che insiste sul
carattere comunque gerarchico dei rapporti tra gli attori politici a
carattere territoriale. Il mondo post-vestfaliano e post-Guerra fredda
sarebbe un mondo organizzato intorno a centri o ad un centro a
seconda delle versioni , e quindi piu` o meno fortemente gerarchizzato. In questa prospettiva il limite della metafora neo-medievale sarebbe proprio la sua assenza di un centro, limpossibilita` di restituire
concettualmente lesistenza di una gerarchia.
La fine della Guerra fredda con la sopravvivenza di ununica
superpotenza e la virata unipolarista dellamministrazione Bush
specialmente dopo l11 settembre hanno poi fornito buoni argomenti a sostegno della tesi dellimpero (americano) come categoria
capace di restituire lattuale organizzazione del sistema politico
internazionale (26). Anche se in questa accezione limpero di riferimento non e` piu` quello cristiano-medievale ma quello romano, la
tesi almeno in parte normativa dellimpero americano come
forma del sistema internazionale insiste sia sul carattere post-sovrano
degli assetti politici contemporanei, sia sulla capacita` degli Stati
Uniti di interpretare anche le funzioni integrative tipiche delluniversalismo del Papato medievale: [...] lAmerica incarna e produce
tanto i valori del potere imperiale, quanto quelli dellautorita` papale:
e se il potere e` rimasto nellassenza sempre uguale a se stesso (sia pur
costituzionalizzato nelle modalita` desercizio), lautorita` sembra invece essersi traslata dallarea della fede religiosa a quella della fede
nelleconomia di mercato. [...] I valori del liberalismo politico,
dellistituzionalismo democratico e di un liberismo economico piu` o
meno temperato sembrano potersi ben dire i valori comuni allinterno dellegemonia americana (27). Il ricorso esplicito alla distinzione proposta da M.W. Doyle fra impero formale e impero informale (28) rende comunque evidente che lefficacia descrittiva della
metafora imperiale e` condizionata alla plausibilita` di una messa tra
(26)
politica,
(27)
(28)

V.E. PARSI, LImpero come fato? Gli Stati uniti e lordine globale, in Filosofia
n. 1, XVI (2002), pp. 83-113.
Ivi, p. 86.
Cfr. M.W. DOYLE, Empires, Cornell University Press, Ithaca 1986, p. 135.

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parentesi della distinzione fra egemonia e dominio, fra subalternita`soggezione e obbligazione. Soltanto se la distinzione fra la dipendenza giuridico-legale e la dipendenza politica di fatto perde la sua
rilevanza la tesi dellimpero come metafora della politica mondiale
acquista plausibilita`.
6.

UnEuropa neo-medievale?

Linsistenza sulla natura giuridico-legale dellindipendenza


come elemento decisivo per la discussione sul destino della sovranita`
consente di cogliere la differenza decisiva fra i processi di internazionalizzazione della sovranita` di un suo funzionamento come
risorsa di contrattazione in ambiente internazionale diffusi in
tutto il mondo e lo scenario a tuttoggi unico che viene invece offerto
dallUe. Nel caso dellUnione europea siamo infatti di fronte non ad
una semplice trasformazione della sovranita`, del suo modus operandi
a seguito di condizioni di interdipendenza e di complessita`, ma ad
un suo superamento (29). Lassetto istituzionale dellUe infrange,
infatti, almeno tre capisaldi dellorganizzazione sovrana dello spazio
politico. In primo luogo, gli Stati-nazione europei hanno concesso
allUnione poteri sovrani soltanto in alcune materie, conservando nel
contempo saldamente nelle proprie mani altri poteri tipici della
sovranita`. Non si tratta semplicemente di un diverso uso della
propria sovranita`, ma della sua scomposizione, attraverso lattribuzione del potere legittimo di decidere su alcune materie ad un potere
pienamente sovranazionale, senza che questo comporti la formazione di uno Stato che possieda tutti i poteri tipici della sovranita`.
Oltre a cio` in alcuni casi (devolution britannica, Catalogna) una
parte delle funzioni sovrane e` stata trasferita ad entita` politiche
subnazionali le quali esercitano le proprie competenze di concerto
con le istituzioni dellUnione scavalcando la mediazione statuale
, oppure definiscono le proprie policies (soprattutto in ambito
(29) Sulla possibilita` di cogliere la specifica natura dello spazio politico dellUe
soltanto a condizione di rinunciare al ricorso alla categoria di sovranita` cfr. B. BADIE, Un
monde sans souverainete . Les E tats entre ruse et responsabilite , Fayard, Paris 1999; trad.
it. Il mondo senza sovranita`. Gli stati tra astuzia e responsabilita`, Asterios, Trieste 2000,
pp. 18-9.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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economico) trattando direttamente con altri soggetti substatuali


allinterno dellUnione, ma al di la` dei confini e in sostanziale
autonomia rispetto al controllo dello Stato nazionale. Siamo, dunque, di fronte ad una vera e propria dispersione dei poteri sovrani
fra attori politici non gerarchizzati, e disposti in modo non coerente
rispetto al confine interno-esterno (30).
Il secondo aspetto significativo e` il carattere variabile degli spazi
su cui si esercitano i vari poteri fuoriusciti dalla cornice dello Stato
nazionale. Non ce` omogeneita` fra gli spazi disegnati dai vari poteri
sovranazionali dellUnione (31): lEuropa delleuro, ad esempio, non
coincide con quella dei poteri sovranazionali del primo pilastro. Il
carattere variabile della geometria politica della Comunita`
europea/Ue non e` stato soltanto una caratteristica decisiva del
processo di integrazione (le diverse fasi di adesione alleuro o al
trattato di Schengen) fin qui realizzato (32): prevedibilmente costituira` una costante dellUe anche dopo lallargamento.
Infine, laspetto forse piu` rilevante e` costituito della conservazione del monopolio della forza fisica legittima verso linterno da
parte degli attori statuali anche per lesercizio di quei poteri che
vengono ceduti a entita` politiche sovranazionali e subnazionali. La
questione non e` tanto la disponibilita` della forza verso lesterno, il
carattere civile o meno della potenza Ue (33), quanto piuttosto il
(30) Per questi aspetti della polity europea cfr. A. LORETONI, Per unanalisi critica
della globalizzazione, in B. HENRY, (a cura di), Mondi globali. Identita`, sovranita`, confini,
ETS, Pisa 2000, in particolare p. 83.
(31) Su questo aspetto insiste particolarmente B. Badie, La fin des territoires. Essai
sur le de sordre international et sur lutilite sociale du respect, Fayard, Paris 1995; trad. it.
La fine dei territori, Asterios, Trieste 1996, pp. 200-1.
(32) A questo proposito M. Telo` parla dellopting out, della geometria variabile,
della flessibilita` istituzionale come differenziazioni ormai stabilizzate nellambito del
sistema giuridico europeo. Cfr. M. TELOv , Lo stato e la democrazia internazionale. Il
contributo di N. Bobbio oltre globalismo giuridico e relativismo, in Teoria politica, nn.
2-3, XV (1999), p. 551.
(33) Per linterpretazione dellUnione europea come potenza civile cfr. M. TELOv ,
Lo stato e la democrazia internazionale, cit., e IDEM, LEuropa potenza civile e la
costituzionalizzazione del governo misto, in Filosofia politica, n. 1, XVII (2003), pp.
61-81. Per una ricostruzione del dibattito sullalternativa potenza civile potenza
militare cfr. S. LUCARELLI, La polis europea. Unintroduzione, in IDEM (a cura di), La polis
europea. LUnione Europea oltre leuro, Asterios, Trieste 2003, in particolare pp. 35-9.

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fatto che la capacita` coercitiva rimanga concentrata in forma monopolistica presso gli Stati anche per quei poteri che sono stati trasferiti
ad un piano sovranazionale. Assistiamo, cioe`, al permanere del
carattere monopolistico della capacita` di ricorrere alla violenza
legittima a fronte del disseminarsi dei titolari delle decisioni che da
essa sono, in ultima istanza, garantite. LUe presenta uno scenario
segnato dal divorzio fra detenzione del monopolio della forza fisica
legittima e capacita` di decisione politica: in sostanza dal delinearsi di
poteri incapaci di coercizione e di coercizione senza potere.
Il disperdersi dei poteri sovrani fra attori diversi tra loro non
gerarchizzati e che non insistono sul medesimo territorio (non
possiedono le stesse dimensioni territoriali), il formarsi di poteri
sovranazionali a cui si riconosce autorita` legittima, ma senza disponibilita` di forza fisica legittima, il progressivo erodersi del confine
interno-esterno con regioni che promuovono una loro autonoma
politica estera almeno in alcune materie e non soltanto allinterno
dellUe, la supremazia del diritto comunitario su quello nazionale:
tutto questo configura un corpo politico irriducibile alla categoria di
sovranita` (34).
LUnione non e` un super-Stato, ma non e` nemmeno unorganizzazione internazionale o unarea di libero scambio. La sovranita`
che si perde sul piano nazionale non passa ad alcun nuovo soggetto:
sembra evaporare in una pluralita` di entita` politiche, talora a geometria variabile, nessuna delle quali puo` piu` dirsi sovrana (35). Nei
vari ambiti della vita comunitaria la sovranita` nazionale e` stata
progressivamente erosa, ma non ce` stato un trasferimento delle
sovranita` statali ad un livello superiore, come nel caso degli Stati
federali tradizionali. Al venir meno della sovranita` degli Statinazione non fa riscontro un suo trasferirsi omogeneo e invariato su
scala amplificata, bens` un suo decostruirsi, un suo scomporsi spazialmente e funzionalmente fra entita` politiche che non insistono
nemmeno sullo stesso territorio. Lesito di questo processo non e` la
(34) The European Community is not by any means a sovereign State, although
it is an unprecedented hybrid, for which the traditional conception of sovereignty is no
longer applicable (ROBERT O. KEOHANE, Hobbess Dilemma and Institutional Change in
World Politics: Sovereignty in International Society, cit., p. 175).
(35) G. AMATO, AllEuropa non serve un sovrano, intervista a cura di Barbara
Spinelli su La Stampa, 13 luglio 2000.

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(2002)

fine dei territori o la fine dei confini e della proiezione spaziale del
corpo politico, ma la fine della spazialita` sovrana, della sua natura
gerarchizzata, esclusiva, coerente (36).
E` proprio in riferimento a questa natura ibrida dellEuropa
politica che la metafora neo-medievalista ha rivelato una indubbia
efficacia descrittiva, finendo per costituire una delle categorie ricorrenti nella letteratura sullintegrazione europea (37). Il paradigma del
nuovo medioevo coglie la natura ambigua della polity europea e
consente di esprimere la natura non piu` sovrana dellEuropa politica, scommettendo nel contempo che tale aspetto non sia una
condizione temporanea destinata ad essere superata nel riproporsi di
forme tradizionali di statualita` sovrana (una federazione europea).
LEuropa politica costituisce lunico esempio reale di un fuori della
modernita` politica (38), di una organizzazione del potere politico che
ri-propone il divorzio fra politica e sovranita`, che presenta una
forma non sovrana di organizzazione del potere politico che metaforicamente e` plausibile evocare con il termine New Medievalism.
Nonostante un consenso generalizzato sulla natura definitivamente post-sovrana della polity europea (39), la metafora neo-medievale continua, tuttavia, a suscitare opposizioni e diffidenze. Queste
(36) Sulle trasformazioni del rapporto politica-spazio nellepoca della globalizzazione cfr. D. DANDREA, Globalizzazione o metamorfosi dello spazio. I territori oltre la
modernita`?, in E. BATINI, R. RAGIONIERI, (a cura di), Culture e conflitti nella globalizzazione, Olschki, Firenze 2002.
(37) Fra i molti cfr. in particolare J. ZIELONKA, Enlargement and the Finality of
European Integration, Harvard Jean Monnet Working Paper, Harvard Law School,
Cambridge (Mass.) 2000, in particolare pp. 4-7; O. WAEVER, Imperial Metaphores:
Emerging European Analogies to Pre-Nation-State Imperial Systems, in O. TUNANDER, P.
BAEV, V.I. EINAGEL (eds.), Geopolitics in Post-Wall Europe, Sage, London 1997, S.J.
KOBRIN, Neomedievalism and the Postmodern Digital World Economy, cit., pp. 155 e
172-3.
(38) Sul carattere post-moderno dellentita` politica europea, cfr., tra gli altri, M.
TELOv , Lo stato e la democrazia internazionale, cit., p. 550 e J.G. RUGGIE, Territoriality and
beyond, cit., p. 139, e S. LUCARELLI, La polis europea. Unintroduzione, cit., in particolare
pp. 37-8.
(39) Sul carattere post-sovrano dellUnione europea cfr., tra gli altri, C. GALLI
CARLO, Spazi politici. Leta` moderna e leta` globale, il Mulino, Bologna 2001, in particolare
p. 139, G. MARRAMAO, LEuropa dopo il Leviatano. Unita` e pluralita` nel processo di
costituzionalizzazione, in Teoria politica, n. 2, 2001, in particolare p. 45, B. BADIE, La
fine dei territori, cit., pp. 198 e sgg., e A. BOLAFFI, Il crepuscolo della sovranita`. Filosofia

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non sono dovute esclusivamente alle debolezze del suo carattere


esplicitamente metaforico, o alla dubbia vettorialita` temporale a cui
allude, ma, in questo caso, ad unambiguita` di segno opposto a
quella che ho segnalato in relazione allimpero. Laccusa esplicita
che alcuni rivolgono allipotesi neo-medievale e` di contenere una
velata indicazione normativa in direzione della costruzione di unentita` politica europea con un basso contenuto politico, con un
costitutivo e istituzionalizzato deficit politico (40): What do we
mean by a new, overlapping and fragmented European polity?
According to the new-Medievalist school of thought the European
Union would only become a diplomatic co-ordination of apparently
sovereign Nation-States, occupying territorial spaces but no longer controlling what goes in those spaces. The political authority lost
by Nation-States would not be centralised at supranational level but
would mainly shift elsewhere, towards public and private bodies (41). La posta in gioco e` chiara: e` la soggettivita` politica
dellUnione europea. Nuovo medioevo significherebbe in questa
prospettiva non tanto assenza di governo tout court, ma assenza di
governo politico. Lipotesi neo-medievalista viene accusata di essere
una lettura implicitamente prescrittiva della realta` politica e
istituzionale dellUe che sostanzialmente prefigura un declino se
non proprio una fine della politica, che allude ad un futuro fatto
di entita` politiche sempre piu` deboli e sempre meno capaci di
governare politicamente i processi reali.
Lidea che il New Medievalism implichi una sostanziale assenza
di direzione politica, una mancanza di soggettivita` politica dellentita`
Ue trova sicuramente buoni argomenti nella realta` storica del medioevo cristiano e nelluso della metafora medievale in parte della
letteratura sullintegrazione europea. Tuttavia, non esiste nessun
e politica nella Germania del Novecento, Donzelli, Roma 2002, in particolare pp. IXXIII.
(40) Per una formulazione efficace di questo tipo di critica cfr. A. GAMBLE,
Regional Blocs, World Order and the New Medievalism, cit., in cui pure non si nega in
toto lefficacia descrittiva della metafora, e A. GAMBLE, A. PAYNE (eds.), Regionalism and
World Order, Macmillan, Basingstoke 1996.
(41) M. TELOv , Reconsiderations: Three scenarios, in IDEM (ed.), European Union
and New Regionalism. Regional actors and global governance in a post-hegemonic era,
Ashgate, Aldershot 2001, p. 255.

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legame concettuale fra superamento della sovranita` e declino della


capacita` di governo politico. Decisione-soggettivita` politica e sovranita` non sono ne coincidenti ne reciprocamente implicantesi (42).
Puo` esserci una capacita` di decisione politica legittima anche se il
potere che la esprime non puo` essere definito sovrano. La questione
della politicizzazione dellintegrazione europea non implica la sua
trasformazione in uno Stato federale: ed e` legata essenzialmente al
fatto che mentre alcuni poteri politici sono stati trasferiti ad
autorita` sovranazionali, per di piu` tra loro estremamente diverse
uno specifico potere la titolarita` a decidere in materia di politica
estera e di sicurezza e` rimasto sostanzialmente nelle mani degli
Stati-nazione (43). Listituzionalizzazione di una volonta` unica in
materia di politica estera e di sicurezza comune non configurerebbe
di per se la trasformazione dellEuropa in uno Stato federale, o il
recupero di una dimensione di sovranita`: a maggior ragione se cio`
lEuropa della politica estera comune non dovesse coincidere con
quella delleuro o con quella a sua volta diversa del primo pilastro.
Declino della sovranita` e crisi della dimensione stato-nazionale
convivono con la centralita` della questione delle dimensioni dellattore politico. Con la centralita` della questione di chi decide su cosa.
Il ricorso alla metafora neo-medievale non si accompagna tuttavia soltanto ai rischi connessi alla sua ambiguita`. Un ultimo
problema e` costituito dalla sua incapacita` di restituire due differenze
profonde della realta` politica dellUe dallo scenario medievale. La
prima e` la mancata proliferazione dei centri che aspirano o rivendicano con successo il possesso (sia pure non monopolistico) della
forza fisica legittima. La seconda differenza, strettamente collegata
allaltra, e` lassenza di quella conflittualita` endemica che era stata
(42) Dalla identificazione di sovranita` e politica nasce, invece, lappassionata
difesa della necessita` analitica e prescrittiva della sovranita` dellUnione in B. DE
GIOVANNI, Lambigua potenza dellEuropa, cit., in particolare pp. 149-52 e 164.
(43) Sul ruolo centrale che la capacita` di decidere unitariamente sulla pace e sulla
guerra ha nella definizione della piena capacita` politica di un attore cfr. F. CERUTTI, Peace
and War in the European Conscience, in F. CERUTTI, E. RUDOLPH (eds.), A Soul for Europe,
vol. I, Peeters, Leuven 2001; trad. it. Pace e guerra nella coscienza europea, in F. CERUTTI,
E. RUDOLPH, (a cura di), Unanima per lEuropa. Lessico di unidentita` politica, ETS, Pisa
2002, pp. 151-71.

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DIMITRI DANDREA

107

una delle caratteristiche della politica medievale e tra le ragioni


profonde della sua inadeguatezza funzionale.
La conservazione del monopolio della coercizione fisica legittima si accompagna al suo esercizio in forme e secondo modalita`
sempre piu` eteronome, ma questo divorzio fra capacita` coercitiva e
titolarita` legittima di decisione politica rende visibile il progressivo
tecnicizzarsi dellordine, il suo trasformarsi sempre piu` in qualcosa
di neutro che non viene investito dal conflitto politico. LUe dimostra, dunque, che si puo` avere ordine senza sovranita`, e che la
disseminazione dei poteri politici, in certe condizioni, non genera
conflittualita` violenta. Quella che sembra tramontare e` lidea che la
costruzione e la garanzia dellordine richiedano ancora la compattezza e lampiezza della sovranita` che hanno definito lo Stato moderno: la sovranita` eccede le esigenze di una convivenza ordinata e
pacifica quando la politica cessa di essere il terreno di scontro fra
modalita` opposte di concepire lorganizzazione della societa`.

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GIUSEPPE DUSO

LEUROPA E LA FINE DELLA SOVRANITA


v
1. Il concetto moderno di sovranita`. 2. La logica della sovranita` e la fondazione
dellautorita`. 3. Sovranita` e costituzione. 4. Lo stato costituzionale contemporaneo.
5. Perche guardare alla Politica di Althusius. 6. La difficile comprensione del
presente e il processo di decostituzionalizzazione.

Per pensare i processi in atto che determinano la realta` dellUnione europea, appare necessario uno sforzo di riflessione critica
sui concetti mediante i quali siamo abituati a pensare la politica.
Nellattuale dibattito sono certo presenti concezioni della politica
diverse e a volte anche in conflitto tra loro, ma tuttavia si collocano
tutte allinterno di un orizzonte comune, determinato dalla tendenza
a pensare come indispensabili i concetti che si sono sviluppati
nellalveo della dottrina dello Stato, e che hanno avuto la loro genesi
nel laboratorio teorico costituito dal giusnaturalismo, nel quale di
Stato, in senso concettualmente preciso, non e` in buona parte,
ancora possibile parlare (1). Intendo riferirmi non solo a concetti
politici centrali quali sovranita`, costituzione, popolo, rappresentanza, ma anche a quelli non politici senza i quali questi
concetti specificatamente politici non sarebbero mai nati: individuo,
diritti individuali, uguaglianza, liberta`.
Nel dibattito relativo alla costituzione europea, noti costituzionalisti hanno individuato una difficolta` nel pensare la costituzione
europea a causa del legame che lidea di costituzione ha avuto nella
storia, non solo con la formazione degli stati nazionali, ma anche e
soprattutto con quel modo di pensare la politica che nasce con le
(1) Cfr. a questo proposito la voce Staat und Souvera nita t dei Geschichtliche
Grundbegriffe, Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, Bd. 6,
Klett-Cotta, Stuttgart 1990, sp. la parte scritta da R. Koselleck, Staat im Zeitalter
revolutiona rer Bewegung, pp. 25-64.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

concezioni del contratto sociale, e che ha al suo centro il concetto di


sovranita` e dunque una unita` che si presenta come rottura nei
confronti del pluralismo complesso e, alla luce della nuova razionalita`, caotico, che avrebbe caratterizzato la precedente storia europea (2). Per inquadrare i processi attuali bisogna avere presente la
distinzione tra costituzione e contratto, e cio` e` possibile se si guarda
ad uno scenario piu` ampio di quello che si forma con le dottrine
contrattualistiche moderne, uno scenario in cui la figura del contratto ha una funzione radicalmente diversa che in queste ultime:
non cioe` quella di produrre qualcosa di nuovo il potere politico
facendo scomparire la dimensione propria dei soggetti contraenti, ma piuttosto quella di confermare e rafforzare il ruolo
politico di quei soggetti, che rimangono presenti e capaci di azione
anche dopo il contratto (3). Naturalmente cio` non significa certo che
la situazione odierna sia quella della prima eta` moderna, ma piuttosto che per intendere i processi in atto dobbiamo non solo avere
una visuale storica ampia, ma anche riuscire ad emanciparci da quei
concetti che, pur essendo segnati da unepocalita` determinata, sono
spesso assunti in una dimensione universale e valida per sempre.
Intendo in questa sede proporre una schematica riflessione sulla
logica propria della sovranita` moderna, per ricordarne la genesi e
per intenderne contemporaneamente anche la crisi, o per lo meno
per indicare la difficolta` di utilizzare il concetto di sovranita`, come
pure gli altri concetti che a quello risultano strettamente legati, al
fine di comprendere la realta` odierna e di trovare un orientamento
nella prassi. Tale compito, che non puo` essere affrontato se non
(2) Cfr. D. GRIMM, Braucht Europa eine Verfassung? Siemens-Stiftung, Mu nchen
1994 (il saggio e` anche tradotto in Il futuro della costituzione, a cura di G. ZAGREBELSKY,
P.P. PORTINARO, J. LUTHER, Einaudi, Torino 1996, pp. 339 ss.). Su cio` sono gia`
intervenuto in Tra Unione europea e forma stato: pensare il federalismo, in LEuropa e il
futuro della politica, Societa` libera, Milano 2002, pp. 199- 218, saggio che e` tenuto
presente anche nelle considerazioni che seguono.
(3) Cio` non appare possibile nella logica delle dottrine contrattualistiche del
giusnaturalismo moderno, proprio perche in esse contraenti il patto sono gli individui,
che non hanno gia` una dimensione politica, ma che piuttosto fondano una societa`
politica basata sulla dualita` di comando e ubbidienza, di persone pubbliche, che
esercitano il potere, e sudditi. Per la logica del contratto sociale, rimando alle analisi
testuali contenute in G. DUSO (a cura di), Il contratto sociale nella filosofia politica
moderna, Franco Angeli, Milano 19983.

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GIUSEPPE DUSO

presupponendo i lavori di ricerca condotti su questa tematica, ha un


suo aspetto di radicalita`: infatti, se e` vero che il concetto di sovranita`
non ha una sua storia autonoma e indipendente, ma e` il prodotto di
un modo di pensare la politica che ha la sua base nella funzione
fondante del concetto di individuo e dei suoi diritti (4), allora appare
subito evidente che ripensare alla politica senza la sovranita`, significa
anche mutare il modo di intendere luomo e riflettere criticamente
sui valori da tutti accettati come pilastri dellorganizzazione della
vita in comune degli uomini.
1.

Il concetto moderno di sovranita`.

Parlare della sovranita` significa riferirsi alla dimensione del


potere: In senso lato, il concetto politico-giuridico di sovranita`
serve ad indicare il potere di comando in ultima istanza in una
societa` politica e, conseguentemente, a differenziare questa dalle
altre associazione umane, nella cui organizzazione non vi e` un tale
potere supremo, esclusivo e non derivato. Percio` tale concetto e`
strettamente collegato a quello di potere politico (5). Si puo` dire
che luno sia allaltro cos` collegato da avere la stessa storia, che e`
una storia tutta moderna. Poco importa che la parola che solitamente
si traduce con sovranita` esista e sia rilevante anche in un contesto
di pensiero precedente a quel concetto che nellepoca moderna e`
racchiuso nel termine e che risuona nella nostra mente quando lo
usiamo. La maiestas medievale o della prima eta` moderna (6), non e`
(4) Oltre a Il contratto sociale cit., cfr. anche G. DUSO (a cura di), Il potere. Per la
storia della filosofia politica moderna, Carocci, Roma 1999.
(5) N. MATTEUCCI, Sovranita`, in Dizionario di politica, UTET, Torino 1983, p.
1102.
(6) Mi riferisco, ad esempio, alluso del termine nei sistemi politici tedeschi della
fine del Cinquecento e del primo Seicento; cfr. su cio` M. SCATTOLA, Dalla virtu` alla
scienza. La fondazione e la trasformazione della disciplina politica nelleta` moderna,
Franco Angeli, Milano 2003, pp. 203-300 e Die Frage nach der politischen Ordnung:
Imperium, maiestas, summa potestas in der politischen Lehre des fru hen siebzehnten
Jahrhunderts, in Souvera nita tskonzeptionen, Beitra ge zur Analyse politischer Ordnungsvorstellungen im 17. bis zum 20. Jahrhundert, hrsg. M Peters, P. Schro der, Duncker &
Humblot, Berlin 2000, pp. 13-39. Per quanto riguarda gli iura maiestatis in Althusius e
la loro irriducibilita` al concetto di sovranita`, rimando al mio Una prima esposizione del
pensiero politico di Althusius: la dottrina del patto e della costituzione del regno,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

una forma diversa del concetto di sovranita`: insomma non ce` una
storia del concetto di sovranita` che comprenda quella maiestas e
quella diversa sovranita` che nasce con il giusnaturalismo e sara`
determinante per lo Stato moderno. Non si tratta di modalita` diverse
dello stesso concetto, ma di un modo diverso di pensare la politica
e luomo. Sovranita` e potere politico sono cos` sedimentati nel
nostro pensiero che solo emancipandoci da essi possiamo comprendere una diversa concezione della politica, che il concetto di potere
ha cercato di azzerare e che si esprime con il termine di maiestas nel
contesto precedente il moderno giusnaturalismo (7). Per un lavoro
storico concettuale, che non puo` che essere, nello stesso tempo,
anche esercizio teoretico del pensiero, e` indispensabile sottoporre a
riflessione critica i concetti che sono sedimentati nei termini che
usiamo.
Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 25 (1996), pp.
65-126, sp. pp. 87-95.
(7) Anche a questo proposito si puo` verificare che il concetto non si identifica con
la parola. Quando il termine di maesta` viene usato nel quadro della concettualita`
moderna questo il caso dei trattati giusnaturalistici di fine Settecento in terra tedesca
, essa viene in realta` a perdere il rapporto con il pensiero della tradizione che tale
termine usava e veicola invece il concetto moderno di sovranita`; si vedano alcuni tra i
molti esempi possibili. G. HUFELAND, Lehrsa tze des Naturrechts und der damit verbundenen Wissenschaften, Jena 1795, 460: il potere dello Stato risultante dalla somma di
tutte le forze e` indicato come ho chste Gewalt, die Majesta t (potestas civilis, sive summa,
imperium civile), e poi: Ho chste Gewalt heisst sie, weil sie keiner andern untergeordnet seyn kann, indem es sonst mo glich bliebe, den Bestimmungen des allgemeinen
Willens auszuweichen. Man nennt sie darum auch die Souvera nita t. Molto significative,
per mostrare come la parola maesta` indichi lintreccio di sovranita` e rappresentanza,
sono le espressioni di T.A.H SCHMALZ, Das natu rliche Saatsrecht, Koenigsberg 1794, 80:
Das dem Souverain anvertraute Recht, die Mittel zum Zweck des Staats zu waehlen,
heisst die hoechste Gewalt, oder Majesta t; 81: Die U bertragung der Majesta t kann
urspru nglich nur durch Einstimmigkeit aller Staatsbu rger geschehen; 82: Der
Souverain ist ga nzlich unabha ngig. Denn da ihm die Majesta t einstimmig u bertragen ist:
so ist sein Wille wirklich der Wille des Volks, und folglich so unabha ngig als dies selbst.
In A. L. SCHLOEZER, Allgemeines StatsRecht und StatsVerfassungsLehre, Goettingen 1793,
Abschnitt I, 2-3, pp. 95-97, viene in chiaro come la parola Majesta t veicoli un concetto
nuovo: lo Herrscher (Princeps, besser Imperans) e` il depositario della volonta` generale; la
Maesta` comporta indipendenza e irresponsabilita`: essa appartiene al popolo, ma questi,
inteso come la folla dei singoli, non puo` esercitarla e dunque deve essere trasferita a
qualcuno che la esercita e che mantiene cos` il diritto in ultima istanza. La conclusione:
in tal modo nasce eine neue Art von Majesta t.

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GIUSEPPE DUSO

Se si volessero richiamare alcuni elementi essenziali che si sono


imposti nella storia della sovranita` fino alla nostra contemporaneita`,
potremmo indicare lidea della naturale uguaglianza tra gli uomini,
o in ogni caso la convinzione che non vi e` una differenza tra gli
uomini tale da condurre alla conclusione che sia razionale e utile
essere sottomessi alla volonta` di qualcuno a noi superiore. Si badi
bene che e` qui in questione non tanto una subordinazione momentanea legata a fini particolari da ottenere, ma una sottomissione
stabile come quella che caratterizza lobbligazione politica e lubbidienza dovuta alla legge a causa della sua natura di legge e della sua
dimensione formale, a prescindere dai particolari contenuti che di
volta in volta essa esprime. Dal momento che lordine nello Stato e`
garantito dallubbidienza di tutti alla legge, e dunque al potere che
lo esprime, tale potere non puo` appartenere a qualcuno in particolare. Per trovarci di fronte al concetto di sovranita` non e` dunque
sufficiente riconoscere che si tratta di una summa potestas che, a
differenza di quanto avviene in una concezione gerarchica della
societa`, non e` tanto la piu` alta tra una molteplicita` di potestates, ma
che e` summa nel senso che e` lunica: e` necessario anche riconoscere
che tale potestas non e` piu` prerogativa legata alle qualita` di una
persona, ma appartiene al corpo comune, che e` costituito in modo
uguale da tutti.
E` la stessa sottomissione ad un uomo o ad una assemblea
quella sottomissione che caratterizzava la nozione antica di governo,
necessaria per comprendere il pensiero politico che giunge fino alla
rottura epistemologica costituita dal moderno giusnaturalismo
che si tratta di negare in via di principio e di impedire nella realta`
storica. Insomma lunica potestas costituita dalla sovranita` comporta
che venga ad essere negata lessenza stessa dellessere potestas, la
differenza tra gli uomini che essa implica, con il connesso aspetto
gerarchico. Nellepoca in cui le potestates erano molteplici e gerarchicamente organizzate il comando, che attraverso esse si esprimeva,
non era concepito come una relazione formale tra volonta`, ma era
legato ad un contesto reale segnato da punti di orientamento, a cui
potevano e dovevano guardare non sono coloro che esercitavano
limperium, ma anche coloro che erano governati, ai quali, in molti
casi, non solo era riconosciuto il diritto di resistenza, ma anche la
supremazia, attraverso organi collegiali, nei confronti di colui che

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

governava. In questo contesto della tradizione era anche pensabile


giudicare tiranno il governante, in rapporto ai contenuti determinati del suo agire che potevano essere giudicati sulla base di elementi
considerati oggettivi, fossero questi i comandamenti divini e le sacre
scritture, o i contratti di signoria, o i diversi diritti delle parti
costituenti la societa` (8).
Nel concetto di sovranita` o di potere politico tali elementi
oggettivi vengono cancellati, sia che si tratti dei contenuti della
religione, sia delle diverse convinzioni su cio` che e` giusto e bene, sia
delle tradizioni giuridiche molteplici e non univoche del passato, sia
delle differenze che caratterizzano nella realta` gruppi e associazioni,
differenze che non possono piu` tradursi in diritti particolari.
Ognuno deve essere libero di decidere su cio` che ritiene suo bene,
essere arbitro di se , dipendere solo dalla propria volonta`, naturalmente in un contesto in cui tale situazione deve essere strutturale per
tutti. Ma le leggi necessarie a cio` non possono che essere da tutti
volute e sono allora le condizioni per la liberta` e lindipendenza di
ognuno. La sovranita`, cos` implicata dalluguaglianza e dalla liberta`
dei singoli individui, perde allora il carattere di dominio tra le
persone. In quanto rapporto formale, quello del potere non puo` che
essere legittimo, e lunica vera legittimazione e` costituita dal fatto
che ubbidire al comando espresso dal corpo politico deve significare, in fondo, ubbidire alla propria volonta` (9).
E` istruttivo a questo proposito pensare, per quanto riguarda la
(8) Rimando, per lo specifico del principio del governo e per la radicale differenza
con il concetto di potere, al mio Fine del governo e nascita del potere, in La logica del
potere. Storia concettuale come filosofia politica, Laterza, Bari-Roma 1999, pp. 55-85, e
alle prime due parti del lavoro collettaneo Il potere. Per la storia della filosofia politica,
Carocci, Roma 1999. Sulla pertinenza delluso del termine tirannia a questo contesto che
precede la concettualita` politica moderna, si veda M. SCATTOLA, Il concetto di tirannide
nel pensiero politico tedesco della prima eta` moderna, Filosofia politica, X (1996)
(Tirannide), pp. 391-420.
(9) Lelemento della formalita` e il fondamento della legittimita` sono evidenti nella
definizione weberiana della Herrschaft, intesa come potere politico, comando che si trova
di fronte la disponibilita` allubbidienza, e nella correlativa definizione della ubbidienza,,
secondo cui colui che ubbidisce accetta il comando come norma del proprio agire per
suo stesso volere (Cfr. M. WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, hrsg. J. Winckelmann,
Mohr, Tu bingen, 19765, p. 123; tr. it. con introduzione di P. Rossi, Ed. Comunita`,
Milano 1974, p. 209).

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GIUSEPPE DUSO

Germania, alla storia del termine Herrschaft, che in un primo tempo


connotava appunto rapporti di dominio personali e poi diventa il
veicolo per il concetto di sovranita` e di potere politico (10). Ma
laspetto antico di dominio, che permane nel termine, lo marca
con un significato negativo, facendo s` che il suo uso sia sempre
meno frequente. Anche nella nostra lingua il termine di potere
mantiene levidenza del processo che va dallalto in basso, della
costrizione e della coazione, e in quanto tale assume un senso
negativo: e` sempre il termine a cui si contrappone qualcosaltro di
positivo a cui il potere deve essere finalizzato (11). E` significativo
anche luso attuale del termine di democrazia, che spesso viene inteso
come opposto o limitante il potere, contraddittoriamente non solo al
modo in cui e` concepita la costituzione democratica, che istituisce il
potere dello Stato e nello Stato, ma anche allo stesso etimo del
termine, o meglio al modo in cui questo etimo viene normalmente
inteso nella modernita` (12).
Una sorte analoga coinvolge anche la parola autorita`. Nel momento in cui appunto scompare un mondo in cui possono essere
determinate differenze qualitative e in cui si impongono le questioni
(10) Cfr. sulla trasformazione della Herrschaft il saggio di BRUNNER, Bemerkungen
zu den Begriffen Herrschaft und Legitimita t, del 1962, poi in Neue Wege cit., pp.
64-79; tr. it. a cura di M. PICCININI e G. RAMETTA, Filosofia politica, 1987, n. 1, pp.
101-120. Sulla differenza tra governo e dominio e sullatteggiamento moderno in
relazione alla Herrschaft, si veda D. STERNBERGER, Drei Wu rzel der Politik, in Schriften, II,
1, Frankfurt a. Main, 1978, e Immagini enigmatiche delluomo, tr. it. Il Mulino, Bologna
1991, sp. la parte III, pp. 129 ss. (per una discussione critica della posizione di
Sternberger rimando al mio La morsa del potere e la nostalgia per il vero cittadino,
Filosofia politica, VI (1992), pp. 121 ss.).
(11) Per intendere luso contemporaneo del termine bisogna registrare le trasformazioni epistemologiche avvenute con il pensiero weberiano, riflettere sul rapporto tra
Herrschaft e Macht, e comprendere come avvenga che lastrazione scientifica necessaria
a isolare un rapporto tra volonta` (indipendente dai contesti e dalla concretezza dei
contenuti che permettano un giudizio su tale rapporto) diventi realta` e, in quanto tale,
oggetto della scienza.
(12) Il significati di potere e di popolo, che determinano la parola democrazia nella
Modernita`, non hanno niente a che vedere con cio` che i termini di demos e di kratos
indicano nel pensiero greco, in particolare in quello di Platone e di Aristotele, e con il
significato di democrazia come forma di governo, che e` consona a un contesto in cui ha
centralita` per la politica la nozione di governo e non a quello dominato dal concetto di
potere (per il chiarimento di questo punto rimando al cap. VII di La logica del potere cit.).

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

della giustizia e del bene come questioni non risolvibili mediante la


volonta` soggettiva, scompare anche il senso antico del termine, come
denotante qualcuno che e` da ascoltare e da seguire perche e`
autorevole (13). Il termine si carica del significato apportato dal
concetto moderno di potere, e connota colui a cui si deve ubbidire.
E` chiaro che la sottomissione stabile allautorita`, in un pensiero della
politica basato sulluguaglianza e sulla considerazione formale della
liberta` (come indipendenza della volonta`), non puo` avere che una
condizione: il consenso di chi ubbidisce, la cui volonta` rende
possibile lautorita`. Non ce` autorita` se questa non si fonda su un
processo di autorizzazione, alla cui base stanno coloro che dovranno
essere sottomessi, appunto per propria volonta`, ad essa.
In un mondo cioe` in cui non ce` un ordine delle cose da
riconoscere, e si considera come fonte di conflitto la diversita` delle
opinioni sulla verita` e sulla giustizia, appare necessario una volonta`
che decida in modo univoco cio` che si deve fare per la convivenza.
Una volonta` politica sovrana, che ha perso qualsiasi punto di
riferimento oggettivo, non puo` basarsi a sua volta che sulla volonta`
di coloro che saranno soggetti ad essa, i quali, in questo modo,
ubbidiranno indirettamente a se stessi. Lassolutizzazione
della volonta` propria del concetto di sovranita` comporta la dimensione fondante della volonta` individuale.
2.

La logica della sovranita` e la fondazione dellautorita`.

Sembra che si siano fino a qui descritti alcuni elementi che si


sono diffusi nel modo comune di intendere la politica e che permangono nella nostra contemporaneita`, spesso condizionando anche quei tentativi di pensare il presente che pur si muovono nella
consapevolezza della necessita` di trovare nuovi strumenti di comprensione. Si pensi a quanto una tale assolutizzazione della volonta`,
assieme agli altri elementi qui descritti, venga a connotare lespressione spesso usata di legittimazione democratica. Tuttavia se fosse
vero che gli elementi sopra indicati caratterizzano il modo diffuso
(13) Cfr. STERNBERGER, Immagini enigmatiche cit., sp. 134 ss., e naturalmente il
noto saggio di H. ARENDT, What was Authority (tr. it. in H. ARENDT, Tra passato e futuro,
Firenze, Vallecchi 1970).

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GIUSEPPE DUSO

nel moderno di intendere la sovranita`, come potere politico, allora


verrebbe a questo punto evidente riconoscere in Hobbes il padre di
questa concezione, e dunque rintracciare in lui il fondatore della
sovranita` moderna. Non e` difficile infatti ravvisare, sullo sfondo
delle riflessioni sino a qui svolte, i concetti fondamentali che caratterizzano il suo modo scientifico di pensare la politica.
Riconoscere in Hobbes il padre della sovranita` significa ritenere
che la vera chiave di questultima della sua stessa assolutezza
consiste nellaspetto formale, nel processo di legittimazione, nellidea dunque che il punto di vista del potere non puo` che essere il
punto di vista di tutti in quanto costituenti il corpo politico. Quella
del potere non e` unistanza altra e opposta a quella costituita dagli
individui e dai loro diritti. Percio` il giusnaturalismo, per quanto
riguarda la costruzione teorica, non consiste nella limitazione del
potere, ma piuttosto nella sua fondazione. E` questo aspetto fondamentale della sovranita` a non essere presente in Bodin, che per una
lunga tradizione e` stato considerato il padre della sovranita` moderna. Nella sua opera e` bens` affermata la summa potestas, ma
questa da una parte mantiene il carattere di potestas, e dallaltra e`
resa necessaria proprio a causa di un mondo plurale, fatto di
differenze, che non viene cancellato. Ci troviamo in un contesto in
cui non e` assolutizzata la volonta` e percio` manca quellelemento
essenziale della sovranita` che e` costituito dalla forma e dalla legittimazione formale mediante la volonta` dei singoli (14). Di fronte al
sovrano di Bodin permane una realta` complessa; di fronte al sovrano
di Hobbes non ce` piu` nessuno; non ci sono piu` i governati, perche
essi, come si evidenzia nel frontespizio del Leviatano, sono nel corpo
del sovrano, sono il corpo del sovrano. La loro volonta`, per quello
che riguarda la vita comune, la loro volonta` politica dunque, e` la
volonta` del sovrano. La formalita` che connota la sovranita` richiede
che la volonta` sovrana sia la volonta` di tutti, sia la volonta` del corpo
collettivo, cioe` del popolo, non una volonta` che possa avere il
popolo di fronte a se. Percio` dalla sua nascita la sovranita` e` destinata
(14) Per una visione della complessita` del pensiero di Bodin, irriducibile alla
univocita` della sovranita` moderna, cfr. D. QUAGLIONI, I limiti della sovranita`, Cedam,
Padova 1992, e anche M. SCATTOLA, Ordine della giustizia e dottrina della sovranita`, in
JEAN BODIN, in Il potere cit., pp. 61-75.

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ad essere democratica, ad essere potere del popolo, e la democrazia


moderna e` pensata sulla base della dottrina della sovranita`.
Non e` qui possibile ripercorrere ancora una volta i punti salienti
della costruzione hobbesiana per mostrare la funzione che in essa
svolgono i concetti, la ferrea logica che li lega tra loro, la consequenzialita` secondo la quale il potere del corpo politico esercitato dal
sovrano e` risultato necessario del nuovo concetto di liberta`, lassoluta rilevanza della legittimazione e della formalita` della costruzione
sopra indicata per la determinazione dellassolutezza del potere (15).
E` tuttavia utile qualche precisazione. Per non fraintendere la vera
ragione dellassolutezza del potere in Hobbes e` da tenere presente
che lubbidienza e` dovuta in fondo al corpo politico nella sua
totalita`: lubbidienza implicata dal concetto moderno di potere, a
causa della sua caratterizzazione formale, non puo` essere dovuta a
nessun altro se non al soggetto collettivo formato da tutti. E` dovuta
alla persona del sovrano solo in quanto egli e` lattore di questo corpo,
colui che conferisce vita alla persona civile, rendendola capace di
volonta` e di azione. In altri termini lassolutezza del sovrano consiste
nel fatto che la persona del sovrano e` rappresentativa, che egli e` solo
attore per tutti, che egli e` stato fatto attore da tutti. Come e` ben noto,
nel Leviatano e` descritto quel processo di autorizzazione in base al
quale viene pensata nellepoca moderna lautorita`. E il processo di
autorizzazione non e` altro che il processo costitutivo del concetto
moderno di rappresentanza: ne costituisce lessenza, quella dialettica
secondo cui la persona civile e` concepibile in base allidea che tutti
sono attori delle azioni che lattore compira`, perche tutti lo hanno
autorizzato (16).
Il concetto di sovranita` e quello di rappresentanza nascono
insieme. Si puo` dire di piu`: nel Leviatano senza linvenzione del
concetto di rappresentanza che non ha piu` niente a che vedere
con il compito di riportare ad un livello piu` alto la volonta`, i bisogni,
i punti di vista, la dignita`, i diritti di un gruppo della societa`, ma
(15) Si vedano le parti dedicate ad Hobbes in La logica del potere cit.
(16) Rimando per la logica della rappresentanza e per il ruolo di Hobbes nella
storia del concetto al mio La rappresentanza politica: genesi e crisi di un concetto, Franco
Angeli, Milano 2003; ma sulla rappresentanza e` soprattutto da vedere H. HOFMANN,
Repra sentation. Studien zur Wort- und Begriffsgeschichte von der Antike bis ins 19.
Jahrhundert, Duncker & Humblot, Berlin 19902.

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piuttosto consiste nella produzione di qualcosa di nuovo e non


esistente prima dellatto rappresentativo, cioe` la volonta` unica della
persona civile e conseguentemente la sua azione non sarebbe
possibile raffigurarsi la persona civile con il suo potere. Difatti la
teoria della rappresentanza, come unico modo di intendere come
una una moltitudine, precede e rende possibile la formazione del
corpo politico mediante il contratto sociale. E la cifra di questo
indissolubile legame di sovranita` e rappresentanza e` quella dellunita`. Non si tratta tanto dellunificazione nel senso del raccordo,
del coordinamento, si potrebbe dire anche del governo di
istanze diverse, di diversi soggetti politici, ma di quellunita` semplice
che connota la persona civile in quanto questa costituisce lesito di
un itinerario teorico che parte dallindifferenziata molteplicita` degli
individui. Questo intreccio di potere, rappresentanza e unita` deve
essere tenuto presente anche per lesito finale di questa riflessione.
Superare la sovranita` significa superare questa rappresentanza (moderna) e questo modo di concepire la persona civile, il soggetto
collettivo, un popolo che come soggetto non ce` mai se non attraverso la voce del suo attore.
Il processo di autorizzazione e lespressione di volonta` che si ha,
da parte dei singoli, nel contratto sono il fondamento dellubbidienza. Non e` pensabile che i singoli non ubbidiscano alla legge,
perche cio` sarebbe una contraddizione, in quanto consisterebbe nel
non volere cio` che si e` voluto. Ecco laspetto formale, della legittimazione che e` essenziale al potere politico (mentre non puo` essere
presente la` dove la politica e` pensata mediante il principio del
governo, poiche in un contesto di tal genere la volonta` dei singoli
non puo` in quanto tale essere fondamento della politica e della
giustizia che la deve regolare) e che si trova raffigurato in quel
frontespizio del Leviatano, che puo` ancora essere significativo per
indicare unaporia di fondo del modo moderno di intendere la
democrazia. La differenza con Rousseau, per quanto riguarda lobbligazione politica, non e` dunque cos` rilevante (17): consiste soprattutto nella formulazione da parte di Hobbes e nella negazione da
(17) Ritengo a questo proposito sempre di grande efficacia i due saggi di A. BIRAL
su Hobbes e Rousseau contenuti in Il contratto sociale cit. e anche in A. BIRAL, Storia e
critica della filosofia politica moderna, Franco Angeli, Milano 1999.

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parte di Rousseau del concetto nuovo di rappresentanza. Ma anche


il pensiero di Rousseau si muove allinterno di quella tematica della
sovranita` che e` imposta dal punto di partenza delle dottrine contrattualistiche, costituito dalla dimensione dellindividuo. Anche in
Rousseau percio` e` essenziale la cifra dellunita` politica (18).
Nellimpostare il problema politico mediante i due elementi
costituiti dal soggetto individuale e dal soggetto collettivo, cio` che
deve essere necessariamente negato e` la dimensione politica del
gruppo determinato da differenze specifiche e oggettive e inteso
come tramite per la partecipazione politica dei cittadini. Non e`
sufficiente il capitolo del Leviatano dedicato ai gruppi sociali per
mostrare la rilevanza politica di un tessuto plurale e complesso del
commonwealth: basti considerare come anche il rapporto del cittadino con il gruppo passi attraverso il suo rapporto con la volonta`
autorizzante del sovrano. Anche in Rousseau la dimensione di
gruppo e` intesa come corruzione dello Stato, in quanto crea coaguli
di volonta` particolare e di pretese che risultano pericolosi in relazione allespressione della volonta` generale nella sua universalita`;
mentre pericolose non sono le differenze delle volonta` dei singoli,
che sono cos` numerose da neutralizzarsi vicendevolmente, rendendo percio` evidente la vanita` della possibile pretesa di ognuna di
identificare la propria particolarita` con la volonta` del soggetto
collettivo. Percio` il verbo giusnaturalista, per la sua logica intrinseca,
appare distruttivo di quella societa` cetuale che sopravvivera` in
Europa almeno fino alla Rivoluzione francese.
3. Sovranita` e costituzione.
Un esame dei concetti che non si muova allinterno dellastrazione della storia delle idee, ma che voglia essere attento a quanto i
concetti condizionino non solo il modo di pensare, ma anche la vita
degli uomini, non puo` non guardare allaspetto costituzionale, nel
senso piu` ampio ed etimologico del termine. Nel caso della sovranita`
questa operazione deve attraversare il significato piu` ristretto del
(18) Proprio per questo lo stesso Rousseau non puo` sfuggire totalmente alla logica
rappresentativa, come dimostra la figura del grande legislatore (cfr. su cio` Il popolo
contro il rappresentante, in La rappresentanza politica cit., pp. 92-95).

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termine, a cui siamo abituati a partire dalle rivoluzioni americana e


francese, quello cioe` della carta che fissa lordinamento giuridico
fondamentale dello Stato, che ne stabilisce i distinti poteri e che li
regola mirando alla difesa dei diritti fondamentali dei cittadini.
Tenendo presente che, in questo stesso quaderno, il tema e` espressamente affrontato con ben maggiore competenza, mi limito ad
alcune osservazioni relative al tema della sovranita`.
Anche se la costituzione, nel senso che viene a prendere a
partire dalla Rivoluzione francese, delinea i diritti dei cittadini che
devono essere garantiti e stabilisce la separazione dei poteri, tuttavia
essa non e` pensabile se non in relazione al concetto di sovranita`. Lo
implica infatti necessariamente in un duplice modo: innanzitutto in
quanto ci puo` essere costituzione giusta solo in quanto vi e` un
soggetto che legittimamente puo` stabilirla, e questo soggetto, dopo
la lezione di Rousseau, altri non puo` essere che il popolo. Cos` si
procede sullonda della neutralizzazione moderna e dellassolutizzazione della volonta`: se non ci sono punti di riferimento condivisi a
cui riferirsi in relazione a cio` che e` giusto fare nella vita in comune
degli uomini, non resta che la decisione sovrana dellunico soggetto
legittimato a prenderla, cioe` quello che si identifica con la totalita` dei
cittadini. Nella costituzione viene in luce quella dimensione costituente del popolo emersa con Rousseau, che era sconosciuta alla
tradizione pre-moderna. Questa dimensione del popolo resta presente anche nella realta` costituita e riemerge nel tentativo ricorrente
di interrogare direttamente la volonta` del soggetto collettivo, al di la`
della mediazione istituzionale del corpo rappresentativo.
Ma laltro aspetto secondo il quale la sovranita` opera nella
costituzione e` quello della determinazione del corpo che ordinariamente esprime la volonta` del popolo, in quanto e` da esso eletto al
fine della formazione della legge (19). La formazione della legge e`
elemento tipico e primario della sovranita`: in cio` sta la novita` del
concetto, nei confronti di una millenaria tradizione in cui il pro(19) Naturalmente non e` il popolo che vota, ma sono i singoli individui: il
cosiddetto popolo e` il risultato della volonta` espressa dalla maggioranza del corpo
degli eletti (cfr. G. DUSO, Repra sentative Demokratie: Entstehung, Logik und Aporie ihrer
Grundbegriffe, Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 30
(2001), pp. 45-80).

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blema di colui che esprimeva atti di comando era di governare


secondo le leggi. Il sovrano in senso moderno (o il rappresentante del
popolo sovrano) non deve tanto governare secondo le leggi, ma
decidere la legge. E percio` sia il comando dellunico soggetto legittimo, cioe` del popolo come soggetto collettivo, sia il modo nuovo di
intendere il governo come potere esecutivo appaiono dipendenti dal
concetto di sovranita`.
Tale seconda modalita` di espressione della sovranita` richiama
quellelemento della rappresentanza che, come si e` detto, e` ad essa
strettamente intrecciato. La rappresentanza, nella sua logica, appare
come la messa in atto concreta del concetto che era stato elaborato
da Hobbes. Non solo infatti si costituisce un corpo rappresentativo
che da` voce e azione al soggetto collettivo, ma, attraverso la concreta
procedura dellelezione, si realizza quel processo di autorizzazione
che gia` nel Leviatano si mostrava come necessario a costituire
lautorita`. Anche qui il concetto di sovranita` del corpo collettivo e`
pensabile solo a partire dalla funzione fondante dei singoli individui.
E` quasi inutile ripetere che, in una concezione in cui non ce`
mandato imperativo, in cui i singoli, astratti da ogni rapporto reale
e da ogni determinazione differente gli individui uguali
esprimono un voto che consiste nella indicazione della persona del
rappresentante, e nella quale la funzione della rappresentanza e`
quella di dare forma alla volonta` comune, non ce` nessun passaggio
di volonta` determinate; piuttosto la cosiddetta espressione di volonta` in cui consiste lelezione si risolve appunto nel processo di
autorizzazione, secondo il quale qualcuno viene autorizzato non ad
esprimere la volonta` di coloro che lo hanno eletto, ma a dare forma
a qualcosa di nuovo: la volonta` unitaria del corpo elettivo (20).
Ci troviamo di fronte, con la prima costituzione del 1791, a
quellintreccio di sovranita`, rappresentanza e unita` politica che e`
stato sopra indicato come caratterizzante la nascita dei fondamentali
concetti politici della modernita`. In questo quadro, come risulta
chiaro da quanto dice Sieyes su cio` che e` da rappresentare
linteresse generale e quello del singolo, ma non certo linteresse di
gruppo e dalla legge Le Chapelier, che intende fare piazza pulita
(20) Su questo aspetto delle elezioni contemporanee ho insistito in Repra sentative
Demokratie, cit.

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di una societa` cetuale e corporativa, cio` che appare categoricamente


escluso e` la dimensione politica plurale dei gruppi e delle aggregazioni. Le modalita` della rappresentanza, sia per quanto riguarda la
sua base elettiva, costituita dai i cittadini uguali, che singolarmente
e fuori da ogni differenza e aggregazione si presentano allurna, sia
per quanto concerne loperare del corpo rappresentativo come
ununica persona, secondo quella legge della maggioranza che Hobbes aveva bene chiarito nel capitolo XVI del Leviatano, escludono a
priori la pluralita` dei soggetti politici. Da un punto di vista costituzionale il gioco che si viene a determinare e` quello che vede da una
parte il soggetto individuale, il cittadino, il cui atto politico consiste
nellinvestire qualcuno del compito di decidere politicamente in sua
vece, e dallaltra il soggetto collettivo che esprime la volonta` e
lazione dellunica persona civile (21).
4.

Lo stato costituzionale contemporaneo.

Si puo` pensare che questa presenza insopprimibile della logica


della sovranita` nella costituzione sia un portato della fase costituzionale immediatamente successiva alla Rivoluzione francese. Molto
e` cambiato con il Novecento, con lestensione del suffragio, con la
nascita dei partiti organizzati, con la nuova dimensione delle democrazia di massa, con la complessificazione della societa` e conseguentemente anche dei compiti dello Stato, non solo, ma anche con la
modificazione delle costituzioni e della loro funzione in relazione ai
processi materiali. Ci sono molte ragioni per delineare un quadro a
(21) Naturalmente non intendo qui riferirmi alle differenze ideologiche rappresentate dai partiti, che sono insieme una complicazione, ma anche un prodotto di questa
logica dellunita` politica e dello scarto esistente tra la molteplicita` delle opinioni
individuali e la necessita` di esprimere una volonta` unica. Che la forma politica sia aperta
costitutivamente a questo tipo di differenziazione ideologica dei partiti appare chiaro fin
dallinizio e non appena ci si ponga la domanda su chi e come esprimera` la volonta` di
tutto il popolo. Le differenze che sono negate nel loro significato politico sono piuttosto
quelle esistenti tra i gruppi sociali, dipendenti da elementi materiali, da collocazioni
specifiche nella societa` e tali da identificare in modo diverso bisogni, interessi, competenze, punti di vista prospettici dei singoli. Si tratta di differenze molteplici ma
determinate e non delle infinite differenze che possono esserci tra i singoli e che vengono
azzerate dal meccanismo della rappresentanza.

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noi piu` vicino in cui gli elementi propri della sovranita` non appaiono
piu` espressivi della realta` costituzionale (22). Al fine di intendere la
realta` contemporanea si puo` riconoscere linsignificanza in cui sono
caduti elementi caratterizzanti la forma politica moderna, quali
quelli del popolo sovrano, della rappresentanza come forma di
legittimazione, della indipendenza del corpo rappresentativo nel
decidere la legge, della superiorita` della volonta` generale nei confronti degli interessi privati di gruppi e organizzazioni: tutto cio`
appare destituito di forza ermeneutica e anche di capacita` legittimante in relazione allobbligazione politica e ai processi di quella
che e` stata chiamata la costituzione materiale.
Non e` difficile ravvisare nello Stato costituzionale contemporaneo anziche atti di decisione sovrana, piuttosto il tentativo di
coordinamento e di arbitrato in relazione ad una pluralita` di forze
socialmente esistenti. Potrebbe sembrare prevalente lelemento associativo che caratterizza i gruppi che esercitano funzioni nella
societa` e pressioni sul corpo politico. Nei confronti della pluralita`
dei gruppi e` la giurisdizione ad esercitare una funzione di regolazione, quasi come accadeva in quella prima eta` moderna in cui la
sovranita` non era nata e non determinava quindi il quadro della
politica. La stessa costituzione prende un ruolo sempre piu` attivo
nella costruzione di limiti rigidi allinterno dei quali legislativo e
governo si muovono, limiti che escludono la strapotenza che il
concetto di sovranita` comporta. La stessa pretesa della maggioranza
di imporre la sua volonta` come volonta` unitaria della nazione viene
in tal modo ridimensionata e limitata.
E` significativo che sempre piu` si senta il bisogno di garanzie
costituzionali, esercitate da organi, come le corti costituzionali, che
non sono elettivi e sembrano adatti a regolare possibili eccessi degli
organi elettivi (23). Da questo punto di vista si potrebbe pensare che
(22) Tengo qui presente la proposta interessante degli ultimi lavori di Maurizio
Fioravanti, che culminano in un tentativo di porre in modo nuovo il problema di una
costituzione per lEuropa (cfr. M. FIORAVANTI, Stato e costituzione, in Lo stato moderno
in Europa, a cura di M. FIORAVANTI, Laterza, Bari-Roma 2002, pp. 3-36, e dello stesso,
La scienza del diritto pubblico, Giuffre`, Milano 2001, tomo II, pp. 835-906, sp. 835-853).
(23) Ha opportunamente richiamato lattenzione su questo tema P. PASQUINO, Gli
organi non-elettivi nelle democrazie, in LEuropa e il futuro della politica cit., p. 149-163;
e` la stessa nozione di democrazia che tende a cambiare in relazione a quelli che sono stati

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regolazioni costituzionali vadano in direzione di una migliore e piu`


sana democrazia, contro il principio semplice della democrazia come
potere del popolo, che, come si e` detto e` il prodotto del concetto di
sovranita`.
Tale limitazione, o addirittura espunzione del principio di sovranita` allinterno corrisponde ad una evidente perdita di sovranita`
degli Stati verso lesterno, innanzitutto per i condizionamenti che
provengono dalla situazione politica internazionale e da movimenti
economici che hanno una portata mondiale: Allinterno di una
situazione strutturale di questo tipo e` del tutto irrealistico pensare a
decisioni sovrane, e dunque autonome e indipendenti, da parte
delle entita` statali. Ma anche processi come quelli che hanno portato
allUnione europea presentano una situazione nuova, non piu` leggibile secondo la logica della sovranita`, secondo la quale o ci sono
trattati internazionali stipulati da soggetti sovrani, o ce` una realta`
nuova che li supera presentandosi come Stato sovrano essa stessa.
Tutto cio` puo` fare suggestivamente pensare e molte voci vanno in
questa direzione ad un ritorno, dopo la parentesi dello jus
publicum europaeum, dominato dalla sovranita`, alla complessita` e al
pluralismo che si possono ravvisare nella prima eta` moderna. (24).
Non in dissonanza, mi sembra, con tale descrizione si puo`
pensare a quanto si siano modificate le modalita` concrete in cui
avvengono le scelte politiche, che sono il risultato di un incrocio
complesso di forze di vario tipo, e non appaiono piu` il frutto di una
decisione libera del corpo da tutti autorizzato ad esprimere la
volonta` sovrana del popolo. Le decisioni sembrano addirittura
sottratte ai luoghi istituzionali deputati a cio`. La stessa distinzione
tra un punto di vista statale, superiore agli interessi di parte e teso
alla difesa uguale dei diritti dei cittadini, e lo spazio sociale della
competizione dei gruppi appare superata, al punto che pubblico e
privato non possono piu` essere determinati mediante una netta
i suoi concetti fondamentali. A questo proposito si puo` tuttavia osservare che laspetto
di legittimazione democratica legato allespressione della maggioranza del popolo attraverso il corpo rappresentativo o forme referendarie non e`, attraverso tali organi
costituzionali, tacitato o eliminato, come mostrano i recenti dibattiti legati sia alla
situazione italiana, sia a quella europea.
(24) FIORAVANTI, Lo stato moderno in Europa cit., sp. pp. 32-34 e D. GRIMM, Die
Zukunft der Verfassung, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1991, p. 434.

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separazione. Da questo punto di vista si puo` dire che determinare il


problema politico a partire dal legame e dalla distinzione insieme di
soggetto individuale e soggetto collettivo appare un atteggiamento
teorico superato da una realta` in cui, come le decisioni statali
appaiono condizionate da spinte e influenze di gruppi e associazioni,
cos` anche i singoli trovano modalita` molteplici e diverse di espressione allinterno di forme aggregative, partecipando a processi che
non trovano certo nellindividuo indipendente il loro fondamento. E`
tuttavia da chiedersi se la conclusione di queste osservazioni sia
quella del riconoscimento di un nuovo modello costituzionale, che
ha superato quello legato alla sovranita`, oppure se non ci si trovi
piuttosto di fronte ad un quadro di crisi e di trapasso, nel quale si fa
fatica a staccarsi da un modello che sembra obsoleto e soprattutto da
quelli che sono stati i suoi concetti fondamentali.
5.

Perche guardare alla Politica di Althusius.

Prima di tentare una risposta a questa domanda e` tuttavia utile


fare alcune osservazioni in relazione ai richiami che dalla nostra
contemporaneita` si possono fare a un quadro storico e di pensiero
rintracciabile nella prima eta` moderna, dal momento che un tale
riferimento appare sempre piu` diffuso nel dibattito attuale, assieme
a quello che riguarda un pensatore politico notevole, ma fino a poco
tempo fa quasi totalmente ignorato, quale e` Johannes Althusius. Una
giustificazione per un tale interesse e` stata indicata gia` allinizio: la
comprensione della nostra contemporaneita` ci e` inibita se rimaniamo acriticamente allinterno dei concetti nati con la forma politica moderna, quasi fossero concetti necessari ed eterni, e se non
abbiamo un orizzonte piu` ampio, nel quale i concetti moderni sono
relativizzati e visti nella loro genesi e, probabilmente anche nella loro
crisi. Lo sguardo non solo alla prima eta` moderna, in cui sono
presenti una serie di concezioni e di realta` che non hanno ancora
subito il taglio decisivo della scienza politica moderna, ma anche al
pensiero politico dei greci e della tradizione medievale, appare da
questo punto di vista importante. Ugualmente appare importante, al
di la` dei giudizi sulle conquiste della modernita`, comprendere cosa
e` andato perduto nella semplificazione formale dellordine moderno;

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e qui, tra le altre cose che si possono nominare, pluralita`, differenze,


partecipazione e consenso hanno probabilmente il loro posto.
Trovo dunque appropriato e denso di sollecitazioni il riferimento ad Althusius quando si vuole riflettere criticamente sulla
sovranita`, nella consapevolezza della sua crisi. Dal momento che da
tempo ho cercato di indirizzare lattenzione sulla ricchezza di pensiero che si manifesta nella sua Politica e sui vantaggi che ci offre
pensare oggi ad essa, proprio in quanto non e` fagocitata dalla logica
dei concetti moderni, cioe` quelli delle moderne costituzioni e quelli
che operano ancora nella nostra mente quando pensiamo la politica (25), mi sembra necessario fare alcune precisazioni sui pericoli che
possono mediante un riferimento troppo immediato a questo autore,
nellottica del reperimento di un modello politico o costituzionale, di
un modello federalistico, inteso magari come quello in cui prevale
una dimensione orizzontale o quella della formazione del potere dal
basso. Mi sembra che una tale proposta, che si muove allinterno di
una scienza politica che si esprime per modelli, da una parte faccia
torto al pensiero di Althusius e rischi di fraintenderlo, e dallaltra,
visto che i danni operati da una distorta comprensione del passato
sono legati spesso dipendendone dalla riduttivita` mediante la
quale si pongono i problemi del presente, non colgano la complessita` del compito che ci sta oggi di fronte, non risolvibile con modelli,
tanto meno con un presunto modello althusiano.
Ho recentemente cercato di mostrare come non solo il concetto
di maiestas populi quale si trova nella Politica di Althusius non
costituisca nessuno scalino o punto di passaggio nella storia moderna della sovranita`, ma al contrario, che questultima nasce solo
nel momento in cui il modo di pensare la politica in cui hanno un
senso determinato nella Politica i termini di maiestas e populus e`
(25) Rimando per i punti principali del pensiero di Althusius e per la sua
differenza nei confronti dei concetti nati con il giusnaturalismo al mio Mandatskontrakt,
Konsoziation und Pluralismus in der politischen Theorie des Althusius, in G. DUSO, W.
KRAWIETZ, D. WYDUCKEL (Hrsg), Konsoziation und Konsens. Grundlage des modernen
Fo deralismus in der politischen Theorie, Duncker & Humblot, Berlin 1997, pp. 65-81, e
a Una prima esposizione del pensiero politico di Althusius cit. Per una proposta sul
federalismo di Althusius e la sua possibile attualita` si veda Th. HUEGLIN, Sozietaler
Fo deralismus. Die politische Theorie des Johannes Althusius, W. De Gruyter, Berlin-New
York 1991 (discusso nel n. 21 (1992) di Quaderni Fiorentini, pp. 611-622).

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destituito di ogni valore (26). E` proprio nella direzione della cancellazione di questo pensiero della politica che nasce quella costruzione
teorica che, a partire dai diritti degli individui, dalla loro uguaglianza
e liberta`, fonda la sovranita` moderna, cioe` il potere che realizza i
diritti. Con Althusius ci troviamo fuori della dimensione della
sovranita` e dunque fuori della dimensione del potere e di un modo
formale di intendere il rapporto tra comando e ubbidienza. Nei
diritti di maesta` abbiamo tuttaltro che lidea di una volonta` sovrana
che decide, sia essa quella del sommo magistrato, sia essa quella del
popolo. E cio` perche ci troviamo in un quadro complesso, in cui
tutto cio` che e` rilevante non dipende dalla volonta` di qualcuno, sia
costui colui che governa oppure chi e` governato. Non ce` qui
quellassolutizzazione della volonta` che e` nata con il nichilismo
moderno e con loperazione di cancellazione del pensiero del passato e dellesperienza che e` presente nella descrizione contrattualistica dello stato di natura.
Se questo e` vero, allora si puo` affermare che, non solo non e`
presente la dimensione di comando propria del potere, che viene
dallalto, ma nemmeno quella della sua formazione dal basso: ambedue queste direzioni (non a caso formali, geometriche, prive di
valenza qualitativa, estranee alla determinatezza dei contenuti) sono
pensabili solo in un contesto di assolutizzazione della volonta` e di
determinazione formale dei rapporti e del significato della legge, che
e` estraneo al pensiero di Althusius. Percio` lelemento consociativo
della politica althusiana non indica una dimensione opposta a quella
verticale del potere, ma e` unaltra cosa, come si puo` evincere dalla
convinzione, esplicitamente espressa, che, come tra gli uomini e`
naturale e primario il rapporto con laltro e dunque la dimensione
della koinonia e della comunione, altrettanto e` naturale e razionale
che ci sia un rapporto di governo, secondo il quale chi ha piu` forza
e saggezza governa gli altri: cio` e` bene per chi governa e per chi e`
governato. Senza governo non e` pensabile il fenomeno associativo.
Listanza di governo comporta un necessario elemento di unita`
proprio in quanto ci si muove in un quadro che contempla la
(26) Cfr. G. DUSO, La maiestas populi chez Althusius et la souverainete moderne, in
Penser la souverainete a` le poque moderne et contemporaine, a cura di G.-M. CAZZANIGA
e Y.-C. ZARKA, ETS e Vrin, Pisa e Paris 2001, pp. 85-106.

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pluralita` dei soggetti politici (che non sono gli individui). Il rapporto
ad unum e` dunque corrispettivo al riconoscimento della pluralita` dei
soggetti che caratterizza il popolo: e` proprio questa pluralita` e la
diversita` che connota le parti della societa` a richiedere una funzione
di guida e di coordinamento. Tale rapporto ad unum e` tuttaltro
dallunita` politica che connota la sovranita`, se e` vero che ad essa e`
connaturato laspetto formale sopra indicato, secondo cui il popolo
coincide con il sovrano e si manifesta attraverso la sua funzione
rappresentativa.
Ambedue le dimensioni della societa`, quella consociativa e
quella del governo, intrinsecamente legate tra loro, sono negate dal
nuovo concetto di potere con la sua assolutizzazione della volonta`.
Tra il principio di governo, che, come dice Brunner, ha organizzato
per una millenaria tradizione le discipline pratiche, etica, economica
e politica, e il concetto moderno di potere vi e` una differenza
radicale (27). Il secondo nasce solo come negazione del primo e in
connubio necessario con il nuovo concetto di liberta`. Intendere
limperium di Althusius come una forma di potere comporta dunque
intenderlo mediante quel concetto che e` nato con Hobbes proprio al
fine di negare una relazione di governo tra gli uomini. In questo
modo non solo si fraintendono le fonti del passato, ma essendo figli
della svolta epistemologica weberiana, si tende ad ipostatizzare il
potere e ad intenderlo come realta` oggettiva. Da qui puo` derivare o
una lettura di Althusius ridotta ad un modello di costruzione del
potere dal basso, oppure, se non si cancellano le dimensioni religiosa, etica, giuridica della Politica, una lettura che demanda al
regno dellideologia le giustificazioni della razionalita` dellimperium
che appunto non si riducono alla espressione di volonta` degli
individui.
Di dimensione orizzontale e dimensione verticale noi possiamo
propriamente parlare solo allinterno di quella neutralizzazione di
elementi qualitativi che si attua nellambito della moderna teoria
della sovranita`: in questa il potere non puo` essere esercitato che
dallalto, dal momento che appartiene allunica persona civile e non
ai singoli, e richiede ubbidienza assoluta e negazione di ogni resistenza, proprio per garantire luguaglianza e impedire i soprusi del
(27)

Rimando ancora al mio Fine del governo e nascita del potere cit.

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piu` forte sul piu` debole; tuttavia cio` e` possibile solo in quanto la sua
fondazione proviene dal basso, cioe` da coloro stessi che sono
soggetti al comando, come si e` visto. I rapporti tra i singoli possono
quindi essere considerati su di un piano orizzontale, determinato da
una uguaglianza che elimina ogni possibile gerarchia, ma tali rapporti sono privi di qualsiasi significato politico, sono appunto rapporti privati, la cui orizzontalita` e` resa possibile solo grazie al potere
della persona sovrana. In Althusius invece la dimensione plurale
della societa`, costituita da differenti raggruppamenti tra gli uomini,
nei quali si danno gerarchia e status diversi, richiede necessariamente una forma di governo, mediante la quale non si instaura un
rapporto formale di comando e ubbidienza, ma piuttosto si pone in
atto un esercizio di guida e coordinamento (appunto di governo),
che implica bens` una serie continua di comandi, ma comandi che
prendono il loro senso in relazione a realta` e contenuti concreti e che
si danno allinterno di un quadro di elementi considerati oggettivi e
indipendenti dalla volonta`, che costituiscono punti di riferimento
per i governanti e anche per i governati, per il giudizio di questi
ultimi sul comando e per la negoziazione della loro ubbidienza.
In questo quadro, il diritto di resistenza non si basa su un
presunto potere sovrano del popolo, ma, al contrario, proprio sulla
mancanza del concetto di una volonta` sovrana. Il diritto di resistenza
implica la pluralita` dei soggetti (pluralita` che e` possibile in quanto i
soggetti sono gruppi e consociazioni e non singoli individui), il
dualismo tipico della societa` cetuale, tra listanza del principe e
quella dei ceti, e inoltre la rilevanza di un quadro reale, nel quale e`
possibile orientarsi, di cui fanno parte il buon diritto antico, lambito
della giurisdizione, i testi sacri, la religione, la conformazione del
regno e lesistenza delle sue parti, cioe` dei membri del regno.
Listanza del governo, presente in tutti i livelli consociativi della
Politica, perfino in quello familiare (28), non esprime il corpo collettivo, il quale si manifesta piuttosto attraverso gli organi collegiali,
che affiancano e si contrappongono (non necessariamente nel senso
(28) E` da ricordare che non e` possibile qui la distinzione tipica della politica
moderna e caratterizzante le costituzioni, tra societa` e Stato: anche la famiglia, che pur
e` consociazione privata non di meno e` trattata nella Politica: politico non si identifica con
pubblico.

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dellopposizione, ma normalmente in quello della collaborazione e


del controllo) a quella istanza di governo in concomitanza con la
quale sono pensati (29). A differenza che nel concetto di potere, nel
principio del governo il soggetto collettivo non e` mai il soggetto del
governo (lazione di governo e` attribuibile proprio a colui che
governa e non al popolo), ma e` piuttosto di fronte a chi governa;
percio` nella democrazia che qui e` ancora una forma di governo
e non ha niente a che vedere con il potere del popolo e dunque con
la sovranita` listanza del soggetto collettivo non e` incarnata dalla
forma democratica di governo, ma dagli organi collegiali che controllano quel governo. A differenza che nel frontespizio del Leviatano, il popolo non e` attraverso il sovrano, ma di fronte al sovrano,
e non in senso ideale, ma reale: e` cioe` soggetto capace di azione.
Cio` e` possibile solo a patto che il popolo non sia inteso come
totalita` degli individui uguali, come cioe` una dimensione ideale che
non passa alleffettivita` se non attraverso lopera formatrice del
rappresentante, sia esso il sovrano rappresentante o il rappresentante del popolo sovrano. Nella Politica il popolo non e` grandezza
costituente, ma piuttosto grandezza costituita (30), e formata non da
(29) Il ragionamento a questo proposito richiede una maggiore complessita`, come
e` evidente se si pensa allaspetto rappresentativo che connota pure il sommo magistrato
in relazione al regno. Tale elemento rappresentativo non mi pare debba e possa essere
tuttavia interpretato nellottica della moderna rappresentazione dellunita` politica, ma
piuttosto allinterno di una concezione complessa e plurale della rappresentanza. Se
questa, per quanto riguarda il pensiero di Althusius, e` considerata in modo unitario e
allinterno della concezione - moderna - del potere, allora ci si puo` immaginare una
procedura di formazione dal basso del potere (che, come si e` visto, e` tipica della moderna
concezione della sovranita`); se invece si ravvisa nella Politica di Althusius una duplicita`
di forme rappresentative, una prima identitaria, espressa dagli organi collegiali, ed una
seconda, cerimoniale e regale, espressa dal sommo magistrato, si comprende come il
quadro sia assai diverso e piu` complesso in relazione al nesso sovranita`-rappresentanza
tipico della concezione politica moderna. Cfr. su cio` il mio Una prima esposizione del
pensiero politico di Althusius cit. sp. pp 107 ss., e soprattutto H. HOFMANN, Repra sentation in der Staatslehre der fru hen Neuzeit. Zur Frage des Repra sentativprinzips in der
Politik des Johannes Althusius, in Politische Theorie des Johannes Althusius cit., pp.
513-542 (lo stesso saggio e` anche in H. HOFMANN, Recht, Politik, Verfassung, Metzner
Verlag, Frankfurt am Main 1986, pp. 1-30).
(30) Il popolo puo` avere una funzione costituente, come avviene nel caso della
costituzione del regno, ma cio` solo a patto di essere una grandezza costituita, dunque
composta di parti differenti e determinate.

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individui, ma da parti, cioe` da gruppi, allinterno dei quali i singoli


hanno la loro concreta realta` e trovano le modalita` della loro
partecipazione politica; conseguentemente non e` lindividuo ad
essere posto alla base della costruzione. Un federalismo che pensi gli
individui come i veri soggetti che stanno alla base della politica e che
ragioni in termini di potere non sembra essere quello che traspare
dai testi althusiani (31). Piuttosto in questultimo lelemento primario
e` costituito dalla consociazione e dal diritto simbiotico, allinterno
del quale sono pensati gli individui. Si badi bene, non e` che non
abbiano rilevanza o dignita` gli uomini singoli, le persone; piuttosto
e` lindividuo in quanto tale, come cioe` astratto dai rapporti che lo
costituiscono, a non avere realta` e a non poter essere fondamento
della politica. Non solo lindividuo, ma nemmeno la volonta` sia
pure quella degli organi collegiali puo` essere fondamento della
politica: non puo` essere una volonta` autonoma e indipendente a
potere essere decisiva per lazione: condizionanti e rilevanti per
lorientamento di questultima sono piuttosto i punti di riferimento
che sono stati sopra indicati.
Tutto cio` e` qui solo schematicamente ricordato per indicare che,
se il riferimento al pensiero di Althusius rappresenta una mossa
felice del pensiero, esso tuttavia ci fa comprendere quanto arduo sia
il compito di pensare la politica nel nostro presente. Se ravvisiamo
nella sua dottrina un modo diverso da quello della sovranita` moderna di intendere il potere (allinterno della cui ottica, in tal modo,
continuiamo a pensare), non solo non cogliamo la dimensione
caratteristica della sovranita`, in quanto non intendiamo la sostanzialita` per essa del processo di autorizzazione, ma rischiamo di mantenerci, in modo acritico, allinterno dei due presupposti fondamentali della scienza politica contemporanea, costituiti da Hobbes e da
Weber, e di proiettare il prodotto di questa scienza nella realta`
ipostatizzandolo, di modo che il rapporto di potere e` concepito
come una realta` sempre presente nella storia. Mettere in questione
(31) Dico cio` non solo per denunciare il travisamento del pensiero althusiano in
chiave liberale contemporanea, ma anche per mostrare i compiti nuovi che abbiamo
nella nostra societa`, che e` assai diversa da quella cetuale propria del pensiero di
Althusius: si vedano per questo i problemi avanzati in relazione al tentativo di pensare
il federalismo oggi in Tra Unione europea e forma-Stato cit., sp. pp. 222 ss.

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attraverso Althusius il quadro della sovranita`, significa anche mettere


in questione gli elementi che hanno permesso la costruzione teorica
di questultima, innanzitutto la dimensione fondante dellindividuo,
della sua volonta` e dei suoi diritti. Di piu`: e` lo stesso modo di
pensare la politica a partire dai diritti degli individui ad essere messo
in questione, nel momento in cui si presenta alla nostra riflessione
una concezione che situa i singoli uomini allinterno del diritto
simbiotico, allinterno di un contesto di koinonia, nel quale solo il
singolo ha un suo significato. Si potrebbe dire allora che in questo
caso e` il rapporto con laltro a costituire lelemento originario,
anziche la sfera del proprium e dei diritti individuali. Tale concezione dellindividuo allinterno del diritto simbiotico e non come
elemento primario e fondante e` intrinseca al significato che ha la
consociazione.
Ma un altro aspetto determinante e` da tenere fermo. Non solo
lessenza della consociazione e` inseparabile dalla necessita` del governo, ma dimensione comunitaria e dimensione di governo sono
pensabili solo allinterno di un contesto che costituisce un quadro di
realta` condivise: come si e` detto sopra, per Althusius religione,
diritto, costituzione del regno, delineano un orizzonte in cui quelle
due dimensioni sono pensabili, altrimenti non ci sono punti di
orientamento per lagire (appunto per governare la nave della repubblica in una direzione) e manca un quadro comune e condiviso
che permetta a coloro che sono sottomessi al governo di controllare,
giudicare e anche opporsi. Lo stesso pluralismo che si puo` rintracciare nel federalismo althusiano non e` certo reso possibile da una
messa tra parentesi della fede, da un ordine formale basato sul
relativismo, ma, al contrario, da un quadro condiviso, come mostra
la rilevanza del patto con Dio. Anche la figura dellimpero, contrariamente dalluso oggi corrente, come forza che tutto rende omogeneo e ingloba, e` segno di un quadro di relazioni nel quale listanza
superiore di governo e` intrinsecamente legata al pluralismo dei
soggetti e dei corpi territoriali.
Se si astrae da questo contesto complesso e si ritengono religione, testi sacri, diritto antico, tradizioni, realta` delle aggregazioni e
dei gruppi, come inessenziali e si riduce il pensiero espresso nella
Politica a un modello di organizzazione del potere, si e` in realta`
riportato il pensiero di Althusius allinterno del quadro di neutra-

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lizzazione della questione della verita` e della giustizia che caratterizza il processo di nascita della sovranita` moderna (32). Dunque
questo tentativo di attualizzazione immediata del pensiero di Althusius non solo porta al suo fraintendimento, ma riduce la rilevanza
che esso ha, proprio in quanto irriducibile allorizzonte del potere, in
relazione al compito nuovo che oggi ci troviamo di fronte.
6. La difficile comprensione del presente e il processo di decostituzionalizzazione.
Questo compito nasce dalla necessita` di pensare il pluralismo in
un tempo, nel quale il pensiero e la storia della soggettivita` si sono
intrecciati con fenomeni politici ed economici, con lo sviluppo della
statualita` moderna, con laffermarsi della produzione capitalistica,
un tempo dunque che non e` caratterizzato da una societa` cetuale, in
cui non e` ununica religione o il patrimonio di comuni testi sacri a
determinare un piano comune di condivisione, ne e` presente, nel
senso sopra indicato, la figura dellimpero e nel quale si e` avuta
lesperienza secolare dello Stato come fonte del diritto. Per uscire
dal presupposto della sovranita` e dalla morsa dellunita` politica
bisogna superare la funzione che ha ancora nelle stesse procedure
costituzionali (vedi elezioni) la dimensione fondante dellindividuo,
la logica dei diritti e il nichilismo che caratterizza il concetto
moderno di liberta`, in cui laffermazione dellindipendenza della
volonta` si accompagna con la destituzione di significato della realta`
(intesa nel senso piu` ampio e complesso). Ugualmente appare
necessario riuscire a ritrovare un orizzonte di condivisione (questo
(32) La denuncia dei problemi intrinseci al nichilismo moderno non va nella
direzione del richiamo di un quadro di verita`, che organizzi in modo gerarchico la
societa`, ma piuttosto di un pensiero sulla realta` che si muova allinterno della domanda
di cio` che e` giusto, della domanda e non della pretesa verita` delle risposte a questa
domanda. Del resto la questione della giustizia si mostra allorigine della stessa costruzione della scienza politica moderna, anche se viene tacitata da quella risposta formale
che ha come suoi poli appunto la sovranita` e il suo fondamento, costituito dal concetto
di liberta`, che diviene centrale nel pensiero della politica. Su questa centralita` che il
nuovo concetto di liberta` viene ad assumere, in luogo dellantica domanda sulla giustizia,
si veda H. HOFMANN, Introduzione alla filosofia del diritto e della politica, Laterza,
Bari-Roma 2003.

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uno degli insegnamenti di Althusius), un piano etico comune, dove


il termine di eticita` e` privato di ogni carattere moralistico, del dover
essere, e indica invece, quasi hegelianamente, la rilevanza del rapporto con gli altri per la costituzione del se .
Le lotte per i diritti possono essere considerate in tutta la loro
portata quando non e` il ragionare sulla base dei diritti ad essere la
chiave della loro comprensione. Sono i diritti degli individui ad aver
prodotto mediante quella logica che si fa evidente nella domanda
chi deve dare cio` di cui ognuno ha diritto la sovranita` e il
monopolio della forza. Il riprodursi di questa logica al livello
mondiale riproporrebbe le contraddizioni proprie del nesso di
sovranita`-rappresentanza e porrebbe la domanda inquietante sul
soggetto che eserciterebbe la forza in un quadro in cui il problema
politico e` ridotto a quello della polizia. Se sono i diritti di coloro
che non hanno riconosciuta la loro dignita` umana a contare, allora
il piano comune e` quello della rilevanza per me dellaltro e cio` a tutti
i livelli. In un tempo segnato da fenomeni che hanno carattere
mondiale non e` difficile scoprire limportanza e la ripercussione che
ha per noi quanto avviene in luoghi assai lontani, e cio` a livello
delleconomia, della politica, dei processi naturali o degli interventi
delluomo sulla natura, dei disastri ecologici ecc. Sembra anche
necessario trovare un terreno comune tra le diverse fedi; ma non
nella direzione di quella tolleranza che e` insita in un modello di
democrazia formale, che in realta` e` basato sulla convinzione della
irrilevanza delle fedi: una tale tolleranza appare infatti debole in
rapporto alle diverse forme di integralismo, che non possono essere
superate grazie alla comune accettazione di un orizzonte relativistico. Piuttosto appare necessario rintracciare un piano che riesca a
valorizzare le fedi e a mostrare la possibilita` e la fecondita` della vita
in comune di uomini di diverse religioni e senza religione. Un
motivo non ultimo di questo incontro sta forse nella consapevolezza
della natura arrischiata della fede che e` tradita dal suo trasformarsi
in un presunto possesso della verita`.
Se ritorniamo al quadro sopra delineato dello stato costituzionale contemporaneo, possiamo fare alcune considerazioni per tentare di rispondere alla domanda che era emersa in relazione alla
comprensione insieme dellEuropa e delle trasformazioni delle costituzioni statali. Certo e` da condividere lopinione che quello che

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sta avvenendo in relazione allUnione europea comporti una trasformazione delle costituzioni statali e non sia riducibile ad un semplice
accordo temporaneo di soggetti che rimangono sovrani, e che
tuttavia tale superamento della contingenza e temporaneita` dellaccordo non comporti la nascita di una nuova sovranita`. Il compito e`
allora quello di pensare tali processi e i soggetti che a questi processi
danno luogo e che in essi si trovano con mezzi diversi da quelli della
concettualita` segnata dalla sovranita`. Non solo dunque al di la` del
concetto di sovranita`, ma al di la` dei concetti che lo hanno prodotto
e dei principi e delle procedure che nella costituzione sono ancora
contraddistinti dalla logica della sovranita`.
Se e` vero che si e` dato un processo di costituzionalizzazione, nel
quale la costituzione da una parte ha influenzato con i suoi valori e
le sue regole i vari ambiti del diritto (33), e dallaltra ha limitato e
guidato lespressione di una volonta` sovrana del soggetto collettivo,
nella sua dimensione maggioritaria, si puo` tuttavia anche dire che si
e` manifestato anche un processo diverso e in parte opposto, che
possiamo a buon diritto chiamare di de-costituzionalizzazione (34),
nel quale sempre meno gli organi dello Stato mostrano di godere di
indipendenza (che sembrava allorigine necessaria ai fini della legittimazione dellobbligazione politica) nelle decisioni loro spettanti, e
questo da una parte in seguito a fenomeni che hanno una portata
mondiale, di tipo economico e politico, o di realta` quale quella
appunto che sfocia nellUnione europea, ma dallaltra a causa della
complessita` e vischiosita` dei processi in cui elementi economici,
istituzionali, politici, di gruppi e organizzazioni private si intrecciano
in modo tale da rendere la descrizione costituzionale dei soggetti e
(33) Cfr. H. HOFMANN, Vom Wesen der Verfassung, Humboldt-Universita t, Berlin
2002, p. 14.
(34) Anche Hasso Hofmann parla, di fronte ad un processo di costituzionalizzazione, di un processo di Entkonstitutionalisierung, che ha significato per le relazioni
interne e esterne dello Stato e che mostra in modo palese lesaurirsi del significato che
la costituzione ha avuto nel suo legame con lo stato nazionale e con i principi nati con
il giusnaturalismo. Sulla nostra come epoca di decostituzionalizzazione si veda anche G.
ZAGREBELSKY, I paradossi della riforma costituzionale, in Il futuro della costituzione cit., pp.
293-314, il quale critica i tentativi astratti di grande riforma, in favore di un atteggiamento che tenti costantemente con interventi particolari apparentemente limitati, di
unificare processi materiali e forma costituzionale.

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degli organi di decisione del tutto inefficace in relazione alla comprensione di cio` che sta effettivamente avvenendo e degli elementi
che sono rilevanti per le decisioni. E` lo stesso aspetto formale che
denota, ai diversi livelli, il soggetto della decisione nella costituzione
ad essere incapace di descrivere, comprendere e normare questi
processi. Si puo` dire che la costituzione manca anche del linguaggio
per nominare tali processi, in cui gli stessi momenti istituzionali
vengono a svolgere funzioni che non hanno rapporto con quanto
indicato e prescritto dalla costituzione.
Anche Dieter Grimm, che da una parte si interroga sulla
necessita` di una costituzione per lEuropa, dallaltra esprime la
consapevolezza della drastica diminuzione che ha subito quella
capacita` normativa che ha caratterizzato, a partire dalla Rivoluzione
francese, le costituzioni moderne (35). Se si pensa che il concetto di
sovranita`, nato nella teoria del nel lontano Seicento, ha preso una
sua dimensione storica con la Rivoluzione francese proprio mediante
la questione della costituzione e della nazione come suo soggetto
legittimo, allora puo` sembrare che assieme alla sovranita` e allo stato
nazionale sia anche la costituzione a tramontare, almeno nel significato che ha storicamente avuto. Il quadro che ci troviamo di fronte
mi pare, piu` che quello di un nuovo modello che ha preso congedo
dalla sovranita` moderna, piuttosto quello nel quale un complesso
concettuale, nato attorno alla sovranita` e calatosi nelle costituzioni
per normare la vita pubblica, emblematicamente rivela la sua difficolta` a costituire un armamentario valido per comprendere oggi la
realta` e orientare lagire individuale e collettivo.
A sostegno di tale affermazione sta la constatazione della persistenza di elementi centrali della logica della sovranita` nelle costituzioni contemporanee e nelle loro procedure. Penso non solo alla
funzione costituente del concetto di popolo e alla sua natura di unita`
dei cittadini uguali e indifferenziati, ma anche alla valenza dellespressione della volonta` individuale per la costituzione della
(35) Cfr. D. GRIMM, Die Zukunft der Verfassung, Suhrkamp, Frankfurt am M.
1991, sp. pp. 241 ss. Sulla posizione di Grimm, come pure su quella espressa da E. W.
BO} CKENFO} RDE, in Staat, Verfassung, Demokratie. Studien zur Verfassungstheorie und
Verfassungsrecht, Suhrkamp, Frankfurt am M. 1991, si vedano le interessanti osservazioni
di M. FIORAVANTI, Quale futuro per la costituzione, in La scienza del diritto pubblico cit.,
835-853.

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volonta` maggioritaria del corpo politico e alle procedure di formazione della rappresentanza, che implicano la concezione del singolo
al la` di ogni concreta differenza e si risolvono in una forma di
autorizzazione, con i dualismi e la mancanza di partecipazione che
caratterizzano la sovranita`. Penso inoltre alla difficolta` costituzionale
di pensare la pluralita` dei soggetti: una posizione abnorme hanno i
partiti che con la loro organizzazione non solo incanalano o contribuiscono a formare lopinione pubblica e prefigurano soluzioni
prefissate per le scelte dei rappresentanti, ma anche mediante laggregazione del loro personale, riescono a rendere vani alcuni degli
elementi tipici della costituzione, quale la divisione dei poteri (36).
Una difficolta` ancora maggiore ha la costituzione a pensare i gruppi
di interesse. Questi sempre piu` mostrano la capacita` di influenzare
le decisioni politiche e diventano parti nella negoziazione delle scelte
pubbliche, e tuttavia sono ancora considerati come parte sociale
piuttosto che attori politici con la responsabilita` che ne conseguirebbe. In altri termini la costituzione appare fondata sulla distinzione teorica che sempre meno ha un significato reale tra
societa` civile e stato e non e` indirizzata ad una situazione plurale che
e` pensabile solo in quanto risulti superata questa dicotomia (37).
Tutto cio` non ha per altro un carattere negativo, di fronte a cui
rassegnarsi, ne il dilemma a cui ci troviamo di fronte mi sembra
essere quello di una nuova capacita` prescrittiva della costituzione o
di un abbandono ai flussi incontrollabili della realta`. Piuttosto il
problema che a noi si propone sembra essere quello di pensare la
realta` superando gli strumenti che appaiono inservibili, ma dai quali
si fa fatica a congedarsi: pensare la realta` significa non certo fotografarla, o riprodurla nella teoria, ma piuttosto trovare i punti di
orientamento per non essere passivi allinterno dei processi e per
riuscire a guidarli alla luce della questione originaria della giustizia.
Pensare lEuropa ci aiuta ad essere sempre piu` consapevoli della
(36) Cfr. D. GRIMM, Die Zukunft der Verfassung, pp. 431 ss. (tr. it. 157 ss.): i partiti
sono peraltro un fenomeno prodotto dalla costituzione e legato allottica dellunita`
politica e alla conquista del potere piuttosto che una forma di pluralismo politico.
(37) Cfr. anche quanto dice Grimm: Insofern setzt die moderne Verfassung
die Differenz von Staat und Gesellschaft voraus. Ungekehrt ist sie auf Akteure, Institutionen und Verfahren, die sich auf diese Grenzlinien nicht festlegen lassen, nicht
eingerichtet (Ibid).

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crisi della concettualita` che ha nei diritti degli individui e nel potere
del soggetto collettivo i suoi due poli. Pensare una costituzione per
lEuropa, e` possibile a patto di cambiare il significato che la costituzione ha avuto nellepoca moderna e di ripensare criticamente i
suoi principi, che si e` soliti dare per scontati. Bisogna investire di
una domanda radicale gli elementi di base del pensiero politico
moderno: dunque il concetto di individuo e il suo ruolo, il concetto
di liberta` che la riduce esclusivamente allautonomia e allindipendenza, la funzione dei diritti individuali e il concetto in cui questi
elementi si concentrano: quello di rappresentanza politica (38).
Ma pensare in modo nuovo lEuropa non e` possibile se non
pensando in modo nuovo la realta` che e` stata rappresentata dalla
forma-stato, e cio` fino in fondo, non solo perche lUnione Europea
e` una realta` irriducibile alla statualita`, ma anche perche il pensiero
che essa sollecita per la sua comprensione comporta il superamento
della concettualita` classica dello Stato pure per quelle realta` statali
che ad essa danno luogo. In rapporto allEuropa la pluralita` dei
soggetti puo` forse essere pensata in una accezione diversa da quella
della pluralita` degli Stati, che sono pensati e organizzati sulla base
della sovranita` e dei suoi concetti. Bisogna riuscire a pensare pluralita` e partecipazione politica allinterno di quella realta` che e` stata
delimitata e organizzata dalle costituzioni attraverso i poli costituiti
dal soggetto individuale e da quello collettivo. Non e` tanto da
trovare la mediazione tra lindividuo e lunita` dello Stato, quanto da
riconoscere il loro essere astrazioni, riuscendo a dare dimensione
politica a quelle concrete e plurali forme in cui i cittadini si trovano
concretamente a vivere ed ad operare. Tutto cio` significa avere
anche la capacita` di ripensare criticamente il modo in cui si e`
determinata la democrazia come forma costituzionale che ha preso
lavvio dai concetti sopra indicati di popolo e di sovranita`, e ha
trovato nella moderna rappresentanza politica il suo strumento.

(38) Una nuova capacita` del pensiero e` sollecitata da H. HOFMANN, Das Wesen der
Verfassung, cit., sp. p. 23, e anche da M. FIORAVANTI, La scienza del diritto pubblico cit.,
sp. p. 851.

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SABINO CASSESE

CHE TIPO DI POTERE PUBBLICO E


v
LUNIONE EUROPEA? (*)
1. Introduzione. 2. LUnione europea e gli ordinamenti compositi del passato. 3.
Utilita` e problemi di questo tipo di comparazione. 4. Il carattere composito degli Stati
nazionali. 5. Gli elementi comuni degli ordinamenti compositi: a) estensione geografica ed apertura. 6. Gli elementi comuni degli ordinamenti compositi: b) figure di
composizione e grado di integrazione. 7. Gli elementi comuni degli ordinamenti
compositi: c) organizzazioni fluide, non gerarchiche, diffuse. 8. Gli elementi comuni
degli ordinamenti compositi: d) larena pubblica: ius inventum contro ius positum.
9. I fattori di crisi degli ordinamenti compositi del passato.

1.

Introduzione.

LUnione europea e` un condominio, un consorzio, una costellazione di istituzioni, una fusione di funzioni di governo, una
struttura di reti di governance (1). Questa varieta` di qualificazioni
e` il sintomo di una difficolta`, quella di stabilire che tipo di potere
pubblico sia lUnione europea.
Non e` la prima volta, tuttavia, che le scienze sociali incontrano
tale difficolta`. Anche di molti ordinamenti del passato, lontano e
vicino, si afferma che sono un cosmo o intrico di strutture (tali gli
ordinamenti medievali (2)), un loose bundle of widely differing,
heterogeneous and independent territories (cos` lImpero asburgi(*) Ringrazio i professori Stefano Battini, Giacinto della Cananea, Antonio Padoa
Schioppa e il dottor Matteo Gnes, che hanno letto una prima versione di questo scritto
e mi hanno fatto avere i loro commenti.
(1) F. SCHARPF, Verso una teoria della multi-level governance in Europa, in Rivista
italiana di politiche pubbliche, 2002, n. 1, pp. 13 e 15.
(2) G. TABACCO, Sperimentazioni del potere nellalto Medioevo, Einaudi, Torino,
1993, pp. 41 e 8.

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(2002)

co (3)), un aggregato eterogeneo di territori (tale il ducato di Savoia


nel Rinascimento (4)), un mosaico di ordinamenti (cos` il principato
dei Medici (5)).
Puo` essere, allora, utile porre in rapporto tra di loro, avviando
una analisi storica comparativa, queste diverse esperienze, che
hanno in comune dessere dominate da ordinamenti compositi.
Il tentativo puo` essere utile non solo per lovvio motivo che la
storia di altri ordinamenti similari del passato puo` aiutarci a comprendere meglio i caratteri dellordinamento europeo attuale, ma
anche per altri due motivi, che si passa ad indicare.
La comunita` internazionale e` riuscita, specialmente nella seconda meta` del XX secolo, a far prevalere il principio della eguaglianza formale dei soggetti del diritto internazionale, gli Stati.
Questo livellamento nasconde diversita` che sono maggiormente
visibili in epoche precedenti, quando erano piu` evidenti gli squilibri
e le differenze tra i soggetti dellordinamento internazionale. Questi
squilibri e differenze portavano alcuni Stati nellorbita di altri,
dando luogo a figure di composizione della piu` diversa natura, quali
gli Stati tributari, gli Stati vassalli, le unioni personali e reali di Stati,
le unioni coloniali, ecc. Tali figure di composizione, a loro volta,
producevano entita` sovranazionali (o si dovrebbe dire a-nazionali?),
il cui esame puo` essere istruttivo per lo studio dellUnione europea
doggi.
Queste entita` sovranazionali, poi, presentavano caratteristiche
diverse da quelle degli Stati nazionali, che poi prevarranno, imponendo, anche grazie al sopra indicato principio di eguaglianza
affermatosi nellordinamento internazionale, una visione Stato-centrica. A questa si deve lopinione prevalente per la quale tutti i poteri
pubblici vengono correntemente denominati Stati, con effetti persino comici se si pensa che nelle scienze che si occupano di questi
temi prevale lopinione secondo cui sarebbero assimilabili gli Stati(3) W. OGRIS, The Habsburg Monarchy in the Eighteenth Century: The Birth of the
Modern Centralized State, in A. PADOA-SCHIOPPA (ed.), Legislation and Justice, Clarendon,
Oxford, 1997, p. 312.
(4) A. BARBERO, Il ducato di Savoia, Amministrazione e corte di uno Stato francoitaliano (1416-1536), Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 6.
(5) L. MANNORI, Il sovrano tutore - Pluralismo istituzionale e accentramento
amministrativo nel principato dei Medici (secc. XVI - XVIII), Giuffre`, Milano, 1994, p. 21.

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SABINO CASSESE

citta` della Grecia antica o dellItalia nel basso Medioevo, gli Stati
nazionali unitari, come la Francia, e gli Stati federali, come gli Stati
Uniti dAmerica.
Dunque, lavvio di unanalisi storico-comparativa dei poteri
pubblici compositi presenta due motivi di interesse: serve a comprendere meglio la natura dellUnione europea; consente di liberarsi
della dittatura culturale stato-centrica e di riprendere in forma piu`
completa e corretta lanalisi dei diversi tipi di poteri pubblici
generali.
In questo scritto si tenta di iniziare lanalisi storico-comparativa,
avvertendo, pero`, che questa ha carattere introduttivo: servono ben
altre forze e preparazione per percorrere una strada tanto ardua.
Lo scritto e` articolato in cinque parti. Nella prima sono definiti
gli istituti da comparare ed e` indicato il modo in cui puo` essere
svolta la comparazione. Nella seconda sono mostrati utilita` e problemi di questo tipo di comparazione. Nella terza e` spiegato che
anche la storia degli Stati non e` dominata dai paradigmi unitari e
centralistici in cui si e` a lungo creduto. Nella quarta sono individuati
gli elementi caratteristici comuni allUnione europea e agli ordinamenti compositi del passato e sono poste a raffronto le relative
esperienze. Nellultima sono valutati i fattori di crisi degli ordinamenti compositi del passato.
2.

LUnione europea e gli ordinamenti compositi del passato.

Gli ordinamenti da porre a raffronto sono quello europeo


odierno e quelli compositi del passato (o alcuni di essi).
Lordinamento europeo risulta dalla parziale integrazione tra
quindici Paesi; ha una costituzione sovranazionale e quindici costituzioni nazionali, con prevalenza della prima su quelle nazionali,
salvo che per i principi fondamentali (ma solo per i Paesi con
costituzione scritta); ha due organi che si spartiscono le funzioni
governative, Commissione e Consiglio, il secondo dei quali e`, a sua
volta, organo misto, composto di titolari della funzione governativa
in sede nazionale; ha un potere giudiziario, non organicamente, ma
funzionalmente sovraordinato sugli apparati giudiziari degli Stati; ha
un limitato potere esecutivo, perche per lo piu` esegue le decisioni
prese avvalendosi degli uffici degli Stati membri.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Gli ordinamenti del passato hanno presentato una grande quantita` di unioni o combinazioni, variamente classificate. Secondo un
punto di vista accettato, ma insoddisfacente, i generi principali
sarebbero stati quattro: unioni storico-politiche, unioni giuridiche
inorganiche, unioni giuridiche organiche, Stati federali. Al primo
genere apparterrebbero le unioni coloniali, le incorporazioni e le
unioni personali. Al secondo genere apparterrebbero le unioni
risultanti da trattati, da occupazione ed amministrazione, da alleanze, gli Stati tributari, gli Stati vassalli patrimoniali, i protettorati,
gli Stati compositi (o Stati di Stati). Del terzo genere farebbero parte
le seguenti specie: unioni internazionali, unioni dordine interno,
confederazioni di Stati e unioni reali. Al quarto genere apparterrebbero i diversi tipi di Stati federali (6). Non tutti questi generi e specie
interessano per la comparazione con lUnione europea, ma solo
quelli piu` vicini, come le unioni, reali e personali, e gli Stati
compositi. Solo questi, infatti, da un lato, comportano la coesistenza
di piu` ordinamenti; dallaltro, si accompagnano ad un certo grado di
equilibrio tra di loro.
Va notato, peraltro, che tra gli ordinamenti compositi del
passato e lUnione europea (nonche gli altri ordinamenti compositi
odierni) vi sono due differenze fondamentali: nel passato, gli esecutivi e la forza bellica giocavano un ruolo fondamentale; nellUnione
europea, invece, i poteri legislativi e giudiziario sono in primo piano;
la guerra e luso della forza sono banditi e la stessa forma dellUnione e` frutto di limitazioni volontarie della sovranita`.
Entita` politiche comuni per il fatto di essere composite, ma
tanto diverse non solo per il fatto di appartenere ad epoche differenti, ma anche per il fatto di essere dominate da forze opposte,
come possono essere poste a raffronto? Lipotesi che qui si affaccia
e` la seguente: lUnione europea, istituzione nuova ed originale nel
suo disegno complessivo, per cui e` difficile ricondurla ai macromodelli o ideal-tipi utilizzati nelle scienze sociali (7), e` composta,
(6) A. BRUNIALTI, Unioni e combinazioni fra gli Stati. Gli Stati composti e lo Stato
federale, in Biblioteca di scienze politiche, vol. VI, parte prima, Utet, Torino, 1891, p.
XXXIV.
(7) In questo senso F. SCHARPF, Verso una teoria della multi-level governance in
Europa, cit., pp. 15 e 36.

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SABINO CASSESE

tuttavia, di elementi che ricorrono anche negli ordinamenti compositi del passato. Per cui occorre porre a raffronto non i modelli nel
loro insieme, ma alcuni dei loro tratti caratteristici, non gli edifici,
ma i materiali con cui sono stati costruiti.
Occorre, dunque, procedere scomponendo gli ordinamenti
nelle parti essenziali; rilevando somiglianze e differenze tra gli
elementi comuni; rintracciando, se possibile, il loro archetipo e la
loro evoluzione storica, in modo da accertare quanto abbiano contribuito al successo e alla decadenza degli ordinamenti compositi.
Il metodo indicato presenta numerosi vantaggi. In primo luogo,
consente di non rinunciare allanalisi teorica dellUnione, come
accade se si afferma che essa e` istituzione sui generis, e quindi non
comparabile ad altre istituzioni. In secondo luogo, permette di
collocare lUnione tra i diversi tipi di reggimenti politici generali, e
di sfuggire allottica Stato-centrica prevalente. Infine, consente di
valutare levoluzione dei diversi elementi e di compiere ragionevoli
previsioni sulla base della comparazione. Dunque, la storiografia, in
questo caso, non serve unesigenza di conoscenza puramente storica,
diventa parte integrante della comparazione.
3.

Utilita` e problemi di questo tipo di comparazione.

Prima di procedere, e` importante fare alcune avvertenze. La


prima riguarda lutilita` della comparazione che si puo` chiamare
storica per gli studi sullUnione europea. Questi, fermi alla comparazione Unione-Stati federali, rischiano di rimanere asfittici, mentre
linterrogazione del ricco repertorio del passato puo` arricchirli.
La seconda riguarda lutilizzazione degli ordinamenti giuridici
compositi del passato. Per essi si pongono non pochi problemi.
Innanzitutto, con riguardo alla scelta dellarea geografica: Cina,
Giappone, Americhe presentano esempi di ordinamenti compositi.
E` preferibile, pero`, far riferimento agli esempi europei, sia perche
piu` numerosi, sia perche e` in questa area che si e` sviluppata lUnione
detta, appunto, europea.
In secondo luogo, con riferimento alla selezione del periodo,
perche gli ordinamenti compositi sono cambiati nel tempo, e la
comparazione puo` tener conto della fase iniziale, dellapogeo, degli

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

ulteriori sviluppi. Per questo, la comparazione storica va fatta indicando quale dei momenti si tiene in considerazione.
In terzo luogo, relativamente agli studi. Lanalisi giuridica si
sofferma in prevalenza sulla normazione e sulla scienza giuridica. Le
eccezioni sono costituite dagli studi di Georg Jellinek (8) e di Attilio
Brunialti (9). Ma questi due contributi sono influenzati dallepoca (la
fine del XIX secolo) in cui furono scritti: lattenzione e` rivolta al
problema della personalita` giuridica; e` frequente luso di concetti e
distinzioni privatistici, come quelli di unio realis aequalis e unio
realis inaequalis, di unio per suppressionem, per confusionem,
per novationem, di incorporatio plena o minus plena; e`
dominante lideal-tipo statale unitario e centralizzato, col quale le
forme composite vengono comparate.
Lanalisi storica e` piu` recente, ma e` ancora agli inizi. Gli scritti
piu` importanti sono quelli di Helmut G. Koenigsberger (10) e di
John H. Elliott (11). Questi contributi si riferiscono in prevalenza
allinizio delleta` moderna, tracciano le prime distinzioni (quella tra
unioni di poteri politici eguali e diseguali o quella tra unioni su
territori contigui o su territori distanti e separati dal mare, come
Inghilterra-Irlanda) e misurano i fattori di integrazione e i fattori di
crisi.
In realta`, va attribuita alla forte presenza dello Stato unitario e
centralizzato, nel periodo che va dallinizio del XIX secolo alla meta`
di quello successivo, la circostanza che linteresse delle scienze
storiche e sociali per gli ordinamenti compositi sia in una fase
elementare, e sia anzi regredito rispetto al XVII e al XVIII secolo.
Per comprendere quanti passi indietro siano stati fatti, si consideri il
capitolo nono del primo libro de I sei libri dello Stato di Jean
Bodin (XVI secolo), oppure si prendano le acute distinzioni di un
giurista spagnolo del XVII secolo, Juan de Solo rzano Pereira, e di un
(8) G. JELLINEK, Die Lehre des Staatsverbindungen, Holder, Wien, 1882.
(9) A. BRUNIALTI, Unioni, cit.
(10) H.G. KOENIGSBERGER, Dominium Regale or Dominium Politicum et Regale, in H.G. KOENIGSBERGER, Politicians and Virtuosi: Essays in Early Modern History,
Hambledon Press, London, 1986.
(11) J.H. ELLIOTT, A Europe of Composite Monarchies, in Past and Present,
1992, p. 48 ss. Si veda anche G.G. ORTU, Lo Stato moderno. Profili storici, Laterza,
Roma-Bari, 2001, pp. 22-23 e 56.

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giudice italiano del XVIII secolo, nessuno dei due rinomati. Il primo
dedicava un intero capitolo della sua vasta opera allesame di sei
gradi di limitazioni della sovranita`, elencando lo Stato tributario,
quello sotto protezione, quello indipendente, ma vassallo per un
feudo, quello vassallo, ma non suddito, il vassallo ligio, ma non
suddito, quello suddito (12). Il secondo distingueva unioni accessorie, da unioni aeque principaliter. Nel primo caso, esemplificato dalle Indie spagnole incorporate nella corona di Castiglia e
dallUnione del Galles nellInghilterra con gli atti del 1536 e 1543,
un territorio e` unito a un altro e considerato parte di questo,
sottoponendo gli abitanti alle stesse leggi. Nel secondo, di cui sono
un esempio i regni e le province della monarchia spagnola, Aragona,
Valenza, Catalogna, Sicilia, Napoli, province olandesi, le due parti
sono trattate come entita` distinte, conservando leggi, privilegi, diritti, e governate come se il re fosse il monarca di ciascuno di
essi (13).
Nel 1769, invece, un giudice dellItalia centrale riassumeva in tre
le maniere per le quali un popolo puo` congiungersi allaltro. Nella
prima, [] la nazione dominante conserva in parte la sovranita` del
popolo a lei congiunto, registrandola solo a certi riguardi. Nella
seconda, [] la nazione vittoriosa incorpora in se stessa il popolo
soggiogato, assicurandogli pero` il dominio delle proprie cose,
luso della [sua] legge e i beni destinati pel mantenimento del
Comune. Nella terza, [] la nazione annientisce talmente il
popolo soggiogato, che sottopone il medesimo alle sue leggi, e toglie
tutti i di lui beni trasferendoli sotto il proprio dominio e proprieta` (14).
4.

Il carattere composito degli Stati nazionali.

Il modello dello Stato nazionale unitario e centralizzato, sia per


la sua lunga durata, sia per il modo in cui e` servito alle esigenze di
(12) J. BODIN, I sei libri dello Stato, tr. it., Utet, Torino, 1964 (rist. 1988), I,
p. 407 ss.
(13) Le distinzioni del giurista spagnolo sono riassunte in J.H. ELLIOTT, A Europe,
cit., pp. 52-53.
(14) I testi sono in L. MANNORI, Il sovrano tutore, cit., pp. 37-54.

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(2002)

potere, sia, infine, per il richiamo esercitato dalla sua costruzione


concettuale, non ha avuto soltanto una forza attrattiva rispetto agli
altri tipi di poteri pubblici, ma ha anche oscurato la stessa storia
degli Stati nazionali, la cui fase iniziale e` caratterizzata anchessa
dalla presenza di una moltitudine di altri organismi politici.
Lo Stato ha le sue basi nel Rinascimento e si sviluppa fino al
XIX secolo con percorsi diversi, piu` rapidi in Francia, Inghilterra e
Spagna meno veloci in Italia e Germania (15). Il suo sviluppo avviene
in tre stadi: convergenza nel principe di diverse sfere di sovranita`;
combinazione e rafforzamento dei diversi titoli di potere in una
sovranita` territoriale unica; concentrazione nellautorita` unitaria
dello Stato, sovrana allesterno e dotata di supremazia allinterno, di
tutte le competenze (16).
Ma gia` la circostanza che in Europa nel 1500 vi fossero circa 500
unita` politiche piu` o meno indipendenti e che nel 1900 esse si
fossero ridotte a 25 (17) dovrebbe far pensare che in uno di quei tre
stadi vi sia laggregazione di piu` unita`. Per cui e` stato osservato che
most states in the early modern period were composite states,
including more than one country under the sovereignty of one
ruler (18). Oppure che in tutti i paesi europei, lo Stato moderno tra
i secoli XV e XVII e` [] unaggregazione federativa (19). Insomma, [] piu` che essere ununita` politica dotata di potere
esclusivo su un territorio continuo e unitario, lo Stato si presenta
[] come il conglomerato di una moltitudine di unita` territoriali,
situate in differenti posizioni geografiche e geopolitiche [.] dotate
(15) S. CASSESE, Fortuna e decadenza della nozione di Stato, in Scritti in onore di
Massimo Severo Giannini, Giuffre`, Milano, 1988, vol. I, p. 93.
(16) Questa la sintesi dellopinione di O. Brunner fatta da E.W. BOECKENFOERDE,
The Rise of the State as a Process of Secularization, in E.W. BOECKENFOERDE, State, Society
and Liberty. Studies in Political Theory and Costitutional Law, tr. ingl., Berg, New
York-Oxford, 1999, p. 26.
(17) Cos` C. TILLY, Sulla formazione dello Stato in Europa, in C. TILLY (a cura di),
La formazione degli Stati nazionali nellEuropa occidentale, tr. it., Il Mulino, Bologna,
1984, p. 19.
(18) Cos` H.G. KOENIGSBERGER, Dominium Regale, cit., p. 12.
(19) J.A. MARAVALL, Stato moderno e mentalita` sociale, tr. it., Il Mulino, Bologna,
1991, tomo I, pp. 135-136; nello stesso senso, W. OGRIS, The Habsburg Monarchy, cit.,
p. 315.

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SABINO CASSESE

di particolari autonomie e privilegi, e che abbisognano quindi di


peculiari e diversificate forme di governo (20).
Ce` un passaggio, insomma, che nei tre stadi indicati da Brunner
non e` segnalato, e che e` stato posto in luce di recente, il passaggio
from segmental to consolidated States (21), per cui dai latemedieval composite states si passa alle territorial sovereignties
delle monarchie autocratiche e di quelle costituzionali (22).
Questo passaggio si puo` registrare nella storia del Sacro Romano Impero della Nazione tedesca (962-1806), e, poi, del secondo
Impero tedesco (1871-1918), dellInghilterra tra XVI e XIX secolo,
della Francia pre-rivoluzionaria, dellOlanda tra XVI e XVIII secolo.
Il Sacro Romano Impero della Nazione tedesca e` definito da
Samuel Pufendorf nel XVII secolo non piu` una monarchia limitata
[] e nemmeno una federazione di molti Stati, ma piuttosto una
cosa intermedia tra le due (23) e da Johann Stephan Puetter nel
XVIII secolo respublica composita ex pluribus rebuspublicis specialibus (24). Infatti, limperatore ha un dominio su tutto limpero
(che si estende poco oltre la Germania), il Landsherr ha un
dominium intermedium o Landeshoheit sul suo territorio (25).
(20) Cos` L. BLANCO, Note sulla piu` recente storiografia in tema di Stato moderno,
in Storia amministrazione costituzione, Annale ISAP, 2/1994, p. 266, che consiglia
quindi di non ridurre, in via esclusiva, la storia dello Stato alla storia del potere centrale
e delle sue articolazioni periferiche (p. 267; v. anche pp. 268 e 294). Sul pluralismo delle
prime forme di Stato, G. ROSSETTI (a cura di), Forme di potere e struttura sociale in Italia
nel Medioevo, Il Mulino, Bologna, 1977; G. CHITTOLINI (a cura di), La crisi degli
ordinamenti comunali e le origini dello Stato nel Rinascimento, Il Mulino, Bologna, 1979;
N. RAPONI (a cura di), Dagli Stati preunitari dantico regime allunificazione, Il Mulino,
Bologna, 1981; G. CHITTOLINI, A. MOLHO, P. SCHIERA (a cura di), Origini dello Stato.
Processi di formazione statale fra medioevo ed eta` moderna, Il Mulino, Bologna, 1994.
(21) C. TILLY, European Revolutions 1492-1992, Blackwell, Oxford and Cambridge, 1995, pp. 29-35.
(22) W. TE BRAKE, Shaping History. Ordinary People in European Politics 15001700, Univ. of California Press, Berkeley, 1998, p. 184 (si vedano anche le pp. 178-179).
(23) Cit. in H. SCHILLING, Corti e alleanze. La Germania dal 1648 al 1763, tr. it., Il
Mulino, Bologna, 1999, p. 109.
(24) La citazione e` in E. BUSSI, Il diritto pubblico dal Sacro romano impero alla fine
del XVIII secolo, vol. I, II ed., Giuffre`, Milano, 1970, p. 187.
(25) Cos` E. BUSSI, Il diritto pubblico, cit., p. 79 e 188; si veda anche il secondo
tomo dellopera, Giuffre`, Milano, 1959, p. 340. Sul Sacro romano impero della nazione

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Lesistenza di poteri intermedi sovrani si protrarra` nel secondo


Impero, durante il quale rimarranno in vita quattro regni (Sassonia,
Baviera, Wu rttemberg, Prussia), sei granducati, cinque ducati, sette
principati, tre citta` libere, con i relativi principi regnanti, tutti con
propri poteri, tra cui quello di concludere trattati e di inviare propri
ambasciatori, e propri giudici, mentre limperatore si curava della
difesa, della moneta, del mercato unico e della legislazione uniforme
mediante codici (26).
La Gran Bretagna reca persino nella denominazione la sua
composizione con parti diverse, il Galles incorporato come si e`
gia` detto alla meta` del XVI secolo; la Scozia, oggetto di unione
prima personale, poi reale (1607 e 1707); lIrlanda prima oggetto di
unione personale, poi incorporata (1541 e 1800) (27).
Nella stessa Francia pre-rivoluzionaria, portata come esempio di
Stato unitario, Bretagna, Linguadoca, Provenza, Delfinato e Borgogna avevano un particolare status giuridico e proprie assemblee (28).
LOlanda dal XVI al XVIII secolo era composta di sette province sovrane, unite dal trattato di Unione del 1579, senza ne una
costituzione unica, ne una casa regnante, ne una corte. Il capo di
tedesca sono anche importanti G. BRYCE, Il Sacro Romano Impero, tr. it., Hoepli, Milano,
1907, spec. pp. 95, 144 e 217; P. KOSCHAKER, LEuropa e il diritto romano, tr. it., Sansoni,
Firenze, 1962, spec. p. 5, p. 33 ss. e il cap. VI; A. BRUNIALTI, Unioni, cit., p. XI; R.L. VAN
CAENEGEM, An Historical Introduction to Western Constitutional Law, Cambridge Univ.
Press, Cambridge (Mass.), 1995, pp. 63 ss.; D. WILLOWEIT, The Holy Roman Empire as
a Legal System, in A. PADOA-SCHIOPPA (ed.), Legislation and Justice, cit., pp. 123 ss. Si
vedano anche E.W. BOECKENFOERDE, The Rise, cit., p. 75 e G. TABACCO, Sperimentazioni,
cit., p. 45, che criticano lapplicazione dello schema interpretativo dello sviluppo statale
al mondo germanico. Infine, di particolare interesse A. OSIANDER, Sovereignty, International Relations and the Westphalian Myth, in International Organization, 2001, n. 2,
spring, spec. pp. 269 ss., dove osserva che lImpero era a system of collective restraint
(p. 279). Secondo Johann Stephan Puetter, che scriveva nel 1777 (cit. a pp. 276-77),
every estate of the empire is free to do good in his lands, but can be prevented from
doing evil by a higher power.
(26) Si vedano A. BRUNIALTI, Unioni, cit., p. XXXI; R.L. VAN CAENEGEM, An
historical introduction, cit., pp. 224 ss.; P. NEAU, Lempire allemand, Puf, Paris, 1997,
p. 29.
(27) A. BRUNIALTI, Unioni, cit., p. XLIV e W. REINHARD, Storia del potere politico
in Europa, tr. it., Il Mulino, Bologna, 2001, pp. 47-48.
(28) W. REINHARD, Storia del potere, cit., p. 47.

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SABINO CASSESE

Stato era per lo piu` preso dalla casa degli Orange, per cui questa era
una monarchia di fatto. Nellassemblea ogni provincia aveva un
numero non precisato di membri, ma un solo voto, e con vincolo di
mandato. Gli Stati generali potevano decidere questioni belliche e
fiscali solo allunanimita`. Lo stesso Consiglio di Stato, che era
lorgano esecutivo, era composto di rappresentanti delle province,
con un segretariato (29).
Questo rapido esame del periodo della formazione degli Stati
nazionali ha consentito di accertare che non solo in eta` bassomedievale, ma anche in epoca moderna le formazioni statali nelle
quali sono, poi, prevalsi i caratteri dellunitarieta` e della centralizzazione erano caratterizzate da un elevato grado di policentrismo,
con sovranita` distinte e corpi separati.
Gli storici vanno anche oltre, osservando che gli Stati nazionali
sono costruzioni della storia e prodotti di una retorica nazionalistica
ufficiale, sviluppatasi solo quando uno dei molti ordinamenti si e`
imposto agli altri, assicurando, cos`, unita`, uniformita`, accentramento, e notando che gli Stati nazionali sono stati, dal XIX secondo,
un modello, al quale si sono uniformati, per molti aspetti, anche gli
Stati multinazionali ancora esistenti (30).
5. Gli elementi comuni degli ordinamenti compositi: a) estensione
geografica ed apertura.
Gli ordinamenti compositi esaminati nel paragrafo precedente
presentano tutti due caratteristiche, tra loro legate: di raggruppare
una sola nazionalita` (31) e di essersi trasformati, in un arco di tempo
piu` o meno lungo, in un solo Stato unitario, Germania, Gran
Bretagna, Francia, Olanda.
(29) R.L. VAN CAENEGEM, An historical introduction, cit., pp. 142 ss.
(30) Si veda, in particolare, S. ROMANO, LEuropa dopo il 1989 e il futuro degli Stati
nazionali, in Nuova storia contemporanea , 4, 2002, pp. 5 ss.
(31) Questo criterio va considerato, peraltro, con molta cautela, perche molti
Stati-nazione comprendono piu` nazionalita`, tanto e` vero che si e` distinto tra Stato
nazionale e Stato-nazione, e perche non va dimenticato il multifaceted character of a
sense of identity in the process of European state-building, come osserva J.H. ELLIOTT,
A Europe, cit., p. 57, nota 29. Per questi motivi, si dovrebbe parlare di una sola
nazionalita` dominante.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Diversa la sorte di altri ordinamenti compositi, piu` vasti, che


non si sono trasformati, bens` si sono rotti in pezzi, dando luogo a
piu` unita` ed organismi politici: Sacro romano impero (800-962),
Impero ottomano (1362-1923), Impero spagnolo (1469-1898), Impero asburgico (1550-1918). E` tra questi e lUnione europea che puo`
ora farsi la comparazione storica di cui si e` detto, prendendo uno ad
uno gli elementi comuni ed esaminando il modo diverso in cui si
pongono e in cui si evolvono nei diversi contesti (32).
Il primo di questi elementi e` quello fisico: tutti gli ordinamenti
prescelti sono governi di aree o territori vasti, nel senso che hanno
unampia estensione geografica (33).
LUnione europea include quindici Stati. Il Sacro romano impero era un vast supranational political home che si estendeva alla
(32) Altri imperi vi sono stati, in particolare nel periodo tra il 1875 e il 1914,
definito da E.J. HOBSBAWM, Leta` degli imperi 1875-1914, tr. it., Laterza, Roma-Bari,
1987. Il titolo di imperatore era appannaggio dei sovrani di Russia, Gran Bretagna, Cina,
Giappone, Persia, Etiopia e Marocco. Gli imperi di questa fase fanno parte, pero`, di una
tipologia diversa: sono frutto prevalente della espansione economica di paesi europei a
danno di paesi dellAfrica e dellAsia e risultato dellimperialismo e del colonialismo.
Come osserva E.J. HOBSBAWM (Leta`, cit., p. 70) imperi e imperatori erano realta` di
vecchia data, ma limperialismo era una novita` assoluta. La circostanza che il fenomeno
storico e la tipologia siano diversi da quelli qui indagati non vuol dire, pero`, che non
siano presenti anche nelleta` dellimperialismo alcuni caratteri degli imperi-ordinamenti
compositi. Ad esempio, intorno al 1890 poco piu` di 6000 funzionari britannici
governavano quasi 300 milioni di indiani con laiuto di poco piu` di 70.000 soldati
europei, le cui file erano composte, come quelle delle molto piu` numerose truppe
indigene, da mercenari [] (E.J. HOBSBAWM, Leta`, cit., p. 96). Pero` lindirect rule
non si riscontra sempre: ad esempio, la Francia tendeva ad imporre i propri ordinamenti
alle colonie (P. LEGENDRE, Tre sor historique de lEtat en France. LAdministration
classique, Fayard, Paris, 1992, p. 155, dove osserva che la metropoli francese legifera,
governa e amministra le colonie). Puo` essere interessante aggiungere che, nellordinare
un altro Stato composito, i padri fondatori degli Stati Uniti dAmerica considerarono
come precedenti il Sacro romano impero (e la sua continuazione nellImpero germanico), Polonia, Confederazione svizzera e Paesi Bassi (A. HAMILTON, J. MADISON, J. JAY, Il
federalista, tr. it., Il Mulino, Bologna, 1997, pp. 246-256).
(33) Non e` significativo, invece, il dato della popolazione, per laumento demografico mondiale che non rende comparabili i dati: si pensi soltanto che lImpero
ottomano avrebbe avuto, intorno al XVI secolo, soltanto 8 milioni di abitanti (cos` N.
BELDICEANU, Lorganizzazione dellImpero ottomano (XIV-XV secolo), in R. MANTRAN (a
cura di), Storia dellimpero ottomano, tr. it., Argo, Lecce, 1999, p. 153), mentre lUnione
europea ne ha 376 milioni.

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SABINO CASSESE

Francia, alla Germania, al Belgio, allOlanda, al Lussemburgo, alla


Svizzera, a parte della Spagna e dellItalia (34), e includeva longobardi, franchi, sassoni, bavari, borgognoni e andava dallEbro allAdriatico, allattuale Austria, e dal mare del Nord al Mediterraneo (35).
LImpero ottomano si estendeva nel XVI secolo alle attuali
Ungheria, Romania, Bulgaria, Iugoslavia, Albania, Grecia, Ucraina,
Crimea, Turchia, Iraq, Siria, Libano, Israele, parte dellArabia e
dello Yemen, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, parte del Sudan e
dellEtiopia e includeva mussulmani, cristiani, ebrei, e molte etnie,
come circassi, armeni, georgiani, greci, albanesi, ecc. (36).
Limpero spagnolo nacque intorno al regno di Ferdinando
dAragona e di Isabella di Castiglia (1479-1504) e si estendeva a
Catalogna, Navarra, Portogallo, Napoli, Sicilia, Sardegna e Peru` (37).
Limpero asburgico, a sua volta, era composto da tre complessi
territoriali, a loro volta monarchie composite: territori ereditari
austriaci, come Austria, Stiria, Carinzia, Carniola, Tirolo; territori
della corona di Boemia, come Boemia, Moravia, Slesia; altri territori,
come Ungheria, Transilvania, Croazia (38). La complessita` dellordinamento era tale che, nel 1765, Maria Teresa aveva un titolo che
comprendeva quaranta cariche, come regina di Ungheria, Boemia,
Dalmazia, Croazia, Slavonia, marchesa di altri territori, principessa
di altri, ecc.: per questo motivo limpero era definito Monarchische
Union von Sta ndestaaten (39).
Degli ordinamenti compositi di cui si parla non e` caratteristica
soltanto la vastita`, ma anche un altro elemento, costituito dal fatto
che essi non sono unita` chiuse. Basti dire che il Medioevo durante
lepoca feudale non conosce il concetto di frontiere, esistendo quello
(34) R.L. VAN CAENEGEM, An historical introduction, cit., p. 43.
(35) G. VOLPE, Il Medioevo, Vallecchi, Firenze, s.d. (ma 1926), p. 117.
(36) G. VEINSTEIN, Limpero al suo apogeo (XVI secolo), in R. MANTRAN (a cura di),
Storia, cit., pp. 180, 185 e 195 e A. BRUNIALTI, Unioni, cit., pp. XCII-XCIII.
(37) C. HERMANN, Multinationale Habsburg et Universalisme Chretien, in J.-P.
GENET (ed.), LEtat moderne: gene`se. Bilans et perspective, Editions du C.N.R.S., Paris,
1990, p. 33; G. HERMET, Histoire des nations et du nationalisme en Europe, Seuil, Paris,
1996, pp. 47-48; W. REINHARD, Storia, cit., p. 47.
(38) W. REINHARD, Storia, cit., p. 48 e pp. 63-64.
(39) W. OGRIS, The Habsburg Monarchy, cit., p. 315.

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di marca, che e` regione di frontiera, zona instabile, senza organizzazione fissa (40) e ricordare che lUnione europea ha, al suo
interno, paesi tra i quali esistono forme di cooperazione rafforzata e
paesi con territori autonomi o doltremare con statuti particolari; ed
e` parte del piu` vasto Spazio economico europeo ed e` destinata ad
allargarsi ad un numero di Paesi piu` grande di quelli che ne fanno
ora parte.
Si evidenziano, cos`, due tratti che contraddistinguono questi
ordinamenti (lestensione geografica e lapertura) e li separano dagli
Stati, che, non solo hanno dimensioni minori, ma hanno ereditato
dalle citta` la tendenza a costituirsi in unita` chiuse [], autarchiche o autosufficienti (41).
6.

Gli elementi comuni degli ordinamenti compositi: b) figure di


composizione e grado di integrazione.

Il secondo elemento comune e caratteristico degli ordinamenti


che qui si considerano, dopo quello dellampiezza ed elasticita`
geografica, e` piu` complesso e consiste nel loro essere frutto di figure
di composizione tra ordinamenti, che vengono s` variamente integrati, ma permangono distinti. Cio` produce un forte pluralismo
interno ed e` possibile grazie alla convivenza di piu` diritti, diversamente ordinati, ma regolati da princip che ne assicurano la complementarita`.
Dal punto di vista morfologico, negli ordinamenti compositi
vengono istituiti organi speciali comuni per la cura di interessi
pubblici comuni. Lorganizzazione comune puo` essere piu` o meno
estesa, ma quello che importa e` la circostanza della comunione degli
interessi e dellunione degli ordinamenti di base, che divengono piu`
o meno comunicanti tra di loro.
Gli studiosi di filosofia politica e gli storici riconoscono in tutti
(40) J.A. MARAVALL, Stato moderno, cit., p. 147.
(41) J.A. MARAVALL, Stato moderno, cit., pp. 101-103. Si veda anche E. BUSSI,
Evoluzione storica dei tipi di Stati, Giuffre`, Milano, ristampa della III ed., 2002, pp.
175-176 e p. 201, dove osserva che levo di mezzo e` caratterizzato dal fatto che le
organizzazioni politiche di quei secoli erano quasi tutte sovranazionali o, meglio,
a-nazionali e che lo Stato almeno come noi lo intendiamo non esiste nel
medioevo.

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SABINO CASSESE

i sistemi imperiali, oltre allampiezza dei domini, la compresenza di


un comando universale e di realta` politiche subordinate, e la conseguente interdipendenza tra i diversi sottosistemi, simboleggiate
dallincoronazione imperiale, nel 1530, di Carlo V, sul capo del
quale furono poste tra corone; la prima dargento del regno germanico, la seconda di ferro del regno di Lombardia e la terza doro
dellImpero di Roma (42).
LUnione europea e` ordinamento composto della Comunita` e
dellUnione al centro, e di altri quindici ordinamenti statali. Lintegrazione avviene grazie alla sovraordinazione del diritto comunitario
sui diritti interni dei singoli Stati, sovraordinazione che, pero`, non e`
uniforme, nel senso che vale solo per talune materie.
Piu` forte lintegrazione organizzativa, perche popoli, governi,
amministrazioni e giudici nazionali, sono integrati rispettivamente
nel Parlamento europeo, nei diversi Consigli, nei molti comitati e,
con il sistema del rinvio pregiudiziale, nel sistema giudiziario europeo.
Il Sacro Romano Impero e` costituito da vari regni (43). Carlo
Magno e` re dei Longobardi; la corona del Regno italico e` unita a
quella imperiale o e` affidata a un parente dellimperatore (44) per cui
regia potestas e imperialis auctoritas sono distinte (45). La
carica imperiale rivestita da Carlo Magno a partire dal Natale
dell800 pose il sovrano carolingio su un piano piu` elevato sia nei
confronti degli altri re doccidente, sia allinterno del regno franco;
ma la base del suo potere rimase il regno: la corona imperiale ne
costitu` un ulteriore potenziamento (46). Imperium e regna
coesistettero per lungo tempo. E il primo lascio` che i secondi
(42) Si veda A. MUSI, Limpero spagnolo, in Filosofia politica , I, 2002, aprile,
pp. 63 s., con una ulteriore bibliografia sugli imperi; sugli imperi, ma intesi in altro senso,
piu` ampio, S.N. EISENSTADT, The Political System of Empires, Free Press of Glencoe, New
York 1963 /e Transactions, New Brunswick 1993), nonche il classico E. FUETER, Storia
del sistema degli Stati europei dal 1492 al 1559, Nuova Italia, Firenze 1932 (rist. 1994).
(43) G. VOLPE, Il Medioevo, cit., p. 115.
(44) G. DE VERGOTTINI, Lezioni di storia del diritto italiano. Il diritto pubblico
italiano nei sec. XII-XV, Giuffre`, Milano, rist. della III ed., 1993, p. 19.
(45) M. CARAVALE, Ordinamenti giuridici dellEuropa medievale, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 124.
(46) A. PADOA SCHIOPPA, Il diritto nella storia dEuropa. Il Medioevo - parte prima,
Cedam, Padova, 1995, p. 118.

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avessero propri eserciti e proprie usanze giuridiche (poi trasformate


in lex). Vi fu, dunque, organismo multinazionale e multiculturale (47).
Anche lImpero ottomano si fonda su basi giuridiche multiple, specialmente nei territori bizantini, serbi e bulgari, con tradizioni giuridiche diverse da quelle dellIslam, ma riconosciute da
questo nella speranza di trovare minori opposizioni (48).
I reami costitutivi dellimpero spagnolo sono anchessi indipendenti luno dallaltro, per cui ciascuno riserva i propri uffici ai propri
cittadini e considera stranieri gli abitanti delle altre parti. Lintegrazione avviene solo al vertice, nel sovrano. Per il resto, persino
lesercito e` posto sotto la stessa direzione, ma e` composto di forze
armate separate (49). A causa delle diversita` di regimi per i diversi
ordinamenti, per lungo tempo si parlo` di re delle Spagne (50), al
plurale.
Egualmente composito lImpero asburgico, ma secondo figure
di composizione piu` complesse di quella dellImpero spagnolo, e
diverse nelle differenti epoche. Nel XVIII secolo la monarchia
consisteva di almeno quattro unioni di province (territori di eredita`
tedesca, paesi della corona di Boemia, paesi della corona di Ungheria, possessi olandesi e italiani), ognuna delle quali godeva di propri
specifici diritti politici, economici e sociali, aveva una Dieta che
custodiva gelosamente i diritti dellunione e univa ducati, contee,
margraviati (51). Su questi ordinamenti si esercitera` lopera unificatrice e livellatrice di Maria Teresa, che condurra` allordinamento
cos` descritto alla fine del XIX secolo: [I] Regni di Boemia,
Dalmazia, Galizia e Lodomiria con Cracovia; gli arciducati di Austria sopra lEnns e Austria sotto lEnns; i ducati di Carniola,
(47) K.F. WERNER, Nascita della nobilta`. Lo sviluppo delle e lite politiche in Europa,
tr. it., Einaudi, Torino, 2000, pp. 58 ss. e 123 ss.
(48) N. BELDICEANU, Lorganizzazione, cit., p. 135-136. SullImpero ottomano si
veda anche F. ADANIR, Imperial Response to Nationalism: The Ottoman case, in H.
CAVANNA (ed.), Governance, Globalization and the European Union. Which Europe for
Tomorrow?, Four Courts, Dublin, 2002, p. 47 e B. LEWIS, The Emergence of Modern
Turkey, Oxford Univ. Press, Oxford, 1961, spec. pp. 21-125.
(49) C. HERMANN, Multinationale, cit., p. 33.
(50) W. REINHARD, Storia, cit., pp. 74-76.
(51) W. OGRIS, The Habsburg Monarchy, cit., p. 316.

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Bucovina, alta e bassa Slesia, i margraviati di Moravia dIstria colla


contea principesca di Gorizia e Gradisca, il territorio del Voralberg,
la citta` di Trieste, come pure i ducati di Stiria, Carinzia e Salisburgo,
nonche la contea del Tirolo, hanno ciascuno una Dieta, con estese
attribuzioni, ma lImperatore e` il capo di tutto lo Stato, le Camere
imperiali lo rappresentano tutto, e vi sono soltanto cittadini austriaci, non boemi, moravi, tirolesi e via dicendo (52). Insomma, tra
XVI e XVIII secolo, lImpero asburgico presenta un variegato
panorama di giurisdizioni, tanto da esser definito non uno Stato ma
un agglutinamento moderatamente centripeto di tanti elementi tra
loro oltremodo eterogenei: si pensi soltanto che il Consiglio privato
dellimperatore era affiancato da due cancellerie esecutive, quella
imperiale e quella austriaca (53).
Questo assetto composito produce in tutti gli ordinamenti un
notevole grado di pluralismo. Di pluralita` di presenze, pluralismo del diritto, coralita` di apporti si e` parlato per lordine
giuridico medievale (54). E lo stesso si e` detto dellImpero spagnolo,
costituito da molteplici corpi di varia natura, che mantengono la
loro individualita` (55), tanto da tollerare forti eterogeneita` interne,
ad esempio tra Castiglia centralizzata e assolutista e Aragona, Navarra e paesi baschi decentrati e gestiti con moduli contrattuali (56).
Ma laspetto piu` interessante e` di accertare come avvenga la
composizione e distinguere le sue diverse forme.
NellUnione europea, essa avviene, come si e` prima notato, in
un duplice modo: da un lato, integrando in sede europea tutte le
parti che compongono gli Stati nazionali; dallaltro, con la supremazia del diritto comunitario, al quale i diritti nazionali (ma solo in
talune materie) debbono essere armonizzati.
NellImpero carolingio lintegrazione e` meno forte. Essa avviene
mediante la supremazia conferita allImperatore, che assicura, cos`,
(52) A. BRUNIALTI, Unioni, cit., pp. XLVIII-XLIX.
(53) Le due citazioni e il dato sulle cancellerie in R.J.W. EVANS, Felix Austria.
Lascesa della monarchia absburgica: 1550-1700, tr. it., Il Mulino, Bologna, 1981, pp. 215,
559 e 193 (si vedano anche le pp. 215, 305, 391 ss.).
(54) P. GROSSI, Lordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari, 1995, spec.
pp. 47, 52 e 55.
(55) J.A. MARAVALL, Stato moderno, cit., p. 136.
(56) C. HERMANN, Multinationale, cit., p. 34.

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la coesistenza di una profonda unita` e di un accentuato particolarismo (57). Leggi particolari per i singoli regni, accanto a leggi
generali, valevoli per tutto lImpero, rendono possibile la convivenza
di piu` nazionalita` (58). Laspetto piu` importante e studiato degli
ordinamenti medievali in generale e` quello della convivenza di piu`
diritti: quello dettato dai capitolari imperiali (59), quello consuetudinario e quello dottrinale, che vanno al di la` del diritto positivo (60),
piu` avanti quello statutario. Secondo la ricostruzione piu` efficace,
iura propria e ius commune vanno concepiti quali elementi di
un unico sistema normativo per cui questo garantisce lunita` del
sistema in presenza di una pluralita` di ordinamenti giuridici (61).
Essenziale il rapporto di complementarita` tra diritto comune e
diritto proprio, nel senso che il primo puo` operare in via residuale
e sussidiaria, in assenza di statuti e consuetudini, oppure fornire solo
canoni interpretativi, oppure ancora svolgere un ruolo predominante (62). Tutto cio` implica lesistenza di un principio superiore, capace
di graduare la validita` delle norme concorrenti.
Diverso il modo in cui i due livelli (quello comune e quello
particolare) sono graduati nel sistema dellImpero ottomano, ma
analoga la dualita`: la base giuridica dello Stato [sic!] ottomano si
fonda [...] su due pilastri: il diritto mussulmano (sharia) e i costumi
giuridici delle popolazioni annesse dagli ottomani nel corso delle
loro conquiste (63). A differenza del rapporto tra i due diritti
nellarea europea, pero`, nellImpero ottomano il governo centrale
(57)

Losservazione sulla coesistenza di unita` e particolarismo e` di A. PADOA


SCHIOPPA, Verso una storia del diritto europeo, in Studi di storia del diritto, III, Giuffre`,
Milano, 2001, p. 7.
(58) G. VOLPE, Il Medioevo, cit., p. 117.
(59) G. FALCO, La Santa Romana Repubblica - profilo storico del medioevo,
Ricciardi, Napoli, 1942, p. 136.
(60) Su cui richiama lattenzione O. BRUNNER, Terra e potere. Strutture pre-statuali
e pre-moderne nella storia costituzionale dellAustria medievale, tr. it., Giuffre`, Milano,
1983, pp. 189 e 199.
(61) F. CALASSO, Medio Evo del diritto, I, Le fonti, Giuffre`, Milano, 1954, pp. 470
e 453; si vedano anche le pp. 146, 150-151 e 372 ss.
(62) Ha richiamato lattenzione sul rapporto di complementarita` A. PADOA
SCHIOPPA, Il diritto comune in Europa: riflessioni sul declino e sulla rinascita di un modello,
in Foro italiano, 1966, gennaio, V, p. 8 (dellestr.).
(63) N. BELDICEANU, Lorganizzazione, cit., p. 136.

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riconosceva i diritti particolari, ma li faceva anche propri, attraverso


le raccolte dei sultani, veri codici, nei quali venivano assorbiti diritti
particolari dei territori conquistati (64).
Ancor diverso il modo in cui le diverse parti erano tenute
insieme negli Imperi spagnolo e asburgico. Nel primo, a tenere le
diverse parti cerano la corona al vertice e un diritto consuetudinario
comune (65). Piu` vasto il legame iniziale dellimpero asburgico:
quando Francesco I depose la corona imperiale e prese nel 1804 il
titolo di imperatore dAustria, non costitu` uno Stato austriaco, che
anzi si impegno` a rispettare lesistenza indipendente e i diritti storici
dei vari paesi di cui era sovrano. Nessun legame organico riuniva le
varie nazionalita` raccolte sotto lo scettro della Casa dAsburgo;
ciascuna aveva la sua costituzione, le sue carte, i suoi privilegi, le sue
leggi. Formavano un tutto perche appartenevano alla medesima
dinastia, come domini privati possono essere privata proprieta` della
medesima famiglia che li acquisto` ad epoche ed a titoli diversi
[...] (66).
Per concludere, gli ordinamenti considerati sono tutti compositi, nel senso che lasciano sussistere diverse sfere di sovranita`, a
differenza dellunica e onnicomprensiva dello Stato. Cio` consente il
rispetto delleterogeneita` etnica e del carattere multiculturale degli
ordinamenti messi insieme. Permette di tenere insieme il governo di
una area vasta e differenziata.
Ma le figure della composizione sono diverse. Alcuni ordinamenti sono tenuti insieme da legami piu` stretti di altri. In alcuni il
centro riconosce un ampio decentramento e lindirect rule. In altri
i rapporti sono piu` stretti. Tra questi vi sono governi centrali che si
limitano a includere altri poteri e governi centrali che, invece, si
sovrappongono agli altri poteri, pur riconoscendoli. Si va da sovrani
che esercitano i loro poteri sugli Stati che fanno parte dellordinamento complessivo a sovrani che esplicano la propria autorita`
(64) N. BELDICEANU, Lorganizzazione, cit., pp. 135-136.
(65) Su questo punto, G. HERMET, Histoire, cit., pp. 47-48.
(66) A. BRUNIALTI, Unioni, cit., pp. CLIII-CLIV. Si noti che Francesco II assunse
nel 1804 il titolo di imperatore dAustria come Francesco I e nel 1806 rinuncio` alla
dignita` imperiale come imperatore del Sacro Romano Impero.

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direttamente sui cittadini di tali Stati. Nel primo caso, il vincolo e`


molto debole, nel secondo esso e` piu` forte.
7.

Gli elementi comuni degli ordinamenti compositi: c) organizzazioni fluide, non gerarchiche, diffuse.

Si e` detto del primo e del secondo tratto comune ai diversi


ordinamenti compositi: vastita` e carattere non rigido dellarea governata e natura composita, ma retta da figure di composizione
diverse, con leffetto di ottenere gradi diversi di integrazione. Il terzo
tratto comune (ma, forse, sarebbe meglio, anche in questo caso,
parlare al plurale di complesso di tratti comuni) e` riferito allorganizzazione ed e` collegato al primo e al secondo. Mentre gli Stati
hanno organizzazioni rigide e compatte, gerarchicamente ordinate e
concentrate, negli ordinamenti compositi si registrano instabilita` o
fluidita` organizzativa, organizzazione polisinodale, strutture diffuse.
LUnione europea, nel suo mezzo secolo circa di vita, si e`
ispirata al principio detto del funzionalismo, ovvero della progressivita`, adattando la sua organizzazione alle diverse esigenze, sperimentando organi, come il Consiglio, a composizione variabile, addirittura prevedendo sistemi di cooperazione rafforzata, e cioe`
ordinamenti differenziati in base ad accordi di alcuni soltanto dei
suoi membri. Inoltre, non vi e` nellordinamento europeo una rigida
divisione dei poteri, almeno come siamo abituati a conoscerla negli
Stati: il potere legislativo e` a mezzadria tra la Commissione, che ha
il potere di iniziativa, e Consiglio e Parlamento, i quali, a seconda dei
casi, hanno potere deliberativo; il potere di governo spetta in parte
alla Commissione, in parte al Consiglio; il potere di eseguire e`
condiviso, di regola, tra la Commissione, che delibera, e le amministrazioni nazionali, che provvedono allesecuzione materiale (67).
Anche nellalto Medioevo ce` sovrapposizione di giurisdizioni
(67) S. CASSESE, La costituzione europea: elogio della precarieta`, in Quaderni
costituzionali, 2002, n. 3, p. 469 e A.M. SBRAGIA, The Treaty of Nice, Institutional
Balance, and Uncertainty, in Governance, 2002, July, n. 3, pp. 403 ss. Da quanto
osservato discende che lUnione europea si ispira al modo di abbinamento o di
mistione dei tipi od ordinamenti di base, secondo la nota formula di ARISTOTELE,
Politica, tr. it., Laterza, Roma-Bari, 2000, p. 133, contro cui J. BODIN, I sei libri dello Stato
cit., p. 561 e 660 (si veda anche p. 84 dellintroduzione di M. Isnardi Parente).

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e poteri non coordinati logicamente e in concorrenza fra loro (68),


persino lesercito ha unorganizzazione primitiva e rudimentale (69),
il potere e` frammentato (70). Nellimpero di Carlo Magno si possono
distinguere tre zone con ordinamenti differenziati: il nucleo dellImpero, che comprende le regioni franche dei tria regna, la zona
intermedia dei regna delle popolazioni non franche e la zona
periferica delle marche. Limpero non fu mai uno Stato unitario
centralizzato, bens` una specie di compromesso fra impero e agglomerati di forze regionali (71).
Ancor piu` differenziata lorganizzazione imperiale ottomana al
suo apogeo. Qui in alcune province sono insediati governatori,
agenti finanziari, giudici, guarnigioni, con un ricco seguito di funzionari di categorie inferiori. In altre province, invece, il dispositivo
imperiale e` molto piu` leggero, bastando assicurare entrate fiscali e
larruolamento di personale militare (cos` in Egitto ed Abissinia).
Ordinamenti intermedi sono, invece, introdotti ad Algeri, Tripoli,
Tunisi, in Armenia e nel Kurdistan, nelle regioni di Sivas e di Adana.
Alcuni possedimenti, infine, rimangono entita` politiche autonome,
collegate allImpero tramite un vincolo di vassallaggio piu` o meno
flessibile (cos` lo sheriffato della Mecca e il khanato di Crimea).
Insomma, lassetto prescelto esclude [] unottomanizzazione
vera e propria delle istituzioni locali (72).
Conseguente allordinamento organizzativo instabile (o fluido, o
differenziato) e` lorganizzazione polisinodale o policonsiliare che si
riscontra nellUnione Europea, dove sono stati contati 1400 comitati, di varia natura e variamente composti, che servono esigenze o di
specializzazione o di integrazione (nel primo caso raccogliendo
(68) G. TABACCO, Sperimentazioni, cit., p. 260.
(69) G. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 129.
(70) J.R. STRAYER, Le origini dello Stato moderno, tr. it., Celuc, Milano, 1975, pp.
66-67.
(71) K.F. WERNER, Nascita, cit., p. 145.
(72) G. VEINSTEIN, Limpero, cit., pp. 231-232; puo` essere interessante notare che
il fenomeno si riscontra anche in un altro ordinamento composito, lImpero portoghese,
dove il sistema delle capitanias era ordinato in modo diverso, a seconda che si trattasse
dellIndia, del Brasile, dellAngola, dellarcipelago atlantico, dei possedimenti marocchini, ecc.: V. MAGAIHAEA GODINHO, The Portuguese Empire 1565-1665, in Journal of
european economic history, vol. 30, 2001, n. 1, pp. 66-104.

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prevalentemente esperti, non in base alla loro nazionalita`, nel secondo prevalentemente amministratori delle diverse nazionalita`) (73). Questo fenomeno trova un precedente nellorganizzazione
polisinodale dellImpero spagnolo, il cui vertice si articolava in
consigli denominati di Stato (per le relazioni internazionali e gli
affari interni piu` importanti), della guerra, delle finanze, dellinquisizione, delle crociate, degli ordini religiosi e militari, delle Fiandre,
dellItalia, del Portogallo, delle Indie, di Aragona, di Castiglia,
ecc. (74). La polisinodalita` risponde allesigenza di contemperare le
spinte allaccentramento monarchico con il rispetto degli ordinamenti propri delle singole entita` territoriali di un impero vastissimo (75).
Da ultimo, le necessita` del governo di vasta area impongono agli
ordinamenti compositi di dotarsi di strumenti per governare da
lontano, cio` che induce a un governo sparso sul territorio.
Per lUnione europea lesempio piu` significativo e` quello delle
agenzie, distribuite in citta` diverse dei differenti Stati membri.
NellImpero carolingio, anche il palatium, e cioe` limperatore
e la sua corte, non aveva sede fissa e viaggiava da unestremita`
dellImpero allaltra, spostandosi come lo richiedevano le necessita`
politiche (76), tanto che si e` scritto: lordinamento franco tendeva
alla peregrinazione invece che alla sedentarieta` (77). Piu` importanti
i missi dominici, che percorrevano annualmente le diverse circoscrizioni, con istruzioni dellimperatore, tenevano assemblee, verificavano e ispezionavano, ecc.; insomma, tenevano sotto controllo
lamministrazione di tutto limpero, ne collegavano le diverse parti al
(73) Sulla diffusione del fenomeno, M. RHINARD, The Democratic Legitimacy of the
European Union Committee System, in Governance, 2002, april, n. 2, pp. 185 ss. Il
fenomeno va collegato allinfranationalism, su cui le importanti osservazioni di J.H.H.
WEILER, The Costitution of Europe, Cambridge Univ. Press, Cambridge (Mass.), 1999,
pp. 96 ss.
(74) C. HERMANN, Multinationale, cit., p. 33-34; W. REINHARD, Storia, cit., pp. 200
e 207; ma, principalmente, J. VICENS VIVES, La struttura amministrativa statale nei secoli
XVI e XVII, in E. ROTELLI e P. SCHIERA, Lo Stato moderno I. Dal Medioevo alleta`
moderna, Il Mulino, Bologna, s.d. (ma 1971), pp. 233 ss.
(75) G.G. ORTU, Lo Stato moderno, cit., p. 93.
(76) G. SALVIOLI, Storia del diritto italiano, Utet, Torino, IX ed., 1930, p. 195.
(77) G. GALASSO, Potere e istituzioni in Italia. Dalla caduta dellImpero romano ad
oggi, Einaudi, Torino, 1974, pp. 16 ss.

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potere centrale, ne assicuravano lunita`, erano gli occhi e le braccia


del sovrano (78).
E` interessante notare che fluidita`, collegialita` e differenziazione
costituiscono tratti organizzativi in diversa misura presenti lungo
tutto larco della vita dei poteri pubblici considerati, nel senso che
sopravvissero anche ai tentativi di modernizzazione orientati nellottica statale, come quelli di Maria Teresa nellImpero asburgico
(XVIII secolo) e quelli dei riformatori della meta` del XIX secolo
nellImpero ottomano.
8. Gli elementi comuni degli ordinamenti compositi: d) larena
pubblica: ius inventum contro ius positum.
Piu` sfuggente lultimo dei tratti comuni caratteristici degli ordinamenti compositi. Questo e` strettamente legato alla composizione degli ordinamenti, nel senso che essa consente di sfruttare
differenziali di regolazione e, quindi, di scegliere assetti che consentano ai soggetti interessati, siano essi pubblici o privati, di massimizzare le proprie convenienze. In questo modo il sistema si adatta
a situazioni diverse, in modo flessibile (79).
NellUnione europea, il fenomeno si presenta in due modi, il
primo relativo ai poteri pubblici, il secondo ai rapporti privati-poteri
pubblici. Il primo modo consiste nella scelta, aperta sia ai governi,
sia agli organismi dellUnione, tra il metodo intergovernativo, quello
comunitario e quello misto, parte intergovernativo, parte comunitario, definiti anche della negoziazione intergovernativa, della direzione gerarchica e della decisione congiunta (80).
(78) G. SALVIOLI, Storia, cit., p. 196; G. TABACCO, Sperimentazioni, cit., p. 63; G.
VOLPE, Il Medioevo, cit., p. 116; E.W. BOECKENFOERDE, La storiografia costituzionale
tedesca nel secolo XIX. Problematica e modelli dellepoca, tr. it., Giuffre`, Milano, 1970,
pp. 75 ss.
(79) Ho definito questo fenomeno arena pubblica in S. CASSESE, Larena pubblica: nuovi paradigmi per lo Stato, ora in S. CASSESE, La crisi dello Stato, Laterza,
Roma-Bari, 2002, p. 74.
(80) Cos` F. SCHARPF, Verso una teoria, cit., pp. 21 ss. Sulle diverse strategie
negoziali seguite nellUnione europea, A. HEu RITIER, Policy-Making and Diversity in
Europe. Escape from Deadlock, Cambridge Univ. Press, Cambridge (Mass.), 1999, spec.
pp. 15 ss. e 88 ss. La piu` acuta e completa analisi della flessibilita` del sistema politico

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Il secondo modo consiste nella scelta, aperta a imprese ed altri


privati, di operare attraverso i poteri pubblici nazionali o attraverso
quelli comunitari, sfruttando i rapporti trilaterali che vengono a
costituirsi e facendo giocare ai primi o ai secondi, ma per lo piu` a
questi ultimi, il ruolo di arbitri, o di organi di appello.
La possibilita` di passare dalluno allaltro tipo di decisione e
quella di sfruttare il dualismo dei livelli pubblici consente di massimizzare i sistemi di convenienze, di introdurre un elemento di
mercato nei rapporti tra poteri pubblici e in quelli tra poteri pubblici
e privati.
La situazione e` diversa se si torna indietro al Medio Evo, perche
molto diversi sono i rapporti tra cittadino ed autorita`. Tuttavia, da
un lato la personalita`, rispetto alla territorialita` del diritto (81),
dallaltro i diritti particolari verso quello comune consentivano
arbitraggi permessi dai diversi rapporti di complementarita` tra i
due diversi opposti. Nellarea europea, in epoca medievale, il sistema
giuridico non era chiuso e unitario, bens` aperto e frammentato.
Fonti del diritto erano come gia` notato consuetudini, norme
imperiali, statuti locali, norme corporative, canoni e decretali
ecclesiastici. Queste norme provenivano da autorita` diverse, non
collocate in una gerarchia. Inoltre, alcune si applicavano in base al
territorio, altre erano norme personali (cos` quelle delle corporazioni). Tutto cio` produceva frequenti conflitti tra fonti diverse del
europeo e` quella di J.-L. QUERMONNE, Le syste`me politique europe enne. Des Communaute s e conomiques a` lUnion politique, Montchrestien, Paris, V, 2002, spec. p. 46 ss.,
72-73, 112-113 e 128. Il primo aspetto della flessibilita` dipende dallarchitettura in tre
pilastri introdotta nel 1992, dalle successive suddivisioni e dai passaggi di materie
dalluno allaltro. Nel primo pilastro si sono evidenziati lEurogruppo e il sistema
europeo delle banche centrali, nonche il metodo del coordinamento aperto (per le
politiche dellimpiego), intermedio tra metodo comunitario e metodo intergovernativo.
Gran parte delle materie del terzo pilastro e` passata al primo, mentre vi resta la
cooperazione nel campo del diritto e della procedura penale. Il secondo pilastro, a sua
volta, tende a scindersi in due parti, relative a politica estera, sicurezza e difesa. Dunque,
vi sono passaggi e contaminazioni tra i diversi metodi.
Il secondo aspetto della flessibilita` riguarda i processi di decisione, consultazione,
cooperazione (che diventa obsoleta), codecisione, parere conforme, e i passaggi, anche
in questo caso, di materie dalluno allaltro. Ne deriva un governo elastico, che muta e
si adatta, ma anche molto complicato.
(81) Su cui G. VOLPE, Il Medioevo, cit., p. 117.

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SABINO CASSESE

diritto, essendo naturale che ciascuno volesse sfruttare le norme piu`


favorevoli. Di qui la necessita` di interventi diretti a stabilire demarcazioni dei diversi campi e di ricorrere a organi giurisdizionali di
varia natura (82).
Moltitudine di fonti diverse del diritto, frammentazione e separazione dei poteri da cui queste provenivano, diversita` dei modi di
applicazione, moltiplicazione dei giudici producevano inevitabilmente differenziali di disciplina, che imponevano aggiustamenti, ma
si prestavano anche ad essere sfruttati in vario modo.
In tal modo lequilibrio si sposta a favore dellius inventum e
a danno dellius positum, e il diritto si depositivizza.
9.

I fattori di crisi degli ordinamenti compositi del passato.

Si sono riscontrati quattro elementi caratteristici e comuni di


ordinamenti compositi del passato e dellUnione europea: elasticita`
geografica; diverse sfere di sovranita`; organizzazione fluida, differenziata, polisinodale, diffusa; scelta tra tecniche di decisioni differenti.
Ognuna di queste contrappone gli ordinamenti compositi agli Statinazione, contraddistinti da determinazione dei confini, concentrazione della sovranita`, rigidita` e gerarchia organizzativa, prevalenza
del diritto posto dallo Stato (83).
Cio` non vuole dire, pero`, che gli ordinamenti compositi non
abbiano in comune con quelli statali altri elementi, come il legalismo (84) per cui i quattro tratti individuati prima, se sono caratteristici, non sono, pero`, esclusivi. Ne che alcuni tratti degli ordinamenti
compositi non siano episodicamente presenti anche negli Statinazione.
Si e` osservato allinizio che lo studio degli ordinamenti compo(82) R.C. VAN CAENEGEM, European Law in the Past and the Future. Unity and
Diversity over Two Millenia, Cambridge Univ. Press., Cambridge (Mass.), 2002, pp.
22-24.
(83) Per questo motivo, come piu` volte osservato, lo schema interpretativo dello
sviluppo statale non puo` essere applicato agli ordinamenti compositi; ribadiscono questo
punto di vista relativamente al mondo germanico G. TABACCO, Sperimentazioni, cit., pp.
45 e E.W. BOECKENFOERDE, La storiografia costituzionale, cit., p. 75.
(84) Sui tratti storici caratteristici degli Stati, S.E. FINER, Lo Stato in prospettiva
storica, in Rivista italiana di scienze politiche, 1990, n. 1, pp. 3 ss.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

siti del passato poteva servire a due scopi: fare una comparazione
(storica) con quello dellUnione europea, liberandosi dellideal-tipo
dello Stato unitario e accentrato, e svolgere ragionevoli previsioni
sulle sorti dellUnione, esaminando i fattori di sviluppo e di crisi
degli ordinamenti compositi storici.
Finora e` stata avviata la comparazione storica, individuando
tratti caratteristici che, nello stesso tempo, sono comuni agli ordinamenti compositi e li differenziano dalle esperienze statali classiche
(quelle dello Stato unitario, con un forte centro, a struttura compatta). La comparazione ha altres` consentito di osservare che gli
elementi caratteristici si presentano in modi diversi. Quindi, ha
permesso sia di avviare unanalisi critica delle differenze tra poteri
pubblici compositi e Stati, sia di iniziare a tracciare una tassonomia
delle varianti dei tratti caratteristici degli ordinamenti compositi.
Tutto cio` in termini preliminari e provvisori, perche , come avvertito
allinizio, occorrono ulteriori ricerche di base per alimentare piu`
complete ricerche storico comparative.
Con le stesse avvertenze circa la provvisorieta` delle osservazioni,
si passa ad indicare i fattori di successo e di crisi degli ordinamenti
compositi del passato.
La chiave dello sviluppo degli ordinamenti compositi sta nelle
competing aspirations towards unity and diversity (85). Queste
due contrapposte tendenze hanno trovato, in quegli ordinamenti, un
equilibrio che e` spesso durato piu` secoli. Quando lequilibrio si e`
rotto, si sono verificati i due esiti possibili: la rottura oppure
lunificazione in un organismo politico unitario e centralizzato (86).
Per le unioni del XVI secolo e` stato osservato che i fattori che
hanno favorito lintegrazione sono stati i processi non forzosi (unioni
aeque principaliter), la creazione di nuovi organi istituzionali per
i nuovi territori e luso del patronato per guadagnarsi la lealta` delle
e lites locali (87).
Piu` studiati i fattori di crisi che condussero, alla fine dellalto
Medioevo, alla perdita di unita` del Sacro Romano Impero. Essi
(85)
(86)
(87)

J.H. ELLIOTT, A Europe, cit., p. 71.


J.H. ELLIOTT, A Europe, cit., pp. 62-63.
J.H. ELLIOTT, A Europe, cit., p. 55.

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SABINO CASSESE

furono sostanzialmente due. Il primo fu la lotta delle investiture, che


spezzo` lunita` tra Impero e Chiesa (88).
Il secondo fattore di crisi fu la feudalite diviseuse, syste`me de
pouvoir eclate (89). Il sistema dei feudi cambio` la posizione costituzionale del sovrano, che conquisto` la posizione, accanto a quella di
legislatore, organo di governo e giudice, di soggetto legato da una
relazione contrattuale con i vassalli. Questo rafforzo`, sul breve
periodo, la coesione del sistema, ma ag`, sul lungo periodo, come
fattore centrifugo (90), perche la nobilta` feudale aveva i suoi possessi
e li trasferiva a titolo ereditario. Cio` condusse alla pressoche
completa polverizzazione della struttura e del potere politico. Cos`
la feudalizzazione porta a un sistema di giurisdizioni e di immunita`
separate sovrapponentisi, e, in ultima istanza, alla frammentazione (91).
Lautore di queste pagine lascia al lettore pensoso lingrato
compito di individuare il luogo dove si nascondono la moderna lotta
delle investiture e il neofeudalesimo che potrebbero minare le basi
della costruzione europea, portandola, di qui a centocinquantanni,
alla disintegrazione (o alla concentrazione e alluniformita`).

(88) Uno stato investito di missione religiosa [] un papato investito di missione


politica [] si cercano, si uniscono e danno origine allimpero di Carlo Magno []
aveva osservato G. FALCO, Albori dEuropa, Edizioni del Lavoro, Roma, 1947, p. 23; si
veda p. 39 per la lotta delle investiture.
(89) F. BRAUDEL, Lidentite de la France. Les hommes et les choses, ArthaudFlammarion, Paris, 1986, t. I, p. 122.
(90) R.L. VAN CAENEGEM, An historical introduction, cit., p. 48.
(91) G. GALASSO, Potere e istituzioni, cit., p. 18-29; si veda anche A. PADOA
SCHIOPPA, Il diritto nella storia dItalia, cit., p. 125, dove si osserva che il vassallaggio
porta a una rete a maglie sempre piu` fitte, nonche G. TABACCO, Sperimentazioni, cit.,
p. 250, dove osserva che le deboli strutture dellimperium christianum erano insufficienti a contenere le aristocrazie ribelli. Vi sono stati, naturalmente, altri fattori di crisi,
quali quelli geografici (contiguita` territoriale) e internazionali (rapporti di forza). Ma
questi hanno agito dallesterno.

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CORRADO MALANDRINO

SOVRANITA
v NAZIONALE E PENSIERO CRITICO
FEDERALISTA. DALLEUROPA DEGLI STATI
ALLUNIONE FEDERALE POSSIBILE
1. Premessa. 2. Un paradigma federalista unitario di critica della sovranita` statale?
3. Un termine a quo per una ipotesi di sistematizzazione. 4. Le premesse
ottocentesche. 4.1. Un excursus: critica della sovranita` e unita` europea nel pensiero
socialista tra Otto e Novecento. 5. Sovranita` degli stati nazionali contro unita`
europea? Alcune tesi del primo Novecento. 5.1. Einaudi: contro il mito della
sovranita` statale. 5.2. I federalisti della Federal Union. 5.3. Le concezioni
federaliste ed europeiste tra antifascismo e Resistenza. 5.3.1. Trentin: una nuova
visione pluralista di fronte alla crisi del diritto e dello stato. 5.3.2. Il Manifesto di
Ventotene: Spinelli e la strategia costituzionale del federalismo europeo. 6. La
critica federalista nel secondo Novecento: sparizione, obsolescenza o trasformazione
della sovranita`? 6.1. Il federalizing process di Friedrich: la sovranita` impossibile.
6.2. Il federalismo come grand design: Elazar e le sovranita` diffuse e condivise. 6.3.
Hallstein: federalismo sovranazionale comunitario. 6.4. Lindirizzo federalista europeo. Albertini e il MFE: inadeguatezza del confederalismo e del gradualismo nel
problema della costituzionalizzazione dellUnione europea. Una rivalutazione della
sovranita` e del popolo europeo. 7. Lapprodo federale derivante dal paradigma
comunicativo di Habermas. 8. Un nuovo paradigma federalista-comunicativo
funzionale allunita` statale europea?

1.

Premessa.

Il tema della crisi dello stato nazionale, da intendere principalmente come crisi della forma dominante di sovranita` statale nellepoca moderna intendendo con questa la dottrina della sovranita` unica, assoluta e indivisibile attribuita alla forma di stato sancita
nel sistema usualmente indicato come modello Vestfalia (1), consolidato tra Settecento e Ottocento , e` oggetto di studio e di
(1) Per tale definizione cfr. a titolo indicativo F. CERUTTI (a cura di), Gli occhi sul
mondo. Le relazioni internazionali in prospettiva interdisciplinare, Carocci, Roma, 2000,
pp. 110-122.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

discussione da oltre un secolo (2). In questo articolo si sostiene che


la critica federalista vi si e` distinta, anticipando discussioni oggi
consuete, e continua a distinguervisi in modo particolare, anche se
non ha ricevuto e non riceve lattenzione desiderata in sede scientifica e politica. Negli ultimi decenni, infine, due fenomeni epocali,
opposti e concomitanti, definiti con i termini ormai abusati di
globalizzazione (o mondializzazione) ed etnolocalismi (o etnoregionalismi) (3), hanno aggravato questa crisi a tal punto da
chiedersi come fa il pensatore federalista Daniel J. Elazar se
non si sia gia` in una fase postmoderna nella quale, di fatto, la
sovranita` statalnazionale abbia perduto le sue caratteristiche sostanziali, e lo stato moderno si trovi pertanto in una situazione di
trasformazione senza ritorno (4). Tali fenomeni hanno aumentato in
modo esponenziale linterdipendenza dei contesti regionali, nazionali e transnazionali, rendendo spesso evanescenti e facendo percepire come obsolete le frontiere nazionali esistenti. Hanno messo in
evidenza linadeguatezza delle istituzioni politiche e socioeconomiche formatesi a seguito del trionfo dello stato nazionale moderno(2) La bibliografia e` vastissima. Per unopportuna introduzione tematica e bibliografica cfr. almeno R. RUFFILLI, Crisi dello stato e storiografia contemporanea, Il Mulino,
Bologna 1979; L. FERRAJOLI, La sovranita` nel mondo moderno: nascita e crisi dello stato
nazionale, Laterza, Bari, 1997, pp. 7-10 e 39-59; P. P. PORTINARO, Stato, Il Mulino,
Bologna 1999, pp. 11-18 e 154-168; C. GALLI, Spazi politici. Leta` moderna e leta` globale,
Il Mulino, Bologna 2001, pp. 131 ss.; A. BOLAFFI, Il crepuscolo della sovranita`, Donzelli,
Roma 2002.
(3) Anche in questo caso la letteratura e` ormai molto vasta. Si rinvia a titolo di
introduzione a C. MALANDRINO, La globalizzazione, le istituzioni e il federalismo, in
Comunita`, individuo, globalizzazione. Idee politiche e mutamenti dello stato contemporaneo, a cura di G. CAVALLARI, Carocci, Roma 2001, pp. 279-296. Sui termini generali del
rapporto tra crisi dello stato nazionale e globalizzazione cfr. almeno K. OHMAE, La fine
dello stato-nazione. Lemergere delle economie nazionali (1995), Baldini & Castoldi,
Milano 1996; D. HELD, Democrazia e ordine globale. Dallo stato moderno al governo
cosmopolitico (1995), Asterios, Trieste 1999; J. HABERMAS, La costellazione postnazionale
(1998), Feltrinelli, Milano 1999. Sulla tematizzazione del rapporto tra crisi dello stato
nazionale, globalizzazione e sviluppi teorici del federalismo cfr. in particolare T. A.
BO} RZEL, Fo derative Staaten in einer entgrenzten Welt: Regionaler Standortwettbewerb
oder gemeinsames Regieren jenseits des Nationalstaates?, in Fo deralismus, a cura di A.
BENZ e G. LEHMBRUCH, Westdeutscher Verlag, Wiesbaden 2002, p. 363-388 (ma ved.
anche le pp. 27-29 dellintr. di Benz).
(4) Su cio` ved. infra il par. 6.2.

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CORRADO MALANDRINO

contemporaneo. Anche negli ambienti politologici, filosofici e giuspolitici italiani, si e` sviluppata, pertanto, una riflessione sulla crisi
o sulla metamorfosi del dogma della sovranita` statale. Temi ripresi
soprattutto con unottica polarizzata sulle trasformazioni transnazionali, indotte dalla globalizzazione, e attenta ai caratteri di una
possibile cittadinanza europea e allistituzione della democrazia
cosmopolitica (5).
Tuttavia, occorre constatare che, in generale, gli autori non
federalisti coinvolti in questo ampio dibattito, allorche parlano di
crisi della sovranita` e dello stato nazionale, non tengono adeguatamente presente (anzi tendono a sorvolarlo decisamente) lunico
orientamento teorico che da oltre un secolo e mezzo ha fatto di tale
coerente e radicale critica la propria bandiera, ovvero il federalismo.
Nel migliore dei casi, alcuni si fermano a una ripresa piuttosto
restrittiva del cosmopolitismo kantiano, interpretato in termini blandamente confederalistici, sottacendo che in questo, pur nei suoi
limiti, vive una potente carica federalista (6). Cos` facendo, non
arrivano a un confronto realistico con il problema della sovranita` in
quanto momento forte della costruzione, della natura, della legittimazione e delle attribuzioni dello stato moderno, con riferimento
alla politica estera e interna. E, di solito, rifiutano o non si pongono
il problema presente sulla scorta della tradizione federalista che
va dalledizione del Federalist ai nostri giorni della costruzione
(5) E` disponibile una larga bibliografia; per orientarvisi cfr. in particolare Crisi e
metamorfosi della sovranita`, Atti del XIX Congresso nazionale della Societa` italiana di
filosofia giuridica e politica (Trento, 29-30 settembre 1994), a cura di M. BASCIU, Milano,
1996; D. QUAGLIONI, Un dogma in crisi: il dibattito sulla sovranita` nel pensiero giuspolitico
del Novecento, in AA.VV., Temi politici del Novecento, a cura di A.M. LAZZARINO DEL
GROSSO, Napoli, CUEN, 1997, pp. 13-36; Metamorfosi della sovranita` tra stato nazionale
e ordinamenti giuridici mondiali, a cura di G.M. CAZZANIGA, Edizioni ETS, Pisa 1999;
Una costituzione senza stato, a cura di G. BONACCHI, Il Mulino Bologna 2001; Sfera
pubblica e costituzione europea, a cura di E. PACIOTTI, Annale della Fondazione L. e L.
Basso, Carocci, Roma 2002. Sul problema della cittadinanza lopera di riferimento e`
quella di P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, Laterza, Roma-Bari
1999-2001, 4 voll., in part. il vol. IV, Leta` dei totalitarismi e della democrazia, 2001.
(6) Per largomentazione della definizione di federalismo usata in questo saggio
ved. C. MALANDRINO, Federalismo. Storia idee modelli, Carocci, Roma 1998. Su Kant cfr.
le pertinenti e decisive ricerche di G. MARINI, Tre studi sul cosmopolitismo kantiano,
Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 1998.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

ineludibile del livello statuale federale sovranazionale, a livello macroregionale e globale (7). Un simile modo di affrontare il tema della
crisi o metamorfosi della sovranita` statale nel Novecento causa un
senso dinsoddisfazione, derivante dalla constatazione che le conclusioni democratico-cosmopolitiche, pur rappresentando un onesto
tentativo di indicare soluzioni coerenti con le teorie democratiche e
dei diritti, restano insufficientemente probanti sul piano della definizione istituzionale del domani europeo e globale.
2.

Un paradigma federalista unitario di critica della sovranita`


statale?

Occorre a questo punto chiedersi: e` possibile parlare al singolare di critica federalista alla sovranita` dello stato nel Novecento?
O non si dovrebbe parlare al plurale di critiche di pensatori
federalisti, non omogenee fra loro, oppure ancora di critiche che si
evolvono in modo talmente divergente da non esservi pressoche piu`
nulla in comune tra quelle dellinizio e quelle della fine del 900? Il
problema e` collegabile anche alla risposta al seguente interrogativo:
ce` un fondamento teorico costante in tutte queste critiche, tale da
autorizzare comunque pur riconoscendo una molteplicita` di
approcci la loro riconduzione a un paradigma comune?
La risposta affermativa, per la quale in ultima istanza propendo,
e` favorita dalle stesse attribuzioni che la storia e la teoria politica
hanno conferito alla sovranita` dello stato nazionale nellepoca moderna: unicita`, unitarieta`, indivisibilita`, irrevocabilita`, assolutezza,
monoliticita`, ecc. La contrapposizione comune a tali caratteristiche,
che cementa le tesi federaliste, al di la` di differenze di argomentazione e di tematiche nei vari autori e nelle varie fasi del Novecento,
comporta la loro dislocazione su di un fronte unico rispetto alla
sovranita` dello stato moderno monocentrico. Lo ricorda Norberto
Bobbio riprendendo e sviluppando il proprio approccio cattaneano al problema in un saggio dedicato al trentesimo anniver(7) Cfr. le considerazioni svolte da L. LEVI nel saggio La federazione: costituzionalismo e democrazia oltre i confini nazionali, posto introduttivamente a A. HAMILTON, J.
MADISON, J. JAY, Il Federalista (1788), Il Mulino, Bologna 1997, pp. 9-116.

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CORRADO MALANDRINO

sario della nascita del Movimento Federalista Europeo (8). La critica


federalista, sostiene Bobbio, ha uno sviluppo inedito nel 900 a causa
della crisi oggettiva che, per piu` cause (di cui non si puo` indicare la
principale, ne si puo` dire che siano cause meccaniche, ma che
occorre riconoscerle come cause che si verificano come condizioni
di apertura e avanzamento di crisi), getta la sovranita` dello stato
moderno in una posizione di graduale o repentino arretramento e
dissolvimento in una col venir meno dello jus publicum europaeum:
interdipendenza economico-socio-giuridica (che oggi assume le dimensioni della globalizzazione), accrescersi della distruttivita` delle
guerre, incapacita` della forma stato-nazione ad assolvere i compiti
per i quali fu creato sia dal punto di vista dei rapporti con gli altri
stati (politica estera e internazionale) sia dal punto di vista della
rappresentanza delle realta` socio-politiche interne, ecc.
Lo jus publicum europaeum sottolinea Bobbio riprendendo
linsegnamento schmittiano fu costituito per porre fine alle guerre
di religione, vere e proprie guerre civili europee, e per rendere
effettivo uno jus belli alla cui base stesse la distinzione tra lhostis, il
nemico in guerra, e il rebellis, il nemico nella guerra civile. Al sistema
del diritto pubblico europeo corrispose cos` sul piano politico il
sistema vestfalico dellequilibrio tra i grandi stati sovrani, che si
dimostro` in grado di dominare per quasi tre secoli i rapporti
internazionali. Ma tra Otto e Novecento, lenorme distruttivita` degli
apparati bellici, lavvento della nazionalizzazione delle masse e dei
totalitarismi fa s` che, insieme alla rovine del sistema degli stati, cada
la distinzione tra lhostis e il rebellis. Il mondo ridiviene vittima di
inaudite ondate di violenza che, nel contesto atomico, ne mettono a
repentaglio la stessa esistenza. Ecco dunque che, secondo Bobbio,
lidea federalistica nasce, si rafforza, diventa principio motore di
azione via via che il sistema giuridico e politico nato come antidoto
alle guerre di religione, come rimedio alla piu` grande esplosione di
violenza che lEuropa aveva conosciuto prima delle due guerre
mondiali, non regge piu` alla prova, quando si riscopre che anche la
(8) Cfr. N. BOBBIO, Il federalismo nel dibattito politico e culturale della Resistenza,
in S. PISTONE (a cura di), Lidea dellunificazione europea dalla prima alla seconda guerra
mondiale, Torino, Fondazione L. Einaudi, 1975, pp. 221-236.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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guerra fra stati puo` trasformarsi in guerra civile (9). Il pensiero


federalista e` lespressione di un processo inverso a quello caratterizzante lo stato moderno: Mentre questo era nato da un processo
di accentramento verso lunita` e lunicita` del potere statale e di
decentramento rispetto al potere universale rappresentato dalla
chiesa e dallimpero (la comunita` internazionale e` definibile giuridicamente come un ordinamento massimamente decentrato), il federalismo muove al contrario verso la disarticolazione dellunita` dello
stato, e verso la ricerca di una nuova superiore unita` [] al di la` e
al di sopra dello stato. [] Combatte insomma la battaglia contemporaneamente su due fronti, quello della sovranita` interna, attraverso il principio della divisione orizzontale dei poteri, e quello della
sovranita` esterna, attraverso il principio della limitazione della potesta` di guerra e di pace che e` la prerogativa dello stato sovrano (10).
Mi pare che largomento di Bobbio in quanto enucleazione di
un principio di azione che e` nel contempo espressione di un
processo secolare di scomposizione e limitazione della sovranita`
statale serva bene alla causa della fondazione di una visione
unitaria, benche articolata, delle varie espressioni del federalismo
sovranazionale (o esterno) e infranazionale (o interno), il primo
centripeto, il secondo centrifugo (11). La critica federalista, secondo
questo taglio interpretativo che puo` far configurare una sorta di
paradigma teorico di critica allunicita` e allassolutezza della sovranita` dello stato moderno (preciso che questa formulazione non e`
del filosofo torinese, ma dello scrivente) nel quale convergono con
maggiore o minore facilita` tutte le varie espressioni federaliste di cui
si trattera` nel seguito , porta nel corso del Novecento un attacco
duplice alla sovranita` dello stato: a) dallalto o dallesterno, alla sua
facolta` di determinare autocraticamente i rapporti nei confronti dei
suoi simili sul piano internazionale, ponendo viceversa il problema
di un patto federale sovranazionale; b) dal basso o dallinterno, alla
sua facolta` assoluta di determinare dal centro lordinamento interno,
ponendo viceversa il problema di un patto di convivenza con le
(9) Ivi, p. 224.
(10) Ivi, p. 225.
(11) Per queste definizioni del federalismo cfr. lintroduzione a MALANDRINO,
Federalismo, cit., pp. 17-20.

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comunita` territoriali sul piano di un radicale decentramento autonomistico, che giunge alla definizione federale interna dei rapporti
fra centro e periferia (12). Il fine verso il quale si muove tale critica
e` linstaurazione della pace tra le nazioni e lautonomia delle componenti infranazionali. La conseguenza di tali attacchi sul piano
teorico e` la denuncia federalista della sovranita` assoluta ed esclusiva
degli stati nazionali come causa di guerra perpetua e di illiberta` e
autoritarismo da un lato, dallaltro come mito semplicemente
obsoleto per alcuni autori nelle condizioni contemporanee, mistificatorio fin dalle origini per altri, in ogni caso da rigettare e sostituire
con forme di sovranita` diffusa e condivisa per alcuni, da eliminare
tout court per altri. Tale elaborazione critica, definita con argomenti
diversi da alcuni federalisti come Daniel Elazar e Mario Albertini
una rivoluzione non cruenta, e` in corso da piu` di un secolo e
mezzo, non solo in Europa. Essa e` stata rinvigorita dagli eventi
storici che hanno segnato gli ultimi decenni del Novecento con la
fine della divisione del mondo in blocchi. La caduta del Muro di
Berlino e` sotto tale profilo il punto di arrivo (e di partenza) di un
processo storico epocale: la crisi finale della modernita` e linizio della
postmodernita`. Esso ha trasformato a oriente le frontiere degli stati
e sepolto quello che veniva presentato come modello alternativo alle
democrazie occidentali, lasciando il campo allaffermarsi di una
nuova anarchia internazionale in un quadro di conflittualita` piu` o
meno guerreggiate tra le nazionalita` che, per la loro virulenza,
ricordano i periodi precedente e seguente la prima guerra mondiale.
In vari stati dellOccidente europeo tale rivoluzione ha messo in crisi
(12) Sfugge alla portata teorica del paradigma cos` delineato la formulazione, in
termini oggettivi e soggettivi, del problema di un nuovo potere costituente la sovranita`,
nel senso che sembra restarvi implicito il riferimento allo schema tradizionale della
sovranita` popolare nazionale che crea la sovranita` statale nei termini usuali elaborati dal
costituzionalismo liberaldemocratico. Tale schema, pero`, essendo stato inglobato totalmente nellOttocento nella teoria dello stato-nazione godente assoluta ed esclusiva
sovranita`, non sopporta piu` limmediata e diretta applicazione sul piano infra- e
sovranazionale, ai fini cioe` di individuare piu` livelli di sovranita` diffusa e condivisa, senza
una riformulazione appropriata. Di tale difficolta`, in parte segnalata profeticamente da
pensatori del Novecento come Rosselli e Trentin di cui ved. ai paragrafi 5.3 e 5.3.1, ci si
occupa nei paragrafi finali di questo saggio con attenzione particolare al problema
europeo.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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lassetto tradizionale e posto allattenzione lineludibile necessita` di


riforme costituzionali.
In questo contesto drammatico contrassegnato altres` dallurgenza di procedere a tappe forzate verso una riforma in senso
federale dellUnione Europea e dellONU assume significato la
riflessione critica, distruttiva, una vera pars destruens, fatta nel corso
delleta` moderna e giunta al suo apice nel Novecento dai pensatori
federalisti sullo stato nazionale fortemente centralizzato, e quella
costruttiva, la pars construens, che sempre piu` si orienta verso la
definizione di forme di stato federale ai vari livelli, locale nazionale,
macroregionale e mondiale.
3.

Un termine a quo per una ipotesi di sistematizzazione.

Posto che si convenga su questo genere di approccio paradigmatico unitario (che non intende sacrificare, ma collegare nella
distinzione la molteplicita` delle espressioni federaliste), se si vuol
affrontare il compito di seguirne storicamente la formazione, allora
occorre innanzitutto aver consapevolezza del termine (non solo)
temporale dal quale partire per individuare analiticamente le espressioni predette. Storicamente, tale termine e` posto dalla pubblicazione del Federalist e dallapprovazione della prima costituzione
federale scritta negli Stati Uniti dAmerica. E` quella loccasione in
cui si definisce un modello di federazione condividente con gli stati
membri la sovranita`, a partire appunto da una critica radicale del
concetto moderno di sovranita` indivisibile e centralizzata derivante
dalle dottrine dei maggiori teorici assolutisti, come Bodin e Hobbes,
ma anche di antiassolutisti, come Locke e Montesquieu, di cui si
accettano peraltro gli insegnamenti liberali in materia di rappresentanza, separazione e bilanciamento dei poteri sul piano orizzontale.
Da quel momento si avvia una reale critica, teorica e pratica, alla
concezione moderna della sovranita` predominante in Europa e di
qui diffusa nel mondo. Il Federalist segna, in tal senso, il passaggio
dal federalismo antico-medievale a quello moderno-contemporaneo.
Ne consegue che prima del Federalist, per quanto si possa
constatare lesistenza di pensiero parzialmente critico verso lordinamento vestfalico in particolar modo ci si riferisce qui allelaborazione dellideale della pace perpetua in Europa posto come

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CORRADO MALANDRINO

meta razionale di processi confederativi , manca tuttavia in esso


una sufficiente coscienza del collegamento tra lo sviluppo dellistanza europeista e il necessario attacco alla concezione monolitica
della sovranita`, presupposto per la costruzione di un nuovo ordine
europeo di tipo federale (13).
Dopo la diffusione del Federalist, avvertibile gia` nel periodo
rivoluzionario e napoleonico, si possono distinguere due fasce di
autori che si richiamano in vario modo al federalismo e che
attraverso questo si applicano al problema dellunificazione
europea. La prima, di coloro che usano ancora genericamente tali
categorie allinterno di concezioni peculiarmente caratterizzate da
un diverso e preminente nucleo ideologico o teorico, che non si
richiama espressamente allinnovazione del Federalist in tema di
dislocazione duale della sovranita`. Si pensi, per esempio, per lOttocento a Claude-Henri de Saint-Simon o, per lItalia, a Giuseppe
Mazzini; per il Novecento si pensi allaustriaco Richard Coudenhove-Kalergi, grande europeista non federalista. Autori di questo
genere non possono esser considerati allinterno della presente
trattazione.
La seconda fascia, invece, raccoglie coloro che sono o diventano
man mano consapevoli della novita` americana (e svizzera, a partire
dal 1848) e, di conseguenza, del rapporto necessario che si instaura
(13) Sullaffermarsi, tra Seicento e Settecento, di idee confederali europee sulla
base della pace perpetua fra gli Stati elemento di valore morale che entra a far parte
permanente dellidea dellunita` europea rimando a C. MALANDRINO, Lidea dellunita`
europea, in U. MORELLI (a cura), LUnione europea e le sfide del XXI secolo, Torino, Celid,
2000, pp. 13-16. Nel Settecento illuminista lideale della pace perpetua si delinea,
grazie soprattutto agli scritti dellabate di Saint-Pierre e di Kant, come il piu` significativo
dei valori qualificanti dellidea dellunita` europea. Saint-Pierre abbozza fin dal 1710, e
pubblica nel 1729, un Progetto per realizzare la pace perpetua fra i sovrani cristiani, avente
il carattere filosofico-giuridico e politico di una riforma in senso federativo del coevo
diritto internazionale, da perseguire attraverso listituzione di una societa` permanente
dei sovrani dEuropa. A essa spetterebbe il compito di dirimere i conflitti interstatali e
di far rispettare le decisioni prese. Pur se lidea di Saint-Pierre appare poco realistica per
le condizioni storiche del tempo, esercita influssi notevoli sul pensiero degli illuministi e
del piu` importante teorizzatore settecentesco della pace perpetua, Immanuel Kant.
Questi riprende il discorso della pace perpetua in chiave cosmopolitico-federale in vari
scritti e particolarmente nel saggio omonimo del 1795, e lo porta al massimo sviluppo
filosofico-politico in una forma che influenzera` il pensiero federalista successivo. Su cio`
rimando allesposizione fatta in MALANDRINO, Federalismo, cit., pp. 29-38.

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nel federalismo moderno tra critica della sovranita` statalnazionale e


proposte di unificazione europea. E` piu` difficile, ma non impossibile, incontrare autori di tal fatta nellOttocento. Pensatori come
Carlo Cattaneo e, in modo piu` evidente, John Robert Seeley, appartengono a questa categoria. A essi occorre pertanto concedere
qualche cenno. E` pero` nel Novecento che tale pensiero assume il
maggior sviluppo. Su questo si dovra` concentrare lattenzione.
In tal caso si possono distinguere quattro posizioni critiche della
sovranita`, in diversi modi e misure riconducibili ad approcci federalisti come sopra qualificati o assimilabili: 1) la posizione di coloro
che, pur sostenendo lavvenuto indebolimento della sovranita` degli
stati nazionali per cause oggettive, e pertanto affermando che occorre andar oltre in direzione di aggregazioni sovranazionali, tuttavia
confermano lauspicio che gli stati nazionali continuino ad assolvere
per il futuro a un ruolo essenziale e preminente da punto di vista dei
processi decisionali; 2) quella di chi constata un relativo indebolimento della sovranita` statalnazionale, ma lo considera insufficiente e
attesta la necessita` di un ulteriore e decisivo venir meno di essa, in
quanto la considera la ragione piu` importante dellorigine del nazionalismo, dellautoritarismo, delle dittature totalitarie e delle
guerre del Novecento; 3) quella di coloro che osservano un indebolimento sostanziale, ai limiti della sparizione, della sovranita` dello
stato nazionale classico per cause che vanno dai rapporti strategici
mondiali allo sviluppo delle economie internazionalizzate e globalizzate nel mondo postmoderno transnazionale, e vedono un futuro
ordine mondiale basato su forme piu` o meno federali nelle quali la
sovranita` non sara` piu` una categoria descrittiva e prescrittiva autonoma; 4) quella, infine, di coloro che, partendo da una base filosofico-politica originariamente non federalista, sviluppano una critica
della sovranita` statalnazionale a quella affine e si fanno portavoce di
proposte analoghe.
Nella prima posizione sono riconoscibili pensatori liberaldemocratici come Hans Kelsen o come gli aderenti alla corrente trasformazionalista della globalizzazione, certamente ispirati da concezioni
cosmopolitiche, confederaliste o federali in senso lato, ma che nella
fattispecie dellanalisi della crisi dello stato nazionale applicata al
contesto europeo tendono a fermarsi su posizioni intermedie o a
rifluire su posizioni non federaliste in senso pieno. Le loro dottrine

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CORRADO MALANDRINO

o teorie non possono pertanto entrare nel paradigma federalista di


cui sopra.
La seconda e la terza posizione sono rappresentate invece da
pensatori federalisti in senso specifico e forte: luna da giuristi ed
economisti come Silvio Trentin, Luigi Einaudi, i federalisti anglosassoni della Federal Union, i federalisti europei seguaci del
Manifesto di Ventotene di Spinelli e del MFE di Albertini; laltra, da
federalisti integrali e da teorici di un federalismo processuale come
Carl J. Friedrich ed Elazar. Sono tali posizioni nel loro complesso a
sostanziare, a mio avviso, il paradigma federalista classico di critica
alla sovranita` statalnazionale al quale ci si intende riferire in questo
studio.
Tuttavia sara` da valutare sinteticamente anche il contributo
proveniente da autori collocabili nella quarta posizione per la loro
capacita` di penetrare nella critica della sovranita` statalnazionale
evitando alcune ideologizzazioni talora ricorrenti nella seconda e
nella terza posizione. Mi riferisco in particolare ai teorici dellapproccio comunicativo, come Ju rgen Habermas, che arrivano a
conclusioni molto simili a quelle federaliste, in particolare rispetto al
problema dellunificazione e della costituzionalizzazione europee.
Di seguito, pertanto, si procedera` allesposizione dei principali
motivi di critica federalista emergenti dagli autori piu` significativi
dellorientamento sopraddetto tra Ottocento e Novecento, prima di
proporre nellultimo paragrafo una nuova sintesi del paradigma
federalista resa ormai urgente dai problemi dellintegrazione europea e della sua inevitabile costituzionalizzazione.
4.

Le premesse ottocentesche.

Lideale di ununita` europea, capace di por fine ai problemi


della conflittualita` permanente e distruttiva attraverso una consensuale limitazione delle prerogative assolute di sovranita` degli stati
nazionali, ispira nellOttocento politici, filosofi, scrittori e scienziati
che intendono far progredire la societa` tramite unorganizzazione
razionale e lapplicazione di metodi scientifici (14). Tale fede si
(14) Tra questi, anche se non strettamente pertinente con il taglio dato in questo
saggio, occorre ricordare Saint-Simon, teorico dellindustrialismo, che inizia a porsi con

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diffonde in vari paesi, tra cui lItalia, per diventare patrimonio


comune dei dirigenti democratici del moto risorgimentale. Secondo
il federalista Carlo Cattaneo, uno dei capi dellinsurrezione di
Milano, lunita` europea puo` scaturire da due aspirazioni complementari: la pace in Europa, dispirazione kantiana, e la costruzione
di un sistema di liberta` capace di far sprigionare dalla societa`
europea tutte le sue possibilita` economiche, sociali e culturali. Egli
e` uno dei primi a ricorrere alla formula Stati Uniti dEuropa,
riecheggiante lesperienza dei federalisti americani. Sviluppa altres`
una critica puntuale, analoga a quelle di Hamilton e di Kant,
allanarchia delle relazioni internazionali conseguente al principio
dellassolutezza della sovranita` statale. Intuisce che lassioma unitario, centralista e militarista, su cui si fonda la sovranita` assoluta e la
volonta` di potenza degli stati nazionali (e` a lui presente il caso tipico
della Francia) e` la causa fondamentale dello stato di perpetua
belligeranza e, in pari tempo, dellautoritarismo interno a questi
paesi. Nelle Considerazioni al primo volume dellArchivio triennale
(1850) sostiene lapplicazione del principio federale allEuropa delle
nazioni, la creazione di un nuovo ius publicum europaeum, che
sostituisca quello di natura hobbesiana tramandato dallepilogo delle
guerre di religione, listituzione di un governo europeo che non
presuppone lomogeneita` delle dimensioni territoriali, ma il riconoscimento della limitazione della sovranita` militarista e aggressiva e
singolare forza il motivo dellunita` europea, a seguito dellepopea napoleonica (Napoleone stesso concepisce il grandioso disegno centralizzatore di unEuropa imperiale). Nel
delicato momento di passaggio dallo sconfitto impero a un nuovo equilibrio sembra
fondata la speranza di una moderata evoluzione liberale nei paesi europei piu` progrediti.
Frutto di tale temperie e` lo scritto di Saint-Simon e del suo segretario, Augustin Thierry,
pubblicato a Parigi nel 1814, sulla Riorganizzazione della societa` europea, in cui accanto
alla modernizzazione scientifico-positiva e industriale si sostiene sulla scorta del
cosmopolitismo kantiano e dellesperienza americana lorganizzazione degli Stati
Uniti dEuropa. Conseguenza inevitabile della diffusione dello spirito liberale e di una
forma inedita di patriottismo europeo, la nuova Europa si costituira` secondo
Saint-Simon e Thierry intorno al nucleo di un parlamento franco-inglese, da
estendersi via via agli altri paesi, a partire dalla Germania. Intorno allideale cos`
delineato si costituisce la Societa` per gli Stati Uniti dEuropa, di cui e` presidente intorno
alla meta` del secolo il grande romanziere Victor Hugo. Al Congresso della pace, riunito
a Parigi nellagosto del 1849, ribadisce con enfasi la convinzione che solo lunita` politica
del vecchio continente impedira` la guerra fra le nazioni.

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labbandono dellequilibrio della forza. Solo cos`, questa la conclusione di Cattaneo, le nazioni europee potranno congiungersi in
federazione di popoli liberi e realizzare gli Stati Uniti dEuropa.
Tutto cio` detto, occorre comunque ammettere che in Cattaneo
il collegamento tra la critica della sovranita` statale e la teoria
federalista di derivazione hamiltoniana e` piu` implicito che esplicitamente sviluppato. E` invece nella conferenza del marzo 1871 del
britannico John Robert Seeley, pubblicata nel MacMillan Magazine e dedicata agli Stati Uniti dEuropa (15), in stretto collegamento
con la riflessione sul Federalist, che e` dato trovare la traduzione della
teoria federale hamiltoniana nelle condizioni europee ottocentesche.
Tale idea si riverbera nella teorizzazione degli Stati Uniti dEuropa, intesi come genuina risposta federale alla crisi epocale del
concerto delle potenze europee e del sistema dellequilibrio. Anche
Seeley pensa che la causa principale dellepoca di guerre instaurata
in Europa a partire dalla seconda meta` dellOttocento risieda nellanarchia internazionale dovuta, da una parte, al primato della
politica estera su quella interna, dallaltra al principio dellassolutezza delle sovranita` degli Stati sostenuto dai nazionalisti. In tale
contesto, lunico mezzo atto ad assicurare la pace perpetua di
kantiana memoria intesa non piu` come mero principio morale e
di ragione, ma come esigenza imprescindibile di fronte alla minaccia
per lumanita` dellaprirsi di conflitti sempre piu` spaventosi per il
crescere degli armamenti e per lestensione globale non puo`
essere delegato ai normali mezzi diplomatici, ai trattati preludenti a
generiche alleanze confederali, ma allattuazione di una vera e
propria federazione, prima europea, poi mondiale. Solo il federalismo, secondo Seeley, sara` in grado di apprestare una struttura
istituzionale adatta a risolvere in modo pacifico e legale i conflitti
interstatali. Questo importante elemento e` pertanto posto da Seeley,
tra i primi ad averne consapevolezza teorica, come lobiettivo prin(15) Cfr. ora nella trad. ital. di L. V. MAJOCCHI: J. R. SEELEY, Stati Uniti dEuropa,
in Da un secolo allaltro. Il passato letto al presente, a cura di L. LEVI, UTET Libreria,
Torino 2000, pp. 233-253. Sullinfluenza del pensiero di Seeley in Italia cfr. S. PISTONE,
Il pensiero federalistico in Piemonte e il federalismo internazionale, in Alle origini del
federalismo in Piemonte, a cura di C. MALANDRINO, Studi della Fondazione L. Einaudi,
Torino 1993, pp. 125-142.

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cipale per le forze liberaldemocratiche e pacifiste sulla strada che


condurra` allunita` europea.
Nonostante queste dotte e autorevoli voci, lelaborazione europeista unitaria di matrice liberaldemocratica cade negli ultimi decenni dellOttocento nellobl`o generale. Simpone lordine europeo
fondato sullequilibrio di grandi potenze nazionali, ferreamente
centralizzate e non di rado assolutiste e dispotiche. Si assiste al
subentrare delleta` dei nazionalismi e dellimperialismo. Allidea
dellunita` europea manca ancora una completa elaborazione teorica,
e, soprattutto, un radicamento concreto (politico, economico, sociale) nelle condizioni del tempo. Sotto il profilo economico, inoltre,
la maggioranza dei paesi europei (con leccezione della Gran Bretagna e, in parte, della Francia) e` allora allinizio della fase del
decollo industriale capitalistico. In tali circostanze, la politica
estera e` infeudata ai voleri dinastici di monarchi o diretta dai governi
in forme diplomatiche non controllate democraticamente. I movimenti democratico-socialisti, dal canto loro, concentrano la propria
azione su obiettivi di politica interna e sociale. Soltanto tra la fine del
XIX e linizio del XX secolo, sulla spinta delle preoccupazioni
accese dalle crisi causate dallimperialismo, dallerompere dei nazionalismi e dai sempre piu` seri pericoli di guerre, comincia a riemergere la consapevolezza dellurgenza di una nuova elaborazione
ideale europeista.
4.1.

Un excursus: critica della sovranita` e unita` europea nel pensiero


socialista tra Otto e Novecento.

Il pensiero socialista partecipa, in tema di ideali europeisti, alle


stesse premesse cosmopolitico-umanitarie e pacifiste, di derivazione
settecentesca e illuminista, che compaiono in riformatori e pensatori
liberali e democratici, poco distinguendosi sul piano dellapprofondimento critico. Lo scarso realismo politico di tale prospettiva puo`
forse concorrere a spiegare la mancanza dinteresse di Marx e di
Engels per essa, benche invece sia da loro sviluppata una forte critica
nei confronti dello stato borghese. Tuttavia, vi sono nel pensiero
loro e degli eredi due lineamenti teorici, congiunti con larticolazione della questione nazionale, che si dimostrano a scavalco tra
lOtto e il Novecento in grado di costituire solidi punti di approccio

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alle problematiche federaliste dellunita` europea, offrendone una


configurazione accettabile nel movimento socialista: a) lanalisi socioeconomica dellespansione, considerata necessaria, del capitalismo a livello mondiale e, accanto a questa, degli effetti di tale
movimento sulla vita degli stati nazionali; b) il bisogno, intrinseco
allinternazionalismo proletario, di superare il livello istituzionale
dellordinamento nazionale, ossia di sciogliere in modo progressivo
la questione nazionale. E` questo il terreno sul quale si sviluppa
positivamente un tentativo europeista e federalista, nel quale si
distinguono Otto Bauer e Karl Renner in Austria, Karl Kautsky ed
Eduard Bernstein in Germania, Lev Trockij in Russia e, non da
ultimo, alcuni socialisti italiani, come Giuseppe Modigliani e Ugo
Guido Mondolfo, riuniti nella Critica sociale di Filippo Turati e
Claudio Treves (16). Ci si soffermera` qui brevemente sul contributo
austromarxista, che ci sembra esser quello piu` affine allorientamento federalista.
Gli austromarxisti Bauer e Renner elaborano la loro idea dellunita` europea nel contesto di critica del problema nazionale e
allinterno di una concezione della federazione plurinazionale poggiante sullesistenza di un governo federale politicamente centralizzato e, insieme, dellesigenza di autonomia culturale e di decentramento amministrativo al livello delle nazionalita`. Tale visione
federale proviene loro dallurgenza di dare alle spinte nazionaliste,
insorgenti nellimpero plurinazionale asburgico, una soluzione conforme al programma e allideologia socialista. In tale contesto pongono anche il problema della futura unita` europea. Alle nazioni, in
quanto comunita` di carattere e di destino, che attraverso la mediazione della lingua, dellarte e della letteratura divengono comunita` di
cultura, devesser assicurata unautonoma personalita` giuridica da
parte e nel contesto del diritto internazionale. Ma, differenziandosi
dai nazionalisti, Renner e Bauer non pensano che agli stati nazionali
sia da riconoscere una sovranita` di tipo assoluto, considerata al
contrario il fondamento di una distruttiva anarchia internazionale.
La sovranita` deve, a loro avviso, appartenere alla federazione pluri(16) Su questi temi cfr. piu` diffusamente C. MALANDRINO, Lidea dellunita` federale
europea e il socialismo marxista (1900-1920), in Trimestre, XXVIII, 1995, nn. 1-2,
pp. 23-49.

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nazionale regionale e, in prospettiva, allunione degli stati dEuropa.


La legittimazione giuridica della nazione allinterno della comunita`
internazionale appare, tra laltro, come lunico modo di garantire la
pace. Una federazione europea e mondiale a carattere pienamente
democratico perderebbe, secondo i due austromarxisti, la sua natura
violenta e coercitiva.
Un itinerario concettuale parallelo a questo ragionamento giuridico, fondato sui fattori sociali ed economici dellespansione del
capitalismo europeo, conduce i due pensatori austriaci a un analogo
risultato. E` Bauer a ricordare che la stessa premessa che costituisce
la ragione fondamentale della lotta per il socialismo ossia il
gigantesco sviluppo del capitalismo, che al termine del XIX secolo
gia` plasma e comprende le forme essenziali della vita sociale dei
paesi europei, americani e delle loro colonie da` anche motivo per
prevedere un avanzamento europeo in senso federale rispetto alla
forma dello stato nazionale. Infatti, gia` nel contesto sociale capitalistico, i diversi stati intrecciano relazioni e traffici sempre piu` stretti;
diventa sempre piu` impellente una loro regolamentazione valida per
tutti, un sistema di diritto riconosciuto e valido al di la` delle frontiere
dei singoli stati. Ma, a fronte del consolidamento e della moltiplicazione di sempre piu` stretti collegamenti interstatali, resta insoddisfacente la loro regolazione tramite semplici trattati di diritto internazionale, mettenti capo alla costruzione di uffici, organismi,
amministrazioni sovranazionali (come, per esempio, commissioni
sanitarie, associazioni telegrafiche, unioni postali, ecc.). Quandanche, nelle concrete condizioni contemporanee, simili trattati e organizzazioni internazionali possano ancora sanare i bisogni piu` impellenti di pacifiche e costanti relazioni, resta comunque in quel modo
di procedere unintima contraddizione logico-giuridica, poiche ,
pensa Bauer, la comunita` di diritto internazionale pur possedendo
ordinamenti e organi, non risulta costituita essa stessa in quanto
persona giuridica. Su tale presupposto, viene tracciata una linea di
sviluppo a una forma di socialismo funzionale al processo conducente ai futuri Stati Uniti dEuropa. Scrive Bauer: Come lo
sviluppo della produzione capitalistica delle merci mise in contatto
e lego` tra loro isolate dominazioni terriere e citta` trasformandole in
stati moderni, cos` la divisione internazionale del lavoro nella societa`
socialista creera`, oltre che la comunita` nazionale, una forma sociale

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di tipo nuovo, uno stato degli stati, nel quale si incorporeranno le


singole comunita` nazionali. In questo modo gli Stati Uniti dEuropa
non rimarranno piu` un sogno, ma saranno linevitabile scopo finale
di un movimento che le nazioni da tempo hanno intrapreso e che a
opera di forze, gia` oggi chiaramente visibili, viene potentemente
accelerato (17).
Nella posizione di Bauer e di Renner si evidenzia, in primo
luogo, laffermazione secondo cui la realizzazione del principio di
nazionalita` attraverso il socialismo deve contemperarsi con linserimento delle singole nazioni, in quanto persone giuridiche, in una
comunita` sovranazionale, verso la quale appare ineluttabile la cessione di una parte di sovranita`. Rispetto alla sovranita` della futura
comunita` federale sovranazionale, di conseguenza, le nazioni trattengono solo parte della loro originaria sovranita` e una completa
autonomia culturale e amministrativa. In tale proposizione e` contenuta, a mio avviso, una critica del dogma della sovranita` assoluta
dello stato nazionale moderno. In secondo luogo, e` forte la correlazione tra la realizzazione del socialismo e lipotesi dello sviluppo
federalista fino alla fondazione degli Stati Uniti dEuropa e, piu`
tardi, nella stessa prospettiva, di uno stato federale mondiale. In
margine a questo punto, il processo di federazione europea nasce
per gli austromarxisti in modo indipendente sebbene saldamente
interrelazionato da quello socialista, avendo radici sia nellesigenza di superare lanarchia internazionale per evitare conflitti
insolubili, sia nei bisogni dinamici delle economie moderne. Da cio`
discende lassunto che le rivoluzioni federale e socialista devono
incontrarsi e compenetrarsi per una mutua realizzazione. Infatti,
entrambe sono considerate necessarie in senso marxista, ovvero
subordinate a fattori strutturali socioeconomici. Per questo motivo,
Renner e Bauer accentuano il ruolo istituzionale dei futuri Stati
Uniti dEuropa come istanza principale per la pianificazione economica del continente. Funzionale, infine, allincontro di tali tendenze storiche e rivoluzionarie e` labbandono di una concezione
troppo angusta della lotta di classe a favore delladesione a una
tattica basata sulla collaborazione della classe operaia con le forze
(17) Cfr. O. BAUER, Die Nationalita tenfrage und die Sozialdemokratie, Wiener
Volksbuchhandlung, Wien 1907, pp. 519-520.

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borghesi democratiche, pacifiste e progressiste, anche allo scopo di


contrastare meglio linfluenza delle componenti nazionaliste e imperialiste e, quindi, il rischio incombente di una guerra di gigantesche
proporzioni.
5.

Sovranita` degli stati nazionali contro unita` europea? Alcune tesi


del primo Novecento.

La prima guerra mondiale mette a nudo la realta`, nel mondo


contemporaneo, della interdipendenza economica delle nazioni.
Essa dimostra la perdita di senso delle guerre destinate a rinsaldare
supremazie politico-militari, privilegi economici, conquiste territoriali. Loccupazione militare di territori, linstaurazione su di essi del
dominio politico-amministrativo, lappagamento di anacronistici appetiti dinastici, viene sempre piu` pagato con altissimi costi per la
distruttivita` delle armi moderne: in una parola, la rovina dei contendenti (18). Sotto il profilo economico lEuropa costituisce ormai
ununita` organica e le guerre non sortiscono altro effetto che la
distruzione reciproca dei paesi belligeranti. Proprio a partire da
questi presupposti, oltreche dalla mancanza di alternative alla guerra
di trincea che immobilizza i fronti europei, trova accoglienza favorevole presso le e lites democratico-progressiste la proposta fatta dal
presidente statunitense Woodrow Wilson l8 gennaio 1918 nei
celebri 14 punti e sintetizzata nella formula della pace senza
vittoria. Essa si fonda sul riconoscimento delleguaglianza di diritto
delle nazioni (anche quelle perdenti), rappacificate in un nuovo
organismo internazionale, la Lega della pace, nellautodeterminazione dei popoli, nella democratizzazione della vita internazionale,
nel disarmo, nella liberta` dei mari e dei traffici. Limpatto del
wilsonismo in Europa, soprattutto in Italia, e` enorme e positivo.
Dallattuazione della proposta della Lega o Societa` delle Nazioni
(SdN) le forze politiche e intellettuali liberali, democratiche e socialiste si attendono anche la soluzione dei problemi europei. Sembra
finalmente giunto il momento della realizzazione del sogno di tanti
precursori, da Saint Simon a Hugo, da Mazzini a Cattaneo: la nascita
(18) Cfr. N. ANGELL, La grande illusione (1910), a cura di A. CERVESATO, E.
VOGHERA ed., Roma 1913.

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degli Stati Uniti dEuropa al termine di un processo di consociazione


tra le nazioni uscite dalla guerra. Wilson tuttavia pur avendo
progettato la SdN non riesce a persuadere nel 1919 gli Stati Uniti
a farne parte, e questo appare come il primo e piu` importante (ma
non unico) elemento di debolezza di unistituzione che contrappone,
fin dallinizio, allambizione degli obiettivi lesilita` dei mezzi teorici
e pratici per farvi fronte.
5.1.

Einaudi: contro il mito della sovranita` statale.

La debolezza politica della SdN, in quanto premessa di un


passaggio verso lunificazione europea, e` oggetto di una lucida
critica da parte di Luigi Einaudi, negli articoli del 1918 apparsi sul
Corriere della Sera e raccolti nel 1920 nelle Lettere politiche con lo
pseudonimo di Junius (19). Scienziato e storico insigne delleconomia
liberale, Einaudi e` altres` tra i critici piu` lucidi del dogma della
sovranita` statale, teorico del federalismo europeo e di un assetto
federale interno dellItalia (20). Dopo Cattaneo, e prima dellapertura del ciclo novecentesco delle guerre mondiali, in Italia e in
Europa, sono rari i propugnatori dellidea unitaria europea. E
nessuno di loro mostra consapevolezza, come invece possiede Einaudi, della centralita` e attualita` del problema della sovranita` assoluta ed esclusiva degli stati europei, visto come lostacolo maggiore
ai fini del conseguimento del fine unitario e federale a livello
continentale. Un nodo durissimo, da sciogliere secondo Einaudi nel
senso dellattenuazione della sovranita` degli stati e del riconosci(19) Cfr. le Lettere politiche di Junius, Bari, Laterza, 1920, ripubblicate in varie
edizioni recenti, cfr. per esempio quella, contenente altres` gli scritti economicofederalisti einaudiani del periodo 1944-1945, curata da M. ALBERTINI: L. EINAUDI, La
guerra e lunita` europea, Firenze, Le Monnier, 1984.
(20) Sul pensiero politico autonomista e federalista di Einaudi cfr. in part. U.
MORELLI, Contro il mito dello stato sovrano. Luigi Einaudi e lunita` europea, Milano,
Angeli, 1990; C. CRESSATI, LEuropa necessaria. Il federalismo di Luigi Einaudi, con un
saggio introduttivo di R. FAUCCI, Torino, Giappichelli, 1993; N. BOBBIO, Luigi Einaudi
federalista, in: Alle origini del federalismo in Piemonte, cit., pp. 17-32. Si rinvia inoltre alla
presentazione di inediti einaudiani a cura di C. MALANDRINO: L. EINAUDI, A proposito di
autonomie, federalismo e separatismo. Due inediti e un articolo, Annali della Fondazione
L. Einaudi, XXVIII, 1994, pp. 545-567; ID., Due scritti sulla federazione europea, ivi,
XXIX, 1995, pp. 561-581.

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mento della parallela sovranita` federale europea, considerata come


premessa per poter fattivamente accedere alla fase costitutiva degli
Stati Uniti dEuropa. Aver compreso a fondo e piu` volte teorizzato
una critica della sovranita` dello stato nazionale accentrato per
esempio, nel celebre articolo intitolato Contro il mito dello stato
sovrano (21) e` forse il maggior titolo doriginalita` per il pensatore
federalista Einaudi, accanto alle molte osservazioni sulle condizioni
economiche necessarie alla realizzazione della futura federazione
europea, elaborate proprio a partire dalla critica rivolta al progetto
wilsoniano. Einaudi non ne contesta la forza morale, ma linadeguatezza nella ricerca e individuazione delle cause vere dei conflitti
interstatali e linidoneita` istituzionale ai fini della fondazione di una
reale epoca di pace. Due sono le fonti di riferimento teorico cui si
rifa`. La prima e` il pensiero del Federalist, assimilato insieme alla
lettura fatta da pensatori federalisti britannici tra Ottocento e Novecento, storici e scienziati politici come Seeley, il Lionel Curtis del
Commonwealth of Nations, Henry Sidgwick, autore degli Elements
of Politics (22).
La seconda sorgente dispirazione e` costituita dallo storicismo
tedesco e dalla teoria della ragion di stato (23). Attraverso luso
combinato di questi due strumenti analitici, il federalismo hamiltoniano e il realismo politico della ragion di stato unito al primato della
politica estera, si determina in Einaudi la convinzione che la causa
principale della guerra mondiale debba esser ricercata non tanto nei
motivi di competizione anarchica sul terreno economico, nellimperialismo, come affermano le dottrine socialiste marxiste ortodosse, e
neppure solo nellaggressiva politica mondiale del militarismo tedesco. Queste sono concause. La guerra diviene pero` inevitabile, a suo
avviso, per la stessa situazione di divisione europea tra stati nazionali
(21) Cfr. L. EINAUDI, Contro il mito dello stato sovrano, in Risorgimento Liberale, a. 3, n. 2, 3 gennaio 1945, p. 1, e` stato riproposto piu` volte in varie riviste e ripreso
nella raccolta einaudiana Il Buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), a cura
di E. ROSSI, Laterza, Bari 1954, pp. 625 ss.
(22) Cfr. L. CURTIS, The Commonwealth of Nations, London, Macmillan 1916; H.
SIDGWICK, The Elements of Politics, London Macmillan, 1891.
(23) Per una introduzione a questi temi cfr. Politica di potenza e imperialismo.
Lanalisi dellimperialismo alla luce della dottrina della ragion di stato, a cura di S.
PISTONE, Milano, Angeli, 1973.

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CORRADO MALANDRINO

la cui volonta` di potenza, fondata sul dogma anacronistico e diabolico della sovranita` assoluta, e` la responsabile principale del
fallimento dellequilibrio nel concerto europeo, dellinevitabile logica guerresca, ed erge una barriera insormontabile allidea di una
societa` di nazioni effettivamente funzionante che, viceversa, esige
necessariamente per poter esistere il superamento di tale
dogma e di una concezione meramente confederale.
Sulla scorta di tale premessa Einaudi distingue acutamente, sul
piano teorico, i concetti di federazione, per la quale rimanda
allesempio della costituzione federale statunitense, e di confederazione, di cui fa fede la millenaria tradizione europea. La SdN
proposta da Wilson secondo Einaudi e` apparentata con la seconda.
Pertanto sarebbe solo ripetizione di esperienze gia` fatte e non
garantirebbe una pace reale e duratura. Si scioglierebbe invece il
tragico nodo delle secolari conflittualita` europee soltanto per mezzo
dellunificazione economica, sociale e giuridica del continente, resa
improrogabile dal grado di crescita e di integrazione oggettiva
conseguite dai paesi che lo compongono. Con un excursus storico,
Einaudi dimostra che la guerra mondiale e` interpretabile come il
tentativo ambizioso dellimpero tedesco di edificare con la forza
lunificazione europea. La conclusione, di tipo hamiltoniano, e`
pertanto la seguente: poiche la ragione strutturale che origina la
guerra risiede nella logica politica basata sulla sovranita` assoluta ed
esclusiva degli stati europei, solo attraverso laffievolimento di essa
nellunione federale, grazie alla creazione di una sovranita` e di un
potere statali piu` elevati (che lascerebbe sempre agli stati membri
competenza politico-amministrativa piena sulle materie interne), si
raggiungerebbe unepoca di pace (24). E` interessante notare che
Einaudi afferma con forza tale posizione di principio anche nel
secondo dopoguerra, sostenendo che gli stati europei non possono
ne devono sfuggire nel momento della ricostruzione alla decisione
politica di unirsi subito, nel momento in cui le condizioni storiche e
lomogeneita` ideologica delle e lites dominanti lo permettono,
(24) Occorre ricordare che su una posizione simile si schierano Attilio Cabiati e
Giovanni Agnelli con lopuscolo del 1918 intitolato Federazione europea o Lega delle
Nazioni?, Fratelli Bocca Ed., Milano-Torino-Roma 1918. Cfr. su questi temi diffusamente anche il vol. cit. Alle origini delleuropeismo in Piemonte.

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quanto meno nella parte occidentale occupata dagli alleati angloamericani. A suo avviso, le procedure funzionaliste, messe in movimento dal lancio del piano Marshall e destinate nel prosieguo, gia`
nel 1951 con la CECA, alla creazione di comunita` economiche
intermedie, pur essendo in se positive forme di cooperazione progressiva, corrono il rischio di essere in realta` scappatoie per eludere
in quel momento la scelta federale. Il sistema delle comunita`
economiche avrebbe il suo sviluppo, ma secondo lo statista di
Dogliani, eletto nel frattempo primo presidente della Repubblica
non potrebbe evitare di riportare, in tempi successivi, alle forche
caudine della decisione sulle sovranita` statali.
La critica federalista di Einaudi alla sovranita` statale e` vivace
anche sul versante infranazionale. Si pensi alla polemica antiaccentratrice, in puro stile cattaneano, sviluppata in articoli come Via il
prefetto!, il gia` citato Contro il mito dello stato sovrano, La sovranita`
e` indivisibile? (25). Il federalista Einaudi, elaborando in simmetria
con il livello sovranazionale europeo la critica liberale al dogma
dellintoccabilita` della sovranita` statalnazionale anche al livello infranazionale, scrive frasi forti come: Si potra` discutere sui compiti
da attribuire a questo o a quellaltro ente sovrano; e adopero a bella
posta la parola sovranita` e non autonomia, ad indicare che non solo
nel campo internazionale, con la creazione di vincoli federativi, ma
anche nel campo nazionale, con la creazione di corpi locali vivi di
vita propria originaria non derivata dallalto, urge distruggere lidea
funesta della sovranita` assoluta dello stato. Non temasi dalla distruzione alcun danno per lunita` nazionale (26). Ununita` nazionale che
ribadisce Einaudi questo s` e` un dogma posto al di fuori di
ogni contesa (27).
In queste posizioni cos` nette vi e` da sottolineare la motivazione
e linquadramento teorico rigoroso delle autonomie politiche locali
allinterno della dottrina federale dello stato e, nel contempo, la loro
delimitazione rispetto allo stato nazionale. Einaudi asserisce che alle
(25) Cfr. L. EINAUDI, Via il prefetto!, qui cit. dalla riedizione nella raccolta Il
buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), a cura di E. ROSSI, Bari, Laterza,
1954, pp. 58 ss.; Contro il mito dello stato sovrano, cit.; La sovranita` e` indivisibile?, in ID.,
A proposito di autonomie, federalismo e separatismo, cit., pp. 565-567.
(26) Cfr. EINAUDI, Via il prefetto!, cit., p. 58.
(27) Cfr. L. EINAUDI, La sovranita` e` indivisibile?, cit., p. 567.

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CORRADO MALANDRINO

regioni storiche italiane a tutte, non solo a quelle sedi di movimenti particolaristici, centrifughi e percio` future destinatarie di
autonomie speciali dovrebbero esser riconosciute liberta` e sovranita` comparabili a quelle dei cantoni svizzeri, in un quadro di
divisione dei compiti tra stato centrale ed enti locali corrispondenti
a criteri federalisti. Ognuno dei due afferma Einaudi deve
esser sovrano nella propria materia (28). Nellarticolo La sovranita` e`
indivisibile?, scrive magistralmente: Come nessuno stato e` pienamente sovrano nei rapporti internazionali, ma tutti gli stati debbono
assoggettarsi allintervento altrui negli affari propri interni; cos`
allinterno di ogni cosiddetto stato sovrano non vi e` un solo stato; ma
gli stati sono parecchi, forse molti, e nessuno di essi e` pienamente
sovrano, perche la sovranita` di ognuno si arresta dinnanzi alluguale
sovranita` degli altri e deve con questa convivere (29). Einaudi parla
in proposito di autonomie politiche locali basate sul fondamento di
poteri originari comunali e regionali, che sono da considerare originari e non frutto di decentramento politico-amministrativo piu` o
meno ampio. A differenza del modello federale svizzero o statunitense, dove dagli stati o dai cantoni si procede alla costituzione della
federazione, occorre in Italia seguire la via inversa. Scrive nel 1946
nella relazione sullo statuto della regione siciliana: Noi dobbiamo
partire da uno stato centralizzato per arrivare a uno stato piu` sciolto,
con funzioni attribuite alle singole regioni (30). Anticipando di
cinquantanni le discussioni attuali sul principio di sussidiarieta`,
visto come il criterio dirimente per la distribuzione delle competenze
tra le future regioni e il governo centrale in Italia, Einaudi afferma
che il principio informatore della legislazione regionale e` dunque
che allo stato centrale rimangono attribuite tutte quelle funzioni che
esplicitamente non siano state assegnate alle regioni nellatto in cui
queste sono costituite. Compiuta questa distribuzione, stato e regione devono risultare sovrani nellambito delle proprie competen(28) Cfr. la lettera al cattolico democratico valdostano Paul Alphonse Farinet del
29 maggio 1945 in EINAUDI, A proposito di autonomie, federalismo e separatismo, cit.,
p. 562.
(29) Ivi, p. 565.
(30) Cfr. L. EINAUDI, Interventi e relazioni parlamentari, a cura di S. MARTINOTTI
DORIGO, Torino, Fondazione L. Einaudi, 1982, vol. II, p. 226.

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ze (31). Una regola impolitica per i tempi, che non trova spazio
nella costituzione repubblicana (32).
5.2.

I federalisti della Federal Union.

La principale visione dellunificazione europea, coerente coi


presupposti del federalismo di critica alla sovranita` nazionale, si
mostra nella corrente di pensiero sviluppatasi in Inghilterra nella
prima meta` del Novecento e particolarmente attiva nella presentazione di proprie proposte politiche di federalismo europeo e mondiale negli anni Trenta e Quaranta. Gli autori principali allinterno di un gruppo piu` vasto di intellettuali fondatori del movimento
denominato Federal Union (1938), il cui lavoro influenza statisti
come Winston Churchill e Clement Attlee nella fase tra le due
guerre mondiali sono Philip Kerr, poi divenuto Lord Lothian, e
leconomista Lionel Robbins (33). Da tale indirizzo viene affermato
complessivamente e con chiarezza che nel federalismo europeo si
devono inverare un aspetto di valore, la ricerca della pace, e il
modello istituzionale dello stato federale. Loriginalita` del federalismo anglosassone e` quindi di saper collegare, seguendo le indicazioni di Seeley, le tradizioni di pensiero kantiana e del Federalist. In
sostanza, i federalisti inglesi danno concretezza istituzionale al valore
della pace nel modello di stato federale, visto come principio
generale di organizzazione statale allinsegna della pace nelle relazioni internazionali, dapprima a livello europeo, quindi su scala
mondiale. Philip Kerr e Lionel Curtis sono i prosecutori piu` noti di
tale impostazione con gli scritti, da considerare classici del pensiero
(31) Ibidem.
(32) Su questi temi rinvio alle considerazioni e ai riferimenti bibliografici contenuti in C. MALANDRINO, Umberto Terracini alla Costituente: la questione delle autonomie
regionali, Critica Marxista, 1985, 4, pp. 43-55.
(33) Sulla scuola federalista inglese ved. F. ROSSOLILLO, La scuola federalista
inglese, in Lidea dellunificazione europea tra le due guerre mondiali, a cura di S. PISTONE,
Fondazione L. Einaudi, Torino, 1975, pp. 59-76; The Federal Idea, ed. by A. BOSCO, vol.
I, The History of Federalism from the Enlightenment to 1945, London-New York,
Lothian Foundation Press, 1991. Sulla partecipazione socialista al movimento federalista
britannico cfr. A. CASTELLI, Una pace da costruire. I socialisti britannici e il federalismo,
Angeli, Milano 2002.

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federalista, The Prevention of War, opera di entrambi, e Pacifism is


not enough (nor Patriotism either) che invece viene elaborato dal solo
Lord Lothian, divenuto personaggio centrale dellindirizzo federalista inglese negli anni Trenta (34). La sua formazione federalista
inizia nel corso dellelaborazione della nuova costituzione sudafricana (1906), alla scuola del Curtis, e prosegue allinterno del gruppo
riunito intorno alla rivista The Round Table, di cui e` direttore dal
1910 al 1916. Assertore in un primo momento della creazione della
Societa` delle Nazioni, se ne dissocia una volta visti i suoi limiti e
preso atto dellassenza degli Stati Uniti dAmerica e della Russia, gli
stati piu` condizionanti sullo scacchiere mondiale. La riflessione sulla
guerra e sulla pace, come gia` per Seeley, rappresenta anche per Lord
Lothian il banco di prova per la definizione della posizione federalista. Nei saggi che compongono lopera La prevenzione della guerra,
si passa in rassegna quelle che vengono chiamate le cause meccaniche e psicologiche delle guerre. Le prime concernono loggettivo atteggiarsi degli stati moderni nelle loro relazioni internazionali.
In tale ambito, dominato da interessi sovrani, la guerra viene a
qualificarsi come il mezzo supremo di autoaffermazione di ciascuno
stato attraverso la forza. La conseguenza e` linstaurarsi di un regime
di anarchia internazionale. Sul piano della psicologia collettiva,
inoltre, e` il culto dellegoismo nazionale che spinge gli abitanti di
ogni stato a limitare il proprio lealismo solamente ai propri concittadini, e che impedisce la crescita di un autentico sentimento
cosmopolita, nel dare la precedenza al bene comune dellumanita`
rispetto agli interessi particolari di una sua parte (35). In tale
quadro, la pace non puo` esser che un intervallo tra una guerra e
laltra, lattesa che riprenda a scorrere il time-table prebellico. Ma
Lord Lothian non accetta una simile conclusione e ricerca, al
contrario, le condizioni attraverso le quali la pace non sia semplicemente una condizione negativa caratterizzata dalla mancanza di
(34) Ph. KERR-L. CURTIS, The Prevention of War, New haven, Yale University
Press, 1923; Ph. KERR, Pacifism is not enough (nor Patriotism either), London, Oxford
University Press, 1935. Segretario di Lloyd George e diplomatico, Lord Lothian e`
ambasciatore britannico a Washington nella delicata fase seguita al trattato di Monaco
(1938) fino alla morte improvvisa nel 40. Cfr. la riedizione e trad. it. di vari scritti di
LORD LOTHIAN, Il pacifismo non basta, Il Mulino, Bologna 1986.
(35) Cfr. KERR-CURTIS, The Prevention of War, cit., p. 35.

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guerra, bens` possa diventare lo stato della societa` in cui i conflitti


politici, economici e sociali sono risolti con mezzi costituzionali
sotto il regno della legge, e la violenza o la guerra fra individui,
gruppi, partiti o nazioni in contrasto sono proibite e prevenute (36).
A fondare la pace si rivelano inadeguati sia i movimenti pacifisti sia
quelli internazionalisti di matrice liberaldemocratica o socialista,
poiche non si rendono conto delle radici intime dalle quali nascono
i conflitti tra gli stati moderni. Lunica maniera di realizzare lo scopo
consiste nella creazione di uno stato che sia superiore agli stati
nazionali, ossia una federazione sovranazionale che garantisca listituzionalizzazione dei conflitti interstatali e percio` la loro risoluzione
per via giuridica. Da quanto detto emerge il dato delloriginalita` del
federalismo anglosassone di quel periodo, che in sostanza invera
concretamente il valore della pace nel modello di stato federale, che
costituisce il principio generale di organizzazione statale allinsegna
della pace nelle relazioni internazionali, dapprima a livello europeo,
quindi su scala mondiale.
Tali aspetti si evidenziano nella concomitante riflessione economica di Robbins, direttore della London School of Economics, la cui
opera The Economic Causes of War) e` tradotta in italiano da Altiero
Spinelli e, come lo stesso Spinelli ricorda nella sua autobiografia (37),
insieme allaltra pubblicistica federalista inglese influenza grandemente il sorgere del federalismo europeo. In uno scritto precedente, Economic Planning and International Order (1937), Robbins
analizza in chiave federalista i fenomeni congiunti alla grande crisi
e alle risposte che a questa vengono date dal riformismo keynesiano
o dalla pianificazione socialista. Pur riconoscendo la necessita` di una
qualche forma di programmazione economica (anche per il funzionamento del sistema capitalista), di entrambe le soluzioni Robbins
critica i limiti derivanti dalla mancanza di consapevolezza teorica del
loro operare allinterno della cornice degli stati nazionali, della loro
incapacita` di cogliere le vere ragioni internazionali della crisi. La
(36) Cfr. LORD LOTHIAN, Il pacifismo non basta, cit., p. 167.
(37) Cfr. A. SPINELLI, Come ho tentato di diventare saggio. I. Io, Ulisse, Il Mulino,
Bologna 1984, pp. 293 e 307. Il volume di ROBBINS, The Economic Causes of War, J. Cape,
London 1939, tradotto da Spinelli col titolo Le cause economiche della guerra, esce per
i tipi di Einaudi a Torino nel 1944.

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causa radicale dei conflitti interstatali e delle guerre, scrive Robbins,


e` lesistenza delle sovranita` nazionali indipendenti che sta alla base
della organizzazione politica anarchica del mondo (38). Il mercato
non puo` funzionare nellanarchia delle relazioni internazionali, ma
neppure la pianificazione (quella democratica piu` blanda e quella
socialista piu` rigida) puo` andar al di la` di misure valide in politica
interna. Mentre, al contrario, nei rapporti internazionali, in conformita` al principio del primato della politica estera, sono le esigenze
politiche di potenza ad aver lultima parola e a imporre decisioni
protezionistiche sovente non corrispondenti alle ragioni delleconomia, ma perfettamente conformi agli interessi sezionali nazionali e
alla ragion di stato che mira alla supremazia militare e, di conseguenza, alla preparazione delle guerre. Il pensiero economico liberale
ha, secondo Robbins, sempre eluso questi problemi rimandandone
la discussione a momenti di semplice collaborazione internazionale.
Ma cio` e` insufficiente. In conclusione, si rende necessario pensare
allinstaurazione di un genuino sistema federale sovranazionale,
europeo e in lunga prospettiva mondiale, che permetta alle economie di risolvere le crisi grazie alla creazione di sedi di effettiva
regolazione dei conflitti e di programmazione delle priorita` economiche e politiche.
5.3. Le concezioni federaliste ed europeiste tra antifascismo e Resistenza.
Durante la tempesta della seconda guerra mondiale, il dibattito
europeista e federalista riprende nellambito dei movimenti di Resistenza contro il nazismo e il fascismo sorti in vari paesi, in particolare
in Gran Bretagna, Francia, Olanda, Belgio, Germania e Italia (39). In
tutte queste realta`, la discussione sfocia in modo generalmente
(38) Cfr. il volume che raggruppa e ripubblica i cit. scritti di L. ROBBINS, Il
federalismo e lordine economico internazionale, a cura di G. MONTANI, Il Mulino,
Bologna 1985, p. 180.
(39) Cfr. per una introduzione tematica e bibliografica W. LIPGENS (a cura di),
Documents on the History of European Integration, vol. I, Continental Plans for European
Union 1939-1945, de Gruyter, Berlin-New York, 1985.

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concorde nella critica radicale del carattere monolitico che la sovranita` statale ha raggiunto nei modelli totalitari nazifascisti e nella
rivendicazione dellobiettivo dellunificazione federale europea
come via duscita dalla distruzione del continente.
Con riferimento allItalia, occorre sottolineare che tale riflessione deve molto allelaborazione specifica di varie personalita` e di
movimenti antifascisti in esilio e, in modo particolare negli anni
Trenta, alla critica dello stato moderno portata avanti in connessione
ai temi dellautonomia, del federalismo, e dellobiettivo dellunita`
europea da Giustizia e Liberta` e, con grande preveggenza politica,
da Carlo Rosselli (40). In estrema sintesi, nella sua polemica Contro
lo stato (41), che cerca di dare un senso unitario al dibattito a piu` voci
svoltosi in Giustizia e Liberta` dal 1932 al 1934, Rosselli espone la tesi
che lo stato dittatoriale moderno mostra dessere linevitabile conclusione, in determinate condizioni, dello statalismo e che in esso
non vi e` posto per un umanesimo libero. Cio` pone una seria ipoteca
sul paradigma costituzionale moderno (42), che sembra confluire
nella statolatria e, cio` facendo, mostra la corda sia per cio` che
concerne la capacita` di accordare il consenso dei cittadini alle forme
liberaldemocratiche statali, sia per quanto attiene alla reale efficacia
nel garantire la pace a livello internazionale. Secondo Rosselli e`
questo il senso della critica alla teoria metafisica dello stato, anche
dalle indicazion emergenti dalle posizioni di autori quali Leonard T.
Hobhouse e Georges Gurvitch (43). Di conseguenza, abbozza una
visione nuova e positiva di una diversa forma e di un diverso
processo creatore di statualita` nel corso di una appassionata discus(40) Su cio` si rinvia a C. MALANDRINO, Socialismo e liberta`. Autonomia, federalismo
Europa da Rosselli a Silone, Angeli, Milano 1990, pp. 125-150. Cfr. anche Carlo e Nello
Rosselli. Socialismo liberale e cultura europea, a cura di A. LANDUYT, Quaderni del
Circolo Rosselli, 1998, n. 11.
(41) Cfr. larticolo di pari titolo in Giustizia e Liberta`, 21 settembre 1934.
(42) Sulla crisi attraversata dal paradigma costituzionale moderno rinvio, oltre che
alla letteratura cit. in premessa, alle considerazioni finali di M. FIORAVANTI, Costituzione,
Il Mulino, Bologna 1999; cfr. anche M. DOGLIANI, Costituzione, in La politica ritrovata.
Voci per un dizionario, a cura di C. MALANDRINO, Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 35-49.
(43) Cfr. L. T. HOBHOUSE, The Metaphysical Theory of the State: a Criticism, Allen
and Unwin, London 1918; G. GURVITCH, Lide e du droit social, Librairie di Re cueil Sirey,
Paris 1932; ID., Le temps pre sent et lide e du droit social, Vrin, Paris 1932.

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sione con lanarchico Camillo Berneri, scrivendo un vero e proprio


manifesto politico per un federalismo plurimo, istituzionale e sociale, infranazionale e sovranazionale, italiano ed europeo, che va
ben oltre i limiti meschini di un ristretto federalismo territoriale o
regionale dai contorni micronazionalisti (44).
Tale riflessione, personale e collettiva, influenza i movimenti
antifascisti che si segnalano negli anni Quaranta per le posizioni di
critica alla sovranita` statale e di nuove proposte europeiste, verificabili in un arco di posizioni che va dal Partito dAzione alla sinistra
socialista. In modo specifico ci si occupera` qui di Silvio Trentin e
degli autori del Manifesto di Ventotene, Altiero Spinelli ed Ernesto
Rossi.
(44) Cfr. C. BERNERI-C. ROSSELLI, Discussione sul federalismo e lautonomia, Giustizia e Liberta`, 27 dicembre 1935. Si riportano di seguito i passi salienti del manifesto rosselliano: 1) [] Per Giustizia e Liberta` il federalismo politico e territoriale e` un
aspetto e unapplicazione del piu` generale concetto di autonomia a cui il nostro
movimento si richiama: cioe` di liberta` positivamente affermata per i singoli gruppi, in
una concezione pluralistica dellorganizzazione sociale; 2) [] La regione storica, utile
ai fini politici amministrativi, puo` diventare mortifera a fini economici e culturali, la
regione agricola non coincidendo con la regione storica, la regione industriale variando
da industria a industria, e quasi sempre superando i confini dello stesso stato federale.
Percio`, anche in tema di regioni, pluralismo, elasticita`; 3) [] Specie dopo il fascismo,
anziche rivalutare la patria regionale bisognera` sforzarci di superare o allargare la patria
nazionale in cui si asfissia, facendola coincidere con la nozione di patria umana o
umanita`, espressione dei valori essenziali a tutti gli uomini indipendentemente dal
sangue, dalla lingua, dal territorio, dalla storia; 4) [] Gli organi vivi dellautonomia non
sono gli organi burocratici, indiretti, in cui lelemento coattivo prevale, ma gli organi di
primo grado, diretti, liberi, o con un alto grado di spontaneita`, alla vita dei quali
lindividuo partecipa direttamente o che e` in grado di controllare []; 5) [] E`
partendo da queste istituzioni nuove o rinnovate, legate fra loro da una complessa serie
di rapporti, e la cui esistenza dovra` esser presidiata dalle piu` larghe liberta` dassociazione, di stampa, di riunione, di lingua, di cultura, che si arrivera` a costruire uno stato
federativo orientato nel senso della liberta`, cioe` di una societa` socialista federalista
liberale; 6) [] Il concetto di autonomia deve valere non solo per il domani ma anche
per oggi; non solo per la costruzione, ma anche per la lotta che dovrebbe condursi
secondo questi criteri: autonomia alla base, cioe` iniziativa dei gruppi locali in Italia e
allestero e federazione al centro, cioe` alleanza rivoluzionaria. Al problema specifico di
una federazione europea Rosselli dedica numerosi articoli e riflessioni profetiche rimaste
inedite, incentrate sullesigenza dello sviluppo di un nuovo patriottismo europeo, sulle
quali si rinvia, per economia di discorso, a MALANDRINO, Socialismo e liberta`, cit.,
pp. 143-150.

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5.3.1.

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Trentin: una nuova visione pluralista di fronte alla crisi del


diritto e dello stato.

Nel contesto sopraddetto, una tra le piu` originali e compiute


critiche federaliste alla sovranita` dello stato e` rappresentata dallopera di Silvio Trentin, la cui elaborazione inizia nei primi anni
Trenta in collegamento con lanaloga riflessione di Giustizia e
Liberta` e di Carlo Rosselli sui temi dellautonomia, del federalismo
e dellunita` europea. Giunge a maturita` con il trattato sulla Crise du
droit et de lE tat (1935) e culmina nelle opere scritte nel corso della
seconda guerra mondiale e pubblicate postume (45). In particolare
mi riferisco al libro Stato-Nazione-Federalismo (redatto allinizio del
1940, ma pubblicato nel 1945) e a Liberare e federare, edito postumo
nel 1972 (46). Analizzando e contestando la parabola statalnazionale
e monocentrica di uno stato moderno provvisto dellattributo della
sovranita` assoluta, configurante piu` forme di governo, ma sempre
consistente un unico centro di potere decisivo fatalmente autoritario, Trentin contrappone un modello multipolare e pluralista, sia sul
piano istituzionale sia su quello sociale, capace di coniugare liberta`
e giustizia senza peraltro escludere il requisito dellefficacia della sua
azione. Trentin chiama la sua concezione socialismo federalista e,
come tale, integrale in senso proudhoniano. Esso costituisce leterodosso ed eclettico punto darrivo, durante gli anni della seconda
guerra mondiale, di una indagine critica serrata, storica e teorica,
della concezione dello stato nazionale centralista. In tal senso, il libro
Stato-Nazione-Federalismo si puo` definire, citando Bobbio, una
storia dello stato moderno, raccontata attraverso le vicende della
monarchia francese, della rivoluzione francese, della formazione
degli stati nazionali durante il secolo XIX, con particolare riguardo
al processo di unificazione della nazione italiana [] Una storia
delle dottrine che ne accompagnano la crescita e ne giustificano la
natura di ente sovrano, cioe` dotato di un potere sommo che non
(45) Cfr. S. TRENTIN, La crise du droit et de lE tat, Paris-Bruxelles, LEglantine,
1935. Per unintroduzione al pensiero autonomista e federalista di Trentin cfr. MALANDRINO, Socialismo e liberta
` , pp. 151-176.
(46) Cfr. S. TRENTIN, Stato-Nazione-Federalismo, prefazione di M. DAL PRA, La
Fiaccola, Milano 1945; Liberare e federare, in Scritti inediti, a cura di P. GOBETTI,
Guanda, Parma 1972, pp. 187-278.

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riconosce al di sopra di se` nessun altro potere (47). E` su questa


forma di stato che sappunta la critica di Trentin. Il quale, da
giurista, sente il bisogno di confessare autocriticamente desser stato
anchegli vittima di una deformazione professionale assai diffusa fra
i giuristi e troppo penetrato ancora dei pregiudizi di un insegnamento eccessivamente rispettoso delle forme pure del diritto, per
cui si e` indotti a credere allesistenza ed allautorita` di una sedicente
legge regolatrice dellevoluzione degli istituti giuridico-politici dei
popoli moderni, il cui enunciato tenderebbe a dar rilievo al fatto che
il tipo di stato semplice unitario attua il piu` perfetto equilibrio
(assicurandone la piu` razionale coordinazione) fra le forze sociali
coesistenti nel medesimo territorio e costituisce percio` la me`ta fatale
verso cui e` giocoforza debbano a poco a poco gravitare, nel loro
graduale assestamento, le varie particolari forme di organizzazione
adottate nella pratica delle diverse societa` politiche (48).
Trentin da` cos` espressione, abbandonandolo, a quel feticismo
delle stato nazionale unitario, sostanzialmente centralista, che definisce una forma di statolatria tipica di molti esponenti democratici
della sua generazione. Da tale presa di coscienza consegue la decisione di colmare la lacuna dimostrata nella prima opposizione
antifascista e di procedere verso una nuova concezione filosofica
dello stato e del diritto. Impresa compiuta grazie agli studi condotti
in Francia a partire dal ricordato contributo di Georges Gurvitch,
nel quadro del pluralismo giuridico e alla luce dellispirazione del
pensiero proudhoniano (ma occorre ricordare che i riferimenti di
Trentin sono piu` vasti e vanno dallo spiritualismo realista e istituzionalista del giurista francese Maurice Hauriou, ai cultori del droit
naturel Francois Geny e Julien Bonnecase senza dimenticare infine il
marxismo piu` o meno eterodosso di autori come Rosa Luxemburg e
Leone Trockij). Attraverso queste vie Trentin si familiarizza con
limpostazione pluralista dei problemi dello stato e della politica, in
qualche modo riformulanti lo schema pattizio giusnaturalista e
capaci di dare piu` ampio respiro ai diritti degli individui unitamente
alla dimensione del gruppo e delle comunita` intermedie poste tra
(47) Cfr. lIntroduzione di N. BOBBIO a TRENTIN, Federalismo e liberta` (1935-1943),
vol. IV delle Opere scelte, Marsilio, Venezia 1987, p. XXIX.
(48) Cfr. TRENTIN, Stato-Nazione-Federalismo, cit., pp. 114-115.

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lindividuo e lo stato. Da tale acquisizione discende il ripudio della


visione neoassolutizzante del fascismo, che Trentin preveggentemente chiama totalitaria (49). A questo proposito occorre sottolineare che il giurista veneto e` da considerare tra i primi critici del
totalitarismo, del quale denuncia il sorgere, le incarnazioni e i tratti
fondamentali riflessi nello stato nazionale ferreamente centralizzato,
unitario, unico creatore della norma positiva e dei valori giuridicopolitici. Di qui anche la ricerca di una diversa e nuova concezione,
intimamente federalista, dello stato e della politica, che traduce in
teoria giuridica un nuovo paradigma costituzionale (il quale, pur
partendo da una critica al fascismo, e` inteso come superamento
anche del modello liberaldemocratico tradizionale) al quale non e`
stata riservata finora la debita attenzione.
In Stato-Nazione-Federalismo Trentin ripercorre, partendo dal
processo di disgregazione delluniversalismo medievale, le tappe
della formazione e dello sviluppo dello stato nazionale accentrato
moderno, facendo riferimento alla storia di Francia, Germania e
Italia. Egli mette in rilievo il fatto che allaffermazione dello stato
centralizzato fa da contraltare una persistente tensione pluralista e
autonomista. La vittoria va pero` alla tendenza unitaria e centralista,
dapprima con la forza dellassolutismo dei pr`ncipi, in un secondo
momento sotto il vessillo della nazione una nazione intesa da
Trentin nellaccezione di mito aberrante di e lites vogliose di autorealizzazione e della democrazia giacobina; infine grazie alla
violenza delle dittature fasciste e comuniste. Ce` un filo che lega tutte
queste forme di potere statale, pur nella grande differenza di motivazioni. La rivoluzione borghese del 1789 e quella socialista del 1917
consolidano, secondo Trentin, la struttura accentrata dello stato
finendo per soffocare le aspirazioni di ceti, gruppi, classi allautonomia, in contraddizione con le stesse ideologie liberali e socialiste che
ne proclamano il mantenimento. Lo stato monocentrico (contro cui
(49) I passi che si potrebbero citare sono numerosi, a partire dal primo scritto
trentiniano dedicato allanalisi critica del fascismo, Laventure italienne. Le gendes et
re alite s, Paris, PUF, 1928 (oggi in trad. it. nel vol. V delle Opere scelte, a cura di A.
VENTURA, 1988, pp. 21-23). Sulla specificita` della caratterizzazione neoassolutistica e
tirannica dello Stato fascista, quintessenza secondo Trentin dello Stato nazionale centralista e autoritario, cfr. C. MALANDRINO, Morale e politica nellantifascismo e nella
Resistenza. Silvio Trentin monarcomaco?, in Il Ponte, settembre 1994, pp. 50-66.

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lantifascista veneto recupera la tensione morale e politica della


scuola federalista risorgimentale italiana di Cattaneo) passa, quasi in
eredita`, dallassolutismo alle democrazie contemporanee, grazie soprattutto al processo di universalizzazione e di rafforzamento del
principio dello stato unitario monocentrico, inoculato nel principio
di nazionalita`, operato dallidealismo tedesco e poi fatto proprio dai
maggiori filoni ideologici ottocenteschi, fino alla consacrazione dellunita` come legge suprema di organizzazione della vita sociale e di
uno specifico mito unitario nel corso della grande guerra. Questo
e` il motivo principale per cui, conclude Trentin, nellintervallo tra le
due guerre mondiali si verifica facilmente il passaggio dalla democrazia liberale alla dittatura in numerosi paesi e, comunque, grazie al
quale le tendenze reazionarie si dilatano in tutta lEuropa. Nello
stato nazionale monocentrico, unitario e autoritario, e` infatti riposta
la radice piu` profonda della tirannide. Lo stato nazista e` solo
lespressione piu` estrema del monocentrismo integrale (50). Altrimenti detto: E` nello stato totalitario che lo stato unitario rinviene la
sua ultima e piu` compiuta espressione. Compito della rivoluzione
tale e` per Trentin la Resistenza, rivoluzione morale, politica,
istituzionale e sociale sarebbe percio` non di eliminare alcuni
regimi dittatoriali e totalitari, ma di estirpare la stessa mala pianta
dello stato nazionale unitario allinsegna della parola dordine dellautonomia: Autonomia, cioe`: emancipazione brutale da tutte le
superstizioni a lungo intrattenute dalla menzogna nazionalistica:
affrancamento definitivo dalla macchina-simbolo [...] dello statoLeviatano (51). Questa e` la condizione per rompere il ciclo perverso
della storia dei singoli paesi europei e dellEuropa vista come
insieme. Del resto, nel trattato sulla Crisi del diritto e dello stato
Trentin chiarisce che ogni forma e livello di societa` esige unorganizzazione statale infra- e sovranazionale. Egli chiama stato particolare quello corrispondente al piano della societa` nazionale. Lo
stato particolare, ordinatore della coesistenza delle autonomie,
e` da lui concepito come un gradino verso lo stato universale, al
quale incombe lorganizzazione della societa` universale, cioe` mondiale. Lintegrazione tendenziale dello stato particolare nelluniver(50)
(51)

Cfr. TRENTIN, Stato-Nazione-Federalismo, cit., p. 153.


Ivi, p. 207.

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sale non pregiudica lesistenza del primo in quanto ordine dintegrazione parziale, non godente pero` degli attributi dassolutezza
sovrana conferitigli dallideologia statal-nazionale (52).
Il fulcro dellinteresse trentiniano in Liberare e federare e` riposto
nella delineazione dei caratteri dello stato e della societa` postrivoluzionari, rispetto ai quali Trentin non si limita allenunciazione di
principi ideali, ma elabora Abbozzi (53) costituzionali relativi a Francia e Italia, che nelle sue intenzioni dovrebbero espletare la loro
efficacia nei dibattiti di una prevedibile futura assemblea costituente.
Il nuovo stato dovrebbe configurarsi come ordine degli ordini
e da questa definizione emerge con evidenza il suo carattere multipolare in luogo del monocentrismo. Trentin aggiunge che se esso
volesse realizzare un progresso sul piano dellaffrancamento dellindividuo e della salvaguardia della dignita` della persona, non potrebbe esser altro che federalista, nel senso proudhoniano della
parola. Ovvero federalismo politico e federalismo sociale agricoloindustriale (54).
NellAbbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dellItalia al termine della rivoluzione federalista in corso di
sviluppo (redatto poco prima di morire nel 1944 e pubblicato
postumo nel 1972) Trentin, pur tra scontate macchinosita` e farra(52) Importanti ispiratori di Trentin ai fini dellelaborazione della critica dellanacronismo e dellillusorieta` della sovranita` statal-nazionale nella prospettiva dellunita`
federale europea sono due autori, peraltro assai distanti tra loro (il che dimostra la
capacita` eclettica di Trentin di servirsi, ai fini della costruzione del suo sistema, delle
fonti piu` disparate): il giurista italiano Pietro Bonfante, autore durante e dopo la grande
guerra di articoli europeisti sulla salveminiana Unita`, e il TROCKIJ della Storia della
rivoluzione russa. Di Bonfante Trentin cita vari scritti, di cui quello piu` attinente la
problematica della crisi dello stato e` Europa, in Rivista internazionale di filosofia del
diritto, XIII, 1933, n. 1, pp. 1-4. Sullinfluenza di Trockij insiste il maggior biografo di
Trentin, F. ROSENGARTEN, S. Trentin dallinterventismo alla resistenza, Milano, Feltrinelli,
1980, passim. Trentin utilizza la traduzione francese della Histoire de la re volution russe,
Paris, Rieder, 1933, di Trockij. Sulla rilevanza di Trockij per levoluzione di una linea di
pensiero federale ed europeista nel comunismo internazionalista cfr. MALANDRINO, Lidea
dellunita` federale europea e il socialismo marxista (1900-1920), cit., pp. 23-49.
(53) Cfr. S. TRENTIN, Ebauche de la figure constitutionnelle de la France a` lissue de
la re volution en cours de de veloppement, in ID., Scritti inediti, cit., pp. 279-294 e il
consecutivo Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dellItalia al
termine della rivoluzione federalista in corso di sviluppo, ivi, pp. 295-318.
(54) Cfr. TRENTIN, Liberare e federare, cit., pp. 237-238.

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ginosita` tipiche di un lavoro a tavolino non soggetto a ulteriori


affinamenti, cerca di dare traduzione normativa e istituzionale a tali
indicazioni. Non e` qui possibile darne unillustrazione, ma basti dire
che il primo dei princ`pi generali stabilisce lidentita` italiana di
Repubblica federale e di membro fondatore della Repubblica
europea. Cio` dimostra la convinzione trentiniana di dover porre
lItalia sul cammino della costruzione dellunione europea vista
come coordinamento federale delle realta` nazionali in luogo della
balcanizzazione prodottasi dopo la prima guerra mondiale e
risorgente dalle ceneri dei blocchi postbellici.
In conclusione, nella teoria trentiniana il presupposto sostanziale del carattere multipolare del sistema pluralista intacca il dogma
della sovranita` dello stato, che perde gli attributi di astrattezza e di
assolutezza, nonche di monocentrismo, tipici della concezione dello
stato nazionale moderno, per depotenziarsi e diffondersi (ma non
eliminarsi) in varie istanze interne ed esterne. Questo fatto mette il
pensiero di Trentin in sintonia con le correnti piu` avanzate del
pensiero giuspubblicistico contemporaneo che da tempo raccomandano la trasformazione del modello costituzionalistico (55).
(55) Mi pare che su una strada vicina al modello multipolare, autonomista e
federalista europeo di Silvio Trentin si pongano alcune considerazioni di filosofia politica
premesse da GUSTAVO ZAGREBELSKY al suo denso saggio di diritto costituzionale intitolato
Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992. Delineando il passaggio dallo stato di diritto
ottocentesco allo stato costituzionale contemporaneo, Zagrebelsky sottolinea lesistenza
di una tendenza che definisce della mitezza costituzionale in un sistema caratterizzato
dal pluralismo dei valori e quindi dallesigenza della loro coesistenza e del loro
compromesso a livello costituzionale. Contrapponendosi alla visione socialdarwinista e/o
schmittiana di una liberisticamente illimitata competizione delle merci, delle idee,
della politica, degli uomini, di una rivalita` distruttiva delle piccole identita` collettive,
egli assegna viceversa a una convivenza mite, costruita sul pluralismo e sulle interdipendenze e nemica di ogni ideale di sopraffazione il compito di accompagnare
lumanita` nel terzo millennio. A tal fine, il prezzo da pagare e` appunto visto, sul piano
dei modelli costituzionali, nella revisione del concetto classico di sovranita` interna ed
esterna [...] nellintegrazione del pluralismo nellunica unita` possibile [che] deriva anche
dallesigenza di abbandonare quella che si potrebbe dire la sovranita` di un principio
politico unico dominante, dal quale si possano deduttivamente trarre tutte le articolazioni esecutive concrete alla stregua del principio di esclusione del diverso, secondo una
logica dellaut-aut, dello dentro o fuori. La coerenza semplice del tipo di stato
nazionale monocentrico e sovrano che si otterrebbe in questo modo non potrebbe essere
la legge fondamentale intrinseca del diritto costituzionale dellepoca presente che e`

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5.3.2.

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Il Manifesto di Ventotene: Spinelli e la strategia costituzionale


del federalismo europeo.

Il momento cruciale per laffermazione dellindirizzo teorico


federalista europeo e` dato dalla fondazione, su proposta di Altiero
Spinelli ed Ernesto Rossi, del Movimento Federalista Europeo
(MFE) a Milano, nellagosto 1943, e del suo organo periodico vicino
al Partito dAzione, LUnita` Europea. Spinelli e Rossi, politicamente collocatisi nellalveo liberalsocialista influenzato da GL e da
Carlo Rosselli (56), debitori del pensiero federalista di Einaudi e
attraverso lui collegati al federalismo classico di matrice anglosassone della Federal Union, ribadiscono una critica severa e definitiva
al dogma della sovranita` assoluta degli stati, tanto piu` nella forma
esasperata e degenerata dei totalitarismi, punto darrivo della crisi
della civilta` moderna. Essi distinguono nellanalisi il fatto che la
summa potestas superiorem non recognoscens sorge prima della formazione degli stati nazionali, ma storicamente diviene causa necessaria di contrapposizioni irrisolvibili e distruttive solo dopo la sua
fusione con la concezione nazionalista dello stato-potenza: La
sovranita` assoluta degli stati nazionali ha portato alla volonta` di
dominio di ciascuno di essi [] Questa volonta` di dominio non
potrebbe acquetarsi che nella egemonia dello stato piu` forte su tutti
gli altri asserviti [] Gli stati totalitari sono quelli che hanno
realizzato nel modo piu` coerente lunificazione di tutte le forze,
attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono percio`
dimostrati gli organismi piu` adatti allodierno ambiente internazionale (57). Eugenio Colorni, curatore della prima edizione del Mapiuttosto quella dellet-et e che contiene percio` delle promesse multiple per il futuro.
Di ZAGREBELSKY cfr. anche le illuminanti riflessioni nella Presentazione del volume (da lui
curato) Il federalismo e la democrazia europea, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994,
pp. 9-23.
(56) Cfr. in proposito C. MALANDRINO, Il federalismo europeo in Ernesto Rossi, in
Il federalismo tra filosofia e politica, a cura di U. COLLU, Fondazione C. Nivola - Centro
per la filosofia italiana, Nuoro-Roma, 1998, pp. 341-366.
(57) Cfr. A[LTIERO] S[PINELLI] e E[RNESTO] R[OSSI], Problemi della Federazione
Europea, Roma, Movimento italiano per la federazione europea, 1944, consultabile in
varie edizioni e ora in quella anastatica promossa dal Consiglio Regionale del Piemonte,
cfr. SPINELLI-ROSSI, Il Manifesto di Ventotene, a cura di S. Pistone, Celid, Torino 2001,
p. 10.

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nifesto di Ventotene (58), scrive conseguentemente nellintroduzione


che lidea centrale dellopera consiste nella consapevolezza che la
contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre,
delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra societa` e`
lesistenza di stati sovrani, geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri stati come concorrenti e
potenzialmente nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in una
situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes. Di qui lesposizione del nucleo essenziale del discorso del Manifesto, il cosiddetto
pre alable federalista europeo, incentrato sulla definitiva abolizione della divisione dellEuropa in stati nazionali sovrani (59). Solo
questo passaggio prioritario consentirebbe lintrapresa in Europa di
veritiere politiche di progresso sociale, economico, culturale. Secondo Spinelli e Rossi, la linea di divisione fra partiti progressisti e
partiti reazionari cade ormai non lungo la linea formale della maggior o minore democrazia, del maggior o minore socialismo da
istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli
che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioe`
la conquista del potere politico nazionale e che faranno, sia pure
involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio
stampo e risorgere le vecchie assurdita` e quelli che vedranno
come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale,
che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche
conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea
come strumento per realizzare lunita` internazionale (60). Il nuovo
ordinamento federale dovrebbe esser tale da lasciare a ogni singolo
stato la possibilita` di sviluppare la sua vita nazionale nel modo piu`
adatto al grado e alla peculiarita` della sua civilta`, ma limitandone la
sovranita` al fine di sottrarre i mezzi di realizzazione dei particolarismi egoistici.
Sulla base di tali princ`pi Spinelli e il MFE, da lui presieduto e
guidato fino agli inizi degli anni 60 (tranne una breve parentesi nel
(58)
177-184.
(59)
(60)

Su cio` cfr. piu` ampiamente MALANDRINO, Socialismo e liberta`, cit., pp.


Cfr. SPINELLI-ROSSI, Il Manifesto di Ventotene, cit., p. 21.
Ivi, p. 15 e p. 37.

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biennio 1946-47), si impegnano in una lotta dalle alterne fasi e


vicende, il cui dato comune e` possibile ritrovare proprio nellobiettivo di una costituzione federale europea elaborata da un organo
parlamentare costituente e non da una conferenza diplomatica di
stati sovrani, ritenuta capace solo di produrre risultati di tipo
confederale (61). Da tale decisione la contrapposizione del metodo
costituzionale del federalismo europeo (al cui sostegno si intende mobilitare leuropeismo diffuso a livello popolare con liniziativa denominata Congresso del Popolo Europeo) ai metodi del
confederalismo e del funzionalismo comunitario (62), che porta alla
sconfitta, dovuta anche a una sottovalutazione delle potenzialita`
dellintegrazione sovranazionale avviata con la CEE. Una sottovalutazione ammessa e spiegata negli anni Sessanta dallo stesso Spinelli
e, in modo forse piu` chiaro, da Mario Albertini (63).
6. La critica federalista nel secondo Novecento: sparizione, obsolescenza o trasformazione della sovranita`?
Nella seconda meta` del Novecento si enucleano posizioni che,
pur rientrando agevolmente nel paradigma definito ai paragrafi 2 e
3 per cio` che riguarda il riferimento alla crisi della sovranita` statale,
mettono in luce approcci sempre piu` diversificati rispetto alla constatazione o meno della persistenza di un potere sovrano nello stato
nazionale e/o in quello federale. Cio` accade, in modo particolare,
quando si applichi questo discorso alla realta` europea. Alcuni autori
giungono alla conclusione che la sovranita` sia obsoleta, decada o
(61) Su SPINELLI cfr. E. PAOLINI, A. Spinelli. Appunti per una biografia, Il Mulino,
Bologna 1988. Cfr. inoltre gli interventi spinelliani raccolti a cura di M. ALBERTINI, Il
progetto europeo, Il Mulino, Bologna 1985. Cfr. inoltre linteressante sintesi di ALBERTINI,
Lunificazione europea e il potere costituente, Il Politico, 1986, ora consultabile in ID.,
Nazionalismo e federalismo, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 289-306. Sullattivita` del
movimento dei federalisti europei cfr. L. LEVI-S. PISTONE, Trentanni di vita del MFE,
Angeli, Milano 1973; S. PISTONE (a cura di), I movimenti per lunita` europea, vol. I
1945-1954, Jaca Book, Milano 1992; vol. II, 1954-1969, Universita` di Pavia, Pavia 1996;
A. LANDUYT- D. PREDA, I movimenti per lunita` europea 1970-1986, 2 voll., Il Mulino,
Bologna 2000.
(62) Su questo punto ved. MALANDRINO, Lidea dellunita` europea, cit., pp. 28-32.
(63) Cfr. lintroduzione di S. PISTONE al testo di SPINELLI, Una strategia per gli Stati
Uniti dEuropa, Il Mulino, Bologna 1989, pp. 22-23.

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addirittura sparisca nel passaggio allo stato federale. Altri pensano


invece a un affievolimento, a una diminuzione, che tuttavia non
mette in questione leffettivo permanere di una sovranita` condivisa
fra i livelli infranazionale, nazionale e federale sovranazionale.
6.1.

Il federalizing process di Friedrich: la sovranita` impossibile.

Carl Joachim Friedrich rientra nel novero dei maggiori storici e


politologi che hanno indagato tra primo e secondo Novecento il
problema del federalismo, visto non solo come specifica forma
organizzativa e istituzionale dello stato, ma anche in relazione ai
modi di espressione politica della vita comunitaria e sociale (64). Non
a caso, tra i suoi primi oggetti di ricerca compare lanalisi della
concezione simbiotico-federativa di Johannes Althusius di cui, nellintroduzione alla riedizione della Politica da lui curata nel 1932, si
mette in rilievo il ruolo fondativo per il federalismo moderno (65).
Per Friedrich il federalismo e` prima di tutto un fatto di organizzazione e di equilibrio degli interessi, di conformazione del potere
politico in una determinata comunita` e, di conseguenza, una specifica forma di governo.
Friedrich appartiene alla cerchia di quegli autori che ripensano
criticamente alla parabola dello stato moderno centralizzato e sovrano iniziata nel Cinquecento. Egli sottolinea il fatto che la concezione della sovranita` assoluta, indivisibile, semplificatrice delle complessita` sociali, teorizzata soprattutto da Hobbes, caratterizza il farsi
iniziale di questo tipo di stato che, dopo aver toccato lapogeo tra il
Seicento e lOttocento, ha cominciato a declinare di fronte al
ravvivarsi delle articolazioni del tessuto comunitario interno e allesplodere distruttivo delle contraddizioni internazionali nel sistema
europeo (poi mondiale) degli stati. Giunto al termine del suo
orizzonte storico, lo stato moderno deve lasciar spazio a un ordina(64) Cfr. ledizione italiana dei piu` pregnanti passaggi della complessiva opera di
C. J. FRIEDRICH, Luomo, la comunita`, lordine politico, a cura e con introduzione di S.
Ventura, Il Mulino, Bologna 2002.
(65) J. ALTHUSIUS, Politica methodice digesta et exemplis sacris et profanis illustrata,
Herbornae Nassoviorum, Corvinus, 1614, riedita. a cura e con introduzione di C. J.
Friedrich, Cambridge, Harvard University Press, 1932.

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mento istituzionale piu` dinamico e libertario delle relazioni tra le


comunita` politiche. Queste si collocano a piu` livelli: locale, regionale, nazionale e sovranazionale, interagendo continuamente tra
loro. E` dunque necessario che a una configurazione statica, centralizzata e autoritaria, dei loro rapporti se ne sostituisca una flessibile,
evolutiva, policentrica, cooperativa. Scrive Friedrich: Il mondo
contemporaneo prende significativamente forma secondo i complessi modelli di interazione tra questi diversi tipi di comunita`.
Federalismo, regionalismo e decentralizzazione hanno visto accrescere la loro importanza come modi possibili di trattare le questioni
politiche risultanti da questo processo di interazione (66). Friedrich
ricorda che il federalismo si distingue dal regionalismo o dalla
decentralizzazione elementi insopprimibili di una formazione
federale che, pero`, possono anche rappresentare soltanto misure
amministrative destinate a rendere piu` funzionale il governo di uno
stato non federale , per la sua capacita` di portare in primo piano
i dati politici originari e costitutivi delle relazioni fra le comunita`, nel
senso che presuppone sempre un accordo tra eguali per agire
unitamente su specifiche questioni di politica generale (67). Il criterio che definisce il tratto federale di uno stato e` pertanto
lesistenza di rappresentanti, effettivamente separati, delle diverse
componenti, allo scopo di partecipare al processo di legiferazione e
di dar forma alla politica pubblica. Il federalismo e` percio` definibile
come la formulazione di un processo che si sviluppa nei due sensi,
dissociativo e associativo, rispetto alloperare tradizionale dello stato
moderno: da un lato decentralizzando e federalizzando le sue componenti allinterno, da un altro lato creando un centro di potere
politico federale tra le comunita` sovranazionali: Il federalismo e`
anche, e forse soprattutto, il processo di federalizzazione di una
comunita` politica; cioe` il processo attraverso il quale un certo
numero di comunita` politiche separate entrano in una organizzazione comune per raggiungere soluzioni, adottare politiche comuni;
e allopposto, il federalismo e` anche il processo attraverso il quale
(66) Cfr. C. J. FRIEDRICH, Trends of Federalism in Theory and Practice, A. Praeger
Publishers, New York 1968 (cit. nella trad. it. di B. CARUSO-L. CEDRONI, Federalismo.
Antologia critica, Scuola superiore della Pubblica Amministrazione, Roma 1995, p. 455).
(67) Ivi, p. 458.

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una comunita` politica unita si differenzia in un tutto federalmente


organizzato. Le relazioni federali sono per natura relazioni in continuo mutamento (68). E` nella logica intrinseca di un siffatto organismo federale, sottoposto a un costante divenire che ridefinisce gli
assetti raggiunti, composto di membri tra loro autonomi, che nessuno di essi sia sovrano. E infatti, sostiene Friedrich, alcun sovrano
puo` esistere in un sistema federale. E` un errore anche pensare che
possa sussistere una sorta di sovranita` residua e limitata delle
componenti, poiche lidea stessa della sovranita` significa indivisibilita`. Cio` che prende il posto della sovranita` e dunque rappresenta limmagine del potere cui spetta lultima parola e` da
Friedrich definito il potere costituente che realizza laccordo dei
singoli e delle comunita` per fondare lo stato federale (69).
Fanno parte del processo e del modello federalizzanti varie fasi
di sviluppo, da quello confederale della lega a quello finale di una
vera e propria federazione statuale. Lesperienza decisiva ai fini
dellelaborazione del concetto moderno di federalismo e`, anche per
Friedrich, quella della formazione della costituzione federale americana e della stesura del Federalist (70), che rendono chiaro il
passaggio dallo stadio confederale a quello federale, sebbene tale
problema non venisse da parte dei convenzionali di Filadelfia posto
dottrinalmente (come fecero poi autori europei, in particolare tedeschi e italiani), ma pragmaticamente. Cio` che fa fare il salto di qualita`
nel nuovo federalismo e` lesistenza di una doppia e contestuale
cittadinanza, ossia lidea che in un sistema federale di governo ogni
cittadino appartenga a due comunita`, quella del suo stato e quella
della nazione; che questi due livelli di comunita` debbano essere
nettamente distinti e che ognuno di essi debba essere provvisto del
proprio governo; e che nella strutturazione del governo della comunita` piu` estesa gli stati componenti debbano giocare un preciso ruolo
nella loro qualita` di stati (71). Da cio` conseguono lorganizzazione
delle competenze fiscali, la divisione dei poteri sovrani (che invero
(68)
(69)
(70)
291-300.
(71)

Ivi, p. 459.
Ibidem.
Cfr. FRIEDRICH, Luomo, la comunita`, lordine politico, cit., p. 278 ss. e
Ivi, p. 297.

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non sono piu` tali) su un livello duale, ecc. E` interessante notare che
Friedrich afferma, discutendo la posizione degli antifederalisti americani e quella successiva di J. C. Calhoun, sostenenti il diritto
sovrano degli stati membri nei confronti dellUnione con largomento della indivisibilita` della sovranita`, che lesperienza della
costituzione americana trascendeva proprio tale usurata dottrina
della sovranita` (72). Allo stesso modo, pensa Friedrich, sono pericolose per il federalismo le tendenze centralizzatrici emergenti nelle
esperienze concrete dei paesi federali, dagli USA alla stessa Confederazione Elvetica, perche delineanti un nuovo zoccolo duro di
sovranita` centralista.
Da quanto detto, in conclusione, emerge una certa indefinitezza
della sovranita` nel nuovo contesto delineato da Friedrich, e piu` in
generale dei caratteri istituzionali specifici del sistema federale, e cio`
ha attirato critiche sul suo modello. Alcuni, in particolare aderenti al
federalismo europeo, pensano infatti che porre laccento sui processi storico-sociali alla base della crisi dello stato moderno e`
necessario per riconoscere la ragione profonda della necessita` dellavvento di sistemi federali sempre piu` allargati, ma aggiungono che
cio` nondimeno tale approccio, perseguito fino al punto di sostenere
la tesi della sparizione della stessa idea di sovranita` statale, puo` far
perdere il senso del ruolo delle istituzioni nella storia. In particolare,
come conseguenza della negazione della trasformazione della sovranita`, resta sullo sfondo in Friedrich la distinzione qualitativa tra
federazione e confederazione acquisita dalla teoria federalista (73).
Cio` puo` causare omissioni, fraintendimenti, se non errori, nella
prospettiva comparativa dei diversi processi federativi. Un esempio
si puo` riconoscere nel modo in cui Friedrich considera il caso
europeo. Egli scrive che lesperimento delle comunita` economiche
supera le iniziali e sterili diatribe tra federalisti e confederalisti tra gli
anni 40 e 50, che si sviluppano a suo parere polemicamente e
dogmaticamente intorno a un impossibile trasporto (Friedrich equipara il progetto costituente di Spinelli a un sogno) (74) sul piano
europeo del modello federale americano. In realta` lEuropa comu(72)
(73)
(74)

Ivi, pp. 300-301.


Cfr. L. LEVI, Il pensiero federalista, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 110.
Cfr. FRIEDRICH, Luomo, la comunita` lordine politico, cit., p. 331.

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nitaria passa, nellepoca descritta da Friedrich tra gli anni 50 e 60,


dalla fase della comunita` funzionale con tratti confederali a quella
dellunione sempre piu` stretta con vincoli federali. La difficolta` e
lentezza del processo, dimostrata tra laltro dallassenza dellistituto
di una cittadinanza comune, in quel periodo ancora non prevista nei
trattati, non impediscono a Friedrich di affermare: Il processo in
atto mira alla costruzione di un sistema federale. Sebbene ancora
nelle prime fasi, questo processo sta guadagnando velocita`, ed e`
divenuto esplicito attraverso la costituzione di diverse comunita` con
obiettivi specifici la Comunita` del carbone e dellacciaio,
lEuratom, la Comunita` economica europea (il Mercato comune) (75). In definitiva, Friedrich valuta poco le difficolta` ineliminabili del trapasso dalla tappa comunitaria e confederale a quella
federale vera e propria; tende a trascurare il conflitto di interessi e di
opinioni che si genera allorche si pone in Europa il problema del
riconoscimento costituzionale di un assetto statuale, che non si puo`
produrre spontaneamente, ma solo per consapevole decisione politica degli stati membri sotto la pressione di forze e circostanze
eccezionali.
6.2.

Il federalismo come grand design: Elazar e le sovranita` diffuse


e condivise.

Daniel Judah Elazar patrocina in molti scritti, tra cui importanti


Exploring federalism e Federalism as a grand design del 1987 (76), una
visione del federalismo fondata sulla sua qualificazione come rivoluzione, come piano grandioso destinato a offrire soluzioni locali,
sovranazionali e mondiali adeguate alle domande politico-istituzionali scaturenti dalla crisi dellepoca postmoderna. Lepoca moderna
dispiegatasi dalla meta` del Seicento alla meta` del Novecento e`
caratterizzata soprattutto dalloperare dei suoi attori principali, gli
(75) Ivi, p. 263.
(76) Cfr. D. J. ELAZAR, Exploring Federalism, The University of Alabama Press,
Tuscaloosa, 1987 (qui cit. nella trad. it. curata da L. M. BASSANI, Idee e forme del
federalismo, Edizioni di Comunita`, Milano 1995); ID., Federalism as a Grand Design.
Political Philosophers and the Federal Principle, ed. by D. J. ELAZAR, University Press of
America, Lanham 1987.

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stati sovrani reificati e centralizzati, o altrimenti detto, gli stati


nazionali, che si sono ridotti ad assomigliare sempre piu` al mitico
letto di Procuste (77), il ladro ucciso da Teseo famoso per adattare
le vittime alle misure del suo letto, tagliando via le parti corporali in
eccesso. Allo stesso modo gli stati nazionali sovrani sacrificano in
questi tre secoli le componenti minoritarie etniche, linguistiche,
autonomistico-territoriali o daltro genere non conformi alla loro
immagine ideale di nazionalita`, daltronde non corrispondente quasi
mai a un rapporto naturale, oggettivo e pacifico, col territorio
occupato. La postmodernita` e` lepoca che contrassegna il declino di
questa forma statale di fronte allincapacita` di governare le difficolta`
insorgenti dal risveglio etnico e dalle esigenze autonomiste sul piano
interno, dalle conflittualita` interstatali a livello sovranazionale, dai
nuovi problemi ambientali e tecnico-scientifici sul piano mondiale.
Nellepoca postmoderna, secondo Elazar, si assiste di conseguenza
allo sviluppo di nuovi assetti istituzionali di governo che si sono
mossi simultaneamente in due direzioni: creare unita` politiche sia
piu` grandi che piu` piccole per fini differenti, ottenendo cos` vantaggi
economici o strategici, e conservare allo stesso tempo la comunita`
originaria, per meglio soddisfare le esigenze di diversita` etnica. Tutti
questi assetti presuppongono lidea di piu` governi che esercitano il
potere sullo stesso territorio. Questa idea, che costituisce il nucleo
dellinvenzione americana del federalismo, [e`] uneresia per i padri
europei dello stato nazionale moderno (78). In effetti, in questi
termini Elazar ribadisce lineluttabilita` della critica radicale alla
concezione della sovranita` statalnazionale elaborata allinizio delleta`
moderna da Bodin o da Hobbes. Scrive: Quindi il principio
federale rappresenta unalternativa (e un radicale attacco) alla moderna idea di sovranita`. Questultima [e`] diventata cos` connaturata
al modo di ragionare che perfino le discussioni del federalismo
furono espresse in termini di sovranita`, particolarmente nel XIX
secolo, tanto che ne e` risultata una inevitabile distorsione del
concetto di federalismo. Nellepoca postmoderna, tuttavia, la nozione di sovranita` statuale e` diventata obsoleta (79). Tale conce(77)
(78)
(79)

ELAZAR, Idee e forme del federalismo, cit., p. 184.


Ivi, p. 185.
Ivi, p. 90.

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zione della postmodernita`, che non implica il ritorno a posizioni


premoderne, privilegia linteresse verso pensatori e istituzioni sociali
che sono stati emarginati dal trionfo dello stato moderno. Compito
della rivoluzione federalista sara` di portare a termine il grand design,
i cui fondamenti teorici sono concepiti nellambito dellantica teologia federale biblica e, attraverso la sua modernizzazione e secolarizzazione, applicati allepoca postmoderna, nel rispetto pero` di
quelle esigenze giustificate di centralizzazione e di efficienza del
potere avanzate dalla modernita`. In estrema sintesi, la rivoluzione
federalista dovra` realizzare la concentrazione del potere e dellautorita` in grandi e attivi governi generali, diffondendo allo stesso
tempo lesercizio del potere in modo da dare a molti, se non a tutti
gli strati della societa`, una quota di governo costituzionalmente
garantito (80): quindi governo federale, sui piani nazionale e transnazionale, e autogoverno locale in un quadro di eguaglianza politica.
Il federalismo, che Elazar definisce con accenti suggestivi come
il sistema di relazioni politiche capace di comprendere molte cose
(comprehensive), che si misura con la combinazione di autogoverno
e di governo partecipato avente alla base una matrice di poteri
costituzionalmente diffusi (81), ha sempre una portata politica che
supera pur accettandoli al suo interno sia la nozione meramente amministrativa del decentramento burocratico, sia i limiti di
una concezione costituzionale e democratica dello stato. In buona
sostanza, sidentifica con una visione generale che plasma linsieme
delle relazioni umane nella prospettiva della realizzazione di questo
disegno grandioso, che altro non e` se non lordine mondiale
incardinato sulla pietra angolare federale. La comprensivita` appare tra le caratteristiche fondamentali del federalismo elazariano.
Nel senso che tutti gli aspetti della vita sociale e politica risultano
intimamente contrassegnati dal patto federale di natura teologicobiblica. Non a caso due autori di tale indirizzo, uno allinizio delleta`
moderna, uno alla fine, il calvinista Althusius il primo, lo scrittore e
filosofo Martin Buber il secondo, sembrano esserne gli emblematici
punti di riferimento. Dellanarco-federalismo di Buber, Elazar sot(80)
(81)

Ivi, p. 216.
Cfr. ELAZAR, Federalism as a Grand Design, cit., p. 1.

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tolinea lintima connessione con il protofederalismo althusiano,


trasparente in particolare nellopera Sentieri in Utopia (1950), dove
e` rilevabile la relazione di identita` stabilita tra il sistema di comunita` autonome da lui teorizzato come nuovo fondamento della
societa` e le consociazioni cooperative (82) cos` simili alle consociazioni althusiane. Come Althusius e` il precursore dellidea federale
premoderna sostiene Elazar , Buber puo` esser riconosciuto
come lultimo pensatore moderno che annuncia il federalismo postmoderno. Su tale appoggio ideale, il progetto federalista intende
creare serie di blocchi o di cellule autogovernantisi ai differenti livelli
statalsociali, dai piu` bassi e piccoli ai piu` elevati e grandi, dalle
comunita` locali alle federazioni interregionali e sovranazionali, fino
alla repubblica federale mondiale.
Pragmaticamente Elazar concede che in tale processo (cos`
come nella piu` generale matrice federale) possano coesistere forme
confederali e federali vere e proprie (83). Le forme confederali e
cooperative ai vari livelli con le quali costruire le istituzioni transnazionali e globali possono esser concepite comunque come un passo
in avanti verso il federalismo mondiale, purche si dimostrino in
grado di dare risposte alle tre grandi domande emergenti dalla
globalizzazione in termini di sicurezza, integrazione economica e
protezione dei diritti umani. Ancora una volta, quel che a lui sembra
dirimente, e` prender atto dellapertura dellepoca postmoderna a
causa della crisi irreversibile della forma dello stato moderno connotato come modello Vestfalia e godente dellattributo di sovranita` esclusiva. Crisi che non significa sparizione a piu` o meno breve
termine, bens` il declino di questa forma statale di fronte allincapacita` di governare le difficolta` insorgenti dal risveglio etnico e dalle
esigenze autonomiste sul piano interno, dalle conflittualita` interstatali a livello sovranazionale, dai nuovi problemi ambientali e tecnicoscientifici sul piano mondiale.
Nel mondo postmoderno conformemente alla parola dordine from statism to federalism e sulla scorta di una tendenza
(82) Cfr. Buber (1967), p. 171-172.
(83) Cfr. D. J. ELAZAR, Constitutionalizing Globalization. The Post-modern Revival
of Confederal Arrangement, Rowman & Littlefield Publishers, Lanham-Boulders-New
York-Oxford 1998, p. 60.

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generalizzata, concreta ed evidente, al confederalismo, di cui Elazar


rintraccia e descrive numerosi esempi i modelli istituzionali
dovranno andare incontro al modello federale, inteso in un senso
ampio ed elastico, che ammette anche forme confederali, pur restando il suo nucleo teorico fondativo quello derivante dal Federalist, che per Elazar si rivela pero` piu` adatto a contesti continentali di
maggiore omogeneita` culturale e storica. Quel che importa, sostiene
Elazar, e` rispettare la combinazione di scelte costituzionali, di
progetto e di costruzione istituzionale al fine di metter insieme gli
Stati esistenti e le associazioni transnazionali in maniera federalista,
ossia per combinare lautogoverno con il governo condiviso, in
modo da garantire che il governo condiviso sia confinato solo a
quelle funzioni assolutamente necessarie o chiaramente piu` utili per
i governi e i popoli coinvolti (84). Cio` significa costruire ai livelli
sovranazionali, transnazionali e globali, sedi e momenti politici e
istituzionali permanenti di centralizzazione e/o di decentramento
dei poteri che non siano in alternativa, ma coordinati e congruenti a
scopi comuni. Solo cos` sara` possibile, per Elazar, far voltar pagina
alla storia dellumanita` passando dalle dominazioni mondiali orientate al profitto di brutali interessi economici, dalle aggressioni
nazionali e dalle guerre sanguinose, a un ordine globale democratico
basato sulla piu` larga estensione del principio federale della condivisione del governo.
Il caso europeo dimostra per Elazar la fondatezza di queste idee.
Solo dopo lapertura dellepoca postmoderna e lobsolescenza della
concezione della sovranita` statale il mito dello stato nazionale cede
il passo, e anche in Europa si puo` avviare il processo di integrazione
che deve esser concepito a suo avviso lungo un asse di sviluppo,
logico e storico, confederale-federale, visto anche come lotta tra le
posizioni politiche a tali termini collegate negli anni 80 e 90
culminanti nellapprovazione del Trattato di Maastricht (85). La
formula funzionalistica dellintegrazione comunitaria, che prevale
(84) Ivi, p. 3.
(85) Ivi, pp. 111-124. Elazar afferma, pero`, in modo non esatto che lUnione
Europea e` formalmente una confederazione dal 1994, ossia dopo Maastricht. In realta`,
elementi confederali sussistono gia` prima nella fase prevalentemente comunitaria, che a
sua volta persiste nellacquis communautaire anche dopo Maastricht e connota peculiarmente il primo pilastro del modello dellUnione.

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allinizio degli anni 50 dopo la sconfitta del progetto federalista, ha


dunque secondo Elazar lo scopo storico di evitare in origine che
lunificazione europea sia avvertita come una minaccia per gli stati
membri, di creare una base valida di sempre piu` intima integrazione
economica e istituzionale, ma ha in definitiva innescato un movimento oggettivo di piu` lungo respiro e di piu` alte ambizioni.
Preso atto della concretezza ed elasticita` della concezione elazariana sullo specifico problema europeo, occorre pero` notare che
anche in essa, come in quella di Friedrich, viene trascurato il
problema del passaggio costituzionale al vero e proprio momento
federale.
6.3.

Hallstein: federalismo sovranazionale comunitario.

Una critica teorica alla concezione della sovranita` emerge altres`


contrariamente a quel che in genere si pensa nellambito del
pensiero comunitario, sovranazionale e funzionalista, nel corso della
concreta costruzione dellEuropa unita nella seconda meta` del Novecento. Tale elaborazione, collegata al pensiero federalista, non e`
stata finora sottoposta ad approfonditi studi, per cui e` rimasta in
ombra, ma val la pena riprenderne brevemente alcuni lineamenti
attraverso lopera di Walter Hallstein, primo presidente della Commissione CEE (86).
Hallstein e` tra i principali sostenitori della creazione di un
mercato comune visto come luogo di unintegrazione orizzontale,
cioe` globale e non settoriale, delle economie europee. Con questa
idea egli supera la presunta angustia istituzionale delliniziale impostazione funzionalista. Tuttavia, e` da chiedersi su quali basi teoriche,
prospettive e finalita` ultime Hallstein poggi la sua visione generale e,
di conseguenza, la sua strategia di presidente della Commissione
CEE. Per rispondere a questi interrogativi e` necessario rifarsi alla
(86) Per un esame della figura e dellattivita` di Hallstein si rinvia a C. MALANDRINO,
Oltre il compromesso del Lussemburgo. W. Hallstein e la crisi della sedia vuota
(1965-66), Working Paper n. 27 del Dipartimento POLIS dellUniversita` del Piemonte
Orientale, Alessandria, marzo 2002. Per un quadro di riferimento generale sulla storia
dellintegrazione europea cfr. B. OLIVI, LEuropa difficile. Storia politica dellintegrazione
europea 1948-2000, Il Mulino, Bologna 2001.

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sua considerazione complessiva del processo dintegrazione europea


e dei compiti storici che le si pongono (87), per rilevare preliminarmente che le convinzioni del presidente della Commissione non si
fondano su una speciale fede politico-dottrinaria. Da buon giurista
delleconomia internazionale, il cui abito mentale lo porta a considerare le cose dal punto di vista del diritto e della prassi, Hallstein
e` incline a un rapporto pragmatico con le teorie politiche. Non e`
dunque da ritrovare come punto iniziale del suo pensiero un riferimento esplicito al filone dottrinale federalista europeo di matrice
francese, svizzera, italiana, e neppure alla tradizione tedesca che,
partendo dallo storicismo di Friedrich Meinecke, considerato nella
fase matura di autocritica del nazionalismo germanico, attraverso la
rielaborazione di Ludwig Dehio, prende espressione finale negli
innovativi progetti europeisti fatti conoscere da Walter Lipgens (88).
Se si vuol capire il peculiare convincimento europeista e federalista
di Hallstein, bisogna piuttosto partire dallintuizione chegli ha del
destino della Germania e dellEuropa uscite distrutte dalla seconda
guerra mondiale. Nellinevitabile orizzonte atlantico, lamicizia con
gli Stati Uniti e lintegrazione definitiva della nuova Germania
nellEuropa occidentale sono i due paletti attraverso i quali soltanto
puo` passare, a suo avviso, la prospettiva unificatrice del continente
europeo. Cio` e` a maggior ragione vero dopo il piano Marshall e la
fondazione dellOrganizzazione Europea di Cooperazione Economica (1948, OECE), che costituisce la prima concreta esperienza di
(87) Cfr. W. HALLSTEIN, United Europe: Challenge and Opportunity, Harvard
University Press, Cambridge (Massachusetts), 1962; ID., Der unvollendete Bundesstaat.
Europa ische Erfahrungen und Erkenntnisse, Econ, Du sseldorf 1969 (trad. ital. Europa
federazione incompiuta, Rizzoli, Milano 1970); ID., Europa ische Reden, a cura di T.
OPPERMAN e J. KOHLER, Stuttgart 1979. Di particolare interesse appaiono tre discorsi
tenuti il 4 dicembre 1964 presso il Royal Institute of International Affairs Chatam
House, il 19 febbraio allInstitut fu r Weltwirtschaft dellUniversita` di Kiel (cfr. la trad.
ital. intitolata I problemi reali dellintegrazione europea, Istituto di Scienze politiche,
Torino) e il 25 marzo 1965 presso il British Institute of International and Comparative
Law. E` stato rilevato con ragione che linsieme dei tre discorsi forma una sorta di
credo dello Hallstein europeista.
(88) Cfr. LIPGENS (a cura di), Documents on the History of European Integration,
cit.; S. PISTONE, Federico Meinecke e la crisi dello stato nazionale tedesco, Giappichelli,
Torino 1969; ID., Ludwig Dehio, Guida, Napoli 1977; ID. (a cura di), La Germania e
lunita` europea, Guida, Napoli 1978.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

decisioni istituzionalmente concordate tra i governi impegnati nella


ricostruzione.
Il problema centrale dellEuropa e`, secondo Hallstein, di risolvere definitivamente il conflitto franco-tedesco. A tale scopo, lattuazione del piano Schuman (che peraltro, si noti en passant, e`
collimato nel lungo periodo allobiettivo degli Stati Uniti dEuropa)
e` considerata il primo passo nella giusta direzione dellunificazione
europea. Tuttavia, negli anni Sessanta, Hallstein tende a differenziarsi sul piano teorico dal funzionalismo monnetiano, accentuando
da un lato linfluenza possibile sul processo europeo dellautoctona
tradizione federalista tedesca, dallaltro facendo notare la graduale
trasformazione della sfera del politico, che il processo di unificazione europea a suo parere necessariamente comporta. In realta`,
Hallstein giunge a considerare lunita` europea come la sfida e
lopportunita` politiche a tutto tondo che lo spirito del tempo pone
ai popoli liberi, al fine di trasformare gradualmente in meglio
ossia in senso modernizzatore e democratico il vecchio mondo
delle relazioni internazionali tra potenze dotate di sovranita` assoluta.
Egli esprime la convinzione che la necessita` per gli stati nazionali di
lavorare insieme in modo comunitario produrra` non solo la forma
pacifica di coesistenza e di integrazione economica, ma anche il
nuovo tipo di zoon politikon capace di intendere la dimensione
politica a livello nazionale e sovranazionale. Per argomentare lavanzata delle nazioni europee verso lunita` egli riprende la teorizzazione
fatta da Alexis de Tocqueville ne La democrazia in America, quasi a
unire in controtendenza rispetto allarrembante gollismo degli
anni 60 la cultura francese con la realta` statunitense. Quattro
temi annunciati da Tocqueville, divenuti altrettanti dati di fatto alla
meta` del Novecento, gli sembrano di bruciante attualita`: a) la
crescita dellinterdipendenza delle nazioni e limpossibilita` per esse
di restare estranee lun laltra a causa del b) progresso tecnicoindustriale e c) dello sviluppo delle comunicazioni; infine, quarto
tratto vieppiu` imposto dalla piena realizzazione dei primi tre, d) la
dominazione del mondo da parte di stati-giganti, come lAmerica e
la Russia. Di fronte a tale evoluzione globale, che mette allordine del
giorno lesigenza di nuove forme di cooperazione interstatale pacifica, continua, stabile ed efficiente, lorganizzazione politica del
mondo, e segnatamente dellEuropa, resta purtroppo negativamente

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CORRADO MALANDRINO

ancorata a un sistema di stati sovrani retti sullanacronistico reticolo


delle tradizionali relazioni internazionali di potenza.
Di qui il valore delliniziativa Monnet-Schuman, che supera
nella costruzione comunitaria le finalita` confederative mettenti capo
al Consiglio dEuropa del 1949. Il dato realmente innovatore della
Comunita` istituita nel 1951, e in generale delle comunita` funzionaliste, e` visto da Hallstein nel loro carattere sopranazionale. E`
questo aspetto delle nuove istituzioni comunitarie che le mette
potenzialmente in grado di superare i loro limiti settoriali, e fa
credere a Hallstein che, necessariamente, dallintegrazione economica settoriale si passera` gradualmente a una integrazione allargata
orizzontalmente a tutta leconomia dei paesi membri, dallunita`
economica a quella politica (89). Il termine sopranazionale in
quanto esponente dellesigenza di creare un centro di direzione
continentale, democratica, politica ed economica, stabile ed efficiente focalizza correttamente lattenzione su una delle piu` importanti caratteristiche dellesecutivo della CECA, lAlta Autorita`, e poi
delle Commissioni della CEE e dellEuratom: I loro nove membri
scrive Hallstein una volta nominati, sono completamente
indipendenti dagli stati, ed e` vietato a essi sollecitare o accettare
istruzioni da loro. La loro responsabilita` e` solo nei confronti della
Comunita` vista come un tutto (90). Cio` implica, per Hallstein, che
una parte del potere decisionale degli stati e` sottratto loro e usato da
unautorita` sopranazionale, in embrione di tipo federale (91), con
finalita` che superano le singole ottiche e i ristretti interessi nazionali.
In particolare, tale carattere sarebbe rivestito dopo il trattato di
(89) Cfr. HALLSTEIN, Europa federazione incompiuta, cit., p. 97: Discorrendo ci e`
piaciuto paragonare il complesso della costruzione europea con un razzo a tre stadi:
unione doganale unione economica unione politica. Il paragone non era privo di
efficacia retorica, ma era inesatto teoricamente e praticamente. In realta` lelemento
politico e` presente fin dallinizio (gia` nellunione doganale, almeno nella forma della
politica doganale, cioe` di una parte importante della politica commerciale), e a maggior
ragione lunione economica si presenta essenzialmente come una fusione di politiche. E`
evidente che il gradualismo hallsteiniano e` inquinato da una venatura meccanicistica di
fondo che, tra laltro, e` allorigine della sconfitta patita nel conflitto con de Gaulle nel
1965. Tale difetto tattico non toglie pero` valore alla visione complessiva delle esigenze e
delle conseguenze della costruzione di unEuropa federale.
(90) Cfr. HALLSTEIN, United Europe, cit., p. 21.
(91) Ivi, p. 64: Within their limits, they follow a federal pattern.

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fusione degli esecutivi dellaprile 1965 (applicato nel 1967) dalla


Commissione CEE, germe di un futuro governo europeo, di cui il
presidente esalta le tre funzioni di motore, custode e mediatore riconosciutele dal trattato di Roma del 1957. Funzioni che
nulla hanno a che fare con la creazione di una eurocrazia non
legittimata dal voto popolare e lontana dai paesi membri. In realta`,
anche per Hallstein, a torto identificato come il capo della nuova
gen`a di euroburocrati, la logica comunitaria non e` finalizzata a
stabilire una lontana tecnocrazia governante a colpi di ukase da un
qualche Cremlino sopranazionale (92), bens` a dare corpo e realta`
agli obiettivi dei trattati (che secondo Hallstein mettono in essere
una vera e propria normativa costituzionale (93) di nuovo tipo) e
alle decisioni politico-legislative prese dal Consiglio dei ministri su
proposta della Commissione stessa. Proprio il monopolio di proposta della Commissione e` visto quale tratto qualificante del suo
potere, simbolo del potenziale profilo di governo europeo (94). In
tale prospettiva e` da collocare la battaglia del presidente per dare
maggiore efficienza e fluidita` ai processi decisionali europei, allargando gradualmente anche larea di incidenza del voto a maggioranza nel Consiglio, gia` previsto dal Trattato CEE per la terza fase
del periodo transitorio, e restringendo fino al minimo luso del voto
allunanimita`, ossia della possibilita` del veto da parte degli stati
membri, per i soli casi eccezionali in cui venga effettivamente messa
in questione la loro sovranita` in materia di vitale importanza. E
questo e` uno dei nodi che vengono al pettine nella crisi della sedia
vuota del 1965.
In realta`, i paesi che scelgono lintegrazione delle economie
attraverso lunione doganale, la liberta` di movimento delle merci, dei
lavoratori, dei servizi e dei capitali, non decidono soltanto
secondo Hallstein di realizzare un mero fatto giuridico-econo(92) Ivi, p. 22.
(93) Cfr. HALLSTEIN, I problemi reali dellintegrazione europea, cit., p. 6: Il
Trattato di Roma [] e` la nostra legge fondamentale.
(94) In questo senso e` da interpretare il gesto di far stendere un tappeto rosso
nella sede di Bruxelles, un segno di distinzione usato per le massime autorita` di uno
stato, e quindi da usare anche per onorare il carattere sovranazionale e potenzialmente
statuale del nuovo potere europeo, cfr. T. PADOA SCHIOPPA, Europa, forza gentile, Il
Mulino, Bologna 2001, p. 141.

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mico, ma si danno il compito, in modo forse non del tutto consapevole per alcuni dei firmatari (ben chiaro pero` per Schuman e
Monnet), di dar vita anche a una forma politica nuova capace di
influenzare fortemente la vita degli stati coinvolti e il piu` vasto
mondo. Sotto il profilo teorico, lintegrazione comunitaria e` considerata da Hallstein come una rivoluzione incessante, a un tempo,
della scienza economica e della scienza politica. Riprendendo la
teoria delleconomista James Meade a proposito delle unioni economiche interstatali, afferma che quando alcuni stati mettono in
comune delle funzioni economiche, avviene un trapasso di poteri
economico-politici molto piu` forte da questi allistanza sopranazionale (95). Analogamente, quando nel caso della CEE lo stesso trattato istitutivo prevede elasticamente un certo numero di eventualita`
per politiche congiunte nei campi della politica agricola, sociale,
monetaria, finanziaria e fiscale, nella concorrenza, nei trasporti e nel
commercio estero, la logica dellintegrazione economica non solo
guida allunita` politica attraverso la fusione degli interessi, ma anche
implica lazione politica in se stessa (96). Non ce` nulla infatti,
ribadisce Hallstein, di piu` politico e connesso con la sovranita` degli
stati della fissazione dei tassi di cambio e della politica monetaria (97). Non a caso, fin dallinizio il processo dintegrazione economica europea fa emergere lesigenza dellallargamento alla politica,
fallito per responsabilita` francese nel caso della CED e della CEP,
ma dalla stessa Francia gollista riproposto con il piano Fouchet in
modo attenuato e coerente con criteri confederali. In proposito,
Hallstein mette in guardia sul fatto che la discussione sulla necessita`
di una cooperazione politica organizzata (anche nei termini confederali di marca gollista) non puo` sovrapporsi o andar a scapito
dellintegrazione esistente, ovvero delle istituzioni comunitarie, ma
semplicemente risultare un approfondimento federale di quel tipo di
(95) Cfr. J. MEADE, Problems of Economic Union, London 1953, cit. in HALLSTEIN,
United Europe, cit., pp. 64-65.
(96) Ivi, p. 65.
(97) E` da notare che lo stesso Mario Albertini riconosce lacutezza dellosservazione di Hallstein che la Comunita` economica [era] un fatto politico, perche cio` che
[era] messo in comune [era] il controllo politico di alcuni aspetti dellattivita` economica, cfr. M. ALBERTINI, Lunificazione europea e il potere costituente, in ID., Nazionalismo
e federalismo, cit., p. 292.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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unificazione. La costruzione dellEuropa, in quanto federazione


incompiuta, non puo` pertanto esser prodotto di automatismi economico-burocratici, di cui delegare il controllo ad agenti privi di
coscienza politica, ma deve risultare lopera congiunta di diversi
organi politico-istituzionali legittimati dai trattati a discutere e a
decidere con coraggio sui problemi della graduale unificazione,
tenendo conto delle sfide provenienti dal mondo piu` vasto della
competizione tra loriente comunista e totalitario e loccidente della
liberta`, tra nord sviluppato e sud arretrato.
6.4.

Lindirizzo federalista europeo. Albertini e il MFE: inadeguatezza del confederalismo e del gradualismo nel problema della
costituzionalizzazione dellUnione europea. Una rivalutazione
della sovranita` e del popolo europeo.

La linea di pensiero sviluppata negli anni 50 e 60 in opuscoli e


interventi da Spinelli (98) ha, sul piano teorico e pratico, uno svolgimento successivo in Mario Albertini. Filosofo della politica nellUniversita` di Pavia e presidente del MFE fino alla morte avvenuta
nel 1997, Albertini e` dopo Spinelli la figura di maggior rilievo
del federalismo in Italia. Il suo principale contributo consiste nella
critica della concezione dello stato nazionale, che funge altres` da
premessa per la sistematizzazione data nel libro Il federalismo (99).
Qui il federalismo e` connesso strettamente allaspetto di valore
kantiano, la pace, e a uno di struttura istituzionale, lo stato federale,
visto come superamento dello stato nazionale, sia dal punto di vista
infranazionale sia da quello sovranazionale. Esso e` legato infine a un
aspetto storico-sociale, riposante sulloffuscamento degli antagonismi di classe e nazionali nonche allo sviluppo del pluralismo sociale
e istituzionale. In tale visione, lunione europea e` una tappa inter(98) Cfr. A. SPINELLI, La mia battaglia per unEuropa diversa, Lacaita, Manduria
1979; ved. inoltre gli scritti raccolti a cura di S. PISTONE: A. SPINELLI, Una strategia per gli
Stati Uniti dEuropa, cit.; A. CHITI BATELLI, Lidea dEuropa nel pensiero di A. SPINELLI,
Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1989; L. LEVI (a cura di), A. Spinelli and Federalism in
Europe and in the World, Angeli, Milano 1990.
(99) Cfr. M. ALBERTINI, Lo Stato nazionale, Il Mulino, Bologna 1960; ID., Il
federalismo. Antologia e definizione, Il Mulino, Bologna 1979. Su ALBERTINI cfr. F.
TERRANOVA, Il pensiero politico di M. Albertini, Giuffre`, Milano 2003.

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CORRADO MALANDRINO

media e necessaria del processo che portera` alla federazione mondiale (100).
Il punto centrale del programma indicato da Albertini, fin
dallinizio degli anni Sessanta, si fonda nella implementazione della
trasformazione del processo dintegrazione europea, avviata sulla
scorta dei criteri funzionalisti di Jean Monnet, in quello della
costituzione di una unione politica, che scaturirebbe dalla crisi
necessaria in cui la prima si verrebbe a trovare per la prevedibile
mancanza di volonta` dei governi nazionali di rinunciare alle proprie
prerogative sovrane. Il punto di partenza e` nel pensiero albertiniano
la critica dellidea di nazione e del modello dello stato nazionale.
Lidea di nazione, plausibile come fatto culturale (autoidentificazione linguistica, storico-tradizionale, ecc.), e` illusoria e mistificante dal
punto di vista del suo collegamento (a torto ritenuto intrinseco) col
modello dello stato nazionale. Quel che Albertini rifiuta e`, oltre a
cio`, che la nazione incapsulata nello stato diventi una sorta di
classificatore e di massimo divisore politico di quellunita` piu` vasta
che e` lintero genere umano. Perche in quanto tale, essa si
trasforma in causa di scontri vieppiu` distruttivi. La cultura della
nazione, in questo senso creatrice dei nazionalismi, si oppone alla
cosmopolita cultura dellunita` del genere umano che sottende
come orizzonte la visione federalista. Lideologia nazionale eleva
artificiosamente a dato originario lappartenenza nazionale e la
categoria dello stato-nazione, rafforzando le tendenze nazionaliste
che corrompono le ideologie tradizionali, liberaldemocratiche, socialiste o comuniste: La nazione e` il criterio con il quale e` organizzato politicamente il genere umano, dunque dovrebbe essere la
prima idea con la quale fare i conti (101). Appare necessario ad
Albertini tale passaggio per arrivare a una chiara visione dei compiti
del presente. E` in Europa, sede storica del modello nazionale, che
occorre vincere la battaglia cruciale sulla via della federalizzazione
dellintero pianeta. A tal fine simpone la preventiva trasformazione
(100) Tutti questi motivi del pensiero albertiniano sono riproposti in due volumi
di scritti (pubblicati dagli anni Sessanta in poi) editi nel 1999 dal Mulino (Bologna) a
cura di N. MOSCONI, intitolati luno Nazionalismo e federalismo, laltro Una rivoluzione
pacifica.
(101) Cfr. ALBERTINI, Il federalismo, cit., p. 299.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

culturale, ovvero il passaggio da una concezione nazionale a una


cosmopolita e federale. In cio` risiede la sostanza dellaspetto storicosociale cui si lega il federalismo. La negazione della ideologia
nazionalista, e laffermazione in suo luogo di un modo di vedere e di
agire federalista, non rappresenta altro che linveramento del valore
kantiano della pace che, in quanto verita` di ragione, appartiene gia`
al patrimonio genetico del federalismo. Il federalismo europeo,
come ideologia rivoluzionaria, deve quindi porsi lobiettivo di modificare la struttura sulla quale si regge il sistema politico attuale: lo
stato nazionale. Non per negarlo totalmente, ma per superarlo
condizionandone e depotenziandone la sovranita` allinterno delle
strutture supernazionali, di cui la federazione europea rappresenta la
tappa decisiva, e la federazione mondiale il risultato finale.
In coerenza con gli insegnamenti di Spinelli e di Albertini, il
movimento dei federalisti europei, che operano in modo coordinato in Italia e negli altri paesi del vecchio continente, conduce da
vari decenni battaglie ideologiche e politiche per listituzione della
federazione europea attraverso un passaggio costituente e costituzionale (102). In questa sede, pero`, non interessa laspetto pratico,
quanto soprattutto accennare ai tratti teorici piu` recenti dellelaborazione federalista europea in merito alla critica della sovranita`
nazionale e alla determinazione dei caratteri costituzionali della
auspicata federazione europea. Su questi temi si impegnano da
decenni studiosi e militanti che danno voce a vari organi di stampa
e a riviste, tra cui LUnita` Europea, Il Federalista, Piemonteuropa, The Federalist Debate (103).
Le argomentazioni dei federalisti europei si appuntano oggi
(102) Come afferma S. Pistone nellintroduzione alla cit. edizione anastatica di
SPINELLI-ROSSI, Il Manifesto di Ventotene, p. XI, il MFE ha in effetti costantemente
conseguito con una incrollabile coerenza la creazione di un vero e proprio stato federale
europeo (che avrebbe dovuto comprendere progressivamente lintera Europa) e la
convocazione di una assemblea costituente europea democraticamente rappresentativa
come metodo insostituibile per giungere effettivamente allunificazione irreversibile
dellEuropa.
(103) Cfr. in particolare: Fine della politica?, Il Federalista, XXXVIII, 1996, n.
2, pp. 86-90; F. ROSSOLILLO, Dallunione alla federazione: lEuropa e la questione dello
Stato e della sovranita`, LUnita` Europea, XXVI, 2000, nn. 321-322, pp. 26-27; S.
PISTONE, Sovranita` europea, Piemonteuropa, XXV, 2000, n. 3, pp. 1-3; ID., Dopo
lintroduzione delleuro, una Costituzione federale europea, ivi, XXVI, 2001, n. 3, pp.

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CORRADO MALANDRINO

sul riconoscimento che il metodo gradualistico espressione che


sottintende il richiamo sia alle posizioni funzionalistico-comunitarie
da Jean Monnet in poi, sia a quelle di tipo confederalista , ha
definitivamente esaurito il proprio compito nei riguardi dello sviluppo ulteriore dellUnione Europea con la realizzazione della moneta unica, ed e` divenuto un freno paralizzante nel processo di
unificazione. La tematica della crisi dello stato nazionale, riproposta
sostanzialmente nelle forme teorizzate da Spinelli e Albertini e
attualizzata alla luce dellaggravamento causato dai processi di globalizzazione, mette in luce la necessita` di un salto di qualita` che sia
tale da portare, tramite un passaggio costituente, a un vero e proprio
stato federale europeo prima che lallargamento previsto ai paesi
dellEst e del Mediterraneo, e le sempre piu` urgenti esigenze di
governo democratico continentale, non conducano anche alla disgregazione del tessuto comunitario dellUnione e alla sua degenerazione in una sorta di mera unione di libero scambio e di imbelle
societa` delle nazioni.
Lerosione della sovranita` nazionale, pur se accresciuta secondo i federalisti europei dallinterdipendenza economica e militare a livello globale, non e` accompagnata da un accrescimento di
sovranita` europea. Sicche la sovranita` nazionale non e` affatto
evaporata in una sorta di multilevel governance, ma resta prerogativa degli stati nazionali, i quali cercano di guidare e sfruttare i
processi di progressiva eliminazione delle barriere nazionali ai fini di
un recupero imprevedibile di influenza a livello sovranazionale (104).
I federalisti europei, sfumando i toni della condanna a tutto tondo
del dogma della sovranita` esclusiva e illimitata dello stato nazionale
precedentemente affermata in un diverso contesto da Spinelli e
Albertini, denunciano piuttosto con preoccupazione il fatto che tale
critica doverosa abbia in taluni autori portato paradossalmente alla
denuncia della scomparsa della sovranita` tout court. Con la conse10-12; For a Federal European Constitution, The Federalist Debate, XIV, 2001, n. 2,
pp. 23-32.
(104) Conferma questa tesi, almeno dal punto di vista della riappropriazione di
poteri da parte degli stati, T. BO} RZEL, Fo derative Staaten in einer entgrenzten Welt, in
Fo deralismus, a cura di A. BENZ e G. LEHMBRUCH, cit., p. 369; di diverso e opposto avviso
e` G. MARRAMAO, LEuropa dopo il Leviatano. Tecnica, politica, costituzione, in G.
BONACCHI (a cura di), Una Costituzione senza stato, cit., pp. 119-144.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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guenza di far mettere in secondo piano che invece la sovranita` se


correttamente intesa e condivisa svolge compiti irrinunciabili di
ordinamento, mantenimento e sviluppo sociale e civile. Essa ha pur
sempre la funzione di legittimare i processi decisionali a livello
legislativo e di governo, di escludere cadute nellanarchia, di fondare
in democrazia la certezza del diritto e della solidarieta` tra i cittadini (105). Non alla distruzione della sovranita` statale occorre mirare,
ma alla sua diversa dislocazione tra istanze europee e nazionali,
nellepoca in cui la forma stato-nazione manifesta crescenti incapacita` di intervento a livello continentale e globale. In tal senso e` da
intendere il superamento dello stato-nazione. Viceversa, chi sostenga
lavvenuta distruzione della sovranita` in assoluto, in realta` rischia di
farsi paladino subordinato dellunico sovrano nazionale capace di
interventi globali, ossia degli Stati Uniti dAmerica.
Lungi pertanto dallaccettare il declino della statualita` (106), il
nodo da sciogliere e` ancora sempre quello dellalternativa tra federazione e confederazione (107): trasferire la sovranita` dagli stati
nazionali alla federazione europea significa accrescere e trasformare
qualitativamente lembrione federale gia` presente nel tessuto comunitario dellUnione Europea, che deve esser dotata di vera sovranita`
federale, cosa che prevede la condivisione di questa con gli stati
nazionali. Lo stato federale europeo non dovra` essere un superstato, perche anzi esso avra` caratteristiche diverse ed originali
rispetto ai sistemi federali finora realizzati, perche si tratta, per la
prima volta nella storia, di federare stati nazionali storicamente
consolidati e un continente caratterizzato da un pluralismo (che e`
una grandissima ricchezza da tutelare e valorizzare) culturale, linguistico, religioso, economico-sociale che non ha eguali nel mon(105) Cfr. PISTONE, Dopo lintroduzione delleuro, una Costituzione federale europea, cit., p. 11, La sovranita`, intesa come potere di decidere in ultima istanza (e
implicante il monopolio della forza legittima), e` in realta` la condizione della validita` e
dellefficacia del diritto e quindi il presupposto della possibilita` stessa di impegnarsi per
il conseguimento del bene comune.
(106) Cfr. PISTONE, introd. alla cit. edizione anastatica di SPINELLI-ROSSI, Il Manifesto di Ventotene, p. XIX.
(107) Cfr. PISTONE, Dopo lintroduzione delleuro, una Costituzione federale europea, cit., p. 11: La dicotomia federazione-confederazione mantiene intatta la sua
validita`.

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do (108). Pertanto federalismo decentrato e sussidiarieta` sono le


risposte ai timori di accentramento statalista a livello europeo. Si
tratterebbe in sostanza di fondere taluni aspetti dei modelli duale e
cooperativo del federalismo. Requisiti fondamentali della federazione europea dovranno essere: 1) competenza esclusiva in materia
di moneta, difesa e politica estera; 2) competenza concorrente su
tutte le altre materie in base al principio di sussidiarieta`; 3) trasformazione del Consiglio dei ministri nella camera territoriale degli stati
e sua privazione della competenza legislativa esclusiva; 4) competenza legislativa piena al Parlamento europeo, che la eserciti su un
piano di parita` con la Camera degli stati; 5) trasformazione del
Consiglio europeo nella Presidenza collegiale dellUnione; 6) trasformazione della Commissione nel governo dellUnione, nominato
dalla Presidenza collegiale e responsabile di fronte al Parlamento; 7)
estensione del processo decisionale a maggioranza, tranne che in
particolari materie di rilevanza costituzionale; 8) esclusione del
diritto di secessione. Di particolare importanza e`, secondo i federalisti europei, la procedura costituente in luogo di quella
intergovernativa finora seguita per arrivare a cogliere tale obiettivo. Non e` da escludere infine che, di fronte a insuperabili resistenze euroscettiche, si renda necessaria la combinazione di due
momenti successivi: la creazione di un nucleo federale ristretto,
convivente con lUnione Europea piu` larga, nellattesa che grazie a
unadeguata strategia che contemperi iniziative politiche con clausole e formule gia` sperimentate (opting out, geometrie variabili,
cooperazioni rafforzate (109) si creino le condizioni per lingresso
degli altri paesi nella federazione.
I federalisti europei si rendono conto che un simile obiettivo
non e` realizzabile senza che si crei un presupposto forte di legittimazione finora mancante, ovvero un potere costituente che non
puo` provenire da operazioni di ingegneria costituzionale o da inter(108) Cfr. PISTONE, introd. alla cit. edizione anastatica di SPINELLI-ROSSI, Il Manifesto di Ventotene, p. XVIII. Sugli aspetti socio-economici del progetto federalista
europeo cfr. Federalismo fiscale: una nuova sfida per lEuropa, a cura di A. MAJOCCHI e
D. VELO, Padova 1999; Il governo delleconomia in Europa e in Italia, a cura di G.
MONTANI e D. VELO, Milano 2000.
(109) Cfr. LEuropa a geometria variabile: transizione verso lintegrazione, a cura di
P. MAILLET e D. VELO, LHarmattan Italia, Torino 1996.

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venti governativi dallalto. Occorre invece uno sviluppo inedito di


unidentita` collettiva europea che superi il minimo denominatore
comune, culturale o economico, costruito nei secoli e nellesperienza
comunitaria, e si qualifichi in senso politico e sociale al fine di
determinare un consistente e sufficiente senso di appartenenza.
Insomma, si pone non da oggi, ma dai tempi di Spinelli e
Albertini il problema della definizione di un popolo europeo (110). Questo fu ed e` compreso dai massimi dirigenti del MFE
prevalentemente nel senso sociologico e storico-politico di una
comunita` di cittadini che [sono] gravemente danneggiati nei loro
interessi materiali e nelle loro esigenze ideali dalla crisi storica degli
stati nazionali sovrani (i quali devono essere considerati illegittimi
perche ormai strutturalmente incapaci di perseguire efficacemente i
compiti benessere economico, sicurezza, liberta` in funzione
dei quali sono stati costruiti) e che [aspirano], sia pure confusamente, al superamento di questa situazione attraverso lunita` europea (111). Non potendosi esprimere tale aspirazione nei limiti strutturali e procedurali nazionali, il compito dei federalisti europei e`
pertanto di creare degli strumenti di azione politica sopranazionale
in grado di permettere al popolo europeo di prendere coscienza
della necessita` di costruire la federazione europea attraverso il
metodo costituente e di far valere questa volonta` al di fuori dei
(110) Albertini, in particolare, ha dedicato, sulla scorta della base teorica di critica
allo stato nazionale costruita nei suoi libri piu` importanti, scritti e iniziative costanti nel
tempo alla chiarificazione del concetto (e al censimento) del popolo europeo, cfr. tra
gli altri M. ALBERTINI, La nascita del popolo europeo, in Europa federata, 25. 1. 1956,
ora in ID., Una rivoluzione pacifica. Dalle nazioni allEuropa, cit., pp. 85-90; LEurope des
e tats, lEurope du marche commun et lEurope du peuple fe de ral europe en, Il Federalista, IV, 1962, 2, pp. 187-193; Il censimento volontario del popolo federale europeo, Il
Giornale del censimento, 1966, 3, ora in ID., Una rivoluzione pacifica, cit., pp. 145-152;
Lidentita` europea, Il Federalista, XIX, 1977, 3, pp. 180-183; LEuropa sulla soglia
dellUnione, ivi, XXVIII, 1986, 1, pp. 25-37; Un progetto di manifesto del federalismo
europeo, ivi, XXXIV, 1992, 1, pp. 71-89; La strategia della lotta per lEuropa, ivi,
XXXVIII, 1996, 1, pp. 55-67. Per la ricostruzione della questione del popolo europeo
nellesperienza del MFE cfr. lIntroduzione di S. PISTONE alla ristampa anastatica del
periodico spinelliano Popolo Europeo, 1958-1964, a cura della Consulta Europea del
Consiglio Regionale del Piemonte, Industria grafica ed Editoriale, Torino 2001, pp. 9-25.
(111) Ivi, p. 15. Cfr. anche PUBLIUS, Una Costituzione federale per lEuropa, Il
Federalista, XLII, 2000, 3, p. 302.

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CORRADO MALANDRINO

condizionamenti prodotti dalle istituzioni politiche nazionali (112).


Il popolo europeo, in tale accezione, e` identificabile dunque
potenzialmente con tutti i cittadini europei (europeismo organizzabile), a partire pero` dallavanguardia dei piu` consapevoli eurofederalisti che mobilita` il corpo grosso di coloro che non hanno coscienza di esserlo (europeismo organizzato, ovvero, con le parole di
Albertini, il popolo europeo ha la realta` dellazione politica dei
federalisti che hanno capito (113). E` evidente, da tale impianto, la
connotazione movimentista e ideologica che tradisce sfumature di
una sorta di leninismo europeista, nel senso dellavanguardia
cosciente che dirige e organizza la spontaneita`, aspetto che daltra
parte e` connesso con la formazione originaria del primo fondatore
del MFE.
In coerenza con quanto detto si realizza limpegno a mobilitare,
tramite campagne propagandistiche (a partire dalliniziativa, poi
fallita, del Congresso del popolo europeo (114) mirante a ottenere
legittimita` democratica e peso politico indispensabili per forzare i
governi alla convocazione della costituente europea) e referendarie
negli anni 60 e 70. Un movimento che trova nuova motivazione,
anche sul piano ideale, dallobiettivo dellelezione diretta del Parlamento europeo raggiunto nel 1979, una tappa che conferisce visibilita` inedita a una sorta di soggetto politico parzialmente rappresentativo, linsieme degli elettori europei, che sembra dare maggiore
concretezza al discorso del popolo europeo (115). In conclusione,
la concezione federalista europea del popolo europeo si pone
nei limiti della costruzione di un movimento sempre piu` vasto e
capace di maturare nel frattempo, grazie alla mobilitazione e allazione di chiarimento e di propaganda ideologica e politica, un
vincolo di identita` politica, sociale, culturale e il senso di appartenenza e di identificazione con un organismo comune avvertito come
tale e al cui sviluppo si sentano partecipi (116). Di qui lo sviluppo
(112) Ibidem.
(113) Cfr. ALBERTINI, La nascita del popolo europeo, cit., p. 90.
(114) Cfr. C. ROGNONI VERCELLI, Il Congresso del popolo europeo, in I movimenti
per lunita` europea 1954-1969, cit., pp. 373-398.
(115) Cfr. le interessanti considerazioni di G. COTTURRI, Potere sussidiario. Sussidiarieta` e federalismo in Europa e in Italia, Carocci, Roma 2001, pp. 77-99.
(116) Cfr. U. MORELLI, La Costituzione europea: il modello federalista, in Diritti e

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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necessario di un ethos condiviso, la creazione di un demos a partire


dal dato consistente del corpo elettorale europeo da uniformare
tramite listituzione di un unico sistema elettorale e dallestensione
dei diritti di cittadinanza, e di un ethnos che si consolidi grazie al
dialogo interculturale, scambi scolastici, programmi televisivi comuni, ecc. Tutto cio`, pero`, e` ritenuto possibile solo a seguito
dellistituzione di un livello di statualita` europea che e` conseguenza
dellapprovazione di una costituzione continentale: non esiste un
prima e un dopo, vi e` un processo circolare, stato e popolo nascono
insieme. Come daltra parte, si afferma, e` avvenuto nel processo di
formazione degli stati nazionali nellOttocento.
Da questa ricostruzione, per quanto succinta, si comprende come
sia ben presente (e condivisibile) nella posizione federalista europea
la visione progressiva del popolo europeo sotto il profilo sociologico, storico-politico, ideologico e movimentistico. A essa manca,
pero`, unimpostazione e una soluzione convincente sul piano della
giustificazione filosofico-giuridica e istituzionale, ai fini della legittimazione del soggetto del potere costituente europeo. Tale carenza non
e` casuale, ma corrisponde a una piu` generale aporia caratterizzante il
pensiero federalista (tranne alcune eccezioni, come Trentin) rispetto
alla problematica europea. Cio` si riflette sulle difficolta`, che gli vengono poste in quanto paradigma positivo di superamento effettivo
della sovranita` statalnazionale, dallesistenza di forti identita` nazionali
e strutture statali che si oppongono tenacemente a passaggi decisivi
in direzione di un livello solido di federalita` europea.
7.

Lapprodo federale derivante dal paradigma comunicativo di


Habermas.

Proprio laporia sopraddetta nella posizione eurofederalista a


proposito della fondazione e della definizione teoriche del popolo
costituzione nellUnione Europea. La Carta dei diritti nellottica del costituzionalismo
europeo, a cura di G. ZAGREBELSKY, Laterza, Roma/Bari 2002, p. 49. Ringrazio S.
Dellavalle per avermi dato la possibilita` di consultare questa pubblicazione ancora in
bozza provvisoria. Cfr. anche L. LEVI, Quali istituzioni per lEuropa? Modelli costituzionali a confronto, in LUnione Europea e le sfide del XXI secolo, a cura di U. MORELLI,
Celid, Torino 2000, pp. 191-214. Sullo sviluppo storico dellidentita` europea cfr. H.
MIKKELI, Europa. Storia di unidea e di unidentita`, Il Mulino, Bologna 2002.

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CORRADO MALANDRINO

europeo, e della conseguente lacunosita` nel processo teorico di


legittimazione di un potere costituente europeo, fa apprezzare il
tentativo di critica alla sovranita` dello stato-nazione e di elaborazione federaleuropeista proveniente dalla filosofia habermasiana
della comunicazione e dellapproccio discorsivo. Non voglio affermare che Habermas sia inquadrabile nella tradizione di pensiero
federalista. Tuttavia, soprattutto nelle opere dellultimo decennio (117), il filosofo francofortese chiarendo bene quali limiti incontri
lo stato nazionale nellepoca della sua crisi dalla doppia
contestazione mossagli dal multiculturalismo allinterno e dalla globalizzazione allesterno, arriva a chiedersi se allinterno di tale forma
politica esista ancora oggi la possibilita` di coniugare nazione dei
cittadini e nazione etnica, ordine giuridico e cultura popolare (118). Di qui procede ad affermare la necessita` di un non
impossibile allargamento della democrazia, oltre i confini dello stato
nazionale, nella federazione europea (119). Questo approdo certamente lo colloca, pur con la sua peculiare argomentazione, in una
posizione convergente con leuropeismo federalista. A mio avviso, il
suo impegno si rivela particolarmente prezioso nel contrastare leuroscetticismo ricorrente in merito al problema del superamento del
deficit democratico europeo e dellindividuazione di un legittimo e
(117) Cfr. in particolare tra gli scritti piu` recenti: J. HABERMAS, Faktizita t und
Geltung, Suhrkamp, Frankfurt/M. 1992 (trad. it. Fatti e norme. Contributi a una teoria
discorsiva del diritto e della democrazia, a cura di L. CEPPA, Guerini, Milano 1996); Die
Einbeziehung des Anderen, Suhrkamp, Frankfurt/M. 1996 (trad. it. Linclusione dellaltro, a cura di L. CEPPA, Feltrinelli, Milano 1998); Die Postnationale Konstellation,
Suhrkamp, Frankfurt/M. 1998 (trad. it. La costellazione postnazionale, cit.); Si, voglio una
Costituzione per lEuropa federale, 2000, in http://www.caffeeuropa.it/attualita/112
attualitahabermas.hatml; Warum braucht Europa eine Verfassung?, 2001, in
http://www.zeit.de/2001/27/Politik/200127-verfassung-lang-html (trad. it. Perche lEuropa ha bisogno di una Costituzione?, in Diritti e costituzione nellUnione Europea. La
Carta dei diritti nellottica del costituzionalismo europeo, cit., pp. 63-79). Sul rapporto tra
tale concezione e le dimensioni delletica, della morale e del diritto cfr. anche L. CEPPA,
Pluralismo etico e universalismo morale in Habermas, Teoria politica, 1997, n. 2,
pp. 97-112.
(118) Cfr. HABERMAS, Linclusione dellaltro, cit., p. 130.
(119) Cfr. HABERMAS, Perche lEuropa ha bisogno di una Costituzione?, cit., p. 63:
In effetti, la sfida non consiste tanto nellinvenzione di qualcosa di nuovo, ma piuttosto
nella conservazione delle grandi conquiste dello stato nazionale europeo anche oltre le
frontiere della nazione e in un altro formato.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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coerentemente fondato soggetto costituente europeo, appunto il


popolo europeo. Per illustrare tale opinione, vorrei qui utilizzare,
in proposito, linteressante e originale chiave di lettura del contributo filosofico-politico habermasiano proposta da Sergio Dellavalle
in relazione al problema del superamento del concetto esclusivo di
cittadinanza statalnazionale, in collegamento con la problematica
della costituzionalizzazione europea (120). Nel libro di Dellavalle si
puo` seguire lelaborazione comparata degli elementi concettuali del
paradigma comunicativo che vi si fa sfruttando un ingegnoso
schematismo che contrappone i tre paradigmi fondamentali delle
idee di nazione, cittadinanza e popolo: lolistico (121), lindividua(120) S. DELLAVALLE, Una costituzione senza popolo? La costituzione europea alla
luce delle concezioni del popolo come potere costituente, Giuffre`, Milano 2002.
(121) Scrive Dellavalle, ivi, che, secondo lapproccio olistico (discusso alle pp.
94-175), il popolo nella sua totalita` rappresenta unentita` ontologicamente diversa e
assiologicamente superiore rispetto alla somma degli individui che lo compongono (p.
10). Di conseguenza alla base del modello olistico devesserci una base comunicativa
condivisa di valori sostantivi tra cui centralita` assume la nazionalita`, che i suoi
sostenitori identificano erroneamente in forma esclusiva con la comunita` linguistica che
sta alla base della nazione quale presupposto non neutrale per lo svolgersi corretto dei
processi deliberativi che contraddistinguono la democrazia (p. 11). Ne consegue
lopposizione euroscettica, nostalgica o capziosa (p. 201) a sviluppi europei che
oltrepassino la soglia di una confederazione di nazioni (Europa delle patrie) in
direzione di una unita` federale. Di qui la contrarieta` a che si parli di potere costituente
europeo. In merito cfr. anche la discussione tra D. GRIMM (Una costituzione per
lEuropa?) e J. HABERMAS (Una costituzione per lEuropa? Osservazioni su Dieter Grimm)
ne Il futuro della costituzione, a cura di G. ZAGREBELSKY, P. P. PORTINARO, J. LUTHER,
Einaudi, Torino 1996, pp. 339-376.
In realta`, va fatto un appunto alla trattazione riservata da Dellavalle al paradigma
olistico nel passo che riguarda la pretesa dellesistenza di uneffettiva e completa unita`
sostanziale identitaria a livello nazionale e della conseguente comunicazione nazionale.
Nel senso che Dellavalle concede troppo a tale asserzione. E` vero che il fondamento di
questa e` piu` rilevabile, benche con limiti storici visibili, in stati come la Germania o la
Francia. Esso e`, pero`, posto in seria discussione a partire dalla seconda meta` del
Novecento in stati come il Belgio e, in misura minore, in Italia o in Spagna, da parte degli
orientamenti ideali e dei movimenti che si rifanno alle minoranze o alle forti identita`
regionali, alle cosiddette nazioni senza stato. Sul problema dellidentita` nazionale
italiana formano, per esempio, un interessante contrappunto le due opere che, con
diversa ottica, metodologia e argomentazione, si pongono fino a oggi come il punto
iniziale e finale di tale riflessione: cfr. G. BOLLATI, Litaliano, Einaudi, Torino 1983; E.
GALLI DELLA LOGGIA, Lidentita` italiana, Il Mulino, Bologna 1998. Da piu` parti si afferma
la rimessa in questione delle identita` nazionali, per decostruirle nelle componenti

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CORRADO MALANDRINO

listico (122) e, appunto, il comunicativo , e delle conseguenze


della sua applicazione allidea della costituzione europea. La tesi di
Dellavalle e` che il paradigma habermasiano e` in grado di far
superare i limiti sostanziali o formali degli altri due, ed e` capace di
rispondere positivamente allesigenza fondamentale di individuare
unarena specificamente europea, la quale soddisfi i criteri di una
comunicazione autenticamente politica, senza per questo dover
ricadere sui contenuti dellidentita` culturale degli stati-nazione o
pretendere di creare o riscoprire unimprobabile omogeneita`
europea (123). In sostanza, secondo Dellavalle, il paradigma comunicativo fornisce le basi concettuali per separare in modo coerente
il momento dellinterazione politica da quello dellidentita` nazionale,
culturale e religiosa, ovvero la nazionalita` dalla cittadinanza, rendendo possibile il processo di creazione di un soggetto, di unidenregionali etnico-storiche e ulteriormente restringerne la portata a fini politici. Su cio` si
sono ampiamente espressi anche pensatori federalisti come Elazar e Albertini. Per
uninformazione introduttiva a questo complesso problema che non e` possibile
approfondire in questa sede si rinvia a: A. MELUCCI, M. DIANI, Nazioni senza stato. I
movimenti etnico-nazionali in Occidente, Loescher, Torino 1983; A. CHITI BATELLI, La
dimensione europea delle autonomie e lItalia, Angeli, Milano 1984; Letture su stato
nazionale e nazionalismo, a cura di L. LEVI, Celid, Torino 1995; Nazionalismi e conflitti
etnici nellEuropa orientale, a cura di M. BUTTINO e G. RUTTO, Feltrinelli, Milano 1997 (di
cui si segnala il contributo di C. LIERMANN, Intellettuali e questione nazionale in Germania
oggi, pp. 51-64).
(122) Scrive DELLAVALLE, ivi, che, secondo lapproccio individualistico (discusso
alle pp. 176-205), linsieme socio-politico altro non e` che la somma ordinata dei singoli
che lo costituiscono (p. 10). Secondo tale concezione, che vede nella convivenza
socio-politica una questione di mera opportunita`, priva di dimensione assiopoietica, uno
sviluppo istituzionale verso lunificazione europea, ovvero verso la creazione di un grado
di sovranazionalita` europea, reso necessario dallo sfaldamento della statualita` tradizionale, va considerato come positivo nella misura in cui ottimizza le possibilita` di
benessere dei singoli (p. 11). E` connaturato a tale approccio, estrinsecantesi nella
formazione di una teoria della sovranazionalita`, linsufficiente riflessione sulle condizioni di legittimita` delle istituzioni europee, la quale non puo` limitarsi alla garanzia del
maggior numero possibile di opzioni per i singoli, bens` deve basarsi sulla consapevole
investitura da parte di una cittadinanza europea chiamata a esercitare il suo potere
sovrano. Se pur dunque i sostenitori dellapproccio individualistico danno supporto
concettuale alla formazione di un potere costituente europeo, cio` avviene al prezzo
di un grave impoverimento della dimensione normativa della legittimita` del potere
politico (ibidem).
(123) Ivi, p. 203.

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tita` e di una sfera di attivita` politica finalizzati alla produzione di una


costituzione unitaria europea non confliggente con le esigenze nazionali.
In estrema sintesi, il paradigma comunicativo afferma che
lindividuo, visto come inserito in una rete di interazioni le quali si
estendono su tutta la sua sfera esperienziale e nelle quali si realizza
la sintesi tra il momento dellindividualita` autoreferenziale e quello
dellappartenenza sociale (124), grazie alla sua razionalita` teleologica
e alla strategia comunicativa che gli impone di confrontarsi con
gli altri sui fini e sui contenuti dellagire attraverso un discorso che,
per realizzarsi positivamente, devesser rispettoso, tollerante, pronto
a riconoscere pari dignita` e validita` agli argomenti altrui puo`
raggiungere una verita` consensualmente definita attraverso luso del
principio del miglior argomento. Questa concezione delle relazioni interpersonali, non escludente terzi in nome di chiusure nascenti da appartenenze religiose, cultural-linguistiche o daltro tipo,
ne tendente alla massimizzazione del vantaggio individuale (percio`
sfuggente ai limiti intrinseci dei primi due paradigmi), puo` esser
applicata pragmaticamente nellambito della politica, della morale e
delletica ottenendo risultati piu` o meno soddisfacenti. Il punto
cruciale, pero`, secondo Dellavalle, sta nel fatto che il paradigma
comunicativo consente di distinguere chiaramente il codice interattivo che presiede ai vari tipi di comunicazione pratica, ovvero
politica, morale ed etica. Per cui, sottolinea Dellavalle, proprio
questa attenzione nel tenere rigorosamente distinti i discorsi che,
seppur storicamente sovrapposti, procedono concettualmente sulla
base di codici diversi, ci permette di applicare con profitto il
paradigma comunicativo alla questione del costituzionalismo europeo e, in particolare, alla tematica dellarticolazione teorica dei
fondamenti di quello che potrebbe esser definito un potere costituente europeo (125).
Poste tali premesse, nella prospettiva della creazione di una
fonte di legittimita` per il soggetto europeo, si rende possibile
svincolare nella sfera delletica (che risponde alla domanda generale
come vogliamo vivere?) il piano dellintegrazione di determinati
(124)
(125)

Ivi, p. 206.
Ivi, p. 210.

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gruppi e subculture nazionali e infranazionali da quello dellastratta


integrazione politica, che riguarda in modo uniforme tutti i cittadini
di un aggregato piu` vasto. Mentre sul primo piano avviene linterazione tra i membri di una comunita` unita da valori sostantivi (fede
religiosa, tradizioni culturali, appartenenze linguistiche, ecc.), sul
secondo si sviluppa il confronto tra semplici cittadini per determinare consensualmente pur sempre nel rispetto dei valori predetti
le forme della convivenza politica, che si traducono nei valori che
presiedono alle formule del diritto a partire dalle norme costituzionali, e nelle istituzioni con queste coerenti. Tale distinzione rende
possibile scindere la specificita` dellaspetto nazionale da quella dello
stato di diritto, lappartenenza culturale dalla cittadinanza. Rispetto
allo stato nazionale, che storicamente invece ha mescolato inestricabilmente questi due piani, cio` implica uninversione radicale di
marcia (ma non un suo superamento, se con tale termine si intende
la sua sparizione). In realta`, come afferma Habermas, quel che e`
sempre piu` impellente fare nella situazione di avanzante multiculturalita` e in unEuropa che vuole mandar avanti il processo di
unione sempre piu` intima previsto nei preamboli dei trattati comunitari e` proprio la separazione della miscela perversa di interazione politica e culturale, di identita`, di appartenenze nazionali e
cittadinanza politica, al fine di arrivare a definire un popolo di
cittadini svincolato da legami prepolitici. Gli individui del paradigma comunicativo, impegnati nellinterazione pragmatica sul piano
etico, giungono cos` in ultima istanza a costituire un insieme di
cittadini di una collettivita` politica, [] cittadini dello stato democratico di diritto [], autori delle leggi, nei confronti delle quali, in
quanto destinatari delle medesime, sono tenuti allobbedienza (126).
Il cemento che unisce un siffatto insieme popolare non puo`
naturalmente essere lolistico patriottismo nazionale, ma il patriottismo costituzionale e, nella fattispecie, un patriottismo costituzionale europeo (127). A questo genere di popolo appartiene anche
(126) Ivi, p. 216.
(127) Una lettura critica dellanalisi habermasiana, specie in relazione allargomentazione del concetto di patriottismo della costituzione si ha in G.E. RUSCONI, Se
cessiamo di essere una nazione, Il Mulino, Bologna 1993, pp. 126-135. Di Rusconi, il
quale, pur con ricorrenti riflessioni tendenzialmente scettiche, afferma di credere alla

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lidentita` del popolo europeo, da cui puo` scaturire un nuovo


potere costituente. Scrive Dellavalle: Grazie alla distinzione concettuale tra la dimensione dellintegrazione politica dei cittadini e
quella dellappartenenza culturale, etnica e nazionale, diventa cioe`
possibile ipotizzare una sfera politica europea, sostenuta dalle istituzioni di una crescente societa` civile integrata, il cui codice comunicativo consista nella formulazione e legittimazione delle norme che
gia` oggi coinvolgono tutti i cittadini europei in quanto tali (128). E
verrebbe, per questa via, sanato il deficit democratico che affligge le
istituzioni create nel corso del processo di costruzione comunitaria
e confederale dellUnione Europea. In conclusione, lelaborazione
habermasiana sarebbe lunica capace di fornire una base normativamente accettabile allindividuazione di un potere costituente specificamente europeo (129). In conformita` con essa, lUnione Europea sarebbe considerata alla stregua di uno stato federale
sovranazionale, dotata di una propria specie di sovranita` con proprie
istituzioni democratiche scaturenti dalla legittimazione del popolo
dei cittadini europei. In effetti Habermas ha sostenuto e sostiene
con forza lopzione federale europea allinterno di quella che chiama
la costellazione postnazionale nellepoca della globalizzazione.
8.

Un nuovo paradigma federalista-comunicativo funzionale allunita` statale europea?

Linteressante punto di vista habermasiano riproposto da Dellavalle, nellindicare lidoneita` del paradigma comunicativo in
funzione della costituzione europea attraverso il popolo europeo inteso come potere costituente (130), mi pare del tutto condipossibilita` del costituirsi di un demos europeo a seguito dellintensificazione della
comunicazione sovranazionale, cfr.: Patria e repubblica, Il Mulino, Bologna 1997, pp.
84-93; Cittadinanza e costituzione, in Identita` culturale europea, a cura di L. PASSERINI, La
Nuova Italia, Firenze 1998, pp. 133-153; Appartenenza e cittadinanza tra dimensione
nazionale e dimensione europea. Intervista, in Interviste sullEuropa, a cura di A.
LORETONI, Carocci, Roma 2001, pp. 121-136.
(128) Ibidem.
(129) Ivi, p. 217.
(130) Gia` nelle pagine introduttive (p. 11), Dellavalle afferma che soltanto
lapparato concettuale che [il paradigma comunicativo] mette a disposizione permette

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visibile per i federalisti, soprattutto per le risposte che da` alle


argomentazioni sottostanti ai paradigmi olistico e individualistico. Spiace pero` che esso sembri escludere un ruolo concorrente
della critica federalista su problemi sui quali con differenti
approccio e metodologia essa si confronta da molto tempo prima
di Habermas. Proprio il fatto che lo scritto di Dellavalle (ma anche
lopera di Habermas) manchi di un serio confronto con la problematica federalista piu` tipica e tradizionale, dovrebbe indurre a
riflettere se cio` non avvenga anche per responsabilita` del federalismo, inteso come movimento intellettuale prima ancora che politico.
In effetti, spesso vengono avanzate al federalismo (specie a quello
europeo) obiezioni di varia natura e non sempre giustificate. Per
esempio, si dice che esso si misurerebbe con un paradigma tradizionale e superato della sovranita`, con cio` volendosi intendere che la
trasformazione (o la presunta sparizione) in corso delle sovranita`
statali avrebbe messo fuori gioco altres` le critiche mosse allinterno
di un apparato categoriale imperniato sulla coppia federazioneconfederazione, che si appunta in modo forte sulla critica della
sovranita` unitaria, assoluta ed esclusiva dello stato moderno. Si
avrebbe pertanto un conseguente spaesamento per tutta la posizione federalista europea. Si dice, poi, che sul popolo europeo
questa oscillerebbe in misura eccessiva tra i due poli del dover
essere e del movimentismo ideologico. Per usare una terminologia
weberiana, si potrebbe tradurre tale critica affermando che il federalismo europeo si fonderebbe piu` su unetica della convinzione che non su unetica della responsabilita`. Tali critiche si
manifestano in modo ancor piu` marcato allorche si toccano i temi
della costituzione europea intesa in senso forte e pieno. Anche in
questo caso, lentrata in crisi del paradigma costituente tradizionale
trascinerebbe con se anche le posizioni che vedono in un modello
federale europeo incentrato sul parlamento e sul governo responsainfatti di differenziare sufficientemente i modi dessere del singolo, spiegandone lappartenenza non contraddittoria a diverse realta`: alla comunita` culturale e/o nazionale,
alla collettivita` politica e allinsieme di tutti gli esseri umani. Distinguendo tra lappartenenza culturale e/o nazionale e quella politica, il paradigma comunicativo dischiude la
possibilita` di definire con precisione una sfera specificamente europea dellinterazione
politica, la quale va al di la` della comunicazione nazionale, senza per questo coincidere
riduttivamente con la mera tutela prepolitica degli interessi del bourgeois.

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bile il superamento del deficit democratico dellUnione. Si tratta di


obiezioni complesse, di cui occorre tener conto, anche se talora
ingenerose e ingiustificate. Si potrebbe rispondere con vari argomenti. Per esempio, che in verita` oggi si assiste piuttosto a un
inopinato recupero di poteri da parte degli stati nazionali dopo la
lunga fase della divisione del mondo in blocchi contrapposti; che la
perdita di senso del paradigma costituente tradizionale, con tutto
quel che ne consegue, e` un fenomeno ben chiaro sia a pensatori
federalisti integrali come Rosselli e Trentin, sia a federalisti europei come Spinelli. E rimandare alla lettura e alla riflessione su
questi autori. Ma sarebbero polemiche sterili che non aiuterebbero
nellopera di costruzione di unEuropa unita.
Tutto cio` premesso, percio`, ci si dovrebbe domandare se non sia
plausibile e auspicabile una ridefinizione della critica federalista alla
sovranita` statalnazionale, ferme restandone le finalita` generali, ai fini
dellimplementazione della sua funzionalita` rispetto alla tematica
europeista. Penso che cio` si possa produrre a partire dallelaborazione di un nuovo paradigma federalista, piu` specifico e piu` coerente, quindi piu` condivisibile sul piano teorico anche da cerchie piu`
larghe, che riformuli e sfrutti adeguatamente i motivi ricavabili dalla
letteratura presentata in questo saggio e li rielabori coniugandoli con
il paradigma comunicativo, che non appare, tutto sommato, cos`
distante. Il paragrafo che segue e` percio` dedicato a questo tentativo
teorico, nel presupposto evidente che non vi sia inconciliabilita` tra
limpianto comunicativo e quello federalista, come daltra parte
dimostra lapprodo teorico-politico del pensiero di Habermas.
Parto dalla premessa, enunciata al paragrafo 2., che larchetipo
federalista sia dato dalla convergenza nellanalisi delle esperienze
qualificanti della modernita` tanto in quella sovrastatale centripeta
del Federalist che in quella del federalismo infranazionale centrifugo
rinvenibile nella vicenda del girondinismo e, per esempio, nelle
teorie anticentraliste di Proudhon e Cattaneo di diverse correnti
di pensiero che pero` possono esser ricondotte a una teoria unitaria,
peraltro tentata nellOttocento dallo stesso Proudhon nello scritto
Du principe fe de ratif (131). Il contesto teorico generale che tutte le
ricomprende e` quello del contrattualismo giusnaturalista moderno,
(131)

Su cio` si rinvia a MALANDRINO, Federalismo, cit., pp. 11-57.

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come si puo` constatare dalle teorie dei padri della costituzione


federale americana, di cui e` stata dimostrata in modo convincente la
filiazione dalle concezioni teologico-federali dei primi coloni americani (132). A mio avviso limpianto federalista che se ne puo` desumere e` singolarmente vicino a quello comunicativo, e cio` puo`
spiegare la confluenza delle specifiche proposte sul piano europeo.
Vediamo allora come si puo` configurare tale fondazione federalcomunicativa.
La radice semantica delle parole federale e federalismo si
trova nel vocabolo latino foedus, che significa alleanza, trattato,
patto, convenzione. Fin dalle origini, constatabili nella cultura latina
e tramandate in quella europea occidentale, il fenomeno federale
sincardina sul concetto di un rapporto politico convenzionale e
pattizio basato sulla reciproca fiducia (fides) dei contraenti e non
sulla forza. In linea di principio, e` la fede liberamente e mutualmente
data che crea unorganizzazione comune e obbliga i membri di tale
alleanza, piu` o meno durevole, a comunicarsi prestazioni, aiuto,
diritti. Come e` visto lindividuo capace di foedus e di fides? E` un
individuo-soggetto (persona individuale o gruppo formato da individui distinti con interessi comuni) che e` identificabile esclusivamente dalla sua propensione e capacita` positiva di contrarre e
sottoscrivere un patto di fiducia con altri individui-soggetti. Cio`
esclude che possa esser concepito soltanto come una monade chiusa
in se o prevalentemente egoista, poiche deve poter entrare in
contatto con altri interlocutori e intrattenere rapporti in cui concede
e riceve fiducia allo scopo di sottoscrivere il patto. A tal fine e`
necessario un confronto dialogico nel corso del quale sono portati in
discussione gli argomenti migliori da entrambe le parti e, al termine,
con la sottoscrizione del patto, vi sara` un riconoscimento del risultato su una base di rispetto reciproco: il foedus crea una comunita`
politica di eguali godenti pari dignita` e riceventi pari soddisfazione
(132) Cfr. C. S. MCCOY, Die Bundestradition in Theologie und politischer Ethik.
Anmerkungen zum Versta ndnis von Verfassung und Gesellschaft der USA, in Konsens und
Konsoziation in der politischen Theorie des fru hen Fo deralismus, a cura di G. DUSO, W.
KRAWIETZ e D. WYDUCKEL, Duncker & Humblot, Berlin 1997, pp. 29-46; ID. e J. W.
BAKER, Fountainhead of Federalism. Heinrich Bullinger and the Covenantal Tradition,
Louisville (Kentucky), Westminster/J. Knox Press, 1991; C. MALANDRINO, Teologia
federale, Il Pensiero politico, XXXII, 1999, n. 3, pp. 427-446.

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degli interessi. In tal senso e` anche una comunita` che vive nel segno
della liberta` e della giustizia.
Mi pare che la figura teorica cos` delineata possa suffragare una
immedesimazione tra lindividuo-soggetto federativo e quello comunicativo, nel senso almeno che sia possibile affermare che il
primo e` necessariamente anche coincidente con il carattere comunicativo del secondo, mentre non si puo` dire altrettanto del secondo, che non necessariamente deve predisporsi alla sottoscrizione
di un patto federale per conseguire il suo scopo. Va da se che
lindividuo-soggetto federativo non e` contenibile nellapproccio individualistico (ed e` evidentemente lontanissimo da quello olistico).
Infatti lindividuo individualistico, nel suo impianto egoista, puo`
avere generica propensione a stipulare patti politici, ma non ha
predisposizione determinata al patto di fiducia federale e allingresso in intense e fruttuose relazioni comunitarie, mentre tale
caratteristica e` centrale per lindividuo federativo. Lindividuo-soggetto federativo e` teleologico nel suo agire in quanto vuol raggiungere lo scopo di una vita comunitaria e sociale grazie al patto, che
rappresenta il suo strumento di iniziativa strategica. La razionalita`
teleologica e strategica dellindividuo-soggetto federativo si attua
dunque attraverso un confronto necessariamente verbale (la comunicazione argomentata di volonta` al fine della giustificazione delle
intenzioni e della legittimazione delle forme del patto) ed extraverbale (le relazioni personali in senso lato, le procedure del patto
stesso, ecc.). In conclusione: lindividuo-soggetto federativo e` necessariamente un soggetto che comunica al modo habermasiano, nel
senso che, come scrive Dellavalle, mira al raggiungimento di un
accordo condiviso tra tutti i cointeressati, sulla base di un confronto
aperto sui fini e sui contenuti dellagire (133). Rispetto ai limiti messi
in mostra dal paradigma comunicativo sul piano politico interno
e internazionale (134), pero`, quello federalista puo` forse intervenire
con maggiore efficacia sulla prassi politica, grazie alla ricchezza
pragmatica della teoria federalista dello stato (che si traduce anche,
e soprattutto, nella teoria dello stato federale), a partire appunto
dallesperienza americana fino a quelle ottocentesche e novecente(133)
(134)

Cfr. DELLAVALLE, Una costituzione senza popolo?, cit., p. 208.


Ivi, pp. 208-209 e 221-225.

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sche, europee e globali. Cio` dimostra la maggiore pertinenza del


punto di vista federalista rispetto ai temi in discussione e la sua
migliore applicabilita`. Non a caso e` cresciuto enormemente, come
dimostra Elazar, il numero degli stati inquadrabili in maggior o
minor misura nel contesto istituzionale federale. Il patto federale,
infatti, non neutralizza gli interessi diversi, ma al contrario e` concepito per unire le diversita` rispettandole, trovando un compromesso
elastico, modificabile nello spazio e nel tempo, accettabile da coloro
che intendono partecipare allunione tra eguali. Il cemento che
unisce i membri del patto federale non puo` esser altro che un forte
patriottismo repubblicano e costituzionale. Il foedus e` la premessa
della carta in cui vengono fissati valori e princ`pi fondamentali,
diritti e doveri, che stanno alla base del patriottismo federativocostituzionale.
Gli individui-soggetti federativi esplicano la loro attivita` nei vari
livelli di esistenza che coincidono con diversi piani di aggregazione
sociale e politica, legandosi ai valori culturali e sostantivi specifici di
ognuno di questi, pur rimanendo capaci di esperienze plurali e di
appartenenze plurali. Dal loro vario e necessario entrare in rapporti
pattizi su ognuno di tali livelli si genera una pluralita` di patti federali,
e di popoli federali, dai quali promana nel contempo una pluralita` di
poteri costitutivi (o costituenti) federali infranazionali, nazionali e
sovranazionali (135). Di qui scorre la sorgente di legittimazione po(135) Daltra parte una simile considerazione della cittadinanza in relazione al
formarsi delle sovranita` condivise sta alla base dellapproccio del federalismo moderno
derivante dallesperienza americana, cfr. FRIEDRICH, Luomo, la comunita`, lordine politico, cit., p. 297: [Il concetto nuovo di federalismo] poggia sullidea che in un sistema
federale di governo ogni cittadino appartenga a due comunita`, quella del suo stato e
quella della nazione; che questi due livelli di comunita` debbano esser nettamente distinti
e che ognuno di essi debba essere provvisto del proprio governo; e che nella strutturazione del governo della comunita` piu` estesa gli stati componenti debbano giocare un
preciso ruolo nella loro qualita` di stati. Cfr. anche ELAZAR, Idee e forme del federalismo,
cit., pp. 34-35: In effetti il significato profondo della soluzione federale americana fu
quello di escogitare un modo di eludere il problema della sovranita` esclusiva degli stati
[] Invece di accettare le concezioni europee del XVI secolo dello stato sovrano, gli
americani considerarono che la sovranita` appartenesse al popolo. Le varie unita` di
governo federali, statali e locali potevano esercitare solo poteri delegati. Cos` era
possibile che il popolo sovrano delegasse i suoi poteri al governo generale e a quelli
costitutivi senza incappare, di norma, nel problema di quali di essi possedesse la

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litica per ognuna delle forme statuali costituibili, corrispondenti ai


rispettivi livelli di interazione politica. Gli individui-soggetti federativi sono considerabili pertanto nella sfera individuale-personale e in
relazione ai gruppi di appartenenza gia` costituiti e legittimati: sono
i cittadini presi singolarmente che, unitisi in popolo per una
decisione esclusivamente politica, grazie a un patto costituzionale
divengono in determinati periodi e contesti milanesi e parigini;
piemontesi e bavaresi; italiani, francesi e tedeschi, ecc.; infine europei. Tutto cio` avviene senza che siano privati della genetica capacita`
di appartenere identitariamente ai gruppi-soggetti locali, regionali,
nazionali o sovranazionali. Dal loro variegato complesso promana il
popolo europeo, ovvero linsieme di tutti questi individui-soggetti
federativi, che si puo` concepire come potere costituente della
futura federazione europea (136).
Posto che sia accettabile tale impianto teorico, lobiezione puo`
riguardare il posto e il ruolo che deve esser comunque detenuto
sovranita`, eccetto che nel campo delle relazioni internazionali. Per popolo Elazar
intende il popolo federale formato dallunione dei cittadini-soggetti federativi. Tale
circostanza e` ricordata da Levi nel saggio introduttivo (La federazione: costituzionalismo
e democrazia) alla cit. riedizione del Federalista del 1997, p. 36, laddove ricorda
laffermazione del deputato James Wilson nella Convenzione della Pennsylvania di
ratifica della Costituzione federale: Il supremo potere risiede nel popolo come fonte del
governo Esso puo` distribuirne una parte ai governi degli stati e unaltra al governo
degli Stati Uniti.
(136) Credo che non sia corretto, per le ragioni dette alla nota 121, contrapporre
in assoluto la concretezza dei popoli fondati sullidentificazione nazionale allastrattezza
del popolo europeo nella definizione qui enunciata. In realta`, alcuni popoli nazionali
europei (si pensi al Belgio) hanno un carattere di concretezza sostantiva non molto
superiore a quello di un ipotetico popolo europeo. Ma anche altri (pochi) popoli di piu`
sicure tradizioni e identita` nazionali, come quelli francese e tedesco, subiscono negli
ultimi decenni una contestazione crescente da parte delle originarie componenti minori
etnico-culturali e dalle nuove immigrazioni di diversa cultura che chiedono di integrarsi
e di contare politicamente. Per tutti gli stati nazionali vale sempre piu` in ultima istanza
il ricorso al plebiscito soggettivistico di Renan. Ma mi chiedo: che cosa impedisce a un
analogo plebiscito pensato in forma prevalentemente politica di applicarsi al caso
europeo (magari in forma di referendum cui sottoporre uneventuale carta costituzionale
europea)? Quale ostacolo si pone al popolo europeo nel piu` grande contesto
globale a concepirsi come costituito su una solidarieta` fondata sul sentimento dei
sacrifici gia` fatti e di quelli che si e` disposti a fare, sul passato di guerre dalle quali si
vuol fuggire per sempre e sul presente dellintegrazione economica, sul consenso e sul
desiderio espresso chiaramente di continuare la vita in comune?

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dagli stati nazionali, che sono ancor oggi i soggetti aventi il maggior
peso (se non esclusivo) in termini di identita` nazionale e poteri
sovrani in Europa. E` evidente che non e` ammissibile, per la natura
stessa del paradigma appena enunciato, alcuna ipotesi di emarginazione o superamento degli stati nazionali, cos` come delle realta`
regionali o locali. E` anzi da supporre larricchimento dei loro aspetti
etnico-culturali e sociali, nel mantenimento di precisi poteri nazionali di decisione di ultima istanza (penso, per esempio, al potere di
grazia), e di competenze politico-amministrative per tutto cio` che
attiene al territorio e alla popolazione di ognuno secondo unampia
realizzazione del principio di sussidiarieta`. Credo che il paradigma
federalista-comunicativo teste tracciato possa ammettere agevolmente tutto cio`. Ma nel presupposto necessario del venir meno
dellesclusivita` e dellassolutezza della sovranita` nazionale, in quanto
il paradigma federalista-comunicativo: a) proclama lintangibilita` dei
valori e degli interessi sostantivi propri di ciascun livello di aggregazione socioculturale, purche naturalmente questi siano posti in
modo da evitare che qualcuno di loro si trovi in conflitto irrimediabile sul piano politico con quelli di qualche altro livello di appartenenza; b) afferma la cittadinanza contestuale e plurale, quindi non
crea subordinazione gerarchica tra le differenti forme in cui essa si
esprime; c) sottolinea lesigenza di un patriottismo costituzionale sia
al livello nazionale che al livello europeo, lasciando campo libero allo
sviluppo di patriottismi culturali, nel presupposto ammissibile che i
secondi non si pongano in conflittualita` con i primi; d) attesta,
attraverso la teoria dello stato federale, che agli stati nazionali sia
dato un ruolo di primo piano sia nella fase di costituzione della
federazione europea con una presenza diretta, sia nella fase di
istituzionalizzazione a regime, attraverso il modello parlamentare
bicamerale e la costituzione di una Camera degli stati dotata di ampi
poteri legislativi e di controllo politico. Del pari, il paradigma
federalista comunicativo non si pone in contrasto irresolubile con le
esigenze rappresentate nelle ipotesi di multilevel systems of government, in quanto puo` contemperare il contributo di partecipazione e
direzione della cosa pubblica proveniente da vari soggetti pubblici e
privati, statali e non, ai vari livelli di governo della statualita` federale
infra- e sovranazionale, pur mantenendo i caratteri di maggior

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definitezza istituzionale e di bilanciamento e separazione dei poteri


sui piani verticale e orizzontale che gli sono propri (137).
Se il paradigma federalista-comunicativo qui abbozzato puo`
risultare plausibile, ci si deve domandare in quale relazione si ponga
con la tradizionale critica federalista alla sovranita` dello stato nazionale e con la prospettiva di una costituzione federale europea. La
prima risposta e` che in entrambi i casi e` possibile lutile integrazione
tra il nuovo e il vecchio paradigma. In effetti, e` intrinseca al nuovo
una concezione relativizzante e pluralistica delle sovranita` statuali ai
vari livelli, considerato il presupposto dellesistenza di realta` statuali
infra- e sovranazionali. Rispetto al vecchio, inoltre, il nuovo paradigma sopra delineato da` maggior concretezza e individualita` al
soggetto e al processo costituenti europei con lindicare precisamente, in accordo col paradigma comunicativo, lidentita` di un
possibile popolo europeo connotato politicamente e non affermato sulla scorta di asserzioni meramente prepolitiche di natura
etnico-culturale, morale, ideologica o movimentistica.

(137) In questo senso mi pare che vadano a vuoto le critiche riprese da G.


MARRAMAO, LEuropa dopo il Leviatano. Unita` e pluralita` nel processo di costituzionalizzazione, Teoria politica, XVII, n. 2, 15-16 dicembre 2000, pp. 51-52 (sulla scorta, tra
gli altri, di G. AMATO, Loriginalita` istituzionale dellUnione Europea, in AA.VV., Un
passato che passa? Germania e Italia tra memoria e prospettiva, Atti del Seminario
internazionale organizzato dal Comune di Roma in collaborazione con il Goethe Institut
e la Fondazione Basso, Roma novembre 1996, raccolti a cura di G. Preterossi, intr. di G.
Marramao, Roma, pp. 81-91 e 106-109) nei confronti di una pretesa megasovranita`
europea nellipotesi di una trasformazione in senso federale dellUE. Al contrario, il
modello federale nasce per assicurare, attraverso la condivisione delle sovranita` una
certezza istituzionale a livello di governo centrale insieme alla difesa delle diversita` e dei
rispettivi poteri dei componenti. Quanto al richiamo che Marramao fa alle analogie tra
fase precedente il modello Westfalia e il prossimo futuro possibile della multilevel
governance, vorrei precisare che e` proprio questo il punto (risolto pero` in senso
federalista) gia` segnalato da molti anni a questa parte da un pensatore come Elazar nel
suo discorso su premodernita` e postmodernita` (cfr. supra par. 6. 2), ripreso da Th.
Huglin nei suoi scritti althusiani e da ultimo nel libro Early Modern Concepts for a Late
Modern World. Althusius on Community and Federalism, Waterloo (Ontario), W.
Laurier University Press, 1999.

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ENZO CANNIZZARO

IL PLURALISMO DELLORDINAMENTO GIURIDICO


EUROPEO E LA QUESTIONE DELLA SOVRANITA
v
1. Regole di conflitti nellordinamento dellUnione europea. 2. Pluralismo di ordinamenti e pluralismo allinterno di un ordinamento. 3. Il monismo giuridico e la
questione della sovranita`. 4. La trasformazione del concetto di sovranita`: la sovranita`
istituzionale. 5. Segue. La separazione dei poteri e la questione della sovranita`
normativa. 6. Sovranita` normativa e competenza normativa. 7. La sovranita`
normativa come capacita` di produzione giuridica. 8. La sovranita` come norma di
soluzione dei conflitti. 9. La sovranita` normativa come autodeterminazione dellordinamento giuridico. 10. La nozione normativa di sovranita` in una prospettiva
sistematica. 11. Considerazioni conclusive.

1.

Regole di conflitti nellordinamento dellUnione europea.

Fra le caratteristiche dellordinamento europeo nei suoi rapporti


con i preesistenti ordinamenti degli Stati membri, vi e` lassenza di
una regola generalmente accettata di soluzione dei conflitti. Per
meglio dire, questa assenza si nota solo per certi tipi di conflitti,
mentre per altri la dinamica istituzionale ha consentito lemergere di
norme e pratiche comuni sia allordinamento dellUnione che a
quelli dei suoi Stati membri.
I conflitti fra norme comunitarie dotate di effetto diretto e
norme legislative degli Stati membri sono ad esempio risolti attraverso una regola che ammette una soluzione univoca sia nellordinamento comunitario che in quelli degli Stati membri, ed impone al
giudice lapplicazione delle prime e la disapplicazione delle seconde.
Per la verita`, questa conclusione e` solo parzialmente corretta, in
quanto si ha piuttosto un effetto identico, che fa pero` seguito
allapplicazione di diverse regole di conflitto nei vari ordinamenti (1).
(1) Si veda la ricostruzione della regola rispettivamente nella giurisprudenza della
Corte di giustizia delle Comunita` europee (v. la sentenza Simmenthal, 9 marzo 1978,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Agli effetti pratici, tuttavia, quel che emerge e` che leffetto dellapplicazione di tali diverse regole conduce al medesimo risultato, il che
puo` dar limpressione che la regola sia la medesima.
Ma per altri tipi di conflitti, e` chiaro non solo che le regole di
soluzione sono diverse, ma che esse possono anche portare ad un
risultato diverso. In questo caso occorre allora rassegnarsi a concludere che il conflitto non ammette una soluzione valida per qualsiasi
prospettiva giuridica. Quando, ad esempio, le Corti costituzionali
degli Stati membri si riservano il potere di sindacare la legittimita` di
atti normativi comunitari alla luce dei valori fondamentali del proprio ordinamento, esse non fanno che applicare una regola di
soluzione dei conflitti che discende dalla propria Costituzione e la
cui applicazione puo` produrre effetti irrimediabilmente incompatibili con quelli prodotti dalla regola di soluzione propria dellordinamento comunitario (2). Cos` anche quando il giudice interno
rivendichi il proprio potere di negare applicazione ad una norma
dellUnione, ritenendo che essa sia stata adottata chiaramente al di
fuori della sfera delle competenze attribuite a tale ente, esso non fa
che applicare una regola di soluzione dei conflitti che ha validita` solo
nellambito del proprio ordinamento nazionale (3). In ambedue i casi
la regola di soluzione dei conflitti propria dellordinamento dellUnione e` ben diversa, sia dal punto di vista procedurale che da
causa 106/77, in Racc., 1978, p. 629 ss.), e nella giurisprudenza delle Corti costituzionali
nazionali (v. la sentenza della Corte costituzionale italiana nella sentenza Granital, 8
giugno 1984, n. 170, e lordinanza della Corte costituzionale tedesca del 9 giugno 1971).
(2) Si vedano le sentenze della Corte costituzionale italiana nei casi Frontini, 27
dicembre 1973 n. 183, e Fragd, 21 aprile 1989 n. 232, e il celebre Maastrichtsurteil della
Corte costituzionale tedesca del 12 ottobre 1993.
(3) Questa possibilita` e` stata prospettata nella sentenza della Corte costituzionale
tedesca relativa alla legittimita` costituzionale del trattato di Maastricht, menzionata
sopra, nonche nella sentenza della Corte suprema danese del 6 aprile 1998, relativa
anchessa alla costituzionalita` del trattato di Maastricht. Essa e` stata recentemente
ribadita dalla Corte costituzionale tedesca; v. in particolare la sentenza del 7 giugno 2000
che ha chiuso la complessa controversia relativa alla legittimita` costituzionale del
regolamento che aveva stabilito un mercato comune delle banane; controversia che e`
sembrata a lungo poter originare un conflitto radicale fra ordinamento costituzionale
tedesco e ordinamento comunitario. La Corte ha peraltro evitato di trarre le conclusioni
di questa regola e pervenire quindi ad una dichiarazione di incostituzionalita` del diritto
comunitario.

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quello sostanziale, in quanto questo ordinamento appresta un proprio apparato giurisdizionale al quale e` affidato il potere esclusivo di
valutare la validita` di atti comunitari nonche un proprio parametro
di norme fondamentali rispetto ai quali tale giudizio va effettuato.
Ne mancano altri esempi di conflitti che non ammettono una
soluzione univoca.
In una valutazione di tipo empirico, si potrebbe tracciare una
distinzione fra conflitti del primo e conflitto del secondo tipo. I
primi sono conflitti a basso contenuto valutativo, rispetto ai quali,
generalmente, gli Stati membri ammettono una competenza esclusiva dellordinamento dellUnione a dettare le regole di soluzione. I
secondi sono invece conflitti nei quali si riflettono interessi e valori
fondamentali, ovvero nei quali si riflette la capacita` espansiva di un
ordinamento a danno dellaltro, per i quali sembra indicata la
formula dei conflitti di sovranita`. Rispetto ai secondi, quindi, non
solo gli ordinamenti degli Stati membri rifiutano di riconoscere la
competenza esclusiva dellUnione a disciplinarne lesito; essi anzi,
espressamente, si riservano il potere di disciplinarli, eventualmente
in contrasto con le regole dellUnione. Analizzando le regole di
soluzione dei conflitti, nei loro reciproci rapporti, si puo` quindi
osservare un fenomeno che emerge invero anche adottando un
diverso punto di osservazione: gli ordinamenti degli Stati membri
assumono, rispetto allordinamento dellUnione, un atteggiamento
che non e` ispirato ne ad una completa autonomia, ne ad una
completa integrazione. Essi cioe` ammettono che lUnione disciplini
i conflitti fra norme dei diversi ordinamenti, ma solo fino ad un certo
livello di intensita`; si riservano invece di disciplinare autonomamente conflitti ad alto livello valutativo (4).
(4) Ne il rilievo di questa osservazione diminuisce per il fatto che, al di la` delle
dichiarazioni di principio, un conflitto vero e proprio non si sia mai prodotto in quanto
sia la Corte di giustizia che le Corti nazionali hanno utilizzato strumenti atti ad evitarne
linsorgere. Questo vuol dire, infatti, che il conflitto si e` realmente prodotto, ma non e`
stato risolto attraverso regole di carattere giuridico, bens` attraverso regole di carattere
politico. Daltra parte, proprio lesistenza di diverse regole di soluzione di conflitti, atte
a produrre soluzioni diverse ed incompatibili fra loro, finisce con il connotare il sistema,
per modo che, al fine di evitare di produrre un conflitto dallesito imprevedibile, i diversi
attori del gioco istituzionale possono essere indotti ad operare comportamenti diversi da
quelli che verrebbero presumibilmente adottati in un sistema di diverso tipo.

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Anche senza entrare nei dettagli tecnici di tale situazione, e`


chiaro che essa caratterizza un certo modo dessere dellordinamento giuridico dellintegrazione europea. Per esso sembra appropriata la definizione di ordinamento pluralista, dato che esso e`
connotato dallesistenza di una pluralita` di punti di vista nellambito
dei quali un determinato conflitto normativo puo` trovare soluzione,
e, quindi, dallassenza di una prospettiva unica, che assicuri una
soluzione valida per tutto lordinamento (5).
Lordinamento europeo appare come un ordinamento tendenzialmente pluralista in quanto al suo interno vi sono conflitti che
vengono risolti in maniera diversa a seconda che ci si ponga nella
prospettiva dellordinamento centrale o degli ordinamenti decentrati. Cio` non vuol dire, beninteso, che per ciascun conflitto di
questo tipo vi sara` una paralisi dei meccanismi normativi e istituzionali, ma solo che non vi e` una regola giuridica generalmente
ammessa per la soluzione di essi. La soluzione puo` invece essere
ricercata, e di fatto cio` e` quello che avviene, attraverso lapplicazione
di altri tipi di regole: in particolare, quando insorgono conflitti di
questo tipo, essi vengono risolti attraverso dinamiche di tipo politico
e istituzionale.
2.

Pluralismo di ordinamenti e pluralismo allinterno di un ordinamento.

Il carattere pluralista dellordinamento dellUnione riflette un


particolare modo dessere di tale ordinamento, insuscettibile di
essere spiegato nellambito delle normali dinamiche ordinamentali
dei sistemi di natura statuale. Il fatto e` che i rapporti fra gli
ordinamenti degli Stati membri non appaiono essenzialmente di tipo
convenzionale, come accade nelle forme classiche di confederazione,
ne , daltro lato, essi sono completamente spiegabili in uno schema
concettuale di tipo federale, nel quale lordinamento centrale abbia
completamente assorbito la sovranita` dei suoi Stati membri.
Da un punto di vista storico non vi e` dubbio che lUnione sia un
(5) Ho utilizzato questo termine nello scritto A Pluralist Constitution for a
Pluralist Legal Order, in FIDE - XX Congress, vol. I, a cura di Slynn e Andenas, London,
2002, p. 267 ss.

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ordinamento derivato da quello degli Stati membri, i quali infatti


lhanno istituito mediante un accordo internazionale. Da un lato,
quindi, tale ordinamento svolgerebbe le sue vicende nellambito
dellordinamento internazionale, e sarebbe soggetto alle regole di
soluzione dei conflitti tipiche di esso; daltro lato, il trattato istitutivo
e` stato reso esecutivo negli ordinamenti degli Stati membri attraverso un meccanismo di tipo normativo che costituisce il fondamento giuridico della sua osservanza. In questo ambito, lordinamento dellUnione troverebbe quindi limite nelle potenzialita`
giuridiche dellatto che ne assiste lattuazione.
A queste prospettive, tuttavia se ne aggiunge una ulteriore.
Secondo una visione accolta dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia (6), infatti, laccordo originario costituirebbe solo il fondamento storico di un ordinamento che si sarebbe successivamente
affermato per forza propria, assorbendo cos`, in una prospettiva
federalista, gli ordinamenti degli Stati membri. Nei confronti di essi,
quindi, lordinamento dellUnione costituirebbe un ordinamento di
carattere originario, e detterebbe proprie regole di conflitto atte a
sostituire quelle di diritto internazionale o quelle del diritto interno
degli Stati (7).
Ora, il fatto e` che ciascuna di tali prospettive e` dotata di una sua
validita`, e la questione del carattere originario o derivato dellordinamento dellUnione sembra quindi una tipica questione priva di
significato giuridico, che cioe` non ammette una soluzione univoca.
Peraltro, mentre ciascun ordinamento, quello dellordinamento dellUnione e quello degli Stati membri, rivendicano un proprio potere
di determinare autonomamente la soluzione dei conflitti di sovra(6) Si veda, fra le prime, la celebre sentenza Van Gend en Loos, 5 febbraio 1963,
causa 26/62, in Racc., 1963, p. 1 ss.
(7) Questa ricostruzione non e` peraltro una novita` nel panorama del pensiero
scientifico intorno al carattere originario degli ordinamenti federali. Questi indubbiamente, qualora formati a seguito di un processo di aggregazione di Stati in precedenza
sovrani, traggono la propria origine da un accordo fra Stati sovrani, e non costituirebbero mai, in senso storico, ordinamenti originari. Di qui lidea, che si e` sviluppata gia` in
relazione al processo di aggregazione federale degli Stati tedeschi nella meta` del XIX
secolo, che latto istitutivo costituisce solo in senso storico il fondamento giuridico del
nuovo ordinamento, che si sarebbe da esso sviluppato per forza propria, affrancandosi
quindi dalla volonta` dei suoi fondatori. Cfr., ad esempio, ZORN, Das Staatsrecht des
deutschen Reiches, Berlin, Guttentag Verlagsbuchhandlung, 1895, p. 72 s.

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nita`, e con cio` affermano quindi la propria originarieta`, daltra parte,


essi si presuppongono reciprocamente ed ammettono anzi un intreccio delle proprie dinamiche normative ed una ricostruzione giuridicamente unitaria delle rispettive vicende. Essi non appaiono quindi
ne ordinamenti pienamente autonomi ne ordinamenti pienamente
integrati. Inoltre, il loro rapporto appare singolarmente rovesciato
rispetto a quello tipico di un ordinamento composto, nel quale i
singoli ordinamenti godono di autonomia nellambito di sfere di
competenza predeterminate dallente sovrano. Questo afferma la
propria sovranita` proprio attraverso il potere di determinare autoritativamente, e di tutelare attraverso propri meccanismi di garanzia,
lampiezza delle sfere di competenza di ciascun ente.
La definizione dellordinamento dellUnione europea come ordinamento pluralista appare quindi assai singolare nella esperienza
giuridica contemporanea, nellambito della quale il concetto di
pluralismo viene solitamente impiegato al fine di definire rapporti
giuridici fra ordinamenti e non gia` rapporti giuridici allinterno di un
ordinamento.
3.

Il monismo giuridico e la questione della sovranita`.

Nellevoluzione del pensiero giuridico, lidea di un ordinamento


pluralista nel senso delineato sopra sembra assolutamente nuova.
Inutilmente se ne cercherebbe menzione in quella sintesi del pensiero pluralista tracciata da Santi Romano nel saggio su Lordinamento giuridico (8), ambiziosamente dedicato a classificare in maniera analitica i vari possibili nessi che si possono stabilire fra un
ordinamento generale e i vari ordinamenti parziali che lo compongono.
Il fatto e` che, nel pensiero giuridico contemporaneo, il carattere
monista di un ordinamento giuridico assume valore dogmatico. Un
ordinamento e` necessariamente monista nel senso che esso definisce
lunica prospettiva giuridica nella quale trovano soluzione i conflitti
fra le singole norme di esso. E cio`, si badi, vale sia per gli ordinamenti semplici, che, a maggior ragione, per gli ordinamenti composti. Anzi, la definizione di ordinamento composto e` possibile
(8 )

Lordinamento giuridico, 2a ed., Firenze, Sansoni, 1946.

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logicamente solo a patto che tutti gli ordinamenti che concorrono


alla sua formazione ammettano una soluzione univoca dei conflitti
interordinamentali, generalmente quella che assicura priorita` alle
norme e alle procedure dettate dagli ordinamenti centrali.
Questo concetto sembra espresso nella nozione di sovranita`
intesa in senso normativo, come unitarieta` concettuale di un ordinamento (9).
Intesa in questo senso, la nozione di sovranita` rischia tuttavia di
smarrire la sua utilita` in un ordinamento, quale quello europeo, che
si connota appunto per lassenza di unitarieta` concettuale, e per la
mancanza di un organo dotato del potere di determinare autoritativamente la sfera di competenza di ciascuna istituzione dellordinamento e, per questa via, di assicurare una soluzione univoca dei
conflitti giuridici.
Questa conclusione induce quindi a chiedersi se effettivamente
il concetto di sovranita` sia necessariamente legato allidea dellunitarieta` concettuale degli ordinamenti statali; se cioe` vi sia una
connessione necessaria fra Stato e ordinamento giuridico, tale che
non siano pensabili forme di organizzazione del potere politico al di
fuori del modello statalistico. La questione sara` esaminata, nel
presente scritto, in una dimensione prevalentemente logica. Ci si
chiedera`, in altri termini, quali siano i motivi per i quali il concetto
di sovranita`, sorto per indicare essenzialmente rapporti di tipo
politico, abbia vista trasformata la propria essenza concettuale fino
ad assumere un contenuto di tipo giuridico. Ci si chiedera` quindi se
la nozione di sovranita` normativa, intesa come unitarieta` giuridica di
un ordinamento, sia una nozione di tipo formale, inerisca cioe`
necessariamente allesistenza di un determinato ordinamento, ovvero se si tratti di una nozione di tipo storico, se cioe` la sovranita`
(9) Il concetto e` espresso, con consueta forza sintetica da ZORN, Das Staatsrecht
, cit., p. 68: Allerdings wird diese staatsrechtliche Konstruktion im letzen Ende
immer zu der Alternative: Staat oder nicht Staat gedra ngt. E immediatamente dopo:
Die beiden Begriffe Bundesstaat und Staatenbund aber unterscheiden sich dadurch,
da ersterer ein Staat ist, letzterer nicht, dass ersterer ein einheitliche Perso nlichkeit,
letzterer ein Verein mehrerer Perso nlichkeiten ist. Sul processo che ha portato allidentificazione fra sovranita` e personalita` dello Stato e per una discussione delle conseguenze
teoriche di tale identificazione, cfr. COSTA, Lo Stato immaginario, Milano, Giuffre`, 1986,
p. 241 ss.

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abbia assunto carattere normativo nellambito di una determinata


esperienza giuridica ed allo scopo di soddisfare esigenze storicamente contingenti.
Non sara` invece trattato lulteriore questione di vedere in quale
senso invece la nozione di sovranita` possa acquistare rilievo nellambito dellordinamento dellUnione europea.
4.

La trasformazione del concetto di sovranita`: la sovranita` istituzionale.

Al di la` di episodici riferimenti ad un concetto normativo di


sovranita`, tale concetto viene consapevolmente affermato nel contesto della piu` generale opera di teorizzazione dellidentita` fra Stato e
ordinamento giuridico. Uno dei momenti emblematici di tale operazione e` certamente levoluzione del pensiero giuspubblicista che si
e` sviluppata in Germania nella seconda parte del XIX secolo. Pur se
analoghi percorsi concettuali sono propri anche di altre tradizioni
giuridiche, non vi e` dubbio che lanalisi relativa allevoluzione
concettuale che ha accompagnato il sorgere del nuovo Stato federale
tedesco e` quella che consente con maggior nitore di seguire la
trasformazione del contenuto del concetto di sovranita`. Conviene
quindi seguire questa evoluzione, sia pure per grandi linee e senza
dare allanalisi un improprio significato storiografico, avendo cura di
segnalare le varie tappe nelle quali essa si e` dipanata.
Nella sua dimensione classica, la sovranita`, concepita in funzione di assicurare carattere di originarieta` e di autonomia agli Stati
nazionali nei confronti delle pretese universalistiche imperiali, ha
mantenuto una spiccata connotazione istituzionale. Si trattava
quindi di un concetto essenzialmente politico, che assicurava al
nuovo sovrano un affrancamento da forme di sudditanza nei confronti dellimperatore, e, a sua volta, assicurava un solido titolo di
supremazia nei confronti del mondo feudale. Utilizzando categorie
contemporanee, il concetto di sovranita` e` stato elaborato al fine di
monizzare il potere politico del sovrano rispetto al precedente
pluralismo istituzionale, sottraendolo a qualsiasi forma di interferenza, sia dallalto, dalle pretese universalistiche, che dal basso, dalle
pretese centrifughe di autonomia dei poteri feudali. Di conseguenza,
il concetto di sovranita`, sorto per descrivere lassolutezza e la

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supremazia del potere regio, vedeva le sue vicende legate per secoli
a quelle della monarchia assoluta.
Questa origine storica del concetto di sovranita` spiega perche da
esso rimaneva estraneo il diverso concetto di monismo normativo.
Vi sono per lo meno due spiegazioni per cio`: innanzitutto, nellambito delle prime monarchie assolute cio` che conta e` assicurare al
sovrano il predominio politico, e non anche il monopolio della
produzione normativa. Per un certo tempo, infatti, la sovranita`
istituzionale del sovrano convisse pacificamente con il pluralismo
normativo che caratterizzava i rapporti giuridici nella societa` da esso
governata (10). Ma anche quando lassolutismo regio fin` con lassorbire la funzione di produzione giuridica, mai peraltro compiutamente, lesigenza di una nozione che indicasse distintamente lunitarieta` dellordinamento giuridico non venne avvertita. Cio` per la
semplice ragione che la nozione di sovranita` istituzionale, con la
caratteristica di onnicomprensivita` ed illimitatezza che vi era insita,
finiva con lassorbire completamente ogni altro aspetto. Nellambito
di unorganizzazione statale priva di una interna articolazione di
poteri, quindi, la nozione di sovranita` continuo` ad essere una
nozione propria del pensiero politico, identificata con la pienezza,
lillimitatezza, lunitarieta` concettuale del potere.
5.

Segue. La separazione dei poteri e la questione della sovranita`


normativa.

La prima grande sfida alla nozione di sovranita`, e lesigenza di


una distinzione concettuale fra la dimensione istituzionale e quella
normativa, e` venuta quindi con il processo di dissoluzione del potere
assoluto del sovrano e con la distribuzione delle funzioni statali fra
piu` organi o enti di governo, ciascuno dotato di una propria
autonomia costituzionale. E` questo il momento in cui si avverte
(10) Alla ricostruzione del pluralismo normativo medievale appare dedicata nella
sua interezza lopera di GROSSI, Lordine giuridico medievale, Bari-Roma, Laterza, 1995;
si veda specialmente a p. 223 ss. Su questi temi, cfr. inoltre COSTA, Civitas, Storia della
cittadinanza in Europa, Bari-Roma, Laterza, vol. I; SORDI e MANNORI, Storia del diritto
amministrativo, Bari-Roma, Laterza, 2001; LATINI, Il privilegio dellimmunita`, Milano,
Giuffre`, 2001.

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lesigenza di assicurare, al di la` della distribuzione dei poteri, un


momento di sintesi nella gestione del potere politico che eviti una
frantumazione dellunitarieta` concettuale dello Stato.
Questo processo di trasformazione, peraltro ha assunto una
connotazione diversa nellambito delle varie tradizioni giuridiche. In
Francia e negli Stati Uniti la dottrina prospetto` inizialmente una
concezione pluralista della sovranita`, in relazione al processo di
distribuzione dei poteri, a favore di una pluralita` di organi o livelli
di governo, nel senso di considerare titolare di poteri sovrani ciascun
organo statale, per poi tuttavia immediatamente passare ad identificare lessenza della sovranita` non nellesercizio di singoli poteri, ma
nella sintesi del potere politico. Di qui lidea, sopravvissuta fino ai
giorni nostri, che i singoli poteri vengono esercitati dagli organi che
ne sono titolari non in nome proprio, ma nel nome del popolo o
dellunita` personificata che fa capo allo Stato (11).
Una diversa e piu` marcata connotazione normativa ha invece
caratterizzato levoluzione del pensiero che ha accompagnato il
processo di aggregazione federale in Germania. Possiamo, per comodita` espositiva, riconoscere tre diverse fasi. Una prima e` rappresentata dal riconoscimento dellesistenza di sfere di competenza
costituzionalmente garantite come laffermazione di un modello di
sovranita` ripartita. Una seconda che tende ad affermare che non la
competenza, ma la competenza a determinare lampiezza delle rispettive sfere di competenza distribuite ai vari organi o livelli di
governo, rappresenta lessenza della sovranita`. Una terza che, attraverso un processo ulteriore di astrazione, tende a considerare larticolazione delle competenze come una modalita` del potere di
autodeterminazione dellordinamento giuridico, potere nel quale,
finalmente, verrebbe identificata la sovranita` concepita come capacita` giuridica illimitata.
Di tale evoluzione concettuale, e dei suoi riflessi nella giuspubblicistica tedesca fra la fine del XIX e linizio del XX secolo,
conviene allora dar conto, sia pure per cenni sintetici, e con lavver(11) Si veda, per tutti, la celebre affermazione di Madison contenuta nel Federalista no. 46, (1787/88), The federal and state Governments are in fact but different
agents and trustees of the people, instituted with different powers, and designated for
different purposes.

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tenza che essa, come sovente accade, non ha proceduto per via
lineare, ma attraverso un tortuoso percorso nel quale si possono
scorgere ravvedimenti e fughe in avanti, sul quale hanno pesato i dati
istituzionali e politici, e, non ultima, la profondita` di pensiero dei
principali protagonisti.
6.

Sovranita` normativa e competenza normativa.

La dottrina tedesca perveniva ben presto ad una concezione


della sovranita` ripartita nellhumus culturale dellincipiente normativismo e pressata dalle esigenza storica di inquadrare nella dottrina
della sovranita` il fenomeno di aggregazione su base federale.
In questo senso, il processo di aggregazione federale venne
inteso da Waitz, il quale appunto identificando sovranita` e potere
assoluto, pervenne ad una concezione di sovranita` divisa come
effetto dellesistenza di una pluralita` di sfere di competenza assoluta,
costituzionalmente garantita, nellambito dello Stato.
Nella sua opera Grundzu ge der Politik, apparsa nel 1862, egli
espose questa teoria partendo dallosservazione che (f)u r den Bundesstaat wird also zuna chst erfordert, da ein bestimmter Theil des
staatlichen Lebens gemeinsam, ein anderer ebenso bestimmter den
einzelnen Gliedern u berlassen ist. Ricavandone da cio` la conclusione che jeder Theil auch fu r sich wirklich Staat ist. Im Staatenbund ist es die Gesamtheit nicht, im Staatenreich find es die Glieder
nicht; im Bundesstaat mu ssen es beide sein (12).
Il passo logicamente successivo e` poi quello di dimostrare che le
due sfere di competenza godono di autonomia. Es ist aber fu r jeder
Staat ein erstes Erfordernis, da er selbsta ndig sei, unabha ngig von
jeder ihm selbst fremden Gewalt (13). Waitz esclude quindi che
lorgano centrale goda di questo requisito nella confederazione di
Stati, in quanto il suo potere deriva essenzialmente dallaccordo fra
i suoi membri: Der Staatenbund ist ..niemals selber als ein Staat zu
(12) Grundzu ge der Politik, Kiel, Ernst Homan Verlag, 1862, p. 164. Per un
inquadramento storico della teoria della sovranita` ripartita, nonche per una critica di
essa alla luce della insorgente dottrina normativista, v. REHM, Allgemeine Staatslehre,
Freiburg, Mohr, 1899, p. 62 ss.
(13) Ibid., p. 165.

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betrachten; den wie weit auch seine Competenz gezogen werde oder
wie Gro das Recht seiner leitenden Gewalt sei, das Ma und der
Grund derselben liegt in der Vereinbarung der Staaten, und in der
Uebertragung bestimmter Befugnisse, welche diese vornehmen (14). Riguardo agli Stati federali tuttavia varrebbe un diverso
principio. Eine solche Uebertragung oder richtiger ein Aufgeben
bestimmter Rechte kann auch bei dem Bundesstaat seiner ersten
Begru ndung vorangehen. Das ist aber nur ein einzelner historischer Act, ganz verschieden von jener Begru ndung der staatenbundlichen Gewalt, welche immer nur auf dem Grunde der Delegation
oder Bevollma chtigung beruht und sein eignes selbsta ndiges Recht
in sich tra gt (15).
Con indubbia modernita`, quindi, Waitz concepisce lo stato
federale come autonomo ed originario, che si distacca dallatto
istitutivo attraverso un processo di autoaffermazione. Daltra parte,
egli concepisce anche i singoli Stati come autonomi e originari:
dieser darf ebensowenig seine Berechtigung von jenem empfangen,
wie umgekehrt der Gesammtstaat nicht erst in der Bereinigung der
Einzelstaaten die Wurzel und der Grund seiner Existenz findet.
La reciproca autonomia giuridica delle due categorie di enti
comporta quindi una frammentazione della sovranita`: die Tha tigkeit, welche die Einheitsstaat ganz und ungetheilt umfat, ist hier
gewissermaen gespalten; fu r jeden Theil giebt es eine besondere
Organisation, jeder von beiden hat eine besondere Spha re, aber
innerhalb dieser Spha re ist der eine so selbsta ndig wie der andere.
Im Bundesstaat hat der Gesammtstaat und der Einzelstaat jeder ein
geringeres Gebiet als der Einheitsstaat, aber, innerhalb seines Bereichs ist das Recht weder des einen noch des andern schlechter als
das des letztern. Man kann diese Selbsta ndigkeit mit einem in der
Politik u bliche Namen nicht unpassend Souvera nita t nennen (16).
Secondo Waitz dunque lo Stato federale, e la distribuzione di
competenze che in esso si realizza, rappresenta lesempio migliore di
sovranita` divisa, la cui somma ricostituisce la unitarieta` dei poteri
sovrani: nur da ist ein Bundesstaat vorhanden, wo die Souvera nita t
(14)
(15)
(16)

Ibid.
Ibid.
Ibid., p. 166.

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nicht dem einen und nicht dem andern, sondern beiden, dem
Gesammtstaat (der Centralgewalt) und dem Einzelstaat (der Einzelstaatsgewalt), jedem innerhalb seiner Spha re, zusteht (17). Di
conseguenza, Waitz espressamente indica come la sintesi della sovranita` coincida con la somma dei poteri assegnati a ciascuna delle
sue parti. Non vi e` invece in Waitz alcun riferimento alla necessita` di
concepire regole di soluzione dei conflitti di competenza. Cio` in
quanto per egli la sovranita` risiede proprio nella esistenza di sfere di
competenza costituzionalmente garantite.
Riferimenti al criterio della competenza come elemento per
affermare la coesistenza di piu` sfere di sovranita` ripartite non
mancano nelle piu` tarde ricostruzioni, le quali tuttavia non hanno
certo la nettezza della concezione waitziana, e paiono semmai costituire un ponte fra questa e le dottrine che tendono a ricostruire
lunitarieta` concettuale della sovranita`.
Fra queste, conviene ricordare la teoria della sovranita` relativa,
sviluppata da Georg Meyer (18). Meyer parte da una rigorosa concezione normativa della sovranita`: Die Einfu hrung Konstitutioneller Verfassungen hat den Gedanken von der Schrankenlosigkeit des
Herrschers beseitigt Durch die weitere Ausbildung der juristischen Lehre von Staat sind die Personen des Staates und des
Herrschers scha rfer voneinanderer geschieden worden, per concludere tuttavia nel senso dellesistenza di piu` sfere di competenza
normativa che si limitano reciprocamente, e non abbisognano quindi
di una norma di soluzione dei conflitti: Souvera nita t ist auch
innerhalb eines beschra nkten Bereiches und ohne Kompetenz-Kompetenz denkbar. Zur Souvera nita t eines Gemeinwesens wird nur
erfordert, da die demselben zustehenden Kompetenz ihm ohne
seinen Willen nicht entzogen werden du rfen. Meyer si avvicina cos`
allidea che ogni titolare di potere costituzionalmente autonomo
sarebbe portatore di una sovranita` parziale.
In un ordine di idee parzialmente analogo, Bluntschili, significativamente, rigetta lidea che la separazione dei poteri dia origine a
(17) Ibid.
(18) Lehrbuch des Deutschen Staatsrechtes, Vierte Auflage, Leipzig, Duncker und
Humblot, 1895, p. 15 ss.

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sfere di sovranita` divisa, ma ammette che, invece, in una federazione


di Stati coesista una pluralita` di entita` parzialmente sovrane (19).
Impropriamente tuttavia si vedrebbe in Bluntschli un epigono
delle teorie della sovranita` divisa. In effetti, Bluntschli afferma
espressamente che la sovranita` non appartiene ne al sovrano ne al
popolo, ma allorganizzazione giuridica del popolo, e cioe` al potere
costituente. E` solo lesistenza di forme accentuate di autonomia in
Stati composti che induce Bluntschli ad ammettere la coesistenza di
enti sovrani nellambito di una forma composta di organizzazione
(melius) di divisione del potere politico.
7. La sovranita` normativa come capacita` di produzione giuridica.
Lidentificazione della sovranita` con la competenza doveva
avere come conseguenza che lidentificazione della sintesi della
sovranita`, ed il rigetto quindi delle dottrine della sovranita` divisa,
comportava la necessita` di procedere per astrazione, ma sempre in
termini normativi. Non bastava piu`, in altre parole, per superare il
dilemma della sovranita` divisa, laffermazione che la sovranita` appartiene allo Stato o al popolo. Tale affermazione e` destinata a
rimanere priva di significato qualora non vi si accompagni lindividuazione di un organo o di un processo atto a risolvere i conflitti di
competenza sul piano normativo. Tale individuazione esigeva,
quindi, una mutazione concettuale della nozione di sovranita`, che
imputasse allordinamento giuridico il compito di dettare le regole di
soluzione dei conflitti, in maniera quindi da assicurare attraverso un
meccanismo normativo quellunitarieta` concettuale che non era
assicurata altrimenti dallesistenza di una pluralita` di enti dotati di
competenze. Occorreva allora por mano di nuovo al concetto di
sovranita` e dimostrare che lesistenza di sfere di competenza riservate non si traduceva, come nel vecchio ordine medievale, nella
pretesa di assolutezza e nella liberta` da vincoli. Occorreva allora
dimostrare il monismo dellordinamento non solo dal punto di vista
strutturale dellunita` istituzionale, ma anche, e soprattutto, ora che
quellunita` istituzionale non cera piu`, dal punto di vista normativo.
(19) Lehre vom modernen Staat, Stuttgard 1886, Neudruck, Scientia Verlag,
Aalen, 1965, I, p. 563 ss.

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Questopera, che ha contribuito ad una radicale trasformazione


delle categorie giuridiche del diritto pubblico dellepoca, e` stata
essenzialmente compiuta dalla giuspubblicistica tedesca successiva
allistituzione dellimpero su base federale. Da essi venne affermata
senza reticenze lidea che il vero sovrano non e` il re ne il popolo ne
alcun altro ente, ma lordinamento obiettivo, il quale si esprime in
regole di attribuzione del potere e di soluzione dei conflitti che ne
derivano, con pretesa di esclusivita` e di validita` per tutto la sfera dei
rapporti da esso regolata.
In questa fase storica si assiste quindi alla inversione del rapporto fra potere politico e diritto, e allaffermazione che, se il potere
politico crea diritto allo stato iniziale, e` poi lordinamento giuridico
a dettare le regole per lordinato svolgimento di esso. Di questo
processo concettuale, la sovranita` ne accompagna levoluzione e si
adegua assumendo una dimensione ormai consapevolmente normativa. La sovranita` diviene quindi lo strumento di affermazione del
monismo giuridico statale.
Fra i piu` radicali difensori della necessita` di unificare lordinamento giuridico e di imputare ad esso la titolarita` della sovranita` vi
e` Zorn. Coerentemente con la sua rigorosa visione monista dellesperienza giuridica, Zorn approda ben presto ad una concezione unitaria della sovranita` come insieme delle norme che disciplinano
lesercizio del potere politico dello Stato.
La critica di Zorn alla teoria della sovranita` divisa poggia su due
argomenti. Il primo prevalentemente istituzionale:
Souvera nita t ist ho chste Gewalt. (Es ist nicht) begrifflich mo glich, da die Souvera nita t geteilt werde, denn in diesem Falle wa re
eben keine ho chste Gewalt vorhanden (20).
La seconda linea argomentativa e` piu` propriamente normativa.
Essa procede dalla distinzione di Jellinek fra Bundesstaat e Staatenbund, per affermare che, nella seconda categoria, la sovranita`
appartiene interamente allente centrale: (geht) die Einzelsouvera nita t als solche unter und existiert Staatsrechtlich nur mehr als
Bestandteil der in der Centralgewalt ruhenden Gesamt Souvera nita t. Sobald der Verzicht auf die Einzelsouvera nita t durch Aufrichtung der Centralgewalt praktisch geworden ist, ist die etwa
(20)

Das Staatsrecht des deutschen Reiches, cit., p. 65.

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vorher eingegangene vertragsma ige, auf jenen Verzicht gerichtete


Verpflichtung erfu llt, der Vertrag existiert nur mehr historisch, hat
aber keinen aktuellen juristischen Inhalt mehr (21). Daltra
parte, Es kann folglich im Bundesstaat von Erfu llung oder Verletzung der Vertra ge, Austritt aus dem Bund wegen Nichterfu llung
von Vertragspflichten, Auslo sung des Bundesvertrages juristisch
keine Rede sein: der Vertrag kann nicht ausgelo st werden, denn er
existiert u berhaupt nicht mehr. Per concludere: alle Streitigkeiten werden in inappellabler Weise von den geordneten ho chsten
Instanzen der centralen Staatsgewalt entschieden, die zur Durchfu hrung ihrer Entscheidungen mit allen Mitteln staatsrechtlichen
Zwanges ausgestattet ist (22).
Del tutto coerentemente con tale premessa, Zorn puo` quindi
finalmente concludere: Die Souveraneta t findet ihren pra gnantesten Ausbruch in der Setzung des Rechtes Der das Recht setzt, ist
Inhaber des Souveraneta t (23). Con cio`, Zorn suggella definitivamente la sua concezione della assoluta identita` fra diritto e sovranita`.
Se questo appare comune anche ad altri autori, quel che pare
peculiare in Zorn e` la franca affermazione del carattere solo storico
della trasmissione di sovranita` da parte dei singoli Stati allUnione.
Un punto che rimane peraltro problematico nella dottrina di Zorn e`
che in questa non sembra esservi posto per sfere autonome di
competenza. Se cioe` la sovranita` coincide con il potere di produzione di norme, e, quindi, con il potere di modificare lordinamento
giuridico, non sembra residuare uno spazio significativo per la
differenza concettuale fra Stato unitario e Stato federale. Anche
nellambito delle esperienze di tipo federale, infatti, la coincidenza
fra sovranita` e diritto travolge potenzialmente ogni forma di competenza costituzionalmente riservata. Questa conseguenza del monismo estremo nella concezione zorniana dellordinamento giuridico
fa di essa la opposizione ideale al concetto di pluralismo che ha
ispirato la dottrina precedente (24).
(21) Ibid., p. 72.
(22) Ibid., p. 75.
(23) Ibid., p. 76.
(24) Con indubbia modernita`, Zorn definisce le due conseguenze della propria
teoria applicata ai rapporti fra ente federale e Stati membri:

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Si puo` pensare che laffermazione di un concetto normativo di


sovranita` sia stato agevolato in Zorn dalla sua generale concezione
monista dellesperienza giuridica, nella quale quindi una divisione di
sovranita` e` inconcepibile cos` come e` inconcepibile una contraddizione fra proposizioni giuridiche (25). Peraltro, le due premesse dalle
quali egli muove, quella riguardante il carattere monista dellesperienza giuridica interna rispetto a quella internazionale, e la concezione normativa della sovranita` non appaiono facilmente conciliabili
a meno di non pervenire ad una sorta di monismo a prevalenza del
diritto interno, alla quale peraltro Zorn, pur evidenziando una certa
contiguita`, non arrivo` mai espressamente.
8.

La sovranita` come norma di soluzione dei conflitti.

Questa ambiguita` appare invece completamente scomparsa nel


sistema concettuale sviluppato da Ha nel, Laband e Jellinek. E` in
questa fase che si concepisce espressamente la sovranita` non piu`
come diritto o come il potere di produrlo, ma come il potere di
stabilire regole per la soluzione delle sue antinomie.
Ha nel, pur riconoscendo la coerenza sul piano logico della
dottrina federalista della sovranita` divisa, finiva tuttavia con laffermarne limpossibilita` pratica di attuarla attraverso una rinuncia ad
una regola o ad un procedimento di soluzione dei conflitti di
competenza: Die Annahme ist ein Irrtum, als ob aus dem abstrakten Begriffe Herrschaft und dem abstrakten Pra dikate des ho chsten, suvera nen, die Unmo glichkeit logisch gefolgert werden
I. Bundesrecht bricht Landesrecht: bei Widerspruch zwischen dem von der
Centralgewalt gesetzten Recht jeden Grades und dem von den Einzelstaaten gesetzten
geht das erstere unbedingt vor.
II. Die Centralgewalt steht sowohl den Einzelstaaten als den sa mtlichen Staatsangeho rigen herrschend gegenu ber: sie bedarf fu r ihre Rechtssa tze keiner Vermittlung der
Einzelstaaten, kann jedoch mit Durchfu hrung derselben die letzteren jederzeit und in
jedem Umfang betrauen (Ibid., p. 86).
Difficile non scorgere analogie con la dottrina del primato e della diretta applicabilita` oggi applicata nellordinamento dellUnione europea. Solo che, nella particolare
sistemazione teorica dellesperienza giuridica federale data da Zorn tali elementi sono
corollari inscindibili dal principio di sovranita`.
(25) Concezione espressa in particolare nellopera Die Deutschen Staatsvertra ge, in
Z. Staatsw., 1880, p. 1 ss.

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ko nnte, da zwei souvera ne Herrschaften auf demselben Territor


und fu r dieselbe Volksgemeinschaft nebeneinander bestehen ko nnten. In abstrakter Betrachtung la t sich ohne jeden Widerspruch
eine vollkommene sachliche Trennung der Aufgabe und damit des
Wirkungskreises zweier Gemeinwesen denken und fu r jedes dieser
Gemeinwesen die Selbstgenugsamkeit, die Ausstattung mit allen fu r
seine Aufgabe notwendigen und darum innerhalb seines Wirkungskreises ho chsten Rechts- und Machtmitteln. Die formale Logik kann
der Bundesstaatstheorie der federalisten, Tocquevilles, Waitz und
deren Schule nicht entgegengestellt werden. Das, was dieser Theorie
allein entgegengestellt werden kann, ist der doppelte Nachweis, da
ihre Auffassung mit der realen Natur, mit den konkreten Aufgaben
des Staates, wie sie der Einheitsstaat aufweist, unvereinbar sei, da
mithin, wenn der Bundesstaat einen solchen Parallelismus aufwiese,
der Bund und die Einzelstaaten Staaten dem vollem Begriffe nach
nicht sein ko nnten, sowie da das positive Recht des Bundesstaates
die Auffassung der Waitzschen Schule zuru ckweist (26). Egli perveniva quindi alla sua nota concezione secondo la quale non solo
lente federale o gli enti federati costituirebbero Stato, bens` lunione
organica fra di loro, nella quale, tuttavia, solo al primo spetterebbe
la sovranita` in quanto dotato del potere di conformare la sfera di
competenza dei secondi: Die auf dieser Grundlage herrschende
Auffassung erkennt es allerdings als in der Natur des Bundesstaates
und im positiven Rechte begru ndet an, da die Einzelstaaten als
solche in einem mannigfachen Abha ngigkeitsverha ltnis und in vielseitiger Wechselwirkung mit der Centralgewalt stehen, da sie aus
dem Gesichtspunkte einer Betrachtung des Staates als einer objektiven Institution wie die beiden sich erga nzenden Ha lften eines
Staatswesens sich verhalten (27). E, piu` avanti, Mit der Kompetenz-Kompetenz ist dem Reiche die ho chste und umfassendste
Gewalt gegeben, die von ihm auf Grund der Verfassung ausgesagt
werden kann Sie schliet den Kreis der Befugnisse ab, die den Inhalt
der Reichsgewalt ausmachen. Sie gibt von Standpunkt der Kompetenz aus die letzte Entscheidung, ob und in welchem Sinne das
(26)
(27)

Deutsches Staatsrecht, I, Leipzig, Duncker und Humblot, 1892, p. 803 ss.


Ibid., cit., p. 63.

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wissenschaftliche Recht besteht, das deutsche Reich als Gesamtheit


und in seinen Gliedern als Staat zu behaupten (28).
Ha nel conclude quindi: Aufgabe des Reiches kraft seiner
Kompetenz-Kompetenz ist es, der oberste Wa chter und Bu rge dafu r
zu sein, da den Anforderungen der Nation an den Staat, von deren
Erfu llung seine geistige und wirtschaftliche Kultur abha ngt, volles
Genu ge geschehe und demgema auch der Wirkungskreis der
Einzelstaaten sich gestalte (29).
E` nota la critica portata da Laband nei confronti di questa
dottrina, della quale pure egli sembra condividere la soluzione.
Secondo Laband, la concezione organicistica dello Stato finisce con
il ridurre lautonomia degli enti federali alla stregua di altri organi
dello Stato centrale (30).
Laband sviluppa quindi una diversa concezione del rapporto fra
Stato e sovranita`, partendo dalla riformulazione della dottrina della
sovranita` come competenza normativa, per quindi affermare che non
nellesistenza di una forma di competenza normativa autonoma, ne nel
sistema organizzato delle competenze e funzioni dello Stato, bens`
nella competenza della competenza risiede lessenza della sovranita`.
In riferimento alla concezione waitziana, Laband osserva quindi
che (e)benso ist es eine Chima re, die Kompetenz der Gesamtstaatsgewalt in der Art von der Kompetenz der Einzelstaatsgewalt
abgrenzen zu wollen, da kein Gebiet u brig bleibt, fu r welches es
zweifelhaft ist, welcher Staatsgewalt die Kompetenz zusteht und da
die Abgrenzung fu r alle Zeit unaba nderlich dieselbe bleibt. Es
entsteht also auch hier die Frage, wer hat den Zweifel u ber die
(28) Ibid., p. 793.
(29) Ibid., p. 797.
(30) auch der Gliedstaat wichtige und umfassende staatliche Aufgabe zu
erfu llen und zu diesem Zweck kraft eigenen Recht obrigkeitliche Herrschaftsbefugnisse
seinen Untertanen gegenu ber hat, so sind allerdings beide, sowohl der Bundesstaat als
der Gliedstaat in ihrer Sonderstellung betrachtet Staaten; nur da die Gliedstaaten
nicht souvera n, sondern dem Bundesstaat unterworfen sind. Wenn man dagegen beide
zusammen nur als den Staat gelten lassen will, wenn man im Bundesstaat einen
Gesamtorganismus erblickt, in welchem bestimmte Funktionen den Einzelstaaten zugewiesen sind, so geht der begriffliche Unterschied zwischen dem Bundesstaat und dem
dezentralisierten Einheitsstaat verloren und es erscheinen die Einzelstaaten als Einrichtungen des Bundesstaat, als Teile seiner Organisation (Das Staatsrecht des deutschen
Reiches, 5a ed., Tu bingen, 1911, Neudruck, Scientia Verlag, Aalen, 1964, p. 82).

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Kompetenzgrenze zu entscheiden und wer hat u ber eine Vera nderung der Kompetenz zu befinden. Weisen die Einzelstaaten durch
ihren Willen dem Bunde die Grenzen seiner staatlichen Befugnisse
zu oder empfangen sie umgekehrt von der Zentralgewalt die rechtliche Begrenzung ihrer Willensspha re? Nur eines von beiden ist
mo glich und die Beantwortung der Frage entha lt zugleich die
Entscheidung, wer souvera n ist, die Zentralgewalt oder der Einzelstaat (31). Sarebbe difficile immaginare una piu` chiara percezione
della sovranita` come regola di soluzione dei conflitti (32).
9.

La sovranita` normativa come autodeterminazione dellordinamento giuridico.

Compimento teorico di questa evoluzione, e sintesi dellunificazione concettuale della sovranita` interna e di quella internazionale
appare la dottrina delineata da Jellinek. Questi, che pure aveva
accolto inizialmente la concezione della sovranita` come KompetenzKompetenz, ed aveva anzi contribuito in maniera assai accentuata a
svilupparne le conseguenze applicative, perveniva poi ad una nuova
nozione di sovranita`, destinata, nei suoi intenti, a fornire la saldatura
fra attivita` normativa interna ed attivita` normativa esterna dello
Stato.
(31) Das Staatsrecht des deutschen Reiches, cit., p. 55 ss. Conviene notare come nel
sistema concettuale di Laband scompare ogni riferimento alla concezione istituzionale
della sovranita`, considerata come un relitto dellepoca precedente. Si veda, ad esempio,
la serrata critica alla dottrina di Preu: Neuerdings hat Preu die Verwendung der
Souvera nita tsbegriffs, den er fu r die radix malorum der ganzen Wissenschaft des
o ffentlichen Rechts ha lt, als fehlerhaft, wertlos und irrefu hrend bezeichnet. Unter
Souvera nita t versteht er aber die schrankenlose Gewalt des absoluten Staates. Insoweit
ist seine Kampf ein Streit gegen Windmu hlen; denn daru ber sind alle einig, da eine
derartige Gewalt nicht nur fu r den heutigen Staatsbegriff nicht wesentlich ist, sondern
u berhaupt nicht verwirklicht werden kann (ibid., p. 74, nota 1).
(32) Lidentificazione della sovranita` in un potere specifico, quello di dettare le
regole di soluzione dei conflitti, consente quindi a Laband di costruire i criteri di
attribuzione della sovranita` secondo un meccanismo a soglia (tutto o niente). Si veda
la critica, ammirabile per concisione, alla dottrina della sovranita` relativa di Meyer ed
altri: Der Versuch den Gliedstaaten eine verminderte Souvera nita t beizulegen, ist
nicht zur lo sung des Problems geeignet, da eine Verminderung der Souvera nita t eine
Negation derselben ist (ibid., p. 58).

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Nella sua piu` matura analisi della dinamica giuridica pubblicista, Jellinek sottopone a critica la concezione della sovranita` come
competenza della competenza partendo dallassunto che, in questo
sistema concettuale, il potere politico e` illimitato, mentre, dallosservazione empirica egli deduce losservazione di come esso sia
limitato dallordinamento giuridico, che vincola bilateralmente sudditi e Stato. Nella esclusiva capacita` dellordinamento giuridico di
porre i vincoli giuridici allesercizio del potere politico Jellinek vede
quindi il carattere essenziale della sovranita`: Ausschlieliche Verpflichtbarkeit durch eigenen Willen ist das juristische Merkmal des
souvera nen Staates. Souvera nitet ist demnach die Eigenschaft eines
Staates, kraft welcher er nur durch eigenen Willen rechtlich gebunden werden kann (33). Di conseguenza, la sovranita` non equivale a
potere assoluto. Si tratta bens` di un potere giuridicamente vincolato
nelle forme volute dallordinamento: Aus dieser Definition folgen
logisch alle die Eigenschaften, in welchen entweder das Wesen der
Souveraneta t gesucht wurde, oder sie ihren pra gnantesten Ausdruck
finden soll. Es ergibt sich aus den festgestellten Begriffe, wie unsere
Entwicklung soeben gezeigt hat, dass die Souvera neta t die ho chste
und unabha ngige Mach in sich schliesst. Es ergibt sich, dass der
Souvera ne Staat innerhalb der im durch seine Natur gezogenen
Grenzen seine Competenzen feststellen kann. Es ergeben sich sa mmtliche Hoheitsrechte, d.h. die oberste normierende Tha tigkeit des
Staates nach allen Richtungen des staatlichen Lebens, als Consequenz des Souvera neta sbegriffes. Es ergibt sich ferner aus demselben die Untheilbarkeit der Souvera neta t; ein ausschlieliches Recht
kann nicht getheilt werden, sonst wa re es eben nicht ausschlielich. Endlich ergibt sich die Ewigkeit der Souvera neta t, denn es ist
keine Macht vorhanden, die ihr eine Befristung setzen ko nnte (34).
Nella sua Teoria generale (35), questo concetto era poi precisato:
Potere sovrano, adunque, non e` onnipotenza statale: esso e` una
forza giuridica e percio` vincolata dal diritto. Beninteso esso non
(33) Die Lehre von den Staatenverbindungen, Wien, 1882, Neudruck, Scientia
Verlag, Aalen, 1969, p. 34.
(34) Die Lehre, cit., 34 s.p.
(35) Allgemeine Staatslehre, trad. it., La dottrina generale del diritto dello Stato,
Milano, Giuffre`, 1949.

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tollera alcun limite giuridico assoluto. Lo Stato puo` liberarsi da


qualsiasi vincolo impostosi da se stesso, pero` soltanto nelle forme del
diritto e imponendosi nuovi limiti. Non i singoli limiti, la limitazione
e` cio` che vi e` di costante; e come non esiste lo Stato sovrano
assolutamente limitato, cos` del pari non esiste giuridicamente lo
Stato sovrano assolutamente illimitato.
La concezione di Jellinek appare straordinariamente moderna ai
nostri occhi (36). Nel configurare cos` lessenza della sovranita` nella
capacita` dello Stato secondo il suo proprio ordinamento giuridico,
Jellinek sembra relativizzare loriginaria assolutezza del concetto,
dissolvere il suo riferimento ad uno Stato ideale, e inquadrarla
nellambito di dinamiche ordinamentali concretamente presenti, in
un dato momento storico. La sovranita` cessa quindi di avere un
contenuto immutabile nel tempo e in riferimento ai vari modelli di
Stato, per assumere contenuto variabile in relazione ai singoli ordinamenti statali. La concezione di Jellinek si colloca quindi in una
sfera di contiguita` concettuale rispetto allidea, piu` moderna, che la
sovranita` coincida con il potere dello Stato di costituire e modificare
le regole di fondo del proprio ordinamento giuridico.
I rapporti fra la concezione di Jellinek e la classica concezione
labandiana sono del resto assai stretti; si puo` dire che la prima
comprende in se la seconda, senza contraddirla: sovranita` e` la
capacita` di esclusiva autodeterminazione giuridica; e percio` soltanto
lo Stato sovrano, entro i limiti da esso stesso fissati o riconosciuti,
puo` regolare con assoluta liberta` il contenuto della sua competenza.
Lo Stato non sovrano, invece, si determina del pari liberamento,
pero` solo in quanto si estende la sua sfera statale. Possibilita` di
(36) Jellinek estende tuttavia questa nozione anche alla sovranita` di diritto internazionale. Anzi, lintera concezione di essa e` stata occasionata proprio dallosservazione
della unitarieta` concettuale della sovranita` in diritto interno e in diritto internazionale.
Peraltro egli non concepisce, in un quadro teorico moderno, la sovranita` statale come la
capacita` di avvalersi di tutte le posizioni soggettive di diritto internazionale. Egli non
riproduce cioe` il concetto di sovranita` elaborato rispetto allordinamento interno, alla
luce dellesistenza di un diverso ordinamento nel quale lo Stato si realizza. Ma continua,
con la dottrina prevalente dellepoca, a considerare il diritto internazionale come fondato
sullautodeterminazione e sullautobbligazione dello Stato, con la conseguenza che la
nozione di sovranita` finirebbe, portata a conseguenza, con il negare lesistenza stessa
dellordinamento internazionale.

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determinarsi o di obbligarsi per sua volonta` e` la caratteristica di


qualsiasi autonomo potere di signoria: quindi anche allo Stato non
sovrano appartiene la potesta` giuridica della sua competenza. Questa potesta` pero`, trova i suoi limiti nel diritto della comunita` che gli
e` sovrapposta. Di due Stati legati durevolmente fra di loro, quello
adunque che non puo` estendere, mediante la propria legge, la sua
competenza di diritto statale, ma incontra nellordinamento giuridico statale dellaltro un limite allaccrescimento della propria competenza, e` lo stato non sovrano; mentre sovrano e` quello che, per
mezzo della legge sua, puo` sottrarre allaltro delle competenze di
diritto statale (37).
10.

La nozione normativa di sovranita` in una prospettiva sistematica.

Lidentificazione della sovranita` nelle regole di soluzione dei


conflitti, indicata qui indicata con la formula della sovranita` normativa, non e` quindi frutto di necessita` logica. Essa si deve piuttosto
alla particolare evoluzione del pensiero giuridico, che abbiamo
seguito soprattutto in riferimento alla dottrina tedesca, nella seconda
meta` del XIX secolo, in relazione al processo di aggregazione su
base federale dei vari Stati tedeschi. Tale processo induceva quindi
un profondo mutamento nelle categorie concettuali del diritto pubblico. Esso stabiliva infatti una ripartizione di competenze fra federazione e Stati, e, quindi, determinava linsorgere di un pluralismo
istituzionale in luogo della tradizionale concentrazione del potere
politico nelle mani del sovrano.
La trasformazione del concetto di sovranita` e` quindi avvenuta in
un processo simbiotico rispetto alla piu` generale tendenza dottrinale, orientata ormai decisamente in senso positivista verso lidentificazione dello Stato con il suo ordinamento giuridico e quindi con
la Costituzione che di esso costituisce il fondamento. Lessenza della
sovranita` non poteva piu` essere identificata nel monopolio e nellassolutezza del potere politico, dato che esso, per definizione, non
esisteva piu`. Di qui un progressivo processo tendente ad identificare
semmai la sovranita` nelle regole dellordinamento atte a risolvere i
(37)

Allgemeine Staatslehre, cit., p. 86.

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conflitti fra poteri e, quindi, nel nuovo concetto di sovranita` normativa.


Puo` apparire paradossale che la dottrina della sovranita` normativa, imperniata su una rigida concezione monista dellordinamento
statale, abbia visto la luce contestualmente alla dottrina della pluralita` degli ordinamenti giuridici, e, quindi, in parallelo rispetto allaffermazione della separazione fra ordinamento interno e ordinamento internazionale. Si puo` rilevare, per accentuare lapparente
paradosso, come alla affermazione della sovranita` in senso normativo abbiano contribuito autori che hanno militato in campi diversi
quanto alla ricostruzione dei rapporti fra ordinamento interno e
ordinamento internazionale. Il paradosso si scioglie, tuttavia, se si
pensa che fra le due dottrine, quella della separazione fra ordinamenti e quella della sovranita` normativa, non vi e` alcun contrasto.
Anzi, laffermazione della sovranita` normativa, e la contestuale
asserzione del carattere necessariamente monista dellordinamento
statuale, ha agevolato laffermazione della separazione dellordinamento interno rispetto a quello internazionale. La precedente concezione del monismo istituzionale, infatti, sancendo la concentrazione nelle mani del sovrano sia del potere normativo verso
linterno che di quello verso lesterno, finiva con il produrre una
saldatura fra ordinamento interno e ordinamento internazionale,
dato che il medesimo organo che aveva il potere di assumere
obblighi internazionali, era dotato egualmente del potere di modificare, in corrispondenza, lordinamento interno al fine di assicurarne lattuazione (38). In questo senso, non vi e` alcun contrasto fra
il monismo normativo affermato in riferimento allordinamento
interno, e il carattere di separazione, affermato rispetto allordinamento internazionale. Anzi, questi due aspetti si saldano in un unico
sistema concettuale che tende a sigillare lordinamento costituzionale e a salvaguardarlo rispetto alle interferenze di altri ordinamenti.
In altri termini, il monismo normativo dellordinamento interno
serve proprio a tutelare linsorgente pluralismo istituzionale, e ad
evitare che lorgano dotato del potere di assumere obblighi internazionali potesse poi vincolare i comportamenti degli organi dotati del
(38) Sia consentito rinviare allanalisi contenuta nello studio Trattato internazionale (adattamento al), in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV, p. 1394 ss.

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potere normativo interno. Monismo dellordinamento statale e pluralismo nei rapporti con lordinamento internazionale sembrano
quindi non solo compatibili, ma anzi, si configurano come due
articolazione di una unica prospettiva teorica.
E` essenzialmente intorno a questo nuovo nucleo concettuale, rappresentato dal monismo dellordinamento statale, che i fondamenti
della natura giuridica dello Stato, e quindi il nuovo concetto della
sovranita` in senso normativo, hanno trovato sistemazione teorica.
Contestuale alla definizione di una autonoma nozione di sovranita`
normativa, infatti, e` laffermazione della natura statuale della federazione, contrapposta alla confederazione, di natura convenzionale.
Nella federazione, e non nella confederazione, si realizzerebbe quellunicita` della prospettiva giuridica che caratterizza lorganizzazione
dello Stato. Nella confederazione, invece, si avrebbe una pluralita` di
ordinamenti, tutti egualmente dotati del potere di autodeterminare le
proprie regole di soluzione dei conflitti. La sfera di competenza della
confederazione, di conseguenza, non sarebbe autodeterminata, bens`
determinata dallesterno, dalla comune volonta` degli Stati membri. In
questa alternativa si riassumerebbe quindi lalternativa posta rispetto
al problema della sovranita` dalle forme composte di Stato: o si tratta
di uno Stato in senso proprio, dotato di sovranita` e, quindi, capace di
determinare esso medesimo le regole di soluzione di conflitti che vi
insorgono allinterno, ovvero si tratta di un ente privo di statualita`, in
quanto vi e` presente una pluralita` di prospettive giuridiche per la
soluzione dei conflitti, nessuna delle quali capace giuridicamente di
imporsi alle altre.
La visione dello Stato sovrano come ente provvisto necessariamente di una prospettiva giuridica unitaria, come ente normativamente monista, pur se istituzionalmente pluralista, ha proiettato la
propria influenza ben al di la` della occasionale contingenza storica
che ne ha permesso la piena affermazione. Se si guarda infatti alle
moderne costituzioni statali, esse assumono a proprio presupposto,
talora affermato espressamente, talaltra taciuto, lesistenza di un
ordinamento giuridico concettualmente unitario (39). Lessenza
(39) Ed in questo ambito ricostruiscono la sovranita` come norma tesa alla
soluzione dei conflitti non solo fra sfere di competenza, ma anche fra valori. E` in questo
periodo che inizia ad affermarsi lidea che la sovranita` non e` illimitatezza del potere

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

stessa della Costituzione si riassume, anzi, nel pensiero giuridico


moderno, nella fissazione delle regole di soluzione dei conflitti.
Attraverso la determinazione di procedure di legittimazione del
potere politico, di trasformazione dei conflitti politici in conflitti
giuridici, di processi di bilanciamento di interessi e valori dellordinamento, le moderne costituzioni statali sembrano provvedere alla
determinazione dellunicita` della prospettiva giuridica attraverso la
quale pervenire alla soluzione di conflitti.
11.

Considerazioni conclusive.

Cosa si puo` trarre, in chiave contemporanea, da antiche dottrine


elaborate al fine di teorizzare lunicita` del potere statale in un
processo di aggregazione federale, quale quello occorso in Germania
sul finire del XIX secolo? In che senso esse rilevano rispetto ai
moderni processi di aggregazione su base sovranazionale, che delineano un contesto culturale profondamente diverso?
Per rispondere a tale questione, occorre considerare che nel
processo di integrazione europea, come sovente accade, i mutamenti
istituzionali hanno preceduto levoluzione concettuale. Nel tentativo
di inquadrare i fenomeni di integrazione sovranazionale nellambito
delle categorie giuridiche dellorganizzazione del potere politico, la
dottrina si imbatte costantemente nel concetto di sovranita`, e lo
intende, secondo tradizione, in senso normativo, come concetto che
simboleggia lunitarieta` concettuale dellordinamento giuridico. Di
qui lo smarrimento concettuale derivante dalla difficolta` di inquadrare in un quadro tradizionale la nuova esperienza giuridica dellintegrazione sovranazionale. La nostra analisi peraltro ci ha portato
a verificare come il concetto normativo di sovranita`, che si riflette nel
carattere monista dellordinamento statale, ed ha assunto valore
dogmatico nella teoria dello Stato, sia emerso relativamente tardi
nellesperienza giuridica ed al fine di reagire al pericolo di dissolugiuridico, ma entita` concettualmente limitata dai diritti individuali. Si comincia quindi
ad affermare un concetto che sara` alla base del costituzionalismo del XX secolo: lidea
che la sovranita` non possa essere concepita come potere indipendente, ma trova invece
dei limiti, negativi o di scopo, nel rispetto di sfere giuridiche separate da essa, separate
cioe` dal concetto di unita` dellordinamento.

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ENZO CANNIZZARO

zione dellunitarieta` istituzionale del potere politico. Si tratta quindi


di una nozione non assoluta, ma profondamente influenzata dalla
contingenza storica, e dallesigenza di approntare una reazione
teorica alla frammentazione del potere politico derivante dai processi di separazione dei poteri e di articolazione del sistema statale su
piu` livelli di governo. Al caos concettuale che ne derivava, e alla
diluizione del monolitismo dello Stato assoluto veniva quindi posto
riparo con la ricerca di un monolitismo immaginario e con lidentificazione di un nuovo sovrano, costituito dallordinamento giuridico.
Collocate nel loro contesto, tali dottrine sembrano quindi dimostrare proprio che un ordinamento normativamente pluralista
non e` logicamente inconcepibile. Dimostrare che una costruzione di
tal fatta sia anche storicamente praticabile oggi, in riferimento al
processo di integrazione europea, ed articolarne piu` precisamente i
contenuti, e` compito che fuoriesce dalloggetto di questo studio.

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MAURIZIO FIORAVANTI

IL PROCESSO COSTITUENTE EUROPEO


1. Alla ricerca del processo costituente europeo. 2. Un po di comparazione: Europa
e Stati Uniti. 3. Alcuni possibili esiti del processo costituente europeo.

1.

Alla ricerca del processo costituente europeo.

Come` ben noto, il Consiglio Europeo di Laeken, del 14 e 15


dicembre 2001, si e` concluso con unimportante Dichiarazione sul
futuro dellUnione Europea, che si ricollega ad unanaloga Dichiarazione approvata in margine al Consiglio di Nizza, del dicembre
dellanno precedente, lo stesso in cui era stata proclamata la Carta
dei diritti fondamentali dellUnione Europea, preparata da unapposita Convenzione, a sua volta convocata sulla base delle risoluzioni
del Consiglio Europeo di Colonia, del giugno del 1999 (1). Come
ben si vede, la concatenazione degli eventi pare essere piuttosto
serrata, e precisa: la decisione di preparare un Bill of Rights europeo,
con il metodo della Convenzione, e non direttamente con il tradizionale strumento della Conferenza intergovernativa, la sua proclamazione, per quanto non corredata dalla decisione dinserirlo nei
Trattati, dotandolo dunque dimmediata forza prescrittiva, ed infine
la contestuale messa in moto, proprio sulla base della Dichiarazione
citata allinizio, di una nuova Convenzione, cui sono affidati compiti
ampi, che lasciano intravedere, sullo sfondo, lesito della Costituzione europea. E` questa serie di eventi che ha provocato una
crescente diffusione, non solo nella pubblicistica politica e dinformazione piu` diffusa, ma anche nella letteratura specialistica, del
(1) Sulla Carta si e` formata rapidamente una vasta letteratura. Avremo occasione
di tornare sul punto. Si veda intanto, anche per la ricchezza del materiale raccolto, Carta
Europea e diritti dei privati, a cura di G. VETTORI, Padova, 2002.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

termine-concetto di processo costituente europeo, con il quale ci


confrontiamo in questo contributo.
Ma procediamo con ordine, proprio partendo dai contenuti
della Dichiarazione di Laeken (2). In effetti, alla Convenzione, composta, oltre che dal Presidente e dai due Vicepresidenti direttamente
designati dal Consiglio Europeo, da 15 rappresentanti dei Capi di
Stato e di Governo degli Stati membri, uno per Stato membro, da 30
rappresentanti dei Parlamenti nazionali, due per Stato membro, da
16 membri del Parlamento europeo e da due rappresentanti della
Commissione, e` affidata la progettazione di una riforma dellUnione
certo di non poco rilievo. Ricordiamo rapidamente i capitoli di tale
riforma, cos` come indicati nella Dichiarazione: ridisegnare i criteri di
ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri, al fine di
renderli piu` semplici e trasparenti, e nella stessa linea rivedere la
materia degli strumenti normativi, ripensare le istituzioni europee ed
il loro funzionamento, dalla Commissione ed il suo Presidente, al
Consiglio, al Parlamento, fino poi a giungere al ruolo degli stessi
Parlamenti nazionali.
Dal documento sembra trasparire una preoccupazione principale, che riguarda la possibile carenza di legittimazione, soprattutto
di fronte ai cittadini, di un complesso distituzioni politiche ed
amministrative cresciute nel tempo secondo logiche, e pratiche
politico-istituzionali, non sempre del tutto comprensibili dallesterno, e la cui ulteriore crescita non puo` dunque piu` prescindere
dalla guida di criteri apertamente ridiscussi, e per cio` stesso piu` certi,
piu` accessibili e trasparenti. Pare cioe` evidente che si e` di fronte ad
uno di quei casi in cui si pensa di rispondere ai problemi della
legittimazione con un grande piano di razionalizzazione delle istituzioni e del loro funzionamento, nella linea della trasparenza e della
efficienza.
Diciamo la verita`: fino a qui non si respira affatto alcuna aria
costituente, se non per lampiezza stessa della materia da considerare, che praticamente coincide con la globalita` delle relazioni
politico-istituzionali in cui lUnione e` coinvolta. Manca pero` laltra
dimensione dellopera costituente, che e` quella della profondita`,
(2) Prendiamo il testo della Dichiarazione dalla Rivista di studi politici internazionali, LXIX, n. 1, gennaio-marzo 2002, pp. 11 e ss.

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MAURIZIO FIORAVANTI

importante per lo meno quanto lampiezza, se non di piu`: un grande


progetto di razionalizzazione, dingegneria istituzionale, che rimane
tale, ed in cui il principio democratico si esaurisce nella richiesta di
una maggiore trasparenza, a sua volta del tutto conseguente agli
aspetti procedurali, nella linea dominante della efficienza, non e`
ancora un progetto costituente. Si deve pero` aggiungere che la
Dichiarazione di Laeken non si ferma affatto a questo punto. E` anzi
lultimo paragrafo di questa parte della Dichiarazione, dedicata
appunto ad indicare i compiti della Convenzione, quello piu` interessante, ed anche quello che ha indubbiamente maggiormente
sollecitato a discutere la nostra problematica del processo costituente europeo.
E` qui infatti che si parla, in modo finalmente esplicito, di una
via verso una costituzione per i cittadini europei. Ma cio` che piu`
conta e` che alla possibilita` di un testo costituzionale, o addirittura
di una legge fondamentale, si arriva senza sostanzialmente abbandonare la logica efficientistica ed incrementale della riforma dellUnione e dei suoi Trattati. Le parole-chiave continuano infatti ad
essere trasparenza e semplificazione, o magari quella, in se
ancora piu` modesta, di riordino, ma e` come se a furia di procedere
su quella via si finisse quasi fatalmente per salire una sorta di
gradino. Cos`, il medesimo riordino potrebbe condurre a distinguere tra trattato di base ed altre disposizioni, con procedure di
modifica e di ratifica differenziate tra luno e le altre: certo, anche
questa operazione potrebbe essere letta nel senso consueto della
semplificazione, ma ora e` ben possibile anche una seconda lettura,
ovvero che lo sforzo sia quello dindividuare i caratteri essenziali del
legame creatosi con lUnione, le finalita` ed i principi fondamentali,
precedenti il ben piu` variabile mondo delle politiche, e dunque da
proteggere, rispetto a queste ultime, con procedure di modifica piu`
pesanti.
A questo punto, per mettersi sulla via della costituzione, bastera`
convenire su due punti: che una lettura del genere e` piu` che
plausibile, e che essa e` molto vicina ad un autentico processo
costituente, inteso come quel processo che conduce proprio ad
individuare il nucleo fondamentale di un determinato patto, nel
nostro caso da estrarre dalla complessa materia dei Trattati. In
questa linea, il passaggio successivo della Dichiarazione chiama la

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Convenzione a riflettere sulla opportunita` di inserire la Carta dei


diritti fondamentali nel trattato di base, e dunque proprio in quel
nucleo fondamentale, che in tal modo prenderebbe evidentemente
ancora piu` forma nel senso di una Costituzione europea. Cos`,
lultimo capoverso del nostro testo pare essere del tutto conseguente
a quanto fin qui espresso, e pone correttamente il quesito se questa
semplificazione e questo riordino non debbano portare, a termine,
alladozione nellUnione di un testo costituzionale, che individua
gli elementi di base di tale legge fondamentale, ovvero i valori
che lUnione coltiva, i diritti e i doveri del cittadino, i rapporti fra gli
Stati membri allinterno dellUnione (3). Certo, il tono conclusivo e`
fortemente dubitativo, ma proprio per questo la via e` aperta, e
comunque non e` piu` assolutamente obbligatoria la lettura nel senso
della mera razionalizzazione, della pura opera dingegneria istituzionale.
Proprio in un contesto di questo genere, diviene allora particolarmente rilevante la ricerca di criteri che ci consentano dindividuare il punto oltre il quale lopera di riforma dei Trattati acquista
autentico significato costituente, e diviene quindi processo costituente. E` questo anzi il problema principale che abbiamo oggi nel
valutare lultima fase della evoluzione costituzionale europea.
Come sappiamo, al quesito posto e` possibile rispondere in
modo drastico, negando che da una riforma dei Trattati, per quanto
incisiva, possa mai nascere una qualche costituzione. Nascera` piuttosto un altro Trattato, come i precedenti fondato sulla volonta` degli
Stati membri, ma non una costituzione. Alla costituzione si potra`
arrivare solo uscendo dalla logica del trattato, delle relazioni di
diritto internazionale tra Stati sovrani, ed attivando dunque un vero
e proprio potere costituente del popolo europeo, capace dimporre
la soluzione dello Stato federale europeo, con una riconduzione
drastica e pesante degli Stati membri a parti del medesimo Stato
federale europeo. Una simile impostazione, che chiude immediatamente il discorso della costituzione europea, rinviandolo ad un
domani francamente improbabile, e` figlia di una ben precisa tradizione costituzionalistica, dominante negli ultimi due secoli, di cui si
(3) Ibid., p. 27. Si veda anche A. PACE, La Dichiarazione di Laeken e il processo
costituente europeo, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2002, n. 3.

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vuole evidentemente salvare il pilastro ritenuto piu` essenziale: che


non puo` esservi processo costituente senza potere costituente, o
meglio senza quel particolare potere che assume di norma la forma
del soggetto capace di volere, della Assemblea capace di esprimere
la volonta` del popolo, o della nazione, ed ancora, che non puo`
esservi processo costituente senza fondazione, come suo esito obbligato, di uno Stato sovrano, non importa se ascrivibile al tipo
federale o meno. In altre parole, il processo costituente presuppone
ununita` politica capace di volere, e produce, a sua volta, ununita`
politica capace di agire, nella tradizione dello Stato nazionale unitario (4).
E` inutile ora spendere troppe parole per concludere su questo
punto. E` infatti evidente che oggi sta accadendo proprio cio` che la
nostra tradizione costituzionale nega: si sta denominando come
costituente un processo in atto, pur non avendo esso unorigine in
un potere, nel senso di un soggetto capace di volere, e pur non
avendo esso affatto preso la direzione che conduce a fondare una
nuova unita` politica espressiva del tradizionale principio di sovranita`. Proviamo allora ad abbandonare gli orizzonti noti, ed a porci il
problema della esistenza da dimostrare, ovviamente di un
processo costituente non piu` riconoscibile con gli strumenti della
tradizione: un processo costituente senza unorigine nella volonta` di
un soggetto, e che tende a collocare il suo esito, ovvero la costituzione stessa, al di la` dei confini noti della forma politica statale.
Si entra qui in un territorio nuovo, irto di difficolta`, ed anche di
pericoli. Ma la sfida e` inevitabile, e deve dunque essere accettata. La
prima osservazione e` dedicata proprio al potere costituente. A mio
(4) Difende appassionatamente il modello costituzionale della tradizione G.
FERRARA, Verso la Costituzione europea?, in Diritto Pubblico, 2002, 1, pp. 161 e ss. Per
unopposizione netta tra lambito costituzionale e quello internazionale, tra costituzione
e trattato, si veda G. DE VERGOTTINI, Stato federale, in Enciclopedia del diritto, XLIII,
1990, pp. 831 e ss.. Sulla tradizione europea della sovranita`, rinviamo a Penser la
souverainete a` le poque moderne et contemporaine, sous la direction de G.M. CAZZANIGA
e Y.C. ZARKA, due tomi, Pisa e Parigi, 2001; ed in forma sintetica anche a M. FIORAVANTI,
Stato e Costituzione, in Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto, a cura di M.
Fioravanti, Roma-Bari, 2002, pp. 3 e ss. Nella prospettiva attuale, si veda infine M. WIND,
Sovereignty and European Integration. Towards a Post-Hobbesian Order, Basingstoke,
2001.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

avviso, se vogliamo continuare ancora a discutere, ed anche ad


operare, nella linea della Costituzione europea, non si puo` del tutto
abbandonare il terreno del potere costituente (5). Si dovra` certamente marcare con cura la differenza tra il potere costituente della
tradizione, delle rivoluzioni di fine Settecento e delle stesse Costituzioni dellultimo dopoguerra, ed il potere costituente di cui oggi
andiamo alla ricerca in Europa, ma non si dovra` affatto chiudere
frettolosamente la partita, come se si trattasse di questione del
passato, non piu` attuale. Insomma, a nostro avviso, anche la Costituzione europea, per essere tale, ha bisogno di unorigine. Cio` che
pero` e` sbagliato e` collocare in quella origine il soggetto sovrano della
tradizione, il popolo o la nazione in senso unitario e monolitico. Pare
piu` adeguato raffigurare il potere costituente europeo come una
realta` in se pluralistica, per sua natura collocata sul piano sovranazionale, in cui troviamo sia gli Stati membri con i loro rispettivi
popoli, e con le obbligazioni che reciprocamente li limitano, sia il
popolo dei cittadini dellUnione, come risultato, in senso normativo,
di uno status crescentemente condiviso (6): e` allinsieme di questi
soggetti che e` necessario riferire lesercizio del potere costituente.
Piu` avanti, deriveremo da questa prima sommaria conclusione la
necessita`, per una riforma dei Trattati che ambisca a produrre un
esito nel senso della Costituzione europea, di unapprovazione da
parte dei popoli degli Stati membri.
Un secondo punto non potra` inoltre essere trascurato nellambito della Costituzione europea. E` vero che nel passaggio dal piano
nazionale a quello europeo lo stesso termine-concetto di processo
costituente tende fatalmente a diluirsi, perdendo molto del suo
carattere di attuazione di un progetto globale, che punta a rideter(5) Si veda in proposito lindagine di S. DELLAVALLE, Una costituzione senza
popolo? La Costituzione europea alla luce delle concezioni del popolo come potere
costituente, Milano, 2002. Si veda inoltre A. PETERS, Elemente einer Theorie der
Verfassung Europas, Berlino, 2001, spec. 360 e ss. sul potere costituente.
(6) Possiamo qui solo accennare a questo punto, evidentemente collegato con la
Carta dei diritti fondamentali, su cui comunque torneremo in seguito. Per la prospettiva
della comparazione diacronica, si veda P. COSTA, La cittadinanza fra Stati nazionali e
ordine giuridico europeo: una comparazione diacronica, in Una Costituzione senza Stato,
Ricerca della Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco, a cura di G. BONACCHI, Bologna,
2001, pp. 289 e ss.

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MAURIZIO FIORAVANTI

minare da capo i poteri esistenti, tanto da poter essere connotato, sul


piano europeo, come qualcosa che opera in modo incrementale e
concordato, senza salti di qualita` o violente espropriazioni di poteri
sovrani (7). Sappiamo gia`, del resto, che quel processo non e` affatto
destinato a produrre una nuova forma politica sovrana di tipo
monistico, in se portatrice della tendenza ad esautorare i poteri
esistenti (8). E tuttavia, anche per questo aspetto e` necessario distinguere: il fatto che si possieda la consapevolezza storica che il
processo costituente europeo non produrra` comunque quel certo
tipo di unita` politica, da ricondurre alla tradizione europea condensata nel principio di sovranita`, non significa che si debba, o che si
possa, rinunciare alla ricerca di una qualche nuova forma di unita`
politica, diversa da quella propria della tradizione, e nello stesso
tempo capace di oltrepassare, sul piano sovranazionale, la logica
meramente pattizia del diritto internazionale. Senza questa ricerca,
sara` difficile continuare a parlare di costituzione e di processo
costituente. In altre parole, il processo costituente non e` tale, anche
sul piano europeo, se non conduce, attraverso il riordino dei
Trattati, e lindividuazione di un loro nucleo fondamentale, nella
linea della Dichiarazione di Laeken, alla proposizione di un legame
tra gli Stati membri nel senso della Unione, ovvero nel senso di
ununita` politica di tipo sovranazionale dotata di regole costituzionali,
cui gli Stati stessi sono chiamati ad aderire. Proprio per questo
motivo, si pone con forza il problema di una regola nuova, diversa
da quella della unanimita` prevista dallarticolo 48 del Trattato
sullUnione Europea. Su questo punto torneremo piu` avanti, ma
(7) Cos` nel saggio di L. VIOLINI, La Costituzione europea fra passato e presente, in
Costituzionalizzare lEuropa ieri ed oggi. Ricerca dellIstituto Luigi Sturzo, a cura di U.
DE SIERVO, Bologna, 2001, pp. 71 e ss., p. 103. Non possiamo qui discutere la tesi,
davvero impegnativa, formulata di recente, secondo cui la vicenda costituzionale europea sinserisce in una trasformazione piu` ampia delle costituzioni, che le vedra` sempre
piu` debolmente indirizzate verso mete condivise e fini riconosciuti come comuni, e
sempre meno capaci di operare chiusure definitive dei sistemi giuridici: M.R. FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, 2002, spec.
pp. 103 e ss. Nella discussione attuale, si vedano anche E. SCODITTI, La Costituzione senza
popolo. Unione Europea e Nazioni, Bari, 2001; e C. PINELLI, Il momento della scrittura.
Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Bologna, 2002.
(8) Insiste sul punto L. TORCHIA, Una Costituzione senza Stato, in Diritto
Pubblico, VII, 2001, n. 2, pp. 405 e ss., spec. pp. 421 e ss.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

diciamo fin dora che se quella regola dovesse permanere, e contemporaneamente non si affermasse la necessita` della approvazione
popolare, sarebbe difficile, a mio avviso, resistere alle obiezioni di
chi considera quanto meno improprio luso del termine-concetto di
costituzione con riferimento allesito del processo di riforma dei
Trattati. In una parola, ancora una volta si sarebbe fatto un nuovo
Trattato, magari rafforzando ancora di piu` il piano comunitario, ma
non una costituzione.
2.

Un po di comparazione: Europa e Stati Uniti.

Due sono dunque gli elementi che devono essere presenti


perche si possa legittimamente parlare di processo costituente
europeo: il modo popolare di ratifica da parte degli Stati membri, e
la rottura della regola della unanimita`. Un rapido sguardo alla genesi
della Costituzione federale americana aiuta a cogliere la rilevanza di
questi elementi, e soprattutto la loro forte reciproca connessione.
Ovviamente, non si vuole qui sostenere che le due situazioni storiche
siano anche lontanamente assimilabili (9). Si vuole piuttosto mettere
in rilievo come gli elementi da noi individuati, attinenti al modo di
ratifica, o di approvazione, da parte degli Stati si ripetano con
significativa puntualita` nelle due situazioni, e siano probabilmente
destinati a ripetersi, nella vicenda storica complessiva delle costituzioni moderne, ogni volta che si tratta di passare da un legame di
stampo essenzialmente internazionalistico, che si esprime nella
forma del trattato, ad un legame di qualita` diversa ed ulteriore, che
continua magari a fondarsi nella dimensione pattizia e convenzionale
propria delle relazioni tra Stati, ma che assume poi, come esito
conclusivo, la forma della Unione, e della costituzione. Sotto questo
profilo, della vicenda americana interessera` proprio cogliere il momento in cui, come oggi in Europa, sinizio` ad indicare la costitu(9) Riflessioni di carattere comparativo in G. BOGNETTI, Levoluzione del federalismo moderno e i diversi modelli dello Stato federale, e Lo speciale federalismo dellUnione Europea, in Modelli giuridici ed economici per la Costituzione europea, Ricerca
della Fondazione Nova Res Publica, a cura di A.M. PETRONI, Bologna, 2001, pp. 19 e ss.,
e pp. 245 e ss.

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MAURIZIO FIORAVANTI

zione come soluzione nuova, di essa mettendo in rilievo la differenza


con lo strumento esistente del trattato.
Come sappiamo, le relazioni tra le tredici ex-colonie inglesi,
divenute altrettanti Stati liberi ed indipendenti con la Dichiarazione
dIndipendenza, erano regolate, prima della Costituzione Federale
del 1787, dagli Articoli di Confederazione, approvati nel 1778 dal
Congresso, ma entrati in vigore soltanto il primo marzo del 1781,
dopo la ratifica da parte di tutti gli Stati, secondo la regola della
unanimita`. Tali Articoli, pur conferendo poteri anche rilevanti al
Congresso in materia diplomatico-militare, rimanevano pero` sul
piano del trattato, della lega di amicizia reciproca (articolo II) tra
gli Stati, e tra i rispettivi popoli, tanto che la regola della unanimita`,
che era servita per mettere in vigore gli Articoli, era mantenuta
anche per la loro modifica. Leggiamo infatti nellarticolo XIII: Gli
Articoli della presente Confederazione saranno inviolabilmente osservati da ciascuno Stato; ne potranno essere introdotte modificazioni al testo, a meno che tali emendamenti non vengano approvati dal Congresso degli Stati Uniti e siano successivamente ratificati
dagli organi legislativi di ogni Stato. Come vediamo, i due elementi
che precedentemente abbiamo individuato con riferimento allEuropa sono anche qui tenuti insieme: poiche cio` che abbiamo di
fronte a noi e` un semplice trattato, che mantiene quasi del tutto
inalterata la sovranita` degli Stati, le sue modifiche non potranno non
rispondere alla doppia regola della unanimita` e della semplice
ratifica parlamentare (10).
Il processo costituente prendeva dunque le mosse da questa
(10) Non e` ovviamente questa la sede per uno studio approfondito degli Articoli
di Confederazione. Ci limitiamo a ricordare la principale letteratura, ed in particolare
quella piu` rilevante per il profilo che piu` ci interessa, che e` quello del passaggio dalla
Confederazione alla Costituzione Federale: G.S. WOOD (a cura di), The Confederation
and the Constitution. The Critical Issues, Lanham, 1973; A.T. MASON, The States Rights
Debate: Antifederalism and the Constitution, Oxford University Press, 1972; e soprattutto la recente ricerca di K.L. DOUGHERTY, Collective Action under the Articles of
Confederation, Cambridge University Press, 2001. Piu` in genere, si veda anche R.B.
MORRIS, The Forging of the Union 1781-1789, New York, 1987, spec. pp. 298 e ss., per
gli aspetti che piu` ci interessano. Sul piano documentale, sono certamente utili R.
KETCHAM (a cura di), The Anti-Federalist Papers and the Constitutional Convention
Debates, New York, 1986; e M. KAMMEN (a cura di), The Origins of the American
Constitution. A Documentary History, New York, 1986.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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situazione di partenza: una Confederazione di Stati sovrani fondata


sul principio della equal sovereignty, e conseguentemente sul principio di unanimita` per lapprovazione di ogni modifica nelle relazioni tra quegli Stati. Cio` che interessa sul piano comparativo e`
vedere come questa situazione sia stata superata attraverso il processo costituente, evidentemente in direzione di un ridimensionamento netto del peso della singola sovranita` del singolo Stato.
I sostenitori della esigenza di un forte governo nazionale comune, come Alexander Hamilton, o James Madison, cercarono in
un primo momento di affrontare di petto la questione della sovranita`
degli Stati, proponendo un governo in qualche modo gerarchicamente sovraordinato rispetto ai governi statali. Nel piano presentato
da Hamilton il 18 giugno del 1787 era contenuta una misura in
questo senso esemplare: i Governatori degli Stati avrebbero dovuto
essere nominati dal governo nazionale, che avrebbero trasferito loro
il potere di dichiarare nulle le leggi statali contrarie alla Costituzione
ed alle leggi degli Stati Uniti. Nella proposta di Hamilton era
significativo anche il linguaggio: gli Stati erano chiamati particular,
ed il futuro governo federale era il general government nazionale (11).
Ed ancora, non dimentichiamo che fino al 17 luglio rimase in
discussione una proposta che aveva a lungo circolato, che attribuiva
direttamente al Congresso degli Stati Uniti un potere di veto nei
confronti delle leggi statali, anche in questo caso nella logica di una
ben precisa sovraordinazione della legge federale su quella statale (12).
Ebbene, proprio la vicenda costituente americana mostra come
in una situazione che in partenza e` quella di un complesso di Stati
sovrani legati con lo strumento del trattato siano perdenti le strategie
frontali, che puntano ad affermare il principio di gerarchia nelle
relazioni tra i soggetti istituzionali e tra le fonti di diritto. La
Costituente americana respinse inesorabilmente tutte le proposte
orientate in questa direzione, mantenendo fermo un punto: che gli
States Rights avrebbero rappresentato comunque una componente
essenziale dellordine costituzionale, anche dopo il passaggio alla
(11) The Plan presented by Alexander Hamilton, il 18 giugno 1787, in The Origins
of the American Constitution, cit., pp. 36-38.
(12) Si veda il punto in A.T. MASON, The States Rights Debate, cit., pp. 37 e ss.

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Costituzione federale. Questultima non avrebbe dovuto infatti essere intesa come la Costituzione che afferma la sovranita` dello Stato
federale, ed avrebbe piuttosto dovuto rappresentare la norma fondamentale capace di ordinare le relazioni tra tutti i poteri, federali e
statali, che e` cosa anche intuitivamente diversa.
Non e` certo un caso che proprio quel 17 luglio, che sopra si
ricordava come data che segna la sconfitta definitiva di tutti coloro
che volevano imporre il veto del Congresso degli Stati Uniti sulle
legislazioni statali, crei i presupposti per laffermazione della celebre
clausola di supremazia, che poi sara` contenuta nellarticolo VI,
secondo comma, della Costituzione: Questa Costituzione e le leggi
degli Stati Uniti che verranno fatte in conseguenza di essa, e tutti i
trattati conclusi, o che si concluderanno, sotto lautorita` degli Stati
Uniti, costituiranno la legge suprema del Paese; ed i giudici di ogni
Stato vi saranno vincolati, quali che siano le disposizioni in contrario
contenute nella Costituzione o nella legislazione di ogni Stato.
Insomma, una volta ricacciato indietro quel particolare tipo di
supremazia che sidentificava nella superiorita` gerarchica del potere federale, e della legge federale, sui poteri statali, e sulle leggi
statali, si creavano le condizioni per ammettere comunque, ed
inserire nella Costituzione, una nuova supremazia, che era pero`
quella della Costituzione medesima come legge suprema del Paese,
che in quanto tale non poteva non rappresentare, anche per i giudici
statali, la prima norma da applicare.
Vedremo piu` avanti qualche ulteriore implicazione di questa
scelta, evidentemente collegata al judicial review, al controllo diffuso
di costituzionalita`. Per ora premeva sottolineare la rilevanza di
questo insegnamento contenuto nella esperienza costituzionale americana: la costruzione di unUnione, di ununita` politica comune, che
parta da una pluralita` di sovranita` statali distinte, passa difficilmente
per la via diretta dellaffermazione di una nuova sovranita` a scapito
delle sovranita` esistenti, e sceglie piuttosto la via giurisdizionale, del
comune dovere di applicazione della medesima legge da parte di
tutti i giudici. La lesione al principio di sovranita` esiste comunque,
perche ora i giudici statali possono, ed anzi in certi casi debbono,
disapplicare la legge statale, che era fino a questo momento per loro
la fonte in cui si racchiudeva tutto il diritto da applicare, ma si tratta
di una lesione ben piu` ammissibile di quella che sarebbe derivata

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dallaffermazione immediata di una superiorita` formale e sostanziale


del potere federale, proprio perche attuata tramite lo strumento
della giurisprudenza, che per sua natura opera in modo puntuale e
progressivo, disteso nel tempo, adattabile in modo elastico alle
diverse fasi di evoluzione dei rapporti tra poteri federali e poteri
statali, ed in ultima analisi perche riconducibile ad una norma
comune ritenuta suprema, e non ad un potere in senso soggettivo,
diverso da quello statale ed a questultimo ritenuto superiore in
senso gerarchico.
Torniamo ancora per un attimo alla Costituente di Filadelfia.
Certo non per caso, in quel medesimo mese di luglio, una volta
rassicurati gli Stati sulla loro permanenza come Stati liberi ed
indipendenti, e` possibile finalmente porre loro la questione fondamentale del passaggio dal trattato alla costituzione. Gli Stati vi
possono consentire perche ora sanno che dentro la costituzione la
loro sovranita` sara` diminuita, ma non cancellata. E` Madison, nella
seduta del 23 luglio, a porre il problema, con grande chiarezza: cio`
che ora deve emergere e` la differenza tra un sistema fondato solo
sui Parlamenti, ed uno fondato sul popolo, ovvero lessenziale
differenza tra una lega, o un trattato, da una parte, ed una Costituzione dallaltra parte (13). La simmetria di Madison e` perfetta: il
trattato sta ai Parlamenti degli Stati come la Costituzione sta al
popolo.
Per popolo non sintendeva per altro certo il popolo americano
indistintamente inteso, che appena ora stava facendo il suo ingresso
nelluniverso delle relazioni politico-costituzionali, e che la stessa
Costituzione metteva in fin dei conti a fondamento di un solo organo
costituzionale, della Camera dei Rappresentanti. Madison intendeva
piuttosto mettere in rilievo la necessita` di dare un fondamento
popolare alla scelta per la costituzione, cio` che in concreto significava lo strappo della regola della semplice approvazione parlamentare contenuta nellarticolo tredicesimo degli Articoli di Confederazione. E questo fondamento lo si sarebbe ottenuto sostituendo alla
(13) The Records of the Federal Convention, ed. by M. FARRAND, New Haven,
1911, II, 93. I corsivi sono nel testo. Tutta questa fase, ed in particolare proprio la
problematica anche da noi messa in evidenza, e` esaminata da K.L. DOUGHERTY, Collective
Action under the Articles of Confederation, cit., pp. 140 e ss..

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procedura parlamentare, allinterno di ciascuno Stato, la ratifica


della nuova Costituzione per mezzo di Convenzioni appositamente
elette dai popoli degli Stati. E` allinsieme di queste Convenzioni che
possiamo riferire il momento decisivo nello svolgimento del processo costituente, lesercizio in concreto del potere costituente.
La vicenda americana mostra il carattere essenziale ed imprescindibile della approvazione popolare, proprio per il configurarsi
stesso di un autentico processo costituente. Senza quella approvazione, avrebbe probabilmente ripreso forza la prospettiva minore
della semplice riforma del trattato, ovvero degli Articoli di Confederazione, a quel punto con la connessa necessita` di rispettare
integralmente le regole della revisione contenute nellarticolo tredicesimo, anche per cio` che riguardava il requisito della unanimita`. Ed
invece, grazie alla svolta del luglio del 1787, anche questultimo
aspetto viene a cadere. Infatti, la Costituzione che si sta mettendo in
vigore non e` piu` rappresentabile come un semplice trattato tra Stati
sovrani, che esiste solo nella misura in cui tutti quegli Stati labbiano
sottoscritto, nel suo contenuto originario, e poi con tutte le successive modifiche. Ora, la Costituzione, pur presupponendo gli Stati, e
pur conservando in se buona parte della loro sovranita`, riposa su un
fondamento di carattere popolare, ovvero sulla approvazione da
parte dei popoli degli Stati, in una misura ritenuta sufficiente per la
legittimazione della svolta avvenuta, che non puo` corrispondere ad
una maggioranza semplice, ma sulla quale si ragiona dopo aver
ormai superato e rimosso la regola della unanimita`.
E tuttavia, a dimostrazione di quanto questo passaggio fosse
delicato ed impegnativo, i costituenti americani continuarono a
ragionarci sopra per alcune settimane. Nel First Draft of the Constitution, del 6 agosto, larticolo XXI mostra come un curioso spazio in
bianco. Vi leggiamo infatti: La ratifica da parte delle Convenzioni
di [] Stati sara` sufficiente per lorganizzazione della Costituzione,
ovvero per la messa in opera dei procedimenti necessari per lelezione della Camera dei Rappresentanti, del Senato, del Presidente
(art. XXIII), e dunque, in sostanza, per la messa in vigore della
Costituzione (14). A quella data, si era dunque gia` deciso di dare alla
(14) First Draft of the Constitution, in The Anti-Federalist Papers and the Constitutional Convention Debates, cit., p. 144.

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Costituzione un fondamento popolare, ma non si era ancora in


grado di prendere posizione sulla regola dellunanimita`: in teoria, in
quello spazio si sarebbe ancora potuto scrivere tredici. Solo dopo un
mese di discussioni, per la precisione il 30 agosto, si scelse per nove
Stati (15).
Cos`, nel testo definitivo della Convenzione, del 17 settembre,
inviato al Congresso della Confederazione per la sua approvazione e
la successiva messa in moto delle Convenzioni di ratifica negli Stati,
leggiamo una norma ancora diversa: La ratifica da parte delle
Convenzioni di nove Stati sara` sufficiente per lentrata in vigore di
questa Costituzione tra gli Stati medesimi che lavranno ratificata(articolo VII) (16). Era ora ancora piu` chiaro, non solo che la
regola della unanimita` era caduta, ma anche che si era pronti a fare
entrare in vigore la Costituzione tra quei nove Stati che lavessero
sottoscritta.
Il processo costituente aveva ormai evidentemente demolito del
tutto la vecchia logica del trattato: quegli Stati che non avessero
ratificato la Costituzione avrebbero potuto trovarsi soli. Cos` fu in
effetti. Il nono Stato a ratificare fu il New Hampshire, il 27 giugno
1788. In verita`, il Congresso attese ancora il decimo e lundicesimo
Stato, che furono rispettivamente la Virginia e New York, data
anche la loro rilevanza. Ma poi, il 13 settembre 1788, mise in vigore
la Costituzione. Rhode Island aveva respinto la Costituzione con un
apposito referendum, ma la Convenzione del North Carolina aveva
semplicemente chiesto che fossero presi in considerazione determinati emendamenti, da parte del Congresso e di uneventuale seconda
Convenzione. Non cera pero` piu` tempo per dialogare. La decisione
era stata presa, e la Costituzione doveva entrare in vigore. Del resto,
le soluzioni scelte mostravano che gli Stati non sarebbero stati affatto
cancellati allinterno del nuovo ordine costituzionale. Ma vi si
dovevano collocare dentro, o rifiutarlo: mantenere semplicemente la
vecchia posizione, pretendendo di far valere ancora la logica del
trattato e della unanimita` non era piu` possibile. Anche North
Carolina e Rhode Island alla fine ratificarono, rispettivamente il 21
(15) Si veda K.L. DOUGHERTY, Collective Action, cit., p. 160.
(16) Il testo della Costituzione inviato dalla Convenzione al Congresso si trova in
The Origins of the American Constitution, cit., p. 38.

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novembre del 1789, ed il 29 maggio del 1790. Cos`, i tredici Stati


fondatori si ritrovarono di nuovo tutti insieme, ma attraverso un
autentico processo costituente, che aveva prodotto, come esito
ultimo, un legame di qualita` completamente nuova.
3.

Alcuni possibili esiti del processo costituente europeo.

Il processo costituente americano non si arresto` con lemanazione della Costituzione Federale. Subito dopo, fu messo in moto il
procedimento che avrebbe condotto, il 15 dicembre del 1791,
alladozione del Bill of Rights. Anche questo puo` costituire un utile
elemento di comparazione con lEuropa, che in una certa misura
lega laffermazione della esistenza di un processo costituente europeo anche alla recente proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea (17).
La Carta europea e` certamente destinata, anche indipendentemente dal suo inserimento nel Trattato, a svolgere un ruolo di primo
piano. Nella sua vicenda si esprime bene quella via giurisdizionale
alla costruzione della comune forma politica, cui gia` si accennava
sopra a proposito della Costituzione federale americana: come si
ricordera`, i costituenti americani scartarono le soluzioni imperniate
sul principio della gerarchia dei poteri, come il veto congressuale
sulle leggi statali, e preferirono fondare la clausola di supremazia sul
dovere di tutti i giudici, statali e federali, di applicare in primo luogo
la Costituzione, la legge fondamentale del Paese.
La situazione europea non e` certo questa. Vi opera pero`, gia` ora,
il noto principio del primato del diritto comunitario su quello
nazionale, e dunque lobbligo dei giudici statali, nelle materie di
competenza comunitaria, a fronte di una normativa statale incompatibile con il diritto comunitario direttamente applicabile, di procedere senzaltro alla applicazione di questultimo ed alla conseguente non applicazione della norma statale interna. In seno alle
giurisdizioni degli Stati membri si e` dunque gia` ora accettata lidea
(17) Sul punto si veda S. NINATTI, Catalogo dei diritti e centralizzazione delle
competenze nelle esperienze federali: uno sguardo oltreoceano, in La difficile Costituzione europea, ricerca dellIstituto Luigi Sturzo, a cura di U. DE SIERVO, Bologna, 2001,
pp. 145 e ss.

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che i giudici debbano ubbidienza e fedelta` ad un diritto diverso da


quello statale, che a certe condizioni anzi prevale sul diritto statale.
E` cio` che era accaduto, due secoli prima, ai giudici statali americani,
con la clausola di supremazia contenuta nella Costituzione federale,
con questa differenza: mentre negli Stati Uniti il diritto prevalente,
caso per caso, su quello statale era contenuto nella Costituzione
stessa, o da essa derivato direttamente, in Europa il primato del
diritto comunitario si e` fino ad ora fondato in sostanza sugli obblighi
derivanti dai Trattati, e solo ora assume coloriture propriamente
costituzionali, con la proclamazione della Carta, e con la connessa
valorizzazione del concetto, a lungo circolante, anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia, di tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (18).
Il quesito che ora si pone e` per lappunto questo: se anche nel
caso europeo le ragioni della prevalenza sul diritto nazionale presso
i giudici statali da parte di un altro diritto possano assumere
contorni e significati di ordine costituzionale, tenendo presente il
limite fin qui fissato a tale prevalenza, ammissibile a condizione che
il diritto comunitario non violi i principi fondamentali e i diritti
inalienabili riconosciuti e garantiti dalle Costituzioni nazionali, come
quella italiana, e fissati dalle rispettive Corti costituzionali, assurte
cos` a vere e propri custodi, non solo della Costituzione stessa e del
suo nucleo fondamentale, ma anche di una sorta di riserva ultima
di sovranita`, assolutamente non disponibile (19). Si chiede, in modo
ancora piu` netto e reciso, se la Carta, una volta inserita nel Trattato,
a sua volta considerato come vera e propria Costituzione europea,
(18) Su questo punto, sullarticolo sesto del Trattato sullUnione europea, e sulle
problematiche connesse, rinviamo a M. FIORAVANTI-S. MANNONI, Il modello costituzionale europeo: tradizioni e prospettive, in Una Costituzione senza Stato, cit., pp. 23 e ss.;
ed alla sintesi di A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, 2002.
(19) Si veda in proposito G. MORBIDELLI, La tutela giurisdizionale dei diritti
nellordinamento comunitario, Milano, 2001; V. ONIDA, Armonia tra diversi e problemi
aperti. La giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario, in Quaderni costituzionali, 3/2002, pp. 549 e ss.; F. SALMONI, La Corte
Costituzionale e la Corte di Giustizia delle Comunita` Europee, in Diritto Pubblico, 2002/2,
pp. 491 e ss.; e M.A. CABIDDU, Costituzione europea e Carte dei diritti fondamentali, in
Profili della costituzione economica europea, Ricerca del Centro di Ricerche in Analisi
Economica, Economia Internazionale, Sviluppo Economico, a cura di A. QUADRIO
CURZIO, Bologna, 2001, pp. 177 e ss.

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attraverso il meccanismo ormai noto del primato del diritto comunitario, non divenga di fatto uno strumento di destrutturazione delle
Costituzioni nazionali e del sistema dei diritti fondamentali in esse
incardinato.
A tale quesito rispondiamo negativamente. In realta`, quellesito,
cos` catastrofico per le Costituzioni nazionali, e` pensato e previsto
sulla base del vecchio armamentario del diritto pubblico statale,
dominante in Europa tra Otto e Novecento: se ce` una Costituzione,
vuol dire che ce` uno Stato, e dunque che sono in pericolo le
sovranita` degli Stati esistenti, con le loro rispettive Costituzioni. Non
sara` cos` in Europa, poiche la stagione del diritto pubblico statale e`
storicamente ormai trascorsa. Cio` che il processo costituente europeo sta costruendo non e` un nuovo Stato dotato dei caratteri
tradizionali della sovranita`, ma unoriginale forma politica sovranazionale, la cui Costituzione conterra` una parte comune, in una certa
misura gia` espressa nella Carta, e che sempre piu` si precisera` nel
dialogo tra le giurisdizioni, comunitaria e nazionali, e tante parti
proprie quanti saranno gli Stati membri, entro le quali si conserveranno gli specifici nazionali, anche se non in modo chiuso ed isolato,
ma entro un rapporto di continua dialettica con la parte comune.
Del resto, anche lo stesso Bill of Rights americano non fu affatto
concepito come un sistema di principi e di valori da imporre agli
Stati. Al contrario, in una celebre deliberazione del 1789 il Congresso degli Stati Uniti, respingendo un emendamento di Madison,
stabil` che il Bill of Rights non si dovesse applicare in ambito statale,
ovvero che non fosse ammissibile lipotesi di una legge statale da
dichiarare nulla, e da disapplicare, in quanto contraria al medesimo
Bill (20). Ne si puo` dimenticare che il medesimo testo costituzionale
conteneva il celebre X emendamento: I poteri non delegati dalla
Costituzione agli Stati Uniti, o da essa non vietati agli Stati, sono
riservati ai rispettivi Stati, ovvero al popolo, che unito al precedente
IX: Lenumerazione di alcuni diritti fatta nella Costituzione non
potra` essere interpretata in modo che ne rimangano negati o menomati altri diritti che il popolo si e` riservato, ribadiva con forza il
(20) Si veda in proposito States Rights and American Federalism, ed. by F.D.
DRAKE e L.R. NELSON, Westport-London, 1999, pp. 67 e ss.

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ruolo degli States Rights, e dunque lintegrita` del sistema dei diritti
fissato nelle Costituzioni statali.
Certo, come` ben noto, le vicende successive volgeranno nel
senso di un incremento consistente dei poteri federali a scapito di
quelli statali, ma piu` sulla base di una nota interpretazione estensiva
della necessary-and-proper clause, contenuta nellultimo capoverso
della sezione ottava dellarticolo primo della Costituzione federale,
che non per la via del Bill of Rights, che ancora una sentenza del
1833 della Corte Suprema considerava non opponibile agli Stati ed
alla loro legislazione. In effetti, solo allinizio degli anni Venti del
Novecento la stessa Corte Suprema, facendo leva soprattutto sul
XIV emendamento, arrivo` alla conclusione che gli Stati fossero
sottoposti al principio del due process of law contenuto nel Bill of
Rights, ed in particolare nel V emendamento (21).
In realta`, proprio la vicenda americana mostra come in una
situazione di partenza data da una pluralita` di Stati sovrani sia ben
difficile arrivare al risultato di poter legalmente opporre alle leggi, ed
alle Costituzioni statali, diritti fondamentali ad esse ritenuti superiori
perche fondati nella legge fondamentale comune, approvata dagli
Stati stessi. Se negli Stati Uniti si e` impiegato ben piu` di un secolo
per arrivare a questo risultato, nonostante la clausola di supremazia
contenuta nella Costituzione, e nonostante limmediata adozione del
Bill of Rights come parte integrante della Costituzione medesima,
non si vede perche in Europa gli Stati debbano cos` facilmente
lasciare che le loro Costituzioni siano sovvertite sul piano europeo.
Del resto, non e` proprio un caso che la stessa Carta europea si
preoccupi in modo cos` marcato di rassicurare su questo punto, con
le disposizioni sullambito di applicazione e sul livello di protezione
(21) Cos` recita la necessary-and-proper clause: che il Congresso avra` facolta` di
fare tutte le leggi necessarie ed adatte per lesercizio dei detti poteri, cio` che indubbiamente attenuava assai, nel passaggio dalla Confederazione alla Federazione, il principio di tassativita` delle materie su cui il Congresso poteva esercitare le sue competenze.
Per la sentenza della Corte Suprema del 1833 si veda States Rights and American
Federalism, cit., p. 91. Il XIV emendamento, del 23 luglio 1868, stabiliva che
Nessuno Stato privera` alcuna persona della vita, della liberta`, o della proprieta`, senza
una procedura legale nella dovuta forma. Anche su questa fase, si vedano i documenti contenuti in States Rights, cit., pp. 139 e ss. Sotto un profilo diverso, si veda anche
John Marshall. Judicial Review e Stato federale, a cura di G. BUTTAv , Milano, 1998.

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(articoli 51 e 53), che stabiliscono lapplicabilita` delle disposizioni


contenute nella Carta agli Stati membri, ma esclusivamente nellattuazione del diritto dellUnione, e garantiscono inoltre circa la
permanenza delle competenze definite dai Trattati, e soprattutto
circa limpossibilita` di limitare la garanzia dei diritti fondamentali
fissata, in particolare, non solo nella Convenzione europea del 1950,
ma anche nelle Costituzioni degli Stati membri.
Quel che emerge, in ultima analisi, e` che in una costituzione
federale, sia essa quella americana gia` sperimentata da due secoli, o
quella europea che si vorrebbe fare, gli States Rights sono destinati
a rappresentare una componente essenziale (22). Noi crediamo dunque che anche in Europa, come gia` negli Stati Uniti, si possa seguire
la via giurisdizionale , a partire dalla Carta, che in fondo nasce dalla
giurisprudenza, e ad essa e` destinata a tornare, nella interazione, e
nel dialogo, certamente destinati a crescere, tra giurisdizioni, comunitaria e nazionali, ma crediamo anche che questo diritto costituzionale comune europeo, di origine giurisprudenziale, ben difficilmente
potra` trovare un punto di sintesi qualificabile come costituzione se
non si affrontera` il nodo degli States Rights su un piano necessariamente diverso, che non puo` non essere quello, politico piu` che
giurisdizionale, di una incisiva riforma dei Trattati, tale da mutare la
qualita` del rapporto esistente tra gli Stati membri.
Come ci insegna proprio lesempio americano, quando si parte
da una situazione di equal sovereignty tra una pluralita` di Stati, con
la lotta per la costituzione, che parte da quella situazione, non si
esprime solo laffermazione di una legge fondamentale comune che
tutti i giudici devono applicare, ma anche, ed anzi in primo luogo, la
trasformazione del legame esistente tra gli Stati, non piu` riconducibile nei confini noti del trattato. In altre parole, si vuole una
costituzione perche si pensa di avere un diritto comune da espri(22) Si veda ancora la sintesi complessiva di F. MCDONALD, States Rights and the
Union, cit., passim. Sara` anche bene ricordare come nella prima meta` dellOttocento
fosse ancora in discussione la cosiddetta nullification, ovvero il veto dello Stato opposto
alla esecuzione della legge federale, che fosse ritenuta lesiva dei poteri dello Stato, che
derivava dalla convinzione che la sovranita` risiedesse esclusivamente negli Stati e nei loro
popoli, unici autori della stessa Costituzione federale: si veda in proposito M.L.
SALVADORI, Potere e liberta` nel mondo moderno. John C. Calhoun: un genio imbarazzante,
Roma-Bari, 1996, pp. 229 e ss.

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mere, ma prima ancora perche si pensa che il trattato non basti piu`,
che linsieme delle relazioni tra gli Stati non sia piu` contenibile nella
dimensione del trattato e formi invece un ordine che merita una
costituzione. Questo sembra essere il punto al quale si e` arrivati oggi
in Europa, ed e` da questa prospettiva che sembra imminente un vera
e propria svolta per il processo costituente europeo.
Gia` avevamo posto questo problema, allinizio del nostro contributo: quando la riforma dei Trattati cessa di essere una semplice
opera di riordino e di semplificazione per divenire vera e propria
opera costituente? E` certamente importante che il Trattato dellUnione riformato accolga la Carta, dando cos` ulteriore impulso
alla formazione, per via giurisprudenziale, del diritto costituzionale
comune europeo. Noi crediamo pero` che tutto questo non sia
rappresentabile ancora come un autentico processo costituente. Il
processo costituente europeo non puo` operare solo con lo strumento
della giurisprudenza, ed alimentarsi di una logica puramente incrementale ed evolutiva. Anche in questo caso, per avere una costituzione e` necessaria una decisione. E` quella decisione che assunsero
come abbiamo visto i costituenti americani, quando abbandonarono la via della revisione degli Articoli di Confederazione, e con
essa la duplice regola della unanimita` degli Stati e della semplice
approvazione parlamentare.
Quella regola era contenuta nellarticolo tredicesimo degli Articoli di Confederazione. Anche noi in Europa abbiamo oggi il
nostro articolo tredicesimo da superare: e` larticolo 48 del Trattato
sullUnione Europea, che prevede il metodo della Conferenza intergovernativa per la modifica dei Trattati, e si conclude con un ultimo
comma: Gli emendamenti entreranno in vigore dopo essere stati
ratificati da tutti gli Stati membri conformemente alle loro rispettive
regole costituzionali (23). La differenza con gli Articoli di Confederazione sta solo nel fatto che larticolo 48 del Trattato si limita a
rinviare alle regole costituzionali degli Stati membri, non prescrivendo un modo di ratifica che si esaurisca necessariamente nella
(23) Sulla regola del comune accordo nella revisione dei Trattati, vedi B. DE
WITTE, Il processo semi-permanente di revisione dei trattati, in Quaderni costituzionali,
3/2002, pp. 499 e ss. Nello stesso Quaderno vedi anche le considerazioni di G. AMATO,
La Convenzione Europea. Primi approdi e dilemmi aperti, ibid., pp. 449 e ss.

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approvazione parlamentare, cosicche quegli Stati potrebbero ben


decidere per lintroduzione della voce popolare diretta nel procedimento di ratifica. E` noto per altro che alcuni Stati hanno gia` deciso
in questo senso.
E` questo il vero banco di prova per il processo costituente
europeo: il modo popolare di ratifica del Trattato riformato, ed
insieme la rottura della regola della unanimita`, la decisione per una
regola che stabilisca lentrata in vigore della Costituzione europea tra
gli Stati che lavranno ratificata, ovviamente a condizione che si tratti
di un numero elevato e rappresentativo degli Stati membri. Come si
ricordera`, i costituenti americani stabilirono 9 su 13.
Non spetta certo a noi formulare vere e proprie proposte (24).
Possiamo pero` confrontarci, in conclusione, con lo Studio di fattibilita` reso noto dalla Commissione Europea il 5 dicembre 2002, che
e` corredato da un progetto organico di Costituzione dellUnione
Europea, e che tocca in modo dettagliato proprio la nostra problematica, forse troppo a lungo elusa, dei modi di ratifica.
Lo Studio della Commissione si fonda su un concetto di base,
che e` quello di dotare lUnione di una Costituzione che sostituisce
i trattati esistenti (p. I): non si poteva certo essere piu` chiari di cos`
nellindicare lobbiettivo. Tuttavia, non appena si approfondisce un
po di piu` largomento, ci rendiamo subito conto della sua complessita`. Intanto, in una Comunicazione del giorno precedente, del 4
dicembre, della stessa Commissione, in qualche modo diretta alla
Convenzione, si registra lesistenza di unalternativa, ancora del tutto
aperta: se concludere i lavori della medesima Convenzione con una
semplice riforma dei Trattati, a quel punto fatalmente seguendo
senza variazione alcuna le modalita` indicate dallarticolo 48, o se
puntare decisamente, come risultato della medesima opera di riforma, al Constitutional Treaty, da collocare al posto dei Trattati
esistenti, lavorando cos` in modo ben piu` incisivo sullo scarto tra
Trattato e Costituzione, e dunque ponendo anche il problema, a
quel punto, di modalita` nuove di approvazione e di ratifica (p. 23).
Anche secondo noi, e` questa lalternativa fondamentale. La
prima ipotesi e` tuttaltro che esclusa. Non e` insomma affatto detto
(24) Si veda Institutional Reforms in the European Union. Memorandum for the
Convention, Roma, 2002.

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che questa tanto conclamata Costituzione europea arrivi davvero,


magari nella forma appena enunciata del Trattato Costituzionale. E
puo` invece accadere che il processo costituente europeo si arresti, e
rifluisca lentamente e mestamente in unordinaria opera di riforma
dei Trattati. Noi qui pero` ragioniamo con la tecnica del come se, e
dunque procediamo avanti nel prendere in considerazione la seconda ipotesi, come se essa fosse prossimamente destinata a prevalere conducendoci questa volta davvero sulla via della Costituzione
europea. Quali problemi incontreremmo su questa via?
In primo luogo, si deve mettere in rilievo che scegliere la via
della Costituzione non significa affatto proporre, ed imporre, un
rottura dellequilibrio istituzionale su cui si fonda lUnione Europea:
tra gli stessi sostenitori della Costituzione e` del tutto prevalente
lidea che lUnione abbia una propria natura specifica, sottratta
comunque al processo costituente, e che tale natura sia in se
dualistica, dipendendo in ogni caso per un lato dagli Stati membri.
Cio` significa, in concreto, che non si fa la Costituzione perche si
vuole mutare tale natura dellUnione, nella prospettiva dello Stato
federale europeo, e della conseguente riduzione degli Stati membri
a semplici parti dellunico corpo politico federato. Non e` questo il
punto, non e` questo cio` che si vuole, non e` questo il motivo per cui
si vuole la Costituzione europea. Su questo aspetto non si insistera`
mai abbastanza, data la sua importanza strategica, e data soprattutto
la necessita` di svincolare in modo netto limmagine della Costituzione europea dallimmagine dello Stato federale europeo, in qualche modo destinato ad assorbire gli Stati membri.
La Costituzione europea non e` dunque questo, non e` la legge
fondamentale di un ipotetico Stato federale europeo. Dunque,
cosaltro e`? Noi riteniamo che la si possa intendere come un insieme
di principi fondamentali, che i soggetti costituenti, ovvero gli Stati
membri con i loro rispettivi popoli, dichiarano essere, nel loro
complesso, i principi storicamente caratterizzanti lUnione: la Costituzione e` in questo caso il nucleo fondamentale del patto che sta alla
base della stessa Unione. In questo senso, il processo costituente
europeo puo` essere inteso come quel processo che tende ad estrarre
dalla complessa materia dei Trattati tale nucleo fondamentale,
collocandovi le grandi norme di principio, sulle finalita` ed i compiti
dellUnione, sui diritti fondamentali, sui poteri e sugli strumenti

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normativi, sulle procedure di decisione. E che questa sia la costituzione dovra` essere chiaro anche per il tramite, come sempre decisivo, delle future norme sulla revisione, che dovranno prevedere, per
tale nucleo, la protezione di un procedimento particolarmente
aggravato, con maggioranze particolarmente elevate, sia allinterno
delle istituzioni dellUnione coinvolte nel procedimento, sia in sede
di ratifica da parte degli Stati membri. Se questo dovesse essere
davvero lesito del processo che stiamo analizzando, nel decorso del
tempo ci abitueremmo a considerare costituzione nientaltro che
questo, ovvero quella parte del patto tra gli Stati che si presenta
come piu` rigida perche contenente i caratteri essenziali del patto
medesimo: cio` che pare essere per altro una conclusione del tutto
adeguata e logica per una vicenda singolare come questa, che sembra
produrre per lappunto una costituzione a partire da un trattato.
Rimane pero` un problema, che e` in un certo senso quello dal
quale siamo partiti. Ricordiamo per un attimo il celebre intervento
alla Costituente di Filadelfia di James Madison, del 23 luglio
1787 (25). Madison sapeva bene che la regola per la riforma degli
Articoli di Confederazione, ancora ben vigenti tra gli Stati, era quella
della unanimita`, e sapeva altrettanto bene che per lo meno due Stati
Rhode Island e North Carolina avrebbero votato contro. Con
grande decisione disse allora alla Convenzione: la regola della
unanimita` vale per la riforma degli Articoli, ovvero del trattato
esistente, ma noi non stiamo riformando un trattato, ma facendo una
cosa diversa, che si chiama costituzione, che noi fonderemo sulla
volonta` dei popoli, oltre quindi la semplice approvazione delle
legislature statali prevista dagli Articoli, e quando quella volonta` sara`
chiaramente espressa da parte delle Convenzioni appositamente
elette di 9 Stati su 13 , noi metteremo legittimamente in vigore la
Costituzione, tra gli Stati che lavranno approvata.
Oggi siamo in Europa al medesimo punto. Se ne sono accorti gli
autori dello Studio di fattibilita` della Commissione Europea del 5
dicembre, che sopra abbiamo gia` ricordato. Certo, non e` piu` il
tempo delle Assemblee costituenti, e cos` non troviamo, in questo
documento, i toni perentori di Madison, o una formulazione altrettanto netta della differenza tra trattato e costituzione. Anzi, il
(25)

Vedi supra, nota 13.

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tentativo e` palesemente quello di conciliare, di stemperare, di ricondurre alla dimensione della procedura regolata il passaggio dal
trattato alla costituzione. Non ve` dubbio tuttavia che il problema sia
quello, in sostanza lo stesso formulato da Madison.
Si propone cos` che la Costituzione europea denominata
Treaty on the Constitution entri in vigore mediante un Agreement
tra gli Stati membri, che prevede quanto segue: 1) che almeno tre
quarti degli Stati formulino una dichiarazione solenne di appartenenza alla Unione Europea, ora dotata di Costituzione (articolo 5);
2) che con gli Stati che non intendano formulare tale dichiarazione
si aprano negoziati tesi a disciplinare la loro futura posizione nei
confronti dellUnione (articolo 4); 3) che ad una certa data, a
condizione che almeno cinque sesti degli Stati abbiano sottoscritto
lAgreement, o nella forma della dichiarazione solenne, o in quanto
abbiano concluso i negoziati previsti nel punto precedente, la Costituzione entri in vigore, ovviamente tra gli Stati che labbiano
ratificata nella forma prevista al punto primo (articolo 6. 2 e 3).
Lintento e` evidente: salvare il piu` possibile la regola della
unanimita` prevista nellarticolo 48 attraverso lo strumento dellAgreement, nella speranza che tutti gli Stati trovino il modo di
esprimere in esso la propria posizione, di piena appartenenza, o di
associazione piu` o meno stretta, secondo quanto si stabilira` nei
negoziati con ciascuno degli Stati che non intenderanno ratificare la
Costituzione. E tuttavia, la spessa coltre delle regole di procedura
non riesce a nascondere del tutto la sostanza: che quando si sara`
raggiunta nel senso che sopra abbiamo precisato la quota dei
cinque sesti degli Stati, lAgreement sara` considerato concluso,
creando cos` il presupposto per lentrata in vigore della Costituzione, ovviamente tra i soli Stati che lavranno ratificata. A quel
punto, ogni ulteriore negoziato, eventualmente ancora in corso,
diverra` irrilevante, perche si sara` creata come una nuova legittimita`,
che rendera` possibile non attendere piu` nessuno. Si presumera` anzi
che gli Stati fuori dallAgreement siano ormai, per loro stessa
volonta`, fuori dallUnione.
Alla fine, vi e` dunque, anche in questo caso, una decisione alla
base della costituzione: si e` cioe` deciso che in cio` che chiamiamo
Costituzione europea sia contenuto un complesso di principi, e di
regole, di tale rilevanza per lEuropa da non poter essere lasciato

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297

MAURIZIO FIORAVANTI

inespresso per la volonta` contraria di solo un quinto degli Stati


membri. Non e` un ragionamento molto dissimile da quello dei
costituenti americani, che non potevano rinunciare, dal loro punto
di vista, al progetto contenuto nella Costituzione federale per lopposizione ad esso del Rhode Island e della North Carolina.
Ce` pero` una differenza, con cui vorremmo concludere. Per i
costituenti americani fu decisivo largomento del voto popolare. E`
vero infatti che si stabil` che sarebbe stata sufficiente, al posto della
unanimita` prevista dagli Articoli di Confederazione, la ratifica di
nove Stati su tredici, ma da ottenere attraverso speciali Convenzioni
direttamente elette dai popoli, e non piu` per via puramente parlamentare. Questo punto sembra invece intangibile in Europa. Lo
stesso Agreement sara` infatti ratificato dagli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali (art. 6.1), perfettamente in linea con larticolo 48 del Trattato sullUnione, e dunque
con la ratifica parlamentare. Si e` osservato sopra che per altro alcuni
Stati hanno gia` deciso a favore dellintroduzione della voce popolare
diretta nel procedimento di ratifica, e che altri potrebbero ben farlo,
pur rimanendo ferme le norme attuali. Noi riteniamo tuttavia che
questo non sia sufficiente, e che si dovrebbe compiere uno sforzo
ulteriore in questa direzione, in modo da garantire una deliberazione
popolare sulla Costituzione in ciascuno Stato, magari da effettuarsi
contestualmente, nella stessa data, e con modalita` comuni. Pensiamo
che questo sia un punto non cos` facilmente eludibile, per un motivo
molto serio, che attiene al piano della legittimazione: se davvero si e`
deciso di mettere in discussione, almeno in parte, il fondamento
internazionalistico dellUnione, consistente nel principio dellunanime e comune accordo tra gli Stati, non si potra` allora troppo a
lungo rimanere a meta` del guado, e si dovra` ricercare anzi rapidamente sullaltra sponda una legittimazione nuova per lUnione, e per
la sua Costituzione, che non potra` non essere quella popolare.
Ovviamente, data la particolare natura dellUnione, rimarra` il marchio dorigine, e dunque tale legittimazione non andra` ricercata nel
popolo europeo, o in una speciale occasione costituente, ma nei
popoli dei singoli Stati, ed allinterno dei procedimenti di ratifica tra
gli Stati concordati. Entro questi limiti, un fondamento popolare per
la Costituzione europea sembra essere ormai necessario.

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ANGELA DE BENEDICTIS

RESISTERE: NELLO STATO DI DIRITTO,


SECONDO IL DIRITTO ANTICO,
NELLEUROPA DEL DIRITTO AL PRESENTE
si rischia di provocare una loro [dei diritti] totale
incomprensione continuare a parlarne come ancora
oggi si fa mantenendo ben saldo in testa il modulo
inabdicabile dello Stato sovrano protettore; visione
positivistica e paleo-liberale insieme che riproduce antistoricamente oggi una lontana infanzia dei diritti quali
situazioni bisognose di una tutela forte e pertanto
affidati allo Stato e pensati nello Stato (1).

Queste considerazioni di Paolo Grossi nella Pagina introduttiva


del trentesimo numero dei Quaderni Fiorentini aiutano chi scrive
(ed e` bene precisare subito che si tratta di una storica non giurista)
a presentare il problema diritto di resistenza e a delineare in
apertura lapproccio che verra` seguito.
I. Il diritto di resistenza e` una questione che appartiene in
pieno alle scienze ottocentesche dello Staatsrecht, del diritto pubblico, del diritto costituzionale. Al loro interno viene tematizzato,
partendo dalla scienza tedesca di fine 700 e giungendo alla scienza
italiana di fine 800, come garanzia della liberta` gia` compiutamente
realizzata nello Stato di diritto e quindi ormai privo di ragioni
giuridiche, dotato unicamente di interesse storico residuale. Ora
che la teoria dello Stato di diritto viene vista criticamente in pro-

(1) P. GROSSI, Pagina introduttiva (Storia e cronistoria dei Quaderni fiorentini), in


Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 30, 2001, I,
pp. 1-12:11.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

spettiva storica (2); ora che alla prassi delle tradizioni costituzionali
comuni e` conferito un ruolo privilegiato dal fenomeno globalizzazione (3), il problema diritto di resistenza puo` essere smontato
nelle componenti della sua costruzione teorica ottocentesca e riportato ad una questione fondamentale di prassi, intorno alla quale il
pensiero giuridico medievale e moderno ha costantemente e ripetutamente riflettuto. Il diritto al presente (4) delleta` della globalizzazione puo` comprendere, per laffollamento che lo caratterizza, il
carattere inclusivo, piuttosto che esclusivo e selettivo (5) degli
argomenti utilizzati da giuristi medievali e moderni nel discutere non
tanto sul diritto di resistenza, quanto piuttosto sulla liceita` di
resistere secondo il diritto/i diritti.
Prima di entrare in medias res vale la pena ricordare quale
attenzione ricevesse il diritto di resistenza poco piu` di trentanni
fa. Lo si fara` sulla base di un breve ma denso intervento di un
filosofo del diritto (Norberto Bobbio), e di una lunga e dettagliata
voce quasi una monografia di uno storico del diritto (Giovanni
Cassandro): due esempi diversi di un forse comune Zeitgeist.
Nel 1971, nello stesso anno in cui si progettava il primo numero
dei Quaderni Fiorentini, Norberto Bobbio segnalava il rinnovato
interesse per il problema della resistenza, dopo aver sottolineato il
nesso tra stato liberale e democratico e costituzionalizzazione del
diritto di resistenza (6). Dal punto di vista istituzionale lo Stato
liberale e poi democratico, che venne instaurato a poco a poco nei
paesi piu` progrediti lungo tutto larco del secolo scorso, fu caratterizzato da un processo di accoglimento e di regolamentazione delle
varie richieste provenienti dalla borghesia in ascesa per un contenimento e per una delimitazione del potere tradizionale. Poiche queste
(2) P. COSTA - D. ZOLO (eds.), Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Milano,
Feltrinelli, 2002.
(3) P. GROSSI, Pagina introduttiva, cit.
(4) M.R. FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni,
Bologna, il Mulino, 2002.
(5) Ivi, p. 65.
(6) N. BOBBIO, La resistenza alloppressione, oggi, relazione tenuta al convegno
sassarese su Forme di autonomia e diritto di resistenza nella societa` contemporanea
organizzato da PIERANGELO CATALANO (Autonomia e diritto di resistenza, Studi Sassaresi, III, 1970-71), ora in Leta` dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, pp. 159-179: 162.

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ANGELA DE BENEDICTIS

richieste erano state fatte in nome o sottospecie del diritto alla


resistenza o alla rivoluzione, il processo che diede luogo allo stato
liberale e democratico si puo` ben chiamare un processo di costituzionalizzazione del diritto di resistenza e di rivoluzione (7). Le
ragioni storiche della reviviscenza dellinteresse per il problema
della resistenza dipendevano dal fatto che sia sul piano ideologico
sia sul piano istituzionale [era] avvenuta uninversione di tendenza
rispetto alla concezione e alla prassi politica attraverso cui si venne
formando lo Stato liberale e democratico ottocentesco (8). Per
quanto allora non si svolgesse sul piano della storia del pensiero
giuridico, il ragionamento di Bobbio coglieva puntualmente la differenza tra le discussioni condotte dagli autori del XVI e XVII
secolo (9) e quelle del presente, una differenza che toccava lessenza
stessa del diritto di resistenza (10): I teorici antichi discutevano sul
carattere lecito o illecito della resistenza sotto le sue diverse forme,
ovvero ponevano il problema in termini giuridici, mentre coloro i
quali discutono oggi di resistenza o di rivoluzione ne parlano in
termini essenzialmente politici, cioe` si chiedono se questa resistenza
e` opportuna e efficace; non si chiede se essa e` giusta e costituisce un
diritto, ma se e` conforme allo scopo (11).
Nel 1968, tre anni prima dellintervento di Norberto Bobbio, il
volume XV del Novissimo Digesto Italiano pubblicava la voce
Resistenza (diritto di) redatta da Giovanni Cassandro: una lunga
trattazione sulla storia del diritto di resistenza, da Antigone alle
costituzioni contemporanee che prevedevano il diritto di resistenza,
che attraversava i numerosi momenti di emersione del problema nel
pensiero giuridico e filosofico medievale, moderno (con una parti(7) N. BOBBIO, La resistenza alloppressione, cit., p. 165.
(8) Ivi, p. 167.
(9) Ricordo qui solo, al proposito, che Bobbio stilo` la Avvertenza editoriale della
traduzione italiana a cura di Antonio Giolitti dello studio di O. VON GIERKE, Giovanni
Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche. Contributo alla
storia della sistematica del diritto, Torino, Einaudi, 1943, pp. IX-X, come segnalato da L.
MANGONI, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta,
Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 95.
(10) Lo ha sottolineato M. TURCHETTI, Tyrannie et tyrannicide de lAntiquite a` nos
jours, Paris, PUF, 2001, nel capitolo dedicato al problema Vitalita` del diritto di
resistenza alle soglie del XXI secolo, alla p. 935.
(11) N. BOBBIO, La resistenza alloppressione, cit., p. 172.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

colare attenzione alle guerre di religione) e contemporaneo sulla


base di una amplissima e aggiornata letteratura. Il gia` giudice della
Corte costituzionale e politicamente liberale Cassandro non era
particolarmente disposto a riconoscere valore giuridico, e quindi
ammissibilita`, al diritto di resistenza nel diritto contemporaneo.
Riconosceva pero` che per moltissimi secoli il diritto di resistenza fu
ritenuto avere valore giuridico. In quanto diritto che mirava non gia`
a instaurare un ordine nuovo, ma a restaurare lordine vigente,
illegittimamente violato, e arbitrariamente esercitato (12), il diritto
di resistenza era stato patrimonio comune della dottrina giuridica
dellEuropa occidentale, nonostante la quasi impossibilita` a riconoscerlo come istituto giuridico. In verita` il problema del dirittodovere di resistenza... e` riconducibile allaltro del rapporto liberta`autorita`, lungo il quale si svolge la storia delle societa` umane e degli
Stati, in seno alla complessa trama della quale la resistenza appare
come un filo rosso continuo. Meditare sopra la resistenza non era
possibile senza meditare insieme sui problemi della vita dello Stato
e del diritto nella storia dellOccidente... La resistenza non e` affatto
scomparsa, nonostante la constatazione della sua incompatibilita` con
lo Stato moderno (13). Era stata riproposta, nel XX secolo, dal
formarsi di stati totalitari e da nuove forme di tirannide. E tiranno,
per Cassandro, poteva essere oltre al dittatore anche lo Stato
che si ponesse come unica fonte del diritto; anche lo Stato, quindi,
che facesse violenza agli enti politici minori: agli Stati di uno Stato
federale, a regioni, a citta`.
Ventanni dopo la voce di Cassandro, quando ormai il ragionare in termini di pensiero giuridico aveva acquisito completa
cittadinanza nella ricerca italiana, unaltra voce, di nuovo redatta
da un filosofo del diritto, da Francesco Maria De Sanctis, proponeva
una definizione estremamente inclusiva del diritto di resistenza:
Il tema e` la resistenza al potere: il problema e` se e quando questa
puo` assumere la connotazione di un diritto. Se lobbedienza, intesa
come obbligo, e` il segno che legittima il potere rendendolo effettivo,
la resistenza ad esso rappresenta una crisi piu` o meno radicale
(12) G. CASSANDRO, Resistenza (diritto di), in Novissimo Digesto Italiano, XV,
Torino, Utet, 1968, pp. 590-613, 604.
(13) Ibidem.

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ANGELA DE BENEDICTIS

delleffettivita` di questo (essendo resistenza il contrario di obbedienza), vale a dire il venir meno parziale o totale dellobbligo di
obbedienza. La pensabilita` di un diritto di resistenza, pertanto, si
determina in funzione della pensabilita` di una differenza tra diritto
e potere tale che una definizione generalissima di esso potrebbe
essere: diritto di resistenza e` il diritto di un soggetto (individuo,
gruppo, popolo) di non obbedire ad un potere illegittimo o agli atti
del potere non conformi al diritto. Tale definizione, pur nella sua
generalita`, sottintende una distinzione tra potere legittimo e illegittimo; tra uso legittimo o illegittimo del potere. Distinzione che
diventa delicata e difficile laddove il potere si configura in particolare come il potere politico dello Stato, e specificamente dallepoca
in cui questo, superiorem non recognoscens, e` fatto coincidere con il
concetto di sovranita` (14).
Appare allora necessario riandare al pensiero giuridico che ha
formulato il dogma della sovranita` dello Stato (Stato di diritto, Stato
moderno), per osservare come l` sia stato costruito il diritto di
resistenza. Lesigenza odierna di verificare come siano stati forgiati
concetti gia` giudicati storicamente costanti e universalmente validi,
su cui si e` negli ultimi tempi sviluppato uno specifico campo di
indagine, tanto ricco quanto diversificato (15), costituisce anche da
qualche anno una urgente preoccupazione di alcuni storici impegnati a comprendere e a far comprendere come le peculiarita` e le
differenze della Alteuropa rispetto allEuropa degli Stati nazionali
sovrani possano in qualche modo servire alla comprensione dellEuropa contemporanea. Se la scienza giuridica tedesca ottocentesca e`
stata la prima ad assegnare il Widerstandsrecht allo Staatsrecht, la
attuale storiografia tedesca e` stata di nuovo la prima a voler conte(14) F.M. DE SANCTIS, Resistenza (diritto di), in Enciclopedia del diritto, XXXIX,
Milano, Giuffre`, 1988, pp. 994-1003: 994-995. La rilevanza di questa voce per una
attuale considerazione del problema e` ora nuovamente sottolineata da D. QUAGLIONI,
Conclusioni, in A. DE BENEDICTIS-K-H. LINGENS (eds.), Sapere, coscienza e scienza nel
diritto di resistenza (XVI-XVIII sec.) - Wissen, Gewissen und Wissenschaft im Widerstandsrecht (16.-18. Jahrhundert). Atti del Seminario Bologna 23-24 Febbraio 2001, Frankfurt
am Main, Klostermann, 2003 (in corso di stampa).
(15) V. la recente discussone nel convegno (organizzato dallIstituto universitario
Suor Orsola Benincasa) Per una storia dei concetti giuridici e politici europei (Napoli,
20-22 febbraio 2003), i cui atti sono di prossima pubblicazione.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

stualizzare quel diritto in quella scienza. Da qui si partira`, anche


perche , come si e` accennato sopra, pure la scienza giuridica italiana
avrebbe seguito un percorso analogo (che chi scrive sta cercando di
rintracciare).
Nella Sattelzeit della fine del XVIII secolo, cos` rilevante per la
scienza del diritto pubblico (16), il trattato di un protagonista del
tardo illuminismo tedesco, August Ludwig Schlo zer, dava inizio ad
una longeva tradizione interpretativa che aveva le sue radici nel
fondamentale mutamento concettuale verificatosi a partire dalla
seconda meta` del XVIII secolo. Nel ricostruire lorigine del problema di ricerca Widerstandsrecht, Robert von Friedeburg ha
assegnato qualche anno fa un ruolo fondamentale allo Allgemeines
Statsrecht und Statsverfassungslehre di Schlo zer, pubblicato nel
1793 (17). Qui lorigine del nuovo diritto statale veniva localizzato
nella Riforma di Lutero e Zwingli, e nel conflitto confessionale il
diritto di resistenza trovava la sua nuova formulazione: Von der
Zeit an war die groe Frage von dem jure resistendi, aus der in der
Folge das Staatsrecht erwachsen musste (18). La novita` stava per
Schlo zer soprattutto nella generalizzazione del problema: Lutero
predicava la vera religione; limperatore voleva proibirlo; naturalmente si pose allora il problema se si dovesse obbedire allimperatore in tutto e per tutto. No, non nelle questioni di credo religioso,
risposero nel 1531 entrambe le Facolta` di Wittenberg. Ben presto
(16) Per cui cfr. il fondamentale studio di M. STOLLEIS, Geschichte des o ffentlichen
Recthts in Deutschland, 1, Reichspublizistik und Policeywissenschaft: 1800-1914, Mu nchen, Beck, 1988; 2, Staatsrechtslehre und Verwaltungswissenschaft: 1800-1914, Mu nchen, Beck, 1992.
(17) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt. Notwehr und
Gemeiner Mann im deutsch-britischen Vergleich 1530 bis 1669, Berlin, Duncker &
Humblot, 1999, p. 26. von Friedeburg ha ripreso la questione nel saggio Widerstandsrecht im Europa der Neuzeit: Forschungsgegenstand und Forschungsperspektiven, in R.
VON FRIEDEBURG (ed.), Widerstandsrecht in der fru
hen Neuzeit. Ertra ge und Perspektiven
der Forschung im deutsch-britischen Vergleich, Berlin, Duncker & Humblot, 2001,
soprattutto pp. 16-25. Sulla epocale trasformazione del linguaggio dei diritti mi sembrano del tutto attuali, in riferimento al problema di cui si sta parlando, le riflessioni di
J. HABERMAS, Diritto naturale e rivoluzione, in Prassi politica e teoria critica della societa`,
trad. it., Bologna, il Mulino, 1973, pp. 127-173.
(18) La citazione da Schlo zer e` riportata da R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht
und Konfessionskonflik, cit., p. 26.

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ANGELA DE BENEDICTIS

risposta e domanda furono generalizzate, e si comincio` a parlare


della difesa dei sudditi nei confronti dellautorita` (19). In questa
difesa andava ricercato il vero e proprio momento originario dellordinamento giuridico dellImpero, la cui sostanza il professore di
Go ttingen individuava nella possibilita` dei sudditi di appellarsi a
tribunali indipendenti contro le decisioni delle loro autorita`. Il
diritto di resistenza rientrava, pero`, nel dominio del diritto solo ed
unicamente in quanto esso potesse essere rivendicato dai rappresentanti del popolo, dai ceti elettivi che mettevano in pratica un dovere
ed un diritto universale del cittadino, quello di scoprire e denunciare oppressioni, abusi e difetti, di indicarli, di porvi rimedio (20):
non quindi dal singolo suddito, non dalluomo comune, non dal
popolo inteso come massa. Guai percio` allo stato dove non ci sono
rappresentanti del popolo; felice Germania, lunico paese al mondo
dove secondo il diritto si puo` citare il proprio sovrano, senza
pregiudizio per la sua dignita`, presso un tribunale estraneo, non
presso il suo (21).
Per lilluminista Schlo zer i due tribunali imperiali, il Reichskammergericht e il Reichshofrat, consentivano la mediazione di qualsiasi
grave conflitto tra sudditi e principe territoriale attraverso il ricorso
al diritto (22).
Il nucleo della dottrina costituzionale di Schlo zer ovvero la
concezione del Sacro Romano Impero inteso come costituzione
mista di monarchia ereditaria, aristocrazia ereditaria e democrazia di
ceti elettivi rappresentativi del popolo e della nazione, nonche il
(19) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt, cit., p. 26
(traduzione di A.D.B.).
(20) La citazione italiana di Schlo zer e` ripresa da M. SCATTOLA, La nascita delle
scienze dello Stato. August Ludwig Schlo zer (1735-1809) e le discipline politiche del
Settecento tedesco, Milano, Franco Angeli, 1994, p. 212.
(21) Anche questa citazione italiana di Schlo zer e` ripresa da M. SCATTOLA, La
nascita delle scienze dello Stato, cit., p. 159, che la riporta analizzando le aporie del
diritto di resistenza dello scrittore tedesco. Lo stesso passo in tedesco in R. VON
FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt, cit., p. 27. Va ricordato, con von
Friedeburg, che lanalisi della costituzione imperiale e` in Schlo zer ancora intessuta da
una attenta analisi storica. Schlo zer segue lo sviluppo degli argomenti di jus resistendi nei
monarcomachi francesi, poi nellImpero della Guerra del Trentanni, e quindi nelle
rivoluzioni inglesi.
(22) M. SCATTOLA, La nascita delle scienze dello Stato, cit., pp. 213-215.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

posto in essa occupato dal diritto di resistenza seguiva pero` in


certo modo la fine del vecchio Impero. La formazione di singoli stati
sovrani nel Deutscher Bund imponeva una nuova concezione della
rappresentanza con la questione della landsta ndische Verfassung di
ogni stato. Per quanto controverse ne fossero le interpretazioni, si
trattava pur sempre di decidere, diversamente da prima, tra sovranita` del principe e sovranita` popolare, con un generalizzato rifiuto
del modello costituzionale veterocetuale (23).
Nel corso del movimento per la istituzione di una landsta ndische
Verfassung (1815-1860) (24), la questione del diritto di resistenza fu
posta come soluzione al problema della tutela giuridica della costituzione borghese contro lo stato monarchico, assumendo contorni
nuovi: La contrapposizione di allora produceva una retroproiezione nel passato medievale. Nei nuovi stati sovrani sorti dallo
scioglimento del vecchio Impero nel Deutscher Bund, il diritto di
resistenza divento` percio` la prova, supportata da esempi, per il
conflitto condotto con argomenti storici sulla legittimita` della rappresentanza principesca o popolare. La scienza storica, in quanto
disciplina, pote conseguire il suo ruolo di scienza principale soprattutto per il fatto che alle conoscenze acquisite attraverso di essa
vennero attribuite conseguenze significative per la legittimita` di
controversi concetti politici (25).
La concezione sostenuta da Immanuel Kant proprio nello
stesso anno 1793 della Statsverfassungslehre di Schlo zer che un
popolo non potesse trovare nella storia, ovvero in una costituzione
civile gia` stabilita alcuna dimostrazione dei propri diritti; che, per
essere il popolo rappresentato nel supremo potere legislativo del
capo dello stato/sovrano, al popolo stesso veniva fatto divieto
assoluto ad ogni resistenza contro il capo dello stato, anche nel caso
che questi avesse violato il contratto originario e avesse perso in
tal modo, a giudizio dei sudditi, il diritto di essere legislatore, per
aver autorizzato il governo a condursi del tutto tirannicamente (26);
(23) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt, cit., p. 29.
(24) Ivi, pp. 16-25 sulla nascita di un problema di ricerca.
(25) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt, cit., p. 30
(traduzione di A.D.B.).
(26) La citazione in italiano e` tratta da Sopra il detto comune: Questo puo` essere

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ANGELA DE BENEDICTIS

questa concezione era in qualche modo rovesciata dal movimento


costituzionale della prima meta` del diciannovesimo secolo.
Uno dei primi esempi fu lo Entwurf einer Verfassung, die auf alte
germanischem Recht beruht, auf neu germanischen Sta nden und auf
einem gesalbten Ko nig di J.F. Benzenberg (1816). Lanno dopo, nel
1817, Johann Ludwig Klu ber, professore di diritto a Heidelberg,
sosteneva (Das o ffentliche Recht des deutschen Bundes) che se listituzione Stato monarchico (di diritto pubblico) e la societa` borghese
(di diritto privato) dovevano essere necessariamente divisi e distinti,
doveva essere anche previsto un diritto del popolo nel senso della
societa` di diritto privato borghese alla resistenza contro lo Stato,
inteso nel senso di Stato monarchico istituzionalizzato, nel caso che
questo Stato violasse la costituzione. Il diritto di resistenza diventava
un problema di garanzie costituzionali a tutela di liberta` e uguaglianza giuridica. Dopo il 1820, la radicalizzazione del conflitto rese
normale il ricorso a fondamenti storici per la legittimazione di
progetti costituzionali che rifiutavano sia le costituzioni concesse dal
monarca sia le vecchie rappresentanze cetuali (27).
Uno degli esempi piu` spettacolari della nuova attualita` della
ricerca storica nel conflitto per lassetto costituzionale dei nuovi stati
nel Deutscher Bund e` ritenuto lo studio pubblicato nel 1832 da
Friedrich Murhard, consigliere di prefettura del regno di Westfaliadipartimento di Fulda. In Widerstand, Empo rung und Zwangsu bung
der Staatsbu rger gegen die bestehende Staatsgewalt, in sittlicher
und rechtlicher Beziehung la contrapposizione tra Rechtsstaat e
Gewaltstaat veniva ricondotta ad una storia che da esempi molto
risalenti conduceva al presente (28). I sistemi statali di un diritto dei
piu` forti venivano visti in un percorso che andava da Machiavelli a
giusto in teoria, ma non vale per la pratica [1793], in I. KANT, Scritti politici e di filosofia
della storia e del diritto, Torino, Utet, 19652, pp. 237-281: 265. Sul famoso saggio di KANT
R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt, cit., si sofferma alle pp.
28-29. Il problema kantiano del diritto di resistenza in rapporto alla valutazione della
rivoluzione francese e` stato oggetto di numerose analisi (tra le quali cfr. lIntroduzione di
G. SOLARI a I. KANT, Scritti politici, cit., pp. 37-39). Rinvio, per questo, ai riferimenti di
P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 2, Leta` delle rivoluzioni, 1789-1848,
Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 150-157.
(27) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt, cit., pp. 29-30.
(28) Ibidem.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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Hobbes; mentre le voci per una incondizionata obbedienza andavano da Lutero a Bodin a Hobbes, poi a Filmer, Kant e Gentz; e, di
contro, le voci per la legittimita` della resistenza e dellesercizio del
potere coercitivo contro lesistente potere dello Stato in casi particolari correvano da George Buchanan a John Milton, a John Locke,
a Algernon Sidney (29).
La Wissenschaftsgeschichte del problema diritto di resistenza
tracciata da von Friedeburg comprende ancora il Ranke della Geschichte der Reformation (1838-1840); si sofferma sulla particolare
importanza del concetto di Genossenschaft sia nella Restauration
der Staatswissenschaften di Carl Ludwig von Haller (1816), sia nel
Volksrecht und Juristenrecht di Georg Beseler (1843), sia e
ovviamente sul Johannes Althusius di Otto von Gierke (1879);
giunge quindi allo Staatsrecht und Naturrecht in der Lehre vom
Widerstandsrecht des Volkes di Kurt Wolzendorff (1916), il punto
piu` alto della proiezione della concezione dualistica dello stato
monarchico sugli argomenti di jus resistendi elaborati tra Riforma e
Illuminismo, e contemporaneamente la negazione del diritto di
resistenza in quanto corpo estraneo, anacronistico, nello Stato moderno. Diventato infatti lo Stato monarchico uno Stato costituzionale uno Stato moderno caratterizzato da un potere monarchico
costituzionalmente limitato il diritto di resistenza era inteso come
un contributo allorigine del diritto del nuovo Stato (come gia` aveva
intuito Schlo zer), ma ormai privo di significato attuale, dal momento
che lo Stato stesso forniva ai cittadini i mezzi giuridici per la tutela
dei loro diritti (30).
(29) Ivi, pp. 30-32.
(30) Ivi, pp. 33-45. Va segnalato che la Wissenschaftsgeschichte di von Friedeburg
prende in considerazione la posizione della cultura luterana ottocentesca, e poi soprattutto di Troeltsch, e dopo Weimar di Hans Baron, concludendosi con il processo di
revisione dellimmagine di Lutero e della ortodossia luterana successivo alla fine della II
Guerra mondiale. La ricerca di von Friedeburg e` parte integrante di questa stessa
revisione, condotta nel solco di altri studiosi come Luise Schorn-Schu tte, di cui, al
proposito, Politikberatung im 16. Jahrhundert. Zur Bedeutung von theologischer und
juristischer Bildung fu r die Prozesse politischer Entscheidungsfindung im Protestantismus,
in: A. KOHNLE-F. ENGENHAUSEN (eds.), Zwischen Wissenschaft und Politik. Studien zur
deutschen Universita tsgeschichte. Festschrift fu r Eike Wolgast zum 65. Geburtstag, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2001, pp. 49-66, e piu` in generale L. SCHORN-SCHU} TTE (ed.),
Alteuropa oder Fru he Moderne. Deutungsmuster fu r das 16. bis 18. Jahrhundert aus dem

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309

ANGELA DE BENEDICTIS

Questo quadro sul diritto di resistenza, per nulla usuale nella


recente storiografia, consente, e giusto a questo punto, di delineare
un quadro molto meno chiaro, ma a mio parere similmente degno di
un certo interesse, della presenza del problema nella scienza giuridica ottocentesca italiana.
Le diverse valutazioni della resistenza come problema della
scienza criminalistica italiana erano state discusse, negli anni sessanta, nel Programma del Corso di diritto criminale, Parte speciale di
Francesco Carrara (31), con una analisi della questione che utilizzava
ancora tutta la letteratura cinque-settecentesca dei pratici. Carrara
riteneva errato nel punto di vista scientifico associare il reato di
resistenza al concetto di lesa maesta`, come invece molta criminalistica continuava a sostenere. Ma parlava, ovviamente, di reato.
La prospettiva di una considerazione del delitto di resistenza
nei termini rovesciati del diritto veniva individuata, a meta` degli
anni ottanta, allinterno del dibattito dottrinale precedente il codice
penale del 1889 e come tentativo di risposta alla sedizione anarchica (32). Nel saggio Diritto e delitto di resistenza uscito in tre parti
nellannata 1884 de Il Filangieri. Rivista periodica mensuale di
scienze giuridiche e politico-amministrative (33), lavvocato Luigi
Masucci si addentrava nellanalisi sia della teoria della resistenza
collettiva sia di quella della resistenza individuale, dando conto
delle grandi divergenze e dei continui tentennamenti della
scienza al proposito (34). Lintento di Masucci era duplice: sosteKrisenbewusstsein der Weimarer Republik in Theologie, Rechts- und Geschichtswissenschaft, Berlin, Duncker & Humblot, 1999.
(31) F. CARRARA, Programma del Corso di diritto criminale, Parte speciale, VI ed.,
vol. V, Prato 1890. Su CARRARA, M. SBRICCOLI, Dissenso politico e diritto penale in Italia
tra Otto e Novecento. Il problema dei reati politici dal Programma di Carrara al
Trattato di Manzini, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico, 2,
1973, pp. 607-702; e la voce redatta da A. MAZZACANE, in Dizionario biografico degli
italiani, 20, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1977, pp. 664-670.
(32) Sul dibattito M. SBRICCOLI, Dissenso politico e diritto penale, cit., p. 646.
(33) L. MASUCCI, Diritto e delitto di resistenza, in Il Filangieri. Rivista periodica
mensuale di scienze giuridiche e politico-amministrative, IX, 1884, I, pp. 40-45;
119-140; 178-187. Il lavoro di Masucci era parte del dibattito dottrinale precedente il
codice penale del 1889, e tentativo di risposta alla sedizione anarchica: M. SBRICCOLI,
Dissenso politico e diritto penale, cit., p. 646.
(34) L. MASUCCI, Diritto e delitto di resistenza, cit., p. 123.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

nerne la legittimita` di entrambe le teorie, a determinate condizioni;


dimostrarne la completa appartenenza alla scienza giuridica del
diritto pubblico. Da una parte si trattava di dimostrare al popolo,
contro gli argomenti dei partiti anarchici, che la teoria della resistenza era teoria di ordine in quanto frenava le autorita` sul
pericoloso pendio degli abusi ai quali potevano essere facilmente
trascinate dal potere (35). Dallaltra parte si trattava di dimostrare
agli scienziati del diritto, contro coloro che ancora ravvisavano nel
trionfo di questa dottrina un pericolo grave e permanente per il
pacifico e disciplinato svolgimento della vita delle nazioni, che il
principio della resistenza era tuttaltro che pericoloso e sovversivo.
Intendeva, invece, mantenere lordine pubblico; dar voce alla coscienza dei popoli; era quindi principio giuridico e razionale quando
affermava la resistenza alla tirannia e lopposizione allingiustizia (36).
La scienza che riteneva legittima la resistenza ai soprusi serviva
al mantenimento della pace e dellordine, e bisognava amarla. Chi
voleva che la pace e lordine non fossero turbati ne dagli abusi della
liberta`, ne dagli abusi del potere; chi voleva che lattivita` dei
cittadini e lattivita` del governo concorressero ad un unico scopo,
lo svolgimento pacifico, temperato, progressivo della vita del dritto
non doveva ribellarsi contro la teorica della resistenza ai soprusi,
che era razionale in quanto tendeva a ristabilire il necessario
equilibrio illegalmente rotto dalle autorita`. Doveva invece far comprendere al popolo che quella teorica distruggeva tutti gli argomenti
dei partiti anarchici. Di fronte alle loro obiezioni che non vi fosse
nessuno a sorvegliare e frenare i governanti, gli scienziati giuristi
dovevano rispondere che cera il popolo a vigilare gelosamente
sullosservanza delle leggi, frenando le autorita` sul pericoloso pendio degli abusi (37).
Questa resistenza collettiva aveva rischiarata la coscienza dei
popoli e dato animo alla dignita` delle nazioni soprattutto da
quando, con la gloriosa rivoluzione inglese, la teoria della resistenza
era diventata parte del diritto pubblico inglese. La rivoluzione
(35)
(36)
(37)

Ivi, p. 120.
Ibidem.
Ivi, pp. 119-120.

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311

ANGELA DE BENEDICTIS

francese aveva poi elevato a regola leccezione; e vi erano stati


ancora il 1815 e il 1830 in Europa. Blackstone, Romagnosi, Berriat
Saint Prix, Fischel, De Lolme, Maculay, Lamartine, Serrigny, Bluntschli, Melegari, Caruti, Casanova, Garelli, Palma, e molti altri non
citati per brevita`, erano stati ed erano i propugnatori dottissimi
e convinti che avevano definitivamente conquistato alla scienza
la teoria della resistenza collettiva legittima allopera illegittima
delle pubbliche autorita` (38).
La teoria della resistenza collettiva era giusta, quindi, e razionale, ma doveva essere praticata solo in determinati casi. Ad essa
non poteva darsi unapplicazione indefinita, senza spingere realmente le moltitudini a deplorevoli eccessi, e travolgere la societa` in
continue lotte, fonti di disordine e di miseria (39). Certamente, essa
non aveva motivo di essere in un governo monarchico costituzionale
rappresentativo, come quello italiano del tempo, che assicurava il
godimento di una liberta` temperata e feconda (40). In un tale
paese il diritto di resistenza non era piu` un principio giuridico e
razionale, ma rimaneva solo un doloroso ricordo storico (41).
Se sulla resistenza collettiva si poteva registrare una sostanziale
concordia dei giuristi pubblicisti, a proposito della resistenza
individuale agli ordini illegittimi delle pubbliche autorita` non si
poteva dire lo stesso. Molti erano ancora i sostenitori della teoria
dellubbidienza passiva, convinti che la legge offrisse sempre agli
individui i mezzi per protestare pacificamente, e quindi la possibilita`
che loro fosse resa ragione. Ma la teoria dellobbedienza passiva non
era affatto razionale, non era affatto indispensabile per lamministrazione dello Stato e per la tranquillita` sociale. La storia della
scienza giuridica, in questo caso la criminalistica anche dei secoli
passati a partire dal diritto romano (42), sosteneva Masucci nel
mostrare lassurdita` della teorica dellubbidienza cieca (43). La
storia, oltre che il lume della ragione, aiutava il giurista a determi(38)
(39)
(40)
(41)
(42)
(43)

Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,

pp. 44-45.
pp. 119-120.
p. 120.
p. 122.
pp. 124-125.
p. 135.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

nare i princip che avrebbero potuto agevolare efficacemente


lopera faticosa del magistrato nellardua fatica forense (44).
Scienza del diritto pubblico e scienza del diritto criminale
dovevano entrambe riconoscere, in determinate circostanze, il diritto di resistenza collettivo e il diritto di resistenza individuale.
Un anno dopo lo scritto di Masucci, nel 1885, il diritto penale
e il diritto costituzionale non erano piu` ritenuti adeguati a disciplinare insieme scientificamente la materia troppo grave e complessa
del diritto di resistenza. Una teoria scientifica e completa sul diritto
di resistenza poteva essere sviluppata solo specificamente dal diritto pubblico. Vittorio Emanuele Orlando intendeva farlo con il suo
studio Della resistenza politica individuale e collettiva (45).
Scopo di Orlando era non solo e non tanto offrire alla scienza
italiana un lavoro specifico che ancora mancava, ma soprattutto
colmare una lacuna generalmente lamentata nella scienza del
diritto costituzionale malgrado la ricchissima bibliografia esistente e
dovuta in grandissima parte a scrittori inglesi o tedeschi. Si
trattava di una bibliografia alla quale gli scrittori speciali avevano
contribuito non praticando quella coordinazione sistematica senza
la quale non p[oteva] darsi trattazione scientifica, poiche le loro
opere erano veri e proprii scritti di polemica, pubblicazioni
infarcite di lunghe dispute teologiche. Lutero e i giuristi di
Wittemberg tra i tedeschi; Milton, Salmasio, Filmer, Sidney tra gli
inglesi (protagonisti della grande ribellione, di uno dei periodi
rivoluzionar che lEuropa ha attraversato in tempi moderni (46))
avevano teso piuttosto a confutare o difendere quel tanto che in
quel momento interessava anzi che a trattare scientificamente largomento. Nessuna delle loro pubblicazioni riusciva pertanto a
sollevarsi al campo indipendente di una discussione propria ed
autonoma.
(44) Ivi, p. 187.
(45) V. E. ORLANDO, Della resistenza politica individuale e collettiva, Roma-TorinoFirenze, Loescher, 1885. Anche questo studio giovanile di Orlando fu parte del dibattito
dottrinale precedente il codice penale: M. SBRICCOLI, Dissenso politico e diritto penale,
cit., p. 646 n. Sul ruolo dello scritto nella riflessione orlandiana M. FIORAVANTI, La scienza
del diritto pubblico: dottrina dello Stato e della costituzione tra Otto e Novecento, Milano,
Giuffre`, 2001, I, pp. 94-132.
(46) V. E. ORLANDO, Della resistenza politica, cit., p. 1.

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ANGELA DE BENEDICTIS

Il problema di fondo, che era quello dellobbedienza al sovrano


e dei limiti di essa, aveva certo relazioni assai intime con diversi
ordini di scienze e di discipline, tra le quali, specialmente le generali
discipline filosofiche che si occupavano dello sviluppo e del progresso dellumanita`, delle condizioni fondamentali di esistenza di
essa. Ogni scienza aveva pero` modi proprii di osservazione, e doveva necessariamente considerare un argomento da quel lato che
principalmente [aveva] rapporti con essa. Questo lato era quello
specifico del diritto pubblico. A questo solo apparteneva e trovava
il suo proprio posto largomento della resistenza. Solo esso intendeva
a una teoria scientifica e completa sul diritto di resistenza.
Ne in Inghilterra, ne in Francia una tale teoria era mai stata
sviluppata nei rispettivi periodi rivoluzionari. In Germania essa
mancava soprattutto nel campo della filosofia del diritto. In Italia i
pur pregevoli lavori generali di diritto penale e di diritto costituzionale non avevano comunque disciplinato scientificamente la
materia troppo grave e complessa. Questa materia doveva essere
trattata in speciale maniera onde ricevere una sistemazione rigorosamente giuridica. Data la confusione esistente, il fine richiedeva
necessariamente una esposizione introduttiva delle varie dottrine
sulla resistenza, che pero` non si poteva ricavare dai veri e propri
scritti di polemica, ma unicamente da tre lavori assai diversi per
mole e per valore, tutti tedeschi, collocabili tra scienze politiche e
scienze dello Stato. Fornivano la base alla trattazione scientifica e
sistematica di Orlando contributi in parte nati allinterno dei dibattiti per la istituzione di una landsta ndische Verfassung cui si e`
accennato sopra , come quello di Friedrich Murhard, Ueber
Widerstand, Empo rung, und Zwangsu bung der Staatsbu rger gegen die
bestehenden Staatsgewalt (1832); e poi il capitolo di Robert von
Mohl in Die Geschichte und Literatur der Staatswissenschaften
(1855), e larticolo di Bluntschli Gehorsam und Widerstand nel
Deutsches Staatswoerterbuch (1865).
Lo scopo della scientificita` e sistematicita` induceva Orlando ad
andare oltre le sue fonti e a porre un netto spartiacque tra un prima
e un poi, tra rivolta violenta e resistenza. Lo spartiacque era costituito sia dalla teoria e dal diritto costituzionale, sia dalla formazione
dello stato costituzionale. La resistenza, sia popolare sia collettiva,
presuppone necessariamente una teoria ed un diritto costituzionale.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Non e` quindi a discorrere di una giuridica nozione di quella per


tutto il lungo volger di tempo che la formazione dello stato costituzionale precede (47). Prima della resistenza vi era stata solo rivolta
violenta contro la persona del Sovrano che avesse oltrepassato e
calpestato il fine cui lautorita` suprema era preposta cioe` di curare
il meglio dei sudditi. La rivolta violenta era apparsa naturalmente ai
sudditi come lunico mezzo adatto a scuoterne il giogo: gli esempi
erano antichi quanto la storia medesima (48). Nella storia la legittimita` della resistenza era stata discussa con meri criteri filosofici
anzi che giuridici, sia presso i classici, sia nel cristianesimo, sia nel
medio-evo. Durante la Riforma il grido della resistenza popolare
divento` un dovere spirituale, ma privo di base giuridica che
mancava nella scienza poiche una teoria dello Stato non esisteva
ancora, mancava nelle costituzioni che non avean tradizioni liberali.
Solo con Grozio e con Hobbes pote nascere una dottrina sulla
resistenza politica, dal momento che solo con loro si formo` una
teoria scientifica sullo stato. Questa teoria presupponeva la considerazione dellindole, dellintima natura del rapporto politico fra
governanti e governati, ... la nozione dei diritti politici individuali (49). Col suo supporto si potevano considerare sia la resistenza
individuale, sia la resistenza collettiva o popolare nella sua forma
legale e nella sua forma illegale o di rivoluzione. Ed era proprio a
partire dalla resistenza individuale che Orlando dimostrava come
solo la scienza del diritto costituzionale potesse ammetterla come
diritto.
Dato che la questione della legittimita` o meno della resistenza
del singolo cittadino allazione dellufficiale pubblico, la resistenza
individuale supponeva necessariamente la illegalita` del procedimento del funzionario, cadendo altrimenti nel delitto di ribellione, lesame del problema apparteneva insieme a due scienze del
diritto pubblico interno, il penale e il costituzionale. Per assicurare
chiarezza e rigore al soggetto e semplicita` allesposizione bisognava innanzitutto determinare il lato dal quale ognuna scienza
considerava la resistenza individuale, i criteri di cui ognuna si
(47)
(48)
(49)

Ivi, p. 5.
Ivi, p. 5.
Ivi, p. 8.

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315

ANGELA DE BENEDICTIS

serviva. Praticare tale delimitazione consentiva a Orlando di verificare un risultato positivo e uno negativo: Il Diritto costituzionale
esamina se fra i diritti di liberta` esiste anche il diritto alla resistenza
individuale: il diritto punitivo invece annovera fra i reati quello della
resistenza al pubblico ufficiale, e vuol determinare se sia motivo
dirimente il reato, lelemento di fatto che lufficiale suddetto agisse
illegalmente. Positivo e` quindi il primo esame, negativo il secondo:
ma esiste fra essi necessariamente un rapporto che sara` bene determinare (50). Il problema, come gia` in Masucci, poteva essere anche
affrontato nella fusione dei due aspetti. Ma era importante tenere
scrupolosamente distinti i campi delle scienze diverse perche la
ragion metodica risponde[va] sempre alla ragione intima dellargomento (51). Lesame puramente negativo del diritto penale aveva
bisogno del soccorso del diritto costituzionale, perche questultimo considerava non tanto se il cittadino che resisteva al procedimento illegale dovesse ritenersi come scusato, quanto piuttosto se
in tal caso egli usava di un suo diritto (52). La maniera in cui la
scienza del diritto costituzionale considerava la materia era semplice ed evidentissima: Il diritto costituzionale moderno studia lordinamento dei pubblici poteri col necessario presupposto della
liberta`: sia piu` o meno lato il senso col quale gli scrittori moderni
definiscono la scienza, quel presupposto vien sempre ritenuto esplicitamente o implicitamente. Ora la legittima resistenza apparisce
come una sanzione pratica della liberta` individuale ed in questo
senso il diritto di resistenza e` diritto di liberta` (53).
Essendo il diritto di resistenza un diritto di liberta`, il riconoscimento giuridico di esso non poteva neppure concepirsi in forme
di governo che non ammettessero liberta` ovvero, per Orlando, in
qualsiasi forma di governo precedente lo Stato dotato di costituzione
liberale. Qui, ad esempio, la resistenza ad un arresto illegale di un
cittadino (lesempio per antonomasia) non poteva essere ammessa
come diritto, comunque una liberale giurisprudenza [avesse] ammesso come dirimente il reato, il fatto dellillegalita` del procedimen(50)
(51)
(52)
(53)

Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,

pp. 41-42.
p. 54.
p. 44.
p. 45.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

to (54). Il problema era costituito soprattutto dal fatto che il piu`


delle volte larresto arbitrario era voluto non dallo agente, mero
strumento, ma dalla mano piu` elevata che lo faceva operare.
Davanti alla massima fondamentale del dispotismo: quod principi
placuit legis habet vigorem ogni teoria liberale veniva meno. In un
governo del genere sanzionare il diritto politico di resistenza nel
cittadino, sarebbe [stata] una contraddizione col sistema e nessun
governo [aveva] mai pensato a stabilirla (55).
Il diritto di resistenza come diritto di liberta` aveva certo avuto
uno sviluppo storico, per quanto indiretto, che aveva coinciso con
le successive affermazioni della liberta` individuale e con le solenni
garanzie richieste perche fosse lecito al potere governante di privarne il cittadino. Tra gli scrittori moderni si discuteva molto se
il diritto romano ammettesse la resistenza, utilizzando prevalentemente passi del Codice e che si riferivano quindi ad epoca in cui
ogni liberta` popolare era venuta meno. Tale era la l. 5, C, de iure
fisci, (10, 1), che permetteva al privato di resistere allufficiale che
volesse occupare quei beni caduti nel Fisco, senza un ordine
speciale del principe (56). Ma il diritto di resistenza individuale
rimaneva per Orlando questione puramente negativa del diritto
penale, mentre unimportanza assai maggiore rivestiva il diritto di
resistenza collettiva, perche aveva a che fare con il progresso storico
dellumanita` e poteva essere giuridicamente pensabile solo dentro la
costituzione. La differenza fondamentale tra i due diritti, quello
individuale e quello collettivo, stava nellessere il primo la conseguenza della decisione di un giudice, cio` che non valeva per il
secondo. Nel caso della resistenza individuale ad un ufficiale che
avesse proceduto illegalmente avveniva una dichiarazione solenne
di un magistrato che ne [aveva] lautorita`, la quale dichiarazione
retroagendo al momento in cui la resistenza ebbe luogo, stabili[va]
con obiettiva e indiscutibile certezza di chi fu il torto. Era questa la
ragione principale che consentiva di difendere la legittimita` della
resistenza individuale. Non basta credere di essere nel diritto,
resistendo al funzionario; bisogna essere nel diritto: ed il giudicato a
(54)
(55)
(56)

Ivi, p. 46.
Ivi, p. 47.
Ivi, p. 56, n. 9.

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ANGELA DE BENEDICTIS

questo mira, a sostituire lobiettiva constatazione della legittimita`


della difesa alla obiettiva convinzione dellagente. Nulla di simile
poteva invece avvenire nella resistenza collettiva. Nessuna autorita`
poteva giudicare il conflitto fra il popolo e il governo (57).
I criteri per condurre lesame, per distinguere i princip in base
ai quali la resistenza collettiva o popolare potesse essere un diritto,
correvano lungo lo spartiacque della costituzione vigente. Nella
storia, prima del presente, Orlando individuava due tipi storici piu`
salienti nei quali ognuna delle diverse forme di resistenza collettiva
si era praticamente attuata: a) resistenza collettiva legale, ovvero casi
di resistenza che si erano mantenuti entro i limiti della costituzione
vigente, volendone delle modificazioni, ma rispettandone la sostanza (58); b) resistenza collettiva rivoluzionaria, o semplicemente rivoluzione, ovvero la resistenza collettiva volta contro la costituzione
medesima, intesa a distruggere lordinamento politico esistente, a
rimuovere la costituzione medesima come causa di ogni abuso (59).
Iscrivendosi loggetto di analisi di Orlando allinterno del diritto
costituzionale, il tipo della resistenza collettiva rivoluzionaria sostanzialmente uno solo, la rivoluzione francese naturalmente non
vi rientrava. Il preteso diritto di rivoluzione avendo per iscopo appunto la distruzione della costituzione, non puo` essere, per la contraddizione che nol consente, un diritto costituzionale (60). Per il diritto pubblico moderno erano piu` rilevanti i tipi storici nei quali si era
realizzata la resistenza popolare legale contenuta nei limiti del diritto (61). Nel diritto pubblico romano questo ruolo era stato svolto dallistituzione del tribunato (62). Nel medioevo il tipo storico della resistenza collettiva aveva assunto una forma specialissima,
caratterizzata dal fatto che, per quanto troppo di frequente, trasmodasse in guerre civili e in sanguinose turbolenze, non perdeva il carattere di legale ne diventava rivoluzione. Per i principi generali di
diritto pubblico allora vigenti, quelli del sistema feudale, i rapporti
giuridici esistenti tra un sovrano considerato a lungo come primus inter
(57)
(58)
(59)
(60)
(61)
(62)

Ivi, pp. 62-63.


Ivi, pp. 63-64.
Ivi, pp. 64-65.
Ivi, p. 104.
Ivi, p. 67.
Ibidem.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

pares e i baroni non eran quelli che modernamente si concepiscono


fra suddito e Sovrano, ma si riducevano a prestazioni determinate, in
corrispettivo di privilegi man mano strappati alla suprema autorita`
dello Stato e che ogni d` crescevano. Allora, come anche nel periodo
in cui era sorto il Comune, il diritto di resistenza ebbe questo carattere di diritto eccezionale, di privilegio, ed era naturale che si lottasse per acquistarlo, o difenderlo, o allargarlo (63). Era forma specialissima anche perche diritto di resistenza armata, che giunse a
far parte dellordinamento pubblico medievale a tal punto da essere
scritto in due celebri Carte di quel tempo, soprattutto la Magna
Charta e la Bulla Aurea dUngheria. Percio` fu diritto costituzionale
vero e proprio codesto, di insorgere contro la violazione di una franchigia, costringere lautorita` suprema a tornare al rispetto di essa, e
quindi prestarle di bel nuovo lantica obbedienza (64).
Diritto costituzionale, il diritto di resistenza armato medioevale,
ma diritto eccezionale e sfrenato, le cui manifestazioni energiche
e rozze non erano piu` compatibili col nuovo diritto pubblico che
sorgeva, quello dello Stato moderno (65). Le manifestazioni di
quel diritto eccezionale e sfrenato furono annichilite sotto luniforme potenza dellautorita` centrale. La coesione fu poi raggiunta
dal dispotismo, la forma che prevalse allora nella maggior parte
delle nazioni europee, nei tempi moderni (66). Nessun tipo storico
di legittima resistenza collettiva, quindi, nei tempi moderni dello
Stato moderno, con una sola eccezione: il tipo perfetto, quanto
inimitabile dellInghilterra (67).
Se lesame storico confermava il principio che lo svolgimento
della popolare resistenza rimaneva nei limiti della costituzione
vigente, rispettando la costituzione e spesso mirando a difenderla,
rimaneva pero` ancora per Orlando la necessita` di determinare se
esistesse, e quale fosse una ragione giuridica di essa. Era una
questione che riguardava il presente. Bisognava cioe` considerare se
esistesse un diritto di resistenza collettiva, ed in quali casi potesse
(63)
(64)
(65)
(66)
(67)

Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,

pp. 68-69.
pp. 69-70.
p. 69.
pp. 69-70.
p. 71.

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319

ANGELA DE BENEDICTIS

ammettersene lesercizio in quanto diritto politico. Due ne erano


sostanzialmente le condizioni: Perche la resistenza legale si concepisca come un diritto, occorre in primo luogo che il popolo abbia
per la costituzione una parte qualsiasi nellandamento della pubblica
cosa. Dato il concorso di questo elemento, e dellaltro da noi gia`
esaminato cioe` che la resistenza popolare sia specificamente diretta
non tanto contro la costituzione quanto contro quel dato arbitrio,
puo` dirsi che la resistenza collettiva costituisca un diritto politico,
comunque per sua natura eccezionale (68).
Nei tempi recenti vi era stato peraltro uno straordinario sviluppo
di mezzi morali di resistenza collettiva legale, che avevano reso piu`
raro luso dei mezzi materiali di pura resistenza legale [luso delle armi]
che invece era frequente nel medio evo, quando dei mezzi morali era
quasi nulla lefficacia (69). La pubblica opinione, la stampa, le associazioni politiche, le riunioni o assemblee popolari (70) erano i mezzi
morali, una maniera di freni i quali tutelassero le pubbliche liberta`
e i diritti della comunita` senza aver ricorso alluso della forza che
diventava ognora piu` difficile e piu` rovinoso (71). Erano mezzi che
appartenevano alle origini di un governo costituzionale. In questo
senso, potrebbe dirsi che il governo costituzionale nelle sue origini e
nel suo sviluppo storico serv` mirabilmente ad organizzare una continua resistenza legale. Come espressione di questo momento storico
pote` esser vera quella definizione per cui la costituzione fu ritenuta una
legge che il popolo impone ai suoi governanti, onde tutelarsi contro
il loro dispotismo (72).
Tutto cio` che stava prima della costituzione, quindi anche i
mezzi morali della resistenza collettiva legale, erano per Orlando
storia. Erano ormai radicalmente mutate le condizioni giuridiche
e politiche dello Stato rappresentativo moderno. Era quindi naturale che quel vecchio sistema dei contrappesi, che se ne stava in
guardia contro gli eccessi del potere esecutivo, non [avesse] piu` il
medesimo interesse ne costitui[sse] piu` lo scopo primordiale o
(68)
(69)
(70)
(71)
(72)

Ivi, p. 73.
Ivi, p. 84.
Ivi, pp. 81-84.
Ivi, cit., p. 85.
Ibidem.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

lessenza delle attuali istituzioni rappresentative. Non si doveva


comunque ritenerne superfluo lo studio, o tralasciare di valutare se
non fosse ancora il caso, in contingenze particolari, di fare ricorso a
quelle vecchie armi (73). Per il presente una grave quistione, che
aveva diviso lopinione di egregi pubblicisti italiani, riassumeva
perfettamente i mezzi materiali di resistenza legale per lattuale
diritto pubblico (74): la Camera aveva il diritto di servirsi dellarma
del rifiuto del bilancio arme che fu definita dallArcoleo come atta
a scalzare il governo con un colpo decisivo ben piu` possente che
una rivolta di popolo (75)?
Si puo` tentare di sintetizzare la teoria scientifica del diritto di
resistenza costruita da Vittorio Emanuele Orlando sottolineandone
alcuni snodi salienti. Innanzitutto, Orlando relega il diritto di resistenza individuale al solo ambito del diritto penale. Per quanto riguarda il diritto di resistenza collettivo, poi, lassegnarlo unicamente
allambito del diritto costituzionale dello Stato costituzionale comporta sostenere che, prima del presente, non fosse possibile alcuna
ragione giuridica della resistenza, il popolo non avesse parte nellandamento del governo, la resistenza fosse sempre sfrenata; che,
dopo il medioevo, la coesione dello Stato moderno e il dispotismo che
lo caratterizzo` annullassero qualsiasi resistenza e qualsiasi capacita` di
reagire allarbitrio; e infine che nel medioevo e nello Stato moderno
non venisse esercitato alcuno dei mezzi morali della resistenza, ovvero
di quei freni volti a tutelare pubbliche liberta` e diritti di comunita`
senza ricorrere al mezzo materiale delluso della forza.
Le differenze con il diritto di resistenza della giuspubblicistica
tedesca tardo settecentesca e ottocentesca sono certo consistenti, e
dipendono (riducendo in una veloce considerazione una questione
degna di ben altro approfondimento) dalla diversita` tra la storia
imperiale e la storia italiana da una parte, nonche dalla diversa
tradizione della scienza di diritto pubblico nel Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca e negli antichi stati italiani. Vi e` pero` un
elemento comune, che almeno nelleconomia del presente saggio
ha un peso specifico piu` consistente delle differenze riscontrabili
(73)
(74)
(75)

Ivi, p. 86.
Ivi, p. 86.
Ivi, p. 87.

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321

ANGELA DE BENEDICTIS

tra le due tradizioni scientifiche nazionali: la formulazione stessa di


un diritto di resistenza e di dottrine del diritto di resistenza.
Dato che questa formulazione sia il prodotto di una visione
positivistiva e paleo-liberale, ci si puo` allora di nuovo chiedere, con
Paolo Grossi, che cosa questa visione abbia reso totalmente incomprensibile delle concezioni del resistere presenti nella cultura giuridica pre-ottocentesca.
II. La piu` recente storiografia europea interessata ai conflitti
politico-confessionali della prima eta` moderna ha mostrato come in
Germania, in Inghilterra e in Scozia il vocabolario giuridico (oltre
che politico e filosofico) dei contemporanei non contemplasse il
diritto di resistenza, ma conoscesse invece tre forme di resistenza
legittima, tra loro differenziate anche riguardo coloro ai quali era
consentito resistere.
Il diritto dei magistrati inferiori a proteggere i loro sudditi;
lautodifesa consentita anche alluomo comune o al popolo
comune in casi di necessita` rigidamente definiti; lautodifesa riconosciuta come un diritto in base allo ius naturae e consentita ad
intere popolazioni nella loro capacita` di corpi in grado di esercitarlo
allo scopo di difendere la patria: tutte queste tre diverse forme
avevano pero` in comune alcuni principi di fondo. Prevedevano il
ricorso alle armi senza peraltro permettere a chiunque di rifiutare
lordine e la sudditanza ad un superiore; riconoscevano la possibilita`
di esercitare forme di autodifesa che potessero comportare il resistere usando le armi contro i magistrati, ma senza rivolgersi contro
la monarchia; esprimevano la consapevolezza di quanto pericoloso
potesse diventare luso del diritto di autodifesa. Il concetto di
resistenza lecita cos` precisato poteva essere desunto dalle diverse
e talvolta anche concorrenti fonti del diritto che costituivano lordinamento giuridico del XVI e XVII secolo, cioe` nello ius divinum,
nello ius naturae, nello ius commune e nello ius romanum (76).
(76) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflik, cit.; R. VON
FRIEDEBURG, Widerstandsrecht im Europa der Neuzeit: Forschungsgegenstand und Forschungsperspektiven, cit.; R. VON FRIEDEBURG, Self Defence and Sovereignty: The Reception and Application of German Political Thought in England and Scotland, 1628-69 , in
History of Political Thought, XXIII, 2002, in particolare pp. 238-240.

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322

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Le nuove indagini sul vocabolario dei conflitti politico-religiosi della prima eta` moderna (sulle quali ritornero` piu` avanti) ne
hanno pure individuato il profondo radicamento nella letteratura
giuridica tardomedievale (77). E` dallanalisi di questa letteratura, e
del sapere in essa espresso, che risulta evidente come la definizione
del resistere risulti dal negarne lidentificazione con il ribellare.
Finora non si e` dedicato a questo aspetto del problema lattenzione
che merita a parte alcune significative eccezioni proprio in
quanto consente di verificare la piena appartenenza del vocabolario
e del discorso del resistere alla dimensione del conflitto. Si tratta
infatti di vocabolario e discorso che si formano allinterno del
sistema del crimenlaesae, aprendovi un varco notevole (78), e
che possono ammettere sia il resistere individuale sia il resistere
collettivo. Il luogo originario e` nel commento di Bartolo da Sassoferrato alla costituzione imperiale Qui sint rebelles del 1312 e nei
Commentaria ai Tres Libri Codicis, due testi che stanno allinizio di
una tradizione di pensiero di lunghissima durata.
E` stato recentemente osservato da Diego Quaglioni che le
glosse di Bartolo alla Qui sint rebelles rappresentano il piu` alto
sforzo teorico della tradizione giuridica e politica di matrice italiana nella trattazione del tema dellobbedienza e della resistenza al
potere. Linserimento di queste glosse nel Corpus iuris conferisce
loro una importante funzione autoritativa nella scienza giuridica del
tardo medioevo e delleta` moderna, e ne fa la base di tutta la
speculazione successiva sul diritto di resistere (79). I passi piu` significativi del testo bartoliano sono la glossa a Tenore (80) e la glossa a
(77) D. BO} TTCHER, Ungehorsam oder Widerstand? Zum Fortleben des mittelalterlichen Widerstandsrechtes in der Reformationszeit (1529-1530), Berlin, Duncker &
Humblot, 1991.
(78) M. SBRICCOLI, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie
della scienza penalistica moderna, Milano, Giuffre`, 1974, p. 316.
(79) D. QUAGLIONI, Rebellare idem est quam resistere. Obe issance et re sistance
dans les glosses de Bartole a` la constitution Quoniam nuper dHenry VII (1355), in J.C.
ZANCARINI (ed.), Le Droit de re sistance XIIe-XXe sie`cle, Paris, ENS E ditions, 1999, pp.
35-46: 38.
(80) BARTOLO DA SASSOFERRATO, Super constituione extravaganti Qui sint rebelles, c.
104v: Tertia pars, in qua ponit statutum, ad cuius intelligentiam sciendum est, quod
rebellare idem est quod resistere, secundum Hug. C. de deser. l. 2. lib. 12. & hoc
resistere potest fieri faciendo aliquid contra, vel non faciendo, & non obediendo, vel

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ANGELA DE BENEDICTIS

Rebellando (81). Che sia lecito resistere in determinate situazioni, e in


base a C. 10, 1, 5 (l. prohibitum) e C. 12, 40, 5 (l. devotum), sta nello
testo dottrinale che glossa una costituzione imperiale in cui il
resistere e` definito come crimen laesae maiestatis. E questa glossa
viene poi inserita nel Volumen legum del Corpus iuris civilis (82).
Nel commento di Bartolo ai Tres Libri Codicis (83) sono enumerate esplicitamente le diverse circostanze nelle quali e` lecito resistere.
Alla l. prohibitum Bartolo annota che chiunque ne abbia interesse
puo` resistere ai messi del principe che compiano unesecuzione
formalmente illecita o ingiusta. Per resistere piu` efficacemente
chiunque puo` convocare congiunti amici e vicini, che anzi possono
muoversi senza essere convocati. Perche i soccorritori raggiungano
con maggiore rapidita` colui che e` oppresso, si pratica per consuetudine che gli oppressi gridino ad alta voce: succurrite, succurrite,
allo scopo di convocare tutti coloro che possono sentire (84). Nel
utranque scilicet vocabuli significationem continet, [...] licet hoc nomine, rebellis, iura
antiqua non utantur.
(81) Bartolo da Sassoferrato, Super constituione extravaganti Qui sint rebelles, c.
104v: Resistendo, vel non obediendo, licet ipsi guerram non inferant, ut dictum est. Et
advertendum est, quod in illo qui rebellat contra Principem, hc constitutio loquiter
simpliciter, quasi contra eum non possit esse aliqua iusta causa resistendi. In eo vero
quod loquitur in eo qui rebellat contra officiale suos, loquitur limitative, scilicet in his
qu ad commissum eius officium pertinent, & hoc quia si ultra facerent, posset ei
legitime resisti, vt C. de iure fisci. prohibitum lib. 10. & de meta. l. devotum. lib. 12.
(82) D. QUAGLIONI, Rebellare idem est quam resistere, cit., p. 39.
(83) BARTOLI A SAXOFERRATO in Tres Codicis Libros Commentaria, Augustae Taurinorum, Apud Nicolaum Beuilaquam, MDLXXIIII (e` ledizione da cui citero` in seguito).
(84) Prohibitum. Nunciis Principis non creditur sine litteris, & ipsi volentibus,
aliorum bona capere, quilibet cuius interest, potest de facto resistere. [...] Casus in
terminis est planus [...] Fateor tamen, quod dicti officiales debent portare signa
officialium, ex quibus cognoscantur, ut nuncij biretum rubeum, & similia. alias possit ei
resisti, ut l. item apud Labeonem. . si quis virginem. ff. de iniuriis, iuncta l. si quis
ignorans. ff. loca. Item nota quod officiali iniuste exequenti licet de facto resistere, ut hic,
& l. devotum. j. de meta. quod. dic., ut per Cy. in l. j. s. unde vi, & per Gulielmum de
Gug. ff. de iustitia, & iure. l. ut vim. Item nota quod licet resistere etiam his, quorum
interest. Puto etiam, quod, quo ad resistendum, potest convocare coniunctos, & amicos,
& etiam sine convocatione possint convenire vicini, & amici, ut l. si quis in servitute. in
fi. ff. de furt. facit, quod nota . in l. ii, cum igitur. ff. de vi, & vi armata. Ad hoc tamen,
ut homines citius veniant ad succurrendum oppresso, est de consuetudine inventum, ut
oppressi exclament, succurrite, succurrite ex quo videt omnes audientes convocare, ut l.
pretor ait. . si quis adventu. ff. vi bonorum raptorum. & habes per gl. doctores. in d. l.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

commento alla l. devotum Bartolo scrive che e` possibile difendersi


dai soldati che pretendono piu` del convenuto per il loro alloggiamento e che violano il possedimento di qualcuno, anche colpendoli.
E se i soldati intendono espellere qualcuno dal proprio possedimento, amici e vicini dellinteressato possono colpirli allo scopo di
impedire lazione, senza che questo costituisca unoffesa. Si tratta,
invece, di difesa (85).
La lettura incrociata del commento alla costituzione Qui sint
rebelles, e del commento alle costituzioni di Diocleziano e Massimiano (l. prohibitum) e di Onorio e Teodosio (l. devotum) contenute
nei Tres libri mostra, insomma, attraverso quali argomenti fosse
possibile superare lequazione resistere=rebellare.
Poco tempo dopo il commento di Bartolo, un altro giurista, il
pratico Luca da Penne interpretava i Tres Libri con un opera che
ebbe grande fortuna (86). Invero, quanto scrive da Penne sulle due
ut vim. Ultimo nota quod officiali Principis venienti cum literis debet obediri: BARTOLI
A SAXOFERRATO in Tres Codicis Libros Commentaria, ad X. Librum Codicis, De iure fisci, Lex
V (4r). Il passo era gia` stato riportato da D. QUAGLIONI, La responsabilita` del giudice e
dellofficiale nel pensiero di Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), ora in D. QUAGLIONI, Civilis sapientia. Dottrine giuridiche e dottrine politiche fra medioevo ed eta` moderna. Saggi
per la storia del pensiero giuridico moderno, Rimini, Maggioli, 1989, pp. 97-98, n. 56.
(85) BARTOLI A SAXOFERRATO in Tres Codicis Libros Commentaria, ad XII. Librum
Codicis, De metatis & epidemiticis, Lex V (55v): Devotum. Nullus miles ad prsidium
publicum seu privatum potest accedere, & contrafacientem tamquam sacrilegum quilibet potest expellere. & administrator qui eum transmiserit punitur, atque dictis militibus
transeuntibus solum hospitari licet, nihil pro se, vel pro animalibus ab hospitante
qurent vel exigent, sive hospitantis invitus sive volens det, & in hospitio invitis dominis
domorum, residentiam non faciet, contra faciens punitur. h. d. In tex. ibi, ultionis Nota
quod pro defendenda possessione sua licitum est ulcisci & talis ultio non est proprie
ultio, sed defensio, ut dicit gl. q. no. ad q. de eo, qui dixit in iudicio ad sui defensionem,
Titium ulciscendo percussisse. Nam istud verbum ultionis, non sumitur hic pro offensa,
sed potius pro defensa. In tex. ibi. qui primum Nota hic tex. expresse, quod si aliquis
vult me expellere de possessione mea, quod amici mei, & vicini mei possunt percutere
volentem me expellere, ne me expellat, quod est valde notandum.
(86) Commentaria D. LUCAE DE PENNA iuriscons. Clarissimi in Tres Posteriores Lib.
Codicis Iustiniani. In quibus, & inter alia ab eo curiose observata multa, idque doctissime,
ad cognitionem magistratuum & Praefecturarum Francorum, collegit & animadvertit, usumque antiquorum magistratuum Romanorum aptissime ostendit [...], Lugduni, apud Ioannam Iacobi Iuntae F., MDLXXXII. Sulla importanza dellopera di Luca da Penne (al quale
e` stato dedicato il classico studio di W. ULLMANN, The medieval idea of law as represented
by Lucas de Penna. A study in fourteenth-century legal scholarship, London 1946; nonche

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ANGELA DE BENEDICTIS

leggi Prohibitum (87) e Devotum (88) amplia considerevolmente gli


argomenti di Bartolo. Nel commento alla l. devotum non sono pero`

il saggio di O. CALASSO, Luca da Penne, in Annali di storia del diritto, IX, 1965, pp.
313-369) e sulla sua utilizzazione anche in secoli successivi proprio in relazione al tema in
oggetto, ha richiamato lattenzione M. DAddio, Lidea del contratto sociale dai sofisti alla
riforma e il De Principatu di Mario Salamonio, Milano, Giuffre`, 1954. Cfr. ancora M.
MONTORZI, Fides in rem publicam. Ambiguita` e tecniche del diritto comune, Napoli, Jovene,
1984, pp. 325-365; M. ASCHERI, Diritto medievale e moderno. Problemi del processo, della
cultura e delle fonti giuridiche, Rimini, Maggioli, 1991, pp. 108-110. Il saggio di I. BIROCCHI,
Un finto contrattualismo: il diritto di resistenza in Giambattista De Luca, in A. DE BENEDICTIS-K-H. LINGENS (edd.), Sapere, coscienza e scienza nel diritto di resistenza, cit., mostra
la presenza di motivi di da Penne anche nella dottrina del tardo XVII secolo.
(87) Commentaria D. LUCAE DE PENNA, cit., pp. 11-12: Prohibitum. Casus. Si ex
aliqua causa (qu mult sunt) alicuius bona deferantur in fiscum, non licet officialibus fisci
auctoritate propria invadere ipsa bona sine speciali principis iussione. Quod si fecerint,
licitum est privatis quorum exinde interest, eis resistere: & a tali iniuria illos arcere. Si vero
ad capienda bona processerint cum literis principis, non licet tunc privatis resistere: sed
obedire tenentur. [...] Et nota quod privatus potest impune resistere officiali cum aliquid
facit contra iura. ut. hic, & in concor. hic signatis: immo punitur qui non resistit. j. de decur.
omnes. I. & hoc quando certum est ipsum inique ageret & manifeste contra legem. In dubio
autem obediendum est iudici [...] Sed pone, dum ageretur bellum, seu guerra in regno per
nonnullos prdones et illicitos invasores barbarica incursione, qua satis immanis est [...]
Quidam ex regnicolis ab his prdonibus vel infidelibus capti fuerunt, hi captivi cum non
possent aliter evadere, custodes occiderunt, & vulneraverunt: & sic facto carcere evaserunt:
accusantur de occiso, rupto carcere, & vi illata. Dic quod cum est notum captivum contra
iustitiam detineri, licitum est ei detentores occidere ut si non potest aliter evadere: evadat
qualitercumque potest. [...] non enim peccat qui defendit eum qui iniuriam patitur [...]
sed depellenda iniuria lex virtutis est. qui enim cum potest non repellit iniuriam a socio,
tam in ipso est iniuria, quam in illo qui facit. Item Proverb. 24. Erue eos qui ducuntur ad
mortem, & qui trahuntur ad interitum liberare necesses. Et Eccle. 4. Libera eum qui
iniuriam patitur de manu superbi. [...] immo nedum prmissa locum habent in capo a
prdonibus & latronibus, sed etiam a malis iudicibus: quinetiam contra iustitiam condemnato, licet tunc resistere condemnati, ut non ducatur condemnatus ad mortem: quia
tale iudicium simile est violenti latronum. Ed ideo sicut licet resistere latronibus, ita etiam
licet resistere principibus malis in tali casu. Et hoc verum, nisi a tali resistentia scandalum
sequeretur, quo casu licet damnatus resistere nequeat inferenti morte: fugere tamen de ipso
loco potest. [] Dicit etiam in hac. l. Dominus Bart. quod ad resistendum possit, qui vim
patitur, convocare amicos & vicinos. Et quod sine vocatione possint ad hoc venire [...] &
satis aperte probatur per suprascipta iura. Et subiungit quod consuetudine invenimus pro
maiori securitate, quos oppressi clamant alta voce, succurrite, succurrite: pro quo inducit
ff. vi. bon. rap. l. prtor. . si quis adventu.
(88) Commentaria D. LUCAE DE PENNA, cit., p. 881: Devotum. Hc lex pulchra &
bona est, sed ob neglectum iustiti, peccata provincialium, & nequitiam militum male

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

solo gli oppressi e gli amici e i vicini degli oppressi a poter resistere
insieme a difesa di chi sia oppresso. Dal momento che la legge e` male
osservata e la giustizia risulta quindi trascurata, e` proprio il populus
(la ipsa plebs nominata nella legge) che puo` resistere e insorgere.
Resistere contro uningiuria, difendere da uningiuria come lex
virtutis, uccidere un sacrilego e` possibile al privato e al populus. E il
populus, in da Penne, ha anche facolta` di insorgere contro un
usuraio, nonche di uccidere un sacrilego e un idolatra, sulla base
dellautorita` del Vecchio Testamento: Maccabei 2.4 e Levitico 20. Per
agire resistendo ad azioni compiute contra iura e contro giustizia e`
necessario sempre ricordare la differenza tra iustitia e neglectus
iustitiae (89).
Sono infatti ingiustizia, ingiuria, violenza che consentono a chi
le patisce di resistere a chi le perpetra, sia questi un ufficiale, o un
giudice o un principe. Questo il quadro che tanto Bartolo quanto
Luca da Penne descrivono nei loro casus, un quadro del tutto
intrinseco a quello che Sbriccoli ha definito il sistema del crimen

servatur. Statuit hic Imperator ut nullus metator, mensor, seu miles accedat ad aliquod
prdium publicum vel privatum domus principis vel alterius causa prparandi vel
ospitandi. Quia si accesserit licentiam tribuit dominis, procuratoribus eorum, & plebi
eum realiter expellendi. Magistratus autem qui hunc destinaverit, relegatur ad tempus,
vult autem solum eis hospitium in domo concedi, ita quidem ut nihil petant milites a
dominis domorum pro usu eorum equorumque suorum. Mandat eos non immorari
postquam in civitatibus fuerunt hospitati, utque residentiam nullam agant. Qui autem a
domino domus ultra hospitium postulat, punitur. [...] Ipsique plebis. Not. quod etiam
populus resistere potest cum alicui ex eis irrogatur iniuria. & facit aperte II.q. 3. si quis
episcopus. 2, in fi. Quinetiam debet ut ibi.& de exact. tri. quotiens. Ut scilicet eum arceat
ab ipsa nequitia quam committit. Sic etiam potest insurgere populus contra usurarium
manifestum, ut ipsum ab urbe depellat. quod dic ut legitur & not. per gl. & Arch. de
usur. c.I.li. 6. Sic & contra sacrilegum que etiam tunc licitum est occidere. 2. Mach. c.
4. prope fi. sic etiam iubetur occidi ad rumorem idolatra, quod si populus hoc neglexerit,
a domino succidetur. Levitic. 20.
(89) In questo rimane centrale, per il sapere giuridico medievale, il ruolo svolto
dalla giustizia nelle civilta` antiche. Giustizia e` il concetto centrale che lega assieme le
sfere del diritto, della religione e della morale [...] La giustizia fornisce uno spazio del
ricordo in cui oggi vale cio` che valeva ieri, e domani varra` cio` che vale oggi: J.
ASSMANN, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identita` politica nelle grandi civilta`
antiche, trad. it., Torino, Einaudi, 1997, pp. 192-193. Per la memoria come costitutiva
del diritto medievale P. GROSSI, Lordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 1995.

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ANGELA DE BENEDICTIS

laesae e al suo stile dottrinale (90). Non vi si puo` trovare, per la


intima natura di quello stile dottrinale, alcuna definizione del diritto
di resistere. In Bartolo e in Luca da Penne si trovano posizioni che
mostrano la volonta` di evitare in certe particolari occasioni lequiparazione tra crimen rebellionis e crimen laesae maiestatis.
Nel sapere giuridico successivo a Bartolo e a Luca da Penne
inosservanza della giustizia e pratica dellingiuria vengono riferite
non solo ad ufficiali che compiono esecuzioni illecite o a giudici che
giudicano male, ma anche a chiunque violi patti stabiliti. Si tratta di
un percorso aperto da Baldo, che ha conseguenze sicuramente
epocali per le argomentazioni giuridiche e politiche sulla liceita` del
resistere (91). Nel consilium noto come Rex romanorum, Baldo si
cimentava con una questione estremamente complessa, conseguente
alla nomina del signore Giangaleazzo Visconti a duca di Milano da
parte dellimperatore Venceslao, avvenuta nel 1395. In base alla
nuova dignita` Giangaleazzo pretendeva di esercitare giurisdizione
anche sui vassalli immediati dellimperatore, ritenendo che linfeudamento ottenuto con il titolo ducale annullasse preesistenti immunita`, liberta`, privilegi o infeudamenti dei vassalli lombardi. Scrivendo il consilium su incarico di Giangaleazzo, Baldo si scontrava
con le difficolta` insite nella necessita` di conciliare le esigenze del suo
signore con i dettami della sua coscienza giuridica. Nella sostanza, le
argomentazioni di Baldo si sviluppavano nel senso di sostenere che
il trasferimento di un vassallo da un signore feudale ad un altro senza
il consenso dello stesso vassallo comportasse una violazione del
contratto feudale. Secondo il diritto, ogni ligius il cui feudo cadesse
sotto la giurisdizione ora spettante a Giangaleazzo doveva rimanere
vassallo immediato dellimperatore, nel caso che non si presentasse
a giurare fedelta` al nuovo duca. Limperatore, da parte sua, non
poteva non rispettare le consuetudini feudali. Se poi un signore
feudale avesse assunto illegittimamente il controllo sul feudo di un
vassallo, allora il vassallo poteva dichiarargli guerra, usando violenza
contro di lui.
La concezione che il princeps fosse legato dal contratto non era
(90)
(91)
LINGENS

M. SBRICCOLI, Crimen laesae maiestatis, cit., p. 177.


M. RYAN, Widerstandsrecht und Lehnswesen, in A. DE BENEDICTIS-K-H.
(edd.), Sapere, coscienza e scienza nel diritto di resistenza, cit.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

specifica del diritto feudale, ma proveniva da una teoria generale


elaborata dai giuristi fin dal tardo XIII secolo. Secondo Guido da
Suzzara anche un princeps legibus solutus era vincolato dai patti da
lui conclusi, poiche il fare patti aveva origine dal diritto naturale
come parte dello ius gentium, e il princeps non poteva considerarsi
sciolto dalla loro forza obbligante. Anche Cino da Pistoia condivideva lo stesso parere (92). Nel solco di questa tradizione stava pure
il pensiero di Baldo, quando egli mostrava di ritenere che il diritto
dei vassalli a resistere potesse trovare utilizzazione ai piu` alti livelli (93).
Nelle specifiche e concrete situazioni conflittuali, i motivi dedotti dallinterpretazione della Qui sint rebelles, del commento ai
Tres Libri Codicis di Bartolo e Luca da Penne, del consilium Rex
romanorum di Baldo venivano spesso utilizzati congiuntamente per
legittimare opposizioni a comportamenti degli ufficiali giudicati
ingiusti e a violazione dei patti da parte del principe. La letteratura
consiliare era, per sua stessa natura, ricca di tali situazioni. Alcune di
esse sono state individuate in studi recenti, ai quali si fara` ora
riferimento, che complessivamente coprono un periodo plurisecolare nonche territori e poteri diversi.
Agli inizi del XV secolo un consilium steso dallillustre canonista
Francesco Zabarella difendeva il populus di Trento, accusato di
ribellione dal vescovo signore della citta` (94). I cittadini si erano
inizialmente mossi contro riscossioni fiscali ingiuste eseguite dagli
ufficiali dello stesso vescovo, occupando i luoghi materiali di difesa
della citta` e del territorio, distruggendo le case di alcuni ufficiali,
(92) Per questo cfr. K. PENNINGTON, The Prince and the Law 1200-1600. Sovereignty and Rights in the Western Legal Tradition, Berkeley-Los Angeles-London, California University Press, 1993, pp. 125-130.
(93) M. RYAN, Widerstandsrecht und Lehnswesen, cit. Il saggio di Ryan evidenzia
come la questione della resistenza lecita dei vassalli fosse affrontata con il sapere
elaborato intorno al concetto di iurisdictio, si cui si vedano ora le recenti riconsiderazioni
di P. COSTA, Iurisdictio. Semantica del potere politico medievale, Milano, Giuffre`, 20022,
pp. XXXI-XCVI.
(94) D. GIRGENSOHN, Vom Widerstandsrecht gegen den bischo flichen Stadtherrn.
Ein Consilium Francesco Zabarellas fu r die Bu rger von Trient (1407), in Zeitschrift der
Savigny Stiftung fu r Rechtsgeschichte, CXVIII, KA LXXXVII (2001), pp. 307-385.

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ANGELA DE BENEDICTIS

manifestando infine lintenzione di sottoporsi ad un altro signore.


Una serie di accordi raggiunti tra vescovo e populus e la successiva
firma di una concordia sembravano aver posto fine al conflitto. Ma
i patti non erano stati poi rispettati dal vescovo: i suoi ufficiali
continuavano a praticare estorsioni indebite. La violazione dei patti
da parte del vescovo veniva sentita come minaccia di violenza. Il
populus temeva che il vescovo volesse soggiogare la citta` e perfino
uccidere alcuni suoi cittadini; e per questo arrestava il vescovo, il
quale a sua volta colpiva la citta` con la pena dellinterdetto. Largomentazione giuridica di Zabarella a favore del populus era che i
cittadini erano stati provocati e quindi potevano difendersi lecitamente. Venivano giustificati in quanto commoti per le estorsioni
indebite degli ufficiali del vescovo. Questi, da parte sua, non avendo
messo rimedio alle estorsioni, ma anzi consentendole, aveva gravato
i cittadini senza poterlo fare di diritto. Aveva agito quindi come
privato, e in tal caso gli si poteva resistere di fatto e con violenza.
Cera una legge che lo consentiva, secondo Zabarella: la l. prohibitum (95).
NellImpero della fine del XV e dellinizio del XVI secolo
numerosi furono i giuristi attivi come consiglieri, giudici o ambasciatori della Lega Sveva e che si occuparono, quindi, dei problemi
politici e giuridici derivanti dal conflitto tra la Lega e gli imperatori.
Giuristi umanisti come Conrad Peutinger, Willibald Pirckheimer,
Johannes Reuchlin und Dietrich von Plieningen difesero gli accordi
fissati per iscritto dalla Lega cio` che allora veniva definito
costituzione e ne denunciarono lavvenuta violazione da parte
dellimperatore, giudicando lecita leventuale resistenza dei membri
della associazione costituita per il mantenimento della pace territoriale (96).
Bartolo, Baldo e le le sue fonti Guido da Suzzara e Cino da
Pistoia fornivano argomenti per contestare anche al sovrano pontefice violazione di patti. Nel 1506 il giurista dello Studio bolognese
(95) D. GIRGENSOHN, Vom Widerstandsrecht gegen den bischo flichen Stadtherrn,
cit., pp. 378-379.
(96) H. CARL, Landfriedenseinung und Ungehorsam. Der Schwa bische Bund in der
Geschichte des vorreformatorischen Widerstandsrecht im Reich, in R. VON FRIEDEBURG
(ed.), Widerstandsrecht in der fru hen Neuzeit, cit., pp. 85-112.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Giovanni Crotto da Monferrato costruiva intorno a questo problema


un lungo e articolato consilium. Ne era stato richiesto dal populus
bolognese perche lo difendesse dallaccusa di ribellione che papa
Giulio II aveva rivolto al populus, con linterdetto, per avergli
resistito preparando le armi (97).
Il pontefice, intenzionato a portare Bologna a una stretta sudditanza allo Stato della Chiesa, stava col suo esercito poco distante
dalla citta` e pretendeva di entrarvi, minacciandola di mutarne il
governo basato su accordi conclusi precedentemente con papa
Niccolo` V. Il giurista Crotto, pur riconoscendo la necessita` della
plena potestas papale, riteneva che di fronte a tale minaccia il populus
bolognese potesse iuste resistere al pontefice anche prendendo le
armi contro di lui. Apparteneva alle verita` in facto che il papa non
potesse derogare ai capitoli sottoscritti da Niccolo` V e dalla citta`
proprio riguardo al governo della citta`. Al pontefice che voleva
entrare in citta` si poteva quindi licite et legitime... resisti et denegari
ingressus (98). Poiche sussisteva il fondato sospetto che volesse
turbare lo status della res publica, la communis opinio doctorum
confortava nel parere che non si dovesse ubbidire al pontefice che
emanava ordini contro il generale stato della Chiesa, e che gli si
potesse per questo resistere. Al di la` degli specifici motivi riguardanti
Bologna, vi erano poi alcuni princip generali che confermavano il
parere di Crotto. In base ad essi, in determinate situazioni si poteva
opporre violenza alla violenza (vim vi repellere licet) per la difesa
della persona e delle cose, e chi era oppresso come il populus
bolognese poteva convocare amici e vicini per resistere (99). Ma al
popolo bolognese era lecito prendere le armi e resistere al pontefice
(97) A. DE BENEDICTIS, Il diritto di resistere. Una citta` della prima eta` moderna tra
accusa di ribellione e legittima difesa (Bologna, 1506), in M.T. FO} GEN (ed.), Ordnung und
Aufruhr im Mittelalter. Historische und juristische Studien zur Rebellion, Frankfurt am
Main, Klostermann, 1995, pp. 17-41; A. DE BENEDICTIS, Repubblica per contratto.
Bologna: una citta` europea nello Stato della Chiesa, Bologna 1995, pp. 170-183; A. DE
BENEDICTIS, Sapere, scienza e coscienza nel diritto di resistenza. Le ragioni di un seminario
e del suo titolo, in A. DE BENEDICTIS-K.H. LINGENS (edd.), Sapere, scienza e coscienza nel
diritto di resistenza, cit., pp. 8-15.
(98) IOANNES CROTTUS, Consilia sive responsa, Liber secundus, Venetiis, ex officina
Damiani Zenari, 1576, consilium 184, pp. 66r-73r.: 71v.
(99) Ivi, p. 72v. Al proposito il giurista cita esplicitamente i commenti di Bartolo
alla l. Prohibitum e alla l. Devotum.

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ANGELA DE BENEDICTIS

anche perche si trattava di difendere il proprio stato; o perche era


indotto a temere che la sicurezza della patria fosse messa in pericolo.
Il fine ultimo della quies patriae spingeva i cittadini omisso iuris
ordine arma capere & adversus oppugnantes illa exercere. (100) Vi
era poi un altro motivo per cui i bolognesi potevano resistere al
papa. Per allontanare lingiustizia dellinterdetto, la citta` si era
appellata al concilio. Nella bolla di interdetto Giulio II condannava
lappello in quanto contrario ad ogni forma iuris, ovvero alle costituzioni di Pio II (la bolla Execrabilis del 1463). Secondo Crotto la
sentenza di censura era valida, ma procedeva da causa ingiusta.
Essendo emanato da un pontefice che ordinava un comando ingiusto agendo come giudice che emanava sentenza ingiusta , e
dopo che era stato interposto legittimo appello, linterdetto doveva
ritenersi nullo e privo di efficacia (101).
Non e` affatto azzardato, a mio parere, ipotizzare che situazioni
e discorsi come quelli sopra riferiti (e da poco scoperti) fossero
ripetutamente presenti nellEuropa del quattro-cinquecento. Le situazioni prodotte dalla Riforma luterana prima, e dalla diffusione
della Riforma calvinista poi, utilizzarono quei discorsi e li radicalizzarono.
Le ricerche che, negli ultimi anni, hanno messo in discussione la
prolungatamente tenace communis opinio storiografica per la quale
Lutero e i ceti evangelici avrebbero sempre espresso la concezione
dellobbedienza incondizionata allautorita` politica, sono anche
quelle che hanno riconsiderato criticamente la retroproiezione del
diritto di resistenza ottocentesco al conflitto religioso e politico
che attraverso` la Germania nella prima meta` del XVI secolo. Il
riesame di fonti gia` utilizzate e lanalisi di fonti poco conosciute ha
permesso di accorgersi come da parte luterana, attraverso la
riflessione e lattivita` consiliatrice di giuristi e teologi, opporsi alla
politica di Carlo V dopo la dieta di Augusta significasse sia rifiutare
laccusa imperiale di ribellione, sia ragionare in termini di difesa
della propria scelta religiosa e della propria autorita` dai comandi
ingiusti di Carlo V. Non era resistenza (Widerstand) il termineconcetto usato nei numerosi scritti nei quali si possono leggere le
(100)
(101)

Ivi, p. 72v.
Ivi, pp. 72v-73r.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

posizioni assunte nel conflitto. Erano invece quelli di difesa contro


comando ingiusto (Gegenwehr) e difesa per stato di necessita`
(Notwehr).
Nei numerosi testi fatti stampare da aderenti alla Lega di
Smalcalda Gegenwehr era rivendicato come diritto delluomo a
difendersi contro il potere ingiusto (102). Per essere usato doveva
corrispondere a tre criteri di adeguatezza: nelle intenzioni (il movente doveva essere difesa, mantenimento o recupero dei propri
beni, non vendetta, cioe` danneggiamento dellaltro); nei mezzi (la
difesa militare concepita solo come ultima risorsa); nel tempo (che
significava, da una parte, essere pronti ad armarsi gia` nel presente
per affrontare pericoli attesi nel futuro; dallaltra usare la difesa il piu`
rapidamente possibile, ma non necessariamente nellimmediato). Il
problema dellobbedienza dovuta dai sudditi allutorita` era naturalmente centrale in questi testi, ma intesa come fondata non tanto su
di una obbligazione unilaterale, quanto piuttosto su di una relazione
di reciprocita`, una obligatio mutua. Per i giuristi autori della maggior
parte di questi testi era innegabile che usava un potere ingiusto quel
giudice il quale rifiutasse un appello e emanasse ordini su questioni
il cui officium era incompetente. A un ordine ingiusto nessuno
doveva obbedire, e la difesa degli interessati giudicati disobbedienti
e per questo ribelli era giuridicamente legittima.
Generalmente, nella pamphlettistica della Lega di Smalcalda
luso in senso stretto di Gegenwehr era riferito al corrispettivo diritto
dei principi imperiali sia alla immediata difesa di se stessi, sia alla
difesa dei propri sudditi secondo il principio della pace territoriale
(Landfriede). Ma con Gegenwehr si intendeva pure che tanto ai
principi imperiali, quanto ai ceti imperiali, quanto anche agli inferiores magistratus spettasse, secondo ius naturae, il compito di vim vi
repellere contro gli assalti dellimperatore (una concezione sostenuta
anche un secolo dopo, nel corso della Guerra dei Trentanni).
Diversamente da Gegenwehr, con il termine-concetto di
Notwehr si intendeva il diritto che il singolo aveva alla diretta difesa
del proprio corpo e della propria vita e di quelli della propria
famiglia, quando i magistrati competenti non fossero in grado di

VON

(102) G. HAUG-MORITZ, Das Widerstandsrecht des Schmalkaldischen Bundes, in R.


FRIEDEBURG (ed.), Widerstandsrecht in der fru hen Neuzeit, cit., pp. 141-161.

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ANGELA DE BENEDICTIS

farlo. Tale diritto era anche contemplato in un paragrafo della


Constitutio Criminalis Carolina del 1532, ed era quindi parte del
diritto penale: nella costituzione imperiale il suo esercizio era previsto soprattutto contro le violenze dei soldati o gli abusi degli
ufficiali dellautorita` (103). Ma nella seconda meta` degli anni quaranta, allacuirsi del conflitto tra Lega di Smalcalda e imperatore e
con la crisi dellInterim, nella pamphlettistica contemporanea luso
del Notwehr venne riferito anche a gruppi di persone, dandone
uninterpretazione non solo individuale ma anche collettiva. Si
rivendicava nei casi di violenze compiute su giovani donne da soldati
stranieri dellimperatore; o anche per la difesa di intere popolazioni, come sostenuto pure da Melantone. Nel concreto di specifiche
situazioni, come durante la difesa della citta` di Magdeburgo nel
1550-51, Gegenwehr e Notwehr (ma anche Defension) erano usati
contemporaneamente a indicare la difesa della patria e della
nazione (tedesca) dalle truppe spagnole dellimperatore (104).
Una serie di consilia giuridici e di pareri teologici elaborati
nellambiente di Filippo Melantone, e stampati tra il 1546 e il 1547,
evidenziano il peso di argomenti tratti dallo ius naturae nel sostenere
la legittimita` e possibilita` della resistenza contro il principe legittimo
in caso di conflitti religiosi (105).
Lo stesso Melantone sosteneva che usare Gegenwehr contro un
principe violento fosse un diritto naturale che Dio aveva piantato
nellanimo umano (106), sottolineando ripetutamente che il Vangelo
(103) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt, cit.
(104) E` qui il caso di ricordare che sia R. von Friedeburg, sia gli autori dei saggi
compresi nel volume da lui curato, condividono la critica (peraltro gia` espressa da D.
BO} TTCHER, Ungehorsam oder Widerstand, cit.) alla distinzione operata per lungo tempo
dalla ricerca tra un diritto di resistenza costituzionale (Gegenwehr) e un diritto di
resistenza privatistico (Notwehr), e fatta propria anche da Q. SKINNER, Le origini del
pensiero politico moderno, 2, Leta` della Riforma, trad. it., Bologna, Il Mulino, 1989.
(105) M. SCATTOLA, Widerstandsrecht und Naturrecht im Umkreis von Philipp
Melanchton, relazione presentata al convegno Herrschaftskrise und Glaubenskonflikt.
Das Interim 1548/50, organizzato dal Verein fu r Reformationsgeschichte e tenutosi a
Wittenberg nei giorni 3-6 ottobre 2001. Ringrazio lAutore per avermi permesso di
leggere il manoscritto.
(106) M. SCATTOLA, Widerstandsrecht und Naturrecht, cit. sottolinea anche il ruolo
della Zirkulardisputation u ber das Recht des Widerstandes gegen den Kaiser (Matth.
19,21) redatta da Martin Lutero il 9 maggio 1539.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

non annullava il diritto naturale, ma che piuttosto lordine del diritto


naturale era opera di Dio e corrispondeva al suo volere. Percio`
doveva essere legittimato anche il diritto allautodifesa e alla difesa di
bambini, familiari e sudditi, poiche questo era stato iscritto nella
natura da Dio stesso. In determinati casi, quando si verificava una
atrox iniuria e non ci si poteva attendere alcun aiuto dallautorita`,
tale Gegenwehr non era solo consentita, ma anche ordinata. La
ragione umana poteva poi trovare lidea della Notwehr semplicemente nel diritto naturale. I comandamenti di diritto naturale erano
quelli che Dio fin dalla creazione aveva iscritto nel cuore degli
uomini. Melantone li definiva anche filosoficamente come notitiae
inditae, in quanto tali appartenenti a un ordine generale del mondo
e costituenti una legge naturale fondata dalla giustizia eterna, una
legge che riguardava sia il reggimento ordinario del mondo sia la
giusta Chiesa (107). Tra le notitiae inditae che agivano come principi direttivi per la vita morale come gia` Melantone aveva
sostenuto nei Loci communes theologici , oltre a quelle che ordinavano di onorare Dio, di non rompere il matrimonio, stavano anche
quelle che ordinavano di mantenere i patti, e di resistere a un potere
ingiusto. Lordine politico doveva essere sempre rispettato, ma
quando il principe diventava tiranno e tale trasformazione era
riconoscibile dal fatto che volesse distruggere lordine politico della
comunita` opera di Dio allora doveva essere combattuto e le
autorita` a lui sottoposte dovevano deporlo (108). Nel locus de Magistratibus civilibus dallidea che lordine politico fosse stato stabilito
da Dio e non fosse stato abolito dal Vangelo, Melantone derivava il
principio Ne laedat civis civem, sed omnes sciant se inter sese
devictos esse ad mutuam defensionem et communem salutem, quae
consistit in compensatione aequali voluntatum, officiorum et rerum.
Si quis autem violaverit hunc ordinem poena afficiatur (109). Nel
locus De vindicta la dottrina della Gegenwehr naturale, pensata
anche per combattere le pretese degli Anabattisti di Mu nster alla
eliminazione di ogni tipo di autorita` e alla istituzione di un regno del
Vangelo, veniva specificata nel senso di naturalis notizia o appetitio
(107)
(108)
(109)

M. SCATTOLA, Widerstandsrecht und Naturrecht, cit.


Ivi.
Ivi.

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ANGELA DE BENEDICTIS

conservationis sui adversus iniustam violentiam. Sulla base della


Drei-Sta nde-Lehre la Gegenwehr poteva essere esercitata non solo da
un principe, per difendere i suoi sudditi, persino con la guerra; ma
anche da ogni ceto o citta` o famiglia in quanto in grado di agire
politicamente: ovvero i sudditi intesi non come moltitudine ma come
realta` costituita di corpi. Ognuno secondo il suo Beruff poteva
punire un signore tirannico e senza Dio (110).
Lidea della difesa naturale cos` sostenuta unificava diverse
tradizioni, una delle quali riprendeva principi fondamentali del
diritto romano dichiarati nel Digesto e ascritti anche allambito dello
ius gentium. La scienza giuridica cinquecentesca fece riferimento sia
allo ius naturae sia allo ius gentium, tendendo piu` al secondo quando
dallistinto allautodifesa di qualsiasi essere (animali e uomini) si
voleva passare al diritto allautodifesa. Il diritto aveva bisogno di un
ragionevole riconoscimento, che poteva aver luogo solo tra uomini e
tramite la mediazione della ragione. Secondo le categorie del diritto
romano questo era lambito specifico dello ius gentium, al quale
pertanto doveva essere attribuita lautodifesa in quanto diritto secondo giuristi come Jean de Coras o Hugues Doneau (111).
Il droit naturel et des gens, insieme agli esempi e alle testimonianze forniti da les sainctes lettres, les histoires prophanes, les
loix greques et romaines, era per il calvinista Jean de Coras quello
che provava un principio fondamentale per la societa` degli uomini.
Nella commune negociation des hommes, nella commune societe
et conversation per cui gli uomini erano stati creati, les pactions,
transactions, accords, negociations, et consequemment les capitulations dentre le prince et ses subjects erano assolutamente indispensabili (112). Nella Francia delle guerre di religione, e qualche anno
(110) Ivi.
(111) Ivi. Piu` in generale, sulle intime connessioni tra Widerstandsrecht e Naturrecht, si veda, dello stesso M. SCATTOLA, Das Naturrecht vor dem Naturrecht. Zur
Geschichte des ius naturae im 16. Jahrhundert, Tu bingen, Niemeyer, 1999. Cfr. anche
B. TIERNEY, Lidea dei diritti naturali. Diritti naturali, legge naturale e diritto canonico
1150-1625, trad. it., Bologna, il Mulino, 2000, passim.
(112) J. DE CORAS, Question politique: sil est licite aux subjects de capituler avec leur
prince, a cura di R. M. KINGDON, Gene ve, Droz, 1989. Per la lettura del testo cui qui
alludo, A. DE BENEDICTIS, Supplicare, capitolare, resistere. Politica come comunicazione, in
C. NUBOLA-A. WU} RGLER (eds.), Petizioni e suppliche nella prima eta` moderna (sec.

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prima del massacro della notte di San Bartolomeo, il principio


veniva pero` negato da chi, per ingraziarsi il re, per renderlo flessibile
au point de la verite , sosteneva che patti, transazioni, accordi,
capitolazioni tra re e sudditi erano nulli e anzi dovevano essere
proibiti. Flateurs, notables fabricateurs de paradoxe erano coloro che da qualche tempo seminavano tale opinione sia tra i
populaire, sia tra i superieurs e il principe. Soprattutto, insisteva
Jean de Coras, ignoranti de tout droict naturel et politic (113). In
base a questo diritto Stati, o Parlamenti, o Pari potevano resistere
alla volonta` del re discutendo di materie di stato, o di guerra, o di
imposizioni di nuovi tributi, o di fare nuovi editti e ordinanze;
potevano dichiarargli, mostrandone le ragioni, che la sua intenzione
non poteva essere attuata selon droict et justice. I paradoxeurs,
invece, incolpavano per questo Stati, Parlamenti e Pari del crimine
di lesa maesta`, li accusavano di essere ribelli al re (114). Il disprezzo
dei paradoxeurs per la storia, per i costumi e le consuetudini della
Francia li portava a non ammettere che, se il re o i suoi ufficiali
attentavano ai privilegi concessi ai sudditi con giuramento solenne
nel corso della cerimonia dincoronazione, gli Stati potevano presentare gravamina richiedendo la restituzione dei privilegi. Per i
paradoxeurs un re che accettasse le justes remontrances et
humble insistances, le humble resistances et raisonnable remonstrances non era piu` re. Facevano di tutto per sedurre il re con tale
argomento, e cos` lo spingevano a trasformare il suo office in quello
di un tiranno. Ma lo slittamento verso la tirannide avrebbe naturalmente avuto conseguenze, poiche , era sottinteso, avrebbe interrotto
la comunicazione politica tra re e sudditi: Sil veut de roy devenir
tyran, cest linteres des subjects, qui ont droict dy contredire, et par
tous moyens sessayer de maintenir leur prince en roy et non en
tyran, et procurer envers luy qu il soit accompagne dun bon
conseil, moderant toutes ses actions, le reduisant au cerne de la
XV-XVIII), Bologna, il Mulino, 2002,. Recentemente il pamphlet e` stato analizzato anche
da S. TESTONI BINETTI, Il pensiero politico ugonotto dallo studio della storia allidea di
contratto (1572-1579), Firenze 2002, pp. 77-86.
(113) J. DE CORAS, Question politique, cit., p. 4.
(114) Ivi, p. 13.

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ANGELA DE BENEDICTIS

raison, et chassant dautour de luy tels flateurs que nostre paradoxeur (115).
Jean de Coras era uno dei giuristi tra i quali, come gia` i
contemporanei potevano chiaramente notare, la Riforma trovava
aderenti qualificati. La pubblicazione a stampa della sua, per quanto
anonima, Question politique, costituiva un contributo ai numerosi
scritti di propaganda prodotti prima e dopo il 1572. Certo, con la
Francogallia di Franc ois Hotman (1573), il De iure magistratuum di
Theodor Beza (1574) e con le Vindiciae contra tyrannos (1579)
ovvero con i testi principali dei cosiddetti monarcomachi la
questione della resistenza veniva assolutizzata anche attraverso una
maggiore connessione tra argomentazioni teologiche, politiche e
giuridiche (116).
Il discorso sulla tirannide si faceva piu` puntuale e articolato (117), anche se non sempre e non necessariamente portava alla
necessita` del tirannicidio. Alcune recenti riflessioni hanno mostrato
come nella Francogallia il tirannicidio non fosse affatto un discorso
esplicito o particolarmente voluto, come pure quello sul diritto di
resistenza. Il trattato di Hotman, con le sue due strategie argomentative di tradizione-continuita` e Sacre scritture (118), era una trattazione complessiva dei fondamenti storici del diritto pubblico
francese il cui scopo consisteva soprattutto nella definizione della
limitazione del potere regale. Gia` nella prefazione Hotman considerava come causa principale della guerra civile in Francia la centralizzazione del potere regio ai costi dei ceti. E poiche la storia di un
(115) Ivi, p. 21. Va ricordato che lidentificazione di comportamenti tirannici si
alimentava di una lunga tradizione sapienziale alla quale aveva dato un fondamentale
contributo Bartolo da Sassoferrato: D. QUAGLIONI, Liniquo diritto. Regimen regis e ius
regis nellesegesi di I Sam. 8, 11-17 e negli specula principum del tardo Medioevo, in A.
DE BENEDICTIS (ed, con la collaborazione di A. PISAPIA), Specula Principum, Frankfurt am
Main, Klostermann, 1999, pp. 209-242.
(116) Ch. STROHM, Das Verha ltnis von theologischen, politisch-philosophischen und
juristischen Argumentationen in calvinistischen Abhandlungen zum Widerstandsrecht, in
A. DE BENEDICTIS-K.H. LINGENS (eds.), Sapere, scienza e coscienza nel diritto di resistenza,
cit. I tre classici testi sono stati analizzati di recente anche da S. TESTONI BINETTI, Il
pensiero politico ugonotto, cit.
(117) M. TURCHETTI, Tyrannie et tyrannicide, cit., pp. 419-442.
(118) Su cui P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 1, Dalla civilta`
comunale al Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 81-96.

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(2002)

diverso ordinamento dello Stato durava da ben undici secoli, in caso


di necessita` tale ordinamento doveva essere difeso con la violenza e
con le armi contro il potere dei tiranni (119).
Nella riflessione giuridica calvinista lo si e` visto prima con
Jean de Coras il legame pattizio tra sovrano e sudditi costituiva
uno snodo fondamentale. La teoria del doppio patto, di un patto
religioso con Dio e di un patto civile tra popolo e re, stava al centro
delle Vindiciae, frutto di una strettissima interazione tra argomenti
teologici e argomenti giuridici tratti dal diritto romano e dal diritto
medievale (120). Da qui anche la connessione esplicita tra resistenza
al sovrano e difesa dei beni essenziali della vita dei soggetti (121).
Era il bene della comunita`, lagire con responsabilita` pubblica e
non come privati, che spingeva i calvinisti, di fronte a coloro che
assegnavano al re un ruolo di comando unilaterale, a insistere invece
sulla necessita` che il rapporto tra re e sudditi si basasse su patti. Piu`
risolutamente ancora delle accorate sollecitazioni di Jean de Coras (il
crinale del 1572 faceva la diferenza), la questione costituiva il nucleo
centrale della diatriba che nel 1575 oppose il professore ginevrino di
teologia ma di formazione giuridica Lambert Daneau al
professore di diritto Pierre Charpentier, anchegli ginevrino, il quale
aveva invitato i protestanti ad abbassare le armi incondizionatamente (122). Gli argomenti usati da Daneau provenivano tutti dal diritto
romano, e servivano per sottolineare che la guerra civile non poteva
concludersi come insisteva Charpentier con una resa dei
protestanti, ma con un patto aequo iuretra re e protestanti. Le
armi dovevano ancora essere tenute in mano non per motivi privati,
ma per il mantenimento cos` Daneau dello ius publicum.
Sentirsi collettivamente responsabili del bene della comunita`,
della difesa del diritto pubblico del regno faceva parte di una
(119) Ch. STROHM, Das Verha ltnis von theologischen, politisch-philosophischen und
juristischen Argumentationen, cit.
(120) Ivi.
(121) P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 1, Dalla civilta` comunale al Settecento, cit., p. 86.
(122) Una prima approfondita analisi dello scritto in Ch. STROHM, Ethik im fru hen
Calvinismus. Humanistische Einflu sse, philosophische, juristische und theologische Argumentationen sowie mentalita tsgeschichtliche Aspekte am Beispiel des Calvins-Schu lers
Lambertus Danaeus, Berlin-New York, de Gruyter, 1996.

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ANGELA DE BENEDICTIS

concezione della politica che nellultimo quarto del XVI secolo si


trovo` a dover fare i conti con la sfida di una nuova e diversa
elaborazione. Piu` di Jean Bodin, fu Justus Lipsius con i Politicorum sive civilis doctrinae libri del 1589 a delineare una dottrina
dello stato e unetica politica che individuava lunica via possibile di
soluzione dei conflitti nella vittoria della ragione sugli affetti e sulle
passioni, cos` per lindividuo come per la comunita` (123). Le passioni
che agitavano e minacciavano lanimo individuale costituivano un
pericolo ancora maggiore per la vita politica, procurando rivolta,
caos e anarchia. In questo quadro i ruoli dellagire erano prefissati:
agire secondo ragione era possibile solo al sovrano, agire secondo
affetti e passioni era tipico del popolo. Ne conseguiva che il sovrano
doveva sempre disporre di un potere sufficiente per eliminare affetti
e passioni. Daneau rispose qualche anno dopo a questa sfida,
ponendosi allo stesso livello teorico di Lipsius con il trattato Politica
del 1596, e portando piu` in alto il livello delle argomentazioni gia`
utilizzate per rispondere a Charpentier. La soluzione dei conflitti
proposta da Daneau faceva propria la straordinaria accentuazione
neostoica del ruolo dellautorita`, ma lautorita` di Daneau era quella
della legge, intendendo con essa le leges regni fundamentales. Lobbedienza alle leggi fondamentali del regno promessa dal re al popolo
(il riferimento e linterpretazione della Digna vox, Cod. 1,14,4 erano
qui ovviamente centrali) rappresentava un criterio decisivo per la
valutazione della legalita` del potere sovrano. Linosservanza e la
violazione delle leges fundamentales erano un chiaro segno di tirannide, poiche comportavano la rottura del patto tra sovrano e popolo.
Per mantenere le leges fundamentales (tra le quali stava la difesa della
vera religione) si poteva fare guerra al sovrano, rimanendo nei limiti
della necessaria resistenza e senza cadere nel pericolo della rivolta
poiche si difendeva la constitutio dello stato (124).
(123) Tra le piu` recenti letture di LIPSIUS, R. TUCK, Philosophy and Government
1572-1651, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1993, pp. 45-64, e P.
SCHIERA, Specchi della politica, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 76-78.
(124) Ch. STROHM, Das Verha ltnis von theologischen, politisch-philosophischen und
juristischen Argumentationen, cit. Sul rapporto tra il concetto di leges fundamentales e
quello di constitutio sono fondamentali le ricerche di Heinz Mohnhautp, per le quali
rinvio, in sintesi, a D. GRIMM-H. MOHNHAUPT, Verfassung, Berlin, Duncker & Humblot,
1994.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

La Politica di Johannes Althusius stava allinterno di questo


processo di generalizzazione e assolutizzazione degli argomenti sulla
resistenza, sia come parte di un problema politico-giuridico che
aveva a che fare con la realta` delle cose, sia come parte di un
continuo e pubblico dibattito sulle nuove concezioni della politica (125). Il ruolo intoccabile e sovrano che in Daneau avevano le leges
fondamentales spettava in Althusius, in misura ancora rafforzata, ai
ceti o agli Efori. Erano questi la vera controparte del sovrano in
quanto controllavano che egli si attenesse ai suoi doveri religiosi e
che rispettasse il patto col popolo o le leggi fondamentali dello stato,
lHerrschaftsvertrag in cui stavano scritti i diritti del popolo. Inosservanza e violazione da parte del sovrano legittimavano gli Efori,
come rappresentanti del popolo, a resistere o addirittura lo obbligavano a resistere, secondo una sistematica elencazione di motivi
(dodici nella terza edizione della Politica methodice digesta) sostenuti
da chiare argomentazioni giuridiche.
Si e` scritto molto sul diritto di resistenza degli Efori come
diritto spettante solo ed unicamente alla istituzione che rappresenta il popolo. Lattenzione al vocabolario da parte della recente
storiografia che sto passando qui in rassegna (e che si esercita, va
sottolineato, nella ricerca su specifici conflitti, analizzandone il
linguaggio e considerandoli processi di comunicazione politica)
consente di mostrare un quadro piu` articolato delle posizioni di
Althusius (126). La resistentia era rigidamente proibita ai sudditi,
ai quali era solo consentita la defensio in casu necessitatis. Nel
caso pero` che fosse in gioco la difesa della patria, delle leggi del
(125) Ch. STROHM, Das Verha ltnis von theologischen, politisch-philosophischen und
juristischen Argumentationen, cit. Della recente bibliografia su Althusius ricordo G.
DUSO- M. SCATTOLA-M. STOLLEIS, Su una sconosciuta disputatio di Althusius, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 25, 1996, pp. 13-126; G.
DUSO, Il governo e lordine delle consociazioni: la Politica di Althusius, in G. DUSO (ed.),
Il potere. Per la storia della filosofia politica moderna, Roma, Carocci, 1999, pp. 77-94, e
il recente volume E. BONFATTI-G. DUSO-M. SCATTOLA (eds.), Politische Begriffe und
historische Umfeld in der Politica methodice digesta des Johannes Althusius, Wiesbaden,
Harrasowitz, 2002.
(126) Come pure il saggio di M. SCATTOLA, Controversia de vi in principem.
Vertrag, Tyrannis und Widerstand in der Auseinandersetzung zwischen Johannes Althusius und Henning Arnisaeus, in A. DE BENEDICTIS-K.H. LINGENS (eds.), Sapere, scienza e
coscienza nel diritto di resistenza, cit.

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ANGELA DE BENEDICTIS

territorio, anche i semplici sudditi potevano resistere poiche diventavano subditi resistentes & cives patriae amantes che si riunivano
insieme per compiere il loro dovere. Lo stesso valeva quando si
trattava della difesa della comunita` contro linvasione di un tiranno
ex defectu tituli: At tyranno absque titulo regnum invadenti, etiam
privata autoritate sine alterius jussu, omnes et singuli patriae amantes optimates & privati resistere & possunt & debent (127).
Nei conflitti che coinvolsero i territori dellImpero durante e
anche negli anni immediatemente successivi alla Guerra dei
Trentanni, il ruolo di difensori delle leggi del territorio e della patria
poteva essere rivendicato anche da ceti territoriali come i cavalieri
dellAssia inferiore contro la politica del principe territoriale. Era
qui esplicito il riferimento ai cives patriae amantes di Cicerone: un
riferimento che anche in altre situazioni e periodi stava a sottolineare
la volonta` e la capacita` dei sudditi a controllare i modi della propria
autoconservazione, del mantenimento del bene nel rispetto del
mutuo patto tra governante e sudditi (128). Agli inizi del XVII secolo
la formula ciceroniana era utilizzata tanto dal giurista calvinista
Johannes Althusius quanto dal giurista luterano Reinhard Koenig o
dal teologo luterano Johann Gerhard per riconoscere anche ai ceti
inferiori un diritto a Gegenwehr contro i rispettivi principi territoriali. Per tutto il periodo 1572-1674 fu anche un topos in dissertazioni giuridiche sul tema De Potestate Patriae redatte nelle universita`
di Jena, Rostock, Herborn, Greifswald, Marburg, Tu bingen, Giessen, Wittenberg e Leipzig (129). Nei territori dellImpero largomento della difesa della patria e delle leges patriae proprio dei
conflitti tra ceti e principi consentiva, ancora nel tardo XVII secolo,
di incorporare i singoli privilegi cetuali entro lo stato territoriale
(127) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Landespatriotismus: Territorialstaatsbildung und Patriotenpflichten in den Auseinandersetzungen der niederhessischen
Sta nde mit Landgra fin Amelie Elisabeth und Landgraf Wilhelm VI. von Hessen-Kassel
1647-1653, in A. DE BENEDICTIS-K.H. LINGENS (eds.), Sapere, scienza e coscienza nel diritto
di resistenza, cit., in riferimento a Althusius, Politica, XXX, 48; XXXVIII, 68.
(128) Come nel monarcomaco scozzese George Buchanan, su cui si veda ora il
saggio di R.A. MASON, People Power? George Buchanan on Resistance and the Common
Man, in R. VON FRIEDEBURG (ed.), Widerstandsrecht in der fru hen Neuzeit, cit., pp.
163-181.
(129) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Landespatriotismus, cit.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

anche grazie alle trasformazioni del sapere giuridico dalla vecchia


prudentia civilis al nuovo usus modernus. Gli stessi conflitti, tra gli
anni trenta e gli anni cinquanta del XVIII secolo, non ricorrevano
piu`, pero`, alle leges patriae, ma registravano la difesa di specifici
diritti e privilegi nobiliari e cetuali, come nel caso del Land Mecklenburg. Una strada senza uscita, per le concezioni della liceita` del
resistere sostenute nella Alteuropa (130).
Da qui derivava, probabilmente, il rifiuto kantiano del contratto
inteso come fatto e quindi di una duratura cultura giuridica
e linappellabile condanna della disobbedienza dei sudditi: Vi e`
dunque un contratto originario, che e` lunico sul quale si puo` fondare
una costituzione civile universalmente giuridica tra gli uomini e si
puo` istituire una comunita`. Ma questo contratto (chiamato contractus originarius o pactum sociale), come unione di tutte le volonta`
particolari e private di un popolo in una volonta` comune e pubblica
(ai fini di una legislazione semplicemente giuridica), non e` punto
necessario presupporlo come un fatto (come tale non sarebbe neppure possibile), quasi che, perche noi ci considerassimo legati a una
costituzione civile gia` stabilita, dovesse prima esser dimostrato dalla
storia che un popolo, i cui diritti e le cui obbligazioni noi come
discendenti avremmo ereditato), dovesse una volta aver compiuto
realmente un tale atto e dovesse averne lasciato a noi testimonianza
scritta od orale. Questo contratto e` invece una semplice idea della
ragione, ma che ha indubbiamente la sua realta` (pratica): cioe` la sua
realta` consiste nellobbligare ogni legislatore a far leggi come se esse
dovessero derivare dalla volonta` comune di tutto un popolo e nel
considerare ogni suddito, in quanto vuol essere cittadino, come se
egli avesse dato il suo consenso a una tale volonta`. Questa e` infatti
la pietra di paragone della legittimita` di una qualsiasi legge pubblica (131).
III. Vocabolario, discorsi, argomenti sulla liceita` del resistere
nellEuropa medievale e della prima eta` moderna furono ben piu`
estesi e diffusi di quanto non sia stato sopra riferito. (E non solo
perche furono ben presenti in alcuni classici del pensiero politico,
(130)
(131)

Ivi.
I. KANT, Sopra il detto comune, cit., p. 262.

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ANGELA DE BENEDICTIS

come John Locke, o si trasformarono nel diritto di rivolta della


Francia rivoluzionaria (132). Si puo` ragionevolmente supporre che
essi fossero intrinseci ad ogni conflitto, tanto normali quanto fu
normale la dimensione del conflitto, non rimanendo confinati
allinterno dei conflitti politico-religiosi del XVI e XVII secolo e
quindi non essendo limitati ai territori direttamente coinvolti da
guerre di religione (133). Altrove chi scrive ha ripresentato alcuni
discorsi e argomenti sviluppati in Catalogna, a Napoli, in Piemonte,
ovvero nella cattolica Europa mediterranea (134), tutti accomunati
dalla lucida consapevolezza di doversi difendere non solo da pratiche politiche, ma anche da concezioni nuove della politica che
assumevano la relazione di potere e obbedienza come unico criterio
ordinante, perno esclusivo dellordine politico (135). Daltra parte,
non e` un caso che nel piu` recente ed esaustivo quadro comparato sui
secolari tentativi di assorbimento della societa` giurata o corporata
dalla sovranita` diffusa nella nuova identita` collettiva dello Stato (136), nella Geschichte der Staatsgewalt, Wolfgang Reinhard abbia
mostrato la complementarita` di Partnerschaft und Widerstand negli
stati europei di eta` moderna, e la normalita` dei discorsi coi quali
(132) Il taglio dato a questo saggio mi consente di non soffermarmi, al momento,
su un tale autore e su un tale problema (come anche pure su altri qui non presi in
considerazione per economia del discorso). Poiche , come spero di aver mostrato in vari
punti, i discorsi sulla liceita` del resistere traggono argomenti dai discorsi sulla cittadinanza, rinvio per Locke e per la rivoluzione francese a P. COSTA, Civitas. Storia della
cittadinanza in Europa, 1, Dalla civilta` comunale al Settecento, cit., pp. 266-309, e a P.
COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 2, Leta` delle rivoluzioni, cit., pp.
19-35.
(133) Cfr. ora F. BENIGNO, Specchi della rivoluzione. Conflitto e identita` politica
nellEuropa moderna, Roma, Donzelli, 1999. Specifici rinvii a particolari situazioni in W.
SCHMALE, Archa ologie der Grund- und Menschenrechte in der Fru hen Neuzeit. Ein
deutsch-franzo sischer Paradigma, Mu nchen, Oldenbourg, 1997.
(134) A. DE BENEDICTIS, Identita` comunitarie e diritto di resistere, in P. PRODI-W.
REINHARD (eds.), Identita` collettive tra Medioevo ed Eta` Moderna, Bologna, Clueb, 2002,
pp. 265-294.
(135) P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 1, Dalla civilta` comunale al Settecento, cit., p. 100.
(136) Su cui P. PRODI, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia
costituzionale dellOccidente, Bologna, il Mulino, 1992, soprattutto pp. 161-487. Di P.
Prodi si veda ora anche la Introduzione a P. PRODI-W. REINHARD (eds.), Identita` collettive
tra Medioevo ed Eta` Moderna, cit., pp. 9-30.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

si rivendicava fino al diritto alle armi per lattuazione del proprio


diritto nel corso dei numerosi conflitti che attraversarono lEuropa
della prima eta` moderna (137).
Insomma, le riflessioni e discussioni se resistere e/o difendersi
fosse lecito, e a chi, e in quali circostanze, e secondo quali modalita`,
non costruirono teorie o dottrine della resistenza (nessun diritto di
resitenza), ma risposero a questioni fondamentali di prassi, intorno
alle quali il sapere giuridico medievale e moderno si arrovello`
ripetutamente e continuamente, includendo sempre argomentazioni
risalenti in quelle che venivano riorganizzate nel dilemma di volta in
volta presente.
Se questo e` il quadro che ora si sta ricostruendo, mi pare che il
diritto al presente (138) delleta` della globalizzazione possa comprendere, per laffollamento che lo caratterizza, molti dei motivi
e piu` complessivamente il sapere su cui per alcuni secoli molti
giuristi hanno lavorato, soprattutto per il carattere inclusivo, piuttosto che esclusivo e selettivo (139) del suo sapere e delle sue
procedure. La maggiore vicinanza del diritto presente al contesto
antico (140) e alla costituzione medievale (141) puo` giustificare il
breve esperimento che si vuol compiere in poche righe, con una
qualche forzatura di cui si e` consapevoli, di attribuire ai giuristi
antichi il metodo di lavoro e le priorita` in agenda dei giuristi
presenti.
I giuristi che, nel lungo periodo sopra attraversato, esaminavano
la questione della resistenza, non si ponevano generalmente il
problema di censire tutto lesistente o organizzarlo in un chiaro
elenco o in un rigido ordine gerarchico (142), un progetto che anche
(137) W. REINHARD, Geschichte der Staatsgewalt. Eine vergleichende Verfassungsgeschichte Europas von den Anfa ngen bis zur Gegenwart, Mu nchen 1999, pp. 210-304 (si
puo` consultare ora la traduzione italiana Storia del potere politico in Europa, Bologna
2001, pp. 247-361).
(138) M. R. FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, il Mulino, 2002.
(139) Ivi, p. 65.
(140) Ivi, p. 103.
(141) Ivi, p. 108, in riferimento agli studi di M. FIORAVANTI, soprattutto, da ultimo,
Costituzione, Bologna, il Mulino, 1999.
(142) M.R. FERRARESE, Il diritto al presente, cit. p. 65.

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ANGELA DE BENEDICTIS

il diritto delleta` della globalizzazione non pratica per la sua estrema


difficolta` (143). Gli stessi giuristi ragionavano sulla base di piu` fonti
del diritto, di piu` soggetti giuridici, di piu` istituti. In questo senso,
il loro orizzonte giuridico percepiva gli attentati posti dal primato
della legge, che pero` allora non era ancora del tutto incontrastata
signora e prima attrice della scena giuridica (144).
Qui sta un punto fondamentale. Laffollamento del diritto al
presente puo` forse comprendere quei giuristi meglio di quanto non
avesse fatto il diritto del primato della legge. Probabilmente basterebbe dire, in sintesi, che quei giuristi agivano in uneta` di diritto
giurisprudenziale e giudiziario (145).
Data la rilevanza, nel diritto delleta` della globalizzazione, del
contratto e dei diritti che se ne occupano (146) ; delle costituzioni poste per via pattizia (147); dei percorsi costituzionali di tipo
pattizio e di tipo contrattuale (148); dati interessi piu` vicini alle
antiche che alle nuove costituzioni (149), alla costituzione medievale
piuttosto che alla costituzione ottocentesca; data la necessita` di
comprendere i conflitti e le ripetute rivendicazioni di un diritto di
rimostranza (150), di capire le forme della violenza (151); data, soprattutto, la concezione diffusa che la titolarita` di un diritto equivalga al
potere di chiederne losservanza, di porre sul tappeto la questione
della sua esigibilita` (152), e laltra, intimamente connessa, che laspettativa di giustizia produca diritti (153); dati tutti questi aspetti del
diritto al presente (e altri che qui non ho ripreso), allora si puo`
ritenere che i giuristi che lo pensano siano in grado di comprendere
privi della presunzione tipica della cultura giuridica ottocente-

(143)
(144)
(145)
(146)
(147)
(148)
(149)
(150)
(151)
(152)
(153)

Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,

p. 65.
p. 66.
p. 69.
p. 70.
p. 78.
p. 115-118.
p. 97.
p. 107.
p. 183.
p. 130.
pp. 184-185.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

sca (154) i discorsi dei giuristi medievali e moderni, non da ultimo


in quanto erano pure espressione di processi di politicizzazione del
giudiziario e di giuridicizzazione della politica (155).
Gli argomenti del resistere prima del diritto di resistenza
possono allora presentare qualche interesse per chi ora si muove nel
tentativo di pensare nuovi scenari, aggiornati per il futuro, dello
Stato di diritto. Come e` stato fatto recentemente per la questione
della tradizione repubblicana in Machiavelli (156), il confronto con la
genealogia del diritto di resistenza potrebbe far acquisire una
profondita` di campo storiografica tale da permetterci di portare alla
luce modi altri, inconsueti e originali di affrontare e di concettualizzare i problemi teorici (157).
Si e` gia` mostrato ripetutamente come ogni proposizione del
problema del resistere fosse del tutto interna a conflitti e costituisse
un tentativo di risolverli da parte di chi, attivamente, avesse lo scopo
di difendere le proprie liberta`. In questo senso aveva preoccupazioni
repubblicane che non escludevano affatto la loro compatibilita`
con la monarchia (158). Chi si poneva il problema di difendere le
proprie liberta`, e per questo resisteva, praticava un agire di cura
vigile dei propri diritti, era costantemente disposto a opporsi agli
oltraggi e a difendere la propria sicurezza (159). La activity of
claiming e la rivendicazione (160) costituirono per secoli la premessa
e la sostanza insieme di ogni discorso di difesa delle liberta` e di
(154) Ivi, p. 137.
(155) Ivi, p. 203.
(156) L. BACCELLI, Machiavelli, la tradizione repubblicana e lo Stato di diritto, in P.
COSTA-D. ZOLO (eds.), Lo Stato di diritto, cit., pp. 424-93.
(157) Ivi, p. 427. Segnalo qui un modo altro, completamente diverso per
impostazione da quello di Baccelli, portatore di una proposta estremamente stimolante
e che sta facendo discutere non solo gli storici del diritto: M.T. FO} GEN, Rechtsgeschichte
- Geschichte der Evolution eines sozialen Systems, in Rechtsgeschichte, I, 2002, pp.
14-20. La originalita` di questa storia del diritto potrebbe anche comprendere il diritto
di resistere.
(158) Cfr. R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Konfessionskonflikt, cit., e
anche A. DE BENEDICTIS, Politica, governo e istituzioni nellEuropa moderna, Bologna, il
Mulino, 2001.
(159) L. BACCELLI, Machiavelli, la tradizione repubblicana e lo Stato di diritto, cit.,
pp. 434-35, in riferimento nei primi due casi a Adam Ferguson.
(160) Ivi, p. 437.

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ANGELA DE BENEDICTIS

liceita` del resistere. Anche per questo e` possibile, a mio parere,


reperire nellesperienza politico-giuridica della prima modernita`
unaltra concezione dei diritti, alternativa a quella giusrazionalista,
riferibile al sentimento di affermazione della propria dignita` e di
resistenza al dominio arbitrario (161).
Se poi questa concezione del diritto di resistenza (deprivata,
naturalmente, del ricorso alle armi) alternativa a quella elaborata
nello Stato di diritto e come parte di esso, possa offrire un
contributo significativo alla riflessione contemporanea sui diritti
fondamentali (162), questo e` compito che puo` spettare solo ai
giuristi, ammesso che se lo vogliano assumere (163). Chi, come me, e`
solo storica puo` unicamente segnalare, da ultimo, che tutta la
concezione del resistere di cui si e` parlato fu propria di unEuropa
a suo modo (non certo kantiano) repubblicana, in cui le idee di
governo misto esprimevano insieme sia il principio aristotelico del
giusto mezzo, sia senza esserne in contrapposizione lidea di
una articolazione dei poteri in modo tale che luno guardasse laltro;
e che si poneva, si puo` dire quotidianamente, il problema della
tirannide (164). Anche per questo lincompleto quadro presentato
nelle pagine precedenti puo` essere di qualche interesse per chi oggi
pensa a una prassi del governo misto come forse unico modulo
adatto allUnione Europea allinizio del nuovo millennio in quanto
espressione di unidea flessibile di governo nella nuova Europa e
quindi di prefigurazione di una nuova modalita` europea dello Stato
di diritto (165).

(161) Ivi, p. 437. Questa altra concezione dei diritti e` appunto stata indagata da
W. SCHMALE, Archa ologie der Grund- und Menschenrechte, cit.
(162) L. BACCELLI, Machiavelli, la tradizione repubblicana e lo Stato di diritto, cit.,
p. 437.
(163) Per una sintesi della discussione in atto tra i giuristi dopo la II Guerra
Mondiale cfr. E. BETTINELLI, Resistenza (diritto di), in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, XIII, Torino, Utet, 1997, pp. 183-199.
(164) Ivi, p. 433.
(165) R. BELLAMY-D. CASTIGLIONE, Il deficit democratico dellEuropa e il problema
costituzionale, in P. COSTA-D. ZOLO (eds.), Lo Stato di diritto, cit., pp. 506-534: 529.

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BEYOND COMMUNITY AND RIGHTS: EUROPEAN


CITIZENSHIP AND THE VIRTUES OF PARTICIPATION
1. The return of the citizen. 2. Models of citizenship. 3. Citizenship as belonging:
A European Community? 4. Citizenship as rights: a European Constitutional
Patriotism? 5. Citizenship as participation: The role of civic engagement. 6.
Conclusion.

1.

The return of the citizen.

The revival of citizenship studies over the past twenty years has
been associated with two sets of related challenges to the liberal
democratic regimes of nation states. The first set consists of the
challenges to national political cultures posed by ethnic diversity and
minority nationalism within the state, and globalisation (often associated with commercialisation and Americanisation) without. These
developments have prompted debates over the importance of nationality and a shared culture as sources of reciprocity and allegiance
between both citizens themselves and them and the state. For
example, both academics and policy-makers have fiercely debated
such issues as the content of civic education in schools and the
degree to which naturalised citizens should be obliged not just to
adhere to the political norms of the host nation but also to acquire
various of its social and other cultural characteristics, such as the
dominant religion and language. The second set of challenges stem
from the political, social and administrative problems posed by the
growing electoral apathy of citizens, the fiscal crisis of the welfare
system, and the transformations of the relationship between the
public and private sectors induced by neo-liberal policies. These
developments have also been broadly linked to market driven global
forces and a multicultural concern with recognition at the expense

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

of the politics of redistribution. They have given rise to debates over


the degree to which markets or the law prove better than democratic
politics in enabling citizens to influence public and private producers and service deliverers and hold them to account.
Both sets of challenges have led social and political scientists to
investigate the presuppositions of citizenship and to ask whether the
role of the citizen can be adapted to a context that goes beyond a
form of liberal democracy linked to the nation state. The first set of
challenges is evident in the concern of sociologists in particular with
the rules of membership that give access to citizenship and in
comparing the responses of different social systems to the growth in
immigration (1). There has also been a related debate amongst
political theorists over the degree to which liberalism and democracy
either conflict with or assume some form of national political
community. Both these discussions are connected to an earlier clash
between liberals and their communitarian critics prompted by the
second set of challenges. Communitarians had argued that liberals
encouraged a self-defeating form of extreme individualism by concentrating on rights to the neglect of the claims of society and the
common good. By offering a link between issues of entitlement and
just distribution, on the one hand, and issues of membership and
solidarity, on the other, the theory of democratic citizenship promised a synthesis of but also, as Will Kymklica has remarked (2), a
kind of strategic retreat from this argument, which it was felt
had reached an impasse. However, the opposition between these
positions has resurfaced recently and connected to the debates over
the first set of challenges in the current discussions surrounding
cosmopolitan theories of global democracy and the claims of international justice.
In various ways, therefore, contemporary accounts of citizenship have concentrated on either a communitarian concern with
belonging or a liberal concern with rights. In both cases, a more
(1) Cf. R. BRUBACKER, Citizenship and Nationhood in France and Germany, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1992.
(2) W. KYMLICKA, Contemporary Political Philosophy, Oxford: Oxford University
Press, 20022, pp. 284 and 318; cf. also W. KYMLICKA and W. NORMAN, Return of the
Citizen, Ethics, 1994, vol. 104, n. 2, pp. 352-81.

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351

traditional focus on political participation has taken second place.


For communitarians, it arises only when a people or demos share a
common good and values through belonging to a relatively homogenous and circumscribed political community. For liberals, democracy is but one, and not necessarily the best, means for individuals
to exercise and secure their rights. Indeed, within a global and
market orientated society, the law and impartial regulators may be
superior guarantors of individual rights. For them, citizenship is a
matter of entitlement rather than political participation or civic
commitment.
The debate on European citizenship draws upon, but does not
entirely belong to, the recent revival of interest in the citizens role
and character. For partly contingent reasons, it first developed
within a more juridical and administrative discourse, which had the
prime aim of defining the specific, primarily economic, rights and
liberties that accrue to member state nationals in relation to the
nascent European juridical space. However, the often contradictory
demands that lie behind criticism of the EUs legitimacy have
pushed this discussion beyond that early stage, leading it to take on
board the current preoccupations of sociologists, political scientists,
theorists, politicians and policy makers rehearsed above even if
traces of the original legal bias remain. Consequently, the political
aspects of citizenship have been understood mainly in terms of a
bundle of rights that define the status of the citizen, while the social
aspects have been interpreted almost exclusively in terms of criteria
for admission or membership. It is our contention that this perspective offers a partial and partly misleading genealogy of the historical
forms of citizenship, one that unduly reflects the dominant concern
with belonging and rights of recent studies and the juridical framework within which EU citizenship initially developed. The purpose
of this essay is to offer a more adequate normative model of the
citizen that fits not only with the development of the European
political order, but also makes sense of its historical roots in the
modern languages of democratic citizenship.
2.

Models of citizenship.
The original idea of citizenship, to be found in Greek political

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

thought, arises out of a democratic view of the political order.


Citizens were those members of a political society whose basic
equality was established by the constitution recognising them as
entitled and capable of being rulers and ruled in turn. The constitutive principle of this political regime, as one in which all citizens
had full and equal membership, was established through various
institutional arrangements and political practices. Although the
equality of all members of a political community has remained a
central feature of the idea of citizenship throughout its history, its
basis has shifted away from the ability and duty to be self-ruling, to
one of unqualified entitlement for each and every adult. The partial
re-reading of the role of the citizen in jurisprudential terms, as an
individual subject whose status is defined by the possession of rights
and claims against the sovereign, and the identification of the citizen
with all adult members of a national community, have both, in
different ways, obscured what was originally an entirely political
relationship defined by a certain kind of constitutional regime.
In modern times we find a variety of models and conceptions of
citizenship. These have been distinguished using a number of criteria, from the contrasting interpretations of citizenship offered by
different political ideologies and languages (liberal, libertarian, communitarian, social-democratic), to the diverse national histories of
citizenship and the distinctive legal and political definitions to which
they gave rise. At a more abstract and analytical level, however, it has
become common to identify three broad families of theories based
on different views of what makes a citizen a member of a political
community (3). One view insists on the equal status of the citizen as
a rights-bearer. This position is the citizenship-as-rights model. A
second view looks at the supposedly shared cultural, ethnic or other
characteristics of the citizens of any given community. This thesis
constitutes the citizenship-as-belonging model. A third view speaks in
more classical terms of a citizen as possessing the requisite civic
(3) H. R. VAN GUNSTEREN, A Theory of Citizenship Boulder, Co, Westview Press,
1998, pp. 16-21; K. EDER and B. GIESEN eds, European Citizenship between National
Legacies and Postnational Projects, Oxford, Oxford University Press, 2001, pp. 3-7; but
cf. also KYMLICKA, Contemporary Political Philosophy, pp. 287-302.

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353

virtues to participate in the community. This is the citizenship-asparticipation model.


These three models are not mutually exclusive, and any account
of citizenship will include elements of each of them. However,
historically they have come to be associated with conflicting conceptions of citizenship, each of which take different views of the
qualifications, entitlements, obligations and virtues of citizens. Classical views of citizenship emphasised virtue. What entitled someone
to be a citizen depended on his or her capacity to exercise the rights
of citizenship rightfully. Politics, as the only form of the public
domain, was where such virtues could be displayed and exercised.
The entitlements of citizenship could therefore best be displayed
and defended through political participation and vigilance, while
their diffusion consisted in nothing more than the extension of the
franchise. It was not rights per se so much as the right to have
rights, and the correlative duty to exercise them, which counted in
this model (4). However, this right was linked to belonging to a
specific kind of community the free city republics and to
occupying a certain role through membership of a propertied class
who had the time and money to engage in the citizen duties of public
service and soldiering.
Gradually, as John Pocock has observed, this, mainly Aristotelian, paradigm of citizenship gave way to another classical paradigm
stemming from the Roman juristic tradition and its later developments in medieval and early modern natural law (5). This tradition
tended to view the relations between people as being mediated by
relationships between people and things. Property rights and civil
private law provided the model for the citizens place and role
within the community. Thus, citizens were no longer seen as mainly
public agents. They were principally private agents, oriented less to
political action for the common good than the pursuit of their
personal goals under the protection of the law or of public power.
Nevertheless, the concentration of powers in the state and its
administration was regarded as a defence as much as a threat to the
(4) On this, see Section 5, below.
(5) J.G.A. POCOCK, The Ideal of Citizenship since Classical Times, Queens
Quarterly, 1992 vol. 99, n. 1, pp. 33-55.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

individual. Consequently, the rights of citizens came increasingly to


be conceived as subjective rights, establishing a limit to the burdens
and obligations that public power itself could impose upon them.
Historically, this privatisation of the rights of citizenship has
been accompanied by, and to some degree promoted, the universalisation of citizenship to the whole of the adult population.
Initially, this development occurred within the confines of the nation
state, and so was modified by a citizenship of belonging linked to
nationality, territory and group solidarity. However, human rights
increasingly justify access to citizenship rather than vice versa.
Though beneficial in certain respects, this process has also contributed to the fragmentation of citizenship as civil society has pulled
apart from the state, so that rights have been treated as either
uncompromising claims on resources or as absolute limits to obligations. Individuals no longer see their rights as emanating from an
authority or as reflecting the duties they owe to fellow members of
the polity. Instead, they see them as subjective properties. Without
a sense of a common purpose, though, it is often difficult to
adjudicate between different claims or to order them according to
some kind of priority. As a result, there has been a revival of interest
in the role and normative importance of national political communities as well as attempts to construct a sense of global community
simply on the basis of rights rather than any sense of belonging or
identity.
Emphasising only one of the analytical dimensions of citizenship, however, distorts the role that it played in the formation of
modern nation states and fails to offer a normatively convincing
grounding for citizenship in a postnational context. One way of
exploring the ways citizenship as participation, rights and belonging
interact with each other is by seeing them as different aspects of how
citizens accept the legitimacy of any organisation. This acceptance
depends on the congruence between four dimensions of its operation (6). On the one hand, it must be deemed legitimate at what
might be called the polity level. This level involves the acceptance
(6) For a discussion of this, see RICHARD BELLAMY and DARIO CASTIGLIONE,
Legitimising the Euro-polity and its regime: The Normative Turn in European studies,
European Journal of Political Theory, 2003 vol. 2, n. 1, pp. 7-34.

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DARIO CASTIGLIONE

355

of its sphere of operation as legitimate, be that decided territorially


or on the basis of particular tasks or functions, and on those who are
controlled by it being legitimately considered (and considering
themselves) its subjects. On the other hand, it must be deemed
legitimate at what might be called the regime level. This entails that
citizens consider the political system as legitimate in the sense of
both the styles of politics it employs and their scope. In other words,
the regimes style must be thought to be sufficiently democratic in
terms of its representativeness, the operation of elections and so on,
and it must be deemed not to intervene into non-political areas.
All four of these dimensions (the sphere and subjects of the
polity, and the style and scope of the regime) can be said to have an
external (objective) and an internal (subjective) aspect that reflect
rights and belonging respectively. From a more objective perspective, all four must meet certain minimum standards of justice. Yet
subjectively, citizens must also identify with them as somehow
theirs. After all, Britain, France, Italy and Germany all subscribe to
the objective legitimacy standards set by such international rights
charters as the European Convention on Human Rights. However,
their citizens still identify themselves as British, French, Italian and
German and would be unhappy at a proposal suggesting, say, that
we now consider the German regime as that of Europe as a whole
and send our representatives to its parliament and so on. Indeed,
within all these countries there are minorities, such as the Scottish in
Britain, who desire a separate polity and regime of their own. In
these cases, the regime and polity of Germany and Britain respectively may meet objective standards of legitimacy but they lack
subjective legitimacy.
Why is identification with a regime and polity important? Part
of the reason lies in the fact that agreement on the objective criteria
exists at a fairly abstract level and there is considerable scope for
disagreement on how they should be interpreted when applied to
particular cases. All these countries recognise rights to freedom of
speech and privacy, for example, yet interpret them in very different
ways. Details of a politicians private life are not considered a matter
of legitimate public interest in Germany but are in Britain, with the
result that British newspapers can publish matters that German
papers may be prevented from revealing. To accept the validity of

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

such differences one need not rely on some form of communitarianbased relativism, merely an acknowledgment that a plurality of
reasonable views of rights is possible. Indeed, alternative positions
are generally articulated by different ideological, cultural and interest groupings within any given community. Citizenship as participation comes in here; for it has traditionally been the way a people who
feel they belong together have democratically decided how they
should understand their rights and establish fair rules of co-operation. The next three sections will explore how far this synthesis of
belonging, rights and participation can hold together given the
challenges confronting the nation state, using the EU as an example.
Section 3, which follows, will examine the attempt to ground
European citizenship in a sense of Europeanness, while section 4
will examine the claim that the EU can offer a new form of
post-national citizenship linked to rights. Both proposals are found
wanting. By contrast, section 5 outlines the prospects of employing
a form of participatory citizenship as the source of both belonging
and rights not only in the EU, but also more generally in any modern
complex society.
3.

Citizenship as belonging: A European Community?

When the policy of European citizenship was first mooted, it


was conceived as providing a symbol of identification with the EU.
As such, it went along with such other symbolic measures as the
introduction of a European passport, anthem and flag. The hope
was that as the member states pooled certain sovereign powers, so
citizens would in some appropriate sense also pool their national
identities. Access to EU citizenship rights would stem from and help
promote identification with the EU as a polity within its given
sphere.
This policy arose out of the belief that the pattern of legitimacy
within the EU must mirror that of the nation state and stem from a
citizenship of belonging based on a certain symmetry between
sovereignty and identity. According to the ideal of the nation state,
for a people to exercise self-government they must identify with each
other and with the polity and its regime, which must be sovereign
within its own territory. As the demands of minority nationalities

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357

have brought to light, this match between a sovereign state and a


single people was rather less common than the ideologists of the
nation state assumed. Yet sovereignty and identity in both the EU
and the member states are now pulling apart in new and dramatic
ways, undermining any form of citizenship that assumes a neat
overlap between them.
An analysis of each of these terms reveals why. Sovereignty
refers to the possession and exercise of power. It is an attribute of
both the polity and the regime aspects of any organisation. The
polity aspect of sovereignty concerns where, over whom and by who
power is exercised, thereby connecting respectively to the sphere
and subjects of politics. It involves both the domestic exercise of
power over and by subjects within defined spheres, and the foreign
employment of power to defend or extend the polity. The regime
aspect of sovereignty concerns the ways power is exercised. As such,
it connects to the scope and styles of politics, both in the domestic
and the foreign arena.
With a certain degree of exaggeration, which reflects the historical origin of the idea within the context of monarchical absolutism, sovereignty is often assumed to be an absolute and unitary
condition (7). A regime must possess total constitutional independence and be the supreme authority in the way it governs the
territory and people of an autonomous polity. This condition entails
that any dispersal of power must be vertical and hierarchically
ordered. Thus, federalism standardly represents a vertical parcelling
out of the polity aspect of sovereignty, with powers being delegated
from the centre, which retains the final say. Likewise, the separation
of powers usually consists of a vertical distribution of the regime
aspect of sovereignty, with one of the branches being more decisive
than the others, though which branch the executive, legislature or
judiciary differs between political systems and even according to
the issue.
Identity refers to the internal aspects of legitimacy. As we noted
above, a legitimate polity requires subjects to identify with both each
(7) ALAN JAMES, The Practice of Sovereign Statehood in Contemporary International
Society, in ROBERT JACKSON ed., Sovereignty at the Millenium, Special Issue, 1999 vol. 47
Political Studies, pp. 457-73.

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other and the boundaries defining the political sphere, whilst a


legitimate regime involves citizens regarding their identities as adequately recognised by the prevailing styles and scope of politics. As
we also remarked, a polity and its regime may meet perfectly
acceptable external standards of legitimacy and yet fail to satisfy
internal expectations. If a national minority do not identify with one
or other aspects of the polity, then it and its regime will be
unacceptable no matter how unexceptionable its procedures might
be. Similarly, a regime may enshrine just principles, but the ways
they are implemented can still fail to recognise the identities of
certain groups. For example, the ability of linguistic minorities to
participate fully in politics will be hindered if they cannot do so in
their own tongue, even if the system enshrines equal voting rights for
all. Legitimacy requires a certain congruence between sovereignty
and identity, therefore, even if such an identity has more often been
a matter of history and civic engagement than of ethnicity and
culture (8). In other words, where power is situated, over whom, by
who, how it is exercised and for what purpose must all match the
ways people conceive of themselves and of their relationships with
each other.
The ideology, if not necessarily the reality, of the Westphalian
state system, assumed this fit existed within the nation state. Its
achievement was to bring together territory (sphere), functions
(scope) and people (subjects) within a single political system (style).
Where other political identities and units existed, these were embedded within, and so subordinate to, the larger political identity
and unit. Thus, Britishness was supposed to accommodate English,
(8) The assumption that identification with a polity requires strong ethnic and
cultural ties e.g. A. D. SMITH, The Ethnic Origins of Nations, Oxford, Blackwell, 1986
appears unrealistic for most states, let alone multi-state entities such as the EU.
Multiculturalism is the norm rather than the exception. As Will Kymlicka has noted, the
worlds 184 independent states contain over 600 living language groups and 5000 ethnic
groups: W. KYMLICKA, Multicultural Citizenship: A Liberal Theory of Minority Rights,
Oxford, Oxford University Press, 1995, p. 1. We discuss this issue more fully in R.
BELLAMY, and D. CASTIGLIONE, The Normative Challenge of a European Polity: Cosmopolitan and Communitarian Models Compared, Criticised and Combined, in A. FLLESDAL
and P. KOSLOWSKI eds., Democracy and the European Union, Berlin, Springer-Verlag,
1997, pp. 254-84.

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Welsh, Scottish and Northern Irish identities. Each region formed a


part of the United Kingdom, with their local governments feeding
into the Westminster system. As this example indicates, this hierarchical and unitary organisation of sovereignty and identity was never
wholly uncontentious and today it clearly is not. Both the polity and
the regime aspects of sovereignty have been challenged, with identity
being similarly affected.
With regard to the polity aspect, greater interconnectedness at
the international level and greater heterogeneity at the local and
regional levels have undermined not only the functional efficacy of
states to frame independent socio-economic and security policies,
but also their ability to draw on or forge a national identity capable
of sustaining an allegiance to either the public good or the collective
institutions and decisions that define and uphold it. Externally,
states have become increasingly involved in and subject to international bodies, with a concomitant loss of power. Internally, minority
nations have argued in consequence that they can be as viable as the
larger political units to which they currently belong, and have
demanded greater autonomy and even independence. Likewise,
immigrant groups look for recognition of their ethnic identities in
special rights and group representation. Meanwhile, a more diffuse
and fragmented set of attachments that are both sub national and
transnational in character have developed amongst people generally.
For example, the ties of family, work, ideology, religion and sport
increasingly operate either below or beyond the nation state, competing with and diluting any sense of a purely national identity.
The regime aspect of sovereignty and identity is also affected.
We must now confront a situation of multiple and interacting demoi.
This circumstance has profound consequences for where and when
democratic decision-making can take place, amongst whom and
about what. Increasingly, different policies will generate very different answers to each of these elements. This fact also poses challenges
to how we apply democratic norms, potentially questioning the
suitability of simple majority rule, formal conceptions of the rule of
law and notions of equal citizenship should these fail to protect
minority interests or respond to important differences of context. As
a consequence, multinational states such as Britain, Belgium and
Canada but also more unitary ones such as France, Italy and

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Spain are evolving new styles and scopes of politics to cope with
this situation, introducing a hitherto unprecedented degree of constitutional and democratic complexity (9).
The EU emerges from these self-same forces, being both a
mechanism whereby nation states have responded to these changes
and a challenge to their current polity and regime sovereignty and
the identification their citizens have with them (10). Compared to the
member states, though, the EUs nascent polity and regime are even
more complex. Within the EU, function and territory are pulling
apart, producing growing disjunctures between its territorial and its
functional membership in core policy areas. As a result, it is developing into a poly-centric polity with a multileveled regime. This
process involves the redistribution of sovereignty and the creation of
multiple political identities (11). For example, in monetary policy
Britain, Denmark and Sweden stand aloof. Indeed, different polices
tend to involve different types of territorial actors operating in
different sorts of institutional settings. In many cases, the actors are
sub- or trans-national rather than national, with the comitology
process involving private as well as public agents and agencies.
Moreover, representatives in even the same body are often selected
in different ways by their respective constituencies, as in elections to
the EP. The jurisdictions the spheres and subjects of these
various bodies are not clearly demarcated, they often have different
powers in different parts of the EU, and they employ different styles
and possess different scopes of politics. Nor is there any overarching
authority to decide disputes between them. Except in very restricted
domains, such as certain aspects of competition policy, the EU has
few exclusive competences and has not asserted its hierarchical
control over the member states. Meanwhile, European citizens
increasingly view their political engagement less, or not solely, as a
(9) For a survey, see D. AUSTIN, and M. ONEILL, Democracy and Cultural
Diversity, Oxford, Oxford University Press, 2000.
(10) A. MILWARD, The European Rescue of the Nation State, London, Routledge,
1993; F. SCHARPF, Governing in Europe: Effective and Democratic?, Oxford, Oxford
University Press 1999.
(11) J. G. RUGGIE, Territoriality and Beyond: Problematizing Modernity in International Relations, International Organisation, 1993, Vol. 47, n. 1; pp. 139-74, at
p. 172.

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general commitment to a particular party and system, and more as a


concern with various causes and issues (12). Though voting is in
decline, non-electoral political participation is in the ascendant. As
a result, people have become members of a range of new alliances,
some national, others sub-national and many of a transnational
nature, and (as we noted) now operate as members of multiple
demoi.
A standard hierarchical account would regard these different
identities and their corresponding centres of decision-making either
as operating at distinct levels or as components of an ever more
overarching political identity and system, with the regional being
nested within the national and the national within the European.
However, neither of these models works entirely in either functional
and institutional or personal terms. European measures are not
discreet, they alter the shape of domestic politics introducing new
subjects, namely resident citizens from other member states, and
new spheres, by giving economic, foreign, security and justice policy
a significant European dimension; whilst altering its scope, through
the need above all to ensure the freedom of capital, goods, services
and labour within the Union, and its styles from European
elections and referenda, through the raising of European issues
within domestic politics, to the enhancement of executive power
offered by the intergovernmental aspects of EU decision making. At
the same time, national, subnational and transnational concerns
continue to shape European integration and policy-making.
A citizenship of belonging on the nation state model will not
work for the EU, therefore. We belong to too many polities our
member states, our issue and interest groups, our ideological and
cultural communities, and so on. Nor are these neatly ordered in a
hierarchical way. We cannot either treat belonging to the EU as an
all-encompassing form of identity, enabling us to be EuropeanBritish, European-Christians, European-socialists and so on. Nor
can we regard these as discrete identities, so that I am British for
certain purposes and a European citizen for others. Thus, identification with the EU arises for the most part in combination with
(12) H-D. KLINGEMANN, and D. FUCHS eds., Citizens and the State: Beliefs in
Government Vol. 1., Oxford, Oxford University Press, 1995.

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other identities, interacting and occasionally conflicting with


them (13). The multiplication of polities and regimes, operating at
different levels of aggregation and attracting varying degrees of
identification, changes the character of both the external and the
internal legitimacy either of these can assert. The task is to find an
account of citizenship that can make normative sense of these
multiple forms of belonging.
4.

Citizenship as rights: a European Constitutional Patriotism?

The weakening of national sovereign power has led some commentators to believe the answer must lie in a post-national citizenship grounded in rights. Rights have long offered the dominant
approach to citizenship within the liberal tradition and inform its
interpretation of the constitutional practices of liberal democracies.
This liberal model conceives rights, the rule of law and constitutional democracy in largely juridical terms (14). Although there are
different variants of this juridical paradigm (British, American and
broadly European), they all concentrate on the importance of legal
mechanisms for controlling the abuse of power and protecting
individuals. Their aim is to secure a just framework of rights within
which citizens and the government can legitimately act. The resulting liberal constitution lays out the entitlements and obligations of
citizens vis-a`-vis both the state and each other. It constrains what
individuals may do to or expect of others and what the state may do
to or expect of them. As a consequence, rights define not only the
subjects of the polity but also its sphere and the scope and styles of
its regime.
Developing this liberal thesis, John Rawls has argued that
citizens of a liberal democracy share an overlapping consensus on
political rights (15). The citizens of a state that upholds these principles of political justice not only should be obliged to obey it, but
(13) See, BELLAMY and CASTIGLIONE, The Normative Challenge.
(14) See, R. BELLAMY and D. CASTIGLIONE, Constitutionalism and Democracy Political Theory and The American Constitution, The British Journal of Political
Science, 1997 vol. 27, pp. 595-618.
(15) J. RAWLS, Political Liberalism, New York, Columbia University Press, 1993.

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also, because they share these rights, will actually feel an allegiance
to it. Thus, a polity possessing a just regime will be stable over time.
In a similar spirit, Habermas maintains that it is the just political
culture of a state that binds us to it, rather than nationality or some
other social, religious or ethnic cultural force (16). We identify with
a polity because of a constitutional patriotism stemming from the
justice of its regime. In the Rawlsean scenario, if EU institutions
embody standard liberal democratic rights to which all adult members have access through being citizens, they should give substantial
and permanent support to them. Habermas concurs, but suggests, at
least on some occasions, a partial thickening of the Rawlsean consensus. He shares Rawls belief that European citizens should identify with EU institutions if they are just, but adds they also do so
because they reflect a distinctly European (as opposed to American,
say) political tradition that results from a particular historical process. Nevertheless, this European political culture is fundamentally
political rather than cultural. For instance, it is characterized by a
commitment to a welfare state and the abolition of the death penalty
(the main contrasts Habermas draws between Europe and the USA
in this regard). Like Rawlss overlapping consensus, therefore, Habermass constitutional patriotism ultimately issues from the rights
presupposed by democracy.
There are two problems with the Rawlsean and Habermasian
arguments. First, as we noted in the last section, rights may provide
a source of objective legitimation for an organisation, but they are at
best a necessary rather than a sufficient condition for subjective
legitimation. In part, this arises because Rawls and Habermas elide
the legitimacy of a regime with that of its polity. However, a regime
may be objectively legitimate yet fail to attract the subjective allegiance of all its citizens because they question the legitimacy of the
polity within which it operates. By contrast, citizens of an objectively
illegitimate regime often offer it tacit support because they subjectively identify with the polity presumably many Iraqis felt like
this. Likewise, a polity may be objectively legitimate, in the sense of
not being the result of recent conquest or colonization, but still lack
(16) J. HABERMAS, Between Facts and Norms, Cambridge, Polity Press, Appendix
II: Citizenship and National Identity.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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subjective polity legitimacy among a cultural minority. Moreover,


this absence of subjective polity legitimacy may lead citizens to
question the legitimacy of the regime, even if it meets fairly abstract
democratic criteria. For example, few, if any, Quebec nationalists
would deny that Canada is undemocratic per se. Their own view of
rights and democracy are more or less the same as Canadian
federalists in abstract terms. But they do feel that in the context of
the existing Canadian polity its political regime lacks democratic
legitimacy because, in their view, the French territories cannot
deploy these rights in ways that reflect their cultural interests.
The second problem kicks in here. As we noted, in the liberal
tradition rights supposedly define politics. Consequently, they cannot themselves be matters of normal political debate. In fact, the
rationale behind constitutional bills of rights is to allow their judicial
protectors to overturn or constrain political decisions that offer
supposedly illegitimate interpretations of rights or appear to neglect
them altogether. In Rawlss theory, the potential tension between
democracy and rights is resolved by arguing that liberal democracy
assumes a consensus on certain political, civil and social rights.
Habermas approaches the same issue from the opposite direction, as
it were. In his view, a consensus on rights is both the end point and
the presupposition or rationale of democratic deliberation. We
discuss with others in order to (and because we can) agree on rights.
The difficulty with both theories is that beyond the most abstract
level, and sometimes even here, there is considerable disagreement
about the foundations and character of rights, and how they apply
to particular issues. Moreover, debates about rights not only provide
the substance of many political debates, they also produce different
accounts of the nature of the political.
Take the main ideological divide within liberal democracies
between libertarians and social democrats. As figure one shows,
these two positions generate contrasting views of rights. These
different conceptions lie behind the main contemporary political
divisions, animating debates about the welfare state, the regulation
of the market economy and so on. Moreover, there can be no
overarching theory of rights that encompasses both positions. For
these views conflict in often incompatible ways.

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FIG. 1
Libertarian

Social Democrat

Legal Rights (liberties and


immunities)

Formally equal -ve liberties

Formally equal -ve liberties though certain immunities for reasons of substantive equality and
linked to social rights to
defend their equal worth

Political Rights (powers)

Protective, limited

Protective and informative, limited

Social Rights (claims)

Few (mainly insurance and Broad range: including


compensatory) or none
enabling and distributive
as well as insurance and
compensatory

Civic Rights (powers)

Few (consumer) or none


Strict divide between
state/civil society,
public/private

Workers and consumer


Need for state to regulate
and balance civil society

Duties

Of respect, with duties


subordinate to rights

Of concern and respect,


with duties being corollary
of rights

Part of the reason for the intractable character of their conflict


arises from the fact that, as figure two reveals, each offers a different
view of all four of the dimensions of politics.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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FIG. 2.
Libertarian

Social Democrat

Subjects

All autonomous agents


capable of entering legally
recognised contracts, particularly in the economic
sphere

All autonomous agents


capable of entering legally
recognised contracts, including social and political
sphere

Spheres

Political a narrowly defined public framework for


social interaction. Political
discussion and intervention, if not regulation,
inappropriate within a
broad private sector.

Political a more broadly


defined public framework
for social interaction. Political discussion and intervention, if not regulation,
inappropriate within a
narrower private sector.

Scope

To protect the natural


ve freedom and formal
equality of individuals

to foster autonomy by
preserving the broader
ve freedom and more
substantive equality of
individuals and classes

Styles

Constrained maximisation
to achieve mutual advantage via market trading

Constrained maximisation
to achieve mutual benefit
via pluralist bargaining

Thus, debates between libertarians and social democrats are not


within a political framework of rights, they are about that framework.
The same goes for citizenship. It too is not constructed by a set
of political rights. Rather, citizenship has been about the claiming of
rights and the constitution of the political realm. Thus, workers in
the nineteenth century did not just seek to become subjects (by
obtaining the vote) in an otherwise unchanged political system. They
sought to extend the sphere of politics through the introduction of
industrial democracy, to change its scope by allowing greater regulation of the economy, including public ownership of certain industries, and to alter its styles, through such measures as recognizing the
right to strike. Women campaigners made similarly broad demands
when claiming the franchise, that likewise aspired to change both
polity and regime. In the late twentieth and early twenty-first
centuries, the political demands of cultural minorities have been if
anything even more dramatic. For example, Britain has introduced

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new devolutionary structures to accommodate the demands of


Scottish, Welsh and Northern Irish communities, with potentially
new regional assemblies for parts of England as well. These have
changed all four dimensions of politics within the UK possibly
rather more so than was initially foreseen. However, it cannot be
argued that these various challenges will give rise to an everexpanding set of compossible rights, as Habermas appears to suggest. For these challenges often clash with each other, are both
regressive and progressive, and set up tensions that give rise to fresh
demands as part of an on-going process through which citizens
continuously reconstitute both polity and regime.
Needless to say, the EU represents a major change to the nature
of politics within all the member states. There has been a tendency to
view EU citizenship as simply a grant of rights by the member states
that legitimates, but does not change, the existing EU structures. In
other words, rights offer an objective form of legitimacy that citizens
should embrace and identify with. Yet citizens are clearly ambivalent
about the EU. Most may welcome it, but their identification with it
is qualified in numerous ways. In particular, there are endless debates
over both its polity dimensions does it do too much or too little
and the character of its regime too intergovernmental and insufficiently federal, or vice versa. Consequently, European citizens have
not been mere passive recipients of rights.
For example, in a rather fragmented way, reflecting both the
lack of a common European public sphere and the non-hierarchical
structure of decision making, citizenspressure has forced onto the
political agenda environmental, food-safety and other risk-related
issues. By so doing, they have redefined the sphere and the subjects
of democratic politics by appealing to an enlarged conception of
affectedness cutting across national boundaries. Although this is not
an exclusively European phenomenon, the integration process is an
ideal terrain for addressing many of the concerns citizens have with
regard to the risks they face as consumers in a more global and
integrated network of production and distribution. The same applies to the new patterns of mobility and communication that the
integration process has both reflected and encouraged. Just as these
have contributed to the creation of the new status of European
citizenship for member state nationals, so they have also posed the

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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problem of equal treatment for third-country nationals and the


extension of their rights of residence. Similarly, the formation of a
European juridical space has facilitated struggles and demands for
the extension of civil rights at a national and sub-national level,
altering in the process the style and scope of local politics. Finally,
the EU has simultaneously encouraged the homogenisation of citizenship rights at the transnational level while encouraging their
differentiation at a local level by fostering demands for the recognition of certain forms of cultural, ethnic and linguistic diversity,
which previously had been denied within national regimes. In sum,
rights do not constitute and cannot of their own accord legitimately
constrain politics or citizenship. Rather, they are themselves constituted through citizenship activity. If the EU is to be seen as a
remaking of the politics of the nation state, then we need a language
of citizenship that mirrors their part in this process.
5.

Citizenship as participation: The role of civic engagement.

The rights and belonging paradigms offer rather passive and


mainly horizontal views of citizenship. The former tends to establish citizenship either as a series of individual and mainly private
entitlements (in the liberal version) or as clientelistic claims against
the administrative state (in the social democratic version). The latter
treats the acquisition of citizenship as the product of natural bonding, acculturation and socialisation. These processes supposedly
define the citizens sense of identity, determining how he or she acts
and thereby qualifying him or her for this status. Both views posit a
relationship between the individual and a larger, super-ordinate
entity the state or the community as the essence of what being
a citizen is about. Moreover, as we have seen in the previous
sections, both views tend to reduce the role and importance of
disagreement as an essential component of politics.
However, disagreement is an inherent feature of co-existence
and co-operation in societies operating in the normal circumstances
of justice, with relative scarcity and limited altruism (17). Its origins
(17) As remarked by Rawls following Hume: J. RAWLS, A Theory of Justice,
Cambridge Mass., Harvard University Press, 1971, pp. 126-30.

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lie as much in the imperfections of human character and social


arrangements (bad faith, self-interest, entrenched forms of injustice)
as in the plurality of values, conditions and lifestyles of modern
societies; besides reflecting the sheer complexity of political issues
and social co-operation. The resulting disagreements give rise to
what Jeremy Waldron has described as the circumstances of politics: the condition of having to reach agreement on collective
policies (including the constitution of the polity and its regime) in
the face of disagreements about the right and the good (18). Citizenship-as-participation comes in here, as the way in which citizens, as
equal and full members of a political community (a horizontal as
well as a vertical bond), actively engage with each other in order to
create and re-create the conditions in which they can address the
circumstances of politics. They do so by trying to agree on the more
objective and universalistic aspects of legitimacy (norms, values,
rights, duties), and by establishing the more subjective and local
forms of legitimacy (affiliation, identity and solidarity) that can
sustain them.
Disagreement enters into politics, therefore, producing an ongoing political constitutionalism whereby a polity and its regime is
continually reconstituted more appropriately to recognise, respect
and represent the values, opinions and vital interests of its members.
The side-lining of the participation paradigm in the process of
European integration, and the almost exclusive focus on rights and
identity issues, has resulted in a certain timidity in recognising the
legitimate role citizens have in the constitutionalisation of the EU.
This is also due to a misunderstanding of the nature of citizens
participation in modern, complex societies. We shall examine this
timidity and the misunderstanding in turn.
If few theorists share our belief that citizensactions and
struggles do and should play a continuous constitutive role in
establishing rights, obligations and political practices, many are
willing to grant them a part in rare moments of exceptional constitutional change. Though we have disputed the implied distinction
between normal and constitutional politics (19), believing momen(18)
(19)

J. WALDRON, Law and Disagreement, Oxford, Clarendon Press, 1999, p. 102.


See, BELLAMY and CASTIGLIONE, Constitutionalism and Democracy.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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tous change often and more readily occurs as the result of cumulative and incremental shifts in peoples opinions, values and institutional practices, it is nonetheless true that in many democracies some
kind of formal popular consultation and debate is deemed necessary
for a major reform of the constitution. Given the present enlargement and deepening of the EU, there is a sense that Europe may
currently be going through just such a constitutional moment. This
belief may be unfounded, as the difficulties in constructing a common European position on the international stage readily testify. But
at the time of writing, there is no way of saying whether the current
crisis over Iraq will indefinitely halt any serious reform towards a
more integrated system of governance or, by contrast, will make it
more compelling. Yet, in spite of the indeterminacy of the pace and
direction of the constitutionalisation process, it remains true that
over the past few years the EU has embarked upon a self-conscious
constitution-building exercise that has culminated in the drafting of
a Charter of Fundamental Rights and the establishment of a Convention on the Future of Europe. Although the Charter has so far
remained a purely declaratory document, the Convention clearly
hopes to rationalise the EUs institutional architecture and define its
scope, values and legal personality within a new constitution.
In the EU context, supporters of both the rights and the
belonging views of citizenship have put great store by these constitutional moments, since they regard the formal declaration of the
Charter and/or the Constitution as an essential condition for fixing
the rights and political identity of EU citizens. Liberals of different
shades have consistently argued for the Charter to be both legally
binding and fully incorporated into the constitutional text. For they
consider incorporation essential to establish a conception of personhood based on equal dignity and a certain degree of security in ones
liberties. Besides, from a democratic perspective, they regard the
proclamation of the fundamental rights of European citizens as a
way of giving legal substance to the European demos and the
creation of a public communicative sphere for opinion formation (20). For their part, communitarians who wish Europe to be(20) J. HABERMAS, The Postnational Constellation, Cambridge, Polity Press, 2001;
S. RODOTAv , Ma lEuropa gia` applica la nuova Carta dei diritti, La Repubblica, 8 January,

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RICHARD BELLAMY

DARIO CASTIGLIONE

371

come a new civic nation clamour for the introduction of core


substantive values into the constitutional document. They argue that
what holds Europeans together is their common historical, religious
and cultural heritage. Giscard DEstaings claim that Turkey is
ethnically and culturally too different to be allowed to join is
illustrative of this position. Arguments in favour of this view have
emerged in the current Convention, as they did in the drafting of the
Charter, with delegates fiercely debating whether there should be an
explicit reference to God, and particularly Christianity, as sources of
human rights and European political values.
Yet, in spite of the importance that advocates of the rights and
belonging paradigms put on formal constitutionalisation, they have
paid little attention to the role that citizens might play in it. Both
camps seem satisfied with the very indirect way in which citizens
have been represented in the two conventions, through a low-key
self-selecting process occurring within current institutions. There
has been little concern over the low level of public interest in these
proceedings or the minimal press coverage it has received. Some of
the initiatives organised to give public visibility to the convention
proceedings have been rather perfunctory, as in the case of the
Youth convention, while the attempt to involve citizens more directly through the participation of civil society organisations has
been largely symbolic and not thoroughly thought out. Indeed, at
last years Social Forum in Florence denunciations were made of the
aloofness of the convention process from the debate about Europe
and its geopolitical place in a globalised world the issue that truly
concerns the peoples of Europe (21). The only formal role that
citizens have been assigned, and only in those few cases where a
member states domestic procedures require it, is to vote in referenda in the final phase of the ratification process. After the experiences of the Danish referendum on Maastricht and the Irish on
Nice, however, even such limited involvement is considered prob2001, E. O. ERIKSEN, Why a Charter of Fundamental Human Rights, in The Chartering of
Europe, edited by E. O. ERIKSEN, J. E. FOSSUM, and A. J. MENEu NDEZ, ARENA Report No.
8/2001, p. 29.
(21) See also the antiglobal demonstrations that have started accompanying the
IGC meetings.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

lematic. There seems to have been a presumption that popular


consent should only serve to rubber stamp whatever agreements had
already been made between governments and the Commission. As a
result, when the Irish electorate, for example, failed to support Nice,
their decision was treated as a momentary lapse of good judgement
and simply sent back to them for a second time so they could get it
right.
The extremely limited role allowed for citizensdirect participation is sometimes attributed to the relative lack of urgency and
momentousness with which institutional reform is seen by the
European citizens, and the difficulty of arousing popular interest in
rather complicated issues of institutional engineering that seem to
have no direct or tangible impact on policy. But this is clearly not
true of the series of crucial decisions taken by the EU and the
member states over the past few years that have precipitated the
present round of constitution-building. Enlargement and monetary
union are constitution-making events with clear policy implications,
and yet public discussion at European level has been carefully
managed and often curtailed. Where it has surfaced at national level,
as in the British case about the Euro, it has been due more to the
presence of a strong popular opposition (often opportunistically
manipulated by part of the elite opposed to any form of integration)
than to a genuine openness to a considered and well-informed
public debate. Indeed, the full social and political implications of
some of the policy and institutional decisions taken as part of the
establishment of a European common currency, such as the stability
pact, the role of the European Central Bank, and the price-stability
criteria, have only just begun to be publicly debated. The rigidity of
some of the structures and policies put in place has given rise to calls
for reform from many, often quite disparate, quarters. However,
these calls have met with strong resistance not just from the
institutional centre of the EU, but also from many member states,
who fear that any change may undermine the whole structure of
macro-economic policy put together in the wake of monetary union,
whose legitimacy it is felt rests more on the painstaking way in which
administrative decisions were arrived at than any clear popular
support.
It is evident that at a macro-political level, Europeanisation has

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DARIO CASTIGLIONE

373

resulted in a timid approach to the virtues of democratic debate and


democratic decision-making. This timidity is largely due to the
difficulty of imagining democracy in conditions where there seems
to be no unified demos capable of speaking with a single voice. It
also reflects a very narrow interpretation of what is meant by
citizenship as the right to have rights (22). As we saw, on the
Aristotelian view the right to have rights is what makes citizens
participation not just possible but essential to their very role.
However, this expression can also be interpreted a very different
way to mean simply the already given set of rights that come with the
right of citizenship. This alternative view belongs to the juridified
conception of politics propounded by modern liberalism and typifies post-war constitutionalism. Indeed, many American authors,
citing the use of this phrase by the American Supreme Court, treat
it as a summary of the more passive and private view of citizenship-as-rights (23). Yet, we doubt that the participatory implications
of this expression can be entirely jettisoned (24). If there are reasonable disagreements about rights, so that they fall within the circumstances of politics, then there can be no justification for favouring
elite over democratic-based procedures for their settlement. In a
society where citizens are presumed to be equal, the ideal of
comparative justice proves the most suitable norm for distributing
the political authority to make decisions concerning not only policies
but also principles (25). Participation, seen as citizens sharing in
political power with other citizens, is the right that makes it possible
for them to establish the nature and extent of the set of rights they
should all enjoy. Such participation should be understood as an
(22)

Cf. C. LEFORT, Democracy and Political Theory, Cambridge, Polity Press,

1998.
(23) Cf. KYMKLICKA, Contemporary Political Philosophy, p. 288, and pp. 322-3,
note 6, where reference is made to Trop v. Dulles 356 US 86, 102 1958.
(24) WALDRON, Law and Disagreement, Ch. 11, Participation: The Right of Rights,
pp. 232-54 and R. BELLAMY, The Right to have Rights: Citizenship Practice and the
Political Constitution of the EU, in R. BELLAMY and A WARLEIGH eds, Citizenship and
Governance in the EU, London, Continuum, 2001, Ch. 3.
(25) WALDRON, Law and Disagreement, p. 238, and note 21, for reference to Joel
Feinbergs understanding of comparative justice.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

equal and reciprocal right to have an effective voice in making the


collective decisions on which all citizens life-chances depend (26).
This argument returns us to the original ideal of citizenship-asparticipation that we find in the classical injunction that the citizens
of a republic are those who are both rulers and ruled. However, it is
often argued that this understanding of citizenship does not apply to
the conditions of modern politics and society, where the individual
citizens input is no longer necessary for the polity to both function
and survive. This claim proves misplaced. As John Stuart Mill
observed in his Considerations on Representative Government, political machinery does not act of itself... [it] has to be worked by men
and women, and even by ordinary men and women. It needs not
their simple acquiescence, but their active participation, and must
be adjusted to the capacities and qualities of such people as are
available (27). Active participation is therefore as important an
ingredient of modern as it was of ancient democratic government,
though the particular form that it takes, and the institutional machinery through which it is channelled, must, as Mill says, be
adjusted to the capacities and qualities of the people available in
the modern world. It is in this sense that, besides being looked at as
a right, participation needs to be seen as a quality of the institutions
and the virtues of the citizen.
In this regard, the timorous view of citizen participation often
rests on a misunderstanding of the preconditions of the classical
conception of citizenship that leads to the assumption that it cannot
be adapted to modern complex societies. Both liberals and communitarians tend to assume it presupposed a homogeneous and simple
society, in which public matters were strictly separated from private
ones. Homogeneity ensured there was little disagreement on basic
values while simplicity meant that the policies to be decided were
few. The strict public/private split arose from citizenship being
restricted to those whose property was sufficient for them to be free
(26) R. BELLAMY, Rethinking Liberalism, London, Continuum, 2000, pp. 155-59,
177-83.
(27) JOHN STUART MILL, Considerations on Representative Government, in Utilitarianism, Liberty, and Representative Government, London, J.M. Dent & Sons, 1944, p.
177 (our emphasis).

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DARIO CASTIGLIONE

375

to engage in public service without any desire for a reward, with


public matters in any case excluding the management of private
affairs. As a result, there was little scope for a clash of interests. In
these circumstances, all those qualified to do so had the time to
deliberate on the public good and were likely to reach an impartial
and consensual agreement on it.
These conditions hardly hold in the modern world. Liberals and
communitarians react differently to this state of affairs. Liberals
argue that politics has degenerated in being largely about the pursuit
of private interests by public means. What were to become the twin
evils of later republicans, factionalism and rent-seeking, they claim
are now the norm. This fact provides the main reason for taking
rights out of the political arena altogether and handing their protection to the courts. The most that can be expected of citizens in
the way of civic virtue is law-abidingness and a passive toleration of
others. The difficulty with this analysis is that the restricted account
of politics and its virtues it proposes is itself only likely to be
adequate in relatively homogenous and simple societies motivated
by the public good. People will only be happy to trust in others and
abide by the law, keeping participation to a minimum, where there
are shared interests and values. However, if everyone is out for him
or herself, why should we expect judges, public servants or politicians to be any more disinterested than anybody else. Qui custodit
cuius custodes becomes the central question, to which no satisfactory answer has yet been given. Communitarians accept this diagnosis of modern liberal politics, but advocate a return to the ancient
virtues within more localised settings, where homogeneity and simplicity prevail. Yet this solution appears hopelessly anachronistic,
and could only be established and sustained by a decidedly illiberal
degree of moral policing and interference with individual choice.
Such a policy seems unsustainable and unacceptable even at the
local level, let alone that of entire nations. Moreover, it too succumbs to the very problems it seeks to overcome. The emphasis on
our communal and familial ties risks further dividing and factionalising society, creating barriers between included and excluded
groups and individuals.
Fortunately, we believe things are not so bad as these accounts
suggest. The classical view has Roman as well as Greek antecedents,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

and was developed by later thinkers well aware of the modern


predicament. In the neo-Roman account, class and ideological conflict were taken as givens. The spur to participate was precisely to
avoid a rival faction taking power so that they could use public
means to pursue private ends. The solution to these struggles was to
find ways of balancing the various groups within a system of mixed
government thereby obliging them to cooperate with each other.
As the American Federalists presciently saw, complexity and size
aided this process (28). The one produced a plurality of interests, so
that any faction would always have to contend with other factions.
The second allowed power to be dispersed territorially, so that any
polity always had to contend with the claims of various sub-polities,
thereby preventing central government dominating all. It is our
contention that the multi-levelled forms of governance that are
painstakingly evolving in Europe offer an opportunity for developing such a neo-republican conception while avoiding the dangers of
factionalised and rent-seeking participation its critics fear.
Although multilevel governance undermines the sense of unity
that characterises traditional forms of democratic power, and so
apparently multiplies the occasions for factionalism and rent-seeking, it does not necessarily exclude the introduction of other forms
of more diffuse democratic participation and deliberation, thereby
giving the citizens more of a say on what matters most to them in
relation to their life-chances. In comparison to the national level,
Europe offers opportunities as well as apparent losses. European
politics is undeniably often characterised by log-rolling and horsetrading between national governments in defence of sectoral interests of various degrees of legitimacy. However, it also offers fora for
a more deliberative style of politics one that is partly detached
from the constraints imposed by modern-day party politics, and
sometimes better able to combine individual and democratic perspectives with those advanced by expert bodies. For example, the
Commission, or some of the agencies and committees under it, can
(28) See, R. BELLAMY, The Political Form of the Constitution: the Separation of
Powers, Rights and Representative Democracy, in R. BELLAMY and D. CASTIGLIONE (eds.),
Constitutionalism in Transformation. Theoretical and European Perspectives, Oxford,
Blackwell, 1996.

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DARIO CASTIGLIONE

377

often assume a more general view of the Unions and its


citizenscommon good, countering some of the more particularistic
and partial positions advanced by the national governments (29).
Thus, certain aspects of the BSE crisis testify to the ability of
European institutions to defend the interests of European consumers against the entrenched power of certain sectors within national
communities. But, the reverse also holds true. For intergovernmentalism has also allowed some particular interests to be successfully
defended against the force of simple majoritarianism within a given
national community. From such a perspective, it should also be
possible to find and develop modes and instruments of transnational
governance that, along with efficiency, also value citizensmore
direct input (30).
The encouragement of such forms of governance at the European level may also be able to compensate for the more populist and
executive-centred tendencies in national democracies, which tend to
stifle proper democratic debate and deliberation and occasionally
show worryingly authoritarian inclinations. Indeed, for all its lack of
effective power, or perhaps because of it, the European Parliament
may some times be able to reflect European public opinion better
than the sum of the national parliaments or governments could, as
may presently be the case in the Iraq crisis. Certainly, its highly
representative character and the need to reach decisions by a
majority of all MEPs and not just of those who vote, encourages a
deliberative and consensual form of politics. The complexity of
European decision making is often criticised. Yet it is arguably the
very diversity and mutually balancing character of the various
policy-making polities and regimes comprising the European Union
that places it in a better situation than the more hierarchically
organised national systems to represent the variety of rights, interests
and identities that characterise citizenship in modern societies.
(29) See P. CRAIG, Democracy and Rule-making Within the EC: An Empirical and
Normative Assessment, European Law Journal, (1997), vol. 3, n. 2; pp. 105-30; and C.
JOERGES, The impact of European integration on private law: Reductionist perceptions, true
conflicts and a new constitutional perspective, European Law Journal, (1997), vol. 3, pp.
378-406.
(30) See J. COHEN and C. SABEL, Directly-Deliberative Polyarchy, European Law
Journal, (1997) vol. 3, pp. 313-42.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

As for the practical problems raised by active participation, the


typical concerns about citizens willingness to engage in decision
making are partly misplaced. In modern complex societies, citizens
no longer participate solely in a narrowly defined public political
domain. It has become increasingly evident that people live in
overlapping networks of decision-making that are not organised in a
simple hierarchy. An increasing number of decisions affecting individuals as private persons, but also as citizens, are made in ways and
places that escape direct political control. The burgeoning of the
regulatory functions of the state (and of European institutions)
through independent or semi-independent agencies, which often
operate in the field of privatised public utilities, poses, for instance,
the problem of how to organise and give representation to the
interests of the citizen-consumers, balancing the growing power of
corporate enterprises in semi-monopolistic economic sectors. Similarly, the globalisation and internationalisation of capital and labour
markets have weakened the connection between territory and economic activities, thus sapping the vital sources of industrial and
work-based democracy and making large groups of economic agents
powerless. European-wide territorial policies should aim both to
protect the vital interests of local populations and to foster institutional and associative forms that re-empower them.
To have meaning, participation must apply as much to civil
society as to the state. There is nothing entirely new in this, since
most conceptions of democracy recognise the supporting role played
by civil society and associational life in general. Involvement in civil
society, however, should not be seen simply as an education for
politics, or as the seedbed for the virtues of political citizenship. In
many cases, though not in all, participation in civil society is no
different to participation in politics, and the virtues required in both
are mutually sustaining, if not the same. There are important ways in
which the political virtues of civicness, which entails acquiring a
sense of what the public interest is, can at times be fostered or even
coincide with the cultivation of the more civil forms of virtue,
consisting in the development of generalised trust, a sense of fairness, reciprocity, and a general civility in relation to others. Modern
participation requires these virtues to be actively exercised in the
practices of citizenship and collective decision making, in which

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DARIO CASTIGLIONE

379

individuals may engage through forms of traditional political participation, but also more directly either at the local level or in social
settings. These different levels and forms of collective decision
making increasingly form part of a more global interlocking system
of governance, in which we continuously dip in and out following
personal patterns of engagement and activism. Therefore, the problem is not that of sustaining any single or uniform pattern of civic
engagement (electoral turn-out, for instance; or party membership),
but of recognising that engagement takes very different forms and
that citizens should have the opportunity to have their say in a
variety of settings, which may better express the intensity of their
opinions or the proximity of their interests.
From such a perspective, the virtues of modern citizens are
more varied and in less need of being exercised to the utmost at all
times and circumstances. Moreover, if voice and participation are
important aspects of the liberty of citizens, so is exit as an option
that modern citizens may want to be able to exercise in various
contexts of contemporary society. As Herman van Gunsteren suggests, people who ... take the option of exit provide important
signals on the road of peaceful change in a free society (31). Such a
change is eventually supported by the loyal citizen, but neither
absolute loyalty nor complete disinterest work. What is needed is a
healthy and variable mix of the two options across society, people
and issues (32). Nonetheless, the virtues that characterise the cyclical
involvement of the average citizen cannot be sustained in their
purely procedural sense, nor can they be paternalistically imposed
on them. Modern participation requires a certain amount of virtue
across the polity, or to be precise, it requires a mixture between civic
and civil virtues, and their practice by a substantial number of
citizens. It is, after all, from the encounter with other citizens in the
process of collective deliberation that the civic bond is established
and cemented in Europe no less than in other places.
(31)
(32)

Van Gunsteren, Theory of Citizenship, p. 123.


See, D. CASTIGLIONE, Public Reason, Private Citizenship, in M. PASSERIN
DENTREVES and U. VOGEL (eds.), Public and Private: Legal, Political and Philosophical
Perspectives, London, Routledge, 2000, pp. 28-50.

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6.

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Conclusion.

The belonging and rights accounts of citizenship fail to be


genuine accounts of citizenship at all. For different reasons, both
sideline the main rationale for citizenship namely, participation in
making collective decisions in the face of disagreements over values
and conflicting interests. It is the fact that these disagreements and
conflicts exist that makes democratic politics necessary to resolve
them in ways that avoid tyranny or domination. For there can be no
expert or impartial decision-maker in such circumstances, and the
only way to ensure ones views and interests are fairly considered in
the final decision is to play a part in making them. Once the necessity
of civic participation is acknowledged, it remains to be seen whether
it is possible. Again the belonging and rights-based accounts assume
it is not. Here too we have challenged their arguments, suggesting
that the very processes they assume have undermined such political
agency may well be promoting it. The impossibility of a civic Europe
lies more in a failure of political will and imagination than any limits
of modern societies as such.

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GIORGIO BERTI

PRINCIPI DEL DIRITTO E SUSSIDIARIETA


v
1. Principi. 2. Principi e organizzazione. 3. Principi e regionalismo. 4. Legalita`.
5. Sussidiarieta`. 6. Societa` e Stato. 7. Il distacco dello Stato dalla societa`. 8.
Effetti sulla democraticita` dello Stato. 9. Unita` dello Stato e autonomie: sussidiarieta`
e gerarchia. 10. Sussidiarieta` e Unione Europea. 11. Sussidiarieta` e giuridicita`:
considerazioni finali.

1.

Principi.

Il linguaggio giuridico esprime di frequente dei concetti i quali,


essendo informati al criterio filosofico del dover essere, acquistano il
valore o la veste di principio. Il principio a sua volta, quando
sollecitato, si rifrange in una quantita` di regole, che sono appunto la
riedizione del principio in una maggiore prossimita` al reale. Tra il
principio e la regola possono collocarsi ad esempio le dodici tavole
di Roma antica, le quali furono il frutto di una traduzione positiva di
principi normativi formatisi spontaneamente in secolari esperienze (1).
Per questo, quando oggi si torna a usare il concetto e il termine
(1 )

Si veda in proposito F. SCHULZ, I principi del diritto romano, a cura di V.


ARANGIO RUIZ, Sansoni, Firenze 1949, passim. Il giuridico una volta elevato a sistema
o a pluralita` di sistemi e delimitato dal suo stesso metodo, rida` vigore ai principi, in
certo senso superando la positivita`, che e` contaminata dalla politica. Lisolamento del
diritto e` anche purificazione del diritto come linguaggio e come metodo. Su questi
aspetti si veda R. ORESTANO, Edificazione e conoscenza del giuridico nel sistema di Savigny,
ora in Edificazione del giuridico, Bologna 1989, p. 170 ss.; Y. THOMAS, Mommsen et
lisolierung du droit nel vol. Le Droit public Romain, Tome I, p. 1-48, Diffusion De
Boccard, Paris 1984; per la dottrina italiana inoltre P. COSTA, Il progetto giuridico,
Giuffre`, Milano 1974. Sui principi generali del diritto e sulla loro efficacia anche nel
diritto pubblico si veda ora il libro di A. SCIUMEv , I principi generali del diritto nellordine
giuridico contemporaneo (1837-1942), Giappichelli, Torino 2002.

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382

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

di principio, occorre cercare di rifarsi allambiente umano o sociale


o istituzionale nel quale il principio stesso si e` maturato o nel quale
esso e` destinato a espandersi in nuove concrezioni e quindi in nuove
regole. Alle volte sembra che lutilizzo del principio serva a mitigare
un effetto giuridico che non si vuole venga percepito secondo il suo
vero contenuto, ma venga lasciato a mezzaria cos` che se ne faccia
o si creda di poterne fare un impiego accettabile. Altre volte, il
principio, quando inserito in una serie normativa di particolare
pregnanza e dignita`, come e` la costituzione di uno stato o di una
entita` simile, oltre che divenire piu` suggestivo, acquista il senso di
una regola fondamentale del diritto come interpretazione della vita
associata e del rapporto fondamentale tra luomo e la societa`. E`
appena il caso di dire allora che il termine principio, lungi
dallavvolgere la conoscenza dellordine giuridico, ne esprime la
complicatezza, lintrinseco difficiledel mondo giuridico.
Se poi il principio diviene invece una specie di espediente per
cercare oltre lesperienza immediata la soluzione di un caso o di piu`
casi, allora e` come se si denunziasse una sorta di sconfitta: limpossibilita` di esprimere i contorni e quindi la storicita` di una regola (2).
2. Principi e organizzazione.
La nostra e le precedenti generazioni sono state largamente
influenzate dal credo positivo, e quindi dal diritto prodotto attraverso meccanismi istituzionali e procedurali dal soggetto dotato di
una potesta` sovrana. E non e` difficile intuire che quanto piu` un
potere e` forte o una potesta` e` davvero sovrana e cioe` abilitata a fare
il bello o il cattivo tempo in ogni settore della vita dei popoli, tanto
piu` quel soggetto esprime volonta` cos` precise o puntuali da raggiungere lobiettivo del momento quasi senza necessita` di complicati
(2) I principi daltronde debbono ispirare una quantita` di regole di vita, controllabili e sanzionabili. Altrimenti essi stessi si vanificherebbero. Nello stato moderno e
contemporaneo il diritto e` divenuto monopolio del potere politico incarnato nello stato
e si e` creata cos` una perniciosa, per vari aspetti, commistione esistenziale tra politica e
diritto. La prima adotta il diritto per ricostituirsi come insieme di potesta`, e la sovranita`
ne e` quindi la prima e piu` rilevante espressione. Debbo rinviare su cio` alle annotazioni
5 e 6 in appendice al mio volume Interpretazione costituzionale, Cedam, Padova 2001, IV
ed.

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383

GIORGIO BERTI

processi interpretativi, e quindi senza dover ambientare il precetto


espresso in una cornice piu` ampia, cioe` nella cornice dei principi
(anche se un processo interpretativo, sia pure scarno, ricorre in ogni
caso).
Dipende anche dai modi con i quali limperio viene organizzato:
se lorganizzazione e` accentrata, essa sara` il luogo di regole precise
destinate allapplicazione immediata. Mentre un principio viene alla
soglia della consapevolezza quando lo spessore interpretativo implica unaggiunta di conoscenza ed una rielaborazione del contenuto
normativo attraverso lapparato logico interpretativo di una pluralita`
di soggetti equiordinati e tra loro dialoganti, nello spazio di mezzo
tra la regola ufficialmente detta e lapplicazione di essa in un caso o
in piu` casi. E` in questa cornice che il principio viene a soccorrere
colui che interpreta e colui che applica la regola. Il soccorso puo`
essere tale, per forza persuasiva, da avere anche lidoneita` a tradursi
nel suggerimento di contestare la regola per essere questa di fatto
incompatibile con il principio. Si pensi allutilizzo da parte delle
corti costituzionali del principio di uguaglianza, tutte le volte che e`
apparso che una regola positiva, pur creata nellaureola di quel
principio, incidesse malamente sulla parita` di chances dei cittadini.
Si pensa da molti che in unorganizzazione federalistica, a
differenza che in uno stato unitario ed accentrato, vi sia molto piu`
spazio per i principi del diritto, che avrebbero cos` il compito di
ridurre le disparita` fra i regimi giuridici dei vari stati minori e
indurre in via interpretativa una fondamentale unita` della federazione, anche oltre le materie di stretta competenza di questultima (3). Non si puo` contestare ragionevolmente un tale convincimento, pur sottolineando tuttavia che la sede di origine dei principi
e il loro vigore di penetrazione divengono in questo modo appannaggio dellordinamento piu` vasto, il quale dunque acquista, attraverso la formulazione di principi, quel ruolo di fattore dellunita`, che
gli stati minori per definizione non sarebbero in grado di produrre.
Pertanto, dal punto di vista delle fonti del diritto, e a parte le materie
riservate, opererebbe una divisione massima tra principi propri dello
stato grande e disciplina per regole, propria degli stati locali (4).
(3 )
(4)

Vedi J. ISENSEE, Subsidiarita tsprinzip und Verfassungsrecht, Berlin 1968.


Sul federalismo in Europa, dal punto di vista storico-giuridico, ma anche per

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3.

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Principi e regionalismo.

Di cio` ha fatto larga applicazione il regionalismo italiano, dove


non tanto i principi generali del diritto quanto addirittura i principi
ricavabili da leggi dello stato gravavano, secondo il vecchio testo
dellart. 117 Cost., sul legislatore regionale.
Pero` in questo caso, i principi non hanno alcuna naturalezza,
essendo nientaltro che il frutto della spremitura di regole vere e
proprie, stabilite per linterezza dellordinamento statale. E` tuttavia
significativo che si sia usata la figura del principio, quasi che anche
i collegamenti tra istituzioni allinterno di uno stato dovessero
esprimersi in termini di principi.
Nella successiva e tutto sommato ambigua campagna legislativa
per lincremento dellautonomismo e lavvio di un federalismo domestico (o addomesticato), la figura dei principi viene utilizzata
come una sorta di passe-partout, che consente di far convivere
autonomismo e centralismo in un apparente nuovo ordine, condensato alla fine nella c.d. riforma costituzionale del Tit. V della II parte
Cost. (l. cost. 18/10/2001 n. 3).
In questa riforma si fa impiego della figura dei principi per
trasferire a future legislazioni sistemazioni meno generiche e di
superficie dei rapporti tra centro e periferia.
4.

Legalita`.

Quando i principi, in qualsiasi modo definiti, ricadano in un


ambito normativo predefinito, divengono strumentali e, invece che
illuminare il legislatore e coloro che applicano le leggi, fungono da
fattore di legittimazione delle soluzioni date ai problemi del momento: strumenti di raccordo tra istituzioni, con un tasso di normaimpostazioni generali, si veda S. SCHEPERS, Le droit fe`de`ral en Europe, Bruxelles, 1991.
Importanti contributi si trovano nei due volumi del Handbuch des Staatsrechts, a cura di
J. ISENSEE e P. KIRCHHOF, Heidelberg 1987. Ma v. gia`, per impostazioni attente ai limiti
dellattivita` dello stato e ai rapporti tra societa` e stato: J. ISENSEE, Subsidiarita tsprinzip und
Verfassungsrecht, cit., con ampi riferimenti al pensiero tedesco classico (Kant, Humboldt, Jordan, v. Mohl, Jellinek); R. DEHOUSSE, Fe de ralisme et relations internationales,
Bruxelles 1991; e sul federalismo americano A. HAMILTON, Il federalismo, ed. Olivares
1993 con ricco saggio introduttivo di D. FISICHELLA.

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GIORGIO BERTI

tivita` tenue o ridotto. In questo modo i principi diventano anche


pretesti o veicoli di depotenziamento della legalita` formale, vero
principio questo sul quale nel bene e nel male furono impiantati i
rapporti, oltre che fra i poteri dello stato, tra lo stato e le autonomie.
Nel pieno dello stato di diritto (un pieno di tipo concettuale, piu`
che temporalmente collocabile), tutte le relazioni dellemisfero pubblico della societa` apparivano in certo senso ricondotte, a volte quasi
a forza e contro la ragione, al principio di legalita`, che univa insieme
molteplici figure, ne legittimava lazione e ne determinava le capacita`. La legalita` sembrava riassumere in se ogni altro principio di
convivenza e di azione.
Il mondo pubblico insomma si reggeva su questo principio che,
presso di noi, e prima ancora nellordinamento francese, aveva come
corollari, sul piano organizzativo, laccentramento dei poteri, la
gerarchia delle competenze ed unorganicita` tanto marcata e intensa
da raccogliere e riprodurre allinterno della figura dello stato persino
gli enti di autonomia (comuni come organi dello stato) (5).
Questo principio e` andato scolorendosi in questi ultimi decenni
e ha perduto di rigore: il contatto col mondo privato ha tolto
alquanti contenuti alla legalita` della versione pubblicistica, cos`
influenzata dalla sovranita` e dal potere. E certi corollari organizzativi
di questo principio sono appassiti e sono divenuti figure invecchiate
e quasi disdegnate dal pensiero corrente.
Sono cos` emersi altri, eppero` pur essi (almeno in parte) artificiosi, principi, tratti dallosservazione apparentemente piu` disincantata delle stesse cose pubbliche, come se queste, perduto lantico
(5) Sulla modernizzazione dello stato di diritto e sulla sua consistenza nellattualita`, sono da tener presenti i contributi di D. COLAS, D. ROUSSEAU, nel volume Le tat de
droit, Puf, Paris 1987. Sul principio di legalita` in particolare G. VEDEL e P. DELVOLVEu ,
Droit Administratif, Puf, Paris 1958, p. 444 ss., a prescindere naturalmente da pressoche
tutta la dottrina pubblicistica dei paesi europei. Sullo stato di diritto dovremmo oggi
rileggere antichi testi a cominciare per esempio da J. LOCKE, Trattato del governo civile,
tradotto nellitaliano idioma, Amsterdam 1773: secondo Locke, tutto il potere politico da`
corpo al potere legislativo dello stato. Se questo potere non funziona a dovere per cattiva
condotta, tutto ritorna alla societa` e il popolo riacquista la pienezza della propria
sovranita`. Unaltra proficua lettura puo` essere fatta del Saggio sui limiti dellattivita` dello
stato di G. HUMBOLDT, traduzione italiana a cura di G. Perticone, al quale si deve un
illuminante introduzione (Giuffre`, Milano 1965).

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

piedestallo, si fossero mescolate disordinatamente al grande insieme


delle figure del diritto comune (6).
Pubblico e privato non sono piu` qualificazioni di capacita`
differenti oppure diversamente disegnate. Se il pubblico cede al
privato e con questo si mescola, non si potra` piu` rimarcare e
condurre alle estreme conseguenze il potere pubblico e il bozzolo di
legalita` nel quale esso deve contenersi.
Anche i controlli, figure ben note e caratteristiche della legalita`
pubblica, paiono quasi ripudiati nelle piu` recenti leggi sullamministrazione.
Pubblico e privato, dismessi gli antichi paludamenti, si ripropongono allora nella nudita` della contrapposizione tra politica e
societa`: questa contrapposizione fa scoccare delle scintille che sotto
lombrello della legalita` non si vedevano ed e` cos` che lo stesso
legislatore va cercando dei concetti o dei vocaboli che sintetizzino in
se stessi le difficolta` delle relazioni tra i due mondi e i modi per
ridurne gli attriti ed anche i conflitti.
E` in cio` che il principio di legalita` sembra messo da parte,
perche rimasto pura forma, spoglia di contenuti di un qualche
rigore. Ora, non e` che con i principi che si mettono accanto alla
legalita` si recuperi il perduto rigore del diritto pubblico e delle sue
figure, ma si intende esprimere in modi piu` significativi i passaggi di
maggiore rilievo tra la politica e la societa`. Il principio di sussidiarieta`, di cui tanto oggi si parla, diviene in questo modo la sintesi o la
linea conduttrice del passaggio dalla societa` storica allorganizzazione politica, in quanto questo passaggio, non essendo piu` definibile a priori, diviene necessariamente visibile e conoscibile nella
continuita` del suo verificarsi e nelle dinamiche processuali mediante
le quali appunto prende consistenza ai nostri occhi (7).
(6) Sulla riapparizione dei principi e la correlativa conversione del positivismo
giuridico, con largo esame della dottrina giuridica piu` significativa (da Rousseau, Locke
fino a Hart, Dworkin, Perelman, Bobbio, Maccormick e altri) si v. L.Y. WINTGENS, Droit,
principes et the ories pour un positivisme critique, Bruxelles 2000.
(7) Sul processo di decentralizzazione in Francia e la relativa varieta` di profili, si
v. F. e Y. LUCHAIRE, Le droit de la de centralisation, Paris, Puf 1983; AA.VV. (sotto la
direzione di G. Gilbert e A. Delcamp), La de centralisation dix ans apre s, LGDJ, Paris
1993.

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5.

Sussidiarieta`.

La sussidiarieta` si trova oggi un po dovunque, e cioe` in ogni


forma di composizione tendenzialmente federalistica delle organizzazioni pubbliche. Peraltro, un principio sussidiario opera in qualsiasi forma organizzativa: infatti, le competenze, che sono segno di
divisione, ancor piu` se definite esclusive, non potrebbero mai ricondursi alla funzione unitaria dellorganizzazione di cui sono articolazioni, se non attraverso strumenti di risalita verso lunita` e di
superamento delle separazioni. E` chiaro infatti che qualsiasi disegno
organizzativo e` rivolto a creare unefficienza ed una funzionalita`
dellinsieme per modo che cio` che e` fatto da una parte sia appunto
funzione dellinsieme unitario. Certo, quando lorganizzazione e`
rigida, e lo vediamo agevolmente scorrendo la letteratura giuridica
del tempo dei poteri accentrati, la sussidiarieta` e` interiorizzata al
punto che non emerge in quanto tale: tutto e` pre-disegnato ed ogni
risultato od ogni obiettivo raggiunto si colloca comunque in quel
punto nel quale esso e` frutto allo stesso tempo della parte e del tutto.
Sono i miracoli dello stato di diritto: dopo aver assorbito in se
ogni momento ed ogni processo super-individuale, questo tipo di
stato aveva dato vita a strutture statiche e dinamiche che consentivano che lo svolgimento di tutte le attivita` avvenisse meccanicamente
per la singola parte e per linsieme generale. Ogni organo chiamava
un ente di appartenenza e questultimo chiamava lo stato: si direbbe,
una sussidiarieta` pre-confezionata e generalizzata, non turbata, ne
alterata da spazi per scelte estemporanee, per affermazioni di autosufficienza, di capacita` globale, e via dicendo.
Quando si slacciano i fili che tengono unito linsieme per
definizione o ne creano connessioni forti e generalmente non modificabili, allora occorre fare ricorso a qualche principio, o ad una
ispirazione o ad una idealita` nuova, anche se artificiosa, affinche ogni
parte del vecchio sistema possa giustificarsi in se stessa quasi per una
nuova ragione di vita, e perche abbia senso una qualsiasi forma di
riconduzione delle espressioni singolari ad una legittimita` unitaria.
Il fatto stesso che si ponga al di sopra di singole entita` unaltra
entita` che le prime sovrasti e ricomprenda e in qualche modo
valorizzi, obbliga a giustificare, sia pur di volta in volta, lessere
dellente piu` piccolo rispetto allessere di quello largo e compren-

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(2002)

sivo, e nel contempo a giustificare questultimo rispetto agli enti o ai


soggetti collettivi piu` prossimi alle societa` reali. Avviene cos` che si
debba formulare il principio dinamico del raccordo e, prima ancora,
della reciproca legittimita` delle organizzazioni minori (o di investitura sociale immediata) e di quella piu` ampia alla quale si fa capo
proprio al fine di potenziare le prime.
La struttura organizzativa dello stato liberal-democratico e` tutta
una rete di sussidiarieta`, per la sola ragione che non vi e` istituzione
che non debba completarsi nellaltra, pena la caduta dellintero
edificio. Ogni soggetto ed ogni organo pubblico vive latmosfera del
tutto e percio` si completa nellinsieme. Cio` accade sia nellesperienza
dello stato accentrato e articolato gerarchicamente, sia nello stato
che fa spazio alle autonomie ed e` composto secondo un criterio di
impianto di tipo federale. E` nellorganizzazione stessa la sussidiarieta`, e un po colpisce che non se ne dimostri sempre adeguata
contezza.
Il problema allora sorge non in unorganizzazione costruita e
vivente in quanto perfetta in se , ma quando si profilino specifici ed
occasionali rapporti tra organizzazioni diverse. Oppure quando si
prenda in considerazione un insieme non per la sua organizzazione
o il suo modo di essere, ma in quanto lo si colga nel bisogno di
riflettersi in una diversa organizzazione. E sotto questo profilo si
potrebbe gia` discorrere dellausilio che e` necessario alle cose, prese
nella loro sostanza, perche esse possano venire qualificate per la loro
funzione: la sostanza ha bisogno della forma anche solo per essere
visibile e farsi quindi riconoscere.
Come potremo pensare alluguaglianza fra gli uomini, oppure
alla fratellanza se non potessimo misurare questi beni con metro
oggettivo? Se non potessimo usufruire di luoghi e cose su cui
riflettere il comportamento umano e dare senso ad esso quanto al
rapporto con gli altri, mediante figure adatte a formulare un giudizio
sul rispetto della parita`, delluguale trattamento o delle uguali
chances, o, come si diceva, della fraternita` come legame tra uomini
e regola della vita di relazione (8)?
(8) Sul principio di sussidiarieta`, da ultimo P. DE CARLI, Sussidiarieta` e governo
economico, Milano 2002: con unampia trattazione di vari aspetti della sussidiarieta`, nelle
sue radici sia nello Stato che nella Chiesa. Come viene a risultare dallapprofondimento

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GIORGIO BERTI

6.

Societa` e Stato.

E` accaduto cos` che nel configurare i rapporti tra la societa` e lo


stato o la politica, si sia cercata una formula per dare a questi
rapporti dei significati compatibili con il primato delluomo e quindi
della societa` (come luogo di relazioni tra uomini) e lorganizzazione
politica della societa` stessa. Lassociazione tra gli uomini, comunque
costituita e finalizzata, e` strumento di sussidio, purche serva anzitutto a dare consistenza e conoscibilita` a finalita` e scopi pensati come
comuni ad un gruppo piu` o meno esteso e comunque reale di
dellindagine condotta da De Carli, le versioni verticale e orizzontale della sussidiarieta`
si intrecciano nella storia con tutte le problematiche che riguardano lo stato e il suo
formarsi in relazione alleconomia e alla societa` nella molteplicita` delle dimensioni da
questa via via assunte. Questa indagine e` meritoria perche ci pone innanzi la struttura
della sussidiarieta` come principio, costruendola attraverso lutilizzo del concetto in una
grande varieta` di contesti e di occasioni, a cominciare dal grande bacino di esperienza e
di pensiero che la dottrina sociale della chiesa ha sottoposto a ripetuti esami e valutazioni
anche attraverso il linguaggio delle encicliche. Cio` e` tanto vero che nel trattare del
principio di sussidiarieta` nellordinamento dellunione Europea a partire dal Trattato di
Maastricht (art. 3 B), la dottrina, piu` che ad esperienze normative od organizzative degli
stati, si richiama alla sussidiarieta` come principio della teologia morale cattolica, ripreso
nelle encicliche di Leone XIII (Rerum Novarum), Pio XI (Quadragesimo anno) (ma si
vedano anche le encicliche Familiari Consortio del 1981 di Giovanni Paolo II e, prima,
Mater et Magistra e Pacem in terris di Giovanni XXIII). Il principio di sussidiarieta` e`
stato poi utilizzato nellaffrontare le problematiche dello stato sociale e sotto questo
profilo si intende meglio il parallelismo tra la dottrina sociale della chiesa e la dottrina
dello stato sociale (su cio` v. E. TOSATO, Sul principio di sussidiarieta` dellintervento statale,
in Nuova Antologia, 1959). Sulla dottrina sociale della Chiesa si vedano anche i
contributi contenuti nel volume Scienze sociali e dottrina sociale della Chiesa, edito dal
Centro di ricerche per lo studio della dottrina sociale della chiesa presso lUniversita`
Cattolica del Sacro Cuore, Milano 1997. Il principio di sussidiarieta` trovo` inoltre eco
allassemblea costituente e lapplicazione di esso nella costituzione del 1948 venne
preparata dagli esponenti cattolici presenti nellassemblea, in particolare Dossetti e La
Pira.
Lutilizzo del principio, negli studi e nella preparazione politica dellordinamento
dellUnione Europea, ha rinfocolato lattenzione scientifica verso il principio stesso: si
vedano ora per tutti A. DATENA, Costituzione e principio di sussidiarieta`, in Quaderni
costituzionali, 2001, p. 13 ss.; T. BALLARINO, Lineamenti di diritto comunitario e
dellunione Europea, Cedam, Padova 19975, p. 23 ss.; S. CASSESE, Laquila e le mosche.
Principio di sussidiarieta` e diritti amministrativi nellarea europea, in Foro Italiano,
1995, V parte, p. 373 ss., e da ultimo, come detto, il contributo di P. DE CARLI,
Sussidiarieta` e governo economico, con ampi riferimenti di altra dottrina.

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(2002)

persone. La forma sussidiaria entra in gioco quando il percorso che


stiamo compiendo nel superamento delle singolarita` richiede una
sorta di verifica od una definizione per dare appunto immagine sia
pure ancor non compiuta ai risultati perseguiti. Luomo nella societa`
non potrebbe vivere senza lalimento dellassociazione.
Tutto cio` e` detto a chiare lettere nella stessa formulazione
dellart. 2 della nostra costituzione: luomo svolge la sua personalita`
nelle formazioni sociali, e cioe` nelle associazioni alle quali si trova a
partecipare. Ergo, lassociazione e` sussidio necessario della personalita` delluomo, e serve a dare immagine e senso allessere uomo
nella societa`. Al punto terminale di una filie`re di associazioni si
ritrova pero` lo stato, che piu` che agglomerato di singoli e` insieme
organizzato di associazioni o di formazioni sociali. Insomma, lo stato
politico, tradotto in organizzazione, e` necessario a sua volta per dare
senso, immagini, collocazione certa e duratura alle formazioni sociali
nelle quali si svolge la personalita` umana.
Da cio` deriva anzitutto che non si puo` discorrere di sussidiarieta`
senza dare al concetto una connotazione di dinamicita`. La sussidiarieta` e` di per se stessa struttura dinamica, cioe` processo. Cio`, per la
semplice ragione che la funzione sussidiaria deve aggiustare di
continuo la ragione di se stessa, e mettersi alla prova, alla stregua
della storia vivente dei gruppi sociali.
Allo stesso modo, infatti, la famiglia e` unentita` dinamica, anche
se la prossimita` di natura alluomo toglie limmediatezza della
percezione dellessere dinamico. La costituzione afferma infatti che
la famiglia si forma mediante il matrimonio (figura genericamente
contrattuale), ma si costituisce come societa` naturale che ha in
quanto tale dei propri diritti (art. 29).
Il fatto di essere il primo traguardo del percorso sociale della
persona non toglie dunque alla famiglia idoneita` sociale dinamica, se
non altro per far generare naturalmente da se altre associazioni
sempre piu` larghe e specializzate, fino alla soglia della politicita`.
Il percorso della sussidiarieta` e` pertanto inesausto. Ogni strato
associativo ne genera altri piu` ampi, piu` densi di contenuti e di
forme (9).
(9) Quando la sussidiarieta` viene evocata per profilare congegni di cooperazione
stabile od occasionale tra soggetti pubblici e soggetti privati e si valorizza cos` lutilizzo

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GIORGIO BERTI

Dire che un ente e` sussidiario di altri enti significa alla fine che
nessun ente puo` appagarsi di se stesso e imporre la propria presenza
e il compimento delle proprie funzioni con lassolutezza del comando, con limperio, quasi appunto tagliando i fili della comunicazione con altre entita`, quelle appunto sussidiate, con le quali e` in
una condizione di naturale parita`.
7.

Il distacco dello Stato dalla societa`.

Lo stato liberal-democratico, soddisfatto della propria legittimita` formale e dellassolutezza della propria capacita` di reggere la
societa` come insieme di individui isolati, ha esaltato al massimo
grado il suo distanziamento politico proprio da quella sostanza
sociale nella quale doveva basare la propria sovranita`.
Per volere essere sciolto da ogni condizionamento interno ed

di iniziative di cittadini singoli e associati, ma soprattutto di associazioni in attivita` di


interesse generale, si discorre di sussidiarieta` orizzontale, per distinguerla da quella
verticale che coglierebbe invece i rapporti intraorganizzativi interiori al mondo
pubblico. Su cio` si veda gia` J. ISENSEE, op. cit., p. 92 ss. Il principio di sussidiarieta`
orizzontale e` esaminato anche in confronto alla sussidiarieta` verticale da G. U.
RESCIGNO, nella Rivista di diritto pubblico, 2002, p. 5 ss.; ma si veda anche A.
ALBANESE, Il principio di sussidiarieta` orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici, ivi,
p. 51 ss. (nello stesso numero della Rivista di diritto pubblico, 2002, aspetti
particolari della sussidiarieta` sono trattati da G. Pastori, E. Ferrari, C. Marzuoli
rispettivamente alle pp. 85, 99, 117). Come si e` detto piu` sopra, la sussidiarieta`
orizzontale, come definizione del rapporto tra la societa` e lo stato, aveva sollevato
lattenzione degli studiosi del passato recente non solo con riguardo alla valorizzazione
della societa` e dei suoi principi e valori, ma anche con specifico riguardo ai compiti
assuntisi dallo stato nelleconomia. Fuori dallautorita` e dalla potesta` dello stato
unitario centralizzato, e con locchio puntato ad un particolare federalismo o regionalismo potenziato, si tende a valorizzare lapporto dei gruppi sociali soprattutto nellambito dellattivita` amministrativa (art. 118 u.c. Cost.). Anche a questo riguardo va
posto in evidenza il facile utilizzo del principio nella varieta` storica dei relativi modi di
proporsi, in confronto al formarsi o al riformarsi dello stato. Importante sarebbe
salvaguardare la dignita` del principio, sia da parte del legislatore, troppo sciolto nel
servirsi di parole e di concetti, sia da parte della dottrina giuridica, che fa eco molto
spesso in modo acritico alle evoluzioni e involuzioni del legislatore.
Per una chiara impostazione della sussidiarieta` nelle sue varie radici rimandiamo
ancora A. DATENA, op. cit.

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esterno, lo stato si era dotato di una sovranita` artificiosa, togliendo


a se stesso il terreno sul quale avrebbe dovuto fondarsi.
Di qui, il distacco sempre piu` accentuato dalla societa` reale e
dagli uomini e la progressiva, anche se talora inavvertita, riduzione
di garanzia degli stessi diritti umani, trattati spesso con indifferenza,
quando non con ostilita`. Cos` appunto lo stato, come costruzione
organizzativa di poteri politici, distaccati dalla comunicazione con la
societa`, si e` sovrapposto a questa stessa, alla fine negandone o
contestandone la vitalita` e la produttivita` sociale ed economica verso
i singoli.
Nella contemplazione della societa` moderna, si finisce sempre
con il prendere le mosse dallo stato e dal diritto dello stato. Lo stato
diviene anche la parola simbolo di un ordine necessario non solo a
conservare la liberta` e i diritti degli uomini, ma anche a favorirne il
progresso, ampliando le chances di tutti verso una vita migliore.
Daltronde, laumento degli strumenti destinati ad accrescere il
benessere degli uomini e a rendere possibile una sia pure illusoria
felicita` conferisce allo stato una potenzialita` di azioni e quindi
unautentica sovranita`, percepibile nella disponibilita` di mezzi, che
solo la societa` intera, in quanto organizzata in stato, puo` predisporre
ed elargire ai singoli. La necessita` e la sussidiarieta` dello stato
rispetto allintreccio delle relazioni umane si traduce peraltro in
accrescimento sempre piu` veloce e certo inarrestabile della sua
potenza.
Lutilita` e la necessita` delle cose aumenta la potenza statale,
rendendola imprescindibile. Allo stato di diritto si accompagna
presto lo stato sociale, che porta seco, quando non ne e` manifestazione, un accrescimento di forza politica, giustificata da un iperattivismo derivante a sua volta dal progressivo incremento degli
interessi, sollecitati dal canto loro da sempre nuovi e crescenti
bisogni individuali e collettivi.
8.

Effetti sulla democraticita` dello Stato.

La democraticita` dello stato e` maggiormente risposta ai bisogni,


e assai meno attenzione ai diritti, o garanzia delle liberta`. Queste
ultime, nello specificarsi in sempre nuove fogge, tendono anzi ad
appiattirsi sulla domanda generalizzata di beni materiali, nellillu-

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sione che il possesso di questi sia sufficiente presidio dei diritti


individuali. In questa dinamica, i bisogni e i diritti sociali si avvicinano sempre piu` a quelli economici, se non altro per effetto della
mediazione reale di quella nuova dominante autorita` che e` limpresa.
E presto il confronto sara` tra lorganizzazione economica delle
imprese (e dei sindacati) e lorganizzazione politica, delle istituzioni
ufficiali e dei partiti.
Anche questa semplificazione plagia limmagine delluomo portatore sovrano di diritti: il capitalismo tende ad oscurare listanza
liberale; il soddisfacimento dei bisogni di vita in chiave ugualitaria
produce conformismo e allontana lo spirito di solidarieta`. Un diffuso
materialismo di fatto rende grigia la societa`, crea unimmagine di
benessere ugualitario, e pero` toglie la consapevolezza dellimpegno
verso la liberta` e la correlativa responsabilita` personale. Cos` le
costituzioni sono applicate solo in superficie, in realta` perdono
vigore e sono mistificate.
Per questo la politica distrae il popolo, nuova massa, con le
proposte continue di riforme costituzionali ed istituzionali. Tutti
sanno che qualsiasi riforma, se non accompagnata da un diffuso
senso della propria necessita` come rimedio immediato a mali presenti, lascia le cose al punto di prima, e non incide nel complesso
reale dei protagonisti della politica e degli attori sociali. Con le leggi
fatte a profusione si puo` anche giocare e far s` che, con rimandi
intrecciati dalluna allaltra, le cose restino comerano.
Anche questa nuova asfittica democrazia porta in primo piano
lo stato rispetto alla societa` degli uomini, e cio` avviene attraverso una
continua intersecazione dei due versanti per modo che la politicita`,
mediante strutture giuridiche, si approprii del consenso sociale e
questo si consumi negli istituti della rappresentanza, ma ancor piu` in
una nuova partecipazione di tipo processuale.
In tal modo la politica, cioe` lorganizzazione statale, penetra la
societa` e questa sembra addirittura rimodellarsi su quella: una
coloritura uniforme sembra calarsi sul tutto e riproporre il gioco
della sussidiarieta` con partenza dal nuovo traguardo raggiunto.
In pratica, il gioco della sussidiarieta` viene riflesso sullambito
istituzionale, dove la relazione societa`-stato si moltiplica e assume
varie fogge e si svolge in mille dinamiche. Lo stesso limite del potere
politico verso la societa` viene insomma introitato e variamente

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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somatizzato dalle istituzioni e cioe` dalla pluralita` degli organi dello


stato. Il principio della separazione delle competenze o dei poteri e`,
a ben guardare, leffetto del trasferimento nella faccia interna dello
stato dellinsieme dei giochi nei quali si rappresenta la corrispondente varieta` di relazioni fra la societa` economica o libera e la societa`
politica. Solo in uno stato dotato di uno strumentario adatto a tenere
in piedi poteri separati e pur coordinati, la societa` e` salva e le liberta`
sono garantite: cos` si e` invero pensato per lungo tempo.
La progressiva penetrazione dello stato nella societa` a fini di
solidarieta` o di uguaglianza ha via via ridotto il peso del principio
della separazione dei poteri e proposto alla nostra attenzione una
sorta di riconduzione al cittadino della scelta e del controllo dei
modi per ottenere adeguata tutela e valorizzazione di se stesso: in
vario modo, a cominciare dalla classifica dei diritti soggettivi pubblici fatta da G. Jellinek, si configura una serie di strutture o
rapporti, dove il cittadino svolga da se la propria partecipazione al
potere per raggiungere pienezza di tutela dei propri diritti, nei limiti
in cui appunto questi possono convivere con il potere.
La partecipazione delluomo alle manifestazioni del potere pubblico si e` accentuata nel tempo e nei vari ordinamenti in concomitanza con lacquisto di evidenza dei passaggi procedimentali dellazione pubblica. E cio` e` avvenuto anche in parallelo con
laffievolimento del vigore e dellefficacia delle strutture pubbliche in
quanto identificate nellarticolazione della capacita` della persona
giuridica dello stato. Lavanzata delleconomia, delle dinamiche
finanziarie, delluso delle tecnologie ha infatti ridotto le dimensioni
e la potenza delle figure politico-giuridiche, rendendole sempre piu`
simili a quelle del diritto comune e delleconomia.
Limpressione che levoluzione da` nel suo complesso e` nel senso
di una sorta di prolasso che colpisce, evidentemente per invecchiamento, le strutture dello stato e soprattutto quella sintesi di potere
che costituisce il luogo ideale di formazione della volonta` imperativa, e che e` appunto lo stato-persona.
9.

Unita` dello Stato e autonomie: sussidiarieta` e gerarchia.

In virtu` dellart. 5 della nostra costituzione, la riaffermazione


dellunita` dello stato ordinamento si accompagna alla previsione di

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una serie di strati di autonomia, deputati a sorreggere la decadente


unita` del corpo statale. Si comprende come, una volta rotta o in
qualche modo allentata tale unita`, si apra una serie di spazi nei quali
la cooperazione tra le istituzioni dellautonomia e del decentramento
con le residue (e peraltro sempre operanti) istituzioni centrali avvenga non attraverso decisioni del vertice statale ma in virtu` di una
distribuzione di competenze e della predisposizione di procedure o
di strumenti dinamici di collegamento. Allo stesso tempo il cittadino
istituzionale che era uso confrontarsi con lo stato unitario e
fungere da collaboratore di questo nel perseguimento degli interessi
sociali, si trova per cos` dire allo scoperto ed acquista quindi, almeno
allapparenza, una maggiore dose di capacita` partecipativa. Si e`
sempre pensato per vero che le forme di stato ad autonomia
avanzata o addirittura di tipo federalistico fossero o siano maggiormente compatibili con laffermazione e la valorizzazione delle liberta`
e dei diritti fondamentali.
La sussidiarieta` entra in campo proprio come termine identificativo di una serie di rapporti intraistituzionali che non sono basati
sul comando o sulla volonta` imperativa, sia pure variamente
espressa, del vertice statale come sede della sovranita`, ma attraverso
il riconoscimento reciproco delle istituzioni e degli enti pubblici e
soprattutto come indice di una rimessa alla base territoriale e
popolare dellorigine e della scaturigine delle strutture politiche e
dei loro poteri o competenze.
Si potrebbe dire anche che la sussidiarieta` si contrappone
allassolutezza gerarchica: ma come e` facile comprendere, si tratta
piu` che altro di unespressione ottativa, non sembrando infatti
dubbio che dovunque sussiste la tendenza del potere politico a
risalire rapidamente la linea verticale e a ricollocarsi al centro dello
stato.
Difatti, lesperienza regionalistica italiana e` dimostrativa, nella
facile rappresentazione storica di essa, del rapido riassorbimento dei
poteri nelle mani del governo centrale.
Non entro ora in merito alla riforma del Titolo V della costituzione, recentemente adottata, nella quale e` peraltro da notarsi che
lutilizzo del termine sussidiarieta` avviene solo nellambito della
disciplina delle funzioni amministrative, attribuite ora di prima
mano ai comuni. Tali funzioni sono conferibili anche alle regioni e

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(2002)

allo stato, pero` solo nella linea della sussidiarieta`: il che dimostrerebbe che la sussidiarieta` entra in gioco in quanto il riconoscimento
dellorigine o della base delle competenze avvenga in capo allente
piu` prossimo, per sua natura e collocazione, agli ambiti nei quali si
producono i bisogni sociali, nella specie il comune.
Un aspetto collaterale che vale la pena di sottolineare e` che il
principio di sussidiarieta` reclama, per la sua intrinseca elasticita` di
contenuti, la caratterizzazione amministrativa, e cioe` non legislativa
ne giudiziaria, dei soggetti o delle strutture di cui costituisce mezzo
di allacciamento. In altri termini, la generalizzazione della sussidiarieta` e` anche generalizzazione della caratterizzazione amministrativa
e quindi pratica e pragmatica dellambito generale preso in considerazione. Come ho notato altrove, proprio lattribuzione ai Comuni
del ruolo di depositari della funzione amministrativa pubblica costituisce fattore di riedizione in chiave democratica e secondo la
valorizzazione della prossimita` dei centri organizzativi ai luoghi di
emersione degli interessi collettivi, dello stato amministrativo, a suo
tempo debellato dallo stato legislativo.
10.

Sussidiarieta` e Unione Europea.

Passiamo ora piuttosto alla sussidiarieta`, quale ufficializzata


nellambito dellUnione Europea dal Trattato di Maastricht, e destinata ad assicurare, a fronte delle nuove competenze comunitarie,
la conservazione da parte degli stati aderenti delle loro competenze
materiali (quelle non abbandonate in partenza in favore dellUnione), fino a quando non sopraggiungano segni gravi di inefficienza
statale a raggiungere gli obiettivi.
Il principio di sussidiarieta` gioca come garanzia della persistenza del potere statale fin dove e` possibile e produttivo.
Di fronte allorganizzazione comunitaria, che si dovrebbe presumere potenzialmente capace in ogni ambito di interessi, lo stato
arriva fin dove puo`.
Lesistenza stessa dellUnione Europea diviene per vero fonte di
bisogni nuovi, e puo` comunque determinare la scoperta o linsorgenza di interessi sociali, prima sconosciuti o lasciati da parte.
Dovunque e sempre lesistenza di una struttura organizzativa a

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GIORGIO BERTI

potenzialita` illimitata crea nuovi bisogni: una struttura associativa,


anche se fra stati, potenzia ogni singolo stato, ma riflette allo stesso
tempo su di esso e sulla sua funzionalita` i difetti o le inettitudini
dipendenti dalla singolarita` territoriale, economica, sociale, e via
dicendo.
Mi vien da pensare cos` che la valvola della sussidiarieta` apra
lingresso dellenergia comunitaria proprio nelle occasioni e nei
campi nei quali la comunita` diviene anche potenziamento o allargamento di bisogni e di scopi da raggiungere. Daltra parte, lavvio di
un processo di unione di tipo federale, a cominciare dallinvenzione
dei bisogni, delle competenze e dei mezzi finanziari e giuridici
appropriati, non puo` che accrescere la statalita`, e cioe` il peso delle
scelte politiche e delle decisioni. Nel momento nel quale si forma la
nuova comunita` sopranazionale, si nota una elevazione del grado di
potenzialita` decisionale pubblica rispetto ai bisogni sociali e allutilizzo delle strutture economiche da parte delle imprese.
Sarebbe per vero contro natura che laccrescimento della sfera
pubblica indotto dalla cooperazione interstatale non determini un
parallelo accrescimento dei bisogni collettivi e delle necessita`, e in
aggiunta il bisogno di mezzi per fronteggiarli.
La politica insomma riguadagna e accresce il suo peso, affievolito nellambito dello stato nazionale, e pretende mezzi adeguati a
soddisfare le sue nuove ragioni di presenza.
La sussidiarieta` alla quale allude la carta dellUnione finisce cos`
col combaciare con questo accrescimento. Assistiamo a un processo
inverso rispetto a quello della regionalizzazione interna al singolo
stato: e forse questi due processi portano a compensare le rispettive
risultanze. Dal punto di vista quantitativo non vi saranno mutamenti
troppo sensibili, se e` giusto quanto rilevato sin qui. Vi saranno
piuttosto quei rifacimenti di strutture, di organismi, di sostanze e di
forme necessari a coprire il vuoto lasciato dalla perdita di potere
dello stato territoriale di tipo nazionale.
11.

Sussidiarieta` e giuridicita`: considerazioni finali.

La sussidiarieta` non e` dunque un processo giuridicamente


definibile a priori. Subisce sempre il condizionamento della sostanza

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

delle relazioni effettive, il cui formarsi viene eccitato e determinato


dai fatti. Da questo punto di vista, il nome racchiude anche il senso
del pragmatismo che si insinua negli ordinamenti a seguito della
caduta della sovranita`, cos` come intesa nel linguaggio tradizionale
dello stato di diritto.
A ben guardare, i presupposti di questa sopravvenuta e del tutto
particolare forma di anom`a organizzativa si leggono gia` nei preamboli e nei principi fondamentali dichiarati nelle costituzioni degli
stati cosiddetti democratici: basta richiamare la separazione tra
laffermata sovranita` del popolo e gli apparati di esercizio di questa
sovranita`, lasciati in realta` ad un gioco che molto spesso sfiora
soltanto la sovranita` popolare.
Gia` laver operato allinterno della sovranita` statale attraverso
lintroduzione della separazione dei poteri ebbe a rappresentare un
compromesso tra il potere sovrano e la societa` libera, e ad introdurre
nella sovranita` un cuneo che consent` alle forze politiche di adattare
il compromesso alle circostanze storiche, ai reciproci modi di essere
del potere politico e della societa` e delle sue liberta`. Forse in tale
orditura e` dato scoprire un inizio della neutralita` del diritto, anche
quando vuole essere regola tra le cose collettive. Puo` esserci insomma gerarchia oppure quel tipo di sussidiarieta`, che della gerarchia vorrebbe essere lopposto o il superamento, ma non riesce mai
ad esserlo del tutto.
Per queste ragioni la sussidiarieta`, come poco fa si e` detto, non
e` definibile per contenuti, ma assume le sembianze delle relazioni
organizzative che essa vorrebbe in qualche modo suscitare e qualificare. Designa simbolicamente un movimento e soprattutto la partenza di questo movimento. Opponendosi oggi al centralismo e alla
gerarchia, rivela la necessita` delladattamento delle organizzazioni
alla effettivita` delle forze in gioco.
Non avrebbe dunque senso domandarsi ora se e in qual modo
la sussidiarieta` possa tradursi in rapporti e debba essere in qualche
modo gestita. Se cos` fosse, il principio perderebbe immediatamente
la sua autonoma ragione dessere e diverrebbe ancora niente altro
che un effetto della gerarchia oppure di una rigida definizione di
competenze. Si potrebbe dire allora che il principio e` soprattutto un

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GIORGIO BERTI

veicolo di legittimazione: i modi per trasmettere delle competenze


ad un ente piu` ampio e comprensivo sono dunque i piu` vari e
dipendono da accordi ai quali tutte le parti debbono prestarsi.
Piuttosto, questa legittimazione trascolora nellobbligazione di trasmettere o di accogliere delle competenze, quando tra le parti si
convenga sulla esistenza di condizioni o di circostanze che rendano
necessario o fortemente opportuno traslocare la funzione verso
lente che, per la propria consistenza, e` piu` adatto ad esercitarla in
modo adeguato ai bisogni da soddisfare.
Non credo che si possa andare oltre nella ricerca di precisazioni
concettuali o di definizioni. Forse la sussidiarieta` e` un principio
guida, che non varra` mai di per se stesso come regola di comportamenti sanzionabili con strumenti di giustizia. Avra` sempre piuttosto un significato simbolico e a questa funzione di simbolo dobbiamo alla fine piegarci.
E questa e` anche la sorte dei principi che ormai si affollano
nella legislazione e nella cultura giuridica: a seconda degli ambiti
organizzativi od associativi che di volta in volta vengono presi in
considerazione (ma e` soprattutto lamministrazione la nuova palestra dei principi), le nuove relazioni tra soggetti, organi, istituzioni
vengono sempre piu` appoggiate a principi. Si pensi al principio di
proporzionalita`, al principio di collaborazione, al principio di
specialita`, per non discorrere dei massimi principi collegati alle
liberta`, ai valori della solidarieta`, e via dicendo. Lordinamento
cerca sempre una sua unita`, quasi fosse una specialissima famiglia.
Ora, lasciati da parte i principi legati allorganizzazione in senso
stretto, lunita` viene ricostruita attraverso delle figure normative e
quindi oggettive. I principi sono queste figure e stringono tra loro
legami di evidente parentela. Pero` i principi hanno senso se
sollevano lobbligazione di tutti, e cioe` se tutte le persone si
investono del valore normativo che e` incluso in ogni principio. I
principi dunque aprono le porte alla diffusione della responsabilita`
delle persone, dei gruppi, delle strutture politiche.
La sussidiarieta` e` un principio, la cui formazione rispetto alle
vicende della societa`, oppure della comunita` e dello stato, e` storicamente verificabile: quindi un principio che e` tanto piu` valido
quanto piu` rivela i suoi processi di formazione, quando oltretutto

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

questi processi avvengono in momenti e in campi differenti. Il


principio per vero li unifica e ne rende conoscibile la radice nel
profondo della giuridicita` (10).

(10) Allorigine della fenomenologia giuridica esiste sempre alcunche di apparentemente irraggiungibile, di inappagato rispetto alla nostra ansia di apprendere, definire
e classificare.
I principi hanno molte radici e le sintesi che in essi si condensano mostrano una
pluralita` di punti di osservazione e quindi di conformazione. Il principio ci fa pero`
saggiare lunita` del diritto e cio` che di esso e` specifico, sul piano culturale prima che su
quello dellesperienza concreta. Non riusciremmo altrimenti a raccogliere insieme e
distanziare allo stesso tempo fenomenologie tanto diverse per ambientazione sociale,
temporalita`, bisogni e interessi, aspetti questi che rivelano tuttavia un filo che collega, in
modo sotterraneo, le diverse apparenze.
Si potrebbe dire che il principio e` il verbo dellapparire della giuridicita` come
traduzione di questa in orientamento di vita. Il bisticcio, apparente, tra lessere effettivo
e lessere doveroso si risolve alla fine nella sintesi del principio, il quale e` normativo in
se stesso, ma costantemente rivelatore del proprio perche e della sua necessita`.
Il principio e` altres` profondamente razionale nel momento stesso nel quale assume
la forma e la dimensione del complesso dei rapporti al quale serve. Raccoglie in se il
naturaledellordine fra gli uomini e il positivo, come visibilita` di una o piu` norme,
affinche queste siano cogenti e se ne possa rinfacciare lefficacia a chi non conosce o non
osserva coscientemente i bisogni e le istanze della vita collettiva.
Della sussidiarieta` ho avuto modo di occuparmi in varie precedenti occasioni, in
particolare: Regionalismo europeo nella prospettiva del Trattato di Maastricht e della sua
revisione nel 1996, in Atti del Convegno Posizione delle Regioni italiane nella prospettiva
del Trattato sullUnione Europea, p. 27 ss., pubblicazione a cura della Regione Autonoma
Trentino Alto Adige, Trento 1992; Considerazioni sul principio di sussidiarieta`, in Jus,
1994, p. 405 ss.; Democrazia, pluralismo e sistema economico. (Le costituzioni e lUnione
Europea), in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1996, p. 1142 ss. Voglio
rilevare a questo proposito che laffrontare lo stesso tema in momenti diversi, dal punto
di vista culturale, politico, ecc., non e` indifferente alla ricostruzione del proprio pensiero
e allutilizzo degli istituti. Solo apparentemente questi rimangono uguali a se stessi. E si
avverte grande difficolta` a ricomporre, mantenendo il riferimento allo Stato e al suo
diritto, dei concetti che ora contengono in se , per esserne stati nel frattempo aggrediti,
i germi della dissoluzione dellideale edificio del diritto pubblico.

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MIRAGGI TRANSATLANTICI. FONTI E MODELLI


NEL DIRITTO PRIVATO DELLEUROPA COLONIZZATA

1. Difficile immaginare un momento piu` propizio, ma forse


anche piu` ostile, per una riflessione pacata sulle fonti del diritto
europeo.
Si e` aperto da poco un nuovo millennio. Con esso il BGB ha
completato il primo secolo di vita. Il Codice Napoleonico si appresta
a celebrare, in gran pompa, il bicentenario. Il codice Italiano ha
raggiunto la soglia della maturita`, festeggiando a sua volta un
importante anniversario. Cruciali ed ambiziose riforme nel diritto
privato generale, in primis lo Schuldrecht tedesco vedono la luce.
Gli Inglesi abbattono tabu` vetusti, affidando per la prima volta ad un
giudice interno una forma di controllo di costituzionalita` sulle leggi.
Si e` prodotta da poco, a livello comunitario, una Carta fondamentale
dei diritti che consegna allosservatore segnali per lo meno ambigui.
Autorevoli (e meno autorevoli) uomini politici sono al lavoro in un
ambizioso tentativo di dotare lEuropa di una Carta Costituzionale
autentica. Gli Stati continuano a cedere, pur fra resistenze di varia
matrice, sovranita` allUnione. Lunione, a sua volta, cede sovranita` ai
grandi legislatori dellera globale, il Fondo Monetario Internazionale
e lOrganizzazione Mondiale del Commercio. Fra i giuristi privatisti
europei infuria il dibattito sulla codificazione, mentre la Commissione li ricambia promettendo pochi spiccioli per studi dallambizione smisurata. Le facolta` di Giurisprudenza vengono riformate, e
gli studi comparatistici divengono quasi un logo, nel delirio di
provincialismo conseguente lo sforzo disordinato di mostrarsi moderni ed avanzati. I grandi studi legali Inglesi ed Americani conquistano le piazze piu` lontane dalla loro tradizione giuridica, sbarcando
in massa anche in Italia. Mentre gli osservatori cercano di capire che

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

cosa stia avvenendo ecco che, a loro volta, i nuovi arrivati corrono il
rischio di essere spazzati dai grandi magazzini tutto compreso: le
grandi Societa` di Revisione, sempre baldanzose nonostante la scarsa
prova di indipendenza offerta oltre-Oceano, offrono, per la prima
volta, servizi giuridici.
Si potrebbe continuare, tratteggiando un panorama di cambiamenti, in una pluralita` impressionante di settori, capace di procurare
le vertigini, se non langoscia, a chi debba aggiornare (o produrre)
testi di diritto comparato!
Nel diritto, ovviamente, come in ogni altra forma culturale, tutto
muta, sicche osservare il mutamento di fronte ai nostri occhi,
costituisce il compito essenziale dello studioso avvertito. Se peraltro
il mutamento non e` una novita`, la velocita` ed il ritmo del mutamento
che oggi si presenta di fronte a chi affronti il tema delle fonti del
diritto in Europa sicuramente lo e`. Il diritto privato europeo,
prodotto da tali fonti, determinato da tutti, e molti altri tra i fattori
tratteggiati pocanzi, e` unoggetto in trasformazione cos` rapida che
la stessa possibilita` di descriverne i dati salienti risulta non poco
compromessa. Daltra parte, e` mai esistita la possibilita` di mere
descrizioni nel mondo del diritto? Abbandoniamo percio` del tutto il
complesso di inferiorita` nei confronti degli scienziati naturali, il cui
oggetto di osservazione attende, immobile o quasi, di essere misurato e accingiamoci ad interpretare il mutamento, anche soltanto
alcuni mutamenti, nel panorama delle fonti Europee.
E` possibile tracciare una teoria capace di spiegare almeno in
parte quanto fin qui avvenuto (1)?
2. La natura della rivista che ospita questo importante momento di riflessione collettiva sullEuropa, spinge inevitabilmente ad
interrogarsi sul passato, senza obbligarci a fare i conti con tentativi
predittivi di dinamiche future che, io credo, debbano tenere in
considerazioni possibili e repentine soluzioni di continuita`. Daltra
parte, il civilista non puo` pretendere di vestire professionalmente i
panni dello storico, (meno che mai in questo consesso!) sicche
(1) Ho cercato di tratteggiare una tale teoria in U. MATTEI, A Theory of Imperial
Law. A Study on U.S. Hegemony and the Latin Resistance, in 10 Indiana J. Global Legal
Studies (2002) e Global Jurist frontiers, www.bepress.com.

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UGO MATTEI

perfino losservazione a ritroso va in qualche modo limitata ad un


periodo a noi vicino.
Collochero` quindi il presente, loggetto del mio tentativo di
interpretazione, in un torno di anni che va dalla fine della Guerra
Fredda ad oggi, spingendomi a ritroso al piu` fino ai primi anni
ottanta, un momento ormai noto come Rivoluzione Tatcher-Reaganiana. Mi limitero` inoltre, ad un numero relativamente limitato
di mutamenti, cercando di cogliere quelli piu` profondi e potenzialmente strutturali, tralasciando percio` quasi interamente il diritto
sostanziale, per riflettere su aspetti piu` marcatamente istituzionali.
Intendo esplorare taluni dei piu` recenti cambiamenti nel panorama istituzionale del diritto privato Europeo come fenomeni di
ricezione di stilemi e modelli ispirati in larga misura dal diritto degli
Stati Uniti dAmerica, cos` come recepito dai centri di produzione
giuridica del mondo globale, il Fondo Monetario Internazionale, la
Banca Mondiale, lOrganizzazione Mondiale del Commercio, soltanto per menzionare i piu` noti ed i piu` potenti (2). Un diritto
Statunitense desportazione, dunque, qualcosa di profondamente
diverso da quello della madre patria, cos` come sempre diverso e` il
diritto coloniale da quello dei luoghi della sua produzione. La mia
analisi dellEuropa come nuovo contesto di ricezione fonda tuttavia le
sue radice in un momento in cui lEuropa era contesto di produzione.
Un momento in cui erano gli Stati Uniti a presentarsi come contesto
di ricezione di stilemi e modelli prodotti in Europa (3).
Fonti del diritto e` tema poliedrico che il comparatista non puo`
affrontare in modo formale. Le pagine che seguono, come ritengo
lintero Quaderno, si collocano ad un livello discorsivo per cos` dire
sistemologico, capace cioe` di cogliere aspetti profondi che ancorche mutabili e mutanti, non sono tuttavia interamente alla portata del tratto di penna di un legislatore. Seguiro` quindi mutamenti
culturali (che preludono forse a cambiamenti strutturali), mutamenti
in cui dunque, la dottrina rivendica il ruolo di protagonista. L idea
(2) Cfr M.R. FERRARESE, Le istituzioni giuridiche della globalizzazione (2001). Vedi
S. CASSESE, Lo spazio giuridico globale (2003).
(3) La nozione di contesti di produzione e contesti di ricezione e` messa a fuoco
da DIEGO LOPEZ MEDINA, Comparative Jurisprudence, Harvard Law School (2001).

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

e` cogliere i momenti di cambiamento profondo avvenuti in questi


ultimi ventanni cercando di coglierne il senso di massima.
3. Da qualche tempo ci si interroga sulle ragioni di un fenomeno
che e` oggi sotto gli occhi di tutti. Il modello giuridico degli Stati Uniti
dAmerica, a partire dagli anni 50 del secolo scorso, circola nel mondo
piu` di ogni altro. Gli Stati Uniti da contesto di ricezione si sono trasformati nel piu` poderoso contesto di produzione di modelli, stilemi,
e regole giuridiche del mondo globalizzato (4).
Giovera` osservare questa importante trasformazione perche si
tratta del riflesso speculare di quanto avvenuto in Europa, dove la
trasformazione ha seguito un itinerario opposto: da produzione a
ricezione.
Gli Stati Uniti coloniali ricevono dalla madre patria la prima
fondamentale appartenenza sistemologica al mondo di common
law. Certo, il diritto coloniale fu radicalmente diverso da quello
inglese, ma non si puo` negare che dallInghilterra le colonie americane prima e, dopo lindipendenza, gli Stati Uniti, abbiano recepito
la fondamentale centralita` delle Corti e della giurisprudenza fra le
fonti del diritto.
Non molti anni dovettero trascorrere perche il contesto di
ricezione statunitense, ormai dotatosi di una Costituzione scritta,
scavalcasse la stessa madre patria, nel primato del giudice e della
giurisprudenza fra le fonti del diritto. Gia` dal 1803 il giudice
Americano si e` arrogato il potere di dichiarare una legge invalida,
per contrasto con la sua propria interpretazione del (vago) dettato
costituzionale (5). Quasi duecento anni ci sono voluti perche gli
inglesi, parzialmente, accedessero alla subordinazione del processo
di produzione giuridica politicamente legittimato al processo di
interpretazione professionale del giudice (6). La sovranita` parlamentare piena fu da sempre la chiave del sistema di Westminster.
(4) Ho analizzato questo fenomeno in U. MATTEI, Why the Wind Changed.
Intellectual Leadership in Western Law, 42 Am. J. Comp. Law. 195, (1994).
(5) Cfr. Marbury v Madison, 6 U.S 137, (1803).
(6) Come noto, in Inghilterra la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei
Diritti dellUomo e` stata incorporata, dopo un lungo dibattito, come un vero e proprio
Bill of Rights. Cfr. D. LECKIE - D. PICKERSGILL, The Human Rights Act Explaines, London,
1999.

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Il caso Bush v. Gore, quello in cui la Corte Suprema Federale ha


deciso le prime elezioni presidenziali del nuovo millennio, ci
mostra quanto gli Americani siano stati capaci di rendere spettacolare la sovranita` del giudiziario (7).
Gli Stati Uniti indipendenti, ricevono dai philosophes francesi
gran parte della retorica sui diritti individuali e sulla proprieta`
privata. Tale ricezione, solitamente legata al nome di Madison, viene
incorporata nella Costituzione, in particolare nel Bill of Rights (8).
La vocazione universalistica di quelle concezioni filosofiche non e`
mediata in America dallo statalismo giacobino. I diritti di proprieta`
non devono convivere con un apparato pubblicistico che strutturalmente e profondamente li limita. I diritti universali, incorporati nella
concezione statunitense del diritto internazionale, sono recepiti e
divengono parte della supreme law of the land.
Ancora una volta il modello importato viene amplificato e
spettacolarizzato in un contesto di ricezione che gia` ha saputo
dotarsi di soluzioni originali - in particolare che ha gia` amplificato
il ruolo delle Corti. Sul piano interno, la ri-distribuzione dei diritti di
proprieta` (nel senso piu` ampio del termine, quello consegnato loro
dalla tradizione economica) ad opera delle agenzie amministrative e
del legislatore viene limitata, considerata costituzionalmente inaccettabile, e comunque relegata ad un periodo storico eccezionale
quale il New Deal. Le corti si ergono a paladine dei diritti di
proprieta`, contro la ridistribuzione politica: lattuale giurisprudenza
della corte Rhenquist in materia di espropriazione mostra come la
partita sia stata largamente vinta dalle concezioni proprietarie piu`
assolute, universali ed intolleranti di ogni intervento distributivo (9).
Sul piano del diritto internazionale, le Corti Statunitensi, dotate
di eccezionali strumenti coercitivi, rivendicano giurisdizione globale,
in civile ed in penale, universalizzando ancor piu` la gia` rozza ed
(7) Su questo caso la letteratura e` ormai cospicua sia sotto forma di libri che di
articoli. Una buona collezione di saggi si puo` trovare nel volume 2002 della rivista
monografica Law and Contemporary Problems pubblicata dalla Duke University Law
School.
(8) La piu` vivace trattazione resta a mio parere G. GILMORE, The Ages of American
Law, (1983) tr. it. Le grandi epoche del diritto americano, (1987).
(9) Cfr. per una ricostruzione comparativa attenta al dato economico, A. PRADI, Il
problema del valore dei diritti, Trento, (in corso di stampa).

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

etnocentrica concezione universale dei diritti degli illuministi e dei


gius-naturalisti. Le corti statunitensi, basano sempre piu` aggressivamente le loro pretese di giurisdizione universale sullincorporazione del diritto internazionale nella costituzione federale. Vecchi
strumenti normativi, studiati per sconfiggere la pirateria dalto mare
nel diciottesimo secolo, vengono ristrutturati e consentono alle Corti
statunitensi di rivisitare episodi storici lontani, quali la tragedia
dellOlocausto, con una spettacolarizzazione della giurisdizione che
non ha uguali nel mondo (10).
Gli Stati Uniti si discostano ancor piu` radicalmente dal modello
inglese, se losservatore delle fonti sposta la sua attenzione dalla
giurisprudenza alla dottrina. Mai prima di Cristopher Columbus
Langdell, un sistema di common law aveva legato la formazione del
ceto dei giuristi al mondo universitario. Ed ancora una volta siamo
di fronte ad un importazione dalla vecchia Europa. Ed ancora una
volta siamo di fronte ad una spettacolarizzazione ed amplificazione
locale del modello (tedesco) di riferimento traslocato nel panorama
istituzionale del contesto di ricezione. Il modello del professorato
tedesco, la peculiarita` di un ceto di giuristi accademici a tempo
pieno, il contatto fra il mondo del diritto e la cultura alta della
tradizione universitaria, tutte importazioni doltre Atlantico, sono
amplificate e rese spettacolari dal modello universitario privato della
neonata tradizione accademica di Harvard e della Ivy League.
Leducazione del giurista ed insieme ad essa una gran parte della sua
legittimazione, e` trasferita in blocco nelle mani di scienziati. Il
diritto visto come scienza, naturale allinizio, sociale poi, spinge il
discorso giuridico doltre oceano fino ad un limite che mai, prima
dallora, era stato raggiunto: il diritto diviene ingegneria sociale e
infine tecnologia (11). Ancora una volta sono condizioni specifiche
del contesto di ricezione che amplificano linput europeo. Linsegnamento e la ricerca universitaria non sono, come in Germania, un
bene pubblico offerto in primo luogo dallo Stato. Sono attivita` che
(10) Ho discusso questi temi in U. MATTEI & J. LENA, United States Jurisdiction
over conflicts Arising Outside of the U.S. Some Hegemonic Implications, Global Jurist
Topics (2001), www.bepress.com.
(11) Cfr. B. DE SOUSA SANTOS, Toward a New Common Sense. Law Science and
Politics in the Paradigmatic Transition, (1995).

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devono mantenersi sul mercato, un mercato fortemente competitivo,


che deve vendere prodotti di immediata utilizzazione. Ed e` cos` che
la law school deve diventare scuola professionale, politecnico: deve
dimostrare di saper formare ed immettere sul mercato tecnici sempre
piu` specializzati e riconoscibili come il prodotto di una certa scuola.
Il realismo a Yale e alla Columbia, il Legal Process ad Harvard, la Law
and Economics a Chicago, sono soltanto gli epifenomeni piu` accademicamente visibili di una spasmodica ricerca della diversificazione,
volta ad attrarre studenti sempre piu` ambiziosi e qualificati, sottraendo
clienti alle scuole concorrenti (12). In America, primo e (ancor per
poco unico) modello al mondo la facolta` giuridica si trasforma, come
Medicina, Ingegneria o Architettura, in graduate school, rivolgendosi
a studenti gia` dotati di una qualche formazione universitaria di base.
Nel progetto professionale del giurista accademico statunitense, trasformato in tecnocrate, sostenere la reputazione e limmagine della
propria scuola di appartenenza non e` questione di buon vicinato accademico ma di interesse personale. Si tratta di investire nel logo del
proprio successo. Questa forma mentale viene riprodotta a livello
internazionale dove gli accademici Americani regolarmente mostrano
eccezionale lealta` nei confronti del proprio modello, finendo per non
vederne i guasti ed i limiti.
4. In queste condizioni il diritto degli Stati Uniti si presenta
allappuntamento con la globalizzazione economica e con la nascita delle sue istituzioni giuridiche. Ricco in prestigio insieme
allintera tradizione di common law gia` dal dopoguerra; libero
dalle pastoie del positivismo normativo, grazie alla necessita` di
sviluppare principi generali volti a guidare il ragionamento giuridico del giurista in una pluralita` di Stati; accompagnato da una
incessante retorica auto-congratulatoria, divenuta parte essenziale
del progetto professionale del giurista statunitense (13).
Grazie a questi ingredienti essenziali, il diritto Statunitense non
(12) Una importante discussione critica di queste dinamiche si puo` leggere in D.
F. NOBLE, America by Design. Science, Technology and the Rise of Corporate Capitalism
(1977).
(13) Cfr. E. GRANDE, Imitazione e diritto. Ipotesi sulla circolazione dei modelli;
(2000).

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

poteva che esercitare un fascino irresistibile fra i giuristi della


provincia almeno quelli piu` curiosi intellettualmente soffocati
dalla limitatezza culturale cui si trovavano costretti in casa propria
da decenni di statalismo normativo e di burocratizzazione delle
istituzioni accademiche e giudiziarie. Tutto cio` anche senza considerare limponente sforzo propagandistico volto ad accreditare alla
concezione Americana della rule of law, ed alla sua mancanza
nellarea comunista, il merito della fine della guerra fredda.
La rule of law americana si vede riconosciuta la palma dellapoliticita`, una patente essenziale per il successo planetario di un
movimento giuridico (14). La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario per la prima volta a partire dagli anni novanta finanziano progetti
e ricerche nel campo del diritto. Il diritto non e` piu` oggetto di uno
scontro politico fra blocchi contrapposti. La legalita` socialista non
contrasta piu` la rule of law. Il diritto non e` piu` ne politica ne cultura
ma ingegneria istituzionale. In quanto tale, diviene parte fondamentale dei progetti di aggiustamento strutturale, volti a smantellare
ogni concezione della statualita` incompatibile con le ricette monetariste e post-keynesiane (15).
Quasi per incanto, il vento era mutato. LEuropa da contesto di
produzione era trasformata in contesto di ricezione. Un fenomeno
visibilissimo, in Svizzera come in Italia, in Germania come in
Olanda, ma anche in Spagna ed in Grecia. Lavanguardia giuridica
cita e si ispira agli Americani. Gli studenti brillanti vogliono fare il
master in America. Gli Americani sono gli ospiti prestigiosi, cui
sempre piu` spesso vengono conferite lauree honoris causa ed altri
riconoscimenti. Sforzi istituzionali ingenti vengono dedicati a promuovere modelli e stilemi neo-Americani (16). LAssociazione Europea di Analisi Economica del Diritto, fondata sul finire degli anni
ottanta, costituisce forse lesempio piu` interessante. Legemonia si
(14) Si veda D. KENNEDY, Three Globalizations, in corso di stampa in Suffolk Law
Review.
(15) Il piu` interessante luogo dove familiarizzarsi con la letteratura piu` influente
sulle ricette seguite dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario e` la bibliografia
giuridico-economico-istituzionale offerta dal sito www.worldbank.org
(16) Cfr. W. WIEGAND, The Reception of American Law in Europe, 39 Am J.
Comp. Law 229 (1991).

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fonda sul consenso. Nel mondo globale la costruzione di apparati


ideologici non richiede piu` liniziativa dello Stato o del Partito.
5. In concomitanza con il mutamento del vento, il pensiero
accademico Americano sviluppa i tratti necessari per lesercizio
dellegemonia. Nellambito del realismo giuridico, fenomeno complesso, ed eccezionalmente duraturo in terra statunitense, collochiamo gli ultimi significativi episodi di ricezione, e di apertura
culturale nella dottrina doltre oceano. E` ben noto come Pound
leggesse e citasse i francesi, come Llewellyn conoscesse e si ispirasse
ai tedeschi, come Cardozo conoscesse e si abbeverasse a tutte le
grandi culture giuridiche Europee, e come i giuristi immigrati, da
Kessler a Schlesinger, abbiano svolto nel corso degli anni cinquanta,
sessanta e settanta un eccezionale opera di cosmopolitizzazione
della scena giuridica statunitense.
Il primo movimento di pensiero squisitamente originale (ed
esclusivamente parrocchiale) negli Stati Uniti e` stato il c.d. Legal
Process, fiorito ad Harvard negli anni cinquanta come prima reazione forte al dominio realista sullaccademia Americana (17). La
scuola del legal process, nasce e si sviluppa in strettissima simbiosi
con il particolare substrato istituzionale degli Stati Uniti dAmerica.
Non e` un caso che i suoi contributi piu` significativi siano stati offerti
nel diritto pubblico, ne probabilmente uno studio tanto sofisticato
delle alternative istituzionali percorribili avrebbe potuto essere sviluppato lontano dagli Stati Uniti. Nessun diritto al mondo ha saputo
sviluppare un sistema giudiziario federale completo, e lallocazione
istituzionale delle competenze decisionali e` da sempre il problema
prioritario che il giurista americano, pratico o teorico, deve affrontare. Nel lavorio quotidiano del giurista statunitense, le preoccupazioni legate alla giurisdizione, alla scelta del diritto applicabile, alla
possibilita` o meno di ottenere discovery, al rimedio eventualmente
ottenibile, sono assai piu` presenti e determinanti delle discussioni sul
diritto sostanziale. Era quindi in qualche modo naturale che sul
piano teorico si cercasse di sviluppare, prima o poi, una assiologia
delle opportunita` percorribili, al fine di recuperare un minimo di
(17) Si veda A. DI ROBILANT, Movimenti e Scuole Post-realisti, in Digesto Discipline
Privatistiche. Appendice (2003).

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quella prevedibilita` che il realismo giuridico aveva tramutato in una


chimera. Da qui il contributo teorico fondamentale della scuola del
legal process: la capacita` di mostrare come il luogo istituzionale della
decisione determini i contenuti della stessa (18). Ma la lezione teorica, in qualche modo generalizzabile oltre il contesto specifico
statunitense, e` stata colta molto successivamente, perche gli studiosi
del legal process avevano in mente un problema locale (la perdita di
prevedibilita` dovuta al predominio realista) ed offrivano soluzioni a
loro volta strettamente legate al contesto locale. Strettamente parrocchiali, se si vuole, ma anche strettamente originali perche nulla di
simile era stato mai tentato altrove.
Spostare il discorso dal contenuto delle decisioni (diritto sostanziale) a chi debba decidere che cosa, (legal process) costituisce una
vera rivoluzione epistemologica, destinata ad offrire frutti e conseguenze non secondarie. Fra queste una notevole facilita` a spostare il
discorso dalla giustizia allefficienza. Nella scelta su chi debba
decidere, la capacita` di farlo in modo efficiente non puo` non essere
altamente rilevante. Sicche le condizioni ambientali per guardare il
diritto dal punto di vista dellefficienza, senza eccessiva preoccupazione per labbandono della giustizia sostanziale, non derivarono
negli Stati uniti soltanto dalla presenza di economisti nelle facolta` di
giurisprudenza (una innovazione figlia del realismo) ne esclusivamente da un oscillazione del pendolo, nuovamente attratto verso le
grandi teorie di ispirazione formalista, in reazione agli effetti nichilisti di certa parte del realismo.
Quali che siano le spiegazioni storiche, e quale che sia il
rapporto, sicuramente ambiguo, fra realismo, legal process e analisi
economica del diritto, sta di fatto che questultima costituisce, fin
dallorigine, un paradigma squisitamente Americano, intimamente
parrocchiale e altamente originale. Il legame con gli economisti
(nuovo ceto sacerdotale), e soprattutto la mutata percezione del
rapporto fra Stato e mercato nellambito della globalizzazione, fanno
dellanalisi economica del diritto il paradigma dominante nella
globalizzazione giuridica.
Beninteso, legal process ed analisi economica non esauriscono
(18) Cfr. HART & SACKS, The Legal Process (1994). Per una applicazione al
contesto italiano, P.G. MONATERI, Pensare il diritto civile (1998).

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lintero ambito dei movimenti post-realisti negli Stati Uniti. Una


varieta` di scuole critiche, a loro volta raggruppabili in diverse
sottoscuole, completano il panorama (19). Ma tale varieta` di paradigmi, che taluno ha raggruppato sotto letichetta di post-moderni (20), non inficia la percezione di un diritto accademico Americano,
profondamente incentrato su problematiche domestiche, o comunque sostanzialmente auto-referenziale, come si conviene ad un modello dominante, tutto incentrato a parlare piuttosto che ad ascoltare, ad insegnare piuttosto che imparare.
Un modello accademico che comunque ha raggiunto, forse per
la prima volta in un sistema di common law, la piena consapevolezza
del proprio ruolo fra le fonti del diritto.
Grazie alleccezionale crescita di consapevolezza della dottrina
ed al ruolo conquistato dalle grandi Universita`, gli Stati Uniti
inaugurano cos` il primo ordinamento al mondo fondato su due
grandi controlli professionali sul processo politico: le corti, titolari
dellultima parola sulla legittimita` costituzionale, e laccademia,
titolare della legittimazione scientifica e tecnologica (21).
Non puo` sfuggire allosservatore critico come la titolarita` del
controllo sul potere politico conferisca a sua volta potere politico.
Un potere politico di due istituzioni che, come direbbero gli studiosi
del legal process, non hanno ne la spada ne la borsa. Due istituzioni politiche reattive capaci di radicare profondamente i caratteri
di quanto recentemente definito adversary legalism. (22) Due istituzioni politiche incapaci per struttura a svolgere efficacemente
qualsiasi ruolo ridistributivo: sicche , in piena sintonia con le indicazioni dei nuovi guru neoliberisti, tanto maggior potere viene
allocato a queste istituzioni reattive, tanto piu` limitate saranno le
possibilita` della ridistribuzione egualitaria, propria di assetti istituzionali proattivi ed interventisti.
Non e` un caso che proprio lo sviluppo di questi assetti istituzionali reattivi, considerati tecnologici e non politici, figuri come
(19) Cfr. DI ROBILANT, cit. supra, nt. 17.
(20) Cfr. G. MINDA, Movimenti giuridici postmoderni (2001).
(21) Mi sia consentito un rinvio a E. GRANDE-U. MATTEI, Voce Stati Uniti, in
Digesto Discipline Privatistiche.
(22) Cfr. R. KAGAN, Adversary Legalism, (2002).

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primo carattere degli aggiustamenti strutturali che instancabilmente


il Fondo Monetario Internazionale pone come condizione per laccesso al credito.
6. In concomitanza con lo sviluppo negli Stati Uniti dei tratti
somatici di un sistema giuridico egemone, il diritto in Europa sembra
aver sviluppato i tratti caratteristici di un contesto di ricezione. Anche
qui la nostra analisi non puo` esser che condotta per rapidissimi cenni.
Innanzitutto, come ovvio, si incontrano immediatamente difficolta` a parlare di un sistema giuridico europeo, non tanto per la
polisemia del termine Europa, quanto perche il ruolo e limportanza
culturale dei sistemi nazionali offre indubbi caratteri di resistenza
allomogeneizzazione che una trattazione sistemologica generale dellEuropa inevitabilmente comporta.
Anche soltanto restando confinati allEuropa dei Trattati, non
possiamo che osservare un modello giuridico composto dallaggregato di una moltitudine di famiglie giuridiche. Non solo, come
ovvio, il common law ed il civil law, ma anche la bipartizione,
prestigiosamente sponsorizzata da Zweigert, Ko tz, e Rudolf Schlesinger, fra un area Francocentrica ed un area Germanica allinterno
del civil law. A cio` possiamo aggiungere un modello scandinavo, a
sua volta portatore di tratti profondamente originali; un modello
tradizionalmente misto quale quello scozzese capace di mostrare
la forza ma anche la debolezza delle specificita` culturali giuridiche di
fronte alluniformita` linguistica; un modello spagnolo, a sua volta
dotato di caratteristiche proprie, dove i tratti locali mantengono
aspetti di vivezza impensabili altrove; un modello post-socialista
quale quello della ex DDR (destinato a crescere enormemente in
importanza allinterno del diritto Europeo con le prime nuove
accessioni di Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia ecc.).
Tutto cio` ci ammonisce di quanto difficile sia, in tali condizioni di
diversita` strutturale, affrontare il discorso dellEuropa come un
entita` generale ai fini di comparazione con gli Stati Uniti dAmerica.
Daltra parte, sappiamo bene che, nel diritto comparato come in
ogni altro ambito del sapere, le tassonomie sono mezzi e non fini,
sicche proprio questo aspetto di diversita` strutturale profonda costituisce, ai fini della comparazione con gli Stati Uniti, il tratto
sistemologico dominante del diritto Europeo.

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I caratteri piu` salienti del contesto di ricezione, sono enfatizzati


dalla diversita` e dalla balcanizzazione, non soltanto quella giuridica
ma anche quella linguistica e culturale. E` noto che i sistemi giuridici
minori quelli che mancano dei requisiti minimi per lautosufficienza economica e culturale (anche soltanto lauto-percezione di
essere una grande cultura) tendono a sviluppare maggiori tratti di
cosmopolitismo giuridico, spinti dalla necessita` di accesso al dialogo
culturale internazionale. Un ottimo esempio di questa disposizione
alla ricezione si ritrova, per esempio, nella cultura giuridica israeliana, ma chiunque abbia esperienza internazionale puo` verificare i
tratti aperti di una cultura di ricezione anche in Svizzera, Olanda,
Scozia o Portogallo.
Sembra cioe` possibile percorrere una scala immaginaria in cui i
contesti giuridici sono caratterizzati da un tratto di apertura inversamente proporzionale con lautosufficienza culturale (vera o presunta). Piu` un sistema si sente culturalmente autosufficiente, meno e`
disposto ad imparare dagli altri, sicche i confini fra egemonia e
autarchia culturale non sono mai netti. Tendenzialmente, i sistemi
egemoni sono anche culturalmente autarchici (si pensi alla Francia
dellEsegesi o alla Germania della Pandettistica) anche se i sistemi
culturalmente autarchici non sono necessariamente egemoni (si
pensi allItalia della neosistematica o allInghilterra fra il dopoguerra
e la fine della Guerra Fredda) (23).
I tratti di apertura culturale che abbiamo visto propri dei sistemi
subordinati sono tradizionalmente assenti dai sistemi giuridici Europei maggiori, quali la Germania o la Francia. Ovviamente anche
qui sono necessarie molte distinzioni, ma non e` tuttavia un caso che,
nellultima parte del secolo americano, proprio questi paesi mostrino segnali di apertura assai maggiore. Quasi una disponibilita`,
del tutto nuova, ad imparare dal sistema egemone.
7. Poste queste premesse, ed osservando ora la cultura giuridica Europea non soltanto come aggregato di diverse culture giuridiche nazionali, ma anche come nuova cultura giuridica transna(23) Trattazioni autorevoli dei tratti salienti della tradizione di civil law e di quella
di common law con particolare sensibilita` per le diverse epifanie allinterno delle due si
trovano in A. GAMBARO & R. SACCO, Sistemi Giuridici Comparati, (1996).

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zionale (24), ci troviamo di fronte ad una cifra nettamente


subordinata, direi quasi culturalmente colonizzata dal modello economico, politico, giuridico dominante: gli Stati Uniti dAmerica.
Rimandando a piu` approfondite dimostrazioni di questo assunto, mi limitero` qui, per brevissimi cenni, ad osservare alcune
variabili. Innanzitutto, e` ormai ben documentato come gli stessi
gruppi di pressione transnazionale che determinano gran parte del
processo politico statunitense siano particolarmente attivi ed efficaci
nel determinare il processo di produzione normativa di Bruxelles:
puo` dirsi che le medesime filosofie politiche dominanti ispirino
lorientamento politico del contesto di produzione e di quello di
ricezione. Filosofie politiche che trovano nel Fondo Monetario
Internazionale la sede dellelaborazione teorica, e nellOrganizzazione Mondiale del Commercio il proprio principale strumento di
efficacia normativa (25).
Non e` una novita`, per chi sia familiare con la letteratura di
diritto comparato, segnalare come unampia varieta` di norme positive che sono parte fondamentale del nuovo diritto privato Europeo,
dal diritto dei consumatori, allantitrust, al corporate governance,
testimonino linfluenza di modelli e stilemi americani. Ne costituisce
una novita` osservare come la senior pars del diritto privato Europeo,
sia dominata sul piano della cultura professionale dalla produzione
informale dei grandi studi legali internazionali, a loro volta portatori di un dialogo transoceanico che ha in New York e Londra i
propri punti focali. Cos` come da tempo si segnala, secondo un
modello che riproduce nel rapporto fra Stati Uniti ed Europa quello
fra madre patria e colonie, come le law schools statunitensi siano
diventati i principali centri di formazione del giurista Europeo con
ambizioni globali. Costui o costei sempre piu` sovente completa la
propria formazione Europea con un master in America (e sempre
piu` spesso anche con un ulteriore periodo di pratica legale in loco)
prima di tornare in Europa e svolgere le proprie funzioni di avvocato
in un grande studio.
Qualche osservazione in piu` puo` invece svolgersi andando al
cuore delle fonti del diritto privato: la codificazione. E` proprio in
(24)
(25)

Cfr. M. HESSELINK, The New European Legal Culture (2002).


Cfr. W.K. TABB, LElefante Amorale, tr. it. (2002), pp. 82 ss.

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questambito che si possono riscontrare nuovi e piu` profondi fenomeni di influenza culturale, ed e` a questo proposito che losservatore
critico deve sollevare perplessita` e preoccupazioni. Anche qui sarebbero necessarie maggiori precisazioni contestuali. Occorrera` almeno menzionare che lamericanizzazione della nuova periferia
Europea non puo` in nessun caso comprendersi come fenomeno di
sovrapposizione del diritto cos` come questo e` vigente e vivente negli
Stati Uniti. Limportazione e` parziale e si esaurisce in grande misura
ad un livello retorico. Si importano soltanto i tratti del modello
Americano che maggiormente incoraggiano lespansione del capitalismo globale, mentre si lasciano a casa quei tratti maturati nel corso
di una profonda e spesso entusiasmante esperienza storica statunitense, che costituiscono, nel contesto di produzione, le forze vive
del diritto (26). Cos`, ad esempio, mente si importa il corporate
governance allamericana, fondato su una teoria dellimpresa come
nesso di contratti, si lasciano oltre oceano le class actions ed i potenti
strumenti nelle mani delle minoranze. Strumenti che, se non sono
stati capaci di evitare disastri delle proporzioni di Enron, Arthur
Andersen e Worldcom, pur sempre vigilano a che lillegalita` dei
white collars non dilaghi del tutto incontrollata, e certamente introducono aspetti di resistenza alla piu` intollerabile rapacita` degli
interessi finanziari di breve periodo. Gli stessi interessi forti, che
negli Stati Uniti lottano senza esclusione di colpi per limitare i danni
punitivi, per contestare le class actions, (27) e per sterilizzare ogni
nuovo strumento istituzionale volto a ridurre i conflitti di interesse,
ma che localmente incontrano resistenze altrettanto forti ed organizzate, trovano in periferia un livello dattenzione e di resistenza
assai minore e riescono cos` a rinviare allinfinito il metter mano alla
creazione anche in Europa di strumenti capaci di creare una legalita`
effettiva.
8. Il dibattito sul c.d. nuovo diritto privato Europeo, costituisce un esempio interessante a mio parere di queste dinamiche di
importazione parziale, di delegittimazione della legalita` istituzionale
(26) Cfr. lo splendido saggio di L. NADER, The Life of The Law, (2002) tr. it. Le
Forze Vive del Diritto, in corso di stampa.
(27) Cfr. NADER, cit.

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effettiva, di conseguenze drammatiche in termini di confusione delle


priorita` istituzionali, sempre a favore dei suddetti interessi forti (28).
Anziche metter mano ai piu` profondi e problematici aspetti
istituzionali che rendono il diritto privato europeo incapace di
creare e mantenere regole del gioco autorevoli ed effettive, il dibattito degli ultimi quindici o ventanni si e` in larga misura arroccato
intorno alla questione del Codice Civile Europeo. Si tratta di un
interessante oggetto di riflessione, perche la questione codice in
Europa si colloca ad un livello culturale profondissimo (29), quasi
viscerale, sicche interrogarsi sulle motivazioni profonde e sulle
dinamiche piu` o meno consapevoli di questo processo, costituisce
quasi un esercizio di psicanalisi sociale, con tutti i benefici ed i limiti
di tale approccio. Ma poiche sostengo che lultima parte del lungo
ventesimo secolo ha trasformato lEuropa in periferia e forse in
colonia, la psico-analisi sociale alla Franz Fanon, per intenderci,
offre spunti radicalmente critici di innegabile interesse, anche se
molti possono onestamente dissentire sulle opzioni normative (30).
Introdurro` questi problemi al lettore italiano osservando comparativamente il processo di creazione del codice del 42 con quanto
sta avvenendo in Europa oggi (31).
In Europa oggi, molti dei temi di fondo che gia` appassionarono
i grandi civilisti italiani nella fase preparatoria della codificazione del
1942 si stanno riproponendo. Come allora ci si interrogava sulla
necessita` di un nuovo Codice, altrettanto oggi ci si domanda se sia
proprio necessario ri-codificare, a fronte di una pluralita` di codici
che tutto sommato svolgono adeguatamente la loro funzione. Ci si
chiede poi a quale livello di fonte debba avvenire la codificazione
(28) Ho sviluppato questargomento in U. MATTEI, Hard Code Now!, in Global
Jurist Frontiers 2002, www.bepress.com.
(29) Cfr. A. GAMBARO, voce Codice, in Digesto Discipline Privatistiche. Civile.
(30) Cfr. F. FANON, Les Damne s de la terre (1961) e, in particolare, la prefazione
di J.P. Sartre.
(31) Una monografia dei Quaderni Fiorentini e` stata dedicata alla Codificazione. Si fa rinvio a quella sede per lopinione di diversi maestri espressa in un
importante convegno fiorentino. Qualche spunto anche in U. MATTEI & A. DI ROBILANT,
Il lungo addio. Il Codice Civile Italiano nel Bicentenario della Codificazione Napoleonica,
in VOGEL (ed.), Livre du Bicentenaire du Code, in corso di stampa.

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(direttiva o regolamento), quasi a riprendere la grande (e probabilmente fasulla) alternativa codificazione-legge speciale su cui tanto
rifletteva Vassalli. Ci si interroga sulle specificita` del diritto dei
consumatori e del diritto commerciale, proprio come allora ci si
poneva il problema della commercializzazione del diritto civile (32).
Naturalmente, il contesto e` molto diverso non soltanto perche la
dottrina europea, divisa da barriere linguistiche, e` meno omogenea
di quella italiana dellepoca, ma anche perche , come visto, il baricentro della produzione intellettuale del diritto privato si e` oggi
spostato negli Stati Uniti. Sposato come referente forte un modello
di common law, evidenti risultano le diversita` proprio sul piano
profondo delle fonti del diritto, sicche i temi del dibattito odierno
risultano influenzati non poco dalla diversita` profonda del contesto
di produzione. In altre parole, mentre i giuristi Italiani affaticati a
preparare il codice del 42 si misuravano con modelli di riferimento
della tradizione romanista, i giuristi europei oggi si misurano con un
pluralismo (anche estetico) di fonti normative che pone sul tavolo
della riflessione opzioni del tutto nuove. A chi sarebbe venuto in
mente di proporre seriamente lalternativa Restatement senza il
modello di riferimento statunitense?
Il diritto privato e` anche cultura ed identita` storico-politica,
sicche la sostituzione di una pluralita` di codici (o di esperienze non
codificate) con un solo Codice Europeo comporta una rottura
drammatica con il passato e allo stesso tempo rappresenta un
momento fondativo sul piano politico-costituzionale (33). Se, pertanto vi e` una differenza importante piu` di ogni altra nella vicenda
della codificazione italiana del 42 quando comparata con quella
Europea di oggi, essa si colloca a livello di dibattito politico. Mentre
infatti la valenza politica del processo di codificazione era perfettamente presente alla cultura civilistica italiana di quel periodo, oggi la
cultura giuridica Europea sembra ripiombata in unoperazione di
(32) Il dibattito ha ormai prodotto una letteratura abbondantissima. Si veda
HARTKAMP, HONDIUS, HESSELINK, Towards a European Civil Code, (20002).
(33) Si veda L. MENGONI, LEuropa dei Codici o un Codice Per lEuropa?, in Centro
di studi e ricerche di diritto comparato e straniero, Universita` di Roma, vol. 7.

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diniego psicologico di tale valenza (34). La ricezione del modello


statunitense ha veicolato una concezione del giurista quale ingegnere
sociale, professionista volto a edificare un impianto tecnologico.
Questo giurista tecnocrate, rifiuta di misurarsi con la realta` politica
assumendo la neutralita` e la tecnicita` del suo compito (35).
A parlare di Codice Civile Europeo si e` incominciato nel 1989
a seguito di una raccomandazione del Parlamento Europeo, poi
reiterata nel 1994, in cui la sola istituzione dotata di legittimazione
politica sembrava indicare lopportunita` di percorrere questa via a
causa degli eccessivi costi ed ostacoli che la diversita` giuridica
frappone al traffico transfrontaliero. Tale raccomandazione fu raccolta in modo tiepido dalla cultura giuridica dominante e fu interamente ignorata dalle altre istituzioni fino a questi ultimissimi mesi in
cui in rapida successione sono apparsi un libro verde della Commissione (redatto in particolare dalla Direzione Generale 24, quella
relativa ai consumatori e alla salute pubblica), una nuova Raccomandazione del Parlamento (assai piu` dettagliata in modi e tempi) ed
una dichiarazione del Consiglio, che sembrano aver messo in moto
il processo in modo inarrestabile (36).
I giuristi europei, in maggioranza tradizionalmente conservatori,
temevano un cambiamento cos` importante anche perche la complessita` del diritto offre grandi opportunita` di ritorni professionali al
ceto che ne monopolizza la conoscenza (37). La sinistra delle cattedre, scoperto in ritardo il mercato ed ubriaca delle sue virtu` taumaturgiche, sta sperimentando una stagione marcatamente postmoderna sicche una codificazione generale e le scelte che essa
inevitabilmente comporta, le impongono assunzioni di responsabilita` anche politica di cui non sa farsi carico (38). Essa si e` percio`
arroccata dietro la tutela della diversita` e del pluralismo culturale,
(34) Cfr. HESSELINK, The Politics of European civil code, in Global Jurist Frontiers
(2001).
(35) Si veda da ultimo L.M. FRIEDMAN, American Law in the Twentieth Century,
572 ss. (2002).
(36) Si veda U. MATTEI, Hard Code Now!, in Global Jurist Frontiers, 2002.
(37) Cfr. MATTEI, The Issue of Private Law Codification and Legal Scholarship.
Biases, Strategies and Developments, 22 Hastings Int. and Comp. L. Rev 883, (1998).
(38) Cfr. MATTEI & DI ROBILANT, International Style e Postmoderno nellarchitettura giuridica della nuova Europa. Primi spunti critici, in Riv. Crit. Dir. Priv. 2001, 89 ss..

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lasciando campo libero alla logica liberista e non interventista tipica


del modello statunitense attuale. Se tutto cio` si colloca nella tendenza generale allamericanizzazione del diritto privato in Europa si
spiegano agevolmente le varie proposte di codificazione mite (c.d.
soft law) che paiono prendere piede.
Tale ideologia mite (soft con il capitale multinazionale quanto
ad imporre limiti alle sue pratiche efficienti, ma sempre piu` hard
nei confronti dei ceti deboli che dalle decisioni del capitale dipendono) finira` per prevalere se un dibattito cos` fortemente politico
continua ad essere contrabbandato come tecnico e neutrale, utilizzando logiche e strategie bugiarde smascherate da oltre settant anni
nel pensiero giuridico critico.
La maggior parte delle proposte oggi sul tavolo, lungi dallinterrogarsi sulle condizioni politiche e culturali di fondo in cui il
nuovo diritto privato europeo pone le proprie radici, assumono
come naturale punto di arrivo un codice soft, neutrale, tecnico,
efficiente, facilitante e non vincolante. Un modello di codice in netta
rottura con la tradizione civilistica Europea le cui radici positivistiche, assolutistiche e giacobine sono ormai considerate insopportabili
dai piu`.
Il modelli di riferimento piu` accreditati, il Restatement e lo
Uniform Commercial Code sono infatti entrambi statunitensi, con il
che si evidenzia ancor piu` la disponibilita` della nuova cultura
giuridica Europea ad accettare lezioni provenienti doltre oceano
anche negli ambiti in cui da oltre duecento anni i giuristi romanisti
sono maestri. Ma non si tratta soltanto di osservare questo fenomeno
di sudditanza psicologica. Si tratta di comprendere come le ricette
soft negli Stati Uniti siano sostenibili soltanto perche calate in un
sistema di fonti profondamente diverso da quello Europeo attuale.
Un sistema in cui la giurisprudenza primeggia ed in cui le corti sono
dotate di tutti gli strumenti di efficacia indispensabili per dettare e
rendere effettivamente vincolanti le regole del gioco. Nulla di tutto
cio` esiste in Europa, sicche la sacrosanta critica del positivismo
giuridico rischia di condurre a gettare il bambino insieme allacqua
sporca, delegittimando ed indebolendo culturalmente e politicamente le scelte (spesso sociali) contenute nei codici.
Un filone di pensiero critico (le cui azioni, crollate dopo la
caduta del muro di Berlino, sembrano oggi risalire prepotentemente,

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spinte dallevidente brutalita` delle implicazioni politiche del modello


neoliberista della globalizzazione imperante) fondava lanalisi dellegemonia su due pilastri fondamentali: la forza e la persuasione.
Lideologia come falsa coscienza, a sua volta, offriva lo strumento
piu` efficace per ottenere il consenso, indispensabile per ottenere una
duratura subordinazione. Alla produzione di ideologia sono preposte alcune e lites la cui attivita` fondamentale sembra essere quella di
confondere lideologia con la scienza. Tali e lites sono normalmente
portatrici di interessi propri, normalmente derivanti da piu` o meno
marcati privilegi sociali conseguenti allo status.
Se osserviamo le dinamiche culturali del sistema delle fonti
europee nellambito di un tale strumentario critico, non possiamo
che cogliere aspetti preoccupanti. Le lite dei giuristi europei risulta
oggi nettamente divisa nellambito di un fenomeno di dualismo, un
tempo osservabile ed osservato soltanto nello studio dei sistemi
economici del c.d. terzo mondo. Un nuovo gruppo sociale di giuristi,
strettamente limitato ai paesi nordici (Olanda, paesi Scandinavi,
Germania ed Inghilterra), padrone dellanglofon`a e sovversivo di
precedenti gerarchie interne di prestigio accademico, domina la
scena e decide lordine del giorno del dibattito. Tale gruppo dominante, una vera Alleanza del Nord, capace di favorire la penetrazione del modello americano egemone, coopta da contesti diversi
alcune individualita`, a loro volta anglofone, promovendo costoro ad
interlocutori sul tavolo della cultura giuridica alta. In tal modo si
cerca di far fronte al difetto di legittimazione anche culturale che
deriva dal lasciar indietro la major et senior pars della cultura
giuridica latina, quella che non si esprime in inglese e che non ha
posto il dialogo con gli Americani al centro delle proprie preoccupazioni.
La retorica soft ed efficientistica, tecnologica e fintamente scientifica, costituisce larma principale di questa operazione di potere
che ha come risultato finale, linversione del rapporto fra diritto e
mercato, sicche il secondo viene utilizzato a governo del primo e non
viceversa (39). Ma la natura ideologica di tale operazione non puo`
sfuggire a chi tenga conto del fatto che il mercato e` a sua volta
unistituzione che non vive e non puo` vivere e svilupparsi in modo
(39)

Cfr. M.R. FERRARESE, Diritto e mercato (2000).

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efficiente e sostenibile senza regole del gioco dotate di effettivita`,


capaci di internalizzare gli effetti esterni, di limitare e neutralizzare
i conflitti di interesse ed i monopoli, capaci di produrre informazione attraverso lofferta pubblica ed indipendente della cultura e
degli altri beni pubblici (40).
Il sistema delle fonti del diritto costituisce linsieme complesso
di queste regole del gioco. Questa e` la ragione principale per cui
lonesta` intellettuale richiede uno sforzo costante ed instancabile di
comprensione ed analisi del contesto di produzione delle norme
prima di propagandarne lintroduzione nel contesto di ricezione.
Qualche anno fa, in Italia, ipnotizzati dalla macchina spettacolare
che propone instancabilmente la concezione americana (privatizzata) della rule of law, abbiamo importato la procedura penale allamericana, senza curarci di comprendere il contesto di produzione e le
dinamiche istituzionali profonde (come per esempio la giuria) che
rendono in qualche modo sostenibile quel modello (41). Tale ricezione, promossa da une lite specialistica (parte della quale si e` poi
messa in evidenza offrendo servizi giuridici ad alcuni dei principali
beneficiari di tali riforme) non e` stata accompagnato da alcuno
sforzo serio di comprensione e di critica da parte degli storici e degli
studiosi dei sistemi giuridici comparati, i soli dotati professionalmente del bagaglio culturale che avrebbe consentito di prevedere e
scongiurare per tempo il disastro che ne sarebbe seguito.
In Europa oggi, con il codice civile, si sta facendo la costituzione
economica della nuova Europa. Sapra` essere la costituzione di un
blocco forte, autorevole e responsabile capace di assumersi le proprie responsabilita` politiche economiche e storiche anche nei confronti dei paesi in cui i beni che consumiamo vengono prodotti
(spesso da donne e bambini orribilmente sfruttati) (42)? O, come piu`
probabile, sara` la costituzione economica di unaltra provincia,
subordinata ed incapace di produrre resistenza e saggezza? Lespe(40) Cfr. F. DENOZZA, Norme efficienti (2002).
(41) Cfr. E. GRANDE, Italian Criminal Justice. Borrowing and Resistance, 48 Am. J.
Comp. Law 227 (2000).
(42) Si vedano simili interrogativi in P. BOURDIEU, Controfuochi 2. Per un nuovo
movimento europeo (2001). Unanalisi del c.d. processo costituente in Europa, in
costante comunicazione con le problematiche globali e` ora in S. CASSESE, Lo spazio, cit.
pp. 39-55.

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422

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

rienza di tre lustri trascorsi dallintroduzione del codice di procedura penale allamericana, in cui lItalia ha svolto la funzione della
cavia europea, e la miriade di nuove proposte di privatizzazione
della giustizia propagandate da interessi forti e corrotti, coadiuvati
da pseudo-analisi scientifiche, impongono nuovi doveri alla cultura
critica.
La vicenda della codificazione civile italiana puo` percio` vedersi
come un interessante esempio a livello di fonti del diritto in Europa
di consapevolezza politica e sociale. Certo, le drammatiche condizioni imposte nel ventennio alle liberta` civili, economiche e politiche
degli italiani stimolarono latteggiamento partecipe, politicamente
consapevole, e talvolta resistente di tanta civilistica. Le condizioni di
oggi, a livello europeo, solo apparentemente sono migliori, se soltanto si fuoriesce almeno intellettualmente dal piccolo mondo di
privilegi che loccidente riserva al ceto dei giuristi, e si prende
coscienza delle condizioni drammatiche che il modello di sviluppo
monistico, prodotto dalla Pax Americana, impone alla moltitudine
dei senza diritti, che lEuropa dopo aver sfruttato per secoli, oggi
esclude senza pieta`.
Il processo di codificazione e`, oggi come allora, un percorso
gravido di implicazioni politiche. Un processo politicamente rischioso perche rischia di naturalizzare e legittimare lattuale condizione di un mercato che scarica a sud i propri effetti esterni,
codificando le regole del gioco senza attenzione alle violazioni delle
medesime che avvengono nel corso di processi produttivi che si
svolgono fuori dai confini del mercato comune Europeo (43). Ma si
tratta anche di una grande occasione politica, in cui una cultura
giuridica consapevole e matura potrebbe richiamare lattenzione alle
grandi distorsioni del mercato globale, tracciando regole del gioco
responsabili, che quanti intendono operare sul mercato europeo
devono rispettare ovunque nel mondo.
Sta alla sensibilita` politica di ciascun giurista, oggi come allora,
schierarsi dalluna o dallaltra parte di unalternativa che puo` essere
succube degli attori forti del mercato dietro al paravento dellingegneria sociale, o che puo` invece porre le basi fondamentali di un
(43)

La piu` potente recente analisi di questa dinamica e` L. NADER, cit. nt. 26.

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UGO MATTEI

altro modello di mercato, dinamico ed in comunicazione costante


con i luoghi ed i produttori delle merci in esso vendute.
9. Gli Stati Uniti ricevono dallEuropa le strutture portanti
della tradizione giuridica occidentale. Le amplificano, le esagerano,
le rendono spettacolo (44), e le rispediscono al mittente deformate ed
irriconoscibili. Cio` che fu il contesto di produzione non riconosce il
proprio seme; si appropria avidamente di cio` che pare una novita`
seducente e scintillante quanto limmagine della giustizia ritratta
dallindustria di Hollywood. Ma limmagine che si riceve non e` il
diritto statunitense. Ne e` mero apparato ideologico, mera immagine
riflessa, priva di effettivi contatti con la realta` e con il contesto.
Limmagine riflessa ha comunque un impatto. Essa spinge il nuovo
contesto di ricezione a smantellare le proprie strutture portanti,
ritenute obsolete, senza curarsi di rimpiazzarle con altre dotate di
sufficiente effettivita`.

(44)

Vedi G. DEBORD, La Societa` dello Spettacolo (1967).

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QUADERNI FIORENTINI
per la storia del pensiero giuridico moderno

31
(2002)

Lordine giuridico europeo:


radici e prospettive

TOMO II

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Figure dellesperienza

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SILVANA SCIARRA

DI FRONTE ALLEUROPA.
PASSATO E PRESENTE DEL DIRITTO DEL LAVORO
1. Metodo comparato e metodo europeo. Lesempio italiano. 1.1. Il passato del diritto
del lavoro italiano. 1.2. Il presente. 2. Il linguaggio sincronico del diritto del lavoro.
Alla ricerca di una destinazione europea. 3. Diritto del lavoro e sensi di colpa. Alla
ricerca di un equilibrio delle fonti.

1.

Metodo comparato e metodo europeo. Lesempio italiano.

Per impostare una comparazione diacronica nel diritto del


lavoro, in linea con quanto si prefigge questo volume della Rivista,
ho ritenuto di dover prendere le mosse da un ambito circoscritto. Il
primo obiettivo e` verificare se e come, tenendo conto di una
impostazione disciplinare specialistica e di un solido impianto costituzionale dei diritti sociali, il diritto europeo sia riuscito
lentamente, ma pervicacemente ad affondare le sue radici nellordinamento italiano.
Il secondo obiettivo consiste nel valutare se, quando lo sguardo
si dirige verso alcuni temi che, anche fuori dallItalia, hanno inciso
sul patrimonio culturale dei giuristi del lavoro e sui loro strumenti di
analisi, la lingua adottata si fa sincronica, pur nelle inevitabili
sfaccettature di una comunicazione aperta e mutevole fra ordinamenti diversi.
Una lettura delle principali vicende legislative e giurisprudenziali che hanno caratterizzato levoluzione della materia non
puo` non seguire lo svolgersi nel tempo di avvenimenti che riguardano lintegrazione del mercato e, successivamente, lavvio dellUnione monetaria. Il terzo obiettivo ha a che fare, pertanto, con la
precisazione di un ruolo del diritto del lavoro in quanto disciplina

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428

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

ancora prevalentemente calata nelle competenze legislative nazionali


nel quadro delle politiche macroeconomiche europee.
La comparazione diacronica dimostra, a questo riguardo, che gli
obiettivi prioritari del mercato e della moneta non hanno contaminato il diritto del lavoro fino al punto da condizionarne lo sviluppo,
privandolo di una sua propria identita`. Lemersione dei diritti sociali
nellordinamento europeo segue un suo percorso lento, ma continuo, intrecciato con una complessa revisione istituzionale volta a
creare un nuovo equilibrio fra competenze statali ed europee (1).
Un sincretismo linguistico piu` spinto se e` concesso usare
questa terminologia per un ordinamento, come quello europeo, in
cui proprio la diversita` delle lingue nazionali meglio simbolizza la
ricchezza delle molteplici culture si fa notare soprattutto con
lavvio della Strategia europea per loccupazione, dopo il vertice di
Lussemburgo del 1997 e lintroduzione nel Trattato di Amsterdam
del Titolo VIII. Il Metodo aperto di coordinamento, una nuova
tecnica regolativa che dalle politiche occupazionali si sta estendendo
ad aree contigue, quali linclusione sociale, le pensioni e forse anche
la sicurezza sociale, si muove su direttrici interdisciplinari e basa le
sue probabilita` di riuscita su percorsi virtuosi di informazione e di
apprendimento. Per i giuristi del lavoro, adusi alla sfida che proviene
dal metodo interdisciplinare, gli spunti di riflessione circa la centralita` della materia hanno a che fare non tanto con una inutile difesa
dei suoi confini disciplinari, quanto con la ricerca di una sua interna
coerenza.
1.1.

Il passato del diritto del lavoro italiano.

Luscita dei giuristi del lavoro italiani da ambiti solo nazionali di


riflessione si deve, soprattutto dagli anni sessanta in poi, alla diffusione di un raffinato ed originale metodo di comparazione, influenzato prevalentemente dagli scritti di Otto Kahn-Freund e dal suo
diretto coinvolgimento nellorganizzazione di gruppi di ricerca (2).
(1) La Convenzione sul futuro dellEuropa, presieduta da V. Giscard dEstaing,
affiancato da G. Amato e J.L. Dehaene, e` stata varata dal Consiglio Europeo di Laeken,
del 14 e 15 dicembre 2001.
(2) Nella cerchia di giuslavoristi che facevano capo a Kahn-Freund vi era Gino

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SILVANA SCIARRA

Non si puo` dare conto in questa sede dellinesauribile impulso


che la ricerca militante voluta, promossa, coordinata ed ispirata da
questo fertile studioso ha impresso a singoli ricercatori e ad istituzioni, incluse quelle comunitarie. Cio` che si puo` fare e` tracciare un
percorso di avvicinamento al diritto europeo tramite gli strumenti
della comparazione giuridica. Lapparente scarsa attenzione rivolta
ad un ordinamento sovranazionale atipico come certamente
doveva apparire la CEE e prima ancora la CECA agli occhi di
giuristi impegnati nella elaborazione di nuove categorie interpretative del diritto interno si deve leggere come esigenza di dare
precedenza al consolidamento di uno stile italiano (3) nel quadro
variegato del diritto del lavoro europeo.
Fin dagli inizi degli anni cinquanta, la dottrina italiana si
interroga circa lautonomia della materia e rincorre una terza dimensione per superare e risolvere un inutile quanto sterile dualismo
fra una sua anima pubblica ed una contrapposta anima privata (4).
La divisione fra diritto pubblico e diritto privato, a lungo accettata
e coltivata dai giuristi italiani, fu lucidamente individuata come dato
caratteristico ed in verita` un po anomalo in una delle prime
indagini comparate dedicata allo studio dellordinamento italiano.
In quel contesto si indico` il diritto del lavoro come una delle
Giugni, come egli stesso ricorda nella Intervista concessa a P. ICHINO, Riv. It. Dir. Lav.,
1992, p. 429. Si veda inoltre T. TREU, Comparazione e circolazione dei modelli nel diritto
del lavoro italiano, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1979, ed anche in R. SACCO (a cura
di), Lapporto della comparazione alla scienza giuridica, Milano 1980; G.G. BALANDI e S.
SCIARRA (a cura di), Il pluralismo e il diritto del lavoro. Studi su Otto Kahn-Freund, Roma
1982.
(3) Lespressione e` mutuata da J. MERRYMAN nel suo contributo in M. CAPPELLETTI,
J. MERRYMAN, J. PERILLO, The Italian Legal System, Stanford 1967.
(4) Come ricordato da G. CAZZETTA, Lautonomia del diritto del lavoro nel
dibattito giuridico tra fascismo e repubblica, in Quaderni Fiorentini, 1999, pp. 615-16,
in cui si richiama il primo congresso internazionale di diritto del lavoro tenutosi nel 1951
a Trieste (Atti del Primo Congresso Internazionale Di Diritto Del Lavoro, Ed. Univ. di
Trieste 1952). In quel primo Congresso si veda ad esempio la relazione di Udina e le
comunicazioni sul tema spazio fu dedicato al diritto internazionale del lavoro ed alla
sua formazione. In quelloccasione si pratico` un terreno di analisi non troppo frequentato dalla dottrina italiana successiva. Si segnala la relazione di ASCARELLI, Formazione di
un diritto comune del lavoro, p. 40 ss., un vero e proprio manifesto delle funzioni del
diritto comparato.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

discipline emergenti piu` adatte a mettere in crisi una tale dicotomia (5).
Nel 1951 nacque la CECA, con il Trattato di Parigi. Questa
Comunita`, fondata su presupposti pragmatici e su esigenze contingenti ma non per questo meno valide (6) di unificazione del
mercato del carbone e dellacciaio, diede luogo ad importanti esperimenti di riconversione produttiva e di formazione professionale
per i lavoratori interessati dalle trasformazioni delle imprese carbosiderurgiche. La CECA, se confrontata con la CEE, pose un piu`
forte accento sulle politiche sociali e mostro` un dogmatismo meno
spinto nelle politiche di liberalizzazione del mercato (7). Cio` era da
attribuire, come e` stato sostenuto in termini piu` generali, alla scelta
dei governi nazionali di trovare unalternativa al mancato trattato di
pace dopo la fine della seconda guerra mondiale e di bilanciare il
raggiungimento di interessi esclusivamente nazionali con la perdita
di una parte della sovranita` nazionale (8).
Nella seconda meta` degli anni cinquanta, quando videro la luce
il Rapporto Spaak ed il Rapporto Ohlin (9), era fervido in Italia il
dibattito circa limpatto delle norme costituzionali sul diritto del
lavoro. La dottrina si preparava con accortezza a rivisitarne i prin(5) J. MERRYMAN, in CAPPELLETTI et al., The Italian Legal System, cit., p. 211. In
anni successivi il diritto del lavoro venne, invece, lasciato fuori dalle riflessioni promosse
dallAssociazione Italiana di Diritto Comparato. Si veda Linfluenza del diritto europeo
sul diritto italiano, Milano 1982.
(6) Sullimportanza storica del Trattato CECA v., piu` di recente, le interessanti
riflessioni di C. PINELLI, Il momento della scrittura. Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Bologna, 2002, pp. 46-7.
(7) Secondo lopinione di A. e G. LYON-CAEN, Droit social international et
europe en, Parigi 1993 (VIII ed.), p. 160.
(8) E` questa la nota tesi di A. MILWARD, LEuropa in formazione, in Storia
dEuropa, vol. I, LEuropa oggi, Torino 1993, in particolare p. 189 ss.
(9) Unanalisi accurata di questi importanti documenti entrambi prodotti nel
1956 e` fornita da S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale della
integrazione europea, il Mulino, Bologna 2003, p. 44 ss. Opportunamente si segnala
limportanza del Rapporto Ohlin nellaffermare lutilita` oltre che lopportunita` del
mantenimento di sistemi sociali differenziati allinterno degli Stati Membri. In tema S.
DEAKIN, Labour Law as Market Regulation: the Economic Foundations of European Social
Policy, in P. DAVIES, A. LYON-CAEN, S. SCIARRA, S. SIMITIS, European Community Labour
Law. Principles and Perspectives. Liber Amicorum Lord Wedderburn, Oxford 1996, p. 63
ss.

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SILVANA SCIARRA

cipali istituti, alla luce dei nuovi principi democratici introdotti dalla
Carta costituzionale. Lo scenario fornito ai padri fondatori da questi
autorevoli Rapporti rafforza lidea, confermata dalla ricerca piu`
recente e documentata, che la dimensione sociale non fosse estranea
ai costruttori dellEuropa e neanche dimenticata, quanto piuttosto
difficile da coordinare con la missione prioritaria del Trattato,
protesa alla creazione di un mercato comune.
Tuttavia, se si sfogliano i principali manuali, la nascita della
CEE, con il Trattato di Roma del 1957, sembra avvenire in un
contesto lontano dalle preoccupazioni del diritto del lavoro italiano.
In quegli anni di avvio della Comunita` esisteva, con molta probabilita`, una profonda scissione fra una e lite di burocrati impegnati nel
perseguire lintegrazione europea (10) e gli ambienti accademici,
soprattuto quelli specialistici, ancora privi di una forte identita`
scientifica, quali erano gli ambienti giuslavoristici del tempo. Nel
dibattito contemporaneo una tale cesura sembra in gran parte
superata. Il ruolo del giurista del lavoro attento agli sviluppi del
diritto europeo si e` fatto in anni recenti assai pregnante e talvolta
carico di implicazioni simboliche oltre che pratiche sul piano della
elaborazione delle politiche legislative.
Con cio` non si vuol dire che la dottrina italiana fosse sorda ai
richiami inviati da un ordinamento sovranazionale in formazione.
Uno dei primi volumi, pubblicati nellambito dei seminari organizzati da Giuliano Mazzoni presso lIstituto di diritto del lavoro
dellUniversita` di Firenze, e` dedicato alla politica sociale comunitaria degli esordi (11). I contributi in esso raccolti, eterogenei nello stile
e nel metodo adottato, rivelano, anche a distanza di tempo, lesigenza avvertita dagli studiosi di affiancare allanalisi giuridica, talvolta molto dotta e sofisticata (12), uninformazione accurata circa le
(10) Latteggiamento filo europeo degli alti funzionari del Ministero degli Affari
Esteri e` segnalato, come elemento di forte continuita` nel perseguire gli obiettivi
comunitari, da T. PADOA SCHIOPPA, Europa, forza gentile, Bologna 2001, p. 94, in un
capitolo dedicato allItalia ed alle sue diverse fasi di avvicinamento allEuropa.
(11) La politica sociale della Comunita` Economica Europea, Milano 1960.
(12) Il volume sopra citato include un elegante contributo di O. KAHN-FREUND,
Alcuni problemi relativi alla composizione delle controversie di lavoro sotto il profilo del
diritto comparato, p. 77 ss., tema quanto mai estraneo alle competenze del diritto
comunitario e tuttavia, a detta dello stesso autore, utile a comprendere che la strada di

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

politiche sociali comunitarie, sia per i loro contenuti, sia per le


modalita` seguite dalle istituzioni nella loro elaborazione.
Larmonizzazione dei sistemi nazionali apparve fin da allora agli
osservatori lungimiranti un obiettivo posto al termine di un cammino impervio. Anche per questo sembro` importante non perdere
di vista la funzione e levoluzione delle altre fonti internazionali, in
particolare quelle dellOIL, nello sforzo di adeguamento degli standard nazionali a quelli sovranazionali (13). Lobiettivo era di tenere
aperto nel nostro come in altri paesi europei, un sistema di circolazione degli standard di tutela (14), proficuo per formare una cultura
giuridica meno ripiegata su se stessa e piu` aperta alla comprensione
del ruolo delle istituzioni internazionali nelle trasformazioni del
diritto. Si tratta e` bene sottolinearlo di tentativi isolati
allinterno del panorama italiano, sia dottrinale che giurisprudenziale (15).
E` soprattutto nella fucina di giuristi europei voluta dallAlta
Autorita` della CECA che spiccano, fra le altre, le acute intelligenze
dei migliori giuristi del lavoro italiani. In una voluminosa raccolta di
studi intitolata Collezione di diritto del lavoro si trovano i presupposti di conoscenza indispensabili alla costruzione di un moderno
diritto del lavoro ed anche i germi di un metodo comparato indipendente, non condizionato dalle istituzioni committenti e, proprio
per questo, proficuo per il legislatore sovranazionale. Nonostante il
vuoto di poteri istituzionali della CECA nel campo delle politiche
un diritto sovranazionale e` aperta dallo studio degli ordinamenti nazionali. Altri contributi sono affidati a funzionari delle istituzioni comunitarie.
(13) Nello stesso volume La politica sociale, cit., si veda L. GILARDI RIVA SANSEVERINO, Lattuazione delle Convenzioni internazionali del lavoro nella CEE e, in particolare,
nellordinamento italiano, p. 61 ss., in cui si rammenta che in quegli stessi anni di avvio
della CEE era in preparazione la Carta Sociale Europea del Consiglio di Europa, il cui
presupposto era quello della osservanza da parte degli stati membri delle norme minime
contenute nelle Convenzioni dellOIL.
(14) Ho usato questa terminologia nellanalisi di avvenimenti recenti che hanno
costretto il diritto del lavoro a guardare simultaneamente in piu` direzioni per cogliere
linfluenza sincretica di fonti internazionali fra se diverse. Si rinvia a S. SCIARRA, From
Strasbourg to Amsterdam: Prospects for the Convergence of European Social Rights Policy,
in P. ALSTON (a cura di), The EU and Human Rights, Oxford 1999, p. 473 ss.
(15) Come osservo` M. OFFEDDU nelle conclusioni del suo libro, Le convenzioni
internazionali del lavoro e lordinamento giuridico italiano, Padova 1973, p. 200.

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SILVANA SCIARRA

sociali (16), lansia di conoscenza degli ordinamenti nazionali del


lavoro creo` un clima aperto di confronto fruttuoso ed espose i
giuristi nazionali alla comprensione di ordinamenti diversi.
Nel 1959, la creazione di una associazione fra editori specializzati in materie giuridiche ed attivi in piu` paesi consent` la pubblicazione contemporanea dei volumi della collana in quattro lingue.
Lintegrazione attraverso la ricerca giuridica, in quel fortunato esperimento, tributo` rispetto alle lingue nazionali ed alle particolari
implicazioni del linguaggio tecnico-giuridico. Questultimo, come e`
noto, non e` mai asettico, ma serve ad illustrare lorigine ed il
significato di importanti istituti caratterizzanti lordinamento nel suo
complesso e dunque conduce a capire le diversita`, invece di assimilare dentro formule comuni funzioni diverse delle norme giuridiche.
Nellarco di circa un decennio, dal 1958 in poi, Luigi Mengoni
forn` il suo contributo a molte delle pubblicazioni promosse dalla
CECA, incentrate sui piu` significativi istituti della materia (17). A
questo autore, ben noto nel resto dEuropa anche al di fuori di
questa disciplina, si deve una attenzione non rituale nei confronti dei
temi comunitari, poi confermata nel tempo (18).
Sotto legida della CECA si colloca anche un volumetto prezioso
per la costruzione di una spiccata identita` del diritto del lavoro
italiano. Nel 1964 Gino Giugni traccio` in modo sintetico ed efficace
i contorni delloriginale sistema nazionale di contrattazione collettiva
e scrisse il rapporto di sintesi, relativo ai sei paesi membri (19).
(16) Lart. 3 e) del Trattato CECA faceva riferimento ad una generica promozione
delle condizioni di vita e di lavoro, mentre lart. 46. 5 affidava allAlta Autorita` il compito
di promuovere linformazione, consultando i governi nazionali per rendere possibile un
tale miglioramento. Non e` nostalgico, ma semplicemente informativo, il riferimento alla
cessazione dellattivita` della CECA ed al Protocollo annesso al Trattato di Nizza che si
occupa degli aspetti finanziari e della destinazione del fondo per la ricerca.
(17) Si veda di recente M. NAPOLI, Ricordo di Luigi Mengoni, maestro di diritto e
dumanita`, cultore di diritto del lavoro, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2002, p. 151 ss.,
che cita in bibliografia tutti i contributi di Mengoni nella Collezione di diritto del lavoro
della CECA.
(18) L. MENGONI, Libera circolazione dei lavoratori, in La Comunita` economica
europea, Corso di lezioni litogr., Milano 1975. Sullo stesso tema Mengoni aveva gia`
pubblicato un saggio in Dir. Lav. 1970, p. 165 ss.
(19) G. GIUGNI, Levoluzione della contrattazione collettiva nelle industrie siderurgica e mineraria, Milano 1964. Giugni ha anche curato il rapporto finale, basato su

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Lattenzione di questo autore per il diritto vivente, oltre che per


il diritto positivo, nonche la sua familiarita` con lordinamento
nord-americano, lo resero omogeneo alla cerchia di comparatisti che
si formo` intorno a Kahn-Freund. Anche se il lavoro del Comparative
labour law group, di cui Kahn-Freund fu solo ispiratore, senza mai
farne parte (20), non fu orientato alla produzione di studi direttamente funzionali allelaborazione di politiche comunitarie, esso creo`
un patrimonio comune di nozioni ed una metodologia sofisticata di
analisi comparata a cui le generazioni successive di studiosi di vari
paesi hanno potuto attingere.
Piu` lenta appare la sistemazione di una materia come il
diritto comunitario del lavoro allinterno dei manuali. Si deve alla
dottrina internazionalista la diffusione accurata degli elementi di
diritto comunitario che hanno avvicinato gli specialisti di diritto del
lavoro al linguaggio, oltre che alle tecniche regolative proprie di un
ordinamento sovranazionale (21).
E` da ricordare che viene dalla Francia uno dei primi e piu`
rapporti nazionali dei sei paesi aderenti. Si v. CECA, Alta Autorita`, Levoluzione della
contrattazione collettiva nelle industrie della Comunita` 1953-1963, Lussemburgo, giugno
1967.
(20) Come riferisce B. AARON, The Comparative Labor Law Group: a Personal
Appraisal, in Comparative Labor Law, 1977, p. 229 ss. Il gruppo ha prodotto varie
pubblicazioni citate da Aaron, a cui si deve anche un interessante resoconto del modo
di impostare la comparazione.
Kahn-Freund collaboro` anche alle pubblicazioni della CECA. Si veda, ad esempio,
un suo efficace rapporto di sintesi in I rapporti tra datori e lavoratori sul piano aziendale.
Forme e funzioni, Bruxelles 1967. Cio` conferma una sua eccezionale funzione di
collegamento fra i vari piani in cui si svolgeva la ricerca lavoristica comparata ai suoi
esordi.
(21) G. GAJA, La giurisprudenza della Corte Comunitaria sulla politica sociale, Pol.
Dir. 1977, che riproduce una comunicazione al Convegno Politiche comunitarie e
giurisprudenza della Corte di giustizia, tenutosi a Siena nel settembre 1977; F. POCAR,
Diritto comunitario del lavoro, vol. 13 dellEnciclopedia giuridica del lavoro, diretta da G.
MAZZONI, Padova 1983. Si noti che la stessa Enciclopedia ospito` un corposo volume di
F. DI CERBO e G. ZANGARI, Il diritto del lavoro dei paesi dellEuropa continentale
partecipanti alla CEE, Padova 1984. In esso in una fase ormai avanzata della vita della
Comunita` con una curiosa trovata, non e` incluso il Regno Unito, in quanto paese a
common law, accorpato pertanto in altri volumi della stessa opera enciclopedica con Stati
Uniti, Canada ed Australia. Lopera citata, oltre allestrema opinabilita` del metodo
adottato, si pone in controtendenza rispetto al metodo in precedenza promosso dai
volumi della CECA, volto ad approfondire gli studi di diritto nazionale dei paesi membri

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SILVANA SCIARRA

riusciti contributi della dottrina nel proporre una lettura congiunta


delle norme internazionali e delle norme propriamente europee di
diritto del lavoro (22). Non si vuole con questo richiamo attrarre
lattenzione su una citazione bibliografica, quanto piuttosto porre in
evidenza la terminologia diritto sociale e non diritto del lavoro
adoprata nel titolo. Per lungo tempo si e` posto il problema, non solo
linguistico, di chiarire quanta parte del diritto sociale comunitario
rientrasse nel diritto del lavoro e quanto lespressione politiche
sociali, ricorrente nel gergo comunitario, fosse compatibile con
levoluzione di sistemi normativi di diritto del lavoro a livello
nazionale. Si vedra` in seguito come questo problema si e` gradualmente attenuato, sia per uno sforzo nazionale di apprezzamento
delle norme sovranazionali che via via emergevano dallindistinto
delle politiche sociali, sia per i mutati indirizzi che queste ultime
hanno assunto.
Solo ad occhi distratti il passato del diritto del lavoro italiano,
quello che, proprio mentre le Comunita` europee erano agli albori, si
andava consolidando intorno a valori costituzionali fondamentali,
puo` apparire rinchiuso in un provincialismo asfittico. Si tratta in
realta`, nonostante talune ritrosie, di un diritto in espansione verso
orizzonti sovranazionali. La dottrina piu` attenta ha saputo agevolare
una tale evoluzione senza abbandonare la difesa delle caratteristiche
peculiari dellordinamento ed anche mantenendo vivo il pluralismo
del dibattito scientifico, arricchito dalla combinazione di una matrice cattolico-sociale con una componente laica e riformista.
La lezione di Tullio Ascarelli, affidata ai giuristi del lavoro nel
lontano 1951, affinche si superasse il nazionalismo positivista attraverso il diritto comparato, sembra aver dato buoni frutti (23).

della Comunita`, al fine di valutarne le assonanze o, piu` spesso, le dissonanze in funzione


della comune adesione al Trattato istitutivo.
(22) G. LYON-CAEN, Droit social international et europe en, pubblicato da Dalloz
(che nella prima edizione del 1969 si chiamava Droit social europe en) ha avuto una
grande diffusione. Dalla V edizione nel 1980 e` firmato anche da A. LYON-CAEN. Il libro
e` giunto nel 1993 alla VIII edizione.
(23) T. ASCARELLI, Formazione, cit., p. 43.

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1.2.

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Il presente.

Su queste premesse si basa il presente del diritto del lavoro,


aperto allinfluenza del diritto europeo ed anche capace di influenzarlo. Per comprendere liniziale ritrosia della dottrina nellaffrontare temi connessi al diritto comunitario ed anche per giustificare
certi suoi pregiudizi neppure apertamente confessati, occorre dire
che il Trattato CEE sembrava perseguire obiettivi del tutto divergenti rispetto allevoluzione di un diritto del lavoro da poco uscito
dal bozzolo del diritto corporativo, pronto a volare alto sia sui cieli
della giurisprudenza, sia su quelli della legislazione speciale.
LItalia, come del resto la Francia che si era battuta fin dallinizio per linserimento nel Trattato di alcuni standard di tutela (24), ha
spesso assunto un atteggiamento orgoglioso nel preservare le sue
prerogative di politica legislativa allinterno del territorio lavoristico (25).
Bisogna riconoscere, a distanza di tempo, che anche nella
(24) E` noto limpegno della Francia, fin dalla redazione del rapporto Spaak, per
linserimento nel Trattato istitutivo degli articoli in materia di parita` retributiva fra uomo
e donna ed equivalenza nei periodi di ferie retribuite, affinche gia` nella prima fase del
periodo transitorio si raggiungesse, attraverso larmonizzazione di queste misure legislative, leliminazione di distorsioni nella concorrenza. La materia dellorario di lavoro e del
lavoro straordinario trovo` collacazione in un Protocollo allegato al Trattato. Ne da`
conto, dal punto di vista storico, F. LYNCH, France and the Origins of the European
Community, in S. DAHL (a cura di), National Interests and the EEC-EC-EU, Trondheim
1999, p. 15 ss. I dettagli e lanalisi giuridica complessiva sono in O. KAHN-FREUND, Labor
Law and Social Security, in E. STEIN (a cura di), American Enterprise in the European
Common Market. A Legal Profile, Ann Arbor, The Univ. of Michigan Law School 1960,
vol. I p. 325 ss.
(25) Basti pensare al lungo rifiuto dellItalia di adottare la Direttiva n. 75/129 del
17 febbraio 1975 sui licenziamenti collettivi, in ragione della gia` esistente disciplina
volontaria della materia contenuta in un accordo interconfederale del 1965. Il caso
culmino` con la condanna dellItalia da parte della Corte di Giustizia. Cfr. C 91/81, Racc.,
1982, p. 2133, e C 131/84, Racc., 1985, p. 3531. Sul tema si veda il contributo di
uninternazionalista, A. ADINOLFI, Sullattuazione in Italia della direttiva comunitaria
concernente i licenziamenti collettivi, in Riv. Dir. Int., 1983, p. 76 ss.
Ugualmente emblematica la vicenda della Direttiva 93/104, in materia di orario di
lavoro. Per la mancata trasposizione, la Commissione ha fatto ricorso alla Corte di
giustizia nel dicembre 2002, chiedendo pesanti sanzioni pecuniarie, anche a seguito della
censura della Corte nei confronti dellItalia. Cfr. Commissione c. Italia, 638/98, Racc.,
2000, p. 1277.

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SILVANA SCIARRA

materia che qui ci interessa, lapproccio funzionalista tanto piu` ha


mostrato la sua validita` quanto piu` la posta in gioco era alta.
Limpegno della Francia, dettato da interessi esclusivamente nazionali, ha avuto un insperato effetto di costituzionalizzazione della
norma sulla parita` retributiva fra uomo e donna per uno stesso
lavoro (26). Un tale principio ha guadagnato negli anni un valore di
gran lunga piu` solido rispetto allobiettivo di tutelare la libera
concorrenza nel mercato, eliminando misure potenzialmente distorsive.
LItalia, forse a causa della minore solidita` del suo sistema
economico, non fu protagonista in tale vicenda e si riservo`, in quella
come in altre occasioni, uno spazio interstiziale fra Francia e
Germania (27). Lorgoglio nazionale ha, in taluni casi, assunto le
caratteristiche di un adempimento lento, se non addirittura svogliato, agli obblighi di attuazione del diritto europeo, con la conseguenza di relegare lItalia fra i paesi meno efficienti nel trasporre le
direttive nellordinamento interno.
Un tale atteggiamento e` cambiato, anche se non sono mancati
casi di forte dialettica fra legislatore nazionale e istituzioni comunitarie circa i tempi ed i modi per attuare la trasposizione nellordinamento interno di talune riforme, in ossequio al principio di un
mercato sempre piu` efficiente, perche libero da monopoli (28).
Si puo` solo speculare circa una distanza culturale del diritto del
(26) C. BARNARD, The Economic Objectives of Article 119, in T. HERVEY e D.
OKEEFFE, Sex Equality Law in the European Union, Chichester 1996, p. 321 ss.
(27) Sara` questa la soluzione adottata anche in vista dellUnione monetaria,
secondo T. PADOA SCHIOPPA, Europa, cit., p. 105.
(28) Ho analizzato Job Centre come caso esemplare nel rapporto fra Corte di
giustizia europea e legislatore nazionale in relazione al lento e faticoso superamento del
monopolio pubblico del collocamento. Rinvio a S. SCIARRA, Job Centre: An Illustrative
Example of Strategic Litigation, in EAD. (a cura di), Labour Law in the Courts. National
Judges and the European Court of Justice, Oxford 2001, p. 241 ss. Un altro esempio di
ritardo istituzionale si e` avuto nelluso dei fondi strutturali, divenuto piu` efficiente in
anni recenti, mentre sempre critico rimane il rapporto con le istituzioni comunitarie in
materia di aiuti di stato. Su questi punti si rinvia a T. TREU, Politiche del lavoro.
Insegnamenti di un decennio, Bologna 2001, p. 86 ss. Si veda anche la recente sentenza
(del 7 marzo 2002, in causa C-310/99, Repubblica italiana c. Commissione CE) con cui
la Corte di giustizia ha confermato che taluni aspetti della disciplina degli sgravi
contributivi concessi dal legislatore italiano nel caso di stipulazione di contratti di

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

lavoro italiano dalle matrici del diritto comunitario. A voler scegliere


un esempio fra i tanti, si puo` osservare che, mentre in Italia si
assisteva allascesa delle organizzazioni sindacali, pilastri portanti di
un autonomo sistema di contrattazione collettiva e di autotutela
sindacale, in Europa lart. 118 del trattato istitutivo della CEE
affidava alla Commissione il compito di promuovere una stretta
collaborazione tra gli Stati Membri nel campo sociale per una serie
di materie, fra cui il diritto sindacale e le trattative collettive tra
datori di lavoro e lavoratori. Non e` difficile comprendere che, a
fronte di un impegno comunitario cos` vago, si scegliesse di indirizzare verso il diritto sindacale nazionale energie e sforzi propositivi.
Con il passare del tempo, quella che pote apparire nientaltro
che una sfumatura nella semantica adottata dai padri fondatori,
divenne il segno di un divario profondo, attenuato solo in parte dalle
riforme intervenute successivamente. Si constato`, infatti, che le
carenti basi giuridiche nel Trattato, da un lato, ed i meccanismi
decisionali del Consiglio, improntati frequentemente al principio
dellunanimita`, dallaltro, avrebbero potuto condurre ad una mortificazione del diritto del lavoro nelle sue molteplici funzioni.
Il passato ed il presente del diritto del lavoro italiano di fronte
allEuropa si differenziano proprio in questo. Ad un iniziale atteggiamento di attesa prudente, subentra gradualmente un atteggiamento critico ed informato. Le acute punte di scetticismo che hanno
segnato talvolta lavvicinamento al diritto europeo (29), sono state
controbilanciate dalla scoperta di una autonoma ed indipendente
capacita` di sintonizzare i contributi nazionali sulle onde delle politiche sociali europee, senza rinunciare ai principi fondanti della
materia.
Il linguaggio del diritto comparato, nelle sue espressioni piu`
sofisticate, e` stato utilizzato, come si e` visto, per perfezionare gli
formazione e lavoro sono da considerarsi aiuti di Stato, come tali in contrasto con la
normativa comunitaria.
(29) Una voce scettica circa levoluzione delle politiche sociali europee e` stata
quella di Federico Mancini, uno dei piu` illustri giuristi del lavoro italiani, divenuto
Avvocato generale presso la Corte di giustizia nel 1982 e poi nominato giudice nel 1988
fino al 1999, anno della sua morte. I suoi piu` importanti contributi al diritto europeo
sono raccolti in F. MANCINI, Democracy and Constitutionalism in the European Union,
Oxford 2000.

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SILVANA SCIARRA

strumenti di analisi del diritto interno e per accorciare le distanze


dallEuropa. Per questo motivo, il linguaggio del diritto europeo
potrebbe essere diacronicamente interpretato come una prosecuzione del precedente, quasi che, con il passare del tempo, il fine della
comparazione sia divenuto il mettere a confronto lordinamento
sovranazionale con gli ordinamenti nazionali degli Stati Membri,
ricavandone una analisi a piu` piani, con implicazioni diverse a
seconda della materia affrontata.
In realta` non e` cos` ed anzi occorre mettere in guardia da una
simile comparazione diacronica. Si dira` in seguito perche e` importante, soprattutto nella fase attuale di integrazione europea, mantenere puro il metodo della comparazione e liberarlo da implicazioni
che ad esso non appartengono.
E` rassicurante intanto constatare che sulla strada di un diritto
del lavoro europeo metodologicamente indipendente si sta muovendo una nuova generazione di giuslavoristi, impegnata a valorizzare le peculiarita` dellordinamento interno sia nella fase di proposta
che dal livello nazionale si muove verso le istituzioni comunitarie, sia
nella fase di risposta, ovvero di valutazione critica circa contenuti,
tempi e modalita` degli adempimenti comunitari (30).
Lingresso nel presente del diritto del lavoro italiano un
presente condiviso con quello di altri paesi europei, piu` di quanto
non lo fosse il passato e` segnato da alcuni tratti originali, che si
tentera` di delineare brevemente, prima di affrontare se si vuole in
modo piu` sincronico lanalisi dei temi che contraddistinguono
levoluzione recente della materia.
Innanzi tutto si deve osservare con soddisfazione che la dottrina
giuslavorista si e` appropriata di uno stile maturo e dimostra fami(30) Il merito principale di una tale equilibrata operazione culturale va riconosciuto a Massimo DAntona (del quale v. principalmente gli scritti di diritto comunitario
e comparato del lavoro ora raccolti nel primo volume delle Opere, Milano 2000, p. 279
ss.). Esempi significativi, su problematiche recenti, sono, fra gli altri, M. BARBERA, Dopo
Amsterdam. I nuovi confini del diritto sociale comunitario, Brescia 2000; B. CARUSO, Il
contratto collettivo europeo, in Diritto privato comunitario, vol. II, Lavoro, impresa e
societa`, a cura di V. RIZZO, Napoli 1997 ed anche Alla ricerca della flessibilita` mite: il
terzo pilastro delle politiche del lavoro comunitarie, Dir. Rel. Ind. 2000; B. VENEZIANI, Nel
nome di Erasmo da Rotterdam. La faticosa marcia dei diritti sociali fondamentali nellordinamento comunitario, Riv. Giur. Lav. 2000, p. 779 ss.

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(2002)

liarita` con le fonti europee. I titoli dei manuali segnalano coraggio


nellaccogliere una terminologia che riflette la volonta` di contribuire
a creare i principi fondatori di un ordinamento comunitario del
lavoro, ancorche incompleto ed impreciso (31). Ne va sottovalutata
lattenzione dedicata alla giurisprudenza della Corte di giustizia,
proposta sia secondo un metodo casistico (32), sia accorpando filoni
interpretativi e valutandone criticamente limpatto su grandi settori
della materia (33).
Su questo sfondo informato ed anche variegato, quanto alle
opzioni metodologiche e di politica del diritto adottate, scorrono
gli anni novanta, caratterizzati, come e` stato efficacemente scritto,
da un miscuglio tra lobiettivo di non incrinare il consenso sociale
e il desiderio di introdurre misure di deregolamentazione e di
flessibilita` (34). Il dibattito politico fu segnato da una contrapposizione ideologica talvolta assai dura, che puntava a destabilizzare
la scelta europea, descrivendola come sbilanciata, a causa dellassenza di politiche occupazionali nelle linee-guida sulle politiche
macroeconomiche emanate dal Consiglio europeo (35). Linstabilita`
delleconomia italiana non lasciava, nei fatti, ampi margini di
trattativa nelle sedi europee e lausterita` fu apprezzata come una
scelta necessaria dai protagonisti piu` consapevoli, incluse le organizzazioni sindacali (36).
(31) M. ROCCELLA e T. TREU, Diritto del lavoro della Comunita` europea, Padova
1992 (III edizione 2002); A. BAYLOS GRAU, B. CARUSO, M. DANTONA, S. SCIARRA,
Dizionario di diritto del lavoro comunitario, Bologna 1996; G. ARRIGO, Il diritto del lavoro
dellUnione europea, vol. I, Milano 1998 e vol. II, Milano 2001; R. FOGLIA, Il lavoro, in
Trattato di diritto privato, diretto da M. BESSONE, Il diritto privato dellUnione Europea,
vol. XXVI, Tomo II, Torino 1999.
(32) M. ROCCELLA, Diritto comunitario del lavoro. Casi e materiali, Torino 1999,
II ed.
(33) M. ROCCELLA, La Corte di giustizia e il diritto del lavoro, Torino 1997; R.
FOGLIA, Lattuazione giurisprudenziale del diritto comunitario del lavoro, Padova 2002.
(34) M. FERRERA e E. GUALMINI, Salvati dallEuropa? Welfare e lavoro in Italia fra
gli anni 70 e gli anni 90: le riforme fatte e quelle che restano da fare, Bologna 1999,
p. 95. Si veda anche M. GIULIANI e C.M. RADAELLI, Italian Political Science and the
European Union, Journal of European Public Policy 1999, p. 517 ss.
(35) Come ricorda un giuslavorista protagonista delle vicende politiche di quegli
anni. Si veda T. TREU, Politiche del lavoro, cit., p. 84 ss.
(36) L. BELLARDI, Concertazione e contrattazione, Bari 1999, p. 64 ss.; L. BORDOGNA,

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Ai costi da pagare per lingresso in Europa, ma anche ai vantaggi


di lungo periodo che da una tale scelta era verosimile aspettarsi, si
puo` far risalire una errata biforcazione delle posizioni assunte dai
giuslavoristi italiani. Comincia a svilupparsi in quegli anni un atteggiamento sotteraneo che si avvicina molto al senso di colpa. Non
deve sorprendere questa metafora cos` poco vicina al linguaggio
giuridico. Essa verra` riproposta nelle conclusioni di questo mio
contributo per affermare che anche i giuristi possono soffrire per le
proprie scelte represse e giungere ad esternare, specie nel ruolo di
consiglieri del legislatore, comportamenti dettati da un incombente
senso di inadeguatezza, piu` che da una interpretazione coerente del
sistema di norme da riformare.
Il tracciato di avvicinamento allEuropa viene talvolta utilizzato
per formulare una critica esasperata del sistema di diritto del lavoro,
quasi a voler bruciare le tappe per conquistare rapidamente la meta,
credendo in tal modo di poter emulare i paesi ritenuti piu` forti ed
efficienti.
In questo atteggiamento che si puo` definire di rincorsa dellEuropa si cela, come diro` dopo, un equivoco di fondo ed una forzatura
del ruolo innovatore del giurista del lavoro. Nel rincorerre la meta si
rischia di piegare il metodo comparato a finalita` contingenti, contaminando lanalisi giuridica con opzioni passeggere, talvolta lette in
chiave esageratamente ideologica.
Cio` che invece non va perso di vista, anche nellurgenza di
adeguare lordinamento interno ad un contesto sovranazionale, e` il
ruolo delle tradizioni nazionali, vero e proprio contrappeso nel
bilanciamento dei poteri e delle competenze legislative.
A ben guardare, gli anni novanta segnano lavvio deciso di un
processo dinamico di apprendimento e non di mera dipendenza
dallEuropa, che si esplicita anche in un lento adeguamento delle
strutture burocratiche dei Ministeri ed in generale dellapparato
burocratico coinvolto nellattuazione delle politiche di risanamento.
Non e` casuale che anche le opzioni privilegiate nella comparazione
con altri ordinamenti slittino dagli Stati Uniti, ritenuto in preceUnione monetaria e relazioni industriali in Europa, in Stato e Mercato, 1996, p. 467 ss.;
M. DANTONA, Il Protocollo sul costo del lavoro e lautunno freddo delloccupazione, ora
in Opere, vol. II, Milano 2000.

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(2002)

denza il modello da imitare per dinamismo del mercato e assenza di


vincoli eccessivi, allOlanda, paese considerato vincente sul piano
della combinazione di flessibilita` e tutela nelle riforme del mercato
del lavoro (37).
Emblematica, a questo riguardo, e` la vicenda legislativa del
lavoro part-time. Il miracolo olandese e` stato invocato da piu` parti
come lesempio da seguire per incrementare loccupazione attraverso il ricorso a forme di lavoro flessibile, estrapolando un po
surrettiziamente questo dato dal contesto generale del sistema di
relazioni industriali, caratterizzate in quel paese da un alto tasso di
concertazione e di consenso. Piuttosto che miracoloso, il caso
olandese e` stato descritto dagli studiosi piu` accreditati di quel
fenomeno, come fortuito, ovvero non del tutto prevedibile nei suoi
risvolti di crescita occupazionale, in quanto riconducibile allo spontaneo ritorno nel mercato di un alto numero di lavoratrici madri (38).
Il riferimento al caso olandese come caso da imitare e` dunque da
ricondurre nellalveo di una corretta analisi comparata, utile a
dimostrare gli effetti benefici di una flessibilita` concordata, oltre che
tutelata, nel rispetto delle tradizioni nazionali (39).
2. Il linguaggio sincronico del diritto del lavoro. Alla ricerca di una
destinazione europea.
Nel tentativo non facile di selezionare gli avvenimenti che piu`
hanno caratterizzato lemersione del diritto del lavoro quale componente autonoma ed originale delle politiche sociali europee, si
(37) Questo rilievo pienamente da condividere e` di FERRERA e GUALMINI, Salvati,
cit., p. 131 ss., i quali osservano che gli architetti del risanamento erano allinterno del
Ministero del Tesoro e della Banca dItalia ed i costruttori si collocavano nel ceto
politico piu` aperto ed attento, nonche fra i gruppi di interesse, con carattersitiche di forte
interdipendenza.
(38) J. VISSER e A.C. HEMERIJCK, A Dutch Miracle. Job Growth, Welfare Reform
and Corporatism in the Netherlands, Amsterdam Univ. Press 1997. Il fenomeno non e`
limitato allOlanda, ma riscontrato in molti paesi dellOCSE nel corso degli anni ottanta.
(39) Questo tentativo viene proposto in S. GIUBBONI, S. SCIARRA, Introduzione a La
regolamentazione del part-time in Europa, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., n. 4 del 2000,
ed ivi pure nello stesso senso lanalisi di A. LO FARO sul caso italiano. Il progetto
di ricerca in questione si basa sullo studio della legislazione in materia di part-time in
sette paesi dellUE.

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rischia di trascurare i dettagli o di apparire poco attenti rispetto al


significato di taluni passaggi intermedi. La consapevolezza di correre
questo rischio si contrappone alla curiosita` di verificare se esiste una
dimensione linguisticamente sincretica della materia nella sua ormai
acquisita valenza europea. Per convincere chi legge che e` opportuna
la scelta in favore della curiosita`, piuttosto che della completezza,
occorre segnare qualche punto di riferimento nelle diverse fasi di
avanzamento dellintegrazione europea.
Non vi e` dubbio che lavvio del mercato unico, nella seconda
meta` degli anni ottanta, impresse un ritmo piu` incalzante agli
adempimenti degli Stati Membri, grazie ad un sistema piu` competitivo, in grado di stimolare il miglioramento progressivo delle
politiche pubbliche. Si spiega in questi termini un forte ridimensionamento dellarmonizzazione per fare spazio al mutuo riconoscimento, una tecnica regolativa che, meglio di altre, assolve al compito
di formalizzare gli standard di tutela, con il rischio non marginale di
abbassarne il livello e lintensita` (40).
Anche se si rivendica allItalia un ruolo non secondario nellaver
messo in moto gli ingranaggi istituzionali che condussero alla stipulazione dellAtto unico (41), e` pur vero che le implicazioni di tali
scelte su piani di intervento molto specifici non erano chiare se non
ad una minoranza di addetti ai lavori. Gli studi della Commissione
per aprire le frontiere nazionali e consentire la libera circolazione
delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, furono per certi
aspetti anticipati dalle mosse strategiche delle grandi societa` multi(40) Fra gli autori italiani si veda, per tutti, A. LO FARO, Funzioni e finzioni della
contrattazione collettiva comunitaria. La contrattazione collettiva come risorsa dellordinamento giuridico comunitario, Milano 1999, p. 66, che parla del mutuo riconoscimento
come alternativa e non variante tecnica dellarmonizzazione e mette in guardia dalle
possibili derive deregolative conseguenti ad una tale opzione. In generale si rinvia a F.
SCHARPF, Governare lEuropa. Legittimita` democratica ed efficacia delle politiche dellUnione europea, trad. it., Bologna 1999, per unampia disamina dellintegrazione
negativa e delle sue implicazioni nei processi di integrazione.
(41) Come ricordato da T. PADOA SCHIOPPA, Europa, cit., p. 106, nel Consiglio
Europeo di Milano del 1985 lallora presidente del Consiglio Craxi ed il ministro degli
esteri Andreotti adottarono a sorpresa il voto a maggioranza qualificata per avviare la
Conferenza intergovernativa che poi approdo` nella revisione del Trattato con lAtto
unico europeo. Si veda anche la ricostruzione dettagliata di quegli avvenimenti fatta da
B. OLIVI, LEuropa difficile, Bologna 1993, p. 279.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

nazionali, anche italiane (42). Le politiche sociali ancora una volta


rimasero marginali rispetto allobiettivo di fondo, ma rientrarono nel
programma a lunga scadenza di Delors, gia` proteso verso le piu`
significative riforme di Maastricht. La risposta a problemi non risolti
allinterno di ciascuno stato veniva cercata nellespansione del mercato europeo, lasciando aperti i dibattiti nazionali che ribadivano
lurgenza di rivedere le regole di fondo dei sistemi sociali (43).
Nelle varie fasi di avanzamento dellintegrazione europea il
diritto del lavoro ha trovato ostacoli apparentemente insormontabili
nel vincolo delle decisioni allunanimita`. Ha dovuto convivere, dopo
lentrata in vigore dellAtto unico europeo, con una prospettiva di
sviluppo relegata alla materia della sicurezza e della salute, unico
spiraglio aperto alle decisioni da prendersi a maggioranza qualificata. Larmonizzazione nel progresso fu posta come obiettivo da
perseguire nellemanazione di direttive in questa materia. Il linguaggio originario del Trattato istitutivo il vecchio art. 117 fu
riproposto con impercettibili cambiamenti, nella convinzione, trascinatasi fino alla seconda meta` degli anni ottanta, che dal buon
funzionamento del mercato potessero scaturire sistemi sociali armonizzati.
Vi fu poi la stagione dellapertura del diritto comunitario alle
fonti collettive, avviata dal Trattato di Maastricht e consolidata con
quello di Amsterdam. Lingresso delle parti sociali sulla scena delle
politiche sociali comunitarie ha complicato ma anche enormemente arricchito il processo decisionale, vincolando la Commissione a stringenti oneri di consultazione. Gli accordi collettivi,
soprattutto quelli a cui pervengono le parti sociali a livello europeo,
in un processo autonomo di formazione della volonta` collettiva,
furono concepiti anche se cos` non e` accaduto nella pratica
quali fonti vincolanti, in alternativa alla legge. Si tratto` di un
significativo passo avanti, anche se le concrete implicazioni sul piano
(42)

Utile la ricostruzione delle posizioni dei maggiori gruppi industriali fatta da


J. PALMER, Trading Places, Londra 1988, p. 30 ss.
(43) Fu la rapidita` impressa al progetto del mercato unico che sottrasse il
dibattito economico alle polemiche fra destra e sinistra, sotto la guida di una sinistra
francese molto propensa ad avviare il progetto della moneta unica. Cos` C. MAIER, I
fondamenti politici del dopoguerra, in Storia dEuropa, vol. I, Torino 1993, p. 364-366.

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dellordinamento interno non furono immediatamente visibili in


Italia come in altri Stati membri (44).
Queste importanti tappe dellintegrazione europea sono contrassegnate da una crescente presa di coscienza da parte dei giuristi
del lavoro. Da un lato vi e` lurgenza di avvicinarsi alle fonti europee
in modo consapevole e se necessario critico della europeizzazione
degli ordinamenti nazionali. Dallaltro si avverte, quasi come una
forza contrapposta, lesigenza di ritornare ai significati profondi del
diritto nazionale e dunque di favorirne una rinazionalizzazione (45).
Nel ritorno alle radici si nasconde, tuttavia, una ambivalenza di
fondo: nellaffermare punti di vista interni, nellillustrare le ragioni
storiche che ne confermano la validita`, nel battersi per soluzioni
coerenti con limpianto territoriale della materia, si e` consapevoli
che i vincoli esterni posti dallEuropa sono, nella gran parte dei casi,
ineludibili.
Dalla rinazionalizzazione si passa a quella che si puo` descrivere
come ri-europeizzazione, ovvero ri-consegna allEuropa di un modello nazionale modificato a causa della pressione posta dalle istituzioni sovranazionali e tuttavia confezionato secondo canoni nazionali. La strategia di delegare allEuropa, soprattutto attraverso il
canale dei rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia (46), la soluzione
di problemi domestici altrimenti non risolvibili, si confonde, in tal
modo, con lopposta strategia di porre sui legislatori nazionali il peso
gravoso di sentenze che da Lussemburgo si espandono e penetrano
nei confini degli ordinamenti nazionali.
La formula piu` adatta per descrivere questo intenso scambio di
(44) S. SCIARRA, Collective Agreements in the Hierarchy of European Community
Sources, in P. DAVIES, A. LYON-CAEN, S. SCIARRA, S. SIMITIS, European Community Labour
Law. Principles and Perspectives Liber Amicorum Lord Wedderburn, cit., p. 189 ss. Gli
accordi quadro stipulati dalle parti sociali a livello europeo sono stati fino ad ora tutti
trasposti in direttive del Consiglio, anche se questultimo non ne altera il contenuto e si
limita ad allegarli alla direttiva.
(45) S. SIMITIS, Europeizzazione o rinazionalizzazione del diritto del lavoro?, in
Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind. 1994, p. 639 ss.
(46) J. WEILER, Journey to an Unknown Destination: a Retrospective and Prospective of the European Court of Justice in the Arena of Political Integration, in Journal of
Common Market Studies, 1993, p. 422, parla di giuridificazione delle controversie
giudiziali e sottolinea lo scambio che i rinvii pregiudiziali avviano fra gli stati, in modo
diverso dai normali rapporti diplomatici.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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punti di vista e di messaggi politicamente pregnanti e` quella del


dialogo, sia fra gli ordinamenti (47), sia fra le corti nazionali e la
Corte di giustizia (48). Altre formule sono quelle della collaborazione ovvero della cooperazione (49). Entrambe segnalano lopportunita`, specie nel rapporto fra le corti, di usare il diritto europeo come
strumento di integrazione, talvolta scavalcando il legislatore nazionale al fine di accellerare il processo di concreta attuazione della
norma sovranazionale.
Nel campo del diritto del lavoro, lattivismo delle corti ha fatto
emergere interessanti risultati, tanto piu` se interpretati in chiave
comparata ed orientati ad evidenziare il ruolo strategico di altri
soggetti, quali agenzie amministrative, enti di varia natura o studi
professionali specializzati (50).
Prima ancora di venire metaforicamente adottata dalla dottrina
per descrivere landamento dei rapporti fra Stati membri ed istituzioni europee a vari livelli, dialogo e` espressione che figura anche fra
le innovazioni introdotte dallAtto Unico Europeo. Il dialogo tra le
parti sociali (51) apr` la strada a successivi esperimenti di negoziazione collettiva e, quel che piu` interessa sottolineare, evidenzio` il
(47) Questa la scelta fatta dallAssociazione italiana di diritto del lavoro nelle
giornate di studio di Pavia del 1992: Il dialogo fra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale del lavoro, Milano 1994, con relazioni di F. Santoni, S. Sciarra, R. Foglia
e L. Forlati Picchio.
(48) A.M. SLAUGHTER, A. STONE SWEET, J. WEILER, The European Courts and
National Courts, Oxford 1997; S. SCIARRA (a cura di), Labour Law in the Courts. National
Judges and the European Court of Justice, Oxford 2001. Parla dei giudici nazionali come
se fossero giudici federali M. DANTONA, Sistema giuridico comunitario, ora in Opere,
vol. I, cit., p. 377. Si vedano anche in tema gli interventi raccolti in Lavoro e diritto 1998,
n. 3-4.
(49) Di collaborazione parlano G. e A. LYON-CAEN, Droit Social International et
europe en, cit., p. 173, mentre il concetto di cooperazione e` dominante nel pensiero di
P. DAVIES, The European Court of Justice, National Courts and the Member States, in P.
DAVIES et al. European Community, cit., p. 98 ss.
(50) Specialmente in materia di parita` uomo-donna, la ricerca comparata evidenzia comportamenti diversi delle corti nazionali e trae originali conclusioni circa il ruolo
di altri soggetti strategicamente orientati nellusare il diritto europeo. Si veda C.
KILPATRICK, Gender Equality: a Fundamental Dialogue, in S. SCIARRA (a cura di), Labour
law, cit., p. 31 ss.
(51) Art. 118 B, introdotto dallart. 22 dellAUE. Ancora di facilitazione del
dialogo da parte della Commissione e di dialogo che puo` condurre alla contrattazione

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ruolo di norme non vincolanti, ma meramente orientative, volte ad


attrarre nellorbita di un potere di indirizzo e di sollecitazione della
Commissione soggetti ancora privi di una specifica identita` istituzionale, quali erano per lappunto le parti sociali.
La terminologia prescelta in quegli anni dai riformatori del
Trattato rispecchia una prassi favorita allinterno di ambienti elitari,
lontana dai soggetti collettivi rappresentativi dei datori di lavoro e
dei lavoratori a livello nazionale, una prassi del tutto estranea alla
frequentazione del conflitto come sanzione collettiva di autotutela.
Lesclusione del diritto di associazione ed anche del diritto di
sciopero e di serrata dalle competenze comunitarie (52) serve a
rimarcare, ancora oggi, la profonda diversita` del contesto istituzionale in cui si calano i germi di un ancora indefinto diritto del lavoro
collettivo sovranazionale. Non si puo` non evocare, a questo riguardo, laccorata notazione di Lord Wedderburn, preoccupato da
una tale contraddizione nel cuore della Comunita` (53), tuttoggi
irrisolta e solo in parte attenuata dalla menzione di entrambi i diritti
prima richiamati nella Carta dei diritti fondamentali approvata a
Nizza (54).
Quanto al diritto del rapporto individuale di lavoro, esso e`
sorretto a livello europeo da alcuni flebili, seppure significativi,
principi. Questi includono, a voler fare alcuni esempi, una reticolare
legislazione in tema di salute e sicurezza (55), lobbligo del datore di
lavoro di informare il lavoratore circa le condizioni applicabili al
contratto o al rapporto di lavoro (56), la tutela dei lavoratori nelle
crisi dimpresa (57).
collettiva si parla nelle norme contenute nel Capitolo sociale allegato al Trattato di
Maastricht ed incluso, dopo Amsterdam, nel Trattato.
(52) Gia` presente nel Capitolo sociale allegato al Trattato di Maastricht ed ora
nellart. 137 del Trattato di Nizza. Unampia ricognizione dei problemi interpretativi
ancora aperti e` in G. ORLANDINI, Sciopero e servizi pubblici essenziali nel processo di
integrazione europea. Uno studio di diritto comparato e comunitario, Torino, 2003.
(53) Lord WEDDERBURN, Employment Rights in Britain and Europe, London 1991,
p. 332.
(54) Pubblicata in GUCE C 364/1, del 18 dicembre 2000.
(55) Di cui non si puo` in una sola nota dar conto, ma che prende origine dalla
Direttiva quadro 89/391 CEE.
(56) Direttiva 91/533/CEE, 14 ottobre 1991.
(57) Direttiva 98/59 CE del 20 luglio 1998, che adegua la disciplina dei licenzia-

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Piu` variegato e` il campo della normativa europea che vieta la


discriminazione, specialmente a seguito dellinserimento nel Trattato di Amsterdam dellart. 13 e dellemanazione di direttive a piu`
ampio spettro, se confrontate con le prime direttive in materia di
parita` fra uomo e donna (58). Si va delinando a questo proposito
unarea di intervento legislativo cos` vasta da rendere necessario un
coordinamento delle politiche legislative, anche per evitare che
taluni soggetti ricevano piu` tutela di altri (59).
Vi e` poi da menzionare la legislazione in materia di informazione e consultazione, dapprima limitata ai comitati aziendali europei (60), poi affiancata alla disciplina della societa` europea (61), infine
formulata nel senso di istituire un quadro generale sulle regole
minime per lesercizio generalizzato di tali diritti (62).
Come si vede, siamo in presenza di un sistema frastagliato,
difficilmente proiettabile nel futuro, quanto ad una sua potenziale
espansione. Proprio per lassenza di un suo respiro unitario, il
sistema europeo di diritto del lavoro continua ad essere non comparabile con i sistemi nazionali. Questi ultimi hanno difeso ampie
aree di sovranita` anche a causa della difficolta` di riversare sul livello
sovranazionale lansia di cambiamento della materia. Un esempio
significativo e` quello della libera circolazione dei lavoratori, una
delle aree di elezione del diritto europeo fin dalle sue origini, stretta
nei vincoli delle decisioni allunanimita` e pertanto ferma allimpostazione originaria (63).
menti collettivi risalente agli anni settanta; Direttiva 77/187/CEE del 14 febbraio 1977
e Direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, entrambe in materia di trasferimenti
dimpresa; Direttiva 2002/74/CE, del 23 settembre 2002, che modifica la Direttiva
80/987/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative
alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.
(58) V. la Direttiva 2000/43/CE, del 29 giugno 2000, che vieta la discriminazione
per razza ed origine etnica e la Direttiva quadro 2000/78/CE, del 27 novembre 2000, in
materia di occupazione e condizioni di lavoro.
(59) Come sostenuto da M. BELL, Anti-Discrimination Law and the European
Union, Oxford 2002, p. 210 ss.
(60) Direttiva 94/45/CE, del 22 settembre 1994.
(61) Regolamento n. 2157/2001, dell8 ottobre 2001.
(62) Direttiva 2002/14, dell11 marzo 2002.
(63) Importante appare la preannunciata riforma del Regolamento 1408/71 e la
sua estensione a cittadini di stati terzi legalmente residenti. Cfr. A. NUMHAUSER-HENNING,

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SILVANA SCIARRA

Piuttosto che avallare un atteggiamento della dottrina giuslavorista ostinatamente critico e talvolta distruttivo nei confronti
dellordinamento europeo e dei suoi limiti istituzionali, e` utile
evidenziare come la stessa dottrina si sia esercitata nellintento di
colmare le lacune dellordinamento europeo.
Un primo esempio si rintraccia nellintenso dibattito sui diritti
sociali fondamentali che, specie negli anni intercorsi fra il Trattato di
Maastricht e quello di Amsterdam, ha visto i giuristi del lavoro attivi
e propositivi, per lo meno quanto lo sono state le istituzioni europee (64). Da questa stagione assai vivace e proficua per il confronto
scientifico emerge un dato centrale su cui riflettere. Sia pure nella
diversita` dei toni adottati e nelle sfumature circa le soluzioni tecniche da favorire, si rivela sulla scena sovranazionale lanima riformista
del diritto del lavoro, quella che, a ben vedere, e` stata vincente negli
anni di fondazione della materia e che proprio dal metodo giuridico
comparato ha tratto una indiscutibile forza propulsiva.
Un altro esempio, anchesso collocato sul finire degli anni
novanta, ha a che fare con uno straordinario e ben riuscito esperimento di collaborazione fra esperti di diversa estrazione nazionale e
disciplinare, volto a ridisegnare i confini della materia, intrecciando
in modo nuovo diversi regimi di tutela e proponendo uno statuto
professionale del lavoro. Il rapporto Supiot (65) ha avuto il merito di
Freedom of Movement and Transfer of Social Security Rights, Relazione presentata al VII
Congresso Europeo dellAssociazione Internazionale di diritto del lavoro e sicurezza
sociale, Stoccolma 2002.
(64) Oltre ad un primo pamphlet (BLANPAIN, HEPPLE, SCIARRA, WEISS, Fundamental
Social Rights, Proposals for the European Union, Leuven 1996), si deve ricordare il
gruppo di giuristi del lavoro attivi intorno allIstituto di ricerca del sindacato europeo
(BERCUSSON, DEAKIN, KOISTINEN, KRAVARITOU, MUCKENBERGER, SUPIOT, VENEZIANI, A Manifesto for Social Europe, Bruxelles ETUI 1996). Ma soprattutto si deve evidenziare il
tocco giuslavoristico impresso da S. Simitis, chiamato, in un momento maturo del
dibattito, a presiedere un importante Comitato di esperti. Cfr. Commissione Europea,
Per laffermazione dei diritti fondamentali nellUnione europea: e` tempo di agire. Rapporto
del gruppo di esperti sui diritti fondamentali, Bruxelles, febbraio 1999.
(65) Au-dela` de lemploi. Transformations du travail et devenir du droit du travail
en Europe, Parigi 1999. Presieduto da un giuslavorista, Alain Supiot, il gruppo ha redatto
un rapporto per la Direzione degli affari sociali della Commissione, utilizzando lUniversita` Carlos III di Madrid come base logistica. La versione inglese e` pubblicata da
Oxford University Press (2001).

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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risvegliare il dibattito europeo e di convogliare molti dibattiti nazionali verso una riflessione innovativa. LEuropa, in questo caso, ha
rappresentato uno stimolo per gli ambienti accademici, chiamati a
riflettere sui principi e sul metodo, piuttosto che su impellenti
scadenze legislative.
Cio` che spinge il giurista del lavoro nazionale verso mete cos`
ambiziose quali la riforma dei Trattati o la rivisitazione di alcune
importanti categorie giuridiche e`, molto probabilmente, lansia di
difendere il proprio sistema di valori costituzionali. Ma altrettanto
forte e` la pulsione verso un sistema nuovo di diritti e principi, che
segni la sua stessa rinascita come giurista del lavoro europeo. Si puo`
interpretare in questo modo lavvio di una nuova fase del diritto del
lavoro di fronte allEuropa: un futuro da comprendere e da costruire
avendo sempre piu` chiaro lintreccio fra competenze legislative
nazionali ed europee. Questo e` uno dei nodi istituzionali intorno a
cui si sta svolgendo il lavoro della Convenzione europea (66).
Lambizione del giurista-riformatore dei Trattati si esplicita su
un piano diverso da quello del giurista-consigliere del legislatore
nazionale. Mentre si puo` immaginare che il primo proietti su una
futura fonte di rango costituzionale una conoscenza comparata dei
sistemi nazionali e giunga per questa via ad isolare le aree di diritti
meritevoli di una tutela forte, si puo` temere che il secondo, assillato
da un presente irto di compromessi, si allontani dalla visione di un
organico ordinamento futuro e si convinca di non poter contribuire
a crearlo. Linadeguatezza, allorigine del senso di colpa, nasce da
questa sfasatura fra due piani di riforma quello sovranazionale e
quello nazionale che dovrebbero, al contrario, correre paralleli.
3. Diritto del lavoro e sensi di colpa. Alla ricerca di un equilibrio
delle fonti.
In uno dei tanti spunti psicanalitici che si incontrano nelle
pagine di Lord Wedderburn si legge che lopera di Kahn-Freund ha
(66) Il V gruppo di lavoro della Convenzione si e` occupato delle competenze
complementari , che dovrebbero coprire aree rilevanti per salvaguardare lidentita` degli
Stati Membri e che vengono ridefinite misure di sostegno (la traduzione, di supporting
measures, e` mia). Cfr. CONV 375/1/02 REV 1.

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lasciato in molti suoi interpreti un sentimento ambivalente di odio e


amore, simile a quello che i figli provano nei confronti del padre (67).
Senza dubbio questa lacerante sensazione si ritrova nella difficolta` di adeguare a tempi di crisi economica gli strumenti di analisi
che avevano sorretto gli sforzi ricostruttivi della dottrina giuslavoristica in tempi di espansione. Il peso delle teorie di Kahn-Freund si
era fatto sentire dapprima in termini di avanzamento del sistema di
diritto del lavoro per lItalia basti pensare allo Statuto dei
lavoratori come esempio fra i migliori in Europa di legislazione
auxiliary, ovvero di sostegno non invadente e successivamente in
termini destabilizzanti si pensi alla ridotta autonomia del sistema
di contrattazione collettiva ed ai difficili rapporti legge-contratto
collettivo negli anni successivi agli shock petroliferi .
Questa osservazione si adegua a numerosi ordinamenti europei.
Il dopo-Kahn-Freund assunse i toni di una vera e propria catarsi nel
dibattito che per lungo tempo occupo` la dottrina britannica (68). La
riflessione, non a caso, si oriento` verso la ricerca delle origini della
materia e ne propose una rivisitazione. Questa ebbe, talvolta, le
caratteristiche di una scoperta rassicurante, quasi che vi fosse urgenza di contrapporre una solida tradizione di regole e di principi
alla dilagante ansia di intervento deregolativo (69).
In realta`, come ha recentemente scritto Mark Freedland in una
rilettura dei passaggi cruciali del pensiero di Kahn-Freund, il lento
declino del laissez-faire collettivo era gia` annunciato allinterno del
sistema britannico allinizio degli anni settanta. La sua difesa, indirizzata a preservare una forte autonomia dei soggetti collettivi e del
loro potere normativo, era nientaltro che una battaglia di retroguardia, a fronte della incalzante giuridificazione nella disciplina dei
rapporti di lavoro. Similmente, laver qualificato il diritto come forza
(67) Lord WEDDERBURN, Common, law, labour law, global law, traduzione italiana
apparsa in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2002, p. 4.
(68) R. LEWIS e J. CLARK (a cura di), Labour Law and Politics in the Weimar
Republic. Otto Kahn-Freund, Oxford 1981; Lord WEDDERBURN, R. LEWIS, J. CLARK,
Labour Law and Industrial Relations: Building on Kahn-Freund, Oxford 1983.
(69) In Italia una grande influenza in questa ricerca si deve a Gaetano Vardaro. Si
veda la sua introduzione, dal titolo Il diritto del lavoro nel laboratorio Weimar, in G.
ARRIGO e G. VARDARO (a cura di), Laboratorio Weimar: conflitti e diritto del lavoro nella
Germania pre-nazista, Roma 1982.

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secondaria nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, piuttosto


che una professione di fede, era una confessione accorata, una
ammissione silenziosa della incapacita` dei giuristi progressisti di
proporre soluzioni durature contrapposte alle politiche legislative
dei conservatori (70).
Si potrebbe suggerire che anche lEuropa abbia insinuato un
simile sconcerto fra i giuristi del lavoro, contribuendo ad appannare
un loro ruolo di promotori della giustizia sociale. Essa potrebbe aver
mostrato i limiti della disciplina, spingendola in una zona grigia, in
cui e` sempre piu` difficile distinguere il tocco innovatore da quello
conservatore, limpianto garantista da quello liberista. Come se la
sindrome del giurista ebreo esule in Inghilterra, mai sazio di democrazia e sempre alla ricerca di nuove conquiste intellettuali, talvolta
deluso dai passi lenti che proprio la democrazia, con lalternanza dei
governi, impone allevoluzione del diritto del lavoro, si fosse riversata sulle molte generazioni di giuristi del lavoro nazionali posti di
fronte allEuropa. Quasi che questi fossero stati progressivamente
esiliati in Europa, alla ricerca di nuove e vecchie radici.
In realta` non e` cos`: lEuropa non e` un esilio per il diritto
nazionale, ne per i giuristi che lo coltivano. Sarebbe, tuttavia,
altrettanto fuorviante ritenere che essa sia una sorta di terra promessa, una meta da raggiungere tagliando i ponti con il passato.
Non e` un caso che fra coloro che piu` hanno favorito la diffusione della comparazione come strumento di ampliamento degli
orizzonti di conoscenza e dunque di apertura allEuropa, si collochino alcuni, come Lord Wedderburn, fra i piu` strenui sostenitori di
un punto di vista critico circa limpatto del diritto europeo sul diritto
del lavoro (71). In Francia linvito a resistere intelligentemente alla
infiltrazione del diritto della concorrenza nel diritto del lavoro
venne da una dottrina sensibile agli sviluppi del diritto europeo e,

(70) M. FREEDLAND, Sir Otto Kahn-Freund, QC FBA, 1900-1979, in corso di


pubblicazione.
(71) Una selezione di saggi tradotti in italiano e` in Lord WEDDERBURN, I diritti del
lavoro, Milano 1998. Nella Prefazione a questo libro lautore ricorda i seminari di
Pontignano, unoccasione di apprendimento e di pratica del diritto comparato per
giovani giuslavoristi, finanziata, tra laltro, dallAssociazione italiana di diritto del lavoro.

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forse proprio per questo, attenta a cogliere le istanze nazionali di


valorizzazione dei principi costituzionali (72).
I due autori appena citati, vicini ancorche divisi dal Canale della
Manica, intrattennero un dialogo sulle pagine di una rivista italiana
intorno ad un tema che, specialmente a distanza di tempo, appare
emblematico. Nel commentare due sentenze della Corte di giustizia
di condanna del Regno Unito per aver omesso di recepire correttamente nel diritto interno due direttive degli anni settanta in
materia di trasferimento di impresa e di licenziamenti collettivi (73)
i due giuslavoristi presentano argomenti critici nei confronti del
legislatore britannico, quasi a voler stigmatizzare lostinato atteggiamento dei governi conservatori nei confronti dellEuropa sociale.
Il non corretto adempimento allobbligo di trasposizione delle
direttive si manifesto`, tra laltro, nel non avere previsto la costituzione
di rappresentanti dei lavoratori da consultare ed informare. Imporre
un rappresentante a cui dover dare conto delle proprie azioni
sottolinea non senza ironia il commentatore francese e` unidea
totalmente estranea alla pura logica liberale (74). Ed inoltre, quando
si discute di direttive funzionali al funzionamento del mercato unico,
come e` nel caso delle fonti in questione, si rischia di confondere il fine
con i mezzi, ingenerando confusione circa la divisione delle competenze, poiche dovrebbe spettare al legislatore nazionale la scelta delle
modalita` tecniche di tutela dei lavoratori (75). Come dire che non ce`
da farsi troppa illusione circa i reali obiettivi delle direttive strutturali,
ne circa la loro incisivita` sui sistemi nazionali.
Il frammento di cui parla Lord Wedderburn, raccolto da
Lyon-Caen con una ironia tutta francese, e`, soprattutto nellottica
(72) G. LYON-CAEN, Linfiltration du Droit du travail par le Droit de la concurrence,
in Droit ouvrier, 1992, p. 313 ss. Il tema e` ripreso da S. GIUBBONI, Diritti sociali, cit., cap.
III, con numerosi riferimenti alla giurisprudenza della Corte di giustizia che ha sollecitato una lettura critica ma non animata da pregiudizi del diritto del lavoro in
relazione al diritto europeo della concorrenza.
(73) C-382/92 e C-383/92, dell8 giugno 1994, commentate da G. LYON-CAEN, Il
Regno Unito: allievo indisciplinato o ribelle indomabile, e da Lord WEDDERBURN, Il diritto
del lavoro inglese davanti alla Corte di giustizia. Un frammento, in Giorn. Dir. Lav. Rel.
Ind., 1994, p. 663 ss.
(74) Cos` G. LYON-CAEN, Il Regno Unito, cit., p. 689.
(75) Ivi, pp. 680-81.

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britannica, il simbolo di una contraddizione del diritto del lavoro


europeo ancora molto viva. Wedderburn non abbandona lidea che,
per correggere lo squilibrio fra le parti del contratto di lavoro,
occorra, in primo luogo, dar voce ai lavoratori attraverso loro
rappresentanti. Egli e` consapevole del profondo radicamento di
queste istituzioni nei sistemi nazionali e dellimpossibilita` di trasporle attraverso direttive. Una tale consapevolezza va al cuore di
uno squilibrio fra diritti sociali e mercato che solo una rivisitazione
del sistema delle fonti puo` sanare.
Quel dialogo fra due studiosi attenti a mantenere un equilibrio
fra fonti nazionali e sovranazionali avrebbe forse fatto fremere
Kahn-Freund, per la ritrovata vis polemica di un giuslavorismo
progressista e nel contempo attento nel calibrare gli effetti del
cambiamento. Quel dialogo trasmette ai lettori contemporanei la
convinzione che gli effetti propulsivi del diritto europeo nei confronti del diritto nazionale non possano non tenere conto delle
circostanze in cui ciascun ordinamento si trova ad operare e del peso
o dellassenza delle istituzioni che in quellordinamento operano.
A ben vedere, le misure di cui si parla hanno a che fare con
lesercizio di una libera iniziativa economica da parte delle imprese.
I limiti sopportabili, provenienti sia dal diritto europeo sia dal diritto
interno, sono di natura squisitamente procedurale e mirano ad un
ridimensionamento non necessariamente ad una rimozione
degli effetti, anche traumatici, subiti dai lavoratori. La distorsione
della libera concorrenza nel mercato puo` essere corretta solo per via
legislativa ed e` per questo che quella tecnica regolativa non e` stata
abbandonata. Gli interventi di ammodernamento su entrambe le
materie regolate dalle precedenti direttive degli anni settanta (76)
stanno a dimostrare che non e` stata dismessa limpostazione tradizionale del legislatore comunitario, volta al riavvicinamento delle
(76) Direttiva 98/59 CE, del 20 luglio 1998; Direttiva 2001/23 CE, del 12 marzo
2001, che modifica, soprattutto alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, la
precedente direttiva. Entrambe le direttive, come le precedenti, hanno come base
giuridica lart. 100 TCE, divenuto poi lart. 94. Sulla stessa base giuridica si fonda la
disciplina di tutela dei lavoratori in caso di insolvenza dei datori di lavoro: v., ora, la gia`
ricordata Direttiva 2002/74/CE.

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legislazioni nazionali nelle materie che piu` da vicino interessano il


funzionamento del mercato interno.
Negli anni novanta, quando la mancata crescita economica si
svela nei suoi allarmanti aspetti di crisi occupazionale e di crescente
esclusione sociale, si tocca con mano linadeguatezza delle precedenti tecniche regolative.
Si assiste cos` ad una doppia crisi del diritto del lavoro: quella
interna ai sistemi nazionali, incapaci sia di arrestare lincremento
della disoccupazione sia di creare nuovo lavoro, quella esterna e
tuttavia parallela che e` alimentata dalla debolezza delle fonti comunitarie e dalla mancanza di una intima coerenza nellimpianto dei
diritti fondamentali.
Sulla scorta di cos` tante incertezze, quasi inconsciamente, a voler
usare unaltra metafora psicanalitica, i gius-lavoristi si sono aperti alla
comprensione di una nuova fase del diritto europeo. Lo hanno fatto
con circospezione, talvolta con sospetto, talaltra con entusiasmo da
neofiti. I piu` disincantati non hanno coltivato troppe illusioni, forse
perche consapevoli delle difficolta` intrinseche in una comparazione
diacronica e convinti che il rinnovamento dei sistemi nazionali, neanche nelle nuove circostanze politiche ed istituzionali venutesi a creare,
sarebbe stato effetto diretto dellEuropa, quanto piuttosto frutto di
mediazioni ancora piu` complesse a causa dellEuropa.
Nel governare questa nuova complessita` e nel comprendere i
nessi fra sistemi giuridici operanti contemporaneamente su piu`
livelli, le raffinate categorie interpretative adottate nella cerchia dei
giuristi piu` aperti ad esperienze comparate non sono meccanicamente riproponibili. La teoria del laissez faire, se intesa come
benefico arretramento dello stato a fronte di un autonomo potere
normativo dei soggetti collettivi, si presenta ulteriormente indebolita
di fronte al sistema europeo. Si e` constatato che allemergente diritto
del lavoro comunitario era problematico adeguare se non con il
ricorso ad una finzione (77) lanalisi e la pratica del diritto del
lavoro nazionale, specialmente nei suoi risvolti collettivi.
(77) A. LO FARO, Funzioni e finzioni, cit., fa riferimento prevalentemente alla
contrattazione collettiva comunitaria, priva di un fondamento costituzionale e ridotta a
mera tecnica regolativa. Similmente cauta nel proporre assonanze fra sistemi nazionali di
contrattazione collettiva e lemergente sistema del dialogo sociale e` F. GUARRIELLO, Il

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Anche il pluralismo delle fonti, una ingombrante eredita` tramandata dal diritto del lavoro nazionale, ha sub`to nel contesto
europeo un drastico ridimensionamento. Il diritto del lavoro comunitario ha progressivamente imparato ad apprezzare la soft law, un
diritto non vincolante, espresso attraverso indicazioni, piuttosto che
comandi. I deboli principi contenuti nella hard law sono stati via via
affiancati da una rete pervasiva di segnali inviati dalle istituzioni
comunitarie agli Stati Membri e gestiti frequentemente da apparati
ministeriali, dapprima in modo occasionale, in seguito con una
crescente specializzazione (78).
Il diritto del lavoro nazionale ha cominciato cos` a stemperarsi
nel contesto europeo, ad assumere connotati piu` sfumati: non
necessariamente uno strumento di emancipazione sociale, ne un
coerente sistema di garanzie per il contraente debole, ma un ingrediente di altre strategie, in particolare delle politiche occupazionali
e di inclusione sociale.
Nel confronto fra discipline diverse, allimmagine del dialogo,
prima suggerita, si sostituisce quella del coordinamento, una tecnica
regolativa sempre piu` diffusa, anche perche funzionale al clima
politico-culturale avviato dalla Commissione con il Libro bianco
sulla governance (79). Questultimo documento ha inteso anticipare il
dibattito sulle riforme istituzionali diffondendo ad ampie mani una
cultura della consultazione e del dialogo, estesa anche alla societa`
civile, espressione in cui rientrano a pieno titolo sia il Comitato
economico e sociale, sia le parti sociali nelle loro articolazioni
nazionali e comunitarie. La rete di rapporti che questo documento
apre e` capillare, anche se resta ancora tutta da dimostrare la
ruolo delle parti sociali nella produzione e nellattuazione del diritto comunitario, in
Europa e Diritto Privato, 1999, n. 1, p. 243 ss.
(78) Il caso italiano e` studiato da M. FERRERA e E. GUALMINI, Salvati, cit.; gli stessi
autori hanno redatto per lISFOL un rapporto dal titolo La strategia europea sulloccupazione e la governance domestica del mercato del lavoro: verso nuovi assetti organizzativi
e decisionali, in C. DELLARINGA (a cura di), Impact Evaluation of the EES, maggio 2002,
in cui la progressiva specializzazione delle competenze interne allamministrazione
italiana e` studiata ed interpretata come effetto delle linee guida europee.
(79) COM (2001) 428 final, Bruxelles 25.7.2001, European Governance. A White
Paper, che peraltro e` singolarmente elusivo sulla crescente importanza del metodo del
coordinamento aperto.

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legittimazione dei soggetti consultati ad entrare a pieno titolo in un


processo decisionale (80).
Le corde del diritto del lavoro sono sensibili al tema della
rappresentativita` dei soggetti collettivi. Tuttavia, lincontro con organizzazioni portatrici di interessi diffusi o con gruppi monotematici, che perseguono obiettivi ben circoscritti, non e` facile e richiede,
soprattutto da parte delle associazioni dei lavoratori, una forte opera
di revisione della propria identita`.
Per comprendere fino in fondo la durezza della sfida lanciata al
diritto del lavoro nazionale ed ai suoi solidi principi ordinamentali,
si deve guardare alle trasformazioni che nel giro di pochi anni hanno
subito le politiche europee delloccupazione. Con lavvio, avvenuto
nel Consiglio Europeo di Lisbona (81), del metodo aperto di coordinamento, si e` osservata uninteressante proliferazione di tecniche
comparative, tali da consentire una equilibrata valutazione delle
riforme messe in atto da ciascuno stato.
Mentre il diritto del lavoro comparato segue percorsi sofisticati di
raffronto fra le istituzioni che operano nel mercato, nel coordinamento
delle politiche occupazionali il raffronto e` fra dati non sempre comparabili. Se si pongono obiettivi da raggiungere in termini di crescita
delloccupazione, non si puo` non tenere conto della disaggregazione
di dati importanti che hanno a che fare sia con la definizione di lavoratore occupato, sia con la segnalazione di fasce particolari di lavoratori a lungo esclusi dal mercato del lavoro, o particolarmente
svantaggiati nella fase dellingresso nel mercato medesimo.
Nella elaborazione di indicatori, utili a favorire il coordinamento delle politiche nazionali, le istituzioni europee e gli esperti
inviati dai governi nazionali hanno profuso una nuova scienza della
comparazione che, per certi versi, sembra precedere qualunque
analisi giuridica tradizionale (82). Il rischio e` che si confonda con il
(80) Al riguardo, si veda un primo tentativo di indicare criteri di rappresentativita`
in COM (2002) 277 final, Communication from the Commission. Towards a Reinforced
Culture of Consultation and Dialogue. Proposals for General Principles and Minimum
Standards for Consultation of Interested Parties by the Commission, Bruxelles, 5.6.2002.
(81) Consiglio Europeo di Lisbona, 23-24 marzo 2000.
(82) Una prima analisi del ruolo degli esperti nazionali nella elaborazione degli
indicatori e` svolta da C. DE LA PORTE, Is the Open Method of Coordination Appropriate for
Organising Activities at European Level in Sensitive Policy Areas?, in European Law

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(2002)

metodo giuridico comparato questa nuova pratica, utile alla valutazione delle performance nazionali e particolarmente indicata per
coinvolgere le amministrazioni nella gestione nazionale delle politiche comunitarie. Come ho gia` detto nel corso di queste mie osservazioni, ai giuristi del lavoro spetta liberare la comparazione fra
sistemi di norme dal limbo di una comparazione fra dati statistici.
Gli indicatori economici e sociali descrivono realta` in movimento; servono a cogliere la distribuzione dellesclusione sociale ed
a segnalare le aree di maggiore sofferenza nel mercato del lavoro;
mostrano i collegamenti fra politiche occupazionali, innovazione e
ricerca. Ai giuristi viene offerto un universo da valutare allinterno di
politiche economiche e strutturali sempre piu` coese, in cui le
politiche occupazionali devono incunearsi come uno degli elementi
delle strategie da adottare.
Il metodo aperto di coordinamento significa anche questo:
spiegare alle istituzioni comunitarie le scelte dei legislatori nazionali,
svelare il funzionamento delle macchine burocratiche, illustrare da
quali presupposti si prendono le mosse e dimostrare come, nel
tentativo di coordinarsi, le posizioni di partenza possono essere
modificate. Le istituzioni comunitarie, a loro volta, valutano, esaminano, svolgono un monitoraggio delle misure adottate a livello
nazionale, sollecitano, se necessario criticano ed invitano a correggere il tiro, attraverso raccomandazioni.
In questo regime di soft law si adotta una tecnica regolativa assai
poco regolativa. I dati certi che si ricavano dalle norme del Trattato
sono relativi alle cadenze entro cui le procedure della strategia coordinata a favore delloccupazione si devono sviluppare (83); tutto
quanto promosso dal Consiglio in termini di scambi di informazioni

Journal, 2002, p. 41. Piu` ampia la ricerca di T. ATKINSON, B. CANTILLON, E. MARLIER e


B. NOLAN, Social Indicators: the EU and Social Inclusion, Oxford 2002, nata dalla
collaborazione di un gruppo di accademici e di policy-makers, voluta dalla Presidenza
belga nel 2001.
(83) E` annuale la relazione comune del Consiglio e della Commissione, cos` come
lo sono le conclusioni del Consiglio (art. 128 TCE); ogni anno ciascuno Stato Membro
trasmette alla Commissione ed al Consiglio una relazione sulle politiche occupazionali
adottate.

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e migliori prassi, analisi comparative e progetti pilota, e` materia espressamente sottratta alla tecnica regolativa dellarmonizzazione (84).
Intorno alla sperimentazione delle politiche europee delloccupazione sembra essersi aperta una nuova stagione di entusiasmo,
anche fra i giuristi del lavoro. Non sembra trattarsi di una deriva
verso un non-diritto; sembra piuttosto che si sia alla ricerca di un
nuovo asse intorno a cui far ruotare la coerenza normativa dei
sistemi nazionali, forse correndo il rischio che si riduca sempre piu`
il terreno tradizionale di intervento del diritto del lavoro.
Perche non si perda il patrimonio di valori intorno a cui questa
materia si e` diacronicamente sviluppata e tuttavia si apprezzi la sincronia di sistemi giuridici impegnati nello sforzo di un comune coordinamento sovranazionale, occorre riflettere ancora sui presupposti
costituzionali, sulla loro funzione di calibratura, sulla loro lungimiranza.
Come si e` gia` detto, il diritto del lavoro non dovrebbe rincorrere
il diritto europeo, in una sorta di affannosa e sovente ritardata
individuazione degli obiettivi da perseguire, ma porsi nelle condizioni di seguirne levoluzione e di assecondare criticamente leuropeizzazione del diritto interno. Altrettanto affannose e dispersive si
rivelano le rincorse verso altri modelli nazionali ritenuti vincenti,
quasi a voler promuovere il metodo comparato dentro uno schema
di dipendenza culturale nei confronti di politiche legislative rivelatesi efficaci. La comparazione deve piuttosto risalire alle istituzioni
che operano nei mercati del lavoro, prime fra tutte le parti sociali,
portatrici di una cultura nazionale sia nella contrattazione collettiva,
sia nel conflitto, sia nel rapporto con le istituzioni.
Lerba del vicino europeo non e` sempre piu` verde per chi
interpreta lintegrazione attraverso il diritto del lavoro come un
processo aperto, se necessario lento, proprio perche attento a diversificare piuttosto che ad armonizzare.
Si puo` concludere questa breve lettura diacronica della lingua
adottata dal diritto del lavoro europeo con la speranza che essa divenga
nello scorrere degli anni sempre piu` una lingua madre dei legislatori
sovranazionali e dei riformatori dei Trattati, naturale nel segno scritto
e parlato, familiare nel suono. Ad essa potranno abbandonarsi piacevolmente, senza sensi di colpa, i giuristi del lavoro nazionali.
(84)

V. lart. 129 TCE.

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ALESSANDRO BERNARDI

LEUROPEIZZAZIONE DEL DIRITTO


E DELLA SCIENZA PENALE
1. Premessa. Sez. I: Europeizzazione del diritto e sistemi penali nazionali. 2. Il ruolo
del Consiglio dEuropa e delle relative convenzioni darmonizzazione nel tramonto dello
statualismo penale. In particolare, il ruolo della Convenzione europea dei diritti delluomo. 3. Lavvento della Comunita` europea e le diverse forme di influenza del
diritto comunitario sul diritto penale. 4. Lincidenza del diritto comunitario sui
precetti penali. Lincidenza interpretativa, integratrice, disapplicatrice. 5. Linfluenza
del diritto comunitario sulla disciplina punitiva. Gli effetti di armonizzazione sanzionatoria prodotti dalle fonti CE di diritto derivato. 6. Il ruolo della giurisprudenza della
Corte di giustizia nel ravvicinamento delle risposte punitive nazionali. 7. Le sanzioni
amministrative comunitarie e la loro attitudine a condizionare i sistemi punitivi dei Paesi
membri. 8. Agli albori di una politica criminale europea. In particolare, le direttive
comunitarie volte a predeterminare gli elementi costitutivi delle fattispecie astratte. 9.
Ledificazione del terzo pilastro dellUnione per la cooperazione e larmonizzazione
penale. Il ruolo delle decisioni quadro nella realizzazione di una effettiva politica
criminale europea. 10. I futuribili scenari del processo di europeizzazione del diritto
penale. Il dibattito sulla riforma del terzo pilastro. 11. Gli attuali progetti di
armonizzazione o unificazione penale allinterno dellUnione. Sez. II: Europeizzazione
del diritto e scienza penale. 12. Verso una cultura giuridico-penale europea. Le diverse
manifestazioni in ambito scientifico del superamento delle tradizioni penali nazionali.
13. La rinascita giusnaturalista e la cultura dei diritti delluomo nel processo di
destatualizzazione e di europeizzazione della scienza penale. 14. Le attuali concezioni
giuridiche a sfondo razionalistico e le loro valenze antistatualiste e europeiste. 15. La
rivalutazione
della
storia
del
diritto
penale
nella
prospettiva
dellarmonizzazione/unificazione dei sistemi nazionali. 16. La valorizzazione e le nuove
funzioni del metodo comparatistico alla luce delle esigenze di europeizzazione del diritto
e della politica criminale. 17. Lavvento di un nuovo paradigma penale ispirato alla
logica della rete quale risposta allemersione di una pluralita` di ordinamenti giuridici
in rapporto di reciproca integrazione. 18. Labbandono del nazionalismo dogmatico
e il ricorso al sincretismo concettuale come conseguenza del pluralismo giuridico. La
tendenza alla semplificazione della scienza penale al fine di un democratico ravvicinamento dei relativi sistemi statuali. 19. Considerazioni conclusive.

1.

Premessa.
Se e` vero che la realta` storica e` marcata, nella sostanza, da

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462

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

incolmabili discontinuita` (1), e` pero` anche vero che linizio di


questo secolo mostra almeno un fondamentale profilo di coesione
con la seconda parte del secolo da poco conclusosi. Si allude,
beninteso, al progressivo processo di costruzione europea, alla
ininterrotta crescita, per competenze e ambito geografico, prima di
una Comunita` e poi di unUnione europea destinate a modificare in
modo sempre piu` rapido e profondo le nostre abitudini, il nostro
stesso modo di pensare e di essere.
Posto che, fortunatamente, lattuale edificazione dellEuropa
non risulta imposta con la forza da uno Stato egemone, ma avviene
in via del tutto pacifica e dunque giuridica, verrebbe fatto di
pensare che proprio i giuristi, anche quando non siano implicati in
prima persona nelle trasformazioni in atto, si rivelino comunque i
soggetti massimamente capaci di sintonizzarsi con tali trasformazioni, conformando le proprie coordinate culturali e le proprie
tecniche operative alla nuova dimensione istituzionale del vecchio
continente. Questa ipotesi, tuttavia, non tiene conto ne delle forze
inerziali connaturate ai meccanismi di produzione e al carattere
sistematico del diritto, ne della estrema eterogeneita` di formazione
dei giuristi stessi, correlata alle peculiarita` delle singole branche
dellordinamento.
Quanto alle forze inerziali insite nel diritto, e` noto come esso
venga considerato da molti intrinsecamente incapace di adeguarsi in
tempi brevi ai mutamenti della storia; tante` che qualcuno, sottolineando la vocazione del diritto a sopravvivere ben al di la` dellatto
di volonta` che lo fonda e del complessivo contesto nel quale viene
concepito, non ha mancato di definirlo provocatoriamente una
forma di sovranita` del morto sul vivo (2). Ma non e` certo necessario
sposare questa visione apocalittica dello ius per ammettere che il
sistema giuridico, in quanto organico complesso di principi, istituti
e regole, appare votato ad un notevole livello di rigidita`, e soprattutto che ogni giurista e` portatore di una sua cultura formatasi
lentamente nel corso della propria vita di studio e lavoro, come tale
(1 )
GROSSI, Codici: qualche conclusione tra un millennio e laltro, in GROSSI,
Mitologie giuridiche della modernita`, Milano, 2001, p. 86.
(2) EHRLICH, Grundlegung der Soziologie des Rechts, Berlin, 1967 (ma 1913),
p. 323.

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463

ALESSANDRO BERNARDI

difficilmente modificabile sulla base di impulsi esterni. Cosicche ,


paradossalmente, se e` vero che tre parole del legislatore possono
vanificare il contenuto di intere biblioteche, e` altrettanto vero che
tali parole, per quanto rivoluzionarie, difficilmente possono rimodellare nel profondo la concezione individuale del diritto, vale a
dire, per lappunto, le coordinate culturali del giurista.
Quanto poi allestrema eterogeneita` di formazione che caratterizza
gli studiosi delle diverse branche dellordinamento giuridico, e` risaputo che il diritto penale costituisce il ramo del diritto di matrice piu`
spiccatamente autarchica, nel quale si manifestano le fondamentali scelte di valore espressive dellidentita` culturale di ciascun Paese,
come tali tendenzialmente libere da vincoli esterni di matrice
inter- o sovra-nazionale (3). Non deve dunque sorprendere il fatto
che il diritto penale e i suoi cultori si siano rivelati, rispettivamente,
il settore del diritto e la categoria di giuristi piu` tetragoni ad
accettare la primaza e la diretta applicabilita` del diritto comunitario,
e le forme di condizionamento da esse prodotte sullordinamento
nazionale.
E tuttavia, se la peculiare impronta autarchico-statualistica
del diritto penale e dei relativi operatori sommandosi alle gia` di
per se rilevanti forze inerziali comuni alluniverso giuridico puo`
spiegare la reticenza ad accogliere una concezione europeista del
diritto penale e in particolare ad ipotizzare una sia pur parziale
unificazione su scala continentale di questa branca del diritto, essa e`
pero` riuscita solo a ritardare ma non a precludere in radice il
riconoscimento sia delle diverse forme di influenza del diritto comunitario sul diritto penale, sia delle pressanti esigenze di cooperazione e di armonizzazione dei sistemi penali nazionali correlate
allattuale processo di costruzione di unUnione a carattere prefederale (4). Daltronde, qualsiasi atteggiamento radicale volto a
(3) In argomento cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, BERNARDI, I tre
volti del diritto penale comunitario, in Possibilita` e limiti di un diritto penale dellUnione
europea, a cura di L. PICOTTI, Milano, 1999, pp. 42-43.
(4) Per una retrospettiva storica dellidea federalista in ambito europeo cfr., per
tutti, Per una Costituzione federale dellEuropa. Lavori preparatori del comitato di studi
presieduto da P.H. Spaak 1952-1953, a cura di D. Preda, Padova, 1996; ALBERTINI, Storia
del federalismo, Torino, 1973; ORSELLO, Ordinamento comunitario e Unione europea,
Milano, 2001, p. 1 ss.; CATTANEO, Pensiero cattolico e federalismo europeo (1940-1957),

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

sottrarre il campo penale allinfluenza del diritto europeo non


sarebbe stato tollerato dalla Corte di giustizia CE: la quale anzi, con
una giurisprudenza evolutiva e talora addirittura creatrice, ha
sottolineato con forza i vincoli derivanti sul piano penale dalla
sottoscrizione dei Trattati. Del pari, una drastica astensione dellUnione dallassumere in materia penale decisioni funzionali al
Milano, 1990; RENOUVIN, Lide e de fe de ration europe enne dans la pe nse e politique du XIX
sie`cle, Oxford, 1949; RUBIN DE CERVIN ALBRIZZI, Altiero Spinelli e il federalismo europeo
1945-54, Milano, 1992; SACCHETTI BERTI, Precedenti storici dellidea federale in Europa,
Torino, 1964; SPINELLI, Dagli Stati sovrani agli Stati Uniti dEuropa, Firenze, 1950;
VOYENNE, Histoire de lide e europe enne, Paris, 1964.
Sulla probabile evoluzione in senso federale dellUnione europea cfr., allinterno di
una bibliografia ormai sconfinata, Lavenir de lUnion europe enne: e largir et approfondir,
a cura di J. Vandamme e J. D. Mouton, Bruxelles, 1995; Europa: lintegrazione flessibile,
a cura del Centre for Economic Policy Research, Bologna, 1996; Interviste sullEuropa, a
cura di A. Loretoni, Roma, 2001, e bibliografia ivi riportata; Sviluppo e occupazione
nellEuropa federale: itinerari giuridici e socioeconomici su regioni e autonomie locali, a
cura di G. Ferraro, Milano, 2003; Federalism, Unification and European Integration, a
cura di JEFFERY, STURM, London, 1993; BOUQUELLE-PICARD, La supernationalite en Europe,
in Annales de droit de Louvain, 1992, p. 231 ss.; BOURJOL, Intercommunalite et Union
europe enne. Re flexion sur le fe de ralisme, Paris, 1994; CLOOS, REINESCH, VIGNES E WEYLAND, Le Traite
de Maastricht, Bruxelles, 1994, in particolare p. 115; COFFEE, The future
of Europe, Cheltenham-Glos, 1995; COLEMAN, The Community after Maastricht: How
federal?, in New European, 1992, n. 3, p. 2 ss.; LA PERGOLA, LUnione europea: una
federazione non dichiarata, in Europaforum, 1992, n. 1, p. 7 ss.; ID., Sguardo sul
federalismo e i suoi dintorni (una celebre dicotomia: Stato federale-confederazione, la
confederazione di tipo antico e moderno, lidea europeista di Comunita`), in Dir. soc., 1992,
p. 491 ss.; MAILLET, VELO, LEurope a` geometrie variable. Transition vers linte gration,
Paris, 1994; MARTIAL, Oltre Maastricht, Sovranita` nazionale e federazione, in Il Mulino,
1992, p. 481 ss.; ORSELLO, Ordinamento comunitario e Unione europea, Milano, 2001, p.
1049 ss.; ID., Il principio di sussidiarieta` nella prospettiva dellattuazione del Trattato
sullUnione europea, Roma, 1993, p. 90; QUERMONNE, Trois lectures du Traite de
Maastricht. Essai danalyse comparative, in Rev. franc . sc. pol., 1992, p. 802 ss.; PLIAKOS,
La nature juridique de lUnion europe enne, in Rev. trim. dr. eur., 1993, p. 187 ss.;
SANDHOLTZ, European Integration and Supra-national Governance, Oxford, 1998; SIDJANSKI, Lavenir fe
de raliste de lEurope. La Communaute europe enne des origines au traite de
Maastricht, Paris, 1992 (trad. inglese con sostanziali modifiche e aggiornamenti dal titolo
The federal Future of Europe, the University of Michigan, 2000, con ulteriori riferimenti
bibliografici a p. 443 ss.; trad. it. Per un federalismo europeo: una prospettiva inedita
sullUnione europea, Milano, 2002); TIZZANO, Appunti sul trattato di Maastricht: struttura
e natura dellUnione europea, in Foro it., 1995, IV, c. 226; TOULEMON, La construction
europe enne, Paris, 1994, p. 194 ss.; TIZZANO, Appunti sul trattato di Maastricht: struttura
e natura dellUnione europea, in Foro it., 1995, IV, c. 226.

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ALESSANDRO BERNARDI

rafforzamento di quello spazio di liberta`, sicurezza e giustizia


evocato dal quarto trattino dellart. 2 TUE non sarebbe certo stata
espressiva della volonta` dei cittadini europei, stante che essi (come
recenti indagini statistiche dimostrano inequivocabilmente) ritengono indispensabile un intervento a livello centrale contro i piu`
pericolosi tipi di delinquenza (5). Ma, a onor del vero, non si puo`
negare che gli stessi Stati membri dellUnione, resi edotti della
necessita` di tutelare in modo quanto piu` possibile uniforme i
cosiddetti beni/interessi comunitari e di combattere efficacemente la
criminalita` transnazionale, gia` da tempo si stiano adoperando (anche
se a volte con inopportuna titubanza) per creare in ambito continentale le condizioni e i meccanismi atti a potenziare la cooperazione penale interstatuale e ad avviare un processo di effettivo
ravvicinamento dei rispettivi sistemi penali. In vista del raggiungimento di tali scopi, con il Trattato di Maastricht del 1992 e` stato
infatti istituito il cosiddetto terzo pilastro dellUnione europea (6),
il quale in forza dei peculiari strumenti in esso previsti (7) ha finito
(5) Cfr., al riguardo, gli elementi contenuti nelleurobarometro dellaprile 2002,
riprodotti alla p. 2, n. 7 de La Convenzione europea. Giustizia e affari interni - stato dei
lavori e problematiche generali, Bruxelles, 31 maggio 2002, doc. CONV 69/02.
(6) Con terminologia ormai entrata nel linguaggio corrente dei comunitaristi e
degli stessi penalisti, si suole appunto dire che a partire dal Trattato di Maastricht sono
stati edificati, accanto al pilastro comunitario (CE, CECA, Euratom), due ulteriori
pilastri, corrispondenti a nuovi settori dintervento non afferenti al tradizionale
contesto proprio delle Comunita`, ed organizzati non gia` in forma comunitaria bens`,
rispettivamente, in forma confederale e intergovernativa, dunque secondo meccanismi
diplomatici di tipo tradizionale. Come noto, il secondo pilastro (previsto dal titolo V del
Trattato sullUnione europea) istituisce una politica estera e di sicurezza comune,
fissandone gli obiettivi ed indicandone le modalita` di perseguimento. Viceversa il terzo
pilastro (previsto dal titolo VI del Trattato sullUnione europea e significativamente
riplasmato in occasione del Trattato di Amsterdam) disciplina la cooperazione di polizia
e giudiziaria in materia penale.
(7) Si allude, in particolare, alle decisioni quadro, denominate fino allentrata in
vigore del Trattato di Amsterdam azioni comuni. Ispirate in parte al metodo della
cooperazione intergovernativa e in parte al metodo comunitario, esse mirano non solo ad
agevolare la cooperazione giudiziaria (cfr. art. 31, lett. a), b) e d) TUE), ma anche a
ravvicinare le normative in materia penale dei Paesi membri (cfr. art. 29, ultimo trattino,
TUE), e dunque ad assicurare la garanzia della compatibilita` delle normative applicabili
negli Stati membri, nella misura necessaria per migliorare la () cooperazione (art. 31,
lett. c), TUE). In argomento cfr., infra, sub par. 9.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

col dare vita ad una vera e propria politica criminale di respiro


continentale, seppure circoscritta alle materie di interesse comune
indicate nel suddetto pilastro (8).
In ogni caso, e` a tutti chiaro che nellambito di tale politica criminale lUnione europea non si limita piu` ad auspicare la messa in
opera di un complessivo piano di cooperazione giudiziaria e a stimolare una attivita` minimalista di ravvicinamento degli ordinamenti
penali nazionali; ma al contrario si prefigge quantomeno in taluni
particolari settori di rilievo comune la realizzazione di una oltremodo penetrante armonizzazione penale se non addirittura la creazione, nel lungo periodo, di un vero e proprio sistema penale unitario.
Ne costituisce prova inconfutabile la predisposizione su impulso
della Commissione europea di un progetto di Corpus Juris contenente disposizioni penali per la tutela degli interessi finanziari dellUnione europea (9). I contenuti e lo spirito stesso di tale progetto (i
quali se da un alto appaiono coerenti con gli attuali sviluppi della
costruzione europea, dallaltro lato risultano indubbiamente audaci in
considerazione degli assai lenti tempi di risposta dei sistemi penali
alle istanze di carattere sovrastatuale) lasciano comunque presagire
che la strada verso il recepimento del Corpus Juris sara` tutta in salita,
e disseminata di ostacoli resi piu` ardui dalla tuttora perdurante concezione autarchico-statualista del diritto penale.
In definitiva, sembra possibile affermare che il diritto penale,
senza per questo risultare completamente impermeabile al processo
di costruzione europea, manifesta tuttavia una forte tendenza a
preservare quellinsieme di valori, tradizioni, assetti, categorie che
concorrono a costituire il patrimonio giuridico dei singoli Stati; e che
a causa di cio` esso fatica non poco a modellarsi in modo tale da poter
(8) Come precisato dallart. 29 TUE, le misure preventive e repressive adottate
nellambito del terzo pilastro devono concernere il razzismo e la xenofobia, nonche la
criminalita`, organizzata e di altro tipo, in particolare il terrorismo, la tratta degli esseri
umani e i reati contro i minori, il traffico illecito di droga e di armi, la corruzione e la
frode.
(9) Per il testo di tale progetto cfr. Verso uno spazio giudiziario europeo, Milano,
1997, p. 53 ss. Cfr. altres`, per quanto concerne la nuova versione del Corpus Juris
elaborata a Firenze nel 1999, La mise en oeuvre du Corpus Juris dans les E tats-Membres,
I, a cura di M. Delmas-Marty, J.A.E. Vervaele, Antwerpen, Groningen, Oxford, 2000,
p. 191 ss.

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ALESSANDRO BERNARDI

assolvere ai compiti assegnatigli dalla nuova realta` istituzionale,


economica, sociale del nostro continente. Peraltro, un numero sempre maggiore di studiosi e di operatori di settore sta progressivamente prendendo coscienza del fatto che ormai lEuropa, pur non
essendo ancora uno Stato federale, sotto il profilo penale pone pero`
sin dora tutti i problemi propri degli Stati federali; problemi per la
soluzione dei quali appare necessario un radicale mutamento di
prospettiva, vale a dire una ferma volonta` di superare quei particolarismi nazionalistici che sono di ostacolo al dialogo tra gli ordinamenti e alla loro progressiva integrazione.
Nel tentativo di illustrare la lenta e faticosa evoluzione del
diritto penale nel segno dellabbandono della propria configurazione
meramente statalista, in questo lavoro ci si propone innanzitutto
di analizzare brevemente le diverse forme di manifestazione dellattuale processo di europeizzazione del diritto sui sistemi penali, in
specie su quello italiano (Sez. I), per poi passare in rassegna talune
delle piu` vistose forme di incidenza di tale processo sulla scienza
penale (Sez. II).
Sez. I: Europeizzazione del diritto e sistemi penali nazionali.
2.

Il ruolo del Consiglio dEuropa e delle relative convenzioni


darmonizzazione nel tramonto dello statualismo penale. In particolare, il ruolo della Convenzione europea dei diritti delluomo.

Anche rispetto al diritto penale, e` indubbiamente difficile stabilire con precisione quando e come leta` dello Stato-nazione, dei
sistemi di diritto nazionale e delle culture giuridiche nazionali (10)
abbia iniziato la sua parabola discendente. Sembra tuttavia di poter
dire che, in epoca moderna, il processo di erosione del carattere
(10) SCHULZE, Un nouveau domaine de recherche en Allemagne: lhistoire du droit
europe en, in Rev. hist. dr. franc . e tr., 1992, p. 39; BELLOMO, LEuropa del diritto comune,
Roma, 1991, p. 11 ss.; CONSTANTINESCO, Introduzione al diritto comparato, Torino, 1996,
p. 31 ss.; FRAGOLA, ATZORI, Prospettive per un diritto penale europeo, Padova, 1990, p. 5
ss.; GHISALBERTI, La codificazione del diritto in Italia, Roma-Bari, 1994, p. 3 ss.; ZWEIGERT,
KO} TZ, Introduzione al diritto comparato, vol. I, Principi fondamentali, Milano, 1992,
p. 16 ss.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

meramente statuale dei sistemi penali europei e della relativa scienza


tende a coincidere con la nascita del Consiglio dEuropa, per mezzo
del quale ci si proponeva di rafforzare i vincoli tra i Paesi del vecchio
continente, onde evitare il ripetersi di tragici conflitti causati innanzitutto dalla intolleranza reciproca e dalla contrapposizione tra gli
Stati europei. E` infatti su impulso del Consiglio dEuropa che sono
state varate nel quadro dellazione svolta da tale organizzazione
internazionale nei piu` diversi campi (11), e segnatamente nellambito
dei molteplici accordi da esso promossi numerose convenzioni in
materia penale. Tali atti, come noto, non si limitano a predisporre
strumenti giuridici di cooperazione internazionale nella lotta contro
il crimine, ma talora sono diretti anche ad armonizzare gli ordinamenti penali nazionali in prospettiva di tutela dei diritti fondamentali, nonche a ravvicinare e financo unificare le legislazioni nazionali
limitatamente a taluni fenomeni criminali di rilievo europeo (12): si
pensi, in particolare, alle convenzioni in tema di tutela dei dati
personali, terrorismo, riciclaggio, bioetica, beni archeologici e culturali, corruzione, ambiente, nelle quali appare evidente lo sforzo di
favorire una effettiva armonizzazione di talune norme incriminatrici
di settore in vista di una piu` efficace lotta alla delinquenza (13).
Risulta tuttavia evidente che fra tutte le convenzioni elaborate in
oltre cinquantanni dal Comitato dei Ministri del Consiglio dEuropa, quella di gran lunga piu` importante sia per il suo stesso
oggetto, sia per loriginale e assai significativo meccanismo di controllo in essa previsto e` la Convenzione europea per la tutela dei
diritti delluomo e delle liberta` fondamentali (CEDU) firmata a Roma
il 4 dicembre 1950. Nel dare perfetta attuazione allo scopo del Con(11) Vale a dire nei campi economico, sociale, culturale, scientifico, giuridico,
amministrativo: cfr. lart. 1 dello Statuto del Consiglio dEuropa firmato a Londra il 5
maggio 1949.
(12) Cfr., fondamentalmente, PALAZZO, Linfluenza dellattivita` del Consiglio dEuropa sul diritto penale italiano, in Linfluenza del diritto europeo sul diritto italiano,
Milano, 1982, p. 633 ss. Sul ruolo delle convenzioni nel processo di ravvicinamento dei
sistemi penali europei cfr. altres`, da ultimo, BERNARDI, Strate gies pour une harmonisation
des syste`mes penaux europe ens, in Archives de politique criminelle, n. 24, Paris, 2002,
p. 208 ss.
(13) Cfr., per tutti, MANACORDA, Larmonizzazione dei sistemi penali: una introduzione, in La giustizia penale italiana nella prospettiva internazionale, Milano, 2000, p. 46,
e bibliografia ivi riportata alla nt. 36.

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siglio dEuropa (14), tale convenzione contiene infatti un insieme di


principi e di regole che, in quanto prevalenti sulle norme penali interne
precedenti e successive (15), costituiscono di fatto una lex superior
rispetto alle leggi ordinarie degli Stati. In tal modo si realizza una sorta
di giustizia costituzionale sovrannazionale (16), che integra e affianca le forme di controllo costituzionale eventualmente previste nei
singoli Stati. Con lavvento della CEDU si assiste cos` al sorgere di un
diritto comune delle garanzie cui il diritto penale dei singoli Stati
deve conformarsi: se non di federalismo, sembra allora possibile parlare gia` di transnazionalismo (17), il quale si traduce nel parziale superamento della supremazia assoluta dei Parlamenti e delle loro leggi
ad opera di una fonte di diritto internazionale.
Ben si spiega quindi che, anche ma non solo in Italia, gli studiosi
e gli operatori del diritto piu` fortemente ancorati ad una concezione
tradizionale dello Stato e delle sue prerogative si siano affannati a
neutralizzare al massimo gli effetti prodotti dalla CEDU sullordinamento giuridico-penale. E cio`, sia attribuendo in via interpretativa
a questultima un rango puramente legislativo (18), sia considerando
(14) Sempre ai sensi dellart. 1 dello Statuto del Consiglio dEuropa, scopo di tale
organizzazione e` infatti quello di conseguire una piu` stretta unione tra i suoi membri
per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il loro comune
patrimonio, in vista dello sviluppo dei diritti delluomo e delle liberta` fondamentali.
(15) Sia in virtu` del rango supra-costituzionale, costituzionale o comunque sovralegislativo di volta in volta attribuito alla convenzione nei diversi Stati membri (cfr., al
riguardo, Annexe 2, in Raisonner la raison dEtat, a cura di Delmas-Marty, Paris, 1989,
p. 506 ss.), sia in virtu` di una particolare capacita` di resistenza riconosciuta alle
disposizioni convenzionali rispetto a qualsivoglia legge successiva volta a prevedere un
piu` basso standard di tutela dei diritti delluomo (cfr., per tutti e sulla base di differenti
argomentazioni, NOCERINO GRISOTTI, Valore ed efficacia della Convenzione europea dei
diritti delluomo nellordinamento italiano, in La Convenzione europea dei diritti delluomo nellapplicazione giurisprudenziale, ricerca diretta da Biscottini, Milano, 1981, p.
130; CONFORTI, La specialita` dei trattati internazionali eseguiti nellordine interno, in studi
in onore di Balladore Pallieri, II, Milano, 1978, p. 187 ss.
(16) Cfr., in particolare, CAPPELLETTI, Giustizia costituzionale soprannazionale, in
Riv. dir. proc., 1978, p. 1 ss.
(17) Cfr. CAPPELLETTI, Ne cessite et le gitimite de la justice constitutionnelle, in Rev.
intern. dr. comp., 1981, p. 647.
(18) Con conseguente possibilita` di ammettere che leggi successive alla Convenzione europea dei diritti delluomo e rispetto ad essa meno garantiste possano derogarla.

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470

QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

talune sue disposizioni not self executing (19), sia infine interpretando
restrittivamente i diritti sanciti dalla CEDU, e conseguentemente
negando che questultima possa offrire una tutela piu` organica o piu`
accentuata di quella gia` prevista dalla Costituzione e dalle leggi
nazionali (20). Resta comunque il fatto che sullonda della incessante opera di sensibilizzazione svolta dalla migliore dottrina, e
soprattutto grazie alla giurisprudenza dinamica della Corte europea
dei diritti delluomo, che consente una sempre piu` chiara visione
della dimensione concreta delle garanzie offerte dalla CEDU
anche e soprattutto in materia penale le suddette forme di
resistenza nazionalistica alla CEDU stanno progressivamente venendo meno. Prova ne sia che limpatto di questultima sul nostro
ordinamento giuridico e` andato via via intensificandosi, come testimoniato dalle ormai numerose riforme della legislazione penale
italiana esplicitamente o implicitamente volte a consentire un adeguamento agli standards di garanzia di matrice convenzionale (21).
In definitiva, sebbene gia` il periodo intercorrente tra le due
guerre mondiali fosse stato caratterizzato da tentativi non trascurabili di integrazione sovranazionale in ambito penale (22), sembra
quindi possibile ribadire che solo con le convenzioni del Consiglio
dEuropa e soprattutto con la Convenzione europea dei diritti
delluomo e con la relativa giurisprudenza dei giudici di Strasburgo
e` stato avviato un vero e proprio processo di riscoperta della
Sul punto cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, PALAZZO, BERNARDI, La
Convenzione europea dei diritti delluomo e la politica criminale italiana: intersezioni e
lontananze, in Riv. intern. dir. uomo, 1988, p. 33 ss.
(19) Cioe` non direttamente applicabili in assenza di provvedimenti interni deputati a precisarle o completarle. Cfr., ad esempio, ALBANO, Le norme programmatiche della
CEDU e lordinamento italiano, in Riv. intern. dir. uomo, 1991, p. 719.
(20) In dottrina cfr., emblematicamente, CIANCI, Gli operatori del diritto e i diritti
delluomo, in Giust. pen., 1982, III, c. 313.
(21) Cfr., ad esempio, CHIAVARIO, Cultura italiana del processo penale e Convenzione europea dei diritti delluomo: frammenti di appunti e spunti per una microstoria,
in Riv. intern. dir. uomo, 1990, p. 462 ss.; STARACE, La Convenzione europea dei diritti
delluomo e lordinamento italiano, Bari,1992, p. 85 ss., 135, 140; volendo, BERNARDI,
Principi di diritto e diritto penale europeo, in Annali dellUniversita` di Ferrara - Scienze
giuridiche, vol. II, 1988, p. 145 ss.
(22) Ne costituiscono prova i numerosi convegni sullunificazione del diritto
criminale organizzati in tale periodo dallAssociazione internazionale di diritto penale.

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471

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dimensione europea del diritto penale. Dimensione, questa, che


verra` comunque assumendo profili piu` netti con il sorgere e con il
progressivo evolversi della Comunita` e dellUnione europea.
3.

Lavvento della Comunita` europea e le diverse forme di influenza


del diritto comunitario sul diritto penale.

Se, come sopra accennato, il Consiglio dEuropa e` stato creato


essenzialmente con lo scopo di realizzare una piu` stretta unione fra
i Paesi membri al fine di salvaguardare e promuovere gli ideali ed i
principi costituenti il loro comune patrimonio, gli obiettivi della
Comunita` europea sono stato sin dallinizio ancora piu` ambiziosi e
soprattutto piu` concreti. Secondo quanto affermato nel preambolo
del Trattato CEE del 1957, tale organizzazione e` sorta infatti per
assicurare mediante unazione comune il progresso economico e
sociale dei Paesi membri, eliminando le barriere che dividono
lEuropa. Per lattuazione di un programma di cos` grande impegno, agli organi della Comunita` sono stati attribuiti poteri assai
incisivi, in seguito ulteriormente rafforzati con levolversi dei Trattati. Inevitabilmente, la Comunita` ha quindi in parte sminuito il
ruolo del Consiglio dEuropa (23), anche in ragione del fatto che,
attraverso la valorizzazione del cosiddetto diritto comunitario non
scritto (24) quale rimedio alle lacune dei Trattati, essa ha finito con
lingerirsi nella tutela dei diritti fondamentali, la quale costituiva per
lappunto il prioritario settore di intervento del Consiglio dEuropa.
Vero e` pero` che tra i poteri attribuiti agli organi comunitari dai
Trattati (Tr. CE, Tr. CECA, Tr. Euratom) non erano inclusi e
tuttora in linea di principio non sono inclusi quelli in materia
penale. Lidea secondo cui il diritto penale non rientra nelle
(23) Cfr., sul punto, GREMENTIERI, voce Consiglio dEuropa, in Dig. disc. pubbl., vol.
III, 1989, p. 419.
(24) In merito al quale cfr., per tutti, ADINOLFI, I principi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati membri, in Riv. it.
dir. pubbl. com., 1994, p. 521 ss. e bibliografia ivi riportata; CAPOTORTI, Il diritto
comunitario non scritto, in Dir. com. scambi intern., 1983, p. 409 ss.; CAPELLI, I principi
generali come fonte di diritto, in Dir. com. scambi intern., 1986, p. 545 ss.; VACCA,
Lintegrazione dellordinamento comunitario con il diritto degli Stati membri e con i
principi generali di diritto, in Dir. com. scambi intern., 1991, p. 339 ss.

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competenze della Comunita`, ma in quelle di ciascuno Stato membro veniva del resto confermata dalla lettura di taluni documenti
comunitari (25), ed ulteriormente ribadita financo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (26). Resta il fatto che, nonostante
lassenza di ogni esplicita competenza in materia penale della Comunita`, nel corso di questi decenni il diritto comunitario e` riuscito
a svolgere una progressiva azione di europeizzazione del diritto
criminale condotta a piu` livelli, e in particolare: contribuendo a
mutare allinterno degli ordinamenti giuridici nazionali i fondamentali profili di molte fattispecie penali nel segno di una loro graduale
armonizzazione; favorendo lintroduzione ex novo, nei singoli Stati
membri, di un numero ancora maggiore di fattispecie caratterizzate
da una precettistica assai omogenea da un Paese allaltro; imponendo la disapplicazione in tutto o in parte di talune norme incriminatrici; condizionando in modo vieppiu` evidente la scelta delle
sanzioni applicabili dagli Stati membri non solo in sede di attuazione
del diritto comunitario, ma anche in sede di normazione rispetto a
materie aventi rilevanza comunitaria, in quanto interferenti con
lambito applicativo di norme CE; dando vita a un sistema punitivo
accentrato di tipo para-penale.
La comprensione di questa articolata fenomenologia, destinata a
modificare nel profondo i tratti salienti dei sistemi penali (e piu` in
generale dei sistemi sanzionatori) nazionali puo` essere adeguatamente compresa ove si tengano presenti due distinti fattori, tra loro
strettamente connessi: a) le fonti comunitarie sia primarie (Trattati e
principi generali del diritto) sia secondarie (regolamenti e direttive)
risultano in una posizione di primato rispetto al diritto interno, e si
rivelano nella massima parte dei casi dotate di efficacia diretta; b) la
Comunita` europea, sebbene in linea di principio priva di competenza penale, attraverso il principio di fedelta` comunitaria di cui
allart. 10 TCE (27) e attraverso il principio non scritto di propor(25) Cfr., in primis, lOttava relazione generale sullattivita` delle Comunita` europee
del 1974, Bruxelles-Lussemburgo, 1975, p. 145, par. 90.
(26) Cfr., in particolare, sent. 11 novembre 1981, causa 203/80 (Casati), in Racc.,
1981, p. 2595; ord. 17 ottobre 1984, cause83-84/84 (N.M. c. Commissione e Consiglio
CE), in Racc., 1984, p. 3575. In dottrina cfr., in particolare, GRASSO, Comunita` europee
e diritto penale, Milano, 1989, p. 1.
(27) In base al quale Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere

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zione puo` pero` sindacare lidoneita` delle sanzioni nazionali (anche


penali) introdotte per assicurare lesecuzione dei Trattati e degli atti
comunitari, ed e` inoltre legittimata da tutta una serie di norme
contenute nei Trattati a irrogare sanzioni amministrative a contenuto
punitivo-afflittivo, talora anche molto severe.
Da tali fattori discendono, per lappunto, tutti i fenomeni di
europeizzazione del diritto penale cui si e` fatto sopra cenno, e che
qui di seguito verranno sinteticamente analizzati.
4.

Lincidenza del diritto comunitario sui precetti penali. Lincidenza


interpretativa, integratrice, disapplicatrice.

E` dunque giunta lora di passare allesame le diverse forme di


incidenza del diritto comunitario sui precetti penali nazionali che
derivano dai principi del primato e dellefficacia diretta del diritto
comunitario sulla normativa dei Paesi membri. Al riguardo, sembra
di poter affermare, in estrema sintesi, che tali forme di incidenza
sono fondamentalmente tre: quella interpretativa, quella integratrice, e quella disapplicatrice.
a) Lincidenza c.d. interpretativa deriva dal principio del primato
del diritto comunitario sul diritto nazionale, in quanto tale principio
opera non solo nei confronti del legislatore nazionale (obbligandolo
a varare disposizioni conformi alla normativa CE) e della amministrazione statale (vincolando la sua azione al rispetto dei principi e
delle regole di derivazione europea), ma anche nei confronti del
giudice interno e della relativa attivita` ermeneutica. In questo senso,
tutte le norme (anche penali) di fonte nazionale devono essere da
questi lette, ove possibile, conformemente alle fonti CE, con conseguente rigetto di ogni altra interpretazione di tali norme, se incomgenerale e particolare atte ad assicurare lesecuzione degli obblighi derivanti dal presente
trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunita`. Essi facilitano
questultima nelladempimento dei propri compiti. Essi si astengono da qualsiasi misura
che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del presente trattato. In merito
a tale principio cfr., ad esempio, BLANQUET, Larticle 5 du Traite CEE. Recherche sur les
obligations de fidelite des Etats membres de la Communaute , Paris, 1994, e bibliografia ivi
riportata; CONSTANTINESCO, Lart. 5 C.E.E., de la bonne foi a` la loyaute communautaire, in
Liber amicorum P. Pescatore, Baden-Baden, 1987, p. 97 ss.; SOLLNER, Art. 5 EWG-Vertrag
in der Rechtsprechung des Europa ischen Gerichtshofes, Mu nchen, 1985.

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patibile col diritto europeo (28). Cio` potra` comportare il ricorso


obbligato a forme di interpretazione delle fattispecie penali a carattere
volta a volta sistematico, teleologico, restrittivo o persino estensivo, al
fine appunto di evitare quanto piu` possibile ogni contrasto tra la normativa europea e tali fattispecie. Naturalmente, stante il divieto in
materia penale di analogia in malam partem, lo sforzo del giudice volto
a fornire uninterpretazione della fattispecie interna conforme al diritto dellUnione non potra` spingersi sino ad operare processi interpretativi di tipo analogico o additivo finalizzati a perseguire una inammissibile estensione dellambito applicativo della fattispecie in esame,
segnatamente in funzione della tutela sanzionatoria dei beni o interessi
di rilievo comunitario o comunque di norme prescrittive varate a Bruxelles. Egualmente, il giudice non potra` attribuire alla fattispecie penale nazionale un significato piu` ristretto rispetto a quello inequivocabilmente fornito dalla lettura della fattispecie in questione, al fine
di preservarla da ogni giudizio di illegittimita` comunitaria (29). Il
giudice nazionale dovra` cioe` limitarsi, sempre e comunque, a far ricorso alle sole tecniche interpretative consentite in ambito penale dal
principio di legalita`. Resta comunque il fatto che, anche circoscrivendo entro questi limiti tassativi il potere del giudice di adattare
(28) Circa lincidenza interpretativa del diritto comunitario sulla fattispecie penale
cfr., tra gli altri, BARAV, La ple nitude de compe tence du juge national en sa qualite de juge
communautaire, in LEurope et le droit. Me langes en hommage a` J. Boulouis, Paris, 1991,
p. 8; DANNECKER, Strafrecht der Europa ischen Gemeinschaft, in Strafrechtsentwicklung in
Europa, a cura di A. ESER E B. HUBER, vol. 4.3, Freiburg im Breisgau, 1995, p. 64;
SATZGER, Die Europa isierung des Strafrechts, Ko ln-Berlin-Bonn-Mu nchen, 2001, p. 518
ss., e bibliografia ivi riportata; SCHRO} EDER, Europa ische Richtlinienund deutsches Strafrecht, Berlin, 2002, p. 321 ss.; ZULEEG, Der Beitrag des Strafrechts zur Europa ischen
Integration, in Europa ische Einigung und Europa isches Strafrecht, a cura di U. SIEBER,
Ko ln-Berlin-Bonn-Mu nchen, 1993, p. 41 ss. Nella letteratura italiana cfr., in particolare,
RIONDATO, Competenza penale della Comunita` europea. Problemi di attribuzione attraverso la giurisprudenza, Padova, 1996, p. 128 ss.; volendo BERNARDI, Profili di incidenza
del diritto comunitario sul diritto penale agroalimentare, in Annali dellUniversita` di
Ferrara - Scienze giuridiche, vol. XI, Ferrara, 1997, p. 146 ss.; ID., I tre volti del diritto
penale comunitario, cit., p. 60 ss.
(29) In tal caso il giudice, anziche fornire uninterpretazione del precetto penale
inammissibile alla luce del relativo testo, dovra` quindi piuttosto disapplicare tale
precetto nella misura in cui esso risulti in contrasto con il diritto europeo, salvo poi
lobbligo per il legislatore nazionale di riformare il precetto in questione in modo da
renderlo conforme al diritto europeo. Sul punto cfr. infra, sub lett. c).

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il contenuto delle disposizioni in materia criminale alle esigenze del


diritto della Comunita` e dellUnione, il risultato di tali processi ermeneutici sara` quello di una almeno tendenziale armonizzazione della
concreta portata di talune norme incriminatrici dotate originariamente, nei singoli Paesi dellUnione, di ambiti applicativi diversi o
quantomeno non coincidenti. Questo fenomeno di convergenza in via
interpretativa dellambito applicativo di certe fattispecie penali (ma
anche punitivo-amministrative) appartenenti a differenti sistemi giuridici nazionali si rivelera` tanto maggiore ove i magistrati anche a
costo di superare i vincoli loro imposti dal principio di stretta legalita`
approfittino della difficolta` di distinguere tra ortopedia in via interpretativa e in via analogica (30) per manipolare la fattispecie penale in modo tale da farla risultare forzosamente conforme al diritto
comunitario. Resta il fatto che, nonostante la plausibilita` delle ragioni
sottese a tali forzature (31), queste ultime devono essere decisamente
stigmatizzate, non potendo certo il giudice interno sostituirsi ai compiti di fedelta` comunitaria spettanti al legislatore nazionale.
b) Una seconda forma di incidenza, concettualmente distinta
dalla precedente, e` quella c.d. integratrice, in quanto per lappunto
attuata tramite lintegrazione del precetto penale ad opera della
normativa comunitaria. Tale integrazione puo` aversi essenzialmente
in tre casi.
b1) Il primo caso si ha quando il precetto penale risulta
implicitamente improntato alla tecnica del cosiddetto rinvio parziale (32), attraverso il ricorso a elementi normativi giuridici (33)
implementati da norme di fonte europea; vale a dire quando il
(30) Sul punto cfr., ad esempio, GIANFORMAGGIO, voce Analogia, in Dig. IV - Disc.
priv., 1987, p. 16 dellestratto; in prospettiva strettamente penalistica HASSEMER, Diritto
giusto attraverso un linguaggio corretto? Sul divieto di analogia nel diritto penale, in Testo
e diritto, Ars interpretandi, 1997, n. 2, p. 190.
(31) Si pensi, innanzitutto, alla gia` ricordata esigenza di tutelare beni protetti dalla
normativa comunitaria, nonche allavvertita esigenza di non esporre lo Stato di appartenenza ad una condanna da parte della Corte di giustizia per mancato rispetto dellobbligo
di garantire, attraverso adeguate sanzioni, leffettivita` del diritto comunitario.
(32) In merito a tale tecnica cfr. da ultimo, volendo, BERNARDI, Il processo di
razionalizzazione del sistema sanzionatorio alimentare tra codice e leggi speciali, in Riv.
trim. dir. pen. econ., 2002, p. 99 ss.
(33) In relazione ai quali cfr., ad esempio, MANTOVANI, Diritto penale, Padova,
2001, p. 71.

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precetto in questione contiene unita` linguistiche qualificate (34)


che rimandano, per la conoscenza del loro esatto significato, a
disposizioni legali di matrice ab origine comunitaria, ovvero a disposizioni extrapenali ab origine nazionali ma modificate in un secondo
momento da norme di diritto comunitario. Il pensiero corre, ad
esempio, ai termini rifiuti, mezzo pubblico, genuinita`, ai quali
norme di diritto comunitario hanno conferito ex novo una dimensione normativo-giuridica (35), ovvero hanno attribuito unaccezione diversa da quella ad essi originariamente attribuita dalla
previgente normativa interna (36);
b2) Il secondo caso di incidenza integratrice si ha quando il
precetto penale risulta esplicitamente improntato alla tecnica del
rinvio cosiddetto parziale ed elastico (37). Cio` accade quando
tale precetto penale si presenta palesemente incompleto o se si
preferisce parzialmente in bianco (38), in quanto destinato ad
essere integrato e specificato in modo per lappunto elastico
da norme di fonte europea, ovvero da norme extrapenali a
contenuto tecnico originariamente previste da fonti nazionali ma
successivamente modificate o integralmente sostituite da norme di
fonte europea.
b3) Il terzo caso di incidenza integratrice si ha quando il
(34) GIUNTA, Illiceita` e colpevolezza nella responsabilita` colposa, I - La fattispecie,
Padova, 1993, p. 253 ss.
(35) Si pensi, ad esempio, al termine genuinita`, il quale in taluni casi e`
trapassato da elemento naturalistico (la c.d. genuinita` naturale, che si riscontra nel
caso in cui la genuinita` si fonda su parametri per cos` dire naturali, in quanto non
specificati da apposite norme ma lasciati alla valutazione discrezionale del giudice) a
elemento normativo-giuridico a carattere comunitario (nel caso in cui il termine genuinita` debba essere valutato dal giudice non gia` sulla base del parametro costituito dalla
composizione naturale del prodotto stesso, ma per lappunto sulla base di nuove,
specifiche norme contenute in un atto comunitario).
(36) In argomento cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, BERNARDI, I tre
volti del diritto penale comunitario, cit., p. 62 ss.; DANNECKER, Entsanktionierung der
Straf- und Bugeldvorschriften des Lebensmittelrechs, Baden-Baden, 1996, p. 88 ss.;
SATZGER, Die Europa isierung des Strafrechts, cit., p. 571 ss.
(37) Il rinvio viene detto elastico nel caso in cui la fattispecie incriminatrice
rinviante preveda un automatico adeguamento dei suoi contenuti precettivi sulla base dei
mutamenti delle norme extrapenali integratrici succedentisi nel tempo.
(38) In argomento cfr., da ultimo e diffusamente, SATZGER, Die Europa isierung des
Strafrechts, cit., p. 210 ss.

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precetto penale e` costruito in forma di rinvio totale ad una norma


di fonte europea, cosicche lapporto del legislatore nazionale nella
formulazione della fattispecie consiste solo nel comminare le sanzioni applicabili in caso di violazione delle relative prescrizioni
comunitarie (39). Questa ultima e piu` macroscopica forma di incidenza, che finisce ovviamente col privare il legislatore nazionale del
momento piu` nobile della sovranita` punitiva (40), si ha soprattutto
(ma non solo) nei casi in cui allinterno dei singoli Stati membri
debba darsi attuazione sanzionatoria a norme contenute in regolamenti comunitari (41). Infatti, in ragione del primato di tali regolamenti sulla normativa interna e della loro diretta applicabilita` (42),
agli organi legislativi dei Paesi membri e` inibito non solo di rielaborare le prescrizioni comunitarie nellambito di un nuovo precetto
penale nazionalizzato, ma persino di riprodurre testualmente
queste ultime in un atto normativo interno (43). Soltanto in tal modo,
(39) Merita di essere precisato che nei sistemi penali dei Paesi europei maggiormente sensibili al principio di legalita`-riserva di legge (tra i quali rientra indubbiamente
lItalia) tale forma di rinvio puo` aversi solo con riferimento a una norma comunitaria
preesistente alla norma penale rinviante; mentre nei sistemi penali caratterizzati da un
approccio piu` disinvolto alle fonti di produzione delle disposizioni penali il rinvio in
questione puo` avere ad oggetto anche norme comunitarie di futura emanazione. Cos`, a
d esempio, in Francia, sono ammesse norme penali che prevedono rinvii estremamente
generici a regolamenti comunitari futuri. Cfr., par esempio, lart. 214-3 del code de la
consommation, di cui alla L. 93-949 del 26 luglio 1993 (in Journal officiel, 27 luglio 1993,
p. 10551). Al riguardo cfr., diffusamente, ROBERT, Lincrimination par renvoi du legislate ur national a` des re`glements communautaires futurs, in Me langes offerts a` G. Levasseur,
Paris, 1992, p. 169 ss.
(40) Quello consistente, appunto, nellindividuazione dei comportamenti giuridicamente inammissibili e dunque punibili.
(41) Fra i moltissimi esempi di precetti penali che rinviano integralmente a
disposizioni comunitarie a carattere regolamentare, cfr. il testo originario dellart. 4
comma 1 della l. 4 novembre 1987, n. 460: 1. Chiunque trasgredisce le prescrizioni, i
divieti ed i limiti stabiliti negli articoli 15, 16, 22 e nellallegato VI del regolamento CEE
n. 822/87 del Consiglio in data 16 marzo 1987 in materia di dolcificazione, di tagli e di
pratiche e trattamenti enologici, e` punito con larresto fino ad un anno e con lammenda
da lire un milione a lire venti milioni, salvo che il fatto non costituisca piu` grave reato.
(42) In base alla quale, come noto, i regolamenti comunitari producono effetti in
modo automatico, senza cioe` veder condizionata la loro efficacia al varo di provvedimenti di fonte statuale.
(43) Lillegittimita` di qualsivoglia atto interno riproduttivo o modificativo di un
regolamento comunitario e` stata sottolineata a piu` riprese dalla Corte di giustizia. Cfr.,

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del resto, puo` essere fatta salva lesigenza sia di riservare alla Corte
di giustizia il monopolio dellinterpretazione delle norme regolamentari (44), sia di sottrarre queste ultime al controllo nazionale di
costituzionalita` (45), sia infine di garantire leffetto immediato e
diretto di ogni loro eventuale modifica (46). In definitiva, se e` vero
che in sede di costruzione del precetto penale la tecnica del rinvio
totale a norme extrapenali viene talora utilizzata dal legislatore
allinterno di una ricchissima giurisprudenza, sent. 18 febbraio 1970, causa 40/69
(Bollmann), in Racc., 1970, p. 69. In senso conforme cfr. ad esempio, nella giurisprudenza costituzionale italiana, sent. 27 dicembre 1973, n. 183, in Giur. cost., 1973, p.
2401, con nota di BARILE, Il cammino comunitario della Corte; sent. 30 ottobre 1975, n.
232, in Foro it., 1976, I, c. 542 ss., con nota di CONFORTI, Regolamenti comunitari, leggi
nazionali e Corte costituzionale, con ulteriori riferimenti bibliografici. In dottrina cfr., per
tutti, GUZZETTA, Costituzione e regolamenti comunitari, Milano, 1994, p. 8 ss. con
ulteriori puntualizzazioni e ricchissimi riferimenti bibliografici. Cfr. altres`, in una
prospettiva essenzialmente comunitaristica, KOVAR, Rapporti tra diritto comunitario e
diritti nazionali, in Trentanni di diritto comunitario, Bruxelles-Lussemburgo, 1981, p.
137 e bibliografia ivi riportata. Limitatamente alla dottrina penalistica, cfr., tra gli altri,
BERNARDI, La difficile integrazione tra diritto comunitario e diritto penale: il caso della
disciplina agroalimentare, in Cass. pen., 1996, p. 997; BIGAY, Lapplication des re`glements
communautaires en droit pe nal francais, in Rev. trim. dr. eur., 1971, p. 58 ss.; GAITO,
Sullefficacia immediata dei regolamenti comunitari nel settore penale, in Giur. it., 1981,
p. 453 ss.; PALAZZO, voce Legge penale, in Dig. disc. pen., vol. VII, 1993, p. 351; ID.,
Introduzione ai princ`pi di diritto penale, Torino, 1999, p. 253 ss.; PEDRAZZI, Droit
communautaire et droit pe nal des Etats membres, in Droit communautaire et droit pe nal,
Milano, 1981, p. 51 ss.; TRAPANI, voce Legge penale. I) Fonti, in Enc. giur. Treccani,
XVIII, Roma, 1990, p. 11.
(44) Cfr., per tutti, PESCATORE, Art. 177 - Commentaire, in Traite instituant la CEE
a cura di V. Constantinesco, R. Kovar, J.-P. Jacque , D. Simon, Paris, 1992, p. 1081 ss.
(45) Quanto meno fatti salvi i casi in cui tali norme risultino in tensione coi
principi fondamentali dellordinamento costituzionale. La Corte costituzionale italiana
ha invero affermato che in tali casi anche il diritto derivato puo` essere censurato in via
indiretta per il tramite della legge di esecuzione del trattato AMOROSO, La giurisprudenza
costituzionale nellanno 1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale: verso una quarta fase?, in Foro it., 1996, V, c. 87. Sulla problematica
del diritto comunitario secondario confliggente con i diritti fondamentali cfr., relativamente allesperienza francese, Conseil const., 20 gennaio 1993, sent. 92-316 DC, in Rev.
franc . dr. const., 1993, n. 14, p. 375 ss., con note di FAVOREU, FRAYSSINET, PHILIPPE,
RENOUX, ROUX. Relativamente allesperienza spagnola cfr. TRAYTER, La situazione attuale
dellintegrazione del diritto comunitario in Spagna. Riferimento speciale ai diritti fondamentali riconosciuti nella Costituzione, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1995, p. 960 ss.
(46) Cfr., in particolare, BERNASCONI, Linfluenza del diritto comunitario sulle
tecniche di costruzione della fattispecie penale, in Indice pen., 1996, p. 455 ss.

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nazionale anche con riferimento a norme non contenute in regolamenti comunitari, e` anche vero che, limitatamente alle norme europee a carattere regolamentare, il ricorso a tale tecnica normativa
risulta indotto e favorito da tutta una serie di fattori che trovano le
loro radici nei difficili rapporti di integrazione tra diritto comunitario e diritto penale (47).
Come ben si vede, in tutti e tre i casi presi in esame il ricorso a
precetti penali siffatti, in minore o maggiore misura integrati nei
singoli Stati da norme comunitarie assolutamente identiche (48), o
comunque votate a dare vita a disposizioni nazionali alquanto
omogenee da uno Stato allaltro (49), implica un processo di tendenziale omogeneizzazione di tali precetti a livello interstatuale, o
addirittura comporta la radicale uniformazione di questi in ambito
europeo. In particolare, la crescente proliferazione di disposizioni di
origine comunitaria sostitutive di precedenti disposizioni extrapenali
a carattere puramente nazionale e destinate a integrare in chiave
tecnica moltissimi precetti penali, non fa che accelerare il fenomeno di armonizzazione/unificazione (o se si preferisce di piu` o
meno intensa europeizzazione) dei suddetti precetti (50). Naturalmente, tale fenomeno di europeizzazione dei precetti acquista il
massimo rilievo laddove, come nei casi di rinvio totale a fonti
comunitarie, siano in realta` queste ultime a formulare il precetto
nella sua interezza, residuando al legislatore nazionale, come gia`
(47) Peraltro, sulla opportunita` di resistere alle facili lusinghe connesse al ricorso
alla tecnica normativa del rinvio completo nelle sue diverse configurazioni, tenuto
conto dei profili di disfunzionalita` insiti in tale tecnica cfr. diffusamente, anche con
specifico riferimento ai rapporti di integrazione tra diritto penale e regolamenti comunitari, BERNARDI, Il processo di razionalizzazione del sistema sanzionatorio alimentare tra
codice e leggi speciali, cit., p. 95 ss.
(48) Se contenute in regolamenti comunitari.
(49) Laddove tali norme comunitarie siano contenute in direttive darmonizzazione sufficientemente dettagliate, e dunque destinate ad essere trasposte con poche
modifiche allinterno dei singoli sistemi giuridici nazionali.
(50) Merita di essere ricordato che la tecnica di integrazione dei precetti penali
incentrata su forme esplicite di rinvio elastico viene ritenuta da una larga parte della
dottrina (almeno nei Paesi piu` rispettosi del principio di legalita` nelle sue diverse
espressioni, quali in particolare la Germania e lItalia) in contrasto col principio di
riserva di legge. Ma nemmeno in questi Paesi il dissenso della dottrina e` riuscito a frenare
il successo decretato dal legislatore alle fattispecie incriminatrici cos` costruite.

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detto, il solo potere di dettare la disciplina sanzionatoria applicabile


in caso di violazione della normativa sovrastatuale.
c) Infine, la terza forma di incidenza del diritto comunitario sui
precetti penali consiste nella disapplicazione da parte del giudice
nazionale di quelli incompatibili con norme europee primarie (51) o
secondarie (52), in quanto volti per lappunto a punire fatti consentiti
dalla legislazione europea. Tale meccanismo di disapplicazione giudiziaria (53) che costituisce una conseguenza dei principi del
primato e delleffetto diretto del diritto comunitario sul diritto
interno puo` investire il precetto penale nella sua interezza
(qualora questultimo confligga insanabilmente con principi o regole
di fonte comunitaria, con conseguente assoluta inapplicabilita` della
(51) Un esempio di contrasto con norme CE primarie e` offerto da talune
fattispecie penali nazionali volte a tutelare un regime di controllo dei prezzi su taluni
prodotti importati o nazionali, la cui disapplicazione discende dalla incompatibilita` delle
suddette norme col principio del divieto di misure deffetto equivalente ad una restrizione quantitativa allimportazione, previsto dallart. 28 (in precedenza, art. 30) TCE.
Cfr., per tutti, GRASSO, Comunita` europee e diritto penale, cit., p. 278, con puntuali
riferimenti giurisprudenziali.
(52) Un esempio di contrasto con norme CE secondarie e` stato offerto dalla
normativa penale italiana (cfr. art. 112, r.d. 12 maggio 1927, n. 824, in relazione allart.
1, d.m. 21 maggio 1974) volta a colpire il mancato rispetto delle procedure di autorizzazione e di controllo delle condizioni di funzionamento di apparecchi la cui pressione
fosse risultata superiore a precisi limiti, in seguito modificati ad opera di una disposizione comunitaria direttamente applicabile (cfr. la direttiva 767 del 1976, in GUCE L
262 del 27 settembre 1976, p. 153 ss.). Tale disposizione comunitaria anche alla luce
dellevoluzione delle tecnologie avutasi nellarco di tempo intercorso dal varo della legge
italiana in materia fissa limiti di pressione piu` elevati dei precedenti, rendendo cos`
lecito il mancato controllo o la mancata verifica di apparecchi con una pressione
superiore a quella consentita in base alla legge italiana, purche siano rispettati i nuovi
limiti fissati dalla disciplina comunitaria in questione (cfr., Pret. Desio, sent. 15 gennaio
1980, in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, p. 402 ss., con nota di MUCCIARELLI, Osservazioni in
tema di immediata applicabilita` delle direttive comunitarie in materia penale).
(53) In merito al quale cfr., per tutti e limitatamente alla dottrina penalistica
italiana, GRASSO, Comunita` europee e diritto penale, cit., p. 269 ss.; MANACORDA, Unione
europea e sistema penale: stato della questione e prospettive di sviluppo, in Studium iuris,
1997, p. 947 ss.; MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 978; PEDRAZZI, Droit communautaire
et droit pe nal des Etats membres, cit., p. 57 ss.; RIZ, Diritto penale e diritto comunitario,
Padova, 1984, p. 102 ss. e p. 206 ss.; ROMANO, Commentario sistematico del codice penale,
vol. I, Milano, 1995, p. 34; TIEDEMANN, Diritto comunitario e diritto penale, in Riv. trim.
dir. pen. econ., 1993, p. 213-214.

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ALESSANDRO BERNARDI

relativa fattispecie penale) (54); oppure puo` interessare solo una


parte del precetto (nei casi in cui esclusivamente una parte dei
comportamenti da questo vietati siano considerati leciti in base alla
normativa europea). Resta comunque il fatto che sia nei casi di
disapplicazione totale sia in quelli di disapplicazione parziale dei
precetti penali nazionali si realizza una sorta di ravvicinamento in
negativo dei relativi sistemi penali. Ravvicinamento consistente, per
lesattezza, in un processo di erosione degli ambiti del penalmente
rilevante destinato a inibire un utilizzo delle fattispecie penali nazionali in contrasto col diritto sovrastatuale. Anche per questa via,
dunque, i precetti penali, senza con cio` divenire necessariamente
uguali da uno Stato allaltro, sono pur tuttavia assoggettati ad un
processo di tendenziale europeizzazione.
5.

Linfluenza del diritto comunitario sulla disciplina punitiva. Gli


effetti di armonizzazione sanzionatoria prodotti dalle fonti CE di
diritto derivato.

Se, come in precedenza accennato, le plurime forme di incidenza del diritto comunitario sui precetti penali nazionali discendono tutte, essenzialmente, dai principi-cardine del primato e
dellefficacia diretta del diritto comunitario sulla normativa dei Paesi
membri, le forme di influsso del diritto comunitario sulle scelte
punitive nazionali discendono innanzitutto dal principio non
scritto di proporzione e dal principio di fedelta` comunitaria di cui
allart. 10 TCE.
In estrema sintesi, e` possibile affermare che le forme di influsso
da ultimo ricordate sono dovute allazione sia del legislatore comunitario sia della Corte di giustizia, e operano nella duplice prospettiva di imporre sanzioni sufficientemente severe ed effettive da
garantire il rispetto delle disposizioni di fonte comunitaria allin(54) Come ricordato supra, sub nt. 29, tale fattispecie dovra` pertanto, per ragioni
di certezza del diritto, essere al piu` presto abrogata dal legislatore: cfr. Corte di giustizia,
sent. 15 ottobre 1986, causa (Commissione c. Repubblica italiana), in Dir. com. scambi
intern., 1987, p. 105 ss., con nota di ZILIOLI, Recenti sviluppi sul contrasto tra norme
nazionali e disposizioni comunitarie, p. 110 ss.

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(2002)

terno dei singoli Stati membri, ovvero di inibire il ricorso a sanzioni


nazionali sproporzionate per eccesso.
Per quanto riguarda linflusso esercitato dalla legislazione comunitaria secondaria sulle scelte punitive nazionali, occorre subito sottolineare che esso opera solo in relazione allattuazione sanzionatoria
dei testi normativi CE. Per di piu`, tale influsso mira sostanzialmente
ad assicurare lefficacia preventivo-repressiva delle misure punitive
nazionali, che come appena ricordato si verifica quando queste
ultime presentano un coefficiente di severita` tale da garantire una
tutela effettiva delle norme europee.
Vero e` peraltro che il piu` delle volte le fonti comunitarie in
questione (regolamenti e direttive) lasciano un notevole margine di
discrezionalita` agli Stati, limitandosi a decretare lobbligo in capo ad
essi di colpire le violazioni delle disposizioni ivi contenute con
sanzioni adeguate ovvero proporzionate, appropriate, efficaci, sufficientemente dissuasive (55). Non mancano, tuttavia, atti
comunitari che si premurano di fissare in modo preciso la tipologia (56), lentita` (57) e persino le specifiche finalita` (58) delle sanzioni

(55) Cfr., allinterno di un vastissimo campionario di atti comunitari, lart. 7 del


reg. CEE 3842/86 del Consiglio del 1o dicembre 1986 che fissa misure intese a vietare
limmissione in libera pratica di merci contraffatte (in GUCE, L357 del 18 dicembre
1986, p. 3); lart. 8 del reg. CEE 3677/90 del Consiglio del 13 dicembre 1990 recante
misure intese a scoraggiare la diversione di talune sostanze verso la fabbricazione illecita
di stupefacenti o di sostanze psicotrope (in GUCE, L357 del 20 dicembre 1990, p. 4);
lart. 39/3 del reg. CEE 2137/85 del Consiglio del 25 luglio 1985 relativo allistituzione
di un gruppo europeo di interesse economico (GEIE) (in GUCE, L199 del 31 luglio
1985, p. 9); lart. 13 della dir. 89/592/CEE del 13 novembre 1989 sul coordinamento
delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate (insider trading) (in GUCE, L334 del 18 novembre 1989, p. 30); lart.
14 dalla dir. del Consiglio 91/308/CEE del 10 giugno 1991 relativa alla prevenzione
delluso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita` illecite (in
GUCE, L166 del 28 giugno 1991, p. 77); lart. 16 della dir. 91/477/CEE del Consiglio
del 18 giugno 1991 relativa al controllo dellacquisizione e della detenzione di armi (in
GUCE L256 del 13 settembre 1991, p. 55); lart. 8 della dir. 92/109/CEE del Consiglio
del 14 dicembre 1992 relativa alla fabbricazione e allimmissione in commercio di
talune sostanze impiegate nella fabbricazione illecita di stupefacenti o di sostanze
psicotrope (in GUCE, L370 del 19 dicembre 1992, p. 79).
(56) Cfr., ad esempio, lart. 3 del reg. CEE n. 2262/84 che prevede misure
speciali nel settore dellolio doliva (in GUCE, L208 del 3 agosto 1984, p. 11 ss.), il

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ALESSANDRO BERNARDI

nazionali volte a salvaguardare i precetti da essi introdotti (59),


lasciando quindi un assai ridotto spazio di autonomia al legislatore
nazionale. In nessun caso, comunque, i suddetti atti si sono spinti
sino a sancire un espresso obbligo in capo agli Stati di introdurre
sanzioni formalmente penali: il legislatore europeo ha infatti
preferito lasciare ai Paesi membri la possibilita` di scegliere se far uso
di sanzioni di tipo criminale ovvero di tipo amministrativo in sede di
attuazione del diritto comunitario derivato (60). Il mantenimento di
questo margine di discrezionalita` nazionale dovuto essenzialmente ai dubbi esistenti in merito al fatto che gli Stati europei, con
la ratifica dei Trattati, abbiano acconsentito ad una almeno parziale
perdita di sovranita` in materia penale potrebbe tuttavia essere
superato in un prossimo futuro. E` infatti attualissimo il dibattito
sullesistenza o meno nel Trattato CE di basi giuridiche atte a
consentire agli organi comunitari deputati a redigere la normativa
quale impone di sanzionare le infrazioni al regime di aiuto alla produzione con sanzioni
pecuniarie proporzionali alla dimensione del fatto illecito.
(57) Cfr., esemplificativamente, la raccomandazione CECA n. 1835/81, la quale
allart. 16 dispone che la violazione degli obblighi ivi previsti relativamente alla pubblicazione dei prezzi e alle condizioni di vendita dellacciaio sia punita con sanzioni
pecuniarie di cui viene stabilito il limite edittale massimo.
(58) Per esempio, la finalita` di privare effettivamente i responsabili del beneficio
economico derivante dallinfrazione: art. 11-quater del reg. CEE n. 3483/88 del Consiglio
del 7 novembre 1988 che modifica il regolamento (CEE) n. 2241/87 che istituisce
alcune misure di controllo delle attivita` di pesca (in GUCE, L306 dell11 novembre
1988, p. 2 ss.).
(59) Per ulteriori esempi di penetranti vincoli alle scelte sanzionatorie nazionali in
caso di violazione delle prescrizioni comunitarie cfr., tra gli altri: lart. 31 del reg. CE
2847/93 del Consiglio del 12 ottobre 1993 che istituisce un regime di controllo
applicabile nellambito della politica comune della pesca (in GUCE L261 del 20 ottobre
1993, p. 1 ss.); lart. 4 del reg. CE 858/94 del Consiglio del 12 aprile 1994 che istituisce
un regime di registrazione statistica relativo al tonno rosso (Thunnus thynnus) nella
Comunita` (in GUCE L99 del 19 aprile 1994, p. 1 ss.).
(60) Per la verita`, a piu` riprese il legislatore comunitario ha cercato di prevedere
a carico degli Stati puntuali obblighi di incriminazione, ma sinora tutti i progetti di atti
orientati in tal senso si sono invariabilmente arenati a causa del comportamento
ostruzionistico degli Stati membri. Per un rapido esame di taluni progetti di direttive
contenenti norme a carattere esplicitamente penale poi abortite per il fermo dissenso del
Consiglio cfr. DUTOIT, Droit pe`nal et Union Europe`enne: un mariage difficile, in Le droit
pe nal et ses liens avec les autres branches du droit. Me langes en lhonneur du Professeur
Jean Gauthier, Berna, 1996, p. 266.

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europea di obbligare gli Stati membri a introdurre sanzioni penali a


tutela di disposizioni contenute in testi di diritto derivato; dibattito
reso piu` acceso dalla recente presentazione di importanti progetti e
proposte di direttive contenenti, per lappunto, obblighi di incriminazione a carico degli Stati membri in caso di violazione delle
relative prescrizioni (61).
A favore della possibilita` per il legislatore comunitario di introdurre obblighi siffatti si sono gia` espressi a piu` riprese la Commissione (62), il Consiglio per bocca del suo servizio giuridico (63) e il
Parlamento europeo (64), questultimo in particolare per bocca della
Commissione giuridica e per il mercato interno (65) e della Commissione per le liberta` e i diritti dei cittadini (66). Anche la prevalente dottrina appare concorde in merito a questa possibilita`, specie
nel caso in cui gli obblighi dincriminazione siano contenuti in
direttive. Il tal caso, infatti, nonostante il ben noto problema connesso al deficit democratico comunitario (67), detti obblighi non sem(61) Cfr. la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
alla tutela penale degli interessi finanziari della Comunita`, COM (2001) 272, in GUCE
C 240 E del 28 agosto 2001 pag. 125 ss. E cfr. altres` la Proposta di direttiva del
Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alla protezione dellambiente attraverso il
diritto penale, COM (2001) 139 def., in GUCE C 180 E del 26 giugno 2001, pag. 238.
(62) La quale da molti anni si batte per il riconoscimento di una piena competenza
penale della Comunita`, ancorche se del caso circoscritta alla tutela degli interessi
finanziari CE. Cfr., da ultimo, il doc. SEC(2001)227, Documento di lavoro dei servizi
della Commissione sullo stabilimento di un acquis relativamente alle sanzioni penali.
(63) Come noto, infatti, il servizio giuridico del Consiglio sostiene che nella
misura in cui il legislatore comunitario ritiene che il rispetto delle norme comunitarie
non possa essere assicurato se non attraverso il ricorso a sanzioni penali, in tal caso esso
dispone della capacita` giuridica di obbligare gli Stati membri a prevedere tali misure:
Parlamento europeo, Documento di lavoro sulle basi giuridiche e il rispetto del diritto
comunitario, (2001/2151(INI)) del 24 giugno 2002, PE 319.680, p. 7.
(64) Cfr. ancora, per puntuali riferimenti, Parlamento europeo, Documento di
lavoro sulle basi giuridiche e il rispetto del diritto comunitario, cit., p. 4 ss.
(65) Cfr. ivi, p. 5.
(66) Cfr. doc. A5-390/2001.
(67) E` risaputo infatti che il trasferimento alla Comunita` di una parte delle
competenze statuali, e dunque la sottrazione di queste ultime al potere dei Parlamenti
nazionali, non ha trovato quale adeguato pendant lattribuzione di tali competenze al
Parlamento europeo, unico organo della Comunita` democraticamente legittimato. Nonostante il progressivo ampliamento dei poteri di tale organo, ancor oggi e` essenzialmente il Consiglio europeo a detenere la competenza legislativa in ambito comunitario;

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brerebbero porre problemi neppure rispetto del principio di legalita`


in materia penale (68). Cio`, quantomeno, ove in sede di recepimento
delle direttive contenenti disposizioni deputate ad essere salvaguardate per mezzo di sanzioni criminali si faccia ricorso nei singoli Stati
dellUnione a meccanismi normativi conformi ai requisiti legali ivi
imposti per la creazione di fattispecie penali (69).
In questo senso nonostante che da ultimo i dubbi circa la
di conseguenza, come viene costantemente sottolineato, il trasferimento di poteri dagli
Stati alla Comunita` si traduce, in sostanza, in un trasferimento di poteri dai Parlamenti
nazionali ai Governi nazionali riuniti nel Consiglio. VILLANI, Il deficit democratico nella
formazione delle norme comunitarie, in Dir. com. scambi intern., 1992, p. 600. Cfr. altres`,
tra gli altri, CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione comunitaria, Milano, 1995, p. 67
ss.; VACCA, Atti comunitari e procedure di formazione, in Riv. dir. eur., 1995, p. 520 ss.;
volendo BERNARDI, Verso una codificazione penale europea? Ostacoli e prospettive, in
Annali dellUniversita` di Ferrara - Scienze giuridiche, Saggi III, 1996, p. 82 ss.
(68) In questo senso cfr., in generale e per tutti, BERNARDI, Principi di diritto e
diritto penale europeo, cit., p. 163 ss., e bibliografia ivi riportata; DANNECKER, Armonizzazione del diritto penale allinterno della Comunita` europea, in Riv. trim. dir. pen. econ.,
1994, p. 987; FORNASIER, Le pouvoir repressif des Communautes europe ennes et la
protection de leurs inte re ts financiers, in Rev. Marche commun, 1992, p. 413; GRASSO,
Comunita` europee e diritto penale, cit., p. 92 ss. e p. 194 ss., con ulteriori riferimenti
bibliografici; PEDRAZZI, Il ravvicinamento delle legislazioni penali nellambito della Comunita` economica europea, in Indice pen., 1967, p. 328 ss.; ZULEEG, Der Beitrag des
Strafrechts zur Europa ischen Integration, cit., p. 53 ss. In termini piu` problematici cfr.
HUET, KOERING-JOULIN, Droit pe nal international, Paris, 1994, p. 149, con ulteriori
riferimenti bibliografici; HUGGER, The European Communitys Competence to Prescribe
National Criminal Sanctions, in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal
Justice, 1995, n. 3, p. 251 ss.; VERVAELE, Administrative Sanctioning Powers of and in the
Comunity. Tovards a System of European Administrative Sanctions?, in Administrative
Law Application and Enforcement of community Law in the Netherlands, Deventer, 1994,
p. 174. La tesi fortemente minoritaria in base alla quale le direttive con obblighi
dincriminazione devono ritenersi in contrasto col principio di legalita` e` sostenuta da
OEHLER, Der europa ische Binnenmarkt und sein wirtschaftsstrafrechtlicher Schutz, in
Festschrift Baumann, Bielefeld, 1992, p. 565 ss.; PATRONO, Diritto penale dellimpresa e
interessi umani fondamentali, Padova, 1993, p. 154.
(69) Peraltro, in merito al deficit di legalita` insito nel meccanismo italiano di
recepimento delle direttive penalmente tutelate cfr., diffusamente, BERNARDI, I principi e
criteri direttivi in tema di sanzioni nelle recenti leggi comunitarie, in Annali dellUniversita`
di Ferrara - Scienze Giuridiche, vol. XIV, 2000, in particolare p. 78 ss.; DOLCINI, Principi
costituzionali e diritto penale alle soglie del nuovo millennio, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1999, p. 14-15; MARINUCCI, DOLCINI, Corso di diritto penale. 1. le norme penali: fonti e
limiti di applicabilita`. Il reato: nozione, struttura e sistematica, Milano, 2001, p. 47 ss.;
PALAZZO, Introduzione ai princpi del diritto penale, Torino, 1999, p. 247-248.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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sussistenza di una competenza comunitaria a varare direttive contenenti obblighi di incriminazione a carico degli Stati membri siano
stati riproposti con forza (70) sembra di poter concludere ribadendo la legittimita` di direttive siffatte. Il che, naturalmente, non
equivale ad affermare la sussistenza in capo alla Comunita` di un
indiscriminato potere di imporre risposte di tipo penale per qualsivoglia violazione del diritto comunitario, indipendentemente dalla
sua gravita` (71). Infatti, al pari di ogni altra disposizione comunitaria,
i vincoli sanzionatori contenuti nelle direttive sono sindacabili dalla
Corte di giustizia in merito alla loro conformita` ai principi generali
del diritto comunitario, e segnatamente al principio di proporzionestretta necessita` della sanzione (72): pertanto il legislatore europeo
non potrebbe indurre gli Stati membri a varare una disciplina
(70) In effetti, con riferimento alla Proposta di direttiva del Parlamento Europeo
e del Consiglio relativa alla protezione dellambiente attraverso il diritto penale del
2001, in seno al Consiglio si e` da ultimo giunti alla conclusione che non potesse essere
raggiunta la maggioranza necessaria alla sua adozione, ritenendosi che tale proposta vada
al di la` delle competenze attribuite alla Comunita` dal Trattato CE. Si e` altres` ritenuto
che gli obiettivi perseguiti dalla proposta di direttiva in questione possano essere
raggiunti mediante una decisione quadro basata sul titolo VI del Trattato UE, ed in
particolare sul relativo art. 34. E` stata cos` adottata la decisione quadro 2003/80/GAI
del Consiglio del 27 gennaio 2003, relativa alla protezione dellambiente attraverso il
diritto penale, in GUCE L29, p. 55 ss. Tuttavia, in merito alla ben diversa efficacia delle
direttive rispetto alle decisioni quadro cfr., infra, sub par. 9, in fine.
(71) Gravita` da valutarsi, come si sa, in rapporto allimportanza del bene tutelato
ed alle modalita` oggettive e soggettive di aggressione allo stesso.
(72) Parallelamente, come vedremo nel prosieguo della trattazione, in sede di
attuazione del diritto comunitario gli Stati membri non potrebbero introdurre nemmeno
spontaneamente una disciplina sanzionatoria eccessivamente severa, in quanto non solo
la normativa comunitaria, ma anche la normativa nazionale di attuazione di testi
comunitari risulta sottoposta al controllo della Corte di giustizia in merito alla sua
conformita` al diritto comunitario primario, e segnatamente al principio di proporzione
della risposta punitiva. In argomento cfr., tra gli altri, CAPOTORTI, Il diritto comunitario
non scritto, cit., p. 409 ss.; CAPELLI, I principi generali come fonte di diritto, cit., p. 548;
DELMAS-MARTY, Le flou du droit: Du code pe nal aux droits de lhomme, Paris, 1986 (trad.
it. Dal codice penale ai diritti delluomo, trad. it., Milano, 1992, in particolare p. 86 ss.;
DE SALVIA, Droit communautaire, droit pe nal et Convention europe enne des droits de
lhomme, in Droit communautaire et droit pe nal, cit., p. 122; RIZ, Diritto penale e diritto
comunitario, cit., p. 467 ss.; TESAURO, I diritti fondamentali nella giurisprudenza della
Corte di Giustizia, in Riv. intern. dir. uomo, 1992, p. 432 ss. e 440; ID., Diritto
comunitario, Padova, 2001, p. 89.

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sanzionatoria sproporzionata per eccesso senza incorrere nella censura della Corte di giustizia.
6.

Il ruolo della giurisprudenza della Corte di giustizia nel ravvicinamento delle risposte punitive nazionali.

Per quanto riguarda ora linflusso esercitato dalla giurisprudenza


comunitaria sulle scelte sanzionatorie dei Paesi membri, va innanzitutto posto in rilievo che tale influsso si manifesta sia in sede di attuazione delle fonti di diritto derivato, sia nellambito di materie aventi
rilevanza comunitaria; va inoltre evidenziato che i giudici di Lussemburgo, nella loro attivita` di controllo delle misure punitive adottate dal
legislatore nazionale, mirano a evitare (ed eventualmente a condannare) la previsione e/o lapplicazione non solo di sanzioni inadeguate
per difetto, ma anche di sanzioni eccessivamente severe.
In proposito, meritano di essere sottolineati gli sviluppi interpretativi cui e` stato assoggettato da tali giudici il principio sancito
dallart. 10, comma 1, TCE, concernente lobbligo di leale cooperazione con la Comunita` (obbligo di fedelta` comunitaria) (73) gravante sui Paesi membri. La Corte di giustizia, dopo aver in un primo
periodo affermato che in base a tale principio gli Stati CE erano
liberi di scegliere le sanzioni interne atte a colpire le violazioni degli
obblighi di fonte comunitaria (74), ha mutato progressivamente il
proprio punto di vista, sostenendo che gli Stati erano tenuti a dare
attuazione alla normativa comunitaria attraverso lintroduzione di
sanzioni realmente efficaci, cioe` funzionali al perseguimento delle
loro finalita` preventive (75). A partire dalla fine degli anni 80, tali
vincoli sanzionatori sono stati ulteriormente precisati dalla Corte di
giustizia, la quale ha stabilito che le violazioni del diritto comunitario
(73) In base al quale Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere
generale e particolare atte ad assicurare lesecuzione degli obblighi derivanti dal presente
trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunita`. Essi facilitano
questultima nelladempimento dei propri compiti.
(74) Cfr. sent. 2 febbraio 1977, causa 50/76 (Amsterdam Bulb BV), in Racc., 1977,
p. 150. Sul punto cfr., per tutti, GRASSO, La formazione di un diritto penale dellUnione
europea, in Prospettive di un diritto penale europeo, cit., p. 9 ss.
(75) Cfr., per tutte, sentt. 10 aprile 1984, cause 14/83 (von Colson) e 76/83 (Harz),
in Racc., 1984, pp. 1908 e 1941.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

devono essere punite nei Paesi membri con sanzioni analoghe a


quelle previste per le violazioni del diritto interno simili per natura e
gravita` (cosiddetto principio di assimilazione) e comunque effettive,
adeguate alla gravita` del fatto e dissuasive (cosiddetto principio di
efficacia-proporzionalita`) (76).
Conseguenza logica del primo dei due principi appena ricordati
e` che ove le violazioni del diritto interno simili per natura e
importanza alle violazioni del diritto comunitario fossero punite in
sede penale, sussisterebbe lobbligo a carico dello Stato di assoggettare a sanzione penale anche le suddette violazioni comunitarie (77). Conseguenza logica del secondo di tali principi e` che, cos`
come chiarito a piu` riprese dalla stessa Corte di giustizia, in relazione
alle piu` gravi violazioni del diritto comunitario solo sanzioni di tipo
penale potrebbero essere riconosciute proporzionate (78).
Lesame della giurisprudenza di Lussemburgo porta dunque a
(76) Cfr. Corte di giustizia, sent. 21 settembre 1989, causa 68/88 (Commissione c.
Grecia), in Racc., 1989, p. 2965 ss.; sent 10 luglio 1990, causa 326/88 (Hansen), cit., p.
2935; sent. 2 ottobre 1991, causa 7/90 (Vandevenne), in Racc., 1991, p. 4387; sentt. 8
giugno 1994, cause 382/92 e 383/92 (Commissione c. Regno Unito), in Racc., 1994, p.
2475 e p. 2494; sent. 26 ottobre 1995, causa 36/94 (Siesse), in Racc., p. 3573, punto 20;
sent. 12 settembre 1996, cause riunite 58/95, 75/95, 112/95, 119/95, 123/95, 135/95,
140/95, 141/95, 154/95, 157/95 (Gallotti), in Racc., 1996, p. 4345; sent. 27 febbraio
1997, causa 177/95 (Ebony), in Racc., 1997, p. 1143 e in Dir. pen. proc., 1998, p. 309, con
nota di RIONDATO. In merito ai problemi di coordinamento tra i principi di assimilazione
e di efficacia-proporzionalita` cfr., volendo BERNARDI, Profili di incidenza del diritto
comunitario sul diritto penale agroalimentare, cit., p. 127 ss.
(77) Cfr., per tutti, RIZZA, la sanzione delle violazioni da parte dei singoli di norme
comunitarie dirette alla protezione degli interessi finanziari della Comunita` nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in La lotta contro la frode agli interessi finanziari della
Comunita` europea tra prevenzione e repressione, a cura di G. Grasso, Milano, 2000, p. 99.
(78) Cfr., in particolare, ord. 13 luglio 1990, causa C2/88 (Zwartveld), in Racc.,
1990, p. 3365 ss.; sent. 28 gennaio 1999, C-77/97, (Oesterreichische Unilever GmbH e
Smithkline Beecham Markenartikel GmbH), in Dir. pen. proc., 1999, p. 447, con nota di
RIONDATO. In dottrina cfr., in particolare, RIZZA, La sanzione delle violazioni da parte dei
singoli di norme comunitarie dirette alla protezione degli interessi finanziari della Comunita` nella giurisprudenza della Corte di giustizia, cit., p. 118-119. Circa lobbligo per gli
Stati membri (non solo di prevedere in astratto, ma) di applicare in concreto sanzioni
penali in relazione ad atti di violenza commessi su mezzi destinati a trasportare prodotti
agricoli di un altro Stato membro per impedire la liberta` degli scambi intracomunitari
sancita dallart. 28 TCE, cfr. Corte di giustizia, sent. 9 dicembre 1997, in Racc., 1997, p.
I- 6959 ss., in particolare punti 48 ss.

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ALESSANDRO BERNARDI

concludere che anche nel caso in cui manchi un espresso obbligo di


incriminazione da parte del legislatore comunitario, tale obbligo puo`
esser fatto discendere, in via generale, dagli sviluppi del principio di
fedelta` comunitaria di cui allart. 10 comma 1 TCE. Una siffatta
conclusione appare del resto in linea con le finalita` dei Trattati e
della produzione normativa fondata su di essi, tenuto conto del fatto
che risulterebbero esiziali per il mercato unico oasi di impunita` (o di
insufficiente punibilita`, da valutarsi sia in astratto sia in concreto)
rispetto a taluni comportamenti realizzati in violazione del diritto
europeo (79). Tuttavia, una parte della dottrina penale non ha
mancato di manifestare il timore che, attraverso il vincolo delladeguatezza delle scelte sanzionatorie nazionali dirette alla tutela di
norme comunitarie, il diritto europeo finisca col preoccuparsi di
fissare minimi punitivi superabili solo verso lalto e non verso il
basso, con conseguente sacrificio del principio di proporzionalita`stretta necessita` della risposta punitiva; ovvero finisca con lo stimolare forme di tutela penale a tappeto in tendenziale contrasto col
principio di extrema ratio dellintervento penale (80). Certamente, il
rischio che le esigenze di una efficace salvaguardia della normativa
comunitaria possano condurre ad un indebito rigore delle risposte
punitive nazionali, ovvero ad una eccessiva proliferazione di fattispecie penali non puo` essere del tutto escluso. Resta comunque il
fatto che le applicazioni sul versante sanzionatorio del principio di
(79) In questo senso, merita di essere ricordato che di recente la Corte dAppello
di Lecce e le sezioni I e IV del Tribunale di Milano hanno sollevato davanti ai giudici di
Lussemburgo talune questioni pregiudiziali in merito alla legittimita` comunitaria della
nuova disciplina sanzionatoria, complessivamente intesa, dettata dallart. 2621 c.c. In
particolare, i summenzionati organi giudiziari nazionali hanno ipotizzato la mancanza di
effettivita`, proporzionalita` e dissuasivita` di tale disciplina, tenuto anche conto delle
norme e della prassi di diritto sostanziale e processuale vigenti nel nostro Paese. In
argomento cfr., per tutti, FOFFANI, Verso un nuovo diritto penale societario: i punti critici
della legge delega, in Cass. pen., 2001, p. 3247 ss.; DI MARTINO, Disciplina degli illeciti
societari in bilico tra legalita` nazionale e legittimita` comunitaria, in Guida al diritto, 2002,
n. 45, p. 113 ss.; LETTIERI, Falso in bilancio e diritto comunitario. Incertezze sulla
conformita` della riforma alle norme UE, in Diritto e giustizia, 2002, n. 46, p. 48 ss.; SOTIS,
Obblighi comunitari di tutela e opzione penale: una dialettica perpetua?, in Riv. it. dir.
proc. pen., 2002, p. 171 ss.
(80) Cfr., da ultimo e per tutti, VOGEL, Europa ische Kriminalpolitik - europa ische
Strafrechtsdogmatik, in GA, 2002, p. 527.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

fedelta` comunitaria implicano forme di armonizzazione normativa


interstatuale condotte nel segno non solo di un incremento, ma
anche di un decremento del livello di severita` delle sanzioni nazionali e/o del complessivo ambito del penalmente rilevante. Cio`
accade sia come si e` visto laddove attraverso il diritto
comunitario vengano consentiti comportamenti vietati a livello nazionale (81) sia come ci accingiamo a vedere laddove il diritto
comunitario imponga una attenuazione della sanzione nazionale,
ovvero una vera e propria depenalizzazione di taluni comportamenti
legittimamente vietati dagli Stati, ma comunque assoggettati in
questi ultimi a risposte punitive da ritenersi troppo severe alla luce
dellordinamento giuridico europeo.
Il riferimento normativo primario atto a conferire alla Corte di
giustizia europea il ruolo di calmiere degli eccessi rigoristici nazionali nei settori normativi di rilievo comunitario e` costituito dallart.
10 comma 2 TCE, in base al quale gli Stati membri si astengono da
qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli
scopi del Trattato CE. Costantemente interpretata dai giudici di
Lussemburgo alla luce del principio generale di proporzione, la
norma in questione ha infatti portato a ritenere comunitariamente
illegittime le sanzioni nazionali che non si rivelassero strettamente
necessarie in relazione alla tutela degli interessi in gioco. Piu` precisamente a seguito di numerosi ricorsi pregiudiziali alla Corte di
giustizia, effettuati ex art. 234 TCE da giudici nazionali dubbiosi
della conformita` al diritto comunitario di talune scelte punitive del
legislatore interno la Corte non si e` limitata ad offrire risposte
vaghe, volte esclusivamente a ribadire in linea di principio che la
proporzionalita` costituisce un requisito di legittimita` delle risposte
sanzionatorie nazionali in settori normativi di rilievo comunitario (82). In particolare, travalicando di fatto le sue naturali funzioni (83), la Corte ha anche a piu` riprese affermato senza mezzi termini
(81) Si allude, beninteso, allincidenza disapplicativa (e se del caso anche abrogativa) del diritto comunitario su talune fattispecie penali nazionali, in merito alla quale cfr.
supra, sub par. 3.1, lett. c).
(82) Una risposta di questo tipo si rinviene, ad esempio, nella sentenza 14 luglio
1977, causa 8/77 (Sagulo), p. 1509.
(83) Funzioni che dovrebbero consistere nel fornire lesatto significato delle
norme comunitarie su cui il giudice nazionale ricorrente chiede ragguagli, senza pro-

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ALESSANDRO BERNARDI

che le sanzioni utilizzate dallo Stato nel caso di specie dovevano


ritenersi in contrasto con la normativa europea (84), in quanto
eccessive tenuto conto della natura dellillecito, del comportamento
dellautore, e di altri eventuali indici di gravita` del fatto (85). Si e`
cos` imposta prima la disapplicazione della norma punitiva interna
da parte del giudice nazionale, e quindi la riforma della normativa di
settore nel segno di una revisione del tipo e/o del quantum delle
sanzioni da essa comminate (86), cos` da attenuare il complessivo
livello di afflittivita` di queste ultime.
7.

Le sanzioni amministrative comunitarie e la loro attitudine a


condizionare i sistemi punitivi dei Paesi membri.

Allinterno dei Paesi membri il fenomeno di europeizzazione dei


sistemi penali (e penal-amministrativi) risulta favorito non solo dalle
convenzioni darmonizzazione elaborate nellambito del Consiglio
nunciarsi sulla conformita` o meno del diritto nazionale rispetto a tali norme. Cio` in
quanto, per lappunto, tale giudizio spetta al giudice nazionale, che giudichera` tenendo
conto dellinterpretazione data dalla Corte di giustizia sulla norme comunitarie in
questione. In proposito cfr., ad esempio, RIZ, Diritto penale e diritto comunitario, cit.,
p. 189.
(84) Tale forma di ingerenza della Corte di giustizia in valutazioni riservate, in
linea di principio, al giudice nazionale ricorrente e` dovuta al fatto che, sovente, i giudici
di Lussemburgo forniscono risposte cos` articolate, da prendere di fatto posizione in
merito alla controversia che il giudice interno e` chiamato a risolvere, e pertanto da
limitare grandemente il potere discrezionale di questultimo. Cfr., ad esempio, allinterno
di una ricca giurisprudenza, Corte di giustizia, sent. 29 giugno 1978, causa 154/77
(Deckman), in Racc., 1978, p. 1571; ID., sent. 12 ottobre 1978, causa 13/78 (Eggers), ivi,
p. 1935; in dottrina cfr., per tutti, RASMUSSEN, La Corte di giustizia, in Trentanni di diritto
comunitario, Bruxelles-Lussemburgo, 1981, p. 183 ss.
(85) Cfr. gia`, allinterno di un vasto campionario, sent. 26 febbraio 1975, causa
67/74 (Bonsignore), in Racc., 1975, p. 306-307; sent. 8 aprile 1976, causa 48/75, (Royer),
in Racc., 1976, p. 517; sent. 7 luglio 1976, causa 118/75 (Watson e Belmann), in Racc.,
1976, p. 1189; sent. 15 dicembre 1976, causa 41/76, (Donckerwolcke), in Racc., 1976, p.
1936. Cfr. altres`, per tutte, sent. 25 febbraio 1988, causa 299/86, (Drexl), in Racc., 1988,
p. 13 ss.
(86) In argomento cfr., amplius e per tutti, BERNARDI, Principi di diritto e diritto
penale europeo, cit., p. 196 ss.; RIZZA, la sanzione delle violazioni da parte dei singoli di
norme comunitarie dirette alla protezione degli interessi finanziari della Comunita` nella
giurisprudenza della Corte di giustizia, cit., p. 138 ss.; TESAURO, Diritto comunitario, cit.,
p. 105.

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dEuropa e dal sin qui descritto processo di armonizzazione di


precetti e sanzioni nazionali ad opera delle fonti legislative comunitarie e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia; ma anche dallo
stesso sistema di sanzioni amministrative CE legittimato dai trattati
europei.
Nellimpossibilita` di descrivere compiutamente, in questa sede,
i lineamenti di tale sistema di sanzioni CE, bastera` ricordare che i
suddetti trattati contengono talune norme che espressamente sanciscono una competenza comunitaria in ambito punitivo (87); e contengono altres` ulteriori norme che sembrano implicitamente ammettere la possibilita` per le istituzioni comunitarie di adottare atti
corredati di misure punitive sovrastatuali nei diversi settori di
competenza CE, laddove tali misure si rivelino utili o necessarie
al raggiungimento degli obiettivi prefissati dagli atti in questione (88).
In virtu` di questa duplice base giuridica, sono state varate due
differenti categorie di regolamenti comunitari: la prima prevede le
cosiddette sanzioni amministrative CE a carattere accentrato,
costituite da ammende e indennita` di mora (89) irrogate e direttamente applicate dalle istituzioni comunitarie (90); la seconda prevede
le cosiddette sanzioni amministrative CE a carattere decentrato,
costituite da misure interdittive e/o patrimoniali irrogate dalle isti(87) Cfr. gli artt. 47 comma 3, 54, comma 6, 58 par. 4, 59 par. 7, 64, 65, par. 5 e
par. 6, 66 par. 6, 68 par. 6 del Trattato CECA e lart. 87 del Trattato CE.
(88) Per piu` ampi sviluppi in argomento cfr., tra gli altri, GRASSO, Le prospettive
di formazione di un diritto penale dellUnione europea, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1995,
p. 1171-1172; HAGUENAU, Lapplication effective du droit communautaire en droit interne,
Bruxelles, 1995, p. 551 ss.; RIONDATO, Competenza penale della Comunita` europea.
Problemi di attribuzione attraverso la giurisprudenza, cit., p. 53 ss., con ulteriori riferimenti bibliografici; SCHOCKWEILER, La re pression des infractions au droit communautaire
dans la jurisprudence de la Cour, in La protection du budget communautaire et lassistence
entre Etats, Luxembourg, 1995, p. 67 ss.; TESAURO, La sanction des infractions au droit
communautaire, cit., p. 502 ss.; TIEDEMANN, Diritto comunitario e diritto penale, cit., p.
220 ss. e relativa bibliografia.
(89) Tali sanzioni sono previste, in particolare, nei regolamenti CEE nn. 11/60,
17/62, 1017/68, 4056/86, 4064/89, basate sullart. 83 TCE
(90) In argomento cfr., diffusamente e per tutti, BO} SE, Strafen und Sanktionen im
Europa ischen Gemeinschaftsrecht, Ko ln-Berlin-Bonn-Mu nchen, 1996, p. 137 ss.; MAUGERI, Il regolamento n. 2988/95: un modello di disciplina del potere punitivo comunitario,
in La lotta contro la frode agli interessi finanziari della Comunita` europea tra prevenzione
e repressione, cit., p. 170 ss., con ulteriori riferimenti bibliografici.

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tuzioni comunitarie ma applicate dalle autorita` amministrative degli


Stati membri (91).
Ora, e` evidente che le sanzioni CE appartenenti alla prima
categoria, proprio in quanto applicate dagli organi comunitari, non
consentono nessun margine nazionale di adattamento in sede di
commisurazione, dando cos` vita ad una unificazione punitiva su
scala europea, sia pur limitata ad assai circoscritti settori normativi.
Per contro, le sanzioni CE rientranti nella seconda categoria comportano unopera di mera armonizzazione punitiva interstatuale,
venendo applicate in base a una disciplina uniformizzata solo nei
suoi profili essenziali (92), che lascia per il resto in vigore le singole
discipline nazionali in tema di sanzioni amministrative, e in particolare le relative prassi commisurative fatte proprie dalle autorita` di
ciascun Paese. In ogni caso, tale opera di armonizzazione risulta
anchessa circoscritta, in quanto le suddette sanzioni sono state
(91) Misure consistenti, volta a volta, in forme di esclusione o diminuzione degli
aiuti e benefici CE, ovvero in obblighi di restituzione delle erogazioni comunitarie
concesse, previa maggiorazione del loro importo monetario in funzione afflittivopunitiva. Si pensi, ad esempio, alla perdita totale di taluni premi speciali dovuti ai
produttori di carne bovina (art. 9, reg. 714/1989), allesclusione dai benefici dovuti per
lanno successivo (art. 8 reg. 1738/1989), alla diminuzione dellaiuto concesso (art. 5 reg.
915/1989), allobbligo di restituire la somma ricevuta maggiorata di una percentuale
predeterminata (art. 13 reg. 3813/1989, e successive modifiche). In merito a tali sanzioni
cfr., amplius e per tutti, BO} SE, Strafen und Sanktionen im Europa ischen Gemeinschaftsrecht, cit., p. 253 ss.; GRASSO, Nuove prospettive in tema di sanzioni amministrative
comunitarie, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1994, p. 865 ss.; HEITZER, Punitive Sanktionen im
Europa ischen Gemeinschaftsrecht, Heidelberg, 1997, p. 47 ss.; MAUGERI, Il regolamento n.
2988/95: un modello di disciplina del potere punitivo comunitario, cit., p. 174 ss.;
PISANESCHI, Le sanzioni amministrative comunitarie, Padova, 1998, p. 97 ss.; RIZZA, La
sanzione delle violazioni da parte dei singoli di norme comunitarie dirette alla protezione
degli interessi finanziari della Comunita` nella giurisprudenza della Corte di giustizia, cit.,
p. 104 ss.; SALCUNI, La nozione comunitaria di pena: preludio ad una teoria comunitaria del
reato?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, p. 231; STUYCK, DENYS, Les sanctions communautaires, in La justice pe nale et lEurope, a cura di F. Tulkens, H.-D. Bosly, Bruxelles,
1996, p. 436 ss.; VERVAELE, Administrative Sanctioning Powers of and in the Comunity.
Tovards a System of European Administrative Sanctions?, cit., p. 196 ss.
(92) Come noto, tale disciplina e` stata introdotta dal regolamento (CE, Euratom)
n. 2988/95 del Consiglio del 18 dicembre 1995, relativo alla tutela degli interessi
finanziari della Comunita` (in GUCE L312 del 23 dicembre 1995, p. 1), limitatamente
al quale cfr. MAUGERI, Il regolamento n. 2988/95: un modello di disciplina del potere
punitivo comunitario, cit., p. 149 ss.

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sinora utilizzate solo in un limitato numero di settori normativi


comunitari, e in particolare in quelli della agricoltura e della pesca.
Appare tuttavia verosimile che in futuro si finisca col fare un piu`
largo ricorso a queste sanzioni: e cio` sia in virtu` delle precisazioni
fornite in merito alla loro disciplina e al loro ambito dapplicazione
dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (93) e dal regolamento
2988/95 (94); sia grazie alla varieta` tipologica e agli stessi contenuti di
tali sanzioni, che sembrano garantire loro una notevole efficacia
generalpreventiva e specialpreventiva; sia infine in ragione degli
evidenti vantaggi offerti da una disciplina sanzionatoria almeno
tendenzialmente uniforme su scala continentale (95). In questo
senso, nonostante che i principi di sussidiarieta` (96), di fedelta`
comunitaria (97) e di necessita` dellintervento sanzionatorio comunitario (98) tendano tuttora ad attribuire prioritariamente agli Stati il
(93) Cfr. sent. 27 ottobre 1992, causa 240/90 (Repubblica federale di Germania c.
Commissione), in Riv. trim. dir. pen. econ., 1993, p. 739 ss., con nota di GRASSO, Recenti
sviluppi in tema di sanzioni amministrative comunitarie, p. 740 ss.
(94) Ai sensi dellottavo considerando del regolamento in questione, tali sanzioni
dovranno anche essere previste in altri campi oltre a quelli nei quali esse hanno gia`
trovato applicazione.
(95) Si pensi, in particolare, alla possibilita` di garantire condizioni di eguaglianza
tra gli operatori europei, alla eliminazione dei tanto dannosi paradisi tuttora esistenti
specie nellambito delle attivita` illegali a carattere transnazionale, al fatto di garantire
conoscibilita` e certezza alle risposte sanzionatorie, non piu` polverizzate in una miriade
di soluzioni anche profondamente diverse da uno Stato allaltro.
(96) Previsto, come noto, dallart. 5 TCE, in base al quale Nei settori che non
sono di sua esclusiva competenza la Comunita` interviene secondo il principio di
sussidiarieta`, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dellazione prevista non
possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e, a motivo delle dimensioni o degli effetti dellazione in questione, possono essere realizzati meglio a livello
comunitario. Per quanto qui specificamente interessa, merita di essere ricordato che la
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul ruolo delle
sanzioni per lattuazione della legislazione comunitaria nellambito del Mercato interno,
COM(95) 162 final, (Bruxelles 3 maggio 1995) p. 2 del testo dattiloscritto sottolinea
come la situazione di generalizzata carenza di strumenti sanzionatori comunitari sia
perfettamente coerente in una prospettiva di sussidiarieta`.
(97) In merito al quale cfr., supra, sub par. 3, nt. 27.
(98) Sul principio di necessita` delle sanzioni comunitarie cfr., con differenti
sfumature, MISSIR DI LUSIGNANO, La protection des inte re ts financiers de la Communaute .
Perspectives et re alite s, in Journal des Tribunaux europe ens, 1996, par. 2.3.1. del testo
dattiloscritto; RIONDATO, Competenza penale della Comunita` europea. Problemi di attri-

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ALESSANDRO BERNARDI

compito di tutelare leffettivita` del diritto comunitario attraverso il


ricorso a misure punitive (99), appare verosimile che il sistema delle
sanzioni amministrative CE finisca con lassumere notevolissima
importanza in ambito europeo.
Orbene, tutto cio` premesso, sembra di poter dire che questo
articolato sistema di sanzioni, lungi dal costituire un fenomeno
chiuso in se stesso, e` destinato ad avere significativi riflessi sugli
ordinamenti punitivi nazionali.
Certamente, tali riflessi dovrebbero manifestarsi innanzitutto
sulle discipline nazionali in tema di sanzioni amministrative, specie
laddove i Paesi membri versino in una situazione simile a quella che
caratterizzava lItalia prima della promulgazione della l.
689/1981 (100), e dunque non prevedano ancora una puntuale,
generale regolamentazione dellillecito amministrativo. In questo
caso, infatti, la disciplina elaborata al riguardo a livello comunitario
potrebbe costituire un interessante modello di riferimento, cui
improntare almeno in linea tendenziale i rispettivi sistemi nazionali.
In tal modo, oltretutto, gli organi nazionali deputati allapplicazione
delle sanzioni amministrative potrebbero adottare procedure tendenzialmente omogenee, indipendentemente dal fatto che le suddette sanzioni siano di matrice nazionale ovvero comunitaria (limitatamente alle gia` ricordate sanzioni CE decentrate).
Tuttavia linfluenza esercitata dal sistema punitivo comunitario,
lungi dal manifestarsi solo sui sistemi amministrativi dei Paesi
dellUnione, potrebbe estendersi anche ai relativi sistemi penali,
stante che un significativo utilizzo di sanzioni amministrative CE
potrebbe giustificare, quantomeno nei relativi settori normativi, un
buzione attraverso la giurisprudenza, cit., p. 132 ss. (ove il principio di necessita` e`
analizzato in relazione ad una vera e propria competenza penale comunitaria);
SCHOCKWEILER, La re pression des infractions au droit communautaire dans la jurisprudence
de la Cour, cit., p. 67 ss.; STUYCK, DENYS, Les sanctions communautaires, cit., p. 429 ss.
(99) In questo senso cfr. lo stesso DE ANGELIS, La protezione giuridica degli interessi
finanziari della Comunita` Europea: evoluzione e prospettive, in Prospettive di diritto penale
in Europa, cit., p. 39.
(100) Come noto, infatti, la l. 24 novembre 1981 n. 689 Modifiche al sistema
penale ha dettato innanzitutto alle sezioni I e II del capo I una articolata
disciplina della sanzione amministrativa pecuniaria, sottraendo cos` questultima a
quellalone di incertezza che laveva sino allora caratterizzata, e che implicitamente ne
sconsigliava un uso generalizzato.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

ulteriore processo di depenalizzazione allinterno dei singoli Paesi


membri (101). Senza contare che, dati gli indiscussi punti di convergenza riscontrabili in molti Stati europei tra la disciplina dellillecito
penale e quella dellillecito amministrativo, le soluzioni accolte
rispetto a questultimo a livello comunitario potrebbero non risultare scevre dinteresse per i sistemi penali nazionali, specie nella
prospettiva di un loro reciproco ravvicinamento (102).
8. Agli albori di una politica criminale europea. In particolare, le
direttive comunitarie volte a predeterminare gli elementi costitutivi delle fattispecie astratte.
Per quanto sin qui visto, e` possibile affermare che lesigenza di
dare integrale attuazione al diritto comunitario allinterno dei Paesi
membri implica un articolato processo di armonizzazione dei precetti e sanzioni previsti sia in funzione di tutela delle norme contenute in regolamenti e direttive CE sia, piu` in generale, nellambito
delle materie aventi rilevanza comunitaria: processo, invero, assai
articolato e complesso, ma comunque destinato a sempre maggiori
sviluppi. Prende cos` lentamente corpo una sorta di sia pur minimale
politica criminale europea, caratterizzata dallerosione della discrezionalita` legislativa nazionale in merito alla costruzione delle
fattispecie penali e delle relative comminatorie edittali in tutti i
settori normativi (anchessi in via di progressiva estensione) in cui la
Comunita` ha una competenza esclusiva o concorrente.
Ora, merita di essere sottolineato che questo fenomeno di
emersione di una politica criminale europea in nuce diventa particolarmente evidente laddove le norme comunitarie, anziche limitarsi
a contenere prescrizioni extrapenali di natura tecnica destinate a
venire tutelate con apposite sanzioni, mirano esplicitamente ad una
(101) Si allude, beninteso, allipotesi in cui talune norme di fonte comunitaria
volte alla salvaguardia di beni di importanza non primaria, oggi tutelate per mezzo di
sanzioni nazionali di natura penale, possano in futuro vedere la loro effettivita` garantita
per mezzo di sanzioni amministrative CE.
(102) Il pensiero corre, in particolare, al principio di retroattivita` favorevole
previsto allart. 2, n. 2 del reg. 2988/1995, che potrebbe favorire un processo riformistico
a livello europeo volto ad attenuare le differenze riscontrabili sul punto allinterno dei
sistemi penali nazionali.

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ALESSANDRO BERNARDI

omogeneizzazione a livello interstatuale proprio delle norme punitive volte a colpire attivita` illecite di rilievo europeo. In tali ipotesi,
infatti, i lineamenti delle fattispecie interne risultano fortemente
condizionati non gia` dalle prescrizioni extrapenali di matrice comunitaria bisognose di tutela ma, in modo ancor piu` immediato, dalla
predeterminazione a livello comunitario proprio dei profili essenziali
delle fattispecie dirette a controllare taluni fenomeni criminali di
particolare interesse.
In proposito, va posto in rilievo come le direttive comunitarie a
carattere espressamente sanzionatorio peraltro sino ad oggi varate
in numero alquanto ridotto (103) da un lato definiscano con
estrema meticolosita` i comportamenti che gli Stati sono chiamati a
sanzionare (104) predeterminando gli elementi essenziali delle fattispecie; dallaltro lato pur non contenendo veri e propri obblighi
di incriminazione (105) lascino chiaramente intendere quali siano
le tipologie di misure punitive che il legislatore comunitario ritiene
(103) Cfr., innanzitutto, dir. del Consiglio 89/592/CEE del 13 novembre 1989 sul
coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in
possesso di informazioni privilegiate (insider trading), in GUCE, L334 del 18 novembre
1989, p. 30 ss.; dir. del Consiglio 91/308/CEE del 10 giugno 1991 relativa alla
prevenzione delluso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita`
illecite, in GUCE, L166 del 28 giugno 1991, p. 77 ss. Cfr., altres`, dir. del Consiglio
91/250/CEE del 14 maggio 1991 relativa alla tutela giuridica dei programmi per
elaboratore, in GUCE, L122 del 17 maggio 1991, p. 42 ss.
(104) Cfr., ad esempio, lart. 7 della succitata dir. 91/250/CEE, in base al quale 1.
Fatte salve le disposizioni degli articoli 4, 5 e 6, gli Stati membri stabiliscono, conformemente alle legislazioni nazionali, appropriate misure nei confronti della persona che
compie uno degli atti elencati alle seguenti lettere a), b) e c):
a) ogni atto di messa in circolazione di una copia di un programma per
elaboratore da parte di chi sappia o abbia motivo di ritenere che si tratta di copia illecita;
b) la detenzione a scopo commerciale di una copia di un programma per
elaboratore da parte di chi sappia o abbia motivo di ritenere che si tratta di copia illecita;
c) ogni atto di messa in circolazione, o la detenzione a scopo commerciale, di
qualsiasi mezzo unicamente inteso a facilitare la rimozione non autorizzata o lelusione
di dispositivi tecnici eventualmente applicati a protezione di un programma.
2. Ogni copia illecita di un programma per elaboratore e` passibile di sequestro,
conformemente alla legislazione dello Stato membro interessato.
3. Gli Stati membri possono prevedere il sequestro di qualsiasi mezzo contemplato
dal paragrafo 1, lettera c).
(105) Rispetto ai quali, come in precedenza si e` detto, sussistono tuttora forti
resistenze da parte dei Governi. Cfr., supra, sub par. 5, nt. 70.

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(2002)

piu` appropriate in relazione ai suddetti comportamenti (106), tanto


da indurre una parte della dottrina a considerare le direttive in
questione intonate in senso penalistico (107). Ora, il fatto che gli
organi comunitari di produzione normativa abbiano manifestato, in
relazione alle violazioni delle norme contenute in queste direttive, la
preferenza verso soluzioni preventivo-repressive di tipo penale, ha
probabilmente contribuito a far s` che gli Stati membri prendessero
di comune accordo limpegno scritto di adottare, almeno rispetto ad
alcune delle violazioni in oggetto, sanzioni penali (108). Ma, con ogni
probabilita`, sarebbe un errore sopravvalutare la forza persuasiva
delle indicazioni sanzionatorie contenute nelle suddette direttive a
sfondo penale. E` infatti verosimile che sullimpegno degli Stati
membri allimpiego di sanzioni penali nei casi summenzionati abbiano contribuito, in misura forse piu` determinante, concomitanti e
convergenti obblighi di fonte convenzionale a carattere ben piu`
vincolante (109).
In realta`, a causa delle evidenti difficolta` di adottare direttive a
contenuto stricto sensu penale, e` presto apparso chiaro che le
direttive a carattere espressamente sanzionatorio concernenti comportamenti illeciti di particolare rilievo comunitario si prestano ad
armonizzare i divieti assai meglio di quanto non riescano a fare
rispetto alle relative risposte punitive; e che quindi una penetrante
omogeneizzazione su scala europea di queste ultime possa essere
realizzata solo grazie allutilizzo di strumenti normativi diversi da
quelli tradizionalmente adottati in ambito comunitario.
(106) MANACORDA, Lefficacia estensiva del diritto comunitario sul diritto penale,
Foro it., 1995, IV, c. 65.
(107) RIONDATO, Competenza penale della Comunita` europea. Problemi di attribuzione attraverso la giurisprudenza, cit., p. 127.
(108) In argomento cfr. le considerazioni di DI MARTINO, Commento alla l.
9/8/1993 n. 328 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il
sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l8 novembre 1990, sub art.
4, in LP, 1994, p. 423; MANACORDA, Lefficacia estensiva del diritto comunitario sul diritto
penale, cit., c. 66; SALAZAR, Riciclaggio dei capitali: direttiva comunitaria e legislazione
italiana, in Foro it., 1991, c. 470.
(109) Cfr. la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, adottata a Vienna il 19 dicembre 1988 (art. 3.1) e,
soprattutto, la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei
proventi di reato, adottata a Strasburgo l8 novembre 1990 (art. 6).

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ALESSANDRO BERNARDI

9.

Ledificazione del terzo pilastro dellUnione per la cooperazione e


larmonizzazione penale. Il ruolo delle decisioni quadro nella
realizzazione di una effettiva politica criminale europea.

Gli ostacoli frapposti dai governi nazionali allintroduzione di


direttive darmonizzazione penale costituiscono, indubbiamente,
una delle piu` significative espressioni della difficolta` di questi ultimi
ad accettare un ampliamento delle competenze comunitarie tale da
includere in esse il campo della giustizia penale. Campo, questo,
tradizionalmente assoggettato al potere sovrano dei Paesi membri, e
per di piu` improntato in molti di tali Paesi ad un principio di legalita`
formale che a`ncora la produzione normativa a procedure democratiche non ancora pienamente recepite in sede comunitaria (110).
Stretti fra la riluttanza a spogliarsi almeno in parte di quella competenza penale che rientra indubbiamente nel nocciolo duro della
sovranita` nazionale e la consapevolezza dellimpossibilita` di affidare
con successo al tradizionale metodo intergovernativo quel penetrante programma di cooperazione e armonizzazione penale reso
indispensabile dal progredire della costruzione europea, i Paesi
membri hanno optato nel 1992 per una soluzione di compromesso,
ma al contempo radicalmente innovativa. Hanno cioe` deciso nel
Trattato di Maastricht di dare vita ad unUnione europea formata da
tre distinti pilastri, escludendo il settore penale dal quadro istituzionale delle Comunita` (primo pilastro) ed inglobandolo nel
terzo pilastro (111), i cui atti costituiscono un ibrido nellambito
del quale i meccanismi della cooperazione intergovernativa si mescolano a elementi dimpronta comunitaria, nel tentativo di attenuare gli inconvenienti propri delle tradizionali fonti del diritto
internazionale (112).
Questo ibridismo risalta, per vero, gia` dallesame delle convenzioni concluse allinterno del terzo pilastro, in relazione alle quali il
(110) Anche se, come sopra ricordato, in relazione alle direttive il problema del
loro deficit democratico potrebbe risultare sanato dal fatto che esse vengono trasposte nel
diritto interno ad opera del legislatore nazionale. In argomento cfr., tuttavia, quanto
osservato supra, sub par. 5, nt. 68 ss.
(111) Cfr., supra, sub par. 1, nt. 6 ss.
(112) Cfr., da ultimo e per tutti, PIATTOLI, Cooperazione giudiziaria e pubblico
ministero europeo, Milano, 2002, p. 71 ss.

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(2002)

testo definitivo non viene stabilito tramite una conferenza intergovernativa, ma dallo stesso Consiglio CE (113). Si allude, in particolare, alla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari
delle Comunita` europee (cosiddetta Convenzione PIF) adottata a
Bruxelles il 26 luglio 1995, coi suoi tre protocolli integrativi concernenti la corruzione dei funzionari europei, la responsabilita` delle
persone giuridiche e la confisca (114); alla Convenzione del 26 luglio
1995 che istituisce un Ufficio europeo di polizia (Convenzione
Europol); nonche alla Convenzione relativa alla lotta contro la
corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunita`
europee o degli Stati membri dellUnione europea adottata a Bruxelles il 26 maggio 1997 (115).
Resta comunque il fatto che anche le convenzioni adottate
ricorrendo alle interpolazioni procedurali previste dal terzo pilastro (116) postulano pur sempre unopera defatigante di negoziazione
tra gli Stati membri (117), necessitano per la loro entrata in vigore
(113) Cfr. art. 34 lett. d) TUE. Cfr., al riguardo, i rilievi di LO MONACO, Les
instruments juridiques de coope ration dans les domaines de la Justice et des Affaires
inte rieures, in Rev. sc. crim., 1995, p. 18 s.; SICURELLA, Il titolo VI del Trattato di
Maastricht e il diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 1318.
(114) Sul punto cfr., per tutti, LABAYLE, La lutte anti-fraude et le troisie`me pilier, in
La lotta contro la frode agli interessi finanziari della Comunita` europea tra prevenzione e
repressione, cit., p. 302; RIZZA, La sanzione delle violazioni da parte dei singoli di norme
comunitarie dirette alla protezione degli interessi finanziari della Comunita` nella giurisprudenza della Corte di giustizia, cit., p. 115, nt. 68; SALAZAR, Cooperazione giudiziaria e
lotta antifrode, in La lotta contro la frode agli interessi finanziari della Comunita` europea
tra prevenzione e repressione, cit., p. 327 ss.
(115) In argomento cfr., in particolare, SALAZAR, LUnione europea e la lotta alla
criminalita` organizzata da Maastricht ad Amsterdam, in Doc. Giustizia, 1999, c. 393 ss.
(116) E, in particolare, nonostante le ulteriori innovazioni apportate a tali strumenti internazionali dal Trattato di Amsterdam in vista di un piu` intenso ricorso a questi
ultimi. Si allude innanzitutto al fatto che, successivamente a tale Trattato, per lentrata
in vigore di tali convenzioni e` richiesta, salvo disposizione contraria, la ratifica da parte
della meta` anziche di tutti gli Stati membri. Sul punto cfr., per tutti, ADAM, La
cooperazione in materia di giustizia e affari interni tra comunitarizzazione e metodo
intergovernativo, in Dir. Un. Eur., 1998, p. 488; MARGUE, La coope ration en matie`re de
pre vention et de lutte contre le crime dans le cadre du nouveau troisie`me pilier, in Rev. dr.
Un. eur., 2000, p. 737.
(117) Anche perche , come sottolinea lo stesso MARGUE nellarticolo citato alla nota
precedente, ex art. 34 TUE, anche dopo il Trattato di Amsterdam (e dopo il Trattato di
Nizza) in relazione alle convenzioni varate nellambito del terzo pilastro il Consiglio

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ALESSANDRO BERNARDI

della ratifica di almeno la meta` di tali Stati (118), e risultano di


oltremodo difficile modificazione (119). Cosicche , in definitiva, nonostante i suoi indubbi pregi (120), lo strumento convenzionale
presenta gravi limiti cui le peculiarita` conferitegli nellambito del
terzo pilastro dellUnione europea non riescono ad ovviare. In
particolare, lestrema lentezza connessa sia al raggiungimento di un
accordo sia alle procedure di ratifica (121) se da un lato ha indotto gli
Stati membri ad accantonare lidea di continuare a puntare su tale

continua a deliberare allunanimita`. Sul punto cfr. altres`, anche per ulteriori puntualizzazioni, ADAM, La cooperazione in materia di giustizia e affari interni tra comunitarizzazione e metodo intergovernativo, cit., p. 486; nonche , con accenti spiccatamente critici in
ordine al requisito dellunanimita`, OKEEFFE, Recasting the Third Pillar, in Common
Market Law Review, 1995, p. 904; CURTIN, POUW, La coope ration dans le domaine de la
justice et des affaires inte rieures au sein de lUnion europe enne: une nostalgie davant
Maastricht?, in Rev. Marche comm. Un. eur., 1995, p. 30.
(118) Cfr., supra, sub nt. 116. Tale condizione risulta particolarmente gravosa a
causa dellinerzia di taluni Paesi firmatari (sul punto cfr., amplius e per tutti, BERNASCONI,
Nuovi strumenti giudiziari contro la criminalita` economica internazionale, Napoli, 1995, p.
405 ss.; LABAYLE, La coope ration europe enne en matie`re de justice et daffaires inte rieures
et la Confe rence intergouvernementale, in Rev. trim. dr. eur., 1997, p. 1 ss., e bibliografia
ivi riportata; SALAZAR, La cooperazione giudiziaria in materia penale, in Giustizia e affari
interni nellUnione europea. Il terzo pilastro del Trattato di Maastricht, a cura di N. Parisi
e D. Rinoldi, Torino, 1996, in particolare p. 152 ss.), vale a dire a causa della deprecabile
tendenza di questi ultimi prima a firmare e poi a non ratificare le convenzioni e i
protocolli addizionali deputati a realizzare un processo di ravvicinamento settoriale delle
scelte punitive (sul punto cfr., diffusamente, SALAZAR, La costruzione di uno spazio di
liberta`, sicurezza e giustizia dopo il Consiglio europeo di Tampere, in Cass. pen., 2000,
p. 1120).
(119) Un esempio al riguardo e` fornito dalla stessa convenzione Europol, di cui
risulta difficile modificare anche taluni aspetti meramente secondari. Cfr. La Convenzione europea. Relazione finale del Gruppo X Spazio di liberta`, sicurezza e giustizia,
Bruxelles, 2 dicembre 2002, doc. CONV 426/02, p. 7.
(120) In merito ai quali cfr., in prospettiva penalistica, BERNARDI, Strate gies pour
une harmonisation des syste`mes penaux europe ens, in Archives de politique criminelle, n.
24, Paris, 2002, p. 208 ss.
(121) In effetti, in sede europea non si e` mancato recentemente di rilevare che la
sola fase della ratifica delle convenzioni varate nel quadro dellUnione richiede mediamente quattro/cinque anni. Cfr. La Convenzione europea. Giustizia e affari interni-stato
dei lavori e problematiche generali, Bruxelles, 31 maggio 2002, doc. CONV 69/02, cit.,
p. 10. In dottrina cfr., da ultimo e per tutti, ZUCCALAv , Lunitario diritto penale europeo
come meta del diritto comparato?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, p. 606.

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(2002)

strumento, dallaltro lato ha suscitato fondati interrogativi in ordine


allo stesso destino delle convenzioni esistenti (122).
Proprio in considerazione di cio`, si e` ritenuto che tra i meccanismi per la cooperazione in materia penale dovessero essere ricompresi strumenti normativi piu` agili e duttili delle convenzioni; strumenti caratterizzati da un maggiore equilibrio tra il metodo della
cooperazione intergovernativa e il metodo comunitario, onde consentire in taluni settori di interesse comune agli Stati membri la
realizzazione degli obiettivi dellUnione europea. Gli strumenti in
questione sono stati denominati azioni comuni dal Trattato di
Maastricht, per essere successivamente ribattezzati decisioni quadro dal Trattato di Amsterdam, e risultano per molti aspetti simili
alle direttive (123), pur essendo meno impegnativi di queste ultime,
in quanto innanzitutto privi di efficacia diretta (124) ed inoltre in
linea di principio non supportati dalle procedure di inadempimento
da parte della Commissione di cui agli artt. 226 ss. (125).
(122) La Convenzione europea. Nota relativa alla sessione plenaria, Bruxelles, 19
giugno 2002, doc. CONV 97/02, p. 5; La Convenzione europea. Relazione finale del
Gruppo X Spazio di liberta`, sicurezza e giustizia, Bruxelles, 2 dicembre 2002, doc.
CONV 426/02, cit., p. 7.
(123) In base allart. 34.2 lett. b) TUE, Le decisioni-quadro sono vincolanti per
gli Stati membri quanto ai risultati da ottenere, salva restando la competenza delle
autorita` nazionali quanto alla forma e ai mezzi; mentre in base allart. 35.1 TUE La
Corte di giustizia e` competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validita` e
sullinterpretazione delle decisioni-quadro (sempre che, beninteso, ai sensi dellart. 35.2
TUE, i singoli Stati membri abbiano accettato tale competenza). In merito ai poteri di
controllo della Corte di giustizia sulle decisioni quadro cfr., per tutti, ADAM, La
cooperazione in materia di giustizia e affari interni tra comunitarizzazione e metodo
intergovernativo, cit., p. 489 ss.; LABAYLE, La Cour de justice et lespace europe en de
liberte , se curite et justice, in Lavenir de la justice communautaire. Enjeux et perspectives,
a cura di R. Mehdi, Paris, 1999, p. 77 ss.; MILITELLO, Agli albori di un diritto penale
comune in Europa: il contrasto al crimine organizzato, in Il crimine organizzato come
fenomeno transnazionale, a cura di V. Militello, L. Paoli, J. Arnold, Milano, 2000, p. 40,
con ulteriori riferimenti bibliografici.
(124) Cfr. art. 34, lett. b), in fine TUE. In argomento cfr., diffusamente e per tutti,
SICURELLA, Il titolo VI del Trattato di Maastricht e il diritto penale, cit., p. 1310 ss. Cfr.
peraltro, volendo, i rilievi di BERNARDI, Strate gies pour une harmonisation des syste`mes
penaux europe ens, cit., p. 222 ss.
(125) Tuttavia, in merito allipotesi secondo la quale il mancato rispetto da parte
degli Stati membri degli obblighi di risultato imposti dalle decisioni quadro possa
comportare lattivazione delle procedure di infrazione di cui agli artt. 226 ss. TCE, cfr.

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Essi mirano sia ad agevolare la cooperazione giudiziaria (126) sia


a ravvicinare le normative in materia penale dei Paesi europei (127),
reprimendo e prevenendo il razzismo e della xenofobia, nonche
reprimendo e prevenendo la criminalita`, organizzata e di altro tipo,
in particolare il terrorismo, la tratta degli esseri umani e i reati contro
i minori, il traffico illecito di droga e di armi, la corruzione e la
frode (128).
Pur avendo avuto le azioni comuni/decisioni quadro un difficile
esordio (129), e pur permanendo ancor oggi un po in tutti i Paesi
dellUnione non pochi dubbi sulle caratteristiche di tali strumenti
normativi, e` un dato di fatto che essi vengono adottati con sempre
maggiore frequenza, dando vita ad un insieme di disposizioni volto
a perseguire un significativo processo di cooperazione e ravvicinamento tra gli ordinamenti penali dei Paesi Membri. Al riguardo,
grande importanza rivestono lazione comune del 24 febbraio 1997
per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento
sessuale dei bambini (130), e piu` ancora le azioni comuni in tema di
lotta al riciclaggio e di confisca dei proventi di reato, di estensione
della punibilita` alla corruzione nel settore privato, di incriminazione
della partecipazione ad una associazione criminale negli Stati membri dellUnione europea (131) realizzate nellambito del Piano
MILITELLO, Agli albori di un diritto penale comune in Europa: il contrasto al crimine
organizzato, cit., p. 41.
(126) Piu` precisamente, a facilitare e accelerare la cooperazione tra i ministeri
competenti e le autorita` giudiziarie in relazione ai procedimenti e allesecuzione delle
decisioni, ad agevolare lestradizione e a prevenire i conflitti di giurisdizione tra Stati
membri. Cfr. art. 31, lett. a), b) e d) TUE.
(127) Cfr. art. 29, ultimo trattino, TUE.
(128) Art. 29 TUE, primo trattino.
(129) Cfr., tra gli altri, BERNARDI, Codificazione penale e diritto comunitario, I - La
modificazione del codice penale ad opera del diritto comunitario, Ferrara, 1996, p. 166;
SALAZAR, Gli sviluppi nel campo della cooperazione giudiziaria nel quadro del terzo pilastro
del Trattato sullUnione europea, in Documenti giustizia, 1995, c. 1511 ss.; SICURELLA, Il
titolo VI del Trattato di Maastricht e il diritto penale, cit. p. 1337.
(130) Cfr., per tutti, LABAYLE, La lutte anti-fraude et le troisie`me pilier, cit., p. 304.
(131) Al riguardo cfr., tra gli altri, MILITELLO, Agli albori di un diritto penale
comune in Europa: il contrasto al crimine organizzato, cit., p. 5; ID., Dogmatica penale e
politica criminale in prospettiva europea, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 427; SALAZAR,
La costruzione di uno spazio di liberta`, sicurezza e giustizia dopo il Consiglio europeo di
Tampere, cit., p. 1118.

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(2002)

dazione contro la criminalita` organizzata adottato nel 1997 dal


Consiglio (132).
Dopo lentrata in vigore del Trattato di Amsterdam il 1o maggio
1999, il ricorso allo strumento in questione si e` ulteriormente
intensificato. Allinterno di un panorama normativo sempre piu`
ricco, una speciale menzione meritano comunque le decisioni quadro del Consiglio del 29 maggio 2000 (133), 28 maggio 2001 (134), 26
giugno 2001 (135), nonche le tre decisioni quadro del 13 giugno
2002 (136) e quelle del 19 luglio 2002 (137), 28 novembre 2002 (138),
27 gennaio 2003 (139). Tali strumenti, infatti, prevedono vuoi lintroduzione di forme particolarmente intense di cooperazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati Membri, vuoi ladozione di misure atte
a far s` che i comportamenti ivi tassativamente indicati siano consi(132) In GUCE C251 del 15 agosto 1997, p. 1 ss. Al riguardo cfr., in particolare,
MARGUE, La coope ration en matie`re de pre vention et de lutte contre le crime dans le cadre
du nouveau troisie`me pilier, cit., p. 733; amplius MILITELLO, Agli albori di un diritto penale
comune in Europa: il contrasto al crimine organizzato, cit., p. 6 ss.; RIONDATO, Diritto
dellUnione europea e criminalita` organizzata, in Le strategie di contrasto alla criminalita`
organizzata nella prospettiva di diritto comparato, a cura di G. Fornasari, Padova, 2002,
p. 25 ss.; SALAZAR, LUnione europea e la lotta alla criminalita` organizzata da Maastricht
ad Amsterdam, cit., c. 395 ss.
(133) Relativa al rafforzamento della tutela per mezzo di sanzioni penali e altre
sanzioni contro la falsificazione di monete in relazione allintroduzione delleuro, in
GUCE L140 del 14 giugno 2000, p. 1 ss., modificata dalla decisione quadro del Consiglio
del 6 dicembre 2001, in GUCE L329 del 14 dicembre 2001, p. 1 ss.
(134) Relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento
diversi dai contanti, in GUCE L149 del 2 giugno 2001, p. 1 ss.
(135) Concernente il riciclaggio di denaro, lindividuazione, il rintracciamento, il
congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato, in GUCE
L182 del 5 luglio 2001, p. 1-2.
(136) Concernenti, rispettivamente, le squadre investigative comuni (in GUCE
L162 del 20 giugno 2002, p. 1 ss.), la lotta contro il terrorismo (in GUCE L164 del 22
giugno 2002, p. 3 ss.) e il mandato darresto europeo e le procedure di consegna tra
Stati membri (in GUCE L190 del 18 luglio 2002, p. 1 ss.).
(137) Sulla lotta alla tratta degli esseri umani, in GUCE L203 del 1o agosto 2002,
p. 1 ss.
(138) Relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dellingresso, del transito e del soggiorno illegali, in GUCE L 328 del 5
dicembre 2002, p. 1 ss.
(139) Relativa alla protezione dellambiente attraverso il diritto penale, in
GUCE L 29 del 5 febbraio 2003, p. 55 ss.

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ALESSANDRO BERNARDI

derati reati (140), e lindicazione del tipo di sanzioni applicabili ai


suddetti comportamenti (141).
A tuttoggi, comunque, un bilancio circa la bonta` dei nuovi
strumenti normativi utilizzati allinterno del terzo pilastro dellUnione europea appare aperto a esiti assai contraddittori. Da un
lato, infatti, la trasformazione delle azioni comuni in decisioni
quadro ha sancito la crescente fortuna e maggiore incisivita` di
queste ultime (142), dovuta anche al loro ingresso nei piu` vitali settori
della politica criminale europea. Dallaltro lato pero`, come espressamente previsto dal Trattato UE (143), tali atti normativi lasciano un
certo margine di discrezionalita` ai singoli Paesi membri circa le
forme e i mezzi attraverso i quali realizzare la cooperazione penale e
larmonizzazione delle singole fattispecie e delle relative risposte
punitive, con il rischio quindi che permangano non trascurabili
disparita` di trattamento da uno Stato allaltro. Ma soprattutto, come
gia` sottolineato, gli strumenti in questione continuano a suscitare
dubbi a causa delle loro carenze di effettivita`: carenze, per vero,
valutate in modo difforme a seconda che si aderisca alla tesi dominante, favorevole allinapplicabilita` alle decisioni quadro delle procedure di inadempimento ex artt. 226 ss. TCE, o alla tesi minoritaria
incline ad ammetterne lapplicabilita`.
In ogni caso, e` opinione diffusa che rispetto allattuazione delle
direttive, lattuazione delle decisioni quadro lascerebbe agli ordinamenti penali nazionali un ambito di discrezionalita` piu` esteso, sino
a porre in crisi la complessiva credibilita` di tali strumenti normativi (144). Tuttavia, lattuale disciplina delle decisioni quadro non fa
che esprimere il punto di equilibrio oggi raggiunto tra le concezioni
penalistiche di matrice persistentemente nazionalista e le istanze
(140) Cfr., ad esempio, lart. 3 della sopra ricordata decisione quadro del 29
maggio 2000; nonche gli artt. 2, 3 e 4 della predetta decisione quadro del 28 maggio
2001.
(141) Cfr., ad esempio, lart. 6 della suddetta decisione quadro del 29 maggio
2000; nonche lart. 2 della summenzionata decisione quadro del 26 giugno 2001.
(142) Al riguardo cfr., per tutti, MILITELLO, Agli albori di un diritto penale comune
in Europa: il contrasto al crimine organizzato, cit., p. 32 ss.
(143) Cfr., supra, sub nt. 123.
(144) Cfr., tra gli altri, LABAYLE, La lutte anti-fraude et le troisie`me pilier, cit.,
p. 318.

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(2002)

europeiste di cooperazione e ravvicinamento dei sistemi penali:


punto di equilibrio fondato su compromessi superabili solo ove si sia
consapevoli che la criminalita` transfrontaliera non puo` essere affrontata con iniziative condotte a livello prevalentemente intergovernativo, e che dunque la realizzazione di un vero spazio di liberta`,
sicurezza e giustizia tra gli Stati membri implica il ricorso, anche in
sede penale, al metodo comunitario.
10.

I futuribili scenari del processo di europeizzazione del diritto


penale. Il dibattito sulla riforma del terzo pilastro.

Come or ora accennato, un ulteriore potenziamento dellazione


condotta a livello europeo nel settore penale implica necessariamente la comunitarizzazione del terzo pilastro (145), o quantomeno
unapplicazione piu` estesa delle strutture e dei meccanismi comunitari (146) in tale settore. In particolare, una eventuale riconduzione delle disposizioni del terzo pilastro in un generale quadro
giuridico comune consentirebbe non solo di varare atti in materia
penale dotati di efficacia diretta, o comunque di rafforzare il controllo giudiziario sui meccanismi nazionali di attuazione delle norme
dindirizzo di fonte europea; ma consentirebbe altres` di superare
taluni notori effetti negativi insiti nella struttura a pilastri dellUnione, primo fra tutti quello consistente nellincertezza in ordine
alle basi giuridiche dei singoli atti varati a Bruxelles (147). In questo
(145) Sul verosimile processo di comunitarizzazione del terzo pilastro cfr., nellambito di una ricca letteratura che percorre lultimo decennio, Le Comissaire Antonio
Vitorino re pond a` sept questions de la Revue sur la Convention et sur la coope ration dans
le domaine de la Justice et des Affaires inte rieures, in Rev. Marche comm. Un. eur., 2002,
p. 286; CURTI GIALDINO, Il Trattato di Maastricht sullUnione Europea, Roma, 1993, p. 29,
n. 34; DEHOUSSE, VAN DEN HENDE, Plaidoyer pour la re forme du Troisie`me pilier, in Rev.
Marche comm. Un. eur., 1996, p. 715 ss.; SALAZAR, Gli sviluppi nel campo della
cooperazione giudiziaria nel quadro del terzo pilastro del trattato sullUnione europea, cit.,
c. 1526 ss.; TOULEMON, La construction europe enne, Paris, 1994, p. 203 ss. Piu` problematicamente LABAYLE, Lapplication du titre VI du Traite sur lUnion europe enne, in Rev.
sc. crim., 1995, p. 63.
(146) La Convenzione europea. Nota relativa alla sessione plenaria, Bruxelles, 19
giugno 2002, doc. CONV 97/02, cit., p. 4.
(147) La Convenzione europea. Relazione finale del Gruppo X Spazio di liberta`,
sicurezza e giustizia, Bruxelles, 2 dicembre 2002, doc. CONV 426/02, cit., p. 2-3.

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ALESSANDRO BERNARDI

senso, nellambito della Convenzione designata nel 2002 dal Consiglio europeo al fine di riunire i principali soggetti interessati al
dibattito sul futuro dellUnione (148), una ampia maggioranza si e`
espressa a favore di una radicale riforma istituzionale volta ad
attuare una totale o parziale comunitarizzazione delle materie rientranti nel terzo pilastro, nonostante la consapevolezza della conseguente perdita di potere dei singoli Stati.
Sennonche , un tale potenziamento dovrebbe implicare altres`
un accresciuto controllo parlamentare sui relativi atti normativi. In
questo senso a meno di non voler rinunciare a quelle garanzie
legalitarie sinora considerate, quantomeno in materia penale, come
una irrinunciabile conquista della cultura giuridica occidentale
parrebbe quindi imporsi un processo di ulteriore democratizzazione
dellUnione. Consci di cio`, in piena sintonia con la prevalente
dottrina penalistica europea, molti dei membri della Convenzione
europea istituita nel 2002 e presieduta da Giscard dEstaing hanno
auspicato che nellattivita` normativa dellUnione concernente la
cooperazione giudiziaria e di armonizzazione penale venga attribuito
un ruolo di vero e proprio colegislatore al Parlamento europeo, e
che comunque in tali materie il ruolo dei Parlamenti nazionali venga
rafforzato (149), in vista di una migliore attuazione del principio di
riserva di legge (150). In particolare, si e` specificato che il potenzia(148) Oltre che dal Presidente (V. Giscard dEstaing) e dai due Vicepresidenti (G.
Amato e J.L. Dehaene), la Convenzione e` composta da:
15 rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri (1 per Stato
membro),
13 rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo dei paesi candidati alladesione
(1 per paese candidato),
30 rappresentanti dei Parlamenti nazionali degli Stati membri (2 per Stato
membro),
26 rappresentanti dei Parlamenti nazionali dei paesi candidati alladesione (2
per paese candidato),
16 rappresentanti del Parlamento europeo,
2 rappresentanti della Commissione europea.
(149) La Convenzione europea. Nota relativa alla sessione plenaria, Bruxelles, 19
giugno 2002, doc. CONV 97/02, cit., p. 4.
(150) In argomento cfr., in generale e per ulteriori riferimenti bibliografici,
BERNARDI, I principi e criteri direttivi in tema di sanzioni nelle recenti leggi comunitarie,
cit., passim.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

mento della partecipazione dei Parlamenti nazionali alle attivita`


dellUnione concernenti in terzo pilastro potrebbe avvenire ad un
triplice livello, vale a dire sia nellambito dellelaborazione e dellattuazione del diritto dellUnione, sia in sede di controllo politico delle
posizioni adottate dai rispettivi governi nel Consiglio (151), sia infine
attraverso forme rafforzate di cooperazione tra i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo ovvero di cooperazione multilaterale (152).
Merita inoltre di essere sottolineato che al processo di democratizzazione necessario per il trapasso dal terzo al primo pilastro
della materia penale dovrebbero affiancarsi ulteriori processi riformistici assai eterogenei seppure tra loro complementari: processi
diretti a favorire, tra laltro, una puntuale delimitazione delle effettive competenze dellUnione in ambito criminale (153) e un complessivo ravvicinamento delle condizioni materiali degli Stati membri nei
settori nevralgici del diritto penale (quali innanzitutto quelli concernenti le prassi processuali e il trattamento penitenziario) (154), in
modo tale da agevolare laffermarsi del principio del mutuo riconoscimento delle rispettive realta` fattuali. Ora, e` di tutta evidenza che
mentre una riforma volta a meglio definire la ripartizione delle
competenze penali tra Unione e Stati membri appare tutto sommato
realizzabile senza eccessive difficolta`, non puo` certo dirsi altrettanto
per le riforme destinate ad incidere sulle fondamentali manifestazioni del diritto vivente. In questo senso, appare ancora irto di
ostacoli il percorso verso lelaborazione di un vero e proprio diritto
penale europeo creato ed eventualmente applicato in modo accen(151) In merito a talune proposte recentemente avanzate al riguardo cfr., diffusamente, La Convenzione europea. Il ruolo dei parlamenti nazionali nellarchitettura europea, doc. CONV 67/2/02, REV 1, p. 10 ss.
(152) In argomento cfr., amplius, ivi, p. 7 ss.
(153) Cfr., al riguardo, le questioni sollevate in La Convenzione europea. Giustizia
e affari interni stato dei lavori e problematiche generali, Bruxelles, 31 maggio 2002,
doc. CONV 69/02, cit., p. 13.
(154) Cfr. ivi, p. 14. In effetti, la cooperazione in materia penale non puo` certo
prescindere da una reciproca fiducia in ordine alle effettive garanzie proprie dei singoli
ordinamenti nazionali. In argomento cfr., Motivazione. Verso una repressione piu` giusta,
piu` semplice e piu` efficace, in Verso uno spazio giudiziario europeo, cit., p. 42-43; volendo
BERNARDI, Il diritto penale tra globalizzazione e multiculturalismo, in Riv. it. dir. pubbl.
com., 2002, p. 490.

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ALESSANDRO BERNARDI

trato (155): ostacoli che, con ogni probabilita`, limminente allargamento dellUnione non dovrebbe certo attenuare.
11.

Gli attuali progetti di armonizzazione o unificazione penale


allinterno dellUnione.

Nonostante quanto appena esposto, alcune recenti elaborazioni


della scienza penale dei Paesi dellUnione tendono a rivelare un
sentire omogeneo che potrebbe affondare le sue radici addirittura
nello ius commune medioevale (156), e che comunque trae nuova
linfa dalla convinzione della assoluta necessita` di dar vita ad un
processo di penetrante omogeneizzazione (o addirittura di unificazione) (157) delle risposte punitive concernenti i settori normativi piu`
marcatamente europeizzati (158). Alludo, in particolare, al gia` ricordato progetto relativo al Corpus Juris contenente disposizioni penali
per la tutela degli interessi finanziari dellUnione europea (159), e a
quello relativo ai cosiddetti Europa-Delikte (160). Tali progetti, pur
(155) Peraltro, listituzione di un autonomo organo giurisdizionale penale europeo, ovvero di una sezione penale allinterno della Corte di giustizia comincia ad essere
ventilata in alcuni documenti di fonte europea. Cfr., ancora, La Convenzione europea.
Giustizia e affari interni stato dei lavori e problematiche generali, Bruxelles, 31 maggio
2002, doc. CONV 69/02, cit., p. 15.
(156) In argomento cfr., da ultimo e per tutti, JESCHECK, Nuove prospettive del
diritto penale nazionale, europeo e internazionale: quale politica criminale per il XXI
secolo?, Relazione svolta allUniversita` di Modena e Reggio Emilia il 25 settembre 2002,
p. 6 del testo dattiloscritto in corso di pubblicazione.
(157) Sui profili funzionalistici che indurrebbero a privilegiare lunificazione
(ancorche settoriale) dei sistemi penali europei rispetto ad una loro semplice armonizzazione cfr. BERNARDI, Verso una codificazione penale europea? Ostacoli e prospettive, cit.,
p. 23 ss.
(158) Si pensi ad esempio, ai settori delle finanze e della valuta comunitarie,
dellagricoltura, degli alimenti, dellambiente, del commercio ecc.
(159) Cfr. supra, sub par. 1, nt. 9.
(160) In merito a tale progetto cfr. TIEDEMANN, Die Regelung von Ta terschaftund
Teilnahme im europa ischen Strafrecht, in Festschrift fu r Nishihara, Baden Baden, 1998, p.
496 ss.; ID., Armonizzazione del diritto penale delleconomia nellUnione Europea (EuroDelitti), testo dattiloscritto della relazione tenuta a Bologna il 18 maggio 2001, in corso
di pubblicazione; nonche , da ultimo e fondamentalmente, Wirtschaftsstrafrecht in der
Europa ischen Union. Rechtsdogmatik-Rechtsvergleich-Rechtspolitik. Freiburg-Symposium,
a cura di K. Tiedemann, Ko ln, 2002.

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(2002)

essendo accomunati dalla volonta` di innescare in ambito europeo


processi settoriali di uniformizzazione penale assai piu` penetranti di
quelli sino ad oggi registratisi, presentano indubbiamente significative differenze sotto il profilo sia della loro origine sia dei loro
contenuti sia del metodo riformistico ad essi proprio.
a) Per quanto specificamente attiene alle rispettive origini,
occorre precisare che le proposizioni contenute nel progetto di
Corpus Juris discendono dai risultati della ricerca sullo Spazio
giudiziario europeo (161), e sono state fatte proprie dallo stesso
Parlamento europeo (162), per sfociare nella Proposta di direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela penale
degli interessi finanziari della Comunita` del 26 giugno 2001, e
infine nel Libro verde (163) sulla tutela penale degli interessi finanziari
comunitari e sulla creazione di una procura europea presentato dalla
Commissione l11 dicembre 2001 (164). La matrice politica del
Corpus Juris ben spiegabile alla luce del carattere sovrastatuale
che connota il bene giuridico offeso dalle frodi comunitarie tende
comunque a combinarsi con una parallela matrice dottrinale,
dovuta al fatto che la redazione del progetto in questione e` stata
affidata ad un gruppo studiosi dei Paesi membri (165): ne e` scaturito
un prodotto di indiscussa qualita` scientifica, redatto nel rispetto di
metodi e standards propri della migliore tradizione accademica.
(161) Ricerca iniziata nel 1995 per volonta` della Commissione europea. Al riguardo cfr., per tutti, DE ANGELIS, Il Corpus Juris recante disposizioni penali per la
protezione degli interessi finanziari dellUnione europea: origine e prospettive, in La lotta
contro la frode agli interessi finanziari della Comunita` europea tra prevenzione e repressione, cit., p. 351 ss.
(162) Cfr. Doc. Parlamento Europeo n. 222.169.
(163) I libri verdi sono comunicazioni pubblicate dalla Commissione su un
settore politico specifico. Attraverso tali documenti, le parti interessate (organismi e
privati) sono invitati a partecipare al processo di consultazione e discussione, in vista di
eventuali, futuri sviluppi della legislazione comunitaria.
(164) In COM (2001) 715 def. Sulla questione se il Corpus Juris si limiti a proporre
una penetrante armonizzazione dei sistemi penali dei Paesi membri, ovvero addirittura
costituisca un progetto di unificazione penale cfr., anche per ulteriori riferimenti
bibliografici, BERNARDI, Strate gies pour une harmonisation des syste`mes penaux europe ens,
cit., p. 228 ss.
(165) Per un elenco completo dei partecipanti al progetto del Corpus Juris v. La
mise en oeuvre du Corpus Juris dans les E tats-Membres, I, cit., p. III.

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Viceversa, il progetto sugli Europa-Delikte appare del tutto


privo di una matrice di tipo strettamente politico: esso costituisce
infatti lesito provvisorio di una iniziativa scientifica privata portata
avanti da un gruppo di penalisti europei provenienti da un numero
ristretto e abbastanza omogeneo di Paesi membri (166). Lorigine
essenzialmente scientifico-culturale di tale iniziativa potrebbe forse
trovare una immediata spiegazione nel fatto che il disegno di
uniformizzazione penale su scala continentale tratteggiato in questo
secondo progetto non mira alla tutela di interessi esclusivi dellUnione, ma vuole porsi al servizio di un interesse piu` generalizzato;
linteresse, appunto, allomogeneizzazione se non addirittura allunificazione di un settore degli ordinamenti penali (quello lato sensu
commerciale) destinato a ricoprire un ruolo centrale nella prospettiva di una migliore coesione di una Comunita` di Stati sorta e
sviluppatasi per ragioni innanzitutto di cooperazione e di integrazione economica.
b) Anche per quanto attiene poi ai rispettivi contenuti, il
progetto relativo al Corpus e quello relativo agli Eurodelitti presentano, accanto ad alcune convergenze, evidenti divergenze. Vero e`
infatti che entrambi i progetti contengono sia un gruppo di fattispecie incriminatrici, sia una serie di norme di parte generale; ma e`
anche vero che mentre il progetto sul Corpus si apre con la rassegna
di un insieme di fattispecie davvero molto circoscritto per numero
(artt. 1-8) e per tipologia, e prosegue poi con un altrettanto circoscritto numero di principi e istituti di parte generale (artt. 9-17), il
progetto Eurodelitti si presenta, per cos` dire, a parti invertite,
prevedendo innanzitutto una parte generale che con i suoi ventidue
articoli e` senzaltro assai piu` ampia e dettagliata rispetto alla parte
generale del Corpus Juris (167), e quindi una parte speciale di ben
trentacinque articoli contenenti un ampio ventaglio di norme incriminatrici concernenti i piu` diversi ambiti del diritto penale econo(166) Vale a dire la Germania, lItalia, la Spagna e, in una seconda fase, la Francia.
La connotazione scarsamente democratica in prospettiva europea del progetto Europa-Delikte e` stata stigmatizzata da DONINI, Larmonizzazione del diritto penale europeo nel
contesto globale, in Riv. it. dir. pen. econ., 2002, p. 494.
(167) Cfr., per tutti, TIEDEMANN, Armonizzazione del diritto penale delleconomia
nellUnione Europea (Euro-Delitti), cit., pag. 3 del testo dattiloscritto.

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mico (168). Sotto questo profilo, sebbene entrambi i progetti si


ispirino latamente allidea codicistica (169), il progetto sugli Eurodelitti e` senzaltro il solo che, per la sua struttura e le sue dimensioni,
tende ad assumere effettivamente le sembianze di un codice, ancorche settoriale (170), mentre il Corpus Juris (171) parrebbe costituire, a ben vedere, solo un microsistema penale europeo. Per
converso, naturalmente, tenuto conto delle sue particolari caratteristiche, il progetto Eurodelitti parrebbe anche quello destinato a
trovare nonostante il summenzionato interesse generale su cui
esso poggia una piu` difficile accoglienza in ambito europeo,
dunque una piu` ardua traduzione in norme di diritto vigente.
c) Infine, per quanto attiene al metodo riformistico proprio dei
due progetti, e` stato rilevato come mentre il Corpus Juris tenderebbe
a costituire una mera integrazione dei sistemi penali nazionali,
prefiggendosi di affiancare ad essi un modello ordinamentale parallelo (172), il progetto sugli Eurodelitti tenderebbe a sostituirsi alle
singole discipline nazionali di settore (173). Resta il fatto che alla
luce di tutta una serie di indizi qui impossibili da analizzare nei
dettagli, ma comunque ricavabili dal testo dei due progetti in esame
tanto il Corpus Juris quanto gli Europa-Delikte appaiono finaliz(168) Per una rapida rassegna di tali norme, distinte in sette sezioni (tutela dei
lavoratori e del lavoro, tutela dei consumatori e della concorrenza, tutela dellambiente,
diritto penale societario e fallimentare, tutela del credito e dei mercati finanziari, tutela
dei marchi comunitari, tutela dellembargo comunitario) cfr., nella letteratura in lingua
italiana, TIEDEMANN, Armonizzazione del diritto penale delleconomia nellUnione Europea
(Euro-Delitti), cit., pag. 12 del testo dattiloscritto.
(169) In merito al carattere codicistico di tali progetti cfr., problematicamente e
con varieta` di accenti, BERNARDI, Corpus Juris e formazione di un diritto penale europeo,
in Riv. it. dir. pubbl. com., 2001, p. 287 ss.; MILITELLO, Agli albori di un diritto penale
comune in Europa: il contrasto al crimine organizzato, cit., p. 17, nt. 46.
(170) Il progetto sugli Eurodelitti viene esplicitamente considerato simile per
struttura a un codice da TIEDEMANN, Armonizzazione del diritto penale delleconomia
nellUnione Europea (Euro-Delitti), cit., pag. 1 del testo dattiloscritto; DONINI, Sussidiarieta` penale e sussidiarieta` comunitaria, in DONINI, Alla ricerca di un disegno. Scritti
sulle riforme penali in Italia, Padova, 2003, cit., p. 146; ID. Larmonizzazione del diritto
penale europeo nel contesto globale, cit., p. 495.
(171) Cos`, condivisibilmente, DONINI, Larmonizzazione del diritto penale europeo
nel contesto globale, cit., p. 494.
(172) DONINI, Sussidiarieta` penale e sussidiarieta` comunitaria, cit., p. 153.
(173) Cfr. DONINI, ivi.

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zati a perseguire (sia pure con modalita` diverse e in settori nientaffatto coincidenti) forme di intenso ravvicinamento dei sistemi penali
nazionali, piu` che vere e proprie forme unificazione penale su scala
europea (174).
In questo senso sebbene in effetti non appaiano del tutto
assenti indizi di segno opposto (175), atti cioe` a far ritenere che tali
progetti costituiscano ipotesi di unautentica unificazione settoriale in ambito penale (176) sembra di poter dire che in tale
ambito la meta di una assoluta unificazione, seppure circoscritta a
specifici gruppi di fattispecie, risulta ancora esorbitante rispetto ai
piu` immediati traguardi prefissati dalla dottrina penalistica e dalla
stessa Unione europea. Una riprova di tale assunto e` offerta dalle
recenti Proposte di norme penali comuni in Europa (177) elaborate
a conclusione del Programma Falcone concernente un Progetto
comune europeo di contrasto alla criminalita` organizzata (178). In
effetti le proposte avanzate, frutto di una cooperazione intensa e
paritetica (179) tra i tre gruppi di ricercatori coinvolti (italiano,
(174) Si pensi innanzitutto, relativamente al progetto di Corpus Juris, al c.d.
principio di complementarieta` del diritto interno (art. 35), in base al quale, al fine di
rendere operative le fattispecie di cui agli artt. 1 a 8, le norme di parte generale introdotte
dal Corpus stesso sono completate dal diritto nazionale, se necessario. Relativamente
poi al progetto sugli eurodelitti, va in particolare sottolineato che questultimo mantiene
al suo interno spazi di discrezionalita` per i legislatori nazionali, specie per quanto
riguarda la disciplina sanzionatoria delle singole fattispecie, lasciata volutamente aperta
dai redattori in considerazione delle forti divergenze fra gli Stati proprio su questo
terreno TIEDEMANN, Armonizzazione del diritto penale delleconomia nellUnione Europea (Euro-Delitti), cit., p. 11 del testo dattiloscritto.
(175) Cos`, ad esempio, nel Libro verde sulla tutela penale degli interessi finanziari
comunitari e sulla creazione di una procura europea dell11 dicembre 2001 si prevede
previa introduzione nel TCE di un art. 280-bis attributivo di apposite competenze penali
alla Commissione ladozione non gia` di una direttiva, ma di un regolamento
comunitario che fissi gli elementi costitutivi dei reati penali (sic) per frode e per
qualsiasi attivita` illegale lesiva degli interessi finanziari della Comunita` (Libro verde, par.
2.4., p. 20 del testo dattiloscritto).
(176) DONINI, Sussidiarieta` penale e sussidiarieta` comunitaria, cit., p. 155.
(177) Pubblicate in Towards a European Criminal Law against Organised Crime, a
cura di V. Militello e B. Huber, Freiburg im Breisgau, 2001, p. 281 ss.
(178) Cfr., al riguardo, Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale, cit.,
passim.
(179) Vale a dire da una cooperazione non contrassegnata come viceversa e`

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(2002)

tedesco e spagnolo) (180), se da un lato hanno ad oggetto un settore


criminale diverso o comunque non coincidente rispetto a quelli presi
in esame dai due progetti precedentemente ricordati (181), dallaltro
lato sembrano propendere anchesse per una scelta di mera armonizzazione anziche di unificazione penale interstatuale. Anzi, ben piu`
di quanto non avvenga in questi due progetti, le suddette proposte
di norme volte a contrastare la criminalita` organizzata, pur caratterizzandosi per una formulazione delle fattispecie assai accurata, sono
concepite in modo da lasciare notevoli margini di discrezionalita` ai
legislatori nazionali (182), e dunque esprimono un modello di armonizzazione debole, concepito tenendo conto delle non trascurabili
differenze tuttora esistenti allinterno dei sistemi penali nazionali
considerati.
In definitiva, quindi, gli attuali progetti di armonizzazione penale in ambito europeo esprimono la crescente consapevolezza
dellurgenza di giungere, quantomeno in taluni settori normativi, ad
un significativo processo di ravvicinamento dei singoli sistemi penali
nazionali; ma al contempo rivelano come non appartenga alloggi il
tempo di una assoluta unificazione penale, e quanto sarebbe erroneo
sottovalutare, in vista della creazione di una lingua penale comune, la forza inerziale insita in quellinsieme di peculiarita` che
caratterizzano i singoli ordinamenti penali nazionali (183). Ma le
attuali difficolta` incontrate nel tradurre in realta` il sogno di un
diritto penale europeo non debbono far dimenticare che il viaggio
accaduto nel progetto sugli Europa-Delikte da una evidente prevalenza della componente tedesca.
(180) Tali gruppi erano formati da appartenenti alle istituzioni scientifiche, giudiziarie e amministrative dei tre Paesi coinvolti.
(181) Vale a dire, per lappunto, il vasto settore della criminalita` organizzata, che
in una Europa senza frontiere postula indubbiamente strategie di prevenzione e repressione armonizzate nellambito degli Stati dellUnione.
(182) Cfr., sul punto, le precisazioni di MILITELLO, Partecipazione allorganizzazione
criminale e standards internazionali dincriminazione. La proposta del Progetto comune
europeo di contrasto alla criminalita` organizzata, in corso di pubblicazione in Riv. it. dir.
proc. pen., par. 4.2, sub 4).
(183) A favore di un processo di armonizzazione nella salvaguardia delle differenze cfr., da ultimo, JESCHECK, Nuove prospettive del diritto penale nazionale, europeo
e internazionale: quale politica criminale per il XXI secolo?, cit., p. 8-9 del testo
dattiloscritto.

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ALESSANDRO BERNARDI

verso tale meta e` gia` iniziato, e che esso non potra` che prolungarsi,
sullonda dellevolversi dellUnione e della parallela, progressiva
evoluzione culturale degli operatori giuridici di settore: almeno sino
a quando, nel nome di nuove e non auspicabili esigenze nazionalistiche o comunque particolaristiche, la progressiva federalizzazione del vecchio continente non subira` una inversione di tendenza.
Sez. II: Europeizzazione del diritto e scienza penale.
12.

Verso una cultura giuridico-penale europea. Le diverse manifestazioni in ambito scientifico del superamento delle tradizioni
penali nazionali.

Se, come sopra accennato, il costituirsi di un ordine giuridico


europeo vieppiu` incidente financo sulla sfera penale implica naturalmente la modificazione delle coordinate culturali dei giuristi di
settore, ben si comprende come larga parte di questi ultimi tenda a
prendere progressivamente le distanze da quelle concezioni formalistico-giuspositivistiche incentrate esclusivamente su lo Stato e le
norme, come tali dimentiche della storia, della politica e delle
correnti internazionali del pensiero penalistico (184).
In questa prospettiva, si assiste pertanto ad un allontanamento
graduale (anche se, per vero, solo parziale e non privo di resipiscenze) da ogni approccio autarchico al fenomeno giuridicopenale; da ogni approccio volto cioe` allenfatizzazione delle peculiarita` dogmatiche dellordinamento interno, vissute come espressive
del particolare contesto socio-politico di riferimento, ovvero addirittura come sintomatiche di una superiore cultura giuridica.
Certamente, e` impossibile in questo breve lavoro analizzare in
dettaglio le diverse manifestazioni dellattuale evoluzione del pensiero penalistico in senso supra- o trans-nazionale. Ugualmente
impossibile risulta inoltre approfondire come e quanto ognuna di
tali manifestazioni costituisca la causa ovvero, allopposto, leffetto
dei mutamenti istituzionali riscontrabili in ambito continentale. Qui
ci si limitera` quindi ad osservare che, in prima approssimazione,
(184)

F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2001, p. 29.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

almeno sei sembrano essere le eterogenee dinamiche sottese allattuale superamento delle tradizioni penali statuali nella prospettiva
delleuropeizzazione delle scienze criminali. La prima si esprime in
un recupero del giusnaturalismo e dei diritti delluomo, accomunati
nel fungere da argine al relativismo nazionalistico e da momento di
selezione e verifica sia delle generali scelte politico-criminali sia
financo dei principi, categorie, istituti dellordinamento giuridico
interno. La seconda consiste nella riaffermazione e valorizzazione di
un razionalismo giuridico di matrice anti-statualista, anche se, eventualmente, di carattere sincretistico, e dunque non del tutto insensibile a taluni fondamentali dati dordine socio-culturale riflessi dal
sistema giuridico nazionale. La terza si sostanzia nel rilancio del
metodo storicistico, inteso come momento di approfondimento
delle passate esperienze giuridiche e di verifica di una loro possibile
seppur parziale trasposizione nellattuale contesto politico-istituzionale, dunque come fonte di riflessione e stimolo in chiave riformista.
La quarta attiene al potenziamento della comparazione, e alla progressiva evoluzione di questa da strumento meramente conoscitivo a
elemento funzionale alla rielaborazione di modelli giuridici eventualmente destinati ad essere trasposti allinterno dei singoli sistemi,
quindi a momento giustificativo delle scelte normative operate in
ambito nazionale, infine a meccanismo rivelatore dei lati piu` occulti
dellordinamento giuridico-penale nazionale, conoscibili per lappunto solo attraverso il prisma della comparazione. La quinta si
traduce nella progressiva erosione del tradizionale modello piramidale del diritto penale espressivo di un sistema unitario e
verticistico, incentrato su un principio di legalita` affidato ad una
precisa gerarchia dei testi normativi, e dunque costretto allinterno di una razionalita` deduttiva e lineare a favore dellaffermazione di un modello giuridico improntato alla logica della rete;
modello, questo, caratterizzato da una moltiplicazione di fonti appartenenti a sistemi eterogenei, dallintreccio di norme prive di un
preciso ordine gerarchico e dalla costruzione di un diritto a piu`
mani, con conseguente rivalutazione dellapporto della giurisprudenza nel complessivo sviluppo di tale branca del diritto. La
sesta implica la valorizzazione di un atteggiamento pragmatico dimentico di ogni esigenza di coerenza dogmatica e sistematica, e
viceversa attento ad un sincretismo concettuale in forza del quale

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ALESSANDRO BERNARDI

ogni argomento (assiologico o positivo, razionale o funzionale), cos`


come ogni istituto giuridico, deve essere vagliato in vista sia dellindividuazione del ragionamento o del risultato migliore in relazione
al problema da risolvere, sia piu` in generale del perseguimento di un
processo di armonizzazione e al contempo di semplificazione degli
ordinamenti nazionali.
13.

La rinascita giusnaturalista e la cultura dei diritti delluomo


nel processo di destatualizzazione e di europeizzazione della
scienza penale.

Come sopra accennato, una prima manifestazione dellevoluzione del pensiero penalistico in senso supra- o trans-nazionale si
rinviene nella riscoperta di principi e concetti generali di fonte
metagiuridica capaci di arginare il relativismo dei sistemi (penali)
interni, e segnatamente di opporsi alle potenziali ingiustizie perpetrabili dal legislatore e dallinterprete (dottrina e giurisprudenza).
Affermatasi come noto nel periodo successivo alla seconda guerra
mondiale quale reazione allUnrecht degli ordinamenti totalitari sorti
nellEuropa degli anni 30, questa rinascita giusnaturalista (185)
non puo` ancora dirsi conclusa (186), accompagnando e talora in-

(185) Cfr., in particolare, AUER, Der Mensch hat Recht. Naturrecht auf dem
Hintergrund des Heute, Ko ln, 1956; DEL VECCHIO, Mutabilita` ed eternita` del diritto
naturale, in Jus, 1954, p. 1 ss.; FROSINI, Lattualita` del diritto naturale, in Riv. it. fil. dir.,
1961, p. 520 ss.; GALAN DE GUTIERREZ, El derecho natural y su incesante retorno, in Rev.
crit. der. inmob., 1945, p. 168 ss.; HAENSEL, Die Zyklische Wiederkeher des Naturrechts,
in SchwZfS, 1950, p. 257 ss.; KAUFFMANN, Naturrecht und Geschichtlichkeit, Tu bingen,
1957; MORELLI, Il diritto naturale nelle costituzioni moderne, Milano, 1974; MOSSA, La
rinascita del diritto naturale dopo la catastrofe dellEuropa, in Nuova riv. dir. comm., 1949,
p. 77 ss.; ORESTANO, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto. (Linee di una vicenda
concettuale), in Jus, 1960, p. 149 ss., e bibliografia ivi citata a p. 174; WELZEL, Diritto
naturale e giustizia materiale, trad. it., Milano, 1965. In argomento cfr. altres`, MAINHOFER, Naturrecht oder Rechtspositivismus?, Darmstadt, 1962, con ulteriori ricchissimi
riferimenti bibliografici (p. 580 ss.).
(186) Cfr., ad esempio, per una concezione del diritto dimpronta ontologicamente giusnaturalista, DAGOSTINO, Filosofia del diritto, Torino, 2000. Cfr. altres`, sia
pure con accenti differenti, VIOLA, Ragion pratica e diritto naturale: una difesa analitica
del giusnaturalismo, in Ragion pratica, 1993, p. 61 ss.

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(2002)

fluenzando significativamente lattuale evoluzione del diritto su scala


continentale.
In effetti, nonostante che lodierna prevalenza di modelli speculativi a sfondo relativistico (187) finisca col ridurre gli spazi lasciati
alle concezioni piu` autenticamente giusnaturalistiche, in una prospettiva di ideale continuita` con tali concezioni tende oggi ad
affermarsi una cultura dei diritti delluomo la quale, pur non
ignorando la dimensione storico/culturale di questi ultimi, non ne
rinnega per questo la componente filosofica, segnata dalla congiunzione tra il giusnaturalismo moderno e lilluminismo (188). Ora,
anche chi guarda con scetticismo o ironia al tema dei diritti umani,
riconoscendo in esso il luogo di canalizzazione di sfoghi retorici (189) in precedenza riservati, per lappunto, al tema del giusnaturalismo ovvero, in una ottica non sempre coincidente ma comunque contigua, al tema delletica nel discorso giuridico (190), non puo`
disconoscere lattuale processo di diffusione a livello internazionale
dei diritti umani. Processo il quale, come noto, favorisce una sorta di
almeno relativa trasversalita` di tali diritti rispetto alle singole
culture localistiche, se non addirittura un loro processo storico di
mondializzazione destinato, a seconda delle concezioni, a surrogare ovvero ad affiancare quella tradizionale dimensione universalistica dei diritti fondamentali (191) che troverebbe la sua radice, ad un
tempo, nel cuore e nella ragione delluomo (192).
(187) Particolarmente evidenti nelle attuali concezioni filosofiche a carattere analitico: cfr., per tutti, MACKIE, Etica: inventare il giusto e lingiusto, Torino, 2001.
(188) VIOLA, Le origini ideali dei diritti umani, in VIOLA, Etica e metaetica dei diritti
umani, Torino, 2000, p. 18. Per una valorizzazione della dimensione giusnaturalista dei
diritti umani cfr., ad esempio, MACHAN, A Reconsideration of Natural Rights Theory, in
American Philosophical Quarterly, 19, 1982, p. 61 ss.
(189) VIOLA, Diritti delluomo diritto naturale etica contemporanea, Torino, 1989.
(190) Per una recente prospettiva di convergenza tra etica e giusnaturalismo cfr.
DIJON, Droit naturel, t. I, Les questions du droit, Paris, 1998; ID., Itineraire philosophique
vers la source du droit commun, in Rev. int. dr. comp., 2001, p. 7 ss.
(191) In merito alla quale cfr., per tutti e con varieta` di accenti, Pluralita` delle
culture e universalita` dei diritti, a cura di F. DAgostino, Torino, 1996; NINO, The Ethics
of Human Rights, Oxford, 1991; VIOLA, Dalla natura ai diritti. I luoghi delletica
contemporanea, Roma-Bari, 1997; ID., Etica e metaetica dei diritti umani, cit.
(192) SALAS, Vers un droit commun europe en? Propos introductif, in Droit et Justice,
n. 33, 2002, p. 286.

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ALESSANDRO BERNARDI

In ogni caso, sia la persistente anima ecumenica dei diritti in


questione sia le sempre piu` evidenti ricadute di questi ultimi sul
diritto penale sembrano testimoniate, tra laltro, dallistituzione di
numerosi tribunali internazionali la cui attivita` risulta latamente
ispirata alla formula di Radbruch (193). In effetti, il primato dei
diritti delluomo sul diritto positivo ingiusto e sullordine legale in
cui esso si esprime (194), se da un lato comporta complessi problemi
di costituzionalita` (195), dallaltro lato tende a sgretolare la dimensione meramente provinciale del diritto penale (196), in nome di
esigenze di diritto sostanziale destinate a bilanciare sia pure con
(193) Secondo la quale, come noto, il diritto positivo [...] conserva il suo
predominio anche quando materialmente ingiusto e inadeguato, a meno che il contrasto
tra la legge positiva e la giustizia raggiunga una misura tanto intollerabile che la legge, in
quanto diritto iniquo, debba essere piegata alla giustizia: RADBRUCH, Gesetzliches
Unrecht und u bergesetzliches Recht, in Rechsphilosophie, Stuttgart, 1973, p. 345. In
argomento cfr., in particolare, VASSALLI, Formula di Radbruch e diritto penale. Note sulla
punizione dei delitti di Stato nella Germania postnazista e nella Germania postcomunista, Milano, 2001. Cfr. altres`, allinterno di una ormai vasta bibliografia, Crimini
internazionali tra diritto e giustizia, a cura di G. Illuminati, L. Stortoni, M. Virgilio,
Torino, 2000, e bibliografia ivi riportata; The Statute of the International Criminal Court.
A Documentary History; a cura di M. C. Bassiouni, New-York, 1998; BAZELAIRE, CRETIN,
La justice pe nale internationale, Paris, 2000; MUHM, Il muro di Berlino, i processi
paralleli e il diritto naturale in Germania, in Indice pen., 1994, p. 625 ss.; VASSALLI, Il
divieto di retroattivita` nella giurisprudenza della Corte europea, in I diritti delluomo
cronache e battaglie, 2001, n. 1, p. 5 ss.
(194) Primato, questo, evidenziato gia` dal comma 2 dellart. 7 CEDU il quale, in
deroga a quanto disposto dal comma 1 dello stesso articolo, prevede che possano venire
processati e condannati gli autori di fatti considerati criminali secondo i principi generali
di diritto riconosciuti dalle nazioni civili, ancorche al momento della loro commissione
detti fatti non costituissero reato secondo il diritto nazionale o internazionale. Sul punto
cfr., volendo, BERNARDI, Nessuna pena senza legge (art. 7), in Commentario della Convenzione europea dei diritti delluomo, diretto da S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi,
Padova, 2001, p. 297 ss.
(195) In merito ai quali cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, BERNARDI,
ivi, p. 304 ss.
(196) Sul carattere marcatamente provincialistico/nazionalistico del diritto penale cfr., tra gli altri, ALBRECHT, BRAUM, Insufficienze nellevoluzione del diritto penale
europeo, in Critica del diritto, 1999, p. 615; BERNARDI, Europeizzazione del diritto penale
commerciale?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996, p. 5; DELMAS-MARTY, Verso un diritto
penale comune europeo?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 543; ID., Union europe enne
et droit pe nal, in Cahiers de droit europe en, 1997, p. 608; DONINI, Metodo democratico
e metodo scientifico nel rapporto tra diritto penale e politica, in Riv. it. dir. proc. pen.,

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(2002)

esclusivo riferimento a taluni casi limite le contrapposte esigenze


di legalita` formale proprie dei singoli ordinamenti nazionali (197).
E` comunque importante sottolineare che oggi la dimensione
antistatualista dei diritti delluomo emerge anche laddove il loro
fondamento sia visto non gia` o non solo nella stessa natura umana,
come vuole la moderna concezione propria del giusnaturalismo
razionalistico, ma anche se non soprattutto nella storia e nella
cultura dei popoli (198). E` infatti di tutta evidenza che ormai, almeno
a livello europeo, i diritti delluomo non si ricavano tanto dalle
specificita` culturali dei singoli Stati, quanto piuttosto da quellinsieme di concezioni e principi radicantisi nella tradizione europea (199); tradizione rispecchiata prima dallunita` religiosa cristiana
(certo in declino, ma ancora viva sul piano dei valori), poi dai
principi liberali dellepoca dei lumi, infine e piu` in generale da quei
costumi, concezioni, modelli sociali ormai tendenzialmente omogenei in ambito continentale ancorche vieppiu` insidiati dallevoluzione
in senso multiculturalista della societa` occidentale (200).
2001, p. 29; TIEDEMANN, Leuropeizzazione del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1998, p. 3.
(197) Al riguardo cfr. gia` gli spunti di CHIAVARIO, La Convenzione europea dei
diritti delluomo nel sistema delle fonti normative in materia penale, Milano, 1969, p. 128.
(198) In una prospettiva di secolarizzazione dei diritti delluomo cfr., emblematicamente e per tutti, PECES-BARBA, Teoria dei diritti fondamentali, Milano, 1993, passim;
PERELMAN, Ethique et droit, Bruxelles, 1990, in particolare p. 469 ss.
(199) Cfr. al riguardo, anche per ulteriori puntualizzazioni e per taluni distinguo,
GAMBINO, Il diritto costituzionale europeo: principi strutturali e diritti fondamentali, in
Costituzione italiana e diritto comunitario, a cura di S. Gambino, Milano, 2002, p. 33 ss.;
MODERNE, la notion de droit fondamental dans les traditions constitutionnelles des Etats
membres de lUnion europe enne, in Re alite et perspectives du droit communautaire des
droits fondamentaux, a cura di F. Sudre e H. Labayle, Bruxelles, 2000, in particolare p.
59 ss., con ulteriori riferimenti bibliografici.
(200) Sullo spettacolo oggi offerto dalla coesistenza nel mondo occidentale di etnie
e religioni diverse, e sui riflessi di tale situazione sul piano dei diritti cfr., in particolare,
Pluralita` delle culture e universalita` dei diritti, cit.; Multicultural questions, a cura di C.
Joppke e S. Lukes, Oxford, 1999; COHN BENDIT, SCHMIDT, Patria Babilonia: la sfida della
democrazia multiculturale, Roma, 1994; FACCHI, I diritti nellEuropa multiculturale.
Pluralismo normativo e immigrazione, Roma-Bari, 2001; GAMBERINI, MARTELLI, PASTORE,
Multiculturalismo dialogico?, Padova, 2002; KYMLICKA, La cittadinanza multiculturale,
Bologna, 1999; Education in multicultural societies, a cura di T. Corner, London, 1984;
LYNCH, Educazione multiculturale in una societa globale, Roma, 1993; MACEDO, Diversity

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ALESSANDRO BERNARDI

Del resto, il processo di europeizzazione dei diritti fondamentali


ben si coglie dallesame del modo in cui si sono manifestati e tuttora
si manifestano il progressivo ravvicinamento e lintegrazione tra due
mondi in origine nettamente separati: quello dei diritti delluomo e
quello del diritto comunitario (201). Come noto, infatti, il crescente
riconoscimento dei diritti fondamentali allinterno del diritto comunitario funzionale allo scopo di affermare in via definitiva il
primato di questultimo sul diritto interno (202) tende a realizzarsi
sulla base di un approccio comparatistico che tiene conto del livello
di sviluppo di tali diritti allinterno dei Paesi membri (203). Piu`
precisamente, e` stata la Corte di giustizia sulla base di taluni
articoli del Trattato CE che sembrano autorizzare il ricorso a
principi generali di diritto non scritto per colmare le lacune del
diritto comunitario scritto (204) ad aver ricondotto allinterno del
catalogo di principi in materia di diritti fondamentali implicitamente
and distrust: civic education in a multicultural democracy, Cambridge-London, 2000;
PANNIKAR, La torre di Babele. Pace e pluralismo, San Domenico di Fiesole, 1990; SARTORI,
Pluralismo, multiculturalismo e estranei: saggio sulla societa multietnica, Milano, 2002;
TAYLOR, Multiculturalismo. La politica del riconoscimento, Milano, 1993; TIE, Legal
pluralism: toward a multicultural conception of law, Aldershot, 1999.
(201) La natura essenzialmente economica dei Trattati CEE, Ceca ed Euratom
aveva infatti portato a trascurare, nella prima fase della costruzione europea.
(202) Primato il quale, viceversa, sarebbe potuto risultare fortemente ostacolato
gia` sul piano logico da uneventuale carenza di protezione a livello comunitario dei diritti
delluomo riconosciuti ai cittadini degli Stati membri dalle rispettive Costituzioni
nazionali, con conseguente rischio di promulgazione da parte degli organi comunitari di
testi in contrasto con tali diritti. In relazione a tale problematica, e agli sviluppi ad essa
conferiti in particolare dalle Corti costituzionali italiana e tedesca, la bibliografia e` ormai
sterminata: cfr., sinteticamente e per tutti, TESAURO, I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, cit., p. 434 ss.
(203) In argomento cfr., per tutti, ADINOLFI, I principi generali nella giurisprudenza
comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati membri, in Riv. it. dir. pubbl.
com., 1994, p. 521 ss.; CAPOTORTI, Il diritto comunitario non scritto, in Dir. com. scambi
intern., 1983, p. 403 ss.; GRECO, I diritti fondamentali nella Costituzione europea, in Riv.
it. dir. publ. com., 2001, p. 187 ss.; SOMMA, Luso giurisprudenziale della comparazione nel
diritto interno e comunitario, cit., p. 218 ss.; TESAURO Il ruolo della Corte di giustizia
nellelaborazione dei principi generali dellordinamento europeo e dei diritti fondamentali,
in ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI COSTITUZIONALISTI, Annuario 1999 - la Costituzione europea,
Padova, 2000, p. 297 ss.; TORIELLO, I principi generali del diritto comunitario. Il ruolo della
comparazione, Milano, 2000.
(204) Artt. 220, 230 e 288.

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recepiti e tutelati dal diritto comunitario tutti i diritti fondamentali


previsti sia dalle Carte internazionali cui aderiscono i Paesi dellUnione (205) sia dalle Costituzioni di tali Paesi: con lulteriore
puntualizzazione che, quantomeno secondo lorientamento giurisprudenziale predominante (206), i diritti fondamentali di fonte costituzionale vengono integrati nellordinamento comunitario sulla
base del livello di evoluzione da essi prevalentemente assunto negli
Stati dellUnione (207), e ricavato appunto attraverso unopera (per
(205) Per un completo elenco delle fonti internazionali utilizzate in sede di individuazione dei diritti fondamentali accolti in ambito comunitario e delle relativa giurisprudenza della Corte di giustizia cfr., in particolare, PICOD, Les sources, in Re alite et
perspectives du droit communautaire des droits fondamentaux, cit., in particolare p. 146 ss.
(206) In merito ai criteri (ulteriori rispetto a quello qui considerato) adottati dalla
Corte di giustizia per lindividuazione e limplementazione dei diritti fondamentali di
derivazione costituzionale cfr., per tutti, BERNARDI, Principi di diritto e diritto penale
europeo, cit., p. 181 ss.; MARCOUX, Le concept de droits fondamentaux dans le droit de la
Communaute e conomique europe enne, in Rev. intern. dr. comp., 1983, p. 716 ss.;
MODERNE, la notion de droit fondamental dans les traditions constitutionnelles des Etats
membres de lUnion europe enne, cit., in particolare p. 50 ss.; PESCATORE, Le recours, dans
la jurisprudence de la Cour de Justice des communaute s europe ennes, a` des normes de duites
de la comparaison des droits des Etats membres, cit., p. 353 ss.; SCHERMERS, The European
Communities bound by Fundamental Human Rights, in Common Market Law Review,
1990, p. 254 ss.; SORRENTINO, La tutela dei diritti fondamentali nellordinamento comunitario ed in quello italiano, in Linfluenza del diritto europeo sul diritto italiano, Milano
1982, p. 61 ss.; TOSATO, La tutela dei diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte
delle Comunita` europee, in Studi in onore di G. Sperduti, Milano, 1984, p. 734 ss.; TOTH,
Legal Protection of Individuals in the European Communities, Amsterdam, 1978, p. 109
ss.; WEILER, Il sistema comunitario europeo, Bologna, 1985, p. 160.
(207) E tenuto conto altres` delle esigenze dellordinamento comunitario, ovvero
in una prospettiva parzialmente diversa nella misura della loro compatibilita` con la
struttura e gli obiettivi di questultimo. Cfr., per tutti e con diverse sfumature, ADINOLFI,
I principi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli
Stati membri, cit., p. 553 ss.; ANCORA, Corte di giustizia CEE e diritti fondamentali, in Giur.
merito, 1992, p. 754; CIRAOLO, La tutela dei diritti fondamentali nelle Comunita` europee,
in Nomos, 1993, p. 29 ss.; DAUSES, La protection des droits fondamentaux dans lordre
juridique communautaire, in Rev. trim. dr. eur., 1984, p. 401 ss.; GAJA, Aspetti problematici
della tutela dei diritti fondamentali nellordinamento comunitario, in Riv. dir. intern., 1988,
p. 579 e bibliografia ivi riportata; GRASSO, Comunita` europee e diritto penale, cit., p. 61 ss.;
ID., La protezione dei diritti fondamentali nellordinamento comunitario e i suoi riflessi sui
sistemi penali degli Stati membri, in Riv. int. dir. uomo, 1991, p. 626, con ulteriori riferimenti
bibliografici; LORENZ, General Principles of Law: Their Elaboration in the Court of Justice
of the European Communities, in American Journal of Comparative Law, 1964, p. 12 ss.;

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ALESSANDRO BERNARDI

vero assai poco meticolosa) (208) di comparazione su scala europea (209).


Da ultimo nellambito di un piu` generale processo di trasposizione in fonti scritte dei diritti fondamentali, connesso al progredire
della costruzione europea (210) lidea secondo la quale i diritti delluomo riconosciuti allinterno dellUnione debbano essere raccolti in
un organico documento destinato a renderli piu` manifesti (211) ha
portato, come noto, al varo della Carta europea dei diritti. Ma e` importante sottolineare che tale Carta, se da un lato potrebbe prendere
il posto, nella giurisprudenza comunitaria, delle tradizioni costituMENGOZZI, Il diritto comunitario e dellUnione europea, in Trattato di diritto commerciale
e di diritto pubblico delleconomia, diretto da Galgano, Padova, 1997, p. 260 ss.; PAGANO,
I diritti fondamentali nella Comunita` europea dopo Maastricht, in Dir. Un. Eur., 1996, p.
176 ss., con ulteriori riferimenti bibliografici; VERGEv S, Droits fondamentaux de la personne
et principes ge ne raux du droit communautaire, in LEurope et le droit. Me langes en hommage
a` Jean Boulouis, Paris, 1991, p. 525 ss.; VOGEL, Wege zu europa isch-einheitlichen Regelungen
im Allgemeinen Teil des Strafrechts, in JZ, 1995, p. 336; ZWEIGERT, Les principes ge ne raux
du droit des Etats membres, in Droits des Communaute s europe ennes, diretto da Ganshof
van der Meersch, Bruxelles, 1969, p. 444 ss.
(208) Al riguardo cfr., per tutti, le osservazioni di AZZENA, Le forme di rilevanza
della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, in La difficile Costituzione
europea, a cura di U. De Siervo, Bologna, 2000, p. 269; GAMBINO, Il diritto costituzionale
europeo: principi strutturali e diritti fondamentali, cit., p. 39 ss., con ulteriori riferimenti
bibliografici.
(209) In linea con lesigenza di sviluppare i diritti fondamentali in sintonia con
posizioni convergenti o dominanti allinterno degli Stati membri, cfr. in particolare le
conclusioni degli avvocati generali relativamente alle sentt. 28 maggio 1970, causa 36/69
(Peco), in Racc., 1970, p. 375; 15 luglio 1970, causa 41/69 (ACF Chemiefarma), in Racc.,
1970, p. 712 ss.; 14 dicembre 1972, causa 7/72 (Boehringer), in Racc., 1972, p. 1294; 24
ottobre 1973, causa 5/73 (Balkan), in Racc., 1973, p. 1130; 8 ottobre 1974, causa 175/73
(Union syndacale), in Racc., 1974, p. 928 ss.; 25 maggio 1978, cause riunite 83 e 94/76,
5, 15 e 40/77 (Bayerische), in Racc., 1978, in particolare p. 1235 lett. b); 5 aprile 1979,
cause riunite 220 e 221/78 (A.L.A. e A.L.F.E.R.), in Racc., 1979, p. 1700; 21 settembre
1989, cause riunite 46/87 e 227/88 (Hoechst), in Racc., 1989, p. 2923.
(210) In merito a tale processo cfr., per tutti, PICOD, Les sources, cit., p. 151 ss.
(211) Cfr. Consiglio europeo di Colonia, 3-4 giugno 1999, Conclusioni della Presidenza, n. 44 e allegato IV. In dottrina cfr., per tutti, DIX, Charte des droits fondamentaux
et convention. Des nouvelles voies pour re former lUE, in Rev. Marche comm. Un. eur., 2001,
p. 306; PACIOTTI, La Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea: una novita` istituzionale, in Teoria politica, 2001, p. 28; TULKENS, CALLEWAERT, La Convention europe enne
des droits de lhomme du Conseil de lEurope et la Charte des droits fondamentaux de lUnion
europe enne, in Archives de politique criminelle, n. 22, 2000, p. 34.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

zionali comuni agli Stati membri (212), dallaltro lato non per questo
rinnega la dimensione non solo ideale (213), ma anche storico-comparatistica del catalogo di statuizioni in essa contenute (214). Catalogo
deputato, con ogni probabilita`, a costituire in futuro il nucleo centrale
di una Costituzione europea degna di rappresentare il livello di valori
e di principi espresso da un continente considerato la culla dei diritti
delluomo anche da chi si dichiara alieno da una lettura puramente
oggettiva e positiva di questi ultimi (215).
14.

Le attuali concezioni giuridiche a sfondo razionalistico e le loro


valenze antistatualiste e europeiste.

Una ulteriore manifestazione dellattuale tendenza del pensiero


penalistico ad evolvere in senso trans-nazionale si rinviene nelle
moderne concezioni tese a valorizzare il carattere razionale della
(212) AZZENA, Le forme di rilevanza della Carta dei diritti fondamentali dellUnione
europea, cit., p. 269.
(213) Dunque latamente giusnaturale. E` infatti noto lapporto del giusnaturalismo alla redazione delle Carte (come per lappunto la Carta europea dei diritti) tese a
racchiudere quei principi e valori in cui si risolve il concetto concreto di diritto di
natura PERTICONE, voce Diritto naturale (teoria moderna), in Noviss. Dig. It., vol. IV, p.
954. In merito ai contenuti di diritto lato sensu naturale propri delle Carte fondamentali cfr., ad esempio, MORELLI, Il diritto naturale nelle costituzioni moderne, cit., passim.
Per una radicale concezione universalistica dei diritti sanciti dalla Carta europea dei
diritti cfr., in particolare, TULKENS, CALLEWAERT, La Convention europe enne des droits de
lhomme du Conseil de lEurope et la Charte des droits fondamentaux de lUnion
europe enne, cit., p. 38.
(214) Per una energica sottolineatura del ruolo della comparazione nella stesura
e nella ricostruzione per via giurisprudenziale dellesatta portata dei diritti sanciti dalla
Carta europea cfr., in particolare, MASTROIANNI, Il contributo della Carta europea alla
tutela dei diritti fondamentali nellordinamento comunitario, in Cass. pen., 2002, p.
1873 ss. Tra gli altri, sottolineano con varieta` di accenti la connotazione storicocomparatistica dei diritti in questione BALDASSARRE, La Carta europea dei diritti,
resoconto della relazione svolta il 28 maggio 1999 a cura di Politi, Scaccia, in
http: / /www.google.com / search?q=cache:www / europa / carta /+carta+europa+dei+diritti,
p. 1 del testo dattiloscritto; DuIEZ-PICAZO, Notes sur la nouvelle Charte des droits
fondamentaux de lUnion europe enne, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2001, p. 673; RODOTAv ,
La Carta come atto politico e come documento giuridico, in Riscrivere i diritti in Europa,
Bologna, 2001, p. 64 ss.; VITORINO, La Charte des droits fondamentaux de lUnion
europe enne, in Rev. dr. Un. eur., 2000, p. 502.
(215) SALAS, Vers un droit commun europe en? Propos introductif, cit., p. 285 ss.

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ALESSANDRO BERNARDI

scienza giuridica. Carattere, questo, sottolineato non solo da quelle


concezioni neo-giusnaturaliste atte a far coincidere i concetti di
natura e di ragione (216), ma anche da quelle concezioni neopositivistiche ed ermeneutiche tese a privilegiare gli aspetti di razionalita` dunque duniversalita` della metodologia giuridica.
Ancorche non ancora adeguatamente approfondita (217), tale evoluzione della scienza giuridica in direzione razionalista e antistatualista
si manifesta con evidenza anche in ambito penale, potendo finire col
condizionare persino le codificazioni criminali, tradizionalmente
considerate la forma di estrinsecazione del potere legislativo massimamente espressiva di una concezione nazionalistica del diritto.
Al riguardo, occorre innanzitutto premettere che la statualizzazione dei codici moderni deve considerarsi non gia` il risultato
ineluttabilmente inscritto nel loro patrimonio genetico, ma piuttosto
il prodotto delle concezioni positivistico-nazionalistiche insite, in un
ben preciso periodo storico, nelle diverse componenti culturali e
giuridiche chiamate ad interagire coi codici stessi (218). In questo
senso, sembra dunque lecito ritenere che, in un mutato clima
culturale e giuridico, i processi di codificazione potrebbero cessare
di porsi quali simboli tangibili dello statualismo penale, per divenire
lo strumento privilegiato di forme vieppiu` estese di armonizzazione
o di unificazione normativa su scala transnazionale. In termini piu`
espliciti, questa eventuale rivoluzione copernicana dei codici penali appare quantomeno non del tutto utopistica ove si rifletta sul
(216) Sul c.d. giusnaturalismo razionalistico cfr., per tutti, FASSOu , La legge della
ragione, Bologna, 1964, e bibliografia ivi riportata. Cfr. altres`, per tutti, HAARSCHER,
Philosophie des droits de lhomme, Bruxelles, 1991, p. 19 ss.; JESTAZ, Autorite et raison en
droit naturel, in Arguments dautorite et arguments de raison en droit, Bruxelles, 1988, in
particolare p. 259 ss.
(217) Sottolinea le perduranti incertezze circa la maggiore o minore influenza del
diritto naturale sulla metodologia giuridica SANTINI, Nascita di una nuova disciplina: la
storia del diritto europeo, in Arch. giur., 1994, p. p. 201.
(218) Cfr., tra gli altri, DAVID, I grandi sistemi giuridici contemporanei, Padova,
1994, p. 53 ss.; ARNAUD, Pour une pense e juridique europe enne, Paris, 1991, p. 134 ss. La
tendenziale valenza universalistica delle codificazioni, anche penali, particolarmente
evidente nel codice penale Napoleone del 1810, non ha ovviamente impedito il varo di
codici penali impregnati ab origine di spirito nazionalistico quando non addirittura
xenofobo. Cfr., al riguardo, le osservazioni di BETTIOL, Sullunificazione del diritto penale
europeo, in Prospettive per un diritto penale europeo, Padova, 1968, p. 9-10.

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fatto che i processi di codificazione avvenuti in epoca moderna, pur


risultando strettamente legati a soluzioni pragmatiche e relativistiche
sintomatiche delle particolarita` dei singoli contesti storici e geografici in cui essi erano concepiti (219), si rivelavano pero`, al contempo,
espressione di concezioni giusnaturalistico-razionalistiche a sfondo
tendenzialmente universalistico. In altre parole, seppure introdotti
giocoforza in ambiti geograficamente delimitati, i codici penali
moderni mantenevano pur sempre un nucleo strutturato in termini
assoluti, in quanto non prioritariamente focalizzato su un dato
contesto storico-politico, ma piuttosto teso a rinnovare la tradizione
del diritto comune, di cui tali codici volevano per lappunto costituire una esposizione aggiornata e sistematizzata.
Ammesso che quanto sin qui detto sia vero, non e` difficile capire
come lodierna fase di crisi del nazionalismo giuridico, conseguente
alla rinascita del diritto naturale, o comunque alla prepotente affermazione di concezioni dimpronta razionalistica, potrebbe consentire di riproporre la dimensione intrinsecamente sovrastatuale dei
processi di codificazione. In questo senso, tali processi, lungi dal
rafforzare le barriere scientifiche tra gli Stati, potrebbero forse
favorire, nel nome di un superiore diritto giusto e razionale, una
sorta di riacquistata comunanza giuridica tra le nazioni.
A questo proposito, tuttavia, una precisazione si impone. Nellattuale contesto storico, lidea che tale comunanza possa assumere
una valenza tendenzialmente universale sino a dar vita ad un
codice penale valido su scala mondiale va considerata senzaltro
illusoria: essa sarebbe infatti espressiva di una concezione giusnaturalista di tipo classico, come tale eccessivamente assolutistica in
quanto dimentica degli inevitabili condizionamenti prodotti sul
piano giuridico dalle variabili socio-culturali proprie delle diverse
aree del pianeta. Meno irreale risulta, al contrario, lidea di una
comunanza giuridico-penale in un ambito meramente continentale,
la quale parrebbe perfettamente in linea con le piu` recenti concezioni giusnaturaliste e razional-positiviste, tutte in misura maggiore
o minore a carattere sincretistico, in quanto storicamente e culturalmente condizionate. In questo senso, e` presumibile ritenere che,
(219) Cfr., in particolare, CARTUYVELS, Elements pour une approche ge ne alogique du
code pe nal, in De viance et societe , 1994, n. 18, p. 383 ss.

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alla luce di tali concezioni giuridiche dimpronta antistatualistica


ma al contempo consapevoli della ineliminabile influenza delle
variabili storiche allinterno dei sistemi normativi lambito di
vigenza dei codici non potrebbe oltrepassare i limiti estremi consentiti dalla sussistenza di una comune cultura giuridica, e dunque
non potrebbe valicare i confini entro i quali si trova racchiusa la
cultura giuridica europea (220).
Tutto cio` premesso, il fatto che queste concezioni giuridiche sincretistiche a sfondo razionalistico tendano progressivamente ad affermarsi anche in sede penale sembra avvalorato dallesame dei summenzionati progetti varati in Europa (221) e finalizzati a perseguire, a
seconda dei punti di vista, forme vuoi di intenso ravvicinamento dei
sistemi penali nazionali, vuoi di vera e propria unificazione penale. E
invero indipendentemente dalle divergenze riscontrabili in dottrina in merito al loro livello di incompletezza e al loro fine ultimo
appare indiscutibile che i progetti relativi al Corpus Juris e agli EuropaDelikte costituiscano, sia pur con le differenze in precedenza sottolineate (222), altrettanti disegni di microcodificazione penale capaci di
rivitalizzare il dibattito sullesigenza di un diritto penale europeo e sui
metodi per realizzarlo (223). In particolare, posto che a tali progetti
sembra sottesa lidea di una armonizzazione/unificazione penale (224)
(220) In merito alla quale cfr., in particolare e con varieta` di accenti, BASEDOW,
Rechtskultur zwischen nationalem Mythos und europa ischem Ideal, in ZEuP, 1996, p.
379 ss.; HA} BERLE, Europa ische Rechtskultur, in Riv. eur. dir. pubbl., 1994, p. 287 ss.;
WIEACKER, Fundations of European Legal Culture, in The american Journal of Comparative
Law, 38, 1990, p. 1 ss.
(221) Cfr. supra, sub sez. I, par. 11.
(222) Cfr. ancora supra, sub sez. I, par. 11.
(223) Con specifico riferimento al ruolo del Corpus Juris nellambito della discussione sullesigenza di un sistema penale a carattere sovrastatuale cfr., tra gli altri, GRASSO,
La formazione di un diritto penale dellUnione europea, cit., p. 31; MANACORDA, Le droit
pe nal et LUnion europe enne: esquisse dun syste`me, in Rev. sc. crim., 2000, p. 98 ss., e
bibliografia ivi riportata; MORALES PRATS, Los modelos de unificacio n del Derecho Penal en
la Unio n europea: reflexiones a propo sito del Corpus Juris, in Revista penal, 1999, p. 29 ss.;
VERVAELE, Pre face, in La mise en oeuvre du Corpus Juris dans les E tats-Membres, I, cit.,
p. V.
(224) Sullunificazione penale europea cfr. per tutti, in una piu` generale prospettiva disancorata dalla problematica del Corpus Juris, Europa ische Einigung und Europa isches Strafrecht, cit.; Bausteine des europa ischen Wirtschaftsstrafrechts. Madrid Symposium fu r Klaus Tiedemann, a cura di B. Schunemann, C. Suarez Gonzales, Ko ln,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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perseguita attraverso forme settoriali di codificazione (225), appare


inutile sottolineare come lammissione in prospettiva europeista di
forme di codificazione limitate a particolari campi del diritto penale
contribuisca a rendere un po meno irreale un eventuale codice penale
continentale, peraltro gia` auspicato (sia pure nella mera forma di codice-modello) dalle organizzazioni europee (226) e considerato con
attenzione da una crescente parte della dottrina (227).
Berlin, Bonn, Mu nchen, 1994; DELMAS-MARTY, Pour un droit commun, Paris, 1994,
passim; ID., Verso un diritto penale comune europeo?, cit., p. 543; ID., Union europe enne
et droit pe nal, cit., p. 608; FRAGOLA, ATZORI, Prospettive per un diritto penale europeo, cit.,
passim; GRASSO, Lincidenza del diritto comunitario sulla politica criminale degli Stati
membri: nascita di una politica criminale europea?, in Indice pen., 1993, p. 65 ss.; SIEBER,
Unificazione europea e diritto penale europeo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1991, p. 985 ss.;
TIEDEMANN, Leuropeizzazione del diritto penale, cit., p. 3 ss.; VOGEL, Wege zu europa ischeinheitlichen Regelungen im Allgemeinen Teil des Strafrechts, cit., p. 336 ss.; volendo
BERNARDI, Verso una codificazione penale europea? Ostacoli e prospettive, cit., passim.
(225) Cfr., specificamente, PALIERO, La fabbrica del Golem. Progettualita` e metodologia per la Parte generale di un codice penale dellUnione europea, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2000, in particolare p. 473. In effetti, e` stata la stessa DELMAS-MARTY ad avallare, in
taluni suoi scritti, la tesi di ununificazione europea circoscritta a taluni settori del sistema
penale. Cfr., ad esempio, Politique criminelle dEurope, in Towards Universal Law. Trend
in National, European and International Lawmaking, Uppsala, 1995, p. 79 ss. In una
prospettiva codicistica a carattere nazionale, lipotesi di un insieme di codici o corpi
normativi settoriali, distinti per materia e per tecniche di tutela e` evocata, in particolare,
da FIANDACA, Problemi e prospettive attuali di una nuova codificazione penale, in Foro it.,
1994, c. 14; ID., In tema di rapporti tra codice e legislazione penale complementare, in Dir.
pen. proc., 2001, p. 137 ss. Cfr. altres`, per tutti e in termini piu` sfumati, PALAZZO, A
proposito di codice penale e leggi speciali, in Questione giustizia, 1991, p. 312 ss.
(226) Invero, gia` nel 1971 il Consiglio dEuropa sottolineava lopportunita` di varare
un codice penale modello. Cfr. Model Penal Code for Europe. Memorandum prepared at
the request of the legal affairs committee of the Council of Europe (Nr. AS/Jur[22]45). Con
specifico riferimento a tale progetto, nuovamente sollecitato dal Consiglio dEuropa a oltre
ventanni di distanza (cfr. Consiglio dEuropa, Assemblea parlamentare, Proposta di raccomandazione per un codice penale modello europeo, Doc. 6851 del 28 maggio 1993) cfr.,
in particolare, ENSCHEDEu , Een uniform europees strafrecht?, Arnhem, 1990; RU} TER, Harmonie trotz Dissonanz. Gedanken zur Erhaltung eines funktionsfa higen Strafrechts im grenzenlosen Europa, in ZStW, 105, 1993, p. 37; SEVENSTER, Criminal Law and EC Law, in
Common Market Law Review, 1992, p. 29 ss., 38.
(227) Sia pure con notevole varieta` di toni, e con locchio rivolto ad un futuro non
immediato, favorevolmente ad un codice penale europeo si sono espressi, tra gli altri,
BERNARDI, Verso una codificazione penale europea? Ostacoli e prospettive, cit., passim; ID.
Strate gies pour une harmonisation des syste`mes penaux europe ens, cit., p. 231 ss.; CADOPPI,

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ALESSANDRO BERNARDI

Certamente, non puo` negarsi che oggi la massima parte della


dottrina ritiene del tutto prematura lipotesi di un codice penale
uniforme, e che non pochi studiosi si dichiarano anche, con varie
argomentazioni, contrari alla redazione di un codice penale modello (228). Resta il fatto che, a mio avviso, la redazione di un siffatto
testo codicistico avrebbe molte ricadute positive, favorendo il miglioramento del dibattito scientifico e la sua concentrazione attorno ad un oggetto determinato (229). In particolare, nellattuale
momento storico un modello di codice penale europeo potrebbe
perseguire due scopi tendenzialmente convergenti: lo scopo culturale e scientifico di favorire uno sviluppo vieppiu` omogeneo della
scienza penalistica su scala continentale, nonche lo scopo di stimolare un processo riformistico degli ordinamenti penali nazionali e in
specie dei relativi codici, nel segno della razionalizzazione e del
ravvicinamento di questi ultimi.
15.

La rivalutazione della storia del diritto penale nella prospettiva


dellarmonizzazione/unificazione dei sistemi nazionali.

Passando ora allesame della terza delle summenzionate dinamiche nelle quali trova espressione lattuale superamento delle
tradizioni penali statuali nella prospettiva di una loro progressiva

Towards a European Criminal Code?, in Eur. Jour. Crime Crim. Law Crim. Jus., 1996, p.
2 ss; DANNECKER, Der Allgemeine Teil eines europa ischen Strafrechts als Herausforderung
fu r die Strafrechtswissenschaft, in Festschrift fu r Hirsch, a cura di T. Weigend, G. Ku pper,
Berlin, 1999, p. 141 ss.; PALIERO, La fabbrica del Golem. Progettualita` e metodologia per
la Parte generale di un codice penale dellUnione europea, cit., p. 466 ss.; PARODI
GIUSINO, Diritto penale e diritto comunitario, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, p. 110.
Cfr. altres`, a favore di un codice penale modello per lUnione europea, CADOPPI, Verso
un diritto penale unico europeo?, in Possibilita` e limiti di un diritto penale dellUnione
europea, cit., p. 39; PAGLIARO, Limiti allunificazione del diritto penale europeo, in Riv.
trim. dir. pen. econ., 1993, p. 205; SIEBER, Memorandum on a European Model Code, in
European Journal of Law Reform, 1998/1999, vol. 1, n. 4, p. 445 ss.
(228) Sul punto cfr., amplius, BERNARDI, Strate gies pour une harmonisation des
syste`mes penaux europe ens, cit., p. 231-232.
(229) In argomento cfr. le osservazioni di SIEBER, A propos du code pe nal type
europe en, in Rev. dr. pe n. crim., 1999, p. 28.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

europeizzazione, occorre soffermarsi sulla valorizzazione sul piano


giuridico-criminale delle ricerche a carattere storico e della loro
funzionalizzazione in prospettiva riformistica.
Al riguardo, occorre precisare come il rilancio del metodo
storicistico nellambito dello studio del sistema penale sembri
trovare una prima spiegazione nel fatto che lodierno processo di
costruzione dellUnione europea costituisce unesperienza unica ed
originale, rispetto alla quale gli attuali modelli rappresentati dai
sistemi federali nord-americani e piu` in generale dalle moderne,
progressive agglomerazioni di Stati ovvero di entita` politiche o
giuridiche a carattere regionale non appaiono costituire un valido
punto di riferimento. Infatti, a tacer daltro, i modelli federali
nordamericani non hanno dovuto confrontarsi, nel loro processo
evolutivo, con quelle culture giuridiche nazionali forti e ben differenziate che contraddistinguono il panorama europeo; mentre altri
modelli anche a carattere assai eterogeneo (si pensi, ad esempio, al
modello svizzero o a quello offerto dal Comitato nordico di
diritto penale (230)) possono giovarsi di tradizioni socio-culturali
assai omogenee. Dunque, nella ricerca di modelli giuridici di
riferimento, la consapevolezza delle peculiarita` della costruzione
europea rispetto agli attuali modelli giuridici complessi induce a
cercare tali riferimenti non tanto in modelli contemporanei, quanto
in modelli risalenti della tradizione europea precedente lepoca
degli stati nazione.
In questo senso, non desta stupore che secondo taluni solo
attraverso unanalisi storica risulti forse possibile rinvenire modelli
giuridici in qualche misura rapportabili allattuale fenomeno di
creazione di uno spazio giuridico europeo, e (senza per questo dover
(230) Sulla evoluzione storica della Cooperazione internordica in materia penale
posta in essere dai Paesi dellUnione nordica cfr., amplius e per tutti, ROMANDER, Les
tentatives dharmonisation et dunification du droit pe nal et de la proce dure pe nale dans
les Etats nordiques, in Droit pe nal europe en, Bruxelles, 1970, p. 557 ss. Cfr. altres`, piu`
in generale, Le droit pe nal des pays scandinaves, Paris, 1969; Les orientations actuelles de
le politique criminelle dans les pays nordiques, in Archives de politique criminelle, n. 4,
1980, p. 223 ss, con articoli di INGSTRUP (p. 225), LEHTIMAJA (p. 241), RO} STAD (p. 269),
NELSON (p. 271); Les grandes orientations de le politique criminelle actuelle (pays
nordiques), in Archives de politique criminelle, n. 6, 1983, con articoli di RO} STAD (p. 209)
e ANTILLA (p. 217).

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531

ALESSANDRO BERNARDI

aderire acriticamente alla concezione vichiana della storia) capaci


eventualmente di aiutare a comprenderne e favorirne i futuri sviluppi (231).
Certamente, potrebbe di primo acchito apparire paradossale un
ricorso al metodo storico per avvallare i moderni impulsi alleuropeizzazione del diritto penale e per coglierne talune implicazioni
tecnico-scientifiche: e` noto infatti che proprio nella scuola storica si
sono condensate quelle istanze volte ad affermare lesistenza e la
piena legittimita` di diritti e di scienze giuridiche peculiari dei singoli
Stati, e dunque votate a screditare ogni ecumenismo giuridico di tipo
transnazionalista.
E` chiaro, tuttavia, che lattuale rivisitazione del processo di
costruzione europea in chiave storica non si prefigge lobiettivo di
sminuire il ruolo assunto nel corso dei secoli dagli Stati-nazione e dai
relativi sistemi giuridici, ovvero di negare i molteplici tradimenti e
abbandoni dal ceppo comune di matrice romanistica che hanno
caratterizzato levoluzione dei percorsi dottrinali e normativi in
ambito continentale. Essa vuole piuttosto privilegiare e porre in
evidenza gli elementi di comunanza e di coralita` della storia e della
cultura europea (232), i quali hanno costituito un sostrato unificante
(231) Cfr., per taluni spunti al riguardo, GROSSI, Assolutismo giuridico e diritto
penale, in Per la storia del pensiero giuridico moderno. Quaderni fiorentini, n. 24, 1995,
p. 470 ss.
(232) In questa prospettiva cfr., allinterno di una bibliografia ormai sterminata e
con diverse sfumature, New Perspectives for a Common Law of Europe, a cura di M.
Cappelletti, Firenze, 1978; Linfluenza del diritto europeo sul diritto italiano, a cura di M.
Cappelletti e A. Pizzorusso, Milano, 1982; ARNAUD, Pour une pense e juridique europe enne, cit.; CALASSO, Storicita` del diritto, Milano, 1966; ID., Tradizione e critica metodologica, in Introduzione al diritto comune, Milano, 1951, p. 3 ss.; CAVANNA, Storia del diritto
moderno in Europa, vol. I, Le fonti e il pensiero giuridico, Milano, 1979; COING, Das Recht
als Element europa ischer Kultur, in Historische Zeitschrift, 1984, p. 1 ss.; GORLA,
Unificazione legislativa e unificazione giurisprudenziale, in Diritto comparato e diritto
comune europeo, Milano, 1981, p. 653; ID., Prolegomeni ad una storia del diritto
comparato (e postilla), ivi, p. 875; KNUTEL, Rechtseinheit in Europa und das ro mische
Recht, in ZEuP, 1994, p. 244 ss.; KOSCHAKER, Europa und das ro mische Recht, Mu ichenBerlin, 1966; MANSEL, Rechtsvergleichung und europa ische Rechtseinheit, in JZ, 1991, p.
529 ss.; ROBINSON, FERGUS, GORDON, An Introduction to European Legal History, Abington, 1987; SANTINI, Nascita di una nuova disciplina: la storia del diritto europeo, cit., p.
185 ss. e bibliografia ivi riportata; ID., LEuropa come spazio giuridico unitario: unarmonia nel rispetto delle dissonanze, in Contratto e impresa/Europa, 1996, p. 43 ss.; SCHULZE,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

per le costruzioni politiche dellepoca e hanno creato le basi per una


tradizione giuridica comune che seppure per lungo tempo sovrastata dalle specificita` nazionali puo` oggi essere recuperata e
perfezionata (233).
Non senza, talora, forzature di tipo metodologico e concettuale,
i processi di frammentazione giuridica strettamente correlati ad una
percezione in chiave storico-culturale del diritto finiscono quindi
con lo sfumare nella consapevolezza sia delle importanti esperienze
di diritto uniforme che hanno coinvolto anche la sfera penale sia
della comune matrice europea delle grandi correnti del pensiero
giuridico. Viene in tal modo favorita la formazione, in ambito
criminale, di giuristi e piu` in generale di operatori del diritto consci
delle loro ascendenze e dunque per nulla ostili alla rinascita di una
grammatica penale condivisa e di un sistema di fonti a carattere
continentale.
In questo processo storico di ripensamento della scienza penale
e dei suoi precipitati normativi puo` allora accadere che, a seconda
del concetto di Europa di volta in volta vagheggiato nellambito
dellattuale, mutevole e proteiforme, quadro istituzionale dellUnione europea, lattenzione del giurista si focalizzi su taluni
momenti della storia del vecchio continente per lui piu` carichi di
significati in quanto evocativi di episodi, problemi e soluzioni riproponibili, mutatis mutandis, nel nuovo contesto.
Cos`, chi scommettesse oggi su unEuropa destinata nel futuro a
tradursi in una sorta di super-Stato unificato nei suoi tratti
Un nouveau domaine de recherche en Allemagne: lhistoire du droit europe en, cit., p. 29
ss.; ID., La renaissance de lide e de jus commune, in Variations autour dun droit commun,
a cura di M. Delmas-Marty, H. Muir Watt, H. Ruiz Fabri, Paris, 2002, p. 181 ss.; STEIN,
I fondamenti del diritto europeo, Milano, 1987; STEIN, SHAND, I valori giuridici della civilta`
occidentale, Milano, 1981; WIEACKER, Storia del diritto privato moderno, trad. it., Milano,
1980, Vol. I, p. 11 ss.; nonche , in prospettiva strettamente penalistica, BETTIOL, Sullunificazione del diritto penale europeo, in Prospettive per un diritto penale europeo, Padova,
1968, p. 3 ss.; FRAGOLA, ATZORI, Prospettive per un diritto penale europeo, cit., in
particolare p. 29 e 86 ss.; GLASER, Le principe de la supre matie du droit international et
lunification du droit pe nal europe en, in Prospettive per un diritto penale europeo, cit., pp.
389 ss. e 429; H. H. JESCHECK, Dogmatica penale e politica criminale nuove in prospettiva
comparata, in Indice pen., 1985, p. 508 ss.
(233) Cfr., specificamente e da ultimo, PADOA SCHIOPPA, Verso una storia del diritto
europeo, in Studi di storia del diritto, vol. III, Milano, 2001, in particolare p. 24-25.

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ALESSANDRO BERNARDI

essenziali e dotato di un potere fortemente accentrato, potrebbe


forse trovare nel modello dellImpero romano un interessante archetipo di progressiva unificazione giuridico-penale articolata in piu`
tappe (234): una prima tappa contrassegnata dalla coesistenza di
numerosi Stati dotati di legislazione e di organizzazione penale
autonoma ancorche ormai appartenenti allecumene romana; una
seconda tappa caratterizzata da una strategia imperiale di progressiva assimilazione seppure nel rispetto, talora, di una legiferazione su
basi localistiche legittimata dagli eterogenei caratteri culturali delle
aree conglobate; infine, una terza tappa segnata dalla realizzazione di
corpi normativi unitari in grado di porsi come unico jus vigente e di
condurre al superamento della frammentazione giuridica (235).
Chi, diversamente, auspicasse unEuropa a carattere meramente
confederale, articolata in una pluralita` di Stati autonomi seppur
legati da una tradizione giuridica comune, potrebbe verosimilmente
utilizzare, quale modello di riferimento, quello offerto dallesperienza giuridica medievale. In essa, infatti, la massiccia disgregazione
politica e la tendenziale assenza di un centro di potere unitario
trovava, quale sorta di contrappeso giuridico, uno jus commune
capace di porsi in rapporto dialettico con gli jura propria cos` da
offrire, pur in un contesto di frammentazione istituzionale, una
coerenza giuridica complessiva di respiro europeo (236).
(234) Tappe peraltro non puntualmente delineabili, in ragione dellindubbia
poverta` delle fonti in materia.
(235) In argomento cfr., in generale e con varieta` di accenti, MOMMSEN, Das
ro mische Strafrecht, Leipzig, 1901 (trad. francese di J. Duquesne, Droit pe nal roman,
Paris, 1907, p. 121 ss.); FERRINI, Esposizione storica e dottrinale del diritto penale romano,
in Enciclopedia del diritto penale italiano, a cura di E. Pessina, I, Milano, 1905, p. 15 ss.
Sui meccanismi utilizzati da Roma per la progressiva estensione del suo diritto alle
province cfr., specificamente, GIUFFREv , La repressione criminale nellesperienza romana,
Napoli, 1998, p. 55 ss.; DE VISSCHER, Lespansione della civitas romana e la diffusione del
diritto romano, in Conferenze romanistiche IV, Trieste, 1957, p. 3 ss., 96 ss.
Per una riflessione sulle relazioni intercorrenti tra Roma e le province come
antesignane delle moderne relazioni internazionali cfr. DONNEDIEU DE VABRES, Les
principes modernes du droit pe nal international, Paris, 1928, p. 41 ss.
(236) Sul ruolo dello jus comune nel contesto medioevale di frammentazione
politico-giuridica cfr., tra gli altri, BELLOMO, LEuropa del diritto comune, Roma, 1991, p.
67 ss.; CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti del pensiero giuridico, vol.
I, cit., p. 33 ss.; GROSSI, Lordine giuridico medievale, Milano, 1999, p. 227 ss.; HESPANHA,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

E ancora, chi nellambito dellattuale fase di costruzione europea ponesse laccento sulla progressiva affermazione di principi e
valori comuni di impronta al contempo ideale e razionale potrebbe
cogliere, quale piu` significativo antecedente di tale fase, il modello
proposto dal riformismo illuminista settecentesco. In esso, come
noto, ad una critica radicale dei retaggi del passato in nome dei
nuovi valori liberal-borghesi si accompagnavano innovazioni politico-sociali di respiro cosmopolita, ricche di riflessi sul piano giuridico, e destinate a porre le fondamenta di un diritto incentrato sul
primato della legge e della dignita` umana (237).
Chi, infine, pur dubitando della tenuta sul piano politicoistituzionale di unEuropa caratterizzata da continui fenomeni di
ampliamento, perseguisse parallelamente un disegno di ununita`
giuridico-penale consentito dalla tendenziale affinita` culturale del
vecchio continente, o, in subordine, auspicasse il potenziamento di
una politica preventivo-repressiva comune per i settori criminali di
rilievo transnazionale, potrebbe trovare un immediato antecedente
storico nel movimento di europeismo utopista della prima meta`
Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, 1999, p. 69 ss.; IGLESIAS RERREIROu S,
La forja de la civilizacio n europea: el Ius commune, in Cultura juridica europea: una
herencia persistente, Sevilla, 2001, p. 39 ss., 54 ss.; Con specifico riferimento al settore
penale cfr. altres`, in generale, CARBASSE, Introduction historique au droit pe nal, Paris,
1990, p. 94 ss.. Per taluni spunti sui parallelismi tra lesperienza giuridica medioevale e
lattuale esperienza giuridica europea cfr., ad esempio, CHITI, Lo spazio giuridico europeo,
in Riv. it. dir. pubbl. com., 2001, p. 983 ss.; nonche , in chiave penalistica, JESCHECK, Nuove
prospettive del diritto penale nazionale, europeo e internazionale. Quale politica criminale
per il XXI secolo?, cit., p. 6 del testo dattiloscritto; RIONDATO, Sullarcipelago neomedioevale del diritto penale della Comunita` e dellUnione europea. In margine al Corpus
Juris per la protezione penale degli interessi finanziari dellUnione, in Possibilita` e limiti
di un diritto penale dellUnione europea, cit., p. 97 ss.
(237) Al riguardo cfr., in generale e con impostazioni talora non coincidenti,
CANTUv , Beccaria e il diritto penale, Firenze, 1862, p. 3 ss.; CATTANEO, I principi dellIlluminismo giuridico-penale, in Casi, fonti e studi per il diritto penale, raccolti da S.
Vinciguerra, Padova, 1999, p. 3 ss.; CORDERO, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Bari,
1985, p. 514 ss.; MAESTRO, Cesare Beccaria e le origini della riforma penale, Padova, 1973,
p. 17 ss.; PESSINA, Il diritto penale in Italia da Cesare Beccaria sino alla promulgazione del
codice penale vigente (1764-1890), in Enciclopedia del diritto penale italiano, a cura di E.
Pessina, Milano, 1906, p. 541 ss.; STROMHOLM, LEurope et le droit, Paris, 2002, p.
208-209; TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna: assolutismo e codificazione del
diritto, Bologna, 1976, p. 31 ss.

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ALESSANDRO BERNARDI

del XX secolo (238). Questo movimento infatti contro ogni evidenza politica si proponeva di offrire una risposta unitaria sul
piano penale a taluni contingenti problemi di politica criminale
tuttora straordinariamente attuali e di difficile soluzione, specie ove
affrontati da sistemi giuridici nazionali chiusi nel loro particolarismo (239).
In definitiva, quindi, il nuovo impulso alla europeizzazione del
diritto attraverso la storia mira a sottolineare il persistere di una
tradizione giuridica comune, inscritta nella sostanziale identita` culturale del vecchio continente (240), a stimolare la formazione di
studiosi consapevoli delle loro ascendenze e propensi a favorire la
rinascita, anche in ambito penale, di una scienza giuridica di respiro
continentale.
In questa prospettiva, i fenomeni di relativizzazione e frammen(238) Di tale movimento costituiscono una puntuale testimonianza le otto conferenze svoltesi tra il 1927 e il 1947 su iniziativa dellAssociation internationale du droit
pe nal e del Bureau international pour lunification du droit pe na, in merito alle quali cfr.:
Actes de la Confe rence de Varsavie, Paris, 1929; Actes de la Confe rence de Rome, Istituto
Poligrafico dello Stato, Roma, 1931; Actes de la Confe rence de Bruxelles, Office de
publicite , Bruxelles, 1931; Actes de la Confe rence de Paris, Paris, 1933; Actes de la
Confe rence de Madrid, Paris, 1935; Actes de la Confe rence de Copenaghen, Paris, 1938;
Actes de la Confe rence de Cairo, Paris, 1939; Actes de la Confe rence de Bruxelles, Paris,
1949.
(239) In merito a tali problemi politico-criminali cfr., specificamente, ALOISI,
Unificazione internazionale del diritto penale, Torino, 1940, p. 5 ss.; RAPPAPORT, Le
proble`me de lunification internationale du Droit Pe nal, in Revue Pe nitentiaire de Pologne,
Varsovie, 1929, p. 13 ss. In argomento, piu` sinteticamente, BACIGALUPO, Il Corpus Juris
e la tradizione della cultura giuridico-penale degli Stati membri dellUnione europea, in
Prospettive di un diritto penale europeo, Milano, 1998, p. 52-53; JESCHECK, Lo stato attuale
del diritto europeo, in Prospettive per un diritto penale europeo, Padova, 1968, p.323;
SOLNAR, Difficolta` e prospettive del diritto penale in Europa, in Prospettive per un diritto
penale europeo, Padova, 1968, p. 170.
(240) In questo senso cfr., emblematicamente, PREDIERI, Il diritto europeo come
formante di coesione e come strumento di integrazione, in Il diritto dellUnione europea,
1996, p. 22: Vi e`, dunque, ... ununita` [di tradizione giuridica] che puo` riallacciarsi
dopo le prove piu` dure: le restaurazioni della democrazia dopo i totalitarismi e il ritorno
dei paesi dellEuropa centrale dopo il crollo dellimpero sovietico lo testimoniano.
Quando questo fondo comune europeo venga compromesso e paia essere soppresso,
riemerge al momento opportuno. Cfr. altres`, per tutti, SANTINI, Nascita di una nuova
disciplina: la storia del diritto europeo, cit., p. 192; ID., Materiali per la storia del diritto
comune, Torino, 1990; STEIN, SHAND, I valori giuridici della civilta` occidentale, cit.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

tazione del diritto talora connessi proprio alla percezione di questultimo in chiave storico-culturale (241) tendono a svanire nella
consapevolezza della specifica matrice europea delle grandi correnti del pensiero giuridico, della forza unificante esercitata su scala
continentale da un comune sentire destinato a prevalere rispetto
allaccidentale pluralismo delle soluzioni nazionali.
Fondata dunque su una solida tradizione di valori condivisi (242)
e su una omogenea civilta` ricca di riflessi sul piano del diritto, la
consapevolezza di appartenere ad una casa comune appare oggi
rafforzata dalla incredibile permeabilizzazione delle culture giuridiche locali. Culture, queste, ormai stabilmente attraversate dai nuovi
flussi della scienza europea del diritto (243) e proiettate in un contesto sovrastatuale comunitario sia a causa della caduta delle frontiere
doganali e dallattenuazione dei localismi intellettuali sia, piu` specificamente, a causa del meccanismo biunivoco di scambio giuridicoculturale instaurato nelle relazioni tra sistema comunitario e sistemi
nazionali (244). Ma, a questo punto, la valorizzazione della comune
tradizione giuridica operata nellambito dallattuale fenomeno di
riscoperta in prospettiva funzionalistica della storia del diritto finisce
col giovarsi anche di quei processi di trasformazione del metodo
comparatistico che verranno qui di seguito esaminati.
16.

La valorizzazione e le nuove funzioni del metodo comparatistico


alla luce delle esigenze di europeizzazione del diritto e della
politica criminale.

Una quarta espressione dellincidenza sulla scienza penale degli


attuali processi di europeizzazione del diritto e` costituita dal ruolo
(241) Cfr., in particolare, ARNAUD, Pour une pense e juridique europe enne, cit., p. 22
ss., e bibliografia ivi riportata.
(242) Tra gli altri, sottolinea le profonde radici comuni proprie dei valori espressi
dal diritto penale dei Paesi membri dellUnione europea, cos` come i contenuti almeno
parzialmente conformi di tali valori TIEDEMANN, Die Europa isierung des Strafrechts,
relazione tenuta il 5 luglio 1996 allUniversita` di Wu rzburg, p. 1 del testo dattiloscritto.
(243) Cfr., ancora, TIEDEMANN, ivi, p. 4 del testo dattiloscritto.
(244) In argomento cfr., per tutti e diffusamente, PREDIERI, Il diritto europeo come
formante di coesione e come strumento di integrazione, cit., in particolare p. 47 ss.

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centralissimo assunto dallattivita` comparatistica allinterno degli


Stati membri dellUnione.
Correlata sia al generale processo di globalizzazione (245), sia per
taluni aspetti al summenzionato fenomeno di rivalutazione della
storia del diritto (246), la prepotente affermazione della comparazione penale (247) specie (ma non solo) in ambito europeo non
puo` certo sorprendere. In effetti, in ogni epoca i ruoli della comparazione giuridica non stati solo quelli concettualmente distinti,
ma caratterizzati tutti dalla loro natura meramente speculativa di
prendere atto delle somiglianze e delle differenze esistenti tra gli
ordinamenti nazionali (248), ovvero di consentire una piu` approfondita e consapevole conoscenza del proprio ordinamento (249), ovvero
ancora di individuare le costanti universali-necessarie della scienza
del diritto (250). In realta`, come noto, grazie proprio al patrimonio di
(245) Sui nessi esistenti tra globalizzazione e comparazione cfr., in particolare e
per tutti, DELMAS-MARTY, La mondialisation du droit: chances et risques, in Recueil Dalloz,
chr., 1999, p. 47.
(246) In particolare, le analogie tra il metodo storicistico e quello comparatistico
sono valorizzate da quanti vedono nella comparazione giuridica un particolare genere
di analisi storica del diritto: cfr., ad esempio, BOGNETTI, Introduzione al diritto costituzionale comparato, Torino, 1994, p. 118 ss.
(247) In merito al generale fenomeno di espansione del diritto penale comparato
cfr., diffusamente e per tutti, ESER, Funzioni, metodi e limiti della ricerca in diritto
penale comparato, in Diritto penale - XXI secolo, 2002, p. 1 ss.; volendo BERNARDI,
Strate gies pour une harmonisation des syste`mes penaux europe ens, cit., p. 203 ss.
Limitatamente alla realta` italiana cfr. PALAZZO, PAPA, Lezioni di diritto penale comparato, Torino, 2000, p. 18 ss.
(248) Peraltro, a favore del primato della funzione puramente conoscitiva della
comparazione cfr., ad esempio, GAMBARO, SACCO, Sistemi giuridici comparati, in Trattato
di diritto comparato, diretto da Sacco, Torino, 1996; MATTEI, MONATERI, Introduzione
breve al diritto comparato, Torino, 1997; SACCO, Introduzione al diritto comparato, in
Trattato di diritto comparato, diretto da Sacco, Torino, 1992.
(249) In questo senso cfr. gia`, diffusamente, FEUERBACH, Blich auf die deutsche
Rechtswissenschaft. Vorrede zu Unterholzners juristischen Abhandlungen, Mu nchen,
1810, in Ansel von Feuerbach kleine Schriften vermischten Inhalts, I, Osnabru ck, 1833, p.
163. Cfr. altres`, per tutti, ESER, Funzioni, metodi e limiti della ricerca in diritto penale
comparato, cit., p. 5, p. 9 e p. 20; PRADEL, Droit pe nal compare , Paris, 2002, p. 11.
(250) In questa prospettiva, il metodo comparatistico potrebbe dunque assumere
profili latamente giusnaturalistici. Tuttavia, per una realistica segnalazione delle ambizioni eccessive da cui deve guardarsi la comparazione giuridica cfr. BOGNETTI, Introduzione al diritto costituzionale comparato, cit., p. 98 ss.

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conoscenze che la comparazione dischiude, questultima e` sempre


stata funzionale alla critica (251) e alla riforma del diritto vigente (252). Riforma che, attuandosi sovente a seguito del raggiungimento di concezioni comuni (253), finisce il piu` delle volte col
favorire larmonizzazione delle legislazioni e delle giurisprudenze in
materia criminale (254), confermando cos` lidea radicata secondo la
quale la comparazione costituisce un efficace strumento di ravvicinamento dei sistemi giuridici e degli stessi popoli (255).
Ora, tenuto conto del fatto che lo sviluppo di un vero e proprio
diritto penale europeo, o quantomeno di quella articolata ed efficace
(251) Sia delle tesi dottrinali, sia delle scelte legislative, sia financo delle soluzioni
giurisprudenziali. Al riguardo cfr., esemplificativamente e con varieta` di accenti, EBERT,
Rechtsvergleichung. Fa lle und Materialen, Tu bingen, 1996, p. 176 ss.; PRADEL, Droit pe nal
compare , cit, p. 12 ss. con ulteriori riferimenti bibliografici.
(252) In questo senso cfr., per tutti e con varieta` di accenti, ANCEL, La me thode du
droit compare en droit pe nal, in Rev. intern. dr. comp., 1949, p. 512 ss.; DELMAS-MARTY,
Verso un diritto penale comune europeo?, cit., p. 543 ss.; DO} RKEN, La comparaison en tant
que me thode de la science du droit pe nal et de la criminologie, in Rev. sc. crim., 1979, p.
415 ss.; HERZOG, Les principes et les me thodes du droit pe nal compare , in Rev. intern. dr.
comp., 1957, p. 337 ss.; JESCHECK, Il significato del diritto comparato per la riforma penale,
in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, p. 803; MALINVERNI, Diritto comparato organizzazione
dei lavori di riforma scelte di politica criminale imputabilita`, in Problemi generali di
diritto penale, Milano, 1982, p. 293 ss.; PEDRAZZI, Lapporto della comparazione alle
discipline penalistiche, in Lapporto della comparazione alla scienza giuridica, a cura di
Sacco, Milano, 1980, p. 167 ss.; STOFFEL, Les professions juridiques et le droit compare en
Suisse, in Rev. intern. dr. comp., 1994, p. 761 ss.; WATSON, The Making of the Civil Law,
Cambridge-Massachussets, 1981, p. 181.
(253) Circa lattitudine del diritto comparato a promuovere una concezione
comune per le riforme legislative che devono essere realizzate nei diversi Paesi cfr. gia`
SALEILLES, Conception et objet de la science du droit compare . Rapport pre sente au Congre`s
international de droit compare , in Bull. Socie te de le gislation compare e, 1900, p. 383 ss.
(254) Cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, ESER, Funzioni, metodi e
limiti della ricerca in diritto penale comparato, cit., p. 14 ss; MANACORDA, Jus commune
criminale? Enjeux et perspectives de la comparaison pe nale dans la transition des syste`mes,
in Variations autour dun droit commun, cit., p. 350 ss.; PALAZZO, PAPA, Lezioni di diritto
penale comparato, cit., p. 24; PRADEL, Droit pe nal compare , cit., p. 13 ss.
(255) Cfr. gia`, per tutti, KOHLER, Uber die Methode der Rechtsvergleichung, in
Rechtsvergleichung, a cura di K. Zweigert, H.J. Puttfarken, Darmstad, 1978 (ma 1901);
piu` recentemente GORLA, Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981. Tra
gli altri, sottolinea il ruolo del diritto comparato nel ravvicinamento delle diverse culture
europee (e di riflesso dei relativi diritti) HA} BERLE, Europa ische Rechtskultur, cit., p. 294
ss. e bibliografia ivi riportata.

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politica criminale di respiro continentale ormai imposta dallattuale


livello di integrazione riscontrabile allinterno dellUnione, richiede
sia la conoscenza dei diversi principi, istituti, norme proprie dei
singoli sistemi penali nazionali sia la cooperazione e il ravvicinamento di questi ultimi attraverso progressive riforme (256), ben si
comprende come la comparazione sia oggi considerata il presupposto indispensabile per consentire allUnione di avere eventualmente,
in futuro, un proprio sistema penale e di sviluppare nellimmediato
una adeguata politica criminale (257), quantomeno limitatamente alle
materie di interesse comune esplicitamente previste dallart. 29 del
Trattato sullUnione europea (258). Del resto, un macroscopico
esempio del ruolo fondamentale assunto dalla comparazione nella
progettazione di una comune normativa penale a livello europeo e`
offerto proprio dal Corpus Juris, le cui norme hanno costituito, al
contempo, il prodotto e loccasione di una attivita` comparatistica
intensa ed originale (259).
Se dunque un massiccio ricorso al metodo comparatistico in
vista dellattuale e assai arduo processo di europeizzazione del
diritto penale (260) puo` ritenersi un fatto talmente scontato da non
(256) Sul rapporto tendenzialmente biunivoco esistente tra i livelli di cooperazione
e di armonizzazione penale cfr., in particolare, Motivazione. Verso una repressione piu`
giusta, piu` semplice e piu` efficace, in Verso uno spazio giudiziario europeo, Milano, 1997,
p. 42 ss. Cfr. altres`, per tutti e con varieta` di accenti, BERNARDI, Il diritto penale tra
globalizzazione e multiculturalismo, cit., p. 490-491; BERNASCONI, Nuovi strumenti giudiziari contro la criminalita` economica internazionale, cit., p. 405 ss.; LABAYLE, La coope ration europe enne en matie`re de justice et daffaires inte rieures et la Confe rence intergouvernementale, cit., p. 1 ss., e bibliografia ivi riportata; PRADEL, La mondialisation du droit
pe nal. Enjeux et perspectives, in Revue juridique The mis, 2001, p. 246-247; SALAZAR, La
cooperazione giudiziaria in materia penale, cit., in particolare p. 152 ss.
(257) Cfr., al riguardo, gli approfondimenti di DONINI, Larmonizzazione del diritto
penale europeo nel contesto globale, cit., p. 487 ss.; ESER, Funzioni, metodi e limiti della
ricerca in diritto penale comparato, cit., p. 16-17; KHU} L, Europa isierung der Strafrechtswissenschaft, in ZStW, 109, 1997, p. 787 ss.
(258) Per un elenco di tali materie cfr. supra, sub par 1, nt. 8.
(259) Al riguardo cfr., per tutti, BERNARDI, Corpus Juris e formazione di un diritto
penale europeo, cit., p. 300 ss.; DONINI, Larmonizzazione del diritto penale europeo nel
contesto globale, cit., p. 487.
(260) Sottolinea come proprio la ricerca di diritto comparato riveli la difficolta` di
pervenire ad una effettiva armonizzazione del diritto penale in ambito europeo ESER,
Funzioni, metodi e limiti della ricerca in diritto penale comparato, cit., p. 28 ss.

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meritare ulteriori commenti, deve per contro essere posto in rilievo


come, nellambito di questo processo, tale attivita` tenda ad assumere
funzioni nuove e per molti aspetti cos` rivoluzionarie da comportare,
di fatto, in un vero e proprio mutamento di significato della
comparazione. In questa sede ci si soffermera`, in particolare, su
quelle che potrebbero essere definite le nuove funzioni di legittimazione del diritto vigente e di creazione di nuovo diritto svolte
in ambito europeo dallattivita` comparatistica in materia penale.
a) Per quanto concerne la funzione di legittimazione del diritto
vigente, occorre preliminarmente sottolineare che la scoperta
grazie allattivita` comparatistica di soluzioni legislative e giurisprudenziali differenti da quelle adottate dallo Stato di appartenenza
non deve certo indurre a ritenere in modo automatico che le
soluzioni straniere siano migliori di quelle nazionali (261). Cio` vale,
a fortiori, in ambito penale. Infatti, posto che le soluzioni offerte nel
campo del diritto penale risultano strettamente connesse alla cultura
e alle tradizioni giuridiche dei singoli popoli, e` verosimile ritenere
che, quantomeno il piu` delle volte, le decisioni prese dagli organi
nazionali di produzione e applicazione delle norme penali si rivelino
piu` in linea con le tradizioni locali di quanto non lo siano le decisioni
assunte da organi stranieri: cosicche , in definitiva, solo in un numero
circoscritto di casi le scelte giuridico-penali altrui dovrebbero
risultare preferibili alle proprie, dunque meritevoli di essere recepite
attraverso appositi provvedimenti.
Sennonche , ovviamente, questo discorso appare tanto piu` valido
quanto piu` profonde siano le differenze riscontrabili tra gli Stati in
comparazione. Laddove per contro come nel caso dei Paesi
dellUnione europea gli Stati di cui si comparano le scelte penali
siano caratterizzati da un significativo livello di affinita` sul piano
della cultura e dei valori (262), il confronto tra le soluzioni accolte nei
singoli Paesi rischia di divenire assai imbarazzante, specie per
quanto concerne lambito applicativo delle fattispecie penali e le
sanzioni da esse previste. In relazione a tali ipotesi, infatti, la
cosiddetta autorita` morale delle norme incriminatrici nazionali,
(261) Cfr., al riguardo, le osservazioni di ESER, ivi, p. 15.
(262) Affinita` testimoniata, del resto, dalla proclamazione della Carta dei diritti
fondamentali da parte del Consiglio europeo riunito a Nizza dal 7 al 9 dicembre 2000.

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derivante soprattutto dalla loro origine parlamentare, rischia di


essere pesantemente compromessa nel caso in cui Paesi connotati da
una omogeneita` di fondo e da un comune sentire, non si peritino
di privilegiare scelte differenti se non addirittura antitetiche (263).
Nelle suddette ipotesi, attraverso lesame delle divergenze riscontrabili tra gli Stati dellUnione, e` dunque la funzione di prevenzione
generale cosiddetta positiva (o allargata) della norma penale (264) a
risultare intaccata, in quanto leffetto di orientamento culturale
che questultima dovrebbe produrre rischia di venire neutralizzato
dalleffetto di disorientamento causato dalle scelte sanzionatorie
altrui, spesso avvertite da larga parte della popolazione come piu`
congrue e intrinsecamente giuste rispetto a quelle espresse dallo
Stato di appartenenza.
Non va poi sottaciuto che la delicatezza del raffronto tra le
diverse soluzioni penali nazionali risulta incrementata dallassenza di
frontiere allinterno dellUnione, stante che tale situazione potrebbe
indurre il cittadino europeo a considerare superflua ogni indagine
sulle regole vigenti nei luoghi in cui si reca e sulle relative regole
giuridiche, intuite come tendenzialmente omogenee alle proprie, e
dunque, per certi aspetti, pre-conosciute (265). Muovendo da questa premessa, bisognerebbe allora dedurne che, con lavvento di una
effettiva liberta` di circolazione tra Stati, normative sanzionatorie
significativamente diverse da un Paese allaltro potrebbero essere
considerate espressive di distonie che non dovrebbero piu` esserci,
con conseguente perdita della ricordata autorita` morale di entrambe le opposte soluzioni normative.
(263) Del resto, e` ormai esperienza di tutti i giorni la messa sotto accusa di
talune scelte politico-criminali attraverso lesame, in parallelo, delle scelte di segno
opposto effettuate da Stati non solo a noi vicini geograficamente, ma anche ritenuti, in
linea generale, per molti aspetti affini.
(264) Vale a dire la funzione di orientamento dei consociati e di rafforzamento del
sistema di valori protetto. Cfr., per tutti e con varieta` di accenti, FIANDACA, MUSCO,
Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2001, p. 660 ss.; PAGLIARO, Principi di diritto
penale. Parte generale, Milano, 2000, p. 669 ss., e bibliografia ivi riportata; PALAZZO,
Introduzione ai principi di diritto penale, cit., p. 44 ss.
(265) In effetti, il venir meno dei controlli alle frontiere tra gli Stati tende
inevitabilmente ad essere considerato sintomatico non solo di rapporti politici non
conflittuali, ma anche di un processo di ravvicinamento socio-culturale destinato a
riflettersi sul piano normativo.

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In questa prospettiva, la perdita di visibilita` delle frontiere


nazionali, specie se realizzata nellambito della costruzione di organizzazioni tra Stati pensate in prospettiva tendenzialmente federale (266), sembra pertanto sottendere un processo di intensa armonizzazione normativa tale da non consentire piu` scelte politico-criminali
fortemente differenziate su scala nazionale; o quantomeno da consentirle solo a scapito della loro stessa persuasivita`, dunque della
loro stessa funzione generalpreventiva. Parallelamente, per vero, in
una siffatta situazione ladozione di scelte incriminatrici fortemente
divergenti allinterno degli Stati dellUnione tenderebbe a compromettere anche la funzione specialpreventiva della pena. Potrebbe
infatti riuscire difficile giustificare lesigenza di rieducare un soggetto
che ha tenuto comportamenti giudicati pienamente legittimi secondo lordinamento di uno Stato caratterizzato da costumi sociali
affini ai nostri.
Ammesso che tutto quanto sin qui detto sia vero, sembra
possibile affermare che la conoscenza da comparazione delle
profonde divergenze tuttora presenti tra gli Stati europei in ordine
alla scelta di punire o meno (267) taluni comportamenti di dubbio
significato criminologico (268) rischia di implicare una perdita di
legittimazione del diritto nazionale vigente cui potra` porsi rimedio, con ogni probabilita`, solo in due modi: grazie ad un processo di
attenuazione di tali divergenze allinterno dei sistemi penali dei Paesi
UE (269); ovvero, allopposto, tramite un processo a ritroso teso a far
riacquistare a tali sistemi il loro risalente carattere autarchico.
Processo, questo, verificabile con ogni probabilita` solo nella deprecata ipotesi che fatti socio-politici di estrema gravita` determinino un
progressivo allontanamento tra gli Stati delllUnione, inducendoli
(266)

E` questo, per lappunto, il caso dellUnione europea. Cfr., supra, sub par. 1,

nt. 4.
(267) Ovvero, in subordine, di punire in modo significativamente diverso.
(268) Si pensi, ad esempio, alla prostituzione (e alle relative attivita` di contorno
quali linduzione, ladescamento, lo sfruttamento), al consumo di stupefacenti, alle
pratiche connesse allappartenenza a particolari sette religiose; e si pensi altres`, limitatamente al campo della bioetica, alle pratiche abortive, ai trapianti di organi, alleutanasia, alle diverse forme di fecondazione artificiale.
(269) In argomento cfr., volendo, BERNARDI, Europe sans frontie`res et droit pe nal,
in Rev. sc. crim., 2002, p. 1 ss. e, in particolare, p. 12-13.

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a rimarcare le loro differenze politiche, culturali e giuridiche, anche


attraverso la reintroduzione delle barriere doganali.
b) Per quanto concerne poi la funzione di creazione di nuovo
diritto svolta in ambito europeo dallattivita` comparatistica in materia
penale, importa qui preliminarmente sottolineare come tale funzione
venga assolta solo dalla giurisprudenza di Lussemburgo (270) e da
quella di Strasburgo (271). Al riguardo, va considerato che le due
Corti europee sia per la loro composizione (272), sia per la stessa
struttura del Consiglio dEuropa e dellordinamento comunita-

(270) In merito alluso innovativo del metodo comparatistico da parte della Corte
di giustizia nellambito della costruzione del diritto comunitario cfr., in generale e per
tutti, HILF, The Role of Comparative Law in the Jurisprudence of the Court of Justice of
the European Communities, in The Limitation of Human Rights in Comparative Constitutional Law, Cowansville, 1986, p. 558 ss.; JANN, Der Ru ckgriffe auf die nationalen
Rechte in der Ta tigkeit des europa ischen Gerichtshofes, in Me langes en hommage a`
Ferdinand Schockweiler, Baden-Baden, 1999, p. 255 ss.; KAKOURIS, Lutilisation de la
methode comparative par la Cour de justice des Communaute s europe ennes, in The Use of
Comparative Law by Courts, Atene, 1999, p. 97 ss.; LENAERTS, Le droit compare dans le
travail du juge communautaire, in Rev. trim. dr. eur., 2001, p. 487 ss.; MERTENS DE
WILMARS, Le droit compare dans la jurisprudence de la Cour de justice des Communaute s
europe ennes, in Journal des Tribunaux, 1991, p. 37 ss.; PESCATORE, Le recours, dans la
jurisprudence de la Cour de justice des Communaute s europe ennes, a` des normes de duites
de la comparaison des droits des Etats membres, in Rev. int. dr. comp., 1980, p. 352 ss.;
PIZZORUSSO, Le tradizioni costituzionali comuni dei Paesi dEuropa come fonte del diritto
comunitario, in I diritti delluomo. Cronache e battaglie, 2000, n. 3, p. 12 ss.; SOMMA, Luso
giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, Milano, 2001,
p. 193 ss.
(271) Cfr., allinterno di una vasta bibliografia, Linterpretazione giudiziaria della
Convenzione Europea dei diritti delluomo, Padova, 1988; MATSCHER, Methods of Interpretation of the Convention, in The european System for the Protection of human Rights,
a cura di R. St. J. Mac Donald, F. Matscher e H. Petzold, Dondrecht - Boston - London,
1993; OST, Originalite des methodes dinterpre tation de la Cour europe enne des droits de
lhomme, in Raisonner la raison de tat, a cura di M. Delmas-Marty, Paris, 1989, p. 405 ss;
PUSTORINO, Linterpretazione della Convenzione Europea dei diritti delluomo nella prassi
della Commissione e della Corte di Strasburgo, Napoli, 1998.
(272) Come noto, la Corte europea dei diritti delluomo risulta composta di
giuristi di riconosciuta competenza, provenienti dai diversi Stati membri del Consiglio
dEuropa ed eletti per un periodo di nove anni. Quanto alla Corte di giustizia CE, essa
e` formata da giudici (alti magistrati e giuristi di chiara fama), scelti senza vincoli di
nazionalita`, eletti di comune accordo per un periodo di sei anni dai governi degli Stati
membri e dotati di unassoluta indipendenza nei confronti di questi ultimi.

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rio (273) sia infine per la necessita` di garantire una interpretazione


delle rispettive fonti autonoma ma al contempo ispirata al patrimonio di tradizioni e principi propri dei relativi Stati (274)
appaiono inevitabilmente portate a privilegiare, nelle loro decisioni,
il metodo comparativo, con conseguente ingresso nelle sentenze
delle supreme istanze europee di importanti elementi ricavati dagli
ordinamenti nazionali (275). Una ulteriore ragione della fortuna di
tale metodo risiede nel fatto che esso, per la sua stessa complessita`
e per la variabilita` dei criteri adottabili, costituisce uno strumento
oltremodo flessibile, dunque in grado di garantire un ampio potere
discrezionale dellorgano giudicante, consentendo cos` a questultimo di effettuare le scelte ritenute piu` opportune sotto il profilo non
solo giuridico ma anche lato sensu politico. Comunque sia, e` un fatto
che tale metodo venga largamente utilizzato dai suddetti organi in
relazione sia ai principi di diritto scritto (cioe` ai principi espressamente previsti nella Convenzione europea e nei Trattati comunitari)
sia ai principi di diritto non scritto (cioe`, come in precedenza
ricordato (276), ai principi impliciti elaborati dalla giurisprudenza
comunitaria (277), specie in materia di diritti fondamentali, sulla base
(273) Struttura divenuta vieppiu` simile a quella degli ordinamenti nazionali, con
conseguente tendenza a ricalcare modelli e principi tipici di questi ultimi. Cfr., in
particolare, AKEHURST, The Application of General Principles of Law by the Court of
Justice of the European Communities, in British Yearbook of International Law, 1981,
p. 31.
(274) In questo senso cfr. ad esempio, limitatamente alla Corte europea dei diritti
delluomo; DERVIEUX, PESQUIEu , La Cour europe enne des droits de lhomme et la recherche
comparative, in Archives de politique criminelle, n. 15, 1993, p. 59 ss.; OST, Originalite des
me thodes dinterpre tation de la Cour europe enne des droits de lhomme, cit., p. 448 ss.
Limitatamente alla Corte di giustizia CE cfr., tra gli altri, KUTSCHER, Me thodes dinterpre tation vues par un Juge a` la Cour, in Rencontre judiciaire et universitaire 27-28
septembre 1976, Publications de la Cour de Justice des Communaute s europe ennes,
Luxembourg, 1976, p. 1 ss.
(275) Cfr. KUTSCHER, Me thodes dinterpre tation vues par un Juge a` la Cour, cit.,
p. 29.
(276) Cfr., supra, sub par. 13.
(277) Tuttavia, sottolinea lesistenza, anche allinterno della Convenzione europea
dei diritti delluomo, di principi/diritti impliciti che costituiscono aspetti, illustrazioni
e sfaccettature dei diritti espressamente previsti, MELCHIOR, Rights not covered by the
Convention, in The european System for the Protection of human Rights, cit., p. 594.

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dellesame delle Carte internazionali e delle Costituzioni dei Paesi


membri dellUnione europea).
Per quanto concerne, in particolare, il metodo comparativo
utilizzato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di
diritti fondamentali, va ulteriormente precisato come allinterno di
una molteplicita` di criteri qui impossibili da ricordare nei dettagli (278), due sembrino essere quelli prioritariamente accolti dalla
Corte.
In base al primo criterio, cosiddetto del maximum standard, ai
principi generali e ai diritti fondamentali sarebbe assicurato in sede
comunitaria il piu` alto livello di sviluppo e protezione loro attribuito
allinterno dei singoli sistemi costituzionali dei Paesi membri (279).
Tale criterio, ancorche sorretto da argomenti logici ineccepibili,
risulta tuttavia di difficile utilizzabilita`, innanzitutto per la difficolta`
di conciliare in ambito comunitario la tutela sempre e comunque al
piu` alto livello di diritti (individuali e collettivi, civili e politici,
economici e sociali) talora in rapporto di reciproca tensione (280).
In base al secondo e piu` utilizzato criterio, nel quale possono
essere ricondotte sia la teoria dellorientamento prevalente sia la
teoria ad essa parzialmente complementare, della better law, tali
principi e diritti sarebbero riconosciuti a livello comunitario sulla
base e nei limiti della tendenza prevalente negli Stati membri,
tenendo altres` conto delle esigenze del sistema comunitario (281).
Ora, occorre sottolineare come, attraverso il progressivo sviluppo di tali criteri a sfondo comparatistico (282), la giurisprudenza
comunitaria, mentre da un lato riesce a colmare le lacune del diritto
(278) Per un puntuale esame di tali criteri si rimanda alla bibliografia riportata
supra, sub par. 13, nt. 206 ss.
(279) In merito a tale criterio cfr., per gli opportuni riferimenti bibliografici, supra,
sub par. 13, nt. 206.
(280) In argomento cfr., diffusamente, BERNARDI, Principi di diritto e diritto
penale europeo, cit., p. 182 ss.
(281) Cfr., supra, sub par. 13, nt. 207.
(282) Sviluppo invero non di rado caratterizzato da una estrema sensibilita` alle
tendenze in atto su scala nazionale. Secondo taluni, questa sensibilita` porterebbe la Corte
di giustizia a privilegiare le tendenze evolutive proprie dei principi e diritti fondamentali
rispetto ai meri aspetti di convergenza dei principi e diritti nazionali. Cfr., in questo
senso, GREMENTIERI, Il processo comunitario. Principi e garanzie fondamentali, Milano,
1973, p. 32; REUTER, Le recours de la Cour de Justice des Communautes Europe ennes a` des

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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comunitario scritto, dallaltro lato finisce inevitabilmente col contribuire al potenziamento e perfezionamento del metodo comparatistico. Lattivita` della Corte di Giustizia (cos` come quella della Corte
europea dei diritti delluomo) costituisce dunque un vero e proprio
terreno privilegiato per lelaborazione di nuove metodologie comparatistiche di grande interesse: tanto piu` che, come si avra` subito
modo di verificare, gli esiti di tale opera di comparazione non si
limitano, se del caso, a suggerire processi di riforma del diritto
(penale) interno, ma implicano una diretta trasformazione dei sistemi giuridici nazionali.
Per poter comprendere limmediata incidenza della comparazione sul diritto criminale dei Paesi europei, occorre innanzitutto
ricordare che gli sviluppi conferiti attraverso il metodo comparativo
ai principi generali e ai diritti fondamentali dalla giurisprudenza
comunitaria (cos` come da quella degli organi di Strasburgo) condizionano non solo la legislazione comunitaria (283), ma anche la
legislazione interna, specie penale (284). Cio` significa che le scelte
principes ge ne raux de droit, in Me langes offerts a` H. Rolin. Proble`mes de droit des gents,
Paris, 1964, p. 273.
(283) E` noto infatti che la giurisprudenza comunitaria in tema di diritti fondamentali e` sorta, innanzitutto, in funzione di parametro garantistico di validita` delle
disposizioni comunitarie; vale a dire in funzione di tutela contro gli eccessi di potere
degli organi comunitari, consentendo lannullamento in via giurisdizionale degli atti
comunitari contrastanti con i diritti in questione. Cfr., in particolare, CAPOTORTI, Il diritto
comunitario non scritto, cit., p. 419; DAUSES, La protection des droits fondamentaux dans
lordre juridique communautaire, cit., p. 423; TOSATO, La tutela dei diritti fondamentali
nella giurisprudenza della Corte delle Comunita` europee, cit., p. 739.
(284) In virtu` del primato e della diretta applicabilita` del diritto comunitario,
appare infatti chiaro che tali principi generali e diritti fondamentali, una volta accolti in
seno allordinamento CE, si prestano al pari di ogni altra norma comunitaria, scritta o
non scritta, a condizionare i diversi settori del diritto interno ed in particolare, per quello
che qui interessa, il settore penale. Cfr., per tutti, BERNARDI, Principi di diritto e diritto
penale europeo, cit., p. 185 ss.; BLECKMANN, Die Bindung der Europa ischen Gemeinschaften an die Europa ische Menschenrechtskonvention, 1986, p. 75 ss.; DELMAS-MARTY, Dal
codice penale ai diritti delluomo, cit., in particolare p. 86 ss.; COHEN JONATHAN, La Cour
des Communautes europe ennes et les droits de lhomme, in Rev. Marche commun, 1978,
p. 92 ss.; GAJA, Aspetti problematici della tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 586;
GRASSO, La protezione dei diritti fondamentali nellordinamento comunitario e i suoi
riflessi sui sistemi penali degli Stati membri, cit., p. 627 e bibliografia ivi riportata; RIZ,
Nuovi profili sul rapporto tra diritto penale e diritto comunitario, in Diritto comunitario e

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ALESSANDRO BERNARDI

circa il metodo comparativo di volta in volta adottato (e dunque circa


i risultati interpretativi in tema di principi e di diritti fondamentali),
vengono ad incidere sul parametro di legittimita` comunitaria utilizzabile con riferimento sia alla normativa CE sia a quella interna
dattuazione (285). In altre parole, attraverso i criteri comparatistici del
maximum standard, ovvero dellorientamento prevalente/better law,
il diritto (penale) interno puo` risultare condizionato, al pari del diritto
comunitario, da principi e diritti fondamentali diversi (o comunque
sviluppati in modo diverso) rispetto a quelli previsti nel proprio sistema nazionale (286). Lesame in chiave comparatistica della realta`
normativa peculiare degli Stati membri dellUnione europea non si
limita cos` ad offrire strumenti di conoscenza utili in una eventuale
prospettiva riformistica; ma consente addirittura di prendere coscienza dei vincoli cui il nostro sistema deve gia` sottostare, di comprendere quali norme interne risultano sin dora inapplicabili (dunque
da abrogare) (287) ovvero non promulgabili (288) per contrasto con
i principi e i diritti fondamentali di matrice comunitaria (289). In sindiritto interno, Quaderni del Consiglio superiore della Magistratura, 1988, n. 11, p. 87
ss.; TESAURO, I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, cit., p. 432
ss. e 440; ID., Diritto comunitario, Padova, 2001, p. 89; TOSATO, La tutela dei diritti
fondamentali nella giurisprudenza della Corte delle Comunita` europee, cit., p. 740.
(285) Circa i limiti allestensione dellefficacia della normativa CE e dei relativi
principi e diritti fondamentali sulle norme interne cfr., in particolare, ADINOLFI, I principi
generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati
membri, cit., p. 567 ss.
(286) Cfr., in generale, ADINOLFI, ivi, p. 561 ss. e bibliografia ivi riportata. In
prospettiva strettamente penalistica, cfr. BERNARDI, Principi di diritto e diritto penale
europeo, cit., p. 186, con ulteriori riferimenti bibliografici; GRASSO, La protezione dei
diritti fondamentali nellordinamento comunitario e i suoi riflessi sui sistemi penali degli
Stati membri, cit., p. 644 ss.
(287) Cfr. supra, sub sez. I, par. 4, nt. 54.
(288) In merito al problema della predisposizione di meccanismi di controllo
preventivo, capaci di impedire lentrata in vigore di leggi (e atti in genere) potenzialmente (nel senso di astrattamente) confliggenti col diritto comunitario cfr. RUGGERI, Le
leggi regionali contrarie a norme comunitarie autoapplicative al bivio fra non applicazione e incostituzionalita` (a margina di Corte cost. n. 384/1994), in Riv. it. dir. pubbl.
com., 1995, p. 487-488.
(289) Ovviamente, i vincoli derivanti dal diritto comunitario, ed in particolare dai
principi e diritti fondamentali elaborati in chiave comparatistica, concernono solo i
settori normativi interni di rilievo comunitario. Tuttavia, come e` stato rilevato, non e` da

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

tesi, attraverso il metodo comparatistico sviluppato a livello comunitario, la conoscenza dei sistemi giuridici europei si traduce nella
conoscenza sia pure con un livello di approssimazione proporzionale alle variabili insite nel metodo comparatistico dei lati piu` nascosti del nostro stesso sistema, specie per quanto concerne lambito
dapplicabilita` della normativa penale (290).

escludere che lincorporazione dei principi generali comunitari negli ordinamenti degli
Stati membri possa comportare una tendenza delle autorita` nazionali ad impiegare
principi analoghi in altri settori del diritto interno. ADINOLFI, I principi generali nella
giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati membri, cit.,
pp. 524-525. E cio`, in particolare, ove tali principi abbiano ad oggetto i cc.dd. diritti
fondamentali: cfr. FROWEIN, Fundamental Human Rights as a Vehicle of Legal Integration
in Europe, in Integration Through Law: Europe and the American Federal Experience, a
cura di Cappelletti, Seccombe, Weiler, Berlin-New York, 1986, vol. I, libro 3, p. 302. Per
una critica allestensione delluso dei diritti fondamentali comunitari anche nellambito
del diritto interno, cfr. peraltro COPPEL, ONEILL, The European Court of Justice: Taking
Rights Seriously?, in Common Market Law Review, 1992, p. 669 ss.
(290) Lo stesso fenomeno si verifica poi attraverso lo sviluppo in chiave comparatistica di taluni principi espliciti di diritto comunitario; attraverso cioe` una indagine
comparatistica atta ad evidenziare linfluenza esercitata dalla normativa (penale) dei
singoli Stati UE sullapplicazione di taluni principi comunitari di diritto scritto. In
proposito, un esempio particolarmente significativo e` offerto, in materia di libera
circolazione delle merci, dal principio del divieto tra gli Stati di misure di effetto
equivalente ad una restrizione quantitativa allimportazione (art. 28 Tr. CE) e dalle
cosiddette discriminazioni alla rovescia (in merito alle quali cfr., in particolare,
CANNIZZARO, Producing Reverse discrimination through the Exercice of EC Competences,
in Yearbook of European Law, 1997, p. 29 ss.; GAJA, Introduzione al diritto comunitario,
Roma, 2000, p. 80) che da esso derivano. Infatti, attraverso linterpretazione data dalla
Corte di giustizia a tale principio a partire dalle celebri sentt. 11 luglio 1974, causa 8/74
(Dassonville), in Foro it., 1975, IV, c. 15 e 20 febbraio 1979, causa 120/78 (Cassis de
Dijon), in Racc., 1979, p. 649, leventuale divieto di commercializzazione di certi
prodotti, allinterno di taluno degli Stati membri, diviene inoperante quantomeno
limitatamente ai prodotti stranieri ove la produzione e commercializzazione di tali
prodotti siano consentite allinterno del Paese UE produttore (salvo beninteso i divieti
o restrizioni allimportazione elencati dallart. 30 Tr. CE ovvero indicate dalla giurisprudenza Cassis de Dijon). Sugli sviluppi e limiti di tale giurisprudenza, in forza della
quale solo attraverso un esame comparatistico della disciplina sanzionatoria vigente nei
diversi Stati membri e` sovente possibile conoscere lapplicabilita` o meno della corrispondente disciplina sanzionatoria interna, cfr., per tutti, MATTERA, De larre t Dassonville a` larre t Keck: lobscure clarte dune jurisprudence riche en principes novateurs et
en contradictions, in Rev. Marche comm. Un. eur., 1994, n. 1, p. 117 ss.; WAINWRIGHT,
MELGAR, Bilan de larticle 30 apre`s vingt ans de jurisprudence: de Dassonville

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ALESSANDRO BERNARDI

In virtu` del primato e della diretta applicabilita` del diritto


comunitario, i principi generali e i diritti fondamentali comunitari di
matrice comparatistica assurgono quindi al ruolo, per cos` dire, di
sponda, grazie al quale taluni elementi giuridici a carattere garantistico peculiari di una parte dei Paesi CE penetrano di rimbalzo
nel diritto (penale) dei Paesi CE che non possiedono in via autonoma i suddetti elementi, modificandolo. Donde una evidente armonizzazione dei sistemi nazionali (291) atta a valorizzare la stessa
qualita` della normativa interna, quale che sia il criterio (del
maximum standard, dellorientamento prevalente ovvero della better
law) effettivamente accolto (292).
Per tutto quanto sin qui visto, si puo` affermare che lattuale
processo di europeizzazione del diritto implica non solo un incremento quantitativo e qualitativo dellattivita` comparativa, ma anche
un ampliamento delle funzioni proprie di tale attivita`. Dalle tradizionali funzioni cognitive e critico-riformiste proprie del metodo
comparativo, questultimo giunge a perseguire il compito latamente
a` Keck et Mithouard, in Rev. Marche comm. Un. eur., 1994, p. 533 ss. e bibliografia ivi
riportata; nonche , volendo, BERNARDI, Profili penalistici della commercializzazione dei
prodotti agro-alimentari, cit., p. 400 ss. Cfr., altres`, sent. 14 luglio 1994, causa 17/93 (Van
der Veldt), in Racc., 1994, I-3553 ss. Infine, un analogo fenomeno si riscontra anche in
relazione alla giurisprudenza degli organi di Strasburgo, relativamente a quei principi
CEDU (in particolare artt. 8 a 11) condizionati nel loro sviluppo da uno standard
europeo di democrazia ricavato attraverso un criterio comparatistico che tiene conto del
contenuto e dei limiti attribuiti ai diritti delluomo in ciascuno Stato membro. Cfr., in
proposito, PALAZZO, BERNARDI, La Convenzione europea dei diritti delluomo e la politica
criminale italiana: intersezioni e lontananze, cit., p. 54.
(291) Cfr. esemplificativamente, allinterno di una vastissima bibliografia, PESCATORE, Le recours dans la jurisprudence de la Cour de Justice des Communautes europe
ennes,
a` de normes deduites de la comparaison des droits des Etats membres, in Rev. intern. dr. comp.,
1980, p. 337 ss.; TOUFFAIT, Re flexions dun magistrat franc ais sur son expe rience de juge a`
la Cour de Justice des Communautes Europe ennes, in Rev. intern. dr. comp., 1983, p. 292.
(292) Tra gli altri, sottolineano con efficacia come i criteri di individuazione dei
principi di diritto comunitario recepiti dalla Corte di giustizia, pur nella loro complessita`
e mutevolezza, si discostino sempre e comunque dal criterio detto del minimo denominatore comune, ADINOLFI, I principi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro
influenza sugli ordinamenti degli Stati membri, cit., in particolare p. 561 ss.; SASSE, Der Schutz
der Grundrechte in den Europa ischen Gemeinschaften und seine Lu cken, in Grundrechtsschutz in Europa, a cura di H. Mosler, R. Bernhard e M. Hilf, 1977, p. 57 ss.; VOGEL, Wege
zu europa isch-einheitlichen Regelungen im Allgemeinen Teil des Strafrechts, cit., p. 336.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

politico di legittimare il diritto penale vigente in ambito nazionale


(ovvero i relativi progetti di riforma), e persino ad assolvere il
compito strettamente giuridico di modificare in modo diretto
lattuale quadro normativo nel segno di un incremento di tutela dei
diritti fondamentali, sia pure limitatamente alla normativa interna
attuativa del diritto comunitario o comunque volta a disciplinare
materie aventi rilevanza comunitaria.
17.

Lavvento di un nuovo paradigma penale ispirato alla logica della


rete quale risposta allemersione di una pluralita` di ordinamenti giuridici in rapporto di reciproca integrazione.

In una prospettiva eminentemente teorica, un ulteriore fenomeno collegabile allattuale fase di europeizzazione del diritto penale
e` costituito dal complessivo processo di ripensamento del tradizionale modello giuridico verticale e chiuso (in quanto fondato su
norme rigidamente gerarchicizzate e dotate di vigenza circoscritta al
territorio dello Stato) a favore di un modello alternativo orizzontale
e aperto (in quanto pensato con riferimento ad un insieme di
sistemi giuridici paralleli caratterizzati da forme di interrelazione
variegate ed elastiche).
Certamente, non si tratta di un fenomeno circoscritto al settore
penale e alla prospettiva europea. E` noto infatti che, in unepoca
contrassegnata da una generale deterritorializzazione degli spazi e
dematerializzazione dei fatti giuridicamente rilevanti, il modello
kelseniano del diritto, a carattere gerarchico (vale a dire formato da
norme e organi legati tra loro da un rapporto di sovraordinazione o
subordinazione), lineare (cioe` composto da relazioni giuridiche a
senso unico, senza possibilita` di inversione tra di esse) e arborescente (in quanto fondato su una Grundnorm destinata a ramificarsi
progressivamente in successive norme di grado inferiore) e` stato
sottoposto a sempre piu` vivaci critiche da parte di taluni teorici del
diritto. Critiche volte non solo a rimarcare le contraddizioni ed
eccezioni da sempre insite in tale modello (293), ma soprattutto a
evidenziare che la loro aumentata frequenza ne renderebbe vieppiu`
(293) E, per vero, riconosciute dalla stesso Kelsen. Si allude, in particolare, al
ruolo del giudice nellinterpretazione della norma: ruolo solo in apparenza subordinato,

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ALESSANDRO BERNARDI

ostico il riassorbimento nel modello-base (294), giustificando la


scelta di operare un radicale cambiamento di paradigma (295). In
questa prospettiva si collocano quanti in modo piu` o meno
radicale prendono posizione a favore di un diritto flessibile (296),
o addirittura a favore di modelli di diritto riflessivo destrutturati e
degerarchizzati (297), che consentano quei processi dinamici e dialogici di interscambio tra sistemi giuridici differenti nei quali si
esprime la cosiddetta interlegalita` (298).
Qui importa comunque sottolineare che lattuale evoluzione
della realta` europea verso forme sempre piu` ampie e intense di
in quanto ricco di componenti creatrici. Sul punto cfr., amplius, KELSEN, The orie pure
du droit, Paris, 1962, p. 454 ss.
(294) Cfr., al riguardo, le osservazioni di OST, VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au
re seau? Pour une the orie dialectique du droit, Bruxelles, 2002, p. 16.
(295) In questo senso cfr., emblematicamente, VOGLIOTTI, Le metamorfosi dellincriminazione. Verso un nuovo paradigma per il campo penale?, in Pol. dir., 2001, p. 664
ss. Secondo questo a., tenuto conto delle trasformazioni in atto a livello internazionale,
il giurista che persiste ad interpretare gli eventi secondo lo schema concettuale del
paradigma tradizionale finisce per non scorgervi che paradossi, degenerazioni e disordine (p. 665). Laddove, viceversa, tali eventi richiederebbero forme di rappresentazione e di organizzazione piu` adeguate (p. 666).
(296) CARBONNIER, Flexible droit: pour une sociologie du droit sans rigueur, Paris,
1998.
(297) Cfr. in particolare, nellambito della seconda fase del pensiero di TEUBNER,
Global Law without a State, a cura di G. Teubner, Aldershot, 1997; ID., Un droit
spontane dans la socie te mondiale?, in Le droit saisi par la mondialisation, a cura di Ch-A.
Morand, Bruxelles, 2001, p. 197 ss. Sempre nella prospettiva di un diritto policentrico
e flou cfr., per tutti e nellambito di una ormai vasta letteratura, Le droit soluble.
Contributions que becoises a` le tude de linternormativite , a cura di J.-G. Belley, Paris,
1996; Polycentricity. The multiple Scenes of Law, a cura di A. Hirvonen, London, 1998,
p. 1 ss.; DELMAS-MARTY, Le processus de mondialisation du droit, in Le droit saisi per la
mondialisation, cit., p. 78 ss.; PASTORE, Il diritto internazionale in un mondo in trasformazione: verso un diritto giurisprudenziale?, in Ars interpretandi, 6, 2001, p. 157 ss.;
TIMSIT, Larchipel de la norme, Paris, 1997; VIOLA, Autorita` e ordine del diritto, Torino,
1987, in particolare p. 376 ss.
(298) In merito alla quale cfr., per tutti, CARTUYVELS, Le droit pe nal et lEtat: des
frontie`res naturelles en question, in Le droit pe nal a` le preuve de linternationalisation,
a cura di M.H. Henzelin e R. Roth, Paris, Gene`ve, Bruxelles, 2002, p. 21; DELMAS-MARTY,
Dal codice penale ai diritti delluomo, cit., p. 225 ss.); DE SOUSA SANTOS, Toward a New
Common Sense. Law, Science and Politics in the Paradigmatic Transition, London, 1995,
in particolare p. 473 ss.; VOGEL, Europa ische Kriminalpolitik - europa ische Strafrechtsdogmatik, cit., p. 520 ss.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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aggregazione tra Stati porta acqua al mulino di siffatti modelli: il


sorgere di forme di sovranita` divise e relative, laffermarsi di
sistemi giuridici creati attraverso sedimentazioni successive per effetto dellinterazione di una pluralita` di attori nazionali e sovranazionali (299), lemergere di prassi giurisprudenziali fortemente evolutive (dunque consone ad una realta` sociale e istituzionale in
veloce mutamento) (300) o addirittura di presunte forme di governo
dei giudici, rafforza indubbiamente la propensione a recepire
modelli giuridici almeno in parte dimentichi della logica aristotelica
e ispirati al paradigma della rete, dunque flessibili e policentrici,
caratterizzati da fonti aggrovigliate e da una giurisprudenza dinamica se non addirittura creativa. Riprendendo una recente, fortunata
immagine, sembra possibile affermare che ormai, secondo molti
studiosi, la struttura piramidale del sistema giuridico, pur non
venendo del tutto meno e dunque mantenendo spazi di validita` (301),
tende a soccombere rispetto a una struttura reticolare, volta per
lappunto a valorizzare la moderna dimensione pluralistica e dinamica del diritto (302). Piu` precisamente, secondo i sostenitori di
questa tesi, di fronte al progressivo sgretolamento del tradizionale
modello kelseniano bisognerebbe cessare ogni difesa a oltranza di
tale modello, onde evitare il rischio di perpetuare il suo primato in
(299) Cfr., in particolare, Le nouveau mode`le europe en, a cura di P. Magnette, E.
Remacle, vol. 1, Institutions et gouvernance, Bruxelles, 2000, p. 12 ss.
(300) Appare infatti chiaro che il rapido evolversi del diritto europeo e dei relativi
modelli istituzionali impone livelli di creativita` e di flessibilita` inattingibili da un sistema
giuridico incentrato sulla legalita` formale, e dunque costituito da un insieme di norme
pensate per disciplinare in modo durevole lesistente, cristallizzandone lattuale assetto.
(301) Spazi nei quali si condenserebbe cio` che resta della certezza giuridica
connessa al principio di gerarchia delle fonti.
(302) Cfr., in particolare e da ultimo, GU} NTER, Rechtspluralismus und universaler
ffentlichkeit
Code der Legalita t: Globalisierung als rechtstheoretisches Problem, in Die O
ffentlichkeit. Festschrift fu r Ju rgen Habermas, a cura
der Vernunft und die Vernunft der O
di W. Lutz, K. Gu nther, 2001, Frankfurt am Main, p. 562 ss.; OST, VAN DE KERCHOVE, De
la pyramide au re seau? Vers un nouveau mode de production du droit?, in Revue
interdisciplinaire de tudes juridiques, 2000, p. 1 ss.; OST, VAN DE KERCHOVE, De la pyramide
au re seau? Pour une the orie dialectique du droit, cit.; VOGEL, Europa ische Kriminalpolitik
- europa ische Strafrechtsdogmatik, cit., p. 520 ss. Per una articolata discussione sui
paradigmi giuridici della piramide e della rete cfr. Le droit en perspective interculturelle.
Images re fle chies de la pyramide et du re seau, Revue interdisciplinaire de tudes juridiques,
2002, n. 49.

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ALESSANDRO BERNARDI

the books e il suo fallimento in action; bisognerebbe inoltre capire


le ragioni di questo sgretolamento e vagliare lattualita` e la bonta` di
un paradigma alternativo, improntato alla dialettica giuridica, composto da un insieme di norme formate grazie al contributo di una
eterogenea pluralita` di autori, caratterizzate da gerarchie accavallate o, se si preferisce, da strani anelli (303). Paradigma da
sempre esistente anche se mai come oggi evidente; paradigma capace
di offrire equita` per il caso concreto (304) anche se forse portatore ex
ante di insicurezza circa la soluzione che sara` prescelta rispetto al
caso in questione.
Ora, e` indubbio che la concezione volta a cogliere e sottolineare
il passaggio da un sistema gerarchico a un sistema reticolare, pur
trovando crescenti consensi presso i teorici del diritto, ha stentato ad
affermarsi in ambito penale. Cio` non puo` certo stupire, ove appena
si consideri che il diritto criminale senza per questo essere affetto
da un assoluto immobilismo e` senzaltro uno dei settori del diritto
maggiormente condizionato da scelte metodologiche e da valori
sedimentati nella tradizione, e si rivela dunque poco incline a
cambiamenti radicali non solo in merito alla selezione dei fondamentali comportamenti vietati, ma anche in ordine ai modelli teorici
cui ispirarsi. Tuttavia, sullonda appunto del progressivo, vistoso
processo di europeizzazione del diritto, persino una parte della
dottrina penale ha iniziato a evocare lipotesi di un diritto criminale
a carattere degerarchicizzato e dialettico. In particolare, M. DelmasMarty disegnando con la consueta lungimiranza limmagine di un
droit flou ispirato a una logica del molteplice (305) indotta o
(303) Tale terminologia e` ormai divenuta di uso frequente. Cfr., per tutti, DELMASMARTY, Pour un droit commun, cit., p. 101 ss.; OST, VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au
re seau? Pour une the orie dialectique du droit, cit., in particolare p. 51 ss.; VOGLIOTTI, Le
metamorfosi dellincriminazione. Verso un nuovo paradigma per il campo penale?, cit., in
particolare, p. 665.
(304) Sottolineano come il principio di legalita` formale, nella sua rigidita`, renda
spesso arduo ladeguamento della regula iuris alla multiforme realta` concreta PALAZZO,
PAPA, Introduzione ai princ`pi di diritto penale, cit., p. 214. Anche e soprattutto cos` si
spiegherebbe la scarsa effettivita` di cui soffre in Italia il principio del divieto di analogia
in ambito penale: cfr. ivi, p. 283.
(305) DELMAS-MARTY, Dal codice penale ai diritti delluomo, cit., in particolare
p. 141 ss.

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comunque favorita dellattuale destatualizzazione del diritto (306),


ha suggerito una prospettiva di indagine aperta a ulteriori sviluppi.
In Italia, in sostanziale consonanza con tale impostazione e nellottica di una teoria postmoderna del diritto, Fiandaca e Musco
hanno affermato che la tesi tradizionale di un unico sistema chiuso
sembra ormai da respingere, per configurare in sua vece un sistema
cosiddetto a rete: costituito cioe` da diversi sistemi autonomi posti
in rapporto di integrazione complessa e fluida di associazioni e
dissociazioni di diverso grado ed intensita` (307).
Con varieta` di accenti, sullonda del ruolo vieppiu` creativo
assunto dal giudice penale (308), la tesi volta ad ammettere la possibilita` di applicare al campo penale una teoria dialettica del diritto e`
stata quindi ripresa da un numero crescente di penalisti, italiani (309)
e non (310).
Tutto cio` premesso, conviene allora ripercorrere brevemente le
(306) DELMAS-MARTY, Pour un droit commun, cit., p. 53 ss.
(307) FIANDACA, MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto penale, in Riv. it. dir.
proc. pen., 1994, p. 27.
(308) Al riguardo cfr., per tutti e limitatamente alla letteratura italiana, GIUNTA, La
giustizia penale tra crisi della legalita` e supplenza giudiziaria, in Studium iuris, 1999, p. 12
ss.; CONTENTO, Linsostenibile incertezza delle decisioni giurisprudenziali, in Indice pen.,
1998, p. 947 ss.; RIONDATO, Retroattivita` del mutamento penale giurisprudenziale sfavorevole tra legalita` e ragionevolezza, in Diritto e clinica per lanalisi della decisione del caso,
a cura di Vincenti, Padova, 2000, p. 239 ss. e bibliografia ivi riportata.
(309) Cfr., in particolare, DONINI, Un nuovo Medioevo penale? Vecchio e nuovo
nellespansione del diritto penale economico, par. 5 del dattiloscritto in corso di pubblicazione in Cass. pen.; MANACORDA, Jus commune criminale? Enjeux et perspectives de la
comparaison pe nale dans la transition des syste`mes, cit., p. 323 ss.; VOGLIOTTI, Le
metamorfosi dellincriminazione. Verso un nuovo paradigma per il campo penale?, cit., in
particolare, p. 664 ss.; ID., La rhapsodie: fe condite dune me taphore litte raire pour
repenser le criture juridique contemporaine. Une hypothe`se de travail pour le champ pe nal,
in Revue interdisciplinaire de tudes juridiques, 2001, p. 141 ss.; ID., Mutations dans le
champ pe nal contemporain. Vers un droit pe nal en re seau?, in Rev. sc. crim., 2002, p. 741
ss. Cfr. altres`, sia pure con specifico riferimento alla dimensione in action del principio
di legalita`, CADOPPI, Il valore del precedente nel diritto penale, Torino, 1999; con
riferimento al sistema delle fonti di diritto penale internazionale, CAIANIELLO, FRONZA, Il
principio di legalita` nello statuto della Corte penale internazionale, in Indice pen., 2002, p.
316 ss.; FRONZA, GUILLOU, Etude critique des fragments existants de droit pe nal commun.
Le crime de ge nocide, in Variations autour dun droit commun, cit., p. 282 ss.
(310) Cfr., tra gli altri, CARTUYVELS, Proximus, ou la tentation du temps pe nal
contemporain, in Rev. dr. pe n. crim., 1999, p. 60; ID., Le droit pe nal et lEtat: des frontie`res

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ALESSANDRO BERNARDI

ragioni per le quali la progressiva emersione di una realta` di respiro


europeo favorisce anche in ambito penale ladesione ad una concezione reticolare del fenomeno giuridico che parrebbe, almeno in
un primo momento, confliggere con i consolidati principi gerarchici e lineari del primato e dellefficacia diretta del diritto comunitario sulla normativa (anche penale) dei Paesi dellUnione. In estrema
sintesi (311), sembra di poter dire che tali ragioni sono essenzialmente due, distinte anche se tra loro strettamente connesse: a)
lassenza di chiare gerarchie sia tra diritto nazionale e diritto europeo
sia tra le principali fonti di questultimo, con conseguente valorizzazione di quella nozione di rete la quale, pur connotandosi per la
sua polisemia (312), tende a collocarsi a meta` strada tra un ordine
lineare e gerarchizzato e un disordine assoluto (313), favorendo una
logica combinatoria, aperta, orizzontale e circolare, connotata da
una flessibilita` e provvisorieta` degli esiti (314) che non sfoci tuttavia
nellarbitrarieta` (315); b) il ruolo vieppiu` centrale svolto dal giudice
nella concretizzazione della norma giuridica, vale a dire nellelaborazione dei contenuti sostanziali di questultima (316).
naturelles en question, in Le droit pe nal a` le preuve de linternationalisation, cit., p. 20
ss.; FAGET, Justice et travail social. Le rhizome pe nal, Toulouse, 1992.
(311) Per piu` ampi sviluppi sullinflusso determinato dal processo di europeizzazione del diritto sulla fortuna delle attuali teorie dialettiche del diritto ispirate al
paradigma della rete cfr., volendo, BERNARDI, Entre la pyramide et le re seau: les effets de
leurope anisation du droit sur le syste`me pe nal, in corso di pubblicazione in Revue
interdisciplinaire de tudes juridiques.
(312) OST, VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au re seau? Pour une the orie dialectique du droit, cit., p. 23 ss.
(313) MUSSO, Te le communications et philosophie des re seaux. La poste rite paradoxale di Saint-Simon, Paris, 1997, p. 53.
(314) CARTUYVELS, Le droit pe nal et lEtat: des frontie`res naturelles en question,
cit., p. 21.
(315) La ricerca di una logica del molteplice atta a coniugare flessibilita` e
razionalita` contraddistingue, in particolare, tutta la recente opera di DELMAS-MARTY. Cfr.,
ad esempio, Dal codice penale ai diritti delluomo, cit., passim; Pour un droit commun, cit.,
passim; Trois de fis pour un droit mondial, Paris, 1998.
(316) In argomento cfr., in generale e per tutti, COTEu , Fonction le gislative et
fonction interpre tative: conceptions the oriques de leurs rapports, in Interpre tation et droit,
a cura di P. Amselek, Bruxelles, 1995, p. 190 ss.; OST, VAN DE KERCHOVE, Le droit ou les
paradoxes du jeu, Paris, 1992, p. 10 ss.; OST, VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au re seau?
Pour une the orie dialectique du droit, cit., in particolare p. 389 ss.; PASTORE, Identita` del

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

a) Per quanto attiene al problema della mancanza di chiarezza


in ordine ai rapporti gerarchici esistenti sia tra diritto nazionale e
diritto europeo sia tra le diverse manifestazioni di questultimo, tale
problema si manifesta, essenzialmente, in tre diverse ipotesi.
a1) La prima ipotesi concerne il rango della Convenzione
europea dei diritti delluomo (CEDU) nella gerarchia delle fonti
nazionali. Indubbiamente, sarebbe in questa sede assai noioso passare in rassegna le molteplici concezioni dottrinali e giurisprudenziali rinvenibili in Italia al riguardo, e le diverse tesi elaborate per impedire che leggi penali ordinarie meno garantiste possano
vanificare, attraverso il meccanismo della successione di leggi nel
tempo, i diritti sanciti dalla CEDU (317); bastera` quindi accennare
incidentalmente a tali questioni in una prospettiva piu` generale, non
circoscritta al tema dellintegrazione della CEDU allinterno del
sistema giuridico italiano. Ebbene, nellAnnexe 2 al volume in cui
sono pubblicati i lavori del Seminario suPolitique criminelle et
droits de lhomme svoltosi a Parigi tra il 1987 e il 1989 (318) viene
evidenziato il diverso, assai eterogeneo livello gerarchico di volta in
volta riconosciuto alla CEDU allinterno dei sistemi normativi nazionali (319). Si apprende, cos`, che allepoca della pubblicazione del
volume in questione (1989) la CEDU risultava in alcuni Stati
membri di livello addirittura sovracostituzionale, mentre in altri non
era ancora stata incorporata nellordinamento (320). Nella sua schetesto, interpretazione letterale e contestualismo nella prospettiva ermeneutica, in Significato
letterale e interpretazione del diritto, a cura di V. Velluzzi, Torino, 2000, p. 148 ss.;
VOGLIOTTI, Le metamorfosi dellincriminazione. Verso un nuovo paradigma per il campo
penale?, in Pol. dir., 2001, in particolare, p. 664 ss.; ID., La rhapsodie: fe condite dune
me taphore litte raire pour repenser le criture juridique contemporaine. Une hypothe`se de
travail pour le champ pe nal, cit., p. 172 ss.
(317) Per una rassegna di tali concezioni cfr., volendo, PALAZZO, BERNARDI, La
Convenzione europea dei diritti delluomo e la politica criminale italiana: intersezioni e
lontananze, cit., p. 33 ss.
(318) Raisonner la raison de tat a cura di M. Delmas-Marty, Paris, 1989, p. 506 ss.
(319) Livello risultante, a seconda dei casi, supra-constituzionale, constituzionale,
sovralegislativo, legislativo.
(320) In effetti. secondo linterpretazione autentica datale, la CEDU non impone
agli Stati la propria incorporazione nel diritto interno; resta comunque pacifico che essa
fatte salve le riserve, restrizioni o deroghe espressamente consentite obbliga gli
Stati medesimi a riconoscere sempre e comunque i diritti da essa sanciti e a tutelarli

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ALESSANDRO BERNARDI

maticita`, tale Annexe non puo` tuttavia riproporre i complessi dibattiti esistenti in merito al rango della CEDU negli Stati membri, e le
frequenti incongruenze tuttora riscontrabili negli approcci a tale
questione (321). Il panorama complessivo e` comunque rivelatore
delle estreme difficolta` incontrate nellattribuire una chiara collocazione alla CEDU allinterno dei singoli sistemi nazionali. In questo
quadro, allora, i principi costituzionali e i paralleli principi CEDU,
piu` che porsi in rapporto gerarchico, dialogano tra loro, condizionandosi a vicenda in una prospettiva di almeno tendenziale
innalzamento del generale livello delle garanzie (322).
a2) La seconda ipotesi concerne i problematici rapporti gerarchici esistenti tra diritti nazionali e diritto dellUnione europea, ed
essenzialmente lirrisolvibile primato tra Costituzioni e Trattati (323). Al riguardo fermo restando il linea generale il principio
della prevalenza del diritto comunitario appare chiaro che la
difesa a oltranza della primaza dei principi fondamentali dellordinamento costituzionale da parte dei singoli Stati, se da un lato puo`
giustificare sul piano emotivo la scelta delle Corti costituzionali di
attribuirsi in questa materia lultima parola (324), non implica pero`
in modo concreto ed effettivo (Cfr. Corte europea, sentenza 9 ottobre 1979, caso Airey,
Se rie A, n. 32). Il paradosso in base al quale gli Stati membri della Convenzione europea
debbono garantire leffettivita` dei diritti CEDU pur potendo, al contempo, non riconoscere loro applicabilita` diretta, e` stato frequentemente sottolineato dalla dottrina. Cfr.,
per tutti, COURISSAT-COUSTERE, Convention europe enne des droits de lhomme et droit
interne: primaute et effet direct, in La Convention europe enne des droits de lhomme,
Bruxelles, 1992, p. 12.
(321) Sul punto cfr., diffusamente, DRZEMCZEWSKI, European Human Rights Convention in Domestic Law - A Comparative Study, Oxford, 1997.
(322) Cfr., in generale e per tutti, MELCHIOR, Notions vagues ou indetermine es
et lacunes dans la Convention europe enne des droits de lhomme, in Studies in honour
of G. Wiarda, Ko ln-Berlin-Bonn-Mu nchen, 1988, p. 412; PUSTORINO, Linterpretazione
della Convenzione Europea dei diritti delluomo nella prassi della Commissione e della
Corte di Strasburgo, cit., in particolare p. 76 ss.; volendo, BERNARDI, Principi di diritto
e diritto penale europeo, cit., p. 208. Tuttavia, circa i rischi connessi ad un uso
regressivo di taluni diritti previsti dalla CEDU, cfr., in particolare, DELMAS-MARTY,
Politica criminale e diritti delluomo, in Indice pen., 1988, p. 205 ss..
(323) In proposito cfr., diffusamente e per tutti, DELMAS-MARTY, Pour un droit
commun, cit., in particolare p. 98 ss.; OST, VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au re seau?
Pour une the orie dialectique du droit, cit., p. 66 ss.
(324) Circa il problema concernente la competenza o meno delle Corti costitu-

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una risposta definitiva in ordine ai rapporti gerarchici esistenti tra


principi fondamentali nazionali e principi fondamentali di diritto
non scritto recepiti in ambito comunitario. Lunica cosa sicura e` che
queste due categorie di principi (la prima concepita come nucleo
fondante e imprescindibile degli Stati di diritto, la seconda, come gia`
ricordato (325), creata proprio per poter affermare in via definitiva il
primato del diritto comunitario sul diritto interno) sono tra loro
inscindibilmente legate, i principi comunitari impliciti venendo ricavati dalla Corte di giustizia grazie ai criteri comparatistici in
precedenza riassunti (326) proprio muovendo da un esame dei
principi costituzionali nazionali (327). Anche in questo caso, dunque,
le suddette categorie di principi fondamentali interagiscono sulla
base di un tendenziale rapporto di parita`, in una prospettiva di
reciproca coordinazione destinata ad avere la meglio sullesigenza

zionali a pronunciarsi in merito alla legittimita` costituzionale di norme comunitarie


(contenute nei Trattati o in atti di diritto derivato) in caso di presunta violazione dei
principi fondamentali previsti dalle Costituzioni nazionali ovvero dei diritti inalienabili
della persona umana cfr. nellesperienza italiana, nellambito della teoria cosiddetta dei
controlimiti alla limitazione di sovranita` elaborata verso la fine degli anni 80 e dei suoi
successivi sviluppi, Corte cost., sent. 21 aprile 1989, n. 232, in Giur. cost., 1989, I, p. 1001
ss. con nota di CARTABIA, Nuovi sviluppi nelle competenze comunitarie della Corte
costituzionale, p. 1012 ss.; sent. 18 dicembre 1995, n. 509, in Foro it., I, c. 783 ss., con
osservazione di BARONE, Corte costituzionale e diritto comunitario: vecchie questioni e
nuovi interrogativi. In dottrina cfr., in particolare, AMOROSO, La giurisprudenza costituzionale nellanno 1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento
nazionale: verso una quarta fase?, in Foro it., 1996, V, c. 87. Nellesperienza francese,
cfr. Conseil const., 20 gennaio 1993, sent. 92-316 DC, in Rev. franc . dr. const., 1993, n.
14, p. 375 ss., con note di FAVOREU, FRAYSSINET, PHILIPPE, RENOUX, ROUX. In merito a tale
sentenza, cfr., per tutti, MEYER-HEINE, Droit constitutionnel et droit communautaire. Le
droit constitutionnel franc ais, instrument de remise en cause de la proposition de directive
communautaire relative a` la protection des personnes phisiques a` le gard du traitement et
de la circulation des donne es a` caracte`re personnel, in Rev. franc . dr. const., 1995, n. 23,
p. 637 ss., con ulteriori riferimenti bibliografici. Nellesperienza spagnola cfr., tra gli altri,
TRAYTER, La situazione attuale dellintegrazione del diritto comunitario in Spagna. Riferimento speciale ai diritti fondamentali riconosciuti nella Costituzione, in Riv. it. dir. pubbl.
com., 1995, p. 960 ss.
(325) Cfr., supra, sub par. 13, nt. 202.
(326) Cfr., supra, sub par. 16, lett. b).
(327) Oltre che dallesame dei principi contenuti nelle Carte dei diritti sottoscritte
dagli Stati dellUnione.

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logica della gerarchizzazione (328). Al riguardo, non deve peraltro


essere trascurato che le particolari esigenze di sviluppo politicogiuridico di una Unione integrata di Stati, connesse al ricorso ai
principi fondamentali impliciti di diritto comunitario, inducono a
privilegiare in sede comparatistica i principi costituzionali accolti nei
Paesi membri ove essi risultano meglio sviluppati (quantomeno
rispetto ai bisogni dellUnione) (329), ponendoli di fatto in una
posizione privilegiata rispetto ai paralleli principi costituzionali oggetto di minore sviluppo da parte di talune Carte fondamentali e
della relativa giurisprudenza.
a3) La terza ipotesi investe gli stessi rapporti esistenti tra le due
categorie di principi fondamentali rinvenibili, rispettivamente, in
ambito convenzionale ovvero in ambito comunitario. Rapporti resi
particolarmente complessi a causa sia dellassenza anche in questo
caso di una qualsiasi gerarchia tra tali categorie di principi (330), sia
del gioco di reciproci riferimenti tra di esse, sia infine dalle possibili
sovrapposizioni di competenze tra la Corte europea dei diritti
delluomo e la Corte di giustizia. Come noto, la paventata ipotesi che
nonostante il ricorso ai principi CEDU in sede di elaborazione
dei relativi principi comunitari impliciti in ordine ai livelli di
sviluppo dei relativi diritti fondamentali possano insorgere contrasti
tra le giurisprudenze delle due supreme istanze europee (331), ha
indotto taluni a suggerire lintroduzione di forme incrociate di
ricorso pregiudiziale tra le due Corti europee (332), ovvero addirittura ad auspicare lunificazione della Corte di Strasburgo e di quella
(328) OST, VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au re seau? Pour une the orie dialectique du droit, cit., p. 68.
(329) Volendo, cfr. in argomento, diffusamente, BERNARDI, Principi di diritto e
diritto penale europeo, cit., p. 186 ss. e 206 ss.
(330) Cfr., per tutti, DELMAS-MARTY, Pour un droit commun, cit., p. 104.
(331) Cfr., tra gli altri, BIANCARELLI, Les principes ge ne raux du droit communautaire
applicables en matie`re pe nale, in Rev. sc. crim., 1987, p. 165; DE SALVIA, Droit communautaire, droit pe nal et Convention europe enne des droits de lhomme, cit., p. 122 ss.;
LECOURT, Cour europe enne des Droits de lHomme et Cour de justice des Communaute s
europe ennes, in Studies in honour of G.J. Wiarda, cit., p. 335 ss.
(332) Per vero, e` stato tuttavia osservato che tali procedure finirebbero con
lappesantire ulteriormente gli attuali e gia` complessi meccanismi giurisdizionali esistenti
in ambito europeo. Sul punto cfr., amplius, LECOURT, Cour europe enne des Droits de
lHomme et Cour de justice des Communaute s europe ennes, cit., p. 337 ss.

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di Lussemburgo (333). Resta il fatto che, nellattuale realta` bicefala,


la speranza che permanga e si rafforzi la tendenziale concordanza di
fondo tra le suddette categorie di diritti fondamentali risulta affidata
a forme complesse e sofisticate di dialogo tra le due Corti europee.
In questa prospettiva, ispirata alla logica della rete e segnata dalla
contemporanea esistenza di una pluralita` di sistemi normativi autonomi seppure interdipendenti, ai principi generali (e specificamente
a quelli in tema di diritti delluomo) potrebbe essere allora affidata
la decisiva funzione di garantire, nella caotica complessita` delle fonti
giuridiche europee, forme di equilibrio dinamico perseguite nel
nome di orientamenti e valori comuni (334).
b) Per quanto attiene poi alla questione relativa al ruolo vieppiu`
centrale svolto dal giudice nellattivita` di concretizzazione della norma
giuridica, appare indubbio che lattuale fase di europeizzazione del
diritto penale contribuisce in misura decisiva al potenziamento di
tale ruolo.
b1) Per quanto concerne la CEDU, merita innanzitutto di
essere segnalata limportanza della giurisprudenza dinamica ed evolutiva sviluppata dalla Corte europea dei diritti delluomo. Giurisprudenza il cui dinamismo teleologico (335) risulta legittimato dal
fatto che le disposizioni CEDU, conformemente al loro prevalente
carattere di norme di principio (anche se, per vero, spesso alquanto
dettagliate), lasciano non di rado ai loro interpreti un margine
dazione assai ampio.
Vera e propria law in action, la CEDU non esalta tuttavia solo
il ruolo ricorsivo (336) dei giudici di Strasburgo, ma anche quello
dei giudici nazionali, ormai chiamati a valutare la conformita` della
(333) In questo senso cfr. gia` LUIS, Rapport, in Rev. dr. homme, 1972, p. 694.
(334) Al riguardo cfr., per tutti, PASTORE, Pluralismo delle fonti e interpretazione:
il ruolo dei principi generali, in Diritto privato, 2001, p. 65 ss.
(335) In merito al quale cfr., per tutti, OST, Originalite des methodes dinterpre tation de la Cour europe enne des droits de lhomme, cit., p. 422 ss.; PUSTORINO, Linterpretazione della Convenzione Europea dei diritti delluomo nella prassi della Commissione e
della Corte di Strasburgo, cit., p. 25 ss.
(336) Ruolo in base al quale lopera di scrittura del diritto vede affiancati, con
pari dignita`, legislatore e interprete. Sul punto cfr., in particolare e per tutti, OST, VAN DE
KERCHOVE, De la pyramide au re seau? Pour une the orie dialectique du droit, cit., p. 385 ss.;
VOGLIOTTI, Le metamorfosi dellincriminazione. Verso un nuovo paradigma per il campo
penale?, cit., p. 664 ss.

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normativa (in primis, penale) interna in relazione sia alla Costituzione sia alla stessa CEDU. Anche se, per vero, proprio la strutturazione in forma di principio di certe norme CEDU, invece di
favorire una giurisprudenza nazionale orientata allo sviluppo dei
diritti fondamentali nei limiti consentiti dallinteresse collettivo, ha
permesso ai giudici interni (e alla dottrina) dimpronta conservatrice di considerare not self executing anche talune disposizioni
della CEDU che viceversa erano senzaltro da ritenersi direttamente
applicabili (337). Il sistema di controllo di ultima istanza da parte
della Corte europea dei diritti delluomo, tuttavia, consente di porre
rimedio a questi errori. Si tratta, beninteso, di un sistema di controllo ispirato a una logica gerarchica, favorita dalla interpretazione autonoma delle norme CEDU da parte dei giudici di Strasburgo: ma, al contempo, questa logica gerarchica e` attenuata
dallesistenza di numerose clausole che rinviano al diritto dei singoli
Paesi membri, e che dunque riconoscono un margine di discrezionalita` nazionale (338) espressivo di quella dialettica tra organi e
poteri diversi valorizzata dalla metafora della rete (339).
Se dunque, per quanto sin qui esposto, la CEDU e il sistema di
controllo giurisdizionale da essa previsto esaltano la ricorsivita`
delle relazioni tra le diverse entita` che concorrono in ambito europeo a forgiare la law in action, non deve stupire se secondo la
giurisprudenza di Strasburgo il principio di irretroattivita` sancito
dallart. 7 comma 1 CEDU investe non solo il diritto scritto, ma
anche quello giurisprudenziale (340) cos` elevato alla stessa dignita`
(337) Si pensi, esemplificativamente, alla deprecabile tendenza di taluno a negare
limmediata esecutivita` dellart. 13 CEDU, che deve considerarsi una norma sufficientemente determinata e che per di piu`, non richiedendo la creazione di appositi organi o
procedure, risulta senza dubbio self executing.
(338) In merito al quale cfr., tra gli altri e con varieta` di accenti, DELMAS-MARTY,
Pour un droit commun, cit., p. 158 ss.; DE SCHUTTER, Linterpre tation de la Convention
europe enne des droits de lhomme, un essai de de molition, in Revue de droit international
des sciences diplomatiques et politiques, 1992, p. 83 ss.; OST, Originalite des methodes
dinterpre tation de la Cour europe enne des droits de lhomme, cit., p. 448 ss.
(339) In argomento cfr., da ultimo, VOGLIOTTI, La rhapsodie: fe condite dune
me taphore litte raire pour repenser le criture juridique contemporaine. Une hypothe`se de
travail pour le champ pe nal, cit., p. 160.
(340) Cfr., ad esempio, Commissione, 4 marzo 1985, Enkelmann c. Svizzera, D.R.
41, p. 181; Id., dec. 7 maggio 1982, X. Ltd. e Y c. Regno Unito, D.R. 28, p. 87; Corte

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del primo. La qual cosa non puo` non essere giudicata positivamente,
tenuto conto del fatto che, secondo quanto sottolineato dalla piu`
attenta dottrina, i mutamenti in malam partem delle fattispecie
penali per via interpretativa producono effetti in tutto e per tutto
simili a quelli di derivazione legislativa, incidendo in uguale misura
sul diritto vivente (341).
b2) Per quanto concerne invece lUnione europea, e` interessante rilevare come a prescindere dalla piu` volte ricordata attivita`
creativa svolta dalla Corte di giustizia in sede di individuazione dei
principi in materia di diritti fondamentali sia proprio il principio
gerarchico del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale ad attribuire al giudice nazionale un ruolo centrale nella
ricostruzione della norma (penale) vigente. Si e` infatti gia` ricordato
che, stante appunto il primato del diritto comunitario, tutte le norme
(anche penali) interne devono essere interpretate, ove appena possibile, in modo conforme al diritto europeo (342). Pertanto, ogni
volta che la fattispecie penale nazionale entri in rapporto col diritto
comunitario, il giudice potrebbe dover fare ricorso, in relazione ad
essa, a forme di interpretazione a carattere volta a volta sistematico,
teleologico, restrittivo o persino estensivo, al fine appunto di evitare
quanto piu` possibile ogni eventuale contrasto tra tale fattispecie e la
normativa europea. Tutto cio`, se da un lato esalta il ruolo dellinterprete nella ricostruzione dellesatta portata della norma penale (343), dallaltro lato pone in evidenza il contributo del diritto
comunitario allincremento di fattispecie improntate a forme di
scrittura reticolare.
europea dei diritti delluomo, sent. 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, Serie A, n.
260-A, par. 52. In dottrina cfr., per tutti, BERNARDI, art. 7 (Nessuna pena senza legge),
in Commentario della Convenzione europea dei diritti delluomo, diretto da S. Bartole, B.
Conforti, G. Raimondi, Padova, 2001, p. 283 ss.; JACOBS, WHITE, The European Convention on Human Rights, Oxford, 1996, p. 162; PRADEL, CORSTENS, Droit pe nal europe en,
Paris, 2002, p. 340; RIONDATO, Retroattivita` del mutamento penale giurisprudenziale
sfavorevole tra legalita` e ragionevolezza, cit., p. 255; ID., Legalita` penale versus prevedibilita` delle nuove interpretazioni. Novita` dal Corpus iuris 2000, in Riv. trim. dir. pen.
econ., 2000, p. 967 ss.
(341) Cfr., per tutti, CADOPPI, Il valore del precedente, cit., in particolare p. 118 ss.
(342) Cfr., supra, sub sez. I, par. 4, nt. 28.
(343) Ruolo in questo caso consistente, per lappunto, nel selezionare tra i molti
possibili contenuti di un testo penale solo quello/quelli comunitariamente legittimi.

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Come si e` gia` avuto modo di sottolineare (344), esistono tuttavia


dei casi in cui, indipendentemente da ogni sforzo interpretativo, la
norma (penale) interna risulta totalmente o parzialmente in contrasto col diritto comunitario (345). In questi casi il giudice interno
dovra` allora disapplicare le fattispecie penali che risultino insanabilmente confliggenti con il diritto comunitario (346). Ora, stante tale
obbligo di disapplicazione (347), appare evidente che lincremento in
ambito comunitario di norme atte ad ampliare la sfera dei comportamenti consentiti in capo ai cittadini dellUnione rischia di impli(344) Cfr., supra, sub, sez. I, par. 4, lett. c).
(345) Cio` accadra`, beninteso, laddove lattivita` interpretativa avvenga nel rispetto
del principio di legalita`, e non comporti quindi un completo stravolgimento del
significato conferito alla norma dai segni linguistici che la compongono. La dottrina
assolutamente prevalente sottolinea come linterpretazione conforme al diritto comunitario non possa travalicare lo spirito della legge interna e una diversa, palese volonta` del
legislatore. Cfr., per tutti, BLECKMANN, Gemeinschaftsrechtliche Probleme des Entwurfs
des Bilanzrichtlinien-Gesetzes, in BB, 1984, p. 1526; CURTIN, The Decentralised Enforcement of Community Law Rights. Judicial Snakes and Ladders, in Constitutional Adjudication in European Community and National Law, a cura di Curtin e OKeeffe, Dublin,
1992, p. 40; GALMOT-BONICHOT, La Cour de Justice des Communaute s europe ennes et la
transpositions des directives en droit national, in Revue Franc aise de droit administratif,
1988, p. 22; HUGGER, Zur strafbarkeitserweiternden richtlinienkonformen Auslegung
deutscher Strafvorschriften, in NStZ, 1993, p. 423 ss.; VAN GERVEN, Bescherming van
individuele rechten op basis van normatieve aansprakelijkheid in het Europese Gemeenschapsrecht, in Tijdschrift voor Privaatrecht, 1993, p. 10. Viceversa, nel senso che in
ossequio al primato del diritto comunitario il giudice nazionale sarebbe invitato a
utilizzare sino allestremo il suo potere di interpretazione, se del caso facendo dire ad una
disposizione che non e` stata presa per adempiere allobbligo derivante dal diritto
comunitario e che sovente... risulta assai anteriore a questultimo, cose che essa manifestamente non intendeva dire allepoca della sua promulgazione SCHOCKWEILER, Les
effets des directives dans les ordres juridiques nationaux, in Revue du Marche Unique
Europe en, 1995, n. 2, p. 15. Tendenzialmente concorde PRECHAL, Directives in European
Community Law, Oxford, 1995, p. 228.
(346) Cfr., per tutti, RIZ, Diritto penale e diritto comunitario, cit., p. 102, e
giurisprudenza ivi riportata.
(347) Obbligo che, in linea generale, non interessa solo il giudice ordinario, ma
incombe a di tutti gli organi dello Stato (giudice ordinario, giudice amministrativo,
autorita` amministrative). Cfr., ad esempio, Corte di giustizia, sent. 22 giugno 1989,
causa 103/88 (Costanzo), in Racc., 1989, p. 1839 ss.; sent. 18 giugno 1991, causa
295/89 (Dona`), in Racc., 1991, p. 2967 ss. Cfr. altres`, limitatamente allItalia, Corte
cost., sent. 11 luglio 1989, n. 389, in Giur. cost., 1989, I, p. 1757 ss.; sent. 18 aprile
1991, n. 168, cit., c. 660 ss.

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(2002)

care un parallelo incremento degli interventi dei giudici nazionali


per disinnescare le fattispecie penali (e le fattispecie punitivoamministrative) ormai incompatibili con la normativa europea (348).
Da cio` deriva un accrescimento esponenziale del potere del giudice
interno di condizionare gli ambiti applicativi della normativa penale,
dunque di ridefinire i comportamenti penalmente vietati. Tale potere, oltretutto, risulta caratterizzato non di rado da un notevolissimo livello di discrezionalita`, dovuto alle possibili incertezze riscontrabili in sede di valutazione della compatibilita` o meno tra la norma
penale interna e il diritto comunitario. Tante` che, in taluni casi, i
dubbi in questione non cessano nemmeno dopo che la Corte di
giustizia a seguito di ricorso pregiudiziale effettuato dal giudice
nazionale ai sensi dellart. 234 TCE abbia fornito la propria
interpretazione della norma comunitaria rispetto alla quale la fattispecie penale interna si pone in posizione di sospetta incompatibilita`. Non di rado, infatti, le risposte della Corte di giustizia risultano
estremamente ambigue, finendo col lasciare al giudice interno tutti i
suoi originari interrogativi (349). Ecco dunque dei casi in cui la
(348) Merita di essere ricordato ancora una volta che alla disapplicazione giudiziale delle norme comunitariamente illegittime deve seguire, a fini di certezza del diritto
vigente, labrogazione modificazione o sostituzione di tali norme da parte del legislatore
nazionale. Cfr. supra, sub sez. I, par. 4, art. 54.
(349) In effetti la Corte di giustizia, se da un lato non deve valutare essa stessa la
legittimita` comunitaria della norma penale interna (cfr., ad esempio, RIZ, Diritto penale
e diritto comunitario, cit., p. 189; per talune puntualizzazioni cfr., peraltro, RASMUSSEN, La
Corte di giustizia, cit., p. 183 ss.), dallaltro lato nemmeno riesce sempre ad offrire al
giudice nazionale criteri interpretativi tali da consentire a questultimo di effettuare con
sufficiente consapevolezza la suddetta valutazione (cfr., tra gli altri, BERNARDI, Principi
di diritto e diritto penale europeo, cit., p. 210; PEDRAZZI, Droit communautaire et droit
pe nal des Etats membres, cit., p. 67 ss.). Esempi lampanti di questo stato di cose sono
offerti da alcune pronunce della Corte di Lussemburgo (cfr. sent. 26 febbraio 1976,
causa 65/75 (Tasca), in Racc., 1976, p. 291 ss.; sent. 14 luglio 1988, causa 298/87
(Smanor), in Racc., 1988, p. 4513, punto 25), nelle quali il giudizio sulla legittimita` della
normativa sanzionatoria interna e` stato fatto dipendere dalla sussistenza di elementi
fattuali di assai difficile individuazione, ovvero e` stato incentrato su criteri oltremodo
elastici, se non addirittura inafferrabili (cfr., per tutti, CAPELLI, Yogourt francese e pasta
italiana (due sentenze e una proposta di soluzione), in Dir. com. scambi intern., 1988, p.
391 ss.; nonche , con specifico riferimento al problema della certezza penale sollevato da
tali sentenze interpretative, GRASSO, Comunita` europee e diritto penale, cit., p. 276 ss., e
bibliografia ivi riportata).

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struttura relazionale della rete comporta un rovesciamento di


piani tra legislatore penale e interprete, sino a fare di questultimo il
vero artefice della norma penale in action. Ma, purtroppo, si tratta
anche di casi di diritto in rete in cui una scrittura della
fattispecie penale ad opera di una pluralita` di autori, lungi dal
rivelarsi virtuosa (350), rischia di causare un troppo ampio livello
di indeterminatezza, un vero e proprio vuoto di legalita`.
Per quanto sin qui esposto, a prescindere da ogni presa di
posizione a favore o contro il paradigma della rete, appare in
conclusione chiaro che il processo di europeizzazione del diritto
dando vita a un insieme di sistemi almeno in parte privi di precise
gerarchie e obbligando i diversi operatori a gestire il multiplo in
modo flessibile ma al contempo non arbitrario contribuisce alla
fortuna di questo rivoluzionario paradigma anche in sede penale. Il
futuro ci dira` se questa concezione reticolare del diritto qui
sinteticamente riassunta risulta un naturale portato della modernita`
e delle sue complesse regole, o viceversa costituisce la risposta
contingente al disordine provocato dal (provvisorio?) tramonto della
concezione autarchico-statualista del sistema penale, cos` come da
un progetto europeo tanto affascinante quanto incerto nei suoi esiti
politico-giuridici.
18.

Labbandono del nazionalismo dogmatico e il ricorso al sincretismo concettuale come conseguenza del pluralismo giuridico.
La tendenza alla semplificazione della scienza penale al fine di un
democratico ravvicinamento dei relativi sistemi statuali.

Unultima espressione dellattuale tendenza del pensiero penalistico ad evolvere in senso trans-nazionale e` costituita dallemersione di due fenomeni distinti seppur correlati tra loro, specie sotto
il profilo teleologico. Essi consistono: a) nella progressiva rinuncia al
rigore dogmatico e sistematico proprio delle piu` evolute scienze
penali di matrice continentale, in vista del fine superiore costituito
dalla convergenza dei relativi sistemi nazionali; b) nella crescente
(350) Come auspicato da VOGLIOTTI, La rhapsodie: fe condite dune me taphore
litte raire pour repenser le criture juridique contemporaine. Une hypothe`se de travail pour
le champ pe nal, cit., p. 155.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

aspirazione ad una reale semplificazione delle costruzioni teoricopenali di alcuni dei Paesi dellUnione, atta a facilitare un dialogo
giuridico sinora ostacolato dalla presenza di strutture concettuali al
contempo diverse e assai complesse.
a) per quanto concerne innanzitutto il processo di denazionalizzazione della scienza penale, occorre riconoscere che esso risulta
oltremodo difficoltoso, per tutta una serie di ragioni teoriche e
culturali, le quali peraltro sembrano solo ritardare, ma non paralizzare completamente levoluzione in atto.
a1) Sotto un profilo strettamente teorico, la rinuncia al nazionalismo dogmatico e` resa ostica dallopinione diffusa secondo la
quale una scienza penale che non operi deduttivamente tramite
concetti e categorie, espressivi di un peculiare sistema logico di
interrelazioni, costituirebbe una contraddizione in termini. Un riflesso di tale opinione si coglie nel dibattito sviluppatosi in Germania per lindividuazione del modello concettuale piu` idoneo a costituire il substrato teorico in vista dello sviluppo di una dogmatica
penale a carattere continentale (351). Al riguardo, e` stato tuttavia
fatto osservare che un approccio cos` astrattamente rigoroso risulta
stonato nellattuale fase della costruzione giuridica europea. Questultima infatti presenta innanzitutto uninfinita` di problemi politico-criminali la cui soluzione si colloca in un contesto fattuale e
procedimentale nellambito del quale il soddisfacimento delle
esigenze di tipo pratico-applicativo tende inevitabilmente a prendere
il sopravvento sulle esigenze di coerenza delle opzioni dogmatiche (352). Tenuto conto di tutto cio`, non si e` mancato di suggerire
che la soluzione di questi problemi potrebbe essere volta a volta
ricercata facendo ricorso a criteri e percorsi giuridici assai diversi, e
dunque secondo un modo di procedere ispirato al cosiddetto principio di apertura metodologica (353), in base al quale tali criteri e
percorsi andrebbero setacciati alla ricerca di quello destinato ad
offrire, nel caso di specie, il risultato migliore.
(351) Sul punto cfr., in particolare, SCHU} NEMANN, Strafrechtsdogmatik als Wissenschaft, in Festschrift fu r Claus Roxin zum 70. Geburtstag am 15. Mai 2001, Berlin, New
York, 2001, p. 1 ss.
(352) In questo senso cfr., diffusamente e da ultimo, VOGEL, Europa ische Kriminalpolitik - europa ische Strafrechtsdogmatik, cit., p. 518 ss.
(353) KHU} L, Europa isierung der Strafrechtswissenschaft, cit., p. 801.

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ALESSANDRO BERNARDI

Una siffatta metodologia aperta implica una comparazione in


chiave strettamente funzionalistica tra le diverse opzioni utilizzabili (354), in modo che la scelta ultima anziche costituire lesito di
una lotta tra dogmatiche sia pragmaticamente ispirata alla
logica del miglior risultato concreto ottenibile. Ora, e` di tutta
evidenza che una oggettivazione in prospettiva funzionalista della
scelta tra le suddette opzioni potrebbe risultare tuttaltro che facile,
presupponendo la capacita` di spogliarsi delle proprie costruzioni
teoriche, per poter valutare con animo quanto piu` libero possibile le
diverse ipotesi. Occorre tuttavia tener conto del fatto che tale modus
operandi dimpronta sincretistica risulta ormai largamente utilizzato
dagli organi europei deputati alla elaborazione di norme e principi a
carattere sovrastatuale destinati a perseguire un disegno di integrazione su scala continentale (355), rivelandosi oltretutto perfettamente
in linea con quellesigenza di autonomia nella metodologia giuridica
postulata da unUnione di Stati parificati nella reciproca dignita`
delle proprie tradizioni (356). In questo senso, ammesso e non concesso che dal raffronto tra le differenti scienze giuridiche dei Paesi
dellUnione una di queste risulti in assoluto migliore delle altre,
lipotesi di una sua pedissequa trasposizione in ambito europeo
sarebbe comunque da scartare, in nome di una intuibile esigenza di
democrazia (357), prima ancora che in nome di quella esigenza di
semplificazione giuridica alla quale avremo tra poco modo di
accennare. Sembra quindi possibile concludere affermando che le
obiezioni teoriche opposte al processo di europeizzazione della
scienza penale possono essere superate, e che il principio di
apertura metodologica, pur non rappresentando certo la bacchetta
magica per la soluzione di ogni problema, appare destinato a
raccogliere crescenti consensi.
(354) Cfr. VOGEL, Wege zu europa isch-einheitlichen Regelungen im Allgemeinen
Teil des Strafrechts, cit., p. 337-338; ID., Europa ische Kriminalpolitik - europa ische
Strafrechtsdogmatik, cit., p. 524.
(355) Cfr., sul punto, BERNARDI, Verso una codificazione penale europea? Ostacoli e
prospettive, cit., p. 114.
(356) Cfr., specificamene, VOGEL, Europa ische Kriminalpolitik - europa ische Strafrechtsdogmatik, cit., p. 524.
(357) Cfr., sul punto, le osservazioni di DONINI, Metodo democratico e metodo
scientifico nel rapporto tra diritto penale e politica, cit., p. 52.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

a2) Sotto un profilo latamente culturale, lattuale lentezza


nella denazionalizzazione delle costruzioni teoriche in ambito penale
discende innanzitutto, in via generale, dalle secolari e profonde
differenze riscontrabili nelle tradizioni penalistiche europee (358), dal
carattere essenzialmente statico della dogmatica (359), nonche da una
sorta di sciovinismo giuridico critico nei confronti di un processo
di europeizzazione che, rinnegando il postulato della assoluta autonomia delle concezioni locali, sembra preludere alla stessa fine
delle nazioni (360), o quantomeno ad una sorta di svendita delle
tradizioni giuridiche statuali (361). Ora, si sa che tale forma di
sciovinismo risulta particolarmente sedimentata nel settore penale,
fra tutti quello da sempre maggiormente informato al dogma della
sovranita` nazionale. Di qui la fatica a superare i tradizionali schemi
concettuali intrisi, al contempo, di particolarismo e di intransigenza (362); schemi, certo, necessari al mantenimento e al perfezionamento delle preziose simmetrie espresse da talune culture penalistiche a carattere locale, ma difficilmente utilizzabili sia per creare i
presupposti necessari allo sviluppo di un unitario seppur settoriale diritto penale europeo, sia per procedere a una mera
armonizzazione dei sistemi penali nazionali e alla messa in opera di
una efficace politica criminale di respiro continentale.
Anche sotto un profilo lato sensu culturale, ben si comprende
quindi come labbandono dellapproccio autarchico-nazionalista
della scienza penale richieda tempi lunghi e comunque differenti per
i singoli operatori del diritto (363) con conseguente, inevitabile so(358) In argomento cfr., emblematicamente, RU} TER, Harmonie trotz Dissonanz.
Gedanken zur Erhaltung eines funktionsfa higen Strafrechts im grenzenlosen Europa, in
ZStW, 105, 1993, p. 35 ss. Cfr. altres`, per ulteriori riferimenti bibliografici, BERNARDI,
Verso una codificazione penale europea? Ostacoli e prospettive, cit., p. 103 ss.
(359) Cfr. PARESCE, voce Dogmatica giuridica, in Enc. dir., vol. XIII, 1964, p. 679.
(360) Cfr. OPPETIT, Leurocratie ou le mithe du legislateur supre me, in Recueil
Dalloz, 1990, p. 73 ss.
(361) Cfr. MENGONI, LEuropa dei codici o un codice per lEuropa?, in Saggi,
conferenze e seminari, n. 7, del Centro di studi e ricerche di diritto comparato e
straniero, Roma, 1993, p. 13 e bibliografia ivi riportata.
(362) In una piu` generale prospettiva, sulla intrinseca inidoneita` del diritto penale
a ruoli pionieristici cfr., recentemente e per tutti, DONINI, Metodo democratico e metodo
scientifico nel rapporto tra diritto penale e politica, cit., p. 54.
(363) Cfr., sia pure in una prospettiva non circoscritta al campo penale, FERRARI,

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569

ALESSANDRO BERNARDI

pravvivenza di sacche di resistenza fedeli alle tradizionali concezioni localistiche. E tuttavia, resta la realta` di una nuova, sia pur non
ancora sufficientemente diffusa, presa datto della crescente esigenza
di europeizzazione della scienza giuridica, e della connessa necessita`
di dover rinunciare a considerare intoccabili gli elementi peculiari
della dogmatica penale nazionale (364). Il mutamento di concezioni si
coglie, in primo luogo, nella diminuita enfatizzazione delle differenze scientifiche tra gli Stati, nel progressivo venir meno dellorgoglio nazionale per le costruzioni giuridiche a carattere essenzialmente interno; nonche nella valorizzazione dei momenti di
comunanza o dei movimenti di convergenza (365) e nellimpulso
allelaborazione di soluzioni tendenzialmente uniformi.
Note sullalternativa del diritto contemporaneo, in Soc. dir., 1993, p. 32 ss.; GESSNER,
Lintegrazione giuridica globale e le culture giuridiche, ivi, p. 63 ss.
(364) Cfr., allinterno di una bibliografia ormai molto ampia, ALBRECHT, BRAUM,
Insufficienze nellevoluzione del diritto penale europeo, cit., p. 615; BERNARDI, Strate gies
pour une harmonisation des syste`mes penaux europe ens, cit., p. 200 ss.; ID. Verso una
codificazione penale europea? Ostacoli e prospettive, cit.; BIANCARELLI, Lordre juridique
communautaire a-t-il compe tence pour instituer des sanctions?, in Quelle politique pe nale
pour lEurope?, Paris, 1993, p. 273; CADOPPI, Verso un diritto penale unico europeo?, in
Possibilita` e limiti di un diritto penale dellUnione europea, cit., p. 39 ss.; DELMAS-MARTY,
Pour un droit commun, cit., passim; DELMAS-MARTY, Verso un diritto penale comune
europeo?, cit., p. 543 ss.; DONINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto tra
diritto penale e politica, cit., p. 29 ss.; ID., Larmonizzazione del diritto penale europeo nel
contesto globale, cit., p. 477 ss.; GRASSO, Lincidenza del diritto comunitario sulla politica
criminale degli Stati membri: nascita di una politica criminale europea?, in Indice pen.,
1993, p. 93; MANACORDA, Larmonizzazione dei sistemi penali: una introduzione, cit., in
particolare, p. 41; MILITELLO, Dogmatica penale e politica criminale in prospettiva europea,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 411 ss.; PALIERO, La fabbrica del Golem. Progettualita`
e metodologia per la Parte generale di un codice penale dellUnione europea, cit., p.
466ss.; RIONDATO, Sullarcipelago neo-medioevale del diritto penale della Comunita` e
dellUnione europea. In margine al Corpus Juris per la protezione penale degli interessi
finanziari dellUnione, cit., p. 97 ss.; SATZGER, Die Europa isierung des Strafrechts, cit.;
SIEBER, Unificazione europea e diritto penale europeo, cit., in particolare p. 985 ss.;
TIEDEMANN, Die Europa isierung des Strafrechts, cit., p. 6 del testo dattiloscritto; ID., EG
und EU als Rechtsquellen des Strafrechts, in Festschrift fu r Claus Roxin zum 70.
Geburtstag am 15. Mai 2001, cit., p. 1401 ss.; VOGEL, Wege zu europa isch-einheitlichen
Regelungen im Allgemeinen Teil des Strafrechts, cit., p. 336 ss.; ID., Europa ische Kriminalpolitik - europa ische Strafrechtsdogmatik, cit., p. 517 ss.
(365) In questo senso, particolarmente significativa sembra essere lattuale tendenza a riconoscere lesistenza di importanti legami storici, nonche di tecniche, strutture

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

In questo processo di ripensamento del metodo e dei modelli


scientifici, tende cos` a riemergere la convinzione, a suo tempo

e fondamenti giuridici comuni financo tra le due aree di civil law e di common law,
ovvero a sottolineare i sintomi di un profondo ravvicinamento fra di esse. Cfr., in
generale e con diverse sfumature, i contributi pubblicati in New Perspectives for a
Common Law of Europe, cit.; The Gradual Convergence. Foreign Ideals, Foreign Influences, and English Law on the Eve of the 21st Century, a cura di B. S. Markesinis, Oxford,
1994; Neighbours in Law: Are Common Law and Civil Law Moving Closer Together?
Papers in Honour of Barbara Huber on Her 65th Birthday, a cura di A. Eser, Ch. Rab,
Freiburg im Breisgau, 2001; BOGNETTI, Introduzione al diritto costituzionale comparato,
Torino, 1994, p. 78 ss.; CAPPELLETTI, The Doctrine of Stare Decisis and the Civil Law: a
Fundamental Difference or No Difference at All?, in Festschrift fu r K.Zweigert zum 70
Geburstag, Tu bingen, 1981, p. 381 ss.; GAMBARO, SACCO, Sistemi giuridici comparati, in
Trattato di diritto comparato, diretto da R. Sacco, Torino, 1996, p. 44 ss.; GORDLEY,
Common law v. civil law. Una distinzione che va scomparendo?, in Scritti in onore di
R. Sacco, a cura di P. Cendon, Milano, 1994, p. 559 ss.; LAWSON, the Family Affinities of
Common-Law and Civil-Law Systems, in Hastings Intern. Comp. Law Rev., 1982, p. 103
ss.; LUPOI, Common Law e Civil Law, alle radici del diritto europeo, in Foro it., 1993, V,
c. 431 ss.; LUSO SOARES, Breve comentario sobra Una proposta di rilettura del quarto libro
del codice civile nella prospettiva di una codificazione europea de Giuseppe Gandolfi, in
Minerva, (Lisboa), 1990, p. 4; MOCCIA, Sulluso del termine civil law, in Foro. it., 1980,
c. 254 ss.; NO} RR, The European Side of the English Law. A Few Comments from a
Continental Historian, in COING, NO} RR, Englische und kontinentale Rechtsgeschichte: ein
Forschungsprojekt, Berlin, 1985, p. 15; PREDIERI, Il diritto europeo come formante di
coesione e come strumento di integrazione, cit., p. 10 ss.; SCHULZE, Un nouveau domaine
de recherche en Allemagne: lhistoire du droit europe en, cit., p. 45 ss. e bibliografia ivi
riportata; SAMUEL, System und Systemdenken - Zu den Unterschieden zwischen kontinentaleuropa ischem Recht und Common Law, in ZEuP, 1995, p. 375 ss.; SCHLESINGER, Il
passato e il futuro della comparazione giuridica, in Riv. dir. civ., 1995, p. 603 ss.; STEIN, I
fondamenti del diritto europeo, Milano, 1987, passim, in particolare p. XIII; TARUFFO, Il
processo civile di civil law e di common law: aspetti fondamentali, in Foro it., 2001, V,
c. 345 ss.; ZIMMERMANN, Der Europa ische Charakter des englischen Rechts. Historische
Verbindungen zwischen Civil Law und Common Law, in Zeitschrift fu r Europa isches
Privatrecht, 1993, p. 1 ss.; ID., Diritto romano, diritto contemporaneo, diritto europeo: la
tradizione civilistica oggi (il diritto privato europeo e le sue basi storiche), in Riv. dir. civ.,
2001, p. 703 ss. Cfr. altres`, in prospettiva strettamente penalistica e con varieta` di
accenti, CADOPPI, La genesi delle fattispecie penali: una comparazione fra civil law e
common law, Relazione svolta il 26 marzo 2002 allUniversita` di Trento; ID., Dallo judge
made law al criminal code, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, p. 974; ID., Towards a
European Criminal Code?, cit., p. 2 ss.; ID., Common law, civil law e diritto penale
europeo, intervento scritto presentato il 17 settembre 1998 al Convegno di Toledo in
tema di Perspectivas de Unificacio n del Derecho Penal en la Unio n Europea; DELMASMARTY, Politique criminelle dEurope, cit., p. 59 ss.; FRAGOLA, ATZORI, Prospettive per un

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ALESSANDRO BERNARDI

autorevolmente espressa (366), che la scienza giuridica al pari di ogni


scienza umana debba necessariamente essere internazionale se non
addirittura universale (367), con la conseguenza che essa sarebbe
innaturalmente degradata al mero rango di diritto locale ove le
frontiere giuridiche coincidessero con quelle politiche (368).
Secondo questa concezione, in definitiva, non gia` lattivita` scientifica, ma solo quella normativa, fondata sul potere e dunque sulla
sua delimitazione (369), potrebbe semmai differenziarsi su base
strettamente nazionale.
Ora, e` inutile sottolineare come tale concezione (la quale sembra
per certi versi sottovalutare i nessi esistenti tra lattivita` statuale di
creazione giuridica e lattivita` scientifica volta ad ispirare il legislatore (370) e ad interpretarne e sistematizzarne i prodotti normativi) (371) venga oggi rafforzata dalla progressiva erosione della stessa
potesta` legislativa dello Stato ad opera dellUnione europea. In tal
modo, infatti, risulta quantomeno attenuata quella frattura tra legislazione e scienza legale derivante dalla contrapposizione tra la
dimensione nazionale della prima e lauspicata dimensione sovrastatuale della seconda. Diviene allora ancor piu` giustificata lesigenza di
diritto penale europeo, cit., p. 4; PAGLIARO, Limiti allunificazione del diritto penale
europeo, cit., p. 200; SCHULZE, Il contributo italiano al diritto penale nel tardo ottocento,
in Problemi istituzionali e riforme nelleta` crispina, Sorrento, 1990.
(366) Cfr. gia` SALEILLES, Le code civil et la me thode historique, in Code civil - Livre
du Centenaire, Paris, 1904, I, p. 95 ss. e 127. Cfr. altres`, in tempi relativamente piu`
recenti, DELLANDRO, Il dibattito delle scuole penalistiche, in Arch. pen., 1958, in
particolare p. 201 ss.
(367) Cfr., per tutti, ARNAUD, Pour une pense e juridique europe enne, cit., in
particolare p. 149; DONINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto tra
diritto penale e politica, cit., p. 49.
(368) Cfr. gia` VON IHERING, Geist des ro mischen Rechts auf den verschiedenen
Stufen seiner Entwicklung, I aufl., 6 ed., Leipzig, 1907 (ristampa Darmstadt, 1968), p.
15; nonche , ora, ARNAUD, Pour une pense e juridique europe enne, cit., in particolare p. 167
ss., con ulteriori riferimenti bibliografici.
(369) RAVAv , Introduzione al diritto della civilta` europea, Padova, 1982, p. 3 ss.
e 38 ss.
(370) Sul punto cfr., ad esempio, PRADEL, Histoire des doctrines pe nales, Paris,
1989, p. 5 ss.
(371) Sul problema della scienza del diritto e degli oggetti della sua indagine cfr.,
in particolare, PULITANOv , Quale scienza del diritto penale?, cit., p. 1215 ss. e bibliografia
ivi riportata.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

giungere, anche in ambito penale, al superamento o quantomeno


allattenuazione di quelle contrapposizioni concettuali ormai da
taluno definite, a giusto titolo assurde (372); superamento certo
non garantito, ma senzaltro facilitato da un generale processo di
semplificazione delle scienze giuridiche nazionali, che tuttavia
sembra meritevole di qualche breve osservazione.
b) Per quanto riguarda, poi, la crescente aspirazione anche in
campo penale ad una reale semplificazione delle scienze giuridiche
nazionali, in prima approssimazione sembra di poter dire che essa
tende almeno prevalentemente a perseguire due diversi scopi:
quello di contrastare le crescenti discrasie tra teoria e prassi penale;
quello di facilitare il dialogo tra dogmatiche in vista del ravvicinamento (o, in prospettiva piu` ottimistica, dellunificazione) dei sistemi, e di favorire, di riflesso, il ricorso a categorie, istituti, regole,
improntati a una grammatica giuridica razionale ma al contempo
non troppo complessa.
b1) In relazione al primo di tali scopi encomiabile ma
comunque tendenzialmente estraneo al tema qui trattato bastera`
ricordare come parte della dottrina concordi oramai sul fatto che in
certi Paesi taluni istituti-cardine della teoria generale del reato (373)
hanno raggiunto un livello di complessita` cos` elevato da favorire il
reciproco estraneamento tra soluzioni dogmatiche e soluzioni giurisprudenziali. Di qui, dunque, la tendenza a ricercare una riduzione
della complessita` della scienza penale (374).
b2) In relazione al secondo degli scopi connessi alla semplificazione delle dogmatiche nazionali concernente appunto il tema
della europeizzazione del diritto e` importante sottolineare come
(372) SACCO, Il sistema del diritto privato europeo: le premesse per un codice
europeo, in Il diritto privato europeo: problemi e prospettive, a cura di L. Moccia, Milano,
1993, p. 98.
(373) Si pensi, esemplificativamente, alla disciplina dellimputazione e del concorso di persone.
(374) In proposito cfr., ad esempio, le osservazioni di VOLK, recensione a Moccia,
Il diritto penale tra essere e valore, in Annali dellIstituto di Diritto e Procedura Penale
- Universita` degli Studi di Salerno, 1993, p. 156. Cfr. altres`, per taluni spunti in
argomento, CADOPPI, Dallo judge made law al criminal code, cit., in particolare p. 929 ss.
Sul tema della lontananza tra teoria e prassi penale e delle relative cause cfr., in
particolare, Le discrasie tra dottrina e giurisprudenza in diritto penale, a cura di A. M.
Stile, Napoli, 1991.

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ALESSANDRO BERNARDI

si stiano ormai diffondendo anche in ambito penale quelle concezioni pionieristiche volte allarmonizzazione di istituti e norme tra
gli Stati dellUnione, o addirittura allelaborazione di fattispecie
unitariamente applicabili su scala continentale. Elaborazione effettuata alla luce delle esigenze proprie dei diversi, piu` o meno evoluti,
ordinamenti nazionali europei, e dunque anche a costo di dover
attuare operazioni di semplificazione dogmatica e normativa destinate a rendere i singoli sistemi penali (ovvero, in una diversa ma
parallela prospettiva, il progettato ordinamento penale sovrastatuale) un poco piu` primitivi rispetto a taluni dei previgenti sistemi
nazionali (375).
Un esempio emblematico di semplificazione giuridica tesa a
perseguire un dialogo tra le dogmatiche nazionali in chiave di
armonizzazione/unificazione viene oggi offerto proprio dalle norme
(specie, ma non solo, di parte generale) del Corpus Juris contenente
disposizioni penali per la tutela degli interessi finanziari dellUnione
europea (376); norme le quali hanno costituito e tuttora costituiscono,
al contempo, il prodotto e loccasione di unintensa attivita` comparatistica condotta nel segno della razionalita` e della linearita` concettuale. Da un lato, infatti, tali norme sono state redatte tenendo conto
dei peculiari retroterra scientifici e normativi nazionali, alla ricerca
di minimi denominatori comuni e di orientamenti prevalenti
atti a favorirne la ricezione allinterno dei singoli Stati; dallaltro lato,
esse hanno dato vita, ex post, a una ulteriore, meticolosa attivita` di
verifica volta ad appurare la loro reale compatibilita` con i singoli
ordinamenti giuridici nazionali (377). La migliore prova di come il
progetto di Corpus Juris non solo sia nato, ma continui a evolversi in
un contesto di fattiva cooperazione scientifica a carattere interstatuale viene oggi fornita dalla lettura dellopera curata da Mireille
Demas-Marty e John Vervaele in tema di attuazione del Corpus
(375) In argomento cfr., in generale e per tutti, VOGEL, Wege zu europa ischeinheitlichen Regelungen im Allgemeinen Teil des Strafrechts, cit., p. 338.
(376) In merito al quale cfr., diffusamente, supra, sub sez. I, par. 11.
(377) Cos`, ad esempio, lo stesso Parlamento europeo ha richiesto alla Commissione liniziativa di unanalisi comparatistica condotta in relazione agli ordinamenti
giuridici dei Paesi dellUnione per valutare la fattibilita` sul piano sia tecnico che
costituzionale della Procura europea progettata dal Corpus Juris. Cfr., al riguardo,
Parlamento europeo, doc. n. 222.169.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

stesso. Nei rapporti dei 15 Stati membri contenuti nel secondo e nel
terzo volume sono infatti analizzati in modo estremamente dettagliato i rapporti intercorrenti tra ogni norma del Corpus Juris e i
singoli sistemi nazionali, cos` da poter valutare il livello di fattibilita`
e di compatibilita` delle prime rispetto ai secondi (378).
A conclusione di questa breve disamina delle attuali tendenze
alla semplificazione delle scienze giuridiche nazionali e dei relativi
sistemi penali, merita di essere rilevato che, a onor del vero, in
ambito nazionale lauspicio di addivenire ad una dogmatica meno
ardua puo` essere formulato in vista di un ulteriore scopo, anchesso
peraltro connesso al tema delleuropeizzazione del diritto penale. Si
allude allo scopo di veder realizzata una affermazione su scala
europea della propria scienza giuridica nazionale: affermazione da
un lato auspicata in ragione di una presunta superiorita` oggettiva
di tale scienza, ma dallaltro lato frenata, per lappunto, dalla sua
scoraggiante complessita`. Donde, appunto, lauspicio che attraverso operazioni di semplificazione capaci di ridurne il grado di
difficolta` senza peraltro snaturarne i tratti caratterizzanti, la propria
dogmatica nazionale possa svolgere piu` efficacemente unopera di
colonizzazione culturale condotta per il (presunto) bene dellUnione stessa. Uneco di quanto appena detto puo` cogliersi nel
contrasto tra chi sostiene la necessita` di promuovere anche sul piano
europeo il grado di sviluppo conseguito dalla dogmatica tedesca,
onde evitare il rischio che altre scienze giuridiche arretrate, come
quella inglese e francese, retrocedano il discorso penale europeo ad
uno stadio premoderno (379), e chi sottolinea, per contro, che non
di rado i giuristi di molti Paesi dellUnione guardano con sospetto
alle riforme ispirate al sistema tedesco proprio a causa della sua
estrema complessita` (380). Contrasto rivelatore, se mai ce ne fosse
(378) Cfr. La mise en oeuvre du Corpus Juris dans les E tats-Membres, II e III, cit.,
passim. I suddetti rapporti sono inoltre riproposti, in forma semplificata e schematica,
nellAnnexe I al primo volume (p. 109 ss.), ove e` dato rinvenire centinaia di tabelle
comparative, concepite con il precipuo scopo di rendere particolarmente chiari e
accessibili i risultati della ricerca.
(379) SCHU} NEMANN, Strafrechtsdogmatik als Wissenschaft, cit., p. 11.
(380) In questo senso, sia pure muovendo da una diversa impostazione, sfavorevole alluniformizzazione dei sistemi penali nazionali, rileva come la dogmatica tedesca
non possa comunque svolgere il ruolo di precettore per lEuropa WEIGEND, Strafrecht

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bisogno, di come un processo di europeizzazione del diritto penale


condotto nel segno del pluralismo scientifico e del sincretismo
concettuale sia ostacolato da forze frenanti riconducibili a persistenti
e per certi aspetti non ingiustificati orgogli nazionalistici.
19.

Considerazioni conclusive.

Tradizionalmente concepito quale insieme di norme atte a


consentire una severa punizione dei comportamenti piu` riprovevoli,
il diritto penale riflette il patrimonio di valori lentamente acquisito
allinterno di una societa` omogenea. Appare dunque logico che esso
risulti tendenzialmente refrattario ad ogni rapido mutamento, e
poco propenso ad assolvere un ruolo promozionale in ambito
sociale. Rischiano cos` di essere esasperate sia le forze inerziali
connaturate al diritto in quanto tale (che lo rendono, di regola, poco
incline ad assecondare in modo rapido le evoluzioni della realta`), sia
le resistenze che il diritto penale, in ragione della sua matrice
statualistica, oppone a condizionamenti di origine esterna alla compagine nazionale (381).
Tutto cio` puo` certo spiegare come malgrado un processo di
costruzione europea ormai consolidato a livello economico e in fase
di perfezionamento sul piano politico non si sia ancora pervenuti
a un unitario sistema giuridico, e men che meno a un unico sistema
penale di vigenza continentale: ma solo a un diritto comunitario e
dellUnione chiamato ad affiancarsi e integrarsi al diritto dei Paesi
membri. La connaturata lentezza ad evolvere propria del diritto
penale e del corrispondente settore della scienza giuridica non
significa, tuttavia, assoluto immobilismo e aprioristico rifiuto a recepire i condizionamenti e gli influssi di matrice europea. In questo
senso, non si e` mancato di sottolineare come anche, per vero,
sullonda delle indicazioni dei relativi organi sovrastatuali di produzione e interpretazione del diritto siano progressivamente emerse
in piena luce, e siano state via via metabolizzate nel diritto vivente
dei sistemi nazionali, differenti, molteplici forme di manifestazione
durch internationale Vereinbarungen - Verlust an nationaler Strafrechtskultur?, in ZStW,
1993, p. 792.
(381) Cfr., al riguardo, supra, sub sez. I, par. 1.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

del processo di europeizzazione. Si e` poi evidenziato come tale


processo abbia finito con lincidere sulla stessa scienza penale,
favorendo il superamento delle concezioni a carattere nazionalistico
sotto diversi profili. In questa prospettiva, da un lato sono state
rivitalizzate e riplasmate teorie, concezioni e metodologie (a carattere, volta a volta, giusnaturalista, razionalista, storicista, comparatista) tradizionalmente inscritte nel patrimonio culturale del vecchio
continente; dallaltro lato sono state create ex novo o comunque
rielaborate modellistiche e tecniche (a rete, sincretiste, di semplificazione) ritenute rispondenti alle nuove esigenze indotte dalla
complessita` delle fonti e dalla eterogeneita` delle esperienze giuridiche coinvolte nel progetto europeo.
Allo stato attuale, non e` dato sapere con esattezza quali saranno
gli esiti del processo di integrazione normativa e di ripensamento
dogmatico su scala europea, tenuto anche conto del fatto che la
futura crescita in estensione e competenze dellUnione risulta condizionata da una serie di fattori in larga misura imprevedibili. Del
resto, proprio lo studio della storia dEuropa sembra confortare la
teoria vichiana dei corsi e ricorsi, rivelando un iter continuamente
oscillante nei secoli tra chiusure in senso autarchico-nazionalista e
aperture in prospettiva regionalistica se non addirittura universalistica.
Quale che sia il divenire del nostro continente, e` comunque un
dato di fatto che il livello di integrazione sociale e istituzionale cui si
e` ormai pervenuti e` tale da richiedere un grado di armonizzazioneomogeneizzazione del diritto e della scienza penale superiore a
quello oggi riscontrabile.
Nella prospettiva quindi, nellimmediato, di unopera di ulteriore ravvicinamento interstatuale a carattere normativo e dogmatico, sembra potersi affermare che i patrimoni di scienza profusi nel
corso dei secoli in vista dellelaborazione di sistemi giuridici nazionali caratterizzati da una autonoma coerenza strutturale dovranno
costituire il punto di partenza certo imprescindibile sulla base
del quale procedere, attraverso difficili e sofferti processi di adattamento reciproco, allo sviluppo di una comune cultura giuridica
europea.

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SERVIZI PUBBLICI E CONCORRENZA:


SU ALCUNE FIBRILLAZIONI TRA DIRITTO COMUNITARIO
E TRADIZIONE CONTINENTALE
1. Polisemie ricorrenti. 2. Il tramonto dello Stato che lavora. 3. Linterpretazione
della Commissione; ovvero: la trasfigurazione della tradizione continentale.

1.

Polisemie ricorrenti.

Losservatore che, per colpevole distrazione o per intenzionale


provincialismo, decidesse di saggiare forza e consistenza della nozione di servizio pubblico soltanto attraverso i piu` recenti resoconti
del riparto di giurisdizione nellordinamento italiano, dovrebbe
probabilmente concludere per una vigorosa quanto forse imprevedibile attualita` dellistituto. Consiglio di Stato e Corte di Cassazione
duellano come non mai sulle nuove clausole generali del d.leg.80 del
1998 ed ora della legge 205 del 21 luglio 2000, che hanno ampliato
radicalmente le ipotesi di giurisdizione esclusiva, trasformando lo
stesso criterio generale di riparto. Chi ha avuto tra le mani il testo
dellordinanza 30 marzo 2000 n. 1, dellAdunanza plenaria (1), che
ha visto Palazzo Spada partire lancia in resta per sostenere una
concezione largamente estensiva di servizio pubblico ai fini del
riparto, avrebbe potuto tranquillamente rispolverare le conclusioni
(1) Cons. St., ad. plen., ord. 30 marzo 2000, n. 1, in Foro it., 2000, III, spec. c. 394,
dove la nozione di servizio pubblico utilizzata dal legislatore viene interpretata sulla base
del concetto quanto mai elastico e polisenso, gia` utilizzato per ripartire la giurisdizione tra i giudici dellautorita` giudiziaria e quelli del contenzioso amministrativo
nellordinamento francese: concetto richiamato nel suo significato giuridico potenzialmente piu` vasto. Gia` F. FRACCHIA, Giurisdizione esclusiva, servizio pubblico e specialita`
del diritto amministrativo, ivi, c. 380, segnalava che il tentativo del Consiglio di estendere
i confini della giurisdizione esclusiva non era del tutto esente da qualche forzatura.

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dei celebri Commissari di governo che in Francia, allinizio dello


scorso secolo, avevano orientato il sistema di giustizia amministrativa
in quella direzione. Al contrario, chi avesse scorso le colonne delle
recenti decisioni delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (2) in
punto di giurisdizione ben avrebbe potuto, con pari fondamento,
andare a ricercare, sempre a` rebours, nelle note a sentenza di
Maurice Hauriou o nella celebre Prefazione allundicesima edizione
del suo Pre cis, argomenti a favore di una nozione restrittiva del
servizio pubblico, ancorata ai profili di puissance e dunque di
specialita` dei mezzi e degli statuti adoperati in concreto dallamministrazione (3).
Da questo parziale angolo di osservazione ed un po sbrigativamente, il nostro distratto osservatore, calatosi nelle parti di questa
antica tenzone, avrebbe potuto sostenere che a distanza di poco
meno di un secolo, a dispetto delle crisi ricorrenti della nozione, il
servizio pubblico era finalmente divenuto anche in Italia, piu` per
mano del legislatore, a dire il vero, che di giurisprudenza e dottrina,
notion matresse del regime amministrativo.
Valicato il confine nazionale e raggiunto luniverso comunitario,
il quadro muta radicalmente.
Non solo il tema del riparto, inestricabilmente connesso allorigine francese della nozione ed ora prepotentemente emerso anche
nellordinamento italiano, perde di colpo di qualsiasi centralita`.
Della locuzione stessa servizio pubblico si fa addirittura fatica a
trovare traccia nellordinamento comunitario. Certo, il termine ricorre qua e la` nel diritto dei trattati, anche se in norme di modesto
rilievo strategico (art. 73) e non nel decisivo art. 86. Compare nel
diritto derivato. Ma e` anche vero che e` prudentemente espunto dalle
intitolazioni delle comunicazioni della Commissione ove e` confinato
in glossari posti a margine come semplice ausilio alla lettura; tenuto
fuori persino dalla formulazione di quellart. 16, introdotto ex novo
(2) Cass. S.U., 30 marzo 2000, n. 71, in Foro it., 2000, I, 2211; Cass. S.U., 12
novembre 2001, n. 14032, in Foro it., 2002, I, 1842, con pregevole nota di E. FERRARI,
Servizi pubblici: impostazione e significato della ricerca di una nozione.
(3) Per unanalisi della vicenda francese, cui accenniamo rapidamente nel testo, si
puo` vedere L. MANNORI-B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, Laterza,
2001, pp. 418-27; F. BURDEAU, Histoire du droit administratif (de la Re volution au de but
des anne es 1970), Paris, Puf, 1995, pp. 341 e ss.

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dal trattato di Amsterdam, che avrebbe dovuto riequilibrare la


direzione di una politica economica ormai stabilmente ispirata, dal
trattato di Maastricht in poi, al principio di una economia di
mercato aperta e in libera concorrenza. Incapace di emergere,
infine, nellarticolato della Carta dei diritti se non nella metamorfosi
peraltro significativa, come vedremo , dellaccesso ai servizi di
interesse economico generale (art. 36).
Il progetto francese di un servizio pubblico europeo per la cui
realizzazione si erano mobilitati oltralpe, allunisono, per tutta la
prima meta` degli anni Novanta, Governo, Senato, Conseil dEtat,
Commissariat ge ne ral du plan, nonostante un formidabile lavoro di
lobbing, la creazione di innumerevoli centri di ricerca, la predisposizione a raffica di documenti e libri bianchi, non sembra divenuto,
comera nei propositi, question davenir (4). Senza con questo
escludere che il progetto possa riemergere nel corso del processo
costituente europeo (5), avviatosi in concomitanza con una fase di
prolungata stagnazione economica, e nel corso del quale potrebbero
essere rimessi in discussione equilibri che sembravano essersi definitivamente consolidati, anche in questo campo, intorno al primato
del modello competitivo.
Quando nel 1996, la Commissione pubblica la comunicazione
sui servizi (6), che pure prelude allintroduzione nel trattato del
ricordato articolo 16, la traduzione ufficiale non fa comunque
neppure riferimento alla nozione di servizio pubblico. Quello di cui
si parla riguarda servizi di interesse generale, services dinte re t
(4) Un manifesto emblematico in Pour un Etat strate`ge, garant de linte re t ge ne ral.
Rapport de la commission Etat, administration et services publics de lan 2000 , Paris, La
Documentation franc aise, 1993, mentre per unaccurata ricostruzione del progetto e
delle molteplici iniziative francesi, si puo` vedere una lettura dallesterno: F. LO} WENBERG,
Service public und o ffentliche Dienstleistungen in Europa. Ein Beitrag zu Art. 16 des
EG-Vertrages, Berlin, Berlin Verlag-Nomos, 2001, pp. 207 e ss. Un buon quadro
comparativo in F. MODERNE, Les transcriptions doctrinales de lide e de service public, in
Lide e de service public dans le droit des Etats de lUnion Europe enne, a cura di Franck
Moderne e Ge rard Marcou, Paris, LHarmattan, 2001, pp. 9 e ss.
(5) G. AMATO, Torna la tentazione per gli aiuti di Stato, in Il Sole 24 Ore, 2 marzo
2003, apparso quando queste pagine erano gia` in bozze.
(6) Commissione delle comunita` europee, I servizi di interesse generale in Europa,
Com (96) 443 dell11 settembre 1996, in G.U.C.E. 26 settembre 1996, C 281, 3.

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ge ne ral; services of general interest; Leistungen der Daseinsvorsorge.


Anche in questo caso le polisemie sembrano avere il sopravvento, travolgendo qualsiasi certezza terminologica e concettuale. Se
il giurista francese, che ha per lo piu` fatto propria la battaglia
nazionale per leuropeizzazione del service public, tende a dare
credito limitato alle innovazioni comunitarie e a delimitarne la forza
dimpatto, il giurista italiano fatica invece a trovare una giusta
collocazione per quei servizi di interesse generale che appaiono
nozione tanto piu` diafana e leggera di quel servizio pubblico carico
di specialita` con il quale ha avuto sino a questo momento a che fare.
Le stesse reazioni sono contrastanti: ora si saluta con forte simpateticita` il carattere prettamente economico della definizione, leggendovi una salutare restituzione al mercato. Ora si teme che separarsi
da ogni caratura giuridico-pubblicistica significhi separarsi pure dai
contenuti solidaristici che il service sin dalle origini portava al suo
interno e si cerca quindi di recuperare, sul nuovo orizzonte regolativo, quei contenuti che appaiono non piu` predicabili sul piano della
gestione amministrativa, messa in discussione dallavanzata del processo di liberalizzazione.
Dal canto suo, il giurista tedesco, che stenta a ritrovare nella
parte generale del diritto amministrativo nozioni parallele a quella
francese di service public, non si sente del tutto appagato dal lessico
coniato da Ernst Forsthoff negli anni Trenta ed usato dalla Commissione, ricchissimo di capacita` euristica nella messa in luce delle
trasformazioni dellamministrazione ed in questa direzione costantemente utilizzato dal dibattito scientifico , ma ritenuto nel
secondo dopoguerra, sul piano sistematico, privo delle Konturen
giuridiche indispensabili. Scartata la terminologia di o ffentlicher
Dienst, pure utilizzata negli atti della Commissione, perche costretta
a subire in modo contraddittorio lequivoca attrazione del diverso
universo concettuale ed istituzionale del pubblico impiego, la
letteratura di commento, che si muove alla ricerca di un parallelo
tedesco di service public, e` costretta a piu` articolate perifrasi come
quella di o ffentliche Dienstleistungen o di o ffentliche Versorgung (7).
(7) F. LO} WENBERG, Service public und o ffentliche Dienstleistungen in Europa, cit.,
pp. 33 e ss.; H. SCHWEITZER, Daseinsvorsorge, service public, Universaldienst. Art. 86 Abs.

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Sembra ripetersi, in circostanze assai diverse, una vecchia incomunicabilita`. In tempi ormai remoti, ma con effetti che si sono propagati sino agli odierni glossari della Commissione, Otto Mayer aveva
tradotto service public con o ffentliche Anstalt formano una
o ffentliche Anstalt (service public) i mezzi statali, patrimoniali e
personali che sono determinati e riuniti per lassolvimento di un
determinato compito pubblico (8). Si erano cos` fusi moduli organizzativi e modi di fruizione entrambi rigorosamente pubblicistici,
sulla falsariga di quella duplicita` di elementi che stava accompagnando in Francia, sul finire dellOttocento, la nascita della nozione,
allinterno di unarmatura, sconosciuta pero` oltralpe, e contraddistinta da quel rapporto di sudditanza speciale che avrebbe reso a
lungo estremamente difficile dalla parte generale del diritto amministrativo la visibilita` dellamministrazione di prestazione, orientando secondo modi e tempi affatto peculiari il dibattito tedesco sul
nuovo volto degli apparati.
Il lessico europeo, che si irradia da quel principio di concorrenza inserito sin dal trattato di Roma nelluniverso delle prestazioni
di interesse generale, taglia invece radicalmente i ponti con il
linguaggio ottocentesco, irrompe nelle diverse tradizioni nazionali,
accentua le polisemie, fa scoppiare rilevanti problemi definitori,
seziona istituti e nozioni non solo destinati, come nellordinamento
italiano, alla nota ambulatorieta` di contenuti tra ordinamento amministrativo e penale, ma costretti ormai a soppesare i limiti nazionali delle diverse accezioni e le specifiche coordinate applicative
imposte dal diritto comunitario.
Il giurista continentale avverte subito, a fior di pelle, che lordine
giuridico europeo si costruisce in questo campo in forte discontinuita` con le diverse tradizioni nazionali ed in particolare con quella
tradizione continentale approdata e` il caso francese ed italiano
ad una valorizzazione costituzionale dei servizi pubblici. Molto piu`
difficile e` invece andare al di la` di questa prima, epidermica,
2 EG-Vertrag und die Liberalisierung in den Sektoren Telekommunikation, Energie und
Post, Baden-Baden, Nomos, 2001, pp. 74 e ss.
(8) O. MAYER, Theorie des franzo sischen Verwaltungsrechts, Straburg, Tru bner,
1886, p. 225. Per una contestualizzazione del dibattito tedesco, B. SORDI, Tra Weimar e
Vienna. Amministrazione e teoria giuridica nel primo dopoguerra, Milano, Giuffre`, 1987,
pp. 250 e ss., con la letteratura ivi richiamata.

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impressione e misurare con precisione entita` e direzioni delle discontinuita`.


Le diverse tradizioni nazionali hanno cronologie, scansioni,
contenuti, caratteristiche fortemente individualizzate, come dimostrano le vicende lessicali sopra rapidamente richiamate. Il diritto
comunitario, dal canto suo, non pretende di scardinarle per intero o
di ricondurle ad unita`. Limpatto del modello competitivo sul
mondo dei servizi e` deflagrante, ma lascia fuori, in modo programmatico, dal suo raggio dintervento, da un lato, il campo monopolistico delle potesta` pubbliche, dallaltro quello dei servizi sociali, nei
quali la prestazione standardizzata, di tipo industriale, si specifica in
trattamenti destinati alla persona (scuola, sanita`) (9).
Il settore dinteresse comunitario e` strettamente funzionale alla
formazione del grande mercato interno; ha di mira il buon
funzionamento del mercato europeo; presuppone soglie dimensionali tali da influire sugli scambi tra Stati membri (10). Il modello
competitivo attenua quindi di molto la propria forza quando si
rivolge allambito dei servizi locali, che pure hanno costituito storicamente e costituiscono ancora oggi gran parte del modello
sociale europeo, ma dove piu` difficile appare la configurazione di un
mercato rilevante (11).
Linserimento del modello competitivo nel campo dei servizi di
interesse generale e` dunque fenomeno piu` complesso del semplice
ridimensionamento dello Stato sociale. Limpatto non riguarda tanto
le istituzioni del welfare, lasciate in via di principio allautonomia dei
singoli Stati, in realta` compresse dalle politiche comunitarie di
stabilita` monetaria e di controllo della spesa pubblica. Limpatto
(9) Puntuali distinzioni concettuali in D. SORACE, Diritto delle amministrazioni
pubbliche. Una introduzione, Bologna, Il Mulino, 20022, pp. 109-115.
(10) Com (96) 443, cit., nn. 20, 21; Commissione delle comunita` europee, I servizi
di interesse generale in Europa, Com (2000) 580 del 9 settembre 2000, in G.U.C.E. 19
gennaio 2001, C 17, 4, n. 31.
(11) F. MERUSI, La nuova disciplina dei servizi pubblici, ora in Rassegna parlamentare, XLIV(2002), pp. 91-99. Il quadro normativo interno e` nel frattempo mutato a
seguito della Legge finanziaria 2002 che, modificando lart. 113 del T.U. delle leggi
sullordinamento degli enti locali, ha introdotto, per i servizi pubblici locali di rilevanza
industriale una distinzione tra proprieta` degli impianti e delle reti, che deve rimanere
agli enti locali, e disciplina di erogazione dei servizi, che deve avvenire invece in regime
di concorrenza.

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esiste ed e` forte, invece, rispetto alle costituzioni economiche del


secondo dopoguerra, specialmente verso quelle declinazioni, ancora
il caso francese ed assai piu` esplicitamente quello italiano, nelle quali
piu` stringente appariva il tentativo del costituente di riappropriarsi
delleconomico, attraverso le formule organizzative e le attivita`
conformative e programmatorie tipiche dei modelli di economia
mista.
2.

Il tramonto dello Stato che lavora.

Quale che sia il raggio dintervento del diritto comunitario, il


campo teorico comunemente recepito nella tradizione continentale
sotto il termine-concetto servizi pubblici e, piu` tardi, sotto quello
non del tutto identico di Leistungsverwaltung, risulta completamente trasfigurato. E proprio per questo il giurista avverte oggi,
pungente, una sensazione di estraniamento.
Quel campo teorico tradizionale ha, sin dalle sue origini, un
protagonista indiscusso, un soggetto che muove i fili dellintera
costruzione. La matrice soggettivistica che avvolge strettamente,
almeno per tutta la prima meta` del Novecento, la nozione e che ne
rappresenta, anche nel prosieguo, la condizione stessa di pensabilita`,
e` il fulcro, indefettibile, intorno al quale si costruisce, nella sua
possibilita`, il campo teorico di un servizio che e` pubblico perche
organizzato, prestato, garantito dallo Stato.
Lo Stato lavora; lo Stato prende il servizio; lo Stato da`
soddisfazione alla massa dei bisogni elementari; lo Stato entra in
azione; le prestazioni sono prestazioni degli enti amministrativi;
lamministrazione e` Leistungstra ger, ad un tempo titolare e fornitrice di prestazioni: da Spaventa ad Orlando, da Durkheim a
Duguit, da Hauriou a Santi Romano, da Kelsen a Forsthoff (12),
(12) Facciamo riferimento ad alcuni testi celeberrimi S. SPAVENTA, Le ferrovie
e lo Stato (1876), in ID., Lo Stato e le ferrovie. Scritti e discorsi sulle ferrovie come pubblico
servizio (marzo-giugno 1876), a cura di S. MAROTTA, Napoli, Vivarium, 1997, pp. 300 e
ss.; V.E. ORLANDO, Principii di diritto amministrativo, Firenze, Barbe`ra, 18922, pp. 266 e
ss.; E. DURKHEIM, La divisione del lavoro sociale [1893], trad. ital. a cura di A. Pizzorno,
Milano, Comunita`, 1971; L. DUGUIT, Les transformations du droit public, Paris, Colin,
1913; M. HAURIOU, La gestion administrative. Etude the orique de droit administratif,
Paris, Larose et Forcel, 1899; S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, Milano,

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possono mutare confini ed indici della pubblicita` di prestazioni e


servizi, ma e` sempre il medesimo burattinaio ad occupare la scena.
Lattivita` sociale non e` la generica produzione di utilita`
collettive; e` lattivita` sociale dello Stato; la faccia speculare e sinora
incognita della sovranita`; il nuovo volto della medusa, ma anche un
formidabile strumento di materializzazione della statualita` ed ancor
prima la fonte di un piu` solido sentimento di appartenenza alla
comunita`, di costituzione della cittadinanza.
Frastornati dal periodico oscillare del pendolo nellindividuazione dei compiti pubblici, non sempre si presta la dovuta attenzione
al fatto che il fenomeno che i giuristi si trovano di fronte a partire
dalla fine dellOttocento e` ben altro: lo Stato non riassume funzioni
antiche, proprie delleudemonismo settecentesco, che si affidava
soltanto a strumenti indiretti di attivita` e a funzioni di tipo esclusivamente regolativo; inventa attivita` e compiti nuovi. Assume una
inedita, nuovissima, gestione amministrativa. Si fa amministrazione diretta. Per la prima volta, nella vicenda dello Stato moderno,
i soggetti pubblici diventano fornitori materiali di prestazioni ed
utilita` collettive, provved(ono) a servizi di necessita` generale (13).
Quel mondo prestazionale che compariva soltanto in forme elementari nella realta` istituzionale di antico regime, lontano dallamministrazione del principe e ben calato nel tessuto delle autonomie
corporative e comunitative, non si trasfigura soltanto nelle linee
modernistiche dellindustrialismo municipale, ma assume progressivamente carattere e dimensioni nazionali; trasforma apparati; ne
inventa di nuovi; agisce come moltiplicatore degli organici dei
pubblici dipendenti. Quel mondo basterebbe pensare alla declinazione crispina delle istituzioni, ora inesorabilmente pubbliche, di
assistenza e beneficenza non appartiene piu` al novero dei corpi
morali, alla dimensione corporativa della societa` sopravvissuta alla
falcidia individualistica di fine Settecento, diventa pubblico proprio perche attratto definitivamente nellordinamento statuale.
Societa` editrice libraria, 19062, pp. 331 e ss.; H. KELSEN, Giurisdizione e amministrazione
(1929), in ID., Il primato del Parlamento, a cura di C. GERACI, Milano, Giuffre`, 1982, pp.
121 e ss.; E. FORSTHOFF, Die Verwaltung als Leistungstra ger, Stuttgart und Berlin,
Kohlhammer, 1938 che abbiamo analizzato in MANNORI-SORDI, Storia del diritto
amministrativo, cit., pp. 400 e ss.
(13) F. CAMMEO, I monopoli comunali, in Archivio giuridico, LV(1895), p. 311.

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Quello che si compiva a cavallo tra Ottocento e Novecento, ben


piu` del semplice incrinarsi del laissez-faire e del ritorno alla panoplia
dei compiti dellantica polizia, era dunque il passaggio, su di un
crinale di frattura gia` aperto dallo Stato di diritto, dalle regole dei
corpi alla gestione amministrativa diretta.
Certo, gli apparati non conquistavano dincanto competenze
imprenditoriali e industriali. Limpresa privata non e` affatto demonizzata; se e` attratta nellordinamento pubblicistico, se e` chiamata a
sostituire il soggetto pubblico, i suoi profitti sono tutelati. Lo stesso
vale per le istituzioni di assistenza e beneficenza, non assorbite
brutalmente nella struttura organizzativa dei poteri pubblici, ma
rivestite dallesterno di un pesante mantello pubblicistico.
Cos` nel campo piu` prettamente economico, assunzione diretta
ed esercizio in concessione sono moduli diversi, ma entrambi possibili, di esercizio di un servizio pubblico inteso in senso soggettivo.
In entrambi i casi, almeno in un primo momento, i giuristi ne
accentuano la matrice pubblicistica, anche per limpermeabilita` del
codice civile ad ospitare contenuti solidaristici od anche meramente
sociali, tanto meno quei principi di e galite , continuite , mutabilite che
dottrina e giurisprudenza avevano iniziato ad isolare oltralpe come
regole fondamentali della gestione. Il servizio e` operazione amministrativa; e` integrato in una istituzione amministrativa; ed almeno in Francia, il relativo contenzioso, cos` come consentiva
larchitettura del sistema di tutela, venne saldamente incardinato
presso il giudice amministrativo. Senza con questo negare, per la
dovuta elasticita` del modello, la legittimita` e la frequenza di un
esercizio privato di servizi pubblici.
Si tratta, pero`, appunto di mere modalita` gestionali che non
inficiano limputabilita` allorganizzazione pubblica complessiva,
ne mettono in dubbio la titolarita` del servizio (14): la pubblicita`
della nozione e` tanto forte che questa si candida e` il caso
emblematico della riflessione di Duguit a divenire la nuova
raffigurazione unitaria della statualita` stessa. Una candidatura, pero`,
resa quasi immediatamente problematica dalla circostanza che
espansione dellattivita` degli apparati pubblici ed espansione del
(14) Lo mette bene in luce, R. VILLATA, Pubblici servizi. Discussioni e problemi,
Milano, Giuffre`, 20012, p. 4.

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regime amministrativo non vanno affatto, come supposto, in direzione parallela.


Il diffondersi di concezioni oggettivistiche del servizio pubblico,
gia` tra le due guerre ed ancor di piu` nel secondo dopoguerra,
risponde ad una proiezione senza precedenti sulle relazioni sociali
ed economiche di nuove pretese di funzionalizzazione. Lo Stato non
ha cessato di lavorare; lavora anzi sempre piu` intensamente; ma lo fa
in modi ormai incomprimibili allinterno del solo regime amministrativo. La compenetrazione sempre piu` stretta con gli interessi, con
leconomico, lo Stato che si fa impresa, rendono impossibile ogni
raffigurazione unitaria. Il criterio del diritto amministrativo da questo momento diventa introvabile. Esattamente quella medesima
realta`, duplice, ambivalente, complessa, fotografata negli stessi anni,
nella dottrina di lingua tedesca, dalle coppie concettuali amministrazione diretta/indiretta; Eingriffs-/Leistungsverwaltung.
La crisi della nozione di servizio pubblico, anticipata dallelaborazione delle nozioni intermedie di servizio industriale e commerciale, che avviene ancora una volta sul piano del riparto,
specchio sempre fedele della continua evoluzione degli equilibri tra
i poli della dicotomia pubblico-privato, e` unicamente dovuta al
progressivo dissolversi del regime amministrativo. Per questo la crisi
e` eminentemente francese, riguarda cioe` lordinamento nel quale,
con tanto maggior rigore, listituto aveva sedimentato i propri tratti
pubblicistici.
E` bene sgombrare ogni analogia con la deflagrazione oggi
operata dal diritto comunitario. La crisi della nozione di servizio
pubblico nellimmediato secondo dopoguerra e` figlia di una stagione
di economia regolata, discende dal sovraccarico di governo non dal
suo superamento secondo il modello competitivo. Segue lesplosione
del pubblico verso il mercato, leconomia, il quotidiano; e` dovuta al
dissolversi del regime amministrativo e al dissociarsi sempre piu`
frequente tra servizio pubblico ed istituzione amministrativa. Risponde allulteriore espandersi di quella force gouvernante tanto
cara alla scuola del servizio pubblico degli epigoni di Duguit. Assai
meno invece a quella inegalite des intere ts che ne doveva perpetuare il regime amministrativo. La crisi del servizio pubblico ha, pur
nelle peculiarita` dellordinamento francese, timbri analoghi alla crisi
che investe le nozioni di ente pubblico od o ffentliche Anstalt negli

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ordinamenti italiano e tedesco; ne mima e ne ripercorre il medesimo


dissolversi in pure tassonomie.
A rovinare e` soltanto il servizio pubblico come crite`re du droit
administratif; ad essere archiviati sono soltanto il servizio pubblico dello Stato liberale cos` ben distinto dallimpresa privata e la
coincidenza tra regime speciale e servizio. Scrive con grande lucidita` Jean Rivero nel 1953: a partire dal momento in cui questa
coincidenza si e` rivelata sempre meno esatta, in un ordine politicoeconomico rinnovato, che utilizza piu` e piu` largamente le procedure
del diritto privato, si e` dovuto rinunciare a vedere nella nozione
tradizionale, il segno dellapplicazione del regime amministrativo (15).
Nellordinamento italiano, nel quale la diversa impalcatura del
sistema di giustizia amministrativa non aveva consentito lidentita`
francese tra servizio pubblico e regime amministrativo, e` invece
esattamente questo il momento nel quale piu` intensa si fa la contrapposizione tra nozione oggettiva e soggettiva: e non solo nel
dibattito scientifico ma anche nellitinerario di qualche singolo
autore, Giannini in testa (16). Quella nozione oggettiva, che la
separazione tra responsabilita` politica e responsabilita` di gestione
tipica della concessione di pubblico servizio per certi profili gia`
reclamava, sembra trovare la propria autorevolissima conferma in
una delle norme piu` caratterizzanti le scelte del Costituente in
materia economica: larticolo 43. Non e` un caso che uno dei primi
lucidissimi interpreti, Umberto Pototschnig, dia una sterzata senza
precedenti nella riflessione italiana sui servizi, muovendo proprio da
questo incardinamento costituzionale. E la concezione, amplissima,
che ne emerge lattivita` economica privata o pubblica convogliata
dalla legge a fini sociali (17) non e` soltanto il frutto dellesegesi
della norma che per la prima volta isola i servizi pubblici essenziali
(15) J. RIVERO, Existe-t-il un crite`re du droit administratif?, in Revue du droit public,
LXIX (1953), p. 283.
(16) G. CORSO, Le prestazioni pubbliche in Giannini, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, L(2000), pp. 1073 e ss.; M. DALBERTI, Lo Stato e leconomia in Giannini, ibid.,
pp. 1092-99.
(17) U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova, Cedam, 1964, pp. 177 e ss.; p. 458,
da rileggere ora con D. SORACE, La riflessione giuridica di Umberto Pototschnig. I servizi
pubblici, in Amministrare, XXXI(2001), pp. 385 e ss.

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nella loro oggettivita`, ma e` anche il simbolo tangibile di una stagione


nella quale il diritto non si limita ad integrare la mano invisibile del
mercato, ma determina la forma delleconomia, ne costituisce il
fattore caratteristico e la condizione costitutiva essenziale (18). Il
servizio pubblico sfuma nellattivita` di impresa di diritto comune,
che richiede pero` programmazione ed indirizzo a fini sociali, nel
momento in cui lo Stato appare sovraordinato come non mai
alleconomia, lo Stato interviene, la direzione pubblica delleconomia conquista il proscenio; nel momento in cui e` tutto un gran
parlare di Wirtschaftsverfassung e di Wirtschaftsverwaltungsrecht, di
droit public e conomique e di diritto pubblico delleconomia. Quella
crescita delle funzioni economiche dello Stato che solo con apparente contraddizione ora spinge lo stesso diritto amministrativo
verso la formazione di un diritto comune a privati e pubblici
operatori, ora invece trasforma il codice civile da statuto dei diritti
privati a mero contenitore di discipline di talune attivita` della vita
sociale. Lo Stato che si carica dei piu` svariati aggettivi qualificativi,
sociale, interventista, di benessere, lo Stato dei piani e della programmazione, dellimpiego e del controllo del credito, delle nazionalizzazioni, delle imprese pubbliche, degli assetti del territorio, e` lo
stesso Stato che rinuncia alla specialita` dei propri statuti organizzativi e di attivita` e che sposa forme e moduli eminentemente privatistici.
Sulla base di spinte diverse, ma pur sempre allinterno di un
contesto istituzionale e macroeconomico per molti versi omologo,
sia in Francia sia in Italia, quella che si sta allontanando e` soltanto la
possibilita` di una disciplina unitaria dellistituto. La secca alternativa
ottocentesca tra assunzione diretta ed affidamento in concessione e`
un lontano ricordo: regimi privatistici e regimi pubblicistici coesistono sempre di piu` allinterno dellinvolucro del servizio. Se davvero serpeggia una crisi del servizio pubblico questa e` unicamente
figlia del successo delleconomia mista e di un inarrestabile interventismo.
(18) V. SPAGNUOLO VIGORITA, Liniziativa economica privata nel diritto pubblico,
Napoli, Jovene, 1959, ora in ID., Opere giuridiche 1954-1994, Napoli, Editoriale scientifica, 2001, vol. I, p. 9, con le nostre osservazioni, Da una costituzione economica allaltra,
vol. I, pp. XXV e ss.

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In questo contesto, in cui la pubblicizzazione delleconomia si


coniuga con la piu` ampia privatizzazione dei modi di agire degli
apparati, in cui la fragilita` del regime amministrativo si accompagna
ad una forte espansione del settore pubblico, fa la sua comparsa nel
Trattato di Roma la norma dellarticolo 90 (ora, art. 86). Con il
senno di poi, probabilmente, un grosso rovescio per i sostenitori
delleconomia pubblica o, come pure si e` scritto, linnesco, allinsaputa dei piu`, di una vera e propria bomba ad orologeria (19), celata
in quel concetto di servizi di interesse economico generale, volutamente assunto in un significato ampio e privo di specifici riscontri
nei diritti nazionali degli Stati fondatori (20). Le tappe di liberalizzazione sono pero` ancora molto lontane. Neutralita` del trattato in
punto di proprieta` pubblica o privata delle imprese e specifica
missione sono l` a salvare attivita`, consistenza ma anche residua
specialita` della mano pubblica.
E come dimenticare che esattamente negli stessi anni Tribunal
des conflits e Conseil dEtat si affidano proprio al concetto, ampio e
indeterminato, eminentemente teleologico, di mission o di affectation per la refondation partielle dellintramontabile notion matresse del regime amministrativo (21)? Appunto, quella rifondazione
che permettesse di perpetuare i caratteri pubblicistici del service.
Tanto piu` larga la missione, tanto piu` ristretta sarebbe stata
lapplicazione delle regole di concorrenza che, sia pur con una certa
fatica e con ben scarsa radicazione nei singoli ordinamenti nazionali,
iniziavano a trovare attenzione e consenso se indirizzate nei confronti del potere privato, delle concentrazioni, dei cartelli, ma di cui
non si avvertiva ancora il possibile conflitto con un interventismo
pubblico anche esteso e bene esercitabile, giusta costituzione, nella
(19) Rispettivamente, LO} WENBERG, Service public und o ffentliche Dienstleistungen
in Europa, cit., p. 127; F. MERUSI, Democrazia e autorita` indipendenti, Milano, Giuffre`,
2000, p. 14.
(20) J. WIELAND, Die Konstituierung des Wirtschaftsverwaltungsrechts durch Europarecht und deutsches Recht, in F. SCHOCH (hrsg.), Das Verwaltungsrecht als Element der
europa ischen Integration, Stuttgart-Mu nchen, Boorberg, 1995, pp. 129-31.
(21) Conseil dEtat, 4 giugno 1954, Affortit et Vingtain; Tribunal des conflits, 28
marzo 1955, Effimieff; Conseil dEtat, 20 aprile 1956, Bertin, nella contestualizzazione di
BURDEAU, Histoire du droit administratif, cit., pp. 441 e ss.

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stessa forma del monopolio legale (22). Ed anche per questo lart.90
passo` quasi inosservato negli scritti degli amministrativisti italiani e
francesi.
La deflagrazione del diritto comunitario nei confronti della
tradizione continentale avverra` dunque molto piu` tardi, a partire
dallAtto Unico Europeo, che nel 1986 iniziera` a mettere in agenda
anche per i servizi la realizzazione di uno spazio senza frontiere
interne (23), cui seguira` il varo delle prime direttive di liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni e poi, sia pur con minor
impeto, nel campo dei servizi postali, trasporti, energia, radio e
televisione. Solo da questo momento in poi, in un clima che stava
profondamente e rapidamente mutando per politiche generali, rivoluzioni tecnologiche, incipienti de-territorializzazioni, e, fatto non
meno importante, consentiva per la prima volta al Consiglio di
procedere a maggioranza qualificata, la matrice soggettiva dello
Stato che lavora, dello Stato che da` forma alleconomia, mai
smentita ed anzi costantemente incrementata nel corso del Novecento, sincamminava mestamente sul viale del tramonto.
I servizi di interesse generale vengono sottratti allambito dei
servizi pubblici, intesi come regime amministrativo speciale; quandanche conservati al settore pubblico, a quella mano pubblica che
aveva afferrato e fatto propri i piu` svariati statuti di attivita`, vengono
sottoposti in linea di principio alle medesime regole del mercato. Il
modello competitivo assurge a norma fondamentale della nuova
costituzione economica. I diritti speciali od esclusivi vengono
rigorosamente delimitati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia
e sottoposti ad un rigido sindacato di proporzionalita`. La missione
cede alla realizzazione del grande mercato interno; le esigenze di
interesse generale non possono piu` incidere sugli scambi o compromettere il buon funzionamento del nuovo spazio economico senza
(22) Interpreta lopinio communis dellepoca, che estende a tutto il campo dei
servizi pubblici leccezione dellart. 90 c. 2 del Trattato di Roma alle regole di
concorrenza, A. PAPPALARDO, Art. 90, in Trattato istitutivo della Comunita` economica
europea. Commentario, diretto da R. QUADRI, R. MONACO, A. TRABUCCHI, vol. II, art.
85-136, Milano, Giuffre`, 1965, pp. 690-95.
(23) Con lart. 13 dellAtto Unico Europeo del 17 febbraio 1986 che fissava le
tappe per ladozione delle misure destinate allinstaurazione progressiva del mercato
interno.

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frontiere. Il bilanciamento, la dichiarazione di sostanziale non belligeranza tra le regole del mercato proprie delleconomia privata e la
missione delleconomia pubblica, affidata al compromesso dellart.
90, vengono accantonate. Con i limiti gia` visti, propri dello specifico
raggio dintervento comunitario, tramonta lo Stato che lavora, si
ritira il vecchio burattinaio; i servizi sono restituiti al mercato; non
nel senso che se ne impone dautorita` la privatizzazione, ma nel
senso che se ne proclama ora la natura schiettamente economica e
dunque la necessaria sottoposizione alle regole di concorrenza. Si
aprono al mercato forniture e prestazioni, si dischiudono persino le
reti infrastrutturali. Dei sofferti rovelli in punto di specialita` non ce`
piu` traccia. Ininfluenti le questioni di riparto; ininfluenti pure le
antiche, difficilissime, distinzioni tra imprese organo, imprese enti
pubblici, imprese ordinarie in partecipazione pubblica, che a posteriori avevano cercato di offrire una sistemazione teorica del disordinato interventismo pubblico (24). Il modello competitivo vi irrompe senza distinzioni, senza alcun riguardo alluna o allaltra
forma, indifferente sia allabisso, per tanto tempo invalicabile, che
aveva separato lo Stato dalla societa` commerciale, sia alla tormentata, ma infine raggiunta, identita` di essenza dellimpresa, fossero
privati o pubblici i soggetti che lesercitano (25). La distinzione tra
impresa pubblica e impresa privata puo` anche sopravvivere, ai fini
dellordinamento nazionale, ma e` priva di rilievo sul piano comunitario. La neutralita` non implica piu` loriginario rispetto per gli
istituti delleconomia mista. Lantica mano pubblica, se ancora
esistente, e` sottoposta senza eccezioni alle regole del mercato.
Monopoli legali e riserve originarie vengono accerchiati: il modello
competitivo avanza, conquista lultimo ridotto. Il servizio non e` piu`
ne istituzione ne regime amministrativo. I servizi per il diritto
comunitario rilevano come mere attivita` economiche. Quel service
public che alla Scuola di Duguit era apparso addirittura in grado di
sostituire la stessa nozione di sovranita` viene privato del suo conte(24) M.S. GIANNINI, Le imprese pubbliche in Italia, in Rivista delle societa`, III
(1958), pp. 227-276.
(25) Cfr. rispettivamente, G. TREVES, Le imprese pubbliche, Torino, Giappichelli,
1950, pp. 12 e ss.; V. OTTAVIANO, Impresa pubblica, in Enc. del dir., vol. XX, Milano,
Giuffre`, 1970, p. 675.

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nuto giuridico pubblicistico. E lo stesso vale anche per la nozione


piu` diafana, ancor piu` oggettivistica, che la progressiva evanescenza
di un regime uniforme, sotto la pressione degli statuti privatistici,
aveva costretto ad accogliere: il servizio, anche in questa accezione
debole, era pur sempre rimasto un re gime juridique destine a`
assurer le plus grand service des membres de la collectivite , mentre,
reciprocamente, il diritto amministrativo continuava a confermarsi il
diritto delle attivita` di servizio pubblico (26). Accolto nella sua
essenza meramente economica, il mondo dei servizi viene ora invece
definitivamente separato dai caratteri e dagli attributi della statualita`. Lestrema attenzione con la quale a livello comunitario si evita
persino di ripetere laggettivazione tradizionale e` rivelatrice. Public,
o ffentlich, pubblico richiamano con troppa forza evocativa un cordone ombelicale che deve essere inesorabilmente tagliato; sono
termini carichi di troppe reminiscenze organizzative e funzionali. I
servizi di interesse generale sono semplicemente servizi economici
che soddisfano i bisogni fondamentali di una determinata comunita`, non troppo diversi da altre attivita` con le quali il mercato cura
e fornisce, con miglior meccanismo, lalimentazione, labbigliamento o lalloggio. Soltanto in talune circostanze, qualora il
mercato non sia sufficientemente incentivato a provvedervi da solo,
la rilevanza generale della prestazione torna a richiedere leventuale
intervento delle autorita` pubbliche (27).
3. Linterpretazione della Commissione; ovvero: la trasfigurazione
della tradizione continentale.
La prima, organica, comunicazione della Commissione in materia di servizi generali prelude come si e` detto allintroduzione nel trattato dellart. 16. Il modello competitivo fa dunque
direttamente i conti con la tradizione sociale europea, deve soppesare il suo impatto rispetto ai valori comuni dellUnione e al ruolo
dei servizi nella promozione della coesione sociale e territoria(26) R. CHAPUS, Le service public et la puissance publique, in Revue du droit public,
LXXXIV(1968), p. 259; p. 256.
(27) Com (2000) 580, cit., n. 14.

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le (28). Si tenta di coniugare insieme dinamismo del mercato,


coesione, e solidarieta` (29): termini che quella tradizione ha ritenuto
a lungo inconciliabili. Anche il minimo comun denominatore comunitario, posto a tutela del modello sociale europeo, sembra dunque
definirsi in modo assai distante dalla tradizione continentale.
Quella tradizione costituisce comunque un lascito pesante che
non puo` essere brutalmente pretermesso dalle politiche di liberalizzazione. Il riconoscimento del suo contributo allidentita` europea
che ci si appresta a segnare, sotto la spinta della Francia, nellart. 16,
lo testimonia. I servizi di interesse generale sono in effetti, come
sostiene la Commissione, al centro del modello europeo di societa` (30). La declinante parabola dello Stato sociale non ha disperso
quella che Forsthoff definiva la Daseinsverantwortung, la responsabilita` del potere pubblico per la soddisfazione delle necessita` elementari, per le prestazioni essenziali alla vita quotidiana della popolazione. Sviluppo tecnologico ed avvento della societa` dellinformazione fanno soltanto apparire come rudimentali ed archeologici quei servizi che catturavano nella prima meta` del Novecento
lattenzione dei giuristi. Lidem sentire che i giuristi continentali
avvertono come proprio, sin dalle pagine di Duguit, non e` comunque oggetto di smentita: i servizi non sono riducibili al loro significato economico; hanno valore simbolico; cementano lappartenenza del cittadino alla comunita`; costituiscono un elemento
dellidentita` culturale per tutti i paesi europei, finanche nei gesti
della vita quotidiana (31), contribuiscono in misura rilevante a
quella identita` europea che non e` soltanto mercantile ed economica,
ma anche il risultato di una variegata e complessa comunita` di
culture. Da questo punto di vista non ci sono differenze apprezzabili
nel nucleo dei paesi a diritto amministrativo. Non e` soltanto la
scuola francese del servizio pubblico a sottolineare il nesso prestazioni-appartenenza. Quel medesimo nesso si carica di elementi
organicistici, quasi vitalistici, nel concetto di Teilhabe, strategica(28)
(443), cit.,
(29)
(30)
(31)

Cos` il testo dellart. 16 TrCE; ne anticipa ampiamente il significato Com 96


nn. 1, 2, 6, 7.
Ibid., n. 32.
Ibid., n. 1.
Ibid., n. 6.

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mente collocato da Forsthoff nel 1939 nella sua raffigurazione


dellamministrazione di prestazione (32) e di poi aggiornato e depurato, nel secondo dopoguerra, dallintera letteratura tedesca che
muoveva dalla clausola dello Stato sociale di diritto fissata nel primo
comma dellart. 20 della costituzione federale. Con una peculiarita`,
pero`, rispetto allitinerario francese. Leistungsverwaltung e Teilhabe
non solo non pretendono di possedere la forza sistematica che il
service ha in Francia, ma stentano persino a divenire istituti di parte
generale. E lo stesso potremmo dire per il concetto kelseniano di
amministrazione diretta, testa di capitolo di una nuova sistematica
giuridica che la Scuola di Vienna mettera` pero` soltanto in cantiere.
Quei concetti offrono un lessico e delle categorie interpretative
indispensabili per la comprensione del volto ancipite dellamministrazione contemporanea, ma non pretendono dingabbiare in costrutti rigorosamente pubblicistici, in istituti del regime amministrativo, forme e moduli dellattivita` prestazionale; non hanno rilevanza
ai fini del riparto.
Manca lindissolubile vincolo francese tra servizio e istituzione
amministrativa; lamministrazione di prestazione non e` programmaticamente confinata al diritto pubblico. Tuttaltro; il Leistungstaat e`
per definizione uno stato multiorganizzativo, aperto agli statuti piu`
diversi, incline ad utilizzare gli strumenti del diritto privato, principale fonte di diffusione di contratti e accordi nelluniverso amministrativo. Proprio per questo, specialmente a cavallo tra gli anni 60 e
70, la letteratura giuridica denuncia il deficit dogmatico che contraddistingue questo volto dellamministrazione e si interroga sulla
possibilita` di estendere a quello che si inizia a definire Verwaltungsprivatrecht il nucleo delle garanzie pensato e realizzato per lamministrazione imperativa (33).
E` vero, la Germania, allombra del principio federale, sviluppa
un sistema fortemente policentrico, che vede collocarsi, sin dal
periodo guglielmino, il nucleo principale delle nuove entita` presta(32) FORSTHOFF, Die Verwaltung als Leistungstra ger, cit., pp. 15 e ss.
(33) Si vedano in particolare, F. OSSENBU} HL, Daseinsvorsorge und Verwaltungsprivatrecht, in Die o ffentliche Verwaltung, 24(1971), pp. 153 e ss.; O. BACHOF, Die Dogmatik
des Verwaltungsrechts vor den Gegenwartsaufgaben der Verwaltung, in VVDStRL, 30,
Berlin, de Gruyter, 1972, pp. 193 e ss.

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zionali a livello municipale e, con la sola eccezione di poste e


ferrovie, un numero assai esiguo di enti nazionali (34). Il peso della
mano pubblica e` meno rilevante rispetto agli equilibri francesi ed
italiani, mentre, sul fronte delleconomia privata, gia` dal 1958 una
compiuta legislazione antitrust sanziona intese restrittive della concorrenza ed abuso di posizione dominante. Nondimeno, anche in
terra tedesca, tra gli anni 50 e 70, sono le crescenti interdipendenze
tra Stato ed economia a cadere sotto la lente di osservazione dei
giuristi. Anche qui, non diversamente da Francia ed Italia, si avvia lo
studio delle istituzioni dellingerenza, della direzione pubblica delleconomia (Wirtschaftslenkung), delle sovvenzioni. Anche qui lo
Stato sociale appare necessariamente uno Stato amministrativo, uno
Stato che lavora precipuamente attraverso la gestione diretta dei
propri apparati. E proprio in questa prospettiva la fortuna del
concetto di Daseinsvorsorge e` rilevante, capillare; offre le coordinate
per comprendere le trasformazioni dello Stato sociale; consente di
mantenere un tenue vincolo teleologico alla crescita delle attivita`
amministrative esercitate nelle forme del diritto privato (35).
Per questo, anche in Germania, privatizzazione dei compiti e
diffusione del modello competitivo comporteranno un arretramento
significativo dello Stato che entra in azione e, parallelamente, un
vigoroso cambio di toni, accenti, prospettive nella relativa letteratura
giuridica. La traslazione concettuale e` identica a quella che abbiamo
visto in Francia e in Italia: ed anche qui il grande burattinaio si ritira
sullo sfondo del campo teorico che lo aveva visto protagonista.
Soltanto il passaggio e` meno brusco; la transizione al modello
competitivo e` aiutata dalla neutralita` generalmente riconosciuta
della costituzione federale in punto di politica economica. Le
variegate posizioni interpretative del passato possono acquietarsi nel
riconoscimento che la relativa apertura del modello di costituzione
economica scelto nel secondo dopoguerra ha il pregio di consentire
(34) Lo mette bene in rilievo, E. FERRARI, La disciplina dei servizi a rete e la
dissoluzione della figura dei servizi pubblici, in I servizi a rete in Europa. Concorrenza tra
gli operatori e garanzia dei cittadini, a cura dello stesso Ferrari, Milano, Cortina, 2000,
p. XVI.
(35) Emblematico, P. BADURA, Die Daseinsvorsorge als Verwaltungszweck der
Leistungsverwaltung und der soziale Rechtsstaat, in Die o ffentliche Verwaltung, 19 (1966),
pp. 624 e ss.

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di rispondere in modo flessibile alle diverse contingenze economiche (36).


La stessa clausola costituzionale dello Stato sociale non richiede
necessariamente uno Stato gestore nella forma di un pesante Stato
amministrativo: richiede, invece, su di un piano piu` generale, di
sviluppare storicamente, pezzo a pezzo, una concordanza pratica
tra economia di mercato e Stato sociale di diritto (37).
Il carattere di mera cornice descrittiva delluniverso prestazionale propria della nozione di Daseinsvorsorge fa il resto: non ci sono
da difendere dalla privatizzazione istituti marcatamente pubblicistici; non ci sono confini di riparto che possono uscirne alterati. La
clausola dello Stato sociale rimane un traguardo inabdicabile dello
Stato costituzionale democratico, ma non e` strettamente vincolata
alle forme dello Stato gestore e puo` tranquillamente conciliarsi con
altre tecniche ed altri strumenti. Fermi gli obiettivi, i mezzi sono
disponibili.
La Germania si trova quindi rapidamente in sintonia con il
programma comunitario; non ha difficolta` a riscoprire sul versante
regolativo quei vincoli teleologici che ha inseguito a lungo nel
secondo dopoguerra, rilegittimando il concetto di Teilhabe, nato
come parte integrante del soffocante afflato comunitario del totalitarismo, nella nuova temperie democratica: e proprio nel segno di
quellappartenenza partecipativa ora puntualmente evocata anche
dalla comunicazione della Commissione. Dimostra di prendere assai
sul serio direttive e comunicazioni comunitarie, al punto da recepire
rapidamente nel proprio testo costituzionale non solo la distinzione
tra titolarita` delle reti e modelli privati di erogazione dei diversi
servizi, ma persino le coordinate fondamentali del servizio universale
cos` come elaborato a livello comunitario (38). In seguito alla recente
novella costituzionale si puo` dunque leggere nel Grundgesetz che il
Bund garantisce nel settore delle poste e telecomunicazioni servizi
(36) R. STOBER, Allgemeines Wirtschaftsverwaltungsrecht. Grundlagen und Prinzipien. Wirtschaftsverfassungsrecht, Stuttgart-Berlin-Ko ln, Kohlhammer, 199811, pp. 67-72.
(37) P. HA} BERLE, Europa ische Verfassungslehre, Baden-Baden, Nomos, 2002, p. 544,
ma si veda tutto il capitolo dedicato alla costituzione economica europea, pp. 535 ss.
(38) J.-C. PIELOW, Il service public e lart. 16 del Trattato CE da un punto di vista
tedesco, in I servizi a rete in Europa, cit., pp. 53 e ss.; G. HERMES, Il servizio universale in
Germania, ibid., pp. 119 e ss.

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adeguati e sufficienti estesi a tutto il territorio (art. 87f Abs. 1) (39).


Lo Stato, anche in Germania, sta dunque abbandonando il piano
della gestione amministrativa; arretra i connotati della pubblicita`
sul versante regolativo; lo Stato che lavora non rinuncia al proprio
compito di garantire un nucleo ramificato e capillare di prestazioni
fondamentali, ma batte nuove strade piu` cooperative con gli operatori economici privati.
La vicenda tedesca e` emblematica per comprendere intensita` e
direzioni della trasfigurazione comunitaria della tradizione continentale dei servizi pubblici. Quella tradizione non e` brutalmente archiviata da un neoliberismo di maniera, non e` soppiantata dun tratto
dalla circolazione di diversi modelli giuridici. Il riconoscimento di
principio nellart. 16, introdotto nel Trattato nel 1997; la garanzia di
accesso ai servizi di interesse economico generale isolata in un capo
dedicato alla Solidarieta` nellart. 36 della Carta dei diritti; la
costituzionalizzazione dei principi del servizio universale nella carta
fondamentale tedesca, dimostrano che proprio perche e` intervenuta
la liberalizzazione i nodi che da sempre stringono i servizi di
pubblica utilita` sono sempre di piu` allordine del giorno.
Lo si puo` leggere nellesperienza giurisprudenziale della Corte
di giustizia ove quella trasfigurazione ha avuto la sua incubazione:
una giurisprudenza che ha avuto lopportunita` di essere elaborata da
un osservatorio tipicamente sovrastatuale e dal quale si possono
seguire in presa diretta lincidenza crescente delle innovazioni tecnologiche e laltrettanto repentino superamento dellapproccio territoriale (40), ma che impatta, giusta lart. 86, tutta la consistenza
europea dello Stato gestore, posta sin dal trattato originario su di un
piano di compatibilita` con il modello competitivo. Certo, laccerchiamento della missione di servizio pubblico si fa sempre piu`
stringente. Basta ripercorrere in sequenza la giurisprudenza comunitaria per rendersene conto: dal povero Paul Corbeau, sottoposto
in Belgio a procedimento penale per aver svolto, con qualche
(39) Si riferisce, invece, alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale, lart. 117 lett. m) della Costituzione, in punto di legislazione esclusiva dello
Stato, come novellato a seguito della riforma del Titolo V.
(40) Com (2000) 580, cit., n. 4.

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servizio aggiuntivo, a Liegi e dintorni, attivita` di raccolta, trasporto


e distribuzione postale in violazione del monopolio della Re gie des
Postes (41), alle svariate decine di milioni di estratti conto trattati
elettronicamente in South Dakota, impostati in Danimarca, distribuiti dalle poste tedesche a soggetti residenti in Germania, che
disegnano linconfondibile cornice globale di non phisical remailing
del caso Deutsche Post (42), sono passati appena sette anni. Nel
frattempo, dunque, il grande burattinaio e` uscito ridicolizzato piu`
che dalla giurisprudenza della Corte, che non ha potuto esimersi da
un occhio di riguardo verso quella specifica missione tutelata ex se
dallart. 86, dalla deterritorializzazione delle attivita` economiche e
dalla scelta dellordinamento e delloperatore piu` concorrenziale. La
specifica missione non e` sottoposta soltanto ad un sindacato
sempre piu` stringente di proporzionalita` tra mezzi utilizzati e scopi
perseguiti alla luce delle possibili perturbazioni degli scambi comunitari (43), sconta come avamposto solidaristico della sovranita` gli
stessi ridimensionamenti di questultima, soffre la permanente rivoluzione tecnologica.
Da parte sua, la Commissione, che per oltre un quindicennio ha
orchestrato la politica di liberalizzazione, e` andata piu` avanti rispetto
a questo sindacato di legittimita` dellantico rispetto al nuovo del
modello competitivo ed ha rivendicato un suo diretto ruolo creativo,
presentando come propria quellidea di servizio universale (44), grazie alla quale bilanciare la piu` completa trasfigurazione del modello
di gestione amministrativa con il proclamato rispetto dei valori
sottesi, da fine Ottocento in poi, alla tradizione continentale.
Renouveau du service public ou nouvelle mystification, ci si
e` subito chiesti, con sospetto e diffidenza, nelle pubblicazioni del
Ciriec-France (45); mentre lo stesso interrogativo iniziava a percor(41) C.G.C.E., sent. Corbeau, 19 maggio 1993, C-320/91, Raccolta, 1993, 2533 e ss.
(42) C.G.C.E., sent. Deutsche Post AG, 10 febbraio 2000, C-147/97 e C-148/97,
Raccolta, 2000, 825 e ss.
(43) C.G.C.E., sent. Comune di Almelo, 27 aprile 1994, C-393/92, Raccolta, 1994,
1477 e ss.
(44) Com (96) 443, cit., n. 27.
(45) M. DEu BENE-O. RAYMUNDIE, Sur le service universel: renouveau du service public
ou nouvelle mystification, in Critique de la raison communautaire: utilite publique et
concurrence dans lUnion Europe enne, a cura di L. CARTELIER, J. FOURNIER, L. MONNIER,

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rere il dibattito italiano, certo piu` aperto, ma giustamente accorto


nel valutare limpatto di una cos` evidente circolazione di istituti
giuridici allinterno di un tronco tanto diverso da quello originario (46). Si e` cos` subito studiata la notevole dipendenza dal modello americano di universal service (47), di cui la declinazione
comunitaria appare fortemente tributaria, nellispirazione garantire dappertutto un servizio di qualita` a prezzi abbordabili per
tutti (48) , nelle tecniche di finanziamento, nelle procedure
regolative rimesse ad autorita` indipendenti. Senza con questo
dimenticare la peculiarita` dellinnesto di un istituto nato oltreatlantico su iniziativa di ATT per realizzare lintegrazione meramente
tecnica di reti telefoniche che la concorrenza, dopo la scadenza del
brevetto Bell nel 1893, aveva costruito come non interconnesse ed
evolutosi come parziale correttivo di monopoli naturali o sistemi
fortemente oligopolistici, ma sempre in mani private, ed utilizzato
invece in terra europea come cavallo di Troia dello Stato gestore
ed allo stesso tempo come garanzia di conservazione dei principi
di un servizio pubblico trasfigurato. Le ambivalenze, lungi dal
ridursi, si intensificano con il crescere della circolazione dei modelli e delle ibridazioni giuridiche. Sara` percio` difficile attendersi
una rapida conclusione delle indagini su analogie e differenze tra
service public e servizio universale, tanto piu` se in futuro dovremo
mettere in conto gli effetti, oggi non prevedibili, della definitiva
costituzionalizzazione a livello europeo della garanzia di accesso ai
servizi di interesse economico generale, gia` anticipata, come si e`
visto, dal Grundgesetz tedesco.
Certo, e` innegabile che la trasfigurazione comunitaria della
Paris, Economica, 1996, pp. 109 e ss. Il Ciriec-France e` la sezione francese del Centre
international de recherches et dinformations sur le conomie publique sociale et coope rative, fondato nel 1947.
(46) Hanno indirizzato il dibattito verso profili piu` marcatamente teorici, M.
CLARICH, Servizio pubblico e servizio universale: evoluzione normativa e profili ricostruttivi,
in Diritto pubblico, IV(1998), pp. 181 e ss.; G. CORSO, I servizi pubblici nel diritto
comunitario, in Rivista quadrimestrale dei pubblici servizi, I(1999), pp. 7 e ss., e con una
peculiare attenzione comparativa, D. SORACE, Servizi pubblici e servizi (economici) di
pubblica utilita`, in Diritto pubblico, V(1999), pp. 371 e ss.
(47) Si segnala, da ultimo, laccurato studio di G.F. CARTEI, Il servizio universale,
Milano, Giuffre`, 2002. Ivi, pp. 65 ss., unampia ricostruzione della vicenda americana.
(48) Com (96) 443, cit., n. 28.

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tradizione continentale molto deve allinnesto sul tronco europeo


tardo ottocentesco di questi modelli regolativi di oltreatlantico. La
liberalizzazione ridimensiona lo Stato gestore, apre al mercato e
parallelamente apre ai correttivi dei fallimenti del mercato, Stato
regolatore in testa. La circolazione dei modelli giuridici, con la
diffusione di nuove regole e nuovi obblighi lungo sentieri poco
conosciuti dalla specialita` continentale, non evoca soltanto le dolci
espressioni che il serioso diritto amministrativo continentale non
conosceva (cherry picking; cream skimming), ma mentre cerca di
confermare nella prestazione fondamentale quel nucleo di principi
chiave che il service portava con se , apre anche squarci su dimensioni
che la persistente prospettiva soggettivistica dello Stato che lavora
aveva tenuto rigorosamente alloscuro, a partire dai rapporti di
utenza (49).
Un pizzico di vero ce` quindi nellaffermazione della Commissione. Il servizio universale e` una tecnica regolativa efficace nel
momento in cui si decida che determinati servizi standardizzati da
fornire alla collettivita` siano realizzati direttamente da operatori
privati attraverso i meccanismi del mercato. Corregge asimmetrie,
garantisce parita` ed universalita` di accesso ad alcune prestazioni
fondamentali; isola esternalita` che devono essere compensate a chi
ha assunto il compito di provvedervi; puo` costituire un importante
veicolo di armonizzazione tra gli ordinamenti dei diversi Stati membri. Con questo siamo pero` pur sempre di fronte ad una semplice
tecnica di regolazione, eventuale e sussidiaria al mercato, da mettere
in funzione soltanto per un pacchetto di prestazioni minime e
soltanto quando il mercato si dimostra incapace di realizzare, con il
solo modello competitivo, la desiderata universalita`.
Si possono forse trarre due, provvisorie, conclusioni: da un lato
il servizio universale e` probabilmente un istituto troppo esile e
troppo settoriale per poggiarvi sopra lintero peso della tradizione.
Non si puo` pensare di gravare soltanto su questo fragile innesto da
oltreatlantico i valori sottesi allesperienza dello Stato gestore cos`
come sedimentatasi in oltre un secolo di capillare presenza sul suolo
europeo. Dallaltra, portata sul piano comunitario, quella tradizione
(49) Recentemente indagati nel bel volume di G. NAPOLITANO, Servizi pubblici e
rapporti di utenza, Padova, Cedam, 2001.

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BERNARDO SORDI

non puo` essere imbalsamata soltanto in un certo modello, amministrativo, di esercizio delle attivita` prestazionali, frutto di contingenze
storiche e di sensibilita` solidaristiche indubbiamente diffuse, che sul
piano giuridico furono pero` distillate secondo tratti troppo dipendenti dallinossidabile architettura a regime amministrativo propria
dellordinamento francese.
Se la tradizione continentale continua a possedere un proprio
tratto unificante lo ha sul piano della costituzione economica, da
intendere non come declinazione storicamente datata di un certo
equilibrio tra economia pubblica ed economia privata o come un
certo grado di funzionalizzazione, ma come ordine giuridico del
mercato coerente con il modello europeo di societa`. Sul piano dei
servizi, questo non significa la necessaria perpetuazione di un determinato modello di esercizio, la gestione amministrativa; significa,
invece, la persistenza di una responsabilita` pubblica che cementi
anche in questo campo il senso dellappartenenza e della coesione
sociale. Come bene ha visto la Commissione, la Daseinsverantwortung del potere pubblico non si e` dissolta. La tradizione continentale
continua ad affidarsi alla mano visibile del diritto piu` che alla
mano invisibile del mercato (50); proclama la non autosufficienza del
mercato; ne circoscrive e delimita gli spazi salvaguardando i valori
fondamentali della persona. Il modello competitivo delleconomia
aperta e in libera concorrenza, essenziale per costruire il mercato al
di la` delle barriere statali, non e` in grado da solo di restituire la
complessita` della costituzione economica europea. Ne e` in grado di
restituire la composita architettura dellUnione europea ed il ruolo
ancora rilevante che vi giocano gli Stati e le singole tradizioni
nazionali, bene espresse in un diritto comunitario in cui le specifiche
missioni ed i relativi diritti speciali ed esclusivi, per quanto soggetti
ad un sindacato di proporzionalita`, continuano ad avere piena
cittadinanza, evocando quel pluralismo e quelle diversita` che sono
alla base della costruzione europea.
La clausola tedesca dello Stato sociale di diritto, nella elastica
flessibilita` e mutevolezza delle tecniche, ma nella fedelta` ad un
ber das
(50) Limmagine e` di E.-J. MESTMA} CKER, Die sichtbare Hand des Rechts. U
Verha ltnis von Rechtsordnung und Wirtschaftssystem, 1978, ed e` stata recentemente
ripresa da HA} BERLE, Europa ische Verfassungslehre, cit., p. 537.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

progetto di guida e di responsabilita` politica delleconomia e della


societa`, e` probabilmente il concetto, fra quelli messi a fuoco nella
stagione storicamente lontana delle costituzioni democratiche del
secondo dopoguerra, che meglio esprime il senso dei valori sottesi
ad una identita` europea mai cos` sofferta e contesa come in questo
campo ed esposta, per di piu`, alle bordate della globalizzazione
economica. Conforta che nel progetto di costituzione europea lo
sviluppo sostenibile non abbia dimenticato la giustizia sociale (51). Pensare pero` di vincolare questo obiettivo ad un certo
modello gestionale non risponde ne ai risultati, variegati e molteplici
di un esame storico comparato, ne al senso profondo della stessa
tradizione continentale.
Stato gestore e Stato regolatore, servizio pubblico e servizio
universale, gestione amministrativa e ordine (regolato) del mercato,
continueranno, quindi, verosimilmente, a coesistere anche in futuro
nellordinamento comunitario e non solo nei servizi sociali, secondo
equilibri di volta in volta variabili, esattamente come variabili lo
sono stati in passato nella storia della tradizione continentale.
Un lontano, ma attualissimo ammonimento di Keynes
Lazione piu` importante dello Stato si riferisce non a quelle attivita`
che gli individui privati esplicano gia`, ma a quelle funzioni che
cadono al di fuori del raggio dazione degli individui, a quelle
decisioni che nessuno compie se non vengono compiute dallo Stato.
La cosa importante per il Governo non e` fare cio` che gli individui
fanno gia`, e farlo un po meglio o un po peggio, ma fare cio` che
presentemente non si fa del tutto (52) puo` aiutare a tenere ferma
la barra del timone. Con la consapevolezza che quellammonimento
non si rivolge piu` allottocentesco, territoriale, Stato che lavora, o
soltanto a questo, ma al reticolo di ordinamenti e di governi che con
meccanismi in grado ora di fissare identita` comuni ora di salvaguardare diversita` nazionali e locali, compongono il composito universo
(51) Cos` lart. 3 n. 2 del Progetto di testo degli articoli del trattato che stabilisce una
costituzione per lEuropa, che la Convenzione europea ha reso pubblico il 6 febbraio
2003.
(52) J.M. KEYNES, The End of laissez-faire, London, 1926, trad. ital. a cura di
Giorgio Lunghini, La fine del laissez-faire e altri scritti economico-politici, Torino, Bollati
Boringhieri, 2002, p. 40.

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comunitario (53). Sembra dunque probabile che per un buon tratto


dovremo ancora convivere con quelle polisemie che puntualmente
raffigurano la complessita` storica dei diversi itinerari nazionali e
larticolato mosaico istituzionale degli attuali ordinamenti.

(53) Sul c.d. multi-level constitutionalism tipico dellUnione Europea come


ordinamento composito, le evocative pagine di S. CASSESE, Che tipo di potere pubblico e`
lUnione Europea, in questo Quaderno.

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LEKTIONEN IN BESCHEIDENHEIT:
STABILITA
} TSPOLITIK IN WESTDEUTSCHLAND 1970-1990

Zweimal ist in der Geschichte Westdeutschlands ein wirtschaftspolitisches Grund- und Groprogramm, um eine Neuorientierung einzula uten, in Gesetzesform gekleidet worden: den U bergang von der Zwangs- zur Marktwirtschaft verko rperte das
Leitsa tzegesetz von 1948 (*) (1), den U bergang von einer Ordnungszur Prozesspolitik oder, unter konzeptionellem Vorzeichen, vom
(*) aaO = am angegebenen Ort; Abs. = Absatz; Art. = Artikel; Aufl. = Auflage;
AWG = Auenwirtschaftsgesetz; AWV = Auenwirtschaftsverordnung; BBankG =
Bundesbankgesetz; begr. = begru ndet; BFH = Sammlung der Entscheidungen des
Bundesfinanzhofs, Bonn, Stollfuss; BGBl I = Bundesgesetzblatt Teil I, hg. Bundesminister der Justiz, Bundesanzeiger Verlagsges.m.b.H.; BGH = Bundesgerichtshof; BGHZ
= Entscheidungen des Bundesgerichtshofs in Zivilsachen, herausgegeben von den
Mitgliedern des Bundesgerichtshofs und der Bundesanwaltschaft, Ko ln u.a., Carl Heymanns Verlag; BIP = Bruttoinlandsprodukt; BVerfG = Bundesverfassungsgericht;
BVerfGE = Entscheidungen des Bundesverfassungsgerichts, herausgegeben von den
Mitgliedern des Bundesverfassungsgerichts, Tu bingen, Mohr; BVerwG = Bundesverwaltungsgericht; BVerwGE = Sammel- und Nachschlagewerk der Rechtsprechung des
Bundesverwaltungsgerichts, begru ndet von Karl Buchholz, Berlin, Carl Heymanns
Verlag; ders. = derselbe; Dez. = Dezember; ebd. = ebenda; EWG = Europa ische
Wirtschaftsgemeinschaft; EWS = Europa isches Wa hrungssystem; FinA = Finanzarchiv;
Fn. = Funote; G = Gesetz; GG = Grundgesetz; GmbH = Gesellschaft mit beschra nkter
Haftung; hg. = herausgegeben; HGrG = Haushaltsgrundsa tzegesetz; Kap. = Kapitel;
Lfg. = Lieferung; NJW = Neue Juristische Wochenschrift; Nov. = November; NVwZ =
Neue Zeitschrift fu r Verwaltungsrecht; RdW I = Die Republik der Wirtschaft Teil I (vgl.
Fn. 5); RGBl = Reichsgesetzblatt; Rn = Randnummer; s.= siehe; S. = Seite; sc. = sculpsit;
StabWG = Gesetz zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft;
StabZG = Stabilita tszuschlaggesetz; SV Socialpolitik = Schriften des Vereins fu r Socialpolitik, Gesellschaft fu r Wirtschafts- und Sozialwissenschaften; u.= und; u.a. = und
andere; vgl. = vergleiche; VO = Verordnung; VVDStRL = Vero ffentlichungen der
Vereinigung der Deutschen Staatsrechtslehrer, Berlin; VWG GVBl = Vereinigtes

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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Ordoliberalismus zum Keynesianismus das Stabilita ts- und


Wachstumsgesetz von 1967 (2). In beiden Fa llen fanden Ziel- und
Systembegriffe der Wirtschaftspolitik und dadurch, mittelbar, der
Wirtschaftswissenschaft Eingang in die Rechtsordnung. Im
Leitsa tzegesetz stand der Wettbewerb (in seiner Bedeutung als
wirtschaftliches Formprinzip) im Vordergrund; daneben wurde
kurz die Kreditpolitik angesprochen, um eine Querverbindung von
der bizonalen Wirtschaftsverwaltung zur trizonalen Bank deutscher
La nder herzustellen. Um vieles massiver trat da das Gesetz von 1967
auf die Bu hne. Begriffe wie gesamtwirtschaftliches Gleichgewicht,
Stabilita t des Preisniveaus, hoher Bescha ftigungsgrad, auenwirtschaftliches Gleichgewicht, stetiges und angemessenes Wirtschaftswachstum sollten sich nun in Rechtsbegriffe verwandeln;
von Wirtschaftspolitik und Finanzpolitik sprach das Gesetz in den
Leitparagraphen (3), von Konjunkturpolitik dem Seinsgrund des
Gesetzes u berhaupt in der dem Konjunkturrat gewidmeten
Vorschrift (4). Einiges hieraus wurde konstitutionell u berho ht, worin sich dann die beiden Gesetze zusa tzlich unterschieden: denn die
Markt- und Wettbewerbsidee des Leitsa tzegesetzes hatte im Grundgesetz von 1949 keinen Widerhall gefunden, dessen Va ter ja, wie wir
andernorts geschildert hatten, noch von organisierten Wirtschaftsvorstellungen gepra gt waren (5). Aber jetzt wurden, und zwar im
Abschnitt u ber das Finanzwesen, die Begriffe des gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts und des wirtschaftlichen Wachstums in Texte des Grundgesetzes eingefu gt (6). Im Abschnitt u ber
Wirtschaftsgebiet, Gesetz- und Verordnungsblatt; ZgS = Zeitschrift fu r die gesamte
Staatswissenschaft; zit. = zitiert.
(1) Gesetz u ber Leitsa tze fu r die Bewirtschaftung und Preispolitik nach der
Geldreform, Gesetz vom 24. Juni 1948, VWG GVBl 1948, 59.
(2) Gesetz zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft vom
8. Juni 1967, BGBl I 582.
(3) 1 und 2 StabWG.
(4) 18 StabWG.
(5) K.W. NO} RR, Die Republik der Wirtschaft Teil I: Von der Besatzungszeit bis zur
Groen Koalition, Tu bingen, Mohr, 1999, 5. Kap. unter 2.
(6) Art. 104a Abs. 4 GG (21. G zur A nderung des GG - FinanzreformG - vom
12. 5. 1969, BGBl I 359); Art. 109 Abs. 2 und Abs. 4 GG (15. G zur A nderung des GG
vom 8. 6. 1967, BGBl I 581); Art. 115 Abs. 1 (20. G zur A nderung des GG vom 12. 5.
1969, BGBl I 357).

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das Finanzwesen: notwendig geworden in Hinblick auf die fu r die


Bundesrepublik kennzeichnende dezentrale Finanzverfassung, und
notwendig geworden, weil fiscal policy als Motor der Konjunkturpolitik in ihrer Konzeption ein zentralistisches Steuerungsmobiliar
voraussetzte. Aber Finanz- und Haushaltspolitik (7) vollzogen sich
hier nicht endemisch, sondern in wirtschaftspolitischen Diensten, so
dass aus verfassungsbegrifflicher Sicht das Thema diskutiert wurde,
ob nicht mit der A nderung der Finanzverfassung die Wirtschaftsverfassungsfrage an das Grundgesetz neu gestellt werden mu sste.
Wie auch immer: fu r die Rechtsordnung und ihre Akteure war von
gro erer Bedeutung das Problem der Handhabung, des Umgangs mit
den neuen Begriffen, ein Problem, dem man sich in zwei Schritten zu
na hern hatte. Der erste Schritt bestand darin, sich u ber die Begriffe
im Lande ihres Ursprungs kundig zu machen, also einen Einblick in
die wirtschaftspolitischen und wirtschaftswissenschaftlichen Zusammenha nge zu gewinnen; der zweite Schritt fu hrte dann zur juristischen
Transformation, zur rechts- und verfassungsstaatlichen Einordnung
Art. 104a Abs. 4 GG lautet im ersten Satz: Der Bund kann den La ndern Finanzhilfen
fu r besonders bedeutsame Investitionen der La nder und Gemeinden (Gemeindeverba nde) gewa hren, die zur Abwehr einer Sto rung des gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts oder zum Ausgleich unterschiedlicher Wirtschaftskraft im Bundesgebiet oder zur
Fo rderung des wirtschaftlichen Wachstums erforderlich sind.
Art. 109 Abs. 2 GG lautet: Bund und La nder haben bei ihrer Haushaltswirtschaft
den Erfordernissen des gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts Rechnung zu tragen.
Art. 109 Abs. 4 GG lautet im ersten Satz: Zur Abwehr einer Sto rung des
gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts ko nnen durch Bundesgesetz, das der Zustimmung des Bundesrates bedarf, Vorschriften u ber 1. Ho chstbetra ge, Bedingungen und
Zeitfolge der Aufnahme von Krediten durch Gebietsko rperschaften und Zweckverba nde und 2. eine Verpflichtung von Bund und La ndern, unverzinsliche Guthaben bei
der Deutschen Bundesbank zu unterhalten (Konjukturausgleichsru cklagen), erlassen
werden.
Art. 115 Abs. 1 GG lautet in den beiden ersten Sa tzen: Die Aufnahme von
bernahme von Bu rgschaften, Garantien oder sonstigen Gewa hrKrediten sowie die U
leistungen, die zu Ausgaben in ku nftigen Rechnungsjahren fu hren ko nnen, bedu rfen
einer der Ho he nach bestimmten oder bestimmbaren Erma chtigung durch Bundesgesetz. Die Einnahmen aus Krediten du rfen die Summe der im Haushaltsplan veranschlagten Ausgaben fu r Investitionen nicht u berschreiten; Ausnahmen sind nur zula ssig zur
Abwehr einer Sto rung des gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts.
(7) Vgl. auch Art. 109 Abs. 3 GG (15. G zur A nderung des GG zit., 20. G zur
A nderung des GG zit.): konjunkturgerechte Haushaltswirtschaft.

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dieser Produkte (Produkte einer inzwischen ja schon fremd gewordenen Welt).


Schon die Kopulation der Begriffe Stabilita t und Wachstum in
der U berschrift des Gesetzes musste Kontroversen auslo sen. Der
Gesetzgeber unterstellte vorsa tzlich-naiv die Koinzidenz oder Parallelita t von Stabilita t (im Sinne eines Minimums an Konjunkturschwankungen) und wirtschaftlichem Wachstum, wa hrend in der
Wissenschaft keine Einigkeit daru ber bestand, ob sich beide Merkmale wenn nicht sogar logisch, so doch zumindest in der Realita t
widerspra chen oder nicht ohne erhebliche Friktionen in Einklang
bringen lieen. Ein Element dieser Friktionen wu rde der Gesichtspunkt der Zeit bilden, da Stabilita ts- als Konjunkturpolitik (Gla ttung von Konjunkturschwankungen, das heit von Zyklen im
Auslastungsgrad des sich ausdehnenden Produktionspotentials in einer gegebenen Volkswirtschaft) kurz- bis mittelfristig, Wachstumspolitik hingegen (Wachstum u blicherweise gemessen an der Zunahme des Bruttoinlandsprodukts) mittel- bis langfristig angelegt
sei. Wandte man sich dann dem beru hmten Polygon in 1 StabWG
zu (8), so erweckten nicht nur die Eckwerte je fu r sich, sondern auch
ihr Verha ltnis zueinander Fragen und Zweifel (9). Fu r das gesamtwirtschaftliche Gleichgewicht in Satz 1 der Vorschrift wurde zur
notwendigen Konkretisierung (10) regelma ig auf die Begriffe in
Satz 2 verwiesen (11), vielfach schloss man aber Verteilungspolitik
als denknotwendig in das Postulat des gesamtwirtschaftlichen
(8) Zur Vorgeschichte des Polygons und des StabWG u berhaupt s. RdW I, 4.
Kap. unter 4 bis 6.
(9) Aus dem Schrifttum sei nur auf den Tagungsband 1974 des Vereins fu r
Socialpolitik hingewiesen: Stabilisierungspolitik in der Marktwirtschaft, hg. von HANS K.
SCHNEIDER u.a. (SVSocialpolitik 85/I u. II), Berlin, Duncker & Humblot, 1975 (mit
Literatur).
(10) Denn es ist hervorzuheben, da es das gesamtwirtschaftliche Gleichgewicht
als operationalen Begriff zur Bezeichnung einer Zielkombination oder einer wirtschaftspolitischen Handlungsanweisung nicht gibt: Wissenschaftlicher Beirat beim Bundesministerium fu r WIRTSCHAFT, Grundfragen der Stabilita tspolitik (Ma rz 1973) B I 1
(= Sammelband der Gutachten, Go ttingen, Schwartz, S. 636).
(11) 1 StabWG lautet: Bund und La nder haben bei ihren wirtschafts- und
finanzpolitischen Manahmen die Erfordernisse des gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts zu beachten. Die Manahmen sind so zu treffen, da sie im Rahmen der
marktwirtschaftlichen Ordnung gleichzeitig zur Stabilita t des Preisniveaus, zu einem

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Gleichgewichts mit ein, wovon das Teilstu ck Eigentumspolitik in


der Konzertierten Aktion des 3 StabWG angesprochen war. Da
nicht zu bestreiten ist, dass alle Komponenten des Polygons und alle
Bindestrich-Politiken u ber die Wirtschaft hinaus weit in den Bereich
der Gesellschaft hinein wirkten und dort sich abbildeten, konnte
Stabilita t zu einem die Spha ren der Politik, der Wirtschaft und der
Gesellschaft umfassenden Begriff ausgedehnt werden. Es lag dann
nicht fern, ihn als begriffliche Bru cke zu nutzen, um die Demokratisierung der Wirtschaft (was immer sie dann bedeutete) zu fordern.
Wenn wir noch bei den einzelnen Zielgro en des Polygons
verweilen, dann stellte sich die des stetigen und angemessenen
Wirtschaftswachstums als besonders fragwu rdig heraus. Zuna chst
teilte sie, da sie am Bruttosozial- oder Bruttoinlandsprodukt gemessen wurde, dessen nicht unerhebliche definitorischen Schwierigkeiten und Angriffsfla chen. Mit a hnlichen Unsicherheiten ist u brigens
die volkswirtschaftliche Gesamtrechnung behaftet, deren sich die
Bundesregierung Jahr fu r Jahr zur Projizierung der wirtschafts- und
finanzpolitischen Ziele gema 2 StabWG zu bedienen hat. Das
wirtschaftliche Wachstum sollte ferner ein stetiges sein; Stetigkeit
im Wachstum ist aber ohne Investitionen nicht zu erreichen, so dass
mit diesem Eckwert eine zu aktivierende staatliche Investitionspolitik ins Spiel kam: die wohl empfindlichste Gefa hrdung marktwirtschaftlicher Effiziens, aber auch wirtschaftsbezogener Privatautonomie, und so, zu Ende gedacht, der marktwirtschaftlichen
Ordnung u berhaupt (12). Dem wirtschaftlichen Wachstum wurde
schlielich Angemessenheit verschrieben, ein Rezept, das wissenschaftlich nicht ausgefu llt werden konnte, so dass es sich der
Beliebigkeit jeweiliger Regierungspolitik ausgesetzt fu hlen musste.
Wenden wir uns schlielich der Relation der einzelnen Eckwerte des Polygons zueinander zu, dann stand sowohl wissenschaftlich als auch politisch das Zusammen- oder Gegenspiel von Preisniveaustabilita t und hohem Bescha ftigungsgrad im Brennpunkt der
hohen Bescha ftigungsgrad und auenwirtschaftlichen Gleichgewicht bei stetigem und
angemessenem Wirtschaftswachstum beitragen.
(12) Zur Investitionslenkung umfassend (und mit allen Nachweisen) P.-Ch. MU} LLER-GRAFF, Unternehmensinvestitionen und Investitionssteuerung im Marktrecht, Tu
bingen, Mohr, 1984.

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Aufmerksamkeit. Wenn je eine wirtschaftswissenschaftliche Kurvengraphik die Politik und die o ffentliche Meinung erreicht hat, dann
war es die sogenannte Phillips-Kurve gewesen, die (u brigens schon
bald in der Wirtschaftswissenschaft selbst umstritten) (13) ein sogenanntes trade-off zwischen den beiden Gro en suggerierte, das heit
eine umgekehrte Proportionalita t und daraus folgend die notwendige Abstimmung entlang der gewu nschten Quoten oder Sa tze. Auf
diesem Hintergrund war der vielzitierte Ausspruch Helmut
Schmidts als Bundesfinanzminister zu verstehen: in Deutschland
seien eher 5% Preisanstieg als 5% Arbeitslosigkeit zu ertragen (14).
Man war der Meinung, aus der Phillips-Kurve gleich einer Speisekarte sich die politisch opportune Relation von Geldwertschwund
und Arbeitslosensatz wa hlen zu ko nnen.
In den Augen der Rechtswissenschaft (15) war schon aus der
Perspektive des Gesetzesbegriffs das Stabilita ts- und Wachstumsgesetz eine ungewo hnliche Erscheinung. Sein Inhalt erwies sich als
heterogen und mehrgestaltig; auf eine einzige Formel war das
Gesetz nicht zu bringen. Es umfasste Elemente aus vier Gesetzeskategorien, es war gleichzeitig Plan-, Organ-, Rahmen- und
Manahmegesetz (16). Immerhin ist es auf ein einheitliches Ziel
gerichtet, das man kurz mit Konjunkturpolitik mittels antizyklischer
Finanzpolitik kennzeichnen kann. In dieser Zielgerichtetheit und in
der angestrebten Vollsta ndigkeit der Regelungen besitzt das Gesetz
kodifikatorische Zu ge, so dass es nicht zu ku hn erscheint, unser
Gesetz als bisher einzige wirtschaftspolitisch motivierte Kodifikation, wenn auch vergleichsweise geringen Umfangs, anzusehen.
(13) Vgl. beispielsweise A. WOLL, Das Phillips-Theorem, in Studien zum Inflationsproblem, hg. von Theodor PU} TZ (SVSocialpolitik 80), Berlin, Duncker & Humblot, 1975,
S. 101.
(14) Helmut Schmidt, Auf dem Fundament des Godesberger Programms, 2. Aufl.,
Bonn, Bad Godesberg, Verlag Neue Gesellschaft, 1974, S. 153.
(15) Zum Schrifttum s. RdW I, 4. Kap. Fn. 59 und 66. FERNER: K.VOGEL/M.
WIEBEL, in Bonner Kommentar, Art. 109 GG, Zweitbearbeitung 1971, hg. von R. DOLZER
u.a., Heidelberg, MU} LLER; HANS HERBERT v. ARNIM, Volkswirtschaftspolitik,
Frankfurt/Main, Metzner, 1974; 6. Aufl.: Neuwied, Luchterhand, 1998, Abschnitt E.
(16) STERN, in Klaus Stern/Paul Mu nch/Karl-Heinrich Hansmeyer, Gesetz zur
Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft, Kommentar, 2. Aufl.,
Stuttgart, Kohlhammer, 1972, S. 68.

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Der wirtschaftspolitischen Motivation entsprachen, wie wir


gesehen haben, bestimmte o konomische Terminologien, die nun
juristisch zu transformieren waren. Dem allgemeinen Verwaltungsrecht entnahm man beispielsweise die Fragestellung, ob Formulierungen wie gesamtwirtschaftliches Gleichgewicht als Ermessensoder als unbestimmte Rechtsbegriffe, letztenfalls mit oder ohne
Beurteilungsspielraum einzustufen wa ren (17). Von einzelnen Gebieten des o ffentlichen Rechts war vor allem das Haushaltsrecht
gefordert (18). Aus der Sicht des Verfassungsrechts konnte der
Gesetzgeber davon ausgehen, dass das Bundesverfassungsgericht
seine Kreise nicht sto ren wu rde. Den klassischen Gesetzesbegriff
hatte das Gericht la ngst verabschiedet. Irgendein Formprinzip der
Wirtschaft erkannte es nicht an; wir hatten gesehen, dass sowohl
die Va ter des Grundgesetzes als auch die Verfassungsrichter, zumindest in der Anfangsphase, das Weimarer Bild einer organisierten Wirtschaft vor Augen hatten (19), daher die staatliche Abstinenz zwar fu r eine Mo glichkeit, nicht jedoch eine Notwendigkeit
hielten. Auch unter dem Aspekt der Grundrechte wurde die
Wirtschaftspolitik der Regierungen von den Richtern weithin toleriert. Freilich betrafen die richterlichen Entscheidungen bisher fast
durchweg Gegensta nde der Strukturpolitik und nicht der Konjunkturpolitik; aber diese Differenzierung war gleich der zwischen Ordnungs- und Ablaufpolitik in unserem Zusammenhang
verfassungsrechtlich irrelevant (20). Dass der Gesetzgeber Gesetze
erlassen du rfte, die ordnend und lenkend in das Wirtschaftsleben
eingreifen, war zur stehenden Formel der Verfassungsrechtsprechung geworden (21). Wirtschaftslenkende Gesetze verfolgen bestimmte Zwecke und richten ihre Manahmen danach; hier
hatte sich der Pru fungsmastab des Gerichts in Hinblick auf die
(17) U berblick u ber den Meinungsstand bei HERMANN H. HOLLMANN, Rechtsstaatliche Kontrolle der Globalsteuerung, Baden-Baden, Nomos, 1980, S. 136.
(18) Aufgrund von Art. 109 Abs. 3 GG (s. oben Fn. 7) ergingen das Haushaltsgrundsa tzegesetz (HGrG) und die Bundeshaushaltsordnung (BHO), beide vom
19.8.1969 (BGBl I 1273 bzw. 1284).
(19) RdW I, 5. Kap. unter 2 und 7.
(20) Fu r Art. 104a Abs. 4 Satz 1 GG unterschied BVerfGE 39. 96 (1975)
konjunktur- und strukturpolitische Ziele.
(21) BVerfGE 4. 7 (1954), 8. 274 (1958). 18. 315 (1965).

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Eignung der Mittel vom schlichten tauglich zum schlechthin


ungeeignet entwickelt (22). Gro te Bedeutung fu r unser Gesetz
kam dem Umstand zu, dass der Grund schon gelegt war fu r eine
grozu gige Anerkennung des legislativen Spielraums in der wirtschaftspolitischen Prognose, der Grund fu r die Immunisierung
praktisch von Irrtu mern in diesem Bereich (23).
Noch in einem weiteren Punkt konnte sich der Gesetzgeber auf
das Bundesverfassungsgericht verlassen. Das StabWG sah in 26
bis 28 Mo glichkeiten fu r steuerliche Manahmen zu konjunkturpolitischen Zwecken vor. Unter dem Aspekt des Steuerbegriffs
handelt es sich um wirtschaftspolitisch und nicht fiskalisch intendierte Besteuerung, das heit die Erzielung von Einku nften (24) ist
nicht Zweck, sondern blo Folge der Steuer. Die wirtschaftspolitisch motivierte Steuer war seit langem Gegenstand wissenschaftlicher Bescha ftigung gewesen, man sprach von o konomisierter Finanzpolitik, von Ordnungsfinanz oder Ordnungssteuer (25).
Das Bundesverfassungsgericht hat nichtfiskalische Intentionen zuna chst einschra nkend als Nebenzwecke einer Steuer akzeptiert,
dann aber die Einschra nkung fallen gelassen und auch die Steuer
mit vorwiegend wirtschaftspolitischer Zweckverfolgung abgeseg-

(22) BVerfGE 16.147 (1963), 17.306 (1964), 19.119 (1965); vgl. den Ru ckblick
des Gerichts in BVerfGE 30.250, 263 (1971).
(23) BVerfGE 16.147 (1963), 18.315 (1965). Zur weiteren Entwicklung der
Rechtsprechung s. etwa R. BREUER im Handbuch des Staatsrechts, hg. von J. Isensee /P.
Kirchhof, Heidelberg, Mu ller, Band VI, 1989, 148 Rn 14ff.
(24) 1 Reichsabgabenordnung vom 13.12.1919 (RGBl 1993) und vom
22.05.1931 (RGBl I 161), in Kraft bis 31.12.1976.
1 Abs. 1 Reichsabgabenordnung lautete im ersten Satz: Steuern sind einmalige
oder laufende Geldleistungen, die nicht eine Gegenleistung fu r eine besondere Leistung
darstellen und von einem o ffentlich-rechtlichen Gemeinwesen zur Erzielung von
Einku nften allen auferlegt werden, bei denen der Tatbestand zutrifft, an den das Gesetz
die Leistungspflicht knu pft.
(25) Na heres hierzu in RdW I, 8. Kap. 1, unter 1. Einen U berblick u ber die
Diskussion nach 1945 gibt etwa H. PAULICK, Die wirtschaftspolitische Lenkungsfunktion
des Steuerrechts und ihre verfassungsma igen Grenzen, in Theorie und Praxis des finanzpolitischen Interventionismus, Festschrift Fritz Neumark, hg. von H. HALLER u.a., Tu bingen, Mohr, 1970, S. 203.

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net (26). Widerstand gegen eine konjunkturpolitisch ausgerichtete


Besteuerung war von dieser Seite nicht mehr zu befu rchten (27).
Unser Gesetz bewegt sich also wirtschafts- und steuerpolitisch
in einem Freiraum, der von Verfassung und Verfassungsrechtsprechung nicht oder kaum tangiert worden ist. (Sto rungen der
grundgesetzlichen Kompetenzenordnung sind hier nicht weiterzuverfolgen) (28). Besta tigt wird diese Feststellung, wenn wir die
verfassungsgerichtliche Judikatur betrachten, die sich mit
konjunkturpolitischen Manahmen im Umkreis des Stabilita tsgesetzes auseinanderzusetzen hatte. Die Instrumente des Gesetzes sind
oft und vielseitig angewandt worden (29); vor das Bundesverfassungsgericht kam nur (auf dem Wege der Verfassungsbeschwerde)
das auf 4 StabWG gestu tzte AbsicherungsG (30), BVerfGE 30.250

(26) BVerfGE 6.55 (1957), 13.181 (1961), 14.76 (1962), die Leitentscheidung
16.147 (1963), 19.119 (1965). Aus dem Schrifttum: KARL HEINRICH FRIAUF, Verfassungsrechtliche Grenzen der Wirtschaftslenkung und Sozialgestaltung durch Steuergesetze,
Tu bingen, Mohr, 1966 (hierzu F. Neumark, FinA 25, 1966, 476); H.H. RUPP, Zur
Problematik o ffentlich-rechtlicher Machtpotenzierung durch Funktionenkombination,
NJW 1968, 569; K. VOGEL, Steuerrecht und Wirtschaftslenkung, Jahrbuch der Fachanwa lte fu r Steuerrecht, Herne, Berlin, Verlag Neue Wirtschaftsbriefe (Steuer und Recht),
1968/69, S. 225; PETER SELMER, Steuerinterventionismus und Verfassungsrecht,
Frankfurt/Main, Athenaeum, 1972; CHRISTIAN PESTALOZZA, Formenmibrauch des Staates,
Mu nchen, Beck, 1973, S. 39; KLAUS TIPKE/H.W. KRUSE, Reichsabgabenordnung, Kommentar, Ko ln-Marienburg, O. Schmidt, Lfg. 21, Dez. 1974, 1 Rn 7; WOLFGANG KNIES,
Steuerzweck und Steuerbegriff: eine dogmengeschichtliche und kompetenzrechtliche Studie,
Mu nchen, Beck, 1976. Weiteres Schrifttum etwa bei KLAUS STERN, Das Staatsrecht der
Bundesrepublik Deutschland, Band II, Mu nchen, Beck, 1980, 46 I 4e; PAUL KIRCHHOF
im Handbuch des Staatsrechts, hg. von J. ISENSEE/P. KIRCHHOF, Heidelberg, Mu ller, Band
IV, 1990, 88 Rn 53.
(27) Der Steuergesetzgeber hat sich spa ter seinerseits der Rechtsprechung angeschlossen, 3 Abs. 1 Abgabenordnung 1977 (vom 16.3.1976, BGBl I 613): die
Erzielung von Einnahmen kann Nebenzweck sein.
ffentlicher Haushalt und Wirtschaft, VVD(28) Hierzu statt aller K. H. FRIAUF, O
StRL 27 (1969) 1. Aus der spa teren Rechtsprechung s. vor allem BVerfGE 55.274
(1980), 67.256 (1984).
(29) U berblicke bei JORG-GU} NTHER GRUNWALD, Erfolgskontrolle finanzpolitischer
Stabilisierungsmanahmen, Berlin, Duncker & Humblot, 1977, S. 349; HERMANN H.
HOLLMANN aaO (oben Fn. 17) S. 349.
(30) G u ber Manahmen zur auenwirtschaftlichen Absicherung gema 4 des
Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft, vom

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(1971) (31). Steuerliche Manahmen hat der Gesetzgeber nur zum


Teil auf das StabWG gestu tzt; vor allem sobald sie nicht ausschlielich konjunkturpolitisch motiviert waren, hielt man eigensta ndige
Gesetze fu r erforderlich. Von ihnen sind dem BVerfG unterbreitet
worden: das KonjunkturzuschlagG (32), BVerfGE 29.402 (1970) (33),
das Erga nzungsabgabeG (34), BVerfGE 32.333 (1972) und das Stabilita tszuschlagG (35), BVerfGE 36.66 (1973) (36). Der Konjunkturzuschlag konnte deshalb nicht an das StabWG anknu pfen, weil dort
eine Ru ckzahlung nicht vorgesehen war; ferner verfolgte das Gesetz
mit der Differenzierung nach Einkommensho he verteilungspolitische Ziele (37). Die verteilungspolitische Beimischung zur Konjunkturpolitik stand auch beim Erga nzungsabgabeG Pate (38). Fu r
das Stabilita tszuschlagG war erheblich, dass nach den Vorstellungen
des Entwurfs die zuna chst stillgelegten Gelder fu r eine breitgestreute Vermo gensbildung eingesetzt werden sollten (39); auf Widerspruch des Bundesrats wurde diese Zweckbestimmung dann
freilich fallengelassen und die Fo rderung der Ziele des 1 StabWG

29.11.1968 (BGBl I 1255). Nicht mehr angewandt gema VO zur Aufhebung der 1
und 2 AbsicherungsG vom 28.10.1969 (BGBl I 2045).
(31) HIERZU M. KLOEPFER, Das Geeignetheitsgebot bei wirtschaftslenkenden Steuergesetzen, NJW 1971, 1585. - Mit demselben Fall hatte sich der Bundesfinanzhof befasst,
BFH 97. 456 (1970).
(32) G u ber die Erhebung eines ru ckzahlbaren Konjunkturzuschlags zur Einkommensteuer und zur Ko rperschaftsteuer vom 23.7.1970 (BGBl I 1125).
(33) Hierzu auch BVerfG NJW 1970, 2208 (Ablehnung einer einstweiligen
Anordnung).
(34) G zur Verwirklichung der mehrja hrigen Finanzplanung des Bundes, I. Teil:
Zweites Steuera nderungs G 1967, Art. 1: G u ber eine Erga nzungsabgabe zur Einkommensteuer und zur Ko rperschaftsteuer, vom 21.12.1967 (BGBl I 1254).
(35) Steuera nderungsG 1973, Art. 4: G u ber die Erhebung eines Zuschlags zur
Einkommensteuer und zur Ko rperschaftsteuer fu r die Kalenderjahre 1973 und 1974,
vom 26.6.1973 (BGBl I 681).
(36) HIERZU E. HEUSS, Der Mibrauch des Rechtes durch die Wirtschaftspolitik, in
Wirtschaftsordnung und Staatsverfassung, Festschrift Franz Bo hm, Tu bingen, Mohr, 1975,
S. 245.
(37) Bundestagsverhandlungen, Drucksache VI/1017 vom 7.7.1970 (Verhandlungen des Deutschen Bundestages, Drucksachen, Berlin, Karl Heymanns Verlag).
(38) Bundestagsverhandlungen, Drucksache V/2087 vom 1.9.1967.
(39) Bundestagsverhandlungen, Drucksache 7/419 vom 28.3.1973, S. 25, 47.

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an ihre Stelle gesetzt (40). In Hinblick auf die Schwankungen der


Konjunktur sollte das AbsicherungsG 1968 der Inflation vorbeugen (41); der Konjunkturzuschlag 1970 und der Stabilita tszuschlag
1973 sollten ebenfalls kontraktiv wirken. In dieses Bild schien sich
auch die Erga nzungsabgabe zu fu gen; doch wurden gleichzeitig
Manahmen expansiver Art (zusa tzliche o ffentliche Investitionen)
zum Ausgleich eingesetzt, wie die Entwurfsbegru ndung betonte (42).
Alle vier Entscheidungen (43) haben in Fortfu hrung der Rechtsprechung den wirtschafts- und steuerpolitischen Spielraum, wie oben
skizziert, des Gesetzgebers hervorgehoben; in BVerfGE 30.250
findet sich die seitdem oft zitierte Wendung, die Verfassungswidrigkeit einer gesetzlichen Manahme aus dem Gesichtspunkt der
objektiven Zweckuntauglichkeit werde nur sehr selten und nur in
ganz besonders gelagerten Fa llen fesgestellt werden ko nnen (44).
Und ob andere Manahmen die Ziele besser erreicht ha tten, habe
das Gericht nicht zu entscheiden (45).
Fu r die Konjunkturpolitik hatte sich so das ho chste Gericht als
berechenbarer Partner erwiesen. U brigens zerbrach es sich damals,
im Gegensatz zum Schrifttum, nicht den Kopf u ber das gesamtwirtschaftliche Gleichgewicht in 1 StabWG oder in den einschla gigen Artikeln des Grundgesetzes (46); nur im Vorbeigehen streifte
es die Wendung (47). Dann aber, viele Jahre spa ter, schrieb das
(40) 9 Abs. 2 StabZG: Die nach Absatz 1 Satz 1 angesammelten Mittel ko nnen
durch Gesetz mit Zustimmung des Bundesrates freigegeben werden. Dies ist nur zur
Fo rderung der Ziele des 1 des Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t und des
Wachstums der Wirtschaft vom 8. Juni 1967 (Bundesgesetzbl. I S. 582), gea ndert durch
das Finanzanpassungsgesetz vom 30. August 1971 (Bundesgesetzbl. I S. 1426), zula ssig;
keines dieser Ziele darf durch die Freigabe beeintra chtigt werden.
Vgl. 15 Abs. 5 Satz 2 StabWG: Die Freigabe ist nur zur Vermeidung einer die
Ziele des 1 gefa hrdenden Abschwa chung der allgemeinen Wirtschaftsta tigkeit zula ssig.
(41) Bundestagsverhandlungen, Drucksache V/3524 vom 21.11.1968.
(42) Drucksache V/2087 aaO S. 8.
(43) BVerfGE 32. 333 erging im Normenkontrollverfahren, den anderen Entscheidungen lagen Verfassungsbeschwerden zugrunde.
(44) Ebd. S. 263.
(45) BVerfGE 29. 402, 410f; 36. 66, 72.
(46) Art. 104a Abs. 4, Art. 109 Abs. 2 und Abs. 4, Art. 115 Abs. 1 GG.
(47) BVerfGE 32. 333, 344. Ebenso BVerfGE 39. 96 (1975); BVerfG, Beschluss

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Gericht hieru ber geradezu eine wissenschaftliche Abhandlung (48).


Den Anlass bot das Haushaltsgesetz 1981 (49) (sic; das Urteil erging
1989) und die Pru fung der Frage, ob es gegen Art. 115 Abs. 1 Satz
2 GG (50) verstiee; das Gesetz hatte die Ausnahme des zweiten
Halbsatzes der Norm in Anspruch genommen. Mit dieser Bestimmung war der Staatsverschuldung im Kielwasser Keynes Tu r und
Tor geo ffnet worden; der Verfassunggeber hatte keine quantitativen, sondern blo qualitative, also gerichtlich nur begrenzt kontrollierbare Schranken gesetzt. Das Gericht gab sich gro te Mu he, die
Ausnahmenorm zu strukturieren und zu prozeduralisieren; im
Ergebnis erwies es sich wiederum als treuer Verbu ndeter in
konjunkturpolitischen No ten. Fu r den Begriff des gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts verwies es grundsa tzlich auf die
vom 15.12.1989, NVwZ 1990, 356. A hnlich das Bundesverwaltungsgericht: BVerwG,
Beschluss vom 10.2.1988, 401. 61 Zweitwohnungsteuer Nr. 3 (die hiergegen eingelegte
Verfassungsbeschwerde hatte das BVerfG im eben zitierten Beschluss nicht zur Entscheidung angenommen); BVerwG NVwZ 1998, 178. Mit 1 StabWG befasste sich
auch BVerwG NVwZ 1995, 168: (...) Die Frage, ob unter dem Gesichtspunkt des
Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft (...) bei einer
sehr hohen Arbeitslosigkeit und damit einem relativ niedrigen Bescha ftigungsstand eine
Manahme wie die Arbeitszeitverla ngerung fu r die Beamten zula ssig ist, die damit
gleichzeitig der Neuschaffung von Stellen und damit einem Abbau der Arbeitslosigkeit
entgegensteht (vgl. 1 StabilG), wu rde sich in dieser Form in einem Revisionsverfahren
nicht stellen. Zwar hat der Beamtengesetzgeber durch gesetzliche Regelungen im
Spannungsfeld zwischen begru ndeten Rechten des einzelnen Bediensteten und den
vorgegebenen o ffentlichen Belangen diesen angemessen und ausgewogen Rechnung zu
tragen (vgl. BVerfGE 55, 207, 242). Die Ausfu hrungen hierzu in dem angefochtenen
Urteil geben diese Abwa gung wieder (Sta rkung der Kapazita t des o ffentlichen Dienstes,
u berproportionaler Anstieg der Personalkosten; Verringerung der Mehrarbeitsvergu tung). Zutreffend weist aber das Berufungsgericht [sc. VGH Mu nchen] darauf hin, da
die Frage, ob mit der Arbeitszeitverla ngerung ein Stellenabbau und Stelleneinsparungen
verbunden seien, die mit Ru cksicht auf die nach dem StabWG zu beachtende
Arbeitsmarktsituation ha tten unterbleiben sollen, eine Frage der politischen Abwa gung
und Entscheidung ist, die der verwaltungsgerichtlichen Kontrolle soweit sie hier
ansteht entzogen ist.
(48) BVerfGE 79. 311 (1989). Hierzu O. Gandenberger, FinA 48 (1990) 28.
(49) G u ber die Feststellung des Bundeshaushaltsplans fu r das Haushaltsjahr
1981 vom 13.7.1981 (BGBl I 630), 2 Abs. 1 (Der Bundesminister der Finanzen wird
erma chtigt, zur Deckung von Ausgaben fu r das Haushaltsjahr 1981 Kredite bis zur
Ho he von 33 775 000 000 Deutsche Mark aufzunehmen.).
(50) Zum Wortlaut des Art. 115 Abs. 1 GG vgl. Fn. 6.

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gesicherten Erkenntnisse der Wirtschaftswissenschaften als zusta ndiger Fachdisziplin (51); es reo konominierte also gewissermaen
den Begriff, obwohl man sich doch sonst so sehr um seine Juridifizierung gesorgt hatte.
Die Entscheidung des Bundesverfassungsgerichts, oder seine
wissenschaftliche Abhandlung, war in einem Zeitpunkt erschienen,
als die dem Stabilita ts- und Wachstumsgesetz zugrunde liegende
Philosophie ihren Ho hepunkt la ngst u berschritten hatte und das
Gesetz selbst fast in Vergessenheit geraten war. Der Keynesianismus
und seine fiskalisch formierte Nachfragepolitik konnten nicht halten, was sie versprochen hatten; ihr Optimismus realisierte sich zum
groen Teil nicht. Die Ursachen fu r das partielle Misslingen
sind oft aufgezeigt, vielfach u brigens vorausgesagt worden. Fu r
manche wirtschaftsliberale Autoren ist der Misserfolg unausweichlich gewesen, weil dem Element der Planung im Keynesianismus
eine irrig-vermessene Anthropologie zugrunde gelegen habe (52). Bei
konomen fu hrte der Misserfolg als Resultat
ihnen und verwandten O
einer Prozesspolitik zur Ru ckbesinnung auf das Erfordernis sorgfa ltig angelegter Ordnungspolitik, wa hrend auf genau entgegengesetzter Seite neue Munition gewonnen wurde fu r die generellen Attacken gegen die Marktwirtschaft, welche Pra gung auch immer sie
angenommen hatte. In la ngeren Perioden deutscher Geschichte
betrachtet, war ein weiteres Mal das Vertrauen, dem man sich doch
so gern hingab, in die wirtschaftliche Steuerungskompetenz des
Staates entta uscht worden, und diese Entta uschung schlug sich in
bedauernden Ursachenanalysen, aber auch manchen Schuldzuweisungen nieder. Natu rlich wurde Ursachenforschung auch von
den Gegnern und wohlwollenden Skeptikern der nachfrage(51) Ebd. S. 338.
(52) ERNST HEUSS, Die Vorstellung von der Machbarkeit der Wirtschaftspolitik, in
Beitra ge zur Wirtschafts- und Gesellschaftspolitik, Festschrift Theodor Pu tz, hg. von E.
DU} RR, Berlin, Duncker & Humblot, 1975, S. 23; E. HOPPMANN, Soziale Marktwirtschaft
oder Konstruktivistischer Interventionismus?, in Soziale Marktwirtschaft im Wandel,
hg.von EGON TUCHTFELDT, Freiburg, Rombach + Co, 1973, S. 27; E. TUCHTFELDT, Soziale
Marktwirtschaft und Globalsteuerung: zwei wirtschaftspolitische Experimente, Wirtschaftspolitische Chronik Heft 1 (1973) 9. - Den anthropologischen Gesichtspunkt fand
man weniger bei Walter Eucken als vielmehr in den Schriften v. Hayeks (s. auch RdW
I, S. 79).

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orientierten Konjunkturpolitik betrieben, lagen nun theoretische


Erwa gungen zugrunde oder wurde die politische Praxis ins Auge
gefasst. Aus dem Ursachenbu ndel, das auf die jeweilige Weise
festgestellt wurde, lassen sich etwa folgende drei Gesichtspunkte
herausscha len (53).
Als konzeptinha rent ko nnen jene Schwa chen bezeichnet
werden, die jeder Planung und besonders ihren kurzfristigen Varianten anhaften. Die der Vorbereitung dienenden Informationen
kommen nicht rasch und nicht vollsta ndig genug; beginnt ihre
Verarbeitung, haben sich die Indikatoren schon wieder gea ndert;
auf einer solchermaen schwankenden Diagnose hat die Prognose
zu folgen, die Entscheidung u ber die Art der Instrumente, ihre
Dosierung, ihren zeitlichen Einsatz, die Abscha tzung der Wirkungen: wie verla sslich kann aber die Abscha tzung ausfallen, wenn man
die Vielfalt der Adressaten der Manahmen ins Auge fasst, die
Adressaten sozusagen disaggregiert; wenn man mit ganz unterschiedlichen Wirkungsimpulsen rechnen muss, wenn das Pha nomen
der Wirkungsverzo gerung einbezogen werden soll (54), wenn Nah(53) Aus dem Schrifttum: Stabilita tspolitik in der Marktwirtschaft (oben Fn. 7);
N. KLOTEN./R. VOLLMER, Stabilita t und Wachstum in der Wirtschaftspolitik, in Die zweite
Republik, hg. von RICHARD LO} WENTHAL/H.-P. SCHWARZ, Stuttgart, Seewald, 1974, S. 703;
N. KLOTEN, Erfolg und Mierfolg der Stabilisierungspolitik, in Wa hrung und Wirtschaft in
Deutschland 1876-1975, hg. von der Deutschen Bundesbank, Frankfurt/Main, Knapp,
1976, S. 643; DERS., Das Stabilisierungsproblem: Konzeption und wirtschaftspolitische
Praxis, in Wa hrungsreform und Soziale Marktwirtschaft, hg. von WOLFRAM FISCHER
(SVSocialpolitik 190), Berlin, Duncker & Humblot, 1989, S. 79; H.-J. SCHMAHL, Prozesspolitik und Wirtschaftsordnung in der Bundesrepublik Deutschland, in Wirtschaft und
Gesellschaft, Festschrift Heinz-Dietrich Ortlieb, hg. von E. ARNDT, Tu bingen, Mohr,
1975, S. 171; Joachim Starbatty, Erfolgskontrolle der Globalsteuerung, Frankfurt/Main,
Knapp, 1976; JO} RG BEYFUSS, 10 Jahre Stabilita tsgesetz, Ko ln, Deutscher Instituts-Verlag
1977; PAUL-HELMUT HUPPERTZ, Gewaltenteilung und antizyklische Finanzpolitik, BadenBaden, Nomos, 1977; OTTO SCHLECHT, Konjunkturpolitik in der Krise, Tu bingen,
Mohr, 1983; KLAUS SCHROEDER, Der Weg in die Stagnation: eine empirische Studie zur
Konjunkturentwicklung und Konjunkturpolitik in der Bundesrepublik 1967-1982, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1984; TH. SARRAZIN, Die Finanzpolitik des Bundes 1970-1982,
in Ka mpfer ohne Pathos, Festschrift Hans Mattho fer, hg. von H. SCHMIDT u. W. HESSELBACH, Bonn, Verlag Neue Gesellschaft, 1985, S. 195; HARALD SCHERF, Entta
uschte
Hoffnungen, vergebene Chancen: die Wirtschaftspolitik der Sozial-Liberalen Koalition,
Go ttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1986.
(54) Diese und andere Zeitverzo gerungen (time-lags) sind in einem Schaubild

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und Fernwirkungen, intendierte und nichtintendierte die befu rchteten Nebenwirkungen ins Spiel kommen; und wenn bei all
dem nicht nur die Handlungen, sondern auch Erwartungen der
Wirtschaftsakteure in Betracht zu ziehen sind, die Mo glichkeit von
Antizipationen, von ausweichendem Verhalten, und was der Dinge
mehr sind? Oft musste man sich da mit Plausibilita ten begnu gen, oft
verschwamm deren Grenze zur bloen Spekulation.
Unter dem Stichwort offene Flanken wurden im wesentlichen drei Schwachstellen der Stabilita tspolitik und ihrer legislativen
Umsetzung aufgezeigt. Zum einen gelang die auenwirtschaftliche
Absicherung nicht nach Wunsch; trotz dem (einer Generalklausel
gleichenden) 4 (55) gab ja das StabWG das Bild einer geschlossenen Volkswirtschaft wieder. Groe Sorge bereitete das Pha nomen
bergang zu flexiblen Wechder importierten Inflation. Durch den U
selkursen im Ma rz 1973, die das Ende des Bretton-Woods-Weltwa hrungssystems bedeuteten, entspannte sich die Lage, ohne dass
aber die auenwirtschaftlichen Sto rungen endgu ltig unterbunden
worden wa ren. Fu r eine gewisse Zeit haben sich die Bundesregierungen des Instrumentariums des Auenwirtschaftsgesetzes
(AWG) (56) bedient. So wurden aufgrund 23 AWG (57) Kapitalanalysiert bei KLAUS MACKSCHEIDT/J. STEINHAUSEN, Finanzpolitik I: Grundfragen fiskalpolitischer Lenkung, 2. Aufl., Tu bingen, Mohr; Du sseldorf, Werner, 1975, S. 68.
(55) 4 StabWG lautet: Bei auenwirtschaftlichen Sto rungen des gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts, deren Abwehr durch binnenwirtschaftliche Manahmen nicht oder nur unter Beeintra chtigung der in 1 genannten Ziele mo glich ist, hat
die Bundesregierung alle Mo glichkeiten der internationalen Koordination zu nutzen.
Soweit dies nicht ausreicht, setzt sie die ihr zur Wahrung des auenwirtschaftlichen
Gleichgewichts zur Verfu gung stehenden wirtschaftspolitischen Mittel ein.
(56) AuenwirtschaftsG vom 28.4.1961 (BGBl I 481).
(57) 23 AWG: (1) Rechtsgescha fte zwischen Gebietsansa ssigen und Gebietsfremden ko nnen beschra nkt werden, wenn sie 1. den entgeltlichen Erwerb von Grundstu cken im Wirtschaftsgebiet und von Rechten an solchen Grundstu cken durch Gebietsfremde, 2. den entgeltlichen Erwerb von Schiffen, die im Schiffsregister eines Gerichts
im Wirtschaftsgebiet eingetragen sind, und von Rechten an solchen Schiffen durch
Gebietsfremde, 3. den entgeltlichen Erwerb von Unternehmen mit Sitz im Wirtschaftsgebiet und Beteiligungen an solchen Unternehmen durch Gebietsfremde, 4. den entgeltlichen Erwerb inla ndischer Wertpapiere durch Gebietsfremde, 5. den entgeltlichen
Erwerb von Wechseln, die ein Gebietsansa ssiger ausgestellt oder angenommen hat,
durch Gebietsfremde, 6. die Aufnahme von Darlehen und sonstigen Krediten sowie die
Inanspruchnahme von Zahlungsfristen durch Gebietsansa ssige oder 7. die Fu hrung und

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verkehrskontrollen (58) und aufgrund des 1971 eingefu gten 6a


AWG (59) die sogenannte Bardepotpflicht (60) eingefu hrt. In diesem
Zusammenhang geho rt auch das bereits erwa hnte nur kurzlebige
AbsicherungsG (61).
Fu r die zweite Unzula nglichkeit mu ssen wir in das Innere
unseres Staatswesens blicken. Wenn zur Steuerung der Konjunktur
die Ausgabenpolitik o ffentlicher Haushalte eingesetzt wird, ist mit
dem dreistufigen Aufbau unseres Gemeinwesens, mit den Ebenen
des Bundes, der La nder und der Gemeinden zu rechnen. Mit diesem
Aufbau sind Autonomien in der Haushaltswirtschaft verbunden.
Vor allem den Gemeinden waren die konjunkturpolitischen Zu gel
anzulegen, wenn man ins Auge fasst, dass der Ausgabenspielraum
fu r die o ffentliche Hand u berhaupt begrenzt ist und Flexibilita t im
wesentlichen nur auf dem Gebiet der Bau- und sonstigen Sachinvestitionen besteht, hieran aber die Gemeinden mit ungefa hr zwei
Verzinsung von Konten Gebietsfremder bei Geldinstituten im Wirtschaftsgebiet zum
Gegenstand haben. (2) Ferner ko nnen beschra nkt werden 1. die Gru ndung von
Unternehmen mit Sitz im Wirtschaftsgebiet durch Gebietsfremde oder unter Beteiligung
von Gebietsfremden an der Gru ndung oder 2. die Ausstattung von Unternehmen,
Zweigniederlassungen und Betriebssta tten im Wirtschaftsgebiet mit Vermo genswerten
(Betriebsmittel und Anlagewerte) durch Gebietsfremde. (3) Beschra nkungen nach
Absatz 1 und 2 sind zula ssig, um einer Beeintra chtigung der Kaufkraft der Deutschen
Mark entgegenzuwirken oder das Gleichgewicht der Zahlungsbilanz sicherzustellen.
(58) Zwanzigste VO zur A nderung der Auenwirtschaftsverordnung (AWV) vom
9. 5. 1971 (BGBl I 441), mehrfach gea ndert, durch 50. A nderungsVO zur AWV vom 3.
8. 1981 (BGBl I 849) aufgehoben.
(59) Eingefu gt durch G zur A nderung des AWG vom 23.12.1971 (BGBl I 2141).
Die Vorschrift wurde spa ter mehrfach gea ndert. 6a Abs. 1 beginnt mit dem Satz:
Wird die Wirksamkeit der Wa hrungs- und Konjunkturpolitik durch Geld- und
Kapitalzuflu sse aus fremden Wirtschaftsgebieten derart beeintra chtigt, da das gesamtwirtschaftliche Gleichgewicht gefa hrdet ist, so kann durch Rechtsverordnung vorgeschrieben werden, da Gebietsansa ssige einen bestimmten Vom-Hundert-Satz der
Verbindlichkeiten aus den von ihnen unmittelbar oder mittelbar bei Gebietsfremden
aufgenommenen Darlehen oder sonstigen Krediten wa hrend eines bestimmten Zeitraums zinslos auf einem Konto bei der Deutschen Bundesbank in Deutscher Mark zu
halten haben (Depotpflicht).
(60) 21. A nderungsVO zur AWV vom 1. 3. 1972 (BGBl I 213), aufgehoben durch
32. A nderungsVO zur AWV vom 12.9.1974 (BGBl I 2324). Aus der Rechtsprechung
BVerwGE 54.11 und 22 (1977), 58.189 (1979), 59.148 (1979); BGH NJW 1977, 2030;
BGHZ 83.190 (1982).
(61) Oben Fn. 30.

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Dritteln beteiligt sind (62). Der Gesetzgeber hat versucht, die Gemeinden an die Hand zu nehmen (63), doch gelang es ihm nicht, in
Phasen kontraktiver Notwendigkeiten ein prozyklisches Ausgabeverhalten der Gemeinden zu verhindern. Hier scheiterte also Stabilita tspolitik am mangelnden Zentralismus: das groe Trauma der
Planer, welcher politischen Richtung sie auch immer sich zugeho rig
fu hlen mo gen.
Die dritte offene Flanke bot die Lohnentwicklung oder, in
zugespitzter Formulierung, die stabilita tspolitische Inpflichtnahme
der Gewerkschaften. Der Gesetzgeber hatte gemeint, mit der Konzertierten Aktion des 3 StabWG (64) eine weise Lo sung gefunden
zu haben (65). Die Resonanz in Politik und Wissenschaft war zu(62) Siehe etwa K. PREGITZER, Die Konjunktursteuerung und das fo derative System
des Grundgesetzes, in Wirtschaftsordnung und Grundgesetz, hg. von WOLFGANG BOHLING,
Stuttgart, Fischer, 1981, S. 71 (mit Schrifttum).
(63) 16 StabWG: (1) Gemeinden und Gemeindeverba nde haben bei ihrer
Haushaltswirtschaft den Zielen des 1 Rechnung zu tragen. (2) Die La nder haben durch
geeignete Manahmen darauf hinzuwirken, da die Haushaltswirtschaft der Gemeinden
und Gemeindeverba nde den konjunkturpolitischen Erfordernissen entspricht.
(64) 3 StabWG: (1) Im Falle der Gefa hrdung eines der Ziele des 1 stellt die
Bundesregierung Orientierungsdaten fu r ein gleichzeitiges aufeinander abgestimmtes
Verhalten (konzertierte Aktion) der Gebietsko rperschaften, Gewerkschaften und Unternehmensverba nde zur Erreichung der Ziele des 1 zur Verfu gung. Diese Orientierungsdaten enthalten insbesondere eine Darstellung der gesamtwirtschaftlichen Zusammenha nge im Hinblick auf die gegebene Situation. (2) Der Bundesminister fu r Wirtschaft
hat die Orientierungsdaten auf Verlangen eines der Beteiligten zu erla utern.
(65) Aus dem Schrifttum: K.H. BIEDENKOPF, Rechtsfragen der konzertierten Aktion, Betriebs-Berater 1968, 1005; J. MOLSBERGER, Zwischenbilanz der Konzertierten
Aktion, Ordo 21 (1970) 167; D. CASSEL, Die Konzertierte Aktion: Instrument einer
rationalen Stabilisierungspolitik?, in 25 Jahre Marktwirtschaft in der Bundesrepublik
Deutschland, hg.von DIETER CASSEL u.a., Stuttgart, Fischer, 1972, S. 251; CH. WATRIN, Die
Demokratisierung der Wirtschaftspolitik in der Bundesrepublik Deutschland, in Demokratie und Mitbestimmung, hg. von ARTHUR F. UTZ/H.B. STREITHOFEN, Stuttgart, Seewald,
1970, S. 124; Konzertierte Aktion: kritische Beitra ge zu einem Experiment, hg. von ERICH
HOPPMANN, Frankfurt/Main, Athenaeum, 1971 (hierzu Ingo Schmidt, Zeitschrift fu r
Wirtschafts- und Sozialwissenschaften 92, 1972, 421); J. KLAUS, Die Konzertierte Aktion
als Instrument der neuen Wirtschaftspolitik, in Neue Wege der Wirtschaftspolitik, hg. von
ERNST DU} RR (SVSocialpolitik 67), Berlin, Duncker & Humblot, 1972, S. 11; B. KU} LP, Der
Einfluss der konzertierten Aktion auf das Verhalten der Tarifpartner, ebd. S. 53; M. KERN,
Wandlungen der Konzertierten Aktion, in Wirtschaftspolitische Chronik Heft 3/1973, S.
49; HEINZ-DIETER HARDES, Einkommenspolitik in der BRD, Stabilita t und Gruppen-

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na chst gro; in der Konzertierten Aktion erblickte man die einkommenspolitische Erga nzung oder gar Grundlegung der Konjunkturpolitik des Gesetzes. Kritik an der neuen Einrichtung lie
freilich auch nicht auf sich warten, eine Kritik, an der sich Juristen
beteiligten: geru gt wurde etwa aus verfassungsstaatlicher Sicht die
Gefahr der Entparlamentarisierung und aus rechtsstaatlicher Sicht
die Ausdu nnung von Klagerechten (66). Aber nicht die juristischen
Bedenken, sondern andere Gru nde waren es, die zum Misserfolg
und schlielich zum Bruch fu hrten (67), und hiervon sind vor allem
zwei zu nennen. Zum einen stellte sich die von Wirtschaftswissenschaftlern vorausgesagte Asymmetrie in der Reaktion der Adressaten konjunkturpolitischer Manahmen ein: im Abschwung mit
expansiven Notwendigkeiten wird Einkommen tendenziell gesta rkt, sodass Zustimmung u berwiegt; im Aufschwung, nun kontraktive Politik anmahnend, nimmt Einkommen eher ab als zu,
weshalb sich Widerstand regt (um die Dinge auf eine einfache
Formel zu bringen). Zweitens erwies sich mit der Zeit der Dissens
in der Frage als unu berbru ckbar, ob die Konzertierte Aktion blo
konjunkturpolitische Aufgaben zu erfu llen oder sich in einem
Selbstfindungsprozess zur Gesellschaftspolitik zu bekennen habe.
Im Ergebnis scheiterte mit der Konzertierten Aktion eines der aus
der deutschen Geschichte vertrauten Konstrukte des staatlich koordinierten Korporatismus. Wenn wir die Zuspitzung zu Anfang
dieses Absatzes wieder aufnehmen, dann handelte es sich in unserem Fall um eine Art kontraktiver Korporatismus, der scheiterte
(scheitern musste).
interessen: der Fall Konzertierte Aktion, Frankfurt/Main, Herder & Herder, 1974; OTTO
A. FRIEDRICH, Lohnpolitik und Konzertierte Aktion: Erfahrungsbericht eines Praktikers
(na mlich als Vertreter der Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverba nde), in
Wirtschaftspolitik - Wissenschaft und politische Aufgabe, Festschrift Karl Schiller, hg. VON
H. KO} RNER, Bern, Stuttgart, Haupt, 1976, S. 329; HELMUT SIEKMANN, Institutionalisierte
Einkommenspolitik in der Bundesrepublik Deutschland, Mu nchen, Vahlen, 1985.
(66) BIEDENKOPF aaO; H.H. RUPP, Konzertierte Aktion und freiheitlich-rechtsstaatliche Demokratie, in Konzertierte Aktion, hg. von E. HOPPMANN aaO, S. 1.
(67) Das erste Gespra ch der Konzertierten Aktion fand im November 1967 statt.
Im Jahr 1977 nahmen die Gewerkschaften den Gang der Unternehmen vor das
Bundesverfassungsgericht zum willkommenen Anlass, aus der Konzertierten Aktion
auszusteigen. Freilich hat man sich auch danach an informellen Tischen zusammengesetzt.

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Die dritte Schwa che, zugleich die offenkundigste, kann man


die tagespolitische nennen. Konjunkturpolitik ist kurzfristig angelegt, sie kann mit anderen kurzfristigen Politiken ins Gehege kommen. Im Bundeskabinett machen sich nicht nur das Wirtschaftsund das Finanzressort bemerkbar. Regiert eine Koalition, sind deren
Partner nicht gleichermaen auf Konjunkturpolitik eingeschworen.
Im Grunde genommen mu sste, soll Konjunkturpolitik effektiv sein
und effektiv bleiben, der Wirtschaftspolitik vor allen anderen Politiken Priorita t eingera umt werden. Aber Wirtschaftspolitik ist vor
und in Wahlen nur begrenzt zu vermitteln. Das gilt natu rlich
besonders in Phasen kontraktiver Notwendigkeiten, wenn also auf
den Wa hler Einschra nkungen zukommen. Und zieht man nicht nur
den Bundestag, sondern auch die Landtagswahlen in Betracht, dann
gibt es in Deutschland nur wenige Zeitphasen, in denen Wahlu berlegungen nicht eine entscheidende Rolle im Handeln oder Unterlassen eingera umt werden wu rde.
Bei einem Ursachenbu ndel derart heterogener Natur (68) wu rde
man in Versuchung geraten, die verschiedenen Beitra ge zum
schlielichen Misserfolg der Konjunkturpolitik und ihres gesetzlichen Instrumentariums abzumessen und ihr Gewicht in diesem
Geschehen zu bestimmen. Hier ko nnten auch die beteiligten Wissenschaften Wirtschaftswissenschaft, Politikwissenschaft, Rechtswissenschaft jeweils zu unterschiedlichen Einscha tzungen kommen. Wie dem immer sei, am Ergebnis war nicht zu ru tteln, dass die
Ernte, die man erhoffte, nicht eingefahren werden konnte, dass die
Entwicklung sogar zu einer (zeitweisen) Stagflation im Sinne
geringen Wachstums, steigender Inflation, zunehmender Arbeitslosigkeit nicht aufzuhalten gewesen war.
Unser Stabilita ts- und Wachstumsgesetz verlor sich in der Erinnerung der Akteure, zumindest was die Eingriffsinstrumente, die
das Gesetz anbot, betrifft. Andere Vorkehrungen haben alle Krisen
u berlebt, freilich in der Gesamtsicht ebenfalls entta uscht. Die mittelfristige Finanzplanung (69) hat ihr Verha ltnis zu den Jahres(68) Hierzu za hlen noch Singularita ten wie die Erdo lkrisen 1973/74 und 1979/80.
(69) 9 StabWG: (1) Der Haushaltswirtschaft des Bundes ist eine fu nfja hrige
Finanzplanung zugrunde zu legen. In ihr sind Umfang und Zusammensetzung der

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haushaltspla nen methodisch verfehlt; nicht richten sich diese nach


ihr, sondern der Fu nfjahres- wird aus den Einjahrespla nen entwickelt und ihnen Jahr fu r Jahr angeglichen. Kein groer Erfolg war
auch der stabilita tspolitischen Ra teverfassung, wie man es nennen
ko nnte, beschieden, also dem Konjunkturrat und dem Finanz-

voraussichtlichen Ausgaben und die Deckungsmo glichkeiten in ihren Wechselbeziehungen zu der mutmalichen Entwicklung des gesamtwirtschaftlichen Leistungsvermo gens
darzustellen, gegebenenfalls durch Alternativrechnungen. (2) Der Finanzplan ist vom
Bundesminister der Finanzen aufzustellen und zu begru nden. Er wird von der Bundesregierung beschlossen und Bundestag und Bundesrat vorgelegt. (3) Der Finanzplan ist
ja hrlich der Entwicklung anzupassen und fortzufu hren.
50 HGrG: (1) Bund und La nder legen ihrer Haushaltswirtschaft je fu r sich eine
fu nfja hrige Finanzplanung zugrunde ( 9 Abs. 1 und 14 des Gesetzes zur Fo rderung
der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft vom 8. Juni 1967 - Bundesgesetzbl. I
S. 582). (2) Das erste Planungsjahr der Finanzplanung ist das laufende Haushaltsjahr. (3)
Der Finanzplan ( 9 Abs. 2 Satz 2 des Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t und des
Wachstums der Wirtschaft) ist den gesetzgebenden Ko rperschaften spa testens im
Zusammenhang mit dem Entwurf des Haushaltsgesetzes fu r das na chste Haushaltsjahr
vorzulegen. Die gesetzgebenden Ko rperschaften ko nnen die Vorlage von Alternativrechnungen verlangen. (4) Im Finanzplan sind die vorgesehenen Investitionsschwerpunkte
zu erla utern und zu begru nden. (5) Den gesetzgebenden Ko rperschaften sind die auf der
Grundlage der Finanzplanung u berarbeiteten mehrja hrigen Investitionsprogramme (
10 des Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft)
vorzulegen. (6) Die Planung nach 11 Satz 1 des Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t
und des Wachstums der Wirtschaft ist fu r Investitionsvorhaben des dritten Planungsjahres in ausreichendem Umfang so vorzubeiten, da mit ihrer Durchfu hrung kurzfristig begonnen werden kann. (7) Die Regierung soll rechtzeitig geeignete Manahmen
treffen, die nach der Finanzplanung erforderlich sind, um eine geordnete Haushaltsentwicklung unter Beru cksichtigung des voraussichtlichen gesamtwirtschaftlichen Leistungsvermo gens in den einzelnen Planungsjahren zu sichern.
Aus dem Schrifttum: H. FISCHER-MENSHAUSEN, Mittelfristige Finanzplanung und
Haushaltsrecht, in Probleme der Haushalts- und Finanzplanung, hg. von HEINZ HALLER
(SVSocialpolitik 52), Berlin, Duncker & Humblot, 1969, S. 56; KURT SCHMIDT/E. WILLE,
Die mehrja hrige Finanzplanung: Wunsch und Wirklichkeit, Tu bingen, Mohr, 1970; K.-H.
HANSMEYER, Die mittelfristige Finanzplanung: ein neues Instrument der Wirtschaftspolitik?, in Neue Wege der Wirtschaftspolitik, hg. von ERNST DU} RR (SVSocialpolitik 67),
Berlin, Duncker & Humblot, 1972, S. 125; E. WILLE, Finanzplanung am Scheideweg:
Resignation oder Neubesinnung?, FinA 35 (1976/77) 66; WOLFGANG GRAF VITZTHUM,
Parlament und Planung, Baden-Baden, Nomos, 1978, S. 164; KLAUS STERN, Das Staatsrecht der Bundesrepublik Deutschland, Band II, Mu nchen, Beck, 1980, 45 IV 4; WERNER
HEUN, Staatshaushalt und Staatsleitung, Baden-Baden, Nomos-Verlags-Gesellschaft,
1989, S. 232.

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planungsrat (70). Reussiert hat offenbar nur der beim Konjunkturrat


gebildete Ausschuss fu r Kreditfragen der o ffentlichen Hand (71).
Alles in allem, und es wurde von niemandem bestritten, hat die
Konjunkturpolitik, ob in Gesetzesform gekleidet oder nicht, die
Ziele, die sie sich gesetzt hatte, nur fu r ku rzeste Zeit, aber eben nicht
auf Dauer erreichen ko nnen. In dieser Lage begann man, sich nach
(70) 18 StabWG: (1) Bei der Bundesregierung wird ein Konjunkturrat fu r die
o ffentliche Hand gebildet. Dem Rat geho ren an: 1. die Bundesminister fu r Wirtschaft
und der Finanzen, 2. je ein Vertreter eines jeden Landes, 3. vier Vertreter der
Gemeinden und der Gemeindeverba nde, die vom Bundesrat auf Vorschlag der kommunalen Spitzenverba nde bestimmt werden. Den Vorsitz im Konjunkturrat fu hrt der
Bundesminister fu r Wirtschaft. (2) Der Konjunkturrat bera t nach einer vom Bundesminister fu r Wirtschaft zu erlassenden Gescha ftsordnung in regelma igen Absta nden: 1.
alle zur Erreichung der Ziele dieses Gesetzes erforderlichen konjunkturpolitischen
Manahmen; 2. die Mo glichkeiten der Deckung des Kreditbedarfs der o ffentlichen
Haushalte. Der Konjunkturrat ist insbesondere vor allen Manahmen nach den 15,
19 und 20 zu ho ren. (3) Die Bundesbank hat das Recht, an den Beratungen des
Konjunkturrates teilzunehmen.
51 HGrG: (1) Bei der Bundesregierung wird ein Finanzplanungsrat gebildet.
Dem Finanzplanungsrat geho ren an: 1. die Bundesminister der Finanzen und fu r
Wirtschaft, 2. die fu r die Finanzen zusta ndigen Minister der La nder, 3. vier Vertreter der
Gemeinden und Gemeindeverba nde, die vom Bundesrat auf Vorschlag der kommunalen Spitzenverba nde bestimmt werden. Die Deutsche Bundesbank kann an den Beratungen des Finanzplanungsrates teilnehmen. (2) Der Finanzplanungsrat gibt Empfehlungen fu r eine Koordinierung der Finanzplanungen des Bundes, der La nder und
der Gemeinden und Gemeindeverba nde. Dabei sollen eine einheitliche Systematik der
Finanzplanungen aufgestellt sowie einheitliche volks- und finanzwirtschaftliche Annahmen fu r die Finanzplanungen und Schwerpunkte fu r eine den gesamtwirtschaftlichen
Erfordernissen entsprechende Erfu llung der o ffentlichen Aufgaben ermittelt werden.
Die vom Konjunkturrat fu r die o ffentliche Hand zur Erreichung der Ziele des Gesetzes
zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft fu r erforderlich
gehaltenen Manahmen sollen beru cksichtigt werden. (3) Die voraussichtlichen Einnahmen und Ausgaben der in 52 genannten Einrichtungen sollen in die Beratungen und
Empfehlungen einbezogen werden, soweit sie nicht schon in den Finanzplanungen des
Bundes, der La nder und der Gemeinden und Gemeindeverba nde enthalten sind. (4)
Den Vorsitz im Finanzplanungsrat fu hrt der Bundesminister der Finanzen. (5) Der
Finanzplanungsrat gibt sich eine Gescha ftsordnung.
Siehe H. MATZERATH, Konjunkturrat und Finanzplanungsrat, Archiv fu r Kommunalwissenschaften 11 (1972) 243; G. JOOSS, Mittelfristige Finanzplanung im Bundesstaat, FinA 40 (1982) 44; O.E. GESKE, Zur Koordinierung der Haushalts- und Finanzplanungen von Bund, La ndern und Gemeinden, Der Staat 22 (1983) 94.
(71) LAUT K.-H. HANSMEYER, Erfahrungen mit dem Stabilita tsgesetz, Wirtschaftsdienst 57 (1977) 610; ebenso JOOS aaO S. 50.

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Heilmitteln umzusehen und neue Rezepte auszustellen. Zwei Wege


wurden hierbei eingeschlagen. Der eine wu rde Stabilita tspolitik, wie
in Gang gesetzt, beibehalten, sie aber von ihren Ma ngeln befreien,
sie also perfektionieren; auf dem anderen Wege wu rde das keynesianische Projekt abgebrochen oder ihm ho chstens ein erga nzender
Aufgabenkreis zugewiesen werden. Zu den Rezepten der ersten
Art (72) geho rte beispielsweise der Vorschlag, Globalsteuerung in
Richtung Strukturpolitik zu differenzieren, also durch Disaggregieren die Zielgenauigkeit der Steuerung zu erho hen (73). Ein solcher
Vorschlag fu hrte jedoch zur Denaturierung der Globalsteuerung,
wollte sie sich ja gerade von Gallikanismen dieser Art scharf
abheben (74). Gro ere Aufmerksamkeit wurde folgenden drei Konzeptionen beziehungsweise Politiken zuteil:
An die Stelle diskretiona r-kasuistischer Spielra ume, wie sie
das StabWG vorsieht, sollen Regelbindungen treten (75), also Vorkehrungen, die dafu r sorgen, dass (kurz gesagt) bei Vorliegen
bestimmter Voraussetzungen die wirtschaftspolitischen Akteure bestimmte Manahmen treffen. Man erhofft sich hierdurch eine Milderung des Problems der Zeitverzo gerungen, eine gro ere Berechenbarkeit wirtschaftspolitischen Handelns und u berhaupt anstelle
hektischen Agierens die Verstetigung der Wirtschaftspolitik. Die
Regelbindung kann im Extremfall Mechanismen auslo sen, so im
(fiktiven) Beispiel der U berschreitung einer bestimmten Inflationsrate, die automatisch zur im voraus fixierten Erho hung der Lohnsteuer fu hrt. Ansonsten werden bei gegebenen Voraussetzungen die
zusta ndigen Instanzen zum regelgerechten Handeln verpflichtet.
Alle Schwa chen diskretiona rer Stabilita tspolitik wu rden durch
(72) Eine Aufza hlung bei OTTO SCHLECHT, Konjunkturpolitik in der Krise,
Tu bingen, Mohr, 1983, S. 17f.
(73) Kritisch hierzu beispielsweise H. SCHLESINGER, Globalsteuerung der Wirtschaft versus sektoral und regional differenzierte Konjunkturpolitik, in Politik und Markt,
Festschrift H.K. Schneider, hg. von DIETER DUWENDAG U.A., Stuttgart, Fischer, 1980, S. 39.
(74) RdW I, S. 76.
(75) Vgl. hierzu das Gutachten des Wissenschaftlichen Beirats beim Bundesministerium fu r Wirtschaft Regelmechanismen und regelgebundenes Verhalten in der
Wirtschaftspolitik vom Dezember 1971 (= Sammelband der Gutachten, Wissenschaftlicher Beirat beim Bundesministerium fu r Wirtschaft, Go ttingen, Schwarz, S. 597). Siehe
auch HANS ULRICH REHHAHN, Die verfassungsrechtliche Problematik konjunkturpolitischer
Regelbindungen, Berlin, Duncker & Humblot, 1981 (mit Schrifttum).

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Regelbindungen freilich nicht vermieden werden; erhalten bliebe


etwa das Informationsproblem (Diagnose, Prognose), erhalten auch
das Problem der Neben- und Fernwirkungen. Regelbildungen erwecken mo glicherweise juristische Zweifel, vor allem aus der Perspektive des Verfassungsrechts, doch sind sie in dieser Hinsicht
nicht auf die judikative Probe gestellt worden. Zu Regelbildungen
ko nnen sich beide der oben angedeuteten Wege bekennen; dann
dienen sie entweder der Perfektionierung der Konjunkturpolitik
oder sie haben eine ganz andere Vorgehensweise im Auge.
Mit der letzten Bemerkung beru hren wir das Thema des
Monetarismus (76). In seiner strengsten Bedeutung kommt er mit
einer einzigen auf die Geldmenge bezogenen Regel aus. Eine Zuru ckhaltung dieser Art setzt allerdings ein fast unbegrenztes Vertrauen in die dem Markt innewohnende, von ihm und nur von ihm
generierte Stabilita t voraus. Wer diesen Optimismus nicht teilt, aber
am monetaristischen Ansatz festhalten will, wird sich u ber das
verbleibende Ma an Wirtschaftspolitik Gedanken machen mu ssen.
Ein geschlossener Meinungsstand hat sich hier nicht gebildet, doch
gibt es einige gemeinsame Nenner wie das Postulat der wirtschaftspolitischen Verstetigung und in diesem Rahmen die Verabschiedung
zyklusorientierter Fiskalpolitik (77). Die wirtschaftspolitische Einbettung des Monetarismus fu hrte auch zu Subsumtionen (mit positivem oder negativem Ausgang) unter die gela ufigen Kategorien der
Ordnungspolitik, Strukturpolitik, und anderem mehr.
Die Affinita t der Angebotspolitik (78), unseres dritten Anti(76) THOMAS MAYER, Die Struktur des Monetarismus, in Die Monetarismus-Kontroverse, hg. von WERNER EHRLICHER/W.-D. BECKER, Berlin, Duncker & Humblot, 1978,
S. 9; W. EHRLICHER, Zur Monetarismus-Diskussion in Kredit und Kapital, ebd. S. 217;
H. JO} RG THIEME, Keynesianismus-Monetarismus: Was bleibt?, in Geldordnung und Geldpolitik in einer freiheitlichen Gesellschaft, hg. von JOACHIM STARBATTY, Tu bingen, Mohr,
1982, S. 18.
(77) Obwohl die Gegenu berstellung Monetarismus-Keynesianismus gang und
ga be ist, erscheint es pra ziser, von einer Monetarismus-Fiskalismus-Kontroverse zu
sprechen.
(78) Aus dem Schrifttum: O. ISSING, Erfolgsbedingungen einer angebotsorientierten
Wirtschaftspolitik, in Perspektiven der deutschen Wirtschaftspolitik, hg. von HORST
SIEBERT, Stuttgart u.a., Kohlhammer, 1983, S. 179; E. TUCHTFELDT, Mikroo konomische
Voraussetzungen trendorientierter Politik, in Die Zukunft der Globalsteuerung, Festschrift
Karl Schiller, hg. von H. KO} RNER, Bern, Stuttgart, Haupt, 1986, S. 177; K.-W. SCHATZ,

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dots, zum Monetarismus la sst sich vor allem dem Verstetigungspostulat entnehmen. Ansonsten kann man aus theoretischer Sicht
nicht daran vorbeikommen, dass der Angebotspolitik im Gegensatz
zum Monetarismus keine handlungsleitende Konzeption zugrunde
liegt. Angebotspolitik (in Anlehnung an supply-side-economics)
dru ckt in der Wortwahl zuna chst nur den Gegensatz zur Keynesianischen Nachfragepolitik aus. Wenn das Wort aber nicht nur einer
Abgrenzung dienen, sondern seinerseits mit Substanz gefu llt werden
soll, dann kann man von kaum mehr als einer Ansammlung wirtschaftspolitischer Teilchen im Dienst der Stabilisierung sprechen.
Im Vordergrund steht die Sta rkung des Produktionspotentials
durch Fo rderung unternehmerischer Investitionen. Dieses Ziel bedingend oder begleitend werden Kataloge aufgestellt mit programmatischen Stu cken wie Deregulierung, Privatisierung, Konsolidierung der o ffentlichen Haushalte, Verringerung der Staatsquote,
Abbau der Subventionen, aber auch Innovationsfo rderung (um nur
dieses Beispiel auf der strukturpolitischen Ausgabenseite der o ffentlichen Haushalte zu bringen). In der Einkommenspolitik wird Zuru ckhaltung empfohlen. Die Geldpolitik soll sich im groen und
ganzen monetaristisch orientieren. Insgesamt also ein gewisser Eklektizismus, ein diffuses Arrangement, nicht untypisch fu r das Handeln im Zeichen einer Realpolitik, die zwar ein Ziel (hier das Ziel
wirtschaftlicher Stabilita t), nicht jedoch konstitutive Prinzipien vor
Augen hat. Anders ausgedru ckt, stellt sich Angebotspolitik als Ausfluss o konomischen Effizienzdenkens, nicht jedoch trotz manchen Beteuerungen als Renaissance ordnungspolitischer Positionen dar (79). Aus juristischer Sicht liee sich ein angebotspolitisches
Gesetzeswerk nach Art des Stabilita ts- und Wachstumsgesetzen nur
schwer vorstellen.
Welche Wirkung ist von den neuen Verschreibungen, von den
Globalsteuerung und Angebotspolitik, in Wirtschaftspolitik zwischen o konomischer und
politischer Rationalita t, Festschrift Herbert Giersch, hg. von M. E. STREIT, Wiesbaden,
Gabler, 1988, S. 187; N. KLOTEN, Das Stabilisierungsproblem: Konzeption und wirtschaftspolitische Praxis, in Wa hrungsreform und Soziale Marktwirtschaft, hg. von WOLFRAM
FISCHER (SVSocialpolitik 190), Berlin, Duncker & Humblot, 1989, S. 99.
(79) Wieder anders gesagt, vertra gt sich Angebotspolitik durchaus mit dem
ordnungspolitisch inzwischen ja kaum mehr subsumierbaren Begriff der Sozialen Marktwirtschaft.

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Alternativen zur keynesianischen Stabilita tspolitik ausgegangen?


Am Schnittpunkt, so kann man sagen, von Wissenschaft und Politik
steht der Sachversta ndigenrat zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung, der, 1963 durch Gesetz geschaffen,
auf neue Ansto e, mit welchem Ergebnis auch immer, sensibel zu
reagieren pflegt (80). In unserem Zusammenhang hat er die Globalsteuerung Schillerscher Pra gung niemals in Bausch und Bogen
abgelehnt, sondern Parallelstrategien entwickelt, die dann nach und
nach das U bergewicht erhielten. Die Weiche wurde im Jahresgutachten 1974 gestellt (81). Entscheidend war eine institutionelle
Differenzierung: jedes wirtschaftspolitische Aktionsfeld die
Geldpolitik, die Finanzpolitik, die Lohnpolitik u bernehme den
auf sie zugeschnittenen Teil der Verantwortung auf mittlere Frist fu r
(80) Zum Schrifttum s. RdW I, S. 72, Fn. 36. Ferner (Abhandlungen von
Mitgliedern des Sachversta ndigenrats:) O. SIEVERT, Die Steuerbarkeit der Konjunktur
durch den Staat, in Staat und Wirtschaft, hg. von CARL CHRISTIAN v. WEIZSA} CKER (SVSocialpolitik 102), Berlin, Duncker & Humblot, 1979, S. 809; DERS., Die angebotsorientierte Wirtschaftspolitik des Sachversta ndigenrates, in Wirtschaftspolitik der achtziger
Jahre, hg. von OTTO VOGEL, Ko ln, Deutscher Instituts-Verlag, 1982, S. 37; DERS.,
Angebotsorientierte versus nachfrageorientierte Wirtschaftspolitik, in Friedman contra
Keynes, hg. von PETER HAMPE, Mu nchen, Olzog, 1984, S. 67; G. FELS, Angebotspolitik aus
unserer Sicht, in Wie es zu schaffen ist: Agenda fu r die deutsche Wirtschaftspolitik, hg. von
HERBERT GIERSCH, Stuttgart, Deutsche Verlags-Anstalt, 1983, S. 34; KURT SCHMIDT, Der
Sachversta ndigenrat zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung: Institution, Messkonzepte und wirtschaftspolitische Leitlinien, Stuttgart, Steiner-Verlag-Wiesbaden-GmbH, 1985; E. HELMSTA} DTER, Die Vorgeschichte des Sachversta ndigenrates und
ihre Lehren, in Grundlagen und Erneuerung der Marktwirtschaft, Festschrift Hans Besters,
hg. von V. NIENHAUS, Baden-Baden, Nomos-Verlags-Gesellschaft, 1988, S. 155; N.
KLOTEN, Das Stabilisierungsproblem aaO (oben Fn. 78); DERS., Maximen deutscher
Wirtschaftspolitik, in Ordnung in Freiheit, Festschrift Hans Willgerodt, hg. von R.H.
HASSE, Stuttgart, Fischer, 1994, S. 118; HANS K. SCHNEIDER, Der Sachversta ndigenrat zur
Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung 1982-1992, in Ordnung in Freiheit
aaO S. 169. (Andere Autoren:) Franz Holzheu mit vielen Beitra gen im Finanzarchiv,
unter anderem zum Gutachten 1974 FinA 33 (1974/75) 475, und anla sslich des 25.
Jahresgutachtens ru ckblickend FinA 47 (1989) 1; H. TIMM, Rezessionsbeka mpfung im
Rahmen der neuen stabilita tspolitischen Konzeption des Sachversta ndigenrats zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung, in Wirtschaftspolitik-Wissenschaft und
politische Aufgabe, Festschrift Karl Schiller, hg. von H. KO} RNER, Bern, Stuttgart, Haupt,
1976, S. 347; WERNER MEINER, Die Lehre der Fu nf Weisen, Ko ln, Bund-Verlag, 1980; W.
KRELLE, 20 Jahre Sachversta ndigenrat: war es der Mu he wert?, ZgS 140 (1984) 332.
(81) Bundestagsverhandlungen, Drucksache 7/2848.

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die Stabilita t des Ganzen (82). Der Vorrang wird der Geldpolitik
eingera umt, hier lie man sich bis zu einem gewissen Grad von
regelgebunden-monetaristischen U berlegungen inspirieren. Der
Bundesbank, formell unabha ngig von Gesetzes wegen, wird vom
Sachversta ndigenrat sozusagen die materielle Unabha ngigkeit verliehen. Stu cke der Angebotspolitik treten ebenfalls im Gutachten
1974 auf, vermehrt im Gutachten des na chsten Jahres (83); ein
Bekenntnis zur Angebotspolitik legten die Sachversta ndigen dann
im Jahresgutachten 1976/77 ab (84), ein weiteres Mal 1981/82 (85).
Die Ministerien verstanden die Botschaft, waren sich aber auch
daru ber im Klaren, dass das Instrumentarium der Globalsteuerung,
wenn auch nicht mehr systematisch, so doch supplementa r nach wie
vor zum Abruf bereit stehen wu rde (86). Die goldene Regel, wie
einmal formuliert wurde (87), des policy mix machte die Runde, die
goldene Regel also der form- und prinzipienlosen Beliebigkeit.
Das begann in der A ra Schmidt und a nderte sich nicht nach der
sogenannten Wende, die ordnungspolitisch keine gewesen ist, in der
A ra Kohl. Wenn man fu r Ordnungspolitik pla dierte, so war es doch
ein ordnungspolitischer Synkretismus, und da ha tten sich Zweifel
erheben mu ssen, ob nicht Begriffsverschiebungen solcher Art das
Ziel eher verdunkelten, das man mit dem Konzept der Ordnungspolitik zu erreichen suchte.
Als irrlicht-irrisierend kann man so die Wirtschaftspolitik bezeichnen, und in a hnlich vielen hell-dunklen Farben spielte sich das
(82) Vom sogenannten assignment ru ckte der Sachversta ndigenrat nur voru bergehend ab, so im Jahresgutachten 1984/85 (Drucksache 10/2541); s. F. Holzheu, FinA
43 (1985) 20.
(83) Drucksache 7/4326.
(84) Drucksache 7/5902.
(85) Drucksache 9/1061. Zum Ru ckblick dort Nr. 300 (S. 143); zweifelnd KARL
SCHILLER, Der Stellenwert staatlicher Konjunktur- und Bescha ftigungspolitik in der Bundesrepublik Deutschland, in Friedman contra Keynes (oben Fn. 80) S. 31.
(86) Nicht alles ist hier aus rechtlicher Sicht geglu ckt; so wurde das InvestitionshilfeG = Art. 8 des Gesetzes zur Wiederbelebung der Wirtschaft und Bescha ftigung und
zur Entlastung des Bundeshaushalts (HaushaltsbegleitG 1983) vom 20.12.1982 (BGBl I
1857) fu r verfassungswidrig erkla rt, BVerfGE 67. 256 (1984). Zur konjunkturpolitischen
Begru ndung des Gesetzes s. Bundestagsverhandlungen, Drucksache 9/2074 und 9/2140
vom Nov. 1982, S. 72.
(87) OTTO SCHLECHT, Konjunkturpolitik in der Krise (oben Fn. 72) S. 35.

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Wirtschaftsgeschehen der 80er Jahre ab (ohne dass im folgenden


Kausalita ten untersucht werden sollen) (88). Die Wachstumsrate des
Bruttoinlandsprodukts (BIP) stieg langsam an, rascher erst am Ende
unseres Jahrzehnts; zwischendurch verminderte sie sich sogar. Erfolg war der Beka mpfung der Inflation beschieden; die Rate ging
von 6% im Jahr 1981 auf 1% 1988 zuru ck (erho hte sich aber wieder
bel der Arbeitslosigkeit
1989 um 1 1/2 Prozentpunkte). Das U
konnte hingegen nicht u berwunden werden, die Zahl der Arbeitslosen bewegte sich um und u ber 2 Millionen, die Quote blieb
zwischen 7 und 9% stecken. Gu nstiger war wieder der Ausweis der
Leistungsbilanz, die in der zweiten Ha lfte der 80er Jahre auf 4% des
BIP stieg. Die Staatsquote (im weiteren Sinn) hinwiederum sank nur
ma ig von knapp 50% im Jahr 1982 auf etwa 46% 1989. Der
Konsolidierung der o ffentlichen Haushalte hatte sich die Politik der
Wende besonders zugewandt. In der Tat verminderte sich der
Betrag der Neuverschuldung (Nettokreditaufnahme) nicht unerheblich, doch auch hier waren mit den Jahren 1987 und 1988 Ausreier zu registrieren (89). Die Staatsverschuldung insgesamt ging
nicht zuru ck. Subventionen wurden eher aus- als abgebaut. Trotz
der 1985 in die Wege geleiteten groen Steuerreform, die in drei
Stufen 1986, 1988 und 1990 durchgefu hrt wurde, bewegte sich die
Steuerquote konstant im Kommabereich hinter der Zahl von 23 %.
Erfolg war, wie erwa hnt, vor allem der Stabilisierung des Geldwerts beschieden. In dieser Tatsache spiegelt sich die gewachsene
(88) Aus dem Schrifttum: W. NO} LLING, Zur Wirtschaftspolitik in der Bundesrepublik Deutschland seit 1982, in Die Zukunft der Globalsteuerung, Festschrift Karl Schiller,
hg. von H. KO} RNER, Bern, Stuttgart, Haupt, 1986, S. 45; HERBERT GIERSCH/K.-H. PAQUEu /
H. SCHMIEDING, The Fading Miracle, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, S.
185; BERNHARD MOLITOR, Ist Marktwirtschaft noch gefragt? Eine ordnungspolitische Bilanz
der Jahre 1982 bis 1992, Tu bingen, Mohr, 1993; W. EHRLICHER, Deutsche Finanzpolitik
seit 1945, Vierteljahrsschrift fu r Sozial- und Wirtschaftsgeschichte 81 (1994) 1; I.v.
HOMEYER, Die A ra Kohl im Spiegel der Statistik, in Bilanz der A ra Kohl, Festschrift fu r
Hans-Hermann Hartwich, hg. von GO} TTRIK WEWER, Opladen, Leske & Budrich, 1998,
S. 333.
(89) Bei genauerem Hinsehen wa re zwischen quantitativer und qualitativer Konsolidierung zu unterscheiden (mit Ergebnis zuungunsten der Sachinvestitionen). Eine
andere Differenzierung wu rde mit dem Sachversta ndigenrat die Staatsverschuldung in
Normalverschuldung, in konjunkturbedingtes und in strukturelles Defizit untergliedern.

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Bedeutung der Bundesbank (90) unter den wirtschaftspolitischen


Akteuren wider (91). Man kann hier zwei Impulse in Hinblick auf
das Handeln der Bank unterscheiden: einmal erweiterte sich ihr
Handlungsraum betra chtlich, und zweitens gewann sie an Sicherheit
in der Bestimmung ihres Handlungsziels.
Mit Handlungsraum ist die Enge oder Weite der Grenzen
umschrieben, die der Bundesbank durch die auenwirtschaftlichen
Verha ltnisse und hier vor allem durch das Wa hrungsregime gesetzt
sind. Unter dem Bretton-Woods-System mit festen Wechselkursen
war die Bundesbank zur Intervention am Devisenmarkt gegenu ber
dem Dollar verpflichtet, so dass restriktive Manahmen der Geldpolitik weithin ohne Wirkung verpufften. Von dieser Fessel konnte
(90) Zum Schrifttum s. RdW I, 7. Kap., Fn. 85, 111, 117. FERNER: Macht und
Ohnmacht der Bundesbank, hg. von DIETER DUWENDAG, FRANKFURT/MAIN, Athenaeum,
1973; D. DICKERTMANN, Die Autonomie der Bundesbank unter dem Einflu geldpolitischer
Entwicklungen, Wirtschaftspolitische Chronik 24/1 (1975) 23; H. SCHLESINGER, Die
Geldpolitik der Deutschen Bundesbank 1967-1977, Kredit und Kapital 11 (1978) 3;
HELMUT BOOMS, Geldtheoretische und -politische Konzepte der Deutschen Bundesbank:
Ermittlung und Kritik, Bochum, Studienverlag Brockmeyer, 1980; Geld- und Wa hrungspolitik in der Bundesrepubik Deutschland, hg. von WERNER EHRLICHER/D.B. SIMMERT,
Berlin, Duncker & Humblot, 1982; Geld- und Wa hrungsordnung, hg. von WERNER
EHRLICHER/R. RICHTER (SVSocialpolitik 138), Berlin, Duncker & Humblot, 1983; O.
EMMINGER, Deutsche Geldpolitik im Zeichen des Monetarismus, in Friedman contra
Keynes, hg. von PETER HAMPE, Mu nchen, Olzog, 1984, S. 43; Wandlungen des geldpolitischen Instrumentariums der Deutschen Bundesbank, hg. von WERNER
EHRLICHER/D.B. SIMMERT, Berlin, Duncker & Humblot, 1988; N. KLOTEN, Zur Anatomie
geldpolitischer Entscheidungen des Zentralbankrates, in Weltwirtschaft im Wandel, Festschrift Egon Tuchtfeldt, hg. von ERNST DU} RR, Bern, Stuttgart, Haupt, 1988, S. 401; REINER
ffentliches Wirtschaftsrecht, Allgemeiner Teil, Berlin, Heidelberg, Springer,
SCHMIDT, O
1990, 8; Geldpolitik: zwanzig Jahre Geldmengensteuerung in Deutschland, hg.von
JU} RGEN SIEBKE/H.J. THIEME, Baden-Baden, Nomos, 1995; MANFRED J.M. NEUMANN, C.-L.
HOLTFRERICH, J.V. HAGEN, E. BALTENSPERGER, in Fu nfzig Jahre Deutsche Mark, hg. von der
Deutschen Bundesbank, Mu nchen, Beck, 1998; RUDOLF RICHTER, Deutsche Geldpolitik
1948-1998 im Spiegel der zeitgeno ssischen wissenschaftlichen Diskussion, Tu bingen,
Mohr, 1999.
(91) Zur rechtlichen Stellung der Bundesbank unter dem Aspekt der Staatsorganisation s. RdW I, 7. Kap., besonders unter 6. Die Diskussion um die Frage einer
verfassungsrechtlich gesicherten Unabha ngigkeit der Bundesbank erhielt durch ein
obiter dictum des Bundesverfassungsgerichts neue Nahrung, BVerfGE 62. 169, 183
(1982): das Gericht sprach von der verfassungsrechtlichen unabha ngigen Stellung der
Bundesbank. Konsequenzen haben sich hieraus aber nicht ergeben.

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sich die Bank erst mit dem endgu ltigen Zusammenbruch des Bretton-Woods-Regimes im Ma rz 1973 lo sen. An die Stelle rigider
Parita ten traten flexible Wechselkurse. Freilich nicht im vollen
Umfang: die Vorboten der europa ischen Wa hrungsunion ku ndigten
sich an. Im Fru hjahr 1972 wurde der Europa ische Wechselkursverbund, die sogenannte Wa hrungsschlange gegru ndet, die in wechselnder Zusammensetzung aus Staaten inner- und auerhalb der
EWG bestand, deren Wa hrungen nun unter Verwendung gewisser
Bandbreiten aufeinander abgestimmt wurden. Nach dem Ende des
Bretton-Woods-Systems setzten diese Staaten die Wechselkurspolitik mittels des sogenannten Blockfloatens gegenu ber dem Dollar
fort. Innerhalb des Blocks blieb die Bundesbank zur Intervention
verpflichtet. Ihre Bewegungsfreiheit schien sich durch die Errichtung des Europa ischen Wa hrungssystems (EWS) im Jahr 1979 noch
weiter zu verringern (92). Aber die Sorge um den Handlungsraum
der Bundesbank erwies sich schlielich als unbegru ndet: Die Interventionen am Devisenmarkt, ob nun die Bank hierzu verpflichtet
war oder sie aus eigenem Antrieb, das heit politisch handelte,
gelangten nie in die Gefahrenzone des Bretton-Woods-Systems; die
Beteiligten des EWS waren flexibel genug, die Leitkurse wenn
erforderlich neu festzusetzen (sogenanntes Realignment); das Instrumentarium der Beistandskredite, im EWS gegenu ber der
Wa hrungsschlange nicht unwesentlich erweitert, wurde in der Praxis weniger als erwartet in Anspruch genommen; und nicht zuletzt
ist es die zunehmend dominierende Stellung der Deutschen Mark im
EWS gewesen, welche der Bundesbank einen ausreichenden Spielraum, nun auch schon einen Spielraum europa ischer Dimension
gewa hrte (93).
Bretton Woods, Wa hrungsschlange, EWS: Wechselkurspolitik
stellte traditionellerweise ein Stu ck Auenpolitik dar, so dass in
Fragen der Wa hrung zu denen auch Auf- und Abwertungen
(92) Das European Currency Unit wurde eingefu hrt und von manchen schon als
ku nftige europa ische Geldbezeichnung Ecu mit franzo sischer Aussprache propagiert.
(93) In der gleichsam europa ischen Position der Bundesbank gru ndete das Intermezzo des Deutsch-franzo sischen Finanz- und Wirtschaftsrat von 1988, einer Einrichtung, die die deutsche Notenbank an die Leine ha tte nehmen sollen. Jedoch stellten sich
auch in diesem Fall die Befu rchtungen als unbegru ndet heraus, der Rat hat die ihm
zugedachte Rolle nicht gespielt (s. Manfred J.M. Neumann aaO [Fn. 90] S. 332).

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geho ren die Zusta ndigkeit der Regierung und nicht der Notenbank gegeben war. Konsultationen fanden natu rlich statt, nicht
immer zog man freilich am gleichen Strang. In diesem Zusammen ffentlichkeit erregt, als
hang hatte eine Kollision Aufsehen in der O
sich zwar nicht die Regierung als Ganze (unter Kanzler Brandt),
wohl aber der sachna chste Minister Schiller und der Bundesbankpra sident Klasen (beide SPD) gegenu ber standen: Weil in der
Wa hrungskrise des Sommers 1972 Schiller gegen, Klasen jedoch fu r
Kapitalverkehrskontrollen (94) pla dierte und dieser es war, dem das
Kabinett folgte, sah sich Schiller veranlasst, von seinem Amt zuru ckzutreten (95).
Wenn wir, den zweiten Impuls aufnehmend, vom Handlungsziel sprechen, dann wenden wir uns jenen Entwicklungen zu, in
denen man gewissermaen einen Selbstfindungsprozess der Bundesbank erblicken kann. In den ersten Jahren unserer Periode hat sich
die Bank, trotz manchen Forderungen aus Politik und Wissenschaft,
zwar niemals formell auf das magische Polygon festlegen lassen, hat
sie also konzeptionell jeder Gleichschaltung widerstanden (96), in
der Sache selbst entzog sie sich jedoch nicht immer den Wu nschen
einer nachfrageorientierter Konjunkturpolitik, den Wu nschen nach
dem billigen Gelde. Es war ein heikles Lavieren zwischen den Polen
des Unterstu tzens und des Opponierens der von der Regierung
verfolgten Fiskalpolitik. Technisch betrieb die Bundesbank in erster
Linie Kreditpolitik, steuerte also Kreditangebot und -nachfrage;
eingesetzt wurden die Instrumente der Liquidita tspolitik (Mindestreserve, Rediskontkontingent) und der Zinspolitik (Diskont- und
Lombardsatz). Weil jedoch hohe Inflationsraten das Ziel der Wa h(94) Siehe oben zu Fn. 58.
(95) RU} DIGER ROBERT, Die Unabha ngigkeit der Bundesbank, Kronberg/Taunus,
Athenaeum, 1978, S. 22; W. JA} GER, in Geschichte der Bundesrepublik Deutschland, hg.
von KARL D. BRACHER U.A., 5/I, Republik im Wandel 1969-1974: die A ra Brandt, Stuttgart,
Deutsche Verlags-Anstalt, Mannheim, Brockhaus, 1986, S. 51.
(96) Normativ angeknu pft, so die Forderungen, ha tte die Gleichschaltung an 12
Satz 1 BBankG (Gesetz u ber die Deutsche Bundesbank, vom 26.07. 1957, BGBl I 745:
Die Deutsche Bundesbank ist verpflichtet... die allgemeine Wirtschaftspolitik der
Bundesregierung zu unterstu tzen) und an 13 Abs. 3 StabWG (Die bundesunmittelbaren Ko rperschaften, Anstalten und Stiftungen des o ffentlichen Rechts sollen
im Rahmen der ihnen obliegenden Aufgaben die Ziele des 1 beru cksichtigen).

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rungssicherung (97) im Sinne der Erhaltung der Geldwertstabilita t


verfehlen lieen, begann die Suche nach konzeptionellen und technischen Alternativen. In einem stufenweisen Prozess trat neben die
kreditpolitische Methode oder an ihre Stelle die Orientierung an
einem Geldmengenziel. Zum ersten Mal wurde fu r das Jahr 1975
eine Zunahme der sogenannten Zentralbankgeldmenge um 8 %
angeku ndigt (98). Vier Jahre spa ter ging man zur Mengenvorgabe
mit Bandbreiten zwischen 2 und 3% u ber. Die Geldmenge setzte
sich aus dem Bargeldumlauf und dem Mindestreservesoll fu r verschiedene Einlagen bei Banken zusammen (99). Fu r die Prognose
wurde eine Formel aus bestimmten Komponenten gebildet, na mlich
dem Wachstum des Produktionspotentials, der Vera nderung der
Geldumlaufgeschwindigkeit und einer unvermeidlichen Inflationsrate. Im technischen Instrumentarium verschoben sich die Akzente, vor allem in den 80er Jahren, auf die Offenmarktpolitik mit
ihren verschiedenen Mo glichkeiten.
Versucht man das Handlungsziel seit der Mitte der 70er Jahre
konzeptionell einzuordnen, so kann man von einer submonetaristischen Richtung der Geldpolitik der Bundesbank sprechen. Monetaristisch war der Gedanke der Verstetigung und Vorhersehbarkeit, monetaristisch die Orientierung an der Geldmenge (100), ferner
die Favorisierung der Offenmarktpolitik. Auf der anderen Seite
behielt man sich die Freiheit zum kurzfristigen Reagieren, zum
antizyklischen Handeln vor, und verzichtete nicht auf die Dirigis(97) 3 BBankG: Die Deutsche Bundesbank regelt mit Hilfe der wa hrungspolitischen Befugnisse, die ihr nach diesem Gesetz zustehen, den Geldumlauf und die
Kreditversorgung der Wirtschaft mit dem Ziel, die Wa hrung zu sichern, und sorgt fu r
die bankma ige Abwicklung des Zahlungsverkehrs im Inland und mit dem Ausland.
(98) Die Deutsche Bundesbank wird die Geldpolitik so fu hren, da die Preissteigerungsrate schrittweise abgebaut und gleichzeitig dem angestrebten realen Wachstum der Wirtschaft der notwendige moneta re Spielraum eingera umt wird (...) Aus
heutiger Sicht ko nnte ein Wachstum der Zentralbankgeldmenge im Jahresverlauf 1975
um etwa 8% als stabilita tspolitisch vertretbar erscheinen, wobei indessen beachtet
werden mu, da kurzfristig kein enger Zusammenhang zwischen der Entwicklung des
Sozialprodukts und der Zentralbankgeldmenge besteht abgedruckt bei Dickertmann
aaO (oben Fn. 90) S. 40, Fn. 49.
(99) 1988 trat an ihre Stelle die Geldmenge M 3, woraus sich Gewichtsverschiebungen unter den einzelnen Komponenten ergaben.
konomen sprechen hier vom Zwischenziel.
(100) O

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men der Mindestreserven- und Refinanzierungspolitik. So blieb


auch diese Richtung von den Hypotheken nicht verschont, die auf
jedem prozesspolitischen Vorgehen lasten, etwa vom Problem der
zeitlichen und quantitativen Wirkungsentta uschungen. Trotz solchen Schwa chen und trotz dem deutlichen Verfehlen des Geldmengenziels in manchen Jahren war jedoch der realistische oder
pragmatische Monetarismus der Bundesbank, wie eine der Charakterisierungen lautete (101), vom Erfolg begleitet, einem Erfolg,
der nicht zuletzt in einer scha rferen Orientierung an der geldpolitischen Aufgabe und im gewachsenen methodischen Selbstvertrauen begru ndet war.
Da sich die Bundesbank im Sinn juristischer Grundkategorien
o ffentlichrechtlich beta tigt (102), muss ihr Instrumentarium auf einer
gesetzlichen Grundlage beruhen. Soll dann Geldpolitik mit gea nderten Instrumenten betrieben werden, so ist erst das Gesetz, hier
also das BBankG, zu novellieren. In diesem Zusammenhang ha tte
sich beinahe die Bank, wie man so sagt, selbst ein Bein gestellt. Als
sie in den No ten der Inflation zu Anfang der 70er Jahre einen
Ausweg nur noch in der Erweiterung ihres Instrumentariums zu
sehen glaubte, schlug sie der Bundesregierung unter anderem die
Einfu hrung der sogenannten Aktivzuwachsreserve und die Ermo glichung einer Kreditplafondierung vor (103). Der Vorschlag (vom
(101) O. Emminger (Bundesbankpra sident 1977-79) fasste die Kennzeichen folgendermaen zusammen: Geldmengenziel als Zwischenziel, nicht als verabsolutiertes
Endziel, Beachtung der Rollenverteilung zwischen Geldpolitik, Fiskalpolitik, Tarifpartnern, mit der Notwendigkeit einer gleichgerichteten und sich erga nzenden Politik.
Geldpolitik ist nicht prima r Zinspolitik, aber der Zins ist ein wichtiges Instrument der
Geldmengensteuerung. Die Geldpolitik darf sich nicht in kurzfristiger antizyklischer
Politik verlieren. Sie mu aber das ganze Spektrum der Wirtschaft im Auge behalten,
auch Zahlungsbilanz und Wechselkurs, aaO (oben Fn. 90) S. 64.
(102) HIERZU DIETER COBURGER, Die wa hrungspolitischen Befugnisse der Deutschen
Bundesbank: verwaltungsrechtliche Qualifikationen und Rechtsschutz, Berlin, Duncker &
Humblot, 1988 (mit Schrifttum).
(103) Siehe die Dokumentation bei R. Robert aaO (oben Fn. 95) S. 105.Vgl. ferner
die Stellungnahme des Wissenschaftlichen Beirats beim Bundesministerium der Finanzen vom 3.10.1973 in Der Wissenschaftliche Beirat beim Bundesministerium der Finanzen, Entschliessungen, Stellungnahmen und Gutachten 1949-1973, hg. vom Bundesministerium der Finanzen, Tu bingen, Mohr, 1974 (Sammelband 1974, S. 571); O. ISSING,
Die Unabha ngigkeit der Bundesbank, in Strukturwandel und makroo konomische Steue-

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Dezember 1972) wurde bereitwillig entgegengenommen, bot er


doch Gelegenheit, angesichts des Machtzuwachses, den die Bundesbank verbuchen wu rde, jeweils Zustimmungsvorbehalte zugunsten
des Bundesfinanzministers einzufu gen (sogenannte Zwei-Schlu sselTheorie) (104). Da leuchteten natu rlich in Frankfurt die Warnlichter
rung, FESTSCHRIFT FRITZ VOIGT, hg. von SIGURD KLATT, Berlin, Duncker & Humblot, 1975,
S. 365.
(104) Referentenentwurf des Bundesfinanzministeriums vom 8.8.1973, abgedruckt bei Duwendag aaO (oben Fn. 90) und Robert aaO (oben Fn. 95). 16a
Aktivzuwachsreserve: (1) Sofern es zur Vermeidung einer unangemessenen Ausweitung
der Kreditgewa hrung der Kreditinstitute ( 1 Abs. 1 des Gesetzes u ber das Kreditwesen)
erforderlich ist, kann die Deutsche Bundesbank verlangen, dass die Kreditinstitute in
Ho he eines einheitlichen Vom-Hundert-Satzes bis zu hundert des Zuwachses ihrer
Forderungen und Wechselkredite aus dem Bankgescha ft, ihrer Wertpapiere und ihrer
Beteiligungen Guthaben auf Girokonto bei ihr unterhalten (Aktivzuwachsreserve).
Forderungen, die aus Indossamenten und aus Bu rgschaften und Gewa hrleistungsvertra gen entstehen ko nnen (Eventualforderungen), sind bei der Ermittlung des Zuwachses in Ansatz zu bringen. Das gleiche gilt fu r Vermo gensgegensta nde, die von
Kreditinstituten mit der Verpflichtung zur Ru cknahme auf Dritte u bertragen worden
sind. Als Forderung aus dem Bankgescha ft gilt auch das Recht, die Ru cknahme von
Vermo gensgegensta nden zu fordern. (2) Die Deutsche Bundesbank kann nach allgemeinen Gesichtspunkten bestimmte Kreditinstitute sowie Gruppen von Kreditinstituten
von der Pflicht zur Unterhaltung der Aktivzuwachsreserve befreien. Soweit es die
Wirksamkeit der Aktivzuwachsreserve erfordert oder nicht beeintra chtigt, kann die
Deutsche Bundesbank anordnen, da bestimmte Vermo gensgegensta nde, insbesondere
die in Abs. 1 Satz 1 bis 4 genannten Aktiva gegenu ber anderen aktivzuwachsreservepflichtigen Kreditinstituten, bei der Berechnung der Aktivzuwachsreserve auer
Ansatz bleiben. (3) 16 Abs. 3 bis 7 gilt sinngema fu r die Reservepflicht nach dieser
Bestimmung. (4) Allgemeine Anordnungen der Deutschen Bundesbank nach den Absa tzen 1 bis 3 bedu rfen der Zustimmung des zusta ndigen Bundesministers. 16b
Kreditbegrenzung: (1) Anstelle der Aktivzuwachsreserve kann die Deutsche Bundesbank unter den Voraussetzungen des 16a Abs. 1 Satz 1 anordnen, da der Zuwachs
aller nach 16a fu r die Aktivzuwachsreserve erfabaren Forderungen und sonstigen
Vermo gensgegensta nde der Kreditinstitute ( 1 Abs. 1 des Gesetzes u ber das Kreditwesen) eine bestimmte Ho chstgrenze nicht u berschreiten darf. Forderungen auf die
Ru cknahme von Vermo gensgegensta nden und Vermo gensgegensta nde, die mit der
Verpflichtung zur Ru cknahme auf Dritte u bertragen worden sind, sowie Eventualforderungen sind bei der Ermittlung des Zuwachses in Ansatz zu bringen. (2) Die
Kreditbegrenzung darf ho chstens fu r die Dauer eines Jahres angeordnet werden. Nach
allgemeinen Gesichtspunkten ko nnen bestimmte Kreditinstitute sowie Gruppen von
Kreditinstituten von der Anordnung nach Abs. 1 ausgenommen werden; ferner kann
angeordnet werden, da bestimmte Forderungen und sonstige Vermo gensgegensta nde
bei der Ermittlung des Zuwachses auer Ansatz bleiben. Die Deutsche Bundesbank

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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auf, und an der Weiterverfolgung des Projekts war man nicht mehr
interessiert (105). Hinzu waren Bedenken in der Sache selbst getreten, die sowohl von politischer als auch wissenschaftlicher Seite
gea uert wurden: das Instrument der Aktivzuwachsreserve wu rde
strukturpolitische Effekte mit sich bringen und so die Regel der
strukturellen Neutralita t der Geldpolitik noch zusa tzlich verletzen (106); und in Hinblick auf die Kreditplafondierung wa ren auer
a hnlichen strukturellen u berdies wettbewerbspolitische Nachteile
infolge geradezu monopoloider Wirkungen (107) zu befu rchten.
Schlielich war auch das Bedu rfnis nach zusa tzlichen Steuerungsmitteln geschwunden, nachdem die Zwa nge des Bretton-WoodsSystem weggefallen waren und sich herausgestellt hatte, dass in der
neuen Lage die Bundesbank mit den bisherigen Instrumenten zurecht kommen wu rde.

erla t na here Bestimmungen u ber die Berechnung und Feststellung der Ho chstgrenze
und des Zuwachses. (3) Die Deutsche Bundesbank kann verlangen, da ein Kreditinstitut ein Guthaben bis zur Ho he des Betrages, um den es die nach Absatz 1 festgesetzte
Ho chstgrenze u berschreitet, fu r einen der Dauer der festgestellten U berschreitung
entsprechenden Zeitraum auf Girokonto bei ihr unterha lt. Sie erla t na here Bestimmungen u ber die Berechnung und Unterhaltung dieses Guthabens. Das Guthaben wird
nicht auf die nach 16 zu haltende Mindestreserve angerechnet. (4) 16 Abs. 3 und
Abs. 5 bis 7 gilt sinngema . (5) Allgemeine Anordnungen der Deutschen Bundesbank
nach den Absa tzen 1, 2, 4 und 5 bedu rfen der Zustimmung des zusta ndigen Bundesministers.
(105) In den Jubila umsba nden der Deutschen Bundesbank wurde die Episode
mehr oder weniger schamhaft verschwiegen (ein kurzer Hinweis bei v. Hagen aaO, oben
Fn. 90, S. 450f).
(106) Zusa tzlich deshalb, weil von der Regel das Gesetz in der Vorschrift u ber die
Mindestreserve selbst schon abgewichen war, 16 Abs. 1 Satz 3 BBankG: (...)
Innerhalb dieser Grenzen kann sie (sc. die Bundesbank) die Vom-Hundert-Sa tze nach
allgemeinen Gesichtspunkten, insbesondere fu r einzelne Gruppen von Instituten, verschieden bemessen sowie bestimmte Verbindlichkeiten bei der Berechnung ausnehmen
(...). - Die ho chstrichterliche Rechtsprechung hat in der bedeutsamsten Entscheidung
zum BBankG die Mo glichkeit struktureller Differenzierung auch auf Satz 1 der Vorschrift ausgedehnt, BVerwGE 41.334 (1973).
(107) Stellungnahme des Wissenschaftlichen Beirats beim Bundesministerium der
Finanzen aaO (oben Fn. 103) S. 574.

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STEFANO MANNONI

I PERCORSI DELLA REGOLAZIONE


DELLA CONCORRENZA NEGLI USA E IN EUROPA:
APPUNTI PER UN PROFILO STORICO

Poche realta` come lantitrust hanno connotato piu` intensamente


la vicenda giuridica statunitense ed europea. Eppure, del tutto
singolarmente, essa ha richiamato di rado lattenzione storiografica,
quasi fosse priva di sufficiente dignita` scientifica. Questa incomprensibile trascuratezza e` venuta meno negli ultimi anni che hanno visto
fiorire importanti studi, su entrambe le sponde dellAtlantico. Studi
nei quali lo sguardo prospettico si lega allimpetuoso e incessante
sviluppo del presente, segnato da una continua evoluzione di questa
disciplina a cavallo come poche tra diritto ed economia. Grazie a
questo sforzo di ricerca e` oggi possibile abbracciare con un solo
sguardo due percorsi troppo a lungo isolati luno dallaltro. Levidente priorita` temporale della vicenda americana impone di prendere le mosse da questa (1) per poi passare al piu` recente itinerario
tedesco (2) trait dunion con quello comunitario (3).
1. La proposta inizialmente presentata dal Senatore Sherman
al Congresso nel 1888 suonava assai ardita richiedendo che all
arrangements, contracts, agreements, trusts or combinations
made with a view or which tend to prevent full and free competition
or which tend to advance the cost to the consumer are hereby
declared to be against public policy, unlawful, and void (1). Sherman sottolineava due aspetti: A) i monopoli provocano laumento
dei prezzi; B) la liberta` industriale era minacciata dai colossi pro(1) R. PERITZ, Competition Policy in America, 1888-1992, History, Rhetoric, Law,
New York-Oxford, 1996, p. 13.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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duttivi. Ora, cio` aveva evidenti conseguenze politico-costituzionali


poiche un governo rappresentativo non poteva prescindere dal
supporto di cittadini che fossero economicamente indipendenti. In
gioco era la sopravvivenza della concezione repubblicana che esaltava i piccoli produttori.
Non tutti convenivano pero` con la diagnosi di Sherman. Vi era
chi sosteneva che: A) la concorrenza e gli accordi erano entrambi
fenomeni naturali e, in larga misura, inevitabili; B) e che gli accordi
e i cartelli era persino utili in quanto tenevano a freno la concorrenza
distruttiva. Per costoro la visione e le apprensioni del senatore
Sherman erano anacronistiche ed eccessive. Con lintervento pubblico, da questi auspicato, si rischiava di compromettere la liberta`
contrattuale e la naturale tendenza delle imprese a stipulare accordi
per porsi al riparo dagli effetti piu` rovinosi della concorrenza.
Dietro questa dialettica si celavano due antitetiche concezioni
della liberta`: A) liberta` dal governo; B) liberta` dal potere di mercato.
I 15 mesi di dibattito necessari per lapprovazione della legge
lasciano intendere il rilievo e lintensita` di questa contrapposizione.
Finalmente approvato nel 1890, lo Sherman Act appariva innovativo nella misura in cui introduceva rimedi che erano ignoti alla
Common Law ossia:
1) il diritto dei terzi lesi da un contratto stipulato tra due parti
di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno; 2) la
facolta` del Pubblico Ministero di agire in via civile e penale contro
gli autori di certe categorie di accordi; 3) infine il potere di confisca
della proprieta` privata.
Ma come sarebbe stato applicato nelle corti questo atto cos`
innovativo?
A profilarsi e` innanzitutto uninterpretazione letterale che colpisce indiscriminatamente tutti gli accordi volti a concordare i
prezzi, a prescindere dalla ragionevolezza del prezzo fissato: la
troviamo enunciata nel caso Trans-Missouri Freight Association
(1897). Lidea soggiacente e` che solo la libera concorrenza puo`
assicurare il prezzo ragionevole. Questo limite valeva anche per i
sindacati i cui boicottaggi parevano alterare, non meno degli accordi
di cartello, il libero gioco della mano invisibile, ed erano pertanto da
colpire (caso Danbury Hatter, 1908). Unintegrazione assai rilevante
di questa linea e` data dal caso Addyston Pipe (1899) che aggiunge,

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STEFANO MANNONI

tra i motivi di censura degli accordi di cartello, quello dellinterferenza con il commercio interstatale.
Questa linea interpretativa e` di breve durata. Viene ben presto
sfidata da una concezione piu` sensibile alle ragioni della liberta`
contrattuale. Questultima viene affermata nel caso Lochner vs. New
York (1905) nel quale senza peraltro affrontare questioni di
rilievo antitrust si enuncia un severo limite al potere di regolazione (di polizia) degli Stati proprio in nome della liberta` contrattuale. Si trattava di una rottura ideologica molto sensibile con la
tradizione della disciplina della societa` bene ordinata attraverso i
police powers che era stata tipica della giurisprudenza e dottrina per
almeno due terzi del XIX secolo (2). Di qui alla materia dei cartelli
il passo era breve e viene infatti compiuto nel 1911 con lo Standard
Oil Case, nel quale si afferma che s` il trust e` illegittimo, ma solo
nella misura in cui introduca limitazioni innaturali, oltre il consueto e il normale alla liberta` di commercio. E` la teorizzazione della
Rule of Reason che riattualizza nel contesto della lotta ai monopoli
il canone della ragionevolezza tipico della Common Law. Laddove per i cartelli era piu` facile argomentare la loro irragionevolezza,
per i trusts, per i monopoli e le concentrazioni occorreva verificare
caso per caso se incorressero in questa censura. Nel 1918, il giudice
Brandeis precisa in Chicago Board of Trade che occorreva verificare volta per volta se le restrizioni stipulate dalle imprese fossero
tali, con riguardo a quel settore del commercio, da soffocare ogni
concorrenza. Il procedimento era necessariamente induttivo e implicava unaccurata analisi del mercato. Nel 1920 la Corte suprema
ribadisce il concetto in U.S. Steel dove chiarisce che: A) grande
non e` necessariamente negativo; B) la cooperazione tra rivali
poteva persino aiutare a stabilizzare i mercati. Cio` si sposava ideologicamente con la giurisprudenza della Corte a firma Sutherland
nella quale durante gli anni Venti si erge una vera diga allattivita`
pubblica di regolazione di prezzi e onorari in nome della liberta`
contrattuale e in particolare del XIV emendamento. Gli economisti
per parte loro non disdegnavano di avallare questa linea, ammonendo contro i rischi di una competizione sfrenata. Come si usava
(2) Si veda al riguardo lanalisi di W. J. NOVAK, The Peoples Welfare, Chapel Hill
and London, 1996, pp. 245-247.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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dire nei primi anni Venti competition is war, and war is hell.
Come a suggerire: ben vengano gli accordi fra le imprese se servono
ad evitare un esito cos` funesto. Non sorprende allora che di questo
alleggerimento del controllo sugli accordi fra imprese non beneficino affatto i sindacati, perseguiti con la stessa determinazione di
prima. Ci si attendeva dai singoli lavoratori che contrattassero su
base individuale con i datori di lavori in ossequio alla piu` stretta
ortodossia liberista, a dispetto delle critiche di Roscoe Pound e delle
titubanze di Holmes. Ribadendo questa tesi ancora una volta nel
1927, la Corte suprema dichiara illegali le associazioni di tagliatori di
pietra in quanto suscettibili di interferire nel commercio interstatale
con i loro scioperi.
E` su questa consolidata giurisprudenza che si innesta e con cui
deve fare i conti il New Deal. Complice la rivoluzione dei paradigmi
nel campo della teoria economica (Chamberlin, Berle e Means),
lIndustrial Recovery Act (1933) restituisce al governo un importante
ruolo nella ridefinizione delle compatibilita` tra mercato ed interesse
pubblico. Da una parte si moltiplicano i codici di onesta concorrenza, mentre dallaltra viene ammessa la contrattazione collettiva,
sfociata nella creazione (1935) del National Labour Relations
Board. A questa svolta, la Corte suprema reagisce in modo selettivo: colpisce come incostituzionale in ALA Schechter Poultry Corporation (1935) lo standard della onesta competizione perche
troppo vago e discrezionale; ammette invece in Nebbia v. New York
(1934) la regolazione pubblica del prezzo del latte perche rientrante
nel legittimo esercizio dei poteri di polizia degli Stati.
Le resistenze della Corte non impediscono che la legislazione
conosca importanti sviluppi, tra cui merita segnalare il RobinsonPatman Act del 1936 che protegge il piccolo commercio colpendo le
discriminazioni praticate dai fornitori. A sua volta il Wheeler Act del
1938 introduce la protezione del consumatore dalla pubblicita`
fraudolenta. Ed e` appunto la tutela del consumatore a divenire il
tratto unificante di questa legislazione, capace di mediare tra il
principio della proprieta` privata e della liberta` contrattuale e quello
dellinteresse pubblico. La nomina del professore di Yale Thurman
Arnold alla testa della divisione antitrust del ministero della giustizia
(1938), nonche un mutamento di sensibilita` tra i giudici della Corte
fanno s` che la protezione intransigente del contratto e della pro-

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STEFANO MANNONI

prieta` ceda infine il passo a una valorizzazione della duplice figura


del cittadino/consumatore visto come soggetto titolare di diritti
costituzionali meritevoli di tutela di fronte alle distorsioni indotte
dal potere di mercato. Ne e` sintomo eloquente la decisione West
Coast Hotel v. Parrish (1937) che ammette per la prima volta la
liceita` di una fissazione legislativa della paga minima quando le parti
contrattuali non si trovassero su un piede di parita`. Luguaglianza
formale non bastava piu` a soddisfare il parametro della costituzionalita`. A loro volta, le prerogative sindacali venivano riscattate dalla
condizione di illegalita` in cui versavano per venire ammesse al rango
di espressione del diritto di liberta` di parola (Thornbull v. Alabama,
1940). Da quel momento, il diritto antitrust non sarebbe piu` stato
invocato per reprimere agitazioni sindacali non suscettibili di danneggiare i consumatori.In altre parole, la figura del consumatore
veniva a racchiudere in se lo spazio dellinteresse pubblico. Sono gli
anni della celebre decisione Alcoa (1945) nella quale si colpisce la
pratica di unimpresa che controllava i prezzi della materia bruta
(alluminio) come quelli dei manufatti che ne derivavano (3).
Una nuova fase si inaugura alla fine degli anni Quaranta per
durare fino allesaurimento dei Sessanta in coincidenza con una
ulteriore svolta nella teoria economica. Cio` che conta spiegano
Mason, Turner e Kaysen non e` tanto la struttura oligopolistica dei
mercati quanto il comportamento delle imprese. Occorre impedire
che questo non intralci il competitive marketplace, ad un tempo
garanzia di efficienza economica e di pluralismo politico e democratico. In questa ottica si spiega il Celler-Kefauver Act (1950) che
mette sotto osservazione le fusioni: quelle orizzontali (tra concorrenti diretti e quelle verticali (ossia tra fornitori e clienti), nonche le
fusioni conglomerate. Le applicazioni non tardano a seguire. In
Simpson v. Union Oil (1964) la Corte suprema rigetta la pretesa
dellimpresa di fissare a propria discrezione i prezzi al dettaglio. La
Corte ritiene che, essendo la Union Oil un oligopolio, senza concorrenza al livello della vendita al minuto non vi sarebbe stata alcuna
competizione. Ma come definire il mercato? La sentenza decisiva e`
quella sul caso Du Pont de Nemours (1956) dove la ditta viene
(3) L. A. SULLIVAN, W. S. GRIMES, The Law of Antitrust: an Integrated Handbook,
St. Paul, 2000, pp. 88-89.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

assolta dalle accuse di monopolizzare il mercato del cellophane da


imballaggio, di cui deteneva una quota del 20%, perche tale prodotto era sostituibile con altri materiali equivalenti. Inoltre le preferenze dei consumatori erano molto sensibili alle variazioni dei
prezzi e non tardavano ad indirizzarsi verso prodotti alternativi. Ma
e` il campo delle fusioni quello nel quale si manifestano le tensioni
piu` rilevanti. Nel caso Brown Shoe (1962) la fusione con unaltra
ditta che produceva lo stesso prodotto viene vietata: il mercato era
infatti il medesimo cos` come il manufatto. Cos` in Clorox (1967)
dove la fusione di questa ditta con Procter and Gamble viene
proibita perche limpatto sul mercato di un tale gigante sarebbe stato
eccessivo. In Philadelphia National Bank (1963) la Corte enuncia
che avrebbe proibito fusioni risultanti in unindebita percentuale di
mercato (almeno 30%) e in un significativo incremento nella concentrazione (piu` del 33%). Lultimo guizzo di questo trend jeffersoniano e` dato dallo Hart-Scott-Rodino Act (1976) che autorizza i
procuratori generali a intentare azioni per conto dei cittadini per
lesioni dovute a violazioni di regole antitrust ed impone inoltre alle
ditte di notificare le fusioni di notevole entita`. Intanto si era gia`
cominciato a farsi sentire leffetto della svolta liberista della Corte
suprema sotto Nixon. Anche laccademia reagisce: da Bork a Posner,
passando per Coase, si preconizza un self-restraint dellautorita`
antitrust di fronte allautoregolazione del mercato. Sotto il responsabile della divisione antitrust ai tempi di Reagan, William Baxter, le
fusioni furono raramente colpite. Nella piu` autentica tradizione
democratica, Clinton ha invece promosso una politica aggressiva,
attuata con vigore dal suo appointee Klein. Il resto e` cronaca.
2. E` tempo di dedicare spazio allEuropa. Le prime forme di
rudimentale diritto della concorrenza in Europa sono rappresentate
in Francia dalla disciplina giuridica della concorrenza sleale. Ma si
tratta di casi isolati in un panorama assai poco consapevole del
problema e delle sue implicazioni ordinamentali. Basti pensare che
in Germania i cartelli erano visti con favore perche tenevano a freno
la concorrenza distruttiva tra imprese ed esaltavano la capacita` della
nazione di competere sul mercato internazionale. Sulle corti giudiziarie gravava lincombenza di conciliare il principio della liberta`
contrattuale con quello della liberta` imprenditoriale e con lesigenza

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STEFANO MANNONI

di reprimere le disposizioni che violavano il fondamentale senso


morale della comunita` (4). A partire dal 1897 si consolida una
giurisprudenza che afferma che ove gli accordi di cartello fossero
favorevoli allinteresse pubblico, il giudice non poteva invalidarli in
nome della liberta` di impresa. Tanto la teoria economica che il
diritto valutavano positivamente i cartelli. Era comunemente accettata la premessa epistemologica della Scuola storica secondo la quale
le norme non dovevano essere applicate in modo astratto e formalistico, ma adattandole alle circostanze e alle esigenze della nazione.
In questa luce, il cartello diveniva illecito se: A) intendeva sfruttare
slealmente i consumatori attraverso un monopolio. In altre parole, la
posizione dominante non era di per se illecita ma lo era solo se si
traduceva in un monopolio che si imponeva al mercato; B) violava la
liberta` dimpresa del singolo membro del cartello in modo irragionevole. Altrimenti detto, occorreva vagliare le clausole non concorrenziali per accertare se erano ragionevoli. A partire dallentrata in
vigore del BGB le Corti utilizzano lart 139 per colpire i contratti che
violavano i principi morali fondamentali. Pur con questi temperamenti i cartelli conservavano intatta la loro legittimita` e rilevanza.
E` solo allinizio del secolo XX che comincia a levarsi qualche
voce dissidente che auspica una qualche forma di controllo sui
prezzi praticati dai cartelli. I nomi piu` famosi sono quelli di Gustav
Schmoeller e di Franz Klein che si scontrano tuttavia con un inerzia
politica solo apparentemente singolare: la SPD non favorisce la
legislazione sui cartelli perche la concentrazione capitalista sembra
avallare la profezia di Marx di una progressiva implosione del
sistema capitalista per ipertrofia. Solo il Centro cattolico era sensibile al problema.
Bisogna attendere la Prima Guerra Mondiale, in coincidenza
con una maggiore sensibilita` della teoria economica verso gli eccessi dei cartelli, perche faccia capolino una nozione giuridica di
abuso di potere. Ne e` traduzione concreta il decreto sui cartelli del
1923, promosso sotto il cancellierato di Stresemann, che affidava
allamministrazione poteri di emergenza piuttosto incisivi quali la
facolta` di adottare misure coercitive contro i cartelli lesivi dellinte(4) D. J. GERBER, Law and Competition in Twentieth Century Europe: Protecting
Prometheus, Oxford, 1998, p. 90.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

resse pubblico. Lo spettro degli strumenti contemplati erano il


seguente: A) richiesta alla giustizia di annullare gli accordi lesivi
dellinteresse pubblico; B) ordine a singole parti del cartello di
recedere dal contratto; C) ordine di comunicazione degli accordi piu`
rilevanti. Al centro di questa disciplina era il concetto di abuso ossia
le pratiche seguite da quei cartelli che, approfittando del potere
economico di cui disponevano, stabilissero unilateralmente i termini
contrattuali o i prezzi in detrimento allinteresse pubblico. Inoltre,
ogni parte del cartello poteva recedere per giusta causa che era
presunta ogniqualvolta la liberta` di azione economica della parte
fosse ingiustamente ridotta, particolarmente riguardo alla produzione, alla vendita, alla fissazione dei prezzi. Siffatta previsione
ridimensionava lautorita` del cartello sui propri membri. Quanto
allautorita` giurisdizionale incaricata di verificare la sussistenza dei
presupposti, essa era un tribunale amministrativo a composizione
mista, togata e non. Di fatto, lapplicazione di queste draconiane
misura fu assai meno intenso di quanto si sarebbe potuto prevedere,
poiche il ministro era riluttante a servirsene. Lunica giurisprudenza
significativa riguarda la facolta` di un membro del cartello di recedere
unilateralmente nei casi in cui avesse subito una coercizione da parte
degli altri membri del cartello, e solo dopo avere esperito inutilmente i tentativi di conciliazione. Nel complesso lAutorita` giudiziaria era tuttaltro che sfavorevole ai cartelli che percepiva come
comunita` di protezione per leconomia nazionale. Ne era la sola a
pensarla cos`: Werner Sombart elogiava questa forma di capitalismo
organizzato e la prassi sembrava dargli ragione. Si registrano ben
3000 cartelli nel 1929!
Semmai a farsi strada e` lidea che la democrazia dei consumatori
presupponese una qualche forma di disciplina degli abusi dei cartelli, piu` incisiva di quella esistente. La scuola di Friburgo negli anni
Trenta lavora in questa prospettiva, grazie innanzitutto al contributo
di Franz Bo hm che introduce lidea di una costituzione economica, ossia di una decisione complessiva concernente la natura e la
forma del processo di cooperazione socio-economica (5). Solo dopo
(5) Su questo movimento, rinvio al fondamentale contributo di K. W. NO} RR, Die
Republik der Wirtschaft: Recht, Wirtschaft und Staat in der Geschichte Westdeutschlands,
Tu bingen, 1999.

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STEFANO MANNONI

la fine della Seconda Guerra Mondiale queste idee potranno fruttificare. La legislazione approvata nel 1958 ed emendata nel 1973
introduce importanti limitazioni: 1) proibisce i cartelli come accordi
orizzontali, salvando solo i cartelli tesi a razionalizzare un settore
industriale; 2) gli accordi verticali come licenze, esclusive etc.
vengono proibiti se dannosi; 3) viene proibito labuso di potere
economico da parte delle imprese dominanti. I concetti chiave sono
quelli di limitazione della concorrenza e di abuso di potere, assortiti
dalla novita` che ad applicarli sono giudici ordinari e non amministrativi. La giurisprudenza ha sviluppato questi standards facendone
applicazione per colpire i prezzi eccessivi praticati da imprese
dominanti (caso Vitamin B12, 1976) o per censurare la disparita` di
trattamento inflitta ad imprese omologhe. Quanto alle fusioni, esse
possono essere proibite quando, in base al principio di causalita`, da
esse possa derivarne una consistente diminuzione della concorrenza
rafforzando cos` una posizione dominante sul mercato. La capacita`
di deterrenza della concorrenza scoraggiando in particolare
lingresso di nuovi soggetti nel mercato da parte di unimpresa
dotata di grande forza finanziaria e` un indice della illiceita` della
fusione. Lanalisi cui procede la giurisprudenza e` pertanto strutturata come segue:
A) analisi della forza finanziaria delle imprese che intendono
procedere alla fusione alla luce di quella di cui dispongono le
imprese concorrenti; B) la disponibilita` della ditta che fagocita
unaltra ad utilizzare le proprie risorse per incrementare lattivita`
della ditta acquisita; C) impatto presumibile di questa concentrazione di risorse sui concorrenti attuali e potenziali.
3. Non e` un caso che la Direzione generale della concorrenza
di Bruxelles sia sempre stato un feudo tedesco. I tedeschi disponevano di un retroterra in materia del tutto ignoto agli altri europei, a
cominciare dai francesi per giungere sino agli inglesi, in questo assai
meno progrediti dei cugini americani.
Ma come e` nato il diritto comunitario della concorrenza? La
mano americana e` riconoscibile e porta il nome del professor Robert
Bowie, consulente dellAlto commissario statunitense per la Germania, mentre sembra che il consigliere di Stato francese Maurice
Lagrange procedette al drafting. Sintomo dellinfluenza americana e`

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

lart 65 del trattato sul carbone ed acciaio che focalizzando sul


concetto di accordi anticompetitivi introduceva una categoria
estranea alla tradizione europea, anche se non peregrina per i giuristi
tedeschi cresciuti sotto lala della Scuola di Friburgo. Linfluenza
americana e` riconoscibile anche nella norma che affida allAutorita` il
controllo sulle fusioni. Se allepoca della CECA linfluenza americana e` ancora forte, allindomani del trattato di Roma sono i tedeschi
a fare sentire la loro esperienza, tanto in forza della dottrina economica che in virtu` della legislazione nazionale adottata.
Nella prassi, la Commissione ha attribuito molta importanza alla
lotta contro gli accordi verticali, in quanto il rischio era che attraverso intese private si ricostituissero le barriere che la Comunita`
voleva abbattere. Nel celebre caso Grundig-Consten (1966) luso
della licenze di distribuzione esclusiva veniva censurato nella misura
in cui intralciava la circolazione dei prodotti. E` comprensibile che
fino a tutti gli anni Sessanta siano gli accordi verticali il bersaglio
della Commissione, mentre quelli orizzontali vengono trascurati,
anche in vista della crescente competizione con gli USA lart. 86,
circa labuso di potere, e` poco utilizzato.
La svolta avviene negli anni Settanta con il caso Continental Can
(1973) (6), nel quale la Corte di giustizia afferma che lart. 86 poteva
essere applicato anche alle fusioni, benche le fusioni non fossero
esplicitamente menzionate. Nel fare applicazione del concetto di
abuso e` alla giurisprudenza tedesca che si guarda, non senza
invocare un criterio teleologico: ogni distorsione della concorrenza
lesiva degli obbiettivi del Trattato era illecita (7). Nel caso Commercial Solvents (1974) si afferma che il rifiuto di una ditta, che detiene
il monopolio di un prodotto, di continuare le forniture ai concorrenti e` illecito. Nel caso United Brands (1978) si aggiunge che le
restrizioni di rivendita, il rifiuto di trattare con un precedente
cliente, nonche la fissazione di prezzi eccessivi integravano comportamenti illeciti, allorche il rifiuto di contrarre spingesse unimpresa
fuori dal mercato. Altrimenti detto, e` la coercizione economica ad
essere abusiva. I contenuti dellabuso ex art. 86 vengono cos` definiti
(Hoffman-La Roche (1979): a) imporre, direttamente o indiretta(6 )
(7)

J. FAULL, A. NIKPAY, The EC Law of Competition, Oxford, 1999, p. 186.


R. WISH, Competition Law, Bath, 2001, p. 167 e sgg.

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STEFANO MANNONI

mente, prezzi di acquisto o vendita o altre sleali condizioni; b)


limitare la produzione, i mercati o gli sviluppi tecnologici in pregiudizio dei consumatori; c) applicare condizioni dissimili a transazioni
equivalenti, mettendo cos` alcune parti in svantaggio competitivo; d)
sottoporre la conclusione dei contratti a condizioni che non hanno
connessione con loggetto dei contratti.
Mentre la Corte, nel 1973, autorizzava le imprese ad invocare le
norme comunitarie sulle concorrenza di fronte alle giurisdizioni
nazionali, la Commissione preparava il grande passo che sarebbe
giunto a maturazione con la Merger Regulation 4064/1989. In base
a questa fonte, le concentrazioni che hanno una dimensione comunitaria devono essere notificate alla Commissione e sono soggette
alla giurisdizione della Corte. La Commissione puo` proibirle quando
creano o rafforzano una posizione dominante in seguito alla quale
leffettiva concorrenza sarebbe intralciata nel Mercato Comune o in
una parte sostanziale di esso. Non e` necessario che limpresa in
questione abbia sede in Europa; basta che gli effetti (dottrina degli
effetti) dei suoi comportamenti siano tali da turbare la concorrenza
nel mercato comune. Cio` che conta e` lattuazione (implementation) degli accordi in Europa, purche il giro di affari (turnover) sia
significativo. Per quanto riguarda la definizione di mercato rilevante
la Commissione ritiene che questo comprenda tutti i prodotti e
servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore in ragione delle caratteristiche del prodotto, del prezzo o
delluso cui e` destinato. Il mercato rilevante e` definito come larea in
cui le imprese interessate provvedono alla fornitura e alla domanda
dei beni e servizi, in cui le condizioni della concorrenza sono
abbastanza omogenee. Cruciale in questa analisi e` la sostituibilita` del
prodotto. Il test chiave e` la reazione del consumatore a un piccolo,
ma permanente aumento dei prezzi. Se i consumatori si rivolgono ad
altre ditte e ad altri prodotti, allora significa che questi sono inclusi
nel perimetro del mercato rilevante. Sul versante dellofferta la
sostituibilita` consiste in cio`: ossia nel verificare con che velocita` i
potenziali fornitori possono mutare la produzione e indirizzarla
verso un nuovo bene e mercato senza incorrere in significativi costi
addizionali e rischi, in risposta a piccoli e permanenti mutamenti nei
prezzi relativi degli esistenti fornitori. Se i potenziali nuovi fornitori
non possono entrare nel mercato senza grossi investimenti nel

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

tempo, ebbene, non sono presi in considerazione per la definizione


del mercato.
* * *
Il diritto della concorrenza e` in continua evoluzione tanto negli
USA quanto in Europa, dando luogo a collisioni transfrontaliere
niente affatto irrilevanti. Cio` che fa ritenere indispensabile una
concertazione tra le due grandi tradizioni, onde agevolare una piu`
agevole ed efficace integrazione delle economie occidentali (8).

(8) Come suggerisce la ricerca della Brookings Institution, AA.VV., Antitrust


Goes Global, Washington D.C., 2000.

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Lo sguardo degli altri

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BARTOLOME
u CLAVERO

VIRTUAL CITIZENSHIP, ELECTORAL OBSERVATION,


INDIGENOUS PEOPLES, AND HUMAN RIGHTS
BETWEEN EUROPE AND AMERICA, SWEDEN AND PERU
For Ulrich Fanger, Adolfo Cayuso, Andrea Malnati and
Scipion du Chatenet, hard workers and an easy working
team.

1. Images and bodies: the European Union on the web. 2. Elections as human rights
events: international standards for European operations. 3. Observation as virtualisation: unforeseen results in Peru. 4. More than a mote in a not so alien eye: Peruvian
provocation. 5. The beam in ones own eye: Europe s embarrassment over Swedish
zeal. 6. Nemo dat quod non habet: co-operative relations among the United Nations.
7. Rights make might: freedoms and elections, citizenships and peoples. 8. The fact
of our existence: the thing and the title for America and Europe. 9. Fact and right:
vicious geographies and virtuous constituencies.
Citizenship of the Union is hereby established. Every
person holding the nationality of a Member State will
be a citizen of the Union.
Treaty on European Union, 1993.
International instruments recognise specific human
rights criteria which electoral processes should abide
by for them to be considered valid.
Ombudsmans Office, Peru, 2000

1.

Images and bodies: the European Union on the web.

At this point in our time and space, all manner of entities and
institutions are able to offer a controlled image of themselves, one
which can be created in cyberspace on web sites, freely accessible for
both transmission and reception. Web sites constitute a source of
virtual images on the internet. They are constantly being created,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

remodelled and reissued. An institution nowadays is not merely an


establishment or an enterprise in the open world. Today it can also
be a self-produced image on the virtual screen.
Law-making bodies do not only function through legal mechanisms established by their respective constitutional or statutory,
conventional or customary framework. They also recreate or regenerate law in the forum and inorganic fronds of the intricate network
of electronic web sites. Because of the mediums virtual nature, some
entities take every effort to offer the best possible image of themselves. Moreover, they work continuously on that presentation, on
their own virtualised image as if it were the true thing. It may be.
Virtuality creates reality, which comes into being from the moment
it manifests itself as a very potentiality. The internet can be not only
a source of virtuosity but also a virtualising factor when it so publicly
commits itself to adopting an image deemed virtuous due to its
virtual nature. Virtue may beget reality as much as vice may. With
web sites providing access to legal knowledge, the most effective law
will not be precisely that which arises from an official paper, or not
to the same extent as the one found in the more attractive and
informal web version. This is already happening in spite of disclaimers which appear on the web page itself, warning that online versions
must not be confused with officially published norms (1).
The network is a publicity channel in the dual meaning that also
implies propaganda. Internet divulges and publicises in both senses
at the same time. It is a showcase. You do not put all your files on
the world wide web as you do in the corporation archives. There is
selection and virtualisation, for there is a public. Between publishing
and publicity, the net works much more efficiently than any other
procedure hitherto known and used, due to its potential global
scope as well as its permanent ability to update. Created and
constructed order is now identified and visualised, and rightly so,
through its reproduced and remade image on the computers bright
(1) No need to go any farther, here is an example of a disclaimer from the
European Parliament web site, http://www.europarl.eu.int/guide/disclaimer/defaulten.htm: It should also be noted that it is not possible to guarantee that a document
which is available on-line reproduces exactly a text officially adopted: therefore only the
legislation of the European Union as published in the paper editions of the Official
Journal of the European Communities is considered to be authentic.

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BARTOLOME
u CLAVERO

screen. It is useless to resist therefore. At least law in the books is


becoming law on the web; written law, computerised law produced
in its virtual workshop and read on our real terminals, law straight
from the manufacturer to the consumer without the intervention of
markets, professions, papers, libraries or archives.
For practical purposes nowadays, if we wish to obtain information concerning any law-making institution and its structure, a visit
to its web page would be worthwhile, with the chance to study its
self-portrait. Other sources are no longer likely to offer better or
even more practical information. Let us trust computers glowing
screens more than books dull pages and recreate the spirit of
reading and understanding, because the image itself is new and
renewable. Our visit should be made with open and ingenuous eyes
even though the institutions are known or familiar ones. Let it be to
the European Union, as proposed (2). Let us visit its virtual reality,
a reality which is after all doubly new, both grown and unripe. As a
Union, it is a brand new political entity, gestated towards the end,
rather than the middle of the 20th century by means of a still
incomplete and already long series of treaties and agreements fol(2) Pietro Costa, who has just succeeded Paolo Grossi as editor of the Quaderni
Fiorentini per la Storia del Pensiero Giuridico Moderno, summoned a monographic issue
on the European Union compared with the States. Without his encouragement and
under my sole responsibility, I would not have decided to delve into a study of delicate
moments arising from personal work experience and commitment to the Union. I held
a post (DHM, deputy head of mission) in a European operation of electoral observation
in America, specifically in Peru, which I shall deal with in this paper. Some other similar
personal experiences are also a source. I do not regard them as extraneous to study and
reflection, to the learning process itself that teaching welcomes although in the case of
Peru I had decided to concern myself only with group work in benefit of the operation
itself. Only when the electoral observation was over, in July 2001, and any commitment
to the European Commission had ceased, did I change my mind and commence this
essay. I write here exclusively in my role of professor of legal history, past and present,
and not in any other more or less transitory capacity. I would like to express my
recognition for the opportunity extended and for the professional independence that I
enjoyed during the Peruvian operation. I must register also my gratitude to the
University of Seville and to colleagues from the area of legal history for their help which
enabled me to accept non-teaching engagements. I am grateful to Moira Bryson,
linguistic advisor, more than a translator. There will be opportunities in later notes to
register other thankfulness, as well as credentials, responsibilities and even a personal
disclaimer.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

lowing the launching of Maastricht, in force since 1993. It is


inexperienced because it is still searching for a framework, for a
constituent and constitutional law to call its own, for a constituency
or non-borrowed citizenship to support it, as it were.
We are in the middle of a long birth process. Outwardly, the
Union appears to be a babbling child, just starting to walk, dragging
the umbilical cord that continues to bind it to the still existing body
of a common market rather than to any kind of a constitutional
community. However, the tables have turned or are capable of doing
so. Europe is here and reaching out to a world vastly different from
the panorama which initially presided from the mid-twentieth century through the pacts leading up to the Treaty of Rome, and for
decades thereafter. Furthermore, since the constitutional gestation
of the Member States two or even more centuries ago, the public
scenario has changed dramatically. Regarding image-making
through normative texts, the States did not even have the means to
exploit printing in order to present themselves as duly constitutional. In contrast the Union today has access to the much speedier,
more manageable and open medium of computer technology (3). As
I hope shall be shown, when saying constitutional, I refer to law
which concerns the rights of citizenship and even of the whole of
humanity. Human rights themselves are becoming constitutional
principles. As for States, it is not much more than two hundred years
ago, between the 18th and 19th centuries, that the virtual concept
and the actual practice of constitutional citizenship emerged in the
area in which we shall move an area which is more American than
European, yet embracing both.
The use of computer technology may be a mere sign of a true
chronological distinction, revealing unknown legal eventualities. I
do not propose to study the tool or its possibilities. It is only a
starting point for the journey. The network comprises and develops
a mesh of links, gateways and web sites, corridors, directions and
(3) BENEDICT ANDERSON offers an inspiring impression of the printers past bearing
on the imagining of Nations and finally the image itself of States, Imagined Communities:
Reflections on the Origin and Spread of Nationalism (1983), London 1991. Contrast this
with a strict monograph relevant to the evidence of subsequent illusions: MARTA
LORENTE, La voz del Estado. La publicacio n de las normas, 1810-1889, Madrid 2002,
concerning Spain.

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BARTOLOME
u CLAVERO

routes that branch off and cross over in continuous expansion. Its
capacity and possibility for cloning and proliferating kaleidoscopic
images is almost infinite. I shall enter with a previously determined
course. It is Europe, the Union at home, and as far away as America.
It is also democracy, with the basis of polity or constituency entitled
to rights. Constituent citizenships and rights to liberty set our
course. The European Union itself will be the virtous guide and
maybe the vicious escort. Exploiting the web, which really permits
distant and unforeseen connections, or even ones which would be
hard in the event of their being physical, we shall move backwards
and forwards between Scandinavian Sweden, Europe, and Andean
Peru, America, not all of Sweden or the whole of Peru as we shall
see. I shall explain the reasons for the strange itinerary and the
specification on identity. We shall take our real time on our virtual
journeys (4).
Since we are contemplating virtues and other potentialities, I
turn to the apparently virtuous and virtual field of international
co-operation, and more specifically to a seemingly even more impartial area that of electoral observation to safeguard democracy
and foster human rights. Personal experience is behind this choice,
but together with objective interest which will not be necessary to
specify, as shall be seen. I am not alone and by myself in my
professors office and with my research work. I co-operate and
observe in company an activity which is likewise reflective. This
question of observation in the area of co-operation could also serve,
though incompletely, to tackle the difficult challenge of understanding the European Union in comparison with its individual States. A
(4) This essay on virtual history is a somewhat dissident dialogue with existent
literature on citizenship, whose latest outstanding achievement is offered by the scholar
who has called us together on this exploration project: PIETRO COSTA, Civitas. Storia della
cittadinanza in Europa, Bari 1999-2001. This genre is characterised by its European or
Euro-American-centred stance not only through conscious accuracy, as in this case, but
even when making the impossible attempt to embrace the entire world, as in the quoted
Imagined Communities by B. ANDERSON (confront, as touchstone, the fourth chapter, the
one on Latin America). As long as Europe must still account for colonialism, European
past and present may be in compelling need of out-of-Europe specific perception, and
not generic information, of local and not global knowledge in brief. This is the
commitment of this paper.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

contrast can be tried with the constitutive styles they represent as a


well-known and most visible term of reference, in history and at
present, in Europe and America. The practice of co-operation offers
an opportunity (5).
Although we have so far research and essays about election
observations, and in particular concerning specific operations in
America and elsewhere outside the European Union and the United
States, hardly any consideration is given to it yet as to the form of
political co-operation it comprises or is intended. However, in
recent years a remarkable development has been witnessed, showing
considerable potential at least while there exist political transitions
between dictatorships or corrupted regimes on the one hand and
constitutional systems on the other, between situations where rights
to freedom are non-existent and positions where efforts are made
towards them, this being the usual assumption in electoral observation (6).
I shall not compare observations, elections or transitions between or against each other here, or what was apparently observed
with what really happened. Instead, I aim to situate us in cyberspace,
in order to have a birds-eye rather than ground level view of a case
(5) The intergovernmental co-operative field is not the usual or likely one as
regards analysis and comprehension, and even less so from a non-economic approach
and content of co-operation. This is perfectly understandable since Europes constituent
and constitutional moment is neither more accomplished nor better settled than that
which existed in the previous era of Communities and common market rather than
Union and citizenship: STELIOS STAVRIDIS, ELIAS MOSSIALOS, ROGER MORGAN and HOWARD
MACHIN (eds.), New Challenges to the European Union: Policies and Policy-making,
Aldershot, 1997; MASSIMO LA TORRE (ed.), European Citizenship: An Institutional Challenge, Dordrecht 1998; J.H.H. WEILER, The Constitution of Europe: Do the new clothes
have an emperor? and other essays on European integration, Cambridge 1999; MICHAEL
BURGESS, Federalism and European Union: The Building of Europe, 1950-2000, London
2000; RICHARD BELLAMY and ALEX WARLEIGH (eds.), Citizenship and Governance in the
European Union, London 2001.
(6) YVES BEIGBEDER, International Monitoring of Plebiscites, Referenda and National Elections: Self-Determination and Transition to Democracy, Dordrecht 1994; ARNE
TOSTENSEN, DOEKE FABER and KARIJN DE JONG, Towards an integrated approach to election
observation? Professionalising European long-term election observation missions, Maastricht 1997; KEVIN J. MIDDLEBROOK (ed.), Election Observation and Democratic Transitions in Latin America, San Diego 1998; KRISHNA KUMAR (ed.), Postconflict Elections,
Democratization, and International Assistance, Boulder 1998.

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BARTOLOME
u CLAVERO

which illustrates the potentiality of not so much the observation task


as of the observing agents, Member States and their Union
Europe. In other words, constitutionally speaking, I aim to observe
myself and try to make my readers observe a living test of virtual
citizenships both American and European. The view from aloft
yields not outlines but perspectives, not profiles but frames. From
distant America, a close up image of Europes constitutional heartbeat can be obtained, or so I hope.
Thanks to the non-financial nature of electoral observation as a
form of international co-operation, the fostering of democracy and
promotion of rights through its performance may offer us mirror
images of Europes and Americas respective polities or constituencies. Their subject and agent is citizenship, virtual and who knows if
virtuous citizenships in the plural, both American and European,
like the Peruvian, the Swedish and, of course, the Unions. Let us
enter present history with past dimension and future projection.
Here in the introduction, I would not be understood if I announce
that we are about to visit the future, the most virtual history. Europe
itself will lead us to virtuality. Let us travel through the web. It will
give us virtual information for actual reflection.
2.

Elections as human rights events: international standards for


European operations.

Entering the Unions web site, we are greeted in the eleven


official languages of the fifteen current Member States. We shall
choose the English version, as this is by far the most common
language, with the widest range of information and the most complete documents (7). Let us go to the EU, European Union. We shall
enter through External Relations, and by way of a window which
opens up Policies, Programmes and Projects, reach a matter defined
as Human Rights and Democratisation. There we come across election co-operation, Electoral Assistance and Observation, where one
of the largest sections concerns the 2001 operation in Peru, the issue
of this particular study (8). Reference documents for introduction
(7 )
( 8)

The virtual current doorway into Europe: http://www.europa.eu.int.


Direct link: http://europa.eu.int/comm/external-relations/human-rights/eu-

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

and explanation are available. In terms that are more general, they
deal with democratisation tasks via election observation and other
means such as election process direct assistance. Here we have
reports and records concerning this external activity carried out by
the European Union. Now, as from 2002, there is also immediate
access to the site of Europeaid, the brand new European office for
co-operation (9).
Between November 2000 and mid 2001 the European Commission produces reports on election observation and assistance strategies which are working papers concerning the fostering of democracy and human rights to be consulted with other main European
institutions, the Council and Parliament. They define the current
framework of the pursuit. Furthermore, they coincide with the
preparation and execution of the electoral observation in Peru
election-ass-observ/index.httm. The documentation is in acrobat reader, which allows
page quotes. To begin with I visited the site in July 2001, leaving around this moment,
or more correctly with an annual report corresponding to October, the material
consulted to reflect the state of the Peruvian electoral observation that will concern us.
The European web page design dates from 1995 and it is already overloaded with
information. The eu key is due to change from subdomain to domain, with a complete
overhaul of the web site.
(9) Europeaid: http://europa.eu.int/comm/europeaid/projects/eidhr/index-en.htm,
with its disclaimer: The Commission accepts no responsibility or liability whatsoever
with regard to the material on this site (...). Please note that it cannot be guaranteed that
a document available on-line exactly reproduces an officially adopted text. Only
European Union legislation published in the paper editions of the Official Journal of the
European Communities is deemed authentic (). This disclaimer is not intended to
limit the liability of the Commission in contravention of any requirements laid down in
applicable national law nor to exclude its liability for matters which may not be excluded
under that law. As for the accountability, the problem lies in the latter, of course. As
for the information on electoral observation, Europeaid (European Initiative for Democracy and Human Rights; director, FRANCESCO DE ANGELIS) does not integrate the previous
documentation on its web site. It remains on that of Human Rights and Democratization
subsidiary (also on the web) to External Relations (commissioner, CHRIS PATTEN). In the
latter, you can still (mid-2002) find the address for the Peru-2001 operation that we are
going to consider (http://www.moeue-peru.org), but as a dead-end, linking to nowhere.
At least virtually, I mean on the net, there is a lack of co-ordination among European
offices that we shall tackle not in cyberspace, but in Peru. In fact, it is the Peruvian side,
namely Peru Virtual, which has saved the European observation site there:
http://www.peruvirtual.net/moeue (MOEUE, Misio n de Observacio n Electoral de la Unio n
Europea).

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BARTOLOME
u CLAVERO

which we are bound to consider. For reasons firstly of importance


and secondly of coincidence, we should begin to peruse all this on
the screen rather than in any other sources of information such as
books. According to its testimony, at the beginning of this millennium we are witnesses to a phase of increase and consolidation in the
specific field of external action through observation and assistance
for democratisation. In recent years, European electoral missions
have grown in frequency while co-operation has increased in
general, but up to now the experiences gained have not been
compiled systematically (10).
The European Parliament requests a statement from the Commission on the external performance of electoral observation, to
which the latter replies with a clear principle at the end of 2000:
Elections are human rights events, and an initial legal position vis
a` vis voting as well as observing procedures, for both the execution
and supervising of elections. The basic international criteria for the
validation of observed elections are in Article 21 of the Universal
Declaration of Human Rights (11). Let us recall the complete
original tenor of this term of reference: 1. Everyone has the right to
take part in the government of his country, directly or through freely
chosen representatives. 2. Everyone has the right to equal access to
public service in his country. 3. The will of the people shall be the
basis of the authority of government; this will shall be expressed in
periodic and genuine elections which shall be by universal and equal
suffrage and shall be held by secret vote or by equivalent free voting
procedures (12).
Electoral observation and assistance is a form of international
co-operation whose common objective is democracy through election processes: Election observation is the political complement to
election assistance. Guided by the principles of impartiality, transparency and professionalism, observations goals, always within the
(10) Communication from the Commission on EU Election Assistance and Observation (4-XI-2000), p. 3.
(11) Communication from the Commission (4-XI-2000), pp. 4-5.
(12) For international documentation on human rights, the best up-to-date collection can be found online at the United Nations High Commissioner for Human
Rights web site: http://www.unhchr.ch. The Universal Declaration is available in more
than three hundred languages, not only state ones.

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(2002)

human rights perspective, are to deter fraud, prevent conflicts,


acknowledge legitimisation of an electoral process and enhance
domestic and international confidence. To do more would be inappropriate: Democracy can be supported, but cannot be imposed by
foreigners. Elections constitute one of several key and co-operation
scenarios where the goal of democracy cannot be enforced. With
these established intentions, European electoral observations have
been formally organised for almost a decade (13).
A working paper previous to this declaration coincides in the
placing of electoral observation in the broader context of cooperation in support of democracy with an identical authority and
perspective of human rights: The Human Rights Regulations authorise Community support for the process of democratisation, in
particular, for the electoral process and equal participation of the
people. This slant places the issue as one more on the programme
for this kind of rightful co-operation. Here is the agenda of the day,
or rather the year 2000: The fight against torture, the death penalty,
and racism and xenophobia. Human rights education and freedom
of expression. Economic, social, civil and political rights. The
protection of vulnerable groups, especially children. The promotion
and protection of the rights of women. The promotion of democracy
and the rule of law, and observation finally in this last section. The
significance and importance of electoral observation are manifest in
the European Unions global and virtual commitment to human
rights and democracy (14).
As well as children and women, the agenda also includes victims
of torture, displaced persons and refugees among vulnerable groups.
As different and distinct categories, national minorities are deemed
(13) Communication from the Commission (4-XI-2000), pages quoted above, and
in Annexe I, pp. 25-31, with an overview of European election observation and
assistance operations, from those of the Russian parliamentary elections in December
1993, and from there onwards in almost all parts of the world, except for those of
Europe itself or of member States; Council Conclusions on EU Election Assistance and
Observation (31-V-2001), p. 207, conclusions which repeated as objectives are included
as an annexe, the twelfth, in the third Annual Report on Human Rights (8-X-2001):
http://europa.eu.int/comm/external-relations/human-rights/doc/report-01-en.pdf.
(14) Commission Staff working document. Report on the implementation of the
European Initiative for Democracy and Human Rights in 2000 (22-V-2001), pp. 6 and 9.

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BARTOLOME
u CLAVERO

to be included, as well as indigenous peoples, these also in the plural,


since the singular form, indigenous people, would poorly describe a
non-differentiated indigenous population. These peoples stand out
particularly in accordance with a concept which we shall refer to
later, that of the International Labour Organisation Convention on
Indigenous and Tribal Peoples in Independent Countries. Take
heed, for it will be a sensitive issue in the Peruvian case. Let us also
add that, for the sake of interest, this distinction between national
minorities and indigenous peoples is not always maintained in the
same virtual image of European reference documents (15).
Elections are human rights events, it should always be
stressed, as it is constantly by the European Union (16). If cooperation is specifically concerned with human sharing in equal
rights, dialogue is its medium. We have already been warned that
assistance is appropriate, but enforcement is unsuitable. Democracy can be supported, but cannot be imposed by foreigners nor by
fellow citizens, as it should be added. Dialogue to foster democracy
and human rights constitutes the channel and conditions for cooperation, even economic: Since 1992, the EC has included in all its
agreements with third countries a clause defining respect for human
rights and democracy as essential elements in the EUs relationship.
Within this context, defined at the time of the birth of the Union in
1993, the practice of lawful election observation was commenced,
without a continuity solution up to the present and beyond (17).
(15) Commission Staff Working Document (22-V-2001), index and pp. 46-47;
Communication from the Commission to the Council and the European Parliament: The
European Unions role in promoting human rights and democratisation in third Countries
(8-V-2001), p. 17. Now, as from 2002, there is a European page on the web Promoting
and Protecting the Rights of Indigenous Peoples, under this patronizing approach:
http://europa.eu.int/comm/external-relations/human-rights/ip/index.htm,
the
same
phrasing for Promoting and Protecting the Rights of Minorities: http://europa.eu.int/
comm/external-relations/human-rights/rm/index.htm.
(16) The emphasis is particularly noticeable right from the start of the Council
Conclusions on EU Election Assistance and Observation (31-V-2001): Genuine elections
are an essential step in the democratisation process. They pre-suppose the full enjoyment
of a wide range of human rights and fundamental freedoms.
(17) Commission Communication on the inclusion of respect for democratic principles and human rights in agreements between the Community and third Countries
(23-V-1995); Communication from the Commission to the Council and the European

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Virtuality is not always so clearly defined on European web


pages, as we have already noticed with regard to the distinction
between indigenous peoples and national minorities. When it comes
to defining the terms of reference for election observation or assistance, the authority and perspective of human rights are not so
clearly specified. In the guidelines for individual operations, another
type of definition tends to appear instead, that of related but rather
less demanding international standards. They do at least define
conditions for co-operation beginning with universal suffrage as a
right together with other associated ones. Here are the requirements: Franchise is genuinely universal; political parties and individual candidates are able to enjoy their legitimate right to take part
in the election; there is freedom of expression allowing possible
criticism of the incumbent government and the right to free movement and assembly; all contesting parties and candidates have
reasonable access to the media (18).
However, principles defined only as international standards
could introduce slackness and even relativity into the very heart of
human rights. We continue in their terrain, but on a lower level of
commitment, which becomes more evident when dealing with transitional elections following military dictatorships or corrupted regimes, the Peruvian case in 2001. Election observations are temporary actions carried out in the face of constitutional transitions. In
these circumstances, as international standards standing for human
rights, less demanding requirements can be assumed and recommended without the slightest hesitation, and easily so as we shall see
later regarding the Peruvian case. Let us not anticipate challenges
and checks. We are concerned here with the fact that when a more
neutral and less expressive term of reference is adopted as measuring stick, in this case international standards, the task is not intended
to be resolutely and clearly carried out with the more precise and
committed human rights standards. When specifying criteria for
observation reports, standards which are less defined and therefore
Parliament (8-V-2001), p. 4; Council Conclusions on the European Unions role in
promoting human rights and democratisation in third Countries (25-VI-2001).
(18) Communication from the Commission to the Council and the European
Parliament (8-V-2001), p. 35.

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less committed, the so-called international, are the specific measuring stick employed. Thus with this reference to form and content,
the election observation concerning Peru has had to issue its report.
But let us not anticipate events.
We are concerned here with the fact that when a more neutral
and even inexpressive term is adopted, in this case international
standards, it does not appear that the task is being resolutely and
clearly carried out with the more precise and committed human
rights standards. It would seem that the latter, human rights, are
useful only to legitimise the observation, not to constitute its rule.
For these, mere international standards are deemed sufficient. Is
there a difference or are they two ways of understanding the same
unique idea? In the latter supposition, why duplicate syntagma?
Why this insistence on human rights when operations are conceived,
justified, planned and explained only for international standards to
appear at the very moment of implementation?
For the evaluating of elections, what can international standards
be if they are clearly not the same as human rights, or are not
identified exactly with international law as conceived by the United
Nations from the Universal Declaration on Human Rights whose
article 21 set the first principle? Everyone has the right to take part
in the government of his country, directly or through freely chosen
representatives; the will of the people shall be the basis of the
authority of government; this will shall be expressed in periodic and
genuine elections which shall be by universal and equal suffrage and
shall be held by secrete vote or by equivalent free voting procedures. These words mark the mere beginning of an intensive
development that with its ups and downs has continued for just over
fifty years. As we shall verify both in America and in Europe, human
rights are today not only those of the Universal Declaration resolutely and clearly carried out with the more precise and committed
human rights standards.
If the present legislative body of the international law of human
rights is not what defines and specifies standards, what else might it
be? There is no clear answer to this, for there is no real alternative.
In practice, although bearing some association to human rights,
especially to political ones, international standards are somewhat
elusive and intuitive. With the connection in mind, this reference to

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

standards can be considered in the light of the lowest rather than


highest common denominator taken from the conventions and
performances of States which believe themselves to be constitutional
and democratic. If the election observation and its staff are European, the standards derived from political experience common to
the respective countries might be adopted more or less implicitly or
surreptitiously as international standards. This of course can be the
result of a certain distancing or dubious mediation regarding human
rights principles always in the background. Yet this does not mean
that the concealing effect is inevitable when, avoiding express
reference to human rights, standards are relaxed and may be biased.
In the case of Peru, which we shall now consider, the sensitivity
and prudence shown by the observation staff has prevented or at
least mitigated the negative consequence. Leaving aside the Swedish
syndrome, which I shall discuss later, it was only on the part of
European Parliamentary members who participated in the observation that Europe was publicly held up as an example and guide for
democracy and rights. This could be a sort of tribute to principles,
asserting European instruments and mechanisms to this effect,
without brandishing therefore the Union or the Member States
political and legal practices as a universal model (19). The so-called
core team, that is the leading group of the observation in the field,
played safe by avoiding the European reference among the authorities of their public statements and reports and including a human
rights framework without European documents on the Peruvian
operations web site. We included instruments from the United
Nations: Universal Declaration of Human Rights, Declaration on the
Elimination of All Forms of Racial Discrimination, Covenants on
Civil and Political Rights, and Economic, Social and Cultural Rights,
(19) This specifically concerned the reference to the European Unions recent
Charter of Fundamental Rights as a model. At the time and in those circumstances I did
not discuss what I considered to be its serious deficiencies, with regard to Europe itself
and also America. I shall not do so now, but later on, when we have cause. I do not know
what degree of comparative knowledge some members of the European Parliament
possess, concerning declarations of rights, but it is clear that they took for granted that
a European instrument is superior to any Latin or Inter-American equivalent, or even
pertaining to the United Nations. We shall have a very telling anecdote about this
neo-colonialist mentality regarding election rules.

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u CLAVERO

Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination


against Women, Declaration on the Rights of Persons Belonging to
National or Ethnic, Religious and Linguistic Minorities, and finally,
in keeping with the view of the United Nations High Commissioner
for Human Rights and with the fact of its ratification by Peru, the
Convention on Indigenous and Tribal Peoples in Independent
Countries of the International Labour Organisation (20). The European Unions criteria were thus complied with: Elections are
human rights events in America as much as in Europe, in Peru as
much as in Sweden. We shall check all of this at a later point.
We are not yet in America. We are still in Europe, on the
European Unions web site, which includes a link to the Peruvian
electoral observations own page as long as this remains active (21).
(20) Marco de derechos humanos, framework of human rights, in the current
container of our web site: http://www.peruvirtual.net/moeue/humanr.htm. The one also
quoted above from the High Commissioner for Human Rights contains the Convention
of the International Labour Organisation on Indigenous and Tribal Peoples in Independent Countries as a human rights instrument. I must say that the field management
team itself had doubts concerning the appropriateness of the inclusion of the whole
marco or framework. This was because functionally we had on the one hand to comply
with the Peruvian legal system and on the other, do everything possible to manifest the
nature of European observation. Thus, we also included the Peruvian legal framework
for the elections as well as a link with the European Unions human rights and
democratisation site. During the election process, regarding human rights, the Ombudsmans Office distinguished itself and stood out among the other Peruvian institutions. As
for the observation web page, a precedent is maybe established, because the one for the
elections in Ecuador, 2002, constitutes a good copy, including the framework on human
rights: http://www.ue-moee.org (chief observer, EMMA BONINO; deputy, RAFAEL LOu PEZPINTOR).
(21) This is where the most complete information was found regarding European
Union electoral observation during the 2001 Peruvian General Elections which concern
us now: http://www.moeue-peru.org, designed and programmed by MORELLA REYES,
saved in http://www.peruvirtual.net/moeue. I use the past tense for the reference to the
first address because the site has expired, as it was only a twelve-month contract and the
European Commission (which is after all its home) had not saved it on its own web site,
where now (mid-2002), the respective link is a dead-end, as we know. Among other
various observations in Peru, there has been one other with its own web site, that of the
Organisation of American States, which I shall refer to. This site is however even more
short-lived as it closed as soon as the elections were over, not remaining in its respective
home: http://www.oas.org. Anyway, with the help of MORELLA REYES, I have also saved
http://www.moeue-peru.org on CD a new element in archives and libraries to solve

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(2002)

For the moment, we stay at home, at the European homepage. We


are in virtual Europe on the web, where its self-image seems
certainly exemplary. For now, we shall not question this makebelieve. I have already warned that I am not intending to make a
comparison of virtualities with realities as if they were mutually
exclusive dimensions.
From a more elementary viewpoint, an attempt could be made
to compare Europe as a virtuality with the States as a reality. It could
be maliciously insinuated that the European Union can afford its
own construction of a foreign policy especially centred on cooperation in promotion of democracy and rights as the means and
condition for economic assistance, for there are Member States with
ample experience and a surplus of determination for the more
traditional diplomacy which entails interests and pressures. Within
the European Union, the co-ordination termed Common Foreign
and Security Policy can be considered at both central and local
levels, among the States themselves and among their embassies, in
such a way that it always tries to emphasise international cooperations more acceptable dimension, that of human rights even to
economic assistance. The Member States main remaining foreign
action according to their own interests and their own co-operation
programmes might be what enables the virtuality of the beautiful
image of a common fac ade, the Unions at least on the web (22).
All this may be true, but it is not our business or commitment
now. It is not that I myself deny it, but it is simply not the object of
our consideration at this moment. We are not facing a tangible (if it
were clearly distinguishable) but rather an intangible reality, which
involves committed virtuality. The European Union certainly commits itself with its offer of an image that is very different to the one
which States at one time had of themselves and of each other, or to
the image which they can in fact continue to maintain even with all
the international co-operation they provide, together with all the
commitment to human rights from which their politics may also
both the nets transformation and volatility as a source of immediate history. Who will
save the present European site when it is redesigned, as scheduled?
(22) Council Conclusions on EU Election Assistance and Observation (31-V-2001),
p. 208.

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BARTOLOME
u CLAVERO

arise. The magic of computer technology now helps everybody,


although it is not sufficient of course. It is likely that the States
themselves are less able to make the attempt. For verification
purposes their web sites can be visited (23).
Election observation, which is in a stage of marked development, predominates in the field of external action trying to promote
democratisation. It is not an exclusive invention of the European
Union. Member States have also considered it, but they tend to cede
this specific field to the Union itself with a kind of diplomatic role
division between virtuality and reality. Abroad, in America itself,
there exist institutions which are becoming specialised, and they
compete with Europe in the observation task or in direct election
assistance (24). Between one and the other, the trend is moving from
mere practice to formal action, from political experience to legal
institutions regulated particularly by codes of conduct in ethic
terms, regarding not only observation but also the more inclusive
co-operation for democratisation, which furthermore contemplates
direct assistance in the electoral field and thus the elections themselves (25). Each observation task may have its regulations added to
(23) As we are going to deal with Sweden, the test can be made with the case:
http://www.sweden.gov.se; for a direct entry to Virtual Sweden: http://www.sweden.
se/si/67.cs.
(24) In America, as well as the Organisation of American States and the United
Nations, the International Foundation for Electoral Systems (http://www.ifes.org) and
CAPEL, Centro de Asesora y Promocio n Electoral del Instituto Interamericano de
Derechos Humanos (http://www.iidh.ed.cr/siii/index-fl.htm), deal in a more specialised
manner with electoral observation and assistance. The tandem formed by NDI-CC,
National Democratic Institute for International Affairs - Carter Center (http://www.
ndi.org; http://www.cartercenter.org) also participates, and more directly, on the part of
the United States, USAID, United States Agency for International Development
(http://www.usaid.gov). They are all live presences in the Peruvian 2001 general elections: the Organisation of American States (chief observer, EDUARDO STEIN), the NDICarter Center (chief observers, JIMMY CARTER and MADELEINE ALBRIGHT; deputy, LUIS
NUNES), and, giving direct assistance (which covers a large part of the Peruvian electoral
budget) USAID, IFES and CAPEL.
(25) RAFAEL LOu PEZ PINTOR, Electoral Management Bodies as Institutions of Governance, New York 2000, pp. 87-117, a UNDP publication. Among its activities in support
of development, this UN agency (United Nations Development Programme) includes
electoral co-operation and supervision (http://www.undp.org). Through a decision taken
by the Council in 1998 the European observations code of conduct was designed and

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

through inter-government agreements with a minimum basis for the


observations undertaking, and also upon the same background,
through conditions set by the co-operating party, the European
Union in this case (26).
We have arrived at the most specific question which I wish to
consider, the virtual significance and reach of the activity of cooperation in support of democracy and rights between Europe as
the active subject and America as the passive object of observation,
as we endeavour to observe the resulting display of reflecting images
that are not merely ideal but also real in their way images of States
and the Union among the European ones (27). I say America and I
should say Peru more specifically. The most documented observadefined: Communication from the Commission (8-V-2001), pp. 36-37. R. LOu PEZ PINTOR
reports on the codes drawn up in 1997-1998 by IDEA (Institute for Democracy and
Electoral Assistance whose headquarters are in Sweden, to which I shall refer further
on), and also more recently those of the Electoral Observation Handbook by the
Organisation for Security and Co-operation in Europe, with true electoral observation
and assistance experience in the other European arena, external to the Union:
http://www.osce.org/odihr/elections.
(26) The following is a list of what might be more specifically understood as legal
sources or political substitutes for European electoral observation in the Peruvian case
which concerns us: a formal letter of invitation from the Peruvian Government; a
proposal of agreement concerning the privileges and immunities of the electoral process
observers; the European Parliaments resolution regarding active support for the
Peruvian transition; an agreement with the National Electoral Jury, the highest Peruvian
authority in this electoral field; precautions contained in Perus Elections Statute,
regarding national electoral observation and extendable to international observation;
terms of reference drawn up by the European Commission and which include the code
of conduct; accredited practices from preceding observations; resolutions regarding the
running of the National Office of the Electoral Processes, the institution in charge of
organisation and electoral administration; other decisions proceeding from the Delegation of the European Commission in Lima and from the so-called core team; and other
criteria somehow improvised as the need arises, which may be usual when an activity of
public character, responsibility and budget is inadequately regulated or deficiently
subject to rule of law in its point both of European origin and American destination.
(27) As regards the European approach, http://europa.eu.int/comm/externalrelations/peru/intro/comm-patten.htm. The following section referring more specifically
to Peru was presented and debated in the congress on Citizenship, Political Culture and
State Reform in Latin America of Michoacan College, Mexico, 24-26 October 2001. I also
brought its publication forward in the Revista de Estudios Polticos, 114, 2001, pp. 11-39,
and previously online: http://geocities.com/alertanet2/pe-BClavero.htm.

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BARTOLOME
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tion case on the European Union web site is the Peruvian one. Let
us journey towards it.
3.

Observation as virtualisation: unforeseen results in Peru.

The European Unions observation during the parliamentary


and presidential elections in Peru 2001 is one that has reached
considerable proportions in relation to size and duration compared
with the past average in this type of initiative. It was independent,
since it was not covered by the United Nations, the Organisation of
American States or any other international presence or concurrence,
and it relied on its own staff and substantial resources for the virtual
satisfaction of its objectives, together with official support (and not
just the formal invitation) on the part of the Peruvian executive (28).
After the failure of such a corrupt regime as the one presided in
Peru by Alberto Fujimori during the nineties and the start of a
transition firmly committed to fair elections, the European operation
was put in motion and deployed on the spot (29). As for observation
staff, it consisted fundamentally of five people (six in theory) in the
(28) In contrast with the occasional incomprehension and reluctance shown by
the electoral institutions, the President of the Republic, VALENTIuN PANIAGUA, and the
President of the Government and Foreign Secretary, JAVIER PEu REZ DE CUEu LLAR (exGeneral Secretary of the United Nations) were particularly welcoming and receptive.
Especially effective support was given by the political institution for promotion and
protection of constitutional rights, the Ombudsmans Office, Defensora del Pueblo
(chief defensor, WALTER ALBAu N; deputy for constitutional matters, SAMUEL ABAD; expert
for electoral supervision, WILLIAN LOu PEZ) and by the civil association or NGO Transparencia (president, SALVADOR LERNER; general secretary, RAFAEL RONCAGLIOLO). Other
non-governmental organisations also took part. The Coordinadora Nacional de Derechos
Humanos offered substantiated reports. The Consejo por la Paz gave advice and
assistance with regard to more problematic areas. The Instituto Apoyo was contracted to
provide administration assistance, and also offered information service. On a more
personal level, DANIEL MARTIuNEZ and MARY LUZ VEGA from the International Labour
Organisation Lima headquarters acted as presenters and guides in local, not only trade
union spheres. I shall refer to more support cases further on. It is not at all necessary to
state that the responsibility for the present report is entirely my own.
(29) Commission Staff Working Document (22-V-2001), p. 10: In Peru, E
1.749.000 was allocated for the establishment of a EU election observation mission.
Record of the financial allocation may be found in http://europa.eu.int/comm/europeaid/
reports/compendium2001macro.pdf, p. 165. For reasons explained below, I am avoiding

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leading core team, twelve others for process and electoral campaign
witnessing and analysing, and a contingent of over fifty to reinforce
supervision on the eve of and during election days. All in all the
operation lasted practically four months between mid-February with
the first briefing meeting for observation personnel while still in
Europe, and mid-June on the final withdrawal of the core team
following a thirteen week stay in Peru (though with staggered
vacation short breaks, not affecting the operations continuity)
together most of the time with the twelve long term observers,
leaders usually in Lima and the latter deployed throughout the
country (30). Real group research work lay behind; ahead lay the
writing up of a collective report which, in keeping with the principles of co-operation, was to include recommendations for the
Peruvian citizens and authorities concerning the electoral system
and practice (31).
New virtualities appear, one of a vision to obtain an understanding and one of determination to achieve experience. The official
report offers the results of the observation as a form of virtualisation
in electoral matters. It proves apparent accordance between image
the use of the name mission, although long-coined and thus useful in the international
field.
(30) The core team members in the field were Ulrich Fanger as legal and election
advisor, Adolfo Cayuso as observers co-ordinator, Andrea Malnati as media and
research advisor; Scipion du Chatenet as security and logistic advisor (the head of
mission was missing, as I shall explain, and I am the fifth man of course). The long term
observers were Delphine Blanchet and Nils Meyer in Arequipa, Sonia Franco and
Thomas Boserup in Iquitos, Pedro Lacunza and Sikke Bruinsma in Ayacucho, Bjo rne
Folke and Jean Leloutre in La Libertad and Lambayeque, Tiina Heino and Miguel
Alonso-Majarangranzas in Apurimac, Cusco and Puno, and Lars Tollemark and Richard
Atwood in Lima. Some employees, namely Leo Cardinaels and Marisol Herna ndez,
collaborated diligently in the very observation work above their administrative tasks. The
human factor has been shown to be a crucial key for any history, not only micro.
(31) The Final Report of the Peru-2001 electoral observation can be found on the
European Union web site (http://europa.eu.int/comm/external-relations/human-rights/euelection-ass-observ/peru/final-report.pdf) that also houses several of the preparatory pronouncements and public statements, though not the periodical reports classified as reserved. As we know, the documentation is not on the Europeaid site, but only on the one
of Human Rights and Democratisation. The most complete public information, including
the official report also in Spanish, Informe Final, is to be found on the observation site:
http://www.peruvirtual.net/moeue.

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and evidence. The European observation reported that the elections


held in Peru 2001 adhered to international standards. Put very
briefly, for this external vision, those from Europe who were present
witnessed fairly clean elections during a somewhat shady process,
not so much due to political contamination at that moment as arising
from fundamental institutional problems which could affect human
rights standards. Let us offer and carefully consider European visions
rather than Peruvian realities. I shall make use of assessments made
by the foreign observation team and of one observer, myself, pointing out the two sources wherever necessary to avoid any misunderstanding.
From now on, I shall put forward images as if they were realities,
as if the limited European observation explained the complex
Peruvian system. Its scope certainly does not cover much, for as far
as size is concerned, only some four hundred voting stations out of
a total of over ninety thousand were covered by the European
observation with varying intensity. This number is quite serious:
around ninety-five thousand in all if the voting stations set up abroad
are included. Of course, group research by means of selection and
sampling is a method which can improve results. There is also the
supporting testimony, though not in the critical aspect, of other
observation operations which, because they are domestic, or run by
Peruvian citizens, are supposed to be more competent and authorised (32). In any case, the limitations of the quest are evident. With
this warning in mind, let us proceed. It is not a question of
explaining an electoral system, still less a chronicle of elections. We
are concerned instead with trying to achieve a virtual depiction,
provided that we cannot acquire a realistic picture and do not desire
an official portrait. We are not interested in the electoral view
(32) I refer to previously mentioned entities, the Defensor del Pueblo (DF) or
Ombudsmans Office (http://www.ombudsman.gob.pe), and the civic association Transparencia (http://www.transparencia.org.pe), both of which have outstanding experience
in electoral supervision. Among other concerned addresses, the already mentioned
Coordinadora Nacional de Derechos Humanos (http://www.dhperu.org), along with the
Comisio n Andina de Juristas (http://www.cajpe.org.pe/rij), the Instituto de Defensa Legal
(http://www.idl.org.pe) and Alertanet (http://geocities.com/alertanet/peru.html) also deserve recommendation.

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offered by the State itself through its legal system (33), but rather in
its dynamics and their result.
Let us start at the top just for the sake of itinerary. When the
European observation team arrives in situ, it is confronted to begin
with by a schedule of interviews with higher election institutions.
This start could affect visibility somewhat and even seriously influence insight, which in effect occurred to a greater extent as a
consequence of the Swedish embassys initial mediation, acting in its
own interests, a matter I shall deal with further on. No great damage
was done. We had sufficient time and means for checking. Therefore, I am not going to follow the trail of evidence, but just the route
through short cuts. I shall begin at the top in accordance not with
early sensations, but with the final proofs, with those particularly
concerning human rights standards.
With a view now to political neutrality, the Peruvian elections in
2001 are presided by a substantially judiciary body, the so-called
National Electoral Jury, and managed by a different autonomous
office, the National Office of the Electoral Processes (34). The
highest electoral authority, the National Jury, is a body sensitive to
political party claims as it is oblivious to public or more general
interests, for example the rapid settlement of electoral disputes in a
delicate stage of transition. Actually, while the law provides only for
(33) DIETER NOHLEN, SONIA PICADO and DANIEL ZOVATTO (eds.), Tratado de
Derecho Electoral Comparado de Ame rica Latina, Me xico 1998.
(34) Jurado Nacional de Elecciones (JNE, National Electoral Jury:
http://www.jne.gob.pe; president, MANUEL SAu NCHEZ PALACIOS; members, FLORA ADELAIDA
BOLIuVAR, GASTOu N SOTO, CARLOS VELA Y RAMIRO DE VALDIVIA), escorted by the Oficina
Nacional de Procesos Electorales (ONPE, National Office of the Electoral Processes:
http://www.onpe.gob.pe; chief, FERNANDO TUESTA) and also by the Registro Nacional de
Identificacio n y Estado Civil (RENIEC, National Record of Identification and Civil
Status: http://www.identidad.gob.pe; chief, CELEDONIO MEu NDEZ). This trinity forms the
Sistema electoral of the 1993 Constitution which (as near in time as distant in spirit) still
rules over the general elections of 2001. It establishes this institutional tripartite electoral
scheme independent from the branches of government. With supreme jurisdiction,
ruling power, legislative initiative and supervising empowerment, the National Electoral
Jury presides. The National Office of the Electoral Processes organises. The National
Record of Identification and Civil Status assists with its own authority for census
elaboration and identity accreditation. The principal positions in these electoral institutions are appointed not by the executive branch, but by ordinary judiciary bodies or by
ones belonging to constitutional realms.

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special and summary electoral remedies, ordinary appeals are accepted in addition (35). This situation causes a considerable delay
thereby endangering both internal and foreign confidence in the
current process. The Peruvian executive itself, which has no authority concerning the management of the election process for reasons of
neutrality, utters warnings about the serious delays caused by jurisdictional deference in face of party claims between the two rounds
required for the presidential election, due to the failure to achieve
absolute majority in the first. While the parliamentary and presidential elections were held on the eighth of April, the second round for
the presidency took place on the third of June.
The supreme electoral bodys desire to satisfy the political
parties does not mean that it is sensitive to citizens rights. This is the
issue which mainly concerns us. In order to foster womens political
participation the law establishes a gender quota in the electoral rolls
which the National Electoral Jury has negligently played down. Peru
is a country with a strong internal migration, where voting is not
voluntary, as we shall see, and postal votes are not allowed except
abroad. To avoid costly and difficult journeys in order to vote the
law requires the installation of temporary residents polling stations,
yet this stipulation has not been fulfilled. The National Electoral
Jury failed to order its compliance. Although the National Office of
the Electoral Processes has signed and carried out an agreement
with the Ombudsmans Office to set up Ombudsman facilities in its
own electoral administration departments, the National Electoral
Jury, which is the superior body, has refused to recognise the
authority of this other constitutional institution, as is the Ombudsmans Office, to defend electoral rights and participation of the
citizenship. The result is that such an important organism, the
supreme one in the electoral field, is deferential not to citizens rights
but to political forces (36).
(35) The same body, el Jurado Nacional de Elecciones, coordinates and publishes,
without concern for contradiction, electoral statutes: Legislacio n Electoral del Peru , Lima
2001.
(36) The administrative autonomy of the National Office of the Electoral Processes, while under the ruling and supervising control of the National Electoral Jury,
allows disparity in relations with the Ombudsmans Office. Regarding the missing
temporary residents polling stations, a biased interpretation of the electoral statues was

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As a final internal jurisdictional resort on electoral issues, except


for penal cases, the National Jury is furthermore given to mere
discretion. There is no further appeal or remedy according to the
Constitution, and the statutes. The same constitutional text strengthens this position, stipulating that this supreme authority in the
electoral field appreciates the facts according to the conscience of
the judges, the members of this so-called Jury. It could hardly be
otherwise if votes can be destroyed immediately after counting, as
we shall see (37). For its part, similarly to its rejection of the
imposed. The law requires these facilities without exceptions, but the electoral institutions understand that they are not viable when the elections are by multiple district, as
are the parliamentary. Votes cast abroad, where in addition to polling stations it is
possible to vote by post, are all assigned to the district capital, the Department of Lima.
There have been no temporary resident votes for presidential elections, for which the
district is unique, as it was argued that the single ballot sheet (with two columns, one for
parliament and one for presidency) did not allow it in the first round, and so neither in
the second round for only the presidency. A parliamentary initiative toward separating
the ballot papers failed when faced with drastic opposition from the National Office of
the Electoral Processes. After failed attempts the National Electoral Jury withdrew
completely from legislative initiatives in election matters. The Ombudsmans Office has
distinguished itself in its scrupulous endeavour to apply the gender quota, meeting with
the National Electoral Jurys utter indifference. This final point is my own appreciation,
not that of the European report.
(37) There has been at least one apparent case of flagrant injustice without
jurisdictional final remedy. The last seat in the Department of Ancash was hard fought
by two political groups, the second and fourth of the final result for the parliament. The
vote sheets were destroyed, according to the statutory rule. The ballot records, of which
there were officially several, differed. The district electoral jury assigns the seat to the
fourth force on a second attempt, after a claim for a repeat which is not legally possible,
but is practised in this way by the electoral jurisdiction in their flattering behaviour to
parties. Through further appeal, the National Electoral Jury allocates it to the second
force, declaring the intermediate claim to be inadmissible in this case (not in all). Going
into even greater, constitutionally unnecessary detail, provided that the Jury decides
according to conscience, it adds a supposedly official expert report as proof privately
done by clerks of the National Record of Identification and Civil Status. This report is
negative for the conflicting electoral record due to a false signature. After the Jurys
decision, the person appearing as the signer proceeds to declare by letter that the
signature is not false, since it is hers. Nevertheless, at this point, the National Electoral
Jury does not even admit a review due to the appearance of this new evidence which may
be decisive. Although the political background to the case shows signs of deliberate
favouritism, I shall avoid the delicate and improper area of imagining motives as it goes
against a constitutional principle like the presumption of innocence.

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Ombudsmans competence, the aforementioned higher electoral


body has shown opposition towards any reform in favour of appeals
to constitutional justice in the interest of rights. It is also reluctant to
accept international jurisdictions authority in election matters on
behalf of political rights. The National Electoral Jury asserts itself as
the absolute last resort (38).
At the other extreme, at the foot of an entire institutional
pyramid, the polling stations are staffed by citizens themselves,
supposedly to guarantee and inspire confidence among them. The
process for selecting this personnel is however highly obscure.
Moreover, the stations are subject to party intervention beyond mere
supervision, which has an undermining effect, above all at the
crucial moment of votes counting and results recording, during the
whole phase of tally and tabulation. The lack of publicity surrounding these operations and the immediate physical destruction of
uncontested ballot sheets renders manipulation all the easier. Previously, in a system of universal suffrage, the selection procedure for
polling stations introduces an elitist feature that facilitates manipulability. Its census is specific and more limited than the universal
voting type. Education is a legal requirement for becoming a
member of the polling stations. The very procedure is carried out
quite secretly among those who satisfy the educational requirements
for the final selection by draw which is held in Lima rather than
locally. Citizens also participate as jury members in the electoral
bodys court of first instance, subsidiary of the National Electoral
Jury, but the selection is also effected through a screening process
which is by no means transparent. Challenges are possible, but bail
demands are prohibitive for most citizens. In the face of such
procedures and their results, spontaneous public discontent, that
(38) This admissibility of appeal in electoral matters, specifically in the interests of
rights, both for the Peruvian Constitutional Court and the American Court of Human
Rights or even before the United Nations Human Rights Committee, the jurisdiction
corresponding to the Covenant on Civil and Political Rights (since these are international
or suprastate authorities recognised by Peru, after an interruption provoked by the
Fujimori regime) is the Ombudsmans constant proposal, based on the principle
expressed in the second quote from my heading: Elecciones 2000. Supervisio n de la
Defensora del Pueblo, Lima 2000, p. 16. The Ombudmans discrediting reports, based
on human rights grounds, were crucial for the induction of the transition.

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which is not channelled by parties or the press, becomes quite


evident here and there, though the information gathered by the
election observation does not allow for generalisation concerning
this very sensitive point (39).
The polling stations carry out the vote counting for the Congress
according to the relatively proportional dHont system, but with
useless and, for the common citizen, almost unintelligible legal
requirements in the way of computing and allocating the electoral
results. The stations tasks are further complicated by the multiplication of official records of tally and tabulation for the institutions,
including the armed forces and political parties, and also by the
electoral authorities determination, beyond the law, to obtain a first
report by means of a selective quick count, without waiting to
formalise all the rest. Regarding the Congress, vote counting is also
complicated by the existence of preferential votes in favour of
individual candidacies in a list system which furthermore attracts
attention and interference from the parties themselves at the decisive
moment of seat allocation. All these complexities, which seem even
partly artificial, constitute a breeding ground for biased party interference in the electoral procedures.
Faced with this combination of factors, it is no indiscretion on
my part if I reveal that opinions were divided within the European
observation itself, even within its core team. There was division
(39) The evidence occurred in Tarapoto, whose department, San Martn, is
already quite conflictive, as the electoral institutions do not have their headquarters in
Moyobamba, the provincial capital, but in the aforementioned city. This caused tension
among the electorship, with road blockades and confiscation of election material. Only
a personal visit provides awareness of the dissatisfaction caused by the influence of
political parties in selections among citizens and polling stations procedures, not to
mention pro-Fujimori presence in the electoral local administration. Likewise, only
direct contact highlights the lack of neutrality and even excessive belligerence on the part
of some departmental heads of electoral authorities. When asked why no formal
challenges had been lodged within the legal deadline against nominations, the citizens
pleaded not only the obstacle that bail posed for access to institutional remedies in the
electoral field, but also an entire range of political pressure and social retaliations where
the law is of no avail. Faced with the risk of legal actions in the opposite direction, in
defence of possible election misdemeanours in institutional positions, the television and
press dealt with the first question, the open conflict between cities, but not with the
second the evident mistrust among citizens at least in that department.

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between those who believe that functional illiterates (meaning those


unable to read and write properly in Spanish and thus deemed to be
weaker and defenceless only for this reason) should be more systematically excluded from institutional membership, and those who
argue that on the contrary, citizens participation and public confidence in the electoral procedures ought always to be paramount. If
the aim of the citizen-staffed electoral stations is not really the latter,
the search for participation and confidence, but rather political and
administrative inability to form them in any other way, a virtue may
be made of necessity. In any case, it should be realised that with all
of this, above all with destruction of ballots at the stations after
counting and allocating, not just the scope for biased party influence
over election results may really extend, but also the directive and
adjudicative final powers of the electoral systems higher body, the
National Electoral Jury, may really be reinforced. There was greater
agreement within the European observation regarding these appraisals which are not usually recognised inside Peru (40).
So, between one extreme of the supreme electoral institutions
legal discretion and the opposite one of grassroots political intervention in electoral procedures by contending parties, all in all, in
spite of everything we have observed, the elections substantially
conformed to international standards under the relative view and
explicit opinion of the European observation team, coinciding
herein with other external as well as domestic observations. This
appraisal is understood in the light of what was observed under the
rules governing international presence. The European report carefully limits itself to matters of electoral regime and practice under
Peruvian constitutional law, which does not signify that the observation did not detect other quite related and highly relevant extremes.
Thus, these Peruvian general elections involved a hundred and
twenty-three representative positions from an electoral census of
around fifteen million in a population of close to twenty-five million
(40) Although there are of course treatises that are more systematic and this is a
rather overwhelming text, the curious manual and unofficial viewpoint of JUAN CARLOS
and RAMIRO VALDIVIA, Diccionario de Derecho Electoral Peruano, Lima 2001, is as
enlightening in what it says as in what it keeps silent.

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according to official statistics (41). They were held for one president,
two vice-presidents and one hundred and twenty single-chamber
parliamentary seats. If this indicates a serious problem of underrepresentation, this is due to not only quantitative but also and
above all qualitative reasons. As a country, Peru has an extremely
diverse population due to the coexistence of regions with different
economies and customs, as well as an abundance of language and
cultural communities, such as the indigenous, without political
representation or constitutional incorporation as collective bodies
under the current constitutional law (42). For the 2001 general
elections the only formally parliamentarian and politically representative house for the whole of Peru is the Congress of the Republic,
with one hundred and twenty seats in Lima, the State capital, and
nowhere else.
Serious problems regarding constitutional foundation on citizenship representation are to be found. When the elections are
declared to conform to international standards, this means, among
other things, that the political agents have had the freedom and
wherewithal to render themselves competitively vivid in the eyes of
citizens. Indeed, it may be said that in general terms this has shown
to be so in the case of the Peruvian 2001 general elections. The
political authorities and police and even military forces have guar(41) The Biblioteca Digital del Instituto Nacional de Estadstica e Informa tica de la
Presidencia del Consejo de Ministros provides a useful virtual site to begin with for
information which is not only statistical: http://www.inei.gob.pe/biblioinei.
(42) Concerning this human diversity, I could refer to any introduction to Peru, but
I must refrain for I do not know of any that is clear and complete. Regarding the most
outstanding aspect of language plurality, there are not only the Quechua and Aymara
cultures shared with Bolivia; the first one being also shared with Ecuador and to some
extent with Colombia, Argentina and Chile. Furthermore, there are those pertaining to
around twenty Amazonian indigenous peoples not all entirely within the state frontiers.
As we shall observe, in the Peruvian constitutional and legal language, this presence is
referred to by the expression peasant and native communities, the latter deemed to be
the Amazonian, as if the former were no longer indigenous. For the international normative
phrasing, especially by virtue of the Convention on Indigenous and Tribal Peoples in
Independent Countries of the International Labour Organisation, both of them are considered as indigenous peoples insofar as they are previous to and have survived colonialism. Until now in Peru no constitutional enactment has led, as we shall confirm, to any
reconsideration of the representative system on behalf of the plurality of peoples which
it embraces, nor even, so far, to a revision of the legal language itself.

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anteed these conditions, beginning with their own neutrality vis a` vis
the electoral offers. However, what is guaranteed to the candidatures or the electoral observations is not extended to the citizen,
either as an individual or collectively. With public order under heavy
military control, and following a cruel period of terrorism and
counter-uprisings, with neither side respecting rights, there is not
the same consideration concerning the exercise of liberties on the
part of either civil associations or the very citizen, the individual (43).
In certain areas, labour unions activity has been curbed on behalf of
voting safety and there have been serious restrictions to personal
liberty on the part of the police, for the same pretext of electoral
peace, with flaunting of military authority as if it enhanced rather
than hindered political free participation (44).
(43) During the last two decades of the twentieth century in Peru, between
terrorism and no less terrorist counter-terrorism, there have been more deaths and
disappearances (many of which have remained unsolved) than in Chile, Argentina or
Uruguay under military regime. If I were asked why the situation is less well-known
abroad, the reason I would give would not be that there were outright dictatorships
inciting opposition in the other countries, but that in Peru it is the case of indigenous
population causing indifference: Ombudsmans Office, Las Voces de los desaparecidos.
Testimonios de los familiares, Lima 2001, voices of the missing through relatives
testimony. In the First Encounter of Indigenous Peoples of Peru, to which I shall refer
later, a dossier on Human Rights Violations by the Armed and Police Forces,
Principales violaciones a los derechos humanos por parte de las Fuerzas Armadas y
Policiales, was passed around, in order to break the silence.
(44) In the long run there were no signs of this particular point in the European
report. Some are to be found in the reports, which are of course much more authoritative
and expert, published on the Peruvian Ombudsmans web site. Yet above all I rely on
my own interviews as deputy head of the European observation with military chiefs of
the civil police in terrorist threatened areas. I was able to travel there and meet them
thanks to the Defence Ministry service corps to such an extent was the Peruvian
government open to international presence in these elections. My indebtedness is also
extended to a previously mentioned non government organisation, the Council for
Peace. The governments direct assistance was also due to self-interest, since after the
journeys each press conference was summoned and presided by the minister. Yet in the
first one, with no other awkwardness apart from the significant silence of the media, I
also pointed out my perception of the armed forces police bias, and not just its electoral
neutrality. The latter, not the former, was publicly agreed with by the other observation
teams also participating in the journeys under military protection, both international
(Organisation of American States and NDI-Carter Center) and domestic (Transparencia
and Consejo por la Paz).

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It should also be noted that the distance between political and civil
liberties, specifically between the right to vote and other civic capacities, widens and grows worse because of the requirements for the
registration of parties or associations for electoral purposes. All the
credentials, programs and documents must be presented in Spanish,
as if it were the only language alive in Peru, together with a collection
of signatures of strict adhesion (not to be repeated in other registration
petitions), constituting one per cent of total votes in the previous
elections. This puts the figure at over one hundred thousand people,
which in turn must be at least five times greater in the polls in order
to maintain the registration which confers representative authorisation and electoral guarantees. Add to this that preventive curbing of
liberties is under military order and served by a police force whose
members lack civil rights, including the right to vote. Contrast all of
this with what has already been written concerning the higher electoral
authorities extreme deference to political forces to the detriment of
citizens rights. All in all, it appears that mental attitude and current
behaviour of public institutions and authorities pose serious problems, both legal and political, to citizenship foundation of the constitutional system and citizens participation in the representative procedures. In both their rules and practice, these same general elections
may constitute the most eloquent sign.
As a clue, let us shed light on an already mentioned extreme, the
mandatory vote. The establishing of universal suffrage, which was the
fruit of the 1979 Constitution, goes hand in hand with an obligation
dating from the time when voting was limited to literate members of
the male sex which is far from the ideals of foundation and participation (45). Together with obligatory military service which is at
present in the process of being abolished, and also with the payment
of taxes, political participation through vote is the main responsibility
and obligation of citizenship. Now, from 1979, universal suffrage,
male and female, is a right from the age of eighteen, and a duty until
(45) MANUEL VICENTE VILLARAu N, Ante-Proyecto de Constitucio n de 1931 por la
Comisio n que e l presidiera. Exposicio n de Motivos, Lima 1962, ed. Luis Echecopar,
(reproduced by Ce sar Landa, ed., Materiales de ensen anza. Historia constitucional del
Peru , Lima 2001), is a historical key text for reasoning in support of literate mens
obligation to vote in the actual oligarchy of that period.

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the age of seventy. Abstention from voting carries a fine which is severe
for the less affluent majority together with another penalty which
could be called accessory. As long as the sanction goes unpaid, citizen
identification is withheld. The constitutional right to identity, and thus
of personal citizenship, is cancelled.
Control used to be achieved by means of an individual voting
credential which registered participation. A state-of-the-art national
identity card has now been introduced, yet it does not fully represent
a constitutional right to identity. A centralised national record of identification and civil status has been set up, taking over what was previously a municipal competence, and it is ordering the electoral roll
while issuing documentation. The new identity document still registers election participation so that in cases of unjustified abstention it
loses its identification function in individual official or private matters
such as judicial and notarial or banking and business. Justification is
as easy for affluent urban people as it is difficult for the rest, but paying
the fine. Although the statute now declares otherwise, citizens do not
find any substantial difference between the old voting credential and
the new identity card as regards the effects of electoral abstention. No
legal case has been heard of where law prevailed over practice to this
effect. Neither in the military, civil, nor private police spheres, nor
criminal and penitentiary areas, is an illegal practice judicially challenged, that of withholding documentation even after the completion
of a prison sentence, thus doubling the punishment by including loss
of identity and impossibility to vote.
Here is a matter that has also seriously divided opinions within
the European observation. Can such a severe system of mandatory
voting and its grave consequences for common people conform to
international standards of democracy and rights? On one hand the
democratic objective of political integration for the entire population can be appreciated; on the other hand, the damaging effect on
a constitutional right to liberty, such as participation might be, is
noticed (46). Anyway, the Europeans observers agree on the excessive severity.
(46) For the democratic argument from Peru, J.C. and R. VALDIVIA, Diccionario de
Derecho Electoral Peruano, entries Votar es obligatorio (e indispensable) and Voto
obligatorio.

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This obligatory nature of voting participation, with its characteristic harshness moreover, is reaching or exceeding limits from
which other previously mentioned problematic aspects might stem,
such as final adjudication at the highest level by the National
Electoral Jury, party intervention at the polling stations, or police
interference to ends other than the peaceful exercise of rights, or
extremely limited political representation with complete disregard
for the existing plurality. Might it be that this insistence on mandatory voting, on forcing the democratic foundation of state institutions precisely in this way rather than in one more in keeping with
the constitutional principles of rights (insofar as they are rights to
freedom before and above all else), is connected to all of this?
We seem to be touching rock bottom. It is not just a question of
the voting system conspiring against representation of plural cultures or peoples, and especially indigenous ones, which seems quite
evident when it is not overlooked (47). It also happens that this same
system, with all these connected aspects, might be the intended
treatment for a deficient constituency, the unstable background of
the constituted State, the deceptively solid appearance of the quicksand which provides precarious foundations to Peru as a body
politic. The obligatory vote, this alleged sign of democracy, may be
a sign of the abyss which yawns at the very feet of the State. With
obligation under threat of a fine together with the withholding of
identity and so on, abstention reaches around twenty per cent,
increasing to over thirty per cent if we add blank and spoiled votes.
What citizenship of what cultural description would there be with
freedom of active as well as passive participation, with the proper
constitutional right to suffrage? What do all these details tell us?
To begin with, according to such evidence, the electoral system
is seeking the States legitimisation rather than citizen representation
or citizenships existence as the proper agent. In addition, at least in
the case of peoples with different cultures to that of the State,
citizens chief expectations may be placed not exactly on represen(47) Still within the Amazonian context, for there are no, or I am not aware of,
more comprehensive studies, JAVIER ECHEVARRIuA, Las comunidades nativas y el sistema
electoral peruano, in MILKA CASTRO (ed.), Derecho consuetudinario y pluralismo legal,
Arica 2000, vol. II, pp. 575-587.

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u CLAVERO

tative but rather on community ways, or on the latter as a primary


basis for the former, thus secondary for them. There is even some
sign of this in the established electoral system (48). At all events, the
very constituency by all or even most of the citizenship through
mandatory universal suffrage is a fake and does not work, except for
the benefit of the State, not of the citizens. If this is the case, it is a
failure due precisely to the manner in which it is conceived and the
way in which the State functions. From the States perspective, as
soon as its constitutional system and political practice is deemed
democratic by international opinion through electoral observations
and cooperative relations, it may seem a success and not a frustration.
The very idea and practice of democracy as legitimising principle and legitimated objective may not always coincide in the
political and civic I mean somehow popular sense. Sometimes,
there is a deep-rooted conflict which has been clearly detected in
other latitudes (49). Of course, the experience is also European. The
constitutional debate concerning virtual representation, that is parliamentary claims of higher regulatory authority lacking a real base
of freely integrated citizenship, is well known not only in the case of
Great Britain. It can likewise be interpreted in the light of community resistance, which is more difficult to understand now when the
progress of representative means for constitutional empowerment
has been such that they appear to be irreversible and wide-ranging (50). As we shall see later, there is still a strong tendency to
(48) I refer especially to the revocation measure through inter-terms elections in
municipal areas which is permitted by the Peruvian law. In order to lessen the control
of local authorities faced with resistance from communities, among other methods, the
measure of repeal votes has been adopted for those municipal posts which by allowing
renewals halfway through the term of office are to some extent reminiscent of deep
rooted indigenous practices which are short term. At the same time, apart from opposing
parliamentary repeals which are consequently proposed, this Peruvian constitutionalism
notably fails to appreciate this local electoral option, as I shall relate further on.
(49) FREDERIC C. SCHAFFER, Democracy in Translation: Understanding Politics in an
Unfamiliar Culture, Ithaca 1998, concerning Senegal.
(50) JOHN PHILIP REID, The Concept of Representation in the Age of the American
Revolution, Chicago 1989. For comparison both constitutional and communitarian, I
can refer to my Happy Constitution. Cultura y lengua constitucionales, Madrid 1997,
pp. 181-268.

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(2002)

impose the dubious image of political democracy as institutional


empowerment, as a legitimating arrangement of powers through
elections, beyond the conception and exercise of rights to freedom
as the very foundation of democratic legitimisation for electoral
practice and for the entire system itself. We shall see, I hope.
In the case of Peru, the underlying false or lack of constituency,
which may be termed State inconstituency, together with consequently forged legitimisation, are not questions to be confronted
head on by its guests (the European observation) in their official
report. Although not distorting, the operation would devirtualise or
the cooperation would antagonise. It would be tantamount to
knocking down the very building one is aiming to support and
improve. Here may lie the defence for a reduction of responsibility.
There is the charge, but of a different kind now. At the moment, it
is only my own and perhaps that of the academic paper which hosts
my pages. After months spent speaking and writing on a collective
behalf, that of the electoral observation, I may express myself
without the burden of representation or the embargo of authority.
Let us proceed as if the limited European field research had
produced sufficient knowledge about the Peruvian operating system. It is a virtuality which I assume here under my exclusive
responsibility.
On the contrary, this is not so for the official observation that
must not play down nor create trouble over the evidence. If it were
to do so it would face a delicate dilemma between virtualisation and
deconstruction, that is, whether the European report on valid
Peruvian elections by international standards may have the highly
perverse effect of covering up an improper constituency or even
inconstituency of Peru itself, the aforesaid collapse amid quicksand
if it turned out to be such. As a matter of fact, we shall still see that
the international observation is capable of causing interference
throughout the electoral process, in the dual and interactive sense in
that it distorts evidence and produces alibis. Its presence does not
try to be innocuous and neither is it innocent. They are serious
questions, but they can only be pointed out and left aside for the
moment. We shall inevitably need to face them afterwards when we
have more cause. Meanwhile, we shall continue with the search for
evidence.

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u CLAVERO

Having expressed my gratitude for invitation and hospitality,


assistance and audience, we may proceed if you so wish, non virtual
readers. I do not deny responsibility through recognition and participation. I am not searching for support or complicity. Of course
I have offered no personal disclaimer and shall not do so (51). The
responsibility will be utterly and solely my own, especially when we
finally confront the underlying question of inconstituency. For now,
let us leave aside the great dilemma between virtualisation and
deconstruction.
It may be better to continue with a different test. If we have
come up against the tremendous problem of Peruvian inconstituency, or rather with signs of this, we must, if not ascertain for it
is not possible here at least support the evidence as far as it is
feasible. The matter is prior to the appraisal of an observation (the
European) that, under my exclusive responsibility, I am conducting
at such a distance, so far away from it. Going much farther, we are
going to proceed to another virtual test, that of checking previous
Peruvian history, or rather some of its images. Let us contemplate a
different reflection in the gallery we are visiting together observers, readers and accomplices all.
4. More than a mote in a not so alien eye: Peruvian provocation.
As a State, Peru is almost two centuries old. As a State with a
constitutional vocation since birth, as is the rule in America, it is not
much younger than its European congeners. It has an extensive
history, a lengthy past which may in part establish it as much as, if
not more than, its current constitutional law, above all with regard
to background, I mean operating constituency. It is the reason and
measure for our interest in a retrospective gaze without losing sight
of the present phase where we find ourselves and to which we shall
immediately return. History, above all that of constitutional time
(51) For a personal disclaimer, I could paraphrase the aforementioned European
ones and even more: It should be noted that it is not possible to guarantee that a
document of civilisation according to European observation might not be a document of
barbarism according to Peruvian evidence. Anyway, so to speak, there is no such thing
as a hidden and final reality to be revealed and re-enshrined.

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(2002)

and thus potentially constituent, does not need to imply or provoke


any alienation or even distance. The very way of imagining the past
in the present is another virtuality that creates reality, or may do so
for the constitutional dimension. There are keys for law in history
and historiography, in actual history and its present images (52).
Let us view again images as realities. Between the second and
third decades of the nineteenth century when Peru became a State,
conceived in accordance with the European constitutional model
directly, or filtered through the experience of the United States of
America, it (Peru) was not exactly a European society nor even
Euro-American, that is, sharing that ancestry and identifying with
the culture of that origin. There was a minority with this specific
identity but, in spite of its belligerency or because of it, that smaller
group was not at all hegemonic in cultural aspects which are the key
concern of political and juridical formation setting the scene and
outlining possibilities for constituency. Let us not go into figures
which are always debated if not distorted in this regard. A wellfounded suspicion is sufficient, not to mention the entire evidence,
that a clear and ample majority were indigenous, that is to say people
in America with cultures predating the appearance of Europeans,
with their own evolution and whose presence continued to characterise the Peruvian geography. The very word Peruvian originally
meant Indian, a European term (due to an error over continents) for
natives in these parts. They are signs which should be remembered
now for they are important for the question of Perus constituent
formation.
Thus, it was not just a matter of the indigenous peoples internally maintaining their own cultures and laws, but that they could
also preserve the vocation of their own constituency, with base and
agency to decide for themselves regarding both external policy and
internal polity. This was particularly the case of the Quechua people,
the most numerous and most identified with the Tawantinsuyu, that
(52) For years I have emphasised this motive against both jurists who assume dead
history and historians who ignore living law; regarding our present subject, Ama Llunku,
Abya Yala. Constituyencia indgena y co digo ladino por Ame rica, Madrid 2000. An early
version of the second chapter is translated in JULIUS KIRSHNER and LAURENT MAYALI (eds.),
Privileges and Rights of Citizenship: Law and Juridical Construction of Civil Society,
Berkeley 2002, pp. 277-297.

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BARTOLOME
u CLAVERO

is the large pluricultural community which constituted the Inca


empire, the previous political and juridical formation which was still
partly contemporary with European presence. During the colonial
period, the recuperation of the Tawantinsuyu was a cause never lost
which regained strength furthermore on the very eve of independence, of the establishment of Peru, Colombia, Bolivia, Ecuador,
Chile and Argentina as newborn States in this area.
In the 1780s, a large sector of the Quechua and Aymara peoples
came near to achieving a clear majority pluricultural constituency
under its own rule. Had they succeeded, history would certainly
have been different, but we are interested now in the result of that
moment, a defeat for these peoples, the start there and then of a
different future from their very own constituency. Peru was established in the early 19th century as an independent State with that
other indigenous alternative in sight, no less culturally alive for
having been overcome on the field of colonial fighting and justice
under late Spanish rule. It is a scenario where certain initial constituent efforts on the part of the Peruvian State, options that could
be important for that future and even up to the present, must be
located and may be understood. For Peru, neither an indigenous nor
a pluralist image, but a minority and unitary one, was to be
created (53).
From the start, it was possible to choose federalism even for the
non pluralist perspective. Defined and structured from its birth by
(53) After ALBERTO FLORES GALINDO, Buscando un Inca. Identidad y utopa en los
Andes, Lima 1987, with re-editions and debates, very interesting literature has been
written on this subject. Outstanding examples are FLORENCIA E. MALLON, Peasant and
nation: The Making of Postcolonial Mexico and Peru, Berkeley 1995; MARK THURNER,
From Two Republics to One Divided: Contradictions of Postcolonial Nationmaking in
Andean Peru, Durham 1997; CHARLES F. WALKER, Smoldering Ashes: Cuzco and the
Creation of Republican Peru, 1780-1840, Durham 1999 (Spanish translation published in
the same year); KENNETH J. ANDRIEN, Andean Worlds: Indigenous History, Culture, and
Consciousness under Spanish Rule, 1532-1825, Albuquerque 2001. Pluricultural constituency was Tupac Amarus aim (in different terms of course); the usual allegation by
historians that it was not even respected by its own troops who indiscriminately
slaughtered non indigenous populations, according to Euro-American accounts (let us
not forget this detail), is of little value as an argument; as a matter of course, concerning
the pluricultural, rather than imperial, recuperation of the Tawantinsuyu, the current
characteristic indigenous image of Tupac Amarus uprising differs greatly.

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the United States of America, the first constitutional federal State,


the true American formula was a mechanism designed and in fact
managed to subdue indigenous presence. It not only consisted of the
participation of States under private and common constitutional
rules, but also the establishment of Territories as areas lacking their
own constitutional framework and thus under federal powers particularly concerning the subduing and even elimination of that
indigenous presence, as a requirement for the definitive establishment of an internal federated state. Under the federal and then state
formulas these same powers, this same constitutional empowerment,
offered recognition of rights and guarantee of courts to the colonising immigrants. The indigenous peoples, on the contrary, were
excluded by the United States and particular States from the former
(recognition of rights), while the latter (guarantee of justice) was of
course unnecessary, as they possessed their own jurisdictions. These
were losing the capacity to defend their own rights as long as they
were being thus invaded and harassed (54).
Evidently, according to our present evidence, Peru did not carry
out this option, the federal one. Peru did not create a plural image
of itself in spite of being a model of conditions for the establishment
of federalism. Peru as a State would never believe itself to be
sufficiently secure or strong to attempt such a possibility seriously.
Except for a short time together with Bolivia, Peru has never been
federal. Federalism has not existed in Peru for reasons which are
certainly distinct from not feeling the need for it, or due to a lack of
conditions, for both, necessity as much as possibility, have been
clearly evident throughout its constitutional history. If evidence of
federal potential can be found, it is there in Peru, in a state which
has not been by its own means and still is not at all federal. It
appears to be a real mystery, but it can be clarified. There was no
federalism here originally because more than one territory was
actually able to constitute itself as an indigenous state, like the
(54) JEFFREY BURTON, Indian Territory and the United States, 1866-1906: Courts,
Government, and the Movement for Oklahoma Statehood, Norman 1995; DAVID E.
WILKINS, American Indian Sovereignty and the U.S. Supreme Court: The Masking of
Justice, Austin 1997; VINE DELORIA JR. and D.E. WILKINS, Tribe, Treaties, and Constitutional Tribulations, Austin 1999.

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BARTOLOME
u CLAVERO

predominantly Quechua one in the Cusco department. The Amazonian peoples simply remained independent.
Federalism is from the start a short-lived episode in Perus
constitutional history, and antifederalism a determined option. The
same could be said of the capitals location in colonial Lima rather
than the pluricultural Cusco, the ancient Inca centre. Qosco means
umbilicus in Quechua. Lima is originally the name of an extinct
people, geographical feature or water flow that lent its name to what
was established as the Ciudad de los Reyes, City of Kings, European
kings of course. It is the constitutional capital of the Peruvian State,
where the only Congress, the high courts and the executive sit. The
State is established and spreads out from there as if the entire
territory and its people, or rather peoples in the plural, were under
its exclusive responsibility (and not their own) regarding law, justice
and government.
A delegate and dependent political and administrative network
is indeed created, but never achieving entire operative competence
for its respective functions. In fact it loses them, or rather, does not
acquire them as it spreads and descends so to say. This does not
imply progressive anarchy. More simply it means that some responsibilities to do with law, justice and government continue to lie
generally in the hands of community jurisdictions, above all of the
indigenous variety. The same municipal administration rules people
and territory much more than institutions issuing from the capital.
However much it persists, the centralised State is pure fiction, the
most complete virtuality, just as federalism is a permanent challenge,
an utter virtuality from start to finish (55). In spite of everything,
(55) The theme of decentralisation, in these such restricting terms, crops up time
and time again in Peruvian publishing; recently, PEDRO PLANAS, La descentralizacio n en
el Peru Republicano, 1821-1998, Lima 1998, and JOHNNY ZAS FRIZ BURGA, La descentralizacio n ficticia. Peru , 1821-1998, Lima 1998. The former dwells more on federal
approaches and the latter to municipal questions, quite appropriately in a country such
as Peru which has a marked community or local plural character. Concerning the issue
of descentralizacio n, indigenous presence may seem outstanding even in the non indigenous sector: Jose Destua and JOSEu LUIS REu NIQUE, Intelectuales, indigenismo y descentralismo en el Peru , 1897-1931, Lima 1984, but can be even more so with the consideration
for federalist approaches and even practices on the indigenous side: M. THURNER, From
Two Republics to One Divided, pp. 127-129.

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despite so much virtuality, the real as fictitious, and the possible as


latent and even thriving, Peru does not meet the corresponding
challenge of constitutionalisation through a federalism which would
need to be not only interterritorial but also intercultural, without of
course the double standard between States and Territories, as in the
United States, or anything which might be remotely similar.
At the start of the twentieth century, there was some sign of
constitutional recognition of hitherto out-of-State reality. Indigenous peoples did not share the law produced by the Peruvian State,
or they received and adopted it at their convenience and under their
own assumptions. The people of Perus indigenous race do not live
according to Peruvian Civil Law, this was a way of phrasing then
the very evidence (56). Some kind of constitutional recognition stems
from 1920. The State will protect the indigenous race, the Nation
recognises the legal existence of indigenous communities, the Law
will declare their corresponding rights, was the constitutional
phrasing. They were pronouncements that shaped an entire section
dedicated to Communities of Indigenous People in the 1933 Constitution. Recognition is given to legal existence and legal status,
safety of property and competence for the administration of
income and possessions, all in accordance not with the Constitution directly, but subsequent statutory law: The State shall dictate
the civil, criminal, economic and administrative legislation required
by the indigenous peoples specific conditions, which to a large
extent, concerning normative aspects, would be accomplished. The
State protects; the Nation, meaning the State itself, recognises;
the Law declares indigenous rights (57). For their own sake and for
(56) The expression belongs to a jurist, VuICTOR J. GUEVARA, in 1924, recorded by
CARLOS A. RAMOS NEu Nx EZ and RENZO HONORES, Ensayos sobre historiografa jurdica
peruana, 1854-1937, p. 48, in Cuadernos de Investigacio n, I, 1997, pp. 5-63. You may
add Co digo entre Indgenas, in Quaderni Fiorentini, 29, 2000, pp. 495-509, my
prologue precisely for the second volume of the Historia del Derecho Civil Peruano.
Siglos XIX y XX by C.A. RAMOS NUu Nx EZ. Add further DONAYRE, Napoleo n en la floresta,
Iquitos 2002.
(57) JOSEu PAREJA PAZ-SOLDAu N (ed.), Las Constituciones del Peru , Madrid 1954; on
the net: http://cervantesvirtual.com/portal/constituciones/pais.formato?pais=Peru; 1920,
article 58; 1933, title XI, arts. 208-212. JOSEu VARALLANOS (ed.), Legislacio n indiana
republicana. Compilacio n de leyes, decretos, jurisprudencia judicial, administrativa y dema s

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BARTOLOME
u CLAVERO

their constitutional nature, here we have virtual texts capable, if not


of being immediately real, of begetting some kind of reality, a
subordinate one for the indigenous peoples and their rights.
Constitutional terms should not be ignored. Their language is
concessive and not reflexive. The constitutional law that proceeds to
reckon an out-of-State reality does not reconsider its own background and actual structure as a consequence. Not even the State
image is revised. There is no question of federalism, either by
devolution or even by decentralisation on behalf of the indigenous
presence which is now recognised by the State Constitution. For the
State, there is no question of constituency or any need to revise it.
What exists is accepted, the indigenous communities, and not with
a view to their empowerment, but, on the contrary, to authorise the
law in this respect. Apart from specific legislation or even with it, the
law still responds to the same previous constitutional establishment
with its corresponding exclusion of indigenous communities as such.
Considered to be handicapped by their illiteracy, as not fluent in
spoken Spanish, much less its written form, indigenous peoples were
massively excluded from constitutional participation in state institutions which in fact remained alien to them. It was a genuine
Euro-American juridical and political system (58).
Added together with specific recognition of only customary
jurisdiction, without implying communitarian empowerment, with
no legal assumption of any kind of federal necessity or possibility,
what we find in Perus present Constitution (the one dating from
1993) concerning peasant and native communities, is not very
different (59). The same Constitution defines justice as an exclusive
vigentes sobre el indgena y sus comunidades, Lima 1947; MANUEL D. VELASCO (ed.),
Compilacio n de la legislacio n indigenista concordada, Lima 1959; ROQUE ROLDAu N and ANA
MARIuA TAMAYO, Legislacio n y derechos indgenas en el Peru , Lima 1999, pp. 50-56. The
Congress maintains a site with legislation dating from the independence:
http://www.congreso.gob.pe/index.htm. FERNANDO TUESTA, Peru Poltico en cifras, 18212001, Lima 2001, corrected and enlarged edition, is also useful for normative information.
(58) M.V. VILLARAu N, Ante-Proyecto de Constitucio n de 1931. Exposicio n de Motivos, cited above, for a crucial moment, as we know.
(59) CLETUS GREGOR BARIEu , Pueblos indgenas y derechos constitucionales en
Ame rica Latina. Un panorama, Me xico 2000, pp. 447-493; MARCO APARICIO, Los pueblos

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

function of the State and thereafter recognises indigenous community jurisdiction with no pondering of the latter with regard to the
former. Now constitutional phrasing also refers to ethnic and
cultural plurality as a title to rights, yet without such a right being
reflected in rules concerning personal identity accreditation and
exercise. Aside from language variables and other no less important
details, all of this represents quite a frequent position nowadays
among constitutional practices all over America (60).
A more satisfactory acceptation of indigenous as a normative
qualification is now also in force for Peruvian law by virtue of the
aforesaid Convention on Indigenous and Tribal Peoples in Independent Countries from the International Labour Organisation which
indgenas y el Estado. El reconocimiento constitucional de los derechos indgenas en
Ame rica Latina, Barcelona 2002, pp. 174-177. Regarding the Peruvian Constitution the
adjective present is relative, because through a report submitted in July 2001 a
presidential commission, the Comisio n de Estudio de las Bases de la Reforma Constitucional del Peru , has cast doubt on the force of the 1993 constitutional text since it did
not respect the reform procedure of the preceding one and was ratified by a questionable
plebiscite. That previous Constitution, from 1979, may be now taken as the still
legitimate one. It was silent over indigenous presence and did not contain valuable
institutions such as the Ombudsman. As soon as the new Congress was constituted at the
end of July, 2001, some parliamentary motions called for the disqualification of the last
Constitution, that of 1993. I shall not go into subsequent proposals of constitutional
changes for the same reason that I gave concerning the European reference documents,
to abide by the legal situation of the election observation period. The sensitive matter of
the current constitutional law was usually treated in an equivocal manner during election
campaigns and procedures that were after all carried out according to the 1993
Constitution (except for the date, or rather year, and also the spirit). I have still to return
to these normative trials and tribulations. In 2002 the Congress has launched a web page
on
constitutional
reform:
http://www.congreso.gob.pe/comisiones/2002/debateconstitucional/index.htm.
(60) Besides the quoted Pueblos indgenas by C.G. BARIEu and by M. APARICIO,
WILLEM ASSIES, GEMMA VAN DER HAAR and ANDREu HOEKEMA (eds.), The Challenge of
Diversity: Indigenous Peoples and Reform of the State in Latin America, Amsterdam 1999
(Mexican edition, El reto de la diversidad, in the same year); DONNA LEE VAN COTT, The
Friendly Liquidation of the Past: The Politics of Diversity in Latin America, Pittsburgh
2000, pp. 257-280; RAQUEL YRIGOYEN (ed.), Pluralismo legal y reconocimiento constitucional del derecho indgena en Ame rica Latina, on the quoted Alertanet:
http://geocities.com/alertanet/foros2a.html. ALISON BRYSK, From Tribal Village to Global
Village: Indian Rights and International Relations in Latin America, Stanford 2000, is not
concerned with legal matters, either constitutional or international.

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BARTOLOME
u CLAVERO

Peru ratified in 1994. Such is the meaning there for any situation
where precolonialist culture, institutions or customs have been
preserved in any degree. The wording of the identification is certainly not innocent. While the description of peasant contemplates
integration into citizenship with no further consideration (61), that of
indigenous today assumes a different, more plural and thus complex possibility. In the case of this international covenant, the
qualification means the right to community and territory and the
right to customs and traditions, but not the right to law, not to their
own indigenous law through self-government. Let us notice also
that, against sound constitutional ruling, the International Labour
Organisation patronizes rights and interests of indigenous peoples
without allowing or providing indigenous representation or participation (62).
Peasant and indigenous are terms which produce virtual
images that may generate contrasting realities. In the case of the
convention of the International Labour Organisation, the second
qualification, that of indigenous (or rather the first one chronologically here in Peru since it has previously appeared in constitutional recognitions), presents the virtuality of authorising specific
rights obliging the State not to rule on them except after consultation with the entitled peoples, the so-called indigenous. Subordination to unrevised or non-reflexive constitutional law is no longer so
clear. Nevertheless, in Peru, until now the endorsing of this convention has not even led to a legislative revision, let alone a constituent
reconsideration, in spite of there having been no lack of international claims (63).
(61) DEu BORA URQUIETA, De Campesino a Ciudadano. Aproximacio n jurdica, Cusco
1993; Pedro GERMAu N NUu Nx EZ, Derecho y Comunidades Campesinas en el Peru , 1969-1988,
Cusco 1996.
(62) MAGDALENA GOu MEZ (ed.), Derecho indgena, Me xico 1997; LUIuS RODRIuGUEZPINx ERO, Between Policy and Rights: The Internacional Labour Organization and Indigenous Peoples, 1919-1989, forthcoming.
(63) Ministry of Justice and Ombudsmans Office, Compendio de Legislacio n para
los Pueblos Indgenas y Comunidades Nativas, Lima 1999-2000, with the aforesaid
convention in the second volume, as if there had been an oversight in the first. In fact
it originally appeared as the only one in 1999, without noticing the existence of
international law, which was immediately added with the second volume in 2000. In the

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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Where are we so far? It could be said virtually before the


inconstituency revealed by the 2001 elections. The constitutional
recognition of indigenous presence does not redress matters to this,
or any other effect. Just the opposite in fact, it reinforces that
inconstituency. Through the way in which this takes place, recognising customary tradition with no strict consideration for right to or
possibility of self-government, a position rooted in colonialism
might even be reproduced.
The very duality between a rightful universe (the strictly legal
one) and a lawful space (the one legally subordinated for indigenous
peoples) comes from European colonialism directly or via the
United States (64). Given the virtuality of evidence and argument,
bear in mind that inconstituencies like that of Peru could be
European or Euro-American legacies rather than the effects of their
own reflexive determination. There we are so far. If one wishes to
spell it out in bold letters, the inheritance has a name. It may be
called racism (65).
frontispiece of this official collection, the term indigenous peoples has been adopted,
something that is rejected or treated with reserve in Peruvian legal circles for allegedly
having nothing to do with the law in force. FERGUS MACKAY, Los derechos de los pueblos
indgenas en el orden internacional. Una fuente instrumental para las organizaciones
indgenas, Lima 1999, pp. 230-232, regarding international claims, through trade union
channels, those put forward by the Confederacio n General de Trabajadores before the
International Labour Organisation, which is especially feasible not only because of the
tripartite nature of this suprastate boby (governments, employers, and unions:
http://www.oit.org), but also because this Peruvian confederation incorporates indigenous organisations through peasant unions, as we shall see further ahead.
(64) On the case of Peru, M. THURNER, From Two Republics to One Divided,
quoted above, whose title is telling in itself, for the two republics concerned are the
non-indigenous and the indigenous from colonialism, and with a chapter bearing in the
heading Unimagined Communities, pp. 20-53. The argument is not only valid for
Hispano but also in general for European including Anglo-Saxon colonialism with
all its variables and also their continuity after independence in the United States or the
Canadian case: ROBERT A. WILLIAMS JR, The American Indian in Western Legal Though:
The Discourses of Conquest, New York 1990; JAMES TULLY, Strange Multiplicity: Constitutionalism in an Age of Diversity, Cambridge 1995.
(65) I may offer a case based on experience which is not just limited to Peru. For
the European electoral observation we rented offices from a reputable transnational firm
which does not only provide facilities but also a whole range of services. They take such
pains to comply with an obvious hidden ruling which requires administrative personnel

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u CLAVERO

With experience and knowledge, life and study, there are


people who believe that this duality between a rightful universe,
with freedoms and guarantees, and legally subordinated space, with
customs and traditions, was and still is the way to reproduce and
now to internalise colonialism. In times of international decolonisation and states independence, the formal and even constitutional
recognition of customary jurisdiction and traditional community
would entail not only colonial traits, but also colonialism itself (66).
Nonetheless, custom is a powerful legal artefact, and always implies
some social or communitarian degree of autonomy or even possibility of self-government (67).
Let us remember Peruvian electoral practices which can be run
like this not just by political institutions and parties, but also by a
different dimension of cultures, communities and customs. They
represent different kinds of logic which are as really diverse as they
are potentially concurrent, and which may cause upheavals in the
electoral systems very assumptions. Practices such as collective
bargaining for individual votes are legitimate from the indigenous
communitarian perspective and criminal from the political and legal
point of view, yet this does not prevent them from find acceptable
ways (among parties and rallies, visits and gifts) of getting along and
working even for representative purposes. So cultures, communities
and customs, through their own determination of exchange, may
assume a role which is inconceivable for the state ruling regime (68).
to be European in appearance and of the female sex, while the cleaning staff on the other
hand are indigenous employees of both sexes, that it invites thought not only on a
sociological reflection of the Peruvian environment but also on the systematic policy
which is typical of some multinational companies (Reggus in this case) in non European
countries. Racism and sexism are not as geographically bound as it is usually presumed.
(66) MAHMOOD MAMDANI, Citizen and Subject: Contemporary Africa and the Legacy
of Late Colonialism, Princeton 1996. I am not aware of anything similar regarding
America.
(67) For this contrasting view, with its own excesses and no comparative consideration of Latin America, LEON SHELEFF, The Future of Tradition: Customary Law,
Common Law and Legal Pluralism, London 1999.
(68) La Repu blica (Peruvian newspaper), March 29: The EU detects vote dealing
(...). In a press conference in which the head of the mission, Bartolome Clavero,
presented the missions second report, he stated that the candidates and electoral
districts where this vote dealing was happening had not been identified, but (...) he

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

In constitutional terms, which even with the observed recognition of indigenous presence are not the general and common
conditions, it is still a precarious situation. Still more precarious,
even with that constitutional cover, is the present position of indigenous cultures, customs, communities and peoples. Precarious,
though lasting, is the very duality. However, there is no need to go
to the extreme of condemning all of this as truly colonial phenomena
in order to understand the distance that lies between unstable and
adversary tolerance for the indigenous presence, and, for the non
indigenous, right and law, state and constitution, policy and constituency. Perus constituted stance appears to be still none other
than that of huge duplicity due neither only nor mainly to its own
determination, but also to history and legacy, to colonial history and
racist legacy.
All of this is not usually faced up to by predominant political
and juridical minds and voices in Peru. The electoral campaign of
2001 has been quite symptomatic in this respect. They were both
general and special elections following the fall of the Fujimori
regime, under the Constitution which was established during that
time, under this regime, in 1993. However, in spite of and also due
to this transitory circumstance, they were not summoned as formally
constituent or for any constitutional reform. They had this potential
in fact, although it was avoided in public debates during the
campaign and the call to vote. It was only immediately afterwards
that the matter was brought into the open (69). During the electoral
indicated that the complaints came from La Libertad, Puno and Loreto. Nevertheless he
tried to justify this behaviour, pointing out that this was not illegal for some Andean
communities, but typical of a sense of reciprocity. The counterproductive effect of this
news caused outrage concerning the wrongly termed dealing and indifference towards
my efforts to put the matter into a context of community culture. The electoral
agreements with trade unions and peasant federations to which I shall refer can be
understood in this context. I know of nothing similar to F. C. SCHAFFER, Democracy in
Translation, quoted above, either regarding Peru or the rest of America. On June 17,
2002, I attended a meeting of heads and deputy heads of mission in Brussels where
comparative problems regarding culturally non-European peoples were posed, though
not discussed.
(69) I have already referred to the July-2001 report issued by the Comisio n de
Estudio de las Bases de la Reforma Constitucional del Peru which was appointed by the
President of the Republic. It does not tackle the issue of constituency, with this or other

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BARTOLOME
u CLAVERO

period, Valentn Paniagua, President of the Republic in the transition period, suggested, not in a political but rather in an academic
venue, that Peru was in need of a constitutional change or even of a
new Constitution. In political debates during the election campaign
the issue continued to be avoided. Throughout this period, the
constitutional uncertainty was openly approached only on occasions
such as that of a more reserved, though political, forum of a
university conference where the two main political forces participated (70).
wording, but it gives an opportunity for some commentary which does so: RAQUEL
YRIGOYEN, El cara cter pluricultural del Estado y de la Nacio n y la justicia indgenacampesina, which is a note addressed to the very members of the said commission. All
this documentation can be seen on the aforementioned Alertanet site which is directed
by Yrigoyen herself. Through her initiative and with co-ordination from CEAS, the
Catholic Episcopal Commission for Social Action, with the Pontificia Universidad
Cato lica del Peru s hospitality, during a conference held between March 12th and 13th,
on Special Jurisdiction and Customary Law (the term special comes from the Peruvian
constitutional text for indigenous jurisdiction), we shared an opportunity to raise the
issue and discuss it. Present on the panel was FRANCISCO EGUIGUREN, one of the
constitutionalists who would later form part of the aforesaid commission. Another of
them, CEu SAR LANDA, also offered me the opportunity to talk, on May 21st, on indigenous
rights during a doctorate session on constitutional law, in the same Catholic University.
As well as in my role of professor, I always acted in my capacity as deputy head of the
European observation, which apart from being an obligation, served to reinforce the
constant connection between an academic theme and a civic challenge.
(70) As I have participated and thus been present during the display of positions,
I may refer in particular to the conference on Governing without a Majority, which the
Universidad Peruana de Ciencias Aplicadas organised on May 28th, under the direction
of JOSEu LUIS SARDOu N. The reason for the meeting is in itself a considerable constitutional
challenge because of the existence of an extremely hybrid presidentialist and parliamentarian regime in Peru: CARLOS HAKANSSON, La forma de gobierno de la Constitucio n
peruana, Piura 2001. Of special interest for problems of constituency, I have also
attended meetings of the Mesa Nacional sobre el Pluralismo Jurdico-Cultural, organised
by the department of Dignidad Humana, of the CEAS, the aforementioned Catholic
Episcopal Commission for Social Action. Apart from the limited possibility of personally
attending many other events, it is worthwhile to add that there was abundant television
broadcasting of functions and debates in their entirety during an electoral period that
with a double round and the previously mentioned delay, has been really long. From
early on, at the beginning of March, at a private dinner with heads of the principal
international observation teams (OAS, NDI-Carter Center and we, the European),
President Paniagua frankly set out before us the constitutional challenge or even that of
constituency. But it was not a question that could be publicly raised by us, not even with

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

On that electoral occasion, important reform plans were proposed. But political parties, those who perform political representation, did not broach the thorniest question concerning constituent
dismantling owing to regional and also deeper cultural plurality. The
1993 Constitution was questioned, but without that implication.
There was a slight hint of a half-hearted step towards decentralisation. There was also a motion in favour of recuperating, at a central
level, bicameralism, which had existed until 1933, yet not for
interregional and intercultural representation. The proposal consisted of duplicating the houses instead so as to avoid the parliamentary practice of single majority decisions at one go without
previous discussion in commission and with no second chamber to
reconsider them. This, together with legislative delegation to an
executive that even resorted to secret legislation, has been quite
usual in recent times. Reformist proposals added plans for the
re-balancing of relations between the parliament and government,
which during the Fujimori regime had leaned heavily towards a
presidentialist line which was hardly possible to check. During the
electoral campaign, there was nothing more in sight that might
concern constituency by citizenship, the underlying question for all
these constitutional issues (71). Definitively, these conceivable reforms, including regionalisation, continue to move within the frame-

a completely off the record insinuation. The Organisation of American States, functioning as practically the guardian of the Peruvian transition, treating Peru as a minor and
ward, was particularly concerned that such a thing (the open debate on constitution and
constituency) would not happen, as we shall verify.
(71) Among publications on Fujimoris peculiar regime insofar as the fact that it
was not open dictatorship, but obscure corruption instead with a constitutional slant as
a basis, a parliamentary chronicle dating from a second final period can be read: HENRY
PEASE, As se destruyo el Estado de Derecho. Congreso de la Repu blica. Peru 1995-2000,
Lima 2000. For a broader perspective on the key of law making, PEDRO PLANAS,
Inseguridad jurdica, imprevisio n normativa e ineficiencia legislativa. Efectos de la subordinacio n del Congreso peruano al Ejecutivo, 1980-2000. Estudio cualitativo de la poltica
legislativa desarrollada en los u ltimos veinte an os, con e nfasis en el Congreso unicameral
del fujimorato, an offprint of the journal Advocatus, Lima 2001. On the Fujimori regime
in more general terms, the same author has an early monograph: P. PLANAS, El
Fujimorato. Estudio poltico-constitucional, Lima 1999.

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u CLAVERO

work of the image of Peru as a unitary State, shaped since its own
origin (72).
To all appearances, there was a reluctance to broach the unnamed issue of inconstituency, even when the theme was considered
to be constituent rather than merely constitutional. Mentioning it
would be tantamount to looking and virtualising. No matter how
signs are put into words, there is no escaping the question of citizen
under-representation as an effect and also cause of the deficiency or
lack of state integration, which, if apparently supported, is, for the
purpose of legitimisation, thanks to well-lubricated mechanisms
such as voting obligation or civic participation under severe penalty.
This is not all of course, as we already know. From the police
function of military forces to electoral meddling by the parties
concerned passing through the arbitrary discretion of high institutions whose ideal aim is to guarantee free voting and whose real
function may be to gerrymander suffrage. To all this, add the
insistence on party exclusiveness in political representation and the
normative monopoly of a central parliament, albeit bicameral, together with government and not with regions and communities. The
system seems to conspire towards a closure, blocking the very
possibility of questioning its constituency. Are images, at least the
political images, really under control? At all events, the constitutional realities are not.
5.

The beam in ones own eye: Europes embarrassment over Swedish zeal.

Up to now I may have given the impression that the European


observation during the 2001 Peruvian general elections was a harmonious and well tuned activity, but for a few points within the core
(72) On the official website of Peru as a state, Portal del Estado Peruano:
http://www.perugobierno.gob.pe, the virtual image of the Estructura Ba sica del Estado
Peruano or basic structure of the Peruvian State: http://www.mef.gob.pe/misc/estado.pdf,
can be seen: the constitutional trinity of powers at the top with the executive in the
middle of them, presiding over the main body of the display downwards to the bottom,
where municipalities are found, like passive terminals. Pursuit of the constitutional
debate can also be observed on the net: http://geocities.com/alertanet/peru.htm1, aforementioned, and http://palestra.pucp.edu.pe.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

team, when this is not the real case for the operation as a whole.
Here comes the moment for inside affairs of the Peru-2001 European observation. It was not so peaceful. During the operation,
there was an even crossing of opposing images. Furthermore this is
so for reasons that perhaps are revealing and may reflect the
constituent problems of the European Union itself, of its own
deficient articulation, or also of its virtualities above all. The examination of disagreements is not irrelevant therefore.
Taking extreme care not to be guilty of any indiscretion or even
gossip, I shall limit myself to occurrences which might be of interest
to our present reflective purposes among the kaleidoscope of reflecting images between America and Europe, Peru and Sweden, as
we are about to see. I must behave so because of my personal
involvement, for my position was actually more than deputy head
due to the usual absence of the chief observer. I have already stated
that I assume my part of the responsibility, which was greater then,
in action, and becomes even greater now as I am going to recapitulate (73).
The European scenario is known. The observation is organised
by the European Commission, a stable executive with its Presidency
and Commissioner for Foreign Relations. Regulation is supposed to
be carried out by the Parliament, a representative assembly through
direct universal suffrage, and at a higher level by the Council, an
intergovernmental authority with its rotating Presidency of the
moment, and with its general secretary, Mr CFSP, in charge of the
Common Foreign and Security Policy. All these institutional agents
shared the common aim of external action within the area of
co-operation, of which electoral observation forms a part. The
virtual image is still not complete. One very significant specification

(73) I was informed that my responsibilities would in fact be wider than those of
deputy due to the absence of the head (except during the week of arrival and days prior
to the elections rounds), but I was not warned about the possible problems which could
arise. I imagine they would have been difficult not only to foresee but also to face, given
the European Unions institutional structure or rather present constituent nonstructure (Mr CFSP, JAVIER SOLANA). This is precisely the point I want to consider from
the perspective of the electoral observation.

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BARTOLOME
u CLAVERO

for Peru-2001 is missing (74). It is now that Sweden makes its


appearance.
The specification concerns rotation in the European Presidency
that of the Council. The Peruvian observation takes place within
the first semester of the year in question, 2001, which means that it
falls in Swedens first presidential period since its entry in 1995. At
its request, the observations political leadership is assigned to a
relevant member, the vice president of the Swedish parliament.
Apart from belonging to a party which is notoriously reluctant (to
say the least) towards the European Union, she is quite unavailable
and unwilling to remain in situ, yet she displays great interest in
deciding and influencing the operations approach and its progress.
In this way, Sweden presides twice over and tries to do so with
perseverance and determination, despite these same problems of
temporality of presidency and absence of the chief observer. Between the political leadership of the operation and the Swedish
embassy in Lima, the latter as local representative for its part of the
rota system presidency, Sweden creates its own idea and alternative,
for it does not exactly coincide with the European one. Here is the
case. It turns out that there was a hidden agenda, and as it was
perhaps over-confident, it was somewhat improvised in the field. In
face of this, I relied on the close support of the European Commissions Delegation in Lima, and fellow people of the core team in situ.
Now the scenario is more compete (75).
(74) Reviewing European Union literature, constituent documents since Maastricht, and the secondary or academic studies, I am unable to use their help in order to
bring some coherence to my experience confronting competent and competing authorities requests, above all in matters and on decisions beyond the scope of the Commission.
Regarding the latter, the very position of the observation workers was ambiguous. We
depended politically on the Commission, yet although authorised for public functions,
a private service company intervened in our contractual position as administrative and
budgetary agent. Whether the choice of the Brussels-based Agrer agency was a fortunate
one, as it turned out to be, is a different matter. Outsourcing for private management of
public functions is the significant question for European operations.
(75) When I refer to a different agenda as being Swedish, I rely on the constant
and determined behaviour of responsible individuals (ambassador, MIKAEL DAHL, and
chief observer, EVA ZETTERBERG) leading me to believe that it was not a question of
merely personal or local attitudes. They were not shared by the Swedish field observers,
some of whom were added directly by that state as reinforcement for the European

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

The Swedish embassys performance in the observation field


highlights the alternative agenda. Equipped with leaflets, gadgets
and other publicity paraphernalia, the principal aim is to bring the
image of the Swedish State into the foreground, in the interest of
self-promotion (76). As the European electoral observation attracts a
great deal of attention from the Peruvian information media and
demonstrates its ability to summon press conferences and an audience for its public statements, it turns out to be a good opportunity
for propaganda for their own country and also, no need to say, for
rights, civic liberties and Swedens parliamentary practices as a
model for Peru in this case. There are grounds, of course (77), but
this is not the issue here. Apart from the impertinent form and
offensive manners towards those on the receiving end of the Swedish
gifts, one assumes that the message is the means Sweden first and
last. A European country of virtual images goes before the constitutional content of citizens rights. Thus, we leave the suitable field
of international standards in the foreground to find just ourselves,
not all European citizens but those of a particular State which has
taken advantage in this manner of its presidential term.
What I describe as Swedish agenda was to be a complete
alternative for electoral observations very conception and practice.
It aroused interest and support among the other European embascontingent, and had no problems fitting in. Thus, when I speak of the Swedish agenda,
I am aware of being unfair towards them and perhaps others. I held an interview,
without the embassys presence or mediation, with the Swedish director general for
Latin American relations and was conscious of esteem for the independence of the
observation concerning different agendas such as that of the OAS (Organisation of
American States) to which I am going to refer. Yet neither the president of the
government nor the Swedish minister for foreign affairs showed anything of the kind.
Responsibility is not always to be expected. Due to previously determined budgetary
motives, the Swedish embassy in Lima later closed in July 2001 facing the evident
dissatisfaction of the Peruvian government and thus interfering with the very observation.
(76) The corresponding electronic host has been offered: http://www.eu2001.se.
(77) For the most famous Scandinavian extreme, that of the Ombudsman now
present also in Peru as we already know (http://www.ombudsman.gob.pe, with the
disseminated Swedish name in the electronic address, not in the Constitution: Defensor
del Pueblo), HENRI DESFEUILLES, Le pouvoir de controle des Parlements nordiques, Paris
1973, pp. 125-147, explaining its originally more limited institutional context of parliamentary creation for executive control.

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BARTOLOME
u CLAVERO

sies, European parliamentary representatives, and more significantly,


the Organisation of American States on the part of its respective
observation core team. Once the corrupt and manipulative Fujimori
regime had been substituted by a transitional government deserving
of international confidence, it should have been a question, from
that other perspective, of direct political, financial and technical
support for the electoral process rather than observing it in a
neutral, transparent and professional manner. The Organisation of
American States set the style with a type of observation that was as
spectacular as it was inconsequential because of its desire to give
support. Peru received both the open and underhand backing as a
member itself of the Organisation of American States, which has
played a decisive role in Perus very transition and faces the electoral
observation as an extension of the same international help. In
contrast, the European counterpart concentrates on its defining
purpose of strict electoral observation as a distinct kind of cooperation (78).
(78) In the end, the Organisation of American States did not accept the elections
of the year 2000, thrice won by Fujimori (something, the third turn, which was
unconstitutional), after the accusations of not only the Peruvian Ombudsmans Office
but also the European Union and the NDI-Carter Center. The OAS promoted and
coordinated the Mesa de Dia logo y Concertacio n para el Fortalecimiento de la Democracia
en el Peru , the round table for dialogue and understanding in search of democracy
strengthening in Peru, which agreed to hold the 2001 elections with Fujimori still in the
Presidency and under the 1993 Constitution and also the electoral legislation which
occurred during that period now, for 2001 general elections, by means of some hasty and
limited reforms. Revelations of corruption and Fujimoris defection to Japan were what
opened up new possibilities in November 2000, transforming the OAS into the foremost
public champion of these previous transition approaches. However, it is also true that at
that time the main political and civic forces of Peru were unable to propose any
alternative. The European Union supported this transition as the OAS directed it, but
without being so involved, which probably marks the difference at the time of the
observation. At the beginning of March 2001, public allusions to the shortcomings and
hastiness of the electoral regime reforms provoked a loud outcry by the American
observation core team in the middle of the first European press conference. When its
respective independence was subsequently accepted, in spite of the Swedish agenda to
subordinate the European to the American observation (the electoral observation to the
underhand support), relations were steered towards co-operation and trust, even in the
midst of serious disagreements that I shall recall later on. With ever present distrust
towards Peru as well as Europe concerning control of the process, the OAS had

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

For European perception of the Swedish alternative, that proceeding from the Organisation of American States, several presuppositions were latent and working. In a case such as the Peruvian
one, according to the less European perspective, one should act with
understanding and indulgence, without applying minimum requirements of equal exigency with other cases like international
standards. The yardstick of human rights was always kept in sight,
but this did not imply its constant and serious application. There
was not a deep contradiction, that concerning principles, between
the two approaches, the European on the one hand and the Swedish
on the other. Nevertheless, they designed a very different kind of
electoral observation. Let us endeavour to grasp some meaningful
nuances.
As for the Swedish perspective, shared with the Organisation of
American States, the strictly electoral observation task would have
held less importance. It would have been reduced and discreet, like
an accompaniment encouraging and supporting the political process
rather than a presence subjecting it to any serious scrutiny. This
would not have restricted the possibilities of co-operation. It is the
emphasis on the kind of operation and its subsequent method that
marked the difference. Direct support and aid would have prevailed
not just in the longer term, but also on that electoral occasion. The
foreign observation itself would have surreptitiously turned into that
assistance approach. The Peruvian electoral institutions showed
willing to receive this underhand form of backing. Once the European Union stopped giving them direct assistance to perform the
observation, they reproached them and demanded that the operation should at least help their image. Confronted by the clear lack of
receptivity among the European core team, the Swedish embassy
became a constant mouthpiece for Peruvian electoral institutions
expectations and American pressures. The Organisation of American States offered the example. They accomplished the impossible,
combining observation and support, neutrality to observe and partiality to support (79).
previously (though unsuccessfully) proposed that the European electoral observation
should be organised directly as its subsidiary.
(79) With all of this, the previously mentioned deficiency of rule of law (with its

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u CLAVERO

Not only would the electoral observation have been downgraded for its inability to openly fulfil its specific duty of cooperation or be serious about its own task, but also because in this
way longer-term requirements would have gained protagonism.
Above all it would concern a supposed need which would be
impossible to satisfy in the short term, the civic education activity
that Europe itself could offer without facing the question of the
cultural gap and the cultural exigencies of a case such as the
Peruvian (80). The new form of co-operation in the interests of
democratisation would essentially be reduced, at least for the mopeculiar and insufficient normative or only directive sources) for the observation itself
becomes really significant. The observations guidelines, the so-called terms of reference
for our task, clearly stated that we were under the direct authority of the Commission
Delegation in Lima (chief, JEAN MICHEL PEu RILLE), and that we could resort where
necessary and always within our sphere of independence to the Swedish Embassy as
representative of the Council Presidency of the moment. They also instructed us to
co-ordinate with the other observation operations, particularly the Organisation of
American States. It is unnecessary to go into details concerning how such precautions
might function in such a scenario. This is where what I commented about final sources
comes in, about them being incorporated because of improvised decisions regarding
unforeseen events, like the hidden agenda, made possible by the very deficiency of the
Unions articulation. My improvised reaction was to announce my resignation if any
confirmation of the aforesaid alternative agenda were backed by the European Commission. We, core team and observers, had gone to do a job, not to pretend to do so. To
be completely honest, I must confess that I also had my own agenda, with the indigenous
question, but I said so at the very beginning, at the seminar in Stadtschlaining, Austria,
to which I shall refer later. At no time did I ever hide it. Furthermore, it fitted in (though
not through any foresight of mine) with the European agenda, not the Swedish one, so
there was no merit in my contractual loyalty.
(80) During the electoral observation period in fact, a European mission involved
in evaluating civic education programmes visited Lima. We offered them assistance and
collaboration and received no worthwhile information from them in turn. They were
travelling around several countries as if local knowledge and interactivity were irrelevant
for the mere establishing of communication even if it had been in keeping with the
proper and more economical principle of non invading with external co-operators but
instead fostering internal agency. In any case, communication is always important. This
same activity of civic education by local agents can lead to a similarly one-sided plan for
teaching on the part of the established electoral system, with its occasionally unwarranted, if not elitist requirements, without any previous operational question of human
rights confronting the neo-colonial assumptions. Even local only contemplates EuroAmericans, requiring no use of other languages or knowledge of other cultures for the
non Euro-American areas.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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ment, to a somewhat neo-colonialist aftertaste, through the culturally one-sided European perspective. Depending on biased civic
education, the timing for the programme of constitutional rights
would be somehow different, with some of them, including political
ones, belittled or even belated. The very link between human rights
and democratisation as clearly proposed by the European Union
internal documents would be degraded (81).
I have already pointed out that the other approach, the Swedish
one, is admitted in the diplomatic circles of foreign representation
and external action pertaining to the Union Member States. They
understand it much better than that of observation with impartiality, transparency and professionalism as the European Union told
us. The same independence that this bestows on electoral observation itself is opposed in the field by certain embassies still steeped in
the deep-rooted notion and practice of external action run by
individual States, or also todays European ones working in loose
co-ordination. How can they accept that those who come barging in
on their own terrain, the European observers, are not accountable to
them, the States diplomatic representations? There may be a lack of
understanding between the Union and its Member States, that puts
(81) To prove that I am not playing the Manichean, a visit to the website of the
Swedish International Development Agency (SIDA, Styrelsen fo r Internationellt Utvecklingssamarbete: http://www.sida.se), will suffice. This praiseworthy institution stands out
among other European agencies, and furthermore collaborated in the preparations for
the Peruvian observation (for following collaboration: http://www.eueop.org). As part of
a more general programme for human rights, including observation, it has summoned a
seminar for 2002 on parliamentary activity as an instrument of democracy, Parliamentary
Democracy and the Management of Parliaments, aimed at members of parliaments from
other countries and especially from Latin America. For practical purposes its contents
are ruled by one particular model, the Riksdag, none other than the Swedish parliament
itself. This is the sketch of the all Swedish programme as model for the world: The
Parliamentary System and the Political System in Sweden. The Parliament, the Riksdag,
history, the Parliamentary Act and the Constitution, The Members, The Committees.
Study tours and visits. The Riksdag, a Parliamentary Committee, Ministries, Central
Agencies, Political Parties or organisations, Media. As for a more specialised institute
in Sweden, there is the International Institute for Democracy and Electoral Assistance
(IDEA: http://www.idea.int), with its most substantial contribution of Codes of Conduct,
for both Ethical and Professional Observation of Elections (1997) and Ethical and
Professional Administration of Elections (1998).

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u CLAVERO

European operations at risk. It could end in hindrance and even


boycott (82).
Faced with an agenda like the Swedish one, the first thing that
could be said is that it is not exclusively Swedish, but also, in spite
of the Union, European, for European, prior to American, is its
neo-colonial background. Roots are shared. It finds fertile ground
here in Europe and has taken hold there in America. Nevertheless,
let us not forget that what concerns us now and above almost
everything else is virtuality. Take a look at the good side. We must
always consider the constitutional dimension in the human rights
field. It is not only nor mainly a matter of a State such as Sweden or
any other European one taking its turn and seizing the opportunity
for self-centred promotion of its image in spite of the Union. It is
also and always about constitutional rights being taken seriously.
During the final period of observation at the beginning of June, the
Swedish embassy together with the civil association Transparency
held a public session centring on the problems for womens political
(82) Local experience is normally symptomatic at the very least. At a local level,
the CFSP (Common Foreign and Security Policy) involves periodical co-ordination
meetings of the ambassadors of the European States (only men in Lima, like the core
team in the field). The electoral observations core team was summoned to share
information, describe initiatives and show accountability. According to our terms of
reference, the first request was admissible; the second rather less so; the third was out of
order. Under negotiated fictions such as information exchange meetings, unidirectional in fact, joint sessions were held, which did not fully satisfy certain embassies
which, with the political agendas of their respective governments, above all resented the
professional neutrality of the observation activity. Abroad, the States, as distinct from the
Union, can display party positions, depending on the character of their executives in
charge. It would be a hard task to achieve agreement among the different States
representations in this political terrain, but there is no need of this for European
co-operation. Electoral observation experience has shown that human rights common
foundation is far from being solid operational ground for external co-ordination (soft
Common Foreign Policy) in spite of the Unions reference documents. In such conditions
(Sweden trying to take credit for the European observation; Swedish ambassador and
Swedish chief observer showing concern before the Presidency of the Republic about the
bad image of the embassy closure rather than the electoral observation; Swedish
ambassador offering personal apologies instead of observation criticism to the National
Jury for Elections, as the highest electoral institution; ambassadors summoning us with
contradictory political agendas), the embassies attempt to participate in the accountability of the European operation was plainly transformed into diplomatic harassment
against it.

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presence and representation. It attracted a large audience with


considerable participation despite, in a display of European perspective, a lack of indigenous, both peasant and native, interventions. The Swedish party also expressed its serious concern for
handicapped persons effective access to the polling stations, completely in tune with the Peruvian electoral administration itself as
regards this last point (83).
There is no true problem between agendas in terms of the
individuals rights. The Swedish agendas underlying idea clearly
centres on the demand for an equal footing among all Peruvians and
all Europeans, especially regardless of sex. The problem does not lie
here. The degrading view of the observation task and object, claiming a more indulgent and relaxed observing attitude, regards collective terms, not individuals rights. It would be Peruvian citizenry as
a whole or a majority that, due to its supposed lack of civil
preparation, would be unable to bear a requirement based not on a
double standard but on an equal footing with other constituencies
such as the Swedish or common European ones. Of course no such
thing is argued or even thought, expressed or paraphrased. It has a
continual bearing on the transitional political period, pointing even
to a degree of indulgence that could well become connivance. We
are already aware that although not so extended, this is a practice
and even an argument which is somehow present in the Unions and
States approach to political co-operation (84).
(83) I say administration and not system since, as we already know, the former is
made up of various institutions which are to a certain extent autonomous. In comparison, the National Office of the Electoral Processes is more sensitive to rights than the
National Electoral Jury or the National Record of Identification and Civil Status,
although there the former bears no similarity to the Ombudsmans Office which in any
case relies on co-operation from it, the National Office of the Electoral Processes, as we
know. Regarding the question of the handicapped, the concern showed by the previously
mentioned International Foundation for Electoral Systems was also appreciable. The
meeting on the gender problem was in fact organised by the European observation by
initiative of the chief observer from Sweden, but because it finally took place outside the
scheduled time, being held after the second round, and was not restricted to electoral
matters, the Swedish embassy ended up by taking charge. Womens participation
became relevant in the indigenous conference that I shall talk of later.
(84) Such a consideration may be a clue not just for political prudence but also
legal criteria concerning the operation activity and results. It should be noted that the

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u CLAVERO

The European electoral observation in Peru tried not only to


neutralise neo-colonial or unequal approaches, but also to counteract them. It attended the First National Encounter of Indigenous
Peoples, which was held at the end of April in Chaclacayo, near
Lima (85). The aim was to propose to organisation and community
representatives the holding of a conference on the problems of their
political participation, not for the purpose of civic indoctrination,
but exactly the opposite for them to voice their views, grievances
and expectations. That is exactly what took place on 25 May (86), a
meeting of indigenous people with the electoral observation where
the floor was exclusively theirs. Statements were made along the
unmistakable lines of what may be termed co-operative autism, an
expectation of self-government which, due to the situation to which
sequence of chapters in the index of the observation official report, which is a customary
template, responds to such a virtually more indulgent approach with the prime position
reserved for the transition circumstances, although the report itself can of course easily
avoid a device which implies that the relevant problems are only or chiefly concerned
with the final period of corruption or dictatorship, and not with long term inconvenience
of constituency. I have not said, indeed there is no need for me to do so, that I assume
entire responsibility for the report, for this does not appear in my duties as deputy, and
as an effective participant I do not hesitate to sign it as an official statement with my
limited share of accountability. If I did not strive to better convince the rest of the core
team about much of what I state here, it was not through a lack of conviction, interest,
time or possibility, but because of the collegiality and official character of the said report.
Through the core teams internal debate, I was able to define and improve my stance.
This papers dedication responds selfishly to my gratefulness.
(85) Primer Encuentro de Pueblos Indgenas para la Implementacio n del Fondo
Indgena, 25-27 April, 2001. The Fondo Indgena, Fund for the Development of the
Indigenous Peoples of Latin America and the Caribbean, whose headquarters are
currently in La Paz, Bolivia, was created in 1992, for direct co-operation with indigenous
communities, which gave rise to the very nature of the meeting.
(86) Among other contributions, the meeting had really decisive collaboration, in
all effects, from the Ombudsmans Office, particularly the director of its Special
Programme for Native Communities, LILIAM LANDEO. In addition, the Ombudsmans
Office took charge of writing and publishing the report of the event. Conclusions and
recommendations are included as an appendix in the European report. Other domestic
presences included the Department of Indigenous Affairs pertaining to the Ministry for
the Promotion of Women and Human Development, in the public sector, the association
Transparency in the private sector, and on an external level the Spanish Agency for
International Co-operation which participates in the Ombudsman programme for native
communities.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

the indigenous peoples have been led, aims to start by self-training,


by receiving foreign or state co-operation and controlling it themselves. This would include financial assistance to the Peruvian
electoral bodies for the very purposes of civic education and political
participation according to indigenous needs and under indigenous
determination, so opposite to the interpretation of unidirectional
training and assistance which the state institutions, as much as the
external ones, apply. Thus the pending challenge of Peruvian lack of
constituency hung over the conference (87).
Back home in Europe, Sweden has its own problem of lack of
constituency through its reluctance to give proper recognition to an
autonomous indigenous people the Saamis (Lapps in colonial
language) who also extend throughout Norway, Finland and Russia (88). This is not noticed of course in the Swedish leaflets for
promotion of rights according to the Swedish model. Subsequent
immigration aside, which has recently included numbers of Latin
Americans, not all Sweden is Scandinavian, just as not all of Peru is
Euro-American or of mixed culture in the Spanish trend. If this is a
matter of constituency for a State, it is equally so for Europe in its
case, although the Union tries to ignore it, thinking that it is
(87) The issue was raised more openly regarding Bolivia in a workshop with
Aymara Mallkus, indigenous authorities. It was organised in Achocalla, near La Paz, by
the Universidad de la Cordillera, around mid-August 2000. The first point was linguistical, how to translate into Aymara (for in Spanish they sound alarming and create
confusion) terms for an alternative such as constituent empowerment, rule of constituency, community self-government, etcetera. There was help from an expert interpreter,
Esteban Ticona, an Aymara anthropologist, a historian of the Marka of Jesu s de
Machaca, whose representatives were the ones who mostly posed the question of
constuency. Two years later, in mid-August 2002, I attended a similar meeting with
Quiche Alcaldes, indigenous authorities, of Totonicapan regarding their respective
constituent problems inside Guatemala: EFRAIuN TZAQUITZAL, PEDRO IXCHIuU and ROMEO
TuIU, Alcaldes Comunales de Totonicapa n, Guatemala 1998.
(88) The International Working Group on Indigenous Affairs (IWGIA:
http://www.iwgia.org), whose headquarters are in Denmark, publishes biannual and bilingual reports in English and Spanish, which usually begin with the Arctic peoples,
including the Saami: El Mundo Indgena, 1999-2000, Copenhagen 2001, pp. 19-42. IWGIA
also published Self-Determination and Indigenous Peoples: Sami Rights and Northern Perspectives, Copenhagen 1987. Nevertheless, by now, there are homepages both Artic
(http://www.arcticpeoples.org) and specifically Saami (http://www.saamicouncil.org).

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sufficient to constitute itself through a gathering of States and an


extremely limited peripheral space for regions and municipalities.
We are not going to declare that there exist similar or equivalent
problems concerning a lack of constituency throughout Europe and
America, for colonial, not to say racist heritage continues to weigh
on the latter precisely due to the former. Nevertheless it may be
said that, all things considered, the European party is not exactly in
a position to offer co-operation for democratisation and rights at a
fundamental constitutional level, that of constituency. If, with its
own deficient lack of constituency, Sweden offers itself as role model
for Peru, what it is mainly showing is complete and utter irresponsibility. I witnessed the witty remark of a candidate, the very one
who was elected, Alejandro Toledo, on Swedens umpteenth lesson:
There may be some things that are right for Sweden that may not
be so for Peru. Perhaps he was more correct than he thought when
he improvised the rejoinder (89). On the subject, Europe has no
(89) I offer an example. For programme purposes, the one formally presented to
the elections by Peru Posible, headed by ALEJANDRO TOLEDO, is not the only one that
matters, even with the addition of the party agreements before, during or after the
campaign. In a country whose articulation is not established and cannot be either in the
constitutional field or in the political area, the individual candidate formally made
government commitments by reaching agreements with other organisations. Thus, in the
midst of the campaign, he signed a Compromiso Democra tico por la Dignificacio n del
Trabajo, a democratic commitment to dignifying labour with the most important union
headquarters, the CGTP, Confederacio n General de Trabajadores del Peru , Peruvian
Workers General Confederation, basically covering an agreement towards the recovery
of a labour law in accordance with International Labour Organisation conventions and
recommendations. The mostly indigenous organisation, given its constituency, pertaining to the CGTP, the CCP, Confederacio n Campesina del Peru , Peruvian Peasant
Confederation, preferred not to sign a central agreement, referring to the autonomy of
its federated bodies. So the FDCC, Federacio n Departamental de Campesinos de Cusco,
Cusco Peasant District Federation, a member of the CCP, and Alejandro Toledo
Manrique. Candidato a la Presidencia del Peru , in these individual or non party terms,
signed an agreement which covered not only more general points concerning defence
and strengthening of native and peasant communities and fostering of peasant
womens rights, but also more detailed aspects covering social and economic needs for
regional and community development. In view of these agreements union and indigenous representatives joined the electoral roll of Peru Posible. Thus the nature of their
representation is not merely constitutional, through political party and citizenssuffrage,
that one might suppose at first sight. A broader scenario took shape, in which the
European electoral observation was able to stand out by widening its range of connec-

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(2002)

model to offer America and at the same time holds its share of
responsibility for lack of constituency there.
If we endeavour to limit ourselves to the more specific matter of
electoral observation, it is also possible for Europe to find itself in an
embarrassing situation. During the Peruvian election period, at least
two elections were held in Europe; in Italy and the Basque Country.
They were both extremely problematic due to very different circumstances and motives. The European Union does not believe that its
undertaking could be to inspect them, however it assumes this
function for external purposes. Even if one admits a transitional
situation as a requirement for monitoring, has there not been just
such a case during the last few years (though for different reasons
and in differing degrees of course) in Italy and the Basque Country?
Would Europe or its Member States be willing to allow external
agents, say American, to publicly scrutinize its electoral processes
for strengthening European democracy and fostering European
citizens rights?
With its natural and legitimate interest in taking part in electoral
observations ruling and even heading them, and putting this into
practice after Peru by taking effective charge of the political leadership of these very operations (90), would the European Parliament
reciprocate? The most it will admit to is not any kind of reciprocity
by non-Europeans but rather a certain backwards repercussion of
unilateral observation by Europeans which, due to its commitment
to principles, could help Europe itself in its articulation as a
Union (91). Besides, of course, we could hardly question the United
tions and contacts irrespective of political or institutional spheres. In any case, given this
unforeseen social blend, the usual formula for strengthening democracy through empowering parties (more than they already are on paper and in the practice of electoral
and political regime) seems questionable.
(90) Council Conclusions on EU Election Assistance and Observation (31-V-2001),
appendix already quoted from the Annual Report on Human Rights (8-X-2001), p. 211:
The practice of appointing an experienced member of the European Parliament as the
Chief Observer of an EU election mission should be encouraged.
(91) This suggestion is illustrated by the Council Conclusions on EU Election
Assistance and Observation (31-V-2001), p. 207: The EU itself is a project for democracy, development and peace. The Council stresses that the EUs presence in third
countries is a political statement and represents a commitment to these values. As non
virtual checking would be more overwhelming than helpful right now I shall limit myself

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BARTOLOME
u CLAVERO

States availability concerning foreign inspection in other countries.


Their very participation in the Peruvian observation is twofold,
through their own foundations for electoral assistance and through
the Organisation of American States. Why is there no thought of
foreign observation in Europe or even in the United States themselves? There is a clear reason for the fact that reciprocity is not
considered. In the context of international co-operation, it is the
donor States who inspect the beneficiary States, not the other way
round. Economic interest might still hold sway over the principle of
democracy (92).
to one noteworthy though lamentable anecdote. A European parliamentary observer,
FRANCESCO SPERONI, blurted out to FERNANDO TUESTA, the already mentioned chief of the
National Office of the Electoral Processes and academic expert on electoral issues, that
the recently held Italian elections had been so badly organised that they seemed Latin
American. The following allegedly amusing comment, during a formal meeting between
European parliamentarians (groups heads, IGNACIO SALAFRANCA and JOAQUIM MIRANDA)
and Peruvian authorities, touched on the embarrassment caused by the mess of the vote
recount in Florida during the US presidential elections at the end of 2000 (George Bush
Jr. versus Al Gore). Some members of the European parliament were less informed
about the case of the violent front which also resorts to assassination in the Basque
elections, held in May 2001 like the Italian ones. It would seem to be of less importance
for European interest. Efforts were made in the field to inform the European parliaments observers about the Peruvian case. While it can be justly argued that the
parliamentary group and leadership adds democratic legitimacy to the operations
technical professionalism, thus duly incorporating the European presence, this political
personnel does not admit the type of training that was given to the rest of the staff,
without exemptions. It argues its own parliamentary status in order to publicly hold an
opinion independent from the observation it forms a part of, without respect for the
common code of conduct. What is more, as if some embassies had not done enough, it
added further to the confusion of public opinion in Peru. There is not a presumption of
responsible behaviour by representative politicians. In the mentioned meeting of heads
of mission in Brussels, June 17, 2002, the parliamentarian leadership of electoral
observations was taken for granted.
(92) In practice, this is a very sensitive point for the electoral context itself. During
the observation tasks I was able to attend in Lima Mesas de Donantes, donors round
tables on electoral needs, meetings between co-operating States where the highest
ranking Peruvian respective authorities literally begged for their constitutional functions
to be complied with. I did not observe any consternation regarding the reliance on such
a practice and its risks of political dependence. What I did detect is that the openness
of the Peruvian institutions to external scrutiny contains resignation and an underlying
resentment regarding what they quite rightly feel to be the political cost of economic aid
rather than a basis for co-operation in the human rights and democracy we must share.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

It could be a case of what is termed democratic legal conditionality for economic aid itself, a case of democratisation being an
explicit legal condition for economic co-operation, which is not
primarily considered as a historic debt concerning unsettled colonial
responsibilities particularly European ones and thus regarding
not exactly the States, but the indigenous peoples instead (93). But if
we are already assured by the European Union that we are contemplating new forms of co-operation not only for development and
welfare, but also and above all for basic elements such as democracy
and human rights, why then are these other reciprocal and therefore
more democratic monitoring possibilities not even conceived? Why
is reciprocity itself not even virtually thinkable? Why is electoral
monitoring still viewed as an exceptional and unidirectional formula
for transition situations, and not as a normal means of sharing
experience for mutual democratic progress? For donor States themselves to be monitored, the invitation to do so could cover expenses
Dependence on aid furthermore increased as things progressed since, on the one hand,
the electoral organisation was swindled by a computing firm, and on the other hand,
squandering the money of others, controls on and by these same electoral institutions
were increased through costly programmes. For these elections, in order not to interfere
with observation, the European Union only subsidised supervisory bodies (not administrative or jurisdictional ones) such as the Ombudsmans Office, or also non-government associations like Transparencia and Consejo por la Paz (allocations in
http://europa.eu.int/comm/europeaid/reports/compendium2001macro.pdf, pp. 166-168),
but several member States (Spain is one of them) which are in fact deeply committed to
Perus economic competition and the countrys political conflict, directly defrayed
electoral institutions. I have already mentioned the possibility of division of labour,
which of course needs no programming or even co-ordinating, between the Union
concerning itself with rights, and the member States taking care of interests. The very
lack of European constituency evidently creates a breeding ground not just for Peruvian
confusion: S. STAVRIDIS stresses this: The Common Foreign and Security Policy of the
European Union. Why Institutional Arrangments Are Not Enough, in S. STAVRIDIS, E.
MOSSIALOS, R. MORGAN and H. MACHIN (eds.) New Challenges to the European Union,
pp. 87-122.
(93) Showing a strong defence of conditionality deemed as democratic for cooperation considered as donation, JENNIFER MCCOY, Monitoring and Mediating Elections
during Latin American Democratisation in K.J. MIDDLEBROOK (ed.), Electoral Observation
and Democratic Transitions, pp. 53-90, with an epigraph on Donor Commitment and
Political Conditionality, pp. 85-87, which begins thus: The international community
must follow through with promised carrots and sticks, and reproaching the European
Union for not being demanding enough with democratic conditionality.

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always as long as the operations independence were guaranteed. It


would be money well spent if it were used on this type of communication based on an equal footing.
This virtuality is not even conceivable yet. An imbalanced one is
being gestated instead. The best future, the reciprocal one, could be
spoiled if it does not give birth to viable equal creatures in the plural.
In a culturally complex world an only child or even twins, a solitary
offspring born late in virtual postcolonial life, can be easily miscarried. Neither Europe (the European Union) nor America (the
United States) or both together can set the rule by themselves. With
the global challenges of lawful democratisation and rightful cooperation, all is virtually open. The virtual reality we find on the
internet is still no more than mostly plain and simple virtuality, a
European proposal in this case. Yet it is there, on the glowing
screens of countless widespread terminals in cyberspace. It is quite
capable of producing possibilities for rights and democracy that are
as yet inconceivable. We are going to ponder on postcolonial
potentiality, the seed of that unborn vital offspring, on the home
ground of the law whose foreseeable performance will save us from
falling into pure science fiction.
6.

Nemo dat quod non habet: co-operative relations among the


United Nations.

Let us proceed by returning to the International Labour Organisations Convention on Indigenous and Tribal Peoples in Independent Countries. This organisation is today one of the United
Nations specialised agencies, yet its origins date back to the second
decade of the twentieth century. This Convention not only recognises certain rights, but also previously defines the category of the
subjects entitled to them, the aforesaid indigenous and tribal
peoples. We are already aware of this, but it would be advisable to
consider the matter more closely. The definition is to be found at the
beginning, in the first article. The text, as is usual nowadays, is easily
available not just in print but also on the web. I shall dispense with
the colonial rather than postcolonial concept, of tribal people so as
not to complicate the matter for constituencies such as the Peruvian
and the Swedish. Let us look at indigenous peoples.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

There we find a concept. The convention declares that it applies


to peoples in independent countries who are regarded as indigenous on account of their descent from the populations which
inhabited the country, or a geographical region to which the country
belongs, at the time of conquest or colonisation or the establishment
of present state boundaries and who, irrespective of their legal
status, retain some or all of their own social, economic, cultural and
political institutions. The same section adds, on the one hand, that
self-identification as indigenous... shall be regarded as a fundamental criterion; on the other, that the use of the term peoples in this
Convention shall not be construed as having any implications as
regards the rights which may attach to the term under international
law. A concept exists, that of indigenous as the product of colonialism. There is also a requirement, a peoples awareness of their
indigenousness. And finally, there is a deception, the refusal to
recognize the international rights of peoples for the indigenous. Let
us see what importance for constituency lies here. Let us pay
attention to the virtuality of texts such as this from the International
Labour Organisation among the legal body of the United Nations
human rights instruments. It is international law deemed as universal (94).
Peru ratifies the Convention on Indigenous Peoples, on an issue
of direct concern for its constituency. The gesture is a sign of
recognition. Within its frontiers, amidst the citizenship, among those
who have not only the right but also the obligation to participate
through their votes, there are indigenous peoples, human individuals, whose cultures, or a part of them, pre-date that colonial presence
which brought the European one the one the State still identifies
(94) The ILO Conventions, such as this one on Indigenous Peoples, are only
mandatory, relying on ILO supervision, for the States that ratify them. In America this
means (in chronological order up to mid-2002) Mexico, Colombia, Bolivia, Costa Rica,
Paraguay, Peru, Honduras, Guatemala, Ecuador, Argentina, Venezuela, Dominica and
Brazil; in Europe, only Denmark and the Netherlands; outside the Union, Norway.
However, since the United Nations so far lacks its own instrument on indigenous
peoples, this ILO Convention also acts as a register for international standards. This is
shown by the fact (already mentioned) that the Office of the United Nations High
Commissioner for Human Rights includes it on the web among the rulings on human
rights.

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BARTOLOME
u CLAVERO

with. Thus, there are subjects, indigenous, entitled to not just


individual, but also collective rights inside the State itself. As a
consequence, these peoples are not exactly on the same footing as
other human groups. Even the final deception concerning the use
of the term loudly affirms that not all have the same rights, not the
same human rights. The first sections from the principal Covenants
in the development of the Universal Declaration on Human Rights,
the one concerning Civil and Political Rights, and the other on
Economic, Social and Cultural Rights, which are jointly agreed on in
1966, proclaim the right of reference for peoples and contrast for
indigenous peoples: All peoples have the right of self-determination; by virtue of that right they freely determine their political status
and freely pursue their economic, social and cultural development.
The individuals rights follow after, only after.
The phrasing and very concept of this collective right as an
equal human right, which all peoples are entitled to, and which even
precedes (which is not to say it is superior) individual ones arise
from the 1960 Declaration on the Granting of Independence to
Colonial Countries and Peoples, the formal adoption of an anticolonial stance by the United Nations (confront the Universal Declaration of Human Rights practically accepting colonialism in 1948 via
its article 2.2: No distinction shall be made [among persons] on the
basis of the political, jurisdictional or international status of the
country or territory to which a person belongs, whether it be
independent, trust, non-self-governing or under any other limitation
of sovereignty). Now, from the two principal Covenants on Human
Rights in 1966, a relation may be perceived between the political
overcoming of colonialism and human possibility for individuals
rights. These human rights instruments conceive this link by presenting peoples right as a basis and requirement of individuals
rights. The former is the first article for the latter. All peoples
however, the subjects entitled to self-determination, turns out to be
only certain peoples, for they are not indigenous. Notwithstanding
the International Labour Organisation Convention on Indigenous
and Tribal Peoples in Independent Countries, the colonial issue of
pending constituency that is still hanging over States like Peru (or
like Sweden) is still blindfolded.
Is there any sense in the blatant contradiction of identifying as

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

a people in language something which is not recognised as such by


law, as the aforesaid convention does? It may make sense if the text
is viewed within the context of other texts, or in successive linked
contexts pertaining to the International Labour Organisation itself
and to the United Nations as the body or set of bodies genuinely
responsible in the production and development of international law.
It is no time for digressing and repeating (95). Let us keep to Peru.
For its own constituency, the historical structuring or lack of it is still
stronger than present determinations, be they electoral or otherwise.
As a matter of fact, we cannot keep to Peru, because there, in
Peruvian inconstituency, colonial European responsibility still exists
and even functions. This is how we come to view the postcolonial
virtuality of an international law which of course does not only
concern Peru. We shall consider pending, past and present links
between America and Europe in order to situate ourselves and
improve our vision.
As its very name indicates, the International Labour Organisation is only a specialized agency in the international field. It was so
from its beginnings as a subsidiary body of the Socie te des Nations or
League of Nations in the twenties, and it continued to be so when
it was incorporated into the United Nations. This means that its
authority covers the areas of its nominal topic, that is, labour.
Regarding the possible rights of peoples as such, it was and is of
itself only able to say what it has already said. This is basically that
it lacks the power to innovate regarding these collective subjects, the
peoples as such, in the international sphere. What is remarkable is
that it has been able to go on to tackle, beyond labour, the rights of
indigenous peoples, yet, to start with, it states that they lack the first
of all human rights, the one to self-determination (the use of the
term peoples in this Convention shall not be construed as having any
implications as regards the rights which may attach to the term
under international law). An entire colonial history is still enclosed
here which with respect to indigenous peoples and not others, has
led to the International Labour Organisation, rather than the United
(95) For further lines of argument and references, I can refer to B. CLAVERO, Ama
Llunku, Abya Yala, particularly its first chapter; or even to a mere introduction: Diritto
della Societa` Internazionale, Milan 1995.

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u CLAVERO

Nations themselves, taking charge of more responsibilities other


than labour. This has created difficulties, but has not been an
obstacle for the whole question to be dealt with in the international
scenario (96).
If a challenge exists, and it appears to, it is for the United
Nations themselves, the source and authority for the Universal
Declaration of Human Rights and for the entire body that develops,
and sometimes rectifies, the human rights law that has developed the
former until today. Although the declaration avoided this challenge
more than half a century ago, it has been facing up to it since then.
Since the sixties the United Nations have made the aforesaid
pronouncement on the right of peoples to self-determination, contained in the portico of the main human rights covenants as a
fundamental condition for the full deployment of individuals rights.
Indigenous peoples have been excluded since the 1960 Declaration
on the Granting of Independence to Colonial Countries and Peoples
(article 1: The subjection of peoples to alien subjugation, domination and exploitation constitutes a denial of fundamental human
rights; my italics for alien, a qualification constructed by the
United Nations as if it excluded indigenous peoples located inside
state frontiers).
Since the sixties, the United Nations have also been seeking to
accommodate those who have no place in this panorama, the
cultural and political groups not identified or recognized as States or
peoples, such as the indigenous. This is what article 27 of the
Covenant on Civil and Political Rights is for: In those States in
which ethic, religious or linguistic minorities exist, persons belonging to such minorities shall not be denied the right, in community
with the other members of their group, to enjoy their own culture,
to profess and practise their own religion, or to use their own
language. Prior to mentioning other peculiarities, observe what
occurs later with this text, when in 1989, it is repeated for children
and adolescents in the human rights instrument which does away
(96) L. RODRIuGUEZ PINx ERO, Between Policy and Rights, quoted, reconstructs the
process of the ILOs assuming worldwide authority in indigenous matters, since its
beginnings in what was still an openly colonial period, and for reasons which are of a
complex colonial nature, with the Latin American case as actual protagonist.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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with the traditional problem of the under-aged child regarding the


denial or withdrawal of rights, the Covenant on the Rights of
Children in its article 30: In those States in which ethnic, religious
or linguistic minorities or persons of indigenous origin exist, a child
belonging to such a minority or who is indigenous shall not be
denied the right, in community with other members of his or her
group, to enjoy his or her own culture, to profess and practise his or
her own religion, or to use his or her own language.
What is happening at the heart of the United Nations to
produce from 1966 to 1989 this shift of language which implies a
differentiation between ethnic, religious or linguistic minorities (as
they are still called) and what are now termed indigenous? It is
simply that there is now an awareness that there are peoples in the
meaning given by the International Labour Organisation in the
aforementioned convention (97). But there is still not a full and
coherent rectification. It is sufficient to take a look at the 1992
Declaration on the Rights of Persons Belonging to National, Ethnic,
Religious and Linguistic Minorities developed from the previously
quoted article 27 of the Covenant on Civil and Political Rights. The
declaration is clearly even more limited than the extensive interpretation given to the said article within the United Nations by the
Human Rights Committee, the jurisdiction for this covenant (98).
We should also be aware of a more persistent element. Just as in
this article and in its version for children, the subject entitled to
rights is, strictly speaking, exclusively the individual, the person
belonging to a minority, although not alone but in community with
the other members of his or her group, naturally for the exercise of a
right such as to ones own culture. With this extreme individuality of
the very subject, there is no link here with the right of peoples to
self-determination which might form the condition for institutional
cover of the cultural environment for the individuals rights themselves, when the latter are unprotected by the State or by any other
(97) S. JAMES ANAYA, Indigenous peoples in International Law, New York 1996; F.
MACKAY, Los derechos de los pueblos indgenas, adds information, also concerning the
European position, pp. 319-322.
(98) DOMINIC MCGOLDRICK, The Human Rights Committee: Its Role in the Development of the International Covenant on Civil and political Rights. With an updated
Introduction, Oxford 1994, pp. 14-16 and 247-268.

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political body belonging to the same individuals culture. The


distinction between individual and collective rights need not be
considered as a contradiction when they mutually endorse each
other. This is well known by States whose existence, with the
empowerment it implies, has no other legitimization and objective
than to protect, guarantee and foster the rights of respective individuals, their citizens. The main Human Rights Covenants, those on
Civil and Political Rights, and on Economic, Social and Cultural
Rights, convey the message with their aforementioned common first
article concerning the human right of free determination of peoples
as portico for the very deployment of individual human rights. The
one concerning people who identify with a culture which is different
from that of the State is included here, among the individuals rights,
without relation to the premise of the right to self-determination.
An unquestionably new insinuation is to be found in the very
name given to the specific charter concerning so-called minorities,
the 1992 Declaration on the Rights of Persons Belonging to National, Ethnic, Religious and Linguistic Minorities. Thus, it states
that minorities may also be deemed national, not just ethnic. The
same international institution or set of institutions, whose very own
name identifies nation with state, does so; the United Nations which
unites States, not exactly peoples. It likewise seems constitutively
incapable of offering what it does not possess, a form of constituency
which might not necessarily arise from the constituted States. Nevertheless, the decolonisation process that has occurred under the
United Nations authority since the sixties proved for better or
worse that there are institutions which may, if not rise above
themselves, at least not fall short of their constituent parts. And the
unresolved matter concerning indigenous peoples continues to challenge both the United Nations and the constituent States or their
Unions, like the European, still as an after-effect of colonialism.
These problems have been discussed by the international organisation since the eighties in a way which is of general interest to
peoples who are not recognised and entitled as such (99). Formal
(99) HURST HANNUM, Autonomy, Sovereignty, and Self-Determination: The Accommodation of Conflicting Rights, Philadelphia 1990; GIUSEPPE PALMISANO, Nazioni Unite e
autodeterminazione interna. Il principio alla luce degli strumenti rilevanti dellONU,

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(2002)

consideration is now being given to a possible Declaration on the


Rights of Indigenous Peoples that would place them on a level with
non-indigenous as regards the right to free determination, and
would endow them with international guarantees if they opt for
autonomy inside the constituted States. There still remain serious
doubts as to what degree of equality would be effective, but at least
the equation would be virtual. We already know that virtuality can
announce reality (100).
It is a challenge for individualhuman rights, and the collective
human rights which they are in need of. International law, as
represented by the United Nations, considers this to be the case, if
not yet in practice, at least theoretically and thus virtually. It is
post-colonial virtuality. It must always be remembered that, as the
United Nations has proclaimed since the 1960 Declaration on the
Granting of Independence to Colonial Countries and Peoples, its
foundation is none other than that of individualhuman rights which,
according to what has been established by the main covenants since
1966, require the premise of peoples rights. There are no (nor
should there be any) other international standards for the specification of subjects entitled to human or fundamental rights citizenships collectively as well as persons individually. The latter can be
taken for granted, but the former (the constituent agencies) need
shared, international regulations. The same term international
meaning supra-state is nowadays all too ambiguous and leads to
confusion. Human rights standards as common standards for all,
persons and peoples, are enough they should be enough.
It should not be assumed that the United Nations are unceasing
in their efforts to carry out their supreme ruling, human rights, as
the basis for their own legitimization and functioning (101). Without
Milano 1997; THOMAS D. MUSGRAVE, Self-Determination and National Minorities, Oxford
1997.
(100) The text of the current project can be found in S.J. ANAYA, Indigenous
Peoples in International Law; in Spanish, in F. MACKAY, Los derechos de los pueblos
indgenas. The international instruments in force today which I have quoted are readily
available in any compilation of human rights, either in print or on the web.
(101) Since I base these thoughts above all on knowledge gained from my own
personal experience, I will add a recent example. As an advisor for UNICEF, the United
Nations Childrens Fund, in mid-January 2001 I took part in a workshop with the

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u CLAVERO

going any further, the strong presence of the United Nations (with
its financial and technical assistance) in the Peruvian elections
showed no special sign of concern regarding the norms and practice
of human rights as a basic element for the organisation itself and the
electoral process. Elections are human rights events. If any of the
international presences distinguished itself in these matters, one
could say without fear of contradiction that it was precisely the
European observation (102). Nevertheless, as far as we are concerned, as I have already pointed out, this attention fell short on the
problem of lack of constituency not only because it was beyond the
electoral supervisions very authority, but also and above all because
it lacked the international standard which might have derived from
various United Nations agencies present in Bolivia for the putting into practice among
them of the UNDAF, the United Nations Development and Assistance Framework, with
the specific aim of enforcing the very commitment to human rights. The sessions
progress made clear the extent to which the initiative was not at all unnecessary. On the
part of the UNDP (the United Nations Development Programme), whose responsibilities include electoral assistance, there came a request for forms for propagandist
introductions on human rights in their economic documents and no more. Their specific
argument was that in countries such as Bolivia, it is impossible to go further (i.e. be more
demanding) in programmes for assistance and promotion, concerning principles such as
the compensatory promotion of female workers or the total eradication of child labour.
For these purposes there is no lack of those who question such imperatives, arguing
respect towards cultures or societies where children play a role in family or community
work, as if there were no room for dialogue and self-management in co-operation, or for
means and methods of evolution and change, all the more responsible and determined
for their being endogenous and assumed. One-sidedness, either due to bureaucratic
inertia or to the impatience of voluntary services, is the main handicap of co-operation
itself.
(102) This does not only concern the already mentioned section of the Framework
of human rights on the European observations website, but also the attention paid
throughout the process by means of diverse statements and declarations, together with
the chapter on Rights and electoral discrimination of the final report, all of which is also
present on the web, as we already know. It should also be said that we, European
observers, had a certain handicap: the core team in the field did not only project an
inevitably European image, but one that was also unnecessarily masculine, which added
to the already mentioned fact that all the European ambassadors to Peru were men.
During the lengthy electoral period, in the transition situation, there were civic initiatives
and meetings on human rights, and above all concerning the as yet unclarified extremely
serious infringements committed during the last two decades. From what I saw, no UN
or OAS personnel in the field regularly attended or showed interest in these meetings.
I shall return to this point.

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sufficient awareness of the question of inconstituency as one pertaining to human rights.


Let us generalise, for it is another way to virtualise. States,
whether joined together in the United Nations or in any more
limited and densely woven complex like the European Union, or
taken separately, are not able or willing nowadays to face the human
rights question of constituencies, for the fable tells of them, the
States. This does not mean to say that it is impossible, just that it is
problematic. Constituencies themselves are challenged, in the as yet
somewhat virtual citizenships of the respective States, and also
beyond their frontiers. This is not a bad thing either. It is the most
democratic after all. Europe itself warned us that democracy
cannot be imposed. This warning should not be necessary. It is
obvious, but the European trend has been precisely that of imposing
and asserting itself, not respecting and backing foreign constituencies, to the point it reaches in the colonial origin of the American
inconstituencies themselves.
However, bearing responsibility and being responsible do not
add up to the same thing. You pay for one and shoulder the other.
Co-operation is due without compensation and with clear conditions under the common norms of human rights and not of other
international standards or another conditionality, be it democratic
or otherwise. Todays more or less virtual citizenships are supposed
to uphold their own polity so that they may be effective. The
problem lies in the fact that for the party which shoulders responsibility and also the one which is responsible, the question of
constituency still embraces states fiction more than peoples realism.
A fair statement on proper elections, such as the European report on
2001-Peru, might create an alibi for an appalling constituency or
blatant inconstituency (103).
We have virtual rectifications on the move, although they are far
from being a common and safe course. First and foremost, there are
(103) It will by now be no surprise that neither the general or indigenous
constituency question is completely imperceptible to the American electoral observation
practice. There is proof if necessary in the collection K.J. MIDDLEBROOK (ed.), Electoral
Observation and Democratic Transitions, despite specific studies of cases such as the
Mexican or Nicaraguan.

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two evident fundamental principles defining the post-colonial


model, this specific virtuality: Elections are human rights events
and Democracy cannot be imposed. Human right is also every
peoples right to its own constituency, to a democracy that cannot
even be imposed by the corresponding State through mandatory
suffrage or otherwise, especially when it is in disagreement as is
often the logical case with indigenous peoples. This would harm not
only a collective right but also individuals rights. The way in which
Perus lack of constituency appears to be supported has offered us
a most eloquent example.
There are further examples of connected progress in the making. I shall not insist upon the most relevant one for the present
situation of human rights regulations, dealing with the differentiation of category (though not yet categorical), between on the one
hand the so-called national minorities, as groups formed through
their own migratory movements or through the outlining of state
frontiers, and on the other hand, the indigenous peoples, as preexisting groups with regard to colonialism. The latter, and not the
former, face the challenge of constituency. We have observed that
the European Union has, at least in theory, assumed the distinction,
though not the consequence and not always the principle in either
external or internal practice (104).
The greatest and often underlying internal resistance (with
unavoidable external implications) to peoples constituencies still
comes from States, including those of the Union itself. They consider themselves to be properly constituted, even for historical
(104) In contrast with the still usual trend towards reducing the distinction which
is followed by those who take the matter seriously in America, see RICHARD SPAULDING,
Peoples as National Minorities. A Review of Will Kymlickas Arguments for Aboriginal
Rights from a Self-Determination Perspective, in University of Toronto Law Journal, 47,
1997, pp. 35-113. Kymlicka is certainly todays most noted representative of both serious
tackling of the issue and of reducing the category, although he allows more and more
scope for indigenous people regarding national minority: W. KYMLICKA, American Multiculturalism and the Nations Within, in Duncan Ivison, PAUL PATTON Y WILL SANDERS
(eds.), Political Theory and the Rights of Indigenous Peoples, Cambridge 2000, pp.
216-236. See also his (Kymlickas) Politics in the Vernacular: Nationalism, Multiculturalism and Citizenship, Oxford 2001, pp. 241-253 and 275-289, in direct confrontation
particularly with THOMAS M. FRANCK, The Empowered Self: Law and Society in the Age of
Individualism, Oxford 1999, pp. 224-254.

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reasons which they nevertheless deny, or cannot even imagine for


those peoples who are not politically incorporated among their
congeners as States. Sweden is not an exceptional case. In Europe,
the same use of the past as an implicit title to exclusive peoples
rights as being constituent of the States themselves is all the more
possible for its being imaginable, for the cultivation of each States
unique image of itself as individual polity, and not because its
corresponding past is less problematic in itself for purposes of
constituency (105).
Imagined history may provide a better or worse virtual constituency, and real history a better or worse positive constitutional law.
The actuality of the latter may of course brace the virtuality of the
former. An unhealthy inconstituency may become a healthy constituency through its own development of an adequate constitutionalism. Around two hundred years ago when the States were constituted, not one was constituted in the least democratic way or with
any concern for rights that were not reserved to a very restricted
citizenship. There was not one polity which came close to a majority
of the adult population. Women, workers and aliens, even internal
ones, were excluded. Those who had been, or were still in servitude,
those who were employed, those who did not share in the predominant culture, and also simply because of their sex, women, had no
individual credit by constitutional law. They were not entitled to
rights, political or otherwise. In America as much as in Europe, the
social subject constituting States has been the free male owner with
an excluding European culture (106).
Here they are today, the American and European States consti(105) In the case of Spain, this question has been the subject of much discussion
in recent decades. Let us register only, amist a profuse and erratic bibliography, JOSEu
RABASA, Inventing America. Spanish Historiography and the Formation of Eurocentrism,
Norman 1993; IGNACIO PEIROu , Los guardianes de la historia. La historiografa acade mica de
la Restauracio n, Zaragoza 1995; CAROLYN P. BOYD, Historia Patria. Poltica, historia e
identidad nacional en Espan a, 1875-1975, Barcelona 2000; JUAN SISINIO PEu REZ GARZOu N,
EDUARDO MANZANO, RAMOu N LOu PEZ FACAL Y AURORA RIVIEv RE, La gestio n de la memoria. La
historia de Espan a al servicio del poder, Barcelona 2000, and so on at the entrance of the
third millennium.
(106) I can refer to my Happy Constitution, pp. 11-40; and now also to Freedoms
Law and Oeconomical Status. The Euroamerican Constitutional Moment in the 18th
Century, in these Quaderni Fiorentini, 30, 2001, pp. 81-135.

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tuted in theory on different principles, as the original ones seem


nowadays completely inappropriate. They were established on such
foundations, but their respective constitutional histories have been
able to expand citizenships with no need of constituent enactment
or express recognition in all cases and on all occasions (107). Nevertheless, just as we have observed in Peru concerning the failed
effects arising from constitutional awareness of indigenous presence,
there is no case which encourages reflection and reconstitution,
reconsideration of the entire system in the light of the backgrounds
and changes, roots and evolutions, of the respective constituency or
rather constituencies, all in the plural (108). It may be that not only
the American States, both Latin and Anglo, need to apply the
constitutional fable of post-colonial virtuality to themselves.
In America as in Europe, past history is of course less important
than present law. In either of them, just as in other parts, the former
may be of interest to the citizenship in as far as it still affects the
latter, with its fundamental effect precisely in the field of constituency. The common test nowadays should be not of roots and
backgrounds, but of changes and evolutions; not of origins, but of
practices; not of history, but of law, or rather of rights. If the result
is positive, in the best case, but with no reflection on the constituency, itself limited to a particular history of States as nations in the
(107) In America, the United States problem concerning constituent exclusion of
indigenous, slaves and women has been faced head on by BRUCE ACKERMAN, We the
people, vol. I, Foundations, Cambridge, Massachusetts, 1991, considering it as settled by
virtue of its own constitutional history, with abolition and equality, although the latter
has not yet been a formal amendment, whence he infers that there remains no question
of constituency. From past evident inconstituency to current supposed constituency, he
moreover precisely forgets the indigenous case. In order to appreciate the denial of basic
constituent rethinking at the crucial moment of the abolition of slavery, EARL M. MATZ,
Civil Rights, the Constitution, and Congress, 1836-1869, Lawrence 1990. Ackerman
argues that re-constituent changes are achieved with no need of constitutional reforms,
or for the very amendments to formally go so far, which seems as historically verifiable
as it is legally misleading. That which is not explicit cancels what must be reflective,
robbing it of its very virtuality. What better proof can there be than that of the
Afro-American history of deprivation of constitutional rights following the abolition of
slavery, despite the respective constitutional amendments in this case?
(108) I intend to reflect on all of this in Constituyencia de derechos entre Ame rica
y Europa: Bill of Rights, We the People, Freedoms Law, American Constitution, Constitution of Europe, in these Quaderni Fiorentini, 29, 2000, pp. 87-171.

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singular, how can any model be presented or adopted? How can a


healthy constituency of proper democracy and human rights (of
both peoples and individuals) be shared if one does not even
possesses this foundation? The extent to which it may be achieved
in each case, American or European, is not the issue here. We are
dealing with virtualities, not other kinds of reality (109).
As a requirement for legitimacy, law needs formal and effective
constituency, the basis and agency of citizenships entitled to individuals rights with no discrimination, including the fundamental
right to ones own culture and thus requiring collective empowerment for the very purpose of protection, guarantee and fostering of
the same rights, that is, of peoples and individuals liberties. This is
not usually considered or imagined in properly constituent, constitutional and legal terms according to our virtually post-colonial
contemporariness. The problem is not even seen as a present and
fundamental matter for constitutional law, ones own and that of
others, common and shared; the law that must be based on the
supra-state nature of human rights, to the exclusion of any other
more or less refined or selective standard, however internationally
proclaimed or constructed, and however national it is presumed
to be.
7. Rights make might: freedoms and elections, citizenships and
peoples.
Unresolved and pending constituencies, responsible citizenships, peoples in a word, may also be virtual in a dual sense which
is moreover contrasting: through their constituent non-existence or
through their constitutional existence. The former is more evident.
Constitutions as not just normative, but also performative and even
propagandist texts, create a virtualised image of the State which
starts by imagining the no less virtual citizenship, that is, the
non-existent constituency. But all this is also a form of reality, as we
are well aware, which does not prevent this virtuality from still being
(109) You may confront THOMAS CAROTHERS, Aiding Democracy Abroad: The
Learning Curve, Washington 1999, or even PHILIP ALSTON (ed.), Promoting Human
Rights through Bill of Rights: Comparative Perspectives, New York 1999.

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unreal, or from being as yet largely no more than wishful thinking.


There are States which become impatient when they endeavour to
impose the image of citizenship with devices such as mandatory
voting accompanied by military monitoring. This is the neither
innocent nor harmless virtuality of citizenship as non-existent constituency.
We already know that neither citizenship as the entitled subject,
nor suffrage as the democratic method, and constituency as the
pillar, are to be imposed. On the contrary, they are supposed to be
free, according to rights. Legitimacy is otherwise impossible. So
therefore, if such a support has to be credited, such a procedure
must be respected, and such a subject is to be held, without civic
free agency, with devices such as mandatory voting and military
monitoring, with this practical non-existence of citizenship, there is
no possible way either for concerned or co-operating States. Complicity among them is all that remains. Electoral observation becomes particularly susceptible to this purpose of collusion. If this
particular kind of co-operation does not clearly demand and specify
its human rights standards, allowing the misuse of less rightful and
more political standards, distinct international standards, the real
tasks of electoral observation may easily turn into leniency before
delays or even stoppages under the challenge of a real lack of
constituency, with the subsequent harm this would cause for merely
virtual citizenship.
Constituency, democracy and citizenship may also be virtual in
another sense, contrary to the one I have first stated. In order to exist
through legitimising, supporting and setting institutions in motion,
virtual constituencies do not always need to perform openly as such,
for example through plebiscites or constituent suffrage. There is
another way which is also virtual in nature. There are common
periodic elections with basis and through procedures by possible
constituency, not yet an actual one. This very possibility is the
decisive factor. It does not identify completely with the electoral
moment. Elections are one of its ways. Citizenship acts as a constituent subject also through the habitual exercise of individual
liberties, showing confidence in the existing recognitions, coverage
and guarantees, that is, in the given scenario. If this is so, and in no
other cases (not in the case of mandatory suffrage and military

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monitoring), current constitutionalism is able to improve historical


constituency despite its present virtuality. No religion has an unredeemable original sin, just as no law has an untreatable constituent
deficiency.
When this civic attitude and constitutional behaviour by virtual
constituency do not turn out to be the evidence which is observed,
the presumption of improvement is not, or should not be possible.
It would in any case be premature and maybe inadmissible. If we
encounter a case (such as the Peruvian) of respect for strictly
electoral liberties of political agents together with hindrances to the
habitual freedoms of common citizenship, we are in all probability
facing a sign, and perhaps proof, of the covering up and repression
of a true underlying lack of constituency, with no possible virtuality
left under these approaches and practices. Furthermore, if this were
evidence in any case of deeply pluricultural environment (such as the
Peruvian), with the State leaning towards just one single culture,
leaving all the rest with serious problems for the exercise of individual liberties under collective coverage, then there would not be
the slightest doubt about the lack of both constituency and virtuality. Then, electoral observation can hardly avoid political complicity.
It is needless to conclude that such was the case of Peru-2001
despite the efforts of the European observation.
There is a European consciousness. The European Union is
growing aware ahead of the constituent members, the States. Its
luggage load is lighter. Although all suffer it, the Union, more than
the States, is also facing an underlying challenge. It is the ordeal of
its own lack of constituency as Union among States, the defiance of
inconstituency in brief. With different formulae insofar as they are
more complex and less oppressive than those which are the standard
fare, even the suggestions of federal recipes accompanied so far by
all their known and tried dressings, the European constituency
challenge today occupies more of the limelight than the States. It is
a question on the Unions agenda. Thus, while the electoral observation proceeded in Peru, the European Union provided us with a
really unstructured or virtually unconstituted image of itself. There
is no lack of anecdotes which are really categories. In ones own eye
and body, just as in those of both neighbours and aliens, inconstituency is a burdensome beam and a blinding mote.

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Even the United Nations, with its constituency of States, with its
own citizenships or peoples inconstituency, is unable to provide
formulae, although it can of course recognise rights. It wrongfully
attempts both, as occurred with de-colonisation. Yet neither the
United Nations as a coming together of States, nor the States
themselves, with their upside down virtual images of respective
citizenships (the latter depending on the former, the constituencies
on the States, and not the other way round) may become exclusive
constituent agents. They try to do so at the risk of reproducing and
even aggravating the common problems of the lack of constituency,
in all its extent and varieties. Only citizenships may identify themselves, expressly through suffrage or implicitly through liberties, as
constituencies without burdens or dependencies such as mandatory
voting and military monitoring. Citizenships which are merely mirror images of States, individual or forming regional or widespread
unions, including the United Nations, can hardly become constituencies. In its limited way, the European Union virtually warned us
when it backed up its electoral observation programme in support of
democracy and fostering of rights. Human rights standards are the
best warning.
Since unconsciousness is disabling in its blindness and awareness is the prerequisite to achieve sight, our task here is to identify
the disorder and diagnose the disease, not analyse the virus and treat
the malaise. It should be observed that in its practice and theory,
rules and doctrines, constitutionalism does not usually consider the
issue of constituency, even when it recognises (sometimes only
paying tribute to) the most suitable foundation, the suprastate
character of human rights. The problem is the weakness or even lack
of a constituent thinking as the appropriate first element of constitutional law. The imagined construct of Nations as constituted
constituting agents weighs heavily, as does the established and also
figurative reality of the States. This is the usual scenario even when
constitutionalism faces an explicit question of constituency, whatever the wording.
There is bibliography on so-called minorities described as ethnic or even national, and on their rights regarding constituted States,
including occasionally the consideration of a possible title of secession from the given reality of the existing States, the Nations with a

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capital letter, in order to add another one. The very terminology in


use depends on this state or national scenario, with equivalence
between State and Nation. Literature abounds on the subject of
peoples right to self-determination in the same context and even the
same perspective the constitution of States. De-colonisation is
also re-examined as other possibilities of peoples determination are
usually recovered in this same universe, characterised by States
paradigms. Is this all (110)? This is as far as my knowledge reaches.
Nevertheless, we may have something further yet.
There is now a flourishing area of publishing on pluriculturalism
which does not limit itself to contemplating cultures in the plural but
also, even above all, devices for establishment and processes for
co-ordination both inside and outside the States, although usually in
the scenario that they design. Let us leave aside the amateurishness
inspired by todays multicultural boom, be it for or against. We
should always consider the virtuality. All this clearly affects constitutional matters and continuously borders on the constituent issue,
although this has still not been definitely tackled in its entire juridical
dimension both procedural and substantial. If this last or rather first
point is beginning to come to our notice, nothing more for now, it
is precisely thanks to and by way of the inconstituency issue in the
case of indigenous peoples (111).
More remains to be tackled and it may be the fundamental part.
No thought is given, just as practice fails, concerning the selfdetermination of all subjects entitled to rights, of everyone of them
(including as collective subjects both all peoples and the so-called
minorities in their widely varying conditions, above all regarding
(110) The caveat is not a merely stylistic clause. This papers set of notes, including
references to my own work, offers proof of the size or maybe instead the limitations of
my knowledge. It is up to the readers judgment. There would be no point in recording
an intentionally exhaustive literature if it had not been consulted or checked, for aside
from being of greatly diminished use with todays computer resources also for bibliographical information, it might hold unforeseen surprises. Fortunately this sometimes
happens.
(111) A previously mentioned collective volume, D. IVISON, P. PATTON Y W.
SANDERS (eds.), Political Theory and the Rights of Indigenous Peoples, provides good
testimony, thinking and information, including its references, although it is still excessively (considering the implications of the matter) attached to individual histories and
cases among which those of Latin America are strikingly absent.

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their identification or disaffection regarding the current respective


State), and also or mainly concerning the authorizing of procedures
for the credit and exercise of the right to ones own constituency in
extremely varying conditions and expectations. They may turn out
to be very different prospects without being written down in more
or less accredited state formulae for the protection and fostering of
rights. In existing literature, there is a particular failure to achieve
connection, compatibility and co-ordination between the individuals rights and collective powers as a constituent question. According
to foreseeable human rights, not for their current stance, both all
peoples and all so-called minorities may legitimately represent virtual constituencies. Here virtuality means a moment which ought to
be and is not yet post-colonial, such as the present.
There is a lack of constituency practice and an excess of constitutionalist pretension. There are too many cunning substitute approaches on States (or Nations) grounds. The endeavour to divide
and not relate individuality and community is noteworthy among
those who start by detaching the State from all the other collective
subjects, as if its very existence exempted it, and only it, among the
whole set of human social bodies, from the need for constituent legitimisation. It is not just amateurs who waver between individuals
rights and collective rights, treating them as mutually excluding, as if
they did not endorse and need each other, as if humanity were not
made up of mutually dependent individuals and cultures, persons and
constituencies that improve each other. Where there is no societymaking culture, no human can become an individual.
Constitutionalist literature, which should get the message, does
not do so. What usually transpires is that it does not even consider
these questions of so-called peoples self-determination, of the empowerment of what are known as minorities, of identification of
cultures with equality of juridical principles among them. Once the
scenario and direction are cleared, the problems of practical implementations in its extremely varying conditions are up to the very
self-determination, to the responsibility of the respective constituencies. In the constitutionalist context instead, in constitutional
literature, the entire matter is deemed and constructed as political
facts or cultural circumstances rather than constituent titles to
collective rights or powers needed by the individuals rights or

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liberties. For State or Nation, right disappears from the constituent


scenario in its collective magnitude.
Although not so brutally expressed, it is taken almost for
granted at least among constitutionalists that, as the proverb says,
might makes right, that the politics of States (or Nations)
empowerment are the constituent foundation for rights to liberty,
instead of human rights with democracy as an immediate result, so
immediate as to begin by the determination of the constituency (112).
Right makes might, or rather rights make powers in the plural,
checked and balanced on behalf of freedom, is what should be
understood instead. It is human rights that should occasion and
condition constitutional powers, and not the other way round.
When rights to liberty do not constitute a binding premise for all
law, but instead a reversed determination usually coming from
political decisions (even through democratic elections), this simple
fact is sufficient to set law, justice and government over the liberties
themselves. It can easily do so mostly when political decisions are
constituent. Democracy itself offers no remedy if its very practice is
not conceived and realised as a requirement and instrument of
human rights, both individual and collective. The measure of democracy cannot be Nations (or States) determination.
All this is entirely a constitutional problem which constitutionalism is reluctant to deal with. The thinking and teaching of constitutional law usually begin with virtually constituted powers, with
nation (or state) premises in whose image and likeness constituent
citizenship itself is conceived and called to vote, which is not quite
so clear from democratic requirements. Thus, we have a fictitious
anthropology (the conception of the human individual disconnected
from cultural community) leading to constitutional ignorance of
citizenships right to constituency. There is still a considerable
amount of constitutional doctrine which maintains and assumes that
without this so-called national, politically established basis, the
(112) I confess that the first time I encountered the equation between might and
right was not in any legal or political text, but in real literature, in HERMAN MELVILLES
Moby Dick, in the opening anthology of writings about huge monsters such as the
biblical Leviathan, also Thomas Hobbes, in the final poem of the collection, where
might is right.

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BARTOLOME
u CLAVERO

possibility of even individuals rights does not exist. This teaching is


wont to add that collective rights are inadmissible in this initial
constitutional area, the constituent bootstrap. Thus, existing Nations (or States) have been established, and not others as holders of
political powers or, in constitutional terms, as agents of collective
rights which are really necessary for freedom of the individual, the
citizen living in the midst of particular cultures, not a non-existent
global society, be it called humanity.
In such a scenario, the international law of human rights does
not achieve sufficient recognition of its normative value either. This
basic referent for humankind, virtual as plausible and realistic as
feasible, is not properly welcomed as a fundamental element, with its
current development, for constitutionalism itself. Neither does this
international normative body, for its part, take charge of serious and
unresolved challenges, among which precisely constituent law is to
be found; the right to free determination of citizenships as constituencies, under legal rules rather than discretionary powers, the law
being of course that of human rights. If elections are human rights
events, what are constituent determinations but the highest human
rights events? As documents on electoral observation from the
European Union have highlighted, the respective standards are duly
phrased since the Universal Declaration of Human Rights through
article 21: Everyone has the right to take part in the government of
his country, directly or through freely chosen representatives... The
will of the people shall be the basis of the authority of government;
this will shall be expressed in periodic and genuine elections which
shall be by universal and equal suffrage and shall be held by secrete
vote or by equivalent free voting procedures. The first shared
article of the Covenants on Civil and Political, and on Economic,
Social and Cultural Rights, must be added of course: All peoples
have the right of self-determination. It is the aim of democracy
linked to human rights, as constituency is supposed to be.
Here we have human rights standards, the ones we know as
democratic rules for the European Unions co-operative policy. The
fable talks of everybody, but constituted democracy usually shows
otherwise both in Europe and in America. Among States (or Nations), there exists, if not always a failed response to human rights
standards, at least a reluctance to recognise that they are never at

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

their disposal. They do not approach their own constituency from


these suprastate standards which might be true juridical rulings.
Human rights are not at the disposal of citizenships self-determination. Democracy is not constitutionally defined by the political
rule of majorities, but by the legal framework of rights, of which this
same majority principle for a proper constituency is a determined
and limited consequence. There is no other. Rights rule democracy.
If human rights standards must prevail for constituted polity, exactly
the same is true for constituent democracy. There are no other
legitimating principles, no other constitutional bases.
Right makes right. Rights make powers. Democracy is not
the mere determination of social majorities, neither of cultural
minorities, however much they rely on history and its images. It has
its rules, it must have them, as regards the very recognition of
constituent subjects, and also conditions and procedures of constituent determination, included for the usual case of combination and
articulation of more or less densely interrelated peoples as constituencies in the plural. There must also be rules as regards the
constituent links between individuals rights or powers, on the one
hand, and collective powers or rights, on the other, so that the
former might always be covered and guaranteed by the latter.
Furthermore, there must be rules for recognition of virtual citizenships constituting themselves by means of trusting exercise of common liberties, political and personal, without collateral discriminatory effects against differentiated groups, indigenous or other, and
so on. All of this is the constituential law, under the human rights
standards, that we are in need of.
Among the problems which may be constituential in nature,
electoral observation itself, particularly the international kind, is
sometimes involved. This usually occurs in situations of transition,
and thus potentially constituent, although the elections are not
formal as regards this effect, as has been the case of Peru. Moreover,
as we already know by now, ordinary elections always contain some
form of display of constituency. It may be positive, because of this
trusting exercise of freedom of participation among other civic
liberties. On the other hand, it may be negative, when it represents
a sign or even proof of inconstituency, as the Peruvian case seems to
be. Thus, international observation represents a presence which,

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BARTOLOME
u CLAVERO

even when scrupulous and respectful, affects the process of citizen


determination in an alien constituency or maybe inconstituency.
This may even be foreseen. We observed it in the European Unions
approach. It is not merely a question of observing and submitting a
report on an electoral process, but also of discouraging irregularities,
lessening conflicts and inspiring trust in its process. Experience has
shown that foreign observation affects elections through just putting
in an appearance and much more for all further performances. If it
does not restrain itself, more serious interference is inevitable.
In the Peruvian case, there was more than the offer of credibility
by the foreign presence. In full campaign, between the first and
second rounds of the presidential elections, a current of discontent
burst onto the scene, proposing blank or spoiled ballots, not only as
a way of expressing opposition to what was now the only remaining
alternative between two political options not including the right
wing, in accordance with the suffrage pronouncement in the first
round. It was also an attempt to annul the presidential election,
because as Peru has a mandatory voting system, it takes precautions
that provide for the invalidity of the suffrage itself if a certain
percentage of invalidated votes is reached. Alarmed at this remote
possibility, the Organisation of American States observation publicly
repeated their opinion that, as voting was obligatory, the clear and
valid option between the two electoral final offers for the presidency
should also be considered binding despite the secret nature of
voting. The chief American observer (from Guatemala, in fact)
openly declared the illegitimacy of the electoral option for blank or
spoiled votes in the second round. This did not transform the
all-American international presence into a political agent within the
Peruvian electoral process, for as we know by now, it was so already.
The European observation publicly adopted the role of defending the right to silence, to blank and even spoiled votes, in general
and, more so, whenever voting itself is not free, as in Peru. It agreed
that the public show of dissatisfaction with the citizens decision by
rejecting the result of a first round, together with attempting to get
the second annulled, might not be very democratic behaviour. It also
considered that there may be delicate situations where civic responsibility calls for not only free participation, but also (as the Peruvian
transition might be) a real option between electoral offers. If all this,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

ranging from the American onslaught to the European devious


lightness, is not meddling, what would it take? In fact, public
opinion, or a certain part of it, showed signs (through letters to the
press and through other means) of interpreting it as interference
against the Peruvian citizenships self-determination (113).
There were more moments of possible or even evident interference. The electoral administration encountered serious computer
program problems in the results processing system that the United
Nations and the Organisation of American States decided to handle
behind closed doors, while the European observation resolved to
make it public. This latter decision was shown to be sound, not only
for its transparency, but also because of the aspect of public and
political confidence. There was a growing concern among some of
(113) Just to give an idea, letters from MANUEL ALIAGA to the director of the
Expreso newspaper on May 20 and May 25, concerning the European observation,
concluding: Do us a favour: comply with the observation tasks that you came here for,
but do not raise your finger and publicly evaluate the electoral campaigns that we
Peruvians decide to perform. As Peru is in need of international assistance, other
papers and magazines restrained themselves from reproducing this type of public
reaction. Just as I have mentioned regarding institutional distrust, where one never
knows if the main feeling is one of appreciation towards international co-operation or
resignation at its being the price for economic assistance, these feelings are not easily
measured, because informal conversations with transport, cleaning, administration,
hotel, cafeteria and corner store staff are not very trustworthy yardsticks. The difference
between observations has not gone unnoticed at least among reporters and also in
institutions. The electoral administration body, the National Office of the Electoral
Processes, showed both latent resentment to the European Union and open enthusiasm
for the Organisation of American States. Some examples were quite graphic, like a final
video for self-propaganda producing such unease, even within some other observation
teams, that it warranted a formal letter of apology to the European Commissions
Delegation in Lima from the National Office of the Electoral Processes. Fortunately by
the end, the relations between the European Union and the Organisation of American
States observation had returned to better terms within their mutual independence, as
shown by the final exchange of formal correspondence, which, given its personal
implications, is not included in the appendices of the European report. The Swedish
party had found or put itself offside, but the chief observer and the embassy on
behalf the Presidency of the Council demanded their credit. The members of the
European Parliament did not spend enough time in the field to inform or even interest
themselves. Caught in the cross fire, the patience of the stable core team made it possible
to avoid a serious crisis and keep the European disagreements concerning the observation, throughout its performance, from becoming public in Peru or elsewhere.

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BARTOLOME
u CLAVERO

the parties and candidates concerning the apparent incompetence of


the electoral administration body, which was able to be redirected in
less confrontational terms when the real problems, that were serious,
were aired (114). However, the positive result does not repair the
negative excess. The European team might have managed to help
restore confidence between, on the one hand, some overbearing
international co-operation leadership and a daunted electoral administration, and on the other, some maybe oversensitive political
forces whose distrust follows from the harassment and corruption
suffered under the Fujimori regime. But is this putting to rights a
task corresponding to a party such as foreign observation which is
supposed not to interfere at all? The awkward mistakes of others do
not necessarily imply ones own wise moves.
Between one event and another, both the domestic and international observations not only behaved inevitably as agents involved
in the electoral process, but also publicly reflected on our own
actions and responsibilities after preparation and training, work and
experience (115). As for the European observation at least, it was not
only particularly independent and especially prepared in compari(114) It has to be taken into account that apart from other means of communication, visits to the European observations website were recorded, where the most
frequent visitors were the main parties participating in the campaign, and mainly to the
pages holding our periodic statements. Following Peru, the most frequent visits, about
sixty-five per cent, counting all three together, came from, in this order, the United
States, Spain and Belgium. The latter is logical in that it is the European headquarters.
Throughout the electoral period, the daily average of visits was sixty-two. The presence
of the European observation in the press reflected in its own website is not all and has
already gone past a hundred entries. This works out at more than one news broadcast,
article or interview per day.
(115) Towards the end of the operation, there were notable occasions of common
reflection among both heads and deputies of domestic and foreign observations at round
tables. One took place in an academic environment, in the Law Faculty of the
Universidad de Lima on May 29, and another among journalists on June 1st, in the
International Press Centre organised during the elections by PromPeru (the public
agency in charge of the promotion of Perus image abroad: http://www.peru.org.pe).
Throughout the operation frequent informative and study meetings were held among
observation and electoral assistance agencies, thanks to the initiative and hospitality of
the civil association Transparencia. The Ombudsmans Office was also a courageous
supporter and frequent attendant.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

son with its previous operations (116), but also remarkably contemplative in itself, both inwardly and outwardly, among its members as
well as with other observations, in other forums and regarding the
press media and public opinion (117). Dialogue, which is human
rights standards own method, as the European Union told us, was
continuous, free-flowing and on many different levels, not only
among our own people, nor solely with the institutions.
Let us reflect then. We should continue with the dialogue which
started with the operation itself. Let us virtualise it. The aforesaid
interference, or as least some of it, might not have been meddling as
such in a real sense, but this would only be the case if it were
genuinely concerned with human rights, with the virtual standards
of foreign presence legitimisation and the virtual sources for the
code of international observation conduct. Concerning the question
of mandatory voting being extended to the obligation to adopt a
specific electoral option, the American stance argued in terms of
democracy (through a maximised participation), but not rights,
(116) While still in Europe, in Stadtschlaining, Austria, in mid-February, the
observation personnel had an initial training seminar. It was organised by SIDA, the
already mentioned Swedish agency for international co-operation, as part of a programme developed for training in this specific field of electoral observation. There was
no presentation on indigenous presence in Peru, except for references to history and
myth, not to present and polity. I posed the question and received a reply: You are
confusing Peru with Bolivia. In Peru, we, the core team, were responsible for organising
training sessions and appraisal meetings, without ignoring the indigenous factor.
(117) Without wishing to enter into any personal comparison of course, my own
curriculum regarding electoral observation was quite scanty. I had only participated as
a common observer in the double round of the very general (for they were CentralAmerican and municipal together with parliamentarian and presidential) elections in
Guatemala in 1995-1996. But the Peru core team and also the observation staff
represented a really remarkable amount of well earned experience and proven capacity.
For my own part, I am not any known or secret expert in electoral matters either. At the
start, I resorted to the generous advice of a good specialist like JOSEu RAMOu N MONTERO.
Concerning my initial limitations, I must also admit that, except its frontier in the vicinity
of the Titicaca for I often visit Bolivia (as member of the academic board of the
Universidad de la Cordillera and as a UNICEF consultant), I had never before set foot
in Peru. Among people who showed interest were colleagues in legal history from the
Pontificia Universidad Cato lica del Peru , mainly FERNANDO DE TRAZEGNIES, last minister for
foreign affairs in the Fujimori government. It was the nature of the regime which
discouraged me, though being conscious that this refusal was unfair towards people.
More than one candidate failed before the European Commission considered my name.

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BARTOLOME
u CLAVERO

which would have been difficult, in that this would affect and
double obligation, not freedom. In contrast, the European position
was able to argue in terms of liberties, placing individual determination first and foremost, and consequently democracy. In this
manner it would be possible to refer to human rights for a right to
abstention and silence, including blank or even spoiled voting,
especially the latter when suffrage is mandatory. After all, elections
transfer responsibility and bestow power. Rights in general and
elections in particular make powers. They empower institutions. If
there is citizenship not wanting this empowerment in general or in
the specific case (118), will a fundamental right to non participation
not be conceivable and admissible?
Yet the difficulty remains. How can one claim that the right to
abstention, or in the case of its being forbidden and penalised, to
silence or vote spoiling, constitutes (since it is considered as a liberty
in the context of participation) a human right to non participation?
Such a thing is difficult to deduce from the present normative body
of human rights, and not to be inferred, as far as I can see, from any
of its jurisdictional or doctrinal developments. This means that it is
a matter of mere opinion with no other authority than its own
(118) I am not making speculations. It is also a practical question in a case like the
Peruvian. I have already referred to the municipal revocations in order to lessen electoral
local empowerments attuned in fact to indigenous practices. They were due in 2001, and
delayed to avoid coinciding with the general elections when they were brought forward.
The electoral institutions immediately proposed that they should be cancelled, claiming
that they were an excessive and costly burden as they received no external aid (they were
finally held on 25 November). On the part of Peru, it would not appear to be one of the
crucial elements for communities constitutional incorporation. On the international
side, there is no awareness that, for the sake of democracy itself, local elections might be
more important than the general state elections. Along these lines, during the aforesaid
indigenous conference on May 25 much importance was attached, as a sign of democracy, to revocation procedures, through new elections, which are allowed against local
representatives and not permitted regarding either parliamentarians or presidency. As
the vote was not obligatory in the Guatemala case, I witnessed the lively influx in general
elections due to the coinciding of municipal ones, in contrast with the poor turnout,
outside Guatemala City, during a second round which was just presidential. As I
explained elsewhere (Ama Llunka, Abya Yala, notes 51, 94, 97 and 98 in the second
chapter), I was not in a position, despite my efforts, to be able to contribute to the
convenient inclusion of the indigenous question in the European programme in the case
of the Guatemala observation, 1995-1996.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

capacity of conviction, and therefore extremely inappropriate as an


international observations argument on the grounds of human
rights standards.
We must realise that what we have is perhaps a negative deficit
and not a positive credit of human rights standards. Whatever the
answer may be in cases such as this international meddling regarding
the Peruvian citizenship, it indicates that there is still no getting to
grips with the whole electoral matter, and no clear statement from
the already mentioned set of regulations and corresponding jurisprudence and doctrine. We must never forget that elections are
human rights events, rights events that produce powers. Elections,
particularly, involve rights and yield power, both things, in all that
directly or indirectly affects constituency. Thus, the question is the
uncertainty. Here are human rights, specific ones concerning nonparticipation in voting and empowering, imaginable rights that are
by now so vague and precarious that they cannot either function or
be activated. They are in a state of absolute virtuality, for the
moment in limbo.
Here are the questions then. Why is it that all of this concerning
suffrage and observation, citizenship constituency and international
co-operation in elections and other democratic issues, is not tackled
and dealt with as what it is, as a strictly and basic juridical matter, as
a human rights branch of law, as constitutional law in brief? Why does
conventional constitutionalism not even give serious consideration to
the fact that the rights it deals with are not such because they have been
granted or recognised in a particular States constitutional instrument
or constituent text, but simply and above all because they constitute
human rights, which furthermore have by now their own set of legal
written rules thus prior to constitutions themselves? Constitutions
have not yet arrived as far as this even when, as is usual today, they
recognise, as a principle in the domestic setting, the supremacy and
force of the international law of human rights.
It does not seem difficult to diagnose the legal constituent
uncertainty, the current insecurity about the law that might rule
constituency. The very existence of such a binding constituent
regulation is unsettlingly imaginable by States, somewhat strange for
their own image, and practically unthinkable for the predominant
legal culture, insofar as it entails the relinquishment of the funda-

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BARTOLOME
u CLAVERO

mental constitutional right to self-determination, the right of rights


deemed and practised as the power to determine constituencies and
citizenships by States and not the other way around. As a constitutive form of reference which is customary because it is longstanding
for virtual memory and present for real sight, the figure of the State
or Nation does not only affect the external evidence of what is
visible, but also the internal virtuality of what is thinkable, the very
possibility of legal thought by learned minds, not for different
mentalities of course. The diagnosis is simple. None of what follows
is. The approach, analysis and treatment would be an entirely
different matter, but we know that we shall not go into this.
The burden may also be more virtual than realist, more real for
its being imagined. Maybe images weigh heavier than other kinds of
reality for a panorama of possibilities. There are facts that often
become abstracted, theoretically ignored and cancelled. They are
normally the very ones that are unfavourable for state claim to
excluding constituency in the singular. It is of no use searching
through common legal treatises and other learned publications on
politics for reliable news and accurate knowledge concerning the
plurality of peoples covered by States with unresolved inconstituency affecting each other and everyone in the very field of human
rights. You will not find any useful information, let alone analysis
and treatment. If reference is made to human reality covered by
States, it is as a non-legal matter. When constitutent questions are
concerned, the space is given over to fiction about history and
present produced by the existence of the States, by the abducted
minds of their legal and learned human resources. What we find is
their virtuality as reality in brief.
The problem is not exactly that the figure of State makes an
appearance, but that it does so before constituency. State constitutes
people and may therefore recognise, guarantee and foster rights, all
but the first one, that of the determination of constituency by
citizenship. There is no room left. Thus, the problem lies in the fact
that the State or Nation makes its appearance as subject of history
and subject of present, both the well-known matter and the preconstituted agent for constituent purposes, all in the singular even
when there is less autistic and better-checked information available.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

The problem begins with the lack of competition even in the virtual
world of ideas and for the potential capacity of words.
The word constituency has a more limited meaning in the field
of politics, I know. Usually what it means is constituted and not
constituent citizenship, the citizenship that empowers institutions
via suffrage, but does not extend to freely creating itself as the
segment of humanity which authorises the State. Other European
languages, such as French, German, Spanish or Italian, lack an
equivalent coining of any word even with this limited meaning.
Constituency in a stronger sense attempts to say something which is
indescribable in any language in a world presided over by the
institution of States doubling up as Nations (119), thus a truly
infantile universe, somewhat lacking in words and without the
guileless imagination for conceiving other possibilities, even through
the most basic human requirement of liberties. Well, in America as
in Europe, we are facing imagined constituencies, no less functional
for being imagined, and it would be advisable to reflect as conclusively as possible on this point. With this little help from historical
sources, current literature, world wide web browsing and electoral
observation, let us try to do our best (120).
8. The fact of our existence: the thing and the title for America and
Europe.
In the mid-nineteenth century Peru was a formless State, with
(119) I ponder on this in Ama Llunka, Abya Yala, a title containing another play
on languages, American this time, Quechua and Kuna, to try to express, at least
figuratively, what signifies the most difficult political concept in any current language
with European roots, free constituency and especially for indigenous peoples, as in this
case. This is not to say that we need the word in order to pose the question, as shown
in the meetings with Aymara Mallkus and Quiche Alcaldes, to which I have previously
referred, and where the question was how to say constituency and inconstituency in
Aymara or in Quiche, in Quechua or in Nahuatl. They did not need it to be brought to
their attention for reflecting on it because it forms a part of their existence as an everyday
experience.
(120) I intentionally paraphrase a title already cited, Imagined Communities by B.
ANDERSON, since I use the adjective imagined, between imaginary and imaginative, in the
same sense as he does, which is not falseness, illusion or trick, but the imagined form of
immaterial possibility working as virtuality configuring reality.

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BARTOLOME
u CLAVERO

most of its boundaries still undefined, and none of them under


political control. It attempted to constitute itself as a European-like
Nation in a mostly indigenous environment, with reluctant peoples
inside, and quite a few others that were simply independent. A
prominent jurist and expert on public law, overcome with concern,
expressed the non-indigenous stance (121). He wrote in the middle of
the 19th century beside Lake Titicaca in Puno, the most imagined
frontier region for the continuity of indigenous peoples, mostly
Quechua, Aymara and Uru, between Peru and Bolivia, together with
the Spanish or Euro-American non-discontinuity. He wrote from
the Peruvian side and angle: The fact of our existence in the
political field is a fait accompli and even if it were possible, it would
be unwise to try to undo it and oblige us to go back to being under
the charge of another, such as the Spanish colonialism that was still
trying to do so (122).
Let us not think that the fact of our existence is juridically
unimportant. Fact may be most momentous for law. It may be a
critical criterion for recognition of States and among themselves as
fellow body politics. It may even be the title for its constitution, the
right of constituency to obtain something other than bare factual
existence. In times when human rights principles were not in effect,
it could have certainly been a decisive factor to such an effect. If
there were the fact of our existence in the political field, we could
constitute a State although our constituency were only virtual in the
sense of fictitious, such as Peru in the middle of the 19th century.
(121)

C.A. RAMOS NUu Nx EZ, Toribio Pacheco, jurista peruano del siglo XIX, Lima

1993.
(122) TORIBIO PACHECO, Cuestiones Constitucionales, Arequipa 1854, p 231 (el
hecho de nuestra existencia poltica esta ya consumado), in part reproduced in the
already quoted Materiales de ensen anza edited by CEu SAR LANDA. The version of the first
bound edition was signed in Puno, since a part was previously published in the
newspaper El Heraldo of Arequipa during 1853, following new sections throughout 1855
for the El Heraldo of Lima. There is a current edition of these Cuestiones Constitucionales, Lima 1996, with an introduction from JOSEu PALOMINO. Since we have already cited
the author and his course has only now been published, we can refer, as a halfway
witness, to M.V. VILLARAu N, Lecciones de Derecho Constitucional (1915-1916), Lima 1998,
edited by DOMINGO GARCIuA BELAUNDE. I am grateful to CARLOS RAMOS and CEu SAR LANDA
for their advice.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

This is something that brings us, as far as States go, almost up to the
present, despite human rights (123).
In the case of 19th century Peru, an appeal to Europe was
rejected as a colonial arrangement, preferring instead to rely on the
States own capacity, despite another fact, that the jurists imaginary
world, his virtual universe, was European. The same can be said for
the State itself. The conceived and therefore conceivable law was
European. Europe was the imagined reality also for America (124).
Neither did our Peruvian jurist suppose that, later on, right would
take such precedence over law, authorising even practices bordering
on colonial tutelage, for instance the observation of elections by
other States, be they overseas or continental, the European Union or
the Organisation of American States (125).
(123) SHARON KORMAN, The Right of Conquest: The Acquisition of Territory by
Force in International Law and Practice, Oxford 1996: M.J. PETERSON, Recognition of
Governments: Legal Doctrine and State Practice, 1815-1995, London 1997; FRANCIS A.
BOYLE, Foundation of World Order: The Legalist Approach to International Relations,
1898-1921, Durham 1999; STEFANO MANNONI, Potenza e Ragione. La scienza del diritto
internazionale nella crisi dellequilibrio europeo, 1870-1914, Milano 1999, to which I can
add my commentary on the latter: Positive Morality. La inco gnita decimono nica del
derecho internacional, in these Quaderni Fiorentini, 28, 1999, pp. 1127-1140.
(124) For the most graphic verification in the same case of the Peruvian 19th
century jurist, C.A. RAMOS NUu Nx EZ, Toribio Pacheco, Appendix I, Cata logo de los libros de
la biblioteca de Toribio Pacheco.
(125) If our theme had been electoral observation as performed not by the
European Union in America, but by the Organisation of American States at home, I
would not have described it as bordering on tutelage but downright neo-colonial, with
abundant evidence throughout the process. It went so far as a front-page photograph of
the National Office of the Electoral Processes, giving a formal account before the OAS
rather than the competent constitutional body, the National Electoral Jury. The Peruvian
ministers of defence and the interior, both belonging to the military, together with the
OAS core team occupied a front line position on the panel of their final press conference.
These are eloquent images to say the least. Among some of its members (the beneficiaries
of co-operation, not the donors), the Organisation of American States enacts a style of
internal inspection that the European Union does not consider regarding its respective
States, yet in the case of America, its human rights motivations are nearly reduced to an
ideological veneer covering up political control at least as for electoral observation and
assistance or as for, in general, non-economical co-operation deemed democratic. I do
not refer to other areas such as the jurisdictional dimension of the Organisation of
American States itself. This warning is also valid of course for the European Union. If
we had explored its jurisdictional branch, we would certainly have a more solid image,

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BARTOLOME
u CLAVERO

The notion embodies something between co-operation and


surveillance, between assistance and intervention, a mixture unheard of until recently by the State, any State, Peruvian or otherwise,
performer or receiver. Before its very practice, it could hardly be
understood in terms of share and participation in rights, human
rights. Even now, when in practice, it is not always easily understood. In fact, America itself has had previous experience of electoral inspection neither proposed or still less carried out on behalf of
rights which might be deemed human insofar as they are general and
common, a type of observation precedent for the Organisation of
American States as a form of political control (126).
For basic constitutional purposes as constituent commencements are, this is what may mark the difference between, on the one
hand, the moments of birth and early history of European and
American States, the history prior to human rights, and, on the
other, todays Union in Europe or Organisation in America, as well
as other regional States groupings (127). In previous times no jurist
or expert on public law would have entertained the idea that certain
in the context of its inconstituency, as J.H.H. WEILER considers in his quoted The
Constitution of Europe.
(126) THOMAS J. TODD, Managing Democracy in Central America: A Case Study.
United States Electoral Supervision in Nicaragua, 1927-1933, Miami 1992.
(127) To obtain a better picture, different levels of comparison would be very valuable of course, with more regional groupings among both European and American States,
such as the Andean Community in Perus case (http://www.comunidadandina.org), and
including the United Nations in its global scope. But I can only make the suggestion as
far as we restrict ourselves to the comparison between the Unions inexperience and its
States experience, and also because of the limitation of my knowledge. Might I be allowed
to add that what is known in academic terms as Compared Law (Droit Compare , Vergleihendes Recht, Derecho Comparado, Diritto Comparato...), the comparative study of legal
systems, does not usually provide worthwhile information or bases for approach and
analysis of past or present legal moments and developments? Relying on second-hand
investigation, not on local knowledge, and despite the current American constitutional
record, it does not even heed the existence of indigenous rights and still reproduces
European colonial images. The most responsible source, both constitutional and legal
thinking and teaching in America, does not usually do anything else. In Latin America the
first university degree programme on The Rights of Indigenous Peoples, of peoples and not
only individuals, is as recent as 1998, the one issued by the aforementioned Universidad
de la Cordillera in Bolivia, the colonial Alto Peru , Upper Peru, the pre-colonial Kollasuyu
one of the parts constituent of Tawantinsuyu.

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rights could take precedence over citizenships self-determination


which was furthermore then very limited. Today there is no recognised legitimate possibility of political existence without the principle and objective, the authorisation and the requirement of human
rights and thus democracy. Rights are not merely elements of a
humanitarian philosophy or the like. They constitute a body of law
in a state of determined development also for constituent purposes (128).
It is a truly new juridical situation. Not even just over half a
century ago, and during a couple of decades when they were drawn
up, declared, divulged and expounded did human rights reach or
come close to this performative value and normative force. They
have acquired it in recent years as it has been developed and also
partly corrected (129). For the European Union, this inexperienced
body or set of bodies, it is neither a luxury nor an adornment. It is
(128) It is not just a question of an increase in Declarations and Conventions, the
latter with their supervision mechanisms, but also their development of a more independent form of jurisprudence with respect to the States which constitute the United
Nations. Conventional international law handbooks deal with Declarations and Conventions more than other evolutions. Constitutional manuals often show no specific
concern with human rights instruments for normative purposes. For international
jurisprudence as an integral source of the legal body of human rights, a pertinent study,
as it deals with the principal jurisdiction, is already quoted: D. MCGOLDRICK, The Human
Rights Committee.
(129) Allow me a domestic note. In the mid-seventies, when the present Spanish
Constitution was elaborated, there was a formal proposal to renounce a declaration of
rights while recognising the constituent value of the international law of human rights.
It came from a sector that was anxious to control a movement in favour of the
recognition of peoples, such as the Basques, as subjects of their own constituency. As a
method, it was deemed extravagant and was rejected. According to what was assumed,
the correct performance was constitutional recognition of human rights as a model of
constitutional program and even cannon of legal construction, although not as a juridical
body to be enforced above state constitution and law, and much less as substituting its
constituent determination. Nevertheless, regarding the aim of neutralising non-state
constituencies, there seemed to be no problem in the recognition itself of human rights.
Nobody appeared to suspect then (mid-1970s) that in a few short years, from the eighties
onwards, amidst the United Nations the issue of peoples right would be openly dealt
with as a premise for individual rights. This point had been already formulated then by
the quoted first articles of both the principal United Nations Covenants, which were
proclaimed in 1966 and went into force in 1976, when the Spanish Constitution was to
be set up.

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not a beautifying cloak or a concealing cover, but rather, at least


virtually, a constitutive principle and working goal. This is the
virtuality that I am dealing with here, one which is or must be both
internally and externally post-colonial for Europe itself.
Not only the external image but also and above all the internal
identity of the European Union should perhaps avoid becoming
especially European beyond other concurrent identities, just as
Sweden tries to be Swedish, at the expense of Saami and other
peoples, or each Member State endeavours to be national in its own
mirror. The shared identity of Europe as a Union can and perhaps
should be constituted without its own particular distinctiveness for
the specific purpose of maintaining virtuality while remaining regional, so to avoid both repeating constituent States history and
mimicking a common external history, which are damaging in
various degrees for European and non-European stateless peoples.
European rights are or must be human rights, otherwise they are not
true rights, however much a different, distinctive definition is desired. European law is and must be international law in order to
someday become law of peoples among peoples or international in
this acceptation.
Declarative charters concerning what are understood as human
and consequently general rights, by means of specific political
decisions, are no innocent however much they may or seem to make
the latter dependent on the former, human rights on human determinations. Neither is the specification of those presented as almost
exclusive of citizenships themselves in scenarios or for regional
spheres, like the European Union or each Member State. If the
rights arose from European decisions even just for Europe itself,
without the misuse of applying them further as international standards regarding America, the European party would be setting an
instance of power over right, of institutional powers over citizen
rights. Thus, we would easily find ourselves in what has been and
can still be the characteristic scenario established by the States, and
hence in the very situation that has to be overcome in order to
achieve the normative supremacy of human rights without dependency as for entitlement on political belonging. We already know
that this community in rights is feasible humanity.
Neither does it seem that European citizenship has its own

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identity to hand, among other ones, unless it is founded on a shared


commitment to human rights which are not distinctive or exclusive.
No better possibility for European constituency is seen to be within
reach. Neither the contemplation of present time nor the imagining
of past history can provide European identity. Not even European
representation through electoral suffrage does. As a proper constituent base, the very Treaty on European Union refers not only to
present rights, the ones recognised and guaranteed by both the
respective States systems and the shared regional jurisdiction of the
European Convention for the Protection of Human Rights and
Fundamental Freedoms (prior to the Union, as it was signed soon
after the Universal Declaration and also broader, as it is ratified by
States which are not members), but also to an imagined common
constitutionality, the constitutional traditions common to the
Member States, all this with a real principle at the very beginning:
The Union shall respect the national identities of its Member
States (130).
It is not only Swedish zeal that fights for the latter point or
maybe still the first one. As a starting point, it does not appear to be
a good one. There is not a straight path, but a long and winding
road, to the determination of common constitutionality through
national (meaning state) constitutional traditions. These do not even
integrate the real histories and virtual constituencies of all the
European peoples inside the Unions frontiers. They also constitute
traditions which are intrinsically problematic as regards human
rights and constitutional guarantees. The same Union Treaty knows
better to some extent. It refers in addition to rights and freedoms
(130) I am quoting from the Treaty on European Union (http://europa.eu.int/eurlex/es/treaties/livre1-c.html), Common Provisions, currently, in the consolidated text,
article six, previous article F: 1. The Union shall respect the national identities of its
Member States, whose systems of government are founded on the principles of democracy. 2. The Union shall respect fundamental rights, as guaranteed by the European
Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms signed in
Rome on 4 November 1950 and as they result from the constitutional traditions common
to the Member States, as general principles of Community law (...). As we shall observe,
the Charter of Fundamental Rights of the European Union deals further with constitutional traditions and specific rights. For the web page of the jurisdiction corresponding to the European Convention on Human Rights, http://www.echr.coe.int.

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from the European Convention, but not the United Nations. It does
not rely on the international law of human rights. This is Europe,
stupid! Here we have an improper answer as to substance and not
only style. Why, then, does such an emphasis on common human
rights come afterwards, with the purpose of co-operation from
Europe? Where does the foundation of Europe lie in the last or
rather first instance?
As for this foundation, some learned people try to trace common constituent European tradition back to ancient Roman and
Canon law, the latter even on religious Christian grounds. If tradition must be precisely constitutional to found present Europe, the
stance seems outrageous in theoretical terms, and in the practical
field, highly risky and truly damaging for rights and liberties (131).
There are others who follow an undoubtedly better path in their
efforts to trace and regain a closer common European constitutionalism, founded on rights to freedom and guarantee for liberties (132).
It is a challenge caused by the current phrasing of the European
Unions constituent approach. It gives rise to invented traditions, to
both the Roman-canonist legacys dislocation and the constitutional
heritages overstating.
The plural nature of the reference to the constitutional traditions common to the Member States beyond the States very
(131) Reference may be made to a collective critical and problematic reflection:
PIO CARONI and GERHARD DILCHER (eds.), Norm und Tradition. Welche Geschitlichkeit fu r
die Rechtsgeschichte?, Cologne 1998. The recovery of tradition is usually attempted with
respect to private law, yet apart from its involvement, it also extends to the public or
even constitutional dimension, in terms that implicate religion, Christianity for Europe
as any other for elsewhere. It may be even the Roman kind: PAOLO PRODI, Il sacramento
del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dellOccidente, Bolonia 2000.
It should also be remembered that, without the Catholic slant of course, no other seems
to be the initial trend of the Institut fu r Europa ische Rechtsgeschichte in Frankfurt am
Main with its first impressive and most useful work, the Handbuch der Quellen und
Literatur der neueren europa ischen Privatrechtsgeschichte (1973-1988) edited by HELMUT
COING.
(132) As a fitting example now, with specific reference to the constituent principles registered by the Treaty on European Union, MAURIZIO FIORAVANTI, Sovranita` e
Costituzione. Il modello Europeo tra Otto e Novecento, in his collection on La Scienza
del Diritto Publico. Dottrine dello Stato e della Costituzione tra Otto e Novecento, Milano
2001, vol. II, pp. 889-906.

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plurality, acknowledges the fact that, for the purposes of constituency, there is no unmistakable European tradition in the singular.
This virtuality cannot come into existence under the rule of human
rights and fundamental liberties, be they European or also common
to the whole of humanity. It is evidence from the debate developed
during the nineties, predating the Unions constituent treaties, on
the possibility of a specific and distinctly European constitutionalism which we do not now need to recall. Rather, what we should do
is to clean and focus the lens in order to identify and scrutinise the
image at its best in the scenario of participation in rights and
communication in democracy that is not historical but present,
vis-a`-vis the future, not the past (133).
As for the past vis-a`-vis the present, there are of course some
predominant States traditions in the European constitutional field,
but with an adverse tendency towards the subordination of rights to
legal norms with no constituent setting and play of freedoms,
regardless of however much they could have been considered,
although never, in these past times, as potentially and justly human
rights (134). Human rights and fundamental freedoms were never
a source of constituency or authority of constitutionality, not even in
the French or any other European historical revolution. You do not
find constitutionalism in historical Europe (135). All in all, it does not
(133) R. BELLAMY and DARIO CASTIGLIONE (eds.), Constitutionalism in Transformation: European and Theoretical Perspectives, Oxford 1996. For the current debate, in existence on the net since 1997, the European Integration Online Portal: http://eiop.or.at. We
may also find, offering journals and other publications reviews together with European
political and legal information, the Porte dEurope: http://www.portedeurope.org.
(134) I can refer to my Constituyencia de derechos, pp. 142-171, coinciding for my
part with M. FIORAVANTI, Sovranita` e Costituzione, just quoted, p. 891, in the detail of
appreciating that a European constitutional tradition strictly speaking only dates back as
far as the mid-twentieth century, that is to say, at practically the same moment of both
the gestation of European integration and the United Nations Declaration of Human
Rights, with all of which the constituent references to characteristic European constitutional traditions make still less sense, if not utter nonsense.
(135) Observing todays Europe and dealing with its pre-constitutional era, ANGELA DE BENEDICTIS, Poltica, governo e istituzioni nellEuropa moderna, Bolonia 2001,
highlights the historical existence of communal, even peasant liberties, although correctly situated in a strong social hierarchy based on status, with no room moreover for
the individual as subject of freedom. However, in my opinion these nuances are not

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u CLAVERO

appear that prior to the mid-twentieth century (i.e. before the


United Nations commitment to human rights) there was a past
which is European in character with either strictly individual or
suitably collective liberties, including constituency, that might be
contemplated for minimally constituent purposes nowadays (136).
Concerning collective liberties, there is always the traditional
presence of internal, not only state identities which among themselves may all be competitive and even conflictive, if Europe persists
in not recognising itself except as the gathering of Member States,
the constituent subjects (137). The Union could only achieve a clear
identity through sacrifice and relinquishment of basic elements, be
they peoples with or without states, these latter such as the Saami or
Basques, to name previously mentioned examples. In the face of
such needless adversities, it might be said (to make use of a current
cliche ) that constitutional patriotism with rights of liberty and
processes of democracy as its only identity may be the European
variety as long as it is not in the slightest degree patriotic. Similarly
to the compatibility and complement that exist between individual
and collective rights, internal national (or state) identities and the
identities of peoples need not oppose each other something
sufficiently emphasised keys, considering the present strength of a historiographical
tendency, self-termed republican, which extracts the secenario to reinstate aristocratic
virtues in Europe and America, as if they might be democratic virtualities. That same
peasant community, or any other, could not be imagined as autonomous, let alone
democratic. I may refer to my Tutela administrativa o dia logos con Tocqueville, in these
Quaderni Fiorentini, 24, 1995, pp. 419-468.
(136) As for the constituent authority of constitutional revolutions in Europe, I
can rely on my own work: Happy Constitution, pp. 181-236; La Paix et la Loi:
Absolutismo constitucional?, en Anuario de Historia del Derecho Espan ol, 69, 1999,
pp. 603-645 (a` propos de PAOLO GROSSI, Assolutismo giuridico e diritto privato, Milan
1998); Co digo como fuente de derecho y desagu e de constitucio n, en PAOLO CAPPELLINI and
BERNARDO SORDI (eds.), Codici. Una riflessione di fine millennio, Milan 2002, pp. 69-147.
(137) Although there is no trace of doubt about this point, it is worthwhile
pointing out that the recognition of other political representative constituent subjects,
except States, is never implied by the provisions of the Treaty of the Community,
amended and consolidated text, in its fifth part, fourth chapter, on The Committee of the
Regions, in which representatives of regional and local bodies (...) appointed for four
years by the Council acting unanimously on proposals from the respective Member
States participate for consultative purposes, as specified in articles 263 and 265,
previous 198 A y C.

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which does not just depend on self-determination but also and


above all on respect by others. As for the Union itself, without this
very basis of clear self-identified nationalisms or patriotisms of
European peoples with or without states, it would be quite unfeasible. Even with no other sign of identity, the basis of the Union
relies on its peoples, be they states or not. A constitutionalism of
liberties and procedures that proposes the cancelling of constitutionalism of cultures and identities may be a remedy for emergencies, but not a basis for constituencies. The cancellation of the latter
by the former does not deserve the name of constitutionalism (138).
We already know that there can be plural and compound
constituencies, with no need for all or even most of them to hold
national identities be they state or mimetic. In other words, the
problem does not lie in the fact that European citizenship, even as
such without nation or motherland significance, may virtually locate
itself over state nationalities as a kind of automatic and thus compatible borrowing: Citizenship of the Union is hereby established.
Every person holding the nationality of a Member State will be a
citizen of the Union (139). The problem appears because without an
identity, or being weak and furthermore damaging for peoples, it
attempts to achieve a specifically European one by means of com(138) Amidst a growing literature, the question of constituency is sometimes
posed: ALAIN G. GAGNON and J. TULLY (eds.), Multinational Democracies, Cambridge
2001, comparing cases such as Catalonia, Flanders and Scotland, Spain, Belgium and
United Kingdom as the comprising States, the European Union itself, Quebec and
Canada, and also North American indigenous peoples, but excluding other American
ones which are not even visible. To be fair, we could say the same with regard to Europe
as about Peru: there are no mappings on either history or present time where States are
not dominating at the expense of other collective subjects, stateless peoples. However,
there is a difference: what is a general rule in America is an absolute exception as far as
Europe is concerned. I refer to the existence of indigenous peoples as peoples subjected
to colonialism. The only clear European case seems to be the Saami. There are some
surprising rapprochements: HANNU SALMI, The Indian of the North: Western Traditions
and Finnish Indians, in PETER C. ROLLINS and JOHN E. OCONNOR (eds.), Hollywood
Indian: The Portrait of the Native American in Film, Lexington 1998, also of interest for
the collective imagination via films, whose strong slant constitutes a prejudicial (not to
say racist) mentality, which is active even in scientific circles.
(139) This is the first heading quote, from the second part, Citizenship of the
Union, of the Union Treaty respecting the Community, article 17, previously 8, the very
first paragraph of the aforesaid part.

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BARTOLOME
u CLAVERO

mon history and culture, not being so far possible through other
elements which might have served the States such as language,
religion or law itself. Thus, we would enter an unsuitable nationalist
terrain, be it infra, supra or also state, which is unfavourable towards
pluralities and compatibilities, towards co-constitutencies and interconstituencies, if I might be allowed to use such strong language of
far-more-than-four-letter words.
Concerning the Unions foreseeable broadening, is the question
of its own identity a necessary piece of luggage for Europe on its
present journey from a past characterised by its lack of solidarity
internally and externally towards a future of co-operation in its
externally widest and internally densest sense? Maybe the European
Union already possesses a proper identity which is as yet unrecognised (140). Without the need for its own normative and even
(140) Since the parliamentary recommendation concerning its incorporation into
the Treaty of the Union through ratifications has not been followed, the Charter of
Fundamental Rights of the European Union, drawn up by a special Convention
commissioned by the Council, i.e. the States, and signed towards the end of 2000 by the
Council, Parliament and Commission presidencies, lacks a definite normative status. But
it offers solemn testimony. The Charter reaffirms, with due regard for the powers and
tasks of the Community and the Union and the principle of subsidiarity, the rights as
they result, in particular, from the constitutional traditions and international obligations
common to Member States, the Treaty on European Union, the Communitiy Treaties,
the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental
Freedoms, the Social Charters adopted by the Community and by the Council of Europe
and the case-law of the Court of justice of the European Communities and of the
European Court of Human Rights. With all its European references, amid the
complicated syntax, it even alludes to, but does not rely on the international law of
human rights. The allusion is a roundabout way of reference, as quoted, to the international obligations common to member States, and also to the indivisible, universal
values of human dignity, freedom, equality and solidarity. Having assumed the text as its
own, the European Parliament has issued propaganda on the web asserting that it is the
end-result of a special procedure without precedent in the history of the European Union
with no reference of course to the unquestionable originality of placing the recognition of
rights itself, at this moment in time, behind the European powers and other institutional
devices. I do not know if this is proof that, despite appearances such as the partisan rather
than national organisation of parliamentary groups, the Parliament in fact shares the interstate paradigm constitutively represented as intergovernmental by the Council. It also
happens that rights make might: that the adoption of virtually constitutional texts empowers Parliament, as well as Courts. The declaration itself attempts to warn of this: This
Charter does not establish any new power or task for the Community or the Union, or

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(2002)

democratic determination, general identification with human rights


may be the specific European way to citizenships identity, a definitely more jurisdictional than political constituency. It may be good
for Europe not only to forget and dispense with an imitative national
image of States (141), but also to maintain credentials more committed to liberties than to politics. If the soft dynamics of parliament
and government as European institutions have been convenient or
even necessary, it may become a definitive virtue. It is truly virtuality
for the benefit of rights and a hindrance for powers, a blessing for
the former and a curse for the latter (142).
It may be that Europe does not need empowerment on grounds
of democracy rather than justice on grounds of human rights
stemming from international law and not from the political determination of a constituency of its own. For the Union, it not only
happens that strict powers may be unnecessary, but also that rights
may be identifiable as such, as European (143). We have observed
modify powers and tasks defined by the Treaties (article 51. 2). For the web source:
http://www.europarl.eu.int/charter/default-en.htm, with links to the other ten European
official languages.
(141) Of vital interest now in this matter is the reconstruction and criticism offered
by M. Burgess regarding not only Europes excessively intergovernmental image but also
federalisms heavily state-oriented conception, Federalism and European Union: The
Building of Europe, 1950-2000, already quoted. Furthermore Burgess marks a strong
contrast to the scenario and panorama created by ROBERT O. KEOHANE and STANLEY
HOFFMANN (eds.), The New European Community: Decision Making and Institutional
Change, Oxford 1991, and ALAN S. MILWARD, FRANCES M.B. LYNCH, FEDERICO ROMERO,
RUGGERO RANIERI and VIBEKE SORENSEN, The Frontier of National Sovereignty: History and
Theory 1945-1992, London 1993.
(142) Electoral observation experience has also been very eloquent concerning
this matter. For co-operative purposes, and despite the difficulty of providing an image
of the European Union which is not reduced to a collection of images of the member
States, the former is able to obtain much more widespread confidence from external
parties thanks to its relatively political neutrality in comparison with governments or
Member States. This approach is not really possible for the latter, given the governmental and party direction of the States external action in this case. A large number of the
European problems in Peru-2001 have had this background of political interests in the
party or governmental sense represented on the spot by the embassies which the
electoral observation has been reluctant to heed. Any more details are unnecessary.
(143) MASSIMO LA TORRE, Citizenship, Constitution and the European Union, in
European Citizenship, already quoted, pp. 435-457, points in this precise direction. It can
be proved to practical, or not merely theoretical effects how the recent practice

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how the European Union, as a project for democracy, development


and peace, believes that it could strengthen itself internally through
identification with the specific fostering of general human rights by
means of an external policy (144). Just as legal systems of Member
States are supposed to comply with European law, or even to a
greater extent, both European law and jurisdiction might heed
human rights, that is to say the international normative body in its
present and future stance, with no need of distinctive instruments,
exclusive declarations or particular statutory rules. The external
commitment might constitute internal law (145). The question can be
taken right to its final comsequences. Does Europe really need its
own constituency among states as well as inter-state constituencies
on the one hand, and on the other, simply human virtual constituency embodied in the United Nations? One might question the very
appropriateness today of a European citizenship which empowers
institutions and is thus able to subordinate rights (146).
concerning the Councils annual reports on human rights tends to adopt higher (insofar
as they are more international) standards than those of the Charter of Fundamental
Rights itself, even the third version, issued in October 2001, and thus under the
reference of the Charter. The address is quoted: http://europa.eu.int/comm/externalrelations/human-rights/doc/report-01-en.pdf.
(144) Council Conclusions on EU Election Assistance and Observation (31-V-2001),
p. 207, for a passage previously quoted after this European identification as a project for
democracy: The Council stresses that the EUs presence in third countries is a political
statement and represents a commitment to these values, those pertaining to human
rights.
(145) I have already referred to the fact that the European Unions present
consistency is markedly greater in the jurisdictional rather than political field. Although
not pointed out in todays numerous conventional expositions, the history itself of
European integration has, without any exaggeration, proceeded and progressed more
through discrete jurisdictional channels than flamboyant political manners. J.H.H.
WEILER, The Constitution of Europe, already cited to this effect, stands out in his
insistence on this point, with the additional factor (as a logical consequence as if legal
virtualities were annulled by institutional deficiencies) of a marked scepticism regarding
the more politically oriented concept of Europe after Maastricht and following constitutive documents.
(146) Now there are positive approaches on European constituency and citizenship precisely from awareness of not just their present precariousness but also of their
problematic advisability, as unnecessary constitutional agencies may authorise and
empower institutions, even judiciary, over already guaranteed liberties. Therefore, the
emphasis focuses on rights: R. BELLAMY and A. WARLEIGH (eds.), Citizenship and

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With its actual constituency of States, the United Nations could


equally be blamed for subordinating human rights as the outcome of
its political agreements, be they declarations, covenants or conventions. Covenants and conventions are also called human rights
treaties and even pacts, as if the matter could be negotiated and
bargained. Yet practically all the States participate there, or even,
nowadays, for rights declarative and guaranteeing purposes, authorised representatives of indigenous and minorities organisations and
other non-government ones play a part, though without the bargaining power. Nevertheless, despite all its constituent and functional
problems, there is today no better forum than the United Nations
for the consideration and development of a minimum legal framework for virtually the whole of humanity on the grounds of rights.
Experience has borne proof of this potential. Regional areas with
their own conventional declarative instruments, together with supervising jurisdictions, are inferior to the United Nations evolution
as regards specifically collective fundamental rights, owing to the
more direct and concentrated strength of the respective States. The
same specialised and regional international agencies may lag behind.
With inferior virtual standards concerning rights of indigenous
peoples, the Organisation of American States shows a marked
contrast with the United Nations, whose present projects are also
more demanding than the standards established by the International
Labour Organisation (147).
Governance in the European Union, cited. Bellamys chapter, The Right to have Rights:
Citizenship practice and the political Constitution of the European Union, is also on the
web: http://www.one-europe.ac.uk/pdf/w25bellamy.pdf.
(147) F. MACKAY, Los derechos de los pueblos indgenas, for the counterpoint of the
Organisation of American States; S.J. ANAYA, Indigenous Peoples in International Law,
also quoted, for the United Nations forum. The OAS of course recognises human rights
the same as the European Union, and as accustomed among States i.e. as lofty guidelines
rather than binding rules. It avoids relinquishing its own power or that of constituent
States as to the determination and regulation of the rights. In this context the European
Unions definitive change of a constituential paradigm would have great significance, and
not just for itself, in recognising the international character of human rights as a strictly
legal and also internal framework, thus open to future developments with its own
(European) participation and with no European exclusive control, instead of continuing
to regard specific instruments which although beginning with recognition of rights,
always, as for the States, involve empowerment of particular institutions.

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BARTOLOME
u CLAVERO

By virtue of a clearly committed belief in human rights on the


part of Europe as a Union of States, and under the perspective of
due co-operation in order to settle the colonial debt towards indigenous peoples (not States), past responsibilities amid the throng of
inconstituencies could be satisfied. In addition, the possibility of its
own constituency could be established, to the benefit of these
peoples (not States) rights. European constituency and American
constituencies are neither separate nor separable questions. A decisive factor for the European Unions securing of an external image
and sound internal reality may clearly be a determined contribution
to the assessment and development of peoples rights that incorporate human rights, always along with individual rights of course.
European virtuality may become American reality. It would be a
healthy suprastate law succeeding the so-called international one
which has been as profitable for States as harmful for peoples.
Furthermore, it would be a part-payment of the colonial debt. As a
form of international co-operation linked to and owing to human
rights, and with no more colonial-style underlying relations, electoral
observation itself can take its place among practices capable of
contributing to both the Unions external rightful action and internal lawful existence. Europe will be founded on human rights, on
rights not exclusively European (148).
(148) The Charter of Fundamental Rights of the European Union contains no
entry with the purpose at least concerning recognition of non-European cultures on
human rights common grounds. It does not even contain any provision similar to article
27 of the United Nations Covenant on Political and Civil Rights, developed, albeit
deficiently, by the Declaration on the Rights of Persons Belonging to National or Ethnic,
Religious and Linguistic Minorities. The European Charters declaration in this respect
could not be more discreet, uninvolved and unwarranted: The Union shall respect the
cultural, religious and linguistic diversity (La Unio n respeta la diversidad cultural,
religiosa y lingu stica, LUnion respecte la diversite culturelle, religieuse et linguistique; Die Union achtet die Vielfalt der Kulturen, Religionen und Sprachen;
LUnione rispetta la diversita` culturale, religiosa e linguistica; etc.), that is all there is,
in article 22, the only one of the epigraph Cultural, religious and linguistic diversity. I say
unwarranted because there is not even the slightest recognition of right by todays
standards (or even below them) in this specific declaration of respect for cultures. In the
preamble to the Charter we find a hint (only partly quoted) concerning a reducing of
cultural diversities to national (i.e. state and only European ones for that matter)
identities: The Union is founded on the indivisible, universal values of human dignity,

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

The same might be said concerning both the Latin American


and Anglo American States. For two hundred years, they have tried,
with differing degrees of success, to create their own identities
making room for themselves among trans-state European or EuroAmerican constituencies varieties on the one hand, and on the other,
indigenous ones not only in trans-frontier cases, with several other
possible identities in the field such as principally the Afro-American
kind. Indigenous peoples and Afro-Americans still hold their own
(not States) pending credit towards Europe due to past colonialism
with massive slave trade whose consequences are felt even today.
There are also these States debts towards not just individuals and
families but also communities and peoples whose own constituencies were and continue to be thwarted and their existence jeopardised. Europe is more than an accomplice (149).
If the Latin American and Anglo American States not only
recognised human rights, as they do, but also identified with them to
the extent of admitting plural and hitherto unprecedented constituencies within their frontiers, and also external to them, they could
achieve the degree of settlement and soundness that even those
apparently healthier States in America do not manage to enjoy. With
freedom, equality and solidarity; it is based on the principles of democracy and the rule
of law. It places the individual at the heart of its activities, by establishing the citizenship
of the Union and by creating an area of freedom, security and justice. The Union
contributes to the preservation and to the development of these common values while
respecting the diversity of the cultures and traditions of the peoples of Europe as well
as the national identities of the Member States. We are taken back to pre-decolonisation (not to mention openly colonial) times, like that of the United Nation before 1960,
with a similar show of recognition of peoples neutralised (through identification) by
States. Although just for the sake of avoiding becoming discouraged in the task, I believe
it has been worthwhile starting off in more virtual areas and with Europes more virtuous
pages on the web. Virtuality is our field.
(149) T.M. FRANCK, The Empowered Self, already quoted, emphasises the foremost
aspect of debt, the individual side, from the internationalist perspective of human rights,
and treats its relation to the second, community aspect, as a no win game, where
communitys profit would always be libertys loss for the individual concerned. He sees
no possible constitutional settlement for cases such as the indigenous beyond that of
immigrant populations in terms of individuals rights. W. Kymlickas replies in his
Politics in the Vernacular, pp. 241-253 and 275-289, also quoted. Jose Mara Portillo is
currently researching on the issue for the historical moment of Latin American States
(including Peru of course) independence and first constitutionalism.

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BARTOLOME
u CLAVERO

the 1979 Constitution, Peru was a pioneer in its recognition of


human rights as explicit principles for the State. Nevertheless, it has
also led the way as the subsequent agent of frustration with the
Constitution of 1993 under the Fujimorist regime (150). Because of
relaxed and even reluctant recognition of human rights, there may
be a hidden vice common to constitutional States. We know that
vicious virtuality also exists, as much as the virtuous one. Let us keep
virtualising.
The loss or decrease of state or national identity could also mean
the gaining or increasing of rights and citizenships for America as
well as for Europe. The States and the Unions among States might
identify themselves with human rights and not much more in the
legal field, so that the peoples would find room for self-determining
their own law. For this purpose, the European Union, Peru and
other American States, as well as Sweden, Spain and so on, may be
similar cases. They had better shrink their state law to leave room for
peoples rule. Between indigenous peoples and American States, on
the other hand, the resemblance cannot be drawn. Legally, as
regards their respective law, the former need the uppercase letters as
much as the latter do the lowercase ones, or without so much final
distinction as they may all comply with human rights.
If Peru just allowed itself a glimmer of the real possibility of
virtual constituency along those lines, if it just took a brief internal
look at the postcolonial present and took a short step, it would be
broadening the horizon for the whole of America, the continent with
strictly speaking still pending decolonisation, the one between colo(150) ARIEL E. DULITZKY, Los Tratados de Derechos Humanos en el Constitucionalismo Iberoamericano, p. 153, in THOMAS BUERGENTHAL and ANTOu NIO CANC ADO (eds.),
Estudios Especializados de Derechos Humanos, vol. I, 1996, pp. 129-166. Peruvian 1979
Constitution, art. 105: The precepts contained in the treaties concerning human rights
have a constitutional hierarchy.... The corollary of the express admission of appeals
before international jurisdictions concerning constitutional rights (art. 305) was maintained in the 1993 text (art. 205), but short circuited by the Fujimorist regime. In
contrast, the latter modified the terms of reference to human rights, after the awkward
example of the 1978 Spanish Constitution (art. 10. 2), in a weaker tone (Final
Disposition number four: The rules concerning the rights and liberties recognised by
the Constitution are interpreted in accordance with the Universal Declaration of Human
Rights and international treaties and agreements on the same subject that have been
ratified by Peru).

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

nisers and colonised peoples and not between colonialists from


European and American sides (151). The resistance is so strong that
it creates the appearance of impossibility. There is a blindness
regarding the fundamental fact of the existence of stateless peoples
with rights as such to collective human rights. The usual identification of Nation with State constitutes a very effective cover-up. There
is no constitutional awareness of the challenge. There is no provision
for it on the agenda. It is neither recognised nor admitted. Not only
past apathy but also todays deceptions prevent blind spots from
being completely innocent (152).
Beginning with visibility, do we not find ourselves in a terrain
for European duty-bound co-operation? However, it is not indispensable for facing American challenges. We know that there is
proof of this in Peru through its own initiatives and even its official
facilities. A constitutional institution, the Ombudsmans Office
clearly provides it: There exist precise criteria on human rights

(151) Though always virtual, language itself is never innocent. It is normally


performative and in any case implicative. Except for conventional naming, which is
difficult to avoid, or for a need to emphasise, it is clear that I have been reluctant to use
highly ambiguous terms such as Nation and its collection of derivatives with capital or
small letters. Because of its implications, I have even avoided using the most substantive
term in the operations official title, which is not that of bare observation. Amidst the
various abbreviations or acronyms, I have not made use of our own. Ours was MOE-UE
in Spanish, as reflected in the web address, EOM-EU, or EU-EOM in English, i.e.
European Union Election Observation Mission, thus mission as the name, well visible in
leading positions such as HM, Head of Mission, now to be changed to Chief Observer
(Head of Mission entails similarity with ambassador and we know the related problem).
Observation will still be Mission. Thank heavens the persons involved have always been
observers and not missionaries. It is not a joke. Regarding non-European peoples, let us
not underestimate the links between religious and state idioms.
(152) An example to hand may suffice. The Peruvian Congresss web site has no
visible traces of indigenous law, instead it provides Spanish colonial law, the so-called Leyes
de Indias in the sense of European statutes for America: http://www.congreso.gob.pe/outof-domain.asp?URL=http%3A//www.leyes.congreso.gob.pe. These non indigenous Indian Laws appear in the main index of the Peruvian electronic legal archive, Archivo
Digital de Legislacio n, while in order to reach the international instruments of human
rights, ratified by Peru, there, it is necessary to enter the generic chapter on Treaties, then
the sub-chapter Multilateral, and make the search. In addition, you do not locate the ILO
Convention on Indigenous Peoples through this channel.

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BARTOLOME
u CLAVERO

recognised in international documents (153). Let us allow the Quechua language to proclaim the principle of human rights, without
the interference of any European tongue: Pachantin ayllu wawaq
allin kausaypi kananta yuyaykuspan, kay kamachikuy paqarin.
Runaq kausay qasi kusi kausaypi kananpaq, tukuy llakipi kaspapas
justicia taripananpaq. Kikin runakayninta runa masinkunawan
reqsichispa kausananpaq. Here is a principle described in an
indigenous peoples own language (154).
As a European office, it appears to have no need of any doctrinal
duty in America. If communication is the objective, the culture of
rights (in that it recognises and does not impose) is the most
translatable. There, with or without European mediation, it really
exists, or can surely be achieved. The means of connection and the
sphere for relationships then, is or must be co-operation, and not in
a one-way direction. On behalf of human rights, between Europe
and America, as well as between Euro-American and Indo-America,
communications cannot be unidirectional (155).
(153) It is the repeatedly mentioned passage from my second heading quote,
which constitutes a continuous reference point for the Peruvian Ombudsmans Office.
At the time of the 2001 elections, as I have already said, the acting Ombudsman was
WALTER ALBAu N, with SAMUEL ABAD as deputy for constitutional matters and WILLIAN
LOu PEZ as expert in electoral supervision. LILIAM LANDEO was in charge of the indigenous
or more restricted native programme. I express my gratitude to them in both personal
and institutional terms.
(154) It is the first whereas or rationale of the Universal Declaration of Human
Rights, whose complete version in Cusco Quechua (together with another ten variants of
this language spoken by millions of people, and without common institutions at least for
avoiding the disintegration of the written language) is available on the web on the aforementioned site belonging to the United Nations High Commissioner for Human Rights.
In cases like this of stateless languages, there are no translations by request of the United
Nations, but they are taken from the web itself: http://www.unhchr.ch/udhr/navigate/
alpha.htm. My word processor programs language corrector tool for Spanish and English
describes the quote as a complete error since it is absolutely unprepared for languages like
Quechua.
(155) Peru does not of course deserve this hopefully unwitting and transitory
internet joke, while the information from an ambitious site is to be included, from
vLex.com (http://derecho.org), where the section on Peruvian Constitutional Law leads to
the following message which is also repeated for other Latin American cases: This
category is void. There are others whose emptiness is irreversible. At some point in the
year 2000, the web site of the Peruvian constituent process of 1993 (http://www.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Despite its immediate bearing, if we deal with equal co-operation, as we should, a definitive settlement of colonial debt is a
different matter. It is a problem for the European debtor before the
American creditor. In view of the history of colonialism itself, with
its serious legacies, in external questions such as co-operation based
on an equal footing regarding peoples rather than States through
human rights exigencies, the future of the European Union is at
stake, and not only because of internal challenges. Europes constituential fate continues to be linked to that of America through a
responsibility that has always been as unevenly matched as it is still
shared (156).
Voices will say that this is all mere virtuality. Indeed, I admit this
is so. Who could doubt it? I have pointed it out and emphasised it
from the start. I am not playing with words or juggling virtues,
virtualities and virtualisations. I am taking it all in the utmost
seriousness, with all of its implications and possibilities. I have
likewise pointed out that for both ordinary normative and extraordinary constituential purposes, virtuality itself may be implicated,
even operational from the very moment when its correspondence
with human rights, and not other standards, is raised, as on the
European Unions web site. It is virtuality, nothing more, nothing
less.
It is a virtualising virtue. We have begun and we shall finish by
assessing and appreciating it as a form of reality in the legal context.
In order to foresee a better future, if it is feasible, we must overcome
trite understandings such as good legal science is positivist, adjusted
rcp.net.pe/CCD/ccd.html) disappeared, for evidently political motives: We regret that
this page no longer exists, is the message you get for now. Even the cyber library is
capable of censorship that would be difficult in any other support, such as printed
documents. The storage of so much information at risk on the web has yet to be solved.
The screen switches off while the paper is filed.
(156) At the start, I referred to a reservation a` propos de Civitas, the Storia della
cittadinaza in Europa by PIETRO COSTA. Here is my doubt, consciously unfair with a
specific piece of research centred on the European issue. I do not know up to what point
we may understand historical and present European stances, without at the same time
contemplating the dark shadow cast by its longstanding perseverance on external
unidirectional projection. But see now how a collective work under his co-direction
tackles precisely this dimension: P. COSTA and DANILO ZOLO (eds.), Lo Stato di diritto.
Storia, teoria, critica, Milan 2002.

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BARTOLOME
u CLAVERO

to binding law as determined by the State, and correct historical


science is realist, limiting itself to verifiable facts through reliable
documented testimony, as if this were possible and moreover sufficient. Legal science belongs to the present; historical science, the
past, and neither contribute to the future. In contrast, virtuality may
hold the key. The key for all normative order, be it state or stateless,
is, must be, the body of human rights as the most virtual law. For
law, we could foresee some future history. Human rights can plan
and shape it. With human rights standards, law is not just uncertainly
normative, but also definitely performative. They perform reality.
They constitute a new and different actuality, apart from the one it
represents in itself, previous to and independent from its specific
legal effect. It holds more future than may be supposed for any other
kind of law, no matter how binding and forcible today.
The very virtuality of present performative and normative international standards is quite recent. Todays human rights are not even
exactly the same as the original ones as declared in international law
not much more than half a century ago. The Universal Declaration
of Human Rights has not only been spread and developed, but also
warned and corrected in some vital points, like the need of peoples
rights for individuals rights. At present, it is tackling the challenge
of specifying, recognising and guaranteeing collective rights as a
precise requirement on behalf of individuals liberties. In order to
appreciate this, it is sufficient to look at law on the web, at web sites
on human rights with pending projects, at all these present rules and
patterns concerning the future provided online especially by the
United Nations and its High Commissioner for Human Rights.
The European Union inhabits the virtual world of potential
reality, the universe of possibilities where none of its constituent
States or alien ones could even have imagined themselves in their
beginnings. We know that history, or rather histories, with their
virtual images among other realities (all in the plural form, and all
real), contribute to constituency. Sooner rather than later, the future
will indeed have to provide additional and different histories, images, realities, and briefly constituencies. It will supply both new
historical images and renewed constitutional realities. A significant
part of todays investment for the future is settled by the variety of

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

literature on history that adds more or less imaginative approaches


to the past.
9.

Fact and right: vicious geographies and virtuous constituencies.

Concerning States identities and their mutual recognition, it


may still seem that the mere fact of our existence, or their existence,
was, and continues to be, a good argument. Since their very origins,
this has been particularly assumed by an inter-American law as a
kind of international rule which stipulates that there are no res
nullius, i.e. territories outside the reach of inter-State boundaries,
and that in addition, these States are demarcated according to the
principle of uti possidetis, virtual rather than factual possession, as if
only they, and not peoples (mainly indigenous in this case concerning the birth of American States), had a territorial existence. Thus,
such peoples disappear from the visible map, unable even to argue,
in the field of inter-American law, their very evidence, the fact of our
existence. In this manner, colonial-style claim to dominion is disguised as a regional international law. This is how an imaginary
geography is created for imagined constituencies over real ones (157).
Imaginary geography creates law which is not at all imaginary,
or rather, a very effective power, the constituent one, that of the
constituency exclusively of States and even over peoples. It is not
just an American history, but also that of others. Are we to be
surprised by such interactive effects between virtual geography and
real law when we Europeans inhabit an Asian peninsula that has
imagined itself to be a separate continent since time immemorial?
Brazil has also imagined itself to be an island amidst rivers and an
ocean, which implies not only a self-distinction but also a taking of
possession. Mapping boundaries, geography may be the image of
state law and the device of political right. Presumed facts may be
(157) JAMES BROWN SCOTT (ed.), The International Conferences of American States.
1889-1928, New York 1931, p. 44, a 1890 resolve: There is, in America, no territory
which can be deemed res nullius, with the clearly understood implication that the res
nullius would in fact concern indigenous territory, and thus, leaving them aside, the uti
possidetis (the fact of our existence) would only be applicable among States which
mutually recognise each other. Due to a lack of up-to-date, i.e. postcolonial studies on
American boundaries, I quote directly from a founding father of an inter-American law.

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BARTOLOME
u CLAVERO

sources of power. Virtuality is a type of reality. All representation,


including the geographic variety, is performative. A map of frontiers
may confer even the right to wage war for States conquest of
peoples, the epitome of dominion. It is both European and American history (158).
In America as in Europe, for both geographical and juridical
scopes, power to imagination has been the true motto of the State
conceiving itself as Nation. The political display of constituent
fiction has misled and still confuses, to say the least, jurists and other
experts on public law belonging to academia and politics, even the
apparently most scientific and most pragmatic. Any handbook or
treatise on constitutional law can, with imagination as reality, provide confirmation for all that is unconsciously taken as constituted,
beginning with the State itself as Nation. The existent State is
considered to be the constituent Nation. Peoples constituency is
identified with constituted state population. This does not only
occur in Peru.
This is how imagined constituencies are reproduced. Europe at
least knows it is virtual. As such, for purposes of constituency, it
functions through treaties among bodies that it considers (with
certain illusion) as not imagined, Nations equivalent to States.
Insofar as all nations, peoples included, have need of imagination
and there is the challenge of concurrence among them, it may be
that this form of constituency by means of Treaties is more appropriate today for both Europe and America than Constitutions, these
sharing the illusion of correspondence between Nation and State,
(158) DEMEu TRIO MAGNOLI, O Corpo da Pa tria. Imaginac a o geogra fica e poltica
externa no Brasil, 1808-1912, Sa o Paulo 1997. Dealing with the frequent case of State
imposed frontier with fragmentation of peoples, specifically the Mam between Guatemala and Mexico, ROSALVA AuIDA HERNAu NDEZ, La otra frontera. Identidades mu ltiples en el
Chiapas postcolonial, Mexico 2001. In the same area, and for the Chuj people, JORGE LUIS
CRUZ BURGUETE, Identidades en fronteras, fronteras de identidades. La reconstruccio n de la
identidad e tnica entre los chujes de Chiapas, Mexico 1998. Studies on other frontiers, such
as the Mexican northern frontier are less concerned with their severe effects on
indigenous peoples. That is where film stereotypes roam freely. With regard to Peru, to
Andean and Amazonic areas, I am not aware of any up-to-date frontier studies
concerned with peoples. For the Europe of the past, but with present boundaries that
have similarly fragmenting effects, PETER SAHLINS, Boundaries: The Making of France and
Spain in the Pyrenees, Berkeley 1989.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

and thus trailing presumption of constituent powers and consolidation of political institutions. Rights, in that they are fundamental and
must be superior to norms as premises for them, are one thing, and
institutions, which are conventional, are another. The latter are
better controlled by constituencies through Treaties, if these are
contracted among Peoples prior to between States. The Constitution, in contrast, is under the power of Nation meaning States
population (159).
The case of America, not only Peru, is especially meaningful
regarding all these effects. A virtual inter-American international law
is not and has never been considered. The imaginary demarcation of
frontiers itself, even without res nullius, and yet with uti possidetis,
could act in favour of, or be taken seriously by, not exactly States but
Peoples; indigenous peoples as effective possessors in their case, and
with practice in treaties, not only among themselves but also (with
the mutual recognition on an equal footing that this involves in
principle) with the very States (160). Although a clear consequence of
the fact of our existence, neither has such a feasible inter-American
law been taken into consideration, nor does the actual one query the
reason why, in the indigenous case, legal logic does not work.
Throughout centuries of colonialism and constitutionalism, the protection of possession has not sought to benefit the possessors (the
Peoples), but the party who in fact does not possess and presumes
(159) ENRICO SCODITTI, La Costituzione senza Popolo. Unione Europea e Nazioni,
Bari 2001, pp. 189-208, who goes into precisely the constituent value of treaties in the
European case. For the American, the issue was discussed in a seminar on Indigenous
Peoples, State Constitutions and Treaties and Other Constructive Agreements between
Peoples and States, held in Seville between September 10-14, 2001, whose papers are to
be published in Law and Anthropology. International Yearbook for Legal Anthropology.
My paper is included in Genocidio y Justicia. La Destruccio n de Las Indias ayer y hoy,
Madrid 2002. For the historical background, FRANCIS PAUL PRUCHA, American Indian
Treaties: The History of a Political Anomaly, Berkeley 1994; R.A. WILLIAMS JR., Linking
Arms Together: American Indian Treaty Visions of Law and Peace, 1600-1800, New York
1997; ABELARDO LEVAGGI, Diplomacia hispano-indgena en las fronteras de Ame rica,
Madrid 2002.
(160) The idea is considered by PABLO GUTIEu RREZ VEGA, The domestication of the
legal status of indigenous peoples: Timelessness or interpolation in modern international
law, to be published in Law and Anthropology within the proceedings of the aforementioned seminar on Indigenous Peoples, State Constitutions and Treaties.

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BARTOLOME
u CLAVERO

to do so (the States). This American rule shows no signs of puzzlement at all. It is because of such a make-believe, pretended geography flanking legal fiction, an out-and-out fantasy which could be
easily visible otherwise, that the mere fact of existence, even indigenous, can be a right to constituency for States and not for Peoples.
Just like a piece of fiction, though not in the eyes of yesterdays
and todays working law, the fact of our existence was and is applied,
for example, to Peru as a State, just as it may be to all States,
including European ones, together with their Unions. From the past,
for the present and into the future, in such a way do States
preconstitute their own title to constituency over Peoples as if it
were moreover a natural, geographic fact, before and more than a
conventional, legal one. The virtuality of the former covers the
reality of the latter. In fact, if this was and still is the question, let us
focus on the touchstone. Although it may not be verifiable for the
visible map, in the mid-nineteenth century, indigenous peoples
constituted more solid social bodies than the self-empowered
American States. Perus virtual constituency, this presumed Nation,
was neither greater nor more self-sustained than the indigenous ones
inside state imaginary frontiers. Perus consistency as a State then
was not superior to the current presence of the indigenous peoples
that have not suffered extinction. Geographical fantasy, like legal
fiction, renders visible what may be insubstantial, and makes invisible what is consistent. Maps record the unfocused vision of constituential law (161).
(161) It is not surprising that in more academically expert circles, crass ignorance
is to be found as regards indigenous peoples. Just review the present debate, already
mentioned, between T.M. FRANCK, The Empowered Self, pp. 224-254, and W. KYMLICKA,
Politics in the Vernacular, pp. 241-253 and 275-289, which is of particular interest as it
is not about a new version of the row between individualists and communitarians, but
rather the crossroads where I also position myself, between individualisms more or less
sensitive towards communitarisms on the shared assumptions of human rights. THOMAS
FRANCK, an expert on international law, naively confesses that he imagines the situation
of Americas indigenous people as being practically the same as that of immigrants, and
on this presumption (i.e. this ignorance of the existence of communities with compact
cultures which have pre-colonial roots), in opposition to WILL KYMLICKA, he argues in
favour of the same legal consideration being given to both (the indigenous and the
immigration) cases. Yet see also how KYMLICKA himself, Politics in the Vernacular, pp.
120-132, in debate here with J. ANAYA, Indigenous peoples in International Law, also

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

So here is another question, which with all of this may already


have, if not a solution, an answer; if not a justification, an explanation. As a constituent motive, as the right to claim and recognition
of constituency without tutelage, through self-determination, why is
it that the aforesaid argument concerning the fact of our existence,
this synonym of the usual here we are from indigenous people, is not
so valid or even sound? Why cannot they take responsibility for
themselves, beginning with their law on behalf of their rights? States
do not fulfil their dues towards indigenous peoples and have even no
standing to try, as they, the American States, arise from colonialism.
Therefore, indigenous peoples have neither suitable nor sufficient
protection nor guarantees concerning their human rights.
Europe agrees with the American States. The European Union
and the European States agree on the rightness and virtuosity of
concepts and arguments. International standards, instead of human
rights, help towards these purposes. There is nothing new in this
complicity with America, namely Euro-America. Between Europe
and America, the involvement is part of the historical debt which is
not must not be among States, but rather with Peoples. States,
including American States as far as they are non-indigenous or
Afro-American, are debtors, not creditors. The debt is not just
financial, but also political. As awareness grows and information
increases, as people dare to tread the post-colonial trail, what springs
into evidence is the open, hitherto unprecedented and now universal
need for plural, diverse, consentient and compound constituencies.
With its requirement of liberties, both collective and individual, it
appears there is no other legitimate constitutionalism.
For the normative body of human rights, and through their own
imperative as sole legitimating principles and ways, we have a need
for, and the challenge of, an internal development capable of facing
constituential law. Complex constituencies, like the European Union
itself, may assist no less simple or even more compound States such
quoted, endeavours to characterise indigenous peoples without a clear reference to
colonialism in order to avoid distinguishing them from national minorities. Nevertheless,
Kymlicka champions empowerment for them all, both minorities and peoples, inside
States. This literature shares a Canadian or United States (not even all-American)
background and scenario for a truly inter and transcontinental issue.

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BARTOLOME
u CLAVERO

as the American. This necessary assistance is not achievable via


international standards, but through human rights. Through its
virtuous commitment to human rights standards and vicious involvement with international ones, is Europe able to finally escape from
the complicity in order to move deeper (in company, not alone of
course) into a definitively post-colonial history which is still unresolved, even for the United Nations? In the light of what has been
seen, there is still a need to overcome the very culturally biased
approach of international standards not only democracys political standards but also legal standards for liberties, in other words
human rights standards through their still pending development
and improvement (162). The present past and the possible future are
equally important (though in different ways of course) both to those
who benefited themselves and still take advantage, and those who
have suffered and are affected by colonialism. The former are not
only to be found in latitudes that were openly colonisers. We
Europeans and Euro-Americans, the involved parties with still
colonising minds, are also in need of decolonisation. Our law, both
constitutional and international, requires it.
We European citizens come finally to our point, European
people. If, as the Union shows us, human rights are useful for
external action, or at least the co-operative variety which is more
virtual as regards the issue of pending improvement, then why are
they, human rights, not as sufficient as they are necessary for internal
constituency, for the determination appropriated by the States or
their cloned Nations? On the other hand, what need is there of a
specifically European identity in the constituent area of freedoms
rights? Imaginary Europeanness, an imagined constituency to be
proud of, would be the best way for it to be impossible to conceive
their necessary improvement and thus lose sight of the pending
debts inside as well as outside. The virtue of co-operation has shown
other possibilities more in accordance with human rights to be
(162) Both political utility and literary genre Aiding Democracy Abroad will have
to bear in mind the questioning of unilateralism in political communication between
concurrent cultures which has been raised by F.C. SCHAFFER, Democracy in Translation,
pp. 86-138, whose research in Senegal includes his participation in the NDIs (the
aforementioned National Democratic Institute) electoral observation.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

thinkable and feasible. This is the advantage of being born, like the
European Union, in times of virtuality which was unimaginable
when the very States were created and began to burden themselves.
Today they can be reborn and virtualise themselves as Member
States. All of them, Europe together with the States, are improving
thanks to rights. They may be saved by virtue of human rights. The
challenge thus posed consists of responding to the commitment
without dissociation or dissonance between some rights and others,
be they States, Unions, broader European, constitutional or international, the same ones after all, or in principle. Rights are human,
otherwise, they are not rights.
It is a matter of principle, a matter of right, not fact. It is the
right to our human existence because of the fact of our existence as
people. Here are human rights as effective legal rules, and as such,
as suprastate binding norms, open to constituencies not exclusive of
the States nor necessarily identified with them. Bearing in mind the
development of human rights during the last fifty years and especially after the granting of self-determination to some, not all,
colonised peoples, and also what may be foreseen in the new
millennium for both suprastate and state areas, are we, Europeans,
in need of a European constitutionalism of rights, European rights
differentiated from human rights? In the present situation and
facing the foreseeable scenario, let me repeat that the fabrication of
a European history that might virtualise the constitutional traditions common to the Member States, as an imagined constituential
heritage of its own, does not seem either necessary nor even appropriate. The argument speaks also of European constitutional law as
it may entail empowerment of institutions over rights (163).
(163) For an approach on the behalf of liberties as a European heritage, ALESSANPIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna 2002. Thus, as we already
know, not all the historical founding of the European Union goes in search of Roman
and Christian assets more adverse to freedom, but the domain of history always
constitutes a terrain mined with excluding traps for alien or even fellow people. We also
know the reference to the Union Treaty, current article 6. 2: constitutional traditions
common to the Member States, traditions constitutionnelles communes aux E tats
membres, gemeinsamen Verfassungsu berlieferungen der Mitgliedstaaten, tradiciones constitucionales comunes a los Estados miembros, tradizioni costituzionali
comuni degli Stati membri... Here is the literal passage from M. FIORAVANTI, Sovranita`

DRO

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BARTOLOME
u CLAVERO

Let us compare the bodies politic we have taken into consideration, that is, Peru on the one hand and on the other, Sweden in
Europe and Europe, the Union, itself. The former is a characteristic
case of State in America. It is unable and often unwilling to
guarantee the rights of the whole population existing inside the
respective boundaries, as this is partly compounded by peoples not
always desirous of belonging to the State. The very State lacks
standing for the task. It does not enjoy the confidence of some
peoples, namely the indigenous, to recognise, cover and guarantee
rights, both individual and collective. Their constituent consent is
lacking. In this situation, the trend of political foreign co-operation,
like the European Unions as well as the Organisation of American
States, is to strengthen Peru as a State through the democratic
authorisation of its imagined single constituency, fictitious Peruvian
citizenship. This is precisely the meaning of the substitution of
international standards for human rights standards. Electoral observation seeks to strengthen the States irrespective of the character of
their constituency. Thus, contrary to the very terms of reference of
European political co-operation, democracy is imposed and, accordingly, rights are not always honoured. Is this what you, Peru, truly
need from the human rights requirements? Rather, to be democratic, you need the strengthening of indigenous peoples constituencies through self-determination about their own law, so precisely
to identify yourself, Peru, with the rule of human rights. Here we
have achieved a conclusion that may be extended to the American
continent.
Sweden is not such a different case. As we also know, it lacks
standing for recognition, covering and protection of rights, both
collective and individual, due to a colonised people, the Saami. In
their case, compared with the Swedish population, they are a
e Costituzione, p. 891 already quoted: Si potrebbe dire che le nostre tradizioni
costituzionali sono in realta` quelle che si sono venute a formare nei diversi paesi europei
nella seconda meta` del secolo ventesimo, sulla base di communi scelte, effettuate a
partire dallultimo dopoguerra, per un certo tipo di democrazia, per certi modi di
garanzia dei diritti. Add now P. COSTA, Civitas, vol. IV, pp. 439-473. In short, common
European traditions belong to recent times, those of human rights, and represent
particular options within the constitutional field during a post-war and post-totalitarianism situation. Rien va plus, either for internal constituency or for export purposes.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

pronounced minority, but human rights do not depend on arithmetic or statistics, and for peoples rights, the State cannot be the
yardstick. On the other hand, Swedens law satisfies the coverage of
rights for most of its population, the Swedish people (not taking into
account either the Aaland Islands, which are part of Finland (164),
nor the Swedish migration to America). Here comes the constituential question. In this scenario also extendable to the rest of Europe
(where state boundaries do not demarcate peoples, where this very
demarcation shows itself to be unfeasible and where the national
majorities are satisfied by States as regards recognition and protection of rights), who are in need of a Unions constituency formed by
the States but the States themselves? Neither citizens nor peoples
seem to be in such a need of European Union as States Union.
Instead, they, peoples and citizens, may need recognitions and
guarantees for the rights insufficiently covered or not considered at
all by the States. Here is the virtuality of present and future human
rights as the legal identity of the European Union, which is the way
traced by its own web page concerning political co-operation, but
not by the rest of virtual and actual Europe. It is exactly the reverse
scenario of both the current Charter and Convention for a new
framework and structure. States, neither peoples nor citizens, are the
active constituencies for both the European Charter and Convention (165).
(164) As they, the Aalanders, are European people (and not indigenous, like the
Saami), they enjoy a more satisfying settlement on their behalf not just between Sweden
and Finland, but also in the international domain before and above the European Union:
HURST HANNUM, Autonomy, Sovereignty, and Self-Determination, already cited, pp. 29-30,
247-262 and 370-375, on the Saami people too; and in his collection of Documents on
Autonomy and Minority Rights, Dordrecht 1993, pp. 115-143, where you can hardly find
any documentation on indigenous peoples inside American States (for the Nicaragua
Atlantic Coast, pp. 381-399). There might be more, although not for the Quechua
people; for instance, 1993 Carta del Pueblo Embera -Wounaan, which relies not just on
Panamanian law (1983 Statute establishing the Comarca Embera de Darie n), but also and
above all on the international law of human rights, declaring that in both the
Organisation of the United Nations and the Organisation of American States, drafts on
the Human Rights of the Indigenous Peoples are currently being discussed (Derechos
de los Pueblos Indgenas, Vitoria 1998, pp. 505-560, which is a more specific collection).
(165) Let us never forget the true touchstone of the meagre reference to the
so-called minorities by the European Charter of Fundamental Rights: The Union shall

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BARTOLOME
u CLAVERO

All we need is human rights as rule of law for States performance, relationship and grouping together. As rights, they are
currently, on the one hand, quite developed and refined concerning
individuals; on the other hand however, they are in a somewhat
embryonic and even contaminated condition regarding communities. They are still lacking the necessary basis and branch of collective and compound constituencies for the due protection and fostering of the individual liberties themselves. At this point in time, it
should not have to be necessary to insist on the fact that they, one
and the other kinds of rights, collective and individual, are mutually
needed as far as the latter are covered and may be guaranteed by the
former. As for constituency, there is no simple human subject with
defined boundaries, and neither is there need of one today, even less
the presumed ideal of its existence, as States have presumed and
tried. All constituencies are compound and every constitutionalism
must be equally complex. We are not even accustomed to thinking
about it yet, much less to digesting it, yet the fable says that state is
not nation, nation is not people, nor constituency is state, nation or
even people in the singular. Peoples are constituencies facing the
challenge of plurality itself. Peru suffers identification between State
and constituency, but so do both the European Union and its
Member States. As a witness, I bear testimony; as a scholar, I have
questions; as a professional, I had the privilege of being able to
combine civic commitment and constitutional research in an exceptional situation.
respect the cultural, religious and linguistic diversity, and full stop, without any register
of rights. It must be added that the jurisdictional European Convention for the
Protection of Human Rights, referred to by the European Union as we know, implements policies for the protection of minorities, which do not represent strict recognition
of rights either: http://www.humanrights.coe.int/minorities/index.htm. We already know
the current patronizing approach from the European Commission: http://europa.eu.int/
comm/external-relations/human-rights/rm/index.htm. As regards the political European
Convention for the proposal of the badly needed renewal of Union structures (web site:
http://european-convention.eu.int), working since early 2002, is composed by States and
Unions representatives accountable not before constituencies or citizenships, but
Member States and European institutions themselves. Such was also the case of the
previous Convention that produced the Charter of Fundamental Rights, presently
located in a normative limbo. No wonder that information and public debate are scant
and poor.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

Both the 2001 Peruvian general elections and Europes specific


electoral observation were normal events, although their implications were extraordinary. Therefore, Peru has gained explicit and
hopefully long-lasting re-incorporation into the States co-operative
community under principles of human rights and democracy. In this
kind of universal judgment and acquittal of Peru as a State, the
Organisation of American States was counsel for the defence and the
European Union amicus curiae on behalf of Peru as well. Neither
Euro-America nor Europe perform their duties aware of or with the
slightest suspicion of the fact that they might not be the bar and the
bench, but the defendant, because of colonialism and its aftermath.
Pending constituencies, such as the Quechua or others of the
indigenous sort, may not be such an alien affair to Europes own
challenging constituencies, also and always in the plural. As psychoanalysts and sometimes anthropologists do, before daring to analyse
others, self-analysis is advisable and might be mandatory, if only
because the pursuit of knowledge about others comes through the
awareness of ignorance about oneself. This could facilitate the
communication needed for trustworthy and rewarding co-operation (166).
The exchange of mutual analysis between evenly matched subjects of constituency, not unilateral knowledge, bears its fruits. For
every side, American or European, state or stateless, observation
experiences may offer a test of human rights and measure of
democracy. The resultant gallery of mirrors provides a contrast to
(166) The future is always open. History goes on for Peru, European Union,
Quechua people, Sweden, Saami people, and every body state or stateless. As I have
pointed out, in providing information concerning the electoral observation which has
given us the study case, I closed the documentation (but not the bibliography) in the
European summer (and Peruvian winter) of 2001, from July to August, or really October
for an annual report, the aforementioned one on human rights, which offers conclusions
on electoral operations, including the Peruvian one: http://europa.eu.int/comm/externalrelations/human-rights/doc/report-01-en.pdf, pp. 77-78 and appendix 12. There have
been novelties, presaging constitutional renewal, for both Peru and Europe face
constituency challenges in 2002. Regarding constituent reform, as I mentioned, web
pages have been launched by both the Peruvian Congress (http://www.congreso.gob.pe/
comisiones/2002/debate-constitucional/index.htm) and the European Commission
(http://european-convention.eu.int). As for self-analysis with post-colonial purposes, I
may refer to my Genocidio y Justicia, already cited.

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BARTOLOME
u CLAVERO

respective self-portraits, including the constitutional variety, fake or


frank images to a greater or lesser degree, but showing reality and
maintaining virtuality in any case. Thanks to present virtual rather
than actual human rights, the future may look towards less misleading and more promising horizons both for Europe and for America,
for Sweden and for Peru, for Saami and for Quechua peoples. These
last virtual constituencies stretch out, as we know so far, the former
across the Nordic frontiers from Norway to Russia, the latter along
the Andean highlands, slopes and valleys together with other indigenous and non-indigenous peoples from Colombia to Argentina
through Ecuador, Peru, Bolivia and Chile, so to speak from the
vicious standpoint of the established geography.

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GAETANO RAMETTA

TRA AMERICA E ORIENTE: HEGEL E LEUROPA

Nelle lezioni di filosofia della storia del 1822/23 (1), Napoleone


viene menzionato due volte. La prima, a proposito del rapporto tra
Vecchio e Nuovo Mondo; la seconda, a proposito del rapporto tra
politica e destino in eta` moderna. La prima volta, Hegel riporta la
notizia secondo cui Napoleone avrebbe detto che il Vecchio
Mondo lo annoiava (88); la seconda volta, egli riprende un passo
dai Tagebu cher di Goethe, secondo cui Napoleone avrebbe detto al
poeta che linteresse della tragedia consiste nel destino e che da noi,
scomparso il fato degli antichi, al posto del medesimo puo` subentrare la politica (414).
In queste due citazioni, il nome di Europa non compare.
Eppure, esse risultano altamente significative proprio in rapporto al
nostro tema. La prima, abbiamo detto, compare allinterno del
celebre confronto tra Vecchio e Nuovo Mondo. Il confronto sembra, a prima vista, tutto sbilanciato a favore del primo. Il Nuovo
Mondo e` infatti contrassegnato da una strutturale debolezza, che e`
il risvolto del suo carattere di novita`, e che si estende dagli animali
agli uomini. Le conquiste coloniali operate dagli europei, che sfrut(1) Citeremo dalledizione italiana G.W.F. HEGEL, Filosofia della storia universale.
Secondo il corso tenuto nel semestre invernale 1822-23, a cura di S. Dellavalle, Torino
2001. Alla Introduzione del curatore si rimanda per le questioni relative alla pubblicazione dei manoscritti delle lezioni hegeliane, e per le principali indicazioni bibliografiche.
Per un ulteriore approfondimento in rapporto alla hegeliana filosofia della storia, da cfr.
il volume di M. MONALDI, Hegel e la storia. Nuove prospettive e vecchie questioni, Napoli
2000. Per lorizzonte della questione nel suo complesso, resta imprescindibile il libro di
R. BODEI, Sistema ed epoca in Hegel, Bologna 1975. E` superfluo ricordare che il nostro
intento, qui, non e` di fornire uninterpretazione della filosofia della storia di Hegel,
quanto piuttosto di articolare, a partire da essa, uninterrogazione e una ricerca sullidea
di Europa.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

tarono il vantaggio loro offerto dal possesso del ferro e del cavallo,
testimoniano di una superiorita` che non e` soltanto quella accidentale
legata a un predominio della forza, bens`, attraverso questultima, si
afferma come differenza qualitativa di spessore spirituale e di vocazione storico-universale (2). La stessa costituzione politica degli Stati
Uniti, che viene spesso citata ad esempio della possibilita` di un governo repubblicano anche per Stati di ampie dimensioni, non deve
trarre in inganno: lassetto federale risulta infatti il peggiore di tutti per
salvaguardare lunita` dello Stato, e solo la collocazione geografica particolarmente fortunata degli Stati Uniti ha consentito loro di sopravvivere ai conflitti intestini ed alle guerre con lesterno (3). Daltra parte,
anche da questo punto di vista, Hegel ritiene di trovarsi di fronte a un
organismo in via di formazione: quando la conquista dei territori sara`
completata, diventera` necessario, anche per gli Stati Uniti, adeguare
il proprio assetto costituzionale alle esigenze di una societa` matura,
soddisfacendo il bisogno di una guida piu` salda (4).
In questo contesto, la citazione del detto napoleonico sembra
turbare la linearita` della posizione hegeliana. La noia provata dal
vecchio imperatore per il Vecchio Mondo, infatti, impedisce di
acquietarsi soddisfatti nella contemplazione di questultimo. O
forse, meglio, sembra sottolineare come, in rapporto ad esso, altro
(2) Il Nuovo Mondo si e` mostrato assai piu` debole del Vecchio; due risorse gli
mancavano: il ferro e il cavallo. LAmerica e` un mondo nuovo, debole e impotente. I
leoni, le tigri, i coccodrilli sono piu` deboli che in Africa, e lo stesso vale anche per quanto
riguarda gli uomini (1822/23, 87). Sempre suggestive, al riguardo, le pagine di ORTEGA
Y GASSET, Hegel e lAmerica, ne Lo Spettatore, trad. it. di Carlo Bo, vol. II, Milano 1949,
pp. 207-217.
(3) Gli Stati federali sono i peggiori Stati in relazione al loro rapporto verso
lesterno. Soltanto la sua particolare collocazione ha impedito che tale circostanza
bastasse alla sua totale rovina. Se grandi Stati le fossero piu` vicini, tale svantaggio
emergerebbe nel suo carattere essenziale (1822/23, 89). Riferendosi al recente conflitto
con lInghilterra, Hegel prosegue evidenziando la disunione dellesercito, assieme alla
sussistenza di una tale tensione tra il Sud e il Nord degli Stati che, se la guerra fosse
durata piu` a lungo, si sarebbe arrivati a una completa divisione dello Stato (ibid.).
(4) LAmerica del Nord e` per ora uno Stato che si sta in se formando, uno Stato
in fieri, che non ha ancora il bisogno della monarchia, perche il suo sviluppo non e`
ancora giunto a tal punto Ma quando tutte le terre sono occupate, cos` che la pressione
della societa` si ritorce su se stessa, e sorge il bisogno dellattivita` industriale e commerciale, allora lo Stato deve necessariamente essere sviluppato al punto di ottenere una
nuova costituzione (ibid.).

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GAETANO RAMETTA

non resti che contemplarlo: lo sguardo delluomo dazione non


sembra piu` scorgere, allinterno del vecchio orizzonte, nessuna
ulteriore possibilita` per soddisfare le proprie istanze di nuova creazione. Lo spirito si volge cos` alla ricerca di nuovi spazi, di nuovi
mondi. Ma proprio tale ricerca, notoriamente, e` quanto il pensatore
si preclude, almeno in Hegel. Nel filosofo, infatti, lo spirito deve
trattenere limpulso a volgersi verso lignoto, verso cio` che ancora
non esiste e percio` non puo` neppure essere conosciuto. Nella
comprensione di cio` che e` storicamente divenuto, il pensatore cerca
di ricostruire il filo di una razionalita` che non e` sempre agevole
riconoscere, e che diventa tanto piu` difficile identificare, proprio
laddove lo spirito e` tramontato in se , cioe` nellEuropa propriamente detta (5). Poiche e` in questultima che lo spirito si e` affermato
come principio organizzatore della realta`; poiche daltra parte, nel
pensiero della scienza, lo spirito comprende se come spirito
mediante lo spirito, ecco che il significato dellEuropa andra` interrogato allaltezza del circolo tra filosofia e storia, pensiero speculativo e dispiegamento effettuale dello spirito in eta` moderna. (6) A
partire da tale circolo, dalleffettualita` del proprio esser-divenuto in
quanto essersi-prodotto, Hegel puo` diagnosticare nellAmerica il
paese del futuro, e in pari tempo, con gesto sovranamente contraddittorio rispetto alla propensione, cos` forte nella modernita`, a
sporgersi verso il futuro e tutto cio` che e` nuovo, prendere
commiato da essa (7). Tra la noia provata dallultima individualita` di
portata storico-universale che Hegel ebbe di fronte, e il rivolgimento
(5) La storia universale e` sorta a sud-est e a nord-ovest e` tramontata in se . Lo
spirito e` questo creare se , in quanto mondo suo proprio, da se stesso (1822/23, 99).
Sulla vocazione al tramonto come struttura portante dellEuropa, si e` soffermato M.
CACCIARI nei due volumi Geo-filosofia dellEuropa, Milano 19942, e Larcipelago, Milano
19972.
(6) Su questo aspetto, cfr. F. HESPE, Geist und Geschichte. Zur Entwicklung zweier
Begriffe in Hegels Vorlesungen, in E. WEISSER-LOHMANN-D. KO} HLER (a cura di), Hegels
Vorlesungen u ber die Philosophie der Weltgeschichte, Hegel-Studien, Beiheft 38, Bonn
1998, pp. 71-93.
(7) LAmerica nella sua qualita` di terra nuova potrebbe apparire come un paese
del futuro. Si dice che Napoleone abbia detto che il Vecchio Mondo lo annoiava
(1822/23, 88); ancora: Gli inizi, che si stanno verificando in America, sono di natura
europea. Cos`, questo paese e` oggi un paese del divenire, del futuro, che pertanto ancora
non ci riguarda (ivi, 89).

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

in senso retrospettivo della nottola di Minerva, si dipana lo


svolgersi della hegeliana filosofia della storia e, al suo interno,
vengono a collocarsi posizione e significato peculiari dellEuropa.
LEuropa non costituisce, per Hegel, la totalita` del Vecchio
Mondo. Di questultimo, infatti, fanno parte anche lAfrica e lAsia.
La prima, tuttavia, nella storia universale svolge una funzione solo
per la sua propaggine egiziana. LEgitto raccoglie leredita` di tre
momenti: il primo e` costituito dallinnalzamento delluomo a dominatore della natura e del suo elemento piu` selvaggio, attraverso i
Fenici (8); il secondo, dallapprofondimento e dalla manifestazione
del proprio dolore, come espressione incipiente del sentimento di se ,
attraverso la diffusione del culto di Adone sulle coste orientali del
Mediterraneo (9); il terzo, infine, e` rappresentato dalla comparsa
della religione ebraica, in cui Dio viene inteso come lUno assolutamente irrappresentabile (10). In Egitto, questi tre momenti si raccolgono nellenunciazione di un nuovo compito, nellidea di una
nuova coscienza: ma in esso, il compito di dare compiutezza a tale
rinnovata autocoscienza esaurisce la sua realizzazione nel riproporsi
come tale: linterrogazione resta aperta e si riproduce come enigma,
in cui la soluzione consiste nella riproposizione di se come domanda.
LEgitto appare cos` come lostensione di una contraddizione irrisolta, di una soluzione che non risolve. Di qui la necessita` con cui lo
storico pensante, per usare unespressione del giovane Hegel,
ricostruisce la necessita` di un passaggio ulteriore, in cui la connes(8) Con i Fenici, secondo Hegel, vediamo un tratto che non era finora visibile in
Asia: luomo che, facendo affidamento su se stesso contro la natura, ne diventa signore,
signore della forza piu` selvaggia, del mare (1822/23, 299).
(9) Nel culto di Adone a Biblo, le donne piangono la morte del loro signore,
del loro Dio, e si abbandonano ai lamenti piu` smodati, mentre in India gli indu` si
tormentano senza lamentarsi (1822/23, 299 s.). Cio` e` importante non soltanto perche
nel dolore luomo ha la sensazione di se stesso la sua particolarita`, il suo esserquesto, ma anche perche il lamento contiene il significato che il negativo non deve
essere (ivi, 300). Come si vede, gia` qui abbiamo la prefigurazione di un movimento che
giungera` ad attuarsi compiutamente nel cristianesimo.
(10) Nella religione ebraica, Dio e` soltanto per il pensiero (1822/23, 301):
diversamente che negli Scritti giovanili, dunque, ora Hegel ritiene che qui luomo abbia
con Dio un rapporto positivo, in cui conserva se stesso (ibid.). Nella religione
ebraica comincia pertanto il rovesciamento del principio orientale, il rovesciamento
dalla natura allo spirito (ibid.).

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GAETANO RAMETTA

sione tra lAfrica e lOriente, che in Egitto si annoda in groviglio


irrisolto, si riproponga e rilanci in termini nuovi; in cui lenigma
possa risolversi, e lo spirito, in Egitto ancora irretito in incerto
connubio con lanimale (11), pervenga infine ad affermazione in
indipendente coscienza di se .
Il mondo greco scioglie ed al tempo stesso riannoda in termini
nuovi i legami con lOriente, in quanto la soluzione dellenigma
lasciato in eredita` dagli Egizi non comporta lespulsione del principio estraneo nellappiattimento di una pura e semplice identita` con
se . Al contrario, ai Greci riesce cio` che non era riuscito allOriente,
ovvero lassunzione delleterogeneo in quanto eterogeneo. Ne lUno
dellOriente, ne la contraddizione assunta come principio dagli Egizi
hanno potuto emanciparsi dalloscillazione che rimandava incessantemente dallo spirito alla natura, dallUno ai molti, dallinfinito al
finito, e viceversa. Con i Greci, leterogeneo fa il proprio ingresso
nella storia universale, e solo per questo la grecita` costituisce lo
sfondo a partire da cui si sviluppa qualcosa come lEuropa. Semmai,
il limite costituivo del mondo greco e` proprio quello di non avere
approfondito leterogeneo sino alla scissione e alla lacerazione piu`
profonde, sino a cio` che nel cristianesimo sara` la morte di Dio. E
tuttavia, leterogeneo che emerge nei Greci come principio necessario e` sufficiente a staccare un nuovo universo spirituale dallo
sfondo dellOriente. Da un lato, dunque, abbiamo linizio di una
possibilita`, che nellulteriore corso della storia universale si sviluppera` come Europa; dallaltro, tuttavia, il carattere superficiale
delleterogeneo proietta ancora sulla grecita` la luminosita` solare
dellOriente, fa s` cioe` che il mondo greco non sia ancora, per Hegel,
propriamente Europa (12).
(11) In Egitto, la soluzione del compito sembra piuttosto consistere nella circostanza che nellindividualita` di questo popolo lenigma appare come posto e non risolto
(1822/23, 302); abbiamo una contemplazione legata alla natura, alla intuizione della
natura, e, al contempo, anche rottura di questo legame, passaggio alla contraddizione,
rovesciamento dello spirituale nellanimalesco e, viceversa, il compito dello spirito di
diventare consapevole di se (ivi, 326).
(12) Leterogeneita` al suo proprio interno e` la prima cosa che incontriamo nel
popolo ellenico (1822/23, 348). Tuttavia, benche leterogeneita` rappresenti un principio necessario, nei Greci questultima non assume carattere fondamentale, profondo,
giacche altrimenti lo spirito greco sarebbe pervenuto a un livello superiore rispetto a

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

E` forse per questo che il destino della Grecia si compie con


limpresa di Alessandro, che cerca per la prima volta dinvertire il
corso della storia da sud-est a nord-ovest, tentando di riversare le
acquisizioni del mondo greco da Occidente di nuovo verso Oriente.
Se il mondo greco rappresenta leta` giovanile dello spirito, e` del tutto
conseguente che lo spirito greco raggiunga la sua massima realizzazione, la sua piu` alta concentrazione simbolica, nella figura di due
giovani, luno creato dalla fantasia creatrice del poeta, laltro esistente nella realta` effettuale della storia. Il primo e` Achille, in cui i
Greci rappresentarono plasticamente il loro ideale di eroe guerriero,
in cui pero` Hegel sembra sottolineare piu` laspetto della giovinezza
come effimera fioritura, ancora immatura per la guida politica, che
non quello delle virtu` militari del coraggio e dellabilita` guerriera.
Ho lderlin avrebbe forse aggiunto che la guerra, nella misura in cui
espone leroe alla possibilita` della morte precoce, trasforma per lui
nella piu` dura delle necessita` questa morte stessa, cosicche il coraggio altro non e` che il risvolto della giovinezza, in quanto tale che essa
deve finire precocemente, perche solo cos` puo` custodirsi come tale,
inalterata, nel ricordo e nel canto. Ad ogni modo, anche per Hegel
Achille e` lalfa, linizio e il principio del mondo greco. Alessandro,
invece, ne e` lomega, il vertice e il compimento. Ambedue si volgono
verso Oriente, il primo nella sfera della rappresentazione, il secondo
nella realta`. Il conflitto ricorrente della Grecia con lOriente testimonia cos` di un legame inscindibile, destinato a presentarsi allinizio, al centro e alla fine della storia greca.
Allinizio, si tratta di riprendere il filo della storia del mondo, a
partire dalle piu` antiche e piu` sviluppate civilta` dellOriente (13). Le
quello che ebbe (ibid.). Nonostante cio`, lavere assunto leterogeneo a suo proprio
principio fa del mondo greco lantesignano dellEuropa: In Europa tutte le nazioni sono
sorte da un processo di fusione. Lelemento delleterogeneita` e` quindi proprio dellessenza di un popolo storico-universale (ivi, 349): sospendiamo temporaneamente la
citazione, per segnalare che qui si trova uno degli elementi di maggiore contatto tra la
posizione filosofico-storica di Hegel e quella di Fichte. Ma riprendiamo la lettura: I
Greci, i Romani, i Germani formarono ununita` soltanto a partire dalla molteplicita`
dellorigine. E` questa la condizione necessaria per un popolo che voglia avanzare la
pretesa di avere un significato storico-universale (ibid.).
(13) Sullinterpretazione hegeliana dellOriente, cfr. il classico M. HULIN, Hegel et
lOrient, Paris 1979.

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GAETANO RAMETTA

civilta` dellAsia, non avendo nessuna cultura dietro di se , avevano


come loro sfondo la semplice natura. Nella differenziazione da
questa, esse erano percio` sempre condannate a riprodurre al loro
interno unimmediatezza non risolta. Sotto il profilo dei rapporti
politici, Hegel non si limita a ripetere il topos del dispotismo
orientale a fronte della liberta` dellOccidente, bens` articola in
sequenza i tre mondi della Cina, dellIndia e della Persia, riconducendo il primo a una forma dimpero patriarcale, il terzo a una
forma dimpero che raccoglie al suo interno una molteplicita` di
popoli lasciati nella loro irrelata eterogeneita`, e riservando soltanto
allIndia il regime propriamente dispotico. Ma tra Cina ed India,
tra lunita` propriamente patriarcale della prima e la differenza per se
irrigidita in caste della seconda, non vi e` alcun progresso reale sul
piano della storia universale: il progresso avviene solamente in se ,
per lo spirito riflettente. E` soltanto con la Persia che la storia
presenta un progresso per se , che lo spirito si risveglia a una
dimensione nuova nel triplice senso che abbiamo sopra rapidamente
determinato, e che per Hegel conduce al compito che gli Egizi
lasciarono da risolvere ai Greci. Questi ultimi non partirono, quindi,
dallimmediatezza della natura, ma dovettero confrontarsi con
unimmediatezza di matrice gia` storica e spirituale. Di qui la strutturale eterogeneita` dei Greci fin dalla loro origine: anzi, di qui il
carattere strutturalmente plurale dellorigine stessa (14). Questo momento iniziale di confronto, nel senso della coappartenenza e del
conflitto, del riconoscimento di uneredita` e, proprio per cio`, della
necessita` di un distacco, e` quanto costituisce il nocciolo storicouniversale della poesia omerica, ed e` simbolicamente rappresentato
dal giovane figlio della rappresentazione, che e` Achille.
Poiche leterogeneo e` il principio necessario del mondo greco,
inevitabile e` che esso si volga verso e contro laltro. Ma questo altro,
per il greco, non puo` essere che il persiano, poiche solo nel persiano
(14) Presso gli Asiatici, questo sviluppo spirituale e` potuto cominciare soltanto
con la natura, con limmediato. In un popolo con un antecedente che esso presuppone
penetra invece, nella fase dei suoi primordi, una cultura straniera. Fin dal principio esso
ha in se una duplice essenza: per lui, si tratta dunque di assimilare lelemento straniero
ed espellere da se quanto e` destinato a restare estraneo, di raggiungere la propria reale
vigoria interna la quale si rivolge poi proprio contro il proprio presupposto (1822/23,
346).

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leterogeneo emerge allinterno dellOriente (15): lo scontro tra la


Grecia e la Persia e` dunque scontro tra eterogenei, ciascuno dei
quali si volge contro laltro al di fuori di se , perche innanzitutto reca
laltro in se . Nelleterogeneo, dunque, Grecia e Persia riconoscono
cio` che le unisce: lOccidente e` ancora un unico e medesimo con
lOriente, da cui per affermarsi come eterogeneo deve ancora propriamente distaccarsi. A cio` concorrono le guerre persiane, laffermarsi della democrazia come costituzione peculiare delle poleis
greche, la sconfitta del dispotismo come regime di riduzione forzosa,
perche astratta, delleterogeneo a sintesi basata sul dominio di un
uno sui molti. Ma daltra parte, proprio per la vittoria sui Persiani
il mondo greco si ripiega in se , volge contro di se leterogeneo che
aveva prima intravisto come minaccia, vittoriosamente affrontata, al
di fuori di se . E` lepoca del tramonto, del supremo compimento; e`
leta` dominata dal secondo giovane, Alessandro (16).
Con lui, la grecita` si volge nuovamente verso Oriente, verso la
madrepatria da cui si e` distaccata, e verso la quale intende ora
riversare i tesori che si e` conquistata procedendo autonomamente
sul suo proprio terreno, a partire tuttavia dallo sfondo e dal distacco
nei confronti del principio aurorale, solare e soltanto ancora naturalmente spirituale dellOriente (17). Ma proprio in questa oscillazione, in questo moto di distacco e di richiamo, di separazione e
riunificazione, la Grecia mostra di non essersi ancora davvero staccata
dallAsia, di non essere ancora, in tutto e per tutto, Occidente, e
dunque di non costituire ancora il cuore dellEuropa.
Cos` come lAsia, infatti, non va intesa come un oriente
relativo a qualcosaltro, bens`, in quanto inizio vero e proprio della
(15) Anche la Persia, limpero asiatico per eccellenza, e` una sintesi di popolazioni
eterogenee, di diversa origine (1822/23, 348).
(16) Alessandro, ovvero il giovane reale, allapice di uneta` giovanile divenuta
compiutamente matura e investita del supremo potere decisionale, rappresenta il vertice
della grecita` nella sua autenticita` (1822/23, 345).
(17) Egli ha vincolato il moto interiore dellanimo della vita greca, e lha cos`
rovesciata contro la madrepatria della Grecia, contro lEst, lOriente, mettendo per il
momento fine alla vecchia lotta tra Oriente e Occidente In un sol colpo Alessandro,
per un verso, ha vendicato la Grecia per il male ricevuto dallOriente, dal Levante
[riferimento ai tentativi di conquista da parte della Persia, n.d.A.], per laltro ha pero`
anche restituito, moltiplicato per mille, tutto il bene che la Grecia aveva ricevuto
dallOriente con i primordi della cultura (1822/23, 408).

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storia, costituisce lOriente per se (18), allo stesso modo lEuropa


puo` essere considerata in modo duplice: da una parte, in quanto essa
e` proiettata verso lesterno, ovvero adagiata sulle coste del Mediterraneo, come nel caso dellItalia e della Grecia; dallaltro, in quanto
essa e` lEuropa per se : in tale seconda, e unicamente propria
accezione, essa si disloca al di la` delle Alpi e delle catene montuose
balcanico-danubiane, a Settentrione di queste catene montuose,
verso lEuropa vera e propria (19). Vediamo ancora una volta
allopera il principio delleterogeneo come struttura portante dellEuropa, e ancora una volta vediamo intervenire unindividualita` di
significato storico-universale come protagonista della scoperta di un
nuovo orizzonte per lespansione dello spirito. Ma nel caso di
questultima, si tratta di unazione storica dalla portata ben piu`
profonda di quella tentata da Alessandro: lideale di unificazione tra
la Grecia e lOriente, infatti, non rappresentava nulla piu` che un
sogno, e percio` dovette rimanere privo di effettualita` (20). Impossibile era invertire il corso della storia universale, perche troppo
diverso era il nuovo principio dellautonomia e della liberta` dello
spirito, sviluppato dalla civilta` greca, rispetto al dispotismo e
allUno indifferenziato dellOriente. Percio`, se confrontate con
lazione di Alessandro, che apr` la strada verso Oriente, le imprese
attraverso cui Giulio Cesare apr` alle legioni di Roma la via del
Settentrione, spingendo il dominio romano verso nord, ebbero una
portata incalcolabile dal punto di vista della filosofia della storia:
solo cos`, infatti, fu aperta la via al cuore dellEuropa, che e`
lOccidente, e piu` precisamente lOccidente nella sua declinazione
settentrionale (21).
Abbiamo gia` visto che Hegel parla, a questo proposito, del fatto
che la storia, sorta a sud-est, a nord-ovest e` tramontata in se (22).
Ora, se messo in rapporto alla suddivisione dellEuropa in un
cuore, costituito dallOccidente settentrionale, e in una proiezione
(18) LAsia da` inizio alla storia. Ogni paese rappresenta lOriente per un altro,
ma lAsia e` la parte del globo terrestre che costituisce lOriente per se , mentre lEuropa
in parte e` il centro, in parte e` il punto finale della storia universale (1822/23, 94).
(19) Ivi, 98-99.
(20) Ibid.
(21) Ibid.
(22) Loc. cit. supra, n. 5.

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mediterranea verso lesterno, rappresentata dalle penisole dellItalia e della Grecia, quellandare in se comporta una definitiva
dislocazione e perdita di centralita` di cio` che secondo Hegel aveva
costituito, se non il cuore, comunque il centro del mondo
antico, ovvero appunto il Mediterraneo (23).
Daltra parte, il carattere intimamente eterogeneo dellEuropa
implica non soltanto la presenza di una opposizione, che Hegel
definisce essenziale, tra regioni dellinterno e regioni costiere; ben
di piu`, dal momento in cui il bacino mediterraneo ha lasciato il posto
alle regioni settentrionali dellOccidente come teatro principale
della storia del mondo, esso sembra implicare, ancora piu` radicalmente, il venir meno di quella prima opposizione, e lemergere di
unopposizione ancora piu` profonda: quella che potremmo definire,
in termini schmittiani, come opposizione tra terra e mare. E`
vero che lassunzione dellopposizione in questi termini avrebbe
comportato la necessita` di proiettare sugli oceani quella stessa
definizione che Hegel riserva al Mediterraneo, proprio per distinguerlo da questi ultimi. (24) Ma tale ampliamento non e` affatto
incompatibile con la filosofia della storia hegeliana, anzi in un certo
senso e` addirittura richiesto dalle sue implicazioni ultime, ed espressamente attuato da Hegel. Nel celebre passo in cui troviamo detto
che il mondo e` per gli europei qualcosa di rotondo (25), non
soltanto sembra inevitabile estendere agli oceani laffermazione hegeliana secondo cui il mare scinde le terre, ma unisce gli uomini (26), ma Hegel non sembra neppure tanto lontano dal trarre la
conseguenza che la storia universale si stesse avviando ad una
progressiva de-localizzazione dei conflitti politici e delle contese
(23) Sullimportanza delle determinazioni geografiche nellinterpretazione hegeliana della storia universale, cfr. P. ROSSI, La storia universale e il suo quadro geografico,
in Hegel. Guida storica e critica, a cura di P. ROSSI, Roma-Bari 1992, pp. 169-206.
(24) Il Mediterraneo, riportano gli uditori di Hegel, non e` un oceano, il quale si
presenta innanzitutto come unuscita, vuota e infinita, verso lignoto, nei cui confronti gli
uomini hanno pertanto un rapporto meramente negativo (1822/23, 90). Qui bisogna
sottolineare, in particolare, lavverbio anzitutto. Quanto alluscire da se , esso e` cio`
che contraddistingue, in Hegel, lo spirito europeo dallo spirito asiatico: tanto piu`
necessariamente, dunque, lEuropa doveva proiettarsi alla conquista degli oceani e delle
terre oltremare.
(25) Ivi, 460.
(26) Ivi, 103.

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interstatali: non nel senso della perdita dimportanza della dimensione spaziale, bens` al contrario nel senso che, per la prima volta,
leta` moderna affacciava il problema di un controllo e di una contesa
estesi allo spazio nella sua globalita` (27).
Daltra parte, proprio la perdita di rilevanza dellopposizione
interno/esterno, se proiettata su scala temporale, rende quanto mai
problematica lesclusione dellAmerica dalla filosofia della storia,
nella misura in cui questultima venga assunta nellaccezione e nella
portata che ad essa attribuisce Hegel. Posto che in Europa lo spirito
sia tramontato in se , posto che il cuore dellEuropa sia costituto,
proprio percio`, dallOccidente e non viceversa, sembra paradossale
sostenere che lAmerica appartiene al futuro, ed escluderla quindi
dalla filosofia della storia. Se il futuro dellOccidente e` ancora
lOccidente, cio` significa che lAmerica era gia` ben inclusa nellorizzonte storico del presente ai tempi di Hegel: a meno di non ritornare
ad una lettura che subordini la nozione di Occidente a quella di
Europa, col risultato pero` di entrare in contraddizione con lasse
portante dellintera filosofia della storia, costruita sullopposizione e
sulla progressiva integrazione di Oriente e di Occidente (28). In
estrema sintesi: o la designazione dellAmerica come paese del
futuro non poteva comunque legittimare lesclusione del continente americano dalla considerazione della filosofia della storia,
pena linversione nella determinazione dei rapporti tra Europa e
Occidente; oppure, il futuro che annunciava lAmerica doveva
considerarsi gia` ampiamente incluso nella storia dellOccidente,
doveva gia` appartenere strutturalmente alla definizione dellEuropa
nel suo passato e nel suo presente, e dunque lAmerica, in quanto
futuro passato dellEuropa, in quanto Occidente dellOccidente,
non era piu` soltanto paese del futuro, bens` altrettanto e piu`

(27) In questo senso, ci sembra, sono da leggere asserzioni come le seguenti: La


relazione verso lesterno non contraddistingue piu` le epoche, non e` piu` lelemento
determinante, e le rivoluzioni fondamentali avvengono allinterno (1822/23, 460).
(28) Ancora una volta cruciale, a questo riguardo, il ruolo di Roma: Lunificazione dellOriente e dellOccidente e lelaborazione dei due principi sono avvenute nel
mondo romano (1822/23, 445).

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radicalmente ancora paese di un presente storicamente effettuale,


benche non piu` compreso entro i confini dellEuropa (29).
Ad ogni modo, anche lAmerica come paese del futuro trova
la possibilita` di entrare nel corso della storia universale solo a partire
dallEuropa: infatti e` solo a partire da Roma, e piu` precisamente da
Giulio Cesare, che lEuropa si apre la via verso se stessa, che
lOccidente e` dischiuso allEuropa e rivelato a questultima come il
suo nocciolo ancora chiuso, che spettera` ai popoli germanici condurre a compiuto sviluppo. Viceversa, se Cesare porta allapertura di
un nuovo spazio, alla scoperta di un nuovo orizzonte, la sua funzione
storico-universale non consiste soltanto in una rivoluzione dello
spazio, nellapertura di una nuova direttrice allo sviluppo dello
spirito (30). Con Cesare, compare sulla scena del mondo un individuo che finalizza tutta la sua esistenza ad un unico scopo, lo scopo
del dominio (31). In lui compare dunque un nuovo tipo di soggettivita`, la cui possibilita` era stata peraltro aperta solo da Alessandro. E`
con Alessandro, piu` ancora che con Pericle, che lindividualita`
diventa chiave di volta di un intero assetto storico-universale; e` con
Alessandro che lasse della storia universale non ruota piu` semplicemente attorno allinteresse dello Stato, bens` allinverso linteresse
dello Stato viene a dipendere dallinteresse, dallazione e dal contrasto tra singole individualita` di spicco (32). Hegel parla in proposito di una galleria di colossi, di unepoca ricca di straordinarie
(29) Ricordiamo che la cosiddetta dottrina Monroe viene formulata nello stesso
anno (1823) della Vorlesung hegeliana che stiamo commentando.
(30) Verso lesterno, al di la` delle Alpi, Cesare aveva dischiuso la Gallia e la
Germania, era penetrato nel mondo del nord, scoprendo cos` un nuovo mondo e
aprendo la via verso di esso (1822/23, 436).
(31) In conclusione fa finalmente la sua comparsa Cesare, la perfetta immagine
della conformita` allo scopo propria dei Romani, un uomo ingenuo e semplice, che non
vuole altro che essere il dominatore e non trova impedimento in nessuna limitatezza ne
in alcuna passione (1822/23, 435).
(32) Se confrontiamo la condizione precedente di questi Stati con quella piu`
tarda, lindividualita` di Alessandro costituisce il momento che sta al centro. Laspetto piu`
interessante della storia era prima rappresentato dagli Stati greci e gli individui si
distinguevano solo nella misura in cui lavoravano per lo Stato Dopo Alessandro,
invece, non sono piu` i destini degli Stati a rappresentare linteresse essenziale, bens` e`
linteresse degli individui cio` da cui ora dipendono questi destini (1822/23, 410).

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individualita` (33). Tra di queste, Cesare e` quella che finalizza la


direzione verso lo scopo tipica del carattere romano alla conquista
del dominio, e prelude cos` alla fondazione dellimpero e alla
sequenza degli imperatori. Cos`, con la concentrazione di tutto il
potere nelle mani di un singolo individuo, il cammino verso laffermazione dellindividualita` come principio storico universale, aperto
da Alessandro, raggiunge il proprio culmine e si rovescia, come
sempre in Hegel, nel suo opposto. Nellimpero, il fato che dominava sugli dei della Grecia fa il proprio ingresso nella storia del
mondo (34): ma in quanto esso si riduce allarbitrio e al capriccio di
un singolo questo, il fato stesso viene liquidato e rovesciato nel
suo contrario. Lespressione della necessita` viene a coincidere con la
piu` assurda contingenza, e la tragedia, che nel fato trovava la
suprema legge ordinatrice degli eventi, viene sostituita dallincontrastato dominio della politica come mero esercizio della forza.
Ritroviamo cos` la seconda delle citazioni che abbiamo riferito
allinizio: lingresso nella storia della politica come destino del
mondo, la liquidazione del fato degli antichi, la sua luogotenenza
(vera e propria Stellvertretung) da parte della politica. Lo sviluppo
incondizionato della particolarita` si e` concentrato nella figura dellimperatore e si e` rovesciato nel suo opposto, cioe` nella dominazione di tutti i particolari a partire dallarbitrio di un unico questo.
Cio` fa s` che Hegel possa identificare limpero romano con una
condizione di universale infelicita`, e al tempo stesso possa determinare tale infelicita` come necessaria (35). Se la politica subentra al fato
e la dimensione dello Stato si contrappone come mera forza alla
particolarita` dei singoli individui senza potere, tuttavia, a partire da
Alessandro e dalla sequenza dei colossi seguiti alla sua scomparsa
nellellenismo e nella romanita`, il principio dellindividualita` intesa
come singolo questo ha ormai fatto il suo ingresso sulla scena della
(33) Ivi, 435.
(34) Limpresa dellimpero romano e` questa, la forza come universalita` meramente astratta, attraverso cui ha fatto il suo ingresso nel mondo il destino, luniversale
astratto. Nellimpero romano la vita della particolarita` e` stata messa in catene (1822/23,
414).
(35) Roma ha spezzato il cuore del mondo, ma solo da questo cuore infelice
del mondo, da questa infelicita` della naturalita` dello spirito, poteva svilupparsi, emergere
lo spirito libero (1822/23, 415).

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storia universale. Questultima non puo` dunque piu` prevedere


soltanto un rapporto di sottomissione tra universale e particolare, tra
potere irresistibile dello Stato e molteplicita` irrelata di singole
individualita` dominate: tanto piu` che in tale dialettica, quelluniversale altro non sarebbe che manifestazione illimitata della particolarita` del questo di volta in volta al potere.
Lestraneazione che lo spirito raggiunge nellimpero e` conseguenza dellaffermazione del questo, ed e` percio` necessaria. Daltra
parte, abbiamo gia` visto che la manifestazione piu` immediata del
questo e` rappresentata dal dolore e dalla sua espressione come
lamento: un mondo come quello dellimpero romano non puo`
dunque mancare del dolore, poiche in questo mondo tutto e` ridotto
al dominio del singolo questo dellimperatore sugli altri questi
senza potere. Tuttavia, poiche il lamento contraddice la gravitas
costitutiva del carattere romano, il dolore a Roma puo` essere
sperimentato solo nella sua oggettivazione, ovvero nella forma della
crudelta` (36). Nella crudelta`, il romano si concede lesperienza dellindividualita` nella sua forma estrema, e al tempo stesso espelle tale
esperienza al di fuori, proiettandola di fronte a se come spettacolo.
Ora, e` qui che lOccidente necessita di nuovo dellintegrazione da
parte dellOriente: il dolore infinito del Se , che a Roma si produce
nella scissione tra imperatore e moltitudine dei questi, dolore che
a Roma, pero`, non riesce a darsi altra figura che quella della crudelta`,
dello spettacolo e dei giochi gladiatori, puo` ritrovare espressione
allinterno del Se , recuperarsi per cos` dire nellinteriorita` dellautocoscienza, solo nella misura in cui questultima si tolga dalla dimensione esclusiva dellesteriorita` e delloggettivazione, solo nella misura
in cui, dunque, non sia solo il particolare a soffrire, ma nella
sofferenza del particolare soffra, patisca e muoia il principio stesso
del mondo, cioe` lUno come espressione del divino.
Questo e` lapporto di Cristo e del cristianesimo, su cui evidentemente qui non e` il caso di soffermarsi, se non per metterne in luce
il valore posizionale per la definizione della nozione hegeliana di
Europa e di Occidente. Con Cristo, il fato degli antichi viene
liquidato una seconda volta, e percio` stesso in via definitiva. Allesperienza della particolarita` esteriore, di cui lelaborazione del
(36)

Ivi, 426.

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diritto costituisce il mero effetto (37), il cristianesimo apporta lesperienza di un dolore intimamente vissuto: ma cristianesimo e romanita` non possono essere scissi, poiche entrambi sono le forme
attraverso cui si consuma la liquidazione dellesperienza storicouniversale dellantichita`, basata sulla coappartenenza di storia, tragedia e destino. A questi principi del mondo antico, allesperienza
della giovane individualita` del mondo greco, Roma e il cristianesimo sostituiscono luna il dominio della politica e loggettivazione
del questo a mera esteriorita`, la correlazione prosaica di dominio
e diritto; laltro, la riconduzione a questo, e percio` stesso a
rappresentazione, di quellUno irrappresentabile che, nella religione
ebraica, aveva costituito il culmine hegelianamente inteso
dellesperienza religiosa dellOriente. Innestata sulla nuova direttrice
aperta da Cesare verso il mondo del nord, ecco cos` dischiudersi
cio` che per Hegel rappresenta lOccidente in quanto cuore dellEuropa: la connessione tra politica, diritto e cristianesimo. Evidentemente, a partire da questultimo si operera` una riqualificazione dei
primi due, si attuera` una nuova declinazione nei rapporti tra gli
individui (il questo come molteplicita` di particolari) e lo Stato
come principio di organizzazione universale. E` questo, notoriamente, il principio del mondo germanico, ovvero, come ormai
sappiamo a sufficienza, dellEuropa propriamente intesa, dellEuropa in quanto si afferma nella modalita` del per se (38).
Giungiamo cos` a cio` che, del pensiero hegeliano, e` massimamente noto: la sequenza dei quattro mondi o regni dello spirito
universale; lattribuzione a ciascuno di un determinato principio
costituzionale; la connessione di questultimo con la religione di
volta in volta dominante. In realta`, nulla come questi schemi, per
(37) Ivi, 443. Linterpretazione del mondo romano e` nel corso del 1822/23 molto
piu` articolata di quanto lascerebbe prevedere la lettura dei Lineamenti di filosofia del
diritto. In particolare, emerge con particolare nettezza come il diritto sia assolutamente
insufficiente ad esprimere in tutta la sua ricchezza il significato di Roma per la storia
universale. Ma sullinterpretazione hegeliana di Roma, cfr. G. BONACINA, Hegel, il mondo
romano e la storiografia, Firenze 1991.
(38) Il mondo europeo moderno, il principio germanico, presenta la costituzione
monarchica, in cui i circoli particolari diventano liberi senza pericolo per il tutto, anzi
dove e` proprio lattivita` della particolarita` a produrre il tutto (1822/23, 76).

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quanto indubbiamente risalenti allo stesso Hegel (39), puo` contribuire meglio a non far comprendere il pensiero di Hegel nella sua
mobilita`, concretezza e articolazione. Daltra parte, e` inutile negare
che in essi, per quanto pallidamente, si riflette senzaltro il nocciolo
del pensiero filosofico-storico di Hegel, e per quanto ci riguarda piu`
da vicino, della sua interpretazione del nesso Europa/Occidente.
Europa in senso proprio, ormai dovrebbe essere chiaro, e` per Hegel
soltanto il mondo moderno (40); ma proprio in quanto tale, questultimo e` un mondo che si proietta strutturalmente al di la` se , che reca
il proprio futuro inscritto nel suo piu` recondito passato, nella sua
essenza piu` profonda. Proprio percio`, proprio perche il futuro e`
gia` da sempre cio` che di anteriore vige al cuore dellEuropa, non
e` possibile per questultima recidersi dal suo essersi-prodotta, dalle
modalita` del suo esser-divenuta. Cos`, nonostante tutti i distacchi e
tutte le separazioni, lEuropa deve di necessita` sempre di nuovo
riscoprire, nel suo stesso interno, un proprio Oriente: da un lato,
come cio` in rapporto a cui essa si e` determinata e si determina di
volta in volta; dallaltro, come cio` a partire da cui la vita dello spirito
risorge dal tramonto in cui lo spirito medesimo declina ad Occidente.
Ma tale Oriente dEuropa sara` a sua volta, necessariamente,
storicizzato e temporalmente determinato, a partire dal momento in
cui viene in contatto con essa. Allora, come lOriente e` per lEuropa
lalba che la precede, ma che in realta` essa reca strutturalmente in se
stessa come principio e come inizio, da un lato del suo proprio
essersi-prodotta, dallaltro del proprio costante uscire da se : cos`
lAmerica, in quanto Occidente del suo Occidente, e` il suo futuro
piu` proprio in quanto e` gia` presente in essa, in quanto ha gia` trovato,
in essa, il suo passato. LOriente e` il passato che trova nellEuropa
il suo futuro, perche questultima riproduce in se il proprio passato
come futuro suo proprio, come la possibilita`, e in pari tempo la
(39) Cfr. Lineamenti di filosofia del diritto, 352-358, e lo studio di G. BONACINA,
Storia universale e filosofia del diritto, Milano 1989.
(40) Ma sulla mobilita` presente nellinterpretazione hegeliana della modernita`, cfr.
K.R. MEIST, Differenzen in Hegels Deutung der Neuesten Zeit innerhalb seiner Konzeption der Weltgeschichte, in H.C. LUCAS-O. PO} GGELER (a cura di), Hegels Rechtsphilosophie
im Zusammenhang der europa ischen Verfassungsgeschichte, Stuttgart - Bad Cannstatt
1986, pp. 465-501.

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necessita`, di rinascere sempre di nuovo, ponendo in questione di


volta in volta se stessa nel suo proprio esser-divenuta. E` insomma un
passato destinato a comparire dinnanzi allEuropa come suo proprio
futuro. Di contro lAmerica, paese del futuro, in realta` e` un
futuro che lEuropa reca gia` in se come passato, come esito di
quella spinta a uscire da se che dellEuropa costituisce, per Hegel,
lessenza piu` profonda, il suo intemporale essere-stato (41).
LEuropa si dispone come campo di questa tensione, come cio`
che tiene nella differenza del rapporto Oriente e Occidente, lAmerica come Occidente dellOccidente, e lAsia in quanto Oriente non
relativo, bens` assoluto o per se . In quanto matrice di questa
messa in tensione, in quanto posizionamento e messa in forma di
siffatta differenza, lEuropa conferma la molteplicita` dellorigine
che la costituisce fin dal suo inizio nella grecita`, quando essa non era
ancora propriamente Europa, quando pero` la sua possibilita` si
affacciava alla ribalta della storia come principio delleterogeneo,
come accoglimento dellaltro in se , e come generazione del proprio
altro da se . In questo senso, cio` verso cui lEuropa tramonta in
quanto Occidente, verso cui e` sempre in procinto di tramontare, e` al
tempo stesso il suo futuro e il suo passato, e` lOccidente del suo
Occidente, ma e` in pari tempo linizio, cio` da cui essa ha tratto la
forza di distaccarsi: ovvero lOriente (42), il quale pero`, nel risultare
dal movimento verso cui si proietta lEuropa, non potra` piu` essere
declinato come un Oriente in se : anche lOriente, ormai, sara`
sempre soltanto un Oriente per lEuropa, sara` per lEuropa il suo
proprio Oriente, leterogeneo che essa reca in se come il proprio
passato, ma declinato al futuro.
Ma se le cose stanno cos`, tale Oriente verso cui lEuropa e`
sempre in procinto di uscire da se non potra` restare in Hegel senza
nome: e il nome che esso ottiene, e` quello stesso che viene agitato
come fantasmatico spauracchio al giorno doggi, ovvero: Islam (43).
(41) Secondo la spiegazione di Wesen che troviamo allinizio della Logica dellessenza.
(42) Per i Greci e i Romani e` sorto il mattino di un mondo bello; cos` avviene
anche per il mondo cristiano, il cui padre naturale e` limbrunire, lOccidente dEuropa
Ma il Levante, lOriente, e` suo padre in senso superiore, e` il suo padre spirituale I
Romani hanno ricevuto il cristianesimo dallOriente (1822/23, 477).
(43) E` pertanto lIslam che, nel suo splendore, nella sua liberta`, nellampia

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LIslam contrappone nuovamente il principio dellUno assoluto


allAssoluto dellOccidente, che in Cristo si e` fatto questo sensibilmente umano, presenza effettiva di una singolarita` esistita in un
determinato qui-e-ora. LOccidente che vuole riappropriarsi del
questo nella sua figura sensibile e` di necessita` votato allo scacco,
il Santo Sepolcro si scopre come vuoto, ma intanto lOccidente con
le crociate si volge nuovamente a Oriente, ripristina loscillazione in
senso inverso, mentre a sua volta lIslam, nella sua irresistibile spinta
espansiva, si era gia` precedentemente incuneato ad Occidente.
Duplice movimento, duplice posizione, scontro e conflitto di eterogeneo a eterogeneo, in cui da una parte lEuropa separa da se lIslam
come il proprio Oriente (44), e dallaltra introietta in se quel principio delleterno ringiovanimento (476), che dellIslam costituisce
la caratteristica essenziale: ringiovanimento senza di cui lEuropa
non sarebbe mai piu` potuta uscire da se , ne avrebbe mai piu`
potuto disporre di un nuovo cuore e di un nuovo Occidente (45).
Ma e` evidente, allora, che lasserzione hegeliana sopra citata,
secondo cui ormai la relazione verso lesterno non contraddistingue
piu` le epoche, e le rivoluzioni fondamentali avvengono allinterno
(460), qui devessere assunta in tutta la pregnanza della sua letteralita`: linterno non sara` piu`, cioe`, semplicemente lo spazio di un
mondo che lEuropa ha unificato, di una terra che per essa e` ormai
divenuta pienamente rotonda. Linterno andra` inteso come linterno dello spirito, come la piena affermazione, sul piano delleffettualita`, dello spirito dellepoca moderna (513), che trova la propria espressione nei principi della fede, della partecipazione e della
liberta` con cui la Riforma di Lutero condusse a compimento il
cristianesimo.
Cos` la storia si avvicina, per Hegel, al suo proprio presente,
interpretato come la combinatoria risultante dallintreccio tra il
distensione dei suoi orizzonti e nella sua limpida chiarezza, si contrappone allapprofondimento del mondo cristiano nel particolarismo (1822/23, 475).
(44) Al cospetto del Santo Sepolcro, lOriente si e` allontanato dallOccidente
(1822/23, 507).
(45) Cfr. il breve ma significativo cenno alla nascita della cultura cavalleresca in
Spagna dal contatto tra Arabi e cristiani, e allapporto dei primi nella diffusione delle
scienze e delle opere classiche degli antichi (Ivi, 477).

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799

GAETANO RAMETTA

principio luterano della liberta` di coscienza; laffermazione su scala


universale del principio giuridico, che la Rivoluzione francese e le
guerre napoleoniche ebbero il compito dimporre a tutta Europa,
secondo cui ciascuna singola autocoscienza gode di pari dignita` e
pari diritto ad essere riconosciuta come libera; e la configurazione
dello Stato come monarchia costituzionale, in cui la liberta` e
lattivita` dei singoli individui e delle cerchie particolari producono
luniversale, mentre luniversale impedisce loro di dissolversi nellanarchia di unatomistica senza legge e senza unita`. Che tale
suprema conciliazione tra singolarita` e universalita` sia per principio esposta alla propria fine e alla ricerca di un nuovo equilibrio,
potrebbe anchesso far parte, e proprio ascoltando Hegel, delleterogenea identita` dellEuropa.

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RICHARD HYLAND

IMAGINE EUROPE

As the sun rose through cloudy streaks, a few rays reached the
high clay walls that served as the gateway to the hill country. The
camels were up, some kneeling on four legs, others stamping the
dirt, as young men in fezzes pitched hay for feed. Camel heads
swiveled down, snatched a mouthful, then snaked back up. Cud was
chewed. Tails strained and lifted for defecation. Wood scraped
against metal as an ancient gate was unbarred and swung open from
the inside. Calico goats rushed out through the tall entryway and
milled around on the hard packed dirt of the empty marketplace. A
young shepherd and his dog coaxed the animals to the wild grass
along the side wall.
A few traders spread their heavy carpets along the base of the
village walls, but most were still wrapped in their bedrolls against
the morning chill. Business would not begin for another hour. Fires
crackled under copper pots as water boiled for sweet tea. Young
girls sold flatbread still warm from the oven. At midday, older girls
in ruby red dresses sparkling with sequins would circulate through
the marketplace bearing poles over their shoulders, selling meals
from pots laden with couscous and spicy stews, and thered be more
hot bread. The caravan would spend the day at the village and
another evening and leave just after moonrise. By the following
daybreak it would clear the pass and reach the next river.
Akmut did not buy in the market, at least not for profit. He
purchased small items to examine in the evening, then passed them
on, usually when parting, to a woman he d met. Akmut was a scribe.
Even the village merchants who could read could not compose a
letter, yet letters needed to be written. Births, deaths, and wedding
invitations had to be communicated to family members whod

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

moved further along the trade route or into the city. Wills had to be
drafted and gift documents and sometimes deeds of title. Akmut had
apprenticed at fifteen. For seven years he memorized sentences. For
seven more, when his master could not see well enough to write,
Akmut recorded letters and legal documents with hand-dipped pen
and ink from his masters dictation. A few months ago, his master,
too weak to travel, conveyed his writing implements to Akmut and
presented him with a tightly-woven silk kilim from the Caucasus that
shone even in the shadow of the clay walls.
As their turns came, merchants from the village squatted in
front of the carpet, showed Akmut letter they wished to answer or
indicated the news they wished to convey. Akmut carried the letters
himself and delivered them as the caravan passed. If the messages
were to travel in the opposite direction, the merchants waited for a
caravan to return. Akmut had accumulated such a store of phrases
and situations he didnt think about his work. His clients explained
their situation, and the proper letter suggested itself. He entered the
minds and felt the emotions of his clients, expressing what they
would have expressed had they been able to write.
One of the joys of his profession was following over a lifetime
the surprises that fortune prepared for the residents of a remote
village on the trade route. This morning Akmut learned that one of
his clients had died and the two sons had squabbled over the
inheritance. Akmut knew, since he had acted as amanuensis for the
will, that the wealth was not divided equally. His master had
suggested that equal treatment would assure that both sons honored
their fathers memory. The elderly client had refused. His first born
was a profligate, he was not devoted to the livestock and took his
inheritance for granted. Once the bequests became known a
scribe had confirmed the purport of the will a few weeks earlier
the deceaseds brothers intervened. They prevailed on the younger
son to offer to his sibling livestock and pasture land. Akmut was to
draw up the deed of gift.
Another client, a merchant in dates, olive oil, tannic red wine
and imported tobacco, wished Akmut to draft a bill of exchange so
that he might purchase tools in the city with funds he had on deposit
with his brother. His daughter was to be engaged. Announcements
were needed, and documents for the dowry.

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RICHARD HYLAND

Those villagers who learned Akmut was carrying mail waited


before his carpet, smoking pipes and drinking mint tea. Akmut read
the letters aloud and didnt charge for the reading. Since no caravan
would head back into the desert for another month, those who
received letters did not need to respond. An older woman wanted to
write about the grandchildren to a sister she had not seen in years.
A boys father dictated a note praising his sons industry and his
talent with his hands. The village had abundant clay but lacked a
resident potter. The father wanted his son to apprentice, and asked
Akmut to show the note to the potters he encountered on his
journey.
After lunch the sun hung over the market and baked the clay
walls. The traders strung up awnings of bleached canvas. Akmut
finished his work and sat in the shade with his back to the wall. In
his long horn pipe he smoked tobacco hed received from his client.
Villagers haggled over the price of combs, metal mirrors, copper
pots, and bolts of red fabric.
It was the season of short days and quickly descending evenings.
As the sun dipped into a notch in the hills, a young woman knelt
before Akmut and bowed. She asked whether he would write a letter
for an unmarried woman. Akmut would have remembered if he had
met her before. She was an ode to the beauty of the hill people
with heavy black curls, dark tea-stained eyes with thick eyebrows
and long silky lashes, soft olive skin pulled taut over high-boned
cheeks, a delicate aquiline nose, and thin lips that curved into
sinuous shapes and revealed the whitest of teeth with the hint of a
smile. Her collarbone was prominent and her shoulders square like
a rake. She was about seventeen and, like the other unmarried
women of this village, wore a dark red dress adorned with sequins.
He may have seen her before as a girl playing in the market or selling
bread. Perhaps when she was younger she did not make such an
impression. She waited as Akmut observed her. A young womans
affairs were arranged by her father, or, if he had passed, by an uncle
or older brother. The young persons were never present. Yet Akmut
saw no reason to refuse.
Samadja wished to send a letter to her uncle who lived in the city
two weeks journey from the village. Her uncle had married but had
no children, and hed always told Samadja she could look to him for

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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help. Now she needed it. Her father, his brother, had long sought
for her a suitable match. He did not seek her happiness, only to
extend his holdings. One of the wealthiest merchants in the village
had died. Everyone believed the elder son, who had long been
engaged, would inherit. Instead, the merchant left almost everything
to his younger son. When Samadjas father learned of the inheritance, he offered Samadja to the heir and was accepted. Samadja had
known the younger brother since childhood. Like her father, he
cared only for money and property. She would not be his wife.
Samadja loved Zadar. Zadar song and wrote verse and composed dance melodies on the nine-stringed qualvar. His father,
believing his son a disgrace who would never support himself, had
inquired along the trade route where Zadar might apprentice as a
potter. If she was engaged, and if he was bound in apprenticeship in
a distant village, they would never see each other again. Theyd
decided to run away. Samadja wished her uncle to help them.
Akmut listened without writing. He always waited until the end
before he began to write. Before mentioning the immediate purpose
the letter was to serve, his clients usually traced the dispute or
difficulty from its imagined origins, often in the exploits of a distant
ancestor. What Akmut had learned about life he had learned from
these stories, but his master had taught him they were frequently
unrelated to the aim the client wished to pursue. The point of the
letter was not addressed until the end partially out of embarrassment at having to request assistance from a relative, but also due to
the traditional manner of story telling, still prevalent in the hill
country, which, refined as it had been on cold evenings around a fire,
passed the time by gradually increasing suspense and then, just
before interest gave way to slumber, reached a swift and decisive
conclusion. In the letters, usually no more was needed than a
sentence of introduction and a simple request. Often it turned out
that no letter was needed at all. In those situations, Akmuts master
had always counseled his clients against writing, even though he
thereby had to forego his fee. At those moments, Akmut took
particular pride in his profession.
But that was not the only reason Akmut listened to Samadja.
She remained at peace as she spoke, as if her earnestness could
conquer fate. She was as cool as the evening that was falling in blues

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RICHARD HYLAND

and purples over the hills. She knew what she wanted and was
prepared to do what was necessary to achieve it.
When Samadja finished, Akmut refilled his pipe and took a puff.
Two stars had come out in the dusk. He had come to believe that all
stories would be variations on those he had heard, and all letters a
combination of phrases he had already written. At that moment he
recognized he had never before witnessed how passion is transformed into commitment and then into action. Of course Akmut
knew women in the villages along the trade route. He knew servants
and bread girls and the young women who sold meals and tended
the animals. Those young women knew how to escape from a walled
village at night and work on their love-making with the young men
in the caravans. They were lustful and curious. But Akmut preferred
travel to a life confined for its entire span to a walled village in the
midst of date palms and goat herds. He knew the languages spoken
along the route, and could compose a decent letter in each of them.
But a young woman in love he encountered for the first time.
Samadja asked again whether he would write the letter. Akmut
did not yet know, so he simply nodded. She pulled from her sleeve
a smooth goatskin purse and, opening it, asked how much it would
be. Akmut leaned forward and examined its contents. Even in the
failing light he could see it contained only a few coins, not enough
for his fee. He leaned back, puffed again, then looked her in the eye
and told her the first letter would be free. Samadja glared back at
him. She thought he was amusing himself with her. Akmut leaned
forward again, removed three heavy copper coins from the purse,
and stacked them on the carpet.
Akmut knew Samadjas uncle. Since he could read and write, he
didnt use a scribe, but Akmut had on several occasions delivered to
him mail collected along the route, including letters from Samadjas
father. The uncle would not assist Samadja to escape from her
fathers control. It was unthinkable. Akmut asked her how they
intended to reach the city. They would steal out of the village at
night and join a caravan setting out by the moon. Akmut said her
father would discover her absence at dawn and borrow a horse.
Hed have no trouble catching the caravan by noon. Then they
would hide in the mountains by day and travel alone at night. Since

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they would have to avoid the villages and oases, Akmut asked how
they would carry enough food and water.
For the first time, Samadja looked down. She had not abandoned the idea. She was refining her plan. Akmut told her he knew
her uncle, not well, but he knew him. If she wished, he would call
on him, explain the situation, and ask him to intercede with her
father. Perhaps her uncle would offer to let them both live with him
in the city, where Zadar could study music. Perhaps that would also
satisfy Zadars father. She looked up and, for the first time, permitted herself a faint smile. Akmut replaced the coins in Samadjas
purse. It would be better if there was nothing in writing. Akmut
promised to return with an answer before a month had passed.
The goats bleated as they were herded back though the narrow
gate. Samadja slipped her purse into her sleeve. She broke into a
broad smile, leaned forward and quickly touched her warm lips to
Akmuts unrazored cheek, then jumped to her bare feet and,
without looking back, slipped inside the gate just before the village
was bolted shut for the night.
Akmut puffed on his pipe and leaned back against the clay wall.
Far more stars were spread across the clear sky than he would have
been able to count. The traders gathered around the fire that
crackled from the dry wood. They smoked and finished what was
left of their midday meal. Akmut wrapped his writing implements
and stowed them in their case. Then he walked over and squatted by
the fire. As the smoke curled up toward the stars, he listened as the
traders told of caravans past and of brigands, of the adventures they
had had in their youth, of the young women in the villages, and of
what they would do when they reached the city.
Im sitting in my law school office in the northwest of Beijing
wondering what it means that my imagination spends so much of its
time on the Silk Route. Its done so ever since, forty years ago, I first
read about Xanadu, its twice five miles of fertile ground, and the
walls and towers with which it was girdled round. The ruins of that
palace lie somewhere in Mongolia, but, now that I think of it,
Khanbalik, Kublais winter palace, is buried under a hill of rubble
only about forty minutes cab ride from here. I have for years
traveled with no other goal but to deprive this part of the world of

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RICHARD HYLAND

its fascination for me. With regard to much of the world that strategy
has succeeded. Once I saw the Grand Canyon and Hoover Dam, I
lost all interest in them. London was easy to defeat, as were Berlin,
Madrid, and Rome, even Prague. Paris is a little harder to get rid of,
probably because it manages to change so quickly and yet remain the
same. But some places wont release their grip on me. Though
nothing distinguishes Damascus from half a dozen other cities in the
Middle East, and though Palmyra is but a Roman provincial capital
like any other, I cannot prevent my imagination from sojourning
there.
I came to China with the hope of finding a cure. Chinese cities,
I knew, are unlivable. Most monuments of any antiquity were
destroyed during the Cultural Revolution, or in similar iconoclastic
uprisings in centuries past. The sites have been restored over the
past two decades, usually in concrete rather than wood, and with
less of an eye to historical accuracy than to accommodating the
souvenir shops. There is nothing left here that might be called
atmosphere, and only those addicted to guidebook descriptions can
draw any pleasure from a visit. In Xian, the capital of Tang China,
the ancient terminus of the Silk Route, the situation, if possible, is
even worse. The Tang dynasty palace and its walls have disappeared,
leaving not even a line on the map. The only trace that remains of the
capitals two famous marketplaces, the Eastern Market and the
Western Market, the first for domestic specialties, the other for
imported wares, is in dongxi, the name for thing in Mandarin,
which means east-west.
Even an awareness of the dangers of Orientalism has not cured
me. Like many others, I project onto the Orient a part of life that
cant be accommodated within Western rationalism insights from
the wisdom literature, eroticism and a love of opulence, mysticism
and inscrutability, poverty that produces wisdom, and the unbroken
continuity of tradition. Thanks to Edward Said, I know this projection impoverishes our own culture and relegates Asians to the status
of inferiors unworthy as discussion partners. But that knowledge
does little to restrain my imagination.
There is yet a further, more personal problem. The imagination
of those who write in America, whether law professors or novelists,
is usually occupied with American problems. Few (if any) significant

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

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contributions have been made to the common law by those who


work comparatively. As for literature, only a handful of the books
that have won the Pulitzer in fiction are set outside the confines of
the United States (Hemingway, Hersey, Pearl Buck). The American
experience is perhaps unique in its ability to spark the imagination.
To many Americans, America symbolizes a land of opportunity, the
possibility of living the American dream, with freedoms of all kinds,
an ease of existence, a relaxed manner and informality, innocent
pleasures, a melting pot of cultures, blindness to all qualities but
ability, perseverance, initiative, creativity, a land in which anyone
can become anything. America does not live up to this promise
no country could. As with most places, the anticipation of it is more
rewarding that the adventure itself. As a result, the Great American
Novel typically occupies itself with the interconnected lives of
several generations of an American family, and becomes emblematic
for how reality conflicts with, and is at times reconciled to, the
imagination. An imagination, particularly an American imagination,
that does not find itself at home while thinking about home is an
anomaly, and probably not a very healthy one.
Europeans, so my hypothesis, would therefore today find their
imaginations stirred by the European community and the prospect
it opens. They would explore the European quality of daily life, how
what is national changes shape and meaning as it becomes integrated
into the European context. I have always loved the obsession with
the familiar that speaks from every page of Continental fiction, from
Balzac to Robbe-Grillet. And I have thus come to ask myself how
fiction has changed now that Europe is transforming itself into a
union from an agglomeration of different cultural entities.
The only avenue I have to imagine a European quality of life,
probably the only approach available to an American, is found in the
work of Henry James. James was one of very few American writers
ever to have known the Europeans well, and his work conveys a
precise understanding of the Continent. He conveyed his vision by
means of a technique called point of view that he borrowed from
Jane Austen and that has since become the standard framework for
the American novel. Point of view means recounting the action from
the differing standpoints of the storys principal characters. Its
taught in writing programs as a mechanism useful in maintaining the

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RICHARD HYLAND

readers interest. Like perspective, it provides the third dimension


that makes an artificial scene appear real.
James, however, was not worried about maintaining his readers
interest. For James, point of view was the only method available to
convey the spectrum of specifically European relationships to the
world. James, again like Austen, was fascinated by the workings of
class society. Of course the English literary tradition did not conceive of social class in Marxian terms. Class for English writers was
not, or not principally, a material relationship to the means of
production. The word conveyed instead something like the sense in
which we today use the word classy. Members of each class
experience the world differently, with different degrees of sensitivity
to the subtleties of existence, an interaction with the lived world for
which both writers used the concept sensibility.
Property and titles were conditions of aristocracy, but provided
only the legal basis for something much more interesting. In Austens view, aristocrats, as the words etymology suggests, were
societys best. Their actions were intuitively right appropriate to
the occasion and filled with compassion. She believed that high
social class should correspond to an immediate grasp of social
situations, insight not available to others, and an ability to rescue
difficult situations in an instant.
I myself dont have this talent, but I once witnessed someone
who did. At a High Table dinner at Harvard College a couple
decades ago, the guest of honor was an important official in the
Indian government. At one point he scanned the table, then turned
to the student seated beside him. Please pass the fucking butter,
he said casually. Conversation stopped and we turned to stare. The
Masters wife, a strapping British woman of impeccable credentials,
didnt hesitate. You heard him, she said. Please pass the fucking
butter.
Immediate intuitive compassion is not available to everyone. In
Asia something similar is known as Enlightenment and also seems to
be sparsely distributed. Jane Austen believed it to be more or less
the exclusive possession of some members of the ruling classes,
depending, as it did, on the successful integration of wealth, social
connection, and a thorough familiarity with the tradition. Oliver

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Wendell Holmes, who would know, once explained that a childs


education begins 250 years before its birth.
By the time James wrote, class hierarchies were no longer
considered so benevolent. He understood that subtlety could be
used to injure as well as to save. Yet he still assumed that, without
a shared culture of manners, nothing of value could be accomplished. The culture James explored has since been so definitively
abandoned that most students miss the central revelation in Portrait
of a Lady, since they no longer have a clue what Isabel Archer might
have understood as she caught a glimpse of Madame Merle leaning
on the fireplace mantle while Gilbert Osmond conversed with her
from the sofa. All of James novels explore the differing perspectives
produced by class society, The Golden Bowl providing perhaps the
most pure and subtle treatment. That novel brings together an
Italian prince, at the time the summit of European aristocracy, with
a rich American manufacturer, the Americans daughter, and an
American woman educated in Europe. As the point of view shifts
from one character to another, it becomes evident how class and
tradition influence perception and define the framework within
which the characters act. Notions of right and wrong differ depending on the point of view what is proper for members of one class
is unthinkable for members of another. For James, point of view was
the only novelistic approach to the essence of social structure, the
only method that could transcend the vulgarity of materialism.
The vision of Austen and James has its limitations. To begin
with, their conception of Europe Continentalism, we might call it
forms a matched pair with Orientalism. The suggestion that class
structure is rationalthat higher class corresponds to greater
insightis a perfect pendant to the Orientalist vision of arbitrary
absolutism, just as the refinement the English novel chronicles
contrasts with the violent assertions of will in the Arabian Nights,
and the classically-trained Western aristocrat contrasts with the
impoverished sage of Oriental literature.
An even more serious limitation of Continentalism is its denial
of the obvious. Today we have come to associate Europe with
racism, exclusion, and arrogance, with bloated bureaucracies, absurd hierarchies, and the banality of bourgeois life. There is a

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pettiness that is European, a mindless devotion to unreflected


tradition, and an unusual delight caused by the suffering of ones
enemies. Moreover, many non-Europeans resent Europe as a continent of brutal colonial powers and ridicule their upper classes as
superfluous and decadent.
I am continually amazed, however, at how difficult, impossible
really, it is to alter the traditional conception of Europe. Neither
resentment nor ridicule have dethroned Europe from the place it
occupies in our imagination. In fact, the trappings of European class
life have now everywhere become synonymous with the good life
itself. Europe remains the center of culture and elegant fashion. We
look to Europe for haute cuisine, fine wine, draft beer, distilled
spirits. We delight in European political debate and belle lettres, in
the Continents continual reworking of its tradition and its avantgarde architecture. Europe is novelty and fads, revolution and
political awareness, the workers movement and cafe culture, sexual
experimentation and parliamentarism, massive erudition and great
art collections.
Like the Orient, Europe represents an aspect of what we
non-Europeans aspire to but cannot have, and like the picture we
paint of the Orient, it is similarly unattainable, not simply as a
practical matter, but because it is structured in such a way that it
cannot be attained. For one, we are unwilling to accept the entire
package, we want to discriminate with regard to wine and cuisine
but not with regard to ethnic origin, we want a sophisticated elite
without unthinking masses. The structure is also unobtainable for a
reason Henry James already perceived the attributes are but the
appearance of the essence or they are nothing at all. Outsiders who
purchase estates in Burgundy or the Veneto and surround themselves with fine art, rare wine, exceptional cuisine, and ancient olive
trees do not thereby become aristocrats. Theyre just outsiders with
money. The essential contribution of the European class experience
is not connoisseurship but rather the transformation of sensibility
and compassion into a natural form of expression.
Europeans today tend to view Europe in different terms. Those
of a certain age believe that Europe is a necessity, the only method
to guarantee that a continent that twice in half a century engulfed
the world in war will no longer bring destruction on its people.

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Those, too young to have fought in the war, point to the practical
advantages trains now crisscross Europe without stopping at the
borders and without requiring a change of cars or stations. Those
younger still mention other advantages the chance to go to
school, to work, to live in a favorite city across the river, the ease of
vacations on a sunny coast, and how almost every city in Europe has
broadened its taste in shopping, entertainment, food, and drink.
The question Im left with is whether the prospect of a European community can reconcile the dichotomies in the European
imagination. Since I assume such issues are first broached in fiction,
I have chosen five contemporary European novels to investigate, five
books I selected either because they came highly recommended or
because they had won, or almost won, literary prizes. All five are
amazing, all gorgeously written. Though they are geographically
distributed, I do not pretend they present a comprehensive survey.
And yet, since the results of the investigation are so uniform, it is
difficult to believe the selection is random Tim Parks, Europa
(1997), Juan Manuel de Prada, La tempestad (1997), Christian
Kracht, Faserland (1995), Andre Makine, Le testament franc ais
(1995), and Rossana Campo, Lattore americano (1997). They all
attempt to penetrate the darkness they find at the heart of Europe.
Joseph Conrads spirit presides over each of them.
Only one of these books focuses explicitly on Europe Tim
Parks Europa, a book short-listed for the Booker Prize. Over three
days, a multi-national group of foreign-language teachers, together
with a few of their students, travel from Milan to Strasbourg to
present their employment grievances to the European Parliament.
As Parks chronicles this voyage, he presents an unrelenting critique
of life within the European Union. Hes convinced the project of a
united Europe is doomed, what I should have done, of course, was
to laugh in his face, or produce some more polite gesture but of
similar subtext, as for example enquiring, Europe? Or just, Where,
sorry? As though genuinely unaware that such an entity existed....
We are lost, I reflect, this is the truth about my colleagues and myself
in this coach, we are lost in this foreign country that isnt ours, this
Europe that may or may not exist... . Problems within the member
states are more likely to be caused by Europe than resolved by it.
So I ask, jokingly, if others present are aware what the divorce rate

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is in marriages between people from different European countries,


and when of course they dont know... I tell them fifty per cent
higher than an average of the average in each of the countries
concerned. Europe contributes to Continental culture only disorientation and alienation. We filed into the Chambersee Service
Station, built as was to be expected in the ubiquitous Euro-architecture of curved cement-and-glass surfaces, with a generous bristle
of flagpoles outside displaying the colours of every nationality the
franchise-holders hope to take money from and inside a sense of
disorientation generated by flights of steps and walkways and signs
that are no longer in any language but just cups and knives-andforks and wheelchairs and crossed-out dogs all presented in stylized
white lines on plastic blue squares.... European culture has disintegrated to the point that it has been overwhelmed by mediocre
American products. Throughout the bus trip, Dead Poets Society
plays on six screens, a movie from which, despite its pedantry and
posturing, the travelers cannot unglue their eyes.
Europa also probes the darkness beneath Europes shiny surface. It suggests that Europes problems ultimately can be traced to
its failure to come to terms with its tradition of violence the
horrors of war that Europe was forged to prevent are at its very
foundation. Squares where people hanged and lynched and guillotined each other and, in general, committed all sorts of irremediable crimes, are now attractive areas of floodlit public art.... The
brutalities that have occurrend in Europes past are .... in part to the
Continents perennial fascination with abstraction, the Revolution
had, as it were, discarded men to champion an idea of man, an ideal
man, since surely, or at least this was my feeling, it was this shift that
lay behind the notion of e galite and of a single civil code for all the
world. Man should be an incarnation of an idea rather than himself.
Man should be a European. Or we would discover that Plutarchs
picture of Sparta was not unlike stories of Stalinist Russia, not
unlike, in other ways, The Reign of Terror, or Nazi Germany-a
European specialty, it seemed.... Europe is a straightjacket that
attempts to prevent any but predictable change. All optimism about
such a project is illusion. We are overwhelmed by the sophistication of the machinery that propagates our hypocrisy....
In de Pradas La tempestad, which won the Premio Planeta

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(Camilo Jose Cela was accorded the same prize three years earlier),
a young Spanish academic sets out for Venice to complete his
research on Giorgiones painting The Tempest. The novels conceit offers the same possibilities recently harvested by the Philadelphia Art Museum when it rehung its European collection, not by
country but instead by periods and schools, thereby suggesting a
European perspective on modern painting. I expected from de
Prada a plot that would reveal Venices European roots and would
tie together various strands of European culture in the images
present in Giorgiones masterwork.
Instead, de Prada envisions Venice as a presence foreign and
intimidating, even to a fellow European. Venice visited on me the
curse it reserves for intruders, but until now I had not been aware
of having crossed the border into a territory that did not belong to
me... (1). Behind a window, after a murder, the narrator catches a
glimpse of everything that is threatening about a foreign place. For
an instant a face of abominable whiteness, with hollow eyes and a
nose like the beak of a terrible bird, looked out from one of the
windows and then concealed itself in a cape and disappeared in the
darkness: it was a nightmarish vision that could not correspond to a
human visage, unless the walls of that mansion sheltered a monster
drawn from mythology (2).
Christian Krachts Faserland presents a picaresque journey
through contemporary West German culture. Kracht works at
transcending Germanys guilt over the last world war by accepting
it, defends the avant-garde against philistine materialism, and urges
a productive fusion of American and West German pop culture,
thereby offering a wonderfully nuanced map of the young German
soul. Things European become topical, in a way that links Faserland
to the vision of Europe Tim Parks offers in Europa. The Middle
(1) Venecia haba volcado sobre m el maleficio que se reserva a los intrusos,
pero hasta ese momento no tuve conciencia de estar infringiendo las fronteras de un
territorio que no me perteneca....
(2) A una de ellas se asomo fugazmente un rostro de blancura abominable, con
los ojos huecos y una nariz como el pico de un pajarraco, que se embozo con una capa
antes de adentrarse otra vez en la tiniebla: fue una visio n insensata que no poda
corresponderse con una figura humana, salvo que las paredes de aquel casero n custodiasen un monstuo de las mitologas.

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RICHARD HYLAND

Ages has always seemed to me West European. Those gruesome


events never happened in the East. I mean, when I imagine a
blood-red horizon with huge wheels silhouetted against the sky on
which the tortured are stretched and above which crows are flying,
then its always somewhere near Lie`ge, or Aachen, or near
Ghent (3).
In Le testament franc ais, a Proustian novel that won both the
Prix Goncourt and the Prix Me dicis, Andre Makine contrasts
Russian culture with French civilization. The narrator, born in
Russia, sought to extirpate his French grandmothers influence on
him: I felt a confused anger arise within me. I didnt know against
whom. Yes I did: against Charlotte! Against the serenity of her
French world. Against the useless refinement of that imaginary
past.... Russia, like a bear after a long winter, was awaking within me.
A remorseless, beautiful, absurd, unique Russia (4). He became
aware that to be Russian means to accept violence and instinct as
necessary features of life. And if Russia subjugates me, its because
it knows no limits, with regard neither to good nor to evil. Especially
not with regard to evil. It allows me to envy that stalker of feminine
bodies. And to detest myself.... Yes, I was Russian. I understood
now, still very confusingly, what that meant.... To know the resignation of a human flock violated by a satrap (5). Yet the narrators
love of books continued to draw him to French culture. Torn
between France and Russia, he confronted his grandmother. I
wanted her to explain herself, to justify herself. Because she was the
(3) Das Mittelalter ist fu r mich immer westeuropa isch. Diese ganzen Grausamkeiten, die haben im Osten alle nicht stattgefunden. Ich meine, wenn ich mir einen
blutroten Horizont ausmale, mit so groen Ra dern, die sich gegen den Himmel schwarz
abzeichnen, und auf diesen Ra dern liegen die Gefolterten, und u ber ihnen sausen die
Kra hen umher, dann ist das immer irgendwo bei Lu ttich oder Aachen oder bei Gent.
(4) ... je sentais monter en moi une cole`re confuse. Je ne savais pas bien contre
qui. Si, je le savais: contre Charlotte! Contre la se re nite de son univers franc ais. Contre
le raffinement inutile de ce passe imaginaire... La Russie, tel un ours apre`s un long hiver,
se re veillait en moi. Une Russie impitoyable, belle, absurde, unique.
(5) Et si la Russie me subjugue cest parce qu elle ne connat pas de limites, ni
dans le bien ni dans le mal. Surtout dans le mal. Elle me permet denvier ce chasseur de
corps fe minins. Et de me de tester... Oui, je tais Russe. Je comprenais maintenant, de
fac on encore confuse, ce que cela voulait dire... Connatre la re signation dun troupeau
humain viole par un satrape.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

one who transmitted to me this French sensibility hers thereby


condemning me to live in a painful limbo... I found in her the
Occident personified, that rational and cold Occident against which
Russians harbor an incurable grudge. That Europe that, from the
fortress of its civilization, observes our barbarian misery with condescension the wars in which we die by millions, the revolutions
for which it has written the screenplay (6).
Rossana Campos Lattore americano considers Europes fascination with American culture. To her protagonist, an Italian film
enthusiast, the thought of her idol, an American movie star, turns
dreary Parisian days to ecstasy. But Steves energetic presence cast
celestial light into even the deepest crap (7). She cant get over the
way he moves. In general the guy possesses an optimal grounding,
which, for those uninitiated in bioenergy, means an aptitude for
being rooted in ones own body and on the ground, well centered in
ones own sexual energy. If we imagine a grounding scale that runs,
say, from zero to a hundred, Steve Rothman is at about two
thousand, Im telling you (8). Her attraction is purely carnal, unmediated by thought, his shoulders are really powerful, his chest
nice and broad, his abs vibrate under his white T-shirt, and even his
legs know how to move in his black jeans. If you re interested in a
comparison, I can tell you what comes to mind at the moment, I feel
like Y did the first time I found myself in the vicinity of a horse (9).
Her fantasy is realized first in a one-night stand in Paris,
(6) Je voulais quelle sexplique, quelle se justifie. Car cest elle qui mavait
transmis cette sensibilite franc aise la sienne , me condamnant a` vivre dans un
pe nible entre-deux-mondes... Je trouvais en elle lOccident personnifie , cet Occident
rationnel et froid contre lequel les Russes gardent une rancune ingue rissable. Cette
Europe qui, de la forteresse de sa civilisation, observe avec condescendance nos mise`res
de barbares les guerres ou` nous mourions par millions, les re volutions dont elle a e crit
pour nous les sce narios.
(7) Ma la presenza energetica dello Steve illumina di luce celeste anche la cagata
piu` nera.
(8) In generale il tipo possiede un ottimo grounding che per chi non conosce la
bioenergia e` lattitudine di stare radicati nel proprio corpo e sulla terra, belli centrati
sulla propria energia sessuale. Se immaginiamo una scale di grounding che mettiamo va
da zero a cento Steve Rothman e` a quota duemila, ve lo dico io.
(9) ... le spalle sone davvero poderose, il petto bello aperto, i muscoli della panza
vibrano sotto la t-shirt bianca, e anche le gambe sotto i jeans neri sanno il fatto loro. Se

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RICHARD HYLAND

then in a brief affair in New York. Im with the most incredible


male on earth and New York is the most marvelous city in the world.
Im not exaggerating at all (10). In her ecstasy she loses all interest
in returning to an over-civilized Europe. Damn it, European guys
all have a broom up their ass. Its as though they were all anesthetized, do you know what I mean (11)? In the end, however, animal
sexuality reveals itself to be as destructive as it is attractive. You
know in New York it isnt like it is here, no, you know that in
America a woman is raped every nine seconds (12). Though the
burden of European civilization dampens the excitement, it makes
life livable: Im starting to think that experiencing emotion can be
so painful that in general I end up putting a muzzle on them, these
damned emotions. And then I start pretending its better that way,
that life can work that way, it doesnt hurt too bad and all you have
to do is hold on (13).
These novels fearlessly confront the paradox of the European
tradition, its role, on the one hand, as home to reason, beauty, and
civilization, its recurrent history, on the other, of a brutality beyond
the imagination of an Oriental despot. If I am reading these books
correctly, they yearn for Europe to recognize the dialectic of its past
the intimate link between the achievements of which it is most
proud and the catastrophes which bring it shame. A connection
there has been from the beginning. The Romans, whose legal
tradition we continue to celebrate, were brutal masters of conquest
after having defeated Carthage for the third time, they let the city
burn for seventeen days, then cursed the site and plowed it under
with salt.
siete desiderosi di un paragone posso farvene uno che mi scappa da un pezzo, mi sento
come la prima volta che mi sono trovata vicino a un cavallo.
(10) ... io sono col maschio piu` incredibile del globo e New York e` la citta` piu`
meravigliosa della terra. Non esagero niente.
(11) E che cazzo, qui si stringono tutti le chiappe. Sono tutti anestetizzati, te ne
rendi conto?
(12) Lo sai che New York non e` come qui, eh, lo sai che in America ogni nove
secondi stuprano una donna.
(13) ... mi sta venendo come lidea che provare dei sentimenti puo` essere cos`
doloroso che in genere si finisce per mettergli la museruola a questi cazzo di sentimenti.
Poi si comincia a pretendere che e` meglio cos`, che cos` funziona, non fa troppo male e
bisogna solo tenere duro.

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QUADERNI FIORENTINI, XXXI

(2002)

These five novels make thear that law alone cannot succeed in
constructing a European identity. Despite the sublime accomplishments of European law, it represents the strand of Western rationalism that deals with darkness by repressing it. Europes writers of
contemporary fiction seem to believe that Europe cannot grow as
long as it denies what it regrets about its past, but rather can prosper
only if it can reconcile that past with its cultural achievements.
These books are exemplary in their pursuit of this reconciliation. Tim Parks states the issue the brutality is anchored at the
foundation of Europe just as solidly as is Reason, and precisely at the
same spot. Andre Makines narrator recognizes within himself a lust
for violence, his identification with both the plunderer and the
plundered. De Prada bravely pursues not only the monstrosity he
encounters at the heart of Europe, but also the sexual urges he
knows he cannot tame. Christian Kracht reaches out to accept the
responsibility his generation feels for the horror of the last war.
Rossana Campo pursues her animal sensuality until she encounters
its destructive power. These authors strive for a constructive dialogue with these forces in the tradition of Hegel, the original
European, who taught the creative power of negativity.
As jurists we therefore find it difficult to believe that any human
concern might escape our jurisdiction. It might surprise us, however,
to realize that most things worthwhile cannot be limited by law
dreams, imagination, creativity, belief, generosity, friendship, love.
To this list, contemporary European fiction adds the categories of
instinct, tradition, contradiction, and confusion. That is our shadow.
We cant get rid of it and we cantt jump over it. Nor should we want
to, for shadow is just another from of the third dimension, the
perspective in which the artificial becomes real.

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Letture

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MARTA LORENTE SARINx ENA, La voz del Estado. La publicacio n de las


normas (1810-1889), Madrid, Boletn Oficial del Estado - Centro
de Estudios Polticos y Constitucionales, 2001 (ISBN 84-340-1288X), 231 pp.
Con apenas tres indicaciones (Derecho Espan a Siglo XIX)
podra completarse la descripcio n de materias de este libro, esmeradamente editado, en la ficha catalogra fica de cualquier biblioteca que haya
tenido la buena ocurrencia de adquirirlo; pero esa triple determinacio n
de objeto, de lugar y de tiempo sera tan exacta como engan osa. Y no
es difcil explicar la paradoja. Cada uno de esos tres te rminos, en
relacio n con los otros dos, generara ciertas expectativas en el lector
potencialmente interesado que emprenda, completa como aqu se
razonara que conviene, la lectura de esta obra; no las conservara
durante mucho tiempo, pues sucumbira n pulverizadas ante el concienzudo desguace de preconcepciones en el que se empen a la autora desde
las consideraciones preliminares hasta el eplogo. En los siete captulos
que median, el Derecho del que se escribe no se parece mucho, en
cuanto a las condiciones de su establecimiento, al que solemos tener por
liberal contempora neo; la Espan a que en ellos se muestra no es,
desde luego, la de los co digos y las constituciones; y el Siglo XIX
sobre el que leemos se nos aparece como notablemente nuevo por
resultar, precisamente, bastante ma s viejo de lo que creamos. Es e sta,
la de la novedad por la vejez, una segunda paradoja que nos sirve para
ir entrando de lleno en el argumento principal de esta recensio n. Para
desarrollarlo adecuadamente, y ya que estamos con planteamientos
parado jicos y expectativas sin cumplir, sigamos en esa misma lnea.
Procedamos, pues, con cierto desorden.
Se transcriben literalmente en la pa gina 171 de este libro unas
lneas de Ortiz de Za rate, publicadas en 1844, en las que el jurista
presentaba como perniciosa la costumbre de nuestros antecesores consistente en dejar en vigor y fuerza los Codigos antiguos, no
obstante la publicacion de nuevos. Marta Lorente considero que el
pa rrafo en el que el pasaje se incluye no mereca la pena del pie de
pa gina, y decidio sangrarlo entre los suyos. Y con toda razo n: que,
bastante entrado el siglo XIX, se pudiera contemplar de ese modo la
actitud prevalente en tiempos pasados hacia los vetustos y vigentes
libros de leyes dice mucho, segu n creo, de la complejidad de la trama
intelectual a la que esta obra se enfrenta. Porque estimar costumbre
tal actitud, y calificarla de perniciosa, implica valorarla como una
pra ctica que conviene abandonar, y ello a su vez supone la creencia en
la posibilidad de modificar va lida y radicalmente los criterios que

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LETTURE

durante siglos rigieron la relacio n, conflictual o no, entre normas


diversas. Tales criterios constituan so lo, desde la atalaya en la que se
situaba Ortiz de Za rate, un simple uso, una opcio n desafortunada, una
pintoresca caracterstica de nuestra legislacio n histo rica.
Ante tales planteamientos es casi inevitable que nos preguntemos
co mo es posible que el discurso jurdico decimono nico parezca a veces
tan poco dispuesto a contemplar un pasado a fin de cuentas no tan
lejano sin proceder a vaciarlo en medida considerable de sustancialidad.
La solitaria y creciente voz del Estado podemos respondernos,
apropia ndonos de este expresivo ttulo parece haber relegado al
olvido la polifona jurisdiccional, y la proclamacio n de la ley como
expresio n ma s o menos mediatizada de la voluntad nacional parece
haber sepultado su entendimiento como declaracio n de equidad en
a mbitos corporativos; y es que, ciertamente, la resolucio n en monodia
estatal de un contrapunto como el precontempora neo, con tan frecuentes y consustanciales episodios de violentas disonancias, y el desplazamiento de la causa de la ley hacia su comprensio n en te rminos ma s
polticos que religiosos, son elementos basilares de una cultura jurdica
que, au n en proceso de formacio n mediado el Ochocientos, no encuentra el modo de definir e imponer el orden normativo que en Espan a
habra de serle propio.
Pero sabemos tambie n que sera injusto enjuiciar, desde un punto
de vista como el expresado al principio del pa rrafo anterior, la labor de
quienes se esforzaron en tan mproba tarea de construccio n. No es que
Ortiz de Za rate, o cualquiera de los que compartieron su tiempo, su
profesio n y sus preocupaciones, estuviera ciego ante esencias y circunstancias de e pocas prete ritas, pudiendo entonces entenderlas so lo superficialmente. No se dirigan sus reflexiones crticas a eruditos y anticuarios, sino a juristas y legisladores, y no era en ellas posible tomar en
consideracio n a las fuentes histo ricas atendiendo con exclusividad
rigurosa al momento de su elaboracio n, pues estaban incrustadas en un
presente incapaz de ofrecerles pacfico acomodo. Tan colosal interferencia, la de la presencia imponente de una inmanejable masa de leyes
diversas en las que se contena todava nada menos que la casi totalidad
del derecho civil de determinacio n legislativa, vena a agudizar las
dificultades propias de la empresa que los tiempos exigan, ya de por s
ardua: la invencio n y puesta en marcha de instrumentos de integracio n
del ordenamiento ma s acordes a una cultura jurdica nueva, cuya
ajenidad con respecto a la precedente tiene muy significativa manifestacio n en ese afa n de confinar en un definitivo pasado a aquellos
incombustibles monumenta. Son condicionamientos con los que hay
que contar para valorar, como este libro hace, el ana lisis coeta neo de los
operadores y observadores decimono nicos, que as recupera gran parte
de su densa y compleja entidad.
Historiogra ficamente, tal recuperacio n habra de contribuir al

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LETTURE

abandono definitivo de una simplificada imagen tan inexacta como


persistente: la de un siglo XIX que arranca, en cuanto a la concepcio n
del orden jurdico se refiere, nuevo, definitivo y entero en Ca diz y en
1812. Parte muy considerable de la obra que desde hace an os viene
publicando Marta Lorente, insoslayable hoy para quien quiera conocer
ma s alla de to picos traslaticios la formacio n del Derecho espan ol
contempora neo, se ha dirigido con un teso n digno de su causa a
inquietar dicha imagen, poniendo en evidencia la especificidad del
momento docean ista. La extensa labor de reconocimiento de fuentes y
la intensa inversio n de pensamiento dedicadas a tal empresa han estado
a la altura de los resultados: aquellos trascendentales primeros compases de la historia constitucional de Espan a se han devuelto a la historia,
enajenados como estaban en un presente continuo que todava se
pretenda fuese el nuestro; a aquel tiempo de primeras realizaciones
constitucionales se le ha devuelto su historia, perdida como estaba en
superficiales exposiciones de antecedentes; aquel periodo de crisis
constitucional comenzo a ser incumbencia tambie n de iushistoriadores,
en manos como estaba, a salvo de la muy apreciable pero escasa
intervencio n de historiadores, de juristas por lo general desinteresados
en todo aquello que careciese de identificable relevancia en las circunstancias desde las que escriban.
En este libro Marta Lorente sigue fiel al compromiso, pero con una
ambiciosa ampliacio n de cronologa. Lo que aparece ante los ojos del
lector es un siglo XIX al que la autora ha aplicado el mismo tratamiento
que hasta el momento haba venido destinando a sus tramos primeros.
Y el resultado tiene la misma trascendencia: devolucio n a la historia, y
de su historia propia, de un siglo cuya especificidad haba ido quedando
oculta tras la familiar imagen presentista que de e l se haba venido
construyendo por juristas que ocupaban un terreno que los historiadores del Derecho, en te rminos generales, no saban co mo cultivar. Es
eso lo que entonces tenemos, nada menos que un nuevo siglo XIX?
Nos situamos en realidad ante una nueva representacio n historiogra fica del siglo, en relacio n a Espan a y a su Derecho? Creo que s. Y como
tambie n creo que tal juicio es controvertible, intentare adelantarme a
algunas objeciones que podran esgrimirse para relativizar esa respuesta
absoluta.
La primera nos entretendra muy poco: ochenta an os, de 1810 a
1889, son real y exactamente un siglo, todo un Ochocientos al que poco
de sustancial se le escatima si se le restan las de cadas de entrada y salida;
la apertura de las primeras Cortes liberales y la promulgacio n del
Co digo civil bien pueden enmarcar un periodo cuya coherencia, ad
extra, resulta reforzada en virtud de la ausencia de momentos cercanos
de discontinuidad sen alable.
La segunda es que el XIX que aqu se nos presenta haba recibido
ya algunas visitas. Esto es cierto, pero tambie n lo es que en toda

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LETTURE

propuesta historiogra fica con cierto grado de radicalidad cabe distinguir un periodo de preparacio n y un momento de definicio n. El de
preparacio n no ha sido corto, y en su travesa Marta Lorente no so lo ha
estado acompan ada, sino que ha tenido guas: los nombres de quienes
fueron abriendo camino, Francisco Toma s y Valiente y Bartolome
Clavero, los encuentra el lector bien destacados en el prea mbulo. No,
no esta sola la autora, y es eso lo que precisamente evita que su obra sea
una extravagancia. Pero es la suya, esta que comento, la que con mayor
extensio n, amplitud y ambicio n sustenta una tesis interpretativa del
largo inicio de la contemporaneidad jurdica en Espan a cuya formulacio n se encuentra todava en sus comienzos, y que au n ha de mostrarse
fecunda.
La tercera objecio n posible es la de mayor relevancia, pues tiene
que ver con el abismal desajuste que se manifestara entre unos objetivos limitados (los determinados por el subttulo), y una conclusio n tan
desmesurada como la que vengo apuntando. Me apresuro a sen alar que
el indicado desfase, si como tal se observa, no se produce en el plano de
la escritura del libro, sino en todo caso en el de su lectura, o ma s
exactamente en el de la ma personalsima. No hay inadecuacio n entre
medios y fines en el libro de Marta Lorente. La autora fija sus metas, y
el lector, por su cuenta, llega a las suyas propias; de aque lla son los
equilibrados objetivos, que se sen alan, como es de rigor, en las pa ginas
iniciales, y van alcanza ndose en las restantes; de e ste, de quien escribe
estas lneas, es el desbordamiento valorativo, si se estima que en esta
recensio n lo hay.
Los objetivos, en efecto, son mesurados. Enfoca esta investigacio n
a la ley, en el siglo que la consagra como centro del orden jurdico. Pero
ni se centra en su concepto, ni se enfrenta a su problema tica significacio n frente a normas de distinto nombre, ni se detiene en su proceso de
elaboracio n. La autora pretende situarse prudentemente lejos de estos
sustanciales asuntos, aunque no ignore que se ira n abriendo, como
anchos y bien visibles caminos conexos que son, tentadores ante quien
inicie la travesa que marca la lectura. No cabe, sin embargo, la
posibilidad de que el lector se distraiga contemplando horizontes tan
amplios y profundos, obligado como esta a concentrar su atencio n en el
seguimiento de la ruta por la que se le conduce. Es e sta una va de
apariencia secundaria. Se trata en ella de tomar en consideracio n a la ley
so lo desde el momento en que, proyectada, elaborada y aprobada,
cumplidos los pertinentes tra mites de procedimiento y atendidos todos
los requerimientos exigibles de fondo y forma, ha de hacerse pu blica.
La eleccio n de ese momento terminal del proceso normativo, tan
irrelevante para la factura de las leyes como fundamental para su
establecimiento, se revela plena de ventajas. En primer lugar, permite a
la autora mantener su investigacio n dentro de lmites manejables,
consintiendo el uso de una panoplia abarcable de fuentes para una

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LETTURE

cronologa relativamente amplia; mayor ambicio n objetiva hubiera convertido la elaboracio n de este libro en algo parecido a la cada en un
pozo sin fondo. Ventajosa es tambie n la opcio n en el plano expositivo,
logra ndose un punto de vista que trasciende la estricta acotacio n de su
terreno: en no pocas ocasiones, la senda de modesta apariencia por la
que el lector se deja guiar permite contemplar considerables tramos de
las que antes sen ala bamos como primarias, con las que no puede dejar
de cruzarse una y otra vez. As, con la fe rtil potencialidad de la
sugerencia bien fundada, y sin la tantas veces paralizante obligacio n de
agotarlas, se tratan a menudo cuestiones centrales para la comprensio n
de la cultura jurdica decimono nica.
Pero las ventajas son sobre todo de me todo. La receta epistemolo gica es de formulacio n simple: este libro elige, como punto inicial de
la reflexio n que conduce, justo aque l que hubiera sido final en un
abordaje aparentemente ma s directo y sustantivo del feno meno normativo en el siglo XIX. La va que aqu se emprende no parece, en efecto,
la ma s encaminada a enfrentarse al corazo n del orden jurdico en dicha
centuria: si, en el momento en el que empieza a buscar a sus destinatarios, la ley ya es plenamente ley, la problema tica especfica de su
publicidad puede manifestarse como accidental frente a la esencial de
su concepto y factura; y no es que a lo accidental no haga falta prestarle
atencio n, sino que no parece que pueda ser aislado sin que pierda el
anclaje referencial que le da sentido. Frente a argumentos como estos,
que la autora hubo de sopesar en la preparacio n de su monografa, e sta
resueltamente comienza su andadura en una lnea que hubie ramos
esperado ma s de llegada que de salida. La opcio n es arriesgada, porque
toda la primera parte del libro ha de luchar contra el convencimiento
del lector medio, no necesariamente infundado, de que se ha errado
tanto el camino como el objetivo; y es que, por mucho que la autora
expresamente se comprometa a demostrar lo contrario, es difcil sustraerse a la tentacio n de pensar que se ha empezado por el final, que se
ha elegido un objeto poco relevante, que se buscan los frutos en el
huerto ma s pobre.
No se hasta que punto esta eventual previsio n de una lectura
extran ada o abiertamente desconfiada gua el estilo de la escritura, pero
lo cierto es que en estos primeros captulos (en realidad en toda la
seccio n primera, que cubre algo ma s de la primera mitad del libro, hasta
que se alcanza el importante momento de 1851), la exposicio n avanza
con un empuje poco frecuente en nuestro por lo general ma s sosegado
(y elijo el te rmino con cuidado: no quiero decir ni pacfico, ni anodino,
ni poco incisivo) terreno de estudio. Contribuye a este efecto arrollador
la brevedad de los epgrafes, la sustantividad de cada pa rrafo, la
ausencia de disgresiones, la preferencia por la nota larga con transcripcio n del texto que respalda o ilustra la argumentacio n. Sin que obste el
recurso frecuente a las recapitulaciones, que son tributo de cortesa

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LETTURE

hacia quien lee y tambie n en todo caso oportunidades que la autora


aprovecha para enriquecer su discurso, la contundencia del relato
quintaesenciado desarma. El lector pronto olvidara que la determinacio n objetiva de la investigacio n tal vez le pareciera circunscrita a un
asunto menor o secundario, porque su evidente trascendencia, y el
innegable intere s de su tratamiento auto nomo, le ira llevando a cuestionarse otra asuncio n previa con la que, esta vez con toda seguridad, la
autora contaba, cual es la de que el Estado liberal, cuando normativamente se expresa, difunde e impone su mensaje con los medios propios
y esperables de un Estado liberal.
El bombardeo de datos que ponen en cuestio n tan aparentemente
so lida premisa es intenso desde los primeros captulos, y creo que van
ma s alla (desde luego por la cronologa, aunque no so lo) de lo que
lo gicamente cabe esperar de periodos de transicio n; y eso sin contar,
adema s, con que la identificacio n de un periodo de transicio n, para el
objeto de esta monografa, suele proyectarse hacia las de cadas anteriores a la fecha que aqu abre la exposicio n: para alimentar presunciones
que ahora se descubren tan aventuradas, siempre ha pesado la invencio n ilustrada de una Gaceta de Madrid que, aunque no desde luego
como medio exclusivo, y ni siquiera tampoco principal, publicaba
disposiciones legales en seccio n oficial. Prosiguio su camino la Gaceta
en el Ochocientos, en efecto, pero hubo tambie n unos concurrentes
Boletines provinciales de caracterizacio n y trayectoria nada simples, sin
los que no cabe comprender la problema tica de la publicacio n de leyes
en el siglo XIX; y tambie n unos Boletines ministeriales de los que
tampoco se puede prescindir para levantar la historia que a este libro
interesa; y una continuada presencia de la iniciativa privada, determinante ya en los citados Boletines provinciales pero manifesta ndose
tambie n a trave s de publicaciones diversas, y modulando as, mientras
contribua a su materializacio n, la ma s pu blica de las voces; y una
Coleccio n Legislativa en cuya te cnica recopilatoria aqu se insiste,
identificando abiertamente sus volu menes con los de una recopilacio n,
una ma s, sin calificativo posible tras la nueva y la novsima, siempre
inacabada y creciente; y una renuencia tenaz, propia en Ca diz de los
constituyentes y viva despue s en los servidores del aparato estatal, a
terminar con la circulacio n de la ley a las autoridades encargadas de
aplicarla o ejecutarla como medio regular de publicidad normativa.
No se trata so lo, pues, de la persistente presencia de instrumentos
y representaciones tradicionales; la complejidad fundamental de la
realidad ante la que nos situamos no radica tanto en ello, como en la
llamativa falta de funcionalidad o de adecuacio n de los elementos de
nueva creacio n al contexto estatal liberal ma s gene rico en el que el
lector se va viendo obligado a situar la informacio n apabullante que la
autora, con una muy respetuosa mesura todava en la valoracio n, le
proporciona. Ese momento terminal de la ley, que, por serlo, poda

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LETTURE

reputarse tambie n marginal, secundario o accidental, y cuya relativa


insignificancia haca presagiar un desproporcionadamente escaso fruto
del eventual esfuerzo que se invirtiera en su elucidacio n, se manifiesta
al cabo como historiogra ficamente determinante. El acierto epistemolo gico de esta monografa se cifra, pues, tanto en la eficacia con la que
muestra la especificidad propia del marco histo rico al que atiende,
como en la facilidad con la que hace ver hasta que punto son insuficientes las explicaciones globales de curso comu n con las que contamos
para explicarlo. Es precisamente al mover el foco para que la luz se
derrame sobre este olvidado rinco n del iter normativo cuando con ma s
claridad se aprecian los desajustes entre un modelo de interpretacio n
historiogra fica y los elementos que habran de conformarlo, o, dicho de
otro modo, la escasa capacidad de previsio n y adaptabilidad de dicho
modelo, rgido hasta el punto de no poder integrar los resultados de una
investigacio n cuidadosa y sagaz. Como tanta anomala acumulada no
puede sino reventar el paradigma, el lector, inevitablemente, se preguntara si no ha llegado ya el momento de replantearse el que en te rminos
generales asumimos como propio del Estado liberal.
Y eso sucedera , como muy tarde, a mitad del libro. La exposicio n
adquiere desde ese momento un cara cter algo distinto: hasta ese
concreto punto son protagonistas los hechos, las decisiones, los acontecimientos y las circunstancias; a partir de entonces, cuando se ha
alcanzado la mitad tambie n de la cronologa prevista, se acentu a el
ana lisis y la valoracio n. Y es que la estructura ba sica de esta monografa,
dividida en dos cuantitativamente equilibradas secciones, surge de un
ha bil aprovechamiento de las facilidades que ofrece su propio objeto de
estudio. La exposicio n no deja de avanzar con el siglo, pero al disminuir
en su segunda parte el volumen de informacio n relevante que ofrecen
las fuentes, la autora aprovecha el remanso y se explaya en valoraciones
de mayor profundidad y generalidad; pueden ya dirigirse a un lector
bien instruido (conviene, pues, leer el libro entero y en orden) reflexiones que trascienden el momento terminal, e se en que el Estado emite
su potente voz de solista manifesta ndose el tenor de las normas en el
escenario de las publicaciones impresas.
Centra ndose abiertamente en la consideracio n del orden normativo decimono nico, situ a la autora entonces sus reales en ese especfico
y poco frecuentado siglo XIX al que hacamos ma s arriba referencia. No
es que se nos muestre por entero, ni siquiera en te rminos generales,
pues ya sabemos que es tarea, al margen de su improbable factibilidad,
ni siquiera planteada. Pero s se vislumbra, y puesto que no cesa el
nutriente avituallamiento de aportaciones novedosas, el lector tendera
ya a contemplarlas no como anomalas, sino como elementos configuradores de la hasta ahora bastante escondida faz equvoca de un Estado
que ya codifica pero que todava recopila, que diversifica instrumentos
y me todos porque no acaba de pisar firme en el terreno de la publicidad

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normativa, que no domina la nueva relacio n entre tiempo y norma, que


cuenta con la presuncio n de conocimiento, obediencia y cumplimiento
universal de sus disposiciones pero que todava se ve abocado a la
sobrecarta (asumo la responsabilidad por el abuso del te rmino; la
autora, en su identificacio n del fascinante feno meno, habla muy expresivamente de revitalizacio n, o tambie n de reposicio n), que no es, en
fin, capaz de apagar con la afirmacio n de su voz propia los ecos
resonantes de otras ajenas, procedentes de otros a mbitos (expresamente
se excluye el tratamiento por extenso de la incidencia de la voz de la
Iglesia) o de otros tiempos (me parecen especialmente relevantes las
muy sugerentes indicaciones sobre el particular modo en el que el
Estado se apropia de la voz normativa de la Monarqua preconstitucional, asunto en cuyo contexto cobra precisamente sentido la cita de Ortiz
de Za rate que ya conocemos).
En virtud de todo ello y seguramente sin quererlo, esta monografa
puede constituir un presupuesto, y no so lo porque su lectura sugiera un
nu mero considerable de nuevas investigaciones, concretas (los Boletines, la Gaceta, la Imprenta Nacional...) o no (cualquiera de los flancos
que ofrecen ahora asuntos como la voz judicial del Estado, la
implantacio n y organizacio n del aparato administrativo, la misma codificacio n...), o porque pueda abrir preguntas tal vez fecundas (podra
acaso identificarse una voz doctrinal del Estado?; fue esa voz estatal
siempre mono logo o soliloquio, o quiso alguna vez contraste o dia logo?...). Si fue ramos capaces de eliminar todas las adherencias con las
que solemos entender los tres te rminos que pueden definir su adscripcio n de materia (Derecho Espan a Siglo XIX), podramos
utilizar este libro como puerta de entrada al segmento del pasado que
queda encerrado en esa triple determinacio n. Lo que aprendemos de
ese pasado desnudo, as comenzado a desvelar, nos ha de extran ar
mucho ma s a nosotros, juristas europeos del siglo XXI, que a los que lo
vivieron, juristas espan oles del XIX. Parece una verdad de perogrullo,
pero la curiosa verdad es que en ambos casos se trata de una actitud tan
lo gica como inesperada: antes de comenzar a leer este libro, no nos
imaginamos hasta que punto nos va a extran ar lo que expone; leye ndolo, nos extran amos de que la doctrina de la e poca (hay captulo
especfico) no pareciera dar mucha importancia ni prestar mucha
atencio n a una problema tica para nosotros tan trascendentemente
compleja.
Viven en un pas extran o esos juristas, no en el nuestro. Este nuevo,
por distinto, siglo XIX que atisbamos parece efectivamente ma s viejo,
por lejano de nuestro presente, por distante. Para visitarlo se requera
todava la exploracio n pionera, el experimento historiogra fico iluminante. Cabe recordar, acudiendo al smil literario, la aventura de aquel
arrojado cientfico que, empen ado en demostrar que el planeta en el que
vivimos es un organismo vivo y sensible, perfora en el lugar geolo gica-

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mente adecuado la corteza terrestre hasta taladrarla del todo y lanza


luego hacia las profundidades un afilado ma stil que llega a clavarse en
el palpitante nu cleo del planeta; el grito de dolor que la Tierra profiere
cierra el relato estremeciendo al lector. Profundizando en las fuentes y
persiguiendo tercamente lo que se esconde bajo la inerte superficie de
las corrientes asunciones historiogra ficas, Marta Lorente, tras seleccionar cuidadosamente su objeto, alcanza el nu cleo ma s vivo de la historia
jurdica espan ola decimono nica y hace oir a sus lectores otro inaudito
lamento: la voz del Estado.
JESUu S VALLEJO

JOSEu MARTIuNEZ GIJOu N, Historia del Derecho Mercantil. Estudios, Universidad de Sevilla, Secretariado de publicaciones, 1999.
Le raccolte di scritti che talora, con non corretta riduttivita` si
chiamano minori (molto piu` giusto sarebbe chiamarli sparsi)
spesso non facilmente rintracciabili anche per la loro lontananza cronologica e per laccavallarsi di studi sugli stessi temi, si puo` rivelare una
felice occasione per considerare il valore complessivo dellopera di un
Autore. Nel caso specifico Martnez Gijo n, per lunghi anni cattedratico
di Storia del diritto nellUniversita` di Siviglia, ove ha creato una scuola
che annovera alcuni tra i piu` noti storici del diritto spagnolo. Proprio
uno di questi allievi, Carlos Petit, si e` preso cura di raccogliere e
rieditare una serie di contributi del Maestro in tema di storia del diritto
mercantile, il campo nel quale, insieme a quello della storia del diritto
di famiglia in Castiglia, Martnez Gijo n ha ottenuto i risultati scientifici
piu` probanti. Lorganizzazione interna che Petit ha dato al volume
esplicita anche i temi su cui si e` specificamente soffermata lattenzione
e linteresse scientifico dellAutore e testimonia una lunga e proficua
militanza storiografica.
La prima sezione comprende il contributo piu` antico (1964),
concernente la giurisdizione marittima in Castiglia durante il Basso
Medioevo. Il taglio prevalentemente istituzionale pone in rilievo uno dei
connotati piu` costanti della storiografia di Martnez Gijo n, cioe` la
ricchezza di documentazione che, nel caso specifico della giurisdizione
marittima, fa emergere le caratteristiche di funzionamento di tribunali
che sono speciali per la materia, per i giudici non togati e per la
snellezza dei procedimenti.
La seconda sezione ha per tema la commenda nel diritto spagnolo
e si compone di tre contributi, la commenda-deposito (1964), la
commenda mercantile (1966), la commenda e il trasporto di merci nel
basso Medioevo (1974).
Si tratta della articolazione e progressiva attivazione di un disegno

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LETTURE

complessivo inteso a colmare una lacuna nella storiografia spagnola carente di una monografia sulla commenda che invece lAutore ritrovava
nella letteratura francese, italiana e tedesca. Prendendo spunto dallidea
del contratto fiduciario, si inizia la storia della commenda in relazione ai
suoi collegamenti concettuali e pratici con il deposito e si collegano le
origini romane dellistituto allemergere dei temi e delle problematiche
legate alla banca. Se non e` molto lo spazio dedicato alle dottrine giuridiche
e teologiche, molta attenzione e cura e` data allevoluzione delle fonti
normative spagnole a partire dalla legislazione visigota fino al XVIII secolo e alle formalizzazioni successive di questi contratti nei documenti
notarili e in quelli privati (da una non chiara gratuita` nei secoli precedenti
si passa definitivamente al deposito lucrativo nel XVI secolo). La pratica
dei depositi bancari sembra a Martnez Gijo n gia` presente a Barcellona
nel XIII secolo, contrariamente a quanto ha ritenuto Sayous, ed il fenomeno si espande in Eta` moderna quando le grandi compagnie spagnole
di commercio si nutrono dei depositi dei privati o delle persone giuridiche. Levoluzione e` quindi nel senso di una progressiva ricerca di spazi
operativi al di la` dei vincoli canonici pur presenti in Spagna anche se talora
piu` teoricamente che concretamente: anche la nascita dei banchi pubblici
procede in questa direzione. La custodia, oggetto essenziale del deposito,
fu rimpiazzata dalla possibilita` delluso delle cose depositate concesse ai
depositari e dal carattere lucrativo che i depositi acquisiscono beneficiando i depositanti.
La seconda parte dello studio riguarda la commenda mercantile
basata sul commento di documenti spagnoli del XIII e XIV secolo e sul
confronto con i testi del Consolato del mare sullo stesso tema, a
dimostrazione della esistenza degli stessi problemi di credito e di
finanziamento e di una utilizzazione degli stessi strumenti presenti in
altri scali del Mediterraneo, e in questa ricostruzione lAutore mostra di
apprezzare le elaborazioni di Astuti. Anche nel diritto spagnolo e`
predominante la commenda unilaterale, in cui laccomandatario non
apporta capitale. E` anche interessante lesame successivo della utilizzazione della commenda e di altri metodi commerciali nei traffici tra
Spagna e America, tutto basato su documenti originali tratti dagli
archivi sivigliani, e che offre materiali soprattutto per rilevare lutilizzazione frequente del contratto di commissione. Questi temi dei rapporti col derecho indiano tornano frequentemente nellopera di
Martnez Gijo n e Petit ha raccolto in una sezione intitolata Instituciones del trafico con los Indios ben cinque contributi scritti tra il 1967
ed il 1987.
Petit sostiene nella premessa che le pagine dedicate da Martnez
Gijo n al commercio americano sono importanti in quanto consentono
di allargare gli studi precedenti sui metodi commerciali sia sulla base di
nuove documentazioni sia per prospettive classificatorie che aprono.
Credo che Petit si riferisca soprattutto ai contributi relativi al fenomeno

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del comercio por intermediario, il quale propone novita` contrattuali


o arricchisce figure preesistenti. Oltre alla circostanza che El comercio
a trave s de intermediarios era economicamente mas lucrativo perche
una buona organizzazione periferica consente di moltiplicare carichi e
noleggi, esso si rivela un usatissimo espediente per superare vincoli
politici: un intermediario spagnolo consente infatti ai mercanti francesi,
olandesi e tedeschi di eludere la proibizione di negoziare e vendere le
proprie mercanzie in quei territori.
La quarta sezione del volume e` molto corposa ed ha per tema
compagnie e societa` mercantili in Castiglia dal XVI al XIX secolo. La
prima parte e` in realta` una vera e completa monografia dedicata alla
compagnia mercantile castigliana sulla base delle ordinanze del Consolato di Bilbao del 1737. Storia legislativa e dottrinaria, avverte lAutore,
las fuentes que le sirven de appoyo no sean precisamente las documentales, con lulteriore specificazione che si limitera` a ley y doctrina
castellanas, con las unicas exceptiones de las obras de Angel de Periglio,
Pedro de Ubaldis y Hector y Angel Felicio. Questi autori non castigliani sono in realta` largamente utilizzati, ma quello che appare evidente
e` una scelta metodolgica dellAutore che opta per una ricostruzione
pressoche esclusivamente tecnico-giuridica. Non e` poco se si pensa che,
pochi anni prima, parlando di rapporti tra derecho mercantil e
derecho indiano ammoniva che siempre si debe procedere aplicando el me todo historco-jurco a la fuentes, che sono certo la
legislazione nazionale e la consuetudine locale, ma, soprattutto, la
fuente por excelencia en este campo de la investigacio n historco-jurcas
es el documento, inteso evidentemente in un senso molto lato. Solo
mediante el manejo de los documentos es posible conocer la aute ntica
realidad de la vida mercantil.
Lultima sezione del volume comprende un breve contributo del
1994, lultimo scritto dellAutore, in tema di interventismo economico
della monarchia spagnola e la retroattivita` della legge, un po atipico
rispetto al resto della sua produzione.
Nel complesso il contributo di Martnez Gijo n alla storia del diritto
commerciale appare meritevole almeno per due aspetti: da un lato,
come egli stesso sostiene, la storiografia spagnola era carente in questo
settore ed e` certo commendevole lavere discusso la letteratura straniera
riportandola alla situazione spagnola e ponendo a disposizione di tutti
gli esempi documentali tratti dagli archivi e la ricostruzione di normativa e dottrina spagnola. Allopera individuale e` da aggiungere la sua
opera di Maestro che ha indotto allievi come Clavero, Merchan, Petit,
Vallejo tutti capaci di dare impulso, ognuno secondo le proprie visioni,
alla storiografia giuscommercialistica spagnola, sicuramente oggi tra le
piu` originali ed interessanti.
VITO PIERGIOVANNI

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ABELARDO LEVAGGI, Diplomacia hispano-indgena en las fronteras de


Ame rica. Historia de los tratados entre la Monarqua espan ola y las
comunidades aborgenes, Centro de Estudios Polticos y Constitucionales, Madrid, 2002, 333 pp.
Cada indio es una repu blica libre, integrante de una muchedumbre de
ba rbaros dispersos, y sin cabeza, incapaces de cumplir y observar el sagrado de
las capitulaciones.
(Carta de Teodoro de Croix, Comandante General de las Provincias
Internas del Virreinato de la Nueva Espan a, dirigida a Jose Rubio, Comandante
Inspector de los Presidios de las Provincias Internas, datada en el Valle de Santa
Rosa el 12-II-1778; y conservada en el Archivo General de Indias de Sevilla,
Seccio n Audiencia de Guadalajara, leg. 276, segu n Levaggi, A., Diplomacia
hispano-indgena en las fronteras de Ame rica, pp. 255-260; la cita en la p. 256).
El cuartel se encontraba al norte de la ciudad. Delante de e l terminaba la
carretera, ancha y en buen estado (...). Dirase que el cuartel era un smbolo del
poder de los Habsburgo, que el real e imperial eje rcito haba colocado en el pas
eslavo. El cuartel cerraba el paso a la carretera antiqusima, tan ancha y extensa
por las migraciones, siempre repetidas, de los pueblos eslavos. La carretera tena
que ceder ante el cuartel. Daba all una gran curva. Si uno se situaba en el
extremo norte de la ciudad, al final de la carretera, donde las casas se iban
haciendo pequen as hasta convertirse finalmente en chozas campesinas, en los das
claros se poda distinguir, en la lejana, la puerta negra y amarilla del cuartel,
puesta all como un poderoso escudo de los Habsburgo frente a la ciudad,
simbolizando, a la vez, amenaza y proteccio n. El regimiento estaba destacado en
Moravia. Pero la tropa no estaba formada por checos, como cabra suponer, sino
por ucranianos y rumanos (...). Los rayos del sol de los Habsburgo llegaban por
el este hasta la frontera del zar de Rusia (...). Y as fue como se le impidio a su
hijo, a Carl Joseph, marque s de Trotta y Sipolje, que sirviera en las fronteras del
sur. Solamente poda escoger entre pasar a servir en el interior del reino o en sus
fronteras orientales. Se decidio por un batallo n de cazadores estacionado a dos
leguas de la frontera rusa, que se hallaba cerca de Burdlaki(...). Era el pas
hermano de los campesinos ucranianos, de sus armo nicas melanco licas y sus
canciones inolvidables: la hermana norten a de Eslovenia.
(Roth, Joseph, La marcha Radetzky, trad. al castellano y reedic. en Barcelona, 2000, primera parte, cap. V, p. 68; y segunda parte, cap. IX, pp. 137-138)

Las fronteras, abiertas o clausuradas, sabido es que, histo ricamente,


han definido y definen los Imperios, desde el Romano hasta el o losde nuestros das.
I. En el libro III de su Poltica, que probablemente fue escrita entre
el 333 y el 323-322 a.C., y que consiste en un estudio teo rico sobre el
ciudadano y sobre los diferentes regmenes polticos, Aristo teles ya se
planteo la cuestio n de cua ndo la polis, el Estado-ciudad, era uno o eran,
en realidad, varios. De aqu derivo la consagracio n cla sica del trpode de
elementos constitutivos del Estado, entendido tambie n este te rmino,

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gene ricamente, en tanto que comunidad poltica organizada: un territorio, una poblacio n, una constitucio n. A este respecto, el Estagirita se
preguntaba: En el caso de las personas que habitan el mismo lugar,
cua ndo hay que pensar que es una sola su ciudad? No sera , desde
luego, por las murallas, ya que una sola muralla podra rodear el
Peloponeso. Tal es seguramente el caso de Babilonia, y de cualquier
poblacio n cuya a rea es ma s propia de una raza que de una ciudad. De
Babilonia cuentan que al tercer da de haber sido tomada, au n no lo
saba una parte de la ciudad (Poltica, III, 3). En una He lade empobrecida y amenazada por constantes guerras civiles, y desgarrada por
revueltas y enfrentamientos entre las clases sociales que imposibilitaban
la puesta en pra ctica del viejo ideal democra tico de concordia ciudadana, Aristo teles (384-322 a.C), ma s que el arquetipo de la politeia, la
constitucio n perfecta, buscaba algo ma s modesto, pero inexcusable: la
seguridad (aspha leia), que entenda so lo alcanzable desde el valor de la
moderacio n.
La solucio n de erigir murallas, la ma xima concrecio n material del
concepto lineal de frontera, ha sido, por supuesto, el ideal de todo
re gimen poltico mnimamente evolucionado, desde la Gran Muralla
China, construida en el siglo III a.C. para detener, con sus 3000
kilo metros de longitud estimados, las invasiones ta rtaras. Pero, ni
siempre ha sido posible levantarlas, ni siempre, desde luego ni
mucho menos-, han tenido e xito a la hora de fijar y mantener la
indemnidad de los lmites de una comunidad poltica independiente.
Por eso, el ideal geome trico, racional y cartesiano de las fronteras
lineales ha sido, en la historia, una excepcio n deseada, aunque so lo
esgrimido, como elemento rector de sus respectivas polticas coloniales,
por las potencias europeas en el siglo XIX, cuya ma xima expresio n sera
la Conferencia de Berln de 1884-1885, y que alcanzara su supremo, y
ma s que dudoso, esplendor, en el proceso de descolonizacio n de A frica,
en la segunda mitad del siglo XX, tras la Segunda Guerra Mundial. Por
lo tanto, la frontera ma s frecuente, en el tiempo histo rico de los
hombres, ha sido la frontera zonal o marginal, es decir, un borde ma s o
menos extenso, una tierra de nadie, que separa comunidades u organizaciones polticas enemistadas entre s (de similar o de dispar evolucio n
cultural, social, econo mica, poltica y militar), como resultado de campan as intermitentes, ya ofensivas, ya defensivas, y de victorias inestables
que han impedido el sometimiento de una por la otra, o la destruccio n
de ambas. En el caso concreto de la Pennsula Ibe rica, no hace falta
recordar, durante la dominacio n romana, el caso de la resistencia de los
astures, ca ntabros y vascones, que origino una de esas fronteras marginales en el limes de la Repu blica de Roma, entre el 197 a.C., en que fue
dividida Hispania en dos provincias (la Citerior y la Ulterior), hasta que,
despue s del 19 a.C., se convirtio en una tierra pacificada (Hispania
pacata), tras las campan as de los an os 29 a 19 a.C., en las que tuvo que

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intervenir el propio Augusto, quien, en el 27 a.C., pudo reorganizar la


divisio n provincial hispana (Tarraconensis, Baetica y Lusitania). Tampoco
la Hispania visigoda carecio de fronteras marginales, puesto que los suevos, asentados en el noroeste, so lo fueron definitivamente derrotados por
Leovigildo en el 585; y los bizantinos dominaron el sureste peninsular
desde el 554 hasta el reinado de Suintila, que no logro expulsarlos hasta
el an o 629. Con posterioridad, no es preciso mencionar la Espan a cristiana
medieval, la sociedad de frontera con el Islam, por antonomasia, de la
Europa occidental, en cuyo seno se forjo la generacio n de conquistadores
del Nuevo Mundo (Herna n Corte s, Francisco Pizarro, Diego de Almagro,
Pedro de Alvarado, Vasco Nu n ez de Balboa, Sebastia n de Belalca zar,
Bernal Daz del Castillo), nacida entre 1474 y 1504, y que predomino
durante la primera mitad del siglo XVI.
Con estos precedentes, de sociedades peninsulares histo ricamente
fronterizas, como todas las mediterra neas, con el cara cter an adido de
puente tendido entre Europa y Africa, la Espan a de finales del cuatrocientos y de principios del quinientos se encontro inmersa en la
aventura americana. A las Indias, adema s, llego una organizacio n
poltica, la Monarqua Hispana con el paso del tiempo, advenida en
Hispa nica, al superar su inicial base de partida, exclusivamente peninsular-, de constitucio n plural. En efecto, la Monarqua de Carlos I a
Carlos II fue una Monarqua de Reinos separados o Monarqua compuesta, en la que sus diversas partes integrantes (los Reinos de Castilla,
de Arago n, de Portugal, de Navarra, de Sicilia y Na poles, de Valencia,
de Mallorca y de Cerden a; el Principado de Catalun a, y los Ducados de
Mila n, Bravante y Borgon a, el Condado de Flandes, y el Sen oro de
Vizcaya y de Molina, etc.) posean y conservaban sus peculiares y
respectivos rangos polticos, y sus privativos Derechos, pu blico y privado, adema s de sus correspondientes privilegios fiscales. Pues bien, en
aquella Monarqua hispano-indiana de los siglos XVI, XVII y XVIII,
como en su matriz y superviviente en la Europa del XIX, la Monarqua
austro-hu ngara que culminara y se disolvera con Francisco Jose I
(Viena, 1830-d., 1916), emperador de Austria y rey de Hungra, la
frontera, o mejor dicho, las fronteras, conformaban constitutivamente
su realidad poltica, en ambos casos, plural o compuesta. Unas fronteras
que, como las aduanas interiores de algunos de sus Reinos y territorios
(de la Corona de Arago n, del Reino de Navarra o de las Provincias
Vascongadas, por ejemplo), no siempre eran exteriores, ni externas. En
el segundo de los textos incluidos en la cita preliminar, la recreacio n
literaria del moribundo Imperio austro-hu ngaro que llevo a cabo
Joseph Roth (Schwabendorf, Galitzia, 1894 - Pars, 1939) en La marcha
Radetzky permite comprobar la importancia, y la persistencia, de un
mundo de fronteras, en el que las supuestamente exteriores se diluyen en
la exuberante profusio n de las internas: si en la Europa central y
oriental, sometida a la Monarqua de los Austrias decimono nicos, los

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checos, polacos, ucranianos, servios, croatas y eslovenos vivan bajo un


lejano poder soberano, lo mismo ocurra, en el Nuevo Mundo integrado
en la Monarqua de los Austrias hispanos del quinientos y el seiscientos
(las Indias), e incorporado a la Corona de Castilla, con los indgenas que
habitaban desde el Golfo de Me xico hasta la Tierra de Fuego, desde el
Virreinato de la Nueva Espan a hasta el del Peru (desde 1776, hasta el
Virreinato del Ro de la Plata). En ambos casos, diferentes pueblos
indgenas (europeos y americanos), culturalmente dispares, y, en ocasiones, tambie n econo mica y socialmente, convivan o coexistan congregados en torno al u nico vnculo comu n que los ligaba en la unidad
poltica: el de la persona del monarca, el mismo para todos ellos, que
articulaba en su mano el gobierno de cada territorio por distinto ttulo
(Rey de Castilla, Rey de Navarra, Duque de Mila n, Conde de Barcelona
y Prncipe de Catalun a, Conde de Flandes, Sen or de Vizcaya, etc., en
los supuestos que ma s interesan aqu), una vez que sus diferentes
vasallos haban prestado juramento, reconocie ndole como tal. Ningu n
vnculo jurdico una directamente a las diversas formaciones polticas
entre s, salvo el mencionado de la coincidencia en prestar juramento de
obediencia a un mismo soberano, que, eso s, desarrollaba y diriga una
comu n accio n poltica sobre todos ellos, por la que quedaban vinculados frente al exterior, pese a conservar su personalidad poltica propia.
Los cuarteles o fuertes, desde donde patrullaban y vigilaban las
fronteras los eje rcitos, reales e imperiales, cerraban los caminos (americanos) y las carreteras (europeas) en las Monarquas hispa nica y
austro-hu ngara. Eran el poder efectivo, y el smbolo del poder, all
donde e ste no era observado u obedecido. Tambie n en el Bajo Imperio
Romano, con Diocleciano o con Constantino, haba eje rcitos fronterizos
(limitanei, ripariensis), cuya principal misio n era la de vigilar los movimientos de las tribus ba rbaras, y formar la vanguardia que habra de
rechazarlas en caso de ataque. Fronteras y fortines explican muchas
cosas histo ricamente, e incluso permiten interpretar el pasado de una
nacio n, como lo hizo Frederick Jackson Turner en 1893, cuando
pronuncio su conferencia sobre El significado de la frontera en la historia
norteamericana. En ella, argumentaba que la aparicio n de una democracia individualista en los Estados Unidos de Ame rica era el resultado
de las tierras libres que haba habido disponibles hasta entonces,
vinculadas a las fronteras del oeste del continente. La conquista de esas
tierras libres habra creado una sociedad caracterizada por una extraordinaria movilidad, de pioneros independientes y autosuficientes, capaces de crear sus propias instituciones al margen de un gobierno central,
y que encontraban en ellas la salida o el escape necesario para huir de
los conflictos sociales y econo micos, creando una sociedad aparentemente ma s libre que la que dejaban atra s. La democracia de las
praderas contrastaba, as, con el conservadurismo aristocratizante de
Nueva Inglaterra, y, en general, de la costa este de los Estados Unidos.

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II. Quiza s estas reflexiones o digresiones resulten excesivas,


y hayan llevado demasiado lejos de la obra aqu recensionada. Probablemente, este largo excursus es u til so lo para quien escribe estas lneas,
y menos para quien las lea, mas, en todo caso, pueden ser va lidas a la
hora de abordar el ana lisis del libro de Abelardo Levaggi, que ha sido
editado en la prestigiosa Coleccio n de Historia de la Sociedad Poltica
que dirige el profesor Bartolome Clavero Salvador, y que publica el
Centro de Estudios Polticos y Constitucionales.
En la Introduccio n (pp. 13-16) de su Diplomacia hispano-indgena
en las fronteras de Ame rica. Historia de los tratados entre la Monarqua
espan ola y las comunidades aborgenes, el profesor Levaggi, haciendo
gala de su estilo conciso y de su gran capacidad de sntesis, o ptimos
ambos para la investigacio n que se ha propuesto, aborda la presentacio n de su proyecto de estudio con cautela y con modestia. Entre los
espan oles y las comunidades indgenas libres de Ame rica hubo relaciones de paz y de guerra, entre 1492 y 1810-1821. Su intere s se ha
centrado en las primeras, y, de ellas, no sobre todas, sino sobre aquellas
en las que haya quedado referencia o constancia escrita; es decir, sobre
las relaciones diploma ticas, enderezadas a la celebracio n de tratados. Por
lo tanto, la cautela cientfica que obligadamente hace pu blica el autor es
la de que ha excluido de su investigacio n las realidades sociales y
econo micas hispano-indgenas. Su objeto de estudio es, pues, una parte
de la realidad social (la jurdica, en su vertiente diploma tica), pero,
realidad al fin. Pese a que se trata de una investigacio n sistema tica, la
primera de conjunto sobre una materia tan amplia, que carece casi de
bibliografa previa (*), Levaggi declara desde el principio, modestamente, que ha preferido dar a la imprenta una obra con inevitables
lagunas es el riesgo que han de arrostrar los pioneros, incluidos los
(*) Parte de ella ha salido, asimismo, de la pluma de Levaggi, A., Una institucio n
chilena trasplantada al Ro de la Plata: el capita n de amigos, en Revista de Estudios
Histo rico-Jurdicos, Valparaso, 13 (1989-1990), pp. 99-107; Id., Derecho de los indios
a la autodeterminacio n, en Anuario Mexicano de Historia del Derecho, Me xico, 6 (1994),
pp. 125-157; Id., Antecedentes romano-visigo ticos e hispano-canarios de los tratados
hispano-amerindios, en Homenaje al Profesor Alfonso Garca-Gallo, t. III, vol. I,
Madrid, 1996, pp. 199-211; Id., Aplicacio n de la poltica espan ola de tratados a los
indios de la Nueva Espan a: el caso de la Florida y tierras adyacentes (1700-1781), en
Anuario Mexicano de Historia del Derecho, 8 (1996), pp. 225-241; Id., Aplicacio n de la
poltica espan ola de tratados a los indios de la Nueva Espan a y sus confines: el caso de
la Luisiana y las Floridas (1781-1790), en Revista de Investigaciones Jurdicas, Me xico,
20 (1996), pp. 371-403; Id., Aplicacio n de la poltica espan ola de tratados a los indios
de la Nueva Espan a y sus confines: el caso de la Luisiana y las Floridas (1791-1798), en
en Anuario Mexicano de Historia del Derecho, 9 (1997), pp. 449-483; Id., Los tratados
con los indios en la e poca borbo nica. Reafirmacio n de la poltica de conquista pacfica,
en Actas y estudios del XI Congreso del Instituto Internacional de Historia del Derecho
Indiano, t. II, Buenos Aires, 1997, pp. 103-118; e Id., Paz en la frontera. Historia de las
relaciones diploma ticas con las comunidades indgenas en la Argentina, Buenos Aires,
2000.

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intelectuales , para as facilitar la labor de futuros investigadores,


cubriendo, desde un primer momento, un claro vaco de la historiografa americanista.
Para redactar su monografa, y, previamente, para ordenar su labor
investigadora, el profesor Levaggi ha estructurado la materia desde un
triple marco de referencia: a) geogra fico, cuyo protagonista es la frontera; b) jurdico, cuyo instrumento principal es el tratado; y c) ideolo gico,
sustentado por la doctrina indigenista de la Corona. Sobre el primero ya
hemos hecho referencia, in extenso, con anterioridad. Ahora so lo cabe
an adir que en las fronteras interiores de las Indias Occidentales moraban pueblos de cultura primitiva, fundamentalmente no madas cazadores y recolectores, que fueron los que con ma s e xito resistieron la
empresa de conquista de los espan oles, dada la dispersio n, nu mero e
independencia de sus clanes o tribus, a diferencia de los pueblos de
cultura media y de alta cultura (chibchas, mayas, aztecas, incas),
sedentarios y agrcolas, cuya estructura social jerarquizada, y ma s
desarrollada y unitaria organizacio n poltica, facilitaron, precisamente,
su sometimiento. Dichos pueblos de cultura inferior o ma s primitiva
son los que el autor recoge en los mapas que proporciona en las pp.
314-315, indicando su ubicacio n: desde los navajos, apaches y comanches de las praderas del sur de los Estados Unidos (y norte del
Virreinato de la Nueva Espan a), o los chacta s, chicacha s y cheroquis del
noreste de la Luisiana y noroeste de la Florida, hasta los araucanos de
Chile, o los pehuenches de las pampas argentinas. En estas fronteras
marginales del Nuevo Mundo, aunque la Corona espan ola consideraba
que tales pueblos, de hecho libres e independientes, estaban sujetos a su
dominio en virtud de los ttulos jurdicos que invocaba (descubrimiento, ocupacio n, bulas pontificias, evangelizacio n), lo cierto es que no
haba podido tomar posesio n efectiva de ellos, ni ejercer su jurisdiccio n
sobre ellos, ya que se resistan a la penetracio n hispana. En definitiva, se
trataba de territorios no integrados todava bajo la dependencia de la
Monarqua Hispa nica.
Para conseguir su integracio n, dado que la belicosidad extrema de
dichos pueblos perife ricos impidio o alargo extraordinariamente en
el tiempo su sometimiento, su civilizacio n (es decir, la asuncio n,
impuesta o voluntaria, de la organizacio n poltica, social y econo mica, y
los ca nones culturales, de la que entonces se consideraba como u nica
admisible, la hispana y europea occidental) y su cristianizacio n, la
Monarqua prefirio aplicarles una poltica de pacificacio n concordada o
capitulada. De ese modo, la exigencia de la seguridad aristo telica,
imprescindible cuando existe algu n grado de debilidad militar, o de
impotencia en la consecucio n o el mantenimiento del orden pu blico, se
impuso tambie n en las Indias, durante los siglos XVII y XVIII. El valor
de la moderacio n, tambie n predicado por Aristo teles en su Poltica,
justificaba que los oficiales del rey en el Nuevo Mundo decidiesen acudir

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al tratado como instrumento de solventacio n de sus conflictos con los


nativos que resistan su presencia, y su dominio. Parado jicamente, pues,
a las organizaciones polticas y sociales ma s desarrolladas (como la
federacio n de ciudades aztecas o el imperio inca), una vez conquistadas,
se les aplico el principio poltico de subordinacio n a la autoridad
soberana, propio del vnculo vertical entre gobernante y gobernados,
con sometimiento al imperio de la ley como fuente, sino exclusiva
puesto que tambie n fueron admitidas, en ciertos casos, algunas
costumbres aborgenes , s principal, del Derecho. En cambio, a las
comunidades indgenas ma s primitivas y menos desarrolladas se les
reconocio el privilegio de ser regidas por el principio poltico de
coordinacio n, propio de naciones independientes, cuyo instrumento
jurdico y fuente de Derecho era el tratado. En definitiva, los pueblos
ma s de biles teo ricamente de Ame rica, por mor de su resistencia
armada, y de su e xito en ella, fueron tratados como iguales por la
poderosa Monarqua Hispa nica, mientras que los ma s fuertes, al haberse rendido y reconocido la soberana del titular de aque lla, fueron
tratados como desiguales, como su bditos de ella, y vasallos del rey.
Paradojas de la fortuna, de la tenacidad, y de la marginalidad.
El tratado, adema s de un instrumento jurdico peculiar, tambie n
representa una muestra evidente del particularismo y de la capacidad de
adaptacio n del Derecho Indiano a la realidad social, econo mica, poltica
y militar del momento, y de la e poca. Como Derecho singular, distinto
rdenes, Insdel comu n (Reales Pragma ticas, Provisiones, Ce dulas, O
trucciones, Ordenanzas), su fuerza y legitimidad derivaba del Derecho
de gentes. Al hacer relacio n de sus principios generalmente aceptados,
en materia pacticia, el profesor Levaggi acude a uno de sus expositores
cla sicos: en concreto, a Le Droit de Gens ou Principes de la Loi
Naturelle, applique s a` la conduite et aux affaires des Nations et des
Souverains, que es una obra de Emeric de Vattel, publicada en Londres,
en 1758, que fue traducida libremente por Jose de Olmeda y Leo n, bajo
el ttulo de Elementos del Derecho Pu blico de la Paz y de la Guerra
(Madrid, 1771), e incluida por la Inquisicio n espan ola en el I ndice de
Libros Prohibidos en 1779. So lo se destacara aqu que Vattel, por una
parte, diferenciaba los tratados de los pactos, acuerdos o convenciones. Y
ello porque el objeto de estos u ltimos eran asuntos transitorios, que se
cumplan en un acto u nico, mientras que los primeros eran de ejecucio n
sucesiva, extendie ndose a todo el tiempo de su vigencia. Por otro lado,
Vattel admita la validez -aunque no la conveniencia- de los tratados
desiguales, esto es, de aquellos en los que la parte de bil se someta a
condiciones onerosas impuestas por la ma s fuerte: no hacer la guerra a
terceros sin el consentimiento de e sta, tener los mismos aliados y
enemigos, sostener y respetar su majestad, no edificar plazas fuertes en
determinados lugares, no comerciar, etc. En consecuencia, las condiciones de desigualdad de las partes, que era algo presente en las

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relaciones entre la Monarqua Hispa nica y las de biles comunidades


indgenas independientes de las fronteras interiores y marginales de
Ame rica, no constituan vicios que afectasen a la validez de sus tratados,
como se podra creer, aplicando criterios actuales y, por ello,
anacro nicos . Otra cosa muy diferente es que, como se lamentaba
Teodoro de Croix, comandante general de las Provincias Internas del
Virreinato de Me xico, creadas en 1776, segu n el primero de los textos
recogidos en la cita preliminar, los indios se mostrasen incapaces de
respetar el sagrado de las capitulaciones. Y ello, precisamente, por
aquello que explicaba su capacidad para arrancar de la Monarqua
Hispa nica acuerdos de igual ma s o menos a igual: el hecho de que
cada indio se considerase una Repu blica libre. En este caso, su incivilidad y acristianizacio n resultaban una indudable ventaja poltica y militar.
El profesor Levaggi reserva el captulo I (pp. 17-37) para explanar
el contenido del marco ideolo gico, dentro del cual hay que encuadrar las
relaciones diploma ticas hispano-indgenas en el Nuevo Mundo. La
poltica oficial de conquista de las Indias paso , en el siglo XVI, de la
dominacio n, incluso violenta o por la fuerza, de los naturales de
aquellas tierras, en su primera mitad, al convencimiento y triunfo de la
penetracio n pacfica en la segunda. El instrumento, y smbolo, de la
poltica compulsiva hacia los nativos fue el Requerimiento, de contenido
intimidatorio, redactado en 1514 por Juan Lo pez de Palacios Rubios, en
el que se recogan los ttulos que entonces se consideraban prevalentes
para justificar el dominio de las Islas y Tierra Firme de la Mar Oce ana (la
donacio n pontificia de las bulas alejandrinas y el descubrimiento). Los
estragos que dicha poltica causo entre los indios obligo a que fuese
modificada, en un proceso paulatino que culmino en las Reales Ordenanzas de nuevos descubrimientos y poblaciones, promulgadas por Felipe
II el 13 de julio de 1573, sobre la base doctrinal previa de incorporacio n
del Derecho natural en la teologa escola stica medieval llevada a cabo
por la Escuela de Salamanca, y, sen eramente, por fray Francisco de
Vitoria, en especial, en su famosa primera Relectio de Indiis (1539). Era
la evangelizacio n de los naturales, y no su destruccio n fsica, sino su
salvacio n espiritual, la misio n confiada a los reyes de Castilla por los
Sumos Pontfices. Para lo cual, desterrando la fuerza, deban trabar los
espan oles alianza y amistad con los indgenas, valie ndose para ello de su
buen trato, del comercio y de los regalos. De esta forma, en el Derecho
Indiano se impuso la poltica de penetracio n y de ocupacio n pacfica
plasmada oficialmente en la Recopilacio n de Indias de 1681 , para
lo sucesivo. Y, a partir de entonces, as como el requerimiento haba
sido el instrumento jurdico por excelencia de la conquista armada, el
tratado paso a serlo de la penetracio n pacfica. Una poltica de pacificacio n que sera luego continuada por los Borbones, en el siglo XVIII.
A este respecto, Jose de Ga lvez, secretario de Estado y del Despacho de

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Indias, escriba al mismo comandante general Teodoro de Croix, el


20-II-1779, lo siguiente, que resulta harto significativo de tal continuidad: Sera n a Su Magestad infinitamente ma s gratas las conquistas,
aunque lentas y sin aparato, que se hagan con la dulzura, el buen trato
y la beneficencia, que las ma s grandes, ruidosas y ra pidas que se
consigan, derramando sangre humana, aunque sea de los ma s ba rbaros
enemigos (p. 35).
La negociacio n y conclusio n de tratados, a lo largo de los ma s de
tres siglos de dominacio n espan ola en Ame rica, revistio formas muy
diversas, imposibles de reducir advierte Levaggi , dada su mu ltiple
y pintoresca casustica, a un tipo ideal. Hubo acuerdos orales y escritos,
y a ambos se les reconocio ide ntica fuerza y valor. Obviamente, de los
primeros es mucho ma s difcil que haya quedado constancia o prueba
fehaciente; como mucho, algunas referencias ocasionales o accidentales.
Problemas an adidos fueron, a la hora de su concertacio n, la falta de
buenos inte rpretes (lenguas), y la dificultad para los espan oles de saber
cua l era la autoridad y representacio n efectivas, entre los suyos, de los
caciques e indios principales con los que trataban. En cualquier caso, el
autor de la obra que nos ocupa ha reunido, a partir de una minuciosa
investigacio n archivstica (en los Archivos General de Indias de Sevilla,
General de la Nacio n de Me xico y General de la Nacio n de Argentina,
General de Santiago del Estero, Nacional de Chile, Histo rico de
Mendoza) y bibliogra fica (de fuentes primarias o directas e ditas, y
secundarias o indirectas), una multiplicidad de tratados hispano-indgenas, de los siglos XVI, XVII, XVIII, e incluso de los primeros an os
del XIX. Dado su elevado nu mero, ha procedido a su clasificacio n y
agrupacio n sistema ticas, y, dentro de ella, a su ordenacio n cronolo gica.
De este modo, el captulo II esta dedicado a lo que denomina la
Protohistoria de los tratados. Primeros contactos intere tnicos (pp. 39-64);
despue s, son recogidas las paces, capitulaciones, parlamentos y tratados, con noticia de sus negociaciones previas, que tuvieron por escenario el Chile de los siglos XVII (cap. III, pp. 65-88) y XVIII (cap. V,
pp. 103-159); luego, conjuntamente, dado su menor nu mero, los del Ro
de la Plata y la Nueva Espan a en el siglo XVII (cap. IV, pp. 89-101), el
Ro de la Plata en el XVIII (dividido en dos apartados, ya que, por el
contrario, entonces fueron concertados muchos tratados, en los caps.
VI, pp. 161-200 y VII, pp. 201-232); seguidos de los de la Nueva
Espan a tambie n en el siglo XVIII (igualmente divididos en dos partes,
en los caps. VIII, pp. 233-260 y IX, pp. 261-278); para concluir con los
de la Florida y la Luisiana en el XVIII (cap. X, pp. 279-300), y los de
Costa Rica aunque mejor sera precisar que corresponden a la Costa
de los Mosquitos y el Darie n, tambie n en el XVIII (cap. XI, pp.
301-309).
Aunque so lo en la segunda mitad del quinientos se impuso la
poltica de penetracio n pacfica en las Indias, impulsada por la Corona,

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que adoptara, en lo que aqu concierne, el tratado como expresio n


jurdica, el primer pacto intere tnico, entre los espan oles y los indgenas
(entre europeos y americanos), fue concertado por Cristo bal Colo n y un
cacique tano de la isla Espan ola, llamado Guacanagnar, el 30 de
diciembre de 1492. En realidad, ma s que una capitulacio n o tratado
europeo, era un pacto de naturaleza aborigen: un pacto de guatiao.
Consista e ste en un intercambio de nombres y regalos, entregando los
indgenas mujeres o esclavos, con reconocimiento de la autoridad y
soberana de los reyes de Castilla, y aceptacio n del cristianismo. El
intercambio de nombres constitua la esencia de tal clase de pactos,
como explica fray Bartolome de las Casas: Este trueque de nombres,
en la lengua comu n desta isla, se llamaba ser yo y fulano, que trocamos
los nombres, guatiaos, y as se llamaba el uno al otro guatiao; tenase por
gran parentesco, y como liga de perpetua amistad y confederacio n, y as
el capita n general y aquel sen or quedaron guatiaos, como perpetuos
amigos y hermanos en armas (Historia de las Indias, lib. II, cap. 8). La
siguiente noticia de un convenio en La Espan ola, y, por tanto, en el
Nuevo Mundo que tambie n proporciona Las Casas , se demoro
hasta el mes de mayo del an o 1533, cuando el capita n Francisco de
Barnuevo logro que depusiese las armas el cacique Enrique o Enriquillo, de San Juan de la Maguana, que se haba sublevado en 1519. Se sabe
que Vasco Nu n ez de Balboa, hasta su ajusticiamiento por Pedrarias
Da vila, tambie n en 1519, celebro paces y alianzas con los naturales del
Darie n, pero, so lo constan de ellas referencias indirectas. En la conquista de Me xico, Herna n Corte s supo combinar acertadamente las
ofertas de amistad, el terror y la religio n para imponer su voluntad y
dominio, mas, no concerto formalmente tratados con los indgenas.
Para encontrar el primer convenio empleando este te rmino, y otros
equivalentes, como sino nimo de tratado, sin seguir la distincio n, antes
aludida, que haca constar Vattel en su e poca con nativos del
Virreinato de Me xico, hay que esperar al an o 1591. Durante la guerra
chichimeca, que se desarrollo al norte de la Nueva Espan a en la segunda
mitad del XVI, hubo varios intentos de atraer a sus jefes a la paz
mediante la persuasio n. Dentro de esta poltica de concordia, el virrey
Luis de Velasco el joven suscribio capitulaciones, el 14 de marzo de
dicho an o, con los indios principales de la ciudad de Tlaxcala, comprometie ndose e stos a hacer poblaciones en tierra de los chichimecas, y
a conseguir que se fuesen pacificando. Hay referencias, igualmente, de
diversos pactos o tratados verbales concertados por A lvar Nu n ez
Cabeza de Vaca, en la ciudad de la Asuncio n del Paraguay, entre 1542
y 1544, como segundo adelantado del Ro de la Plata, con los indios
payaguaes y guaycuru es. Finalmente, como en la conquista de Me xico,
tampoco en la del Peru hay indicios de que se hubiesen celebrado
tratados. El primero de ellos, comprobado, fue formalizado el 24-VIII1566, en nombre del gobernador licenciado Lope Garca de Castro, con

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el Inca Tito Cusi Yupangui, quien, refugiado en las montan as de


Vilcabamba, se resista a las autoridades espan olas.
Cada frontera era un mundo distinto, pero, de todas ellas, quiza la
ma s singular fue la de Chile, al sur del ro Bo-Bo. Conocida es su
calificacio n de Flandes indiano, por la belicosidad y prolongadsima
resistencia de los indo mitos aracaunos, con los que fracasaron todas las
medidas de fuerza, incluida su esclavizacio n a ttulo de indios de guerra.
Aunque hubo algunas iniciativas de paz en el siglo XVI, lo cierto es que
hay que esperar a los inicios de la centuria siguiente para que e stas
fructificasen, al menos, en parte y temporalmente. Con el auxilio del
jesuita Luis de Valdivia, contrario a la guerra ofensiva y a la esclavitud
indgena, el gobernador Alonso Garca Ramo n logro reunir un importante parlamento el 7 de octubre de 1608, al que acudieron los caciques
de las tribus vecinas a la Concepcio n. La institucio n indgena (araucana)
del parlamento o coyactun jugo un papel muy importante en las relaciones diploma ticas mantenidas con los espan oles. Era un acto pu blico
en el que, por ejemplo, al tomar posesio n los gobernadores de su cargo
en el Reino de Chile, los naturales ratificaban su obediencia y lealtad al
monarca, exponan sus quejas y reclamaciones, reciban regalos y
presentes, etc. Pues bien, en 1608, los caciques de varias parcialidades
pidieron la paz, y prometieron vasallaje al rey de Castilla, escarmentados como estaban por las muertes y dan os que les venan infligiendo los
espan oles. Con posterioridad, el jesuita Valdivia consiguio que fuese
expedida una Real Ce dula, el 8-XII-1610, que ordenaba la suspensio n
temporal (durante tres o cuatro an os) de la guerra ofensiva en Chile. No
fue ma s que un espejismo. Los indios volvieron a efectuar sus malocas
o malones (invasiones para el pillaje), y otra Real Ce dula, ahora de
13-IV-1625, dispuso que se reanudase la guerra ofensiva, y permitio , de
nuevo, la esclavitud de los indgenas. Luego, los sucesivos decenios del
siglo XVII, como tambie n los del XVIII, fueron una serie apenas
interrumpida de perodos de guerra, con breves interludios de precaria
paz: tratados del gobernador Francisco Lo pez de Zu n iga, marque s de
Baides y conde de Pedrosa, en Quilln, de 6-I-1641; del gobernador
A ngel de Peredo, en Santa Mara de Guadalupe y Benavdez, de
3-XII-1662, y en San Felipe de Austria y Nuestra Sen ora de la Almudena, de 11-I-1663; del gobernador Toma s Marn de Poveda, en el
parlamento general efectuado en Yumbel, de 16-XII-1692; del gobernador Gabriel Cano de Aponte, en el parlamento general de Negrete,
de 13-II-1726; del gobernador Jose Manso de Velasco, en el parlamento
general de Tapihue, de 8-XII-1738; de Domingo Ortiz de Rozas,
tambie n en Tapihue, de 27-XII-1746; de Antonio Guill y Gonzaga, en
la plaza del Nacimiento, en la ribera sur del Bo-Bo, de 8-XII-1764; del
presidente interino de la Real Audiencia de Chile, Francisco Javier de
Morales y Castejo n, en el campo de Negrete, de 28-II-1771; del
presidente Agustn de Ja uregui y Aldecoa, en Tapihue, de 24-XII-1774;

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del maestre de campo de la frontera de la Concepcio n, Ambrosio


Higgins (OHiggins) Vallenar, en la isla de la Laja, junto a la laguna de
Lonquilmo, de 7-I-1784; nuevamente de Ambrosio Higgins, esta vez, ya
como capita n general y presidente de la Audiencia Real de Chile, en
Negrete, de 6-III-1793; y de los brigadieres Pedro Quijada y Pedro
Nolasco del Ro, en nombre y representacio n del teniente general Luis
Mun oz de Guzma n, tambie n en el campo de Negrete, de 3-III-1803.
Como se puede observar, los tratados chilenos, en particular los del
setecientos, formaron una serie o cadena: es ma s, un sistema, puesto que
los posteriores solan confirmar los anteriores, agregando simplemente
alguno o algunos artculos nuevos. Con el paso del tiempo, al afianzarse
la fuerza militar de los espan oles, los indgenas chilenos comenzaron a ser
tratados como vasallos rebeldes, y no como comunidades o tribus independientes. Los tratados tendieron, entonces, a convertirse en un estatuto (p. 159), en el que la parte dominante, representada por el gobernador o el presidente de la Audiencia, propona formalmente, y la
de bil, la de los caciques, se tena que limitar a adherirse. El predominio
creciente de un trato vertical (como vasallos) hacia los indgenas, y no ya
horizontal (como comunidades polticas independientes), comienza a observarse desde el parlamento general de Yumbel, en 1692. Estos parlamentos generales, para tener tal cara cter, deban estar presididos por el
gobernador o por el presidente. Con cara cter previo a su celebracio n, las
autoridades espan olas solan convocar Juntas generales de guerra, a las que
asistan los oficiales de la Real Hacienda, el obispo de La Concepcio n, etc.,
a fin de debatir en ellas las condiciones de paz que luego seran propuestas,
en el parlamento general, a los caciques mapuches. En ocasiones, los
parlamentos generales eran suspendidos, en tiempos de paz, por dos
razones principales: bien porque no existan fondos suficientes en la caja
de la Real Hacienda para regalar y agasajar a los caciques, o bien porque
e stos pretendan que se celebrasen en sus tierras. Por tal motivo, en el
parlamento general de Tapihue, de 1774, Ambrosio Higgins consiguio
que las diferentes parcialidades indgenas enviasen a uno de sus caciques
a la capital, a la ciudad de Santiago, con el ttulo de embajadores o personeros. En realidad, las autoridades espan olas, ma s que tenerlos como
interlocutores, queran retenerlos como rehenes, garantizando as que los
suyos no se rebelaran. Esta novedad, sin embargo, no duro ma s de una
de cada, ya que los indios dejaron de enviar embajadores. No obstante,
su presencia se convirtio , durante el tiempo en que existieron, en un
problema para los espan oles, ya que los caciques-embajadores no so lo
representaban los intereses de sus parcialidades, sino tambie n los de los
indios encomendados y que residan en territorio espan ol, al norte del
Bo-Bo.
En cualquier caso, pese a la tremenda resistencia de los mapuches
o araucanos a someterse a la Corona, lo cierto es que se puede
comprobar que, paulatinamente, iban siendo cristianizados, aunque

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fuese parcial o superficialmente. Por ejemplo, en la ceremonia de


capitulacio n de Quilln, en 1641, los indgenas portaron ramas de
canelo, en sen al de paz, y sacrificaron hasta veintiocho llamas, pues
entendan que lo tratado quedaba, de este modo, ma s fijo y asentado.
Para ello, cada cacique las mataba, con un basto n de dos varas de alto,
de un golpe, y si tal vez no caa la oveja (de la tierra) del primero, se
levantaba otro cacique con mucha ligereza, y le daba el segundo, con
que la tenda en el suelo, y las que se quejaban o con las ansias de la
muerte agonizaban, las acababan los circunstantes de matar, y despue s
de muertas llegaban todos a sacarles los corazones, y rociar con su
sangre el canelo que tenan en la mano (p. 76). Un siglo despue s, en las
capitulaciones de la plaza del Nacimiento de 1764, estas ba rbaras
costumbres haban cedido ante un explcito sincretismo religioso: para
ratificar entonces las paces, los caciques se pusieron todos de rodillas,
haciendo la sen al de la Cruz, y juraron por ella, y despue s, segu n su
estilo, por el sol, cumplir los tratados (p. 118). A pesar de todo, no
falto entre los mismos espan oles fuertes crticas hacia la poltica de paz
y acuerdos que se segua con los mapuches, que llegaba incluso a
postergar dos exigencias previas que se reclamaban, en todas las Indias,
a la hora de pacificar a los indgenas, como eran la ensen anza inmediata
de la religio n a los naturales, y la obligacio n de vivir en poblados, esto
es, de congregarse o reducirse en pueblos, abandonando su vivir disperso
por los montes y valles. En cambio, como se quejaba el gobernador
Jero nimo de Quiroga, de estas paces que hacen los gobernadores
mandan grandes informes al rey, pero nunca dan cuenta de lo que
deshacen o dejan de hacer (p. 78). En cada nuevo tratado se les
perdonaban las rebeliones anteriores, y se les dejaba en posesio n de sus
tierras, permitie ndoles recuperarse para futuras correras, muertes y
robos. Y tenazmente se resistan a cumplir dos de los principales
artculos de dichas convenciones o tratados: los de desarmarse, y poblar
(en reducciones o pueblos grandes).
Desde principios del siglo XVII se produjo un feno meno de
araucanizacio n de la Pampa. El territorio que se extenda ma s alla del
paralelo 34 de latitud sur estaba poblado por las tribus indgenas de los
pampas y puelches, pero, por entonces, comenzaron a atravesar la
cordillera, procedentes de Chile, los pehuenches y, sobre todo, los
huilliches o ranqueles, que llegaron a dominar la mayor parte de la
Pampa, desplazando hacia la costa a los primitivos pobladores puelches
y pampas. No obstante, pese a las malocas dirigidas contra las estancias
de Buenos Aires y Cuyo, tambie n estos indgenas mantuvieron relaciones diploma ticas con las autoridades del Ro de la Plata. Con anterioridad, se cuenta con el precedente del tratado concertado por Alonso
de Mercado y Villacorta, gobernador primero de la provincia del
Tucuma n, y despue s del Ro de la Plata, en Buenos Aires, el 13-XII1662, con los indios tocagu es y vilos, representados por un jesuita de la

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ciudad de Santa Fe, llamado Nicola s de Carvajal. En este primer tratado


rioplatense, las mayores obligaciones pesaron sobre los naturales de
aquellas tierras, ya que tuvieron que someterse al dominio de la Corona,
admitir ser desnaturalizados (es decir, salir de sus tierras del valle de
Calchaqu para poblar cerca de la ciudad de Santa Fe), reducirse a una
vida cristiana, y comprometerse a pagar tributo. A cambio, fueron
eximidos de encomienda y de cualquier otra clase de servidumbre, y
puestos bajo la jurisdiccio n del gobernador en garanta de buen trato.
Condiciones parecidas -ma s o menos duras, segu n las circunstanciasfueron impuestas a los indgenas del Ro de la Plata durante el siglo
XVIII, en los numerosos tratados que, al igual que en Chile, fueron
ajustados: los del gobernador del Tucuma n, Esteban de Urzar y
Arespacochaga, en Salta, el 27-VIII-1710, con los indios malbalaes,
ojotaes y lules; el del teniente de gobernador de Santa Fe, Francisco
Javier de Echagu e y Anda, y los mocobes, en 1734, y el de su sucesor
en el cargo, Francisco Antonio de Vera Mu jica, en An apire , el 5-VI1748, con los abipones; el de Juan de Santiso y Moscoso, tambie n
gobernador del Tucuma n, con los tobas, de 12-VI-1742; el de Francisco
de Paula Bucareli, gobernador de Buenos Aires, con los indios pampas,
de 20-V-1770; el de otro gobernador de Tucuma n, el licenciado Jero nimo Matorras, con el cacique mocob Paikn, de 29-VII-1774, que fue
grabado en el tronco de un a rbol de vinal o visnal (una especie de
algarrobo); el convenido por Juan Antonio Herna ndez Ga ndara, capita n del cuerpo veterano de caballera de Blandengues (que haba sido
creada en el Virreinato de la Plata, especficamente, para vigilar la
frontera india), en representacio n del virrey marque s de Loreto, con el
cacique de los pampas Callfilqui o Calpisquis, conocido por los espan oles como Lorenzo, de 3-V-1790, que inclua una cla usula en la que
aluda a aquellos indios de los amigos que bajan a esta capital (Buenos
Aires) a hacer sus tratos, y se fingen caciques para obtener de esta
Superioridad algu n regalo, que suele hacerse a los que verdaderamente
lo son, y que inauguro un largo perodo de paz en la frontera, de
hecho, hasta la Independencia, entre 1790 y 1810-1816; el de Rafael de
la Luz, gobernador-intendente de Salta del Tucuma n, con el cacique
principal Napognar, reconocido como tal por diversas naciones del
Chaco, de 22-IX-1801; o el de Miguel Telis Meneses, comandante de las
milicias urbanas de Mendoza, concertado con los pehuenches el 2-IV1805, durante el virreinato del marque s de Sobre Monte. Se advertira
por esta relacio n de paces o tratados, que no incluye todas las acordadas, que la reiteracio n y la multiplicidad denuncian, implcitamente, su
inobservancia en no pocas ocasiones, en el Ro de la Plata al igual que
aconteca en el Reino de Chile. En este sentido, por ejemplo, Jose
Joaqun de Viana, gobernador poltico y militar de Montevideo, informaba al rey, Fernando VI, y a su Consejo de Indias, el 20-IV-1751,
sobre su poco provecho, en ciertos casos, pese a haber procurado

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atraerlos con suavidad al verdadero conocimiento y vasallaje, mediante


la buena correspondencia y trato que se les ha hecho, no obstante el
cual han proseguido en hacer continuadas hostilidades (p. 176).
Carentes de los necesarios conocimientos antropolo gicos, las autoridades reales, tanto del siglo XVII como del XVIII, no comprendan el
tremendo salto cultural e histo rico (del Paleoltico al Neoltico) que
para aquellas tribus no madas, cazadoras y recolectoras, supona obligarles, en pocos an os, a hacerse sedentarias y agricultoras.
A diferencia de las fronteras meridionales de las Indias (Chile y Ro
de la Plata), en las septentrionales (la Nueva Espan a), asegura el
profesor Levaggi que se carece de fuentes que informen sobre si se
celebraron all tratados durante los siglos XVI y XVII. So lo se tienen
algunas noticias indirectas: por ejemplo, los indios mayos, que vivan en
la provincia de Sonora, al este del golfo de California, pidieron la paz,
a principios del seiscientos, al capita n y justicia mayor, Diego Martnez
de Hurdaide; los yaquis concertaron un tratado en 1610; y, tambie n en
la provincia de Sonora, los indios janos acordaron verbalmente la paz,
en las proximidades del presidio de San Felipe y Santiago de Janos, con
el capita n Juan Ferna ndez de la Fuente. Pero, la mayor amenaza para la
Corona espan ola proceda, en el norte de la Nueva Espan a, de las
acciones hostiles que provenan de las diversas parcialidades de la gran
familia indgena de los apaches (los lipanes, los mescaleros, los gilen os,
los jicarillas). Estos apaches de guerra se extendan por los territorios de
Texas, Nuevo Me xico, la Nueva Vizcaya, Sonora, Coahuila y Arizona,
pero, afortunadamente, se caracterizaban por formar, no una comunidad, ni siquiera una confederacio n, sino ramas separadas y, a menudo,
enfrentadas entre s, de una misma gran familia, la atapascana del sur o
apache. Casi toda la estrategia ofensiva y defensiva en el norte del
Virreinato de Me xico giro en torno a estas parcialidades de los apaches,
siendo empleadas diversas fo rmulas para su reduccio n y pacificacio n: el
cerco econo mico, el fomento de sus rivalidades internas, las expediciones de conquista, y los tratados. En cualquier caso, Espan a persiguio su
integracio n y asimilacio n, a diferencia de los anglomericanos, que
prefirieron excluirlos de su sociedad. En 1723, fueron concertadas
paces con los apaches jicarillas, que se haban visto compelidos a ellas
por los asaltos y muertes que les infligan sus enemigos, los comanches.
Entre 1749 y 1799 se sucedieron una serie de capitulaciones con los
apaches lipanes, utilizados por los espan oles para contrarrestar la
influencia de los franceses de la Luisiana sobre otras tribus indias del
norte del ro Grande. Temerosos los apaches mescaleros de la Nueva
Vizcaya de que los lipanes, auxiliados por los espan oles, les declarasen
la guerra, accedieron a tratar con estos u ltimos en 1781. Como comandante general de las Provincias Internas del Virreinato de Me xico,
Teodoro de Croix comisiono para gestionar la paz al capita n Domingo
Daz, al que recomendo , en sus instrucciones, que tuviese cuidado en no

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ofrecer nada a los indios que luego no pudiera cumplir. Otra rama
apache, la de los gilen os, emplazada en la parte suroccidental de Nuevo
Me xico, fue trabajosamente atrada a la vida pacfica entre 1775 y 1789.
Y lo fue con dificultad porque los apaches, en general, amaban la
libertad, y no queran establecerse en un lugar, ni cultivar la tierra,
incumpliendo casi siempre las cla usulas de sus tratados en las que se
comprometan a hacer sus siembras, recoger sus cosechas, criar sus
ganados, y fabricar sus casas para vivir como racionales, a expensas de
su sudor y trabajo (p. 257). Era el programa ilustrado que se les quera
imponer, a fin de que fuesen se deca felices. Hay que subrayar,
en todo caso, que en varias ocasiones se exceptuo a los adultos, en estos
tratados, de la obligacio n de ser evangelizados, consintiendo el que
conservasen su religio n tradicional, a fin de no hacerles demasiado
onerosa la paz. Finalmente, incluso los enemigos declarados de los
apaches, los comanches, que les disputaban la posesio n de las llanuras
de Texas y Nuevo Me xico, concertaron tratados de amistad con los
espan oles (enterrando el hacha de la guerra) en 1771 y 1786; al igual que
los semisedentarios navajos, en 1786 y 1805.
Ahora bien, la amenaza u ltima para la supervivencia del Virreinato
de la Nueva Espan a proceda, ma s que de estas marginales tribus indias
independientes, primero de las trece colonias inglesas de la Ame rica del
Norte, y, tras su independencia, declarada en 1776 y reconocida por el
Tratado de Versalles de 1783, de los nacientes Estados Unidos de
Ame rica. Esta nueva nacio n pronto emprendio su expansio n hacia el
sur, en busca de tierras fe rtiles y de una salida al Golfo de Me xico,
favorecida por su mayor poblacio n, sobre todo, con respecto a la
despoblada Luisiana. Mientras tanto, la Corona espan ola, poseedora de
la Florida y de la Luisiana, quera que el Golfo de Me xico fuese
plenamente espan ol, al margen de la amenaza militar y del contrabando
de las Bahamas inglesas. Por otra parte, Inglaterra introdujo la semilla
de la futura discordia entre Espan a y los Estados Unidos al reconocer
a estos u ltimos, en 1783, su derecho a la libre navegacio n por el ro
Mississippi, del que gozaba desde la Paz de Pars de 1763, olvidando
interesadamente que Bernardo de Ga lvez, gobernador de la Luisiana
(1777-1782), durante la guerra haba conquistado ya todo el valle del
Mississippi, junto con otras plazas fuertes brita nicas (Baton Rouge,
Natchez, Mobila, Panzacola), pasando a ser todo e l enteramente espan ol por derecho de conquista. En cualquier caso, para contener la
emigracio n y las ansias expansionistas de los granjeros, comerciantes y
especuladores de tierras establecidos en Kentucky y Tennessee, la
poltica de los sucesivos gobernadores espan oles de la Luisiana (Esteban Rodrguez Miro de 1782 a 1791, Francisco Luis He ctor, baro n de
Carondelet, de 1791 a 1797, y Manuel Gayoso de Lemos desde 1797
hasta 1799) frente a los Estados Unidos fue la de establecer alianzas con
los indios de aquellas tierras, a fin de que sirviesen de antemural de

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defensa. Comprensiblemente, los Estados Unidos desarrollaron una


poltica consistente en destruir esa barrera de alianzas indgenas creada
por Espan a, y asentar sus granjeros en las tierras de aquellos nativos. De
ah que los tratados que se mencionara n a continuacio n, dados sus fines,
no incluyesen en la Luisiana y la Florida las cla usulas comunes en otros
lugares de las Indias, de que los naturales tenan que ser cristianizados,
o de que estaban obligados a reconocerse como vasallos del rey de
Espan a, puesto que era el comercio que les ofrecan los cazadores de
pieles y los granjeros de Kentucky o Tennessee, y con el que tenan que
competir los espan oles- lo que ma s atraa a las tribus creeks o talapuches de los cheroquis, los chacta s y los chicacha s. Dichos tratados
fueron los siguientes: del gobernador interino de Panzacola, teniente
coronel Arturo ONeill, con los talapuches el 14-VI-1781; del gobernador de la Luisiana, Esteban Miro , tambie n con los talapuches, el
1-VI-1784; otro de Miro , en el fuerte de La Mobila, el 23-VI-1784, con
los chicacha s y los alibamones, y con los chacta s el 14-VII-1784; del
gobernador de la plaza de Natchez, Manuel Gayoso de Lemos, en
representacio n del gobernador de la Luisiana, baro n de Carondelet, con
los chicacha s y chacta s, el 14-V-1792; seguido de otro de Gayoso de
Lemos, en el fuerte de Los Nogales, el 28-X-1793, nuevamente con los
chacta s, los chicacha s, los talapuches y los alibamones. Sin embargo, a
la postre, todos estos esfuerzos resultaron inu tiles, ya que Manuel
Godoy, secretario del Despacho de Estado o primer secretario de
Estado y del Despacho (ministro de Asuntos Exteriores) de Carlos IV,
en el Tratado de San Lorenzo de El Escorial de 27 de octubre de 1795,
concedio a los Estados Unidos el derecho de libre navegacio n por el
Mississippi, un depo sito de comercio en la ciudad de Nueva Orleans, y
el territorio comprendido entre los paralelos 31 y 33 de latitud norte,
desde el mencionado ro hasta las fronteras orientales del pas. Ello
supuso anular, de un plumazo, el sistema defensivo espan ol en el
Mississippi, tan concienzudamente erigido por los mencionados gobernadores de la Luisiana, y dejar a las tribus indias aliadas a merced de los
Estados Unidos, traicionando as los tratados de amistad suscritos con
ellas en su da. Era el fin del dominio colonial espan ol en aquellos
parajes. El 1 de octubre de 1800, por el Tratado de San Ildefonso,
Godoy cedio a Napoleo n Bonaparte la provincia de la Luisiana, que
luego vendera a los Estados Unidos, en diciembre de 1803, por un
precio irrisorio, lo mismo que hara Fernando VII, algunos an os
despue s, en 1820, con la Florida Occidental.
Concluye el profesor Levaggi este largo recorrido por la diplomacia
hispano-indgena de las fronteras americanas, del Norte y Sur del
continente, con una breve referencia a las negociaciones de paz llevadas
a cabo, desde la gobernacio n de Panama , con los indios mosquitos o
miskitos de las costas de Honduras, Nicaragua y Costa Rica, que
culminaron en un tratado el 16-VI-1778; y con unas capitulaciones

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similares, igualmente concertadas bajo la amenaza de la presencia e


influencia de los ingleses en aquellas tierras, del arzobispo Antonio
Caballero y Go ngora, virrey de Nueva Granada, con diversas parcialidades indgenas del Darie n (tratado de Tubarco, de 20-VII-1787).
III. Desde las Reales Ordenanzas de nuevos descubrimientos, poblaciones y pacificaciones promulgadas por Felipe II en 1573, el triunfo
total en teora, trabajoso en la pra ctica, segu n quie n, co mo y do nde
se aplicaba de la poltica de penetracio n pacfica en las Indias trajo
consigo importantes consecuencias para aquellos pueblos y tribus
aborgenes que seguan resistie ndose a ser dominados por los espan oles.
Certeramente, el profesor Levaggi, en su sinte tica Conclusio n (pp.
311-313), hace hincapie en el hecho, que ha podido comprobar fundada
y documentalmente tras su exhaustiva investigacio n, de que la Corona
de Espan a reconocio a las comunidades indgenas que vivan allende las
fronteras interiores de la Monarqua en el Nuevo Mundo, y que tenan
cierta consistencia como organizaciones polticas y sociales, la condicio n de sujetos del Derecho de gentes. De este modo, pudo mantener
relaciones diploma ticas con ellas, plasmadas en diversos tratados, paces
y capitulaciones, muchos de ellos escritos, y tambie n otros varios
verbales u orales que por su misma condicio n, difcilmente tenemos
constancia de ellos hoy da . Uno de los principales me ritos del libro
que aqu se comenta es el de que la profusio n de los casos trados a
colacio n permite afirmar, sin temor a equivocarse, que tal poltica de
concertacio n con los pueblos nativos, rebeldes o renuentes a aceptar la
soberana espan ola, no fue ocasional, ni se limito a una frontera o a una
e poca determinada, ni imito los modelos de otras potencias europeas
(salvo el caso, en la Luisiana y la Florida, por las circunstancias aludidas,
de las casi exclusivas cla usulas comerciales introducidas entonces, para
contrarrestar las que incluan en sus tratados los ingleses y los estadounidenses). Por el contrario, al objetivo primario de obtener la amistad
y la alianza de los naturales, se an adio casi constantemente lo que
constituye una peculiaridad distintiva de los tratados espan oles la
pretensio n de que aque llos, tanto los adultos como los nin os, o, al
menos, los segundos, se instruyesen en los principios de la fe cato lica,
y que se congregasen en pueblos, abandonando su ha bitat disperso por
montes y valles, que dificultaba su evangelizacio n y civilizacio n.
Con las Reales Ordenanzas de 1573 se impuso el reconocimiento
de que los derechos mayesta ticos, fundados en los ttulos del descubrimiento, la conquista y la donacio n pontificia, recaan, en las Indias,
sobre el territorio, y no sobre sus habitantes, que tenan libertad plena
para decidir y elegir a su soberano. Era el triunfo, en cierto modo, del
eco de las tesis lascasianas, sobre el fondo de las ma s aceptables, para
la Corona, de Francisco de Vitoria, al tiempo que se pona en pra ctica
la bula Sublimis Deus de Paulo III, expedida el 9 de junio de 1537. En

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esta bula pontificia se haba definido y declarado que los indios deban
ser convertidos pacficamente, puesto que eran seres libres, que no
podan ser esclavizados, pudiendo y debiendo gozar libremente de su
libertad y de sus propiedades. Aunque, con posterioridad, al no haber
sido previamente examinada y autorizada por el Consejo de las Indias,
esta bula de 1537 no tuvo vigencia dentro de la Monarqua Hispa nica,
siendo revocada por un breve del mismo Paulo III, de 19 de junio de
1538, lo cierto es que la Sublimis Deus informo , en la pra ctica, los
principios rectores de las trascendentales Ordenanzas de nuevos descubrimientos, poblaciones y pacificaciones de 1573. En definitiva, desde
entonces, en aquellos territorios que todava no reconocan la soberana
de los reyes de Castilla, que a aquellas alturas del siglo ya eran
u nicamente las llamadas fronteras interiores, la poltica de dominacio n
tuvo que orientarse hacia la procura de unas relaciones amistosas con
aquellos indios rebeldes, que no eran vasallos del rey, puesto que no
haban aceptado ser tales, sino comunidades polticas independientes.
Cierto es que tal poltica de atraccio n por medios no coactivos, en la
pra ctica, estuvo trufada de acciones de fuerza y de campan as militares.
La prohibicio n de la guerra ofensiva no fue respetada siempre, quiza s ni
siquiera frecuentemente, sobre todo, en los primeros decenios de
aplicacio n de dichas Reales Ordenanzas. En cualquier caso, las instrucciones despachadas por el Consejo de Indias, en nombre de los
monarcas, siempre insistieron en la utilizacio n de los medios pacficos
(buen trato, buen ejemplo, y evangelizacio n previa).
La poltica de penetracio n pacfica, y el empleo de su principal
instrumento jurdico, el tratado, es evidente que fue seguida con un
cara cter e impronta de continuidad. Sobre todo, obviamente, en aquellos lugares fronterizos donde se concentraban los indios ma s rebeldes,
y ma s aguerridos: Chile, el Ro de la Plata y la Nueva Espan a. Los
diferentes tratados no poseyeron un contenido rgidamente establecido,
sino que se adaptaron a las circunstancias de cada momento, y de cada
lugar: debilidad o fortaleza de las fuerzas militares espan olas y de las
tribus indgenas; resultado, de diferente signo, de una batalla o de una
serie de escaramuzas o enfrentamientos previos; la amenaza de potencias europeas rivales (Inglaterra, luego los Estados Unidos); la conciencia o conviccio n de que resultaba imposible o, por el contrario,
factible doblegar la resistencia indgena, etc. En cualquier caso, la
reiteracio n de los tratados denota su inobservancia continuada, o, al
menos, su frecuente incumplimiento por parte de los nativos, y, a veces,
de los propios espan oles. Tales rupturas de paz llevaron a que, con el
transcurso de los an os, la Corona estimase que aquellos rebeldes no
constituan comunidades polticas independientes, sino vasallos insumisos, puesto que haban incumplido dichos tratados, en los que
reconocan ma s o menos gene ricamente la soberana de los
monarcas castellanos. En ellos, sus cla usulas ma s habituales fueron, ante

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todo, las de la evangelizacio n y reduccio n a poblados, y, adema s, las


siguientes: la de establecimiento de paz, amistad y alianza entre las
partes; la unio n de ambas partes contra los enemigos comunes; la
delimitacio n de los respectivos territorios; el establecimiento de comisarios espan oles en las comunidades indias, a ttulo, por ejemplo en
Chile, de capitanes de amigos, o de gobernadores, y la aceptacio n de
misioneros, que podran erigir iglesias y conventos; la abstencio n de los
naturales de llevar a cabo malocas o malones; el indulto de los delitos
cometidos en el pasado, el rescate de los prisioneros, la devolucio n de
los fugitivos, y el castigo de los delincuentes, correspondiendo el de los
que fuesen cristianos exclusivamente a las justicias espan olas; la libertad
de comercio, caza y pesca, recibiendo regalos y vveres los indgenas,
etc. Desde luego, ningu n tratado precisa Levaggi contuvo todas
estas cla usulas, siendo unas ma s frecuentes que otras: por ejemplo, la
admisio n del cristianismo se repite en los documentos chilenos, pero
esta ausente en los de la Florida y Luisiana, en los que cobran mayor
importancia las cla usulas econo micas (pp. 312-313).
Los tratados hispano-indgenas posibilitaron el que las fronteras
interiores de la Ame rica Hispana conociesen perodos de paz ma s o
menos prolongados, constituyendo un freno a la violencia, e imponiendo un orden jurdico que el profesor Levaggi estima compatible
con un concepto moderno de comunidad internacional. Desde luego,
como en los suscritos coeta neamente entre las potencias europeas
occidentales, en las Indias hubo tratados desiguales y otros ma s igualitarios, con superioridad espan ola como consecuencia de una victoria
militar o de un inminente ataque que se presagiaba con e xito, o ma s
equilibrados entre las partes, sobre todo, en la frontera chilena en el
XVII o en la de la Florida y la Luisiana a finales del XVIII. No hay que
presuponer una inferioridad en los indgenas a la hora de entablar
conversaciones de paz y relaciones de amistad, ya que, con frecuencia
sus jefes se revelaron pra cticos en el arte de la diplomacia, y capaces de
discutir de igual a igual con los europeos, siempre que las circunstancias
se lo permitieron (p. 313). En definitiva, hay que coincidir a la hora de
constatar la flexibilidad del Derecho Indiano, del Derecho castellano
aplicado en Ame rica, con sus peculiaridades adaptativas, y su capacidad
de produccio n y desarrollo propios (el llamado Derecho Indiano criollo),
que, en unos casos, acogio e impuso relaciones jurdicas de coordinacio n (caso del Derecho concordatario que nos ocupa), y, en otras, en la
mayor parte de los casos, impuso relaciones jurdicas de subordinacio n
(a la inmensa mayora de los indgenas de todos los distritos audienciales, desde los de la Nueva Galicia o Me xico hasta los de Lima o Charcas,
en los Virreinatos de la Nueva Espan a, el Peru , la Nueva Granada o el
Ro de la Plata). Y es que, quiza s disintiendo, so lo parcialmente, del
optimismo del profesor Levaggi, cuando afirma rotundamente que se
construyo un orden jurdico compatible con un concepto moderno de

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comunidad internacional, creo que la poltica de las autoridades espan olas no fue la de considerar, indefinidamente, a las tribus indgenas
rebeldes de sus fronteras interiores como sociedades u organizaciones
polticas independientes.
Entre otras cosas, porque no lo eran. Recordemos las expresivas
palabras del Caballero De Croix, recogidas en el primer texto de la cita
liminar: cada indio era una repu blica libre, integrante de una muchedumbre de ba rbaros dispersos y sin cabeza, incapaces de ponerse de acuerdo,
ni de respetar el sagrado de las capitulaciones. La poltica de penetracio n
pacfica haba sido concebida como un aplazamiento temporal en el
proceso de dominacio n, que se quera gradual por ma s beneficioso, de
los u ltimos pueblos indgenas rebeldes a la autoridad de la Corona
espan ola. De ah la inclusio n en los tratados, siempre que fue posible,
de la cla usulas de evangelizacio n y reduccio n. Una vez cristianizados,
hasta Las Casas admita que, voluntariamente, podan ser considerados
vasallos del rey; y, una vez congregados en pueblos, es decir, convertidos en sedentarios y agricultores, la dependencia econo mica y comercial
les impedira seguir mantenie ndose ni siquiera desearlo independientes. Quien civiliza al menor, al incapaz, al menesteroso, se convierte
en su progenitor, en su tutor, en su patrono, o en su mentor, ma s o
menos indefinidamente. Las Reales Ordenanzas de nuevos descubrimientos, poblaciones y pacificaciones de 1573, que no afectaban para nada a
los territorios adquiridos y a las poblaciones sometidas por la fuerza, y
la conquista militar, que eran la inmensa mayor parte de las Indias para
esas fechas, podan implantar entonces aquella favorable poltica paternalista (caracterstica de la sociedad estamental y corporativa del Antiguo Re gimen). Porque, en efecto, el monarca, pater familias de la
comunidad de pueblos que integraban la Monarqua Universal Hispa nica, poda permitirse ya casi mediado el reinado de Felipe II
dispensar magnanimidad y paciencia a la hora de adquirir nuevas tierras
y hombres, desde su consolidada posicio n de fuerza: aquellos indgenas
fronterizos y extran os, que vivan en los confines del Imperio cristiano,
podan pasar de su desamparada exposicio n a disfrutar de la condicio n
de filiifamilias por adopcio n. Una adoptio que, como la del Derecho
romano cla sico, supona que el adoptado, al quedar bajo la potestas del
paterfamilias, se desligaba de su familia (gens, tribu) originaria para
unirse y someterse, en nombre, agnacio n y religio n, a la del nuevo pater,
en este caso, poltico y soberano. El problema, particular o general,
individual o moral, pu blico o poltico, es siempre el mismo, temporalmente eterno: se le pregunta al menor, y, en su caso, se respeta siempre
su respuesta, si quiere ser adoptado? O sabe siquiera que es la
adopcio n, y que ocurrira cuando despierte cruelmente del suen o de la
infancia?
JOSEu MARIuA VALLEJO GARCIuA-HEVIA

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REALINO MARRA, Capitalismo e anticapitalismo in Max Weber. Storia di


Roma e sociologia del diritto nella genesi dellopera weberiana,
Bologna, Il Mulino, 2002
In Capitalismo e anticapitalismo in Max Weber. Storia di Roma e
sociologia del diritto nella genesi dellopera weberiana, Realino Marra
ricostruisce lorizzonte politico-culturale dellopera di Weber a partire
da una rilettura della Storia agraria romana e piu` in generale degli studi
weberiani sul mondo antico e sulla questione agraria tedesca. Si tratta
di una prima fase dellopera di Weber fino ad anni recenti relativamente
poco studiata, ma di cui e` oggi ampiamente riconosciuta limportanza
per chi vuole avvicinarsi ai temi, agli strumenti e alle tensioni eticopolitiche comuni alla successiva produzione scientifica. Dalla ricerca di
Marra risulta unanalisi approfondita della Storia agraria, che prelude ad
una biografia intellettuale di Weber e al confronto con alcune delle
tematiche piu` complesse e discusse del suo pensiero: lanalisi dello
sviluppo del capitalismo e delle trasformazioni sociali che esso produce,
il liberalismo anomalo di Weber, la sua concezione dellavalutativita`
della conoscenza storico-sociale in sintesi, il tema del rapporto fra
modernita`, liberta` e responsabilita` in Max Weber, qui affrontato a
partire dai motivi romantici, organicistici e storicistici del suo contesto
di formazione.
La prima parte del libro, Capitalismo agrario. Dalle piantagioni
romane alle tenute prussiane, valorizza e sviluppa la tesi, gia` avanzata
da Deininger, della Storia agraria romana come storia agraria tedesca
rovesciata (p. 166). Si tratta di una tesi che Marra argomenta in modo
convincente, attraverso una lettura ravvicinata della produzione scientifica weberiana sul mondo antico e sulla questione agraria tedesca.
Secondo questa ipotesi interpretativa, la principale fonte della Storia
agraria romana e` la storia agraria germanica piu` recente: le vicende della
costituzione agraria germanica offrono a Weber un termine di confronto e una chiave di lettura della storia romana, il punto da cui partire
per delineare un quadro della genesi di uneconomia di tipo capitalistico nel mondo antico. La dissoluzione di unantica costituzione
agraria tendenzialmente egualitaria e cooperativa attraverso la trasformazione dellager publicus in proprieta` privata, la mobilizzazione della
terra (che e` anche mobilizzazione dei contadini e strumento di profonde
trasformazioni sociali) deliberata attraverso riforme legislative, la liberazione delle ricchezze necessarie per lo sviluppo di uneconomia di
tipo capitalistico a vantaggio dei ceti agrari piu` forti, la conseguente
pauperizzazione dei contadini, sono processi che Weber ritrova nel
mondo antico secondo le linee ben leggibili della storia agraria germanica piu` recente. La ricerca di parallelismi con la storia tedesca costringe Weber ad alcune forzature interpretative, prime fra tutte la tesi
che, assimilando le XII Tavole alle riforme liberali nella Prussia del

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1807-1821, vede nelle tavole decemvirali una radicale riforma legislativa, una sorta di rivoluzione liberale nel V secolo a.C.
Marra mostra che la Storia agraria puo` interessare per i suoi limiti,
oltre che per il valore intrinseco. Il valore e` quello di una ricerca di
storia costituzionale romana che espone tesi brillanti, a volte ardite, e
che gia` manifesta a pieno lindipendenza intellettuale del giovane
studioso. Ma motivi di interesse specifico sono anche in quella tensione
al realismo che gia` aveva allontanato Weber dalla dogmatica giuridica
dominante, orientandolo verso la Scuola germanistica e verso lo studio
storico del diritto, e che qui lo porta ad affrontare la storia del diritto
romano attraverso lanalisi complessiva dei rapporti agrari e attraverso
il riferimento costante alla costituzione politica e sociale nelle sue
tendenze evolutive: lo studio della storia economica e sociale si affianca
cos` alla storiografia del diritto, anzi la storia del diritto e` qui soprattutto
uno strumento per interpretare i rapporti regolati dal diritto nella loro
trasformazione; la ricerca diviene in un senso piu` complessa e piu`
concreta, in altro senso piu` astratta e tipizzante, attraverso un metodo
costruttivo che gia` cerca analogie e differenze specifiche per delineare
modelli di trasformazione economica e sociale. La distruzione delleconomia comunitaria, le tavole decemvirali come riforma legislativa che
prelude ad un capitalismo di tipo agrario nel mondo antico, la liberazione della proprieta` fondiaria che gioca in ultima istanza a favore degli
interessi agrari medio-grandi, le tendenze alla burocratizzazione e alla
formazione della signoria fondiaria: linterpretazione fortemente attualizzante della storia romana sembra spingere Weber ai confini di un
ambito disciplinare strettamente storico-giuridico e prefigurare le direzioni della ricerca successiva.
Marra valorizza la Storia agraria come momento significativo nella
genesi del metodo della sociologia comprendente e rileva, a questo
proposito, limpiego dei giudizi di possibilita` teorizzati negli scritti
metodologici (p. 96) ricordiamo, quadri fantastici la cui formulazione e` in primo luogo condizionata dal tipo del nostro interesse
storico , nonche luso di una terminologia, nella descrizione degli
effetti sociali ed economici delle XII Tavole, tratta di peso dalla
legislazione prussiana (p. 73): Weber parla di separazione e riaggregazione dei fondi, di liberazione e mobilizzazione della terra, di
economia individualistica, di liberta` contrattuale, di liberta` di
circolazione, ecc. Marra ritrova, nella storiografia soggettiva, nel modernismo della Storia agraria, linfluenza di Meyer e di Mommsen (pp.
267 ss., p. 290), ma si potrebbe azzardare, con una battuta, che Weber
inizi a fare sociologia proprio facendo cattiva storiografia: non stupisce
la relativa freddezza con cui la comunita` scientifica accoglie una ricerca
pure importante come la Storia agraria romana.
Marra assume questi limiti della Storia agraria romana in quanto
ricerca puramente storiografica come chiave di accesso al contesto della

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formazione di Weber e ai motivi politico-culturali che ne orientano la


ricerca. Attraverso il filo rosso del confronto fra storia romana e realta`
politico-sociale tedesca, dalla Storia agraria emerge unurgenza politica.
La tesi e` suggestiva e sembra convincente: un problema politico, o
etico-politico, animerebbe la prima ricerca di Weber, esprimendosi
nella vocazione al realismo come nelle forzature interpretative, nellampliamento del campo di indagine ai rapporti politici e sociali come nella
tendenza ad uninterpretazione attualizzante. Nei saggi metodologici
Weber scrivera` che la ricerca storico-sociale e` necessariamente filtrata
dagli occhiali del ricercatore, perche levidenza di oggi spiega, per
approssimazione, il meno evidente di ieri, ma anche perche nel meno
evidente di ieri troviamo cio` che ci appare dotato di senso a partire dalle
esperienze e dalle domande di oggi. Nella Storia agraria romana le
lenti della storia germanica sembrano a volte troppo spesse, a volte la
storia tedesca piu` recente surcodifica quella romana: di qui linterrogativo su quale sia la ricerca di senso che anima la Storia agraria, quali le
esperienze e le domande contemporanee che orientano il giovane
ricercatore.
Alla risposta a questordine di interrogativi e, quindi, allindagine
della relazione al valore alla base della ricerca weberiana sul mondo
antico e sulla costituzione agraria, e` dedicata la seconda parte del libro,
Capitalismo e anticapitalismo. Max Weber tra politica e scienza. Qui
Marra propone una ricostruzione del contesto di formazione di Weber
e ritrova influenze e motivi della sua ricerca successiva. Ne emerge un
Weber pienamente collocato nella cultura tedesca dellOttocento, un
Weber che riprende temi del romanticismo politico di Mu ller e dellilluminismo cetuale di Mo ser e che si mostra nel complesso vicino alla
Scuola storica delleconomia, al socialismo di Stato o della cattedra
di Rodbertus, al movimento germanista, al liberalismo moderato e
organico dei funzionari e dei professori prussiani.
Nel romanticismo politico di Adam Mu ller troviamo una critica
alleconomia classica di Adam Smith incentrata sulla sua astrattezza e
mancanza di profondita` storica e sulla distinzione costitutiva fra postulati della teoria economica e interessi della comunita` nazionale, che,
anche attraverso la mediazione della vecchia Scuola storica delleconomia, e` destinata ad influenzare stabilmente lopera di Weber. Secondo
Marra, Weber riprende da Mu ller pure il tema della personalita` e della
separazione della sfera privata, quella dei sentimenti e dei pr`ncipi, da
quella materiale, della professione e degli interessi (p. 210), cioe` una
declinazione del problema dellindividualita` nellepoca della trasformazione capitalistica del mondo. Il punto emerge dallaccostamento degli
scritti di Weber sulle questioni agrarie al vero e proprio manifesto
dellopposizione controrivoluzionaria alle riforme, le Lettere agronomiche di Mu ller (p. 206): la nuova liberta`, la liberta` del mercato, recide
la nobile liberta` cetuale dellobbligazione reciproca di contadino e

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padrone, distruggendo i legami naturali dellamore, della libera sottomissione, della comunita`; dal confronto con Mu ller risulta un Weber
vicino alla sensibilita` romantica, che sulla questione del valore spirituale dellantica costituzione agraria tende alla trasfigurazione degli
oggetti assenti tipica del romanticismo (p. 210).
Marra individua punti di contatto anche con lilluminismo cetuale
di Justus Mo ser, con la sua valorizzazione dei liberi contadini come
espressione piu` autentica del popolo e dei suoi valori e con la sua
immagine ideale dellantica liberta` germanica (p. 196). Attraverso linfluenza di Mo ser e Mu ller emerge cos` un Weber che si confronta
ancora con il problema di una terza via per cos` dire rispettosa
dellidentita` nazionale tedesca, tra lassolutismo da una parte ed il
razionalismo rivoluzionario dellilluminismo francese dallaltra (p.
199). Un Weber che si e` formato assorbendo la critica romantica alle
riforme liberali di inizio secolo e, in generale, alle tendenze riformatrici
dellIlluminismo, e che si mostra sensibile, se non ad unimmagine
organicistica della societa` per ceti, quanto meno ai temi della pubblicistica tradizionalista sulle antiche liberta` dei sassoni e sul carattere
individualistico della rivoluzione francese. Un Weber che fra capitalismo e anticapitalismo propende affettivamente per lanti- o precapitalismo della vecchia costituzione agraria, salvo accettare il capitalismo e le trasformazioni sociali del capitalismo come fatto ormai
irresistibile e orizzonte di senso dellagire politico responsabile. Un
Weber a tratti romanticamente nostalgico della piena umanita` e del
carattere personale delle relazioni personali del vecchio mondo agrario:
per Weber il capitalismo e` invece servitu` senza padrone, dominio
delle leggi impersonali del mercato e dello Stato, sradicamento e
frantumazione dei rapporti tradizionali di solidarieta` organica.
Lopera di Weber sullantica costituzione agraria romana e sulle
questioni agrarie tedesche e` quindi valorizzata come punto di convergenza nientaffatto atipico di liberalismo moderato e romanticismo
politico nella cultura dellOttocento tedesco (pp. 225 ss.). In particolare, la prima ricerca storiografica di Weber e la tensione politica che la
anima sono ricondotte a temi propri del liberalismo organico e moderato prevalente nel nord della Germania un liberalismo di funzionari
e professori, i cui tratti salienti sono linfluenza dello storicismo, la
tradizione delle liberta` germaniche, il contatto diretto o mediato con il
movimento germanista (), la valorizzazione delle comunita` rurali, lo
scetticismo sui diritti, lassenza di qualsiasi pregiudizio liberale nei
confronti dellintervento dello Stato (p. 222). Nel quadro di una
relativa arretratezza del processo di industrializzazione, il liberalismo
della Germania del Vorma rz non e` espressione immediata degli interessi
di una borghesia emergente, quanto piuttosto un orientamento politicoculturale promosso da e lites di intellettuali e funzionari: di qui lorganicismo e lanti-individualismo che caratterizzano alcune espressioni del

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LETTURE

liberalismo tedesco anche nella seconda meta` dellOttocento, quindi


negli anni della formazione di Weber, la loro natura moderata e
continuista, lassenza di riserve in linea di principio nei confronti di un
intervento pubblico in ambito economico e sociale.
A questo punto si impone una domanda non gia` relativa a quali
siano gli elementi genuinamente liberali del pensiero politico di Weber
al di la` del fatto che Weber si considerasse un liberale in anni in cui
questa scelta politica non era scontata. Come Marra giustamente rileva,
non si puo` trattare ne di perimetrare un orientamento cos` composito e
contraddittorio, ne di cercare rassicuranti patenti di legittimita` culturale
per un classico come Max Weber. Piuttosto, si impone linterrogativo,
di gran lunga piu` interessante, relativo alla concezione weberiana della
liberta`. La risposta di Marra e` chiara: liberta` come responsabilita`. Se
Weber, per formazione, fra capitalismo e anticapitalismo, fra liberalismo e solidarieta` organica, fra individualismo e comunita`, originariamente tende allanticapitalismo e al tradizionalismo, laccettazione del
capitalismo e della modernita` nelle opere della maturita` e` frutto di una
scelta eroica o disperata o paradossale: la ricerca della liberta`
proprio nella responsabilita`, la sfida col destino del tempo, la sublimazione del lavoro specialistico, lassolvimento del dovere con passione e
discernimento come unica possibilita` di far valere la propria persona,
la propria vocazione, allinterno della gabbia di acciaio e degli altri
reclusori della modernita` (p. 188). In Weber non troviamo diritti
umani, Stato di diritto, centralita` del mercato e della concorrenza (p.
181); la sua principale preoccupazione non e` la liberta` del singolo (p.
321). Al contrario, la liberta` weberiana e` parte di un ideale antropologico originale, in cui le finalita` humboldtiane di formazione e
sviluppo della personalita` sono riconsiderate, in rapporto alle condizioni imposte dal mondo del capitalismo e degli apparati, alla luce di
unidea di esistenza vicina piuttosto a Kirkegaard, progetto di una vita
inevitabilmente segnato dai dilemmi evocati dalla possibilita` e dalla
scelta (pp. 321-2).
Marra si confronta infine con il problema della Wertfreiheit. La
concezione weberiana della scienza e` individuata come tema fondamentale non solo per correggere interpretazioni che vi ritrovano una presa
di distanza dai motivi culturali e politici propri del contesto di formazione (interpretazioni semplicistiche nella misura in cui risolvono lavalutativita` in una riedizione della fiducia positivistica in una scienza senza
presupposti), ma anche per illustrare questa concezione della liberta`
come responsabilita`: la liberta` di ricerca e di insegnamento, infatti, in
Weber si tradurrebbe immediatamente in unassunzione di responsabilita`. Una vera e propria scelta etica sarebbe alla base dellideale
dellavalutativita`, unesigenza di sobrieta` e compostezza, una massima
deontologica, ma anche lespressione di una vocazione pedagogica
della scienza, che Weber deriverebbe da Theodor Mommsen e che si

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esprimerebbe nellobiettivo di contribuire alleducazione politica della


nazione tedesca: la scienza promuove la chiarezza e il senso di responsabilita`, aiuta a prendere posizione secondo i propri supremi ideali, e
soprattutto costringe il singolo a rendersi conto del significato ultimo
del suo operare; liberi dai valori non vuol dire allora indifferenti ai
valori, bens` imparziali, vigili nei confronti delle ideologie, diffidenti
verso le facili illusioni, disponibili come mai nel passato al mercato delle
idee (p. 303 e p. 301). In questo modo si chiarisce ulteriormente
laffermazione di Marra (e di W. Mommsen e di Hennis), secondo cui
in Weber scienza e politica non sono separate (p. 8).
Il punto e` assolutamente convincente e Marra mostra appunto
come il tema politico sotteso agli studi di storia del diritto romano possa
essere unutile chiave di lettura della ricerca del giovane Weber. Ma, sia
detto per inciso, questo non esclude che Weber forse proprio perche
personalmente percepiva acutamente il conflitto insolubile fra le logiche
interne alla politica e alla scienza con la sua opera pone chiaramente
il problema della separazione strutturale di queste sfere di agire ed
esperire sociale. Ricordiamo: nella modernita`, la politica e` arte di
influire sulla direzione dello Stato, e` arte di Stato governata da una
specifica ragion di Stato; la scienza e`, invece, conoscenza tendenzialmente avalutativa. Entrambe presuppongono la validita` delle proprie
procedure o assumono presupposti di carattere formale o genericamente valutativo. Ma questi presupposti nella modernita` sono distinti.
Nel caso della scienza, per Weber il presupposto (etico o formale?) e`
appunto la tensione verso lavalutativita` della ricerca. La ricerca e`
guidata da un metodo proprio o, quantomeno, da un imperativo
deontologico di opacita` politica sine ira ac studio, ecc. Nel caso della
politica, per Weber limperativo e` invece la vocazione alla potenza dello
Stato. Scienza e politica nella modernita` elaborano una propria legittimita` interna per affermare verita`/decisioni sempre modificabili e rivedibili, in questo senso contingenti: per questo motivo conoscenza
scientifica e decisione politica sono e devono restare strutturalmente
distinte. Alla politica la scienza puo` al piu` offrire la conoscenza dei
mezzi per raggiungere gli scopi che la politica da` a se stessa puo`
offrire la tecnica. Ma dalla scienza e` impossibile derivare una direzione
di senso dellagire politico. Reciprocamente, alla politica e` preclusa una
conoscenza avalutativa. La scienza, se vuole pensarsi come scienza,
non puo` essere una scienza di Stato o dellanti-Stato per Weber i
professori cortigiani e i militanti dellaccademia fanno una cattiva
scienza quando usano la cattedra per lanciare proclami politici. La
scienza non e` politica e la politica e` scienza solo nella misura in cui e`
conoscenza delle forze, degli interessi, dei problemi politici. La consapevolezza dellautonomia e della liberta` reciproca di scienza e politica fa
s` che Weber da liberale si schieri contro ogni tentativo di

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surcodificare la ricerca scientifica dallesterno, sulla base di considerazioni meramente politiche o di opportunita` istituzionale.
Alcune osservazioni conclusive. Nel libro di Marra, lapprofondimento della biografia intellettuale di Weber avviene attraverso una
ricognizione dei temi e dei motivi romantici, organicistici e storicistici
che possono essere rintracciati a partire dalla produzione giovanile.
Demolita limmagine accomodante di un Weber tardo esponente del
liberalismo classico, continuatore duna grande tradizione di pensiero e
al tempo stesso testimone della sua crisi in un mondo in trasformazione (p. 9), il carattere anomalo del liberalismo del Weber maturo
in gran parte si chiarisce e si stempera in considerazione del carattere
anomalo del liberalismo dellOttocento tedesco.
E` convincente la collocazione della formazione di Weber in un
contesto che si rivolge nostalgicamente a certi passi di Tacito sui
germani, un liberalismo che in pieno Ottocento ancora ripensa, trasfigurandole, immagini della cultura e delle istituzioni della societa` per
ceti e del vecchio mondo agrario. Certo, a costruire lidea di una piena
e bella umanita` travolta dal processo di modernizzazione in Weber
contribuiscono non solo la rielaborazione di motivi romantici e di
unimmagine della costituzione agraria tradizionale, ma anche un ideale
goethiano della Bildung, quindi la valorizzazione di una borghesia
mercantile positivamente proiettata al dominio del mondo attraverso
lesperienza concreta della varieta` delle sue forme e del suo divenire. Ma
il punto che merita qui di essere soprattutto sottolineato e` che in Weber
non ce` nessun eudemonismo e, di conseguenza, almeno nellopera della
maturita`, non ce` alcuna tensione verso la felice compattezza immaginata dai contemporanei per il mondo che fu. La condizione moderna
per Weber non e` ne la sazieta` di Abramo, ne il corso organico della
semplice vita contadina, ne il carattere armonico e immediatamente
etico dei rapporti sociali governati dallautorita` delleterno ieri. La
condizione moderna non e` ne la felicita`, ne lintegrazione, ma al
contrario la liberta` e il conflitto, quindi anche sofferenza. La storia delle
religioni mostra cio` che nella modernita` e` evidente: il processo generale
di razionalizzazione ha separato sfere di agire e di pensiero, ha creato
razionalita` specifiche e forme di vita autonome. I conflitti che in
conseguenza di tale separazione si originano sono i dilemmi insolubili
che dilaniano luomo moderno, i demoni che egli non puo` piu` esorcizzare, ma che aprono anche lo spazio della sua liberta` cioe`, per
Weber, lo spazio dellagire responsabile, capace di calcolare i mezzi e di
ponderare i fini.
Laspetto problematico della rilettura di Marra non e` di spingere
linterpretazione dellopera weberiana della maturita` verso la stigmate
per molti versi infamante o forviante di modernismo reazionario. In
realta`, affinita` con quella costellazione di pensiero possono anche essere
presenti e meritare di essere rilevate accanto alle importanti divergenze

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(motivi anticapitalistici e tardo-romantici sopravvivono nellaccettazione tragica della modernita` come sradicamento e dominio della
tecnica; ma ricorderei anche lautomatismo impersonale degli apparati
che si apre alla potenza del carisma nella democrazia plebiscitaria della
societa` di massa). Piuttosto, il punto problematico e` in che misura
lopera della maturita` sia stabilmente impostata dagli orientamenti
politico-culturali del contesto di formazione, in particolare dalla tensione politica che e` possibile rintracciare negli scritti del giovane Weber
sulla storia romana e sulla questione agraria.
Se, ad esempio, e` assolutamente convincente la collocazione della
formazione di Weber in un contesto culturale intriso di storicismo e di
motivi romantici, pure e` opportuno ricordare che la resa dei conti con
lo storicismo e` uno dei punti centrali dei saggi metodologici. Gia` nel
saggio su Roscher e Knies (1903-6) Weber demolisce lo spirito del
popolo, la categoria-feticcio della Scuola storica del diritto e della
Scuola storica delleconomia. Nel libro Dalla comunita` al diritto moderno. La formazione giuridica di Max Weber. 1882-1889, Torino,
Giappichelli, 1992, Realino Marra ha mostrato Weber, studente e
giovane ricercatore, che in reazione allastrattezza e al carattere fortemente costruttivo del metodo giuridico dominante nelle facolta` di
giurisprudenza manifesta unaffinita` elettiva con la Scuola germanistica.
Ma la formazione nellambito della Scuola germanista non gli impedira`,
gia` nel saggio Diritto romano e diritto germanico (1895), di frustare
la non piccola schiera di germanisti da strapazzo, difensori dei prati e
dei boschi nostrani, le cui mene sono quasi altrettanto infruttuose della
filisteistica e francamente ripugnante pedanteria dei puristi della lingua; laffinita` del giovane Weber con la Scuola germanistica non
impedira` al Weber della Sociologia del diritto di ritrovare nel metodo
sistematico della Begriffsjurisprudenz il piu` alto grado di razionalita`
logico-metodologica. Non sembra allora del tutto corretto affermare
che in Weber non ce` un pensiero dello Stato di diritto. Il Weber della
Sociologia del diritto e della Sociologia del potere sembra aver assorbito
la lettura di giuristi come Laband, Gerber, Jehring e Jellinek e in questo
senso troviamo in Weber un pensiero del diritto come ambito compiutamente differenziato dalla politica (e forse ritroviamo anche motivi
hegeliani, ad esempio a proposito dellautocoscienza dello Stato). Insomma, il taglio degli studi agrari non puo` illuminare completamente il
contesto della formazione di Weber, perche esso ospita autori che
Weber conosce ma che non possono emergere nellambito di uno
studio sulla costituzione agraria romana. Soprattutto, il contesto di
formazione non puo` definitivamente risolvere la complessita` della
ricerca weberiana successiva, se non altro perche questa si sviluppa
anche in rottura, se non in polemica, con tale contesto.
Ma proprio per questo unindagine approfondita sulla formazione
di Weber e sulla sua biografia intellettuale offre spunti importanti per

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linterpretazione dellopera complessiva. E` chiaro, ad esempio, che la


metafora minacciosa dello Stato moderno come macchina impersonale
in Weber si riempie di senso nellopposizione con la metafora dello
Stato come organismo vivente e nellopposizione con la societa` contadina come armonico cosmo di valori governato dalla semplicita` dei
bisogni, degli istinti e dei ritmi naturali. Il pregio del lavoro di Marra e`
non solo di sottrarre Weber ad una certa tradizione interpretativa che
ne aveva costretto limmagine entro i confini di un liberalismo classico
di cui Weber sarebbe stato uno degli ultimi esponenti prima della
dittatura nazionalsocialista; il merito e` anche quello di integrare ricostruzioni del pensiero politico di Weber certo ricche e problematiche,
come quella di Wolfgang Mommsen, e che pero` ritrovano in Weber
soprattutto linterprete dei problemi della democrazia di massa e della
Repubblica di Weimar, cos` trascurando quegli elementi del suo pensiero che si lasciano piuttosto ricondurre alla formazione nel contesto
della cultura germanistica, tardo-romantica e organicistica, della seconda meta` dellOttocento. In questo modo Marra si colloca sulla linea
di ricerca inaugurata da Hennis, integrandone e in parte correggendone
i risultati alla luce del carattere composito del liberalismo tedesco e
soprattutto alla luce di temi che Weber mostra di avere gia` assorbito nei
suoi studi giuridici. Lindividuazione dei legami con la cultura organicistica, romantica o genericamente tradizionalistica dellOttocento tedesco offre unimmagine piu` ricca dellambiente politico-culturale di
formazione e quindi anche uno strumento critico importante per avvicinare i motivi che fra continuita` e discontinuita` riemergono
nellopera della maturita`.
GIULIO ITZCOVICH

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A proposito di

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GUSTAVO ZAGREBELSKY

DIRITTO PER: VALORI, PRINCIPI O REGOLE?


(a proposito della dottrina dei principi di Ronald Dworkin) (*)
1. La dottrina dei principi e il positivismo. 2. La disputa sui principi. 3. Adesione,
distinzioni e diversificazioni. 4. Lo status concettuale dei principi di diritto rispetto a
quello dei valori e delle regole. 5. Lo status funzionale dei principi di diritto. 6. La
matrice dei principi. 7. Il contenuto dei principi. 8. Conseguenze e difficolta`.
9. Conclusione: perche difendere una dottrina indifendibile?

1.

La dottrina dei principi e il positivismo.

La materia di questo scritto e` lattacco portato al positivismo


giuridico dalla dottrina dei principi di Ronald Dworkin. La discussione
della questione ha caratteri eminentemente teorici. Cerchero` tuttavia di
mettere a frutto, per qualche considerazione generale, qualcosa dellesperienza di giurisprudenza in pratica che mi e` toccato e mi tocca
di fare come giudice della Corte costituzionale italiana che svolge
quotidianamente il compito di enforce la costituzione, in un sistema
giuridico di tipo europeo-continentale, parzialmente diverso dunque da
quello che fa da sfondo a Taking Rights Seriously, Laws Empire e A
Matter of Principle. Con questo ancoraggio allesperienza, spero che le
valutazioni di questa dottrina risultino fondate non (esclusivamente)
sulle preferenze teoriche e i punti di vista soggettivi di chi le formula,
ma anche sullincontrovertibile argomento dei caratteri obbiettivi e
necessari della pratica giurisprudenziale. La prassi giurisdizionale e`
infatti determinata per una parte dalle inclinazioni soggettive dei giudici; ma per una parte soltanto, poiche esistono condizioni alle quali
non si sfugge, se non al costo di rinunciare addirittura a esercitare la
giurisdizione (1).
La dottrina dei principi di Dworkin, in Italia, circola negli studi di
(*) La versione in lingua inglese del presente saggio e` destinata al fascicolo di
ICON The International Journal of Constitutional Law contenente una discussione con
Ronald Dworkin della sua dottrina della costituzione e della giurisdizione.
(1) Le tre opere di Dworkin ora citate esistono in edizione italiana: rispettivamente I diritti presi sul serio, a cura di G. REBUFFA, Bologna 1982; Limpero del diritto,
a cura di S. FREGA, Milano 1989 e Questioni di principio, a cura di S. MAFFETTONE,
Milano, 1990.

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LETTURE

teoria generale del diritto ma non direi che la giurisprudenza ne sia


influenzata consapevolmente. Inconsapevolmente, pero`, essa e` allopera
almeno per la parte che sara` precisata in seguito e proprio in
questa circostanza si manifesta la sua perspicuita` nellafferrare problemi
reali e nello spiegare teoricamente tendenze effettive dellesercizio
attuale della giurisdizione anche nei sistemi giuridici di tradizione
europeo-continentale, basati prevalentemente su leggi scritte (2).
E` tuttora corrente nel ceto dei giuristi, giudici e avvocati, la
concezione del diritto come insieme di norme di condotta poste dal
legislatore (costituzionale e ordinario) in regime di monopolio, e della
giurisdizione (adjudication) come attivita` logico-deduttiva rivolta allapplicazione della norma obbiettivamente vigente al caso regolato, secondo lo schema del cosiddetto sillogismo normativo e senza alcuna
necessita` di integrazioni extra-legislative. I postulati minimi essenziali
del positivismo legalista un vetero-positivismo, senza dubbio
quale si e` sviluppato sul continente europeo, sono cos` perfettamente
(2) Allesame critico della dottrina dei principi di Dworkin sono dedicati, nella
letteratura in lingua italiana: S. BARTOLE, In margine a Taking Rights Seriously di
Dworkin, in Materiali per una storia della cultura giuridica, X, 1980, pp. 185 ss.; G.
REBUFFA, Costituzionalismo e giusnaturalismo: Ronald Dworkin e la riformulazione del
diritto naturale, ivi, pp. 209 ss.; G.R. CARRIOu , Le opinioni del prof. Dworkin sul
positivismo giuridico, ivi, pp. 143 ss.; A. PINTORE, Norme e principi. Una critica a Dworkin,
Milano 1982; R. GUASTINI, Soluzioni dubbie. Lacune e interpretazione secondo Dworkin,
in Materiali per una storia della cultura giuridica, XII, 1983, p. 454 ss.; B. PASTORE, I
principi ritrovati. Saggio su Ronald Dworkin, Palermo, 1985; P. CHIASSONI, Lantiscetticismo panglossiano di Ronald Dworkin, in Materiali per una storia della cultura
giuridica, XVII, 1987, p. 224 ss.; M. BARBERIS, Il diritto come discorso e come comportamento, Torino, Giappichelli, 1990, pp. 202-211; B. PASTORE, Coerenza e integrita` nella
teoria del ragionamento giuridico di Ronald Dworkin, in Rivista di diritto civile, 1992,
pp. 423 ss.; G. ZACCARIA, Diritto come interpretazione. Sul rapporto tra Ronald Dworkin
e lermeneutica, ibidem, 1994, pp. 303 ss.; A. SCHIAVELLO, Riflessione sulla distinzione
rules/principles nellopera di Ronald Dworkin, in Rivista internazionale di filosofia del
diritto, 1995, pp. 159 ss.; C. BONVECCHIO, La tautologia del dubbio: Riflessioni sul
pensiero di Ronald Dworkin, in Il Politico, 1996, pp. 223-230; I. S. PAPADOPOULOS,
Interpretazione artistica ed ermeneutica giuridica, in Rivista di diritto civile, 1998, pp.
211 ss. (sintesi di Pratiques juridiques interpre tatives et herme neutique litte raire. Variations autour dun the`me de Ronald Dworkin, ed. Yvon Balis, Cowansville, 1998); G.
BONGIOVANNI, Teorie costituzionalistiche del diritto. Morale, diritto e interpretazione in
R. Alexy e R. Dworkin, CLUEB, Bologna, 2000; S. Bozzolo, Neocostituzionalismo e
positivismo giuridico, Torino, Giappichelli, 2001.
Numerosi accenni alla medesima teoria si trovano poi in scritti di impianto
generale, di dottrina del diritto, come G. VOLPE, Il costituzionalismo del Novecento, Bari,
2000, 296 s.; A. CATANIA, Manuale di teoria generale del diritto, Bari, Laterza, 1998, pp.
122-125; P. COMANDUCCI, Su Dworkin, in P. COMANDUCCI e R. GUASTINI (ed.), Lanalisi del
ragionamento giuridico. Materiali ad uso degli studenti, vol. II, Giappichelli, Torino,
1989, pp. 356 ss.
Per terminare questi cenni bibliografici indicativi, si puo` ricordare che la dottrina
di Dworkin e` alla base del capitolo VI (dal titolo: Il diritto per principi) del mio Il
diritto mite, Torino, 1992.

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rispecchiati nella considerazione che i giuristi hanno della propria


attivita`: unautocomprensione che indubitabilmente e` contraddetta
dalla realta` ma che, sfidando levidenza dei fatti, continua ad alimentarsi
per ragioni che meritano di essere esaminate con attenzione particolare
(e lo saranno, per accenni, al termine di queste pagine) (3).
Limpossibilita` pratica di una giurisprudenza dedotta esclusivamente dalla legge non scuote questa convinzione ma alimenta semmai il
risentimento nei confronti del legislatore e la denuncia dei difetti della
legislazione. Resta ferma, infatti, laspirazione razionalistica verso una
giurisprudenza meccanica non creativa, unaspirazione figlia dellesigenza di certezza; unaspirazione che si considera realizzabile se solo e
solo se il legislatore esercitasse bene il suo compito: se per ogni caso
fosse posta una specifica norma, se ogni norma fosse chiara e distinta e
se il suo contenuto si accordasse sempre armoniosamente con quello di
tutte le altre norme che formano il diritto come insieme. E` comprensibile che i caratteri della legislazione sono ben lontani dallessere
questi. Nellodierna inflazione legislativa, infatti, abbondano le norme
lacunose, ambigue, generiche, contraddittorie, irragionevoli e incoerenti e le qualita` auree della legge razionale, la generalita` e lastrattezza,
hanno ceduto il passo alle leggi dettate da interessi particolari e
concreti. Sarebbe cos` dunque il cattivo legislatore a impedire al
giudice di essere un buon giudice, fedele applicatore della legge. Per
essere tale, egli dovrebbe poter maneggiare buone leggi; in mancanza,
invece, e` costretto dalla necessita` a far una parte che non dovrebbe
essere la sua, cercando diversi criteri di decisione per integrare la legge,
correggerla e perfino, in casi estremi, metterla da parte.
La giurisprudenza in teoria, invece, non e` su questa linea. Gli
studi sulla natura del discorso normativo, le indagini sul linguaggio e i
concetti del legislatore e la giurisprudenza analitica hanno anche in
(3) Un luogo comune afferma essere impossibile cogliere con una definizione tutti
gli orientamenti che si definiscono positivisti. Chiunque si richiami al positivismo
giuridico pretende di aderire a una propria versione, maggiormente affinata di quella
originaria risalente a John Austin: il diritto come un comando posto da superiori politici
a inferiori. (The Province of Jurisprudence Determined and the Study of Jurisprudence,
Lesson I (1832), trad. it., Delimitazione del campo della giurisprudenza, Bologna, Il
Mulino, 1995, p. 81). In questo modo, i positivisti si assicurano un argomento preliminare
per ribattere alle critiche: i critici si creerebbero arbitrariamente un falso bersaglio nella
polemica, per poterlo meglio distruggere. Anche Dworkin e` incappato in questa diffusa
contro-critica. Nel testo, mi attengo a quelli che mi paiono gli elementi minimi necessari
di ogni positivismo legalista, dai quali altri derivano, ad esempio lidea del diritto come
fatto e non come valore e della separazione diritto-morale, il rigetto di ogni presupposto
metafisico (dove per fisica si intende la disposizione legislativa), loggettivita` o neutralita`
della conoscenza giuridica, ecc. Naturalmente, lo stesso atteggiamento di autodifesa vale
anche sul fronte opposto, quello del diritto naturale. Nessun giusnaturalista odierno
ammette mai di essere definito con precisione da chi intende criticarlo. Giuspositivisti e
giusnaturalisti odierni manifestano una certa qual tendenza ad occultarsi sfuggendo alle
classificazioni, anche se gli schieramenti militanti risultano facilmente identificabili.

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Italia superato lidea del positivismo delle origini: lidea cioe` del diritto
come insieme di atti di volonta`, perduranti nel tempo, di un legislatore
personale che dispone del potere di comando. Linterpretazione del
diritto e` stata collocata in una dimensione obbiettiva, con la nascosta
aspirazione, risalente nei secoli (JEAN GERSON nel De vita spirituali
animae del 1402 parla del giudice come geometer vel arithmeticus;
Gottfried W. Leibniz mirava a una giurisprudenza more mathematico
demonstata, ma gia` dei giuristi romani si disse che calcolavano con i
concetti giuridici), a gareggiare in esattezza e formalizzazione con le
scienze teoretiche e in primo luogo, per lappunto, con la geometria o
laritmetica. Cos` facendo, sono stati superati gli aspetti piu` rozzi della
concezione imperativa del diritto. Ma, sganciando il diritto dalla
volonta` personalizzata del legislatore, si e` confermata, anzi accentuata,
la centralita` del postulato positivista fondamentale: il diritto come
artefatto, oggettivamente esistente, di fronte al quale il giudice deve
essere un puro e semplice specchio che riflette la realta`, per darne
unimmagine chiara e fedele.
Fermo questo postulato, la giurisprudenza teorica ha pero` rigettato, ha anzi ridicolizzato lidea del giudizio come esclusiva applicazione
della legge, tramite deduzioni relative a fatti sussunti nella descrizione normativa. Lo schema logico del sillogismo normativo non e`
affatto abbandonato, ma da gran tempo ormai si e` fatta strada lidea che
la premessa maggiore (la norma da applicare) non sia quasi mai
integralmente determinata dalla legge e che quindi, per la parte carente,
le decisioni dei giudici contengano elementi creativi ed esprimano
percio` non il diritto ma una politica del diritto. Questa discretion
del giudice (per usare il linguaggio di Dworkin) e` ammessa in linea di
principio e non soltanto come conseguenza del deplorevole stato in cui
versa la legislazione, come fanno i giuristi pratici. E` invece oggetto di
teorie dellinterpretazione e dellapplicazione del diritto che si richiamano per lo piu` a Hans Kelsen o a Herbert Hart, rimanendo percio`
nellambito del positivismo ortodosso, sia pure un positivismo non
ingenuo ma, come si dice, critico.
Per Kelsen, ogni attuazione del diritto e` al tempo stesso, in parte,
applicazione vincolata di norme esistenti e, in altra parte, creazione
discrezionale di norme nuove. Nello sviluppo a gradi dellordine
giuridico, il vincolo inizialmente generico derivante dalla costituzione si
fa via via piu` stringente, fino alla determinazione, in tutto e per tutto
vincolante, dellordine contenuto nella sentenza del giudice o nel
provvedimento dellamministrazione. Le norme giuridiche diventano
progressivamente sempre piu` dettagliate e la discrezionalita` dellinterprete viene parallelamente ridotta, fino a scomparire, man mano che dal
vertice dellordinamento ci si avvicina alla sua applicazione al singolo
caso concreto. Il carattere creativo della giurisprudenza, secondo questo modo di vedere, dipende dal linguaggio utilizzato nei diversi gradi

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di sviluppo dellordinamento giuridico: dipende cioe` strutturalmente


dal diritto stesso. Struttura del diritto e discrezionalita` del giudice si
tengono luna con laltra. Presso i filosofi del diritto di impronta
analitica, particolarmente interessati ai problemi del linguaggio normativo, la spiegazione della discrezionalita` del giudice piu` popolare e`
invece quella di Hart. La radice della discrezionalita` starebbe in ragioni comunicative connesse alla naturale open texture del linguaggio,
in generale, e del linguaggio giuridico, in particolare. Questultimo,
essendo costruito da nozioni di genere, presenterebbe, attorno a un
nucleo linguistico duro al quale il giudice non puo` sfuggire, un alone
di incertezza ai margini. Questo sarebbe il prezzo da pagare alluso di
termini classificatori generali e astratti, un uso inevitabile in ogni forma
di comunicazione riguardante questioni relative a fatti considerati come
classi e non come eventi particolari, storicamente individuati.
Non importa che lindeterminatezza delle norme giuridiche sia
ascritta a ragioni strutturali dellordinamento giuridico, come fa Kelsen,
ovvero a caratteri del linguaggio giuridico, come fa Hart: entrambe le
concezioni convergono nel sostenere (a) lesistenza di una discrezionalita` del giudice che si eserciterebbe (b) dopo le norme poste dal
legislatore, (c) nello spazio che esse lasciano vuoto di diritto.
Queste proposizioni sono combattute dalla dottrina dei principi di
Ronald Dworkin, che possiamo riassumere nelle seguenti proposizioni,
alternative a quelle or ora formulate: (c) puo` esistere uno spazio vuoto
di leggi, ma non di diritto, che si manifesta nei sempre piu` numerosi
casi difficili (per casi difficili si intendano quelli che non si prestano
a essere decisi in applicazione di una regola riconosciuta, essendo
inesistente, non chiara, non del tutto pertinente, contraddittoria rispetto ad altre: con lavvertenza che lordine dei fattori puo` rovesciarsi
e i casi possono iniziare ad apparire difficili, da facili che erano,
quando ragioni di conflitto sociale, ideologico o culturale intorbidano le
acque in cui nuotano le regole e le rendono difficilmente riconoscibili);
(b) questo diritto, consistente in principi giuridici, si colloca prima
delle norme poste dal legislatore e (a) circoscrive, orientandole, le
decisioni dei giudici. Su questa base, lidea della discrezionalita` del
giudice puo` essere contestata ma, per fare questo, occorre una nozione
ampia del diritto, una nozione che trascende i fatti normativi (o, nel
linguaggio europeo, le fonti del diritto, o sources du droit, o
Rechtsquellen) formalmente previsti da cio` che Hart stesso denomina
la norma di riconoscimento o che altri denominano diritto sul
diritto o fonti sulla produzione del diritto. Nel rifiuto di considerare
solo le norme scritte in un pubblico libro di regole ufficiali si manifesta
il carattere antipositivistico di questa dottrina e la sua apertura a uno
strato di diritto piu` profondo di quello posto da qualsivoglia legislatore.
Uno strato piu` profondo, si deve aggiungere, confrontandosi col quale
non tutte le risposte ai problemi giuridici lasciati irrisolti dalla legge

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LETTURE

risultano equivalenti e nel quale, quindi, puo` essere cercata e trovata la


risposta migliore (il che non vuol dire anche la risposta piu` semplice,
chiara e certa) al dubbio del giudice (4).
2.

La disputa sui principi.

Nella dottrina di Ronald Dworkin, i principi occupano una posizione centrale [nel punto b), sopra enunciato]. Di essi si afferma
lappartenenza al campo del diritto e, cio` non di meno, anche una
differenza concettuale rispetto alle regole.
Questi due punti sono difficilmente concepibili congiuntamente da
parte dei positivisti delle regole e, in primo luogo, da parte dei filosofi
analitici. Infatti, essi sono portati a negare o luno o laltro. Considerando la formulazione non analitica dei principi un difetto essenziale
rispetto al compito regolativo delle condotte umane che e` proprio del
diritto, alcuni sono disposti come e` accaduto in Italia per vari anni
dopo lentrata in vigore, nel 1948, di una Costituzione ricca di disposizioni di principio a degradarli, se non a pura retorica costituzionale, a mere affermazioni di ideali o di ideologie, influenti forse nel
dibattito politico ma ininfluenti sullattivita` delle Corti. Considerando i
principi come regole imperfette ma assumendo invece limperfezione
come un difetto perdonabile, altri assimilano i principi alle regole, quali
regole che abbracciano un elevato grado di casi e, negando quindi
lesistenza di una differenza concettuale, assoggettano i principi allo
stesso regime delle regole (per esempio, con riguardo allinterpretazione
e alla soluzione dei casi di collisioni).
Si tratta di atteggiamenti liquidatori inaccettabili che, in omaggio a
(4) Sebbene la dottrina di Dworkin sia formulata esplicitamente per contrastare
la dominante dottrina positivistica, in contrapposizione agli assunti di uno dei pr`ncipi
del positivismo contemporaneo, H. Hart, si e` negata la loro inconciliabilita` sostenendo
che esse trattano, in realta`, di cose diverse (C.S. Nino, Dworkin and Legal Positivism, in
Mind, LXXXIX, 1980, p. 519 ss. e B. PASTORE, Dworkin giusnaturalista?, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, LXI, 1, 1984). Con le parole di L. Prieto Sanchs,
Quattro domande sulla teoria del diritto di Dworkin, in Analisi e diritto 1994. Ricerche di
giurisprudenza analitica, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 277 (il quale afferma al contrario
la contraddizione, insieme a G. CARRIOu , Una reciente propuesta de conciliatio n entre el
iusnaturalismo y el positivismo jurdico, in U. SCARPELLI (ed.), La teoria generale del diritto.
Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, Comunita`, Milano, 1983,
pp. 361 ss.): il positivismo sarebbe un approccio descrittivo, che confida di poter
definire le regole duso della parola diritto mediante criteri puramente fattuali; la teoria
interpretativa difesa da Dworkin, al contrario, sarebbe un approccio normativo, impegnato a mettere in luce le chiavi morali e politiche di un sistema giuridico particolare allo
scopo di facilitarne unapplicazione ottimale. Su questa distinzione, che e` unapplicazione di unaltra distinzione cavallo di battaglia del positivismo , quella tra punto
di vista interno al diritto e punto di vista esterno, si dira` qualcosa successivamente,
al 4.

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concezioni ormai anacronistiche, disconoscono una dimensione essenziale e qualificante il diritto attuale, con riferimento alla quale e` stata
perfino coniata lespressione principialismo giuridico, in antitesi a
normativismo classico (L. Prieto Sanchs). Si e` anzi sostenuto che il
diritto per principi soverchia ormai come una necessita` il diritto per
regole, tutte le volte in cui ci si trovi di fronte a casi controversi.
Quando, rispetto a determinate materie scottanti, si scontrano esigenze di regolazione plurali e punti di vista tutti degni di riconoscimento, il diritto per regole non e` idoneo a governare la complessita` e
soccorre il diritto per principi. Non e` casuale il fatto che esso si sviluppi
particolarmente nelle cosiddette societa` pluraliste e rispetto a questioni
in cui si intrecciano diritti, interessi, ideologie e aspirazioni confliggenti,
legittimati dalle odierne costituzioni rigide del pluralismo (questa e`, per
lappunto, la caratteristica fondamentale degli odierni stati costituzionali: una nozione recente, creata in Europa con lintenzione di riflettere queste caratteristiche, di cui qualcosa si dira` in seguito) (5).
3.

Adesione, distinzioni e diversificazioni.


E` mia convinzione che la dottrina dei principi di Ronald Dworkin
riesca effettivamente a dare un resoconto teorico della realta` del
giudicare e del diritto che essa implica, non solo rispetto agli ordinamenti di common law, in considerazione dei quali e` stata formulata, ma
anche, in generale, rispetto allo stato costituzionale odierno. La
possibilita` di trarre insegnamenti per la comprensione dei caratteri della
giurisdizione in sistemi giuridici originariamente tanto distanti e` il
segno, oltre che del particolare acume che muove quella dottrina,
dellavvicinamento in corso di tali sistemi.
Sono semmai le concezioni positiviste, con la loro chiusura verso la
comprensione o verso la comprensione in termini giuridici di cio` che
non e` formalmente posto in regole, ad alterare la realta` e, contro le loro
pretese di obbiettivita`, ad apparire false coscienze e quindi, in definitiva, ideologie giuridiche.
Vi sono tuttavia parti di questa dottrina dei principi, riguardanti
particolarmente gli aspetti normativi che accompagnano quelli descrittivi, che, se si giustificano con riferimento ai caratteri degli ordinamenti
presi a riferimento dal suo Autore, comprensibilmente pongono pro(5) Lespressione principialismo, in opposizione a normativismo (come sinonimo di diritto costituito da regole), e` usata da L. PRIETO SANCHIuS, Constitucionalismo y
Positivismo, Fontamara, Madrid, 1997, p. 65: un saggio chiarificatore di molte questioni,
il quale prende sul serio la sfida che il diritto per principi porta al positivismo giuridico.
Prieto ritiene giustamente che il positivismo giuridico abbia tuttora delle buone e
permanenti ragioni da giocare, ma aggiungo a condizione di rinunciare a quello
che, per secoli (o millenni: Creonte contro Antigone), e` stato il suo punto di forza:
lancoraggio alla regola posta dal legislatore.

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blemi ed esigono differenziazioni con riguardo a ordinamenti basati su


principi diversi.
In breve: circa lo status concettuale dei principi (a), cioe` la loro
struttura in rapporto alle regole di diritto e circa il loro status funzionale
(b), cioe` le prestazioni al fine del decidere, il consenso mi pare possa
essere assai ampio. Circa la loro matrice (c), una diversificazione e`
necessaria. Circa il contenuto dei principi (d), dove la dottrina di
Dworkin diventa ideologica, il contesto costituzionale italiano, e forse
europeo continentale, impone discorsi diversi.
4.

Lo status concettuale dei principi di diritto rispetto a quello dei valori


e delle regole.

I principi si collocano tra i valori e le regole, quali criteri di azione


o di giudizio. Sullo sfondo della trattazione analitica di queste nozioni,
sono in gioco questioni capitali come il fondamento di legittimita` della
giurisdizione e della giurisdizione costituzionale in particolare; la separazione dei poteri; la democrazia e la concezione del diritto.
a) Valori e principi.
Il valore, in quanto criterio di azione e non soltanto risultato di una
valutazione, e` un bene finale che chiede di realizzarsi attraverso attivita`
teleologicamente orientate (seguo qui Ju rgen Habermas). Esso vale
come autorizzazione allazione o al giudizio diretti al risultato, non
come criterio di azione e di giudizio legittimi. Il criterio di validita`
dellazione o del giudizio e` lefficienza al fine. Ogni mezzo e` autorizzato
in quanto sia funzionale. Il valore-fine giustifica qualunque mezzo e tutti
i mezzi possono, nelle diverse circostanze, essere (spacciati per) utili.
Tra linizio e la fine dellagire per valori, puo` esserci di tutto, perche
il valore copre di se qualsiasi azione e interesse corrispondente. Il piu`
nobile valore puo` giustificare la piu` abietta delle azioni; il dritto puo`
nobilitare il rovescio: la pace, la guerra; la liberta`, gli stermini di massa.
Percio` chi, nel diritto, troppo sbandiera valori e` spesso un lestofante. La
massima dei valori e`: giudica e agisci come ti pare congruo rispetto al
fine che vuoi raggiungere. Lagire e il giudicare per valori sono infatti
refrattari a criteri regolativi e delimitativi oggettivi, non essendo riconducibili a ragioni razionalmente controllabili. Questo punto e` stato
chiarito nel famoso scritto di Ernst Forsthoff su la trasformazione della
legge costituzionale del 1959: i valori, come tali (indipendentemente
quindi dai loro contenuti), sono incompatibili con le esigenze dello
stato di diritto perche contengono implicitamente una propensione
totalitaria ed esprimono unincontenibile e incontrollabile concezione
vitalistica dellesistenza individuale e collettiva. Quando Carl Schmitt

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nel 1967 scriveva della tirannia dei valori, intendeva non solo indicare
esangui fantasmi, in lotta per porsi come lunico supremo tiranno, ma
anche denunciare luso illimitato, non mediato da alcun potere oggettivo, di qualsiasi mezzo per (farli) prevalere (6).
Il principio, al contrario, e` un bene iniziale che chiede di realizzarsi
attraverso attivita` conseguenzialmente orientate. Esso ha contenuto
normativo rispetto allazione o al giudizio. Il criterio di validita` dellazione e del giudizio e` la riconducibilita` logica al principio. Lagire e
il giudicare per principi sono intrinsecamente regolati e delimitati dal
principio medesimo di cui sono conseguenza: ex principiis derivationes.
La massima del principio e`: agisci in ogni situazione concreta che ti si
presenta in modo che nella tua azione si trovi allopera un riflesso del
principio stesso. E` come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le
circostanze concrete della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno
dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio
e lazione ce` un calcolo di adeguatezza nel caso concreto che rende la
seconda prevedibile, almeno nella sua direzione. I principi ben possono
attecchire nello stato di diritto; anzi, la nozione stessa di stato di diritto
e` la sintesi di numerosi principi che esprimono una concezione moderata e razionale dellesistenza individuale e collettiva.
Valore e principio sono dunque nozioni per diversi aspetti antitetiche. Eppure hanno pero` in comune il nucleo: entrambi si riferiscono
a beni, come ad esempio, la persona umana, la vita, la natura, la cultura,
larte, oppure la sicurezza, lespansione economica, il benessere, la
potenza dello stato, la nazione e perfino la razza. Cio` spiega la confusione dei due concetti, luso quasi sempre promiscuo dei due termini e
la critica che spesso viene impropriamente rivolta al secondo (il principio) con argomenti propriamente riferibili al primo (il valore).
Riguardando entrambi beni, anzi spesso gli stessi beni, questi
possono essere incorporati in proposizioni di valore o in proposizioni di
principio, sia pure con formule non coincidenti. I valori (positivi o
negativi) si esprimono attraverso predicati che fanno appello allagire
sentito soggettivamente (buono o cattivo; giusto o ingiusto, utile o
inutile); i principi, attraverso predicati orientati alla prassi che fanno
appello allagire ragionato obbiettivamente (intangibile, inviolabile,
responsabile, punibile, ecc.) e anche in questa differenza espressiva si
(6) I riferimenti contenuti in questo capoverso sono a E. FORSTHOFF, Das Umbildung des Verfassungsgesetzes, in Festschrift fu r Carl Schmitt, 1959, pp. 35 ss.; ID., Zur
Problematik des Verfassungsauslegung, in Beitra ge zum o ffentlichen Recht, Bd. 7, Stutt berlegungen eines Juristen zur Wertgart 1961; C. SCHMITT, Die Tyrannie der Werte. U
Philosophie, Stuttgart 1960, pp. 16 ss.; J. HABERMAS, Faktizita t und Geltung, Suhrkamp,
Frankfurt a. Main, 1992, pp. 309 ss. (trad. it., Fatti e norme, Guerini, Milano, 1996, pp.
302 ss.). Una trattazione dei medesimi temi in J.J. GOMES CANOTILHO, Conctituic a o
dirigente e vinculac a o do legislator. Contributo para a comprensa o das normas constitucionais programa ticas, Coimbra ed., 1982, pp. 279 ss.

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manifesta la radicale differenza. In sintesi: un ethos nietzscheiano, nel


primo caso; kantiano, nel secondo.
E tuttavia, sotto un altro aspetto e` ben vero che si tratta di una
differenza sottile e, soprattutto, che lo stesso bene puo` essere trattato
come valore o come principio, con esiti diametralmente opposti. Ad
esempio, il richiamo al bene della vita, come valore, vale per i fanatici a
giustificare le azioni violente contro le e quipes mediche delle cliniche
che operano aborti; la protezione della vita come principio, invece, apre
la discussione sulle conseguenze che razionalmente il principio implica
rispetto a un fatto come linterruzione volontaria della gravidanza, nelle
diverse circostanze della vita in cui puo` presentarsi come possibilita` o
necessita`. Molte delle critiche rivolte alla giurisprudenza per valori
non si dovrebbero applicare alla giurisprudenza per principi. Il fatto
che cio` accada, si spiega o in base allimproprio scambio tra principi e
valori o in base allindebita confusione dei primi con i secondi.
b) Principi e regole.
Principi e regole valgono a orientare azioni e decisioni in circostanze determinate ma cambia il carattere dellorientamento che ne
deriva. Le regole, secondo la formula ormai celebre di Dworkin,
valgono nella logica del o-tutto-o-niente: esse sono immediatamente
cogenti e o le si rispetta integralmente o le si viola altrettanto integralmente. Dati certi fatti che esse prevedono ne devono derivare le
conseguenze predeterminate. E`, in altri termini, il modello di regola
giuridica che Hans Kelsen esprime con laltrettanto celebre formula
imperativa ipotetica: se e` a, deve essere b, senza margini di discussione.
I principi operano in modo diverso. Essi non indicano conseguenze
giuridiche che devono seguire necessariamente quando si diano le
condizioni previste ma, come assiomi dellordine giuridico, affermano
una ragione che, nei casi che chiamano in causa il principio, spinge in
una direzione, senza indicare precisamente verso quale specifica azione
o decisione. Se un certo principio fa parte di un certo sistema giuridico,
e` necessario che lo si prenda in considerazione come criterio dellagire
o del decidere, ma non sappiamo ancora quale sara` lazione o la
decisione che ne derivera`, anche se possiamo prevedere con quale linea
argomentativa le si giustifichera`.
I principi, come le regole, sono norme, perche imprimono un
orientamento allazione o alla decisione (adotto qui la terminologia di R.
Alexy: norme, termine di genere; principi e regole, termini di specie). I
principi tuttavia, a differenza delle regole, sono norme senza fattispecie
(o determinazione del fatto: Tatbestand) predeterminata e a prescrizione generica. Non sono di per se esprimibili nella formula dellimperativo ipotetico di Kelsen. Posta ad esempio la tutela della dignita`
personale (art. 2 e 3 della Costituzione italiana) come principio, non si

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dice in quali circostanze, in presenza di quali comportamenti, si deve


ritenere che essa sia in pericolo o violata, e dunque se e quali misure
conseguenti di protezione debbano essere messe in atto. La legge che
impone agli immigrati da Paesi extraeuropei di depositare la loro
impronta digitale agli uffici di polizia viola la loro dignita`? Deve dunque
essere annullata? Oppure, posto il principio di inviolabilita` della liberta`
personale (art. 13 della Costituzione), recarsi allo stadio per assistere a
una partita di football rientra nel concetto di quella liberta` e la misura
con la quale la polizia vieta la frequentazione degli stadi di calcio ai
tifosi violenti e` una limitazione rilevante? Se s` (come ha ritenuto la
Corte costituzionale), essa deve essere presa con le garanzie che la
Costituzione impone per le limitazioni della liberta` personale (7).
Il principio non e` semplicemente una regola molto generale. Se cos`
fosse, avrebbero ragione i positivisti che riducono le norme giuridiche
a regole. Da questo punto di vista, non tutti gli esempi di principi che
vengono addotti sembrano percio` pertinenti. Dworkin ragiona sulla
proposizione secondo cui nessuno deve poter trarre vantaggio giuridico
(per esempio, ereditando) da un proprio illecito (per esempio, lomicidio del de cuius), un principio di civilta` giuridica che vale in tutti gli
ordinamenti e che anche la Corte costituzionale ha espressamente
affermato in una sentenza del 1995, in tema di condono di illeciti edilizi.
Un simile principio puo` fornire argomento a favore di coloro che
negano lesistenza di quella differenza concettuale tra principi e regole
che Dworkin va cercando e su cui basa la sua dottrina della adjudication. Il vero principio che sorregge questo sedicente principio potrebbe esprimersi cos`: il diritto non puo` consentire che si traggano
vantaggi da azioni riprovevoli. Se la proposizione: nessuno deve poter
trarre vantaggio giuridico da un proprio illecito fosse un principio,
allora i principi sarebbero soltanto regole molto generali. Tale proposizione infatti contiene sinteticamente una somma di regole semplici,
corrispondenti al numero di atti definiti illeciti in un certo sistema
giuridico e ai beni della vita oggetto di protezione giuridica come diritti,
pretese e interessi legittimi. La circostanza, poi, che quella proposizione
sia in certi casi smentita da regole diverse (ad esempio, quella che
riconosce lacquisto della proprieta` per usucapione a vantaggio del
possessore anche in mala fede), non significa affatto chessa non sia una
regola. E` una regola generale che cede il passo a una regola speciale,
secondo la massima lex specialis derogat generali.
La differenza logica che interessa dal punto di vista pratico e`
questa. Affinche il principio possa operare effettivamente, si richiede la
sua concretizzazione, cioe` la sua riduzione a una formula che contenga una fattispecie riferibile a un accadimento storico e la conse(7) Il riferimento alla terminologia di R. ALEXY riguarda il III capitolo, 1 (Regeln
und Prinzipien) di Theorie der Grundrechte, Baden-Baden, 1985, p. 71 ss.

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guenza che ne deve derivare. La concretizzazione del principio avviene


a opera o del legislatore per mezzo di una regola che guarda agli
accadimenti futuri, o dal giudice per mezzo di una decisione che guarda
agli accadimenti passati. In determinate materie, questa seconda ipotesi
viene espressamente esclusa. E` il caso, normalmente, del diritto penale
dove si preferisce che sia sempre il legislatore tramite regole preventive
e il piu` possibile certe a prevedere reati e pene. Ma, al di la` di questa
eccezione, regole e principi operano spesso congiuntamente o parallelamente.
Parlare (a) di interpretazione del principio (da parte del legislatore
o del giudice) o (b) di creazione di nuovo diritto (legislativo o giurisprudenziale) con riguardo alla concretizzazione dei principi sarebbe
improprio.
(a) Non e` interpretazione nel senso in cui questo termine e`
impiegato dai giuristi , perche le formule che esprimono i principi
giuridici contengono ben poco da interpretare. Esse sono spesso espressioni basate su sempre nuove ricezioni di terza o quarta mano (Rudolf
Smend), ma non per questo meno venerabili, che richiamano tradizioni
storiche (ad es., lhabeas corpus) o contesti filosofici di significato (ad es.,
la persona umana) che, piu` che essere interpretate attraverso lanalisi
del linguaggio contenuto in un testo, come e` per le regole, devono
essere intese nel loro ethos. Tante volte e` stato ormai notato che il diritto
per principi ne comporta inevitabilmente una eticizzazione. Percio`, si
puo` dire in breve che, mentre alle regole si ubbidisce, ai principi si
aderisce.
(b) La concretizzazione del principio non e` nemmeno creazione di
diritto nuovo, nel senso di una estensione del campo di azione del
diritto a materie, rapporti, situazioni nuove. Il caso ricade gia` sotto il
diritto. In presenza di un principio pertinente, il giudice non puo`
trincerarsi dietro la carenza di diritto per rigettare una domanda per
irrilevanza giuridica. Egli deve invece ragionare costruttivamente sul
caso, alla luce del principio, e da qui dare una risposta. Non sara` un
ragionamento sillogistico, ma un ragionamento non formalizzabile, fatto
di inferenze e deduzioni di varia natura. Ma sarebbe una forzatura dire
che i principi sono regole incomplete, cioe` regole difettose, come se
lideale sistema giuridico dovesse ritenersi quello composto da sole
regole. In realta` principi e regole sono modi di normazione che
sollecitano diversi atteggiamenti pratici. Se lordinamento giuridico
fosse composto solo di regole, sarebbe un orario ferroviario e i giuristi
sarebbero manovratori di scambi nei tempi e luoghi stabiliti. Per
fortuna, il diritto non corrisponde a questideale dei positivisti delle
regole e il lavoro dei giudici e dei giuristi non e` quello di un impiegato
delle ferrovie.

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c) Valori, principi e regole.


E` possibile collocare regola, principio e valore in una sequenza di
inferenze. La regola che vieta la tortura presuppone il principio dellintangibilita` della dignita` della persona e questultimo rinvia alla persona
umana come valore. La regola che punisce il sequestro di persona
presuppone il principio dellinviolabilita` della liberta` personale e cio`
rinvia alla liberta` come valore. La regola che stabilisce una pena per
lomicida, rimanda al principio dellindisponibilita` della vita umana da
parte di altri esseri umani e questo principio rinvia alla vita come valore.
La regola che prescrive la punizione del ladro presuppone il principio
della garanzia della proprieta` che a sua volta rinvia alla proprieta` come
valore. Anche per le regole apparentemente solo tecniche, come quelle
della circolazione del traffico automobilistico un topos in queste
discussioni si puo` ripetere la stessa cosa. La regola che impone il lato
destro (o, eventualmente, il sinistro) nella circolazione delle automobili
presuppone il principio della necessaria disciplina uniforme del traffico,
in vista dellincolumita` delle persone come valore.
In astratto, si puo` dire che non ce` regola che non risponda a un
principio e non ce` principio che non si colleghi a un valore. Il principio
e` il medium nel quale troviamo unapertura morale al valore e
unapertura pratica alla regola.
In concreto cioe` in relazione a una particolare situazione storica
di un ordinamento giuridico si puo` determinare la rottura di questa
catena: per esempio, un regola puo` contraddire un principio vigente o
potrebbe non esserci principio che la giustifichi, oppure un principio
potrebbe essere incompatibile con valori vigenti. In questi casi, la regola
e` priva di giustificazione e, ancor prima che incostituzionale (quando
esista una norma della Costituzione che incorpora il principio o il valore
violati), e` intrinsecamente irragionevole, arbitraria, o manifestamente
ingiusta: tutte espressioni che si rinvengono in sentenze della Corte
costituzionale italiana che non esita, per questo motivo, ad annullare la
legge che la contiene. Il che sta a dire che il nesso di congruenza tra
valori-principi-regole e` costitutivo della validita` del diritto, e` un assioma
che precede addirittura il diritto costituzionale posto; e` qualcosa che
viene prima dello stesso potere di fare una costituzione. Questa puo` fare
molte cose ma non disporre lassurdo, affermando contemporaneamente che una norma e` arbitraria e cio` non di meno e` valida (R.
Alexy) (8).
Il positivismo delle regole pretende di oscurare questi legami
fondativi materiali o contenutistici del diritto. Vorrebbe il giudice posto
esclusivamente di fronte alla regola, tenuto ad applicarla per lesclusivo
(8) Il riferimento e` ai saggi di ROBERT ALEXY, Begriff und Geltung des Rechts,
(1992), trad. it., Concetto e validita` del diritto, Torino, Einaudi, 1997 e On Necessary
Relations Between Law and Morality, in Ratio Juris, 1989, pp. 167 ss.

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LETTURE

fatto di essere stata prodotta secondo unaltra regola di riconoscimento.


Il tentativo di assimilare linvalidita` materiale delle leggi allinvalidita`
formale, tentativo che della normologia positiva di Hans Kelsen
costituisce un dato caratteristico e sorprendente per chi non riduce il
diritto a regola, si spiega per le implicazioni che la dimensione materiale
della validita` del diritto comporta. E, allo stesso modo, si spiega la
disponibilita` a riconoscere al giudice stesso, in caso di ambiguita` delle
regole positive, un potere discrezionale che egli puo` riempire liberamente, cioe` arbitrariamente: risultato paradossale e schizofrenico per
una dottrina che, in origine, mirava a ridurre la giurisprudenza a
funzione meccanica e i giudici a burocrati.
Il positivismo e` cos` costretto a smentire le sue stesse premesse per
non volere rinunciare a ignorare questa dimensione pre-positiva del
diritto che esso considera una dimensione morale, tale da intorbidare
le acque in cui opera la scienza del diritto e contraddire lesigenza
politica e culturale che sta allorigine stessa delle sue formulazioni:lesigenza che gia` John Austin indicava con le parole distinguere le leggi
umane propriamente dette da quelle che impropriamente sono dette le
leggi della moralita` positiva; lesigenza di distinguere, ad esempio, il
giudice dal confessore o il delinquente dal peccatore. Questa necessita`
di distinzione e` il cavallo di battaglia del positivismo e la sua affermazione teorica e` il suo maggiore titolo di merito. Ma non e` affatto detto
indipendentemente da quello che alcuni passi di Dworkin stesso
possono indurre a credere che la critica al positivismo faccia
precipitare in questa pericolosa commistione. Come si dira` ( 6), la
dottrina dei principi non e` ne un tentativo di moralizzazione del
diritto ne di legalizzazione della morale, secondo unaccusa corrente
ma piuttosto un tentativo di stabilire un ponte tra diritto e cultura (9).
5. Lo status funzionale dei principi di diritto.
Dal o-tutto-o-niente, che caratterizza le regole, deriva che esse
pretendono di valere assolutamente. I principi, invece, possiedono un
carattere diverso, avendo un peso, unimportanza che deriva loro dal
valore di cui sono espressione. In piu`, essendo beni che pretendono di
essere realizzati, difesi, promossi, ecc., sono sottoposti alla logica del
possibile. Tra i condizionamenti che derivano dalla possibilita`, ce`
lesistenza di altri principi confliggenti, con i quali si devono determinare rapporti combinatori che necessariamente richiedono una reciproca relativizzazione. I principi si relativizzano, senza con questo
cessare di essere principi validi. Le regole, al contrario, o sono integralmente applicate o sono violate: non esiste una via di mezzo. Nella
(9) Laccusa di moralizzazione del diritto e legalizzazione della morale e`, per
esempio, in L. PRIETO SANCHIuS, Quattro domande, cit., p. 287.

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dottrina di Dworkin questo punto cruciale e` messo in risalto e costituisce una spiegazione del successo del diritto per principi.
Le nostre societa` non si accontentano di principi semplici che
possano produrre non problematicamente un diritto per regole. Sono
societa` complesse anche dal punto di vista dei propri postulati morali.
Essi si traducono in assiomi giuridici plurimi e perfino confliggenti. E`
difficile che i principi possano produrre regole unilateralmente ispirate.
Anche se il peso dei singoli ingredienti, per ciascuno di noi, puo`
essere diverso a seconda delle nostre propensioni ideali, tutti (o molti di
noi) vogliamo (o vogliono) una societa` libera, ma anche le riforme
sociali; luguaglianza di fronte alla legge, ma anche luguaglianza rispetto a determinate situazioni di base; quindi norme giuridiche generali ma anche particolari; diritti negativi di protezione contro le interferenze di poteri pubblici e privati, ma anche diritti positivi a
prestazioni di tali poteri; i diritti degli individui, ma anche quelli dei
gruppi; la coscienza con le sue pretese (per esempio, alluso delle risorse
offerte dalla biotecnologia in materia di procreazione assistita, o al
suicidio assistito-eutanasia), ma anche la stabilita` delle strutture sociali
e la protezione dei soggetti deboli; la difesa delle identita` collettive,
come quelle nazionali, ma anche la propensione a integrare senza
distruggere identita` culturali diverse; la protezione di forme di vita
sociale santificate dalla tradizione (anche al di la` della loro ridotta
funzione economico-sociale), come la famiglia, ma anche il riconoscimento di altri modi di convivenza; la valorizzazione delle energie
materiali e spirituali degli individui ma anche la protezione dalla loro
forza distruttrice dei beni collettivi, come quelli naturali; il rigore
nellapplicazione della legge ma anche la pieta` nei confronti delle sue
conseguenze piu` rigide; la responsabilita` individuale nella costruzione
della propria esistenza ma anche lintervento collettivo a sostegno dei
piu` deboli, lordine ma anche la spontaneita` sociali, ecc. ecc. Non credo
che in queste simultaneita` possano vedersi sintomi di disordine morale, come vorrebbero i fautori di unetica pubblica forte per comunita`
umane ben temprate (ad esempio, A. MacIntyre). Ci vedrei piuttosto
linfluenza di una ricca storia millenaria sullo spirito degli individui e
delle societa` che cerca di esprimersi coerentemente nei modi di organizzare la convivenza tra gli esseri umani. In ogni caso, si tratta di dati
di fatto che possono essere rifiutati ideologicamente ma che, se li si
volesse rifiutare anche praticamente, richiederebbero politiche del diritto unilateralmente semplificatrici e percio` autoritarie (10).
I principi giuridici, con la loro flessibile capacita` di interagire tra
loro, adempiono a quella funzione integratrice che le regole, data la loro
logica di reciproca esclusione, non possiedono. Essi sono la forma in cui
(10) Il riferimento e` ad A. MACINTYRE, After Virtue. A Study in Moral Theory
(1981), trad. it., Dopo la virtu`. Saggio di teoria morale, Milano, Feltrinelli2, 1993, 22-23.

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LETTURE

si esprimono giuridicamente le societa` plurali del nostro tempo, le


societa` organizzate nelle forme dello stato costituzionale. I principi
appartengono allo stato costituzionale e lo stato costituzionale non puo`
fare a meno dei principi. Anzi: perfino norme costituzionali formulate
come regole sono spesso intese, nelle giurisprudenze delle Corti costituzionali, come principi, attraverso limplicita loro relativizzazione ottenuta interpretandole nella logica del ragionevolmente possibile.
Lespressione stato costituzionale non indica solo il dato esteriore dellesistenza di una Carta fondamentale dotata di forza giuridica
maggiore di quella riconosciuta alle comuni leggi del Parlamento; e
nemmeno solo la presenza di un sistema di garanzie, esercitate dai
giudici o da una Corte costituzionale ad hoc, contro le deliberazioni
politiche contrarie alla Costituzione. Di queste Carte e di queste
garanzie si avverte lesigenza nelle condizioni storico-sociali in cui
ununita` sociale non e` data ma e` problematica e laccentuata distanza
politica, economica e culturale delle componenti della societa` richiede
di essere riconosciuta e garantita costituzionalmente contro la forza
della maggioranza. I principi costituzionali e la loro pluralita` riflettono
questa situazione storica. Essi non producono ununita` staticamente
realizzata, ma ununita` da realizzarsi dinamicamente. I principi entrano
in gioco attraverso le loro possibilita` combinatorie e la scienza giuridica
e` sfidata a un compito la pratica concordanza delle discordanze
(per usare unespressione di K. Hesse (11) che richiede strumenti
concettuali duttili, inusuali presso i giuristi abituati alle categorie del
positivismo giuridico (quelli che E. Denninger denomina gli Schlu sselbegriffe (12), tra i quali principalmente il bilanciamento. E i
principi, non le regole, si prestano a essere messi sui piatti della bilancia
e cio` ne spiega il successo nel diritto del nostro tempo.
Lesperienza della Corte costituzionale italiana su questo punto e`
significativa soltanto per il dato quantitativo, cioe` per leccezionale
diffusione di queste tecniche di decisione. Su di esse continua pero` ad
aleggiare unaura di sospetto, anche presso numerosi giudici costituzionali. Essi hanno quasi limpressione di un abuso, di un compito
improprio che travalica nella politica. I problemi certamente non
mancano, come si dira` piu` avanti. Ma la pratica del diritto ha le sue
esigenze inevitabili e, nellordinamento costituzionale attuale, non esiste
alternativa a questa pratica, in particolare non esiste la possibilita` di un
ritorno a una giurisprudenza esclusivamente per regole. Questultima
comporterebbe unamputazione arbitraria di parti della Costituzione,
quando essa deve invece sempre valere come intero.
Basti qualche esempio di principi in contrasto che in quel modo
(11) K. HESSE, Grundzu ge des Verfassungsrechts der Bundesrepublik Deutschland,
13 ed., Heidelberg, 1982, pp. 127 ss.
(12) E. DENNINGER, Verfassungsrechtliche Schlu sselbegriffe, in Festschrift fu r Rudolf
Wassermann, Frankfurt a. Main, 1985, pp. 279-298.

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LETTURE

hanno dovuto essere messi in accordo: luguaglianza tra i coniugi e la


garanzia dellunita` della famiglia, nel caso della punizione delladulterio
della moglie; la certezza degli status personali e laccertabilita` della
paternita` e maternita` naturali; la tutela della salute della donna e della
vita del nascituro, nel caso dellaborto; la liberta` dimpresa e la tutela
del consumatore; la proprieta` privata e i diritti dei soggetti deboli, come
i coltivatori della terra o i locatori di appartamenti; la liberta` di
organizzazione dellimpresa e il diritto al lavoro di soggetti handicappati, di cui e` obbligatoria lassunzione in quote prestabilite; la garanzia
della difesa nel processo e la funzionalita` del processo stesso, rispetto ai
suoi fini; la liberta` di cronaca e la dignita` della persona; la tutela della
privacy e le intercettazioni di comunicazioni disposte per la prevenzione
e la repressione dei reati; il pluralismo dei media e la garanzia del diritto
dimpresa.
6.

La matrice dei principi.

Gli argomenti di principio non sono sconosciuti ai giuristi del


legalismo positivo. Essi sanno di non decidere sempre e soltanto sulla
base di regole espressamente poste. Fanno infatti ricorso ai principi
generali del diritto, qualora un caso da decidere non ricada nella
previsione di una specifica regola, nel caso cioe` di lacuna della legge.
In questa prospettiva, lordinamento italiano (art. 12 delle disposizioni
anteposte al codice civile) prevede che se la soluzione di un caso e`
dubbia, si decide secondo i principi generali dellordinamento giuridico, con la precisazione voluta per escludere le seduzioni dello ius
naturale: ordinamento giuridico dello stato. Questa eventualita` non
contraddice i postulati del positivismo giuridico: i principi in questione
si considerano essere norme implicite, esistenti allo stato latente. La loro
premessa e` la razionalita` e la coerenza del legislatore, il quale per
definizione procede dai principi traendone norme e apponendo su
di esse un sigillo. Gli interpreti, dallosservazione degli elementi
comuni delle singole regole, possono ricostruirli attraverso linferenza
dallinsieme delle regole particolari. Il legislatore deduce, linterprete
induce. Questi principi del diritto sono lespressione dellunita` logica
dellordinamento e questa unita` e` concepita come un dato di fatto che
si puo` riconoscere senza nulla creare, semplicemente mettendo a nudo
la razionalita` immanente al sistema. Questo tipo di principi generali del
diritto e` bens` dotato come si e` detto con una formula che ha avuto
fortuna, forse proprio per il suo carattere allusivo e poco analitico di
una eccedenza normativa, essendo capace di estendere i confini del
diritto, ma e` sempre e comunque un prodotto di risulta, non un dato
originario (13).
(13)

La citazione testuale sul sigillo del legislatore e` da R. SACCO, I principi

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LETTURE

Questo modo di concepire i principi poteva valere nei sistemi


giuridici di societa` semplici o semplificate: le societa` liberali del XIX
secolo o quelle autoritarie del XX (il codice civile italiano e` ancora
quello emanato nel 1942). Non vale allo stesso modo oggi. Linterprete
che si avventuri alla ricerca dei principi giuridici di coerenza rischia di
trovarsi di fronte alle contraddizioni del conflitto politico tradotte in
norme legislative farraginose, incoerenti e instabili.
In questo contesto, i principi, che un tempo svolgevano un compito
riassuntivo dellunita` logica dellordinamento giuridico, sono chiamati
ora a svolgere un compito costitutivo dellunita`, per cos` dire, dialogica
del diritto delle societa` complesse, rette nelle forme dello stato costituzionale. Per questo motivo, essi non possono essere fatti derivare
interpretativamente dalle regole, dovendo avere una loro autonoma
origine e validita`.
I principi, che svolgono per cos` dire una funzione principiante,
oggi sono principi espliciti e la loro sede naturale, negli stati costituzionali, e`, per i motivi detti a proposito di questa forma di stato, la
Costituzione stessa. LItalia ne e` un esempio, con la sua costituzione
pluralista, ricca di disposizioni di principio. I principi costituzionali,
come forza costitutiva dellordinamento, non sono piu` chiamati in causa
solo quando un caso e` dubbio; quando cioe`, in assenza di una regola,
si verifica una lacuna. Essi operano sempre, anche in presenza di regole,
o come criterio della loro validita` o, fin dove e` possibile, quali forze
strutturali dellordinamento, attraverso lorientamento espresso dal loro
significato, per mezzo di quella che si denomina interpretazione
adeguatrice (nella giurisprudenza tedesca verfassungskonforme Auslegung)
Fin qui a parte la diffidenza nei confronti delle norme di
principio e il favore nei confronti delle regole il positivismo giuridico
non avrebbe nulla da recriminare. Anche i principi costituzionali,
infatti, sono posti da un legislatore, il legislatore costituzionale. Tanto
basta ai positivisti perche , pur nella sempre ribadita preferenza per il
diritto per regole, i loro postulati teorici (il diritto come dato di fatto,
la separazione del diritto dalla morale, la neutralita` della scienza
giuridica, ecc.), sia pure scricchiolando, possano rimanere fermi. Secondo la dogmatica positivista nulla impedisce che una costituzione
subordini la validita` di una norma non solo al rispetto dei requisiti
formali fondativi (il pedigree, secondo lespressione di Dworkin) ma
anche alla presenza di certi contenuti, quale ad esempio il rispetto dei
principi di liberta` o di uguaglianza. Le costituzioni contemporanee,
ricche di tali contenuti giustificativi del diritto, non hanno infatti
generali nei sistemi giuridici europei, in Atti dei Convegni Lincei, n. 96, I principi generali
del diritto, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1992, p. 165. La eccedenza
normativa e` formulata da E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, II ed.,
Milano, 1970, p. 316 s.

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LETTURE

costituito, di per se , un ostacolo teorico che abbia scosso le certezze


positivistiche.
Le difficolta` nascono quando si tratta (a) di attribuire valore pratico
ai principi e (b) quando occorre farli coesistere praticamente, in caso di
collisione.
(a) I principi non sono norme chiuse in se stesse e nemmeno
come il positivismo critico e` disposto ad ammettere norme che
chiamano in causa la discrezionalita` dellinterprete a causa della loro
imperfezione comunicativa. Sono norme, si potrebbe dire, per natura e
non per difetto, aperte, che rinviano ad altro. Ronald Dworkin esprime
questo carattere dei principi per mezzo della distinzione tra concetti e
concezioni. La Costituzione americana vieta le pene crudeli e inconsuete. Ma che cosa si intende per crudelta` e consuetudine, in questa
materia? La pena di morte, o lesecuzione di questa pena con questa o
quella tecnologia, sono crudelta`? La Costituzione italiana protegge la
famiglia come societa` naturale. Il divorzio, oppure la convivenza
senza vincolo matrimoniale sono compatibili con questo concetto di
naturalita`, oppure ne sono un vulnus contro natura? Tutti sottoscrivono il principio della difesa della dignita` umana. Ma la dignita` postula,
permette, oppure vieta che i malati terminali decidano con liberta` se
richiedere leutanasia? Il principio costituzionale di uguaglianza di
tutti i principi, il piu` pervasivo comporta il trattamento uguale degli
uguali e un trattamento disuguale dei diversi. Ma nel giudizio di
uguaglianza e disuguaglianza che cosa ha da considerarsi rilevante e puo`
quindi essere legittimamente preso in considerazione? Dipende, per
lappunto, dalle concezioni dei concetti che si accolgono. Il problema
non si puo` scansare. L interpretazione originalista della Costituzione,
comunque sia, non permette di risolverlo, quantomeno in tutti i casi in
cui si pongono problemi nuovi, quando la ricerca della volonta`, vera o
anche solo presunta, dei Padri fondatori non darebbe esito. La soluzione ai problemi non sta dunque nella norma che esprime un principio
e non puo` essere ricercata attraverso una interpretazione, nel senso in
cui questa espressione e` utilizzata in relazione alle regole. Il principio
puo` svolgere una funzione pratica solo attingendo elementi che sono
fuori da se . Da dove si attinga questo altro fuori da se : questo e` il
problema di fronte al quale i positivisti restano muti.
(b) In caso di collisione di principi, la difficolta` non puo` superarsi
attraverso i criteri di solito utilizzati per risolvere le antinomie tra
regole: i criteri della prevalenza della lex superior, o della lex posterior,
o della lex specialis. Questi criteri portano a preferire una regola ad
unaltra, sacrificando completamente (in coerenza con il carattere otutto-o-niente delle regole) una regola allaltra. Cio` non puo` valere per
i principi dello stato costituzionale. Essi devono tutti convivere, in
conseguenza della protezione assicurata ai soggetti sociali che a essi
aderiscono e ne hanno ottenuto la consacrazione nella Costituzione. Ma

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LETTURE

il modello della coesistenza implica soluzioni attraverso composizioni


che non stanno nei principi medesimi ma al di sopra e, per cos` dire, a
cavallo di essi. Non mi risulta che il criterio della massimizzazione dei
beni protetti dai principi (R. Alexy) o quello speculare, forse preferibile
nella prospettiva dei principi distinti dai valori, della minimizzazione
del sacrificio dei beni coinvolti siano previsti da qualche regola positiva,
che ne indirizzi luso verso risultati predeterminati. E lo stesso principio
dellintangibilita` dei nuclei minimi essenziali dei diritti, previsto dallart.
29, comma 2, della Costituzione tedesca, principio del quale la giurisprudenza italiana, quando occorre, fa un uso pretorio, non fornisce se
non un criterio, anzi un ausilio che agevola la composizione dei conflitti,
ma non e` la norma che li risolve (14).
Siamo cos` giunti al punto decisivo per la comprensione della
dimensione pratica dellordinamento: i meta-principi del diritto, senza i
quali il diritto positivo, con le sue regole e con i suoi principi posti, non
potrebbe funzionare; senza i quali la giurisprudenza delle Corti
innanzitutto della Corte costituzionale sarebbe impotente.
Trattandosi di uno strato normativo presupposto alle norme
poste, per questi principi non scritti nella Costituzione non valgono i
test di riconoscimento e validita` formali (il pedigree di cui parla
Dworkin) ai quali sono normalmente sottoposte le norme positive. I
criteri di validita` possono essere solo materiali, attenendo al loro
contenuto e non al loro modo di essere.
I positivisti si inalberano. Come e` possibile introdurre nel discorso
giuridico, e in posizione tanto importante, norme cos` indeterminate da
essere prive di un criterio di riconoscimento che sia a sua volta
obbiettivamente riconoscibile: norme lasciate allarbitrio del giudice? se
e` cos`, tutto e` perduto!
Ma non e` lamentandosi della realta` che questa puo` diventare
diversa da quella che e`. La questione non e` se sia bene che i giuristi,
nelle loro operazioni, si riferiscano a qualcosa che sta prima delle norme
poste. La questione nasce proprio dal fatto che di un tale riferimento e`
impossibile fare a meno e che, in pratica, la discussione tra i giuristi in
un collegio giudicante (parlo per esperienza) si concentra, nei casi
difficili, proprio su cio` che sta prima delle norme poste, anche se poi,
quando si tratta di motivare le decisioni ad uso del pubblico, si
preferisce ignorarla. Oscurare questo aspetto dellattivita` del giudice
significa non eliminare i problemi ma rimetterne la soluzione alla pura
e semplice soggettivita` del giudice. Cos`, in effetti, fanno i positivisti, col
risultato perverso che per volere eliminare le incertezze, semplicemente
le occultano. Mettendo a fuoco la questione, invece, e` forse possibile
aprire un discorso sul quale ci si possa intendere per evitare, o anche
(14) Il riferimento a R. ALEXY riguarda Teorie der Grundrechte, cit., cap. III, Die
Struktur der Grundrechtsnormen, pp. 71 ss.

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LETTURE

solo ridurre, larbitrio. Percio` e` fuori luogo la sorpresa dei critici di


Dworkin che notano come la sua iniziale pretesa di elaborare una
dottrina per porre sotto controllo la discrezionalita` del giudice, finirebbe per aumentarne grandemente i margini di valutazione, privando
il diritto, e proprio al suo piu` fondamentale livello, di quel test
essenziale alla certezza che e` la norma di riconoscimento. Questa critica,
contrariamente a quanto credono i positivisti, non e` un argomento a
favore delle loro posizioni. Sara` pur vero che i principi di Dworkin si
collocano in una sfera di incertezza, ma non e` certo vero che linterpretazione positivistica della legge sbarri la strada alla discrezionalita`:
anzi e` proprio la teoria dellinterpretazione dei positivisti avveduti che
ci dice (salvo poi dimenticarsene quando si vogliono deprezzare le
teorie diverse dalla loro) che, alla fine, nei casi difficili, il giudice e`
chiamato a scegliere in solitudine.
La risposta di Ronald Dworkin alla domanda sulla matrice dei
principi non scritti e` dunque necessariamente non formale. Egli fa
entrare qui in scena il suo Hercules che, con sovrumana abilita`, si aggira
tra sostegni istituzionali che la comunita` umana offre alle regole che
si e` date, tra condizioni normative e situazioni obbiettive di doverosita` di carattere sociale, tra teorie costituzionali, interpretazioni di
statutes e precedenti, standards di moralita` politica, imperativi di continuita` giuridica, ecc..
Il rifiuto di fermarsi al diritto posto e` valsa a Dworkin la qualifica
o laccusa di giusnaturalismo (naturalmente, neo-giusnaturalismo)
o di cognitivismo morale. La qualificazione e` una indebita semplificazione e a ragione, mi pare, egli ha rifiutato la qualifica e laccusa. Tutte
le sue indicazioni non contemplano i cieli tersi del diritto naturale,
quale che sia e dove che lo si possa cercare, nella natura delle cose
create da Dio o nella ragione degli uomini bene raziocinanti. Esse
guardano piuttosto, per usare una formula kantiana, alla feconda
bassura dellesperienza e infatti, allaccusa di giusnaturalismo si e`
contrapposta quella speculare di sociologismo. Il diritto pre-positivo
cui, mi pare, pensa Dworkin puo` comprendere qualcosa come il diritto
naturalmente giusto, quale concepito dai componenti della societa` ma
esso e` assunto fattualmente, come un dato esistente se esistente
costitutivo delle categorie morali vigenti nella societa`, accanto a tutti gli
altri (le dottrine politiche, le concezioni dellutilita` sociale, le compatibilita` istituzionali, ecc.). Esso non avanza pretese egemoniche ma vuole
essere considerato, al pari di altri. In ogni caso, non e` un ordine coattivo
generale che unautorita` esterna ha imposto sulla societa` (15).
Una posizione come quella di Dworkin, a me pare, potrebbe forse
(15) Lespressione kantiana (das fruchtbare Bathos der Erfahrung) si trova nei
Prolegomeni a ogni metafisica futura (a p. 299, nt. 27 delled. italiana a cura di P.
MARTINETTI e M. RONCORONI, Milano 1995).

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LETTURE

piu` precisamente qualificarsi con un neologismo: culturalismo. La sua


dottrina giuridica non radica il diritto ne nella forza normativa della
natura ne in quella della societa`; non radica il dover essere nellessere
delluna o dellaltra. La forza normativa dei principi che sorreggono le
norme positive e` tratta in effetti da elementi direttivi di natura culturale,
nei quali essere e dover essere si fondono inestricabilmente. Questa, per
usare una terminologia italiana, si potrebbe definire la costituzione
materiale presupposta alla Costituzione formale positiva. In questo
modo, la dottrina del diritto di Dworkin rompe gli argini che il
positivismo giuridico ha sempre tentato di costruire attorno al diritto, al
fine di renderlo indipendente e impermeabile alle influenze di contesto
e cos` purificarlo, secondo laspirazione portata alle estreme conseguenze da Hans Kelsen nella sua Teoria pura del diritto. Il buon giurista,
per la dottrina dei principi, invece, non e` il conoscitore di tutte le leggi
e di tutti i precedenti, e basta. E` invece colui che vivifica questa
conoscenza con la partecipazione, come giurista, alla vita della cultura
nella societa` in cui opera. I principi che egli maneggia sono il ponte di
collegamento per un continuo andirivieni: producono cultura e sono
prodotti dalla cultura (16).
Questa indicazione, al giurista europeo, tuttavia, puo` far venire in
mente assonanze non sempre gradevoli. Come non pensare allo spirito
del popolo del romanticismo giuridico tedesco o allinterpretazione
scientifico-spirituale del diritto che risale a Rudolf Smend? E come non
temere cos`, per esempio, la politicizzazione del diritto, la caduta
nellorganicismo giuridico e la deviazione a strumento di dominio? In
una parola: come non temere la fine di una dimensione propriamente
giuridica della vita collettiva che faccia da argine al potere politico e ai
poteri sociali? Tuttavia quellindicazione e quellapertura possono essere raccolte in un contesto culturale completamente diverso.
La responsabilita` nei confronti della direzione che questi sviluppi
possono prendere non e` daltri che della scienza del diritto. Il compito
spetta solo ai giuristi, gelosi della loro funzione culturale e della loro
identita` professionale. Per questo, occorre una buona e condivisa teoria
del diritto come parte integrante della cultura del tempo e, al contempo,
come suo elemento specifico e non assimilabile. In mancanza, neppure
Hercules, da solo, potrebbe venire a capo di un compito come quello
che Dworkin assegna al suo giudice ideale. Sarebbe intanto gia` molto se
i giuristi incominciassero a rendersi conto dellesistenza di questa loro
prima responsabilita` sociale che li investe, oltre che come singoli, come
comunita` scientifica.
In un saggio famoso, Ronald Dworkin ripropone in termini rinno(16) Un tentativo di raffronto tra la dottrina dei principi di Dworkin e la dottrina
italiana della costituzione in senso materiale e` nello scritto di Sergio Bartole citato alla
nota 2.

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LETTURE

vati il topos del diritto paragonato alla letteratura. E` unilluminazione


sulle radici comuni; sulla somiglianza dei processi formativi attraverso
atti luno allaltro legati in catena; sulla forza normativa rispettiva,
distinta ma che pure si incontra; sui compiti e sulle responsabilita` sociali
dei giuristi e dei letterati, diverse ma che pure si assomigliano. Il
positivismo giuridico, data la sua visione separata e interamente tecnicizzata del diritto, respingerebbe questo confronto come una bizzarria.
Invece e` altamente significativo nel contesto di questa concezione
antipositivista del diritto e ci costringe a riflessioni piu` profonde di
quelle consuete sulla crisi del diritto nel nostro tempo, sulla necessita` di
una teoria giuridica idonea ad affrontarla e sulle prospettive culturali e
professionali dei giuristi (17).
7.

Il contenuto dei principi.

Per la determinazione contenutistica dei principi, Dworkin fa


riferimento al concetto di integrita` del diritto. Esso si riferisce
allesigenza di coerenza sincronica e diacronica: sincronica, nel senso
del carattere sistematico del diritto; diacronica, nel senso dello svolgersi
dellordine giuridico come sviluppo e non come contraddizione. Lintegrita` e` una virtu`, anzi: la virtu` tanto del legislatore quanto del giudice.
Essa si puo` riassumere nella formula, facile da formulare, ma difficile da
mettere in pratica: i casi simili devono essere trattati similmente. La
somiglianza deve potersi verificare sia nella dimensione del presente, sia
nel rapporto tra il presente e il passato.
Conservatorismo giuridico? La teoria dei principi di Dworkin e`
spesso accusata, come si e` visto, di contraddire il suo intento iniziale,
rivolto a circoscrivere la discrezionalita` del giudice, aprendo invece la
via a unintensa opera creativa della giurisprudenza. Laccusa si basa
sulla premessa, completamente infondata, che la giurisprudenza per
regole dei positivisti sarebbe invece idonea a preservare il valore della
rigorosa adesione al (solo) diritto posto. La dottrina del diritto per
principi, invece, richiede unopera costruttiva del giudice, alle prese con
una congerie di materiali normativi da far reagire con i casi da decidere;
ma questopera e` ri-costruttiva, non creativa e quindi il giudice di
Dworkin non e` autorizzato a essere un attivista, a creare nuovo diritto
rispetto ai casi nuovi. Il suo compito non e` di inventare nuovi diritti
e obblighi ma di scoprire o rivelare quali sono i diritti e gli obblighi
dei contendenti in un giudizio. I materiali normativi accumulati (leggi e
precedenti) costituiscono un peso dal quale il giudice non dovrebbe
potersi liberare per imboccare nuove strade a suo piacimento. Sotto
questo aspetto, quella e` certamente una dottrina conservatrice, dal
(17) Il riferimento contenuto nel testo e` a Diritto come letteratura che costituisce
il VI capitolo di Questioni di principio, cit., pp. 179 ss.

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LETTURE

punto del mantenimento del diritto esistente (cio` che, peraltro, puo`
coerentemente giustificare perfino il diritto di resistenza in nome dei
principi, quando siano violati dalle maggioranze politiche). Tuttavia, sul
materiale normativo premono tutti gli altri elementi di cui si e` detto nel
paragrafo precedente, standard di moralita` politica, condizioni normative e situazioni obbiettive di doverosita` sociale. Essi imprimono un
movimento che e` compito non solo della legislazione, ma anche delle
Corti e della scienza giuridica incanalare e rendere costruttivo, come
forza di trasformazione, adattamento, arricchimento e purificazione, del
diritto precedente.
Lintegrita`, secondo Dworkin, esprime la pretesa dei singoli di
essere trattati come soggetti uguali, as equals, come individui degni di
uguale rispetto e considerazione, cioe` si potrebbe dire con altro
linguaggio come soggetti dotati tutti di uguale capacita` giuridica.
Questa nozione di uguaglianza si contrappone a quella di egualitarismo,
che allude alluguale distribuzione di beni collettivi. Nel rigettare la
possibilita` di incorporare nei principi del diritto una simile nozione
materiale di uguaglianza cio` che Dworkin designa come pretesa di
essere trattati (non as equals, ma) equally questa teoria del diritto si
ascrive alla tradizione giuridica liberale. Essa riconosce i diritti umani,
ma nella sola dimensione individuale e come protezione contro larbitrio. Non riconosce, tra i principi dellordine giuridico, i cosiddetti
diritti sociali i quali, mettendo in moto politiche pubbliche per la
diffusione di benessere e di opportunita` tra i soggetti socialmente
sfavoriti (a parte la difficolta` di intendere il bene comune in modo
condiviso), richiederebbero un diritto differenziato, azioni positive e
discriminazioni alla rovescia che comprometterebbero lesigenza giuridica primaria del trattamento di tutti as equals.
Piu` precisamente: il compito di promuovere il benessere sociale, di
produrre beni collettivi e di distribuirli equally e` un compito non
giuridico, ma politico. I poteri delle Corti non devono essere utilizzati
a questi fini. Ai giudici non spetta spendere argomenti di policy ma
distribuire le ragioni e i torti in base ai diritti e agli obblighi, senza
perseguire direttamente fini di utilita` o di giustizia generali; non spetta
cioe` decidere in nome della societa` nel suo insieme, ma solo in nome dei
diritti individuali coinvolti in una controversia tra individui. Inserire
nelle valutazioni dei giudici considerazioni circa il benessere sociale o la
societa` giusta significherebbe infatti piegare i diritti a considerazioni
politiche, cioe`, in sostanza, a subordinare i singoli alle pretese della
collettivita` o alle policies delle maggioranza. Le cosiddette azioni
positive o discriminazioni alla rovescia risultano percio` in linea di
principio sospette e difficili da giustificare perche , per un fine in ipotesi
socialmente buono, violano lesigenza del trattamento di tutti as equals.
Le prese di posizione di Dworkin di fronte alle decisioni della Corte

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LETTURE

suprema a proposito delle misure antidiscriminazione razziale risentono


infatti di questa difficolta`.
La tradizione costituzionale europea continentale non e` pero` questa. Secondo le classiche metafore politiche della bilancia e dellorologio, studiate con grande erudizione in un libro di Otto Mayr, la
rights-thesis di Dworkin e` ascrivibile allidea della bilancia, delle posizioni soggettive che devono essere messe in equilibrio attraverso lopera
del giudice. Il costituzionalismo europeo continentale si basa invece
sullidea della costituzione come definizione a grandi linee di un ordine
generale della societa`, attraverso principi di giustizia materiale. Questi
principi definiscono la posizione dei singoli nellinsieme, e non solo
rispetto a un altro singolo, entrando a far parte, insieme ai diritti
individuali, del calcolo giuridico che spetta al giudice di fare nellemettere una sentenza (18).
Le Costituzioni vigenti in Europa contengono numerose disposizioni di principio che non riguardano direttamente i diritti individuali
ma che, anzi, entrano in contatto con questi ed esigono una loro
conformazione agli interessi generali. Cos` e`, in modo molto accentuato,
anche per la Costituzione italiana. Lart. 3 proclama programmaticamente entrambe le concezioni delluguaglianza: luguaglianza giuridica
(tutti i cittadini hanno pari dignita` sociale e sono uguali davanti alla
legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali), nel senso ammesso da Dworkin; e, come compito dei poteri pubblici, luguaglianza
nella distribuzione delle risorse collettive (e` compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di
fatto la liberta` e luguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e leffettiva partecipazione di tutti i
lavoratori allorganizzazione politica, economica e sociale del Paese). A
questa indicazione programmatica, segue una lista di diritti sociali
come il diritto allistruzione, alla salute, allassistenza e alla sicurezza
sociale che costituiscono sia linee-guida per lazione di governo, sia
diritti giustiziabili presso le Corti e, in ultima istanza, presso la Corte
costituzionale. Questi diritti sociali prefigurano evidentemente una
forma di stato che non deriva semplicemente dallequilibrio tra i diritti
individuali garantiti dalle Corti, ma e` il prodotto di politiche pubbliche,
garantite anche dalle Corti, che possono incidere, limitandoli, sui diritti
individuali. Lesempio piu` caratteristico e` rappresentato dalla disciplina
costituzionale del diritto di impresa che non puo` svolgersi in contrasto
con la utilita` sociale e puo` essere indirizzata a fini sociali (art. 41),
e del diritto di proprieta`, che e` riconosciuta, ma puo` essere limitato per
(18) Il riferimento del testo e` allaffascinante trattazione di O. MAYR, Authority,
Liberty and Automatic Machinery in the Early Modern Europe (1986), trad. it. La bilancia
e lorologio. Liberta` e autorita` nel pensiero politico dellEuropa moderna, Bologna, Il
Mulino, 1988.

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LETTURE

assicurare la sua funzione sociale (art. 42), mentre la proprieta`


terriera e` soggetta ai limiti che assicurino equi rapporti sociali (art.
44).
Naturalmente, questi non sono che accenni. Ma essi dimostrano
che, nel contesto costituzionale italiano, sarebbe arbitrario limitare i
principi ai soli diritti individuali. Anche la giustizia sociale, e i diritti
sociali che ne costituiscono il riflesso individuale, sono chiamati a
formare la trama di principio su cui si innestano le regole legislative. La
integrita` del diritto si misura su questo piu` complesso terreno
costituzionale e i compiti del legislatore e delle Corti ne risultano
arricchiti. Ma anche le difficolta` aumentano.
8.

Conseguenze e difficolta`.

a) La discrezionalita` del legislatore.


Il diritto per principi, tanto piu` in quanto nei principi siano
incorporati argomenti di policy, mette in evidenza, come difficile problema, il rapporto tra valutazioni del giudice e discrezionalita` del
legislatore: un problema, ripeto ancora una volta, che il positivismo
delle regole o non risolve oppure, nella sua forma piu` primitiva,
semplicemente occulta. E` il problema, da sempre discusso e acutizzatosi
negli ultimi decenni ovunque esista una giurisdizione costituzionale
abilitata a svolgere una review of legislation, della legittimazione delle
Corti in rapporto alla legittimazione democratica del legislatore. Jurisprudentia vs. principio di maggioranza.
La Corte costituzionale italiana e` orientata, sia pure senza avere
enunciato unesplicita dottrina in proposito, a escludere lesistenza di
un ordine concreto dei principi o valori costituzionali dal quale
scaturiscano scelte positivamente vincolate per il legislatore. Una simile
concezione comporterebbe una gestione esclusivamente giudiziaria
della Costituzione, degraderebbe la legge a semplice esecuzione dei
dicta costituzionali e avrebbe come conseguenza unipertrofica espansione del diritto a scapito della politica e della democrazia. La Corte
costituzionale si attiene a un controllo esterno della legge, prendendo
in considerazione i principi costituzionali che un certo caso legislativo
mette in gioco e valutando se il legislatore li ha, a sua volta, valutati e
valorizzati in modo per usare una formula ormai canonizzata
non manifestamente irragionevole. In questo modo, essa somministra al legislatore i principi costituzionali che non possono essere
ignorati ma non giunge, peraltro, a individuare essa stessa in positivo la
regola che se ne deve trarre, cioe` a dedurne le conseguenze normative
attraverso la fissazione di un loro ordine assiologico.
Un esempio puo` forse aiutare a chiarire questo atteggiamento

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LETTURE

giurisprudenziale. Una norma del codice penale del 1930 prevedeva


come grave delitto linterruzione volontaria della gravidanza della
donna consenziente. La punibilita` era esclusa solo nel caso in cui fosse
invocabile lo stato di necessita`. Il problema di costituzionalita` consisteva nello stabilire se questa disciplina fosse giustificabile rispetto ai
principi costituzionali in gioco. La Corte costituzionale (in una decisione del 1975) ha ritenuto che tali principi (definiti beni costituzionali) siano, da un lato, la salute fisica e psichica della donna che, in
circostanze da determinare, puo` essere compromessa dalla gravidanza;
dallaltro, la salvaguardia dellembrione, con la precisazione che i diritti
della donna concernono chi e` gia` persona umana, a differenza dellinteresse alla vita dellembrione, che persona non e`. La Corte ha ritenuto
che il codice penale trascurasse in modo manifestamente irragionevole
la salute della donna e quindi fosse troppo sbilanciato a favore solo
dellaltro principio in gioco. Lo stato di necessita` poteva infatti essere
invocato a discolpa in casi limitatissimi di danno grave e assolutamente
inevitabile (in pratica, solo quando fosse in pericolo la vita stessa della
donna). Su queste premesse, la Corte ha annullato la norma del codice
penale invitando il legislatore a un nuovo e ragionevole bilanciamento
affinche siano predisposte le cautele necessarie per impedire che
laborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realta` e gravita`
del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire la
gestazione: e percio` la liceita` dellaborto deve essere ancorata a una
previa valutazione delle condizioni che lo giustificano. In seguito a cio`,
il legislatore ha predisposto una legge che ha definito i casi di pericolo
per la salute psico-fisica della donna; il periodo entro il quale, di norma,
laborto e` effettuabile; i controlli medici, i tempi e le procedure presso
centri di assistenza sociale per la maturazione delle decisioni della
donna, al fine dellautorizzazione ad abortire. Il legislatore ha dunque
messo in opera i principi individuati dalla Corte secondo le sue scelte
discrezionali. La legge che ne e` scaturita non e` certo lunica possibile e,
infatti, da allora, in Italia come altrove, su questo argomento fervono le
discussioni e le proposte di riforma, orientate ad accrescere o a diminuire lingerenza dei poteri pubblici sulla decisione della donna.
Le decisioni di questo tipo, che vengono normalmente definite
sentenze di principio, non chiudono il problema legislativo ma lo
(ri)aprono, circoscrivendone le soluzioni. In taluni casi, quando si tratta
della garanzia di diritti che costano, vengono in considerazione i
contenuti minimi dei principi, la cui attuazione limita la discrezionalita` dei poteri di spesa e di bilancio del legislatore. Ad esempio, in una
decisione del 1989, la Corte costituzionale ha messo a raffronto il diritto
allassistenza sociale dei disoccupati involontari con lautonomia di
bilancio del legislatore, dichiarando incostituzionale una legge che
fissava lindennita` di disoccupazione in poche migliaia di lire mensili,
ritenendo che cio` ledesse il nucleo minimo del diritto, lasciando al

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LETTURE

legislatore la nuova determinazione, con riserva di un nuovo successivo


giudizio su di essa. Una serie di decisioni del decennio 1990-2000 ha
bilanciato il diritto individuale alla salute e linteresse generale a trattamenti sanitari obbligatori di massa, nel caso di campagne pubbliche di
vaccinazioni. Da determinati tipi di vaccino, e` noto che possono
derivare eccezionalmente danni alla salute del soggetto. La Corte ha
ritenuto che il legislatore puo` imporre la vaccinazione nellinteresse
della collettivita`, ma che il soggetto eventualmente danneggiato ha
diritto a unindennita` a carico della collettivita`. Essa deve cos` mostrarsi
solidale nei confronti di chi, non potendosi sottrarre, ha contribuito a
combattere malattie epidemiche nellinteresse di tutti. La misura e le
modalita` dellindennizzo sono state rimesse alla discrezionalita` del
legislatore, nel rispetto peraltro del contenuto minimo del diritto
costituzionalmente riconosciuto, che spetta al legislatore stabilire, sotto
riserva di un successivo controllo da parte della Corte costituzionale.
Lesempio da ultimo ricordato mostra come il bilanciamento puo`
avvalersi non solo di tecniche di contemperamento tra i principi in
questione, come nel caso dellaborto, ma anche dello strumento finanziario, per riconoscere risarcimenti e indennita`. In questi casi, tuttavia,
la Corte costituzionale non puo` fare altro che prevedere una spesa a
carico del bilancio dello stato, ma non puo` spingersi al di la` della
richiesta che non sia irrisoria o simbolica, i criteri di congruita` dipendendo anche dalle cosiddette compatibilita` di bilancio, di cui arbitro
e` il legislatore.
b) La separazione dei poteri.
Attraverso il criterio anzidetto il controllo sulla legislazione che
accerta soltanto il rispetto dei limiti negativi, non esteso alla positiva
conformita` ai principi costituzionali la Corte costituzionale italiana
ritiene di garantire un equilibrio tra controllo di costituzionalita` e
discrezionalita` del legislatore.
Ma questa impostazione e` solo un aiuto, non la soluzione dei
problemi che sorgono quando, da parte del legislatore, si invoca la
separazione dei poteri. Ogni riduzione, sia pure in negativo della
discrezionalita` comporta un indirizzo in positivo. Moltiplicando i divieti, si puo` imporre una norma. E il principio della separazione dei
poteri e` in questione tanto piu` in quanto la determinazione dei principi
e la loro combinazione non si presenti con i caratteri dellevidenza ma
comporti unattivita` di elaborazione non meccanicamente deduttiva.
La concezione della separazione dei poteri del positivismo legislativo e` riduttiva e fuorviante, se applicata al rapporto tra il tribunale che
controlla la legittimita` costituzionale delle leggi e il legislatore. Secondo
la sua concezione piu` semplice, la separazione dei poteri, da un lato,
protegge il giudice dalle minacce e dalle lusinghe del potere politico che

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LETTURE

lo allontanano dallinterpretazione fedele della legge; dallaltro, garantisce il legislatore contro le tentazioni di un diritto pretorio, creato dal
giudice nei casi concreti. Monopolio interpretativo da un lato; monopolio normativo, dallaltro.
Questo schema puo` essere plausibile, nella sua ingenuita`, per
definire il rapporto tra due poteri in atto: la giurisdizione e la legislazione. Molto di meno quando si tratti della costituzione. Di fronte alla
giurisdizione costituzionale, sempre in atto, la legislazione costituzionale e` uneventualita` eccezionale e sporadica. Lintervento del legislatore costituzionale per contrastare una linea giurisprudenziale costituzionale e` uneventualita` teoricamente prevista e ammessa, in pratica e`
unanomalia. Accade cos` che, a differenza della giurisprudenza ordinaria, la giurisprudenza costituzionale opera normalmente nel vuoto di
contropotere.
Questa situazione di squilibrio ha alimentato idee fantasiose
culminate nel famoso aforisma del giudice Holmes: la costituzione e`
cio` che noi diciamo che sia le quali danno a intendere lonnipotenza
delle corti costituzionali e lequiparazione dellinterpretazione costituzionale alla legislazione costituzionale. Esagerazioni. Almeno per la
Corte costituzionale italiana, quella che in astratto puo` apparire una
quasi totale assenza di limiti si traduce paradossalmente nella percezione della propria fragilita`. Alla forza in teoria, corrisponde la debolezza in pratica. Manca la contro-forza cui potersi appoggiare, con cui
confrontarsi e perfino scontrarsi, manca il contrasto delle opposte
debolezze che, come nellarco a sesto acuto, le rafforza entrambe. Se sai
che puoi essere corretto, agisci con maggiore sicurezza. Il tuo errore
non e` catastrofico ma puo` essere rimediato, e sulla legittimita` del
rimedio puoi essere chiamato di nuovo a pronunciarti.
Le Corti comuni possono rafforzarsi dallinterazione con il legislatore. Le Corti costituzionali si indeboliscono per questa assenza. Le loro
decisioni non sono contestabili sul piano del diritto ma, proprio per
questo, sono esposte a una critica politica continua e corrosiva che le
delegittima come prodotto di arbitrio.
I rischi sono anche maggiori quando la giurisprudenza e` una
giurisprudenza di principio, rimessa dunque allintensa opera ricostruttiva del giudice. Anche sotto questo punto di vista, risultano le
responsabilita` della scientia iuris e i complessi rapporti che esistono tra
questa e la iuris prudentia. Solo radicandosi in essa, nel farsi suo organo,
le giurisdizioni costituzionali possono compensare il deficit di legittimita`
che deriva dalla mancanza di limiti e dalla loro apparente onnipotenza.
La posizione della Corte costituzionale italiana, rispetto alla dottrina
costituzionale, non e`, negli anni presenti, una situazione invidiabile, cio`
che spiega la riluttanza che spesso si avverte, nel farsi della sua
giurisprudenza, una certa riluttanza ad utilizzare apertamente argomenti
di principio.

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LETTURE

Per la seconda volta, la dottrina dei principi evoca le responsabilita`


della dottrina giuridica nei suoi rapporti con la giurisprudenza.
c) Giurisprudenza casistica?
Nelle regole, gli elementi dei casi che devono essere considerati
rilevanti per il diritto sono comunque previsti, in modo piu` o meno
determinato. Invece, i principi come si e` detto non hanno
fattispecie e quindi gli elementi rilevanti per il diritto devono essere
determinati caso per caso. Questa caratteristica rende la giurisprudenza
per principi particolarmente plastica e adattabile, laddove la giurisprudenza per regole mira a una maggiore rigidita` e fissita`. Da qui, la
possibilita` che la giurisprudenza per principi (a onta della sua propensione verso le visioni generali) si riduca paradossalmente a essere una
giurisprudenza casistica che compromette lidea stessa del diritto come
ordinamento, pregiudica luguaglianza (il trattamento as equals) dei
cittadini e vanifica la prevedibilita` e la certezza dei diritti. Rischi che si
moltiplicano quando si abbia a che fare non con principi semplici ma
con principi che collidono.
Occorre ricordare, pero`, che, alla luce della complessita` del diritto
odierno e dei suoi principi ispiratori, la flessibilita` e ladattabilita` non
sono un difetto da correggere ma unesigenza, addirittura imposta dalla
costituzione. Vi sono materie nelle quali la norma giuridica deve
necessariamente aderire ai caratteri del caso, alla personalita` e ai diritti
dei soggetti concreti che vi sono implicati, ecc. per permettere ai
principi di valere senza irragionevoli sacrifici. In queste materie, le
regole, con il rigido e generale automatismo, sono di per se stesse
incostituzionali e, ove possibile, devono essere trattate come principi (19).
La giurisprudenza degli anni 90 offre numerosi esempi di questa
conversione del diritto, da regola a principio. Uno di essi, particolarmente rappresentativo, e` una sentenza del 1996 che ha esaminato la
legittimita` costituzionale di una regola del diritto di famiglia che, in
nome della imitatio naturae, vietava ladozione quando tra leta` del
bimbo e quella degli adulti adottanti corresse una differenza superiore
ai 40 anni. Nel caso concreto, un bimbo si trovava ormai felicemente
inserito nellambiente familiare, a seguito di affidamento (misura provvisoria che di solito prelude alladozione). Il suo allontanamento sarebbe apparso una violenza. Daltro canto, lo scarto tra leta` di uno dei
coniugi adottanti e quella del bimbo, era di poco superiore ai 40 anni.
(19) In argomento, T. GROPPI, Hacia una justicia constitucional ductil? Tendencias recientes de las relaciones entre Corte constitucional y jueces comunes en la experiencia
italiana, in E. FERRER MC GREGOR (ed.), Derecho procesal constitucional, Mexico, 2002,
pp. 239-258.

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LETTURE

La regola legislativa e` stata dichiarata incostituzionale e si e` stabilito che


il giudice possa disporre ladozione, valutando esclusivamente linteresse del minore, anche quando leta` di uno dei coniugi adottanti superi
di oltre quarantanni leta` delladottando, pur rimanendo la differenza
di eta` compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli, se
dalla mancata adozione deriva un danno grave e non altrimenti evitabile
per il minore. Il risultato, in termini concreti, corrisponde allipotesi
formulata da Dworkin quando ha osservato che una regola puo` trasformarsi in principio semplicemente aggiungendole clausole come ragionevolemente, di norma, per quanto e` lecito aspettarsi, buona
fede, negligente, ingiusto, irrilevante o insignificante, ecc. Il
divario di eta` continua a dover essere non superiore ai 40 anni, ma solo
di norma, fino a che non appare irragionevole rispetto ad altri
principi che si affiancano al rispetto della naturale differenza di eta` tra
genitori e figli, come e` il principio della protezione dellinteresse del
minore, un principio non scritto, presupposto al diritto positivo.
Numerosi altri esempi si rinvengono in materie come la determinazione
di sanzioni, che richiede flessibilita` e gradualita` da valutare caso per
caso; il regime di esecuzione delle sanzioni detentive, con riguardo
soprattutto alle condizioni particolari dei minori o degli ammalati di
HIV; in generale, il diritto minorile dove tutti i principi di pubblico
interesse, come la sicurezza e la punizione dei crimini, si devono
accordare con quello della protezione di persone in fieri; il diritto di
proprieta`, quando si confronta con il principio di tutela del contraente
debole, come per esempio nella materia di rilascio di immobili locati,
quando il locatario e` una persona anziana, ammalata, priva di risorse.
Vi sono dunque materie in cui la pretesa del razionalismo giuridico,
e del normativismo che ne e` figlio, di avere a che fare con figure astratte
e universali di individui non puo` realizzarsi se non facendo violenza alla
varieta` dei caratteri del caso da decidere: contraddicendo lesigenza che
e` propria del diritto del nostro tempo di valorizzare le differenze,
trattando in modo uguale cio` che e` uguale ma differenziando cio` che
non lo e`.
In certi limiti il carattere casistico del diritto non e` dunque un vizio,
ma una virtu`. Non sarebbe pensabile, se non con gravissimi inconvenienti, una moltiplicazione delle regole giuridiche fino al numero
necessario per cogliere tutte le possibili varianti rilevanti dei casi
concreti. Percio` sopperiscono i principi. Affinche pero` non si abbia una
polverizzazione del diritto, non attraverso infinite regole ma attraverso
infinite decisioni diverse, si comprende limportanza dei precedenti:
unimportanza crescente anche in un paese di civil law come lItalia
in proporzione diretta allutilizzazione dei principi da parte delle
Corti.
Lo stare decisis, peraltro, non e` la risposta conclusiva. Attraverso il
precedente, il principio si trasforma in regola e lossequio meccanico a

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LETTURE

esso non farebbe che riproporre i limiti della giurisprudenza per regole
di marca positivistica. La possibilita` di distinzioni, limmissione cioe`
nella costruzione del caso di elementi nuovi cui attribuire rilevanza e
rispetto ai quali invocare nuovi principi di valutazione, e` cio` che
consente alla giurisprudenza di vivere. La condizione decisiva di trasformazione e sviluppo non caotico e distruttivo e` il controllo di questa
immissione. Se essa non si riduce allarbitrio del giudice del caso
concreto e` solo perche su di esso agiscono fattori giuridico-culturali di
cui egli e` imbevuto. Infatti, come meglio si potrebbe definire la cultura
di un popolo se non come i criteri di selezione di cio` che e` ritenuto
rilevante e irrilevante nella vita collettiva? Il custode di questi criteri e`
la scienza giuridica i cui compiti e la cui responsabilita`, per la terza
volta, sono chiamati in causa come condizione per il buon funzionamento di un diritto per principi.
9.

Conclusione: perche difendere una dottrina indifendibile?

Il positivismo giuridico, nelle sue diverse varianti piu` o meno


critiche, e` la dottrina di gran lunga piu` diffusa in Italia. Perche questo
accade quando dovrebbe essere evidente che essa e` lontana dalla vita
che si svolge nelle aule dei Tribunali, in tutti i casi piu` importanti che
si distaccano dalla routine dellamministrazione delle regole legislative e
si presentano come autentica juris-dictio, cioe` come scoperta delle
ragioni e dei torti che si dibattono e si decidono in nome del diritto?
Perche insistere in una finzione?
Non occorre aderire alle premesse realiste di un Alf Ross per
condividere la sua curiosita` di comprendere per quali motivi di psicologia sociale si desideri nascondere cio` che realmente accade. Egli si
accontentava tuttavia di constatare che la pretesa che lamministrazione
della giustizia sia una mera deduzione logica da norme giuridiche, senza
lintervento di valutazioni da parte del giudice, sembra essere un
fenomeno universale, forse perche , con tutta probabilita`, cio` puo` avere
effetti socialmente utili (20).
Penso che si possano nutrire dubbi sulle ultime parole. Non si
tratta solo della convinzione che ogni mascheramento della realta`
produce sempre, prima o poi, conseguenze negative, non fosse altro
perche impedisce di porre i problemi nella loro giusta luce. Si puo`
supporre che con lespressione effetti socialmente utili si intenda che
il preteso carattere meccanico dellapplicazione del diritto rappresenta
la miglior difesa dellautonomia della funzione giudiziaria e dellindipendenza dei giudici nei confronti della politica, oltre che del prestigio
della categoria dei magistrati nei confronti dei cittadini. Questo poteva
(20) Il riferimento alla considerazione di ALF ROSS e` a On Law and Justice (1958),
ed. it. a cura di G. GAVAZZI, Diritto e giustizia, Torino, 1965, p. 146.

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LETTURE

essere in altri tempi, con un sistema giuridico e in un contesto sociale


diversi dagli attuali. Oggi, leffetto e`, per esempio, di non rendere
comprensibili al pubblico le contraddizioni della giurisprudenza, addirittura nel medesimo processo tra i suoi diversi gradi, altrimenti che
come effetto di errori o leggerezze, se non di parzialita`, partito preso o
addirittura corruzione, oppure secondo il positivismo critico
come esercizio puro e semplice di discrezionalita`, cioe` arbitrio: mentre,
molto spesso esse non sono che lonesto sforzo di ricercare le soluzioni
piu` conformi al diritto, al di la` delle carenze della legge.
Cio` consente di alimentare facilmente una campagna contro i
giudici e la loro indipendenza, in corso in Italia come in diversi altri
paesi europei. Insistendo su una falsa rappresentazione della loro
funzione, si privano i giudici dellargomento difensivo piu` forte a loro
disposizione: la vera essenza del giudicare secondo diritto. Con questo
atteggiamento forse si crede di potere evitare di aprire il nuovo e
pressoche inesplorato capitolo di questioni che ruotano intorno al
carattere burocratico dellorganizzazione giudiziaria, ereditata dal
tempo del positivismo imperante e poco compatibile con il diritto per
principi. Il silenzio su questo tema si spiega come chiusura corporativa
ma, presumibilmente, non riuscira` a evitare che i giudici si mantengano
s` burocrati, ma perdano autonomia.

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BARTOLOME
u CLAVERO

EL COMU
u N Y NO SU DOBLE
(a propo sito de Pasado y Presente de los comunales y de lo comunitario (1))
1. Sospechas fundadas de costumbre. 2. Evidencias sumarias de economa. 3.
Rostro y grueso del comu n. 4. Ayllu qaman a. 5. Pasado y presente.

Los pueblos siguen luchando hoy por el comu n, esto es por


patrimonios comunales e incluso por pra cticas comunitarias. Nos lo
aseguran los editores de un copioso, plural e incisivo volumen titulado
Bienes Comunales: Pasado y Presente, el resultado del Segundo Encuentro Interdisciplinar sobre Historia de la Propiedad en Espan a que
convocan, dirigen y animan. La interdisciplinaridad de historia del
derecho y de historia de la economa se da en el propio equipo directivo
y se potencia con la participacio n. Anuncian en esta ocasio n, al referirse
a la resistencia del comu n, que as se expone en alguna ponencia. De
hecho, la mayora, a la contra del paradigma historiogra fico todava
dominante, se mueve sobre el supuesto de que la cultura y el dominio
comunales no son idealidades y realidades anacro nicas superadas definitivamente por la propiedad privada y el mercado liberal, sino feno menos con fuerza propia incluso de adaptacio n. Tampoco se piense que
estamos ante una construccio n intelectual de algu n comunitarismo
nebuloso. Nos vemos con trabajos concienzudos sobre la entidad y
dina mica del comu n, aunque ma s en su aspecto dominical, tanto
jurdico como econo mico, que en el cultural ma s dilatado. Veamos y
(1) Esto es en concreto al propo sito de unas publicaciones a cuyo comentario voy
a limitarme: SALUSTIANO DE DIOS, JAVIER INFANTE, RICARDO ROBLEDO Y EUGENIA TORIJANO
(eds.), Historia de la Propiedad en Espan a: Bienes comunales, pasado y presente (II
Encuentro Interdisciplinar. Salamanca, 31 de mayo-3 de junio, 2000), Madrid, Fundacio n Beneficentia et Peritia Iuris (Colegio de Registradores de la Propiedad y Mercantiles
de Espan a), 2002, 652 pa ginas; JESUu S IZQUIERDO MARTN, El rostro de la comunidad: La
identidad del campesino en la Castilla del Antiguo Re gimen (Premio de Investigacio n
2000, Consejo Econo mico y Social de la Comunidad de Madrid), Madrid, Consejo
Econo mico y Social, 2001, 795 pa ginas; y SIMOu N YAMPARA HUARACHI, El Ayllu y la
territorialidad en los Andes: Una aproximacio n a Chambi Grande, La Paz, Ediciones
Qama n Pacha (Centro Andino de Desarrollo Agropecuario - Universidad Pu blica de El
Alto), 2001, 207 pa ginas.

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LETTURE

reflexionemos, pues el volumen lo merece. A otros efectos culturales,


flanqueara un par de publicaciones (2).
1.

Sospechas fundadas de costumbre.

Comencemos por doctrina jurdica histo rica, pues es con ella como
arrancan las actas. E stas no voy a seguirlas en toda su extensio n de
forma pedisecua, pero a este pie de la letra comienzo porque ofrece
realmente un buen arranque. Introduce por s y tambie n por contraste,
por un testimonio de complejidad al cabo. De entrada se nos habla de
bienes municipales en cuanto que comunales. Es la ecuacio n de la que
se parte. Respecto a los mismos, se nos muestra co mo la doctrina de los
siglos XVI y XVII en el a mbito hispano abrigaba y expona un principio
claro. Se tenan tales bienes por dominio del monarca al servicio de la
dotacio n de los pueblos. Era principio de jurisdiccio n, mas con vertiente dominical. El prncipe contaba con intencio n fundada, esto es
con ttulo presunto sin carga as de prueba, respecto a todo dominio
pu blico, correspondie ndole al comu n lo propio dentro de su te rmino
por privilegio regio y no en principio por otro derecho. La regla ha de
complementarse de un modo que implica quiebra al introducirse la
costumbre a los efectos no so lo de re gimen, sino tambie n de ttulo.
Hace as por la puerta abierta su entrada la complejidad. Con dicho
valor consuetudinario agregado o tal vez precedente, el tiempo inmemorial en el dominio comunal vena a equivaler a privilegio regio, con
lo que e ste llegaba a ser prescindible o resultar incluso ma s bien
superpuesto a un firme establecido entonces por la costumbre. El uso
comunitario, y no el privilegio poltico, va a ser precisamente la
evidencia histo rica que se desprende de la mayora de las ponencias (3).
Partamos entonces de la complejidad resultante. No hay un principio que la unifique o ni siquiera que la centre. Si no lo haba del
dominio poltico, tampoco se le tena por virtud del ma s estrictamente
propietario. No exista un derecho de propiedad individual respecto al
que se contrapusiera o frente al que se cualificase otro de cara cter
colectivo. Tal otro principio tampoco se daba. El mejor testimonio se
(2) S. DE DIOS, J. INFANTE, R. ROBLEDO Y E. TORIJANO, Presentacio n, p 10, en Bienes
comunales, pasado y presente, pp. 9-12. Cito por el subttulo pues es el que distingue. Las
ponencias del Primer Encuentro, que en 1998 abordo el asunto en unos te rminos ma s
generales de recorrido histo rico, se han publicado debidamente en 1999. En 2002 se ha
celebrado el Tercer Encuentro, e ste dedicado a Patrimonio Cultural, actas en prensa. En
cuanto al par de publicaciones que acompan an, ya esta anunciado.
(3) S. DE DIOS, Doctrina castellana sobre adquisicio n y enajenacio n de los bienes de
las ciudades, 1480-1640, en Bienes comunales, pasado y presente, pp. 13-79. En la
exclusio n relativa del pie de la letra se comprende tambie n el del ndice, pues no procedo
a la resen a completa, trabajo por trabajo, de un volumen que, por colectivo, ha de
resultar forzosamente desigual.

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LETTURE

ofrece en estas mismas actas. Se refiere a una pra ctica de acotamiento de


tierras que parece derecho de propiedad y no lo resulta exactamente. El
propio cercado del terreno para cultivo particular hace su comparecencia en esta historia no como ejercicio de dominio, sino como manifestacio n de privilegio, de un privilegio comunal de explotacio n privada de
la tierra frente a usos comunales de acceso ma s directo y sostenido a los
recursos y en su contexto. Es una privacidad relativa de derecho que
tampoco tena por que cancelar entonces, hasta que lleguen las revoluciones dichas liberales y con ellas el Estado del siglo XIX, su misma
base de comunidad. Tras el tiempo de cosecha, el cercamiento poda
conocer, por regla general no excluyente de excepciones, periodos de
apertura al aprovechamiento comunal. Excepcio n en singular resultaba
el cercado aun en el caso de que localmente predominara. Todo esto
pudo ponerse especialmente de relieve a trave s de los conflictos habidos
entre comunidades y particulares hasta el siglo XVIII inclusive y au n
penetra ndose en el XIX (4).
Decimos privilegio y podemos decir costumbre. No eran motivos
que se excluyeran, sino ma s bien lo contrario. En un sistema sin
momento constituyente y con ordenamiento que as resultaba de tracto
constitutivamente histo rico, la segunda, la costumbre, fundaba el derecho y el primero, el privilegio, ofreca la garanta mediante el reconocimiento jurisdiccional del caso, comu nmente por parte de una monarqua o tambie n de alguna iglesia como instancias u ltimas. En aquellos
tiempos de jurisdiccio n, el derecho se declaraba, no se creaba. Y la
costumbre era comunal aun cuando, como en el supuesto del cerco de
tierras, constituyese derecho de ejercicio primariamente no comunitario. Dicho de otra forma, de una ma s anacro nica por marcarse el
contraste, no haba por entonces propiedad privada. No exista ni caba
en rigor como derecho ni aun en el caso en el que se le tuviera y
ejerciese como privilegio. Rega la costumbre y e sta era comunitaria (5).
2. Evidencias sumarias de economa.
Dicho todava de otra forma de tenor tambie n anacro nico por
seguir aclara ndonos de entrada, la comunalidad como principio y
tambie n como pra ctica era prepoltica, quiere as decirse anterior e
independiente a las organizaciones establecidas por privilegio jurisdiccional. No so lo se trataba de que no derivase de determinacio n regia,
sino que tampoco lo haca de institucio n local por ttulo suyo, de la
comunidad constituida conforme a dicha misma mediacio n de jurisdiccio n u ltima. El orden municipal poda superponerse e incluso llegar en
(4) CARMEN MUNx OZ DE BUSTILLO, Las tierras de Jerez. Suerte de sus usos y aprovechamientos comunales, en Bienes comunales, pasado y presente, pp. 211-255.
(5) C. MUNx OZ DE BUSTILLO, Las tierras de Jerez, pp. 216-217 y 236.

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casos, so lo en casos, a confundirse con el ma s propiamente comunitario


de titularidad y manejo de recursos, pero este segundo era el primero a
los efectos histo ricos que resultaban entonces los jurdicos. La comunidad agraria no era la comunidad municipal. E sta era, si acaso, el doble
de aquella. Como anterior e independiente, poda mantenerse la primera incluso con su propia organizacio n de derecho y de justicia de
forma que la segunda, la municipal, constituyera tan so lo una cobertura
o un complemento. Haba una economa previa que resultaba mucho
ma s que econo mica. Aunque sin adentrarse en los pormenores de
cara cter jurdico que ma s pudieran aqu interesarnos, parece significativo que sean estudios de historia econo mica los que mejor esta n
detectando aquella consistencia y complejidad constitutiva y operativa
de la comunidad agraria (6).
Durante el siglo XIX, cuando se constituya el Estado bajo principios nuevos de derechos y tambie n de economa como el de propiedad
privada, todo ello podra acusarse no so lo por unas resistencias de parte
comunitaria, sino tambie n por unas discapacidades de la parte estatal.
Tanto para abolir como para conservar comunidad, el Estado partira de
una radical incomprensio n, la de signo municipal que ahora e l mismo se
apropia. Entendera que los bienes del caso haban sido y podran
todava ser de diverso modo municipales; intentara someterlos desde
esta o ptica a unas clasificaciones forzadas; procedera , conforme a tales
categoras sin mayor sentido fuera de la propia perspectiva estatal, a
disolverlos en propiedad privada o a reciclarlos como patrimonio
corporativo de un tal sujeto institucional, el municipal. Te rminos an ejos
de alcance menos constitutivo, como los que distinguen entre comunales, propios o arbitrios a efectos eventuales y reversibles de acceso, uso
o contribucio n, se quieren convertir finalmente en categoras determinantes de la misma naturaleza y suerte de unos bienes, con el resultado
de una relativa incapacidad o incluso suma dificultad del propio
Estado, tanto de la legislacio n y del gobierno como de la justicia, para
manejarse entre todo el tracto de realidades comunales. Se chocara con
la sorpresa de que el comu n no ha sido el municipio ni se identifica
ahora tampoco, en el XIX, con la criatura municipal del re gimen local
que el Estado mismo genera (7).
(6) JOSEu RAMOu N MORENO FERNAu NDEZ, La lo gica del comunal en Castilla en la edad
moderna. Avances y retrocesos de la propiedad comu n, en Bienes comunales, pasado y
presente, pp. 139-177; MANUEL GONZAu LEZ DE MOLINA, ANTONIO ORTEGA SANTOS Y
ANTONIO HERRERA GONZA LEZ DE MOLINA, Bienes comunales desde la perspectiva socioambiental, en Bienes comunales, pasado y presente, pp. 493-532.
(7) En las actas de nuestro congreso sobre Bienes comunales, pasado y presente
abunda el material interesante a todo este respecto: JUAN E. GELABERT GONZAu LEZ, Fisco
real y fiscos municipales en Castilla, siglos XVI-XVII (pp. 81-99); LOURDES SORIA SESEu ,
Bienes comunales en Navarra y las Provincias Vascas, siglos XVI-XVIII (pp. 101-137);
MARIANO PESET REIG Y PILAR HERNANDO SIERRA, Comunales y propios en Valencia (pp.

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Que la accio n concurrente de legislacio n, gobierno y justicia de


Estado sea durante el siglo XIX creciente y hasta apabullantemente
favorable a la privatizacio n de la propiedad como derecho no es dato en
absoluto sorprendente. Que se produzcan resistencias de la parte que
ahora nos interesa, la comunitaria, no es tampoco evidencia que vaya a
producir sorpresa. Pero que, bajo un principio de imperio de la ley, el
Tribunal Supremo, como u ltima instancia jurisdiccional ahora, no
pudiera resolver siempre los pleitos conforme a la tendencia o ni
siquiera a las categoras de la legislacio n, es otro asunto (8).
El mismo pronunciamiento favorable a propiedad privada puede
resultar por va de exclusio n precisamente de la comunal, como si
todava fuera de algu n modo regla, aunque sea porque falte en el pleito
prueba de ttulo en nombre del ayuntamiento y del comu n de los
vecinos, mas esto as por an adidura, que es lo significativo en suma,
cuales dos posibilidades distintas de comunidad dominical, la municipal y la propiamente comunitaria, con apoyo todava el segundo
elemento, el comu n, por cuanto que menos oficializado, en pra cticas de
costumbre y no en registro de ley. He ah au n el testigo tan jurdico
como econo mico de todo un continente histo rico de comunidad, el
comu n que se dijera (9).
3.

Rostro y grueso del comu n.

Sintonizando significativamente con la lnea del congreso sobre


Bienes comunales y contrastando incisivamente con la tendencia au n
predominante en la historiografa usual, una ponencia se dedica a la
lo gica del comunal. Reivindica de forma resuelta el vigor con el que la
comunidad dominical atraviesa la edad moderna y llega al siglo XIX. El
derecho de propiedad privada, con su empen o de entronizarse ahora, se
habra proyectado sobre el tiempo anterior contaminando toda la
179-209); ROSA CONGOST, Comunales sin historia. La Catalun a de los masos o los
problemas de una historia sin comunales (pp. 291-328); ELOY COLOM PIAZUELO, El proceso
de formacio n de la nocio n de bien comunal y sus consecuencias: los aprovechamientos
vecinales en Arago n (pp. 391-427); Grupo de Estudios de Historia Rural, Propiedad y uso
de los montes pu blicos en Espan a, 1855-1925 (pp. 429-450); XESUu S L. BALBOA LOu PEZ, Al
margen de la ley. La defensa de los montes vecinales de Galicia, 1848-1968 (pp. 451-491);
y los artculos sobre jurisprudencia que enseguida tambie n registro.
(8) J. INFANTE MIGUEL-MOTTA Y E. TORIJANO PEu REZ, Aprovechamientos comunales
y propiedad individual: un estudio sobre la jurisprudencia del Tribunal Supremo, 18541900 (pp. 533-571); CARLOS J. MALUQUER DE MOTES BERNET, La consideracio n de los bienes
comunales por la jurisprudencia a partir del Co digo Civil (pp. 573-597).
(9) J. INFANTE MIGUEL-MOTTA Y E. TORIJANO PEu REZ, Aprovechamientos comunales
y propiedad individual, p. 549, para la cita jurisprudencial, que es de sentencia del
Tribunal Supremo de 1888, el an o del Co digo Civil en Espan a sin reconocimiento por
supuesto ni nocio n siquiera de El comu n: C.J. MALUQUER DE MOTES BERNET, La consideracio n de los bienes comunales por la jurisprudencia, pp. 576-584.

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perspectiva histo rica. La teora de los derechos de propiedad, por su


parte, contribuye en lo que puede a la descalificacio n del comunal. La
propiedad comu n se opone a la privada igual que el atraso econo mico
se opone al crecimiento. La defensa del cara cter arcaico del comunal
era, en el mejor de los casos, una conclusio n de investigaciones empricas que operaban con la cuestionable vara de medir de la maximizacio n neoliberal, pero a menudo no llegaba ni a eso: se trataba de una
simple inferencia a posteriori insuficientemente demostrada. La historia estara por rehacerse (10).
A veces se producen en el curso de la historiografa coincidencias
realmente afortunadas. Al tiempo que se ha celebrado el fructfero
congreso sobre Bienes comunales y se ha publicado el poderoso volumen de sus actas, tambie n se ha concluido una investigacio n, premiado
un resultado y trado a la luz pu blica un texto. He aqu El rostro de la
comunidad incidiendo con no menor y ma s concentrado podero sobre
la misma materia de los comunales desde dicho punto de vista que
confronta severamente, si no la completa ceguera, al menos la pronunciada miopa de la historiografa imperante. He ah una obra histo rica
de ambicio n teo rica anunciada sin ambages ni complejos. La observacio n a largo plazo de la historia europea entre los siglos XVI y XVIII
revela una sistema tica recurrencia de pra cticas colectivas, cuyos efectos
fueron principalmente el mantenimiento del orden social y la abundancia de bienes pu blicos; no obstante, sobre esta recurrencia poco es lo
que la teora neoutilitarista puede decir, habida cuenta que su lo gica
antropolo gica la del homo economicus predice que, en ausencia de
condiciones de laboratorio, la cooperacio n interindividual es nula o
extremadamente precaria, frente a todo lo cual nuestra perspectiva
como historiadores nos faculta para volver a temporalizar el sujeto,
arranca ndolo de la naturalizacio n de la que comenzo a ser objeto en
tiempos de la ilustracio n y el liberalismo; nos coloca asimismo en
condiciones de reconsiderar el ser humano como sujeto histo rico (11).
Difcilmente puede plantearse el asunto con mayor radicalidad.
Pues no se piense que as donde se nos introduce sea en una filosofa
comunitaria sobre la historicidad del sujeto individual. Se trata de
indagacio n histo rica sobre la identidad campesina de un territorio
europeo, concretamente madrilen o, durante la edad que se dice moderna, entre dichos siglos XVI a XVIII (12). Se aborda el ana lisis de una
determinada lo gica, de una lo gica histo rica, de la lo gica comunitaria que
(10) J.R. MORENO FERNAu NDEZ, La lo gica del comunal en Castilla en la edad moderna,
p. 143.
(11) J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, p. 19.
(12) He ah el subttulo ajustado ya tambie n citado: La identidad del campesino en
la Castilla del Antiguo Re gimen. El ttulo de Rostro de la comunidad puede que juegue
con un cierto equvoco respecto no tanto al actual pensamiento poltico de signo
comunitario como a la institucio n presente de la Comunidad Auto noma o regio n poltica

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no sabe de propiedad privada ni aun con las tensiones que pudieran


crear los intereses particulares en el aprovechamiento de los bienes.
Priman las comunidades situadas en un contexto poltico que les ofrece
una clara cobertura y les somete a una cierta subordinacio n. El orden
premoderno haba adoptado durante centurias una forma corporeizada
en la que el rey y la corona aparecan representados como cabeza
dispensadora de privilegios, mientras que las distintas comunidades del
reino conformaban un solo cuerpo poltico. En aquella forma de
representacio n premoderna, el hombre deba contribuir en su puesto al
orden global, siendo la justicia la encargada de ordenar las relaciones
sociales en relacio n al conjunto. El reconocimiento social de la persona
so lo se contemplaba a la luz del valor predeterminado de las cualidades
atribuidas a su grupo. Ah, en esa subordinacio n que lo era ante todo
constitutivamente del individuo humano, se situaba la comunidad
histo rica (13).
La diale ctica resultante no se planteaba exactamente entre el
individuo y la comunidad pues el primero se determinaba por la
segunda, comporta ndose por lo regular en funcio n comunitaria incluso
al moverse por intere s propio. He aqu lo que poda argumentar un
vecino de El Escorial a finales del siglo XVII en defensa del cercamiento
de unas tierras: Que derecho ma s se adquiere por estar zerradas,
ninguno, pues, aunque esta n zerradas, ni se quita el comu n aprouechamiento por esto, pues, en sacando las mieses, quedan los pastos para el
comu n aprouechamiento como si estubieran abiertas, luego no se me
concede ningu n derecho contra el comu n. No se piense, como suele
hoy presumirse, que se trata de estrategias de privatizacio n de tierras
comunitarias, puesto que la evidencia histo rica muestra una pra ctica de
reciprocidad vecinal entre cosecha particular y pastos comunitarios
como entre otras dimensiones entonces de la conducta humana. El
cercamiento temporal para explotacio n agraria enriquecera el propio
terreno comunal para provecho ganadero (14).
La reciprocidad era principio constitutivo y tejido operativo de la
comunidad histo rica. A los mismos efectos fiscales de relaciones con
monarqua o con iglesia, unos bienes podan ma s o menos temporalmente afectarse a cesio n de arrendamientos en mano particular sin que
esto tampoco cuestionase el fondo comunitario. Entre de una parte el
comu n y de otra el ayuntamiento de un mismo vecindario, entre
comunidad y municipio, entre original y doble que as no se confundan, se podan desenvolver unas operaciones de apoyo mutuo o en
particular de sostenimiento del segundo por el primero, del ayuntamiento por el comu n. Entre bien comunal y el de propio o privatizado
en Espan a, una de las cuales, la de Madrid interesada, o ma s en concreto su Consejo
Econo mico y Social, ha premiado y publicado justamente la investigacio n.
(13) J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, p. 31.
(14) J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, pp. 293-295.

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como recurso contributivo, que significaba institucionalmente la


mutacio n? La conversio n de comunales en propios del concejo implicaba una cesio n temporal que la comunidad efectuaba en favor de la
organizacio n que le representaba, el concejo rural (15).
La historiografa hoy situada en las presunciones antropolo gicas de
la propiedad privada toma por proceso unidireccional de sobreseimiento de la comunidad todo lo que era estrategia de evolucio n y
adaptacio n. La misma dependencia entonces constitutiva del individuo
reproduca y aseguraba la entidad del comu n. El reconocimiento
intersubjetivo eliminaba los comportamientos anticomunitarios: tal y
como afirmaba un vecino de la villa de El Escorial a finales del siglo
XVII, transgredir las pra cticas territoriales colectivas no equivala a ir
contra el comu n. La usurpacio n del patrimonio comunitario dependa,
por el contrario, del nivel de desidentificacio n entre ciertos sujetos con
los valores predominantes dentro del grupo campesino o de su mayor
identificacio n con otras comunidades, por ejemplo la familiar. Por
tanto, no se trataba de un conflicto entre el colectivo, por un lado, y el
individuo, por otro: a no ser que se caiga en explicaciones ad hoc, el
campesino trasgresor no puede ser explicado por la teora de la accio n
racional, mientras que el cooperativo lo es por la teora de la identificacio n comunitaria. Trata ndose de comunidad entre comunidades, no
entra la razo n de individuo. A esto se refiere la exclusio n de la teora de
la accio n racional, como antes tambie n la denuncia del neoutilitarismo.
Era otra, completamente otra en efecto, la lo gica de aquellos tiempos (16).
Comunidad entre comunidades, la misma comunidad campesina
poda cobrar un significado ma s que propietario y mucho ma s que
alimenticio. La propiedad comunitaria surgio y persistio no so lo
porque contribua a sustentar materialmente a todos los miembros del
colectivo, sino tambie n porque institua un lenguaje colectivo a trave s
del cual cada participante en el sistema era reconocido por el grupo que
le daba identidad, constituye ndolo como sujeto. El sistema de propiedad pu blica de la tierra fue algo ma s que una institucio n econo mica.
(15) J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, pp. 324-325, con testimonios
expresivos a continuacio n de la distincio n de capitulares constituyentes de municipio y
vecinos constituyentes de comunidad mediando dicho juego de propios y comunales
entre ellos.
(16) J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, p. 294 citada, por ser el caso
citado. No faltan captulos extensos sobre las cuestiones mayores de referencia engrosando un ndice sumamente expresivo: Ante todo vecinos: La naturalizacio n de la
identidad locativa en la comunidad rural (pp. 245-372); La comunidad, un mercado
social de la reciprocidad: en torno a la cooperacio n intervecinal (pp. 373-552); La
desigualdad reincorporada: reciprocidad centralizada y redistribucio n de bienes de consumo
(pp. 533-619); El representante reconocido: la interpretacio n de la identidad comunitaria
(pp. 621-746); y todava quedan conclusiones: Salvando las distancias: identidades
distintas, fundamentos ana logos (pp. 747-764).

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De esta misma premisa poda depender por entonces, antes del siglo
XIX, la propia legitimidad del municipio local. El conjunto de pra cticas creado en torno al sistema comunitario resulto asimismo crucial
para que los distintos vecindarios reconocieran a sus consejos como
organizaciones comunitarias, identificando en el ayuntamiento recursos
interpretativos y consolidando las lealtades de sus poblaciones (17).
El municipio como criatura del re gimen local de Estado se bastara
para hacer incomprensible hacia el exterior de la comunidad toda
aquella lo gica. Su resistencia contempora nea bajo tales condiciones sera
fuertemente expresiva de una consistencia histo rica difcil ahora de
apreciar. Como de la ley de Estado sera caracterstica la escritura, de la
costumbre de comunidad poda serlo la oralidad. Desde uno de estos
mundos no resulta el otro muy visible ni, au n menos, inteligible.
Tampoco presumamos que existiese una especie de progreso ineluctable desde lo oral hacia lo escrito consumado durante la edad moderna
para beneficio final de la pra ctica de Estado. Ma s bien al contrario,
pudo darse un proceso desformalizador a trave s del cual la oralidad
acabo siendo crucial para el registro de los intercambios que se efectuaron en la comunidad entre los siglos XVII y XVIII, con su
consecuencia palmaria para en trabajo de la historiografa: Esta recuperacio n de lo oral limita dra sticamente cualquier estudio de las
transacciones acaecidas en las comunidades rurales de entonces (18).
4.

Ayllu qaman a.

Como el ttulo bien lo advierte, el congreso sobre Bienes comunales


se ocupa del asunto propietario en general y comunitario en particular
respecto a la Historia de la Propiedad en Espan a y no para otras
latitudes. Es uno entre otros congresos en curso con esta precisa
identificacio n hispana. No significa esto que se ignoren siempre otras
historias a los efectos debidamente orientativos y tambie n desde luego,
con la perspectiva comparada, virtualmente analticos (19), pero implica
que las respectivas investigaciones vienen a centrarse en territorios
(17) J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, pp. 248 y 264.
(18) J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, pp. 391-392.
(19) Ve ase as en esta edicio n la ponencia de los organizadores J. INFANTE
MIGUEL-MOTTA Y E. TORIJANO PEu REZ, Aprovechamientos comunales y propiedad individual,
con una introduccio n historiogra fica no so lo espan ola: El autor de cita obligaba es
PAOLO GROSSI, en concreto su Un altro modo de possedere, de 1977, cargado de razo n
en su apostilla respecto a la edicio n en castellano, de 1986: con presentacio n de B.
Clavero, pero muy incompleta y, sobre todo, de muy deficiente traduccio n (p. 541).
Encargada por la editorial a una persona con el me rito al efecto ma s que notable de
ignorar tanto derecho como historia, ante mi revisio n generosa del primer captulo, no
se me consulto nada del resto. Peque de incauto. Lo de incompleto fue en cambio
acordado. Hay un criterio. Se tradujo la parte europea y no la italiana.

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histo rica o actualmente tales, hispanos. Como tal, llega a abordarse en


esta edicio n el caso de las comunidades indgenas por Ame rica, y en
concreto en Me xico, aunque no tanto durante los tiempos del colonialismo directo europeo como para los posteriores ma s independientes.
No se le trata, sin embargo, de modo que pueda llegar a interesarnos.
Se observa la comunidad indgena de forma por completo pasiva o ma s
bien as su reflejo en la superficie de la poltica colonial y la legislacio n
mexicana sin concebirse la posibilidad de otra lo gica distinta, la propia
de unas culturas comunitarias que estuvieran sosteniendo con dina mica
propia algo ma s que acomodos y resistencias (20).
Mas el caso realmente interesa. Si estamos ante comunidades ma s
persistentes, es porque cuentan con culturas ma s diversas respecto a la
europea presente en Ame rica y tambie n entre s. Hoy todava pueden
mantenerse al margen algunas de Estado y bastantes de municipio. No
es raro que junto a e ste mismo persista la comunidad con entidad
propia. Incluso hay zonas de comunidades sin otra institucio n local
superpuesta o doble municipal alguno, habiendo resistido as con
mayor e xito al orden de despliegue territorial tanto colonial como de
Estado. Si se hace turismo por Ame rica y se visita, por ejemplo, el mar
mediterra neo Titicaca, pene trese en Bolivia por el altiplano, bu squense
inte rpretes al quechua y al aymara, pues conviene, y podra de este modo
entrarse en contacto con ayllus, con comunidades territoriales de
cultura y derecho propios, cuyos usos comunitarios se aplican ante todo
a la gestio n de la tierra y dema s recursos naturales. Dicho en castellano,
he ah el comu n y no su doble. Es caso significativo, aunque no u nico
desde luego a lo largo y ancho de aquel continente (21).
Bolivia es un Estado que so lo muy recientemente, a finales del siglo
XX, ha intentado implantar seriamente la institucio n municipal por
toda la extensio n habitada del territorio. Ha planteado esta municipalizacio n guardando ahora cierta consideracio n a la comunidad indgena
por ver de encajarla definitivamente en el propio mapa institucional del
Estado. El plan progresa a duras penas encontra ndose con la alternativa
de un desarrollo planteado desde otra visio n distinta, precisamente la
(20) JOSEu MARA PEu REZ COLLADO, Las tierras comunales en los pueblos de indios
y su trayectoria en el Me xico independiente, en Bienes comunales, pasado y presente,
pp. 329-390.
(21) Confieso que personalmente gozo de facilidades, incluidas la de traduccio n
simulta nea y, lo que no resulta menos importante, la de un cierto margen de confianza
por parte indgena, gracias a la Universidad de La Cordillera con sede en La Paz, a cuyo
Consejo Acade mico pertenezco. Con alguna oralidad as interlocutoria, mi conocimiento
al respecto no es tan so lo ni principalmente libresco ni turstico. La Universidad Pu blica
de El Alto, la que publica el libro que falta por comentar y ahora entra, El Ayllu y la
territorialidad en los Andes de Simo n Yampara, se significa en el contexto de Bolivia por
su fundacio n tambie n reciente en ciudad populosa pra cticamente indgena, la que, a
cuatro mil metros de alzada sobre el nivel del mar, adopta y presta nombre de El Alto
por ubicarse como un balco n sobre La Paz.

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comunitaria y en concreto la del ayllu. Las comunidades no municipalizadas o no doblegadas a municipio despliegan tambie n la iniciativa de
concebir y proponer posibilidades constitutivas de sociedades incluyentes desde sus propias perspectivas. Selecciono una muestra de literatura
que as contempla para el comu n de modo expreso no so lo un pasado
y un presente, sino tambie n un futuro. Comienza mostrando una
representacio n de geografa poltica distinta a la de los Estados (22).
Ayllu qaman a significa desarrollo comunitario desde la perspectiva
de comunidades aymaras y quechuas que se mantienen vivas como tales,
como colectividades no so lo aplicadas a recursos agrarios. Mas la tierra
es la base. Lo es un re gimen de comunidad complejo con experiencia y
capacidad para el aprovechamiento complementario de pisos ecolo gicos
a variadas alturas conforme al propio medio natural. Toda una cultura
tanto material como espiritual constituye y activa comunidad. Entre el
siglo XVI y los albores del XXI, ni el colonialismo hispano ni el Estado
boliviano han sido para plantear o ni siquiera para concebir alternativas
plausibles a este comunitarismo andino. Entre la ignorancia, la prepotencia y el hostigamiento de parte ajena, la resistencia, la reserva y el
acomodo de la propia, transcurre una larga historia tambie n para las
comunidades. Lo que ahora puede mayormente interesarnos es que, aun
con todo el deterioro sufrido y con todo el acoso continuo, se sienten y
encuentran en condiciones de concebir y plantear sus propios proyectos
de desarrollo comunitario no so lo econo mico, sino ma s integral (23).
Ve anse motivaciones en castellano del acuerdo comunitario reconstitutivo de un ayllu en 1999 mirando a un horizonte igualmente
reintegrador de marka y de suyu como niveles progresivamente amplificadores de comunidades tras periodos todo esto de intentos empen ados por impulso o con respaldo del Estado, o tambie n de instituciones
internacionales, ya de cooperativizacio n agraria, ya de corporativizacio n
(22) S. YAMPARA HUARACHI, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, portada que
reproduce una imagen todava viva del Tawantinsuyu o comunidad previa y resistente al
colonialismo europeo y a los Estados andinos.
(23) S. YAMPARA HUARACHI, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, pp. 50 (ayllu
qaman a, organizacio n para el bien vivir), 141 (qaman a, vivir bien en armona con todos
y entre todos),149 (qaman a es aproximadamente igual a la sumatoria del crecimiento
material, ma s crecimiento biolo gico, ma s el crecimiento espiritual, ma s el gobierno de los
ecosistemas) y 161-165 (Glosario aymara con el concepto compuesto de ayllu qaman a:
Organizacio n de la vida en el Ayllu y a partir del mismo). Es libro tambie n con
epgrafes expresivos: Jacha Champi uraqipampi qamawir sartata - Ejercicio territorial del
Ayllu (pp. 105-122); Ayllu qamawiru kuttan a - Refuncionalizacio n del Ayllu (pp. 123142), ma s las debidas Tuktaya - Conclusiones (pp. 143-157), retomando cuestiones de
entrada: Ayllunak Markanakan uraqxpata yatxatan a - Territorialidad andina y su conceptualizacio n (pp. 53-69). Personalmente, con la asistencia de inte rpretes, he participado en
reuniones de representantes de ayllus y markas, como agregaciones e stas de aquellos (S.
Yampara Huarachi, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, pp. 151-153), trata ndose
la dimensio n constitucional del desarrollo comunitario en tales te rminos constitutivos,
valga la aparente redundancia.

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sindical: Reconstitucio n del ayllu es luchar por recuperar nuestro


territorio originario y su respectiva estructura orga nica de Ayllu-MarcaSuyu, es decir, una manera de participar en el control y gestio n de los
recursos naturales como medida de luchar seriamente contra la pobreza
y el proceso del control ambiental. Es tambie n cultivar los conocimientos y sabidura de los pueblos originarios, la espiritualidad y la ritualidad predicada desde nuestros ancestros y ejercitar plenamente nuestros
derechos, sean culturales, econo micos y polticos, como pueblos del
proceso originario, eso quiere decir Pachakuti, el tiempo agitado de la
reconstitucio n integral en aymara como en quechua (24).
Observemos con atencio n entonces. No reduzcamos el comunitarismo a la dimensio n agraria. No empobrezcamos ma s au n comunidades sumiendo bajo tierra, enterrando literalmente, culturas en vida.
Para el ayllu andino, vale hoy todo lo dicho de identidad y de legitimidad, de identificacio n de los individuos mediante pertenencia comunitaria y de legitimacio n de las instituciones a partir de la propia
comunidad y a trave s de esta base de lanzamiento y monitoreo societarios. Lo que se aprecia de socialidad para una Europa prete rita puede
ser la experiencia viva de una Ame rica presente, donde ahora, entre
unas y otras alternativas y especialmente por las indgenas, pudieran
adema s ya existir o estar al menos gesta ndose condiciones para una
conjugacio n en libertad entre individuos y comunidades, una conciliacio n que con anterioridad, en la historia pasada, resultaba llanamente
impensable. Con tal posibilidad, si llegara a confirmarse, pues no me
cabe hacer el ca lculo, ya no digo ofrecer la certeza, podra cobrar mayor
relieve y superior significacio n, ma s alla de su propio horizonte, la
constatacio n misma de unos editores espan oles: Los pueblos siguen
luchando hoy por el comu n (25).
El presente acusa y puede desvelar historia, si es que e sta tambie n
nos interesa, como profesionales, por s misma. La presencia actual cabe
que haga ma s accesible el conocimiento del propio tiempo prete rito.
Oralidad y costumbre esta n vivas, lo que ofrece pistas y claves hacia la
inteligencia de un pasado similarmente, aunque tampoco en exclusiva,
oral y comunitario (26). La antropologa conoce procedimientos para
(24) S. YAMPARA HUARACHI, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, pp. 189-193,
facsmil del acta manuscrita de Reconstitucio n del Ayllu Jacha Chambi, retocando por mi
parte mnimamente la puntuacio n.
(25) Me refiero obviamente a la Presentacio n de Salustiano De Dios, Javier
Infante, Ricardo Robledo y Eugenia Torijano, entre quienes los dos primeros y la cuarta
no son parientes, sino los mismos S. De Dios De Dios, J. Infante Miguel-Motta y E.
Torijano Peurez, segu n como comparecen en la portada o en el ndice de Bienes
comunales: pasado y presente. Si hay limitacio n del horizonte, se me puede imputar ma s
que a los organizadores, pues se me invito , pense acudir con el asunto del ayllu y falle .
De identidad y legitimidad, la referencia igualmente obvia conduce a nuestras citas de J.
IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad.
(26) S. YAMPARA HUARACHI, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, dedicatoria

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LETTURE

inferir realidades idas de evidencias presentes cuando se dan ma rgenes


tales de continuidad. Puede que con todo, aunque nos duela a especialidades de la profesio n, lo que haga falta no sean historias ni del
derecho ni de la economa, sino que este necesita ndose toda una
antropologa histo rica integrando materia, afinando objeto y depurando
me todo para lo que ha de ser retrospeccio n. Ya so lo por s la concurrencia es oportuna comenza ndose, sin requerimientos de academia,
por las mismas voces interesadas (27).
A veces o incluso a menudo, por parte de la academia dominante,
se cae en el prejuicio de la confusio n de tiempos, reputa ndose por
primitivo y hasta prehisto rico lo que es contempora neo y tiene historia
propia. En ocasiones incluso se toma el presente indgena cual testimonio del pasado europeo, como si la comunidad actual pudiera esclarecer
sin ma s la formacio n histo rica o como si so lo hubiera una sola historia,
un solo sentido y curso del tiempo, donde algunos andaramos por fases
ma s modernas que todo un resto rezagado. En la misma Ame rica,
abunda la historiografa sesgada con estos prejuicios literalmente desequilibrados. Nos conduce en nuestra materia a un presunto panorama
de presente donde coexiste una comunidad, la indgena, reteniendo un
pasado sin futuro y una propiedad, la privada, gestando un futuro con
pasado. Como abunda y predomina, no hace falta que ejemplifiquemos.
Ba stenos con nuestras citas de un cara cter ma s positivo (28).
La historia europea no la resuelve presente alguno ni americano ni
propio. Para el conocimiento de la dimensio n comunitaria de un pasado
hoy y aqu, por Europa, extran o, no valen extrapolaciones ni en el
espacio ni en el tiempo. El reto que plantea la necesidad de una
antropologa histo rica propia no es transferible ni endosable. El derecho ma s accesible, al serlo mediante la produccio n y conservacio n por
escrito, no aporta en verdad mucho. Ni puede ni quiso. No se ocupaba
de la costumbre ma s alla del privilegio ni de lo comunal ma s alla de lo
municipal o similarmente corporativo. Consideraba todo aquello un
mundo ru stico que no mereca sus empen os ni desvelos. No participaba
de la vida civil presumida para s mismo por aquel derecho letrado. He
primera a padres y abuelos, ellos y ellas, que, siendo analfabetas en la lecto-escritura
castellana, eran portadores de conocimientos y sabiduras del Ayllu.
(27) S. YAMPARA HUARACHI, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, p. 148: (...)
Lo que hay que investigar ma s, desde el punto de vista de los yatiri y los chamakani,
maestros sabios andinos procesadores de la cosmovisio n. Ellos pueden darnos mayores
luces (...). Tambie n es necesario convocar a los arqueo logos, geo grafos, antropo logos y
etno logos a un trabajo crtico (...).
(28) Entre Bienes comunales y Rostro de la comunidad se ofrece por acumulacio n
un estupendo registro bibliogra fico que va de la investigacio n menuda al debate teo rico,
e ste no so lo de historiografa espan ola. So lo me siento tentado de ampliarlo en lo que
toca a antropologa histo rica y actual respecto a comunidad indgena por Ame rica,
tampoco so lo por Bolivia, pero, como ha surgido el asunto cual especie de contrapunto
y merecera desde luego consideracio n propia, huelgo y me excuso en esta ocasio n.

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LETTURE

ah servidumbres para el orden de entonces y desafos para la ciencia de


hoy. As las cosas, a la historiografa realmente le cuesta superar las
limitaciones de la historia o incluso cobrar simple conciencia (29).
5.

Pasado y presente.

Las publicaciones comentadas miran todas no so lo a pasado, sino


tambie n a presente e incluso a futuro, aunque no lo pregonen a modo.
El volumen que se presenta como ma s netamente histo rico, el de Rostro
de la comunidad, ya hemos visto que se insinu a por las inmediaciones de
una filosofa comunitaria menos prete rita. Ofrece esta reflexio n previa:
El pasado puede resultar tambie n crucial en el desarrollo de una teora
alternativa. Su observacio n revela una abundante profusio n de lenguajes colectivos e ima genes comunitarias que hacen posible inferir que
aquellos sujetos adquiran existencia como agentes individuales so lo en
la medida que representaban a un grupo, a una comunidad. Y es la
fuerza de esta posible inferencia la que enfrenta al observador a un
inco modo planteamiento: en vez de ser individuos anteriores o al
margen de la experiencia comunitaria, no estaramos tambie n nosotros
constituidos en entornos colectivos dentro de los cuales operan otras
racionalidades que explican su accio n colectiva? (30).
Abrigo mis dudas, comenzando por la de su propio alcance, quiero
decir el de mis preocupaciones mismas. Advie rtase que el planteamiento con todo resulta no so lo de historia o, ma s generalmente, de
ciencia social, sino tambie n, por lo implcito, de derecho y, ma s
especficamente, de libertad humana. Debemos considerarnos constitutivamente sujetos individuales o sujetos colectivos, con cre dito ante
todo de libertades o con de bito sobre todo de obligaciones, personales
las unas y comunitarias las otras? He ah una cuestio n de antropologa
que interesa de modo neura lgico al derecho. Puede que resulte la
(29) Entie ndaseme. No voy a desdecirme pra cticamente de toda mi obra a estas
alturas negando el valor del derecho para la reconstruccio n de una antropologa histo rica
europea. Se trata de seguir marcando lmites y reconociendo dependencias. Donde no
llego el derecho letrado, lo que no quiere decir el derecho todo, mal puede alcanzar
mediante su testimonio la historiografa jurdica y no jurdica. Y no era asunto de
incapacidad de un ordenamiento, sino de su propia estructura constitutiva entre
excluyente y discriminatoria. Por esto, por el mapa social que as dibuja, cabe que ayude
a un cierto reconocimiento aun en los casos para los que no puede aportar conocimiento
alguno, los de ma s alla del propio terreno, como el comu n sin ir ma s lejos.
(30) J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, p. 19, con antelacio n a lo ya
citado de la misma pa gina. En el caso de Bienes comunales: pasado y presente, lo u ltimo,
el registro actual, puede proceder de consideracio n por la contribucio n del Colegio de
Registradores de la Propiedad y Mercantiles de Espan a a la celebracio n de los congresos
sobre Historia de la Propiedad y publicacio n de sus actas, pero, mediando igualmente en
el caso el compromiso cvico del trabajo universitario, tambie n puede apreciarse que
genera su propia dina mica saludable para la misma labor historiogra fica.

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LETTURE

primera constituyente del segundo. Segu n nos concibamos, as seremos.


As asumimos que debemos ser y as procedemos a organizarnos. El
orden jurdico no es tan autorreferencial como se presume por el
pensamiento menos o nada comunitario. Comprobe moslo en el presente. Es lo que al fin y al cabo importa incluso cuando nos dedicamos
a estudiar el pasado. Enfrentemos el interrogante cara a cara y sin
tapujos por sus propios me ritos desde luego y tambie n por esclarecerse
condiciones de abordaje y ana lisis de la historia despeja ndose estorbos
indeseables y evita ndose embarazos indeseados (31).
A la pregunta de marras, es fa cil darle una respuesta catego rica ya en
la direccio n individualitaria, cuando de lo que carece o anda corto el
discurso es de conocimientos empricos sobre comunidades humanas, ya
tambie n, como en el caso, en la lnea comunitaria, cuando lo que falta,
escasea o no se hace explcito en el argumento es reflexio n e tica sobre
libertad humana. Procu rese la noticia y te ngase el cuidado de modo que
inteligencia y sensibilidad no se neutralicen o ni siquiera se contrarresten.
Ha gase el intento de no disociarse lo que se tiene por ciencia y lo que se
entiende por moral. No se reduzcan e sta a pre dica de discursos inoperantes y aquella a registro de conductas inelocuentes. Trate de reconciliarse la integridad humana comenza ndose ante todo por el ejercicio de
la interlocucio n, lo que precisamente cabe entre culturas vivas, tambie n
desde luego entre individualitarias y comunitarias. Dia logo multidireccional mediante, con este intercambio humano, podra comprobarse que
la respuesta no es en absoluto tan sencilla como se presenta.
No cabe inequvoca o, si prefiere decirse, universal. Y con esto no
se trata de relativismo cultural, sino, al contrario, de igual medida en la
consideracio n humana. No es lo mismo, de una parte, el supuesto de
unas comunidades vivas con horizonte propio al que se atienen libremente los individuos en su seno que, de otra, el de unas sociedades
igualmente vitales, mas de virtualidades comunitarias, lo que no quiere
decir asociativas, ya perdidas para las personas mismas, para quienes
hoy viven en ellas. Segu n los supuestos, la comunidad puede ser tanto
(31) Por la muestra de las citas de J.R. MORENO FERNAu NDEZ, La lo gica del comunal
y de J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la comunidad, habra podido apreciarse algo en
comu n y esto es el peso de la beligerancia contra posiciones actuales de presunta
racionalidad econo mica del intere s individual, lo cual, aun con toda su carga de razo n en
la propia posicio n, puede constituir un handicap tanto teo rico como pra ctico, lo uno
porque se tiende con ello a adoptar a la contra categoras anacro nicas y lo otro porque
los neos actuales de referencia, cuales el neoliberalismo y el neoutilitarismo citados, no
parece que sean con comunitarismo histo rico como podra n, ya no digo combatirse, sino
ni siquiera ponerse en apuros. Incluso abriga ndose este objetivo de dejar en evidencia,
si lo que se hace es historia, investigacio n del pasado, lo que interesa, aun a riesgo de que
lecturas superficiales o interesadas te tomen por apologeta de o rdenes justamente
periclitados, es la reconstruccio n de la antropologa propia de entonces por s misma y
no a la contra, lo cual tambie n constituye empen o marcado del Rostro de la comunidad
de Jesu s Izquierdo.

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LETTURE

premisa de libertad como instrumento de sujecio n. Respecto a nuestro


asunto, pudiera constituir derecho humano en el segundo caso la
propiedad privada como en el primero la comunidad propietaria. Lo
sera a la cultura propia. Ya se que, entre quienes se significan por la
defensa de unos derechos humanos, suele preferirse la idea ma s simple
de que no lo hay de tal categora y rango que interese a propiedad.
Tienden tambie n con la simpleza a dar por sentado que la comunidad
o colectividad social es adversa y hasta enemiga de la individualidad o
personalidad humana.
Por lo que respecta a la pra ctica historiogra fica profesional, si mira
a presente y no so lo a pasado, lo que siempre ocurre aunque no siempre
se reconozca, la cuestio n se cifra en el discernimiento ulterior y no previo
a la propia tarea de informacio n e indagacio n, con escritos o sin ellos,
mediante conciencia y sensibilizacio n. Abunda la historiografa que todava comienza y se agota, aun con acopio de trabajo de por medio, con
currculos vastos de carrera acade mica, en el puro prejuicio de la presuncio n de vida civil de una parte, la propia, y ru stica de otra, la ajena.
Que presuma individualidad o colectividad no tiene mayor valor que el
de su propia vanidad. Y no hay ceguera completa, sino miopa pronunciada. Al mismo tiempo y para todo tiempo, saben usualmente contemplarse ambas cosas, la individualidad como signo de civilizacio n y la colectividad como rasgo de rusticidad, cuales testimonios hoy, encara ndose
el porvenir, la primera de un presente brioso y la segunda de un pasado
exangu e. As se contraponen lo cualificado y lo descalificado por una
historia sin tiempo comu n y una actualidad sin derecho igual (32).
Por suerte, a nuestras alturas, a unas alturas contempora neas para
todos los individuos y todas las comunidades, el derecho humano no lo
determina la historia inhumana o, au n menos, la historiografa insensible a humanidad ninguna, ni a la propia al cabo. Por fortuna, en
nuestros tiempos de derechos humanos, para sus principios de legitimidad, el derecho propio no deriva de la historia ajena y so lo lo hace de
la propia en una medida que ha de pasar, sin excepcio n, por la libertad
humana. Entre pasado y presente, he ah el factor decisivo que no
(32) Si hiciera falta muestra vana, a mano se tienen entre las pa ginas que se
comentan unas bien significadas por ser de jurista especializado en Bienes comunales:
ALEJANDRO NIETO, Desamortizacio n ilustrada y desamortizacio n liberal de la propiedad
agraria, en Bienes comunales, pasado y presente, pp. 257-290. Aun por va ma s emprica
y menos presuntiva, marcando esto la diferencia, J. IZQUIERDO MARTIuN, El rostro de la
comunidad, lo que contempla es el comunitarismo especficamente agrario sin extenderse
a la antropologa conjunta de la sociedad del caso salvo en la medida en la que incide
sobre el propio sector rural. Particularmente en la literatura histo rica y antropolo gica
sobre comunidades indgenas en Ame rica es todava muy usual la representacio n a la
contra de la cultura europea como irrealmente individualitaria desde el puro inicio de la
invasio n. El mismo uso ma s latino que anglosajo n de identificar como edad moderna
aquellos siglos precisos si acaso premodernos, si no postmedievales, entre el XVI y el
XVIII, alimenta la presuncio n.

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LETTURE

necesita valerse de historia ni servirse de su figuracio n, la historiografa.


Entre prete rito y futuro, lo que sobra es la literatura cargada de
prejuicios que encima oficia de ciencia como forma de profeca. Culturas comunitarias? Ni las vivas, parece decirnos. Repitamos puesto que
resulta preciso, aunque tampoco es que sea universal el feno meno: Los
pueblos siguen luchando hoy por el comu n.

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MARIA ZANICHELLI

LEUROPA COME SCELTA


(a proposito di FURIO CERUTTI e ENNO RUDOLPH (eds.), A Soul for Europe. On the Cultural
and Political Identity of the Europeans, vol. 1 A Reader, vol. 2 An Essay Collection,
Peeters, Leuven - Sterling, Virginia 2001)
1. Verso unintegrazione consapevole. 2. I diversi volti dellidentita` europea. 3.
Costruire unidentita` politica sovranazionale. 4. Le vie della legittimazione nellUnione europea.

1.

Verso unintegrazione consapevole.

Nelle societa` europee lUnione continua ad essere percepita come


un dato di fatto, piu` che come un progetto cui aderire. Nel dibattito
sul futuro politico e istituzionale dellEuropa sembra ancora mancare
unadeguata riflessione sulla meta di questo processo, e sulle risorse
anche ideali che occorre mobilitare per dargli significato. Chiarire
questi aspetti e` invece una condizione indispensabile perche la costruzione europea non sia soltanto un effetto secondario del conseguimento
di obiettivi settoriali o lesito inesorabile della logica dei mercati (1).
LEuropa, infatti, e` molto piu` che uno spazio economico: lUnione, in
particolare, e` un soggetto istituzionale dotato di unidentita` propria, in
cui hanno un rilievo primario i principi che si ispirano alla tradizione
del costituzionalismo democratico (2).
Come e` noto, sebbene lintegrazione europea sia stata inizialmente
unintegrazione di mercati, e` storicamente individuabile, fin dalle origini, un nucleo normativo di valori e priorita` che hanno agito come
motivi ispiratori di quel processo: i Trattati istitutivi enunciavano tra gli
obiettivi delle Comunita` il perseguimento della pace e della prosperita`
per i popoli europei, in vista di un nuovo ordine internazionale fondato
su relazioni stabili e non conflittuali (3). Successivamente il progetto
(1) A. TOURAINE, Quello che lEuropa non puo` essere, in G. BONACCHI (a cura di),
Una Costituzione senza Stato, Bologna 2001, p. 200.
(2) U. DE SIERVO, La difficile Costituzione europea e le scorciatoie illusorie, in ID.
(a cura di), La difficile Costituzione europea, Bologna 2001, p. 143.
(3) Le finalita` enunciate nei Preamboli del Trattato CECA del 1951 e del Trattato
CEE del 1957 erano la salvaguardia della pace mondiale, il mantenimento di relazioni

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LETTURE

europeo ha fatto propri imperativi ulteriori, quali la promozione della


democrazia e la tutela dei diritti umani: nellAtto Unico Europeo del
1986 gli Stati membri hanno espresso la volonta` di contribuire al
mantenimento della pace e della sicurezza internazionali facendo valere,
come si legge nel Preambolo, i principi della democrazia e il rispetto
del diritto e dei diritti delluomo; e hanno indicato questo obiettivo nei
termini di una responsabilita` che incombe allEuropa di adoperarsi per
parlare sempre piu` ad una sola voce.
La consapevolezza di una responsabilita` dellEuropa in ordine alla
definizione della propria identita` e` oggi al centro della riflessione
scientifica sul processo di integrazione, e meriterebbe un rilievo analogo
anche nel relativo dibattito pubblico. Gli eventi che hanno coinvolto
lEuropa negli ultimi tempi suggeriscono lidea che essa sia giunta ad un
momento cruciale del suo percorso. LUnione puo` essere un elementochiave nel qualificare questa svolta: le si presenta oggi lopportunita` di
affrontare questioni fondamentali come un attore politico, identificabile
sia al proprio interno sia dai suoi partners esterni quale soggetto
autonomo di decisione. Ma qui sorgono difficolta` gravi: le incertezze e
le ambiguita` che permangono tuttora circa la forma politica dellUnione
si traducono in una crisi di legittimita` delle sue istituzioni, e in una
distanza crescente fra i suoi meccanismi decisionali e la prassi democratica che prosegue entro i confini statali. Con la costruzione del
mercato unico, e` stato detto, il linguaggio delleconomia ha scalzato il
linguaggio della politica (4).
Fattori decisivi, anche per la loro portata simbolica, quali lintroduzione delleuro, lavvio di un processo di costituzionalizzazione, e
la prossima estensione a nuovi Stati della membership comunitaria,
richiedono che lUnione dia un volto politico nuovo alla propria
architettura istituzionale. A cio` si aggiungono le sfide inedite derivanti
dai processi globali, che sebbene non cancellino affatto il ruolo degli
Stati nazionali, sollecitano pero` lelaborazione di adeguate risposte in
ambito regionale (5). LUnione perderebbe gran parte del suo significato se rinunciasse alla possibilita` di contrapporre la forza normativa e
pacifiche, il progresso delle opere di pace, il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione, il progresso economico e sociale, il rafforzamento delle
difese della pace e della liberta`.
(4) L. SIEDENTOP, La democrazia in Europa (2000), trad. di C. Mennella, Torino
2001, p. 123. Nel dibattito sulle questioni europee si e` affermata, secondo Siedentop, una
sorta di economismo, che ha stravolto il linguaggio politico tradizionale, imperniato
sulla cultura democratica e costituzionale, a vantaggio di argomenti economici di
ispirazione utilitarista (ivi, pp. 40 sgg.).
(5) Sul rapporto tra globalizzazione e regionalismo cfr. CH. BRETHERTON, J.
VOGLER, The European Union as a Global Actor, London 1999; M. TELOv (ed.), European
Union and New Regionalism. Regional Actors and Global Governance in a Post-hegemonic Era, London 2001; ID., Linterde pendance entre la gouvernance europe enne et la
gouvernance globale, in The European Union Review, Vol. 7 n. 1, 2002, pp. 7-26; W.

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LETTURE

progettuale della politica, con le sue istanze di critica e di indirizzo, a


quello che e` stato definito lo stato di natura dominato dai mercati (6).
Appare urgente, pertanto, che lEuropa adotti una visione politica
piu` definita, e assuma unidentita` il piu` possibile inclusiva, ma non
per questo opaca o meramente settoriale che le permetta di svolgere
un ruolo incisivo sulla scena mondiale (7).
Ma e` dubbio che questo possa avvenire senza che lUnione si
mostri capace di rinnovare ogni giorno nella consapevolezza dei suoi
cittadini (cittadini degli Stati membri e quindi cittadini europei) il
significato, le ragioni e le finalita` della loro appartenenza comune.
Lintegrazione implica oggi una svolta qualitativa, che non puo` essere
affidata a sviluppi inerziali, ma puo` prodursi soltanto su un piano
normativo, quale quello delle scelte politiche; nello stesso tempo,
sullintera costruzione europea incombe il rischio del mero volontarismo politico, che si impone dallalto, distante dalla realta` dei cittadini. Lunione politica non puo` essere la risultante di dispositivi burocratici, ma neppure il frutto di una decisione autoritativa. E il
problema non riguarda piu` soltanto i mercati o la moneta, ne e`
riducibile in termini funzionalistici (8).
Anche se lUnione appare unacquisizione ormai raggiunta, resta la
WALLACE, Un insieme geo-economico nel contesto della globalizzazione, in R. CHIARINI (a
cura di), Quale Europa dopo lEuro, Roma-Bari 2002, pp. 55-62.
(6) C. OFFE, Esiste, o puo` esistere, una societa` europea?, trad. di A. Gialdroni, in
AA.VV., Sfera pubblica e Costituzione europea, Roma 2002, p. 117. Lo svincolarsi dei
meccanismi economici e finanziari dai processi decisionali politici e il loro ridursi ad
automatismi incontrollabili sono effetti tipici della globalizzazione. Secondo Z. BAUMAN,
Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone (1998), trad. di O. Pesce,
Roma-Bari 2001, pp. 67-68, lidea di globalizzazione rimanda al carattere indeterminato, ingovernabile e autopropulsivo degli affari mondiali; ancora, fa pensare allassenza
di un centro, di una sala di comando []. Piuttosto che a iniziative e a intraprese globali,
il nuovo termine si riferisce principalmente agli effetti globali che, sappiamo bene, non
sono ne voluti ne anticipati. Per J. HABERMAS, La costellazione postnazionale. Mercato
globale, nazioni e democrazia (1998), a cura di L. Ceppa, Milano 1999, p. 23, entita`
sovranazionali quali lUnione sono indispensabili affinche la politica possa prendersi
una rivincita rispetto alle forze delleconomia globalizzata.
(7) Come e` noto, questo nucleo di problemi costituisce loggetto dei lavori della
Convenzione europea, istituita a conclusione del Consiglio europeo di Laeken nel
dicembre 2001 con il compito di elaborare proposte da presentare al Consiglio europeo
come base per delineare levoluzione dellUnione e per inquadrare le sue future scelte
politiche.
(8) Sui problemi politico-istituzionali connessi allunificazione monetaria cfr. C.
CROUCH, Introduction: The Political and Institutional Deficits of European Monetary
Union, in ID. (ed.), After the Euro. Shaping Institutions for Governance in the Wake of
European Monetary Union, Oxford 2000, pp. 1-23; A. VERDUN, TH. CHRISTIANSEN,
Policies, Institutions, and the Euro: Dilemmas of Legitimacy, ivi, pp. 162-178. Sembrano
trovare una conferma significativa nel caso delleuro le considerazioni di Georg Simmel
sulla funzione del denaro non solo come strumento di misura ed espressione del valore
delle merci, ma anche come pura idea che si esprime mediante un simbolo rappresen-

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LETTURE

questione di fondo che poneva criticamente Ralph Dahrendorf: qual e`


il vero motivo per cui oggi noi ricerchiamo lUnione Europea? (9). La
domanda sul perche non puo` essere elusa: essa e` ancora oggi un utile
strumento di analisi, capace di spostare il baricentro delle problematiche europee dal piano dei mezzi a quello dei fini, da dinamiche
oggettive (le leggi del mercato, le logiche tecnocratiche, le necessita`
funzionali dellamministrazione) a una dimensione di significati condivisi e di mete da perseguire. Lappartenenza allUnione non puo` restare
semplicemente un fatto: dovrebbe invece assumere per i popoli
europei il significato di una scelta, fondata anche sulla consapevolezza
della loro comune eredita` storica, e delle ragioni non soltanto strumentali che li tengono uniti.
Proprio in questo senso diversi anni fa Jacques Delors, allora
Presidente della Commissione europea, aveva osservato che era giunto
il tempo di dare unanima allEuropa. Anima, da qualunque prospettiva la si guardi, e` una nozione impegnativa, che apre la riflessione
sul processo europeo a profondita` e complessita` ulteriori. Al potenziale
evocativo della stessa metafora ricorrono due volumi curati da Furio
Cerutti e Enno Rudolph, che riuniscono sotto il titolo A Soul for Europe
una serie di contributi dedicati al tema dellEuropa, e in particolare al
suo futuro: lintonazione progettuale-normativa del titolo rivela lindole
critica e insieme costruttiva, piu` che descrittiva o archeologica, di tutto
il lavoro, il cui scopo e` individuare gli elementi costitutivi dellidentita`
politica e culturale degli Europei (il riferimento e` ai cittadini, dunque,
anziche a unidea astratta di Europa) (10). Il concetto di Europa coincide qui tendenzialmente con lUnione, anche se la riflessione si estende
talvolta alleuropeita` come categoria piu` ampia, alla cui identificazione contribuiscono anche, per esempio, le istituzioni del Consiglio
dEuropa, o i Paesi dellEuropa orientale candidati alladesione (11).
tativo (G. SIMMEL, Filosofia del denaro, trad. a cura di A. Cavalli e L. Perucchi, Torino
1984, p. 221).
(9) R. DAHRENDORF, Perche lEuropa? Riflessioni di un europeista scettico (1996),
trad. di M. Sampaolo, Roma-Bari 1997, p. VII.
(10) F. CERUTTI, E. RUDOLPH (eds.), A Soul for Europe. On the Cultural and
Political Identity of the Europeans, vol. 1 A Reader, vol. 2 An Essay Collection, Peeters,
Leuven - Sterling, Virginia 2001. Del primo volume e` stata pubblicata recentemente la
traduzione italiana (Unanima per lEuropa. Lessico di unidentita` politica, Pisa 2002).
(11) La distinzione peraltro tende a perdere rilievo nella prospettiva di cui i due
volumi vogliono essere espressione. Cfr. F. CERUTTI, Towards the Political Identity of the
Europeans. An Introduction, in A Soul for Europe cit., vol. 1, p. 2: per Europa intendo
lUnione europea. Non e` una semplice convenzione linguistica; quando si viene a parlare
di processi politici reali, non ce` unEuropa diversa o piu` nobile dellistituzione che inizio`
a prender forma piu` di cinquantanni fa. J. FITZMAURICE, State of the Union, in A Soul
for Europe cit., vol. 1, p. 161, osserva che lUnione europea, sebbene non coincida con
lEuropa in senso culturale, filosofico e mitico, e` divenuta essenziale per lo sviluppo
dellEuropa, ed e` il solo corpo in grado di dare una forma politica e democratica
allEuropa. [Per queste citazioni, e per tutte quelle che seguono tratte dal vol. 1, la

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LETTURE

Una sorta di lessico critico esplora le strutture essenziali dellidentita`


politica, evidenziando loriginalita` della costruzione europea, ma anche
le sue contraddizioni (12). Sono poi enucleati secondo punti di vista
diversi i tratti caratterizzanti e i contenuti sostanziali di un paradigma
culturale europeo (13).
Tracciare i contorni dellidentita` degli Europei e` anche un modo
per interrogarsi su cio` che lEuropa sara`, su che cosa si vuole che
diventi. Esiste sempre un profilo soggettivo nelle dinamiche politicoistituzionali, fatto di convinzioni diffuse e di visioni comuni che si
rispecchiano nei comportamenti pubblici: lintegrazione europea non
puo` farne a meno (14); levoluzione che si produce sul piano dellorganizzazione dei poteri necessita di una corrispondente adesione da
parte dei soggetti che vi sono coinvolti, e deve contribuire in qualche
modo a delineare il loro nuovo ethos (15). Sebbene siano i progetti
politici a poter costituire legami piu` stretti tra i popoli, processi di
traduzione utilizzata e` quella delledizione italiana Unanima per lEuropa. Lessico di
unidentita` politica cit.].
(12) Nel primo volume (A Reader) il saggio introduttivo di Cerutti e quelli di
Weiler e di Bellamy e Warleigh interpretano attraverso tre distinti paradigmi teorici le
peculiarita` della polity europea, sottolineandone anche i limiti, in particolare rispetto alle
questioni irrisolte della democraticita`, della rappresentativita` e della legittimita` delle
istituzioni e dei processi decisionali. Gli studi di Telo` e Magnette, di Haarscher, e di
Cerutti approfondiscono alcuni contenuti dellidentita` politica in Europa: rispettivamente la politica sociale, la tutela dei diritti individuali, il ruolo dellUnione in campo
internazionale rispetto alle questioni che attengono alla pace e alla guerra. I contributi di
Brague e di Rudolph ricostruiscono lidea di Europa dal punto di vista filosofico e
storico, ripercorrendone le realizzazioni e i fallimenti. Infine Fitzmaurice illustra gli
elementi essenziali della struttura e del funzionamento delle istituzioni dellUnione.
(13) NellIntroduzione al secondo volume (An Essay Collection) Rudolph individua le componenti piu` qualificanti dellidentita` culturale europea: il rispetto dei diritti
umani e la concezione della scienza come strumento autonomo e non ideologico di
spiegazione del mondo; i saggi di Adriaanse, Barasch, e Henry sono incentrati sulle
forme culturali fondamentali di cui ogni identita` collettiva si alimenta: rispettivamente
la religione, larte, e il mito; Therborn approfondisce il ruolo creativo e originale
dellUnione europea quale area normativa sovranazionale in campo istituzionale prima
che economico; i contributi di Hake, Pfetsch, e DAndrea ricostruiscono secondo
prospettive diverse lidentita` europea, come processo dinamico e come visione proiettata
nel futuro: unidentita` non onnicomprensiva ne omogenea, bens` contrassegnata dal
multiculturalismo e dalla diversita`. Infine i saggi di Vrcan, Krois e Tabatabai analizzano
lintegrazione europea dal punto di vista di identita` esterne allUnione: rispettivamente
quella propria dei Paesi dellEuropa orientale, quella statunitense e quella islamica.
(14) G. PALOMBELLA, Tradizioni, politica e innovazione nel nuovo ordine europeo, in
E. SCODITTI, La costituzione senza popolo. Unione europea e nazioni, Bari 2002, p. 15.
(15) Cfr. P. RICOEUR, Quel e thos nouveau pour lEurope?, in P. KOSLOWSKI (ed.),
Imaginer lEurope. Le marche inte rieur europe en, ta che culturelle et e conomique, Paris
1992, p. 107. La pregnanza etica degli atti di autocomprensione con cui una comunita`
formula progetti e definisce la propria identita` e` sottolineata da J. HABERMAS, Lotta di
riconoscimento nello stato democratico di diritto (1996), trad. di L. Ceppa, in J. HABERMAS,
CH. TAYLOR, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Milano 1998, pp. 80 sgg.

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questo tipo presuppongono anche forme di autorappresentazione e di


investimento ideale capaci di alimentare e diffondere un senso di
unione: non si puo` produrre lunita` dellEuropa senza che i cittadini se
ne accorgano (16). Lautocoscienza politica si forma anche grazie a
risorse morali e spirituali che non si producono spontaneamente ma
neppure possono essere indotte per via amministrativa. Essa, come
ricorda Ju rgen Habermas, richiede il medium della comunicazione
pubblica e il sostegno di uninfrastruttura culturale: i dibattiti pubblici
volti alla definizione dellidentita` si legittimano sulla base di una storia
condivisa, grazie alla quale tutti partecipano delle stesse esperienze e
dello stesso sapere intimo (17).
Le riflessioni di Habermas, suggerite allinizio degli anni 90 dal
processo di riunificazione della Germania, sembrano assumere un
valore emblematico in relazione alla fase attuale della costruzione
europea, e possono essere rilette oggi per chiarire come anche nel caso
dellUnione la definizione dellidentita` sia un momento insostituibile
affinche un processo di integrazione politica possa svilupparsi come
progetto ancorato alla coscienza di popoli e individui che ne sono
protagonisti, anziche limitarsi a imporre ad essi di volta in volta
loggettivita` indiscutibile dei propri esiti parziali (18).
2.

I diversi volti dellidentita` europea.

Sebbene non esista unautentica tradizione di europeismo autocosciente (19), e` possibile individuare i lineamenti essenziali di unidea di Europa, che si e` manifestata e realizzata variamente nel corso
della storia. LEuropa ha una propria identita` che si presenta come
inconfondibile nei suoi caratteri salienti, eppure nello stesso tempo
cangiante e difficile da delineare nettamente: la sua specificita` consiste
soprattutto nella tensione fra componenti diverse, talora conflittuali. Da
tale peculiarita` deriva la vera sfida posta dalla fase attuale dellintegrazione. Essa potra` proseguire soltanto se i popoli europei sapranno
trovare ragioni piu` profonde, non puramente strumentali, di aggrega(16) DAHRENDORF, Perche lEuropa? Riflessioni di un europeista scettico cit., p. 19.
(17) J. HABERMAS, Dopo lutopia (1991), a cura di W. PRIVITERA, Venezia 1992, pp.
47 sgg.
(18) Assume un valore particolarmente significativo oggi laffermazione (fatta da
Habermas a proposito della Germania) secondo cui ununificazione politica non puo`
essere vissuta soltanto come prodotto residuale della creazione a tappe forzate di una
zona valutaria allargata (ivi, p. 53). Questo, riguardo allUnione europea, e` il nodo che
nessuna prospettiva puramente funzionalista e` in grado di sciogliere. Doveva riconoscerlo lo stesso Jean Monnet quando affermava: Si javais su, jaurais commence par la
culture.
(19) V. HAVEL, Preface, in A Soul for Europe cit., voll. 1-2, p. XIII.

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zione; e tuttavia il successo di questo sviluppo e` legato anche al rispetto


della diversita` come risorsa dellEuropa.
Indagare le strutture e i contenuti dellidentita` europea serve a
chiarire in primo luogo che cosa significa per i cittadini e per i popoli
dellEuropa pensare se stessi come europei e riconoscersi vicendevolmente come europei. La dimensione riflessiva dellidentita` rinvia sempre ad un nucleo di idee e valori che una collettivita` condivide
e in cui trova una fonte di senso per la vita associata e per quelle
individuali (20). Questo potenziale di riflessivita` e consapevolezza e` un
requisito indispensabile per la legittimita` di un processo politico: per
questo il tema dellidentita` europea e` un nucleo pregnante intorno al
quale sembrano addensarsi le questioni piu` significative che attengono
al processo di integrazione.
Lidentita` e` dunque concetto chiave e ideale normativo. Daltra
parte, essa costituisce oggi una categoria controversa: le sue esasperazioni in senso etnocentrico e nazionalistico, che avevano condotto a esiti
totalitari nei primi decenni del Novecento, si ripropongono negli attuali
scenari delineati dai processi di globalizzazione; linasprirsi di particolarismi territoriali e nazionali, e lemergere di rivendicazioni identitarie
su base etnica sono anzi interpretati come effetti diretti della globalizzazione (21). E mentre le declinazioni patologiche dellidentita` innescano conflitti e aggravano gli squilibri fra le diverse aree regionali,
sembra invece essersi esaurita la funzione stabilizzante dellidentita`,
quale risultato dei processi di riconoscimento degli individui entro le
comunita`. Il tratto distintivo delle societa` contemporanee e` piuttosto la
sovrapposizione di molteplici legami di appartenenza, da cui consegue
una pluralita` di identita`: con linfittirsi delle interdipendenze politiche
ed economiche nel mondo il catalogo delle identita` disponibili cresce,
diminuisce, muta, si ramifica e si sviluppa (22). Peraltro, la stessa
nozione di identita` evoca, oltre che fenomeni di localismo e particola(20) In questo consiste lidentita`-specchio, secondo la metafora utilizzata da
Cerutti in riferimento allidentita` politica (CERUTTI, Towards the Political Identity of the
Europeans. An Introduction cit., p. 4). Cfr. anche le osservazioni di J.M. KROIS, The
Difference Between European Culture and the European Elements in the U.S. Culture, in
A Soul for Europe cit., vol. 2, p. 183, secondo il quale lidentita` culturale attiene
allautocomprensione di un popolo e alle sue rappresentazioni simboliche.
(21) Cfr. fra gli altri C. GEERTZ, Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla
fine del ventesimo secolo, trad. di A. Michler, M. Santoro, Bologna 1999, pp. 57 sgg.;
BAUMAN, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone cit., pp. 76 sgg.; F.
CERUTTI, D. DANDREA (a cura di), Identita` e conflitti. Etnie, nazioni, federazioni, in
Democrazia e diritto, III 1999, numero monografico.
(22) GEERTZ, Mondo globale, mondi locali cit., p. 23. M. WALZER, Sulla tolleranza
(1997), trad. di R. Rini, Roma-Bari 1998, pp. 104, 120, parla di identita` duale per
indicare la condizione, comune nelle societa` attuali, di soggetti appartenenti a minoranze
culturali entro una cultura egemone. Walzer osserva che nellepoca contemporanea la
condizione normale di cui gli individui fanno esperienza e` quella di una vita senza
confini netti e senza identita` precise e stabili.

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rismo, processi ugualmente allarmanti di omologazione, che impongono


unomogeneita` attraverso la cancellazione di differenze significative. In
questo orizzonte e` la categoria in se ad essere divenuta problematica e
ad avere perso la sua univocita`, prestandosi ad essere confusa facilmente con le sue degenerazioni, e quindi ad essere vista con sospetto e
pregiudizio.
Ma proprio i mutamenti provocati dalla globalizzazione hanno
fatto emergere nuovi tipi di identita`, ridimensionando la centralita` del
paradigma statale, e privilegiando altri tipi di aggregati a livello regionale e transnazionale: esistono oggi diverse forme possibili di identita`,
e la nozione non puo` essere ridotta alle sue espressioni patologiche.
Lidentita` europea, in particolare, e` una costruzione storico-sociale
dinamica e multiforme, che sembra consistere in una combinazione di
tradizione e mutamento, radici identificabili e potenzialita` indefinite: il
suo paradigma e` individuabile nel continuo superamento di limiti
interni ed esterni (23). La casa europea, e` stato detto, non e` fatta di
territori chiusi, bens` presenta confini flessibili, che assomigliano piuttosto a dei ponti: Europa e` una nozione culturale prima che geografica, e indica una patria intellettuale ed emozionale, un dinamico
impero spirituale cui si appartiene, prima che un luogo statico in cui
si risiede (24). Quella dellEuropa, infatti, e` una storia di apertura verso
altre parti del mondo: essa e` sempre stata piu` un progetto aperto che
unentita` chiusa (25); un arcipelago in cui il centro e` ovunque,
secondo limmagine di Massimo Cacciari, sempre in bilico tra il tentativo di strutturarsi gerarchicamente intorno a un asse e la tendenza a
dissolversi in tante individualita` reciprocamente estranee (26).
Certamente lEuropa dispone di uneredita` storica e culturale cui
deve la sua fisionomia specifica: a configurarla hanno contribuito in
misura determinante in primo luogo le sue radici giudaico-cristiane (27);
(23) D. DANDREA, Europe and the West. The Identity beyond the Origin, in A Soul
for Europe cit., vol. 2, pp. 133 sgg. Il carattere aperto dellidentita` europea, sempre in
divenire e mai compiutamente realizzata, perennemente impegnata a reinventarsi e a
cercare forme nuove, e` sottolineato da J. TABATABAI, Undestanding Europe. The Case of
Persia, ivi, pp. 197, 203, 210, in contrapposizione alla struttura rigida e monolitica
dellidentita` islamica, i cui tratti tipici sono lassenza di movimento e il radicamento in
una tradizione definitivamente fissata. Hegel rappresentava questa differenza attraverso
il contrasto fra mare (Europa) e terra (Asia), e attribuiva allEuropa una specialissima
tendenza allesterno che manca alla vita asiatica: il procedere della vita oltre se medesima (G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di G. Calogero, C. Fatta,
vol. I, Firenze 1963, p. 271). Cfr. sul tema M. CACCIARI, Geo-filosofia dellEuropa, Milano,
1994, pp. 60 sgg.
(24) P. HA} BERLE, Per una dottrina della costituzione europea, in Quaderni costituzionali, 1999, pp. 9-10. Cfr. anche R. BRAGUE, Borders, in A Soul for Europe cit., vol.
1, p. 127.
(25) Ivi, p. 138.
(26) M. CACCIARI, LArcipelago, Milano 1997, p. 21.
(27) E. RUDOLPH, Historical Manifestations of European Identity and its Failures, in
A Soul for Europe cit., vol. 1, p. 145, afferma che, sebbene lEuropa non possa essere

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ma anche una tradizione laica di razionalismo che ha attraversato i


secoli passando per la classicita` greca e romana, lUmanesimo, la
Rivoluzione scientifica, e lIlluminismo (28). Gli stessi principi giuridici
su cui si fonda lordinamento europeo costituiscono, e` stato detto, un
condensato di natura specificamente culturale (29). E ancora, e` possibile individuare uno stile di democrazia proprio dellEuropa, e un
modo tipicamente europeo di concepire la sovranita` statale, il parlamentarismo, le liberta` individuali, la solidarieta` sociale (30). Forse proprio grazie a questi ultimi aspetti si puo` distinguere che cosa e` esattamente europeo entro la categoria piu` ampia e generica di
Occidente (31).
I diritti fondamentali costituiscono un esempio interessante di
questa distinzione. Nel rapporto che si e` sviluppato storicamente tra la
concezione europea dei diritti e quella americana si coglie, ha osservato
Joseph Weiler, una circolarita` nella morfologia delle idee: il Bill of
Rights americano fu ispirato anche dalla filosofia europea settecentesca
e dal mondo concettuale della Rivoluzione francese; ma a loro volta le
concezioni americane della costituzione, del judicial review e dei diritti
individuali hanno influenzato la piu` recente evoluzione europea verso il
identificata con la sua religione principale, senza la Cristianita` non ci sarebbe stata
Europa. J.H. ADRIAANSE, Europe and Religion, ivi, vol. 2, p. 21, sottolineando limportanza del fattore religioso nel definire unidentita` culturale, osserva che questo resta vero
per il Cristianesimo anche rispetto allattuale Europa secolarizzata, definita, non a caso,
post-cristiana. Quella dellOccidente contemporaneo e` pur sempre, si potrebbe dire
parafrasando Ernst Bloch, una secolarizzazione nel Cristianesimo.
(28) Su queste tappe della formazione di un patrimonio culturale europeo, cfr.
BRAGUE, Borders cit., pp. 131 sgg.; RUDOLPH, Historical Manifestations of European
Identity and its Failures cit., pp. 155 sgg.; F. PFETSCH, The Politics of Culture and Identity
in Europe, in A Soul for Europe cit., vol. 2, pp. 122 sgg. Edmund Husserl individuava uno
specifico carattere peculiare della cultura europea nella concezione, ereditata dalla
Grecia classica, della libera filosofia e della scienza come funzione dellautonoma
ragione teoretica (E. HUSSERL, Tipi formali di cultura nello sviluppo dellumanita`
(1922-1923), in ID., Lidea di Europa, a cura di C. Sinigaglia, Milano 1999, pp. 81, 86-87).
Lidea di Europa e` per Husserl anzitutto idea di una cultura filosofica (ivi, p. XIV).
(29) HA} BERLE, Per una dottrina della costituzione europea cit., pp. 4 sgg. Sullesistenza di un patrimonio costituzionale europeo, fondato essenzialmente sui principi
della sovranita` popolare e del rispetto dei diritti fondamentali, cfr. D. ROUSSEAU, Diritti
costituzionali e spazio pubblico europeo, trad. di B. BRUNO, in AA.VV., Sfera pubblica e
Costituzione europea cit., pp. 59-69.
(30) Sul binomio giustizia-solidarieta` come elemento qualificante della civilta`
giuridico-politica europea cfr. M. TELOv - P. MAGNETTE, Justice and Solidarity, in A Soul
for Europe cit., vol. 1, p. 73.
(31) Sulla possibilita` di distinguere tra identita` europea e identita` occidentale cfr.
CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit., p. 22;
RUDOLPH, Historical Manifestations of European Identity and its Failures cit., pp. 155 sgg.
Per DANDREA, Europe and the West. The Identity beyond the Origin cit., pp. 133 sgg.,
non esiste propriamente tale distinzione.

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costituzionalismo (32). E tuttavia, gli stessi diritti, sentiti ugualmente


come fondamentali, ricevono tutela secondo modalita` diverse nel sistema giuridico statunitense e in quelli europei (e` emblematico il caso
del free speech); e queste specifiche modalita` dicono qualcosa di
importante a proposito delle rispettive identita` culturali, e delle differenze che le separano (33).
Lidea di Europa evoca dunque un patrimonio riconoscibile di
conquiste culturali, politiche e scientifiche, di atteggiamenti filosofici e
spirituali. Ma sarebbe fuorviante leggere in questo fenomeno i tratti di
una presunta omogeneita`: la storia europea, al contrario, conosce anche
discontinuita` e contraddizioni, ed e` segnata dalla presenza costante
della molteplicita` (34). Gia` luniverso medievale, cui pure si puo` guardare per ritrovare le radici di unidentita` dellEuropa, si presenta
come uno scenario tuttaltro che uniforme, in cui lunita` resta essenzialmente una pretesa, un ideale mai definitivamente attuato: sarebbe
vano cercare nel Medioevo tracce di una reale compattezza dellEuropa,
nonostante la forza unificante della Cristianita` o di visioni politiche
universalistiche. Oltre le realizzazioni precarie e temporanee di quei
progetti si scorge sempre, piuttosto, unEuropa frammentata e variegata: quella della diversita` culturale e del meticciato, fatta di singoli
regni fondati su tradizioni etniche importate, o su antiche realta` multiculturali (35). Del resto, proprio nel Medioevo gli storici individuano
la prima lontana prefigurazione di unEuropa delle nazioni (36).
Lunita` nella diversita` sembra dunque il carattere saliente dellEuropa: lEuropa non ha unita` se non nella sua molteplicita` e attraverso
essa. Sono le interazioni tra popoli, culture, classi, stati, che hanno
intessuto ununita`, essa stessa plurale e contraddittoria (37).
Il nesso tra molteplicita` e unita` appare oggi, in unaccezione piu`
istituzionale, anche una componente strutturale dellarchitettura dellUnione. Sono in primo luogo le fonti del diritto comunitario a
restituire limmagine di unEuropa in cui un progetto di unione si
coniuga senza contraddizione con la dimensione della pluralita`. Gia` i
Trattati istitutivi delle Comunita` europee enunciavano lobiettivo di
(32) J.H.H. WEILER, Diritti umani, costituzionalismo e integrazione: iconografia e
feticismo, Introduzione a M. COMBA (a cura di), Diritti e confini. Dalle costituzioni
nazionali alla Carta di Nizza, Torino 2002, p. XIII.
(33) Ivi, pp. XXIX sgg. Sul tema cfr. anche G. HAARSCHER, Europes Soul: Freedom
and Rights, in A Soul for Europe cit., vol. 1, pp. 98-103.
(34) Cfr. G. THERBORN, The Role of the Economy in the Shaping of European Civilisation, ivi, vol. 2, pp. 74 sgg.; PFETSCH, The Politics of Culture and Identity in Europe cit.,
p. 124; DANDREA, Europe and the West. The Identity beyond the Origin cit., pp. 133 sgg.
(35) J. LE GOFF, Il Medioevo. Alle origini dellidentita` europea (ed. orig. Les traits
originaux de lidentite europe enne), trad. di G. Ferrara Degli Uberti, Roma-Bari 2001,
pp. 8-9.
(36) Ivi, p. 8.
(37) E. MORIN, Pensare lEuropa (1987), trad. di R. Bertolazzi, Milano 1988, p. 23.

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ununione sempre piu` stretta tra i popoli dellEuropa e di una


comunita` piu` ampia e piu` profonda tra popoli a lungo contrapposti da
divisioni sanguinose (38). Lidea di ununione tra popoli diversi e` stata
poi ribadita dal Trattato di Maastricht, che ha inoltre assegnato allUnione il compito di organizzare in modo coerente e solidale le
relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli (art. 1 TUE), e ha
definito i membri del Parlamento europeo come rappresentanti dei
popoli degli Stati membri riuniti nella Comunita` (art. 190 TCE). Piu`
recentemente, anche un testo per definizione orientato a enucleare
principi comuni, quale la Carta di Nizza, si apre con il riferimento ai
popoli europei, e sottolinea nel Preambolo il rispetto da parte dellUnione della diversita` delle culture e delle tradizioni dei popoli
europei, dellidentita` nazionale degli Stati membri e dellordinamento
dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale.
La tensione fra unione e diversita` e` dunque scritta nella genesi
stessa dellintegrazione: tra gli scopi di questo processo non e` mai
rientrata la formazione di un popolo unitario. La pluralita` dei popoli
dellEuropa non soltanto e` un dato indiscutibile, che il progetto comunitario non ha preteso di cancellare, ma sembra anzi rappresentare la
vera ricchezza dellidentita` europea. Lethos dellUnione consiste proprio nel garantire una modalita` di convivenza tra nazioni e popoli
diversi entro uno spazio comune di liberta` e lealta`, che ne rispetti le
specifiche identita`: e` un paradigma alternativo sia rispetto alla mera
coesistenza tra gruppi reciprocamente estranei, tenuti insieme da obiettivi utilitaristici; sia rispetto allomologazione e allassimilazione delle
differenze (39). Il fondamento di questo modello di convivenza sta in
quel principio non scritto di moralita` e di civilta` che Weiler ha definito
tolleranza costituzionale: nellUnione europea si e` raggiunto un livello profondo di integrazione materiale e giuridica, senza pero` annullare del tutto la sovranita` degli Stati membri, e custodendo le loro
peculiarita` culturali e politiche; ne risulta una disciplina costituzionale del tutto originale, accettata liberamente e volontariamente da
ognuna delle comunita` politiche che insieme lanno elaborata (40).
Se dunque appare urgente riportare il problema politico al centro
(38) Le due enunciazioni compaiono rispettivamente nei Preamboli del Trattato
CEE del 1957 e del Trattato CECA del 1951.
(39) Sulloriginalita` dellintegrazione europea come alternativa sia alla coesistenza
sia allomologazione cfr. HAARSCHER, Europes Soul: Freedom and Rights cit., pp. 104 sgg.
(40) J.H.H. WEILER, European Democracy and the Principle of Toleration: The Soul
of Europe, in A Soul for Europe cit., vol. 1, pp. 50 sgg. Proprio lassenza di un unico
demos sovrano titolare del pouvoir constituant rappresenta per Weiler la ricchezza della
costituzione europea. Egli sottolinea inoltre la funzione civilizzatrice della cittadinanza europea, che educa alla tolleranza e al rispetto della diversita`, ed esprime
limpegno a considerarsi membri di una societa` piu` ampia di quella statale (ID., To be a
European Citizen: Eros and Civilisation, in ID., The Constitution of Europe, Cambridge
1999, pp. 344-348).

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del dibattito sul futuro dellEuropa, e dargli una soluzione, non si tratta
pero` semplicemente di definire in modo piu` netto unidentita` politica
degli Europei preservando invece il pluralismo e la molteplicita` sul
piano culturale; occorre anche, in piu`, non tradire e non snaturare
loriginalita` della polity europea. I due versanti, del resto, sarebbero
difficilmente separabili: la diversita` culturale, e` stato detto, ha trovato
nellUnione europea una struttura politica ideale (41). E qualunque
scelta miri a unificare e a rendere piu` centripeto il policy making
dellUnione non puo` soffocare questa felice strategia di integrazione
senza omologazione, se non vuole privare lEuropa di una risorsa
insostituibile, che appartiene innegabilmente alla sua identita`. Anche
per questo la forma auspicabile per una futura unione politica non e`
quella di una nuova grande nazione: lobiettivo dovrebbe essere
piuttosto quello di unEuropa che riesca a tenere insieme i propri
frammenti (42).
3.

Costruire unidentita` politica sovranazionale.

Pur senza ignorare che lapertura e la molteplicita` sono scritte nella


storia dellEuropa, e devono continuare a esprimersi anche entro le sue
istituzioni, appaiono urgenti per lUnione la costruzione di unidentita`
politica e la ricerca di una legittimazione. Il rispetto delle diverse culture
e identita` nazionali non e` incompatibile, infatti, con lobiettivo di una
coesione politica piu` profonda. Cio` che riunisce i cittadini in un demos,
e` stato detto, non e` il presupposto di unomogeneita` culturale, ma la
coscienza di dover configurare insieme una vita associata: lo sviluppo
politico dellUnione puo` essere promosso dalla necessita` di prendere
decisioni su questioni che richiedono una soluzione a livello europeo (43).
(41) PFETSCH, The Politics of Culture and Identity in Europe cit., p. 118. Peraltro
la realizzazione della convivenza fra culture diverse costituisce di per se un problema
politico: anche per lUnione europea, esattamente come per la societa` bene ordinata
di Rawls, esiste il problema di scegliere quali culture includere e quali escludere. Non e`
dunque il multiculturalismo in se la ricchezza dellEuropa: alcune forze culturali sono
accettabili e auspicabili per la definizione dellidentita` europea, ma altre no (ad esempio
i fondamentalismi). A questo riguardo RUDOLPH, Historical Manifestations of European
Identity and its Failures cit., pp. 159 sgg., sostiene che limpegno dellEuropa dovrebbe
essere nella direzione di un oligoculturalismo, per evitare sia lomogeneizzazione sia
lesclusivismo culturale, e per favorire una crescente familiarita` fra le diverse culture
nazionali.
(42) SCODITTI, La costituzione senza popolo. Unione europea e nazioni cit., p. 188.
(43) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
pp. 25-26. Per Cerutti lunione politica e` anche risposta a precise necessita`: la polis
europea non sorge dal realizzarsi di una preesistente idea dellEuropa []. Essa sorge
invece da bisogni [] e decisioni [] che emergono dallesperienza comune del
presente (ivi, p. 14). E` una prospettiva opposta a quella di Edgar Morin, per il quale

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Del resto, non mancano paradigmi filosofici che indicano proprio


in unintegrazione di tipo politico (sebbene riferita ad un contesto
statale: si pensi alla cittadinanza multiculturale di Will Kymlicka o al
liberalismo politico di John Rawls) il tramite che rende possibile la
convivenza fra diverse identita` entro una societa` che aspiri ad essere
liberale e democratica. Secondo Rawls, in particolare, in un orizzonte di
pluralismo culturale e` una concezione politica della giustizia che
merita di essere perseguita: la societa` bene ordinata e` quella in cui
diverse dottrine comprensive (ciascuna caratterizzata da propri contenuti sostanziali di tipo etico, religioso, filosofico) si incontrano su un
sottoinsieme limitato di valori che attengono allambito del politico, e
raggiungono su questi una forma di overlapping consensus, sufficiente a
garantire lealta` e cooperazione sul piano pubblico (44).
Alcuni elementi della teoria di Rawls sembrano suggerire un modello normativo per la costruzione di unidentita` politica europea:
unidentita`, e` stato detto, astratta, soft, che non pretenda di ricomprendere ogni dimensione della vita dei cittadini, ma soltanto alcuni
profili di natura politica, e che sappia integrarsi con altre identita`, grazie
alla propria struttura modulare e non monolitica (45). Per questo suo
carattere costruito lidentita` europea certamente si avvicina a quella
che Rawls ha chiamato identita` pubblica o istituzionale, riguardante i valori e gli impegni politici piu` generali dei cittadini, che
tendenzialmente sono gli stessi per unintera societa`, e non coinvolgono
le identita` personali ne le convinzioni dei singoli (46). Tuttavia lidentita`
pensare lEuropa significa invece considerare la nostra comunanza di destino prima di
delineare una comunita` di progetto (MORIN, Pensare lEuropa cit., p. 21).
(44) J. RAWLS, Liberalismo politico (1993), a cura di S. Veca, trad. di G. Rigamonti,
Torino 1999. Lo stesso principio, come e` noto, e` stato applicato da Rawls anche ai
rapporti internazionali: una societa` giusta puo` essere creata anche fra popoli (le societa`
bene ordinate) che condividano un nucleo comune di principi di giustizia, capaci di
fondare uno standard minimo di istituzioni politiche (ID., Il diritto dei popoli (1999), a
cura di S. Maffettone, trad. di G. Ferranti e P. Palminiello, Torino 2001). Will Kymlicka
invece ha riformulato il concetto giuridico-politico di cittadinanza alla luce delle nuove
esigenze poste dal multiculturalismo, e ha definito autenticamente liberale una societa` in
cui trovino riconoscimento le istanze avanzate da diverse minoranze culturali entro la
cultura egemone (W. KYMLICKA, La cittadinanza multiculturale (1995), trad. di G.
Gasperoni, Bologna 1999).
(45) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
pp. 18-19, 27. Per A.-K. HAKE, Inner-European Migration: A Test for European Identity,
in A Soul for Europe cit., vol. 2, pp. 109-111, esiste solo una forma limitata di identita`
europea, di tipo funzionale, quale componente dellidentita` personale di ogni individuo; mentre non esiste un nucleo definito di requisiti culturali che debbano necessariamente essere condivisi da chiunque voglia essere europeo. Sul carattere modulare e non
onnicomprensivo dellidentita` politica nelle societa` contemporanee cfr. anche F. CERUTTI, Identita
` politiche e conflitti. Definizioni a confronto, in CERUTTI, DANDREA (a cura
di), Identita` e conflitti. Etnie, nazioni, federazioni, cit., pp. 26-27.
(46) RAWLS, Liberalismo politico cit., pp. 43-44. Secondo Rawls non abbiamo

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di un corpo politico consiste anche di elementi ulteriori (storici, comunicativi), che toccano le ragioni stesse dellappartenenza degli individui
alla comunita`: essa e`, secondo la definizione di Cerutti, linsieme delle
immagini del mondo, dei valori e dei principi che noi riconosciamo
come nostri: nel condividerli sentiamo di essere noi (47).
Gli atti con cui un gruppo definisce la propria identita` non si
riducono a mera descrizione del presente, ne allacquisizione di
uneredita` o alla ricerca di radici originarie, ma hanno in se una
componente normativa e progettuale, rivolta al futuro: il gruppo si
forma unimmagine di se anzitutto individuando mete prioritarie e
principi regolativi che orientino il proprio agire (48). Lidentita` pertanto, per le comunita` come per gli individui, non e` semplicemente
loggetto immodificabile di una scoperta, bens` e` soprattutto il risultato di un processo di scelta, in cui il ragionamento gioca un ruolo
essenziale (49). Per questo essa e` suscettibile di continue riformulazioni,
e anzi la possibilita` di ridefinirne gli elementi costitutivi in funzione di
mutamenti storici e culturali e` garantita in particolare nelle democrazie
liberali (50). Una comunita`, infatti, non e` libera di scegliere le proprie
radici, ma puo` decidere a quali tradizioni dare seguito e a quali no: le
discussioni pubbliche in cui si selezionano le tradizioni che meritano di
essere sviluppate rientrano in quei discorsi di autochiarimento che
Habermas considera un aspetto fondamentale della vita politica, e una
via obbligata per la definizione dellidentita` di un gruppo (51).
In questa prospettiva si chiarisce anche il ruolo comunemente
unidentita` che preceda il nostro essere nella societa` (ivi, p. 51). Sul rapporto tra
formazione dellidentita` e processi di socializzazione cfr. in particolare HABERMAS, Lotta
di riconoscimento nello stato democratico di diritto cit., pp. 70, 88.
(47) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
p. 4. Per questa ragione, ha precisato lo stesso Cerutti, lidentita` politica non puo` ridursi
ad una formula normativa quale quella rawlsiana (F. CERUTTI, Identita` e politica, in ID.,
Identita` e politica, Roma-Bari 1996, pp. 14 sgg.).
(48) Ivi, p. 7; ID., Identita` politiche e conflitti. Definizioni a confronto cit., p. 20.
(49) Questa tesi e` argomentata in modo particolarmente efficace da A. SEN, La
ragione prima dellidentita` (1999), in ID., La ricchezza della ragione. Denaro, valori,
identita`, trad. di G.M. Mazzanti, Bologna 2000, pp. 3-29.
(50) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
pp. 5-6.
(51) HABERMAS, Lotta di riconoscimento nello stato democratico di diritto cit., p. 83.
Esiste dunque un legame necessario tra identita` e riconoscimento, ma parallelamente
anche tra identita` e conflitto. La filosofia politica e morale contemporanea ha recuperato
e variamente rielaborato lassunto hegeliano secondo cui lidentita` ha inevitabilmente
una dimensione intersoggettiva, e si costruisce sempre in modo dialettico, attraverso
forme di negoziazione miranti a ottenere il riconoscimento: oltre ad Habermas, cfr., tra
gli altri, Ch. TAYLOR, Il disagio della modernita` (1991), trad. di G. Ferrara Degli Uberti,
Roma-Bari 2002, pp. 39 sgg.; ID., Multiculturalismo. La politica del riconoscimento
(1992), trad. di G. Rigamonti, Milano 1993; A. HONNETH, Lotta per il riconoscimento.
Proposte per unetica del conflitto (1992), trad. di C. Sandrelli, Milano 2002, pp. 85-86,
93-103.

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LETTURE

attribuito alla memoria e ai mythes fondateurs nella definizione delle


identita` collettive. Certamente il consolidarsi di narrazioni e tradizioni
condivise su eventi passati puo` rafforzare il senso di appartenenza e la
volonta` di perseguire obiettivi comuni (52). Ma se lo scopo e` creare una
comunita` politica, la memoria di esperienze comuni e la capacita` di
dimenticare sono, come insegna provocatoriamente Ernest Renan, componenti ugualmente indispensabili (53). Inoltre, proprio perche lidentita` ha una struttura narrativa e non statica, e` necessario che le
tradizioni possano anche essere rielaborate, e che dello stesso passato si
trasmettano narrazioni diverse (54).
La genesi discorsiva e il carattere intenzionale propri di qualunque tipo di identita` acquistano un risalto emblematico nel caso
dellidentita` politica europea: sia in quanto politica (e quindi per
definizione artificiale e costruita), sia in quanto europea (cioe` libera
da implicazioni nazionalistiche, non fondata su ununita` linguistica ed
etnica). Unoccasione per definire la propria identita` potrebbe essere
offerta allUnione dallattuale processo di costituzionalizzazione: la
stesura di una costituzione e` sempre un momento importante di
autocomprensione normativa (ma anche di mediazione tra istanze
diverse) in cui una comunita` esplicita quello che vuole essere: potrebbe
aprirsi anche per lEuropa una via costituzionale allidentita` (55).
Tuttavia, a questo proposito, le difficolta` principali attengono alla
configurazione di una sfera pubblica europea: il problema e` come
possano formarsi in Europa unopinione pubblica e un dibattito pub-

(52) La memoria della guerra, per esempio, e` uno degli elementi che uniscono
i popoli dellEuropa (CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An
Introduction cit., p. 12). Lintegrazione tuttavia e` possibile non soltanto fra gruppi che
hanno memoria di unita` in guerra, ma anche che hanno lottato, sofferto, cercato la pace
su fronti opposti (ID., Peace and War in the European Conscience, in A Soul for Europe,
cit., vol. 1, p. 113). Secondo Cerutti peraltro e` lesistenza di simboli comuni, piu` che
di miti, a poter offrire un sostegno allidentita` tramite la memoria. Sul mito come
veicolo di energie simboliche ed emozionali, capaci di dare senso alla vita di una
comunita` e di costituire unidentita` politica, cfr. invece B. HENRY, Political Identity as
Myth?, ivi, cit., vol. 2, pp. 65-69.
(53) E. RENAN, Quest-ce quune nation?, in ID., Oeuvres comple`tes, Paris 19471962, vol. I, p. 892: Or lessence dune nation est que tous les individus aient beaucoup
de choses en commun, et aussi que tous aient oublie bien de choses.
(54) Piu` che una memoria collettiva immutabile, si dovrebbe assicurare in Europa
la possibilita` di resoconti diversi degli stessi eventi, attraverso quello che Ricoeur,
proprio pensando allidentita` europea, ha definito il modello dello scambio delle
memorie (RICOEUR, Quel e thos nouveau pour lEurope? cit., pp. 107-116).
(55) V.E. PARSI, Introduzione, in ID. (a cura di), Cittadinanza e identita` costituzionale europea, Bologna 2001, pp, 18 sgg. Limportanza dellindividuazione dialogata di
valori e progetti condivisi che avviene nei dibattiti costituenti e` sottolineata da CERUTTI,
Identita` politiche e conflitti. Definizioni a confronto cit., p. 22.

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blico effettivo in cui siano coinvolti tutti gli attori istituzionali e


sociali sulla costruzione di una nuova entita` politica (56).
Resta tuttora irrisolto, infatti, il nodo intorno a cui si e` sviluppato
il dibattito ormai decennale sulla costituzione europea, nel quale come
e` noto si erano contrapposte in origine la tesi di Grimm, secondo cui
una costituzione non puo` essere uno strumento di legittimazione reale
in assenza di un popolo europeo unitario (inteso come comunita`
politica di riferimento), e quella di Habermas, secondo cui la costruzione del corpo politico e` sempre artificiale, e pertanto la costituzione
puo` avere un effetto inducente nel creare istituzioni europee che
favoriscano il dibattito pubblico e promuovano una corrispondente
evoluzione nella societa`, come e` avvenuto per la formazione degli Stati
nazionali (57). A questo riguardo, il processo circolare, di implementazione reciproca, che potrebbe attivarsi in Europa tra istituzioni e societa`
civile, costituzione e demos, e` anche oggi un tema ricorrente (58).
Sebbene non esistano soluzioni immediate, proprio lesperienza
storica della costruzione di Stati nazionali puo` offrire un importante
termine di confronto: la genesi delle nazioni europee (e in particolare la
stagione costituente del secondo dopoguerra, che le ha viste impegnarsi
nella definizione della loro identita`) dimostra che la scelta di una
direzione politica verso la quale muovere puo` fondare una comunita`,
e garantirle lindispensabile coesione, molto piu` della ricerca di radici
prepolitiche (59). Anche le identita` nazionali, infatti, sono variegate al
(56) Cerutti parla a questo riguardo di una conversazione degli europei fra di
loro (ID., Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit., pp. 27).
(57) D. GRIMM, Una costituzione per lEuropa? (1994), trad. di F. Fiore, in G.
ZAGREBELSKY, P.P. PORTINARO, J. LUTHER (a cura di), Il futuro della costituzione, Torino
1996, pp. 350-367; J. HABERMAS, Osservazioni su Dieter Grimm (1995), ivi, pp. 372-375
(anche ID., Una costituzione per lEuropa? Commento a Dieter Grimm, in ID., Linclusione
dellaltro. Studi di teoria politica (1996), trad. di L. Ceppa, Milano 1998, pp. 170-173).
(58) J. HABERMAS, Perche lEuropa ha bisogno di una costituzione?, in BONACCHI (a
cura di), Una Costituzione senza Stato cit., pp. 145-166. Sulla stessa linea S. RODOTAv , La
Carta dei diritti dopo Nizza, in AA.VV., Sfera pubblica e Costituzione europea, cit., p. 199,
osserva: non ce` un popolo europeo ne uno Stato europeo, ma questo processo
costituzionale e` cio` che costruira` il popolo europeo. Questo e` il dato nuovo: cioe`, sara`
questa stessa procedura a far nascere il soggetto che alla fine dovra` pienamente
legittimare. Cfr. anche L. FERRAJOLI, Dalla Carta dei diritti alla formazione di una sfera
pubblica europea, ivi, pp. 83-86. A queste tesi si contrappone una prospettiva di
scetticismo costituzionale, tendente a sottolineare lassenza di un popolo europeo
(inteso come soggetto fondativo e attivo di politica) e di una societa` europea: cfr.,
tra gli altri, G.E. RUSCONI, La cittadinanza europea non crea il popolo europeo, in Il
Mulino 1996, pp. 831-841; ID., La questione della cittadinanza europea, in Teoria
politica 2000, pp. 25-38; M. LUCIANI, Legalita` e legittimita` nel processo di integrazione
europea, in BONACCHI (a cura di), Una costituzione senza Stato cit., pp. 71-87; OFFE, Esiste,
o puo` esistere, una societa` europea? cit., pp. 95-119.
(59) PER HABERMAS, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e
democrazia cit., p. 120, i popoli nascono soltanto con le loro costituzioni statali. Del
resto, che un popolo non esista mai come dato puramente naturale, ma soltanto in virtu`

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proprio interno e non monolitiche ne compatte; e anche le nazioni sono


frutto di progetti ideati da e lites politiche e intellettuali. Ogni nazione
e`, come ha sostenuto Benedict Anderson, una comunita` politica
immaginata: i suoi abitanti non conosceranno e non incontreranno mai
la maggior parte dei loro compatrioti, eppure nella mente di ognuno
vive limmagine del loro essere comunita` (60).
E` forse soprattutto di questa immaginazione politica che oggi
lUnione europea ha bisogno: attualmente, e` stato detto, essa e` una
comunita` non-immaginata (61). Ma il compito che attende lEuropa
non e` forse linvenzione di qualcosa di completamente nuovo. Lidentita` politica sovranazionale che si sta costruendo entro le societa`
europee dovra` trovare espressione in un modello di democrazia postnazionale (62). I principi democratici, sebbene siano legati per la loro
genesi storica alle istituzioni statali, devono continuare ad essere lideale
normativo per qualunque sistema politico dotato di capacita` di governo. Non sarebbe possibile, infatti, immaginare unevoluzione istituzionale dellUnione sprovvista di quei requisiti di legittimita` ritenuti
irrinunciabili allinterno delle singole nazioni. Da questo punto di vista,
di un atto convenzionale che lo rende tale, e` unidea che risale almeno al giusnaturalismo
classico. Per Rousseau, ad esempio, ce` sempre un atto di associazione alla base della
genesi di un popolo: popolo e` il nome che assumono collettivamente i membri del
patto sociale (J.J. ROUSSEAU, Du contrat social, I, 6). Analogamente, egli osserva che una
societa` non puo` avere origine con lelezione del re: eleggere un re e` gia` in se un atto civile
che presuppone una deliberazione pubblica; esso pertanto e` necessariamente preceduto
da un altro atto in forza del quale un popolo e` un popolo, e questo e` il vero
fondamento della societa` (ivi, I, 5).
(60) B. ANDERSON, Imagined Communities. Reflections on the Origins and Spread of
Nationalism, London 1991, p. 6. Analogamente H. SETON-WATSON, Nations and States.
An Inquiry into the Origins of Nations and the Politics of Nationalism, Boulder (Colorado) 1977, ha affermato che una nazione esiste quando un numero significativo di
persone entro una comunita` si considera come costituente una nazione, o agisce come se
ne avesse costituita una.
(61) PH. ALLOT, The Health of Nations. Society and Law beyond the State,
Cambridge 2002, pp. 229. Per Ricoeur porre in termini di immaginazione la domanda
sullEuropa futura e` necessario per riflettere su quali nuove istituzioni saranno allaltezza di una situazione politica senza precedenti (RICOEUR, Quel e thos nouveau pour
lEurope? cit., p. 107). Spesso negli ultimi anni la riflessione scientifica ha posto la
questione dellEuropa come qualcosa da immaginare e reinventare: cfr., tra gli altri,
G. DELANTY, Inventing Europe, Basingstoke 1995; PH.C. SCHMITTER, Imagining the Future
of the Euro-Polity with the Help of New Concepts, in G. MARKS, F.W. SCHARPF, PH.C.
SCHMITTER, W. STREECK (eds.), Governance in the European Union, London 1996, pp.
121-150; M. TELOv - P. MAGNETTE (eds.), Re penser lEurope, Bruxelles 1996.
(62) HABERMAS, Perche lEuropa ha bisogno di una costituzione? cit., p. 163. Sul
tema cfr. E. GRANDE, Post-National Democracy in Europe, in M.TH. GREVEN, L.W. PAULY
(eds.), Democracy beyond the State?, Oxford 2000, pp. 115-138. Secondo PH.C. SCHMITTER, Come democratizzare lUnione europea e perche
, trad. di R. Falcioni, Bologna 2000,
pp. 29-37, la configurazione delleurodemocrazia presuppone una reinvenzione delle
istituzioni chiave della democrazia moderna: cittadinanza, rappresentanza e processo
decisionale.

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cercare soluzioni nuove significa, per lEuropa, anche diventare cio` che
e`: non smarrire le conquiste della democrazia costituzionale che hanno
arricchito lesperienza storica dei suoi Stati, e innestarle in un contesto
piu` ampio, pur senza fare dellUnione la riedizione dello Stato nazionale
a dimensioni allargate.
Per questo governi, parlamenti, la stessa nazione in quanto
categoria culturale, conservano importanti funzioni. La dialettica complessa che il processo europeo instaura tra le competenze dellUnione e
il ruolo degli Stati membri tema che nei primi decenni dellintegrazione era stato al centro del dibattito fra le Corti costituzionali nazionali
e la Corte di giustizia di Lussemburgo sembra mantenere un certo
rilievo anche nel disegno della futura Europa. Non lannullamento degli
Stati, dunque, ma la ricerca di nuove forme di equilibrio fra istituzioni
statali e Unione, e fra gli Stati entro lUnione. Il modello di pluralismo
istituzionale, suggerito nel 1993 dalla celebre sentenza del Tribunale
costituzionale tedesco sul Trattato di Maastricht, puo` costituire ancor
oggi uno strumento di riflessione (63).
Non a caso i temi della sussidiarieta` e del ruolo dei parlamenti
nazionali nellUnione sono oggetto attualmente dei lavori della Convenzione europea; e il Progetto preliminare di Trattato costituzionale,
redatto dal Praesidium della Convenzione e presentato il 28 ottobre
2002, si apre con una disposizione che riconosce il pluralismo dellUnione e definisce lUnione come Unione di Stati europei che
mantengono la loro identita` nazionale, coordinando le loro politiche
a livello europeo e gestendo, sul modello federale, alcune competenze
comuni (art. 1) (64). Si tratta, in effetti, di un problema tipicamente
costituzionale: non soltanto perche coinvolge lorganizzazione dei
poteri e la ripartizione delle competenze, ma soprattutto perche riguarda lidentita` e la legittimita` di un nuovo soggetto politico, e quindi
(63) Bundesverfassungsgericht, sentenza 12 ottobre 1993, cause 2 BVG 2134/92 e
2 BVG 2159/92. Su questo significato del Maastricht-Urteil cfr. M. CARTABIA, Il pluralismo istituzionale come forma della democrazia sovranazionale, in Politica del diritto,
1994, pp. 203-227. In questa linea il multiversum politico e` stato indicato come forma
istituzionale auspicabile per il futuro prossimo dellEuropa (G. MARRAMAO, LEuropa
dopo il Leviatano. Tecnica, politica, costituzione, in BONACCHI (a cura di), Una Costituzione senza Stato cit., pp. 139 sgg.). Sul tema cfr. anche SCODITTI, La costituzione senza
popolo. Unione europea e nazioni cit., pp. 57-63.
(64) CONV 369/02 (per il testo del Progetto cfr. http://european-convention.
eu.int). Il tema della ripartizione di competenze fra Unione e Stati membri e` tornato di
estrema attualita` anche nella riflessione scientifica, e proprio in relazione alla crisi di legittimita` dellUnione. Cfr. J.H.H. WEILER, LUnione e gli Stati membri: competenze e sovranita`, in Quaderni costituzionali 2000, pp. 5-14; L.M. DuIEZ-PICAZO, What does it mean
to be a State within the European Union?, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2002, pp. 651-671; A. VON BOGDANDY, J. BAST, The European Unions Vertical
Order of Competences: the Current Law and Proposals for its Reform, in Common Market
Law Review, 2002, pp. 227-268.

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anche i fini che lEuropa deve darsi, e lanima a cui essa non puo`
rinunciare.
4.

Le vie della legittimazione nellUnione europea.

LUnione e` innegabilmente unentita` politica, per quanto atipica e


solo parzialmente delineata: non solo le sue istituzioni sono dotate di
notevoli competenze legislative ed esecutive, ma esiste ed opera al suo
interno una forma di organizzazione dei poteri, sebbene secondo
modalita` inedite e non assimilabili allo schema classico della divisione
dei poteri propria dei sistemi statali. Si pone pertanto anche per
lUnione la necessita` avvertita in qualunque ordinamento di una fondazione, di una giustificazione che ne garantisca la validita`, anche
oltre lefficacia delle prestazioni funzionali cui adempie. Non si tratta
soltanto di quel bisogno di giuridificazione del potere politico cui
hanno dato risposta storicamente, negli ordinamenti statali, le forme
istituzionali dello Stato di diritto e del costituzionalismo (65). Il problema della legittimita` riguarda prima che i limiti giuridici del potere
o la correttezza formale delle procedure la responsabilita` politica
delle istituzioni europee, la loro capacita` di rappresentare gli interessi e
di rispecchiare gli ideali dei cittadini nei confronti dei quali esse
esercitano competenze sovrane. In una cultura democratica la legittimita` del potere non puo` fondarsi semplicemente sul fatto che la
razionalita` propria del diritto ne garantisca lesercizio in forme legali,
come sosteneva Weber (66).
Il bisogno di legittimazione e` implicito nel concetto di potere
politico: come insegna Habermas, il diritto stesso in quanto medium del
(65) Per GRIMM, Una costituzione per lEuropa? cit., pp. 344-345, la giuridicizzazione del potere e` lessenza stessa del costituzionalismo: la costituzione e` una legge
precedente il potere, con la funzione di limitarne e fondarne le competenze. Il compito
delle costituzioni negli ordinamenti statali consiste per Grimm nel vincolare il potere al
rispetto del diritto: il diritto infatti, pur essendo un prodotto del potere statale, e` anche
contemporaneamente lo strumento che garantisce le condizioni fondamentali di legittimita` del suo esercizio. Sulla giuridicizzazione del potere come prestazione garantita
dallo Stato di diritto, in funzione del rispetto di determinati contenuti sostanziali, oltre
che di limiti formali e procedurali, cfr. P. COSTA, Lo Stato di diritto: unintroduzione
storica, in P. COSTA, D. ZOLO (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Milano
2002, pp. 155-160.
(66) M. WEBER, Economia e societa`, Milano 1968, vol. I, pp. 210 sgg. Il modello
weberiano di legittimita` fondata sulla legalita` e` stato reinterpretato criticamente da J.
HABERMAS, Diritto e morale (1986), in ID., Morale, Diritto, Politica, a cura di L. Ceppa,
Torino 2001, pp. 3-41. La nozione di legalita` non sarebbe neppure applicabile
propriamente allordinamento comunitario, non esistendo attualmentete in esso una
fonte paragonabile alla legge in quanto prodotto di assemblee rappresentative ed
espressione di autolegislazione: cfr. a questo riguardo le osservazioni di LUCIANI, Legalita`
e legittimita` nel processo di integrazione europea cit., p. 81.

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potere negli ordinamenti ha una pretesa di legittimita`, poiche non


chiede soltanto accettazione e riconoscimento fattuale da parte dei
destinatari, ma pretende anche di meritarsi questo riconoscimento (67). LUnione europea, pur non essendo unentita` statuale, non e`
estranea a questa pretesa; eppure la legittimita` di cui in essa si percepisce la mancanza non sembra ottenibile semplicemente attraverso
riforme istituzionali, bens` soprattutto assicurando il ruolo attivo dei
cittadini nei processi decisionali, e il controllo da parte della societa`
civile sulla politica (68). Sono le dinamiche della globalizzazione a
favorire lo sviluppo di sistemi di regolazione vincolanti ma non politicamente responsabili, sganciati da una base di consenso e di legittimazione paragonabili a quelli propri dello Stato nazionale: lUnione rientra
in questa fenomenologia, e proprio a causa delle sue anomalie istituzionali; lo spostamento di competenze dal piano nazionale a quello
sovranazionale tende di per se a produrre vuoti di legittimita` (69).
Daltra parte, soprattutto nellultimo decennio, lintegrazione europea sembra avere trovato una forma di giustificazione normativa nel
principio del rispetto dei diritti fondamentali. I diritti hanno progressivamente acquistato un rilievo centrale nellordinamento comunitario e
nelle politiche dellUnione: essa si fonda sui principi di liberta`, democrazia, rispetto dei diritti delluomo e delle liberta` fondamentali, e dello
stato di diritto, come afferma lart. 6 TUE. Inoltre, la difesa dei valori
comuni, il mantenimento della pace, lo sviluppo e il consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonche il rispetto dei
diritti delluomo e delle liberta` fondamentali sono stati indicati dal
Trattato di Maastricht come obiettivi della Politica estera e di sicurezza
comune (art. 11 TUE). I diritti sono un elemento cos` profondamente
costitutivo dellidentita` dellUnione europea che il loro rispetto da parte
degli Stati e` divenuto un vero e proprio criterio di appartenenza
allUnione, e addirittura il parametro per tracciarne i confini: il rispetto
dei diritti delluomo, infatti, e` oggi condizione per acquistare la membership e per esercitare i diritti che ne discendono (70).
Senza dubbio lattenzione per i diritti e` un elemento qualificante
(67) J. HABERMAS, Legittimazione tramite diritti umani, in ID., Linclusione dellaltro. Studi di teoria politica cit., p. 216.
(68) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
pp. 7 sgg.
(69) HABERMAS, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia cit., p. 46.
(70) E` noto che secondo lart. 49 TUE la richiesta da parte di uno Stato di
diventare membro dellUnione e` subordinata al fatto che esso rispetti i principi sanciti
nellart. 6 TUE (liberta`, democrazia, rispetto dei diritti delluomo e delle liberta`
fondamentali, Stato di diritto). Inoltre lesistenza di una violazione grave e persistente di
tali principi da parte di uno Stato membro puo` fondare una decisione del Consiglio di
sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato stesso dallapplicazione del Trattato (art.
7 TUE).

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dellidentita` europea, in senso ampio. Le istituzioni del Consiglio


dEuropa (in primo luogo la Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti delluomo e delle liberta` fondamentali e la Corte europea di
Strasburgo) hanno trasformato lEuropa in una sorta di spazio dei
diritti (71). Come e` stato osservato, i diritti umani fanno ormai parte
delliconografia della cultura europea (72). In particolare la storia dellUnione e` stata in misura notevole un percorso di integrazione
attraverso i diritti (73), e il peso crescente che i diritti hanno conquistato nelle disposizioni dei Trattati sembra confermare anche nel caso
dellordinamento comunitario quella tendenza a incorporare sempre
piu` largamente valori irriducibili a quelli del mercato che e` stata vista
come un aspetto caratterizzante delle Costituzioni lunghe del Novecento (74). La Carta di Nizza esprimerebbe in modo formale il riconoscimento che lUnione non ha obblighi soltanto verso il mercato (75). La stessa Decisione con cui il Consiglio europeo di Colonia del
3 e 4 giugno 1999 aveva avviato le procedure di elaborazione della Carta
si apre con laffermazione che la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dellUnione europea e il presupposto
indispensabile della sua legittimita` (76).
Ma e` appunto su questa presunta capacita` legittimante dei diritti
che e` opportuno riflettere. Non si puo` negare che i diritti abbiano in se
unattitudine a fondare la legittimita` del potere: la legittimazione
tramite diritti umani e` indicata esplicitamente da Habermas come la
struttura di validita` del diritto moderno, e il fondamento degli ordinamenti negli Stati democratici costituzionali (77). Cio` che tuttavia devessere considerato con cautela e` la plausibilita` di una concezione dei
(71) Cfr. HAARSCHER, Europes Soul: Freedom and Rights cit., pp. 98-103; R.
BELLAMY - A. WARLEIGH, Cementing the Union: The Role of European Citizenship, in A
Soul for Europe cit., vol. 1, pp. 63-66; E. RUDOLPH, Introduction, ivi, vol. 2, pp. 6 sgg.;
PFETSCH, The Politics of Culture and Identity in Europe cit., pp. 122-125; THERBORN, The
Role of the Economy in the Shaping of European Civilisation cit., p. 83.
(72) WEILER, Diritti umani, costituzionalismo e integrazione: iconografia e feticismo
cit., p. XIV.
(73) L. AZZENA, Lintegrazione attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino
europeo, Torino 1998. RODOTAv , La Carta dei diritti dopo Nizza cit., p. 203, ha osservato
che la costruzione dellidentita` europea richiede unintegrazione attraverso i diritti.
(74) S. RODOTAv , Repertorio di fine secolo, Bari 1992, p. 30.
(75) D. GRIMM, Diritti sociali fondamentali per lEuropa, trad. di A. Gialdroni, in
AA.VV., Sfera pubblica e Costituzione europea cit., p. 21. Per CERUTTI, Towards the
Political Identity of the Europeans. An Introduction cit., p. 19, la volonta` di sostenere i
diritti umani e la democrazia e di espanderli al di la` dei confini nazionali e` un carattere
genetico dellintegrazione europea.
(76) Cfr. il testo della Decisione in Rivista di diritto europeo, 1999, p. 105.
(77) HABERMAS, Legittimazione tramite diritti umani, cit., pp. 216-221. Sul nesso
fra Stato di diritto e democrazia cfr. anche ID., Fatti e norme. Contributi ad una teoria
discorsiva del diritto e della democrazia (1992), a cura di L. Ceppa, Milano 1996, pp.
103-157.

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diritti come fonte autonoma di legittimazione nel caso specifico dellUnione europea: qui infatti, in assenza di una cultura politica diffusa
che faccia da sfondo alle pratiche regolative, difficilmente potrebbe
stabilirsi quel nesso interno fra diritti e sovranita` popolare, autonomia
privata e autonomia pubblica, che per Habermas e` il presupposto della
capacita` fondativa dei diritti. La centralita` assicurata ai diritti, pertanto, non appare sufficiente di per se a garantire la legittimita` dei
processi decisionali nellUnione. Ai diritti non si puo` assegnare una
funzione sostitutiva rispetto alla politica; e lunita` della storia istituzionale europea, e` stato detto, puo` essere in effetti rappresentata meglio,
o piu` fedelmente, con la centralita` del politico che con la priorita` dei
diritti (78). Del resto, se e` vero che il rispetto dei diritti e` il nucleo
essenziale intorno al quale si sono aggregate nella storia europea le
diverse identita` nazionali, esso costituisce pero` anche un elemento di
differenziazione tra le singole comunita` politiche di riferimento: ciascuna di esse, rispetto ad uno standard di salvaguardia universalmente
condiviso, tutela i diritti secondo modalita` particolari, espressione di
visioni e concezioni altrettanto particolari (79). Peraltro e` stato messo in
dubbio che la promozione dei diritti umani possa essere intesa in se
come la raison de tre dellUnione e lasse del suo sistema giuridico (80).
I diritti non sembrano dunque un fattore assolutamente decisivo
rispetto alla questione della legittimita`: resta pertanto irrisolto il problema di come legittimare istituzioni dotate di competenze sempre
(78) PALOMBELLA, Tradizioni, politica e innovazione nel nuovo ordine europeo cit.,
p. 7. La priorita` dei diritti, secondo Palombella, rappresenta certamente una conquista
degli ordinamenti europei, ma non puo` sradicarsi completamente dalla tradizione
politico-parlamentare altrettanto tipica dellEuropa. Una concezione puramente giuridica dei diritti, che si illudesse di sostituire al potere il diritto, abolendo il sistema delle
sovranita` in nome di un ordine fondato sullastratta razionalita` di diritti universali,
sarebbe in contrasto con tutta la tradizione istituzionale e culturale europea, incentrata
piuttosto sulle nozioni di volonta` politica, supremazia dellinteresse pubblico, priorita`
della legge, centralita` del parlamentarismo (ivi, pp. 6-7, 31-35). Cfr. anche ID., Lautorita`
dei diritti. I diritti fondamentali tra istituzioni e norme, Roma-Bari 2002, pp. 136-141.
(79) WEILER, Diritti umani, costituzionalismo e integrazione: iconografia e feticismo
cit., pp. XXIV-XXXII; ID., Fundamental Rights and Fundamental Boundaries: on the
Conflict of Standards and Values in the Protection of Human Rights in the European Legal
Space, in ID., The Constitution of Europe cit., pp. 102-129. Come e` stato detto, nella storia
europea i diritti, strappati al cielo giusnaturalistico dal Prometeo rivoluzionario, hanno
seguito un percorso che li ha portati ad assumere una tensione progettuale, una capacita`
di incidere sullordine esistente entro contesti delimitati da precise coordinate spaziali,
sociali, politico-istituzionali (P. COSTA, La cittadinanza fra Stati nazionali e ordine
giuridico europeo: una comparazione diacronica, in BONACCHI (a cura di), Una Costituzione
senza Stato cit., pp. 317-318).
(80) A. VON BOGDANDY, The European Union as a Human Rights Organization?
Human Rights and the Core of the European Union, in Common Market Law Review,
37, 2000, pp. 1337-1338. Per Bogdandy le perplessita` suscitate in generale da uneccessiva proliferazione dei diritti umani e del discorso sui diritti umani sono confermate a
maggior ragione nel caso dellUnione europea.

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939

LETTURE

piu` pervasive. Attualmente il tipo di legittimita` che lUnione puo`


vantare sembra fondarsi sui risultati delle policies piu` che sul processo
democratico: e` una legittimita`, come ha scritto Fritz Scharpf, orientata
alloutput, e basata sugli interessi piuttosto che sullidentita` (81).
Proprio i successi conseguiti dallintegrazione hanno finito per accordare alle istituzioni comunitarie una legittimazione derivante direttamente dai risultati, anziche dal dibattito e dal controllo politico; nellUnione il raggiungimento degli obiettivi e il buon funzionamento della
macchina comunitaria tendono a operare di per se come fonti di
legittimazione, e sostituiscono in questo il ruolo dellaccountability. Il
deficit democratico in Europa e` anzitutto una crisi di cultura politica,
che rende inaccessibile e tecnocratica la governance dellUnione, con
effetti negativi anche sulla qualita` della vita democratica allinterno
degli Stati membri (82).
E` dunque in primo luogo nel campo delle scelte politiche che
possono emergere soluzioni per una possibile legittimazione; per questo
il tema della legittimita` appare connesso in modo diretto a quello
dellidentita` politica europea e della struttura politica dellUnione:
sollevare il problema dellidentita` europea investe immediatamente il
problema spinoso e contestato se lUnione europea debba o no divenire
unentita` politica compiuta e se e come possa come tale conseguire
legittimita` democratica (83). Le incognite sulla fisionomia definitiva
della polity europea trovano espressione emblematica nel lessico metaforico che si e` affermato per designare la peculiare architettura politicoistituzionale dellUnione. Essa e` definita come un network, o una
struttura multilevel, quando si vuole indicare la particolare modalita`
di decision making, organizzazione dei poteri e ripartizione delle competenze che la caratterizza. Tale struttura a sua volta si riflette nella
simultanea appartenenza dei cittadini europei a diverse comunita`: ne
consegue una pluralita` di lealta` e identita`, spesso rappresentata attraverso limmagine dei cerchi concentrici. LUnione e` descritta inoltre
come un ordinamento poliarchico e policentrico, e per sottolineare
il carattere parzialmente informale e non rigidamente strutturato della
sua organizzazione politica di vertice si ricorre abitualmente al concetto
di governance (84). Anche modelli storicamente lontani sono recupe(81) F.W. SCHARPF, Governare lEuropa: legittimita` democratica ed efficacia delle
politiche nellUnione europea (1997), trad. di D. Giannetti, Bologna 1999, pp. 17-18.
(82) WEILER, European Democracy and the Principle of Toleration: The Soul of
Europe cit., pp. 33 sgg. Sullidea che lUnione sia quasi una vittima del suo successo
cfr. anche FITZMAURICE, State of the Union cit., p. 183.
(83) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
p. 28.
(84) Sul concetto di governance cfr. J.N. ROSENAU, E.O. CZEMPIEL (eds.), Governance without Government. Order and Change in World Politics, Cambridge 1992. Sui
limiti di questa nozione cfr. TELOv , Linterde pendance entre la gouvernance europe enne et

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940

LETTURE

rati per interpretare le peculiarita` della costruzione europea: non solo


essa e` spesso definita una polis, ma il sovrapporsi di piu` legami
politici e il carattere diffuso del potere decisionale da cui essa e`
contrassegnata sono intesi come una sorta di new medievalism (85).
Luso di metafore e la ricerca di definizioni alternative rispetto a
quelle consolidate dimostrano linadeguatezza del vocabolario politico
tradizionale: lUnione non solo non e` assimilabile ad uno Stato (pure
nella forma di Stato federale), ma si distingue anche da unorganizzazione internazionale di tipo classico; la categoria di sovranazionalita`
era stata adottata in origine appunto per indicare questo tertium genus
cui lintegrazione europea aveva dato vita (86). Per la stessa ragione
anche i concetti di federazione e confederazione non colgono la
specificita` dellUnione: a questo riguardo e` stata avanzata lipotesi che
il processo europeo possa sfociare in futuro in nuove forme di dominio
politico, espressione di quella dissociazione fra ambiti territoriali e
competenze funzionali che caratterizza la polity europea in modo
peculiare (87).
La difficolta` nel dare un nome allarchitettura europea e` un segno
e una conseguenza del suo carattere sui generis, ma anche del suo
intrinseco dinamismo: lUnione non ha ancora trovato la sua forma
costituzionale definitiva, e pertanto rappresenta anche sul piano della
determinazione concettuale un esperimento inedito, che non si lascia
facilmente inquadrare secondo le categorie tradizionali; esse risultano
inadeguate tanto per descrivere il suo status attuale quanto per immaginare il suo sviluppo futuro. Ma le incertezze definitorie segnalano
anche lesistenza di problemi sostanziali, ancora irrisolti, che riguardano
la partecipazione effettiva dei popoli europei alla realizzazione di un
la gouvernance globale cit., p. 22, che sottolinea come nellultimo decennio il ritorno
della politica al centro dellagenda del mondo globalizzato renda insufficiente il
modello di una governance senza government.
(85) Secondo lespressione utilizzata originariamente per definire la societa` internazionale da H. BULL, The Anarchical Society: A Study of Order in World Politics, New
York 1977.
(86) Sulla nozione di sovranazionalita` come alternativa sia al modello federale
sia a quello di cooperazione intergovernativa cfr. J.H.H. WEILER, Il sistema comunitario
europeo. Struttura giuridica e processo politico, Bologna 1985, pp. 21 sgg. Weiler rilevava
pero` gia` negli anni 80 una sorta di divaricazione fra una comunitarizzazione sempre
piu` estesa e profonda sul piano giuridico, e il permanere di un controllo da parte degli
Stati membri sui meccanismi politico-decisionali, che in effetti sono rimasti intergovernativi, e non si sono mai pienamente sovranazionalizzati. Esprime efficacemente il
carattere ibrido dellUnione anche la definizione che ne e` stata data di federazione
sovranazionale (A. VON BOGDANDY, The European Union as a Supranational Federation,
in Columbia Journal of European Law, 2000, pp. 27 sgg.).
(87) SCHMITTER, Imagining the Future of the Euro-Polity with the Help of New
Concepts cit., pp. 130-136; ID., Come democratizzare lUnione europea e perche cit., pp.
29-37; ID., Il futuro dellEuropa. Una singolare pluralita` di alternative, trad. di A.
Gialdroni, in AA.VV., Sfera pubblica e Costituzione europea cit., pp. 121-141.

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941

LETTURE

progetto che sappia guadagnarsi il loro consenso e la loro fiducia, e che


coinvolgono inoltre la visibilita` dellUnione nellordine mondiale:
chiarire in quale direzione essa debba svilupparsi e` una questione di
legittimazione, oltre che di definizioni concettuali.
La democratizzazione dellUnione europea e` pertanto anche un
problema di identita`. Per questo il dibattito sullidentita` puo` dare un
contributo determinante alla realizzazione di ununione politica in
Europa (88). Del resto, la natura e lentita` delle sfide cui occorre dare
risposta nellimmediato futuro dimostrano che la capacita` dellUnione
di trovare soluzioni adeguate ai problemi e` inscindibile dalla sua
legittimita` e dalla sua credibilita` come soggetto politico. In primo luogo
esiste una responsabilita` di tipo sociale: la globalizzazione rende piu`
urgenti i problemi cui tradizionalmente hanno risposto in ambito statale
le istituzioni del Welfare. La coesione sociale e` un presupposto fondamentale della legittimita` di un ordine politico, e la legittimazione
dellintegrazione europea dipendera` anche da quanto lUnione sapra`
evolvere in direzione di ununione sociale, e si mostrera` capace di
equilibrare lo sviluppo economico con la prestazione di adeguate
garanzie di giustizia e solidarieta` (89). Un secondo obiettivo e` quello di
dare un senso effettivo alla cittadinanza europea: soltanto il coinvolgimento di cittadini e popoli puo` cementare la costruzione di
ununione politica (90). Del resto cittadinanza e identita` convergono,
pur non essendo la stessa cosa: le decisioni politiche che riguardano
ogni cittadino in quanto cittadino europeo devono essere affidate a
unistanza europea che sia accountable (91).
Infine, la legittimita` del progetto europeo dipende anche dalla
capacita` dellUnione di assumersi la responsabilita` delle sue scelte
politiche sul piano globale, e delle loro conseguenze per le generazioni
future (92). LEuropa potrebbe divenire un elemento decisivo per la
definizione delle relazioni di potere e degli standard etici nella futura
politica mondiale, assumendo iniziative e posizioni definite rispetto ai
problemi della pace, della guerra, del destino di intere popolazioni (93).
(88) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
p. 13: piu` politica significa piu` identita`: e` un nesso condizionale. Cfr. anche S. GARCIA
(ed.), European Identity and the Search for Legitimacy, London 1993. Sul ruolo dellidentita` in quanto fonte di senso e di legittimita` per una comunita` politica cfr. CERUTTI,
DANDREA (a cura di), Identita` e conflitti. Etnie, nazioni, federazioni cit., p. 9.
(89) TELOv - MAGNETTE, Justice and Solidarity cit., p. 89. Cfr. anche G. AMATO, La
Carta dei diritti dopo Nizza, in AA.VV., Sfera pubblica e Costituzione europea cit.,
pp. 204-211.
(90) BELLAMY -WARLEIGH, Cementing the Union: The Role of European Citizenship
cit., pp. 66-71.
(91) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
p. 22.
(92) DANDREA, Europe and the West. The Identity beyond the Origin cit., p. 147.
(93) F. CERUTTI, Peace and War in the European Conscience cit., pp. 122-125. Nel

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942

LETTURE

Se lUnione sapra` essere un fattore attivo di promozione della pace e


della cooperazione, realizzando cos` lideale che aveva mosso in origine
i suoi fondatori, questo non solo dara` una legittimita` esterna alla sua
azione in campo internazionale, ma rinnovera` il significato del fatto
stesso di essere europei, conferendogli il valore di una scelta e di un
impegno in favore di mete condivise.
Certamente, dunque, le vie di una possibile legittimazione dellUnione passano anche attraverso le risposte che essa sapra` trovare a
problemi decisivi. Ma non esiste una legittimazione tecnica che possa
sostituire quella politica: un ordinamento puo` essere effettivamente
legittimato soltanto grazie a scelte politiche consapevoli (94). Non soltanto il successo non puo` costituire di per se una garanzia di legittimita`,
ma la carenza di legittimazione potrebbe condizionare negativamente le
stesse prestazioni che lUnione aspira ad assicurare. Le questioni che
attengono alla giustificazione del potere e alla partecipazione democratica restano di una specie diversa rispetto a quelle che riguardano il
problem solving e lefficienza dellazione amministrativa, sebbene siano
ad esse collegate: se lUnione ambisce ad essere una comunita` politica,
il confronto con il primo tipo di questioni non puo` essere rinviato
indefinitamente.

Libro Bianco sulla Governance europea del 25 luglio 2001 (COM 428, cfr.
http://europa.eu.int/comm/governance/white-paper/index-en.htm) la Commissione europea ha sottolineato esplicitamente linterazione tra lefficacia dellazione internazionale
dellUnione e la sua legittimazione rispetto ai cittadini europei. Sulle responsabilita` dellUnione europea come attore globale nel quadro di un nuovo multilateralismo cfr. TELOv ,
Linterde pendance entre la gouvernance europe enne et la gouvernance globale cit., pp. 21-25.
(94) A questo riguardo LUCIANI, Legalita` e legittimita` nel processo di integrazione
europea cit., p. 86, osserva che sarebbe unillusione pericolosa costruire una forma di
unita` politica allinsaputa dei cittadini.

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Ragguagli fiorentini

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ATTIVITA
v DEL CENTRO DI STUDI
PER LA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO MODERNO
NELLANNO ACCADEMICO 2001-2002

Sono stati graditi ospiti del Centro di studi per la storia del
pensiero giuridico moderno per un soggiorno di studio il prof. dr.
Mariano PESET REIG (della Universidad de Valencia), la Lic.a Alba
DE PAZ GONZALEZ (della Universidad de Sevilla), il Lic. Ramon
NARVAEZ (della Universidad Nacional Autonoma de Mexico).
Durante il 2002 sono stati pubblicati i due tomi del volume 30o
dei Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, nei quali si segnalano saggi di VASOLI, DUSO, CLAVERO, DILCHER,
NAPOLI, PASQUALUCCI, COLAO, MECCARELLI, MANNONI, GROSSI, JANNARELLI, KUEHN, NARVAEZ. Nonche
note critiche di Cazzetta, Lorente,
Cappellini, Grossi, Bortoluzzi, Canale, Caroni, M. Cattaneo, Cianferotti, De Francesco, Halpe rin, Modugno, DAlessandro, Sabbioneti, Volante.
Durante lanno 2002 sono stati pubblicati nella Biblioteca del
Centro: Codici Una riflessione di fine millennio Atti dellIncontro di studio Firenze, 26/28 ottobre 2000; Pietro COSTA,
Iurisdictio Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433). Ristampa.

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Indice

pag.
PIETRO COSTA, Pagina introduttiva. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MODELLI E DIMENSIONI
MARIA ROSARIA FERRARESE, Il diritto europeo nella globalizzazione: fra terra e mare.

11

PAOLO GROSSI, Unita` giuridica europea: un medioevo prossimo futuro? . . . . . .

39

LA DIMENSIONE GIURIDICA
ANTONIO PADOA SCHIOPPA, Note su ordine giuridico europeo e identita` europea in
prospettiva storico-costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

61

DIMITRI DANDREA, Oltre la sovranita`. Lo spazio politico europeo tra post-modernita`


e nuovo Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

77

GIUSEPPE DUSO, LEuropa e la fine della sovranita` . . . . . . . . . . . . . . . . .

109

SABINO CASSESE, Che tipo di potere pubblico e` lUnione Europea? . . . . . . . . .

141

CORRADO MALANDRINO, Sovranita` nazionale e pensiero critico federalista. DallEuropa degli stati allunione federale possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . .

169

ENZO CANNIZZARO, Il pluralismo dellordinamento giuridico europeo e la questione


della sovranita` . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

245

MAURIZIO FIORAVANTI, Il processo costituente europeo. . . . . . . . . . . . . . . .

273

ANGELA DE BENEDICTIS, Resistere: nello Stato di diritto, secondo il diritto antico,


nellEuropa del diritto al presente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

299

RICHARD BELLAMY, DARIO CASTIGLIONE, Beyond Community and Rights: European


Citizenship and the Virtues of Participation. . . . . . . . . . . . . . . . . .

349

GIORGIO BERTI, Principi del diritto e sussidiarieta` . . . . . . . . . . . . . . . . . .

381

UGO MATTEI, Miraggi transatlantici. Fonti e modelli nel diritto privato dellEuropa
colonizzata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

401

FIGURE DELLESPERIENZA
SILVANA SCIARRA, Di fronte allEuropa. Passato e presente del diritto del lavoro . .

427

ALESSANDRO BERNARDI, Leuropeizzazione del diritto e della scienza penale . . . .

461

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948

QUADERNI FIORENTINI, XXX

(2001)

BERNARDO SORDI, Servizi pubblici e concorrenza: su alcune fibrillazioni tra diritto


comunitario e tradizione continentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

577

KNUT WOLFGANG NO} RR, Lektionen in Bescheidenheit: Stabilita tspolitik in


Westdeutschland 1970-1990 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

605

STEFANO MANNONI, I percorsi della regolazione della concorrenza negli USA e in


Europa: appunti per un profilo storico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

639

LO SGUARDO DEGLI ALTRI


BARTOLOMEu CLAVERO, Virtual Citizenship, Electoral Observation, Indigenous Peoples, and Human Rights Between Europe and America, Sweden and Peru .

653

GAETANO RAMETTA, Tra America e Oriente: Hegel e lEuropa . . . . . . . . . . .

781

RICHARD HYLAND, Imagine Europe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

801

LETTURE
M. LORENTE SARINx ENA, La voz del Estado. La publicacio n de las normas (1810-1889)
(J. Vallejo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

821

J. MARTIuNEZ GIJOu N, Historia del Derecho Mercantil. Estudios (V. Piergiovanni) .

829

A. LEVAGGI, Diplomacia hispano-indgena en las fronteras de Ame rica. Historia de


los tratados entre la Monarqua espan ola y las comunidades aborgenes (J. M.
Vallejo Garca-Hevia) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

832

R. MARRA, Capitalismo e anticapitalismo in Max Weber. Storia di Roma e sociologia


del diritto nella genesi dellopera weberiana (G. Itzcovich) . . . . . . . . .

853

A PROPOSITO DI ...
GUSTAVO ZAGREBELSKY, Diritto per: valori, principi o regole? (a proposito della
dottrina dei principi di Ronald Dworkin) . . . . . . . . . . . . . . . . . .

865

BARTOLOMEu CLAVERO, El Comu n y no su doble (a propo sito de Pasado y Presente


de los comunales y de lo comunitario) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

899

MARIA ZANICHELLI, LEuropa come scelta (a proposito di FURIO CERUTTI e ENNO


RUDOLPH (eds.), A Soul for Europe. On the Cultural and Political Identity of
the Europeans) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

917

RAGGUAGLI FIORENTINI
Attivita` del Centro di Studi per la Storia del Pensiero Giuridico Moderno
nellanno accademico 2001/2002. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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945

I collaboratori del trentunesimo Quaderno

Maria Rosaria FERRARESE


Prof. Ordinario di Sociologia del diritto - Universita` di Cagliari
Paolo GROSSI
Prof. Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno - Universita` di Firenze
Antonio PADOA SCHIOPPA
Prof. Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno - Universita` di Milano
Dimitri DANDREA
Ricercatore di Filosofia politica - Universita` di Firenze
Giuseppe DUSO
Prof. Ordinario di Storia della filosofia politica - Universita` di Padova
Sabino CASSESE
Prof. Ordinario di Diritto amministrativo - Universita` di Roma La Sapienza
Corrado MALANDRINO
Prof. Straordinario di Storia delle dottrine politiche - Universita` del Piemonte Orientale
Enzo CANNIZZARO
Prof. Ordinario di Diritto internazionale - Universita` di Macerata
Maurizio FIORAVANTI
Prof. Ordinario di Storia delle costituzioni moderne - Universita` di Firenze
Angela DE BENEDICTIS
Prof. Straordinario di Storia moderna - Universita` di Bologna
Richard BELLAMY
Professor of Political Theory - University of Essex
Dario CASTIGLIONE
Senior Lecturer of Political Theory - University of Exeter
Giorgio BERTI
Prof. Ordinario f. r. di Diritto amministrativo - Universita` Cattolica del Sacro Cuore

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950

QUADERNI FIORENTINI, XXX

(2001)

Ugo MATTEI
Prof. Ordinario di Diritto civile - Universita` di Torino
Silvana SCIARRA
Prof. Ordinario di Diritto del lavoro - Universita` di Firenze
Alessandro BERNARDI
Prof. Straordinario di Diritto penale - Universita` di Ferrara
Bernardo SORDI
Prof. Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno - Universita` di Firenze
Knut Wolfgang NO
} RR
Professor fu r Privatrechtsgeschichte, Kirchenrecht, Bu rgerliches Recht - Universita t Tu bingen
Stefano MANNONI
Prof. Straordinario di Storia delle costituzioni moderne - Universita` di Firenze
Bartolome CLAVERO
Catedra`tico de Historia del derecho - Universidad de Sevilla
Gaetano RAMETTA
Ricercatore di Storia della filosofia - Universita` di Padova
Richard HYLAND
Distinguished Professor, Rutgers School of Law, Camden, New Jersey
Jesu s VALLEJO
Profesor Titular de Historia del Derecho y de las Instituciones - Universidad de Sevilla
Vito PIERGIOVANNI
Prof. Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno - Universita` di Genova
Jose Mara VALLEJO GARCIuA-HEVIA
Profesor Titular de Historia del Derecho y de las Instituciones - Universidad Complutense
de Madrid
Giulio ITZCOVICH
Dottorando di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali - Universita` di Pisa
Gustavo ZAGREBELSKY
V. Presidente della Corte Costituzionale, prof. Ordinario di Diritto costituzionale Universita` di Torino
Maria ZANICHELLI
Assegnista di ricerca in Filosofia del Diritto - Universita` di Parma

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