Quaderni Fiorentini 31 - L'Ordine Giuridico Europeo
Quaderni Fiorentini 31 - L'Ordine Giuridico Europeo
Quaderni Fiorentini 31 - L'Ordine Giuridico Europeo
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(2002)
TOMO I
PIETRO COSTA
PAGINA INTRODUTTIVA
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PIETRO COSTA
del Quaderno non sono la ricostruzione storico-genetica dellUnione Europea ne lanalisi giuridica del funzionamento dei suoi
congegni istituzionali. Lipotesi di fondo che ispira e sorregge
lintero Quaderno e`, per cos` dire, lesigenza di una dilatazione e
complicazione dei tempi storici e insieme di una piu` approfondita
storicizzazione dellesperienza giuridica attuale: il tentativo di realizzare una gadameriana fusione degli orizzonti fra passato e presente, nella convinzione che grazie ad essa la rappresentazione dello
spazio giuridico europeo possa ottenere quella profondita` di campo
di cui non sempre appare provvista.
In questa prospettiva, il passato dellUnione Europea non puo`
essere riduttivamente fatto coincidere con il processo della sua
genesi immediata. LUnione Europea e` un esperimento istituzionale
e culturale di grande portata e come tale esso non nasce e non si
consuma nellorizzonte di qualche decennio, ma postula, come
condizione stessa del suo esserci e del suo svilupparsi, il rifluire in
esso di tradizioni molteplici (e magari discordanti) che vengono da
lontano, implica il confronto (o lo scontro) con dispositivi istituzionali e modelli culturali anchessi legati a contesti antecedenti.
E` questo lorizzonte problematico entro il quale il Quaderno
intende situarsi. Il suo programma potrebbe essere condensato nella
seguente formula riassuntiva: comparazione diacronica; una comparazione fra il presente politico-giuridico dellEuropa unita e il passato delle diverse tradizioni europee. La comparazione diacronica
risponde alla doppia esigenza di comprendere storicamente, in
profondita`, lo spazio giuridico europeo senza identificarne la storia
con la sua genesi prossima, e di intendere la cultura e la prassi
giuridiche che in quello spazio vengono sviluppandosi senza farle
immediatamente coincidere con le tecniche di cui pure necessariamente si avvalgono.
Comprendere storicamente il nuovo diritto europeo, dare profondita` di campo allo sguardo del giurista costretto a venire a capo
dei complicati meccanismi del nuovo ordine, appare un compito
difficile, ma in qualche modo imposto dalla rilevanza del processo in
atto. E` un processo che incide su realta` e dottrine che per lungo
tempo (per lintero Ottocento e per buona parte del Novecento) si
sono poste come il principale quadro di riferimento del giurista: la
realta` e la dottrina degli Stati-nazione e delle rispettive sovranita`. E`
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PIETRO COSTA
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PIETRO COSTA
Modelli e dimensioni
IL DIRITTO EUROPEO
NELLA GLOBALIZZAZIONE: FRA TERRA E MARE
1. Diritto e prospettive spaziali. 2. Ordine giuridico terrestre e antropologia della
paura. 3. La proprieta` tra valore duso e valore di scambio. 4. Sovranita` e proprieta`.
5. Ordini giuridici tra tradizione e rivoluzione. 6. Il nuovo pluralismo dellordine
giuridico europeo: tra democrazia, tradizione e aristocrazie.
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La versione legislativa, riducendo il diritto a norme e comandi, ha finito per corrispondere ad un intento di stabilita`
giuridica, che trovava nel mito della legalita`, una preziosa cerniera conchiudente (14), senza curarsi eccessivamente di esigenze di
raccordo con luniverso sociale. Il predominio della ratio legislativa
ha corrisposto ad unidea forte della sovranita` ed il mezzo piu`
congruo per indagare luniverso giuridico europeo e` stato fornito
dalla lente dello jus publicum europeum (15). In queste pagine,
tuttavia, per rispondere allinterrogativo sul perche il diritto europeo
sia rimasto ancorato alla terraferma, si cerchera` di procedere, invece
che attraverso questo percorso principale, gia` autorevolmente e
ripetutamente esplorato, attraverso alcuni percorsi secondari, forse
non meno rilevanti per comprendere la prospettiva terrestre delle
istituzioni, che deriva dalla concezione europea della sovranita`.
Verranno, sia pur frettolosamente, e lungi da pretese di esaustivita`, intrapresi due sentieri. In primo luogo, il rapporto privilegiato che esiste tra sistema giuridico europeo-continentale e proprieta`, fino a intravedere una somiglianza tra la concezione europea
della sovranita` e la proprieta`. In secondo luogo, si cerchera` di
collegare il progetto delle istituzioni europee al trionfo di una classe
sociale: la borghesia, che tuttavia non aveva la capacita` di assumere
valenze universali e ha generato un dualismo conflittuale. Ma
prima ancora di intraprendere questi due percorsi e` necessario
caratterizzare storicamente la prospettiva terrestre del diritto, come
un derivato della dissoluzione delluniverso medievale e dellantropologia della paura, con cui la si fronteggio`.
Il riferimento alla guerra civile e al principio homo homini lupus
che sta alla base dellantropologia hobbesiana del Leviatano, vede
un mondo mosso unicamente dalla paura e dal desiderio di evitare
il male: ciascuno e` portato a desiderare cio` che per lui e` il bene,
e a fuggire cio` che per lui e` male, soprattutto il massimo dei mali
naturali, che e` la morte; e questo con una necessita` naturale non
minore di quella per cui una pietra va verso il basso (16). Dunque,
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p. 75.
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Il riferimento al passato medievale per intendere lordine giuridico europeo appare importante ancor piu` se si considera come
proprio lassenza di tale passato abbia contribuito a forgiare un
diverso universo giuridico in terra americana (21), come si dira` piu`
avanti. A partire da questo sfondo storico, dunque, possono essere
considerati due aspetti che hanno influito sullo scenario istituzionale
europeo, contribuendo a determinarne la prospettiva terrestre,
ossia compatta e poco mobile. Si tratta di due discontinuita` rispetto
al passato medievale. Il primo aspetto e` la preminenza assunta dalla
proprieta` rispetto al contratto, fino a permetterci di scorgere un
rapporto significativo che esiste persino tra sovranita` e proprieta`. Il
secondo aspetto e` la continuita` che esiste tra trionfo della ragione
borghese ed esclusivita` della ratio legislativa, con conseguente inibizione di un tessuto istituzionale piu` mobile e variegato.
3. La proprieta` tra valore duso e valore di scambio.
Lordine europeo medievale era fondato su alcuni fatti normativi fondamentali: terra, sangue, e tempo (22). La terra era dunque
un fatto fondante del diritto, ma non era intesa tanto come proprieta`, bens` come cosa produttiva per eccellenza aperta allappropriazione collettiva (23). Lordine terrestre creato in Europa
puo` sembrare in continuita` rispetto al medioevo, nel suo restare
ancorato a una ratio di tipo spaziale. E la proprieta` e` listituto
giuridico che meglio risponde allesigenza di registrare un mondo di
spazi definiti e misurabili: essa diventa metafora giuridica di un
mondo che tende alla stabilita` ed alla persistenza (24). Tuttavia,
quando si parla di proprieta`, e` necessario avere presente la comples(21) Il tema e` presente in L. HARTZ, La tradizione liberale in America. Interpretazione del pensiero politico americano dopo la Rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1960.
(22) P. GROSSI, Lordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 74.
(23) La caratteristica principale della concezione feudale e` il suo riconoscimento
di una proprieta` doppia, vale a dire la proprieta` superiore del signore del feudo che
coesiste con la proprieta` inferiore o possedimento, del feudatario. Cos` H. S. MAINE,
Diritto antico, Giuffre`, Milano 1998, p. 222.
(24) Sulla persistenza di forme di proprieta` comunitarie, si veda M. GUIDETTI P.H. STAHL, Il sangue e la terra. Comunita` di villaggio e comunita` familiari nellEuropa
dell800, Jaca Book, Milano, 1977.
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sita` della sua storia, che registra un lungo corso di mutazioni (25) e
diversi modi di possedere (26), ossia funzioni sociali della proprieta` che sono storicamente e geograficamente mutevoli. Si pensi
alla duplice possibilita`, indicata gia` da Marx, di intendere la proprieta` sia come valore duso, ossia capace di provare una condizione di status del soggetto, sia come valore di scambio, ossia
esposta alla contrattazione per fini utilitaristici. Ora, specialmente
questa differenza funzionale della proprieta` ci puo` aiutare a comprendere due diverse storie della proprieta`, con diversi gradi di
esposizione allimprenditorialita`, che hanno avuto luogo sul suolo
dellEuropa continentale e sul suolo anglo-americano.
A questa diversa storia ha corrisposto, sotto un profilo piu`
propriamente giuridico, un diverso e forse persino opposto equilibrio tra proprieta` e contratto, che ha avuto luogo in Europa e negli
Stati Uniti. Proprieta` e contratto sono due istituti giuridici entrambi
essenziali per la vita economica capitalistica, ma con una diversa
ratio ed un diverso peso specifico per le relazioni di mercato. La
centralita` della proprieta` intesa come valore duso ha segnato
significativamente buona parte della storia del capitalismo: non solo
del capitalismo agrario (27), ma anche di quello industriale, che
ancora reca con se una grande solennita` e visibilita` della proprieta`,
attraverso limpresa intesa come oggetto di un proprietario (28)
che, come tale, inibisce la contrattualizzazione e dunque le relazioni
di mercato: si pensi al motto chi vende, scende, che ancora
costituiva comune consapevolezza sociale fino ad un passato recente.
Lindividualismo possessivo (29) ottocentesco, stabilizzando la
proprieta` in una dimensione solitaria ed individualistica, ed in una
finalita` di status, svolse un ruolo ambivalente sotto il profilo della
(25) H. S. MAINE, Diritto antico, cit., p. 185 e ss.
(26) P. GROSSI, Un altro modo di possedere. Lemersione di forme alternative di
proprieta` alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffre`, Milano 1977, e, ID., Il dominio e le
cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Giuffre`, Milano 1992.
(27) Si veda R. MARRA, Capitalismo e anticapitalismo in Weber, Il Mulino, Bologna
2002.
(28) Rimando al mio Della corporate governance, ovvero dellimperfezione del
diritto societario, in Scritti giuridici per Guido Rossi, Giuffre`, Milano 2002.
(29) C. B. MACPHERSON, Liberta` e proprieta` alle origini del pensiero borghese, Isedi,
Milano 1973.
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Sovranita` e proprieta`.
La proprieta`, intesa come valore duso, lascia unaltra importante traccia nellEuropa continentale attraverso lo stato e lidea
della sovranita` statale. A prima vista, questo accostamento puo`
apparire del tutto fuori luogo, tanto proprieta` e sovranita` sono
termini che indicano realta` giuridiche antitetiche. La prima, emblema per eccellenza del diritto privato e di quella societa` civile
rousseauiana che trova nelleconomia il suo scenario principale. La
seconda, emblema eccellente del regno della politica e di tutto cio`
che e` pubblico. Tuttavia, a dispetto di questa consueta maniera di
discriminare, si possono ravvisare non poche linee di continuita` tra
proprieta` e sovranita` (39). Cio` che si cerchera` di osservare e` un
risvolto proprietario e forse persino privatistico della sovranita`,
che si contrappone alla retorica fortemente pubblicistica della
comunicazione legislativa dello stato.
Del resto, a ben guardare, la parentela tra proprieta` e sovranita`
e` emersa talora esplicitamente o implicitamente in letteratura. Non
e` un caso se Botero, nel 1589, nellindividuare lo stato e la ragione
di stato, veda il primo come dominio fermo sopra popoli e la
(38) Casa e nave sono le due metafore di unesistenza di terra o di mare: casa e
proprieta`, matrimonio, famiglia e diritto ereditario, tutto questo si forma sulla base di
unesistenza terricola, e in particolare, agricolaIl nucleo dellesistenza terrena e`
dunque la casa. Quello di unesistenza marittima, invece, e` la nave che va e che e` in se
stessa un mezzo piu` intensivamente tecnico che non la casa. La casa e` quiete, la nave e`
movimento. Cos` in Dialogo sul nuovo spazio, che appare nel volume Terra e mare del
1986, a cura di Angelo Bolaffi, pp. 102-103.
(39) Nel fare luce su alcune di queste linee di continuita`, un notevole contributo
e` stato dato dai giusrealisti americani, allinterno di una linea di indagine tesa a rompere
la tradizionale opposizione tra pubblico e privato. In particolare, M. R. COHEN, Property
and Sovereignty, Cornell University Press, Ithaca 1927.
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stagione del diritto internazionale, e specie lottica della sovranazionalita` e del multilateralismo, stanno modificando (42).
Lispirazione essenzialmente proprietaria della sovranita` statale riceve una ulteriore conferma se si guarda al fatto che lo stato
sovrano, non diversamente dal soggetto proprietario, si pone come
soggetto essenzialmente monologante, piuttosto che dialogante:
esso non ha bisogno di creare istituzioni capaci di dialogare con i
propri sudditi, di registrare i loro impulsi e reazioni. Esso ha bisogno
di cittadini ubbidienti e disciplinati (43). Il diritto diventa cos` una
mera tecnica di trasmissione dei comandi del sovrano, che non ha
bisogno che di una legittimazione di tipo formale: la legislazione e` lo
strumento piu` adatto a dare espressione a quei comandi, cos` come
a garantire la piu` ampia liberta` di scelta del soggetto normatore.
Il soggetto sovrano esprime insomma non solo unidea essenzialmente centripeta del potere, allergica a divisioni e contrappesi,
ma anche una grammatica del potere di tipo rigidamente normativo,
ossia un universo istituzionale che adotta ununica linea di comunicazione con i sudditi, una linea che va unidirezionalmente dal potere
verso i sottoposti, e non in direzione contraria (44). Al nuovo Principe non interessa registrare impulsi, sentimenti e commenti provenienti dal basso della societa` e diretti al suo indirizzo. Sotto questo
profilo, e` interessante notare come il compimento del progetto di
uno stato sovrano coincida con linterruzione della pratica di quegli
specula principum, genere letterario antico, tornato in auge in epoca
carolingia, che per tutto il Medio Evo ebbe intenti didascalici nei
confronti del principe, affinche il suo potere corrispondesse alla
legge morale condivisa ed al buon governo (45). Gli specchi dei
principi rispondevano ad unidea di monarchie contractuelle, che fu
viva per tutto il medio Evo, e alla pretesa di orientare e contem(42) Rinvio in proposito al mio Le organizzazioni internazionali e gli stati contraenti, in corso di pubblicazione in Rassegna italiana di sociologia 2003.
(43) M. FOUCAULT, La microfisica del potere, Einaudi, Torino 1976.
(44) C. Schmitt, nei giorni bui del suo coinvolgimento nel processo di Norimberga, considera la stupefacente attitudine a farsi organizzare delluomo tedesco,
collaborando lealmente con tutto cio` che il governo di volta in volta legale ordinasse.
Cfr. Osservazioni in risposta a un discorso radiofonico di Karl Mannheim, cit., p. 20.
(45) Si veda A. DE BENEDICTIS, Politica, governo e istituzioni dellEuropa moderna,
Il Mulino, Bologna 2001, p. 251 e ss.
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conosciuto, sia per la natura dei suoi diritti, che per la qualita` dei
soggetti alla sua giurisdizione (77).
Insomma, il diritto negli Stati Uniti, invece di assumere una
prospettiva di terrestre stabilita`, si costituisce ad un mosso crocevia
dove gli elementi di natura democratica (presenti nella legislazione,
ma anche nelle giurie delle corti) sono istituzionalmente sfidati sia da
elementi di tradizionalismo (presenti nella Costituzione, oltre che
nel common law), sia da sponde di carattere aristocratico (presenti in
un certo carattere sapienziale dellattivita` dei giudici, nonche nella
Corte Suprema, specie attraverso la nomina a vita dei suoi componenti).
Se la proprieta` troneggia come metafora giuridica della sovranita` politica europea, il contratto appare listituto giuridico piu`
adatto a interpretare le ragioni di un ordine giuridico marittimo.
A prima vista potrebbe apparire sorprendente lapparentamento
della civilta` giuridica americana con il contratto piuttosto che con la
proprieta`: infatti, la proprieta` ha goduto di protezioni costituzionali
molto estese, s` da ingenerare talora lidea che la costruzione giuridica americana sia stata incentrata soprattutto intorno a questo
diritto economico (78). Come si e` gia` detto, se la proprieta`, intesa
quale valore duso ha avuto, in America, una significativa ed
estremistica epopea, nella lunga stagione delleconomic due process (79), essa si e` poi indirizzata sempre piu` verso il valore di
scambio, per reggere alle sfide del mercato e delleconomia finanziaria, nonche a quelle dellera dellaccesso. Come nota Hurst,
noi abbiamo rispettato i diritti di proprieta` e di contratto, ma
innanzitutto per la loro utilita` nel tenere gli affari in un atteggiamento produttivo; laddove gli uomini cercavano semplicemente di
restare aggrappati ad una posizione raggiunta, senza promettere un
(77) Cfr. ivi, p. 179. Tocqueville aggiunge: il potere dei giudici federali e`
immenso ma si tratta di un potere essenzialmente morale. Essi sono onnipotenti fino a
che il popolo acconsente a obbedire alla legge; non possono nulla quando la disprezza
(p. 180).
(78) Questa prospettiva ha trovato una significativa celebrazione in C. A. BEARD,
Interpretazione economica della Costituzione degli Stati Uniti dAmerica, Feltrinelli,
Milano 1959.
(79) Rinvio ancora al mio Diritto e mercato, cit., p. 176 e ss.
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nuovo avanzamento, noi eravamo inclini a trovare strumenti dottrinali per lasciarli indietro (80).
Limportanza del contratto, che negli Stati Uniti segna anche la
storia del diritto pubblico, realizzando un ordine politico di carattere contrattuale, secondo gli auspici di Locke, completa limmagine
di una civilta` giuridica di tipo marittimo, segnato dalla pluralita`
delle fonti e dei soggetti e dalla ininterrotta dinamica equilibratrice
che tra essi si verifica. Peraltro il contratto oggi si pone, attraverso
una continua ricerca di nuove forme e di nuovi beni, come componente principale di quella lex mercatoria che celebra fasti rinnovati
nel mondo senza confini delle grandi corporation transnazionali,
rinviando allidea di nuovi legisti, che svolgono la funzione di
legislatori privati ed invisibili.
Questo pluralismo giuridico di fonti e di prospettive, rispecchiata altres` dalla scelta federalista, che moltiplica i legislatori, ha
impedito negli Stati Uniti quella teologia politica che Schmitt vide
incarnata nel mito europeo del legislatore (81). AllAmerica, priva del
dio-legislatore, il diritto appare un universo in ricomposizione continua, che modifica ininterrottamente la sua immagine con sempre
nuovi movimenti ed increspature, come una superficie marittima.
6. Il nuovo pluralismo dellordine giuridico europeo: tra democrazia,
tradizione e aristocrazie.
Finora si e` insistito, forse anche a costo di qualche forzatura,
sulla differenza tra lordine giuridico dellEuropa continentale, che
appare segnato da una fondazione terrestre, e lordine giuridico
che e` proprio della civilta` anglo-americana, che appare segnato
piuttosto da una immagine marittima. Ma oggi, quale ordine
giuridico caratterizza lEuropa? Regge ancora il suo carattere terrestre? E come lo si deve guardare? Dal basso delle varieta` nazio(80) Cfr. J. W. HURST, Law and Social Process in United States History, cit., p. 116.
(81) C. SCHMITT, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972, dove si vede
incarnato lo spirito razionalistico nellidea che le opere costruite da piu` uomini non
sono cos` perfette come quelle a cui ha lavorato uno solo. Un solo architetto deve
costruire una casa o una citta`; le migliori costituzioni sono opera di un solo legislatore
intelligente (p. 70).
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nali, ancora largamente sussistenti, o dallalto del patrimonio costituzionale europeo (82) gia` esistente, e dei tentativi di rifondazione
costituzionale, che oggi puntano al varo di una Convenzione?
Nel considerare quanto sta avvenendo in Europa, che oggi
costituisce certamente il piu` interessante laboratorio istituzionale del
mondo, non si puo` non considerare le sue dinamiche istituzionali
alla luce del processo di globalizzazione. Questo ci pone di fronte ad
un paradosso: mentre avvicina le varie parti del mondo e mette in
moto spinte alla loro sincronizzazione, allincontro ed allarmonizzazione tra tradizioni diverse, fa apparire con maggiore evidenza
proprio quelle diversita` di tradizioni e angolazioni culturali, che nel
passato restavano sotto traccia. Alla luce di questo paradosso, il
diritto europeo va innanzitutto considerato come frutto di una
continua e contraddittoria dinamica che e` insieme tendente alla
unificazione ed armonizzazione, tanto quanto a tentativi di distinzione e diversificazione (83). Una dinamica ancor piu` interessante se
si considera che oggi, piu` che mai, lEuropa non ha confini certi e
definitivi (84): e` uno spazio aperto. Il luogo Europa e` anche unarea
un insieme di luoghi dai limiti sfuggenti (85). Questa irresolutezza spaziale dellEuropa, che oggi non e` piu` soltanto culturale,
ma anche politica, significa una ancor piu` accentuata dinamica del
gioco diversificazione-unificazione.
Ma la irresolutezza spaziale dellEuropa viene accentuata altres`
dallimpatto che sul suo continente hanno altre culture giuridiche, e
specialmente quella anglo-americana che domina nel mondo degli
affari. Sarebbe tuttavia una frettolosa approssimazione quella di
vedere le attuali istituzioni europee come un mero riflesso di tendenze americane: lEuropa sta compiendo un suo cammino giuridico
peculiare che si potrebbe collocare tra terra e mare, e forse oltre
terra e mare, per riprendere le metafore schmittiane usate in questo
scritto. Linfluenza della cultura giuridica anglo-americana, che
(82) A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Il Mulino, Bologna 2002.
(83) Largomento e` sviluppato da M. TARUFFO, Sui confini. Scritti sulla giustizia
civile, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 99 e ss.
(84) Sullidea insiste B. DE GIOVANNI, Lambigua potenza dellEuropa, Guida,
Napoli 2002, p. 19 e ss.
(85) Cfr. LEuropa. Una geografia, Comunita`, Milano 1999, p. 59. Traggo la
citazione da B. DE GIOVANNI, Lambigua potenza dellEuropa, cit.
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intravisto, assistiamo alla fine del rapporto tra terra e mare invalso
finora: un nuovo senso sta lottando per il suo ordinamento. Non
vi e` dubbio che il vecchio nomos stia venendo meno, e con esso un
intero sistema di misure, di norme e di rapporti tramandati (98).
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UNITA
v GIURIDICA EUROPEA:
UN MEDIOEVO PROSSIMO FUTURO?
1. Maturita` di tempi e illusioni continuistiche. 2. Lesilio del medioevo giuridico
durante il moderno. Riscoperte novecentesche. 3. La maturita` di tempi medievale.
4. Messaggi fruttuosi.
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diamo concretamente affacciarsi proprio nellattuale dibattito europeo, con un rigurgito che le iniezioni storicistiche del passato
potevano farci falsamente ritenere esorcizzate per sempre. E` percio`
opportuno che si svolga qualche considerazione generale prima di
calare al nostro specifico oggetto, per liberare il passo da pesanti
ingombri capaci di viziare imperdonabilmente lapproccio metodologico.
Il modello, come strumento comparativo caricato di intrinseca
assolutezza e tale da annullare o almeno attenuare la effettivita` della
comparazione instaurata, e` un arnese inadatto sia per lo storico che
per il comparatista, perche implica sempre uno scarso rispetto sia
per il passato, sia per il presente, sia per il futuro.
La pretesa di proiettare sulloggi modelli passati e` un gesto di
suprema presunzione da parte di chi dovrebbe, al contrario, esercitare la virtu` somma dellumilta`. Umilta` di rispettare il distendersi
della storia nella sua misteriosa sequela di tante maturita` di tempi,
umilta` di rinunciare a costruire immodesti ingabbiamenti che non
possono che sacrificare e immiserire il mistero ma anche la ricchezza
della storia; mistero insondabile certo ma che e` anche ricchezza esuberante e incoercibile.
Si tratta pur sempre di ingabbiamenti quando si vuol fissare
modelli positivi in rapporto ai quali misurare la varieta` espressiva
delle diverse epoche ed esperienze, e pertanto modelli immobilizzanti. Perche non arrestarci alla elementare verita` che il corpo
sociale e` realta` in continuo divenire, in una crescita continua ma non
segnata da scansioni, sviluppi, itinerarii predeterminabili? Il modello
non puo` non porsi per quel corpo che come un vestito troppo stretto
o troppo ampio, comunque goffo e non conveniente a esprimerne
tutte le capacita` e a soddisfarne tutte le esigenze, anzi probabilmente
coartante. Si pensi a come sia stato pesantemente condizionante
nella storia della cultura il riferimento ricorrente allarchetipo del
classico, e nella storia del diritto al romano grossolanamente
inteso come modello archetipico.
La linea storica soprattutto quando si tratta di una lunga,
lunghissima linea va interpretata non come un forziere di modelli
da trapiantare nelloggi e a cui ispirare lazione delloggi; una linea
che, in mano dello storico, non solo non diminuisce il suo rispetto e
la sua disponibilita` piena verso il passato e il presente, ma che
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a chiare lettere il monito dellantica sapienza: omnia tempus habent, ogni cosa ha il suo tempo (2). Quel monito vorrei oggi
riprendere come precetto di elementare buonsenso, prima ancora
che come guida epistemologica.
Malgrado tutto quel che ora si e` detto, il modello riaffiora
sempre, e sempre protagonisti sono la sprovvedutezza culturale,
lingenuita`, la pigrizia del giurista. Lesempio piu` lampante e` quella
ohime` convinta! riaffermazione di un usus hodiernus Pandectarum quale fondamento sicuro dellunita` giuridica europea di
oggi e di domani, riaffermazione tanto virulenta quanto insensata.
Ma un altro esempio e` certamente dato dallaffiorare sparso ma
preciso di un medioevo giuridico prossimo futuro, con un modello
medievale riesumato a bella posta e appiccicato forzosamente alla
realta` cosmopolitica che stiamo costruendo.
Discorso ambiguo come dicevamo allinizio , perche portatore congiuntamente di falso e di vero, e pertanto rischiosissimo.
Al solito, il rischio maggiore e` dato dalla pigrizia dellodierno
giurista, che puo` trovare comodo ripararsi allombra di un modello
prefabbricato. Qui giova sicuramente lintervento dello storico del
diritto proprio nella veste che gli e` piu` congeniale (anche se troppo
spesso abbandonata) di coscienza critica del cultore del diritto
positivo. Cosciente della complessita` della linea lunga della storia,
cosciente quale nessun altro che questa linea e` impastata di passato,
di presente e di futuro, egli e` per sua indole un relativizzatore
e un demitizzatore. In questa veste e` il miglior compagno di corsa
per il giurista, giacche , richiamandolo a visioni culturalmente piu`
appaganti, gli puo` impedire di operare scelte avventate e di costruire
un futuro senza reali fondamenti.
Per il nostro oggetto, lufficio dello storico non e` facile, e nasce
da questo il dichiarato imbarazzo nellaccettare il co mpito generosamente offertomi da Costa. Non e` facile. Non ve` dubbio che tra
soluzioni medievali e soluzioni delloggi e dellimmediato domani
assonanze ci siano. Io credo che non possiamo restarne appagati e
formazione di un futuro diritto europeo, puo` leggersi, oltre che negli atti dellIncontro,
anche in Rivista di diritto civile, XLII (1996), parte prima (la citazione fatta nel testo
e` a p. 286).
(2) Qoe`let (Ecclesiastes), 3, 1.
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societa` borghese addirittura un modo dacquisto della proprieta` (4); Simoncelli vi aggiunse una attenzione tutta nuova per lenfiteusi, altra creatura giuridica esorcizzata da un silenzio prevalente a
causa dello sdoppiamento del dominio che provocava (5). Meno
ereticale dovette invece sembrare lo zelo di Cesare Vivante per i
primordii medievali del contratto di assicurazione (6), giacche ai
commercialisti personaggi coltivatori, agli occhi sdegnosi dei
civilisti, di una scienza empirica e tecnicamente grossolana era
consentito di allontanarsi dalle purezze di Gaio e del Codice civile.
Dalle pagine civilistiche di Simoncelli scatur` tuttavia, sia pure con
parecchie ingenuita`, un elogio sincero del medioevo giuridico; ma si
tratto` di voce abbastanza solitaria.
I riferimenti medievali si infittiscono durante il Novecento,
quando le ferme certezze delleta` borghese divengono instabili,
quando i due pilastri dellordine giuridico, lo Stato e lindividuo,
subiscono incrinature in una societa` sempre piu` di massa e sempre
piu` sollecitatrice di una sgradevolissima dimensione collettiva,quando il rigido individualismo proprietario e` costretto a concessioni per il montare delle lotte sociali.
Ve` chi, come il giovane Panunzio, non ha esitazione a richiamare il modello medievale per legittimare la presenza tutta nuova dei
sindacati (7), posizione macroscopicamente ingenua e antistorica che
viene severamente respinta innanzi tutto proprio da storici del
diritto. Ma vi sono giuristi che, deposte senza un rimpianto le
vecchie repulsioni, hanno un atteggiamento culturalmente provveduto e corretto che fa del medioevo ne una bottega da rigattiere ne
un paradiso di modelli, bens` un forziere di messaggi storici.
Santi Romano vi sorprendera` tracce consistenti di pluralismo
(4) Il principio del lavoro come elemento di sviluppo di alcuni istituti giuridici
(1888), ora in V. SIMONCELLI, Scritti giuridici, vol. I, Soc. Ed. del Foro Italiano, Roma
1938.
(5) Nei tardi anni Ottanta vi dedico` parecchie ricerche, oggi tutte ricomprese
sotto la dizione Studi sullenfiteusi nei sopracitati Scritti giuridici, vol. I.
(6) Si vedano i tre volumi che il Vivante pubblica su Il contratto di assicurazione,
Hoepli, Milano 1885-1887-1890.
(7) S. PANUNZIO, Sindacalismo e medio evo (Politica contemporanea), Casa Ed.
Partenopea, Napoli s.d. (ma 1911).
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(2002)
1915.
(10) G. VENEZIAN, La tutela dellaspettativa (1900), ora in Opere giuridiche, vol. II,
Athenaeum, Roma 1930.
(11) E. FINZI, Il possesso dei diritti (1915), Giuffre`, Milano 1968.
(12) E. FINZI, Le moderne trasformazioni del diritto di proprieta`, in Archivio
giuridico, LXXXIX (1923); Diritto di proprieta` e disciplina della produzione, in Atti del
Primo Congresso Nazionale di Diritto Agrario, Accademia dei Georgofili, Firenze 1936.
(13) Giangastone Bolla, il massimo sollecitatore in questa direzione, si dedica lui
stesso a ricerche medievistiche, colloquia con gli storici del diritto medievale, apre la sua
Rivista di diritto agrario a contributi medievistici e fonda negli anni Trenta lo Archivio
Vittorio Scialoja per le consuetudini giuridiche agrarie e le tradizioni popolari italiane,
dove si da` un ruolo giustamente protagonistico a fonti medievali e a scrittori medievalisti.
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PAOLO GROSSI
determinate. Il colloquio con i giuristi di diritto positivo era sostanzialmente mancato, fatta salva qualche rara eccezione. Fu un grande
merito di Francesco Calasso, uno storico che aveva profondamente
avvertito la lezione dellidealismo, di spostare lattenzione sul secondo medioevo, sul medioevo sapienziale, su una grande maturita`
di scienza giuridica. I risultati positivi furono parecchi; uno di questi
e`, a mio avviso, la ripresa di un colloquio, e, con la ripresa, una
maggiore familiarita` di civilisti e pubblicisti con la civilta` giuridica
artificiosamente rimossa e minimizzata (14).
Oggi, questa familiarita` si e` addirittura trasformata in un attingimento ripetuto. Lo storico dovrebbe essere ricolmo di soddisfazione, soprattutto uno come me che non ha mai mancato di valorizzare quella rilevante esperienza giuridica e di ritenerne doveroso
(e fruttuoso) lo studio.
Il problema e` pero` di indole squisitamente culturale: ben vengano questi riferimenti, non e` certo un cattivo segno. Ma una
domanda si impone: sono frutto di analogizzazioni frettolose, di
entusiasmi infondati? Nascono da una conoscenza reale di quello
che il medioevo fu? E fino a che punto si spinge il riferimento? Si
ricade, forse, in quella modellistica che si deprecava allinizio?
Lesempio del buon Panunzio, che vedeva bonta` sua un
medioevo rigoglioso di sindacati e di sindacalismo autentico e` l`
proprio ad ammonirci e a impedirci di fare scelte criticamente
incaute, inaccettabili culturalmente e fonti soltanto di equivoci
grossolani. E il futuro resta totalmente da costruire. Cerchiamo,
pertanto, di far chiarezza o di tentar di farla.
3. La maturita` di tempi medievale.
Il medioevo giuridico fu creatura storica originale, perche fu
costruzione lentissima di una prassi investita del co mpito di edificare
(14) Si veda il colloquio di Calasso con Santi Romano, di cui e` evidente testimonianza il volume scientifico-didattico Gli ordinamenti giuridici del rinascimento medievale, Giuffre`, Milano 1948; o quello piu` tardo dello stesso Calasso con i civilisti in tema
di negozio giuridico (Il negozio giuridico, Giuffre`, Milano 1959), in un libro che ha molte
debolezze ma che segnala una sincera istanza colloquiale; o il colloquio con Calasso del
civilista SALVATORE ROMANO, Ordinamenti giuridici privati (1955), ora in Scritti minori,
vol. I, Giuffre`, Milano 1980.
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(15) Per maggiori chiarimenti non posso che rimandare al mio libro Lordine
giuridico medievale, cit., dove a intelaiatura della analisi storiografica si utilizza la
dialettica validita`/effettivita` (si veda soprattutto p. 56 ss.).
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Puo` servire da momento dialettico: storia compiuta, interamente vissuta da un pianeta storico di intensa originalita`, ha dei
messaggi forti, soprattutto in questo momento in cui abbiamo
gettato alle ortiche quei vestimenti antimedievali di cui i moderni
polemicamente si ammantarono e in cui i valori di quella civilta` sono
ormai oggetto di spassionata considerazione. Oggi che tentiamo di
liberarci dellabbraccio soffocante dello Stato, oggi che tentiamo la
costruzione di un diritto sempre piu` aperto a una proiezione transnazionale se non addirittura universale, il messaggio medievale puo`
riuscire proficuo.
Non so, invece, se siamo convinti di tentare la realizzazione di
un vero e non dimidiato pluralismo giuridico. Ad avviso di chi
scrive, sta qui un messaggio da ascoltare con attenzione e rispetto,
ma su cui, allopposto, constato distrazione o, peggio ancora, infastidimento. Ma sara` bene un esame piu` specifico.
Con una precisazione. Qualcuno potrebbe eccepire che non
vede distinzione alcuna fra il seguire un modello o ascoltare con
rispetto un messaggio. Rispondo: il modello va imitato e tradotto; la
realta` storica vi si deve conformare. Il messaggio e` un contributo al
rafforzamento duna riflessione in ricerca, ma non esige passivita`,
non esige obbedienza. Esige una cosa, di cui abbiamo tanto bisogno:
ascolto rispettoso e confronto con gli attuali valori, esige una
comparazione dialettica, dove le rispettive diversita` non solo non
vengano annullate o contratte, ma siano messe in evidenza. Con la
coscienza ripetia`molo che ogni cosa ha il suo tempo.
4.
Messaggi fruttuosi.
Vediamo, dunque, quali possono essere i messaggi che ci provengono e che paiono confortarci nellattuale momento di scelte
superatrici delle vincolanti soluzioni della modernita`.
La prima voce netta, che viene da una esperienza come quella
medievale caratterizzata da un diritto senza Stato, e` sicuramente che
la giuridicita` e` connessa alla societa`. Allo Stato sono speculari le
branche giuridiche strettamente legate allesercizio della sovranita`
(un esempio: il diritto amministrativo; un altro: il diritto penale), ma
il diritto regolatore della vita quotidiana dei privati, espressione di
soggetti che agiscono nella societa` da privati, puo` e deve ritrovare
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PAOLO GROSSI
quella plasticita` che sembra oggi richiesta da un mutamento (soprattutto economico e tecnico) in rapidissimo sviluppo. Altrimenti, il
costo da pagare e` lo sdoppiamento pernicioso tra un diritto ufficiale
e canali privati che corrono paralleli. Oggi, non a torto si dubita del
grande strumento ordinatore ma controllore della vita giuridica dei
privati, che e` stato ed e` il Codice, ammirevole invenzione della
modernita` ma inadeguato a tener dietro con coerenza al mutamento.
Accanto alla legge-madre, si dubita anche della inadeguatezza dello
strumento legislativo in genere.
E qui si aggiunge unaltra voce netta strettamente consequenziale alla prima. La legge non e` lunico canale di manifestazione della
giuridicita`. Lo e` se il potere esige di controllarla, ma oggi il controllo,
sempre a causa della rapidita` del mutamento, rischia di essere
inefficace provocando situazioni di crisi (crisi politica ma anche
socio-giuridica) fra un diritto legale inosservato e un osservatissimo
diritto non legale. Nel medioevo non fu la legge lo strumento
ordinatore, anche perche il genuino Principe medievale non si sent`
legislatore, rispettando una acquisizione della coscienza collettiva
che coglieva il diritto alle radici della societa` e pertanto da identificarsi prevalentemente nella fonte materna della consuetudine affidata alla interpretazione dei giuristi (giudici e dottori). Il medioevo
non fu un pianeta legalitario malgrado quanto si e` sostenuto
nellonda di una plagiante sub-coscienza moderna (18) , anche se
fu un pianeta dove alla dimensione giuridica spetto` una centralita`
senza uguali. Un motivo di impellente riflessione, nel momento
attuale in cui teorici del diritto e giuspubblicisti si interrogano
sempre piu` fittamente sul ruolo di una legalita` formale come quella
che abbiamo ereditato dalla modernita`.
Il che ci introduce a un altro messaggio forte. Questa giuridicita`
intuita cos` centrale per la societa`, non affidata se non marginalmente a legge e legislatore, fu identificata nel medioevo in una realta`
di radici profonde realta` squisitamente o`ntica che il costume
(18) Un esempio vistoso e` il volume di UGO NICOLINI, Il principio di legalita` nelle
democrazie italiane - Legislazione e dottrina politico-giuridica delleta` comunale, Marzorati, Milano s.d. (ma 1946), che risente del parossismo legalitario di quegli anni, un
parossismo che nasceva dalla fallace convinzione nella funzione garantistica e benefica
della legge.
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Si aggiunga che, oggi, ve` una coscienza nuova nel giurista, piu`
attiva, piu` propulsiva. Il giurista vede le deficienze e le sordita` del
legislatore e tenta di supplirvi; soprattutto, tenta ed e` questo un
profilo rilevantissimo di farsi lui portatore di un diritto finalmente
insofferente alle artificiose frontiere statuali gettando la rete al di la`
e al di sopra delle tante insularita` nazionali e cominciando a creare
un tessuto comune: i recenti esperimenti europei per la fissazione di
principii regolatori dei contratti e dei contratti commerciali in
specie, che hanno visto protagonistica la migliore scienza giusprivatistica europea, sono il segno di questa rinnovata coscienza. Un
grande insegnamento della civilta` giuridica medievale e` che il diritto
e` cosa non da politici ma da giuristi, ed e` precisamente linsegnamento che quella civilta` ha trasmesso al suo figlio diretto, il common
law. Recuperare il diritto ai giuristi puo` essere una divisa per il
nostro impegno culturale e di politica del diritto.
Un altro recupero va fatto, ma, in fondo, discende gia` da quanto
si e` detto piu` sopra, ed e` un recupero pluralistico. Si deve realizzare
un piu` sincero pluralismo giuridico. Il medioevo lo visse interamente, e il suo mondo socio-giuridico fu autenticamente pluriordinamentale. Del resto, non stiamo vivendo forse noi un pluralismo
latente con la montante globalizzazione giuridica? Un pluralismo
fattuale, che lo Stato continua a ignorare e di cui i tanti giuristi
statalisti beatamente si disinteressano; che pero` ce`, e` forte, e`
virulento, e mette in crisi nel concreto dellesperienza dove il
diritto si misura quotidianamente il sublime castello legalistico.
Dobbiamo affrettarci verso una me`ta che e` un diritto senza Stato; il
conseguimento di questa me`ta e` anche conseguimento di un effettivo pluralismo giuridico. Conseguimenti, pero`, che dobbiamo innanzi tutto realizzare nella nostra coscienza di giuristi. Non si puo`
pretendere dallapparato statuale quel rinnovamento che manca
almeno nella consapevolezza dei piu`. La complessita` della societa`,
elementare dato omnipresente ma tanto piu` presente oggi, deve
rispecchiarsi nella complessita` plurale delluniverso giuridico.
Diritto senza Stato significa che al diritto ripugna di immiserirsi
allinterno di confini invalicabili, significa che il diritto e` una ragione
del vivere civile e che la sua proiezione piu` naturale e` quella
universale. Piu` che un sentimento, e` una percezione che si fa strada
nelle menti piu` aperte: dopo che lEuropa e` stata ridotta nelleta`
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La dimensione giuridica
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storia. Consuetudini, leggi, dottrine, uomini e libri hanno costantemente viaggiato scavalcando le frontiere politiche: dalleta` tardo
antica allalto medioevo germanico, dalle istituzioni feudali alle
consuetudini rurali, dalla svolta della nuova scienza giuridica al
diritto canonico classico, dalle istituzioni pubbliche dei comuni a
quelle degli stati moderni in via di formazione, dalle correnti del
moderno pensiero umanistico e giusnaturalistico sino alle riforme
dellilluminismo, dalle codificazioni ottocentesche alle dottrine della
scuola dellesegesi, dalla scuola storica alla pandettistica, sino agli
indirizzi di pensiero delleta` contemporanea.
Anche il sistema di common law inglese, pur cos` diverso e cos`
originale, ha in diverse sue fasi ricevuto apporti fondamentali dal
continente ed ha a sua volta influenzato, nel tardo Settecento e
soprattutto nellOttocento, levoluzione legislativa continentale. Il
diritto processuale penale, il diritto commerciale e marittimo, il
diritto del lavoro sono alcuni dei settori in cui tali influssi biunivoci
si sono manifestati. Per tacere dellinflusso profondo esercitato dal
costituzionalismo britannico sulla genesi del moderno costituzionalismo europeo.
5. Sulla base dei quattro grandi lasciti culturali del mondo
antico i profili filosofici del pensiero greco, i profili giuridici della
civilta` romana, i profili religiosi della civilta` ebraica e del cristianesimo ci limitiamo ad enumerare alcuni istituti che hanno avuto
diffusione transnazionale e possono dirsi propri della storia della
civilta` europea nella sfera del diritto. Alcuni sono stati creati e poi
sono scomparsi nel corso delleta` medievale e moderna, altri sono
tuttora ben vivi: ormai non solo in Europa ma su scala piu` vasta,
sovente addirittura su scala planetaria.
Citiamone semplicemente alcuni, tratti sia dalla`mbito pubblicistico che da quello privatistico. Il principio fondamentale della
distinzione, sul terreno del diritto, tra la sfera temporale e la sfera
spirituale, tipico delloccidente cristiano a partire gia` dalla fine del
mondo antico. Il sistema delle istituzioni feudali, pur caratterizzato
dalle differenze tra le regioni europee che la moderna storiografia ha
posto in evidenza. La signoria fondiaria con lesercizio dei poteri
economici, fiscali e giurisdizionali concessi o comunque acquisiti,
legati al controllo della terra e degli uomini che vi vivevano. Lor-
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dura di codecisione introdotta nel 1992 e con le altre varie procedure previste dai trattati, che pero` di norma non operano quando la
decisione del Consiglio richiede lunanimita`, richiesta in molte tra le
materie di maggior rilievo. Dalla meta` degli anni Settanta le decisioni
piu` importanti e quelle di impulso politico per lUnione sono
assunte dal Consiglio europeo composto dai capi di stato e di
governo. Il Parlamento europeo ha ereditato le competenze della
primitiva Assemblea composta di parlamentari nazionali ed e`, dal
1979, eletto a suffragio universale ogni cinque anni dai cittadini di
tutti gli stati membri dellUnione, sicche possiede nei confronti
dellUnione il medesimo grado di legittimazione democratica che e`
proprio dei parlamenti nazionali rispetto agli stati nazionali. Dal
1992 il Parlamento europeo vota la nomina del presidente della
Commissione proposta dal Consiglio europeo (dal 2000 anche a
maggioranza qualificata) nonche quella dei commissari scelti dal
presidente stesso dintesa con il Consiglio. La Commissione ha
lesclusiva delliniziativa legislativa comunitaria, esercita funzioni di
controllo sullattuazione dei trattati e ha vasti poteri esecutivi quanto
al primo pilastro, concernente lunione economica, la concorrenza, il
mercato unico, la politica commerciale internazionale dellUnione e
le altre attribuzioni connesse, inclusa la disciplina di bilancio degli
stati membri adottata con il patto di stabilita` che pure fa capo
principalmente ai governi e al Consiglio. La Commissione dispone di
una non certo pletorica burocrazia comunitaria, accentrata a Bruxelles. La Corte di giustizia dirime (dal 1997 con il Tribunale di
primo grado) le controversie tra singoli, stati membri e Comunita`
europea nelle materie di competenza di questultima. La sua giurisprudenza, come pure il diritto comunitario dei trattati, ha immediata e diretta applicazione allinterno degli ordinamenti nazionali.
Da questa pur sommaria elencazione delle funzioni appare gia`
chiaro come la` dove la procedura richiesta dai trattati esige lintervento del solo Consiglio deliberante alla unanimita` non si possa
ritenere operante se non una forma di cooperazione tra stati sovrani,
che non raggiunge neppure lassetto istituzionale di una confederazione. E questo vale oggi per settori cruciali del mercato unico e
dellunione economica che costituiscono il primo pilastro, dallarmonizzazione fiscale alla sicurezza sociale alle politiche di coesione.
E vale per la massima parte delle politiche e delle azioni relative alla
68
(2002)
politica estera, alla sicurezza, alla difesa, alla giustizia e allimmigrazione, cioe` per il secondo e per il terzo pilastro.
Dove si puo` decidere a maggioranza lunione certamente esiste.
Ma quando le opzioni di natura legislativa o le decisioni di governo
politicamente rilevanti non richiedono lintervento del Parlamento
eletto, cio` che ne risulta e` ununione priva del requisito costituzionale che e` alla base delle moderne democrazie, lancoraggio alla
sovranita` popolare. Se e` vero che in ciascuna di esse il ruolo del
parlamento e` assai differenziato in politica economica, in materia
fiscale, in politica estera o in tema di operazioni militari, non e` meno
vero che in tutti questi settori nessun governo democratico puo`
esimersi dal controllo parlamentare.
Nei campi in cui esse operano congiuntamente, le tre istituzioni
Consiglio, Parlamento, Commissione formano un insieme
istituzionale assimilabile a quello di una federazione, con il governo
costituito dalla Commissione e con il bicameralismo che rappresenta
da una parte gli stati, dallaltra la sovranita` popolare. Il Consiglio
costituisce in effetti, dove vi e` la possibilita` di decisione a maggioranza, non un semplice luogo dincontro tra ministri nazionali bens`
un collegio, cioe` un organo dellUnione, rappresentativo degli stati
membri come avviene in ogni struttura politica di stampo federale.
E la Corte di giustizia chiude il classico triangolo montesquiviano,
che nonostante gli sforzi meritorii di una parte della dottrina e
nonostante le trasformazioni profonde dellultimo mezzo secolo
ancora non e` stato sostituito da un modello di pari efficacia descrittiva e normativa. Se a cio` si aggiunge la Banca centrale europea, alla
quale spetta la piena sovranita` monetaria allinterno del gruppo di
dodici stati membri che hanno adottato la moneta unica (Eurogruppo), quanto meno rispetto a questi ultimi si ha limmagine di una
federazione in fieri.
8. Quali tessere ancora manchino al raggiungimento di un
compiuto assetto federale dellUnione europea non e` difficile vedere. Occorre che nei settori residuali del primo pilastro in cui opera
tuttora lassetto interstatuale ed intergovernativo questo venga sostituito con la procedura maggioritaria che sola consente la formazione di una volonta` comune. Occorre la piena legittimazione del
parlamento europeo (in codecisione con il Consiglio) nella funzione
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(2002)
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(2002)
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nali) non sono certo di tale entita` da configurare uno stato leviatano.
Infine, va osservato che gia` oggi le decisioni essenziali in tema di
politica della concorrenza ed anche quelle relativo allequilibrio di
bilancio dei singoli stati dellunione sono assunte al livello europeo.
Una seconda obiezione muove dallassunto che un popolo
europeo non esiste ne puo` esistere, perche incompatibile con la
realta` e con lidentita` dei singoli popoli nazionali. A questo riguardo
occorre invece non dimenticare che il concetto di popolo e` tra i
piu` polivalenti della storia. La concezione monistica e totalitaria di
popolo deve ritenersi ormai superata o da superare, al pari di
quella monistica e totalitaria di cittadinanza. Si puo` e si deve
essere ad un tempo cittadini di una citta`, di una regione, di uno stato
nazionale, di ununione federale, del mondo. Sono livelli diversi, ma
non incompatibili perche ancorati a interessi e a valori in parte
comuni, in parte distinti e specifici di ciascun livello. E` questo un
ulteriore profilo per il quale lesperienza storica del diritto comune
offre interessantissimi spunti: si pensi alle teorizzazioni del concetto
di populus da parte di giuristi del livello di Bartolo da Sassoferrato
o di Baldo degli Ubaldi.
Esiste dunque, anche se tuttora in via di formazione, un popolo
europeo che non contraddice affatto lesistenza e la permanenza dei
popoli nazionali (cos` come questi a loro volta non sostituiscono ne
sminuiscono le realta` tuttora vivissime anche sul terreno del
diritto vivente delle identita` regionali e addirittura cittadine):
perche il popolo europeo si manifesta nei processi che coinvolgono
lUnione, le sue competenze, le sue istituzioni, i suoi interessi e i suoi
valori. Tra i quali certamente figurano accanto a quelli propri
delle moderne democrazie di matrice europea: sovranita` popolare,
equilibrio dei poteri, diritti delluomo, liberta` religiosa la concorrenza, la solidarieta`, la sussidiarieta`, la pace istituzionalmente garantita. Quando questi valori sono in gioco, il demos europeo viene ad
emergere e si manifesta se (e solo se) le istituzioni dellUnione gliene
danno la concreta possibilita`, istituzionalmente garantita.
Altrettanto frequente e` lobiezione che la sovranita` e` indivisibile e appartiene agli stati nazionali. Anche questa nozione di
sovranita` non corrisponde alla realta` del presente ne ai valori pur
condivisi da molti se non da tutti, in particolare ai valori della
sussidiarieta`, della solidarieta` e dei diritti delluomo. Gli stati euro-
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Nota bibliografica.
Ci limitiamo a poche indicazioni di testi che approfondiscono alcune delle tematiche sopra accennate sulla costituzione europea, in direzioni spesso diverse rispetto a
quelle espresse in queste pagine.
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DIMITRI DANDREA
OLTRE LA SOVRANITA
v . LO SPAZIO POLITICO EUROPEO
TRA POST-MODERNITA
v E NUOVO MEDIOEVO
1. Crisi della sovranita` o crisi dello Stato-nazione? 2. Un mondo neo-medievale?
3. La sovranita` protomoderna. 4. Sovranita`: evoluzione e persistenza. 5. Medioevo
o Impero: quale metafora per leta` globale? 6. UnEuropa neo-medievale?
1.
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(2002)
Sara` soltanto una quindicina di anni piu` tardi che Hedley Bull
si impegnera` in una definizione meno approssimativa della nozione
e in una discussione serrata della plausibilita` del suo impiego che
segneranno lingresso di questo concetto nel panorama della filosofia
politica e delle Relazioni internazionali (3). La definizione di Bull
contiene gli elementi chiave che orienteranno tutta la discussione
successiva: il riferimento alla cristianita` medievale e al Sacro romano
impero come esempi di una articolazione del potere politico che
sfugge allesclusivita` tipica della sovranita`. It is [] conceivable
that sovereign states might disappear and be replaced not by a world
government but by a modern and secular equivalent of the kind of
universal political organisation that existed in western Christendom
in the Middle Ages. In that system no ruler or state was sovereign in
the sense of being supreme over a given territory and a given
segment of the Christian population; each had to share authority
with vassals beneath, and with the Pope and (in Germany and in
Italy) the Holy Roman Empire above. The universal political order
of Western Christendom represents an alternative to the system of
states which does not yet embody universal government. [] It is
familiar that sovereign states today share the stage of world politics
with other actors just as in medieval times the state had to share the
stage with other associations (to use the medievalists phrase). If
modern states were to come to share their authority over their
citizens, and their ability to command their loyalties, on the one
hand with regional and world authorities, and on the other hand
with sub-state or sub-national authorities, to such an extent that the
concept of sovereignty ceased to be applicable, then a neo medieval
form of universal political order might be said to have emerged (4).
La plausibilita` di uno scenario neo-medievale appare legata al
prodursi di un sistema con una pluralita` di autorita` politiche legittime che esclude la possibilita` di definire una di esse lautorita`
suprema su di un dato territorio. Che cosa significhi concretamente
in termini di modalita` di organizzazione del potere politico un
sistema di autorita` legittime sovrapposte e di lealta` multiple Bull lo
chiarisce subito dopo con un esempio: We might imagine, for
(3 )
( 4)
DIMITRI DANDREA
79
Ivi, p. 246.
Ibidem.
Ivi, p. 254.
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(2002)
DIMITRI DANDREA
81
incompiute, incompletamente sovrane: As in the case of the integration of states, the disintegration of states would be theoretically
important only if it were to remain transfixed in an intermediate
state. If these new units were to advance far enough towards
sovereign statehood both in terms of accepted doctrine and in terms
of their command of force and human loyalties, to cast doubt upon
the sovereignty of existing states, and yet at the same time were to
stop short of claiming that same sovereignty for themselves, the
situation might arise in which the institution of sovereignty itself
might go into decline (9). I processi integrativi e disintegrativi che
investono molti paesi occidentali testimoniano la crisi della dimensione nazionale dello Stato, ma non dicono di per se ancora nulla sul
destino della sovranita`. La crisi della dimensione nazionale degli
Stati potrebbe infatti approdare ad una riproposizione della sovranita` come modus essendi di corpi politici le cui dimensioni possono
essere sia piu` ridotte, sia piu` ampie di quelle delle nazioni moderne.
Fin dal suo esordio la legittimita` della metafora neo-medievalista
rimanda alla crisi della sovranita` nella sua differenza specifica dallinadeguatezza dello spazio politico della statualita` nazionale. La
plausibilita` di uno scenario neo-medievalista e` legata per Bull al
fissarsi delle nuove entita` politiche che si profilano allorizzonte nello
spazio di una condizione ibrida irriducibile alla sovranita`.
Che tale condizione ibrida sia il risultato dei processi scompositivi che investono anche alcuni Stati della vecchia Europa e` per
Bull possibile, ma poco probabile. Molto piu` probabile e` che
unentita` politica di tal genere costituisca lapprodo di unesperienza
integrativa come quella europea. Il paradigma neo-medievale scommette sulla permanenza del processo di integrazione europea in uno
stadio intermedio fra lo Stato-nazione e una Europa super-Stato, gli
Stati uniti dEuropa che sarebbero soltanto uno Stato writ large (10). La tesi del New Medievalism trova un sostegno nellesperienza dellintegrazione europea soltanto se ipotizziamo che la natura ibrida dellentita` alla quale ha dato luogo non costituisce la
forma preliminare di unentita` che riproporra` alla fine del processo
i tratti di uno Stato anche se non piu` di carattere nazionale. Esiste,
(9) H. BULL, The Anarchical Society, cit., p. 257.
(10) Ivi, p. 256.
82
(2002)
Un mondo neo-medievale?
DIMITRI DANDREA
83
zione significativa della societa` internazionale. Il riferimento empirico e` ai numerosi gruppi rivoluzionari e terroristici (interni e
internazionali: dai Palestinesi ai Tupamaros) che nella seconda meta`
degli anni Settanta operavano un po in tutti i continenti e al
riconoscimento di cui godevano da parte di molti paesi del blocco
sovietico e del terzo mondo.
Si tratta di fenomeni tuttaltro che nuovi o senza precedenti. La
vera novita` di queste forme, solo in parte inedite, di lotta politica e
di uso della forza sul piano interno e internazionale sta, tuttavia,
nella loro scala ormai globale e nel riconoscimento di cui questi
gruppi godono da parte di una larga fetta della societa` internazionale. Cio` che impedisce di trasformare questa novita` in un argomento a sostegno della tesi neo-medievalista, in una prova del
tendenziale superamento della sovranita` statuale, e segnatamente del
monopolio della forza fisica legittima che la definisce, e` la constatazione del fatto che, come nel caso delle integrazioni e delle scomposizioni territoriali, lobiettivo di questi gruppi e`, in realta`, proprio
ledificazione di uno Stato territoriale sovrano nel senso piu` tradizionalmente moderno del termine. Si tratta, cioe`, di forme nuove di
lotta per un potere che queste forze tendono a concepire e edificare,
laddove hanno successo, in modo sostanzialmente conforme ai
dettami della modernita` politica.
Il quarto fenomeno che Bull prende in considerazione come
argomento per lipotesi neo-medievale e` quello del vertiginoso incremento delle organizzazioni transnazionali, delle forme molteplici
e variegate di attori politici economici e sociali che agiscono perforando i confini politici degli attori statuali: dalle aziende multinazionali alle organizzazioni internazionali non governative, dalla Chiesa
Cattolica Romana alla Banca mondiale. Malgrado la pluralita` dei tipi
di attori transanazionali presi in esame, lattenzione di Bull si
concentra sulle imprese multinazionali e sul loro ruolo nelleconomia mondiale. Le obiezioni di Bull alla significativita` delle multinazionali per una ipotesi neo-medievalista si organizzano sostanzialmente intorno a due argomenti: il carattere tuttaltro che inedito del
fenomeno di imprese che oltrepassano i confini degli Stati, e che ne
condizionano la politica (lesempio e` quello della Compagnia delle
Indie Orientali); e la perdurante capacita` dello Stato di mettere sotto
84
(2002)
controllo lattivita` delle multinazionali imponendo restrizioni, vincoli e condizioni al loro operare.
Lultimo processo preso in considerazione da Bull come argomento per unimminente epoca neo-medievale e` costituito dallunificazione tecnologica del mondo, dalla nascita del villaggio globale,
dalla compressione dello spazio e dalla crescita esponenziale dellinterazione e dellinterdipendenza su scala planetaria. A questo argomento Bull replica con quello che diverra` un topos nella letteratura
sulla globalizzazione: la semplice interdipendenza e la compressione
spazio-temporale non implicano lunificazione politica del globo e
non contraddicono la perdurante attualita` dei confini e la suddivisione del mondo in unita` territoriali discrete.
La conclusione del ragionamento di Bull e` allinsegna di un
cauto scetticismo: A time may come when the anomalies and
irregularities are so glaring that an alternative theory, better able to
take account of these realities, will come to dominate the field. If
some of the trends towards a New Medievalism that have been
reviewed here were to go much further, such a situation might come
about, but it would be going beyond the evidence to conclude that
groups other than state have made such inroads on the sovereignty
of states that the states system is now giving way to this alternative (13). Due sono i punti significativi: la questione della sovranita`
come elemento decisivo per la verifica dellipotesi neo-medievale e il
carattere ancora limitato e iniziale dei processi che indicano un
superamento della sovranita`. La legittimita` del New Medievalism e`
legata al declino, al superamento della categoria che definisce la
modernita` politica: la sovranita`. In tanto si puo` parlare di nuovo
medioevo, in quanto si prende atto della inadeguatezza descrittiva
della sovranita` di fronte ad una serie di trasformazioni della politica
contemporanea. La risposta di Bull pone una questione di ampiezza
e di profondita` dei processi: esistono processi che indicano una
direzione neo-medievale, ma lentita` di tali processi non autorizza a
(13) H. BULL, The Anarchical Society, cit., p. 275. Poco sotto si legge: We have
recognised, after all, that there are certain trends particularly in relation to the
possible emergence of a new medieval form of universal order which do make
against the survival of the state system, and which, if they went a great deal further, might
threaten its survival.
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La sovranita` protomoderna.
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a carattere territoriale), o alla suddivisione funzionale della sovranita` (divisione dei poteri) si completa, infine, nella mancanza di
qualsiasi forma di controllo o di legittimo condizionamento da
parte di coloro che al sovrano si sono sottomessi con il patto
istitutivo. Il titolare della sovranita` e` escluso dal patto, non e` parte
contraente, e la sua autorizzazione da parte degli individui non
configura nessuna limitazione politica legittima del suo operato. Il
singolo suddito puo` legittimamente opporsi ad uneventuale punizione, ma la legittimita` di questa resistenza si scontra con il diritto
del sovrano di punirlo e soprattutto con lobbligazione degli altri
sudditi allobbedienza. Il paradigma contrattualista si declina cos`
nellassoluta mancanza di qualsiasi potere legittimo dei sudditi nei
confronti del sovrano.
Oltre a questa forma del potere politico (forma essenzialmente
giuridicizzata e comunque relativa allarticolazione del potere politico legittimo), la nozione di sovranita` indica, tuttavia, anche un
modus operandi, una modalita` prevalente o idealtipicamente
ricostruita del funzionamento del potere politico nella forma
della sovranita`. In altri termini, mentre la sovranita` come forma di
organizzazione del potere politico individua la forma dellindipendenza legittima, il modus operandi si riferisce al modo in cui idealtipicamente tale indipendenza dovrebbe manifestarsi nella condotta
del potere sovrano sia allinterno che allesterno del proprio territorio. Non si tratta qui del modo in cui un determinato potere e`
legittimato a comportarsi, ma del modo in cui effettivamente si
comporta, o si comporta di norma o dovrebbe comportarsi coerentemente con lasserita-riconosciuta indipendenza del proprio ordinamento (16).
Lidea dellassenza di una subordinazione legittima ad un altro
potere politico si e` intrecciata fin dallinizio della storia concettuale
della sovranita` con lindicazione del modo di agire che sarebbe
(16) Per questa distinzione cfr. tra gli altri R.O. KEOHANE, Hobbess Dilemma and
Institutional Change in World Politics: Sovereignty in International Society, in HANSHENRIK HOLM, GEORG SRENSEN (eds.), Whose World Order? Uneven Globalization and
the End of the Cold War, Westview Press, Boulder 1995, in particolare pp. 175-7, ma
anche D. HELD, Democracy, the Nation State, and the Global System, in Economy and
Society, n. 2, XXIX (1991), in particolare pp. 150-1, e R. JACKSON, Introduction:
Sovereignty at the Millennium, in Political Studies, n. 2, XLVII (1999), p. 424.
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proprio o tipico di un potere politico sovrano: lautonomia e luguaglianza nei rapporti con gli altri attori politici sullo scenario internazionale, e la completezza del controllo, la capacita` effettiva di
governo politico verso linterno, nei confronti della totalita` dei
fenomeni sociali che avevano luogo in un determinato territorio. La
titolarita` di un potere assoluto allinterno e indipendente allesterno
si e` cioe` declinata fin dallinizio nella teorizzazione di una condotta
che si presentava come la proiezione fattuale adeguata di una
nozione relativa alla legittimita`.
Lo Stato moderno in senso pieno intreccia la propria indipendenza giuridica con la propria capacita` di stare in modo autonomo
sulla scena internazionale. La capacita` di decidere autonomamente
in ambito internazionale viene vista come il correlato normativo
della indipendenza giuridica. E` Stato in senso forte soltanto quellentita` politica che dalla propria forma di organizzazione politica, fa
discendere un modo di stare in mezzo agli altri stati coerente con la
sua indipendenza giuridica.
Ma oltre che dallautonomia in ambito internazionale, il modo
di agire dello Stato sovrano della prima modernita` e` caratterizzato
anche dalla tendenziale completezza del controllo politico. Per
produrre ordine il comando del sovrano non deve avere smagliature,
non deve conoscere zone dombra o di dubbia efficacia. La sovranita`
delle origini interpreta il proprio ruolo in termini di esercizio di un
controllo pervasivo che raggiunge anche le forme del culto e la
professione di fede appunto secondo la logica cuius regio eius
religio.
Presupposto della pervasivita` di questo controllo e` non soltanto
la capacita` della politica di controllare linsieme dei fenomeni sociali,
ma anche la convinzione della sua autonomia. Le decisioni del
sovrano sono indifferenti a qualsiasi logica che non sia quella
politica, e non possono incontrare in linea di principio in caso di
un perfetto funzionamento del meccanismo statuale nessuna
resistenza efficace ne da parte dei cittadini, ne da parte di altri
soggetti sociali. La volonta` politica del sovrano si trasmette in modo
lineare e diretto allintera societa` informando di se la condotta dei
cittadini.
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menti universalistici che, sia pure in competizione tra loro, bilanciano le forze frammentanti della globalizzazione: il sistema internazionale degli Stati e leconomia transnazionale di mercato (23).
Questi due sostituti funzionali della Chiesa e dellImpero medievali
hanno i loro portatori nella e lite manageriale transnazionale e nei
policy-makers e i burocrati delle organizzazioni internazionali. David
Held insiste, invece, sia pure allinterno di un discorso che non sposa
interamente la tesi neo-medievalista (24), sul ruolo di quattro fattori:
la globalizzazione economica, il ruolo delle organizzazioni internazionali e delle organizzazioni non governative, lo sviluppo del diritto
internazionale, la politica di sicurezza sempre piu` legata allappartenenza a blocchi.
Il limite fondamentale di questo tipo di argomenti consiste nel
non tenere ferma la distinzione fra la dimensione de jure e quella de
facto della sovranita`, o fra indipendenza e autonomia. Generalmente
riferita alla politica mondiale, la metafora del New Medievalism puo`
essere legittimata soltanto da processi che mettono sicuramente in
discussione lautonomia degli Stati nazionali, ma che sono insufficienti di per se a giustificare il superamento di una nozione che ha
il suo cuore nellindipendenza giuridicamente sancita dellinsieme
del potere politico su di un dato territorio. Proprio su questa base
Keohane ha proposto di parlare non di un superamento della
sovranita`, ma di una ridefinizione del suo ruolo nellambiente internazionale, insistendo sulla sua funzione di risorsa per la contrattazione: What sovereignty does confer on states under conditions of
complex interdependence is legal authority that can either be exercised to the detriment of other states interests or be bargained away
in return for influence over others policies and therefore greater
gains from exchange. Rather than connoting the exercise of supremacy within a given territory, sovereignty provides the state with a
legal grip on an aspect of a transnational process, whether involving
multinational investment, the worlds ecology, or the movement of
migrants, drugs dealers, and terrorists. Sovereignty is less a territo(23) Cfr. J. FRIEDRICHS, The Meaning of New Medievalism, cit., pp. 479-81 e
486-93.
(24) Cfr. D. HELD, Democracy, the Nation State, and the Global System, cit., in
particolare pp. 150-7.
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successo della metafore imperiali e` la sottolineatura della questione del centro: il ricorso allimpero come metafora per le relazioni
internazionali trova le sue migliori ragioni in una analisi che insiste sul
carattere comunque gerarchico dei rapporti tra gli attori politici a
carattere territoriale. Il mondo post-vestfaliano e post-Guerra fredda
sarebbe un mondo organizzato intorno a centri o ad un centro a
seconda delle versioni , e quindi piu` o meno fortemente gerarchizzato. In questa prospettiva il limite della metafora neo-medievale sarebbe proprio la sua assenza di un centro, limpossibilita` di restituire
concettualmente lesistenza di una gerarchia.
La fine della Guerra fredda con la sopravvivenza di ununica
superpotenza e la virata unipolarista dellamministrazione Bush
specialmente dopo l11 settembre hanno poi fornito buoni argomenti a sostegno della tesi dellimpero (americano) come categoria
capace di restituire lattuale organizzazione del sistema politico
internazionale (26). Anche se in questa accezione limpero di riferimento non e` piu` quello cristiano-medievale ma quello romano, la
tesi almeno in parte normativa dellimpero americano come
forma del sistema internazionale insiste sia sul carattere post-sovrano
degli assetti politici contemporanei, sia sulla capacita` degli Stati
Uniti di interpretare anche le funzioni integrative tipiche delluniversalismo del Papato medievale: [...] lAmerica incarna e produce
tanto i valori del potere imperiale, quanto quelli dellautorita` papale:
e se il potere e` rimasto nellassenza sempre uguale a se stesso (sia pur
costituzionalizzato nelle modalita` desercizio), lautorita` sembra invece essersi traslata dallarea della fede religiosa a quella della fede
nelleconomia di mercato. [...] I valori del liberalismo politico,
dellistituzionalismo democratico e di un liberismo economico piu` o
meno temperato sembrano potersi ben dire i valori comuni allinterno dellegemonia americana (27). Il ricorso esplicito alla distinzione proposta da M.W. Doyle fra impero formale e impero informale (28) rende comunque evidente che lefficacia descrittiva della
metafora imperiale e` condizionata alla plausibilita` di una messa tra
(26)
politica,
(27)
(28)
V.E. PARSI, LImpero come fato? Gli Stati uniti e lordine globale, in Filosofia
n. 1, XVI (2002), pp. 83-113.
Ivi, p. 86.
Cfr. M.W. DOYLE, Empires, Cornell University Press, Ithaca 1986, p. 135.
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parentesi della distinzione fra egemonia e dominio, fra subalternita`soggezione e obbligazione. Soltanto se la distinzione fra la dipendenza giuridico-legale e la dipendenza politica di fatto perde la sua
rilevanza la tesi dellimpero come metafora della politica mondiale
acquista plausibilita`.
6.
UnEuropa neo-medievale?
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fatto che la capacita` coercitiva rimanga concentrata in forma monopolistica presso gli Stati anche per quei poteri che sono stati trasferiti
ad un piano sovranazionale. Assistiamo, cioe`, al permanere del
carattere monopolistico della capacita` di ricorrere alla violenza
legittima a fronte del disseminarsi dei titolari delle decisioni che da
essa sono, in ultima istanza, garantite. LUe presenta uno scenario
segnato dal divorzio fra detenzione del monopolio della forza fisica
legittima e capacita` di decisione politica: in sostanza dal delinearsi di
poteri incapaci di coercizione e di coercizione senza potere.
Il disperdersi dei poteri sovrani fra attori diversi tra loro non
gerarchizzati e che non insistono sul medesimo territorio (non
possiedono le stesse dimensioni territoriali), il formarsi di poteri
sovranazionali a cui si riconosce autorita` legittima, ma senza disponibilita` di forza fisica legittima, il progressivo erodersi del confine
interno-esterno con regioni che promuovono una loro autonoma
politica estera almeno in alcune materie e non soltanto allinterno
dellUe, la supremazia del diritto comunitario su quello nazionale:
tutto questo configura un corpo politico irriducibile alla categoria di
sovranita` (34).
LUnione non e` un super-Stato, ma non e` nemmeno unorganizzazione internazionale o unarea di libero scambio. La sovranita`
che si perde sul piano nazionale non passa ad alcun nuovo soggetto:
sembra evaporare in una pluralita` di entita` politiche, talora a geometria variabile, nessuna delle quali puo` piu` dirsi sovrana (35). Nei
vari ambiti della vita comunitaria la sovranita` nazionale e` stata
progressivamente erosa, ma non ce` stato un trasferimento delle
sovranita` statali ad un livello superiore, come nel caso degli Stati
federali tradizionali. Al venir meno della sovranita` degli Statinazione non fa riscontro un suo trasferirsi omogeneo e invariato su
scala amplificata, bens` un suo decostruirsi, un suo scomporsi spazialmente e funzionalmente fra entita` politiche che non insistono
nemmeno sullo stesso territorio. Lesito di questo processo non e` la
(34) The European Community is not by any means a sovereign State, although
it is an unprecedented hybrid, for which the traditional conception of sovereignty is no
longer applicable (ROBERT O. KEOHANE, Hobbess Dilemma and Institutional Change in
World Politics: Sovereignty in International Society, cit., p. 175).
(35) G. AMATO, AllEuropa non serve un sovrano, intervista a cura di Barbara
Spinelli su La Stampa, 13 luglio 2000.
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fine dei territori o la fine dei confini e della proiezione spaziale del
corpo politico, ma la fine della spazialita` sovrana, della sua natura
gerarchizzata, esclusiva, coerente (36).
E` proprio in riferimento a questa natura ibrida dellEuropa
politica che la metafora neo-medievalista ha rivelato una indubbia
efficacia descrittiva, finendo per costituire una delle categorie ricorrenti nella letteratura sullintegrazione europea (37). Il paradigma del
nuovo medioevo coglie la natura ambigua della polity europea e
consente di esprimere la natura non piu` sovrana dellEuropa politica, scommettendo nel contempo che tale aspetto non sia una
condizione temporanea destinata ad essere superata nel riproporsi di
forme tradizionali di statualita` sovrana (una federazione europea).
LEuropa politica costituisce lunico esempio reale di un fuori della
modernita` politica (38), di una organizzazione del potere politico che
ri-propone il divorzio fra politica e sovranita`, che presenta una
forma non sovrana di organizzazione del potere politico che metaforicamente e` plausibile evocare con il termine New Medievalism.
Nonostante un consenso generalizzato sulla natura definitivamente post-sovrana della polity europea (39), la metafora neo-medievale continua, tuttavia, a suscitare opposizioni e diffidenze. Queste
(36) Sulle trasformazioni del rapporto politica-spazio nellepoca della globalizzazione cfr. D. DANDREA, Globalizzazione o metamorfosi dello spazio. I territori oltre la
modernita`?, in E. BATINI, R. RAGIONIERI, (a cura di), Culture e conflitti nella globalizzazione, Olschki, Firenze 2002.
(37) Fra i molti cfr. in particolare J. ZIELONKA, Enlargement and the Finality of
European Integration, Harvard Jean Monnet Working Paper, Harvard Law School,
Cambridge (Mass.) 2000, in particolare pp. 4-7; O. WAEVER, Imperial Metaphores:
Emerging European Analogies to Pre-Nation-State Imperial Systems, in O. TUNANDER, P.
BAEV, V.I. EINAGEL (eds.), Geopolitics in Post-Wall Europe, Sage, London 1997, S.J.
KOBRIN, Neomedievalism and the Postmodern Digital World Economy, cit., pp. 155 e
172-3.
(38) Sul carattere post-moderno dellentita` politica europea, cfr., tra gli altri, M.
TELOv , Lo stato e la democrazia internazionale, cit., p. 550 e J.G. RUGGIE, Territoriality and
beyond, cit., p. 139, e S. LUCARELLI, La polis europea. Unintroduzione, cit., in particolare
pp. 37-8.
(39) Sul carattere post-sovrano dellUnione europea cfr., tra gli altri, C. GALLI
CARLO, Spazi politici. Leta` moderna e leta` globale, il Mulino, Bologna 2001, in particolare
p. 139, G. MARRAMAO, LEuropa dopo il Leviatano. Unita` e pluralita` nel processo di
costituzionalizzazione, in Teoria politica, n. 2, 2001, in particolare p. 45, B. BADIE, La
fine dei territori, cit., pp. 198 e sgg., e A. BOLAFFI, Il crepuscolo della sovranita`. Filosofia
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GIUSEPPE DUSO
Per pensare i processi in atto che determinano la realta` dellUnione europea, appare necessario uno sforzo di riflessione critica
sui concetti mediante i quali siamo abituati a pensare la politica.
Nellattuale dibattito sono certo presenti concezioni della politica
diverse e a volte anche in conflitto tra loro, ma tuttavia si collocano
tutte allinterno di un orizzonte comune, determinato dalla tendenza
a pensare come indispensabili i concetti che si sono sviluppati
nellalveo della dottrina dello Stato, e che hanno avuto la loro genesi
nel laboratorio teorico costituito dal giusnaturalismo, nel quale di
Stato, in senso concettualmente preciso, non e` in buona parte,
ancora possibile parlare (1). Intendo riferirmi non solo a concetti
politici centrali quali sovranita`, costituzione, popolo, rappresentanza, ma anche a quelli non politici senza i quali questi
concetti specificatamente politici non sarebbero mai nati: individuo,
diritti individuali, uguaglianza, liberta`.
Nel dibattito relativo alla costituzione europea, noti costituzionalisti hanno individuato una difficolta` nel pensare la costituzione
europea a causa del legame che lidea di costituzione ha avuto nella
storia, non solo con la formazione degli stati nazionali, ma anche e
soprattutto con quel modo di pensare la politica che nasce con le
(1) Cfr. a questo proposito la voce Staat und Souvera nita t dei Geschichtliche
Grundbegriffe, Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, Bd. 6,
Klett-Cotta, Stuttgart 1990, sp. la parte scritta da R. Koselleck, Staat im Zeitalter
revolutiona rer Bewegung, pp. 25-64.
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una forma diversa del concetto di sovranita`: insomma non ce` una
storia del concetto di sovranita` che comprenda quella maiestas e
quella diversa sovranita` che nasce con il giusnaturalismo e sara`
determinante per lo Stato moderno. Non si tratta di modalita` diverse
dello stesso concetto, ma di un modo diverso di pensare la politica
e luomo. Sovranita` e potere politico sono cos` sedimentati nel
nostro pensiero che solo emancipandoci da essi possiamo comprendere una diversa concezione della politica, che il concetto di potere
ha cercato di azzerare e che si esprime con il termine di maiestas nel
contesto precedente il moderno giusnaturalismo (7). Per un lavoro
storico concettuale, che non puo` che essere, nello stesso tempo,
anche esercizio teoretico del pensiero, e` indispensabile sottoporre a
riflessione critica i concetti che sono sedimentati nei termini che
usiamo.
Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 25 (1996), pp.
65-126, sp. pp. 87-95.
(7) Anche a questo proposito si puo` verificare che il concetto non si identifica con
la parola. Quando il termine di maesta` viene usato nel quadro della concettualita`
moderna questo il caso dei trattati giusnaturalistici di fine Settecento in terra tedesca
, essa viene in realta` a perdere il rapporto con il pensiero della tradizione che tale
termine usava e veicola invece il concetto moderno di sovranita`; si vedano alcuni tra i
molti esempi possibili. G. HUFELAND, Lehrsa tze des Naturrechts und der damit verbundenen Wissenschaften, Jena 1795, 460: il potere dello Stato risultante dalla somma di
tutte le forze e` indicato come ho chste Gewalt, die Majesta t (potestas civilis, sive summa,
imperium civile), e poi: Ho chste Gewalt heisst sie, weil sie keiner andern untergeordnet seyn kann, indem es sonst mo glich bliebe, den Bestimmungen des allgemeinen
Willens auszuweichen. Man nennt sie darum auch die Souvera nita t. Molto significative,
per mostrare come la parola maesta` indichi lintreccio di sovranita` e rappresentanza,
sono le espressioni di T.A.H SCHMALZ, Das natu rliche Saatsrecht, Koenigsberg 1794, 80:
Das dem Souverain anvertraute Recht, die Mittel zum Zweck des Staats zu waehlen,
heisst die hoechste Gewalt, oder Majesta t; 81: Die U bertragung der Majesta t kann
urspru nglich nur durch Einstimmigkeit aller Staatsbu rger geschehen; 82: Der
Souverain ist ga nzlich unabha ngig. Denn da ihm die Majesta t einstimmig u bertragen ist:
so ist sein Wille wirklich der Wille des Volks, und folglich so unabha ngig als dies selbst.
In A. L. SCHLOEZER, Allgemeines StatsRecht und StatsVerfassungsLehre, Goettingen 1793,
Abschnitt I, 2-3, pp. 95-97, viene in chiaro come la parola Majesta t veicoli un concetto
nuovo: lo Herrscher (Princeps, besser Imperans) e` il depositario della volonta` generale; la
Maesta` comporta indipendenza e irresponsabilita`: essa appartiene al popolo, ma questi,
inteso come la folla dei singoli, non puo` esercitarla e dunque deve essere trasferita a
qualcuno che la esercita e che mantiene cos` il diritto in ultima istanza. La conclusione:
in tal modo nasce eine neue Art von Majesta t.
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noi piu` vicino in cui gli elementi propri della sovranita` non appaiono
piu` espressivi della realta` costituzionale (22). Al fine di intendere la
realta` contemporanea si puo` riconoscere linsignificanza in cui sono
caduti elementi caratterizzanti la forma politica moderna, quali
quelli del popolo sovrano, della rappresentanza come forma di
legittimazione, della indipendenza del corpo rappresentativo nel
decidere la legge, della superiorita` della volonta` generale nei confronti degli interessi privati di gruppi e organizzazioni: tutto cio`
appare destituito di forza ermeneutica e anche di capacita` legittimante in relazione allobbligazione politica e ai processi di quella
che e` stata chiamata la costituzione materiale.
Non e` difficile ravvisare nello Stato costituzionale contemporaneo anziche atti di decisione sovrana, piuttosto il tentativo di
coordinamento e di arbitrato in relazione ad una pluralita` di forze
socialmente esistenti. Potrebbe sembrare prevalente lelemento associativo che caratterizza i gruppi che esercitano funzioni nella
societa` e pressioni sul corpo politico. Nei confronti della pluralita`
dei gruppi e` la giurisdizione ad esercitare una funzione di regolazione, quasi come accadeva in quella prima eta` moderna in cui la
sovranita` non era nata e non determinava quindi il quadro della
politica. La stessa costituzione prende un ruolo sempre piu` attivo
nella costruzione di limiti rigidi allinterno dei quali legislativo e
governo si muovono, limiti che escludono la strapotenza che il
concetto di sovranita` comporta. La stessa pretesa della maggioranza
di imporre la sua volonta` come volonta` unitaria della nazione viene
in tal modo ridimensionata e limitata.
E` significativo che sempre piu` si senta il bisogno di garanzie
costituzionali, esercitate da organi, come le corti costituzionali, che
non sono elettivi e sembrano adatti a regolare possibili eccessi degli
organi elettivi (23). Da questo punto di vista si potrebbe pensare che
(22) Tengo qui presente la proposta interessante degli ultimi lavori di Maurizio
Fioravanti, che culminano in un tentativo di porre in modo nuovo il problema di una
costituzione per lEuropa (cfr. M. FIORAVANTI, Stato e costituzione, in Lo stato moderno
in Europa, a cura di M. FIORAVANTI, Laterza, Bari-Roma 2002, pp. 3-36, e dello stesso,
La scienza del diritto pubblico, Giuffre`, Milano 2001, tomo II, pp. 835-906, sp. 835-853).
(23) Ha opportunamente richiamato lattenzione su questo tema P. PASQUINO, Gli
organi non-elettivi nelle democrazie, in LEuropa e il futuro della politica cit., p. 149-163;
e` la stessa nozione di democrazia che tende a cambiare in relazione a quelli che sono stati
125
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(2002)
destituito di ogni valore (26). E` proprio nella direzione della cancellazione di questo pensiero della politica che nasce quella costruzione
teorica che, a partire dai diritti degli individui, dalla loro uguaglianza
e liberta`, fonda la sovranita` moderna, cioe` il potere che realizza i
diritti. Con Althusius ci troviamo fuori della dimensione della
sovranita` e dunque fuori della dimensione del potere e di un modo
formale di intendere il rapporto tra comando e ubbidienza. Nei
diritti di maesta` abbiamo tuttaltro che lidea di una volonta` sovrana
che decide, sia essa quella del sommo magistrato, sia essa quella del
popolo. E cio` perche ci troviamo in un quadro complesso, in cui
tutto cio` che e` rilevante non dipende dalla volonta` di qualcuno, sia
costui colui che governa oppure chi e` governato. Non ce` qui
quellassolutizzazione della volonta` che e` nata con il nichilismo
moderno e con loperazione di cancellazione del pensiero del passato e dellesperienza che e` presente nella descrizione contrattualistica dello stato di natura.
Se questo e` vero, allora si puo` affermare che, non solo non e`
presente la dimensione di comando propria del potere, che viene
dallalto, ma nemmeno quella della sua formazione dal basso: ambedue queste direzioni (non a caso formali, geometriche, prive di
valenza qualitativa, estranee alla determinatezza dei contenuti) sono
pensabili solo in un contesto di assolutizzazione della volonta` e di
determinazione formale dei rapporti e del significato della legge, che
e` estraneo al pensiero di Althusius. Percio` lelemento consociativo
della politica althusiana non indica una dimensione opposta a quella
verticale del potere, ma e` unaltra cosa, come si puo` evincere dalla
convinzione, esplicitamente espressa, che, come tra gli uomini e`
naturale e primario il rapporto con laltro e dunque la dimensione
della koinonia e della comunione, altrettanto e` naturale e razionale
che ci sia un rapporto di governo, secondo il quale chi ha piu` forza
e saggezza governa gli altri: cio` e` bene per chi governa e per chi e`
governato. Senza governo non e` pensabile il fenomeno associativo.
Listanza di governo comporta un necessario elemento di unita`
proprio in quanto ci si muove in un quadro che contempla la
(26) Cfr. G. DUSO, La maiestas populi chez Althusius et la souverainete moderne, in
Penser la souverainete a` le poque moderne et contemporaine, a cura di G.-M. CAZZANIGA
e Y.-C. ZARKA, ETS e Vrin, Pisa e Paris 2001, pp. 85-106.
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GIUSEPPE DUSO
pluralita` dei soggetti politici (che non sono gli individui). Il rapporto
ad unum e` dunque corrispettivo al riconoscimento della pluralita` dei
soggetti che caratterizza il popolo: e` proprio questa pluralita` e la
diversita` che connota le parti della societa` a richiedere una funzione
di guida e di coordinamento. Tale rapporto ad unum e` tuttaltro
dallunita` politica che connota la sovranita`, se e` vero che ad essa e`
connaturato laspetto formale sopra indicato, secondo cui il popolo
coincide con il sovrano e si manifesta attraverso la sua funzione
rappresentativa.
Ambedue le dimensioni della societa`, quella consociativa e
quella del governo, intrinsecamente legate tra loro, sono negate dal
nuovo concetto di potere con la sua assolutizzazione della volonta`.
Tra il principio di governo, che, come dice Brunner, ha organizzato
per una millenaria tradizione le discipline pratiche, etica, economica
e politica, e il concetto moderno di potere vi e` una differenza
radicale (27). Il secondo nasce solo come negazione del primo e in
connubio necessario con il nuovo concetto di liberta`. Intendere
limperium di Althusius come una forma di potere comporta dunque
intenderlo mediante quel concetto che e` nato con Hobbes proprio al
fine di negare una relazione di governo tra gli uomini. In questo
modo non solo si fraintendono le fonti del passato, ma essendo figli
della svolta epistemologica weberiana, si tende ad ipostatizzare il
potere e ad intenderlo come realta` oggettiva. Da qui puo` derivare o
una lettura di Althusius ridotta ad un modello di costruzione del
potere dal basso, oppure, se non si cancellano le dimensioni religiosa, etica, giuridica della Politica, una lettura che demanda al
regno dellideologia le giustificazioni della razionalita` dellimperium
che appunto non si riducono alla espressione di volonta` degli
individui.
Di dimensione orizzontale e dimensione verticale noi possiamo
propriamente parlare solo allinterno di quella neutralizzazione di
elementi qualitativi che si attua nellambito della moderna teoria
della sovranita`: in questa il potere non puo` essere esercitato che
dallalto, dal momento che appartiene allunica persona civile e non
ai singoli, e richiede ubbidienza assoluta e negazione di ogni resistenza, proprio per garantire luguaglianza e impedire i soprusi del
(27)
Rimando ancora al mio Fine del governo e nascita del potere cit.
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(2002)
piu` forte sul piu` debole; tuttavia cio` e` possibile solo in quanto la sua
fondazione proviene dal basso, cioe` da coloro stessi che sono
soggetti al comando, come si e` visto. I rapporti tra i singoli possono
quindi essere considerati su di un piano orizzontale, determinato da
una uguaglianza che elimina ogni possibile gerarchia, ma tali rapporti sono privi di qualsiasi significato politico, sono appunto rapporti privati, la cui orizzontalita` e` resa possibile solo grazie al potere
della persona sovrana. In Althusius invece la dimensione plurale
della societa`, costituita da differenti raggruppamenti tra gli uomini,
nei quali si danno gerarchia e status diversi, richiede necessariamente una forma di governo, mediante la quale non si instaura un
rapporto formale di comando e ubbidienza, ma piuttosto si pone in
atto un esercizio di guida e coordinamento (appunto di governo),
che implica bens` una serie continua di comandi, ma comandi che
prendono il loro senso in relazione a realta` e contenuti concreti e che
si danno allinterno di un quadro di elementi considerati oggettivi e
indipendenti dalla volonta`, che costituiscono punti di riferimento
per i governanti e anche per i governati, per il giudizio di questi
ultimi sul comando e per la negoziazione della loro ubbidienza.
In questo quadro, il diritto di resistenza non si basa su un
presunto potere sovrano del popolo, ma, al contrario, proprio sulla
mancanza del concetto di una volonta` sovrana. Il diritto di resistenza
implica la pluralita` dei soggetti (pluralita` che e` possibile in quanto i
soggetti sono gruppi e consociazioni e non singoli individui), il
dualismo tipico della societa` cetuale, tra listanza del principe e
quella dei ceti, e inoltre la rilevanza di un quadro reale, nel quale e`
possibile orientarsi, di cui fanno parte il buon diritto antico, lambito
della giurisdizione, i testi sacri, la religione, la conformazione del
regno e lesistenza delle sue parti, cioe` dei membri del regno.
Listanza del governo, presente in tutti i livelli consociativi della
Politica, perfino in quello familiare (28), non esprime il corpo collettivo, il quale si manifesta piuttosto attraverso gli organi collegiali,
che affiancano e si contrappongono (non necessariamente nel senso
(28) E` da ricordare che non e` possibile qui la distinzione tipica della politica
moderna e caratterizzante le costituzioni, tra societa` e Stato: anche la famiglia, che pur
e` consociazione privata non di meno e` trattata nella Politica: politico non si identifica con
pubblico.
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(2002)
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lizzazione della questione della verita` e della giustizia che caratterizza il processo di nascita della sovranita` moderna (32). Dunque
questo tentativo di attualizzazione immediata del pensiero di Althusius non solo porta al suo fraintendimento, ma riduce la rilevanza
che esso ha, proprio in quanto irriducibile allorizzonte del potere, in
relazione al compito nuovo che oggi ci troviamo di fronte.
6. La difficile comprensione del presente e il processo di decostituzionalizzazione.
Questo compito nasce dalla necessita` di pensare il pluralismo in
un tempo, nel quale il pensiero e la storia della soggettivita` si sono
intrecciati con fenomeni politici ed economici, con lo sviluppo della
statualita` moderna, con laffermarsi della produzione capitalistica,
un tempo dunque che non e` caratterizzato da una societa` cetuale, in
cui non e` ununica religione o il patrimonio di comuni testi sacri a
determinare un piano comune di condivisione, ne e` presente, nel
senso sopra indicato, la figura dellimpero e nel quale si e` avuta
lesperienza secolare dello Stato come fonte del diritto. Per uscire
dal presupposto della sovranita` e dalla morsa dellunita` politica
bisogna superare la funzione che ha ancora nelle stesse procedure
costituzionali (vedi elezioni) la dimensione fondante dellindividuo,
la logica dei diritti e il nichilismo che caratterizza il concetto
moderno di liberta`, in cui laffermazione dellindipendenza della
volonta` si accompagna con la destituzione di significato della realta`
(intesa nel senso piu` ampio e complesso). Ugualmente appare
necessario riuscire a ritrovare un orizzonte di condivisione (questo
(32) La denuncia dei problemi intrinseci al nichilismo moderno non va nella
direzione del richiamo di un quadro di verita`, che organizzi in modo gerarchico la
societa`, ma piuttosto di un pensiero sulla realta` che si muova allinterno della domanda
di cio` che e` giusto, della domanda e non della pretesa verita` delle risposte a questa
domanda. Del resto la questione della giustizia si mostra allorigine della stessa costruzione della scienza politica moderna, anche se viene tacitata da quella risposta formale
che ha come suoi poli appunto la sovranita` e il suo fondamento, costituito dal concetto
di liberta`, che diviene centrale nel pensiero della politica. Su questa centralita` che il
nuovo concetto di liberta` viene ad assumere, in luogo dellantica domanda sulla giustizia,
si veda H. HOFMANN, Introduzione alla filosofia del diritto e della politica, Laterza,
Bari-Roma 2003.
135
GIUSEPPE DUSO
136
(2002)
sta avvenendo in relazione allUnione europea comporti una trasformazione delle costituzioni statali e non sia riducibile ad un semplice
accordo temporaneo di soggetti che rimangono sovrani, e che
tuttavia tale superamento della contingenza e temporaneita` dellaccordo non comporti la nascita di una nuova sovranita`. Il compito e`
allora quello di pensare tali processi e i soggetti che a questi processi
danno luogo e che in essi si trovano con mezzi diversi da quelli della
concettualita` segnata dalla sovranita`. Non solo dunque al di la` del
concetto di sovranita`, ma al di la` dei concetti che lo hanno prodotto
e dei principi e delle procedure che nella costituzione sono ancora
contraddistinti dalla logica della sovranita`.
Se e` vero che si e` dato un processo di costituzionalizzazione, nel
quale la costituzione da una parte ha influenzato con i suoi valori e
le sue regole i vari ambiti del diritto (33), e dallaltra ha limitato e
guidato lespressione di una volonta` sovrana del soggetto collettivo,
nella sua dimensione maggioritaria, si puo` tuttavia anche dire che si
e` manifestato anche un processo diverso e in parte opposto, che
possiamo a buon diritto chiamare di de-costituzionalizzazione (34),
nel quale sempre meno gli organi dello Stato mostrano di godere di
indipendenza (che sembrava allorigine necessaria ai fini della legittimazione dellobbligazione politica) nelle decisioni loro spettanti, e
questo da una parte in seguito a fenomeni che hanno una portata
mondiale, di tipo economico e politico, o di realta` quale quella
appunto che sfocia nellUnione europea, ma dallaltra a causa della
complessita` e vischiosita` dei processi in cui elementi economici,
istituzionali, politici, di gruppi e organizzazioni private si intrecciano
in modo tale da rendere la descrizione costituzionale dei soggetti e
(33) Cfr. H. HOFMANN, Vom Wesen der Verfassung, Humboldt-Universita t, Berlin
2002, p. 14.
(34) Anche Hasso Hofmann parla, di fronte ad un processo di costituzionalizzazione, di un processo di Entkonstitutionalisierung, che ha significato per le relazioni
interne e esterne dello Stato e che mostra in modo palese lesaurirsi del significato che
la costituzione ha avuto nel suo legame con lo stato nazionale e con i principi nati con
il giusnaturalismo. Sulla nostra come epoca di decostituzionalizzazione si veda anche G.
ZAGREBELSKY, I paradossi della riforma costituzionale, in Il futuro della costituzione cit., pp.
293-314, il quale critica i tentativi astratti di grande riforma, in favore di un atteggiamento che tenti costantemente con interventi particolari apparentemente limitati, di
unificare processi materiali e forma costituzionale.
137
GIUSEPPE DUSO
degli organi di decisione del tutto inefficace in relazione alla comprensione di cio` che sta effettivamente avvenendo e degli elementi
che sono rilevanti per le decisioni. E` lo stesso aspetto formale che
denota, ai diversi livelli, il soggetto della decisione nella costituzione
ad essere incapace di descrivere, comprendere e normare questi
processi. Si puo` dire che la costituzione manca anche del linguaggio
per nominare tali processi, in cui gli stessi momenti istituzionali
vengono a svolgere funzioni che non hanno rapporto con quanto
indicato e prescritto dalla costituzione.
Anche Dieter Grimm, che da una parte si interroga sulla
necessita` di una costituzione per lEuropa, dallaltra esprime la
consapevolezza della drastica diminuzione che ha subito quella
capacita` normativa che ha caratterizzato, a partire dalla Rivoluzione
francese, le costituzioni moderne (35). Se si pensa che il concetto di
sovranita`, nato nella teoria del nel lontano Seicento, ha preso una
sua dimensione storica con la Rivoluzione francese proprio mediante
la questione della costituzione e della nazione come suo soggetto
legittimo, allora puo` sembrare che assieme alla sovranita` e allo stato
nazionale sia anche la costituzione a tramontare, almeno nel significato che ha storicamente avuto. Il quadro che ci troviamo di fronte
mi pare, piu` che quello di un nuovo modello che ha preso congedo
dalla sovranita` moderna, piuttosto quello nel quale un complesso
concettuale, nato attorno alla sovranita` e calatosi nelle costituzioni
per normare la vita pubblica, emblematicamente rivela la sua difficolta` a costituire un armamentario valido per comprendere oggi la
realta` e orientare lagire individuale e collettivo.
A sostegno di tale affermazione sta la constatazione della persistenza di elementi centrali della logica della sovranita` nelle costituzioni contemporanee e nelle loro procedure. Penso non solo alla
funzione costituente del concetto di popolo e alla sua natura di unita`
dei cittadini uguali e indifferenziati, ma anche alla valenza dellespressione della volonta` individuale per la costituzione della
(35) Cfr. D. GRIMM, Die Zukunft der Verfassung, Suhrkamp, Frankfurt am M.
1991, sp. pp. 241 ss. Sulla posizione di Grimm, come pure su quella espressa da E. W.
BO} CKENFO} RDE, in Staat, Verfassung, Demokratie. Studien zur Verfassungstheorie und
Verfassungsrecht, Suhrkamp, Frankfurt am M. 1991, si vedano le interessanti osservazioni
di M. FIORAVANTI, Quale futuro per la costituzione, in La scienza del diritto pubblico cit.,
835-853.
138
(2002)
volonta` maggioritaria del corpo politico e alle procedure di formazione della rappresentanza, che implicano la concezione del singolo
al la` di ogni concreta differenza e si risolvono in una forma di
autorizzazione, con i dualismi e la mancanza di partecipazione che
caratterizzano la sovranita`. Penso inoltre alla difficolta` costituzionale
di pensare la pluralita` dei soggetti: una posizione abnorme hanno i
partiti che con la loro organizzazione non solo incanalano o contribuiscono a formare lopinione pubblica e prefigurano soluzioni
prefissate per le scelte dei rappresentanti, ma anche mediante laggregazione del loro personale, riescono a rendere vani alcuni degli
elementi tipici della costituzione, quale la divisione dei poteri (36).
Una difficolta` ancora maggiore ha la costituzione a pensare i gruppi
di interesse. Questi sempre piu` mostrano la capacita` di influenzare
le decisioni politiche e diventano parti nella negoziazione delle scelte
pubbliche, e tuttavia sono ancora considerati come parte sociale
piuttosto che attori politici con la responsabilita` che ne conseguirebbe. In altri termini la costituzione appare fondata sulla distinzione teorica che sempre meno ha un significato reale tra
societa` civile e stato e non e` indirizzata ad una situazione plurale che
e` pensabile solo in quanto risulti superata questa dicotomia (37).
Tutto cio` non ha per altro un carattere negativo, di fronte a cui
rassegnarsi, ne il dilemma a cui ci troviamo di fronte mi sembra
essere quello di una nuova capacita` prescrittiva della costituzione o
di un abbandono ai flussi incontrollabili della realta`. Piuttosto il
problema che a noi si propone sembra essere quello di pensare la
realta` superando gli strumenti che appaiono inservibili, ma dai quali
si fa fatica a congedarsi: pensare la realta` significa non certo fotografarla, o riprodurla nella teoria, ma piuttosto trovare i punti di
orientamento per non essere passivi allinterno dei processi e per
riuscire a guidarli alla luce della questione originaria della giustizia.
Pensare lEuropa ci aiuta ad essere sempre piu` consapevoli della
(36) Cfr. D. GRIMM, Die Zukunft der Verfassung, pp. 431 ss. (tr. it. 157 ss.): i partiti
sono peraltro un fenomeno prodotto dalla costituzione e legato allottica dellunita`
politica e alla conquista del potere piuttosto che una forma di pluralismo politico.
(37) Cfr. anche quanto dice Grimm: Insofern setzt die moderne Verfassung
die Differenz von Staat und Gesellschaft voraus. Ungekehrt ist sie auf Akteure, Institutionen und Verfahren, die sich auf diese Grenzlinien nicht festlegen lassen, nicht
eingerichtet (Ibid).
139
GIUSEPPE DUSO
crisi della concettualita` che ha nei diritti degli individui e nel potere
del soggetto collettivo i suoi due poli. Pensare una costituzione per
lEuropa, e` possibile a patto di cambiare il significato che la costituzione ha avuto nellepoca moderna e di ripensare criticamente i
suoi principi, che si e` soliti dare per scontati. Bisogna investire di
una domanda radicale gli elementi di base del pensiero politico
moderno: dunque il concetto di individuo e il suo ruolo, il concetto
di liberta` che la riduce esclusivamente allautonomia e allindipendenza, la funzione dei diritti individuali e il concetto in cui questi
elementi si concentrano: quello di rappresentanza politica (38).
Ma pensare in modo nuovo lEuropa non e` possibile se non
pensando in modo nuovo la realta` che e` stata rappresentata dalla
forma-stato, e cio` fino in fondo, non solo perche lUnione Europea
e` una realta` irriducibile alla statualita`, ma anche perche il pensiero
che essa sollecita per la sua comprensione comporta il superamento
della concettualita` classica dello Stato pure per quelle realta` statali
che ad essa danno luogo. In rapporto allEuropa la pluralita` dei
soggetti puo` forse essere pensata in una accezione diversa da quella
della pluralita` degli Stati, che sono pensati e organizzati sulla base
della sovranita` e dei suoi concetti. Bisogna riuscire a pensare pluralita` e partecipazione politica allinterno di quella realta` che e` stata
delimitata e organizzata dalle costituzioni attraverso i poli costituiti
dal soggetto individuale e da quello collettivo. Non e` tanto da
trovare la mediazione tra lindividuo e lunita` dello Stato, quanto da
riconoscere il loro essere astrazioni, riuscendo a dare dimensione
politica a quelle concrete e plurali forme in cui i cittadini si trovano
concretamente a vivere ed ad operare. Tutto cio` significa avere
anche la capacita` di ripensare criticamente il modo in cui si e`
determinata la democrazia come forma costituzionale che ha preso
lavvio dai concetti sopra indicati di popolo e di sovranita`, e ha
trovato nella moderna rappresentanza politica il suo strumento.
(38) Una nuova capacita` del pensiero e` sollecitata da H. HOFMANN, Das Wesen der
Verfassung, cit., sp. p. 23, e anche da M. FIORAVANTI, La scienza del diritto pubblico cit.,
sp. p. 851.
SABINO CASSESE
1.
Introduzione.
LUnione europea e` un condominio, un consorzio, una costellazione di istituzioni, una fusione di funzioni di governo, una
struttura di reti di governance (1). Questa varieta` di qualificazioni
e` il sintomo di una difficolta`, quella di stabilire che tipo di potere
pubblico sia lUnione europea.
Non e` la prima volta, tuttavia, che le scienze sociali incontrano
tale difficolta`. Anche di molti ordinamenti del passato, lontano e
vicino, si afferma che sono un cosmo o intrico di strutture (tali gli
ordinamenti medievali (2)), un loose bundle of widely differing,
heterogeneous and independent territories (cos` lImpero asburgi(*) Ringrazio i professori Stefano Battini, Giacinto della Cananea, Antonio Padoa
Schioppa e il dottor Matteo Gnes, che hanno letto una prima versione di questo scritto
e mi hanno fatto avere i loro commenti.
(1) F. SCHARPF, Verso una teoria della multi-level governance in Europa, in Rivista
italiana di politiche pubbliche, 2002, n. 1, pp. 13 e 15.
(2) G. TABACCO, Sperimentazioni del potere nellalto Medioevo, Einaudi, Torino,
1993, pp. 41 e 8.
142
(2002)
143
SABINO CASSESE
citta` della Grecia antica o dellItalia nel basso Medioevo, gli Stati
nazionali unitari, come la Francia, e gli Stati federali, come gli Stati
Uniti dAmerica.
Dunque, lavvio di unanalisi storico-comparativa dei poteri
pubblici compositi presenta due motivi di interesse: serve a comprendere meglio la natura dellUnione europea; consente di liberarsi
della dittatura culturale stato-centrica e di riprendere in forma piu`
completa e corretta lanalisi dei diversi tipi di poteri pubblici
generali.
In questo scritto si tenta di iniziare lanalisi storico-comparativa,
avvertendo, pero`, che questa ha carattere introduttivo: servono ben
altre forze e preparazione per percorrere una strada tanto ardua.
Lo scritto e` articolato in cinque parti. Nella prima sono definiti
gli istituti da comparare ed e` indicato il modo in cui puo` essere
svolta la comparazione. Nella seconda sono mostrati utilita` e problemi di questo tipo di comparazione. Nella terza e` spiegato che
anche la storia degli Stati non e` dominata dai paradigmi unitari e
centralistici in cui si e` a lungo creduto. Nella quarta sono individuati
gli elementi caratteristici comuni allUnione europea e agli ordinamenti compositi del passato e sono poste a raffronto le relative
esperienze. Nellultima sono valutati i fattori di crisi degli ordinamenti compositi del passato.
2.
144
(2002)
Gli ordinamenti del passato hanno presentato una grande quantita` di unioni o combinazioni, variamente classificate. Secondo un
punto di vista accettato, ma insoddisfacente, i generi principali
sarebbero stati quattro: unioni storico-politiche, unioni giuridiche
inorganiche, unioni giuridiche organiche, Stati federali. Al primo
genere apparterrebbero le unioni coloniali, le incorporazioni e le
unioni personali. Al secondo genere apparterrebbero le unioni
risultanti da trattati, da occupazione ed amministrazione, da alleanze, gli Stati tributari, gli Stati vassalli patrimoniali, i protettorati,
gli Stati compositi (o Stati di Stati). Del terzo genere farebbero parte
le seguenti specie: unioni internazionali, unioni dordine interno,
confederazioni di Stati e unioni reali. Al quarto genere apparterrebbero i diversi tipi di Stati federali (6). Non tutti questi generi e specie
interessano per la comparazione con lUnione europea, ma solo
quelli piu` vicini, come le unioni, reali e personali, e gli Stati
compositi. Solo questi, infatti, da un lato, comportano la coesistenza
di piu` ordinamenti; dallaltro, si accompagnano ad un certo grado di
equilibrio tra di loro.
Va notato, peraltro, che tra gli ordinamenti compositi del
passato e lUnione europea (nonche gli altri ordinamenti compositi
odierni) vi sono due differenze fondamentali: nel passato, gli esecutivi e la forza bellica giocavano un ruolo fondamentale; nellUnione
europea, invece, i poteri legislativi e giudiziario sono in primo piano;
la guerra e luso della forza sono banditi e la stessa forma dellUnione e` frutto di limitazioni volontarie della sovranita`.
Entita` politiche comuni per il fatto di essere composite, ma
tanto diverse non solo per il fatto di appartenere ad epoche differenti, ma anche per il fatto di essere dominate da forze opposte,
come possono essere poste a raffronto? Lipotesi che qui si affaccia
e` la seguente: lUnione europea, istituzione nuova ed originale nel
suo disegno complessivo, per cui e` difficile ricondurla ai macromodelli o ideal-tipi utilizzati nelle scienze sociali (7), e` composta,
(6) A. BRUNIALTI, Unioni e combinazioni fra gli Stati. Gli Stati composti e lo Stato
federale, in Biblioteca di scienze politiche, vol. VI, parte prima, Utet, Torino, 1891, p.
XXXIV.
(7) In questo senso F. SCHARPF, Verso una teoria della multi-level governance in
Europa, cit., pp. 15 e 36.
145
SABINO CASSESE
tuttavia, di elementi che ricorrono anche negli ordinamenti compositi del passato. Per cui occorre porre a raffronto non i modelli nel
loro insieme, ma alcuni dei loro tratti caratteristici, non gli edifici,
ma i materiali con cui sono stati costruiti.
Occorre, dunque, procedere scomponendo gli ordinamenti
nelle parti essenziali; rilevando somiglianze e differenze tra gli
elementi comuni; rintracciando, se possibile, il loro archetipo e la
loro evoluzione storica, in modo da accertare quanto abbiano contribuito al successo e alla decadenza degli ordinamenti compositi.
Il metodo indicato presenta numerosi vantaggi. In primo luogo,
consente di non rinunciare allanalisi teorica dellUnione, come
accade se si afferma che essa e` istituzione sui generis, e quindi non
comparabile ad altre istituzioni. In secondo luogo, permette di
collocare lUnione tra i diversi tipi di reggimenti politici generali, e
di sfuggire allottica Stato-centrica prevalente. Infine, consente di
valutare levoluzione dei diversi elementi e di compiere ragionevoli
previsioni sulla base della comparazione. Dunque, la storiografia, in
questo caso, non serve unesigenza di conoscenza puramente storica,
diventa parte integrante della comparazione.
3.
146
(2002)
ulteriori sviluppi. Per questo, la comparazione storica va fatta indicando quale dei momenti si tiene in considerazione.
In terzo luogo, relativamente agli studi. Lanalisi giuridica si
sofferma in prevalenza sulla normazione e sulla scienza giuridica. Le
eccezioni sono costituite dagli studi di Georg Jellinek (8) e di Attilio
Brunialti (9). Ma questi due contributi sono influenzati dallepoca (la
fine del XIX secolo) in cui furono scritti: lattenzione e` rivolta al
problema della personalita` giuridica; e` frequente luso di concetti e
distinzioni privatistici, come quelli di unio realis aequalis e unio
realis inaequalis, di unio per suppressionem, per confusionem,
per novationem, di incorporatio plena o minus plena; e`
dominante lideal-tipo statale unitario e centralizzato, col quale le
forme composite vengono comparate.
Lanalisi storica e` piu` recente, ma e` ancora agli inizi. Gli scritti
piu` importanti sono quelli di Helmut G. Koenigsberger (10) e di
John H. Elliott (11). Questi contributi si riferiscono in prevalenza
allinizio delleta` moderna, tracciano le prime distinzioni (quella tra
unioni di poteri politici eguali e diseguali o quella tra unioni su
territori contigui o su territori distanti e separati dal mare, come
Inghilterra-Irlanda) e misurano i fattori di integrazione e i fattori di
crisi.
In realta`, va attribuita alla forte presenza dello Stato unitario e
centralizzato, nel periodo che va dallinizio del XIX secolo alla meta`
di quello successivo, la circostanza che linteresse delle scienze
storiche e sociali per gli ordinamenti compositi sia in una fase
elementare, e sia anzi regredito rispetto al XVII e al XVIII secolo.
Per comprendere quanti passi indietro siano stati fatti, si consideri il
capitolo nono del primo libro de I sei libri dello Stato di Jean
Bodin (XVI secolo), oppure si prendano le acute distinzioni di un
giurista spagnolo del XVII secolo, Juan de Solo rzano Pereira, e di un
(8) G. JELLINEK, Die Lehre des Staatsverbindungen, Holder, Wien, 1882.
(9) A. BRUNIALTI, Unioni, cit.
(10) H.G. KOENIGSBERGER, Dominium Regale or Dominium Politicum et Regale, in H.G. KOENIGSBERGER, Politicians and Virtuosi: Essays in Early Modern History,
Hambledon Press, London, 1986.
(11) J.H. ELLIOTT, A Europe of Composite Monarchies, in Past and Present,
1992, p. 48 ss. Si veda anche G.G. ORTU, Lo Stato moderno. Profili storici, Laterza,
Roma-Bari, 2001, pp. 22-23 e 56.
147
SABINO CASSESE
giudice italiano del XVIII secolo, nessuno dei due rinomati. Il primo
dedicava un intero capitolo della sua vasta opera allesame di sei
gradi di limitazioni della sovranita`, elencando lo Stato tributario,
quello sotto protezione, quello indipendente, ma vassallo per un
feudo, quello vassallo, ma non suddito, il vassallo ligio, ma non
suddito, quello suddito (12). Il secondo distingueva unioni accessorie, da unioni aeque principaliter. Nel primo caso, esemplificato dalle Indie spagnole incorporate nella corona di Castiglia e
dallUnione del Galles nellInghilterra con gli atti del 1536 e 1543,
un territorio e` unito a un altro e considerato parte di questo,
sottoponendo gli abitanti alle stesse leggi. Nel secondo, di cui sono
un esempio i regni e le province della monarchia spagnola, Aragona,
Valenza, Catalogna, Sicilia, Napoli, province olandesi, le due parti
sono trattate come entita` distinte, conservando leggi, privilegi, diritti, e governate come se il re fosse il monarca di ciascuno di
essi (13).
Nel 1769, invece, un giudice dellItalia centrale riassumeva in tre
le maniere per le quali un popolo puo` congiungersi allaltro. Nella
prima, [] la nazione dominante conserva in parte la sovranita` del
popolo a lei congiunto, registrandola solo a certi riguardi. Nella
seconda, [] la nazione vittoriosa incorpora in se stessa il popolo
soggiogato, assicurandogli pero` il dominio delle proprie cose,
luso della [sua] legge e i beni destinati pel mantenimento del
Comune. Nella terza, [] la nazione annientisce talmente il
popolo soggiogato, che sottopone il medesimo alle sue leggi, e toglie
tutti i di lui beni trasferendoli sotto il proprio dominio e proprieta` (14).
4.
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Stato era per lo piu` preso dalla casa degli Orange, per cui questa era
una monarchia di fatto. Nellassemblea ogni provincia aveva un
numero non precisato di membri, ma un solo voto, e con vincolo di
mandato. Gli Stati generali potevano decidere questioni belliche e
fiscali solo allunanimita`. Lo stesso Consiglio di Stato, che era
lorgano esecutivo, era composto di rappresentanti delle province,
con un segretariato (29).
Questo rapido esame del periodo della formazione degli Stati
nazionali ha consentito di accertare che non solo in eta` bassomedievale, ma anche in epoca moderna le formazioni statali nelle
quali sono, poi, prevalsi i caratteri dellunitarieta` e della centralizzazione erano caratterizzate da un elevato grado di policentrismo,
con sovranita` distinte e corpi separati.
Gli storici vanno anche oltre, osservando che gli Stati nazionali
sono costruzioni della storia e prodotti di una retorica nazionalistica
ufficiale, sviluppatasi solo quando uno dei molti ordinamenti si e`
imposto agli altri, assicurando, cos`, unita`, uniformita`, accentramento, e notando che gli Stati nazionali sono stati, dal XIX secondo,
un modello, al quale si sono uniformati, per molti aspetti, anche gli
Stati multinazionali ancora esistenti (30).
5. Gli elementi comuni degli ordinamenti compositi: a) estensione
geografica ed apertura.
Gli ordinamenti compositi esaminati nel paragrafo precedente
presentano tutti due caratteristiche, tra loro legate: di raggruppare
una sola nazionalita` (31) e di essersi trasformati, in un arco di tempo
piu` o meno lungo, in un solo Stato unitario, Germania, Gran
Bretagna, Francia, Olanda.
(29) R.L. VAN CAENEGEM, An historical introduction, cit., pp. 142 ss.
(30) Si veda, in particolare, S. ROMANO, LEuropa dopo il 1989 e il futuro degli Stati
nazionali, in Nuova storia contemporanea , 4, 2002, pp. 5 ss.
(31) Questo criterio va considerato, peraltro, con molta cautela, perche molti
Stati-nazione comprendono piu` nazionalita`, tanto e` vero che si e` distinto tra Stato
nazionale e Stato-nazione, e perche non va dimenticato il multifaceted character of a
sense of identity in the process of European state-building, come osserva J.H. ELLIOTT,
A Europe, cit., p. 57, nota 29. Per questi motivi, si dovrebbe parlare di una sola
nazionalita` dominante.
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di marca, che e` regione di frontiera, zona instabile, senza organizzazione fissa (40) e ricordare che lUnione europea ha, al suo
interno, paesi tra i quali esistono forme di cooperazione rafforzata e
paesi con territori autonomi o doltremare con statuti particolari; ed
e` parte del piu` vasto Spazio economico europeo ed e` destinata ad
allargarsi ad un numero di Paesi piu` grande di quelli che ne fanno
ora parte.
Si evidenziano, cos`, due tratti che contraddistinguono questi
ordinamenti (lestensione geografica e lapertura) e li separano dagli
Stati, che, non solo hanno dimensioni minori, ma hanno ereditato
dalle citta` la tendenza a costituirsi in unita` chiuse [], autarchiche o autosufficienti (41).
6.
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la coesistenza di una profonda unita` e di un accentuato particolarismo (57). Leggi particolari per i singoli regni, accanto a leggi
generali, valevoli per tutto lImpero, rendono possibile la convivenza
di piu` nazionalita` (58). Laspetto piu` importante e studiato degli
ordinamenti medievali in generale e` quello della convivenza di piu`
diritti: quello dettato dai capitolari imperiali (59), quello consuetudinario e quello dottrinale, che vanno al di la` del diritto positivo (60),
piu` avanti quello statutario. Secondo la ricostruzione piu` efficace,
iura propria e ius commune vanno concepiti quali elementi di
un unico sistema normativo per cui questo garantisce lunita` del
sistema in presenza di una pluralita` di ordinamenti giuridici (61).
Essenziale il rapporto di complementarita` tra diritto comune e
diritto proprio, nel senso che il primo puo` operare in via residuale
e sussidiaria, in assenza di statuti e consuetudini, oppure fornire solo
canoni interpretativi, oppure ancora svolgere un ruolo predominante (62). Tutto cio` implica lesistenza di un principio superiore, capace
di graduare la validita` delle norme concorrenti.
Diverso il modo in cui i due livelli (quello comune e quello
particolare) sono graduati nel sistema dellImpero ottomano, ma
analoga la dualita`: la base giuridica dello Stato [sic!] ottomano si
fonda [...] su due pilastri: il diritto mussulmano (sharia) e i costumi
giuridici delle popolazioni annesse dagli ottomani nel corso delle
loro conquiste (63). A differenza del rapporto tra i due diritti
nellarea europea, pero`, nellImpero ottomano il governo centrale
(57)
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Gli elementi comuni degli ordinamenti compositi: c) organizzazioni fluide, non gerarchiche, diffuse.
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prevalentemente esperti, non in base alla loro nazionalita`, nel secondo prevalentemente amministratori delle diverse nazionalita`) (73). Questo fenomeno trova un precedente nellorganizzazione
polisinodale dellImpero spagnolo, il cui vertice si articolava in
consigli denominati di Stato (per le relazioni internazionali e gli
affari interni piu` importanti), della guerra, delle finanze, dellinquisizione, delle crociate, degli ordini religiosi e militari, delle Fiandre,
dellItalia, del Portogallo, delle Indie, di Aragona, di Castiglia,
ecc. (74). La polisinodalita` risponde allesigenza di contemperare le
spinte allaccentramento monarchico con il rispetto degli ordinamenti propri delle singole entita` territoriali di un impero vastissimo (75).
Da ultimo, le necessita` del governo di vasta area impongono agli
ordinamenti compositi di dotarsi di strumenti per governare da
lontano, cio` che induce a un governo sparso sul territorio.
Per lUnione europea lesempio piu` significativo e` quello delle
agenzie, distribuite in citta` diverse dei differenti Stati membri.
NellImpero carolingio, anche il palatium, e cioe` limperatore
e la sua corte, non aveva sede fissa e viaggiava da unestremita`
dellImpero allaltra, spostandosi come lo richiedevano le necessita`
politiche (76), tanto che si e` scritto: lordinamento franco tendeva
alla peregrinazione invece che alla sedentarieta` (77). Piu` importanti
i missi dominici, che percorrevano annualmente le diverse circoscrizioni, con istruzioni dellimperatore, tenevano assemblee, verificavano e ispezionavano, ecc.; insomma, tenevano sotto controllo
lamministrazione di tutto limpero, ne collegavano le diverse parti al
(73) Sulla diffusione del fenomeno, M. RHINARD, The Democratic Legitimacy of the
European Union Committee System, in Governance, 2002, april, n. 2, pp. 185 ss. Il
fenomeno va collegato allinfranationalism, su cui le importanti osservazioni di J.H.H.
WEILER, The Costitution of Europe, Cambridge Univ. Press, Cambridge (Mass.), 1999,
pp. 96 ss.
(74) C. HERMANN, Multinationale, cit., p. 33-34; W. REINHARD, Storia, cit., pp. 200
e 207; ma, principalmente, J. VICENS VIVES, La struttura amministrativa statale nei secoli
XVI e XVII, in E. ROTELLI e P. SCHIERA, Lo Stato moderno I. Dal Medioevo alleta`
moderna, Il Mulino, Bologna, s.d. (ma 1971), pp. 233 ss.
(75) G.G. ORTU, Lo Stato moderno, cit., p. 93.
(76) G. SALVIOLI, Storia del diritto italiano, Utet, Torino, IX ed., 1930, p. 195.
(77) G. GALASSO, Potere e istituzioni in Italia. Dalla caduta dellImpero romano ad
oggi, Einaudi, Torino, 1974, pp. 16 ss.
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siti del passato poteva servire a due scopi: fare una comparazione
(storica) con quello dellUnione europea, liberandosi dellideal-tipo
dello Stato unitario e accentrato, e svolgere ragionevoli previsioni
sulle sorti dellUnione, esaminando i fattori di sviluppo e di crisi
degli ordinamenti compositi storici.
Finora e` stata avviata la comparazione storica, individuando
tratti caratteristici che, nello stesso tempo, sono comuni agli ordinamenti compositi e li differenziano dalle esperienze statali classiche
(quelle dello Stato unitario, con un forte centro, a struttura compatta). La comparazione ha altres` consentito di osservare che gli
elementi caratteristici si presentano in modi diversi. Quindi, ha
permesso sia di avviare unanalisi critica delle differenze tra poteri
pubblici compositi e Stati, sia di iniziare a tracciare una tassonomia
delle varianti dei tratti caratteristici degli ordinamenti compositi.
Tutto cio` in termini preliminari e provvisori, perche , come avvertito
allinizio, occorrono ulteriori ricerche di base per alimentare piu`
complete ricerche storico comparative.
Con le stesse avvertenze circa la provvisorieta` delle osservazioni,
si passa ad indicare i fattori di successo e di crisi degli ordinamenti
compositi del passato.
La chiave dello sviluppo degli ordinamenti compositi sta nelle
competing aspirations towards unity and diversity (85). Queste
due contrapposte tendenze hanno trovato, in quegli ordinamenti, un
equilibrio che e` spesso durato piu` secoli. Quando lequilibrio si e`
rotto, si sono verificati i due esiti possibili: la rottura oppure
lunificazione in un organismo politico unitario e centralizzato (86).
Per le unioni del XVI secolo e` stato osservato che i fattori che
hanno favorito lintegrazione sono stati i processi non forzosi (unioni
aeque principaliter), la creazione di nuovi organi istituzionali per
i nuovi territori e luso del patronato per guadagnarsi la lealta` delle
e lites locali (87).
Piu` studiati i fattori di crisi che condussero, alla fine dellalto
Medioevo, alla perdita di unita` del Sacro Romano Impero. Essi
(85)
(86)
(87)
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SOVRANITA
v NAZIONALE E PENSIERO CRITICO
FEDERALISTA. DALLEUROPA DEGLI STATI
ALLUNIONE FEDERALE POSSIBILE
1. Premessa. 2. Un paradigma federalista unitario di critica della sovranita` statale?
3. Un termine a quo per una ipotesi di sistematizzazione. 4. Le premesse
ottocentesche. 4.1. Un excursus: critica della sovranita` e unita` europea nel pensiero
socialista tra Otto e Novecento. 5. Sovranita` degli stati nazionali contro unita`
europea? Alcune tesi del primo Novecento. 5.1. Einaudi: contro il mito della
sovranita` statale. 5.2. I federalisti della Federal Union. 5.3. Le concezioni
federaliste ed europeiste tra antifascismo e Resistenza. 5.3.1. Trentin: una nuova
visione pluralista di fronte alla crisi del diritto e dello stato. 5.3.2. Il Manifesto di
Ventotene: Spinelli e la strategia costituzionale del federalismo europeo. 6. La
critica federalista nel secondo Novecento: sparizione, obsolescenza o trasformazione
della sovranita`? 6.1. Il federalizing process di Friedrich: la sovranita` impossibile.
6.2. Il federalismo come grand design: Elazar e le sovranita` diffuse e condivise. 6.3.
Hallstein: federalismo sovranazionale comunitario. 6.4. Lindirizzo federalista europeo. Albertini e il MFE: inadeguatezza del confederalismo e del gradualismo nel
problema della costituzionalizzazione dellUnione europea. Una rivalutazione della
sovranita` e del popolo europeo. 7. Lapprodo federale derivante dal paradigma
comunicativo di Habermas. 8. Un nuovo paradigma federalista-comunicativo
funzionale allunita` statale europea?
1.
Premessa.
Il tema della crisi dello stato nazionale, da intendere principalmente come crisi della forma dominante di sovranita` statale nellepoca moderna intendendo con questa la dottrina della sovranita` unica, assoluta e indivisibile attribuita alla forma di stato sancita
nel sistema usualmente indicato come modello Vestfalia (1), consolidato tra Settecento e Ottocento , e` oggetto di studio e di
(1) Per tale definizione cfr. a titolo indicativo F. CERUTTI (a cura di), Gli occhi sul
mondo. Le relazioni internazionali in prospettiva interdisciplinare, Carocci, Roma, 2000,
pp. 110-122.
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contemporaneo. Anche negli ambienti politologici, filosofici e giuspolitici italiani, si e` sviluppata, pertanto, una riflessione sulla crisi
o sulla metamorfosi del dogma della sovranita` statale. Temi ripresi
soprattutto con unottica polarizzata sulle trasformazioni transnazionali, indotte dalla globalizzazione, e attenta ai caratteri di una
possibile cittadinanza europea e allistituzione della democrazia
cosmopolitica (5).
Tuttavia, occorre constatare che, in generale, gli autori non
federalisti coinvolti in questo ampio dibattito, allorche parlano di
crisi della sovranita` e dello stato nazionale, non tengono adeguatamente presente (anzi tendono a sorvolarlo decisamente) lunico
orientamento teorico che da oltre un secolo e mezzo ha fatto di tale
coerente e radicale critica la propria bandiera, ovvero il federalismo.
Nel migliore dei casi, alcuni si fermano a una ripresa piuttosto
restrittiva del cosmopolitismo kantiano, interpretato in termini blandamente confederalistici, sottacendo che in questo, pur nei suoi
limiti, vive una potente carica federalista (6). Cos` facendo, non
arrivano a un confronto realistico con il problema della sovranita` in
quanto momento forte della costruzione, della natura, della legittimazione e delle attribuzioni dello stato moderno, con riferimento
alla politica estera e interna. E, di solito, rifiutano o non si pongono
il problema presente sulla scorta della tradizione federalista che
va dalledizione del Federalist ai nostri giorni della costruzione
(5) E` disponibile una larga bibliografia; per orientarvisi cfr. in particolare Crisi e
metamorfosi della sovranita`, Atti del XIX Congresso nazionale della Societa` italiana di
filosofia giuridica e politica (Trento, 29-30 settembre 1994), a cura di M. BASCIU, Milano,
1996; D. QUAGLIONI, Un dogma in crisi: il dibattito sulla sovranita` nel pensiero giuspolitico
del Novecento, in AA.VV., Temi politici del Novecento, a cura di A.M. LAZZARINO DEL
GROSSO, Napoli, CUEN, 1997, pp. 13-36; Metamorfosi della sovranita` tra stato nazionale
e ordinamenti giuridici mondiali, a cura di G.M. CAZZANIGA, Edizioni ETS, Pisa 1999;
Una costituzione senza stato, a cura di G. BONACCHI, Il Mulino Bologna 2001; Sfera
pubblica e costituzione europea, a cura di E. PACIOTTI, Annale della Fondazione L. e L.
Basso, Carocci, Roma 2002. Sul problema della cittadinanza lopera di riferimento e`
quella di P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, Laterza, Roma-Bari
1999-2001, 4 voll., in part. il vol. IV, Leta` dei totalitarismi e della democrazia, 2001.
(6) Per largomentazione della definizione di federalismo usata in questo saggio
ved. C. MALANDRINO, Federalismo. Storia idee modelli, Carocci, Roma 1998. Su Kant cfr.
le pertinenti e decisive ricerche di G. MARINI, Tre studi sul cosmopolitismo kantiano,
Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 1998.
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ineludibile del livello statuale federale sovranazionale, a livello macroregionale e globale (7). Un simile modo di affrontare il tema della
crisi o metamorfosi della sovranita` statale nel Novecento causa un
senso dinsoddisfazione, derivante dalla constatazione che le conclusioni democratico-cosmopolitiche, pur rappresentando un onesto
tentativo di indicare soluzioni coerenti con le teorie democratiche e
dei diritti, restano insufficientemente probanti sul piano della definizione istituzionale del domani europeo e globale.
2.
Occorre a questo punto chiedersi: e` possibile parlare al singolare di critica federalista alla sovranita` dello stato nel Novecento?
O non si dovrebbe parlare al plurale di critiche di pensatori
federalisti, non omogenee fra loro, oppure ancora di critiche che si
evolvono in modo talmente divergente da non esservi pressoche piu`
nulla in comune tra quelle dellinizio e quelle della fine del 900? Il
problema e` collegabile anche alla risposta al seguente interrogativo:
ce` un fondamento teorico costante in tutte queste critiche, tale da
autorizzare comunque pur riconoscendo una molteplicita` di
approcci la loro riconduzione a un paradigma comune?
La risposta affermativa, per la quale in ultima istanza propendo,
e` favorita dalle stesse attribuzioni che la storia e la teoria politica
hanno conferito alla sovranita` dello stato nazionale nellepoca moderna: unicita`, unitarieta`, indivisibilita`, irrevocabilita`, assolutezza,
monoliticita`, ecc. La contrapposizione comune a tali caratteristiche,
che cementa le tesi federaliste, al di la` di differenze di argomentazione e di tematiche nei vari autori e nelle varie fasi del Novecento,
comporta la loro dislocazione su di un fronte unico rispetto alla
sovranita` dello stato moderno monocentrico. Lo ricorda Norberto
Bobbio riprendendo e sviluppando il proprio approccio cattaneano al problema in un saggio dedicato al trentesimo anniver(7) Cfr. le considerazioni svolte da L. LEVI nel saggio La federazione: costituzionalismo e democrazia oltre i confini nazionali, posto introduttivamente a A. HAMILTON, J.
MADISON, J. JAY, Il Federalista (1788), Il Mulino, Bologna 1997, pp. 9-116.
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comunita` territoriali sul piano di un radicale decentramento autonomistico, che giunge alla definizione federale interna dei rapporti
fra centro e periferia (12). Il fine verso il quale si muove tale critica
e` linstaurazione della pace tra le nazioni e lautonomia delle componenti infranazionali. La conseguenza di tali attacchi sul piano
teorico e` la denuncia federalista della sovranita` assoluta ed esclusiva
degli stati nazionali come causa di guerra perpetua e di illiberta` e
autoritarismo da un lato, dallaltro come mito semplicemente
obsoleto per alcuni autori nelle condizioni contemporanee, mistificatorio fin dalle origini per altri, in ogni caso da rigettare e sostituire
con forme di sovranita` diffusa e condivisa per alcuni, da eliminare
tout court per altri. Tale elaborazione critica, definita con argomenti
diversi da alcuni federalisti come Daniel Elazar e Mario Albertini
una rivoluzione non cruenta, e` in corso da piu` di un secolo e
mezzo, non solo in Europa. Essa e` stata rinvigorita dagli eventi
storici che hanno segnato gli ultimi decenni del Novecento con la
fine della divisione del mondo in blocchi. La caduta del Muro di
Berlino e` sotto tale profilo il punto di arrivo (e di partenza) di un
processo storico epocale: la crisi finale della modernita` e linizio della
postmodernita`. Esso ha trasformato a oriente le frontiere degli stati
e sepolto quello che veniva presentato come modello alternativo alle
democrazie occidentali, lasciando il campo allaffermarsi di una
nuova anarchia internazionale in un quadro di conflittualita` piu` o
meno guerreggiate tra le nazionalita` che, per la loro virulenza,
ricordano i periodi precedente e seguente la prima guerra mondiale.
In vari stati dellOccidente europeo tale rivoluzione ha messo in crisi
(12) Sfugge alla portata teorica del paradigma cos` delineato la formulazione, in
termini oggettivi e soggettivi, del problema di un nuovo potere costituente la sovranita`,
nel senso che sembra restarvi implicito il riferimento allo schema tradizionale della
sovranita` popolare nazionale che crea la sovranita` statale nei termini usuali elaborati dal
costituzionalismo liberaldemocratico. Tale schema, pero`, essendo stato inglobato totalmente nellOttocento nella teoria dello stato-nazione godente assoluta ed esclusiva
sovranita`, non sopporta piu` limmediata e diretta applicazione sul piano infra- e
sovranazionale, ai fini cioe` di individuare piu` livelli di sovranita` diffusa e condivisa, senza
una riformulazione appropriata. Di tale difficolta`, in parte segnalata profeticamente da
pensatori del Novecento come Rosselli e Trentin di cui ved. ai paragrafi 5.3 e 5.3.1, ci si
occupa nei paragrafi finali di questo saggio con attenzione particolare al problema
europeo.
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Posto che si convenga su questo genere di approccio paradigmatico unitario (che non intende sacrificare, ma collegare nella
distinzione la molteplicita` delle espressioni federaliste), se si vuol
affrontare il compito di seguirne storicamente la formazione, allora
occorre innanzitutto aver consapevolezza del termine (non solo)
temporale dal quale partire per individuare analiticamente le espressioni predette. Storicamente, tale termine e` posto dalla pubblicazione del Federalist e dallapprovazione della prima costituzione
federale scritta negli Stati Uniti dAmerica. E` quella loccasione in
cui si definisce un modello di federazione condividente con gli stati
membri la sovranita`, a partire appunto da una critica radicale del
concetto moderno di sovranita` indivisibile e centralizzata derivante
dalle dottrine dei maggiori teorici assolutisti, come Bodin e Hobbes,
ma anche di antiassolutisti, come Locke e Montesquieu, di cui si
accettano peraltro gli insegnamenti liberali in materia di rappresentanza, separazione e bilanciamento dei poteri sul piano orizzontale.
Da quel momento si avvia una reale critica, teorica e pratica, alla
concezione moderna della sovranita` predominante in Europa e di
qui diffusa nel mondo. Il Federalist segna, in tal senso, il passaggio
dal federalismo antico-medievale a quello moderno-contemporaneo.
Ne consegue che prima del Federalist, per quanto si possa
constatare lesistenza di pensiero parzialmente critico verso lordinamento vestfalico in particolar modo ci si riferisce qui allelaborazione dellideale della pace perpetua in Europa posto come
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Le premesse ottocentesche.
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labbandono dellequilibrio della forza. Solo cos`, questa la conclusione di Cattaneo, le nazioni europee potranno congiungersi in
federazione di popoli liberi e realizzare gli Stati Uniti dEuropa.
Tutto cio` detto, occorre comunque ammettere che in Cattaneo
il collegamento tra la critica della sovranita` statale e la teoria
federalista di derivazione hamiltoniana e` piu` implicito che esplicitamente sviluppato. E` invece nella conferenza del marzo 1871 del
britannico John Robert Seeley, pubblicata nel MacMillan Magazine e dedicata agli Stati Uniti dEuropa (15), in stretto collegamento
con la riflessione sul Federalist, che e` dato trovare la traduzione della
teoria federale hamiltoniana nelle condizioni europee ottocentesche.
Tale idea si riverbera nella teorizzazione degli Stati Uniti dEuropa, intesi come genuina risposta federale alla crisi epocale del
concerto delle potenze europee e del sistema dellequilibrio. Anche
Seeley pensa che la causa principale dellepoca di guerre instaurata
in Europa a partire dalla seconda meta` dellOttocento risieda nellanarchia internazionale dovuta, da una parte, al primato della
politica estera su quella interna, dallaltra al principio dellassolutezza delle sovranita` degli Stati sostenuto dai nazionalisti. In tale
contesto, lunico mezzo atto ad assicurare la pace perpetua di
kantiana memoria intesa non piu` come mero principio morale e
di ragione, ma come esigenza imprescindibile di fronte alla minaccia
per lumanita` dellaprirsi di conflitti sempre piu` spaventosi per il
crescere degli armamenti e per lestensione globale non puo`
essere delegato ai normali mezzi diplomatici, ai trattati preludenti a
generiche alleanze confederali, ma allattuazione di una vera e
propria federazione, prima europea, poi mondiale. Solo il federalismo, secondo Seeley, sara` in grado di apprestare una struttura
istituzionale adatta a risolvere in modo pacifico e legale i conflitti
interstatali. Questo importante elemento e` pertanto posto da Seeley,
tra i primi ad averne consapevolezza teorica, come lobiettivo prin(15) Cfr. ora nella trad. ital. di L. V. MAJOCCHI: J. R. SEELEY, Stati Uniti dEuropa,
in Da un secolo allaltro. Il passato letto al presente, a cura di L. LEVI, UTET Libreria,
Torino 2000, pp. 233-253. Sullinfluenza del pensiero di Seeley in Italia cfr. S. PISTONE,
Il pensiero federalistico in Piemonte e il federalismo internazionale, in Alle origini del
federalismo in Piemonte, a cura di C. MALANDRINO, Studi della Fondazione L. Einaudi,
Torino 1993, pp. 125-142.
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la cui volonta` di potenza, fondata sul dogma anacronistico e diabolico della sovranita` assoluta, e` la responsabile principale del
fallimento dellequilibrio nel concerto europeo, dellinevitabile logica guerresca, ed erge una barriera insormontabile allidea di una
societa` di nazioni effettivamente funzionante che, viceversa, esige
necessariamente per poter esistere il superamento di tale
dogma e di una concezione meramente confederale.
Sulla scorta di tale premessa Einaudi distingue acutamente, sul
piano teorico, i concetti di federazione, per la quale rimanda
allesempio della costituzione federale statunitense, e di confederazione, di cui fa fede la millenaria tradizione europea. La SdN
proposta da Wilson secondo Einaudi e` apparentata con la seconda.
Pertanto sarebbe solo ripetizione di esperienze gia` fatte e non
garantirebbe una pace reale e duratura. Si scioglierebbe invece il
tragico nodo delle secolari conflittualita` europee soltanto per mezzo
dellunificazione economica, sociale e giuridica del continente, resa
improrogabile dal grado di crescita e di integrazione oggettiva
conseguite dai paesi che lo compongono. Con un excursus storico,
Einaudi dimostra che la guerra mondiale e` interpretabile come il
tentativo ambizioso dellimpero tedesco di edificare con la forza
lunificazione europea. La conclusione, di tipo hamiltoniano, e`
pertanto la seguente: poiche la ragione strutturale che origina la
guerra risiede nella logica politica basata sulla sovranita` assoluta ed
esclusiva degli stati europei, solo attraverso laffievolimento di essa
nellunione federale, grazie alla creazione di una sovranita` e di un
potere statali piu` elevati (che lascerebbe sempre agli stati membri
competenza politico-amministrativa piena sulle materie interne), si
raggiungerebbe unepoca di pace (24). E` interessante notare che
Einaudi afferma con forza tale posizione di principio anche nel
secondo dopoguerra, sostenendo che gli stati europei non possono
ne devono sfuggire nel momento della ricostruzione alla decisione
politica di unirsi subito, nel momento in cui le condizioni storiche e
lomogeneita` ideologica delle e lites dominanti lo permettono,
(24) Occorre ricordare che su una posizione simile si schierano Attilio Cabiati e
Giovanni Agnelli con lopuscolo del 1918 intitolato Federazione europea o Lega delle
Nazioni?, Fratelli Bocca Ed., Milano-Torino-Roma 1918. Cfr. su questi temi diffusamente anche il vol. cit. Alle origini delleuropeismo in Piemonte.
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quanto meno nella parte occidentale occupata dagli alleati angloamericani. A suo avviso, le procedure funzionaliste, messe in movimento dal lancio del piano Marshall e destinate nel prosieguo, gia`
nel 1951 con la CECA, alla creazione di comunita` economiche
intermedie, pur essendo in se positive forme di cooperazione progressiva, corrono il rischio di essere in realta` scappatoie per eludere
in quel momento la scelta federale. Il sistema delle comunita`
economiche avrebbe il suo sviluppo, ma secondo lo statista di
Dogliani, eletto nel frattempo primo presidente della Repubblica
non potrebbe evitare di riportare, in tempi successivi, alle forche
caudine della decisione sulle sovranita` statali.
La critica federalista di Einaudi alla sovranita` statale e` vivace
anche sul versante infranazionale. Si pensi alla polemica antiaccentratrice, in puro stile cattaneano, sviluppata in articoli come Via il
prefetto!, il gia` citato Contro il mito dello stato sovrano, La sovranita`
e` indivisibile? (25). Il federalista Einaudi, elaborando in simmetria
con il livello sovranazionale europeo la critica liberale al dogma
dellintoccabilita` della sovranita` statalnazionale anche al livello infranazionale, scrive frasi forti come: Si potra` discutere sui compiti
da attribuire a questo o a quellaltro ente sovrano; e adopero a bella
posta la parola sovranita` e non autonomia, ad indicare che non solo
nel campo internazionale, con la creazione di vincoli federativi, ma
anche nel campo nazionale, con la creazione di corpi locali vivi di
vita propria originaria non derivata dallalto, urge distruggere lidea
funesta della sovranita` assoluta dello stato. Non temasi dalla distruzione alcun danno per lunita` nazionale (26). Ununita` nazionale che
ribadisce Einaudi questo s` e` un dogma posto al di fuori di
ogni contesa (27).
In queste posizioni cos` nette vi e` da sottolineare la motivazione
e linquadramento teorico rigoroso delle autonomie politiche locali
allinterno della dottrina federale dello stato e, nel contempo, la loro
delimitazione rispetto allo stato nazionale. Einaudi asserisce che alle
(25) Cfr. L. EINAUDI, Via il prefetto!, qui cit. dalla riedizione nella raccolta Il
buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), a cura di E. ROSSI, Bari, Laterza,
1954, pp. 58 ss.; Contro il mito dello stato sovrano, cit.; La sovranita` e` indivisibile?, in ID.,
A proposito di autonomie, federalismo e separatismo, cit., pp. 565-567.
(26) Cfr. EINAUDI, Via il prefetto!, cit., p. 58.
(27) Cfr. L. EINAUDI, La sovranita` e` indivisibile?, cit., p. 567.
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regioni storiche italiane a tutte, non solo a quelle sedi di movimenti particolaristici, centrifughi e percio` future destinatarie di
autonomie speciali dovrebbero esser riconosciute liberta` e sovranita` comparabili a quelle dei cantoni svizzeri, in un quadro di
divisione dei compiti tra stato centrale ed enti locali corrispondenti
a criteri federalisti. Ognuno dei due afferma Einaudi deve
esser sovrano nella propria materia (28). Nellarticolo La sovranita` e`
indivisibile?, scrive magistralmente: Come nessuno stato e` pienamente sovrano nei rapporti internazionali, ma tutti gli stati debbono
assoggettarsi allintervento altrui negli affari propri interni; cos`
allinterno di ogni cosiddetto stato sovrano non vi e` un solo stato; ma
gli stati sono parecchi, forse molti, e nessuno di essi e` pienamente
sovrano, perche la sovranita` di ognuno si arresta dinnanzi alluguale
sovranita` degli altri e deve con questa convivere (29). Einaudi parla
in proposito di autonomie politiche locali basate sul fondamento di
poteri originari comunali e regionali, che sono da considerare originari e non frutto di decentramento politico-amministrativo piu` o
meno ampio. A differenza del modello federale svizzero o statunitense, dove dagli stati o dai cantoni si procede alla costituzione della
federazione, occorre in Italia seguire la via inversa. Scrive nel 1946
nella relazione sullo statuto della regione siciliana: Noi dobbiamo
partire da uno stato centralizzato per arrivare a uno stato piu` sciolto,
con funzioni attribuite alle singole regioni (30). Anticipando di
cinquantanni le discussioni attuali sul principio di sussidiarieta`,
visto come il criterio dirimente per la distribuzione delle competenze
tra le future regioni e il governo centrale in Italia, Einaudi afferma
che il principio informatore della legislazione regionale e` dunque
che allo stato centrale rimangono attribuite tutte quelle funzioni che
esplicitamente non siano state assegnate alle regioni nellatto in cui
queste sono costituite. Compiuta questa distribuzione, stato e regione devono risultare sovrani nellambito delle proprie competen(28) Cfr. la lettera al cattolico democratico valdostano Paul Alphonse Farinet del
29 maggio 1945 in EINAUDI, A proposito di autonomie, federalismo e separatismo, cit.,
p. 562.
(29) Ivi, p. 565.
(30) Cfr. L. EINAUDI, Interventi e relazioni parlamentari, a cura di S. MARTINOTTI
DORIGO, Torino, Fondazione L. Einaudi, 1982, vol. II, p. 226.
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ze (31). Una regola impolitica per i tempi, che non trova spazio
nella costituzione repubblicana (32).
5.2.
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concorde nella critica radicale del carattere monolitico che la sovranita` statale ha raggiunto nei modelli totalitari nazifascisti e nella
rivendicazione dellobiettivo dellunificazione federale europea
come via duscita dalla distruzione del continente.
Con riferimento allItalia, occorre sottolineare che tale riflessione deve molto allelaborazione specifica di varie personalita` e di
movimenti antifascisti in esilio e, in modo particolare negli anni
Trenta, alla critica dello stato moderno portata avanti in connessione
ai temi dellautonomia, del federalismo, e dellobiettivo dellunita`
europea da Giustizia e Liberta` e, con grande preveggenza politica,
da Carlo Rosselli (40). In estrema sintesi, nella sua polemica Contro
lo stato (41), che cerca di dare un senso unitario al dibattito a piu` voci
svoltosi in Giustizia e Liberta` dal 1932 al 1934, Rosselli espone la tesi
che lo stato dittatoriale moderno mostra dessere linevitabile conclusione, in determinate condizioni, dello statalismo e che in esso
non vi e` posto per un umanesimo libero. Cio` pone una seria ipoteca
sul paradigma costituzionale moderno (42), che sembra confluire
nella statolatria e, cio` facendo, mostra la corda sia per cio` che
concerne la capacita` di accordare il consenso dei cittadini alle forme
liberaldemocratiche statali, sia per quanto attiene alla reale efficacia
nel garantire la pace a livello internazionale. Secondo Rosselli e`
questo il senso della critica alla teoria metafisica dello stato, anche
dalle indicazion emergenti dalle posizioni di autori quali Leonard T.
Hobhouse e Georges Gurvitch (43). Di conseguenza, abbozza una
visione nuova e positiva di una diversa forma e di un diverso
processo creatore di statualita` nel corso di una appassionata discus(40) Su cio` si rinvia a C. MALANDRINO, Socialismo e liberta`. Autonomia, federalismo
Europa da Rosselli a Silone, Angeli, Milano 1990, pp. 125-150. Cfr. anche Carlo e Nello
Rosselli. Socialismo liberale e cultura europea, a cura di A. LANDUYT, Quaderni del
Circolo Rosselli, 1998, n. 11.
(41) Cfr. larticolo di pari titolo in Giustizia e Liberta`, 21 settembre 1934.
(42) Sulla crisi attraversata dal paradigma costituzionale moderno rinvio, oltre che
alla letteratura cit. in premessa, alle considerazioni finali di M. FIORAVANTI, Costituzione,
Il Mulino, Bologna 1999; cfr. anche M. DOGLIANI, Costituzione, in La politica ritrovata.
Voci per un dizionario, a cura di C. MALANDRINO, Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 35-49.
(43) Cfr. L. T. HOBHOUSE, The Metaphysical Theory of the State: a Criticism, Allen
and Unwin, London 1918; G. GURVITCH, Lide e du droit social, Librairie di Re cueil Sirey,
Paris 1932; ID., Le temps pre sent et lide e du droit social, Vrin, Paris 1932.
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sale non pregiudica lesistenza del primo in quanto ordine dintegrazione parziale, non godente pero` degli attributi dassolutezza
sovrana conferitigli dallideologia statal-nazionale (52).
Il fulcro dellinteresse trentiniano in Liberare e federare e` riposto
nella delineazione dei caratteri dello stato e della societa` postrivoluzionari, rispetto ai quali Trentin non si limita allenunciazione di
principi ideali, ma elabora Abbozzi (53) costituzionali relativi a Francia e Italia, che nelle sue intenzioni dovrebbero espletare la loro
efficacia nei dibattiti di una prevedibile futura assemblea costituente.
Il nuovo stato dovrebbe configurarsi come ordine degli ordini
e da questa definizione emerge con evidenza il suo carattere multipolare in luogo del monocentrismo. Trentin aggiunge che se esso
volesse realizzare un progresso sul piano dellaffrancamento dellindividuo e della salvaguardia della dignita` della persona, non potrebbe esser altro che federalista, nel senso proudhoniano della
parola. Ovvero federalismo politico e federalismo sociale agricoloindustriale (54).
NellAbbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dellItalia al termine della rivoluzione federalista in corso di
sviluppo (redatto poco prima di morire nel 1944 e pubblicato
postumo nel 1972) Trentin, pur tra scontate macchinosita` e farra(52) Importanti ispiratori di Trentin ai fini dellelaborazione della critica dellanacronismo e dellillusorieta` della sovranita` statal-nazionale nella prospettiva dellunita`
federale europea sono due autori, peraltro assai distanti tra loro (il che dimostra la
capacita` eclettica di Trentin di servirsi, ai fini della costruzione del suo sistema, delle
fonti piu` disparate): il giurista italiano Pietro Bonfante, autore durante e dopo la grande
guerra di articoli europeisti sulla salveminiana Unita`, e il TROCKIJ della Storia della
rivoluzione russa. Di Bonfante Trentin cita vari scritti, di cui quello piu` attinente la
problematica della crisi dello stato e` Europa, in Rivista internazionale di filosofia del
diritto, XIII, 1933, n. 1, pp. 1-4. Sullinfluenza di Trockij insiste il maggior biografo di
Trentin, F. ROSENGARTEN, S. Trentin dallinterventismo alla resistenza, Milano, Feltrinelli,
1980, passim. Trentin utilizza la traduzione francese della Histoire de la re volution russe,
Paris, Rieder, 1933, di Trockij. Sulla rilevanza di Trockij per levoluzione di una linea di
pensiero federale ed europeista nel comunismo internazionalista cfr. MALANDRINO, Lidea
dellunita` federale europea e il socialismo marxista (1900-1920), cit., pp. 23-49.
(53) Cfr. S. TRENTIN, Ebauche de la figure constitutionnelle de la France a` lissue de
la re volution en cours de de veloppement, in ID., Scritti inediti, cit., pp. 279-294 e il
consecutivo Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dellItalia al
termine della rivoluzione federalista in corso di sviluppo, ivi, pp. 295-318.
(54) Cfr. TRENTIN, Liberare e federare, cit., pp. 237-238.
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Ivi, p. 459.
Ibidem.
Cfr. FRIEDRICH, Luomo, la comunita`, lordine politico, cit., p. 278 ss. e
Ivi, p. 297.
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non sono piu` tali) su un livello duale, ecc. E` interessante notare che
Friedrich afferma, discutendo la posizione degli antifederalisti americani e quella successiva di J. C. Calhoun, sostenenti il diritto
sovrano degli stati membri nei confronti dellUnione con largomento della indivisibilita` della sovranita`, che lesperienza della
costituzione americana trascendeva proprio tale usurata dottrina
della sovranita` (72). Allo stesso modo, pensa Friedrich, sono pericolose per il federalismo le tendenze centralizzatrici emergenti nelle
esperienze concrete dei paesi federali, dagli USA alla stessa Confederazione Elvetica, perche delineanti un nuovo zoccolo duro di
sovranita` centralista.
Da quanto detto, in conclusione, emerge una certa indefinitezza
della sovranita` nel nuovo contesto delineato da Friedrich, e piu` in
generale dei caratteri istituzionali specifici del sistema federale, e cio`
ha attirato critiche sul suo modello. Alcuni, in particolare aderenti al
federalismo europeo, pensano infatti che porre laccento sui processi storico-sociali alla base della crisi dello stato moderno e`
necessario per riconoscere la ragione profonda della necessita` dellavvento di sistemi federali sempre piu` allargati, ma aggiungono che
cio` nondimeno tale approccio, perseguito fino al punto di sostenere
la tesi della sparizione della stessa idea di sovranita` statale, puo` far
perdere il senso del ruolo delle istituzioni nella storia. In particolare,
come conseguenza della negazione della trasformazione della sovranita`, resta sullo sfondo in Friedrich la distinzione qualitativa tra
federazione e confederazione acquisita dalla teoria federalista (73).
Cio` puo` causare omissioni, fraintendimenti, se non errori, nella
prospettiva comparativa dei diversi processi federativi. Un esempio
si puo` riconoscere nel modo in cui Friedrich considera il caso
europeo. Egli scrive che lesperimento delle comunita` economiche
supera le iniziali e sterili diatribe tra federalisti e confederalisti tra gli
anni 40 e 50, che si sviluppano a suo parere polemicamente e
dogmaticamente intorno a un impossibile trasporto (Friedrich equipara il progetto costituente di Spinelli a un sogno) (74) sul piano
europeo del modello federale americano. In realta` lEuropa comu(72)
(73)
(74)
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Ivi, p. 216.
Cfr. ELAZAR, Federalism as a Grand Design, cit., p. 1.
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mico, ma si danno il compito, in modo forse non del tutto consapevole per alcuni dei firmatari (ben chiaro pero` per Schuman e
Monnet), di dar vita anche a una forma politica nuova capace di
influenzare fortemente la vita degli stati coinvolti e il piu` vasto
mondo. Sotto il profilo teorico, lintegrazione comunitaria e` considerata da Hallstein come una rivoluzione incessante, a un tempo,
della scienza economica e della scienza politica. Riprendendo la
teoria delleconomista James Meade a proposito delle unioni economiche interstatali, afferma che quando alcuni stati mettono in
comune delle funzioni economiche, avviene un trapasso di poteri
economico-politici molto piu` forte da questi allistanza sopranazionale (95). Analogamente, quando nel caso della CEE lo stesso trattato istitutivo prevede elasticamente un certo numero di eventualita`
per politiche congiunte nei campi della politica agricola, sociale,
monetaria, finanziaria e fiscale, nella concorrenza, nei trasporti e nel
commercio estero, la logica dellintegrazione economica non solo
guida allunita` politica attraverso la fusione degli interessi, ma anche
implica lazione politica in se stessa (96). Non ce` nulla infatti,
ribadisce Hallstein, di piu` politico e connesso con la sovranita` degli
stati della fissazione dei tassi di cambio e della politica monetaria (97). Non a caso, fin dallinizio il processo dintegrazione economica europea fa emergere lesigenza dellallargamento alla politica,
fallito per responsabilita` francese nel caso della CED e della CEP,
ma dalla stessa Francia gollista riproposto con il piano Fouchet in
modo attenuato e coerente con criteri confederali. In proposito,
Hallstein mette in guardia sul fatto che la discussione sulla necessita`
di una cooperazione politica organizzata (anche nei termini confederali di marca gollista) non puo` sovrapporsi o andar a scapito
dellintegrazione esistente, ovvero delle istituzioni comunitarie, ma
semplicemente risultare un approfondimento federale di quel tipo di
(95) Cfr. J. MEADE, Problems of Economic Union, London 1953, cit. in HALLSTEIN,
United Europe, cit., pp. 64-65.
(96) Ivi, p. 65.
(97) E` da notare che lo stesso Mario Albertini riconosce lacutezza dellosservazione di Hallstein che la Comunita` economica [era] un fatto politico, perche cio` che
[era] messo in comune [era] il controllo politico di alcuni aspetti dellattivita` economica, cfr. M. ALBERTINI, Lunificazione europea e il potere costituente, in ID., Nazionalismo
e federalismo, cit., p. 292.
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Lindirizzo federalista europeo. Albertini e il MFE: inadeguatezza del confederalismo e del gradualismo nel problema della
costituzionalizzazione dellUnione europea. Una rivalutazione
della sovranita` e del popolo europeo.
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media e necessaria del processo che portera` alla federazione mondiale (100).
Il punto centrale del programma indicato da Albertini, fin
dallinizio degli anni Sessanta, si fonda nella implementazione della
trasformazione del processo dintegrazione europea, avviata sulla
scorta dei criteri funzionalisti di Jean Monnet, in quello della
costituzione di una unione politica, che scaturirebbe dalla crisi
necessaria in cui la prima si verrebbe a trovare per la prevedibile
mancanza di volonta` dei governi nazionali di rinunciare alle proprie
prerogative sovrane. Il punto di partenza e` nel pensiero albertiniano
la critica dellidea di nazione e del modello dello stato nazionale.
Lidea di nazione, plausibile come fatto culturale (autoidentificazione linguistica, storico-tradizionale, ecc.), e` illusoria e mistificante dal
punto di vista del suo collegamento (a torto ritenuto intrinseco) col
modello dello stato nazionale. Quel che Albertini rifiuta e`, oltre a
cio`, che la nazione incapsulata nello stato diventi una sorta di
classificatore e di massimo divisore politico di quellunita` piu` vasta
che e` lintero genere umano. Perche in quanto tale, essa si
trasforma in causa di scontri vieppiu` distruttivi. La cultura della
nazione, in questo senso creatrice dei nazionalismi, si oppone alla
cosmopolita cultura dellunita` del genere umano che sottende
come orizzonte la visione federalista. Lideologia nazionale eleva
artificiosamente a dato originario lappartenenza nazionale e la
categoria dello stato-nazione, rafforzando le tendenze nazionaliste
che corrompono le ideologie tradizionali, liberaldemocratiche, socialiste o comuniste: La nazione e` il criterio con il quale e` organizzato politicamente il genere umano, dunque dovrebbe essere la
prima idea con la quale fare i conti (101). Appare necessario ad
Albertini tale passaggio per arrivare a una chiara visione dei compiti
del presente. E` in Europa, sede storica del modello nazionale, che
occorre vincere la battaglia cruciale sulla via della federalizzazione
dellintero pianeta. A tal fine simpone la preventiva trasformazione
(100) Tutti questi motivi del pensiero albertiniano sono riproposti in due volumi
di scritti (pubblicati dagli anni Sessanta in poi) editi nel 1999 dal Mulino (Bologna) a
cura di N. MOSCONI, intitolati luno Nazionalismo e federalismo, laltro Una rivoluzione
pacifica.
(101) Cfr. ALBERTINI, Il federalismo, cit., p. 299.
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Ivi, p. 210.
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Linteressante punto di vista habermasiano riproposto da Dellavalle, nellindicare lidoneita` del paradigma comunicativo in
funzione della costituzione europea attraverso il popolo europeo inteso come potere costituente (130), mi pare del tutto condipossibilita` del costituirsi di un demos europeo a seguito dellintensificazione della
comunicazione sovranazionale, cfr.: Patria e repubblica, Il Mulino, Bologna 1997, pp.
84-93; Cittadinanza e costituzione, in Identita` culturale europea, a cura di L. PASSERINI, La
Nuova Italia, Firenze 1998, pp. 133-153; Appartenenza e cittadinanza tra dimensione
nazionale e dimensione europea. Intervista, in Interviste sullEuropa, a cura di A.
LORETONI, Carocci, Roma 2001, pp. 121-136.
(128) Ibidem.
(129) Ivi, p. 217.
(130) Gia` nelle pagine introduttive (p. 11), Dellavalle afferma che soltanto
lapparato concettuale che [il paradigma comunicativo] mette a disposizione permette
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degli interessi. In tal senso e` anche una comunita` che vive nel segno
della liberta` e della giustizia.
Mi pare che la figura teorica cos` delineata possa suffragare una
immedesimazione tra lindividuo-soggetto federativo e quello comunicativo, nel senso almeno che sia possibile affermare che il
primo e` necessariamente anche coincidente con il carattere comunicativo del secondo, mentre non si puo` dire altrettanto del secondo, che non necessariamente deve predisporsi alla sottoscrizione
di un patto federale per conseguire il suo scopo. Va da se che
lindividuo-soggetto federativo non e` contenibile nellapproccio individualistico (ed e` evidentemente lontanissimo da quello olistico).
Infatti lindividuo individualistico, nel suo impianto egoista, puo`
avere generica propensione a stipulare patti politici, ma non ha
predisposizione determinata al patto di fiducia federale e allingresso in intense e fruttuose relazioni comunitarie, mentre tale
caratteristica e` centrale per lindividuo federativo. Lindividuo-soggetto federativo e` teleologico nel suo agire in quanto vuol raggiungere lo scopo di una vita comunitaria e sociale grazie al patto, che
rappresenta il suo strumento di iniziativa strategica. La razionalita`
teleologica e strategica dellindividuo-soggetto federativo si attua
dunque attraverso un confronto necessariamente verbale (la comunicazione argomentata di volonta` al fine della giustificazione delle
intenzioni e della legittimazione delle forme del patto) ed extraverbale (le relazioni personali in senso lato, le procedure del patto
stesso, ecc.). In conclusione: lindividuo-soggetto federativo e` necessariamente un soggetto che comunica al modo habermasiano, nel
senso che, come scrive Dellavalle, mira al raggiungimento di un
accordo condiviso tra tutti i cointeressati, sulla base di un confronto
aperto sui fini e sui contenuti dellagire (133). Rispetto ai limiti messi
in mostra dal paradigma comunicativo sul piano politico interno
e internazionale (134), pero`, quello federalista puo` forse intervenire
con maggiore efficacia sulla prassi politica, grazie alla ricchezza
pragmatica della teoria federalista dello stato (che si traduce anche,
e soprattutto, nella teoria dello stato federale), a partire appunto
dallesperienza americana fino a quelle ottocentesche e novecente(133)
(134)
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dagli stati nazionali, che sono ancor oggi i soggetti aventi il maggior
peso (se non esclusivo) in termini di identita` nazionale e poteri
sovrani in Europa. E` evidente che non e` ammissibile, per la natura
stessa del paradigma appena enunciato, alcuna ipotesi di emarginazione o superamento degli stati nazionali, cos` come delle realta`
regionali o locali. E` anzi da supporre larricchimento dei loro aspetti
etnico-culturali e sociali, nel mantenimento di precisi poteri nazionali di decisione di ultima istanza (penso, per esempio, al potere di
grazia), e di competenze politico-amministrative per tutto cio` che
attiene al territorio e alla popolazione di ognuno secondo unampia
realizzazione del principio di sussidiarieta`. Credo che il paradigma
federalista-comunicativo teste tracciato possa ammettere agevolmente tutto cio`. Ma nel presupposto necessario del venir meno
dellesclusivita` e dellassolutezza della sovranita` nazionale, in quanto
il paradigma federalista-comunicativo: a) proclama lintangibilita` dei
valori e degli interessi sostantivi propri di ciascun livello di aggregazione socioculturale, purche naturalmente questi siano posti in
modo da evitare che qualcuno di loro si trovi in conflitto irrimediabile sul piano politico con quelli di qualche altro livello di appartenenza; b) afferma la cittadinanza contestuale e plurale, quindi non
crea subordinazione gerarchica tra le differenti forme in cui essa si
esprime; c) sottolinea lesigenza di un patriottismo costituzionale sia
al livello nazionale che al livello europeo, lasciando campo libero allo
sviluppo di patriottismi culturali, nel presupposto ammissibile che i
secondi non si pongano in conflittualita` con i primi; d) attesta,
attraverso la teoria dello stato federale, che agli stati nazionali sia
dato un ruolo di primo piano sia nella fase di costituzione della
federazione europea con una presenza diretta, sia nella fase di
istituzionalizzazione a regime, attraverso il modello parlamentare
bicamerale e la costituzione di una Camera degli stati dotata di ampi
poteri legislativi e di controllo politico. Del pari, il paradigma
federalista comunicativo non si pone in contrasto irresolubile con le
esigenze rappresentate nelle ipotesi di multilevel systems of government, in quanto puo` contemperare il contributo di partecipazione e
direzione della cosa pubblica proveniente da vari soggetti pubblici e
privati, statali e non, ai vari livelli di governo della statualita` federale
infra- e sovranazionale, pur mantenendo i caratteri di maggior
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1.
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Agli effetti pratici, tuttavia, quel che emerge e` che leffetto dellapplicazione di tali diverse regole conduce al medesimo risultato, il che
puo` dar limpressione che la regola sia la medesima.
Ma per altri tipi di conflitti, e` chiaro non solo che le regole di
soluzione sono diverse, ma che esse possono anche portare ad un
risultato diverso. In questo caso occorre allora rassegnarsi a concludere che il conflitto non ammette una soluzione valida per qualsiasi
prospettiva giuridica. Quando, ad esempio, le Corti costituzionali
degli Stati membri si riservano il potere di sindacare la legittimita` di
atti normativi comunitari alla luce dei valori fondamentali del proprio ordinamento, esse non fanno che applicare una regola di
soluzione dei conflitti che discende dalla propria Costituzione e la
cui applicazione puo` produrre effetti irrimediabilmente incompatibili con quelli prodotti dalla regola di soluzione propria dellordinamento comunitario (2). Cos` anche quando il giudice interno
rivendichi il proprio potere di negare applicazione ad una norma
dellUnione, ritenendo che essa sia stata adottata chiaramente al di
fuori della sfera delle competenze attribuite a tale ente, esso non fa
che applicare una regola di soluzione dei conflitti che ha validita` solo
nellambito del proprio ordinamento nazionale (3). In ambedue i casi
la regola di soluzione dei conflitti propria dellordinamento dellUnione e` ben diversa, sia dal punto di vista procedurale che da
causa 106/77, in Racc., 1978, p. 629 ss.), e nella giurisprudenza delle Corti costituzionali
nazionali (v. la sentenza della Corte costituzionale italiana nella sentenza Granital, 8
giugno 1984, n. 170, e lordinanza della Corte costituzionale tedesca del 9 giugno 1971).
(2) Si vedano le sentenze della Corte costituzionale italiana nei casi Frontini, 27
dicembre 1973 n. 183, e Fragd, 21 aprile 1989 n. 232, e il celebre Maastrichtsurteil della
Corte costituzionale tedesca del 12 ottobre 1993.
(3) Questa possibilita` e` stata prospettata nella sentenza della Corte costituzionale
tedesca relativa alla legittimita` costituzionale del trattato di Maastricht, menzionata
sopra, nonche nella sentenza della Corte suprema danese del 6 aprile 1998, relativa
anchessa alla costituzionalita` del trattato di Maastricht. Essa e` stata recentemente
ribadita dalla Corte costituzionale tedesca; v. in particolare la sentenza del 7 giugno 2000
che ha chiuso la complessa controversia relativa alla legittimita` costituzionale del
regolamento che aveva stabilito un mercato comune delle banane; controversia che e`
sembrata a lungo poter originare un conflitto radicale fra ordinamento costituzionale
tedesco e ordinamento comunitario. La Corte ha peraltro evitato di trarre le conclusioni
di questa regola e pervenire quindi ad una dichiarazione di incostituzionalita` del diritto
comunitario.
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quello sostanziale, in quanto questo ordinamento appresta un proprio apparato giurisdizionale al quale e` affidato il potere esclusivo di
valutare la validita` di atti comunitari nonche un proprio parametro
di norme fondamentali rispetto ai quali tale giudizio va effettuato.
Ne mancano altri esempi di conflitti che non ammettono una
soluzione univoca.
In una valutazione di tipo empirico, si potrebbe tracciare una
distinzione fra conflitti del primo e conflitto del secondo tipo. I
primi sono conflitti a basso contenuto valutativo, rispetto ai quali,
generalmente, gli Stati membri ammettono una competenza esclusiva dellordinamento dellUnione a dettare le regole di soluzione. I
secondi sono invece conflitti nei quali si riflettono interessi e valori
fondamentali, ovvero nei quali si riflette la capacita` espansiva di un
ordinamento a danno dellaltro, per i quali sembra indicata la
formula dei conflitti di sovranita`. Rispetto ai secondi, quindi, non
solo gli ordinamenti degli Stati membri rifiutano di riconoscere la
competenza esclusiva dellUnione a disciplinarne lesito; essi anzi,
espressamente, si riservano il potere di disciplinarli, eventualmente
in contrasto con le regole dellUnione. Analizzando le regole di
soluzione dei conflitti, nei loro reciproci rapporti, si puo` quindi
osservare un fenomeno che emerge invero anche adottando un
diverso punto di osservazione: gli ordinamenti degli Stati membri
assumono, rispetto allordinamento dellUnione, un atteggiamento
che non e` ispirato ne ad una completa autonomia, ne ad una
completa integrazione. Essi cioe` ammettono che lUnione disciplini
i conflitti fra norme dei diversi ordinamenti, ma solo fino ad un certo
livello di intensita`; si riservano invece di disciplinare autonomamente conflitti ad alto livello valutativo (4).
(4) Ne il rilievo di questa osservazione diminuisce per il fatto che, al di la` delle
dichiarazioni di principio, un conflitto vero e proprio non si sia mai prodotto in quanto
sia la Corte di giustizia che le Corti nazionali hanno utilizzato strumenti atti ad evitarne
linsorgere. Questo vuol dire, infatti, che il conflitto si e` realmente prodotto, ma non e`
stato risolto attraverso regole di carattere giuridico, bens` attraverso regole di carattere
politico. Daltra parte, proprio lesistenza di diverse regole di soluzione di conflitti, atte
a produrre soluzioni diverse ed incompatibili fra loro, finisce con il connotare il sistema,
per modo che, al fine di evitare di produrre un conflitto dallesito imprevedibile, i diversi
attori del gioco istituzionale possono essere indotti ad operare comportamenti diversi da
quelli che verrebbero presumibilmente adottati in un sistema di diverso tipo.
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supremazia del potere regio, vedeva le sue vicende legate per secoli
a quelle della monarchia assoluta.
Questa origine storica del concetto di sovranita` spiega perche da
esso rimaneva estraneo il diverso concetto di monismo normativo.
Vi sono per lo meno due spiegazioni per cio`: innanzitutto, nellambito delle prime monarchie assolute cio` che conta e` assicurare al
sovrano il predominio politico, e non anche il monopolio della
produzione normativa. Per un certo tempo, infatti, la sovranita`
istituzionale del sovrano convisse pacificamente con il pluralismo
normativo che caratterizzava i rapporti giuridici nella societa` da esso
governata (10). Ma anche quando lassolutismo regio fin` con lassorbire la funzione di produzione giuridica, mai peraltro compiutamente, lesigenza di una nozione che indicasse distintamente lunitarieta` dellordinamento giuridico non venne avvertita. Cio` per la
semplice ragione che la nozione di sovranita` istituzionale, con la
caratteristica di onnicomprensivita` ed illimitatezza che vi era insita,
finiva con lassorbire completamente ogni altro aspetto. Nellambito
di unorganizzazione statale priva di una interna articolazione di
poteri, quindi, la nozione di sovranita` continuo` ad essere una
nozione propria del pensiero politico, identificata con la pienezza,
lillimitatezza, lunitarieta` concettuale del potere.
5.
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tenza che essa, come sovente accade, non ha proceduto per via
lineare, ma attraverso un tortuoso percorso nel quale si possono
scorgere ravvedimenti e fughe in avanti, sul quale hanno pesato i dati
istituzionali e politici, e, non ultima, la profondita` di pensiero dei
principali protagonisti.
6.
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betrachten; den wie weit auch seine Competenz gezogen werde oder
wie Gro das Recht seiner leitenden Gewalt sei, das Ma und der
Grund derselben liegt in der Vereinbarung der Staaten, und in der
Uebertragung bestimmter Befugnisse, welche diese vornehmen (14). Riguardo agli Stati federali tuttavia varrebbe un diverso
principio. Eine solche Uebertragung oder richtiger ein Aufgeben
bestimmter Rechte kann auch bei dem Bundesstaat seiner ersten
Begru ndung vorangehen. Das ist aber nur ein einzelner historischer Act, ganz verschieden von jener Begru ndung der staatenbundlichen Gewalt, welche immer nur auf dem Grunde der Delegation
oder Bevollma chtigung beruht und sein eignes selbsta ndiges Recht
in sich tra gt (15).
Con indubbia modernita`, quindi, Waitz concepisce lo stato
federale come autonomo ed originario, che si distacca dallatto
istitutivo attraverso un processo di autoaffermazione. Daltra parte,
egli concepisce anche i singoli Stati come autonomi e originari:
dieser darf ebensowenig seine Berechtigung von jenem empfangen,
wie umgekehrt der Gesammtstaat nicht erst in der Bereinigung der
Einzelstaaten die Wurzel und der Grund seiner Existenz findet.
La reciproca autonomia giuridica delle due categorie di enti
comporta quindi una frammentazione della sovranita`: die Tha tigkeit, welche die Einheitsstaat ganz und ungetheilt umfat, ist hier
gewissermaen gespalten; fu r jeden Theil giebt es eine besondere
Organisation, jeder von beiden hat eine besondere Spha re, aber
innerhalb dieser Spha re ist der eine so selbsta ndig wie der andere.
Im Bundesstaat hat der Gesammtstaat und der Einzelstaat jeder ein
geringeres Gebiet als der Einheitsstaat, aber, innerhalb seines Bereichs ist das Recht weder des einen noch des andern schlechter als
das des letztern. Man kann diese Selbsta ndigkeit mit einem in der
Politik u bliche Namen nicht unpassend Souvera nita t nennen (16).
Secondo Waitz dunque lo Stato federale, e la distribuzione di
competenze che in esso si realizza, rappresenta lesempio migliore di
sovranita` divisa, la cui somma ricostituisce la unitarieta` dei poteri
sovrani: nur da ist ein Bundesstaat vorhanden, wo die Souvera nita t
(14)
(15)
(16)
Ibid.
Ibid.
Ibid., p. 166.
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nicht dem einen und nicht dem andern, sondern beiden, dem
Gesammtstaat (der Centralgewalt) und dem Einzelstaat (der Einzelstaatsgewalt), jedem innerhalb seiner Spha re, zusteht (17). Di
conseguenza, Waitz espressamente indica come la sintesi della sovranita` coincida con la somma dei poteri assegnati a ciascuna delle
sue parti. Non vi e` invece in Waitz alcun riferimento alla necessita` di
concepire regole di soluzione dei conflitti di competenza. Cio` in
quanto per egli la sovranita` risiede proprio nella esistenza di sfere di
competenza costituzionalmente garantite.
Riferimenti al criterio della competenza come elemento per
affermare la coesistenza di piu` sfere di sovranita` ripartite non
mancano nelle piu` tarde ricostruzioni, le quali tuttavia non hanno
certo la nettezza della concezione waitziana, e paiono semmai costituire un ponte fra questa e le dottrine che tendono a ricostruire
lunitarieta` concettuale della sovranita`.
Fra queste, conviene ricordare la teoria della sovranita` relativa,
sviluppata da Georg Meyer (18). Meyer parte da una rigorosa concezione normativa della sovranita`: Die Einfu hrung Konstitutioneller Verfassungen hat den Gedanken von der Schrankenlosigkeit des
Herrschers beseitigt Durch die weitere Ausbildung der juristischen Lehre von Staat sind die Personen des Staates und des
Herrschers scha rfer voneinanderer geschieden worden, per concludere tuttavia nel senso dellesistenza di piu` sfere di competenza
normativa che si limitano reciprocamente, e non abbisognano quindi
di una norma di soluzione dei conflitti: Souvera nita t ist auch
innerhalb eines beschra nkten Bereiches und ohne Kompetenz-Kompetenz denkbar. Zur Souvera nita t eines Gemeinwesens wird nur
erfordert, da die demselben zustehenden Kompetenz ihm ohne
seinen Willen nicht entzogen werden du rfen. Meyer si avvicina cos`
allidea che ogni titolare di potere costituzionalmente autonomo
sarebbe portatore di una sovranita` parziale.
In un ordine di idee parzialmente analogo, Bluntschili, significativamente, rigetta lidea che la separazione dei poteri dia origine a
(17) Ibid.
(18) Lehrbuch des Deutschen Staatsrechtes, Vierte Auflage, Leipzig, Duncker und
Humblot, 1895, p. 15 ss.
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Kompetenzgrenze zu entscheiden und wer hat u ber eine Vera nderung der Kompetenz zu befinden. Weisen die Einzelstaaten durch
ihren Willen dem Bunde die Grenzen seiner staatlichen Befugnisse
zu oder empfangen sie umgekehrt von der Zentralgewalt die rechtliche Begrenzung ihrer Willensspha re? Nur eines von beiden ist
mo glich und die Beantwortung der Frage entha lt zugleich die
Entscheidung, wer souvera n ist, die Zentralgewalt oder der Einzelstaat (31). Sarebbe difficile immaginare una piu` chiara percezione
della sovranita` come regola di soluzione dei conflitti (32).
9.
Compimento teorico di questa evoluzione, e sintesi dellunificazione concettuale della sovranita` interna e di quella internazionale
appare la dottrina delineata da Jellinek. Questi, che pure aveva
accolto inizialmente la concezione della sovranita` come KompetenzKompetenz, ed aveva anzi contribuito in maniera assai accentuata a
svilupparne le conseguenze applicative, perveniva poi ad una nuova
nozione di sovranita`, destinata, nei suoi intenti, a fornire la saldatura
fra attivita` normativa interna ed attivita` normativa esterna dello
Stato.
(31) Das Staatsrecht des deutschen Reiches, cit., p. 55 ss. Conviene notare come nel
sistema concettuale di Laband scompare ogni riferimento alla concezione istituzionale
della sovranita`, considerata come un relitto dellepoca precedente. Si veda, ad esempio,
la serrata critica alla dottrina di Preu: Neuerdings hat Preu die Verwendung der
Souvera nita tsbegriffs, den er fu r die radix malorum der ganzen Wissenschaft des
o ffentlichen Rechts ha lt, als fehlerhaft, wertlos und irrefu hrend bezeichnet. Unter
Souvera nita t versteht er aber die schrankenlose Gewalt des absoluten Staates. Insoweit
ist seine Kampf ein Streit gegen Windmu hlen; denn daru ber sind alle einig, da eine
derartige Gewalt nicht nur fu r den heutigen Staatsbegriff nicht wesentlich ist, sondern
u berhaupt nicht verwirklicht werden kann (ibid., p. 74, nota 1).
(32) Lidentificazione della sovranita` in un potere specifico, quello di dettare le
regole di soluzione dei conflitti, consente quindi a Laband di costruire i criteri di
attribuzione della sovranita` secondo un meccanismo a soglia (tutto o niente). Si veda
la critica, ammirabile per concisione, alla dottrina della sovranita` relativa di Meyer ed
altri: Der Versuch den Gliedstaaten eine verminderte Souvera nita t beizulegen, ist
nicht zur lo sung des Problems geeignet, da eine Verminderung der Souvera nita t eine
Negation derselben ist (ibid., p. 58).
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Nella sua piu` matura analisi della dinamica giuridica pubblicista, Jellinek sottopone a critica la concezione della sovranita` come
competenza della competenza partendo dallassunto che, in questo
sistema concettuale, il potere politico e` illimitato, mentre, dallosservazione empirica egli deduce losservazione di come esso sia
limitato dallordinamento giuridico, che vincola bilateralmente sudditi e Stato. Nella esclusiva capacita` dellordinamento giuridico di
porre i vincoli giuridici allesercizio del potere politico Jellinek vede
quindi il carattere essenziale della sovranita`: Ausschlieliche Verpflichtbarkeit durch eigenen Willen ist das juristische Merkmal des
souvera nen Staates. Souvera nitet ist demnach die Eigenschaft eines
Staates, kraft welcher er nur durch eigenen Willen rechtlich gebunden werden kann (33). Di conseguenza, la sovranita` non equivale a
potere assoluto. Si tratta bens` di un potere giuridicamente vincolato
nelle forme volute dallordinamento: Aus dieser Definition folgen
logisch alle die Eigenschaften, in welchen entweder das Wesen der
Souveraneta t gesucht wurde, oder sie ihren pra gnantesten Ausdruck
finden soll. Es ergibt sich aus den festgestellten Begriffe, wie unsere
Entwicklung soeben gezeigt hat, dass die Souvera neta t die ho chste
und unabha ngige Mach in sich schliesst. Es ergibt sich, dass der
Souvera ne Staat innerhalb der im durch seine Natur gezogenen
Grenzen seine Competenzen feststellen kann. Es ergeben sich sa mmtliche Hoheitsrechte, d.h. die oberste normierende Tha tigkeit des
Staates nach allen Richtungen des staatlichen Lebens, als Consequenz des Souvera neta sbegriffes. Es ergibt sich ferner aus demselben die Untheilbarkeit der Souvera neta t; ein ausschlieliches Recht
kann nicht getheilt werden, sonst wa re es eben nicht ausschlielich. Endlich ergibt sich die Ewigkeit der Souvera neta t, denn es ist
keine Macht vorhanden, die ihr eine Befristung setzen ko nnte (34).
Nella sua Teoria generale (35), questo concetto era poi precisato:
Potere sovrano, adunque, non e` onnipotenza statale: esso e` una
forza giuridica e percio` vincolata dal diritto. Beninteso esso non
(33) Die Lehre von den Staatenverbindungen, Wien, 1882, Neudruck, Scientia
Verlag, Aalen, 1969, p. 34.
(34) Die Lehre, cit., 34 s.p.
(35) Allgemeine Staatslehre, trad. it., La dottrina generale del diritto dello Stato,
Milano, Giuffre`, 1949.
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potere normativo interno. Monismo dellordinamento statale e pluralismo nei rapporti con lordinamento internazionale sembrano
quindi non solo compatibili, ma anzi, si configurano come due
articolazione di una unica prospettiva teorica.
E` essenzialmente intorno a questo nuovo nucleo concettuale, rappresentato dal monismo dellordinamento statale, che i fondamenti
della natura giuridica dello Stato, e quindi il nuovo concetto della
sovranita` in senso normativo, hanno trovato sistemazione teorica.
Contestuale alla definizione di una autonoma nozione di sovranita`
normativa, infatti, e` laffermazione della natura statuale della federazione, contrapposta alla confederazione, di natura convenzionale.
Nella federazione, e non nella confederazione, si realizzerebbe quellunicita` della prospettiva giuridica che caratterizza lorganizzazione
dello Stato. Nella confederazione, invece, si avrebbe una pluralita` di
ordinamenti, tutti egualmente dotati del potere di autodeterminare le
proprie regole di soluzione dei conflitti. La sfera di competenza della
confederazione, di conseguenza, non sarebbe autodeterminata, bens`
determinata dallesterno, dalla comune volonta` degli Stati membri. In
questa alternativa si riassumerebbe quindi lalternativa posta rispetto
al problema della sovranita` dalle forme composte di Stato: o si tratta
di uno Stato in senso proprio, dotato di sovranita` e, quindi, capace di
determinare esso medesimo le regole di soluzione di conflitti che vi
insorgono allinterno, ovvero si tratta di un ente privo di statualita`, in
quanto vi e` presente una pluralita` di prospettive giuridiche per la
soluzione dei conflitti, nessuna delle quali capace giuridicamente di
imporsi alle altre.
La visione dello Stato sovrano come ente provvisto necessariamente di una prospettiva giuridica unitaria, come ente normativamente monista, pur se istituzionalmente pluralista, ha proiettato la
propria influenza ben al di la` della occasionale contingenza storica
che ne ha permesso la piena affermazione. Se si guarda infatti alle
moderne costituzioni statali, esse assumono a proprio presupposto,
talora affermato espressamente, talaltra taciuto, lesistenza di un
ordinamento giuridico concettualmente unitario (39). Lessenza
(39) Ed in questo ambito ricostruiscono la sovranita` come norma tesa alla
soluzione dei conflitti non solo fra sfere di competenza, ma anche fra valori. E` in questo
periodo che inizia ad affermarsi lidea che la sovranita` non e` illimitatezza del potere
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Considerazioni conclusive.
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diciamo fin dora che se quella regola dovesse permanere, e contemporaneamente non si affermasse la necessita` della approvazione
popolare, sarebbe difficile, a mio avviso, resistere alle obiezioni di
chi considera quanto meno improprio luso del termine-concetto di
costituzione con riferimento allesito del processo di riforma dei
Trattati. In una parola, ancora una volta si sarebbe fatto un nuovo
Trattato, magari rafforzando ancora di piu` il piano comunitario, ma
non una costituzione.
2.
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Costituzione federale. Questultima non avrebbe dovuto infatti essere intesa come la Costituzione che afferma la sovranita` dello Stato
federale, ed avrebbe piuttosto dovuto rappresentare la norma fondamentale capace di ordinare le relazioni tra tutti i poteri, federali e
statali, che e` cosa anche intuitivamente diversa.
Non e` certo un caso che proprio quel 17 luglio, che sopra si
ricordava come data che segna la sconfitta definitiva di tutti coloro
che volevano imporre il veto del Congresso degli Stati Uniti sulle
legislazioni statali, crei i presupposti per laffermazione della celebre
clausola di supremazia, che poi sara` contenuta nellarticolo VI,
secondo comma, della Costituzione: Questa Costituzione e le leggi
degli Stati Uniti che verranno fatte in conseguenza di essa, e tutti i
trattati conclusi, o che si concluderanno, sotto lautorita` degli Stati
Uniti, costituiranno la legge suprema del Paese; ed i giudici di ogni
Stato vi saranno vincolati, quali che siano le disposizioni in contrario
contenute nella Costituzione o nella legislazione di ogni Stato.
Insomma, una volta ricacciato indietro quel particolare tipo di
supremazia che sidentificava nella superiorita` gerarchica del potere federale, e della legge federale, sui poteri statali, e sulle leggi
statali, si creavano le condizioni per ammettere comunque, ed
inserire nella Costituzione, una nuova supremazia, che era pero`
quella della Costituzione medesima come legge suprema del Paese,
che in quanto tale non poteva non rappresentare, anche per i giudici
statali, la prima norma da applicare.
Vedremo piu` avanti qualche ulteriore implicazione di questa
scelta, evidentemente collegata al judicial review, al controllo diffuso
di costituzionalita`. Per ora premeva sottolineare la rilevanza di
questo insegnamento contenuto nella esperienza costituzionale americana: la costruzione di unUnione, di ununita` politica comune, che
parta da una pluralita` di sovranita` statali distinte, passa difficilmente
per la via diretta dellaffermazione di una nuova sovranita` a scapito
delle sovranita` esistenti, e sceglie piuttosto la via giurisdizionale, del
comune dovere di applicazione della medesima legge da parte di
tutti i giudici. La lesione al principio di sovranita` esiste comunque,
perche ora i giudici statali possono, ed anzi in certi casi debbono,
disapplicare la legge statale, che era fino a questo momento per loro
la fonte in cui si racchiudeva tutto il diritto da applicare, ma si tratta
di una lesione ben piu` ammissibile di quella che sarebbe derivata
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Il processo costituente americano non si arresto` con lemanazione della Costituzione Federale. Subito dopo, fu messo in moto il
procedimento che avrebbe condotto, il 15 dicembre del 1791,
alladozione del Bill of Rights. Anche questo puo` costituire un utile
elemento di comparazione con lEuropa, che in una certa misura
lega laffermazione della esistenza di un processo costituente europeo anche alla recente proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea (17).
La Carta europea e` certamente destinata, anche indipendentemente dal suo inserimento nel Trattato, a svolgere un ruolo di primo
piano. Nella sua vicenda si esprime bene quella via giurisdizionale
alla costruzione della comune forma politica, cui gia` si accennava
sopra a proposito della Costituzione federale americana: come si
ricordera`, i costituenti americani scartarono le soluzioni imperniate
sul principio della gerarchia dei poteri, come il veto congressuale
sulle leggi statali, e preferirono fondare la clausola di supremazia sul
dovere di tutti i giudici, statali e federali, di applicare in primo luogo
la Costituzione, la legge fondamentale del Paese.
La situazione europea non e` certo questa. Vi opera pero`, gia` ora,
il noto principio del primato del diritto comunitario su quello
nazionale, e dunque lobbligo dei giudici statali, nelle materie di
competenza comunitaria, a fronte di una normativa statale incompatibile con il diritto comunitario direttamente applicabile, di procedere senzaltro alla applicazione di questultimo ed alla conseguente non applicazione della norma statale interna. In seno alle
giurisdizioni degli Stati membri si e` dunque gia` ora accettata lidea
(17) Sul punto si veda S. NINATTI, Catalogo dei diritti e centralizzazione delle
competenze nelle esperienze federali: uno sguardo oltreoceano, in La difficile Costituzione europea, ricerca dellIstituto Luigi Sturzo, a cura di U. DE SIERVO, Bologna, 2001,
pp. 145 e ss.
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attraverso il meccanismo ormai noto del primato del diritto comunitario, non divenga di fatto uno strumento di destrutturazione delle
Costituzioni nazionali e del sistema dei diritti fondamentali in esse
incardinato.
A tale quesito rispondiamo negativamente. In realta`, quellesito,
cos` catastrofico per le Costituzioni nazionali, e` pensato e previsto
sulla base del vecchio armamentario del diritto pubblico statale,
dominante in Europa tra Otto e Novecento: se ce` una Costituzione,
vuol dire che ce` uno Stato, e dunque che sono in pericolo le
sovranita` degli Stati esistenti, con le loro rispettive Costituzioni. Non
sara` cos` in Europa, poiche la stagione del diritto pubblico statale e`
storicamente ormai trascorsa. Cio` che il processo costituente europeo sta costruendo non e` un nuovo Stato dotato dei caratteri
tradizionali della sovranita`, ma unoriginale forma politica sovranazionale, la cui Costituzione conterra` una parte comune, in una certa
misura gia` espressa nella Carta, e che sempre piu` si precisera` nel
dialogo tra le giurisdizioni, comunitaria e nazionali, e tante parti
proprie quanti saranno gli Stati membri, entro le quali si conserveranno gli specifici nazionali, anche se non in modo chiuso ed isolato,
ma entro un rapporto di continua dialettica con la parte comune.
Del resto, anche lo stesso Bill of Rights americano non fu affatto
concepito come un sistema di principi e di valori da imporre agli
Stati. Al contrario, in una celebre deliberazione del 1789 il Congresso degli Stati Uniti, respingendo un emendamento di Madison,
stabil` che il Bill of Rights non si dovesse applicare in ambito statale,
ovvero che non fosse ammissibile lipotesi di una legge statale da
dichiarare nulla, e da disapplicare, in quanto contraria al medesimo
Bill (20). Ne si puo` dimenticare che il medesimo testo costituzionale
conteneva il celebre X emendamento: I poteri non delegati dalla
Costituzione agli Stati Uniti, o da essa non vietati agli Stati, sono
riservati ai rispettivi Stati, ovvero al popolo, che unito al precedente
IX: Lenumerazione di alcuni diritti fatta nella Costituzione non
potra` essere interpretata in modo che ne rimangano negati o menomati altri diritti che il popolo si e` riservato, ribadiva con forza il
(20) Si veda in proposito States Rights and American Federalism, ed. by F.D.
DRAKE e L.R. NELSON, Westport-London, 1999, pp. 67 e ss.
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ruolo degli States Rights, e dunque lintegrita` del sistema dei diritti
fissato nelle Costituzioni statali.
Certo, come` ben noto, le vicende successive volgeranno nel
senso di un incremento consistente dei poteri federali a scapito di
quelli statali, ma piu` sulla base di una nota interpretazione estensiva
della necessary-and-proper clause, contenuta nellultimo capoverso
della sezione ottava dellarticolo primo della Costituzione federale,
che non per la via del Bill of Rights, che ancora una sentenza del
1833 della Corte Suprema considerava non opponibile agli Stati ed
alla loro legislazione. In effetti, solo allinizio degli anni Venti del
Novecento la stessa Corte Suprema, facendo leva soprattutto sul
XIV emendamento, arrivo` alla conclusione che gli Stati fossero
sottoposti al principio del due process of law contenuto nel Bill of
Rights, ed in particolare nel V emendamento (21).
In realta`, proprio la vicenda americana mostra come in una
situazione di partenza data da una pluralita` di Stati sovrani sia ben
difficile arrivare al risultato di poter legalmente opporre alle leggi, ed
alle Costituzioni statali, diritti fondamentali ad esse ritenuti superiori
perche fondati nella legge fondamentale comune, approvata dagli
Stati stessi. Se negli Stati Uniti si e` impiegato ben piu` di un secolo
per arrivare a questo risultato, nonostante la clausola di supremazia
contenuta nella Costituzione, e nonostante limmediata adozione del
Bill of Rights come parte integrante della Costituzione medesima,
non si vede perche in Europa gli Stati debbano cos` facilmente
lasciare che le loro Costituzioni siano sovvertite sul piano europeo.
Del resto, non e` proprio un caso che la stessa Carta europea si
preoccupi in modo cos` marcato di rassicurare su questo punto, con
le disposizioni sullambito di applicazione e sul livello di protezione
(21) Cos` recita la necessary-and-proper clause: che il Congresso avra` facolta` di
fare tutte le leggi necessarie ed adatte per lesercizio dei detti poteri, cio` che indubbiamente attenuava assai, nel passaggio dalla Confederazione alla Federazione, il principio di tassativita` delle materie su cui il Congresso poteva esercitare le sue competenze.
Per la sentenza della Corte Suprema del 1833 si veda States Rights and American
Federalism, cit., p. 91. Il XIV emendamento, del 23 luglio 1868, stabiliva che
Nessuno Stato privera` alcuna persona della vita, della liberta`, o della proprieta`, senza
una procedura legale nella dovuta forma. Anche su questa fase, si vedano i documenti contenuti in States Rights, cit., pp. 139 e ss. Sotto un profilo diverso, si veda anche
John Marshall. Judicial Review e Stato federale, a cura di G. BUTTAv , Milano, 1998.
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mere, ma prima ancora perche si pensa che il trattato non basti piu`,
che linsieme delle relazioni tra gli Stati non sia piu` contenibile nella
dimensione del trattato e formi invece un ordine che merita una
costituzione. Questo sembra essere il punto al quale si e` arrivati oggi
in Europa, ed e` da questa prospettiva che sembra imminente un vera
e propria svolta per il processo costituente europeo.
Gia` avevamo posto questo problema, allinizio del nostro contributo: quando la riforma dei Trattati cessa di essere una semplice
opera di riordino e di semplificazione per divenire vera e propria
opera costituente? E` certamente importante che il Trattato dellUnione riformato accolga la Carta, dando cos` ulteriore impulso
alla formazione, per via giurisprudenziale, del diritto costituzionale
comune europeo. Noi crediamo pero` che tutto questo non sia
rappresentabile ancora come un autentico processo costituente. Il
processo costituente europeo non puo` operare solo con lo strumento
della giurisprudenza, ed alimentarsi di una logica puramente incrementale ed evolutiva. Anche in questo caso, per avere una costituzione e` necessaria una decisione. E` quella decisione che assunsero
come abbiamo visto i costituenti americani, quando abbandonarono la via della revisione degli Articoli di Confederazione, e con
essa la duplice regola della unanimita` degli Stati e della semplice
approvazione parlamentare.
Quella regola era contenuta nellarticolo tredicesimo degli Articoli di Confederazione. Anche noi in Europa abbiamo oggi il
nostro articolo tredicesimo da superare: e` larticolo 48 del Trattato
sullUnione Europea, che prevede il metodo della Conferenza intergovernativa per la modifica dei Trattati, e si conclude con un ultimo
comma: Gli emendamenti entreranno in vigore dopo essere stati
ratificati da tutti gli Stati membri conformemente alle loro rispettive
regole costituzionali (23). La differenza con gli Articoli di Confederazione sta solo nel fatto che larticolo 48 del Trattato si limita a
rinviare alle regole costituzionali degli Stati membri, non prescrivendo un modo di ratifica che si esaurisca necessariamente nella
(23) Sulla regola del comune accordo nella revisione dei Trattati, vedi B. DE
WITTE, Il processo semi-permanente di revisione dei trattati, in Quaderni costituzionali,
3/2002, pp. 499 e ss. Nello stesso Quaderno vedi anche le considerazioni di G. AMATO,
La Convenzione Europea. Primi approdi e dilemmi aperti, ibid., pp. 449 e ss.
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normativi, sulle procedure di decisione. E che questa sia la costituzione dovra` essere chiaro anche per il tramite, come sempre decisivo, delle future norme sulla revisione, che dovranno prevedere, per
tale nucleo, la protezione di un procedimento particolarmente
aggravato, con maggioranze particolarmente elevate, sia allinterno
delle istituzioni dellUnione coinvolte nel procedimento, sia in sede
di ratifica da parte degli Stati membri. Se questo dovesse essere
davvero lesito del processo che stiamo analizzando, nel decorso del
tempo ci abitueremmo a considerare costituzione nientaltro che
questo, ovvero quella parte del patto tra gli Stati che si presenta
come piu` rigida perche contenente i caratteri essenziali del patto
medesimo: cio` che pare essere per altro una conclusione del tutto
adeguata e logica per una vicenda singolare come questa, che sembra
produrre per lappunto una costituzione a partire da un trattato.
Rimane pero` un problema, che e` in un certo senso quello dal
quale siamo partiti. Ricordiamo per un attimo il celebre intervento
alla Costituente di Filadelfia di James Madison, del 23 luglio
1787 (25). Madison sapeva bene che la regola per la riforma degli
Articoli di Confederazione, ancora ben vigenti tra gli Stati, era quella
della unanimita`, e sapeva altrettanto bene che per lo meno due Stati
Rhode Island e North Carolina avrebbero votato contro. Con
grande decisione disse allora alla Convenzione: la regola della
unanimita` vale per la riforma degli Articoli, ovvero del trattato
esistente, ma noi non stiamo riformando un trattato, ma facendo una
cosa diversa, che si chiama costituzione, che noi fonderemo sulla
volonta` dei popoli, oltre quindi la semplice approvazione delle
legislature statali prevista dagli Articoli, e quando quella volonta` sara`
chiaramente espressa da parte delle Convenzioni appositamente
elette di 9 Stati su 13 , noi metteremo legittimamente in vigore la
Costituzione, tra gli Stati che lavranno approvata.
Oggi siamo in Europa al medesimo punto. Se ne sono accorti gli
autori dello Studio di fattibilita` della Commissione Europea del 5
dicembre, che sopra abbiamo gia` ricordato. Certo, non e` piu` il
tempo delle Assemblee costituenti, e cos` non troviamo, in questo
documento, i toni perentori di Madison, o una formulazione altrettanto netta della differenza tra trattato e costituzione. Anzi, il
(25)
296
(2002)
tentativo e` palesemente quello di conciliare, di stemperare, di ricondurre alla dimensione della procedura regolata il passaggio dal
trattato alla costituzione. Non ve` dubbio tuttavia che il problema sia
quello, in sostanza lo stesso formulato da Madison.
Si propone cos` che la Costituzione europea denominata
Treaty on the Constitution entri in vigore mediante un Agreement
tra gli Stati membri, che prevede quanto segue: 1) che almeno tre
quarti degli Stati formulino una dichiarazione solenne di appartenenza alla Unione Europea, ora dotata di Costituzione (articolo 5);
2) che con gli Stati che non intendano formulare tale dichiarazione
si aprano negoziati tesi a disciplinare la loro futura posizione nei
confronti dellUnione (articolo 4); 3) che ad una certa data, a
condizione che almeno cinque sesti degli Stati abbiano sottoscritto
lAgreement, o nella forma della dichiarazione solenne, o in quanto
abbiano concluso i negoziati previsti nel punto precedente, la Costituzione entri in vigore, ovviamente tra gli Stati che labbiano
ratificata nella forma prevista al punto primo (articolo 6. 2 e 3).
Lintento e` evidente: salvare il piu` possibile la regola della
unanimita` prevista nellarticolo 48 attraverso lo strumento dellAgreement, nella speranza che tutti gli Stati trovino il modo di
esprimere in esso la propria posizione, di piena appartenenza, o di
associazione piu` o meno stretta, secondo quanto si stabilira` nei
negoziati con ciascuno degli Stati che non intenderanno ratificare la
Costituzione. E tuttavia, la spessa coltre delle regole di procedura
non riesce a nascondere del tutto la sostanza: che quando si sara`
raggiunta nel senso che sopra abbiamo precisato la quota dei
cinque sesti degli Stati, lAgreement sara` considerato concluso,
creando cos` il presupposto per lentrata in vigore della Costituzione, ovviamente tra i soli Stati che lavranno ratificata. A quel
punto, ogni ulteriore negoziato, eventualmente ancora in corso,
diverra` irrilevante, perche si sara` creata come una nuova legittimita`,
che rendera` possibile non attendere piu` nessuno. Si presumera` anzi
che gli Stati fuori dallAgreement siano ormai, per loro stessa
volonta`, fuori dallUnione.
Alla fine, vi e` dunque, anche in questo caso, una decisione alla
base della costituzione: si e` cioe` deciso che in cio` che chiamiamo
Costituzione europea sia contenuto un complesso di principi, e di
regole, di tale rilevanza per lEuropa da non poter essere lasciato
297
MAURIZIO FIORAVANTI
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(2002)
spettiva storica (2); ora che alla prassi delle tradizioni costituzionali
comuni e` conferito un ruolo privilegiato dal fenomeno globalizzazione (3), il problema diritto di resistenza puo` essere smontato
nelle componenti della sua costruzione teorica ottocentesca e riportato ad una questione fondamentale di prassi, intorno alla quale il
pensiero giuridico medievale e moderno ha costantemente e ripetutamente riflettuto. Il diritto al presente (4) delleta` della globalizzazione puo` comprendere, per laffollamento che lo caratterizza, il
carattere inclusivo, piuttosto che esclusivo e selettivo (5) degli
argomenti utilizzati da giuristi medievali e moderni nel discutere non
tanto sul diritto di resistenza, quanto piuttosto sulla liceita` di
resistere secondo il diritto/i diritti.
Prima di entrare in medias res vale la pena ricordare quale
attenzione ricevesse il diritto di resistenza poco piu` di trentanni
fa. Lo si fara` sulla base di un breve ma denso intervento di un
filosofo del diritto (Norberto Bobbio), e di una lunga e dettagliata
voce quasi una monografia di uno storico del diritto (Giovanni
Cassandro): due esempi diversi di un forse comune Zeitgeist.
Nel 1971, nello stesso anno in cui si progettava il primo numero
dei Quaderni Fiorentini, Norberto Bobbio segnalava il rinnovato
interesse per il problema della resistenza, dopo aver sottolineato il
nesso tra stato liberale e democratico e costituzionalizzazione del
diritto di resistenza (6). Dal punto di vista istituzionale lo Stato
liberale e poi democratico, che venne instaurato a poco a poco nei
paesi piu` progrediti lungo tutto larco del secolo scorso, fu caratterizzato da un processo di accoglimento e di regolamentazione delle
varie richieste provenienti dalla borghesia in ascesa per un contenimento e per una delimitazione del potere tradizionale. Poiche queste
(2) P. COSTA - D. ZOLO (eds.), Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Milano,
Feltrinelli, 2002.
(3) P. GROSSI, Pagina introduttiva, cit.
(4) M.R. FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni,
Bologna, il Mulino, 2002.
(5) Ivi, p. 65.
(6) N. BOBBIO, La resistenza alloppressione, oggi, relazione tenuta al convegno
sassarese su Forme di autonomia e diritto di resistenza nella societa` contemporanea
organizzato da PIERANGELO CATALANO (Autonomia e diritto di resistenza, Studi Sassaresi, III, 1970-71), ora in Leta` dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, pp. 159-179: 162.
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delleffettivita` di questo (essendo resistenza il contrario di obbedienza), vale a dire il venir meno parziale o totale dellobbligo di
obbedienza. La pensabilita` di un diritto di resistenza, pertanto, si
determina in funzione della pensabilita` di una differenza tra diritto
e potere tale che una definizione generalissima di esso potrebbe
essere: diritto di resistenza e` il diritto di un soggetto (individuo,
gruppo, popolo) di non obbedire ad un potere illegittimo o agli atti
del potere non conformi al diritto. Tale definizione, pur nella sua
generalita`, sottintende una distinzione tra potere legittimo e illegittimo; tra uso legittimo o illegittimo del potere. Distinzione che
diventa delicata e difficile laddove il potere si configura in particolare come il potere politico dello Stato, e specificamente dallepoca
in cui questo, superiorem non recognoscens, e` fatto coincidere con il
concetto di sovranita` (14).
Appare allora necessario riandare al pensiero giuridico che ha
formulato il dogma della sovranita` dello Stato (Stato di diritto, Stato
moderno), per osservare come l` sia stato costruito il diritto di
resistenza. Lesigenza odierna di verificare come siano stati forgiati
concetti gia` giudicati storicamente costanti e universalmente validi,
su cui si e` negli ultimi tempi sviluppato uno specifico campo di
indagine, tanto ricco quanto diversificato (15), costituisce anche da
qualche anno una urgente preoccupazione di alcuni storici impegnati a comprendere e a far comprendere come le peculiarita` e le
differenze della Alteuropa rispetto allEuropa degli Stati nazionali
sovrani possano in qualche modo servire alla comprensione dellEuropa contemporanea. Se la scienza giuridica tedesca ottocentesca e`
stata la prima ad assegnare il Widerstandsrecht allo Staatsrecht, la
attuale storiografia tedesca e` stata di nuovo la prima a voler conte(14) F.M. DE SANCTIS, Resistenza (diritto di), in Enciclopedia del diritto, XXXIX,
Milano, Giuffre`, 1988, pp. 994-1003: 994-995. La rilevanza di questa voce per una
attuale considerazione del problema e` ora nuovamente sottolineata da D. QUAGLIONI,
Conclusioni, in A. DE BENEDICTIS-K-H. LINGENS (eds.), Sapere, coscienza e scienza nel
diritto di resistenza (XVI-XVIII sec.) - Wissen, Gewissen und Wissenschaft im Widerstandsrecht (16.-18. Jahrhundert). Atti del Seminario Bologna 23-24 Febbraio 2001, Frankfurt
am Main, Klostermann, 2003 (in corso di stampa).
(15) V. la recente discussone nel convegno (organizzato dallIstituto universitario
Suor Orsola Benincasa) Per una storia dei concetti giuridici e politici europei (Napoli,
20-22 febbraio 2003), i cui atti sono di prossima pubblicazione.
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Hobbes; mentre le voci per una incondizionata obbedienza andavano da Lutero a Bodin a Hobbes, poi a Filmer, Kant e Gentz; e, di
contro, le voci per la legittimita` della resistenza e dellesercizio del
potere coercitivo contro lesistente potere dello Stato in casi particolari correvano da George Buchanan a John Milton, a John Locke,
a Algernon Sidney (29).
La Wissenschaftsgeschichte del problema diritto di resistenza
tracciata da von Friedeburg comprende ancora il Ranke della Geschichte der Reformation (1838-1840); si sofferma sulla particolare
importanza del concetto di Genossenschaft sia nella Restauration
der Staatswissenschaften di Carl Ludwig von Haller (1816), sia nel
Volksrecht und Juristenrecht di Georg Beseler (1843), sia e
ovviamente sul Johannes Althusius di Otto von Gierke (1879);
giunge quindi allo Staatsrecht und Naturrecht in der Lehre vom
Widerstandsrecht des Volkes di Kurt Wolzendorff (1916), il punto
piu` alto della proiezione della concezione dualistica dello stato
monarchico sugli argomenti di jus resistendi elaborati tra Riforma e
Illuminismo, e contemporaneamente la negazione del diritto di
resistenza in quanto corpo estraneo, anacronistico, nello Stato moderno. Diventato infatti lo Stato monarchico uno Stato costituzionale uno Stato moderno caratterizzato da un potere monarchico
costituzionalmente limitato il diritto di resistenza era inteso come
un contributo allorigine del diritto del nuovo Stato (come gia` aveva
intuito Schlo zer), ma ormai privo di significato attuale, dal momento
che lo Stato stesso forniva ai cittadini i mezzi giuridici per la tutela
dei loro diritti (30).
(29) Ivi, pp. 30-32.
(30) Ivi, pp. 33-45. Va segnalato che la Wissenschaftsgeschichte di von Friedeburg
prende in considerazione la posizione della cultura luterana ottocentesca, e poi soprattutto di Troeltsch, e dopo Weimar di Hans Baron, concludendosi con il processo di
revisione dellimmagine di Lutero e della ortodossia luterana successivo alla fine della II
Guerra mondiale. La ricerca di von Friedeburg e` parte integrante di questa stessa
revisione, condotta nel solco di altri studiosi come Luise Schorn-Schu tte, di cui, al
proposito, Politikberatung im 16. Jahrhundert. Zur Bedeutung von theologischer und
juristischer Bildung fu r die Prozesse politischer Entscheidungsfindung im Protestantismus,
in: A. KOHNLE-F. ENGENHAUSEN (eds.), Zwischen Wissenschaft und Politik. Studien zur
deutschen Universita tsgeschichte. Festschrift fu r Eike Wolgast zum 65. Geburtstag, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2001, pp. 49-66, e piu` in generale L. SCHORN-SCHU} TTE (ed.),
Alteuropa oder Fru he Moderne. Deutungsmuster fu r das 16. bis 18. Jahrhundert aus dem
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Ivi, p. 120.
Ibidem.
Ivi, pp. 119-120.
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Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
pp. 44-45.
pp. 119-120.
p. 120.
p. 122.
pp. 124-125.
p. 135.
312
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(2002)
Ivi, p. 5.
Ivi, p. 5.
Ivi, p. 8.
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serviva. Praticare tale delimitazione consentiva a Orlando di verificare un risultato positivo e uno negativo: Il Diritto costituzionale
esamina se fra i diritti di liberta` esiste anche il diritto alla resistenza
individuale: il diritto punitivo invece annovera fra i reati quello della
resistenza al pubblico ufficiale, e vuol determinare se sia motivo
dirimente il reato, lelemento di fatto che lufficiale suddetto agisse
illegalmente. Positivo e` quindi il primo esame, negativo il secondo:
ma esiste fra essi necessariamente un rapporto che sara` bene determinare (50). Il problema, come gia` in Masucci, poteva essere anche
affrontato nella fusione dei due aspetti. Ma era importante tenere
scrupolosamente distinti i campi delle scienze diverse perche la
ragion metodica risponde[va] sempre alla ragione intima dellargomento (51). Lesame puramente negativo del diritto penale aveva
bisogno del soccorso del diritto costituzionale, perche questultimo considerava non tanto se il cittadino che resisteva al procedimento illegale dovesse ritenersi come scusato, quanto piuttosto se
in tal caso egli usava di un suo diritto (52). La maniera in cui la
scienza del diritto costituzionale considerava la materia era semplice ed evidentissima: Il diritto costituzionale moderno studia lordinamento dei pubblici poteri col necessario presupposto della
liberta`: sia piu` o meno lato il senso col quale gli scrittori moderni
definiscono la scienza, quel presupposto vien sempre ritenuto esplicitamente o implicitamente. Ora la legittima resistenza apparisce
come una sanzione pratica della liberta` individuale ed in questo
senso il diritto di resistenza e` diritto di liberta` (53).
Essendo il diritto di resistenza un diritto di liberta`, il riconoscimento giuridico di esso non poteva neppure concepirsi in forme
di governo che non ammettessero liberta` ovvero, per Orlando, in
qualsiasi forma di governo precedente lo Stato dotato di costituzione
liberale. Qui, ad esempio, la resistenza ad un arresto illegale di un
cittadino (lesempio per antonomasia) non poteva essere ammessa
come diritto, comunque una liberale giurisprudenza [avesse] ammesso come dirimente il reato, il fatto dellillegalita` del procedimen(50)
(51)
(52)
(53)
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
pp. 41-42.
p. 54.
p. 44.
p. 45.
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Ivi, p. 46.
Ivi, p. 47.
Ivi, p. 56, n. 9.
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(2002)
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
pp. 68-69.
pp. 69-70.
p. 69.
pp. 69-70.
p. 71.
319
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Ivi, p. 73.
Ivi, p. 84.
Ivi, pp. 81-84.
Ivi, cit., p. 85.
Ibidem.
320
(2002)
Ivi, p. 86.
Ivi, p. 86.
Ivi, p. 87.
321
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(2002)
Le nuove indagini sul vocabolario dei conflitti politico-religiosi della prima eta` moderna (sulle quali ritornero` piu` avanti) ne
hanno pure individuato il profondo radicamento nella letteratura
giuridica tardomedievale (77). E` dallanalisi di questa letteratura, e
del sapere in essa espresso, che risulta evidente come la definizione
del resistere risulti dal negarne lidentificazione con il ribellare.
Finora non si e` dedicato a questo aspetto del problema lattenzione
che merita a parte alcune significative eccezioni proprio in
quanto consente di verificare la piena appartenenza del vocabolario
e del discorso del resistere alla dimensione del conflitto. Si tratta
infatti di vocabolario e discorso che si formano allinterno del
sistema del crimenlaesae, aprendovi un varco notevole (78), e
che possono ammettere sia il resistere individuale sia il resistere
collettivo. Il luogo originario e` nel commento di Bartolo da Sassoferrato alla costituzione imperiale Qui sint rebelles del 1312 e nei
Commentaria ai Tres Libri Codicis, due testi che stanno allinizio di
una tradizione di pensiero di lunghissima durata.
E` stato recentemente osservato da Diego Quaglioni che le
glosse di Bartolo alla Qui sint rebelles rappresentano il piu` alto
sforzo teorico della tradizione giuridica e politica di matrice italiana nella trattazione del tema dellobbedienza e della resistenza al
potere. Linserimento di queste glosse nel Corpus iuris conferisce
loro una importante funzione autoritativa nella scienza giuridica del
tardo medioevo e delleta` moderna, e ne fa la base di tutta la
speculazione successiva sul diritto di resistere (79). I passi piu` significativi del testo bartoliano sono la glossa a Tenore (80) e la glossa a
(77) D. BO} TTCHER, Ungehorsam oder Widerstand? Zum Fortleben des mittelalterlichen Widerstandsrechtes in der Reformationszeit (1529-1530), Berlin, Duncker &
Humblot, 1991.
(78) M. SBRICCOLI, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie
della scienza penalistica moderna, Milano, Giuffre`, 1974, p. 316.
(79) D. QUAGLIONI, Rebellare idem est quam resistere. Obe issance et re sistance
dans les glosses de Bartole a` la constitution Quoniam nuper dHenry VII (1355), in J.C.
ZANCARINI (ed.), Le Droit de re sistance XIIe-XXe sie`cle, Paris, ENS E ditions, 1999, pp.
35-46: 38.
(80) BARTOLO DA SASSOFERRATO, Super constituione extravaganti Qui sint rebelles, c.
104v: Tertia pars, in qua ponit statutum, ad cuius intelligentiam sciendum est, quod
rebellare idem est quod resistere, secundum Hug. C. de deser. l. 2. lib. 12. & hoc
resistere potest fieri faciendo aliquid contra, vel non faciendo, & non obediendo, vel
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il saggio di O. CALASSO, Luca da Penne, in Annali di storia del diritto, IX, 1965, pp.
313-369) e sulla sua utilizzazione anche in secoli successivi proprio in relazione al tema in
oggetto, ha richiamato lattenzione M. DAddio, Lidea del contratto sociale dai sofisti alla
riforma e il De Principatu di Mario Salamonio, Milano, Giuffre`, 1954. Cfr. ancora M.
MONTORZI, Fides in rem publicam. Ambiguita` e tecniche del diritto comune, Napoli, Jovene,
1984, pp. 325-365; M. ASCHERI, Diritto medievale e moderno. Problemi del processo, della
cultura e delle fonti giuridiche, Rimini, Maggioli, 1991, pp. 108-110. Il saggio di I. BIROCCHI,
Un finto contrattualismo: il diritto di resistenza in Giambattista De Luca, in A. DE BENEDICTIS-K-H. LINGENS (edd.), Sapere, coscienza e scienza nel diritto di resistenza, cit., mostra
la presenza di motivi di da Penne anche nella dottrina del tardo XVII secolo.
(87) Commentaria D. LUCAE DE PENNA, cit., pp. 11-12: Prohibitum. Casus. Si ex
aliqua causa (qu mult sunt) alicuius bona deferantur in fiscum, non licet officialibus fisci
auctoritate propria invadere ipsa bona sine speciali principis iussione. Quod si fecerint,
licitum est privatis quorum exinde interest, eis resistere: & a tali iniuria illos arcere. Si vero
ad capienda bona processerint cum literis principis, non licet tunc privatis resistere: sed
obedire tenentur. [...] Et nota quod privatus potest impune resistere officiali cum aliquid
facit contra iura. ut. hic, & in concor. hic signatis: immo punitur qui non resistit. j. de decur.
omnes. I. & hoc quando certum est ipsum inique ageret & manifeste contra legem. In dubio
autem obediendum est iudici [...] Sed pone, dum ageretur bellum, seu guerra in regno per
nonnullos prdones et illicitos invasores barbarica incursione, qua satis immanis est [...]
Quidam ex regnicolis ab his prdonibus vel infidelibus capti fuerunt, hi captivi cum non
possent aliter evadere, custodes occiderunt, & vulneraverunt: & sic facto carcere evaserunt:
accusantur de occiso, rupto carcere, & vi illata. Dic quod cum est notum captivum contra
iustitiam detineri, licitum est ei detentores occidere ut si non potest aliter evadere: evadat
qualitercumque potest. [...] non enim peccat qui defendit eum qui iniuriam patitur [...]
sed depellenda iniuria lex virtutis est. qui enim cum potest non repellit iniuriam a socio,
tam in ipso est iniuria, quam in illo qui facit. Item Proverb. 24. Erue eos qui ducuntur ad
mortem, & qui trahuntur ad interitum liberare necesses. Et Eccle. 4. Libera eum qui
iniuriam patitur de manu superbi. [...] immo nedum prmissa locum habent in capo a
prdonibus & latronibus, sed etiam a malis iudicibus: quinetiam contra iustitiam condemnato, licet tunc resistere condemnati, ut non ducatur condemnatus ad mortem: quia
tale iudicium simile est violenti latronum. Ed ideo sicut licet resistere latronibus, ita etiam
licet resistere principibus malis in tali casu. Et hoc verum, nisi a tali resistentia scandalum
sequeretur, quo casu licet damnatus resistere nequeat inferenti morte: fugere tamen de ipso
loco potest. [] Dicit etiam in hac. l. Dominus Bart. quod ad resistendum possit, qui vim
patitur, convocare amicos & vicinos. Et quod sine vocatione possint ad hoc venire [...] &
satis aperte probatur per suprascipta iura. Et subiungit quod consuetudine invenimus pro
maiori securitate, quos oppressi clamant alta voce, succurrite, succurrite: pro quo inducit
ff. vi. bon. rap. l. prtor. . si quis adventu.
(88) Commentaria D. LUCAE DE PENNA, cit., p. 881: Devotum. Hc lex pulchra &
bona est, sed ob neglectum iustiti, peccata provincialium, & nequitiam militum male
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solo gli oppressi e gli amici e i vicini degli oppressi a poter resistere
insieme a difesa di chi sia oppresso. Dal momento che la legge e` male
osservata e la giustizia risulta quindi trascurata, e` proprio il populus
(la ipsa plebs nominata nella legge) che puo` resistere e insorgere.
Resistere contro uningiuria, difendere da uningiuria come lex
virtutis, uccidere un sacrilego e` possibile al privato e al populus. E il
populus, in da Penne, ha anche facolta` di insorgere contro un
usuraio, nonche di uccidere un sacrilego e un idolatra, sulla base
dellautorita` del Vecchio Testamento: Maccabei 2.4 e Levitico 20. Per
agire resistendo ad azioni compiute contra iura e contro giustizia e`
necessario sempre ricordare la differenza tra iustitia e neglectus
iustitiae (89).
Sono infatti ingiustizia, ingiuria, violenza che consentono a chi
le patisce di resistere a chi le perpetra, sia questi un ufficiale, o un
giudice o un principe. Questo il quadro che tanto Bartolo quanto
Luca da Penne descrivono nei loro casus, un quadro del tutto
intrinseco a quello che Sbriccoli ha definito il sistema del crimen
servatur. Statuit hic Imperator ut nullus metator, mensor, seu miles accedat ad aliquod
prdium publicum vel privatum domus principis vel alterius causa prparandi vel
ospitandi. Quia si accesserit licentiam tribuit dominis, procuratoribus eorum, & plebi
eum realiter expellendi. Magistratus autem qui hunc destinaverit, relegatur ad tempus,
vult autem solum eis hospitium in domo concedi, ita quidem ut nihil petant milites a
dominis domorum pro usu eorum equorumque suorum. Mandat eos non immorari
postquam in civitatibus fuerunt hospitati, utque residentiam nullam agant. Qui autem a
domino domus ultra hospitium postulat, punitur. [...] Ipsique plebis. Not. quod etiam
populus resistere potest cum alicui ex eis irrogatur iniuria. & facit aperte II.q. 3. si quis
episcopus. 2, in fi. Quinetiam debet ut ibi.& de exact. tri. quotiens. Ut scilicet eum arceat
ab ipsa nequitia quam committit. Sic etiam potest insurgere populus contra usurarium
manifestum, ut ipsum ab urbe depellat. quod dic ut legitur & not. per gl. & Arch. de
usur. c.I.li. 6. Sic & contra sacrilegum que etiam tunc licitum est occidere. 2. Mach. c.
4. prope fi. sic etiam iubetur occidi ad rumorem idolatra, quod si populus hoc neglexerit,
a domino succidetur. Levitic. 20.
(89) In questo rimane centrale, per il sapere giuridico medievale, il ruolo svolto
dalla giustizia nelle civilta` antiche. Giustizia e` il concetto centrale che lega assieme le
sfere del diritto, della religione e della morale [...] La giustizia fornisce uno spazio del
ricordo in cui oggi vale cio` che valeva ieri, e domani varra` cio` che vale oggi: J.
ASSMANN, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identita` politica nelle grandi civilta`
antiche, trad. it., Torino, Einaudi, 1997, pp. 192-193. Per la memoria come costitutiva
del diritto medievale P. GROSSI, Lordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 1995.
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Ivi, p. 72v.
Ivi, pp. 72v-73r.
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raison, et chassant dautour de luy tels flateurs que nostre paradoxeur (115).
Jean de Coras era uno dei giuristi tra i quali, come gia` i
contemporanei potevano chiaramente notare, la Riforma trovava
aderenti qualificati. La pubblicazione a stampa della sua, per quanto
anonima, Question politique, costituiva un contributo ai numerosi
scritti di propaganda prodotti prima e dopo il 1572. Certo, con la
Francogallia di Franc ois Hotman (1573), il De iure magistratuum di
Theodor Beza (1574) e con le Vindiciae contra tyrannos (1579)
ovvero con i testi principali dei cosiddetti monarcomachi la
questione della resistenza veniva assolutizzata anche attraverso una
maggiore connessione tra argomentazioni teologiche, politiche e
giuridiche (116).
Il discorso sulla tirannide si faceva piu` puntuale e articolato (117), anche se non sempre e non necessariamente portava alla
necessita` del tirannicidio. Alcune recenti riflessioni hanno mostrato
come nella Francogallia il tirannicidio non fosse affatto un discorso
esplicito o particolarmente voluto, come pure quello sul diritto di
resistenza. Il trattato di Hotman, con le sue due strategie argomentative di tradizione-continuita` e Sacre scritture (118), era una trattazione complessiva dei fondamenti storici del diritto pubblico
francese il cui scopo consisteva soprattutto nella definizione della
limitazione del potere regale. Gia` nella prefazione Hotman considerava come causa principale della guerra civile in Francia la centralizzazione del potere regio ai costi dei ceti. E poiche la storia di un
(115) Ivi, p. 21. Va ricordato che lidentificazione di comportamenti tirannici si
alimentava di una lunga tradizione sapienziale alla quale aveva dato un fondamentale
contributo Bartolo da Sassoferrato: D. QUAGLIONI, Liniquo diritto. Regimen regis e ius
regis nellesegesi di I Sam. 8, 11-17 e negli specula principum del tardo Medioevo, in A.
DE BENEDICTIS (ed, con la collaborazione di A. PISAPIA), Specula Principum, Frankfurt am
Main, Klostermann, 1999, pp. 209-242.
(116) Ch. STROHM, Das Verha ltnis von theologischen, politisch-philosophischen und
juristischen Argumentationen in calvinistischen Abhandlungen zum Widerstandsrecht, in
A. DE BENEDICTIS-K.H. LINGENS (eds.), Sapere, scienza e coscienza nel diritto di resistenza,
cit. I tre classici testi sono stati analizzati di recente anche da S. TESTONI BINETTI, Il
pensiero politico ugonotto, cit.
(117) M. TURCHETTI, Tyrannie et tyrannicide, cit., pp. 419-442.
(118) Su cui P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 1, Dalla civilta`
comunale al Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 81-96.
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territorio, anche i semplici sudditi potevano resistere poiche diventavano subditi resistentes & cives patriae amantes che si riunivano
insieme per compiere il loro dovere. Lo stesso valeva quando si
trattava della difesa della comunita` contro linvasione di un tiranno
ex defectu tituli: At tyranno absque titulo regnum invadenti, etiam
privata autoritate sine alterius jussu, omnes et singuli patriae amantes optimates & privati resistere & possunt & debent (127).
Nei conflitti che coinvolsero i territori dellImpero durante e
anche negli anni immediatemente successivi alla Guerra dei
Trentanni, il ruolo di difensori delle leggi del territorio e della patria
poteva essere rivendicato anche da ceti territoriali come i cavalieri
dellAssia inferiore contro la politica del principe territoriale. Era
qui esplicito il riferimento ai cives patriae amantes di Cicerone: un
riferimento che anche in altre situazioni e periodi stava a sottolineare
la volonta` e la capacita` dei sudditi a controllare i modi della propria
autoconservazione, del mantenimento del bene nel rispetto del
mutuo patto tra governante e sudditi (128). Agli inizi del XVII secolo
la formula ciceroniana era utilizzata tanto dal giurista calvinista
Johannes Althusius quanto dal giurista luterano Reinhard Koenig o
dal teologo luterano Johann Gerhard per riconoscere anche ai ceti
inferiori un diritto a Gegenwehr contro i rispettivi principi territoriali. Per tutto il periodo 1572-1674 fu anche un topos in dissertazioni giuridiche sul tema De Potestate Patriae redatte nelle universita`
di Jena, Rostock, Herborn, Greifswald, Marburg, Tu bingen, Giessen, Wittenberg e Leipzig (129). Nei territori dellImpero largomento della difesa della patria e delle leges patriae proprio dei
conflitti tra ceti e principi consentiva, ancora nel tardo XVII secolo,
di incorporare i singoli privilegi cetuali entro lo stato territoriale
(127) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Landespatriotismus: Territorialstaatsbildung und Patriotenpflichten in den Auseinandersetzungen der niederhessischen
Sta nde mit Landgra fin Amelie Elisabeth und Landgraf Wilhelm VI. von Hessen-Kassel
1647-1653, in A. DE BENEDICTIS-K.H. LINGENS (eds.), Sapere, scienza e coscienza nel diritto
di resistenza, cit., in riferimento a Althusius, Politica, XXX, 48; XXXVIII, 68.
(128) Come nel monarcomaco scozzese George Buchanan, su cui si veda ora il
saggio di R.A. MASON, People Power? George Buchanan on Resistance and the Common
Man, in R. VON FRIEDEBURG (ed.), Widerstandsrecht in der fru hen Neuzeit, cit., pp.
163-181.
(129) R. VON FRIEDEBURG, Widerstandsrecht und Landespatriotismus, cit.
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Ivi.
I. KANT, Sopra il detto comune, cit., p. 262.
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Ivi,
p. 65.
p. 66.
p. 69.
p. 70.
p. 78.
p. 115-118.
p. 97.
p. 107.
p. 183.
p. 130.
pp. 184-185.
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(161) Ivi, p. 437. Questa altra concezione dei diritti e` appunto stata indagata da
W. SCHMALE, Archa ologie der Grund- und Menschenrechte, cit.
(162) L. BACCELLI, Machiavelli, la tradizione repubblicana e lo Stato di diritto, cit.,
p. 437.
(163) Per una sintesi della discussione in atto tra i giuristi dopo la II Guerra
Mondiale cfr. E. BETTINELLI, Resistenza (diritto di), in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, XIII, Torino, Utet, 1997, pp. 183-199.
(164) Ivi, p. 433.
(165) R. BELLAMY-D. CASTIGLIONE, Il deficit democratico dellEuropa e il problema
costituzionale, in P. COSTA-D. ZOLO (eds.), Lo Stato di diritto, cit., pp. 506-534: 529.
1.
The revival of citizenship studies over the past twenty years has
been associated with two sets of related challenges to the liberal
democratic regimes of nation states. The first set consists of the
challenges to national political cultures posed by ethnic diversity and
minority nationalism within the state, and globalisation (often associated with commercialisation and Americanisation) without. These
developments have prompted debates over the importance of nationality and a shared culture as sources of reciprocity and allegiance
between both citizens themselves and them and the state. For
example, both academics and policy-makers have fiercely debated
such issues as the content of civic education in schools and the
degree to which naturalised citizens should be obliged not just to
adhere to the political norms of the host nation but also to acquire
various of its social and other cultural characteristics, such as the
dominant religion and language. The second set of challenges stem
from the political, social and administrative problems posed by the
growing electoral apathy of citizens, the fiscal crisis of the welfare
system, and the transformations of the relationship between the
public and private sectors induced by neo-liberal policies. These
developments have also been broadly linked to market driven global
forces and a multicultural concern with recognition at the expense
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Models of citizenship.
The original idea of citizenship, to be found in Greek political
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such differences one need not rely on some form of communitarianbased relativism, merely an acknowledgment that a plurality of
reasonable views of rights is possible. Indeed, alternative positions
are generally articulated by different ideological, cultural and interest groupings within any given community. Citizenship as participation comes in here; for it has traditionally been the way a people who
feel they belong together have democratically decided how they
should understand their rights and establish fair rules of co-operation. The next three sections will explore how far this synthesis of
belonging, rights and participation can hold together given the
challenges confronting the nation state, using the EU as an example.
Section 3, which follows, will examine the attempt to ground
European citizenship in a sense of Europeanness, while section 4
will examine the claim that the EU can offer a new form of
post-national citizenship linked to rights. Both proposals are found
wanting. By contrast, section 5 outlines the prospects of employing
a form of participatory citizenship as the source of both belonging
and rights not only in the EU, but also more generally in any modern
complex society.
3.
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Spain are evolving new styles and scopes of politics to cope with
this situation, introducing a hitherto unprecedented degree of constitutional and democratic complexity (9).
The EU emerges from these self-same forces, being both a
mechanism whereby nation states have responded to these changes
and a challenge to their current polity and regime sovereignty and
the identification their citizens have with them (10). Compared to the
member states, though, the EUs nascent polity and regime are even
more complex. Within the EU, function and territory are pulling
apart, producing growing disjunctures between its territorial and its
functional membership in core policy areas. As a result, it is developing into a poly-centric polity with a multileveled regime. This
process involves the redistribution of sovereignty and the creation of
multiple political identities (11). For example, in monetary policy
Britain, Denmark and Sweden stand aloof. Indeed, different polices
tend to involve different types of territorial actors operating in
different sorts of institutional settings. In many cases, the actors are
sub- or trans-national rather than national, with the comitology
process involving private as well as public agents and agencies.
Moreover, representatives in even the same body are often selected
in different ways by their respective constituencies, as in elections to
the EP. The jurisdictions the spheres and subjects of these
various bodies are not clearly demarcated, they often have different
powers in different parts of the EU, and they employ different styles
and possess different scopes of politics. Nor is there any overarching
authority to decide disputes between them. Except in very restricted
domains, such as certain aspects of competition policy, the EU has
few exclusive competences and has not asserted its hierarchical
control over the member states. Meanwhile, European citizens
increasingly view their political engagement less, or not solely, as a
(9) For a survey, see D. AUSTIN, and M. ONEILL, Democracy and Cultural
Diversity, Oxford, Oxford University Press, 2000.
(10) A. MILWARD, The European Rescue of the Nation State, London, Routledge,
1993; F. SCHARPF, Governing in Europe: Effective and Democratic?, Oxford, Oxford
University Press 1999.
(11) J. G. RUGGIE, Territoriality and Beyond: Problematizing Modernity in International Relations, International Organisation, 1993, Vol. 47, n. 1; pp. 139-74, at
p. 172.
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The weakening of national sovereign power has led some commentators to believe the answer must lie in a post-national citizenship grounded in rights. Rights have long offered the dominant
approach to citizenship within the liberal tradition and inform its
interpretation of the constitutional practices of liberal democracies.
This liberal model conceives rights, the rule of law and constitutional democracy in largely juridical terms (14). Although there are
different variants of this juridical paradigm (British, American and
broadly European), they all concentrate on the importance of legal
mechanisms for controlling the abuse of power and protecting
individuals. Their aim is to secure a just framework of rights within
which citizens and the government can legitimately act. The resulting liberal constitution lays out the entitlements and obligations of
citizens vis-a`-vis both the state and each other. It constrains what
individuals may do to or expect of others and what the state may do
to or expect of them. As a consequence, rights define not only the
subjects of the polity but also its sphere and the scope and styles of
its regime.
Developing this liberal thesis, John Rawls has argued that
citizens of a liberal democracy share an overlapping consensus on
political rights (15). The citizens of a state that upholds these principles of political justice not only should be obliged to obey it, but
(13) See, BELLAMY and CASTIGLIONE, The Normative Challenge.
(14) See, R. BELLAMY and D. CASTIGLIONE, Constitutionalism and Democracy Political Theory and The American Constitution, The British Journal of Political
Science, 1997 vol. 27, pp. 595-618.
(15) J. RAWLS, Political Liberalism, New York, Columbia University Press, 1993.
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also, because they share these rights, will actually feel an allegiance
to it. Thus, a polity possessing a just regime will be stable over time.
In a similar spirit, Habermas maintains that it is the just political
culture of a state that binds us to it, rather than nationality or some
other social, religious or ethnic cultural force (16). We identify with
a polity because of a constitutional patriotism stemming from the
justice of its regime. In the Rawlsean scenario, if EU institutions
embody standard liberal democratic rights to which all adult members have access through being citizens, they should give substantial
and permanent support to them. Habermas concurs, but suggests, at
least on some occasions, a partial thickening of the Rawlsean consensus. He shares Rawls belief that European citizens should identify with EU institutions if they are just, but adds they also do so
because they reflect a distinctly European (as opposed to American,
say) political tradition that results from a particular historical process. Nevertheless, this European political culture is fundamentally
political rather than cultural. For instance, it is characterized by a
commitment to a welfare state and the abolition of the death penalty
(the main contrasts Habermas draws between Europe and the USA
in this regard). Like Rawlss overlapping consensus, therefore, Habermass constitutional patriotism ultimately issues from the rights
presupposed by democracy.
There are two problems with the Rawlsean and Habermasian
arguments. First, as we noted in the last section, rights may provide
a source of objective legitimation for an organisation, but they are at
best a necessary rather than a sufficient condition for subjective
legitimation. In part, this arises because Rawls and Habermas elide
the legitimacy of a regime with that of its polity. However, a regime
may be objectively legitimate yet fail to attract the subjective allegiance of all its citizens because they question the legitimacy of the
polity within which it operates. By contrast, citizens of an objectively
illegitimate regime often offer it tacit support because they subjectively identify with the polity presumably many Iraqis felt like
this. Likewise, a polity may be objectively legitimate, in the sense of
not being the result of recent conquest or colonization, but still lack
(16) J. HABERMAS, Between Facts and Norms, Cambridge, Polity Press, Appendix
II: Citizenship and National Identity.
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Libertarian
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Formally equal -ve liberties though certain immunities for reasons of substantive equality and
linked to social rights to
defend their equal worth
Protective, limited
Duties
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FIG. 2.
Libertarian
Social Democrat
Subjects
Spheres
Scope
to foster autonomy by
preserving the broader
ve freedom and more
substantive equality of
individuals and classes
Styles
Constrained maximisation
to achieve mutual advantage via market trading
Constrained maximisation
to achieve mutual benefit
via pluralist bargaining
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tous change often and more readily occurs as the result of cumulative and incremental shifts in peoples opinions, values and institutional practices, it is nonetheless true that in many democracies some
kind of formal popular consultation and debate is deemed necessary
for a major reform of the constitution. Given the present enlargement and deepening of the EU, there is a sense that Europe may
currently be going through just such a constitutional moment. This
belief may be unfounded, as the difficulties in constructing a common European position on the international stage readily testify. But
at the time of writing, there is no way of saying whether the current
crisis over Iraq will indefinitely halt any serious reform towards a
more integrated system of governance or, by contrast, will make it
more compelling. Yet, in spite of the indeterminacy of the pace and
direction of the constitutionalisation process, it remains true that
over the past few years the EU has embarked upon a self-conscious
constitution-building exercise that has culminated in the drafting of
a Charter of Fundamental Rights and the establishment of a Convention on the Future of Europe. Although the Charter has so far
remained a purely declaratory document, the Convention clearly
hopes to rationalise the EUs institutional architecture and define its
scope, values and legal personality within a new constitution.
In the EU context, supporters of both the rights and the
belonging views of citizenship have put great store by these constitutional moments, since they regard the formal declaration of the
Charter and/or the Constitution as an essential condition for fixing
the rights and political identity of EU citizens. Liberals of different
shades have consistently argued for the Charter to be both legally
binding and fully incorporated into the constitutional text. For they
consider incorporation essential to establish a conception of personhood based on equal dignity and a certain degree of security in ones
liberties. Besides, from a democratic perspective, they regard the
proclamation of the fundamental rights of European citizens as a
way of giving legal substance to the European demos and the
creation of a public communicative sphere for opinion formation (20). For their part, communitarians who wish Europe to be(20) J. HABERMAS, The Postnational Constellation, Cambridge, Polity Press, 2001;
S. RODOTAv , Ma lEuropa gia` applica la nuova Carta dei diritti, La Repubblica, 8 January,
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1998.
(23) Cf. KYMKLICKA, Contemporary Political Philosophy, p. 288, and pp. 322-3,
note 6, where reference is made to Trop v. Dulles 356 US 86, 102 1958.
(24) WALDRON, Law and Disagreement, Ch. 11, Participation: The Right of Rights,
pp. 232-54 and R. BELLAMY, The Right to have Rights: Citizenship Practice and the
Political Constitution of the EU, in R. BELLAMY and A WARLEIGH eds, Citizenship and
Governance in the EU, London, Continuum, 2001, Ch. 3.
(25) WALDRON, Law and Disagreement, p. 238, and note 21, for reference to Joel
Feinbergs understanding of comparative justice.
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individuals may engage through forms of traditional political participation, but also more directly either at the local level or in social
settings. These different levels and forms of collective decision
making increasingly form part of a more global interlocking system
of governance, in which we continuously dip in and out following
personal patterns of engagement and activism. Therefore, the problem is not that of sustaining any single or uniform pattern of civic
engagement (electoral turn-out, for instance; or party membership),
but of recognising that engagement takes very different forms and
that citizens should have the opportunity to have their say in a
variety of settings, which may better express the intensity of their
opinions or the proximity of their interests.
From such a perspective, the virtues of modern citizens are
more varied and in less need of being exercised to the utmost at all
times and circumstances. Moreover, if voice and participation are
important aspects of the liberty of citizens, so is exit as an option
that modern citizens may want to be able to exercise in various
contexts of contemporary society. As Herman van Gunsteren suggests, people who ... take the option of exit provide important
signals on the road of peaceful change in a free society (31). Such a
change is eventually supported by the loyal citizen, but neither
absolute loyalty nor complete disinterest work. What is needed is a
healthy and variable mix of the two options across society, people
and issues (32). Nonetheless, the virtues that characterise the cyclical
involvement of the average citizen cannot be sustained in their
purely procedural sense, nor can they be paternalistically imposed
on them. Modern participation requires a certain amount of virtue
across the polity, or to be precise, it requires a mixture between civic
and civil virtues, and their practice by a substantial number of
citizens. It is, after all, from the encounter with other citizens in the
process of collective deliberation that the civic bond is established
and cemented in Europe no less than in other places.
(31)
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Conclusion.
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1.
Principi.
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3.
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Principi e regionalismo.
Legalita`.
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5.
Sussidiarieta`.
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6.
Societa` e Stato.
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Dire che un ente e` sussidiario di altri enti significa alla fine che
nessun ente puo` appagarsi di se stesso e imporre la propria presenza
e il compimento delle proprie funzioni con lassolutezza del comando, con limperio, quasi appunto tagliando i fili della comunicazione con altre entita`, quelle appunto sussidiate, con le quali e` in
una condizione di naturale parita`.
7.
Lo stato liberal-democratico, soddisfatto della propria legittimita` formale e dellassolutezza della propria capacita` di reggere la
societa` come insieme di individui isolati, ha esaltato al massimo
grado il suo distanziamento politico proprio da quella sostanza
sociale nella quale doveva basare la propria sovranita`.
Per volere essere sciolto da ogni condizionamento interno ed
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allo stato, pero` solo nella linea della sussidiarieta`: il che dimostrerebbe che la sussidiarieta` entra in gioco in quanto il riconoscimento
dellorigine o della base delle competenze avvenga in capo allente
piu` prossimo, per sua natura e collocazione, agli ambiti nei quali si
producono i bisogni sociali, nella specie il comune.
Un aspetto collaterale che vale la pena di sottolineare e` che il
principio di sussidiarieta` reclama, per la sua intrinseca elasticita` di
contenuti, la caratterizzazione amministrativa, e cioe` non legislativa
ne giudiziaria, dei soggetti o delle strutture di cui costituisce mezzo
di allacciamento. In altri termini, la generalizzazione della sussidiarieta` e` anche generalizzazione della caratterizzazione amministrativa
e quindi pratica e pragmatica dellambito generale preso in considerazione. Come ho notato altrove, proprio lattribuzione ai Comuni
del ruolo di depositari della funzione amministrativa pubblica costituisce fattore di riedizione in chiave democratica e secondo la
valorizzazione della prossimita` dei centri organizzativi ai luoghi di
emersione degli interessi collettivi, dello stato amministrativo, a suo
tempo debellato dallo stato legislativo.
10.
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(10) Allorigine della fenomenologia giuridica esiste sempre alcunche di apparentemente irraggiungibile, di inappagato rispetto alla nostra ansia di apprendere, definire
e classificare.
I principi hanno molte radici e le sintesi che in essi si condensano mostrano una
pluralita` di punti di osservazione e quindi di conformazione. Il principio ci fa pero`
saggiare lunita` del diritto e cio` che di esso e` specifico, sul piano culturale prima che su
quello dellesperienza concreta. Non riusciremmo altrimenti a raccogliere insieme e
distanziare allo stesso tempo fenomenologie tanto diverse per ambientazione sociale,
temporalita`, bisogni e interessi, aspetti questi che rivelano tuttavia un filo che collega, in
modo sotterraneo, le diverse apparenze.
Si potrebbe dire che il principio e` il verbo dellapparire della giuridicita` come
traduzione di questa in orientamento di vita. Il bisticcio, apparente, tra lessere effettivo
e lessere doveroso si risolve alla fine nella sintesi del principio, il quale e` normativo in
se stesso, ma costantemente rivelatore del proprio perche e della sua necessita`.
Il principio e` altres` profondamente razionale nel momento stesso nel quale assume
la forma e la dimensione del complesso dei rapporti al quale serve. Raccoglie in se il
naturaledellordine fra gli uomini e il positivo, come visibilita` di una o piu` norme,
affinche queste siano cogenti e se ne possa rinfacciare lefficacia a chi non conosce o non
osserva coscientemente i bisogni e le istanze della vita collettiva.
Della sussidiarieta` ho avuto modo di occuparmi in varie precedenti occasioni, in
particolare: Regionalismo europeo nella prospettiva del Trattato di Maastricht e della sua
revisione nel 1996, in Atti del Convegno Posizione delle Regioni italiane nella prospettiva
del Trattato sullUnione Europea, p. 27 ss., pubblicazione a cura della Regione Autonoma
Trentino Alto Adige, Trento 1992; Considerazioni sul principio di sussidiarieta`, in Jus,
1994, p. 405 ss.; Democrazia, pluralismo e sistema economico. (Le costituzioni e lUnione
Europea), in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1996, p. 1142 ss. Voglio
rilevare a questo proposito che laffrontare lo stesso tema in momenti diversi, dal punto
di vista culturale, politico, ecc., non e` indifferente alla ricostruzione del proprio pensiero
e allutilizzo degli istituti. Solo apparentemente questi rimangono uguali a se stessi. E si
avverte grande difficolta` a ricomporre, mantenendo il riferimento allo Stato e al suo
diritto, dei concetti che ora contengono in se , per esserne stati nel frattempo aggrediti,
i germi della dissoluzione dellideale edificio del diritto pubblico.
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cosa stia avvenendo ecco che, a loro volta, i nuovi arrivati corrono il
rischio di essere spazzati dai grandi magazzini tutto compreso: le
grandi Societa` di Revisione, sempre baldanzose nonostante la scarsa
prova di indipendenza offerta oltre-Oceano, offrono, per la prima
volta, servizi giuridici.
Si potrebbe continuare, tratteggiando un panorama di cambiamenti, in una pluralita` impressionante di settori, capace di procurare
le vertigini, se non langoscia, a chi debba aggiornare (o produrre)
testi di diritto comparato!
Nel diritto, ovviamente, come in ogni altra forma culturale, tutto
muta, sicche osservare il mutamento di fronte ai nostri occhi,
costituisce il compito essenziale dello studioso avvertito. Se peraltro
il mutamento non e` una novita`, la velocita` ed il ritmo del mutamento
che oggi si presenta di fronte a chi affronti il tema delle fonti del
diritto in Europa sicuramente lo e`. Il diritto privato europeo,
prodotto da tali fonti, determinato da tutti, e molti altri tra i fattori
tratteggiati pocanzi, e` unoggetto in trasformazione cos` rapida che
la stessa possibilita` di descriverne i dati salienti risulta non poco
compromessa. Daltra parte, e` mai esistita la possibilita` di mere
descrizioni nel mondo del diritto? Abbandoniamo percio` del tutto il
complesso di inferiorita` nei confronti degli scienziati naturali, il cui
oggetto di osservazione attende, immobile o quasi, di essere misurato e accingiamoci ad interpretare il mutamento, anche soltanto
alcuni mutamenti, nel panorama delle fonti Europee.
E` possibile tracciare una teoria capace di spiegare almeno in
parte quanto fin qui avvenuto (1)?
2. La natura della rivista che ospita questo importante momento di riflessione collettiva sullEuropa, spinge inevitabilmente ad
interrogarsi sul passato, senza obbligarci a fare i conti con tentativi
predittivi di dinamiche future che, io credo, debbano tenere in
considerazioni possibili e repentine soluzioni di continuita`. Daltra
parte, il civilista non puo` pretendere di vestire professionalmente i
panni dello storico, (meno che mai in questo consesso!) sicche
(1) Ho cercato di tratteggiare una tale teoria in U. MATTEI, A Theory of Imperial
Law. A Study on U.S. Hegemony and the Latin Resistance, in 10 Indiana J. Global Legal
Studies (2002) e Global Jurist frontiers, www.bepress.com.
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questambito che si possono riscontrare nuovi e piu` profondi fenomeni di influenza culturale, ed e` a questo proposito che losservatore
critico deve sollevare perplessita` e preoccupazioni. Anche qui sarebbero necessarie maggiori precisazioni contestuali. Occorrera` almeno menzionare che lamericanizzazione della nuova periferia
Europea non puo` in nessun caso comprendersi come fenomeno di
sovrapposizione del diritto cos` come questo e` vigente e vivente negli
Stati Uniti. Limportazione e` parziale e si esaurisce in grande misura
ad un livello retorico. Si importano soltanto i tratti del modello
Americano che maggiormente incoraggiano lespansione del capitalismo globale, mentre si lasciano a casa quei tratti maturati nel corso
di una profonda e spesso entusiasmante esperienza storica statunitense, che costituiscono, nel contesto di produzione, le forze vive
del diritto (26). Cos`, ad esempio, mente si importa il corporate
governance allamericana, fondato su una teoria dellimpresa come
nesso di contratti, si lasciano oltre oceano le class actions ed i potenti
strumenti nelle mani delle minoranze. Strumenti che, se non sono
stati capaci di evitare disastri delle proporzioni di Enron, Arthur
Andersen e Worldcom, pur sempre vigilano a che lillegalita` dei
white collars non dilaghi del tutto incontrollata, e certamente introducono aspetti di resistenza alla piu` intollerabile rapacita` degli
interessi finanziari di breve periodo. Gli stessi interessi forti, che
negli Stati Uniti lottano senza esclusione di colpi per limitare i danni
punitivi, per contestare le class actions, (27) e per sterilizzare ogni
nuovo strumento istituzionale volto a ridurre i conflitti di interesse,
ma che localmente incontrano resistenze altrettanto forti ed organizzate, trovano in periferia un livello dattenzione e di resistenza
assai minore e riescono cos` a rinviare allinfinito il metter mano alla
creazione anche in Europa di strumenti capaci di creare una legalita`
effettiva.
8. Il dibattito sul c.d. nuovo diritto privato Europeo, costituisce un esempio interessante a mio parere di queste dinamiche di
importazione parziale, di delegittimazione della legalita` istituzionale
(26) Cfr. lo splendido saggio di L. NADER, The Life of The Law, (2002) tr. it. Le
Forze Vive del Diritto, in corso di stampa.
(27) Cfr. NADER, cit.
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(direttiva o regolamento), quasi a riprendere la grande (e probabilmente fasulla) alternativa codificazione-legge speciale su cui tanto
rifletteva Vassalli. Ci si interroga sulle specificita` del diritto dei
consumatori e del diritto commerciale, proprio come allora ci si
poneva il problema della commercializzazione del diritto civile (32).
Naturalmente, il contesto e` molto diverso non soltanto perche la
dottrina europea, divisa da barriere linguistiche, e` meno omogenea
di quella italiana dellepoca, ma anche perche , come visto, il baricentro della produzione intellettuale del diritto privato si e` oggi
spostato negli Stati Uniti. Sposato come referente forte un modello
di common law, evidenti risultano le diversita` proprio sul piano
profondo delle fonti del diritto, sicche i temi del dibattito odierno
risultano influenzati non poco dalla diversita` profonda del contesto
di produzione. In altre parole, mentre i giuristi Italiani affaticati a
preparare il codice del 42 si misuravano con modelli di riferimento
della tradizione romanista, i giuristi europei oggi si misurano con un
pluralismo (anche estetico) di fonti normative che pone sul tavolo
della riflessione opzioni del tutto nuove. A chi sarebbe venuto in
mente di proporre seriamente lalternativa Restatement senza il
modello di riferimento statunitense?
Il diritto privato e` anche cultura ed identita` storico-politica,
sicche la sostituzione di una pluralita` di codici (o di esperienze non
codificate) con un solo Codice Europeo comporta una rottura
drammatica con il passato e allo stesso tempo rappresenta un
momento fondativo sul piano politico-costituzionale (33). Se, pertanto vi e` una differenza importante piu` di ogni altra nella vicenda
della codificazione italiana del 42 quando comparata con quella
Europea di oggi, essa si colloca a livello di dibattito politico. Mentre
infatti la valenza politica del processo di codificazione era perfettamente presente alla cultura civilistica italiana di quel periodo, oggi la
cultura giuridica Europea sembra ripiombata in unoperazione di
(32) Il dibattito ha ormai prodotto una letteratura abbondantissima. Si veda
HARTKAMP, HONDIUS, HESSELINK, Towards a European Civil Code, (20002).
(33) Si veda L. MENGONI, LEuropa dei Codici o un Codice Per lEuropa?, in Centro
di studi e ricerche di diritto comparato e straniero, Universita` di Roma, vol. 7.
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rienza di tre lustri trascorsi dallintroduzione del codice di procedura penale allamericana, in cui lItalia ha svolto la funzione della
cavia europea, e la miriade di nuove proposte di privatizzazione
della giustizia propagandate da interessi forti e corrotti, coadiuvati
da pseudo-analisi scientifiche, impongono nuovi doveri alla cultura
critica.
La vicenda della codificazione civile italiana puo` percio` vedersi
come un interessante esempio a livello di fonti del diritto in Europa
di consapevolezza politica e sociale. Certo, le drammatiche condizioni imposte nel ventennio alle liberta` civili, economiche e politiche
degli italiani stimolarono latteggiamento partecipe, politicamente
consapevole, e talvolta resistente di tanta civilistica. Le condizioni di
oggi, a livello europeo, solo apparentemente sono migliori, se soltanto si fuoriesce almeno intellettualmente dal piccolo mondo di
privilegi che loccidente riserva al ceto dei giuristi, e si prende
coscienza delle condizioni drammatiche che il modello di sviluppo
monistico, prodotto dalla Pax Americana, impone alla moltitudine
dei senza diritti, che lEuropa dopo aver sfruttato per secoli, oggi
esclude senza pieta`.
Il processo di codificazione e`, oggi come allora, un percorso
gravido di implicazioni politiche. Un processo politicamente rischioso perche rischia di naturalizzare e legittimare lattuale condizione di un mercato che scarica a sud i propri effetti esterni,
codificando le regole del gioco senza attenzione alle violazioni delle
medesime che avvengono nel corso di processi produttivi che si
svolgono fuori dai confini del mercato comune Europeo (43). Ma si
tratta anche di una grande occasione politica, in cui una cultura
giuridica consapevole e matura potrebbe richiamare lattenzione alle
grandi distorsioni del mercato globale, tracciando regole del gioco
responsabili, che quanti intendono operare sul mercato europeo
devono rispettare ovunque nel mondo.
Sta alla sensibilita` politica di ciascun giurista, oggi come allora,
schierarsi dalluna o dallaltra parte di unalternativa che puo` essere
succube degli attori forti del mercato dietro al paravento dellingegneria sociale, o che puo` invece porre le basi fondamentali di un
(43)
La piu` potente recente analisi di questa dinamica e` L. NADER, cit. nt. 26.
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QUADERNI FIORENTINI
per la storia del pensiero giuridico moderno
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TOMO II
Figure dellesperienza
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DI FRONTE ALLEUROPA.
PASSATO E PRESENTE DEL DIRITTO DEL LAVORO
1. Metodo comparato e metodo europeo. Lesempio italiano. 1.1. Il passato del diritto
del lavoro italiano. 1.2. Il presente. 2. Il linguaggio sincronico del diritto del lavoro.
Alla ricerca di una destinazione europea. 3. Diritto del lavoro e sensi di colpa. Alla
ricerca di un equilibrio delle fonti.
1.
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discipline emergenti piu` adatte a mettere in crisi una tale dicotomia (5).
Nel 1951 nacque la CECA, con il Trattato di Parigi. Questa
Comunita`, fondata su presupposti pragmatici e su esigenze contingenti ma non per questo meno valide (6) di unificazione del
mercato del carbone e dellacciaio, diede luogo ad importanti esperimenti di riconversione produttiva e di formazione professionale
per i lavoratori interessati dalle trasformazioni delle imprese carbosiderurgiche. La CECA, se confrontata con la CEE, pose un piu`
forte accento sulle politiche sociali e mostro` un dogmatismo meno
spinto nelle politiche di liberalizzazione del mercato (7). Cio` era da
attribuire, come e` stato sostenuto in termini piu` generali, alla scelta
dei governi nazionali di trovare unalternativa al mancato trattato di
pace dopo la fine della seconda guerra mondiale e di bilanciare il
raggiungimento di interessi esclusivamente nazionali con la perdita
di una parte della sovranita` nazionale (8).
Nella seconda meta` degli anni cinquanta, quando videro la luce
il Rapporto Spaak ed il Rapporto Ohlin (9), era fervido in Italia il
dibattito circa limpatto delle norme costituzionali sul diritto del
lavoro. La dottrina si preparava con accortezza a rivisitarne i prin(5) J. MERRYMAN, in CAPPELLETTI et al., The Italian Legal System, cit., p. 211. In
anni successivi il diritto del lavoro venne, invece, lasciato fuori dalle riflessioni promosse
dallAssociazione Italiana di Diritto Comparato. Si veda Linfluenza del diritto europeo
sul diritto italiano, Milano 1982.
(6) Sullimportanza storica del Trattato CECA v., piu` di recente, le interessanti
riflessioni di C. PINELLI, Il momento della scrittura. Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Bologna, 2002, pp. 46-7.
(7) Secondo lopinione di A. e G. LYON-CAEN, Droit social international et
europe en, Parigi 1993 (VIII ed.), p. 160.
(8) E` questa la nota tesi di A. MILWARD, LEuropa in formazione, in Storia
dEuropa, vol. I, LEuropa oggi, Torino 1993, in particolare p. 189 ss.
(9) Unanalisi accurata di questi importanti documenti entrambi prodotti nel
1956 e` fornita da S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale della
integrazione europea, il Mulino, Bologna 2003, p. 44 ss. Opportunamente si segnala
limportanza del Rapporto Ohlin nellaffermare lutilita` oltre che lopportunita` del
mantenimento di sistemi sociali differenziati allinterno degli Stati Membri. In tema S.
DEAKIN, Labour Law as Market Regulation: the Economic Foundations of European Social
Policy, in P. DAVIES, A. LYON-CAEN, S. SCIARRA, S. SIMITIS, European Community Labour
Law. Principles and Perspectives. Liber Amicorum Lord Wedderburn, Oxford 1996, p. 63
ss.
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cipali istituti, alla luce dei nuovi principi democratici introdotti dalla
Carta costituzionale. Lo scenario fornito ai padri fondatori da questi
autorevoli Rapporti rafforza lidea, confermata dalla ricerca piu`
recente e documentata, che la dimensione sociale non fosse estranea
ai costruttori dellEuropa e neanche dimenticata, quanto piuttosto
difficile da coordinare con la missione prioritaria del Trattato,
protesa alla creazione di un mercato comune.
Tuttavia, se si sfogliano i principali manuali, la nascita della
CEE, con il Trattato di Roma del 1957, sembra avvenire in un
contesto lontano dalle preoccupazioni del diritto del lavoro italiano.
In quegli anni di avvio della Comunita` esisteva, con molta probabilita`, una profonda scissione fra una e lite di burocrati impegnati nel
perseguire lintegrazione europea (10) e gli ambienti accademici,
soprattuto quelli specialistici, ancora privi di una forte identita`
scientifica, quali erano gli ambienti giuslavoristici del tempo. Nel
dibattito contemporaneo una tale cesura sembra in gran parte
superata. Il ruolo del giurista del lavoro attento agli sviluppi del
diritto europeo si e` fatto in anni recenti assai pregnante e talvolta
carico di implicazioni simboliche oltre che pratiche sul piano della
elaborazione delle politiche legislative.
Con cio` non si vuol dire che la dottrina italiana fosse sorda ai
richiami inviati da un ordinamento sovranazionale in formazione.
Uno dei primi volumi, pubblicati nellambito dei seminari organizzati da Giuliano Mazzoni presso lIstituto di diritto del lavoro
dellUniversita` di Firenze, e` dedicato alla politica sociale comunitaria degli esordi (11). I contributi in esso raccolti, eterogenei nello stile
e nel metodo adottato, rivelano, anche a distanza di tempo, lesigenza avvertita dagli studiosi di affiancare allanalisi giuridica, talvolta molto dotta e sofisticata (12), uninformazione accurata circa le
(10) Latteggiamento filo europeo degli alti funzionari del Ministero degli Affari
Esteri e` segnalato, come elemento di forte continuita` nel perseguire gli obiettivi
comunitari, da T. PADOA SCHIOPPA, Europa, forza gentile, Bologna 2001, p. 94, in un
capitolo dedicato allItalia ed alle sue diverse fasi di avvicinamento allEuropa.
(11) La politica sociale della Comunita` Economica Europea, Milano 1960.
(12) Il volume sopra citato include un elegante contributo di O. KAHN-FREUND,
Alcuni problemi relativi alla composizione delle controversie di lavoro sotto il profilo del
diritto comparato, p. 77 ss., tema quanto mai estraneo alle competenze del diritto
comunitario e tuttavia, a detta dello stesso autore, utile a comprendere che la strada di
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Il presente.
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Piuttosto che avallare un atteggiamento della dottrina giuslavorista ostinatamente critico e talvolta distruttivo nei confronti
dellordinamento europeo e dei suoi limiti istituzionali, e` utile
evidenziare come la stessa dottrina si sia esercitata nellintento di
colmare le lacune dellordinamento europeo.
Un primo esempio si rintraccia nellintenso dibattito sui diritti
sociali fondamentali che, specie negli anni intercorsi fra il Trattato di
Maastricht e quello di Amsterdam, ha visto i giuristi del lavoro attivi
e propositivi, per lo meno quanto lo sono state le istituzioni europee (64). Da questa stagione assai vivace e proficua per il confronto
scientifico emerge un dato centrale su cui riflettere. Sia pure nella
diversita` dei toni adottati e nelle sfumature circa le soluzioni tecniche da favorire, si rivela sulla scena sovranazionale lanima riformista
del diritto del lavoro, quella che, a ben vedere, e` stata vincente negli
anni di fondazione della materia e che proprio dal metodo giuridico
comparato ha tratto una indiscutibile forza propulsiva.
Un altro esempio, anchesso collocato sul finire degli anni
novanta, ha a che fare con uno straordinario e ben riuscito esperimento di collaborazione fra esperti di diversa estrazione nazionale e
disciplinare, volto a ridisegnare i confini della materia, intrecciando
in modo nuovo diversi regimi di tutela e proponendo uno statuto
professionale del lavoro. Il rapporto Supiot (65) ha avuto il merito di
Freedom of Movement and Transfer of Social Security Rights, Relazione presentata al VII
Congresso Europeo dellAssociazione Internazionale di diritto del lavoro e sicurezza
sociale, Stoccolma 2002.
(64) Oltre ad un primo pamphlet (BLANPAIN, HEPPLE, SCIARRA, WEISS, Fundamental
Social Rights, Proposals for the European Union, Leuven 1996), si deve ricordare il
gruppo di giuristi del lavoro attivi intorno allIstituto di ricerca del sindacato europeo
(BERCUSSON, DEAKIN, KOISTINEN, KRAVARITOU, MUCKENBERGER, SUPIOT, VENEZIANI, A Manifesto for Social Europe, Bruxelles ETUI 1996). Ma soprattutto si deve evidenziare il
tocco giuslavoristico impresso da S. Simitis, chiamato, in un momento maturo del
dibattito, a presiedere un importante Comitato di esperti. Cfr. Commissione Europea,
Per laffermazione dei diritti fondamentali nellUnione europea: e` tempo di agire. Rapporto
del gruppo di esperti sui diritti fondamentali, Bruxelles, febbraio 1999.
(65) Au-dela` de lemploi. Transformations du travail et devenir du droit du travail
en Europe, Parigi 1999. Presieduto da un giuslavorista, Alain Supiot, il gruppo ha redatto
un rapporto per la Direzione degli affari sociali della Commissione, utilizzando lUniversita` Carlos III di Madrid come base logistica. La versione inglese e` pubblicata da
Oxford University Press (2001).
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risvegliare il dibattito europeo e di convogliare molti dibattiti nazionali verso una riflessione innovativa. LEuropa, in questo caso, ha
rappresentato uno stimolo per gli ambienti accademici, chiamati a
riflettere sui principi e sul metodo, piuttosto che su impellenti
scadenze legislative.
Cio` che spinge il giurista del lavoro nazionale verso mete cos`
ambiziose quali la riforma dei Trattati o la rivisitazione di alcune
importanti categorie giuridiche e`, molto probabilmente, lansia di
difendere il proprio sistema di valori costituzionali. Ma altrettanto
forte e` la pulsione verso un sistema nuovo di diritti e principi, che
segni la sua stessa rinascita come giurista del lavoro europeo. Si puo`
interpretare in questo modo lavvio di una nuova fase del diritto del
lavoro di fronte allEuropa: un futuro da comprendere e da costruire
avendo sempre piu` chiaro lintreccio fra competenze legislative
nazionali ed europee. Questo e` uno dei nodi istituzionali intorno a
cui si sta svolgendo il lavoro della Convenzione europea (66).
Lambizione del giurista-riformatore dei Trattati si esplicita su
un piano diverso da quello del giurista-consigliere del legislatore
nazionale. Mentre si puo` immaginare che il primo proietti su una
futura fonte di rango costituzionale una conoscenza comparata dei
sistemi nazionali e giunga per questa via ad isolare le aree di diritti
meritevoli di una tutela forte, si puo` temere che il secondo, assillato
da un presente irto di compromessi, si allontani dalla visione di un
organico ordinamento futuro e si convinca di non poter contribuire
a crearlo. Linadeguatezza, allorigine del senso di colpa, nasce da
questa sfasatura fra due piani di riforma quello sovranazionale e
quello nazionale che dovrebbero, al contrario, correre paralleli.
3. Diritto del lavoro e sensi di colpa. Alla ricerca di un equilibrio
delle fonti.
In uno dei tanti spunti psicanalitici che si incontrano nelle
pagine di Lord Wedderburn si legge che lopera di Kahn-Freund ha
(66) Il V gruppo di lavoro della Convenzione si e` occupato delle competenze
complementari , che dovrebbero coprire aree rilevanti per salvaguardare lidentita` degli
Stati Membri e che vengono ridefinite misure di sostegno (la traduzione, di supporting
measures, e` mia). Cfr. CONV 375/1/02 REV 1.
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Anche il pluralismo delle fonti, una ingombrante eredita` tramandata dal diritto del lavoro nazionale, ha sub`to nel contesto
europeo un drastico ridimensionamento. Il diritto del lavoro comunitario ha progressivamente imparato ad apprezzare la soft law, un
diritto non vincolante, espresso attraverso indicazioni, piuttosto che
comandi. I deboli principi contenuti nella hard law sono stati via via
affiancati da una rete pervasiva di segnali inviati dalle istituzioni
comunitarie agli Stati Membri e gestiti frequentemente da apparati
ministeriali, dapprima in modo occasionale, in seguito con una
crescente specializzazione (78).
Il diritto del lavoro nazionale ha cominciato cos` a stemperarsi
nel contesto europeo, ad assumere connotati piu` sfumati: non
necessariamente uno strumento di emancipazione sociale, ne un
coerente sistema di garanzie per il contraente debole, ma un ingrediente di altre strategie, in particolare delle politiche occupazionali
e di inclusione sociale.
Nel confronto fra discipline diverse, allimmagine del dialogo,
prima suggerita, si sostituisce quella del coordinamento, una tecnica
regolativa sempre piu` diffusa, anche perche funzionale al clima
politico-culturale avviato dalla Commissione con il Libro bianco
sulla governance (79). Questultimo documento ha inteso anticipare il
dibattito sulle riforme istituzionali diffondendo ad ampie mani una
cultura della consultazione e del dialogo, estesa anche alla societa`
civile, espressione in cui rientrano a pieno titolo sia il Comitato
economico e sociale, sia le parti sociali nelle loro articolazioni
nazionali e comunitarie. La rete di rapporti che questo documento
apre e` capillare, anche se resta ancora tutta da dimostrare la
ruolo delle parti sociali nella produzione e nellattuazione del diritto comunitario, in
Europa e Diritto Privato, 1999, n. 1, p. 243 ss.
(78) Il caso italiano e` studiato da M. FERRERA e E. GUALMINI, Salvati, cit.; gli stessi
autori hanno redatto per lISFOL un rapporto dal titolo La strategia europea sulloccupazione e la governance domestica del mercato del lavoro: verso nuovi assetti organizzativi
e decisionali, in C. DELLARINGA (a cura di), Impact Evaluation of the EES, maggio 2002,
in cui la progressiva specializzazione delle competenze interne allamministrazione
italiana e` studiata ed interpretata come effetto delle linee guida europee.
(79) COM (2001) 428 final, Bruxelles 25.7.2001, European Governance. A White
Paper, che peraltro e` singolarmente elusivo sulla crescente importanza del metodo del
coordinamento aperto.
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metodo giuridico comparato questa nuova pratica, utile alla valutazione delle performance nazionali e particolarmente indicata per
coinvolgere le amministrazioni nella gestione nazionale delle politiche comunitarie. Come ho gia` detto nel corso di queste mie osservazioni, ai giuristi del lavoro spetta liberare la comparazione fra
sistemi di norme dal limbo di una comparazione fra dati statistici.
Gli indicatori economici e sociali descrivono realta` in movimento; servono a cogliere la distribuzione dellesclusione sociale ed
a segnalare le aree di maggiore sofferenza nel mercato del lavoro;
mostrano i collegamenti fra politiche occupazionali, innovazione e
ricerca. Ai giuristi viene offerto un universo da valutare allinterno di
politiche economiche e strutturali sempre piu` coese, in cui le
politiche occupazionali devono incunearsi come uno degli elementi
delle strategie da adottare.
Il metodo aperto di coordinamento significa anche questo:
spiegare alle istituzioni comunitarie le scelte dei legislatori nazionali,
svelare il funzionamento delle macchine burocratiche, illustrare da
quali presupposti si prendono le mosse e dimostrare come, nel
tentativo di coordinarsi, le posizioni di partenza possono essere
modificate. Le istituzioni comunitarie, a loro volta, valutano, esaminano, svolgono un monitoraggio delle misure adottate a livello
nazionale, sollecitano, se necessario criticano ed invitano a correggere il tiro, attraverso raccomandazioni.
In questo regime di soft law si adotta una tecnica regolativa assai
poco regolativa. I dati certi che si ricavano dalle norme del Trattato
sono relativi alle cadenze entro cui le procedure della strategia coordinata a favore delloccupazione si devono sviluppare (83); tutto
quanto promosso dal Consiglio in termini di scambi di informazioni
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e migliori prassi, analisi comparative e progetti pilota, e` materia espressamente sottratta alla tecnica regolativa dellarmonizzazione (84).
Intorno alla sperimentazione delle politiche europee delloccupazione sembra essersi aperta una nuova stagione di entusiasmo,
anche fra i giuristi del lavoro. Non sembra trattarsi di una deriva
verso un non-diritto; sembra piuttosto che si sia alla ricerca di un
nuovo asse intorno a cui far ruotare la coerenza normativa dei
sistemi nazionali, forse correndo il rischio che si riduca sempre piu`
il terreno tradizionale di intervento del diritto del lavoro.
Perche non si perda il patrimonio di valori intorno a cui questa
materia si e` diacronicamente sviluppata e tuttavia si apprezzi la sincronia di sistemi giuridici impegnati nello sforzo di un comune coordinamento sovranazionale, occorre riflettere ancora sui presupposti
costituzionali, sulla loro funzione di calibratura, sulla loro lungimiranza.
Come si e` gia` detto, il diritto del lavoro non dovrebbe rincorrere
il diritto europeo, in una sorta di affannosa e sovente ritardata
individuazione degli obiettivi da perseguire, ma porsi nelle condizioni di seguirne levoluzione e di assecondare criticamente leuropeizzazione del diritto interno. Altrettanto affannose e dispersive si
rivelano le rincorse verso altri modelli nazionali ritenuti vincenti,
quasi a voler promuovere il metodo comparato dentro uno schema
di dipendenza culturale nei confronti di politiche legislative rivelatesi efficaci. La comparazione deve piuttosto risalire alle istituzioni
che operano nei mercati del lavoro, prime fra tutte le parti sociali,
portatrici di una cultura nazionale sia nella contrattazione collettiva,
sia nel conflitto, sia nel rapporto con le istituzioni.
Lerba del vicino europeo non e` sempre piu` verde per chi
interpreta lintegrazione attraverso il diritto del lavoro come un
processo aperto, se necessario lento, proprio perche attento a diversificare piuttosto che ad armonizzare.
Si puo` concludere questa breve lettura diacronica della lingua
adottata dal diritto del lavoro europeo con la speranza che essa divenga
nello scorrere degli anni sempre piu` una lingua madre dei legislatori
sovranazionali e dei riformatori dei Trattati, naturale nel segno scritto
e parlato, familiare nel suono. Ad essa potranno abbandonarsi piacevolmente, senza sensi di colpa, i giuristi del lavoro nazionali.
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Premessa.
Se e` vero che la realta` storica e` marcata, nella sostanza, da
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Anche rispetto al diritto penale, e` indubbiamente difficile stabilire con precisione quando e come leta` dello Stato-nazione, dei
sistemi di diritto nazionale e delle culture giuridiche nazionali (10)
abbia iniziato la sua parabola discendente. Sembra tuttavia di poter
dire che, in epoca moderna, il processo di erosione del carattere
(10) SCHULZE, Un nouveau domaine de recherche en Allemagne: lhistoire du droit
europe en, in Rev. hist. dr. franc . e tr., 1992, p. 39; BELLOMO, LEuropa del diritto comune,
Roma, 1991, p. 11 ss.; CONSTANTINESCO, Introduzione al diritto comparato, Torino, 1996,
p. 31 ss.; FRAGOLA, ATZORI, Prospettive per un diritto penale europeo, Padova, 1990, p. 5
ss.; GHISALBERTI, La codificazione del diritto in Italia, Roma-Bari, 1994, p. 3 ss.; ZWEIGERT,
KO} TZ, Introduzione al diritto comparato, vol. I, Principi fondamentali, Milano, 1992,
p. 16 ss.
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talune sue disposizioni not self executing (19), sia infine interpretando
restrittivamente i diritti sanciti dalla CEDU, e conseguentemente
negando che questultima possa offrire una tutela piu` organica o piu`
accentuata di quella gia` prevista dalla Costituzione e dalle leggi
nazionali (20). Resta comunque il fatto che sullonda della incessante opera di sensibilizzazione svolta dalla migliore dottrina, e
soprattutto grazie alla giurisprudenza dinamica della Corte europea
dei diritti delluomo, che consente una sempre piu` chiara visione
della dimensione concreta delle garanzie offerte dalla CEDU
anche e soprattutto in materia penale le suddette forme di
resistenza nazionalistica alla CEDU stanno progressivamente venendo meno. Prova ne sia che limpatto di questultima sul nostro
ordinamento giuridico e` andato via via intensificandosi, come testimoniato dalle ormai numerose riforme della legislazione penale
italiana esplicitamente o implicitamente volte a consentire un adeguamento agli standards di garanzia di matrice convenzionale (21).
In definitiva, sebbene gia` il periodo intercorrente tra le due
guerre mondiali fosse stato caratterizzato da tentativi non trascurabili di integrazione sovranazionale in ambito penale (22), sembra
quindi possibile ribadire che solo con le convenzioni del Consiglio
dEuropa e soprattutto con la Convenzione europea dei diritti
delluomo e con la relativa giurisprudenza dei giudici di Strasburgo
e` stato avviato un vero e proprio processo di riscoperta della
Sul punto cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, PALAZZO, BERNARDI, La
Convenzione europea dei diritti delluomo e la politica criminale italiana: intersezioni e
lontananze, in Riv. intern. dir. uomo, 1988, p. 33 ss.
(19) Cioe` non direttamente applicabili in assenza di provvedimenti interni deputati a precisarle o completarle. Cfr., ad esempio, ALBANO, Le norme programmatiche della
CEDU e lordinamento italiano, in Riv. intern. dir. uomo, 1991, p. 719.
(20) In dottrina cfr., emblematicamente, CIANCI, Gli operatori del diritto e i diritti
delluomo, in Giust. pen., 1982, III, c. 313.
(21) Cfr., ad esempio, CHIAVARIO, Cultura italiana del processo penale e Convenzione europea dei diritti delluomo: frammenti di appunti e spunti per una microstoria,
in Riv. intern. dir. uomo, 1990, p. 462 ss.; STARACE, La Convenzione europea dei diritti
delluomo e lordinamento italiano, Bari,1992, p. 85 ss., 135, 140; volendo, BERNARDI,
Principi di diritto e diritto penale europeo, in Annali dellUniversita` di Ferrara - Scienze
giuridiche, vol. II, 1988, p. 145 ss.
(22) Ne costituiscono prova i numerosi convegni sullunificazione del diritto
criminale organizzati in tale periodo dallAssociazione internazionale di diritto penale.
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competenze della Comunita`, ma in quelle di ciascuno Stato membro veniva del resto confermata dalla lettura di taluni documenti
comunitari (25), ed ulteriormente ribadita financo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (26). Resta il fatto che, nonostante
lassenza di ogni esplicita competenza in materia penale della Comunita`, nel corso di questi decenni il diritto comunitario e` riuscito
a svolgere una progressiva azione di europeizzazione del diritto
criminale condotta a piu` livelli, e in particolare: contribuendo a
mutare allinterno degli ordinamenti giuridici nazionali i fondamentali profili di molte fattispecie penali nel segno di una loro graduale
armonizzazione; favorendo lintroduzione ex novo, nei singoli Stati
membri, di un numero ancora maggiore di fattispecie caratterizzate
da una precettistica assai omogenea da un Paese allaltro; imponendo la disapplicazione in tutto o in parte di talune norme incriminatrici; condizionando in modo vieppiu` evidente la scelta delle
sanzioni applicabili dagli Stati membri non solo in sede di attuazione
del diritto comunitario, ma anche in sede di normazione rispetto a
materie aventi rilevanza comunitaria, in quanto interferenti con
lambito applicativo di norme CE; dando vita a un sistema punitivo
accentrato di tipo para-penale.
La comprensione di questa articolata fenomenologia, destinata a
modificare nel profondo i tratti salienti dei sistemi penali (e piu` in
generale dei sistemi sanzionatori) nazionali puo` essere adeguatamente compresa ove si tengano presenti due distinti fattori, tra loro
strettamente connessi: a) le fonti comunitarie sia primarie (Trattati e
principi generali del diritto) sia secondarie (regolamenti e direttive)
risultano in una posizione di primato rispetto al diritto interno, e si
rivelano nella massima parte dei casi dotate di efficacia diretta; b) la
Comunita` europea, sebbene in linea di principio priva di competenza penale, attraverso il principio di fedelta` comunitaria di cui
allart. 10 TCE (27) e attraverso il principio non scritto di propor(25) Cfr., in primis, lOttava relazione generale sullattivita` delle Comunita` europee
del 1974, Bruxelles-Lussemburgo, 1975, p. 145, par. 90.
(26) Cfr., in particolare, sent. 11 novembre 1981, causa 203/80 (Casati), in Racc.,
1981, p. 2595; ord. 17 ottobre 1984, cause83-84/84 (N.M. c. Commissione e Consiglio
CE), in Racc., 1984, p. 3575. In dottrina cfr., in particolare, GRASSO, Comunita` europee
e diritto penale, Milano, 1989, p. 1.
(27) In base al quale Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere
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del resto, puo` essere fatta salva lesigenza sia di riservare alla Corte
di giustizia il monopolio dellinterpretazione delle norme regolamentari (44), sia di sottrarre queste ultime al controllo nazionale di
costituzionalita` (45), sia infine di garantire leffetto immediato e
diretto di ogni loro eventuale modifica (46). In definitiva, se e` vero
che in sede di costruzione del precetto penale la tecnica del rinvio
totale a norme extrapenali viene talora utilizzata dal legislatore
allinterno di una ricchissima giurisprudenza, sent. 18 febbraio 1970, causa 40/69
(Bollmann), in Racc., 1970, p. 69. In senso conforme cfr. ad esempio, nella giurisprudenza costituzionale italiana, sent. 27 dicembre 1973, n. 183, in Giur. cost., 1973, p.
2401, con nota di BARILE, Il cammino comunitario della Corte; sent. 30 ottobre 1975, n.
232, in Foro it., 1976, I, c. 542 ss., con nota di CONFORTI, Regolamenti comunitari, leggi
nazionali e Corte costituzionale, con ulteriori riferimenti bibliografici. In dottrina cfr., per
tutti, GUZZETTA, Costituzione e regolamenti comunitari, Milano, 1994, p. 8 ss. con
ulteriori puntualizzazioni e ricchissimi riferimenti bibliografici. Cfr. altres`, in una
prospettiva essenzialmente comunitaristica, KOVAR, Rapporti tra diritto comunitario e
diritti nazionali, in Trentanni di diritto comunitario, Bruxelles-Lussemburgo, 1981, p.
137 e bibliografia ivi riportata. Limitatamente alla dottrina penalistica, cfr., tra gli altri,
BERNARDI, La difficile integrazione tra diritto comunitario e diritto penale: il caso della
disciplina agroalimentare, in Cass. pen., 1996, p. 997; BIGAY, Lapplication des re`glements
communautaires en droit pe nal francais, in Rev. trim. dr. eur., 1971, p. 58 ss.; GAITO,
Sullefficacia immediata dei regolamenti comunitari nel settore penale, in Giur. it., 1981,
p. 453 ss.; PALAZZO, voce Legge penale, in Dig. disc. pen., vol. VII, 1993, p. 351; ID.,
Introduzione ai princ`pi di diritto penale, Torino, 1999, p. 253 ss.; PEDRAZZI, Droit
communautaire et droit pe nal des Etats membres, in Droit communautaire et droit pe nal,
Milano, 1981, p. 51 ss.; TRAPANI, voce Legge penale. I) Fonti, in Enc. giur. Treccani,
XVIII, Roma, 1990, p. 11.
(44) Cfr., per tutti, PESCATORE, Art. 177 - Commentaire, in Traite instituant la CEE
a cura di V. Constantinesco, R. Kovar, J.-P. Jacque , D. Simon, Paris, 1992, p. 1081 ss.
(45) Quanto meno fatti salvi i casi in cui tali norme risultino in tensione coi
principi fondamentali dellordinamento costituzionale. La Corte costituzionale italiana
ha invero affermato che in tali casi anche il diritto derivato puo` essere censurato in via
indiretta per il tramite della legge di esecuzione del trattato AMOROSO, La giurisprudenza
costituzionale nellanno 1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale: verso una quarta fase?, in Foro it., 1996, V, c. 87. Sulla problematica
del diritto comunitario secondario confliggente con i diritti fondamentali cfr., relativamente allesperienza francese, Conseil const., 20 gennaio 1993, sent. 92-316 DC, in Rev.
franc . dr. const., 1993, n. 14, p. 375 ss., con note di FAVOREU, FRAYSSINET, PHILIPPE,
RENOUX, ROUX. Relativamente allesperienza spagnola cfr. TRAYTER, La situazione attuale
dellintegrazione del diritto comunitario in Spagna. Riferimento speciale ai diritti fondamentali riconosciuti nella Costituzione, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1995, p. 960 ss.
(46) Cfr., in particolare, BERNASCONI, Linfluenza del diritto comunitario sulle
tecniche di costruzione della fattispecie penale, in Indice pen., 1996, p. 455 ss.
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nazionale anche con riferimento a norme non contenute in regolamenti comunitari, e` anche vero che, limitatamente alle norme europee a carattere regolamentare, il ricorso a tale tecnica normativa
risulta indotto e favorito da tutta una serie di fattori che trovano le
loro radici nei difficili rapporti di integrazione tra diritto comunitario e diritto penale (47).
Come ben si vede, in tutti e tre i casi presi in esame il ricorso a
precetti penali siffatti, in minore o maggiore misura integrati nei
singoli Stati da norme comunitarie assolutamente identiche (48), o
comunque votate a dare vita a disposizioni nazionali alquanto
omogenee da uno Stato allaltro (49), implica un processo di tendenziale omogeneizzazione di tali precetti a livello interstatuale, o
addirittura comporta la radicale uniformazione di questi in ambito
europeo. In particolare, la crescente proliferazione di disposizioni di
origine comunitaria sostitutive di precedenti disposizioni extrapenali
a carattere puramente nazionale e destinate a integrare in chiave
tecnica moltissimi precetti penali, non fa che accelerare il fenomeno di armonizzazione/unificazione (o se si preferisce di piu` o
meno intensa europeizzazione) dei suddetti precetti (50). Naturalmente, tale fenomeno di europeizzazione dei precetti acquista il
massimo rilievo laddove, come nei casi di rinvio totale a fonti
comunitarie, siano in realta` queste ultime a formulare il precetto
nella sua interezza, residuando al legislatore nazionale, come gia`
(47) Peraltro, sulla opportunita` di resistere alle facili lusinghe connesse al ricorso
alla tecnica normativa del rinvio completo nelle sue diverse configurazioni, tenuto
conto dei profili di disfunzionalita` insiti in tale tecnica cfr. diffusamente, anche con
specifico riferimento ai rapporti di integrazione tra diritto penale e regolamenti comunitari, BERNARDI, Il processo di razionalizzazione del sistema sanzionatorio alimentare tra
codice e leggi speciali, cit., p. 95 ss.
(48) Se contenute in regolamenti comunitari.
(49) Laddove tali norme comunitarie siano contenute in direttive darmonizzazione sufficientemente dettagliate, e dunque destinate ad essere trasposte con poche
modifiche allinterno dei singoli sistemi giuridici nazionali.
(50) Merita di essere ricordato che la tecnica di integrazione dei precetti penali
incentrata su forme esplicite di rinvio elastico viene ritenuta da una larga parte della
dottrina (almeno nei Paesi piu` rispettosi del principio di legalita` nelle sue diverse
espressioni, quali in particolare la Germania e lItalia) in contrasto col principio di
riserva di legge. Ma nemmeno in questi Paesi il dissenso della dottrina e` riuscito a frenare
il successo decretato dal legislatore alle fattispecie incriminatrici cos` costruite.
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Se, come in precedenza accennato, le plurime forme di incidenza del diritto comunitario sui precetti penali nazionali discendono tutte, essenzialmente, dai principi-cardine del primato e
dellefficacia diretta del diritto comunitario sulla normativa dei Paesi
membri, le forme di influsso del diritto comunitario sulle scelte
punitive nazionali discendono innanzitutto dal principio non
scritto di proporzione e dal principio di fedelta` comunitaria di cui
allart. 10 TCE.
In estrema sintesi, e` possibile affermare che le forme di influsso
da ultimo ricordate sono dovute allazione sia del legislatore comunitario sia della Corte di giustizia, e operano nella duplice prospettiva di imporre sanzioni sufficientemente severe ed effettive da
garantire il rispetto delle disposizioni di fonte comunitaria allin(54) Come ricordato supra, sub nt. 29, tale fattispecie dovra` pertanto, per ragioni
di certezza del diritto, essere al piu` presto abrogata dal legislatore: cfr. Corte di giustizia,
sent. 15 ottobre 1986, causa (Commissione c. Repubblica italiana), in Dir. com. scambi
intern., 1987, p. 105 ss., con nota di ZILIOLI, Recenti sviluppi sul contrasto tra norme
nazionali e disposizioni comunitarie, p. 110 ss.
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sussistenza di una competenza comunitaria a varare direttive contenenti obblighi di incriminazione a carico degli Stati membri siano
stati riproposti con forza (70) sembra di poter concludere ribadendo la legittimita` di direttive siffatte. Il che, naturalmente, non
equivale ad affermare la sussistenza in capo alla Comunita` di un
indiscriminato potere di imporre risposte di tipo penale per qualsivoglia violazione del diritto comunitario, indipendentemente dalla
sua gravita` (71). Infatti, al pari di ogni altra disposizione comunitaria,
i vincoli sanzionatori contenuti nelle direttive sono sindacabili dalla
Corte di giustizia in merito alla loro conformita` ai principi generali
del diritto comunitario, e segnatamente al principio di proporzionestretta necessita` della sanzione (72): pertanto il legislatore europeo
non potrebbe indurre gli Stati membri a varare una disciplina
(70) In effetti, con riferimento alla Proposta di direttiva del Parlamento Europeo
e del Consiglio relativa alla protezione dellambiente attraverso il diritto penale del
2001, in seno al Consiglio si e` da ultimo giunti alla conclusione che non potesse essere
raggiunta la maggioranza necessaria alla sua adozione, ritenendosi che tale proposta vada
al di la` delle competenze attribuite alla Comunita` dal Trattato CE. Si e` altres` ritenuto
che gli obiettivi perseguiti dalla proposta di direttiva in questione possano essere
raggiunti mediante una decisione quadro basata sul titolo VI del Trattato UE, ed in
particolare sul relativo art. 34. E` stata cos` adottata la decisione quadro 2003/80/GAI
del Consiglio del 27 gennaio 2003, relativa alla protezione dellambiente attraverso il
diritto penale, in GUCE L29, p. 55 ss. Tuttavia, in merito alla ben diversa efficacia delle
direttive rispetto alle decisioni quadro cfr., infra, sub par. 9, in fine.
(71) Gravita` da valutarsi, come si sa, in rapporto allimportanza del bene tutelato
ed alle modalita` oggettive e soggettive di aggressione allo stesso.
(72) Parallelamente, come vedremo nel prosieguo della trattazione, in sede di
attuazione del diritto comunitario gli Stati membri non potrebbero introdurre nemmeno
spontaneamente una disciplina sanzionatoria eccessivamente severa, in quanto non solo
la normativa comunitaria, ma anche la normativa nazionale di attuazione di testi
comunitari risulta sottoposta al controllo della Corte di giustizia in merito alla sua
conformita` al diritto comunitario primario, e segnatamente al principio di proporzione
della risposta punitiva. In argomento cfr., tra gli altri, CAPOTORTI, Il diritto comunitario
non scritto, cit., p. 409 ss.; CAPELLI, I principi generali come fonte di diritto, cit., p. 548;
DELMAS-MARTY, Le flou du droit: Du code pe nal aux droits de lhomme, Paris, 1986 (trad.
it. Dal codice penale ai diritti delluomo, trad. it., Milano, 1992, in particolare p. 86 ss.;
DE SALVIA, Droit communautaire, droit pe nal et Convention europe enne des droits de
lhomme, in Droit communautaire et droit pe nal, cit., p. 122; RIZ, Diritto penale e diritto
comunitario, cit., p. 467 ss.; TESAURO, I diritti fondamentali nella giurisprudenza della
Corte di Giustizia, in Riv. intern. dir. uomo, 1992, p. 432 ss. e 440; ID., Diritto
comunitario, Padova, 2001, p. 89.
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sanzionatoria sproporzionata per eccesso senza incorrere nella censura della Corte di giustizia.
6.
Il ruolo della giurisprudenza della Corte di giustizia nel ravvicinamento delle risposte punitive nazionali.
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omogeneizzazione a livello interstatuale proprio delle norme punitive volte a colpire attivita` illecite di rilievo europeo. In tali ipotesi,
infatti, i lineamenti delle fattispecie interne risultano fortemente
condizionati non gia` dalle prescrizioni extrapenali di matrice comunitaria bisognose di tutela ma, in modo ancor piu` immediato, dalla
predeterminazione a livello comunitario proprio dei profili essenziali
delle fattispecie dirette a controllare taluni fenomeni criminali di
particolare interesse.
In proposito, va posto in rilievo come le direttive comunitarie a
carattere espressamente sanzionatorio peraltro sino ad oggi varate
in numero alquanto ridotto (103) da un lato definiscano con
estrema meticolosita` i comportamenti che gli Stati sono chiamati a
sanzionare (104) predeterminando gli elementi essenziali delle fattispecie; dallaltro lato pur non contenendo veri e propri obblighi
di incriminazione (105) lascino chiaramente intendere quali siano
le tipologie di misure punitive che il legislatore comunitario ritiene
(103) Cfr., innanzitutto, dir. del Consiglio 89/592/CEE del 13 novembre 1989 sul
coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in
possesso di informazioni privilegiate (insider trading), in GUCE, L334 del 18 novembre
1989, p. 30 ss.; dir. del Consiglio 91/308/CEE del 10 giugno 1991 relativa alla
prevenzione delluso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita`
illecite, in GUCE, L166 del 28 giugno 1991, p. 77 ss. Cfr., altres`, dir. del Consiglio
91/250/CEE del 14 maggio 1991 relativa alla tutela giuridica dei programmi per
elaboratore, in GUCE, L122 del 17 maggio 1991, p. 42 ss.
(104) Cfr., ad esempio, lart. 7 della succitata dir. 91/250/CEE, in base al quale 1.
Fatte salve le disposizioni degli articoli 4, 5 e 6, gli Stati membri stabiliscono, conformemente alle legislazioni nazionali, appropriate misure nei confronti della persona che
compie uno degli atti elencati alle seguenti lettere a), b) e c):
a) ogni atto di messa in circolazione di una copia di un programma per
elaboratore da parte di chi sappia o abbia motivo di ritenere che si tratta di copia illecita;
b) la detenzione a scopo commerciale di una copia di un programma per
elaboratore da parte di chi sappia o abbia motivo di ritenere che si tratta di copia illecita;
c) ogni atto di messa in circolazione, o la detenzione a scopo commerciale, di
qualsiasi mezzo unicamente inteso a facilitare la rimozione non autorizzata o lelusione
di dispositivi tecnici eventualmente applicati a protezione di un programma.
2. Ogni copia illecita di un programma per elaboratore e` passibile di sequestro,
conformemente alla legislazione dello Stato membro interessato.
3. Gli Stati membri possono prevedere il sequestro di qualsiasi mezzo contemplato
dal paragrafo 1, lettera c).
(105) Rispetto ai quali, come in precedenza si e` detto, sussistono tuttora forti
resistenze da parte dei Governi. Cfr., supra, sub par. 5, nt. 70.
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9.
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testo definitivo non viene stabilito tramite una conferenza intergovernativa, ma dallo stesso Consiglio CE (113). Si allude, in particolare, alla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari
delle Comunita` europee (cosiddetta Convenzione PIF) adottata a
Bruxelles il 26 luglio 1995, coi suoi tre protocolli integrativi concernenti la corruzione dei funzionari europei, la responsabilita` delle
persone giuridiche e la confisca (114); alla Convenzione del 26 luglio
1995 che istituisce un Ufficio europeo di polizia (Convenzione
Europol); nonche alla Convenzione relativa alla lotta contro la
corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunita`
europee o degli Stati membri dellUnione europea adottata a Bruxelles il 26 maggio 1997 (115).
Resta comunque il fatto che anche le convenzioni adottate
ricorrendo alle interpolazioni procedurali previste dal terzo pilastro (116) postulano pur sempre unopera defatigante di negoziazione
tra gli Stati membri (117), necessitano per la loro entrata in vigore
(113) Cfr. art. 34 lett. d) TUE. Cfr., al riguardo, i rilievi di LO MONACO, Les
instruments juridiques de coope ration dans les domaines de la Justice et des Affaires
inte rieures, in Rev. sc. crim., 1995, p. 18 s.; SICURELLA, Il titolo VI del Trattato di
Maastricht e il diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 1318.
(114) Sul punto cfr., per tutti, LABAYLE, La lutte anti-fraude et le troisie`me pilier, in
La lotta contro la frode agli interessi finanziari della Comunita` europea tra prevenzione e
repressione, cit., p. 302; RIZZA, La sanzione delle violazioni da parte dei singoli di norme
comunitarie dirette alla protezione degli interessi finanziari della Comunita` nella giurisprudenza della Corte di giustizia, cit., p. 115, nt. 68; SALAZAR, Cooperazione giudiziaria e
lotta antifrode, in La lotta contro la frode agli interessi finanziari della Comunita` europea
tra prevenzione e repressione, cit., p. 327 ss.
(115) In argomento cfr., in particolare, SALAZAR, LUnione europea e la lotta alla
criminalita` organizzata da Maastricht ad Amsterdam, in Doc. Giustizia, 1999, c. 393 ss.
(116) E, in particolare, nonostante le ulteriori innovazioni apportate a tali strumenti internazionali dal Trattato di Amsterdam in vista di un piu` intenso ricorso a questi
ultimi. Si allude innanzitutto al fatto che, successivamente a tale Trattato, per lentrata
in vigore di tali convenzioni e` richiesta, salvo disposizione contraria, la ratifica da parte
della meta` anziche di tutti gli Stati membri. Sul punto cfr., per tutti, ADAM, La
cooperazione in materia di giustizia e affari interni tra comunitarizzazione e metodo
intergovernativo, in Dir. Un. Eur., 1998, p. 488; MARGUE, La coope ration en matie`re de
pre vention et de lutte contre le crime dans le cadre du nouveau troisie`me pilier, in Rev. dr.
Un. eur., 2000, p. 737.
(117) Anche perche , come sottolinea lo stesso MARGUE nellarticolo citato alla nota
precedente, ex art. 34 TUE, anche dopo il Trattato di Amsterdam (e dopo il Trattato di
Nizza) in relazione alle convenzioni varate nellambito del terzo pilastro il Consiglio
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continua a deliberare allunanimita`. Sul punto cfr. altres`, anche per ulteriori puntualizzazioni, ADAM, La cooperazione in materia di giustizia e affari interni tra comunitarizzazione e metodo intergovernativo, cit., p. 486; nonche , con accenti spiccatamente critici in
ordine al requisito dellunanimita`, OKEEFFE, Recasting the Third Pillar, in Common
Market Law Review, 1995, p. 904; CURTIN, POUW, La coope ration dans le domaine de la
justice et des affaires inte rieures au sein de lUnion europe enne: une nostalgie davant
Maastricht?, in Rev. Marche comm. Un. eur., 1995, p. 30.
(118) Cfr., supra, sub nt. 116. Tale condizione risulta particolarmente gravosa a
causa dellinerzia di taluni Paesi firmatari (sul punto cfr., amplius e per tutti, BERNASCONI,
Nuovi strumenti giudiziari contro la criminalita` economica internazionale, Napoli, 1995, p.
405 ss.; LABAYLE, La coope ration europe enne en matie`re de justice et daffaires inte rieures
et la Confe rence intergouvernementale, in Rev. trim. dr. eur., 1997, p. 1 ss., e bibliografia
ivi riportata; SALAZAR, La cooperazione giudiziaria in materia penale, in Giustizia e affari
interni nellUnione europea. Il terzo pilastro del Trattato di Maastricht, a cura di N. Parisi
e D. Rinoldi, Torino, 1996, in particolare p. 152 ss.), vale a dire a causa della deprecabile
tendenza di questi ultimi prima a firmare e poi a non ratificare le convenzioni e i
protocolli addizionali deputati a realizzare un processo di ravvicinamento settoriale delle
scelte punitive (sul punto cfr., diffusamente, SALAZAR, La costruzione di uno spazio di
liberta`, sicurezza e giustizia dopo il Consiglio europeo di Tampere, in Cass. pen., 2000,
p. 1120).
(119) Un esempio al riguardo e` fornito dalla stessa convenzione Europol, di cui
risulta difficile modificare anche taluni aspetti meramente secondari. Cfr. La Convenzione europea. Relazione finale del Gruppo X Spazio di liberta`, sicurezza e giustizia,
Bruxelles, 2 dicembre 2002, doc. CONV 426/02, p. 7.
(120) In merito ai quali cfr., in prospettiva penalistica, BERNARDI, Strate gies pour
une harmonisation des syste`mes penaux europe ens, in Archives de politique criminelle, n.
24, Paris, 2002, p. 208 ss.
(121) In effetti, in sede europea non si e` mancato recentemente di rilevare che la
sola fase della ratifica delle convenzioni varate nel quadro dellUnione richiede mediamente quattro/cinque anni. Cfr. La Convenzione europea. Giustizia e affari interni-stato
dei lavori e problematiche generali, Bruxelles, 31 maggio 2002, doc. CONV 69/02, cit.,
p. 10. In dottrina cfr., da ultimo e per tutti, ZUCCALAv , Lunitario diritto penale europeo
come meta del diritto comparato?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, p. 606.
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senso, nellambito della Convenzione designata nel 2002 dal Consiglio europeo al fine di riunire i principali soggetti interessati al
dibattito sul futuro dellUnione (148), una ampia maggioranza si e`
espressa a favore di una radicale riforma istituzionale volta ad
attuare una totale o parziale comunitarizzazione delle materie rientranti nel terzo pilastro, nonostante la consapevolezza della conseguente perdita di potere dei singoli Stati.
Sennonche , un tale potenziamento dovrebbe implicare altres`
un accresciuto controllo parlamentare sui relativi atti normativi. In
questo senso a meno di non voler rinunciare a quelle garanzie
legalitarie sinora considerate, quantomeno in materia penale, come
una irrinunciabile conquista della cultura giuridica occidentale
parrebbe quindi imporsi un processo di ulteriore democratizzazione
dellUnione. Consci di cio`, in piena sintonia con la prevalente
dottrina penalistica europea, molti dei membri della Convenzione
europea istituita nel 2002 e presieduta da Giscard dEstaing hanno
auspicato che nellattivita` normativa dellUnione concernente la
cooperazione giudiziaria e di armonizzazione penale venga attribuito
un ruolo di vero e proprio colegislatore al Parlamento europeo, e
che comunque in tali materie il ruolo dei Parlamenti nazionali venga
rafforzato (149), in vista di una migliore attuazione del principio di
riserva di legge (150). In particolare, si e` specificato che il potenzia(148) Oltre che dal Presidente (V. Giscard dEstaing) e dai due Vicepresidenti (G.
Amato e J.L. Dehaene), la Convenzione e` composta da:
15 rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri (1 per Stato
membro),
13 rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo dei paesi candidati alladesione
(1 per paese candidato),
30 rappresentanti dei Parlamenti nazionali degli Stati membri (2 per Stato
membro),
26 rappresentanti dei Parlamenti nazionali dei paesi candidati alladesione (2
per paese candidato),
16 rappresentanti del Parlamento europeo,
2 rappresentanti della Commissione europea.
(149) La Convenzione europea. Nota relativa alla sessione plenaria, Bruxelles, 19
giugno 2002, doc. CONV 97/02, cit., p. 4.
(150) In argomento cfr., in generale e per ulteriori riferimenti bibliografici,
BERNARDI, I principi e criteri direttivi in tema di sanzioni nelle recenti leggi comunitarie,
cit., passim.
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trato (155): ostacoli che, con ogni probabilita`, limminente allargamento dellUnione non dovrebbe certo attenuare.
11.
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zati a perseguire (sia pure con modalita` diverse e in settori nientaffatto coincidenti) forme di intenso ravvicinamento dei sistemi penali
nazionali, piu` che vere e proprie forme unificazione penale su scala
europea (174).
In questo senso sebbene in effetti non appaiano del tutto
assenti indizi di segno opposto (175), atti cioe` a far ritenere che tali
progetti costituiscano ipotesi di unautentica unificazione settoriale in ambito penale (176) sembra di poter dire che in tale
ambito la meta di una assoluta unificazione, seppure circoscritta a
specifici gruppi di fattispecie, risulta ancora esorbitante rispetto ai
piu` immediati traguardi prefissati dalla dottrina penalistica e dalla
stessa Unione europea. Una riprova di tale assunto e` offerta dalle
recenti Proposte di norme penali comuni in Europa (177) elaborate
a conclusione del Programma Falcone concernente un Progetto
comune europeo di contrasto alla criminalita` organizzata (178). In
effetti le proposte avanzate, frutto di una cooperazione intensa e
paritetica (179) tra i tre gruppi di ricercatori coinvolti (italiano,
(174) Si pensi innanzitutto, relativamente al progetto di Corpus Juris, al c.d.
principio di complementarieta` del diritto interno (art. 35), in base al quale, al fine di
rendere operative le fattispecie di cui agli artt. 1 a 8, le norme di parte generale introdotte
dal Corpus stesso sono completate dal diritto nazionale, se necessario. Relativamente
poi al progetto sugli eurodelitti, va in particolare sottolineato che questultimo mantiene
al suo interno spazi di discrezionalita` per i legislatori nazionali, specie per quanto
riguarda la disciplina sanzionatoria delle singole fattispecie, lasciata volutamente aperta
dai redattori in considerazione delle forti divergenze fra gli Stati proprio su questo
terreno TIEDEMANN, Armonizzazione del diritto penale delleconomia nellUnione Europea (Euro-Delitti), cit., p. 11 del testo dattiloscritto.
(175) Cos`, ad esempio, nel Libro verde sulla tutela penale degli interessi finanziari
comunitari e sulla creazione di una procura europea dell11 dicembre 2001 si prevede
previa introduzione nel TCE di un art. 280-bis attributivo di apposite competenze penali
alla Commissione ladozione non gia` di una direttiva, ma di un regolamento
comunitario che fissi gli elementi costitutivi dei reati penali (sic) per frode e per
qualsiasi attivita` illegale lesiva degli interessi finanziari della Comunita` (Libro verde, par.
2.4., p. 20 del testo dattiloscritto).
(176) DONINI, Sussidiarieta` penale e sussidiarieta` comunitaria, cit., p. 155.
(177) Pubblicate in Towards a European Criminal Law against Organised Crime, a
cura di V. Militello e B. Huber, Freiburg im Breisgau, 2001, p. 281 ss.
(178) Cfr., al riguardo, Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale, cit.,
passim.
(179) Vale a dire da una cooperazione non contrassegnata come viceversa e`
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verso tale meta e` gia` iniziato, e che esso non potra` che prolungarsi,
sullonda dellevolversi dellUnione e della parallela, progressiva
evoluzione culturale degli operatori giuridici di settore: almeno sino
a quando, nel nome di nuove e non auspicabili esigenze nazionalistiche o comunque particolaristiche, la progressiva federalizzazione del vecchio continente non subira` una inversione di tendenza.
Sez. II: Europeizzazione del diritto e scienza penale.
12.
Verso una cultura giuridico-penale europea. Le diverse manifestazioni in ambito scientifico del superamento delle tradizioni
penali nazionali.
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almeno sei sembrano essere le eterogenee dinamiche sottese allattuale superamento delle tradizioni penali statuali nella prospettiva
delleuropeizzazione delle scienze criminali. La prima si esprime in
un recupero del giusnaturalismo e dei diritti delluomo, accomunati
nel fungere da argine al relativismo nazionalistico e da momento di
selezione e verifica sia delle generali scelte politico-criminali sia
financo dei principi, categorie, istituti dellordinamento giuridico
interno. La seconda consiste nella riaffermazione e valorizzazione di
un razionalismo giuridico di matrice anti-statualista, anche se, eventualmente, di carattere sincretistico, e dunque non del tutto insensibile a taluni fondamentali dati dordine socio-culturale riflessi dal
sistema giuridico nazionale. La terza si sostanzia nel rilancio del
metodo storicistico, inteso come momento di approfondimento
delle passate esperienze giuridiche e di verifica di una loro possibile
seppur parziale trasposizione nellattuale contesto politico-istituzionale, dunque come fonte di riflessione e stimolo in chiave riformista.
La quarta attiene al potenziamento della comparazione, e alla progressiva evoluzione di questa da strumento meramente conoscitivo a
elemento funzionale alla rielaborazione di modelli giuridici eventualmente destinati ad essere trasposti allinterno dei singoli sistemi,
quindi a momento giustificativo delle scelte normative operate in
ambito nazionale, infine a meccanismo rivelatore dei lati piu` occulti
dellordinamento giuridico-penale nazionale, conoscibili per lappunto solo attraverso il prisma della comparazione. La quinta si
traduce nella progressiva erosione del tradizionale modello piramidale del diritto penale espressivo di un sistema unitario e
verticistico, incentrato su un principio di legalita` affidato ad una
precisa gerarchia dei testi normativi, e dunque costretto allinterno di una razionalita` deduttiva e lineare a favore dellaffermazione di un modello giuridico improntato alla logica della rete;
modello, questo, caratterizzato da una moltiplicazione di fonti appartenenti a sistemi eterogenei, dallintreccio di norme prive di un
preciso ordine gerarchico e dalla costruzione di un diritto a piu`
mani, con conseguente rivalutazione dellapporto della giurisprudenza nel complessivo sviluppo di tale branca del diritto. La
sesta implica la valorizzazione di un atteggiamento pragmatico dimentico di ogni esigenza di coerenza dogmatica e sistematica, e
viceversa attento ad un sincretismo concettuale in forza del quale
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Come sopra accennato, una prima manifestazione dellevoluzione del pensiero penalistico in senso supra- o trans-nazionale si
rinviene nella riscoperta di principi e concetti generali di fonte
metagiuridica capaci di arginare il relativismo dei sistemi (penali)
interni, e segnatamente di opporsi alle potenziali ingiustizie perpetrabili dal legislatore e dallinterprete (dottrina e giurisprudenza).
Affermatasi come noto nel periodo successivo alla seconda guerra
mondiale quale reazione allUnrecht degli ordinamenti totalitari sorti
nellEuropa degli anni 30, questa rinascita giusnaturalista (185)
non puo` ancora dirsi conclusa (186), accompagnando e talora in-
(185) Cfr., in particolare, AUER, Der Mensch hat Recht. Naturrecht auf dem
Hintergrund des Heute, Ko ln, 1956; DEL VECCHIO, Mutabilita` ed eternita` del diritto
naturale, in Jus, 1954, p. 1 ss.; FROSINI, Lattualita` del diritto naturale, in Riv. it. fil. dir.,
1961, p. 520 ss.; GALAN DE GUTIERREZ, El derecho natural y su incesante retorno, in Rev.
crit. der. inmob., 1945, p. 168 ss.; HAENSEL, Die Zyklische Wiederkeher des Naturrechts,
in SchwZfS, 1950, p. 257 ss.; KAUFFMANN, Naturrecht und Geschichtlichkeit, Tu bingen,
1957; MORELLI, Il diritto naturale nelle costituzioni moderne, Milano, 1974; MOSSA, La
rinascita del diritto naturale dopo la catastrofe dellEuropa, in Nuova riv. dir. comm., 1949,
p. 77 ss.; ORESTANO, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto. (Linee di una vicenda
concettuale), in Jus, 1960, p. 149 ss., e bibliografia ivi citata a p. 174; WELZEL, Diritto
naturale e giustizia materiale, trad. it., Milano, 1965. In argomento cfr. altres`, MAINHOFER, Naturrecht oder Rechtspositivismus?, Darmstadt, 1962, con ulteriori ricchissimi
riferimenti bibliografici (p. 580 ss.).
(186) Cfr., ad esempio, per una concezione del diritto dimpronta ontologicamente giusnaturalista, DAGOSTINO, Filosofia del diritto, Torino, 2000. Cfr. altres`, sia
pure con accenti differenti, VIOLA, Ragion pratica e diritto naturale: una difesa analitica
del giusnaturalismo, in Ragion pratica, 1993, p. 61 ss.
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zionali comuni agli Stati membri (212), dallaltro lato non per questo
rinnega la dimensione non solo ideale (213), ma anche storico-comparatistica del catalogo di statuizioni in essa contenute (214). Catalogo
deputato, con ogni probabilita`, a costituire in futuro il nucleo centrale
di una Costituzione europea degna di rappresentare il livello di valori
e di principi espresso da un continente considerato la culla dei diritti
delluomo anche da chi si dichiara alieno da una lettura puramente
oggettiva e positiva di questi ultimi (215).
14.
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Passando ora allesame della terza delle summenzionate dinamiche nelle quali trova espressione lattuale superamento delle
tradizioni penali statuali nella prospettiva di una loro progressiva
Towards a European Criminal Code?, in Eur. Jour. Crime Crim. Law Crim. Jus., 1996, p.
2 ss; DANNECKER, Der Allgemeine Teil eines europa ischen Strafrechts als Herausforderung
fu r die Strafrechtswissenschaft, in Festschrift fu r Hirsch, a cura di T. Weigend, G. Ku pper,
Berlin, 1999, p. 141 ss.; PALIERO, La fabbrica del Golem. Progettualita` e metodologia per
la Parte generale di un codice penale dellUnione europea, cit., p. 466 ss.; PARODI
GIUSINO, Diritto penale e diritto comunitario, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, p. 110.
Cfr. altres`, a favore di un codice penale modello per lUnione europea, CADOPPI, Verso
un diritto penale unico europeo?, in Possibilita` e limiti di un diritto penale dellUnione
europea, cit., p. 39; PAGLIARO, Limiti allunificazione del diritto penale europeo, in Riv.
trim. dir. pen. econ., 1993, p. 205; SIEBER, Memorandum on a European Model Code, in
European Journal of Law Reform, 1998/1999, vol. 1, n. 4, p. 445 ss.
(228) Sul punto cfr., amplius, BERNARDI, Strate gies pour une harmonisation des
syste`mes penaux europe ens, cit., p. 231-232.
(229) In argomento cfr. le osservazioni di SIEBER, A propos du code pe nal type
europe en, in Rev. dr. pe n. crim., 1999, p. 28.
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E ancora, chi nellambito dellattuale fase di costruzione europea ponesse laccento sulla progressiva affermazione di principi e
valori comuni di impronta al contempo ideale e razionale potrebbe
cogliere, quale piu` significativo antecedente di tale fase, il modello
proposto dal riformismo illuminista settecentesco. In esso, come
noto, ad una critica radicale dei retaggi del passato in nome dei
nuovi valori liberal-borghesi si accompagnavano innovazioni politico-sociali di respiro cosmopolita, ricche di riflessi sul piano giuridico, e destinate a porre le fondamenta di un diritto incentrato sul
primato della legge e della dignita` umana (237).
Chi, infine, pur dubitando della tenuta sul piano politicoistituzionale di unEuropa caratterizzata da continui fenomeni di
ampliamento, perseguisse parallelamente un disegno di ununita`
giuridico-penale consentito dalla tendenziale affinita` culturale del
vecchio continente, o, in subordine, auspicasse il potenziamento di
una politica preventivo-repressiva comune per i settori criminali di
rilievo transnazionale, potrebbe trovare un immediato antecedente
storico nel movimento di europeismo utopista della prima meta`
Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, 1999, p. 69 ss.; IGLESIAS RERREIROu S,
La forja de la civilizacio n europea: el Ius commune, in Cultura juridica europea: una
herencia persistente, Sevilla, 2001, p. 39 ss., 54 ss.; Con specifico riferimento al settore
penale cfr. altres`, in generale, CARBASSE, Introduction historique au droit pe nal, Paris,
1990, p. 94 ss.. Per taluni spunti sui parallelismi tra lesperienza giuridica medioevale e
lattuale esperienza giuridica europea cfr., ad esempio, CHITI, Lo spazio giuridico europeo,
in Riv. it. dir. pubbl. com., 2001, p. 983 ss.; nonche , in chiave penalistica, JESCHECK, Nuove
prospettive del diritto penale nazionale, europeo e internazionale. Quale politica criminale
per il XXI secolo?, cit., p. 6 del testo dattiloscritto; RIONDATO, Sullarcipelago neomedioevale del diritto penale della Comunita` e dellUnione europea. In margine al Corpus
Juris per la protezione penale degli interessi finanziari dellUnione, in Possibilita` e limiti
di un diritto penale dellUnione europea, cit., p. 97 ss.
(237) Al riguardo cfr., in generale e con impostazioni talora non coincidenti,
CANTUv , Beccaria e il diritto penale, Firenze, 1862, p. 3 ss.; CATTANEO, I principi dellIlluminismo giuridico-penale, in Casi, fonti e studi per il diritto penale, raccolti da S.
Vinciguerra, Padova, 1999, p. 3 ss.; CORDERO, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Bari,
1985, p. 514 ss.; MAESTRO, Cesare Beccaria e le origini della riforma penale, Padova, 1973,
p. 17 ss.; PESSINA, Il diritto penale in Italia da Cesare Beccaria sino alla promulgazione del
codice penale vigente (1764-1890), in Enciclopedia del diritto penale italiano, a cura di E.
Pessina, Milano, 1906, p. 541 ss.; STROMHOLM, LEurope et le droit, Paris, 2002, p.
208-209; TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna: assolutismo e codificazione del
diritto, Bologna, 1976, p. 31 ss.
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del XX secolo (238). Questo movimento infatti contro ogni evidenza politica si proponeva di offrire una risposta unitaria sul
piano penale a taluni contingenti problemi di politica criminale
tuttora straordinariamente attuali e di difficile soluzione, specie ove
affrontati da sistemi giuridici nazionali chiusi nel loro particolarismo (239).
In definitiva, quindi, il nuovo impulso alla europeizzazione del
diritto attraverso la storia mira a sottolineare il persistere di una
tradizione giuridica comune, inscritta nella sostanziale identita` culturale del vecchio continente (240), a stimolare la formazione di
studiosi consapevoli delle loro ascendenze e propensi a favorire la
rinascita, anche in ambito penale, di una scienza giuridica di respiro
continentale.
In questa prospettiva, i fenomeni di relativizzazione e frammen(238) Di tale movimento costituiscono una puntuale testimonianza le otto conferenze svoltesi tra il 1927 e il 1947 su iniziativa dellAssociation internationale du droit
pe nal e del Bureau international pour lunification du droit pe na, in merito alle quali cfr.:
Actes de la Confe rence de Varsavie, Paris, 1929; Actes de la Confe rence de Rome, Istituto
Poligrafico dello Stato, Roma, 1931; Actes de la Confe rence de Bruxelles, Office de
publicite , Bruxelles, 1931; Actes de la Confe rence de Paris, Paris, 1933; Actes de la
Confe rence de Madrid, Paris, 1935; Actes de la Confe rence de Copenaghen, Paris, 1938;
Actes de la Confe rence de Cairo, Paris, 1939; Actes de la Confe rence de Bruxelles, Paris,
1949.
(239) In merito a tali problemi politico-criminali cfr., specificamente, ALOISI,
Unificazione internazionale del diritto penale, Torino, 1940, p. 5 ss.; RAPPAPORT, Le
proble`me de lunification internationale du Droit Pe nal, in Revue Pe nitentiaire de Pologne,
Varsovie, 1929, p. 13 ss. In argomento, piu` sinteticamente, BACIGALUPO, Il Corpus Juris
e la tradizione della cultura giuridico-penale degli Stati membri dellUnione europea, in
Prospettive di un diritto penale europeo, Milano, 1998, p. 52-53; JESCHECK, Lo stato attuale
del diritto europeo, in Prospettive per un diritto penale europeo, Padova, 1968, p.323;
SOLNAR, Difficolta` e prospettive del diritto penale in Europa, in Prospettive per un diritto
penale europeo, Padova, 1968, p. 170.
(240) In questo senso cfr., emblematicamente, PREDIERI, Il diritto europeo come
formante di coesione e come strumento di integrazione, in Il diritto dellUnione europea,
1996, p. 22: Vi e`, dunque, ... ununita` [di tradizione giuridica] che puo` riallacciarsi
dopo le prove piu` dure: le restaurazioni della democrazia dopo i totalitarismi e il ritorno
dei paesi dellEuropa centrale dopo il crollo dellimpero sovietico lo testimoniano.
Quando questo fondo comune europeo venga compromesso e paia essere soppresso,
riemerge al momento opportuno. Cfr. altres`, per tutti, SANTINI, Nascita di una nuova
disciplina: la storia del diritto europeo, cit., p. 192; ID., Materiali per la storia del diritto
comune, Torino, 1990; STEIN, SHAND, I valori giuridici della civilta` occidentale, cit.
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tazione del diritto talora connessi proprio alla percezione di questultimo in chiave storico-culturale (241) tendono a svanire nella
consapevolezza della specifica matrice europea delle grandi correnti del pensiero giuridico, della forza unificante esercitata su scala
continentale da un comune sentire destinato a prevalere rispetto
allaccidentale pluralismo delle soluzioni nazionali.
Fondata dunque su una solida tradizione di valori condivisi (242)
e su una omogenea civilta` ricca di riflessi sul piano del diritto, la
consapevolezza di appartenere ad una casa comune appare oggi
rafforzata dalla incredibile permeabilizzazione delle culture giuridiche locali. Culture, queste, ormai stabilmente attraversate dai nuovi
flussi della scienza europea del diritto (243) e proiettate in un contesto sovrastatuale comunitario sia a causa della caduta delle frontiere
doganali e dallattenuazione dei localismi intellettuali sia, piu` specificamente, a causa del meccanismo biunivoco di scambio giuridicoculturale instaurato nelle relazioni tra sistema comunitario e sistemi
nazionali (244). Ma, a questo punto, la valorizzazione della comune
tradizione giuridica operata nellambito dallattuale fenomeno di
riscoperta in prospettiva funzionalistica della storia del diritto finisce
col giovarsi anche di quei processi di trasformazione del metodo
comparatistico che verranno qui di seguito esaminati.
16.
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E` questo, per lappunto, il caso dellUnione europea. Cfr., supra, sub par. 1,
nt. 4.
(267) Ovvero, in subordine, di punire in modo significativamente diverso.
(268) Si pensi, ad esempio, alla prostituzione (e alle relative attivita` di contorno
quali linduzione, ladescamento, lo sfruttamento), al consumo di stupefacenti, alle
pratiche connesse allappartenenza a particolari sette religiose; e si pensi altres`, limitatamente al campo della bioetica, alle pratiche abortive, ai trapianti di organi, alleutanasia, alle diverse forme di fecondazione artificiale.
(269) In argomento cfr., volendo, BERNARDI, Europe sans frontie`res et droit pe nal,
in Rev. sc. crim., 2002, p. 1 ss. e, in particolare, p. 12-13.
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(270) In merito alluso innovativo del metodo comparatistico da parte della Corte
di giustizia nellambito della costruzione del diritto comunitario cfr., in generale e per
tutti, HILF, The Role of Comparative Law in the Jurisprudence of the Court of Justice of
the European Communities, in The Limitation of Human Rights in Comparative Constitutional Law, Cowansville, 1986, p. 558 ss.; JANN, Der Ru ckgriffe auf die nationalen
Rechte in der Ta tigkeit des europa ischen Gerichtshofes, in Me langes en hommage a`
Ferdinand Schockweiler, Baden-Baden, 1999, p. 255 ss.; KAKOURIS, Lutilisation de la
methode comparative par la Cour de justice des Communaute s europe ennes, in The Use of
Comparative Law by Courts, Atene, 1999, p. 97 ss.; LENAERTS, Le droit compare dans le
travail du juge communautaire, in Rev. trim. dr. eur., 2001, p. 487 ss.; MERTENS DE
WILMARS, Le droit compare dans la jurisprudence de la Cour de justice des Communaute s
europe ennes, in Journal des Tribunaux, 1991, p. 37 ss.; PESCATORE, Le recours, dans la
jurisprudence de la Cour de justice des Communaute s europe ennes, a` des normes de duites
de la comparaison des droits des Etats membres, in Rev. int. dr. comp., 1980, p. 352 ss.;
PIZZORUSSO, Le tradizioni costituzionali comuni dei Paesi dEuropa come fonte del diritto
comunitario, in I diritti delluomo. Cronache e battaglie, 2000, n. 3, p. 12 ss.; SOMMA, Luso
giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, Milano, 2001,
p. 193 ss.
(271) Cfr., allinterno di una vasta bibliografia, Linterpretazione giudiziaria della
Convenzione Europea dei diritti delluomo, Padova, 1988; MATSCHER, Methods of Interpretation of the Convention, in The european System for the Protection of human Rights,
a cura di R. St. J. Mac Donald, F. Matscher e H. Petzold, Dondrecht - Boston - London,
1993; OST, Originalite des methodes dinterpre tation de la Cour europe enne des droits de
lhomme, in Raisonner la raison de tat, a cura di M. Delmas-Marty, Paris, 1989, p. 405 ss;
PUSTORINO, Linterpretazione della Convenzione Europea dei diritti delluomo nella prassi
della Commissione e della Corte di Strasburgo, Napoli, 1998.
(272) Come noto, la Corte europea dei diritti delluomo risulta composta di
giuristi di riconosciuta competenza, provenienti dai diversi Stati membri del Consiglio
dEuropa ed eletti per un periodo di nove anni. Quanto alla Corte di giustizia CE, essa
e` formata da giudici (alti magistrati e giuristi di chiara fama), scelti senza vincoli di
nazionalita`, eletti di comune accordo per un periodo di sei anni dai governi degli Stati
membri e dotati di unassoluta indipendenza nei confronti di questi ultimi.
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comunitario scritto, dallaltro lato finisce inevitabilmente col contribuire al potenziamento e perfezionamento del metodo comparatistico. Lattivita` della Corte di Giustizia (cos` come quella della Corte
europea dei diritti delluomo) costituisce dunque un vero e proprio
terreno privilegiato per lelaborazione di nuove metodologie comparatistiche di grande interesse: tanto piu` che, come si avra` subito
modo di verificare, gli esiti di tale opera di comparazione non si
limitano, se del caso, a suggerire processi di riforma del diritto
(penale) interno, ma implicano una diretta trasformazione dei sistemi giuridici nazionali.
Per poter comprendere limmediata incidenza della comparazione sul diritto criminale dei Paesi europei, occorre innanzitutto
ricordare che gli sviluppi conferiti attraverso il metodo comparativo
ai principi generali e ai diritti fondamentali dalla giurisprudenza
comunitaria (cos` come da quella degli organi di Strasburgo) condizionano non solo la legislazione comunitaria (283), ma anche la
legislazione interna, specie penale (284). Cio` significa che le scelte
principes ge ne raux de droit, in Me langes offerts a` H. Rolin. Proble`mes de droit des gents,
Paris, 1964, p. 273.
(283) E` noto infatti che la giurisprudenza comunitaria in tema di diritti fondamentali e` sorta, innanzitutto, in funzione di parametro garantistico di validita` delle
disposizioni comunitarie; vale a dire in funzione di tutela contro gli eccessi di potere
degli organi comunitari, consentendo lannullamento in via giurisdizionale degli atti
comunitari contrastanti con i diritti in questione. Cfr., in particolare, CAPOTORTI, Il diritto
comunitario non scritto, cit., p. 419; DAUSES, La protection des droits fondamentaux dans
lordre juridique communautaire, cit., p. 423; TOSATO, La tutela dei diritti fondamentali
nella giurisprudenza della Corte delle Comunita` europee, cit., p. 739.
(284) In virtu` del primato e della diretta applicabilita` del diritto comunitario,
appare infatti chiaro che tali principi generali e diritti fondamentali, una volta accolti in
seno allordinamento CE, si prestano al pari di ogni altra norma comunitaria, scritta o
non scritta, a condizionare i diversi settori del diritto interno ed in particolare, per quello
che qui interessa, il settore penale. Cfr., per tutti, BERNARDI, Principi di diritto e diritto
penale europeo, cit., p. 185 ss.; BLECKMANN, Die Bindung der Europa ischen Gemeinschaften an die Europa ische Menschenrechtskonvention, 1986, p. 75 ss.; DELMAS-MARTY, Dal
codice penale ai diritti delluomo, cit., in particolare p. 86 ss.; COHEN JONATHAN, La Cour
des Communautes europe ennes et les droits de lhomme, in Rev. Marche commun, 1978,
p. 92 ss.; GAJA, Aspetti problematici della tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 586;
GRASSO, La protezione dei diritti fondamentali nellordinamento comunitario e i suoi
riflessi sui sistemi penali degli Stati membri, cit., p. 627 e bibliografia ivi riportata; RIZ,
Nuovi profili sul rapporto tra diritto penale e diritto comunitario, in Diritto comunitario e
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tesi, attraverso il metodo comparatistico sviluppato a livello comunitario, la conoscenza dei sistemi giuridici europei si traduce nella
conoscenza sia pure con un livello di approssimazione proporzionale alle variabili insite nel metodo comparatistico dei lati piu` nascosti del nostro stesso sistema, specie per quanto concerne lambito
dapplicabilita` della normativa penale (290).
escludere che lincorporazione dei principi generali comunitari negli ordinamenti degli
Stati membri possa comportare una tendenza delle autorita` nazionali ad impiegare
principi analoghi in altri settori del diritto interno. ADINOLFI, I principi generali nella
giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli Stati membri, cit.,
pp. 524-525. E cio`, in particolare, ove tali principi abbiano ad oggetto i cc.dd. diritti
fondamentali: cfr. FROWEIN, Fundamental Human Rights as a Vehicle of Legal Integration
in Europe, in Integration Through Law: Europe and the American Federal Experience, a
cura di Cappelletti, Seccombe, Weiler, Berlin-New York, 1986, vol. I, libro 3, p. 302. Per
una critica allestensione delluso dei diritti fondamentali comunitari anche nellambito
del diritto interno, cfr. peraltro COPPEL, ONEILL, The European Court of Justice: Taking
Rights Seriously?, in Common Market Law Review, 1992, p. 669 ss.
(290) Lo stesso fenomeno si verifica poi attraverso lo sviluppo in chiave comparatistica di taluni principi espliciti di diritto comunitario; attraverso cioe` una indagine
comparatistica atta ad evidenziare linfluenza esercitata dalla normativa (penale) dei
singoli Stati UE sullapplicazione di taluni principi comunitari di diritto scritto. In
proposito, un esempio particolarmente significativo e` offerto, in materia di libera
circolazione delle merci, dal principio del divieto tra gli Stati di misure di effetto
equivalente ad una restrizione quantitativa allimportazione (art. 28 Tr. CE) e dalle
cosiddette discriminazioni alla rovescia (in merito alle quali cfr., in particolare,
CANNIZZARO, Producing Reverse discrimination through the Exercice of EC Competences,
in Yearbook of European Law, 1997, p. 29 ss.; GAJA, Introduzione al diritto comunitario,
Roma, 2000, p. 80) che da esso derivano. Infatti, attraverso linterpretazione data dalla
Corte di giustizia a tale principio a partire dalle celebri sentt. 11 luglio 1974, causa 8/74
(Dassonville), in Foro it., 1975, IV, c. 15 e 20 febbraio 1979, causa 120/78 (Cassis de
Dijon), in Racc., 1979, p. 649, leventuale divieto di commercializzazione di certi
prodotti, allinterno di taluno degli Stati membri, diviene inoperante quantomeno
limitatamente ai prodotti stranieri ove la produzione e commercializzazione di tali
prodotti siano consentite allinterno del Paese UE produttore (salvo beninteso i divieti
o restrizioni allimportazione elencati dallart. 30 Tr. CE ovvero indicate dalla giurisprudenza Cassis de Dijon). Sugli sviluppi e limiti di tale giurisprudenza, in forza della
quale solo attraverso un esame comparatistico della disciplina sanzionatoria vigente nei
diversi Stati membri e` sovente possibile conoscere lapplicabilita` o meno della corrispondente disciplina sanzionatoria interna, cfr., per tutti, MATTERA, De larre t Dassonville a` larre t Keck: lobscure clarte dune jurisprudence riche en principes novateurs et
en contradictions, in Rev. Marche comm. Un. eur., 1994, n. 1, p. 117 ss.; WAINWRIGHT,
MELGAR, Bilan de larticle 30 apre`s vingt ans de jurisprudence: de Dassonville
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In una prospettiva eminentemente teorica, un ulteriore fenomeno collegabile allattuale fase di europeizzazione del diritto penale
e` costituito dal complessivo processo di ripensamento del tradizionale modello giuridico verticale e chiuso (in quanto fondato su
norme rigidamente gerarchicizzate e dotate di vigenza circoscritta al
territorio dello Stato) a favore di un modello alternativo orizzontale
e aperto (in quanto pensato con riferimento ad un insieme di
sistemi giuridici paralleli caratterizzati da forme di interrelazione
variegate ed elastiche).
Certamente, non si tratta di un fenomeno circoscritto al settore
penale e alla prospettiva europea. E` noto infatti che, in unepoca
contrassegnata da una generale deterritorializzazione degli spazi e
dematerializzazione dei fatti giuridicamente rilevanti, il modello
kelseniano del diritto, a carattere gerarchico (vale a dire formato da
norme e organi legati tra loro da un rapporto di sovraordinazione o
subordinazione), lineare (cioe` composto da relazioni giuridiche a
senso unico, senza possibilita` di inversione tra di esse) e arborescente (in quanto fondato su una Grundnorm destinata a ramificarsi
progressivamente in successive norme di grado inferiore) e` stato
sottoposto a sempre piu` vivaci critiche da parte di taluni teorici del
diritto. Critiche volte non solo a rimarcare le contraddizioni ed
eccezioni da sempre insite in tale modello (293), ma soprattutto a
evidenziare che la loro aumentata frequenza ne renderebbe vieppiu`
(293) E, per vero, riconosciute dalla stesso Kelsen. Si allude, in particolare, al
ruolo del giudice nellinterpretazione della norma: ruolo solo in apparenza subordinato,
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maticita`, tale Annexe non puo` tuttavia riproporre i complessi dibattiti esistenti in merito al rango della CEDU negli Stati membri, e le
frequenti incongruenze tuttora riscontrabili negli approcci a tale
questione (321). Il panorama complessivo e` comunque rivelatore
delle estreme difficolta` incontrate nellattribuire una chiara collocazione alla CEDU allinterno dei singoli sistemi nazionali. In questo
quadro, allora, i principi costituzionali e i paralleli principi CEDU,
piu` che porsi in rapporto gerarchico, dialogano tra loro, condizionandosi a vicenda in una prospettiva di almeno tendenziale
innalzamento del generale livello delle garanzie (322).
a2) La seconda ipotesi concerne i problematici rapporti gerarchici esistenti tra diritti nazionali e diritto dellUnione europea, ed
essenzialmente lirrisolvibile primato tra Costituzioni e Trattati (323). Al riguardo fermo restando il linea generale il principio
della prevalenza del diritto comunitario appare chiaro che la
difesa a oltranza della primaza dei principi fondamentali dellordinamento costituzionale da parte dei singoli Stati, se da un lato puo`
giustificare sul piano emotivo la scelta delle Corti costituzionali di
attribuirsi in questa materia lultima parola (324), non implica pero`
in modo concreto ed effettivo (Cfr. Corte europea, sentenza 9 ottobre 1979, caso Airey,
Se rie A, n. 32). Il paradosso in base al quale gli Stati membri della Convenzione europea
debbono garantire leffettivita` dei diritti CEDU pur potendo, al contempo, non riconoscere loro applicabilita` diretta, e` stato frequentemente sottolineato dalla dottrina. Cfr.,
per tutti, COURISSAT-COUSTERE, Convention europe enne des droits de lhomme et droit
interne: primaute et effet direct, in La Convention europe enne des droits de lhomme,
Bruxelles, 1992, p. 12.
(321) Sul punto cfr., diffusamente, DRZEMCZEWSKI, European Human Rights Convention in Domestic Law - A Comparative Study, Oxford, 1997.
(322) Cfr., in generale e per tutti, MELCHIOR, Notions vagues ou indetermine es
et lacunes dans la Convention europe enne des droits de lhomme, in Studies in honour
of G. Wiarda, Ko ln-Berlin-Bonn-Mu nchen, 1988, p. 412; PUSTORINO, Linterpretazione
della Convenzione Europea dei diritti delluomo nella prassi della Commissione e della
Corte di Strasburgo, cit., in particolare p. 76 ss.; volendo, BERNARDI, Principi di diritto
e diritto penale europeo, cit., p. 208. Tuttavia, circa i rischi connessi ad un uso
regressivo di taluni diritti previsti dalla CEDU, cfr., in particolare, DELMAS-MARTY,
Politica criminale e diritti delluomo, in Indice pen., 1988, p. 205 ss..
(323) In proposito cfr., diffusamente e per tutti, DELMAS-MARTY, Pour un droit
commun, cit., in particolare p. 98 ss.; OST, VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au re seau?
Pour une the orie dialectique du droit, cit., p. 66 ss.
(324) Circa il problema concernente la competenza o meno delle Corti costitu-
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normativa (in primis, penale) interna in relazione sia alla Costituzione sia alla stessa CEDU. Anche se, per vero, proprio la strutturazione in forma di principio di certe norme CEDU, invece di
favorire una giurisprudenza nazionale orientata allo sviluppo dei
diritti fondamentali nei limiti consentiti dallinteresse collettivo, ha
permesso ai giudici interni (e alla dottrina) dimpronta conservatrice di considerare not self executing anche talune disposizioni
della CEDU che viceversa erano senzaltro da ritenersi direttamente
applicabili (337). Il sistema di controllo di ultima istanza da parte
della Corte europea dei diritti delluomo, tuttavia, consente di porre
rimedio a questi errori. Si tratta, beninteso, di un sistema di controllo ispirato a una logica gerarchica, favorita dalla interpretazione autonoma delle norme CEDU da parte dei giudici di Strasburgo: ma, al contempo, questa logica gerarchica e` attenuata
dallesistenza di numerose clausole che rinviano al diritto dei singoli
Paesi membri, e che dunque riconoscono un margine di discrezionalita` nazionale (338) espressivo di quella dialettica tra organi e
poteri diversi valorizzata dalla metafora della rete (339).
Se dunque, per quanto sin qui esposto, la CEDU e il sistema di
controllo giurisdizionale da essa previsto esaltano la ricorsivita`
delle relazioni tra le diverse entita` che concorrono in ambito europeo a forgiare la law in action, non deve stupire se secondo la
giurisprudenza di Strasburgo il principio di irretroattivita` sancito
dallart. 7 comma 1 CEDU investe non solo il diritto scritto, ma
anche quello giurisprudenziale (340) cos` elevato alla stessa dignita`
(337) Si pensi, esemplificativamente, alla deprecabile tendenza di taluno a negare
limmediata esecutivita` dellart. 13 CEDU, che deve considerarsi una norma sufficientemente determinata e che per di piu`, non richiedendo la creazione di appositi organi o
procedure, risulta senza dubbio self executing.
(338) In merito al quale cfr., tra gli altri e con varieta` di accenti, DELMAS-MARTY,
Pour un droit commun, cit., p. 158 ss.; DE SCHUTTER, Linterpre tation de la Convention
europe enne des droits de lhomme, un essai de de molition, in Revue de droit international
des sciences diplomatiques et politiques, 1992, p. 83 ss.; OST, Originalite des methodes
dinterpre tation de la Cour europe enne des droits de lhomme, cit., p. 448 ss.
(339) In argomento cfr., da ultimo, VOGLIOTTI, La rhapsodie: fe condite dune
me taphore litte raire pour repenser le criture juridique contemporaine. Une hypothe`se de
travail pour le champ pe nal, cit., p. 160.
(340) Cfr., ad esempio, Commissione, 4 marzo 1985, Enkelmann c. Svizzera, D.R.
41, p. 181; Id., dec. 7 maggio 1982, X. Ltd. e Y c. Regno Unito, D.R. 28, p. 87; Corte
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del primo. La qual cosa non puo` non essere giudicata positivamente,
tenuto conto del fatto che, secondo quanto sottolineato dalla piu`
attenta dottrina, i mutamenti in malam partem delle fattispecie
penali per via interpretativa producono effetti in tutto e per tutto
simili a quelli di derivazione legislativa, incidendo in uguale misura
sul diritto vivente (341).
b2) Per quanto concerne invece lUnione europea, e` interessante rilevare come a prescindere dalla piu` volte ricordata attivita`
creativa svolta dalla Corte di giustizia in sede di individuazione dei
principi in materia di diritti fondamentali sia proprio il principio
gerarchico del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale ad attribuire al giudice nazionale un ruolo centrale nella
ricostruzione della norma (penale) vigente. Si e` infatti gia` ricordato
che, stante appunto il primato del diritto comunitario, tutte le norme
(anche penali) interne devono essere interpretate, ove appena possibile, in modo conforme al diritto europeo (342). Pertanto, ogni
volta che la fattispecie penale nazionale entri in rapporto col diritto
comunitario, il giudice potrebbe dover fare ricorso, in relazione ad
essa, a forme di interpretazione a carattere volta a volta sistematico,
teleologico, restrittivo o persino estensivo, al fine appunto di evitare
quanto piu` possibile ogni eventuale contrasto tra tale fattispecie e la
normativa europea. Tutto cio`, se da un lato esalta il ruolo dellinterprete nella ricostruzione dellesatta portata della norma penale (343), dallaltro lato pone in evidenza il contributo del diritto
comunitario allincremento di fattispecie improntate a forme di
scrittura reticolare.
europea dei diritti delluomo, sent. 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, Serie A, n.
260-A, par. 52. In dottrina cfr., per tutti, BERNARDI, art. 7 (Nessuna pena senza legge),
in Commentario della Convenzione europea dei diritti delluomo, diretto da S. Bartole, B.
Conforti, G. Raimondi, Padova, 2001, p. 283 ss.; JACOBS, WHITE, The European Convention on Human Rights, Oxford, 1996, p. 162; PRADEL, CORSTENS, Droit pe nal europe en,
Paris, 2002, p. 340; RIONDATO, Retroattivita` del mutamento penale giurisprudenziale
sfavorevole tra legalita` e ragionevolezza, cit., p. 255; ID., Legalita` penale versus prevedibilita` delle nuove interpretazioni. Novita` dal Corpus iuris 2000, in Riv. trim. dir. pen.
econ., 2000, p. 967 ss.
(341) Cfr., per tutti, CADOPPI, Il valore del precedente, cit., in particolare p. 118 ss.
(342) Cfr., supra, sub sez. I, par. 4, nt. 28.
(343) Ruolo in questo caso consistente, per lappunto, nel selezionare tra i molti
possibili contenuti di un testo penale solo quello/quelli comunitariamente legittimi.
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Labbandono del nazionalismo dogmatico e il ricorso al sincretismo concettuale come conseguenza del pluralismo giuridico.
La tendenza alla semplificazione della scienza penale al fine di un
democratico ravvicinamento dei relativi sistemi statuali.
Unultima espressione dellattuale tendenza del pensiero penalistico ad evolvere in senso trans-nazionale e` costituita dallemersione di due fenomeni distinti seppur correlati tra loro, specie sotto
il profilo teleologico. Essi consistono: a) nella progressiva rinuncia al
rigore dogmatico e sistematico proprio delle piu` evolute scienze
penali di matrice continentale, in vista del fine superiore costituito
dalla convergenza dei relativi sistemi nazionali; b) nella crescente
(350) Come auspicato da VOGLIOTTI, La rhapsodie: fe condite dune me taphore
litte raire pour repenser le criture juridique contemporaine. Une hypothe`se de travail pour
le champ pe nal, cit., p. 155.
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aspirazione ad una reale semplificazione delle costruzioni teoricopenali di alcuni dei Paesi dellUnione, atta a facilitare un dialogo
giuridico sinora ostacolato dalla presenza di strutture concettuali al
contempo diverse e assai complesse.
a) per quanto concerne innanzitutto il processo di denazionalizzazione della scienza penale, occorre riconoscere che esso risulta
oltremodo difficoltoso, per tutta una serie di ragioni teoriche e
culturali, le quali peraltro sembrano solo ritardare, ma non paralizzare completamente levoluzione in atto.
a1) Sotto un profilo strettamente teorico, la rinuncia al nazionalismo dogmatico e` resa ostica dallopinione diffusa secondo la
quale una scienza penale che non operi deduttivamente tramite
concetti e categorie, espressivi di un peculiare sistema logico di
interrelazioni, costituirebbe una contraddizione in termini. Un riflesso di tale opinione si coglie nel dibattito sviluppatosi in Germania per lindividuazione del modello concettuale piu` idoneo a costituire il substrato teorico in vista dello sviluppo di una dogmatica
penale a carattere continentale (351). Al riguardo, e` stato tuttavia
fatto osservare che un approccio cos` astrattamente rigoroso risulta
stonato nellattuale fase della costruzione giuridica europea. Questultima infatti presenta innanzitutto uninfinita` di problemi politico-criminali la cui soluzione si colloca in un contesto fattuale e
procedimentale nellambito del quale il soddisfacimento delle
esigenze di tipo pratico-applicativo tende inevitabilmente a prendere
il sopravvento sulle esigenze di coerenza delle opzioni dogmatiche (352). Tenuto conto di tutto cio`, non si e` mancato di suggerire
che la soluzione di questi problemi potrebbe essere volta a volta
ricercata facendo ricorso a criteri e percorsi giuridici assai diversi, e
dunque secondo un modo di procedere ispirato al cosiddetto principio di apertura metodologica (353), in base al quale tali criteri e
percorsi andrebbero setacciati alla ricerca di quello destinato ad
offrire, nel caso di specie, il risultato migliore.
(351) Sul punto cfr., in particolare, SCHU} NEMANN, Strafrechtsdogmatik als Wissenschaft, in Festschrift fu r Claus Roxin zum 70. Geburtstag am 15. Mai 2001, Berlin, New
York, 2001, p. 1 ss.
(352) In questo senso cfr., diffusamente e da ultimo, VOGEL, Europa ische Kriminalpolitik - europa ische Strafrechtsdogmatik, cit., p. 518 ss.
(353) KHU} L, Europa isierung der Strafrechtswissenschaft, cit., p. 801.
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pravvivenza di sacche di resistenza fedeli alle tradizionali concezioni localistiche. E tuttavia, resta la realta` di una nuova, sia pur non
ancora sufficientemente diffusa, presa datto della crescente esigenza
di europeizzazione della scienza giuridica, e della connessa necessita`
di dover rinunciare a considerare intoccabili gli elementi peculiari
della dogmatica penale nazionale (364). Il mutamento di concezioni si
coglie, in primo luogo, nella diminuita enfatizzazione delle differenze scientifiche tra gli Stati, nel progressivo venir meno dellorgoglio nazionale per le costruzioni giuridiche a carattere essenzialmente interno; nonche nella valorizzazione dei momenti di
comunanza o dei movimenti di convergenza (365) e nellimpulso
allelaborazione di soluzioni tendenzialmente uniformi.
Note sullalternativa del diritto contemporaneo, in Soc. dir., 1993, p. 32 ss.; GESSNER,
Lintegrazione giuridica globale e le culture giuridiche, ivi, p. 63 ss.
(364) Cfr., allinterno di una bibliografia ormai molto ampia, ALBRECHT, BRAUM,
Insufficienze nellevoluzione del diritto penale europeo, cit., p. 615; BERNARDI, Strate gies
pour une harmonisation des syste`mes penaux europe ens, cit., p. 200 ss.; ID. Verso una
codificazione penale europea? Ostacoli e prospettive, cit.; BIANCARELLI, Lordre juridique
communautaire a-t-il compe tence pour instituer des sanctions?, in Quelle politique pe nale
pour lEurope?, Paris, 1993, p. 273; CADOPPI, Verso un diritto penale unico europeo?, in
Possibilita` e limiti di un diritto penale dellUnione europea, cit., p. 39 ss.; DELMAS-MARTY,
Pour un droit commun, cit., passim; DELMAS-MARTY, Verso un diritto penale comune
europeo?, cit., p. 543 ss.; DONINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto tra
diritto penale e politica, cit., p. 29 ss.; ID., Larmonizzazione del diritto penale europeo nel
contesto globale, cit., p. 477 ss.; GRASSO, Lincidenza del diritto comunitario sulla politica
criminale degli Stati membri: nascita di una politica criminale europea?, in Indice pen.,
1993, p. 93; MANACORDA, Larmonizzazione dei sistemi penali: una introduzione, cit., in
particolare, p. 41; MILITELLO, Dogmatica penale e politica criminale in prospettiva europea,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 411 ss.; PALIERO, La fabbrica del Golem. Progettualita`
e metodologia per la Parte generale di un codice penale dellUnione europea, cit., p.
466ss.; RIONDATO, Sullarcipelago neo-medioevale del diritto penale della Comunita` e
dellUnione europea. In margine al Corpus Juris per la protezione penale degli interessi
finanziari dellUnione, cit., p. 97 ss.; SATZGER, Die Europa isierung des Strafrechts, cit.;
SIEBER, Unificazione europea e diritto penale europeo, cit., in particolare p. 985 ss.;
TIEDEMANN, Die Europa isierung des Strafrechts, cit., p. 6 del testo dattiloscritto; ID., EG
und EU als Rechtsquellen des Strafrechts, in Festschrift fu r Claus Roxin zum 70.
Geburtstag am 15. Mai 2001, cit., p. 1401 ss.; VOGEL, Wege zu europa isch-einheitlichen
Regelungen im Allgemeinen Teil des Strafrechts, cit., p. 336 ss.; ID., Europa ische Kriminalpolitik - europa ische Strafrechtsdogmatik, cit., p. 517 ss.
(365) In questo senso, particolarmente significativa sembra essere lattuale tendenza a riconoscere lesistenza di importanti legami storici, nonche di tecniche, strutture
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e fondamenti giuridici comuni financo tra le due aree di civil law e di common law,
ovvero a sottolineare i sintomi di un profondo ravvicinamento fra di esse. Cfr., in
generale e con diverse sfumature, i contributi pubblicati in New Perspectives for a
Common Law of Europe, cit.; The Gradual Convergence. Foreign Ideals, Foreign Influences, and English Law on the Eve of the 21st Century, a cura di B. S. Markesinis, Oxford,
1994; Neighbours in Law: Are Common Law and Civil Law Moving Closer Together?
Papers in Honour of Barbara Huber on Her 65th Birthday, a cura di A. Eser, Ch. Rab,
Freiburg im Breisgau, 2001; BOGNETTI, Introduzione al diritto costituzionale comparato,
Torino, 1994, p. 78 ss.; CAPPELLETTI, The Doctrine of Stare Decisis and the Civil Law: a
Fundamental Difference or No Difference at All?, in Festschrift fu r K.Zweigert zum 70
Geburstag, Tu bingen, 1981, p. 381 ss.; GAMBARO, SACCO, Sistemi giuridici comparati, in
Trattato di diritto comparato, diretto da R. Sacco, Torino, 1996, p. 44 ss.; GORDLEY,
Common law v. civil law. Una distinzione che va scomparendo?, in Scritti in onore di
R. Sacco, a cura di P. Cendon, Milano, 1994, p. 559 ss.; LAWSON, the Family Affinities of
Common-Law and Civil-Law Systems, in Hastings Intern. Comp. Law Rev., 1982, p. 103
ss.; LUPOI, Common Law e Civil Law, alle radici del diritto europeo, in Foro it., 1993, V,
c. 431 ss.; LUSO SOARES, Breve comentario sobra Una proposta di rilettura del quarto libro
del codice civile nella prospettiva di una codificazione europea de Giuseppe Gandolfi, in
Minerva, (Lisboa), 1990, p. 4; MOCCIA, Sulluso del termine civil law, in Foro. it., 1980,
c. 254 ss.; NO} RR, The European Side of the English Law. A Few Comments from a
Continental Historian, in COING, NO} RR, Englische und kontinentale Rechtsgeschichte: ein
Forschungsprojekt, Berlin, 1985, p. 15; PREDIERI, Il diritto europeo come formante di
coesione e come strumento di integrazione, cit., p. 10 ss.; SCHULZE, Un nouveau domaine
de recherche en Allemagne: lhistoire du droit europe en, cit., p. 45 ss. e bibliografia ivi
riportata; SAMUEL, System und Systemdenken - Zu den Unterschieden zwischen kontinentaleuropa ischem Recht und Common Law, in ZEuP, 1995, p. 375 ss.; SCHLESINGER, Il
passato e il futuro della comparazione giuridica, in Riv. dir. civ., 1995, p. 603 ss.; STEIN, I
fondamenti del diritto europeo, Milano, 1987, passim, in particolare p. XIII; TARUFFO, Il
processo civile di civil law e di common law: aspetti fondamentali, in Foro it., 2001, V,
c. 345 ss.; ZIMMERMANN, Der Europa ische Charakter des englischen Rechts. Historische
Verbindungen zwischen Civil Law und Common Law, in Zeitschrift fu r Europa isches
Privatrecht, 1993, p. 1 ss.; ID., Diritto romano, diritto contemporaneo, diritto europeo: la
tradizione civilistica oggi (il diritto privato europeo e le sue basi storiche), in Riv. dir. civ.,
2001, p. 703 ss. Cfr. altres`, in prospettiva strettamente penalistica e con varieta` di
accenti, CADOPPI, La genesi delle fattispecie penali: una comparazione fra civil law e
common law, Relazione svolta il 26 marzo 2002 allUniversita` di Trento; ID., Dallo judge
made law al criminal code, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, p. 974; ID., Towards a
European Criminal Code?, cit., p. 2 ss.; ID., Common law, civil law e diritto penale
europeo, intervento scritto presentato il 17 settembre 1998 al Convegno di Toledo in
tema di Perspectivas de Unificacio n del Derecho Penal en la Unio n Europea; DELMASMARTY, Politique criminelle dEurope, cit., p. 59 ss.; FRAGOLA, ATZORI, Prospettive per un
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si stiano ormai diffondendo anche in ambito penale quelle concezioni pionieristiche volte allarmonizzazione di istituti e norme tra
gli Stati dellUnione, o addirittura allelaborazione di fattispecie
unitariamente applicabili su scala continentale. Elaborazione effettuata alla luce delle esigenze proprie dei diversi, piu` o meno evoluti,
ordinamenti nazionali europei, e dunque anche a costo di dover
attuare operazioni di semplificazione dogmatica e normativa destinate a rendere i singoli sistemi penali (ovvero, in una diversa ma
parallela prospettiva, il progettato ordinamento penale sovrastatuale) un poco piu` primitivi rispetto a taluni dei previgenti sistemi
nazionali (375).
Un esempio emblematico di semplificazione giuridica tesa a
perseguire un dialogo tra le dogmatiche nazionali in chiave di
armonizzazione/unificazione viene oggi offerto proprio dalle norme
(specie, ma non solo, di parte generale) del Corpus Juris contenente
disposizioni penali per la tutela degli interessi finanziari dellUnione
europea (376); norme le quali hanno costituito e tuttora costituiscono,
al contempo, il prodotto e loccasione di unintensa attivita` comparatistica condotta nel segno della razionalita` e della linearita` concettuale. Da un lato, infatti, tali norme sono state redatte tenendo conto
dei peculiari retroterra scientifici e normativi nazionali, alla ricerca
di minimi denominatori comuni e di orientamenti prevalenti
atti a favorirne la ricezione allinterno dei singoli Stati; dallaltro lato,
esse hanno dato vita, ex post, a una ulteriore, meticolosa attivita` di
verifica volta ad appurare la loro reale compatibilita` con i singoli
ordinamenti giuridici nazionali (377). La migliore prova di come il
progetto di Corpus Juris non solo sia nato, ma continui a evolversi in
un contesto di fattiva cooperazione scientifica a carattere interstatuale viene oggi fornita dalla lettura dellopera curata da Mireille
Demas-Marty e John Vervaele in tema di attuazione del Corpus
(375) In argomento cfr., in generale e per tutti, VOGEL, Wege zu europa ischeinheitlichen Regelungen im Allgemeinen Teil des Strafrechts, cit., p. 338.
(376) In merito al quale cfr., diffusamente, supra, sub sez. I, par. 11.
(377) Cos`, ad esempio, lo stesso Parlamento europeo ha richiesto alla Commissione liniziativa di unanalisi comparatistica condotta in relazione agli ordinamenti
giuridici dei Paesi dellUnione per valutare la fattibilita` sul piano sia tecnico che
costituzionale della Procura europea progettata dal Corpus Juris. Cfr., al riguardo,
Parlamento europeo, doc. n. 222.169.
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stesso. Nei rapporti dei 15 Stati membri contenuti nel secondo e nel
terzo volume sono infatti analizzati in modo estremamente dettagliato i rapporti intercorrenti tra ogni norma del Corpus Juris e i
singoli sistemi nazionali, cos` da poter valutare il livello di fattibilita`
e di compatibilita` delle prime rispetto ai secondi (378).
A conclusione di questa breve disamina delle attuali tendenze
alla semplificazione delle scienze giuridiche nazionali e dei relativi
sistemi penali, merita di essere rilevato che, a onor del vero, in
ambito nazionale lauspicio di addivenire ad una dogmatica meno
ardua puo` essere formulato in vista di un ulteriore scopo, anchesso
peraltro connesso al tema delleuropeizzazione del diritto penale. Si
allude allo scopo di veder realizzata una affermazione su scala
europea della propria scienza giuridica nazionale: affermazione da
un lato auspicata in ragione di una presunta superiorita` oggettiva
di tale scienza, ma dallaltro lato frenata, per lappunto, dalla sua
scoraggiante complessita`. Donde, appunto, lauspicio che attraverso operazioni di semplificazione capaci di ridurne il grado di
difficolta` senza peraltro snaturarne i tratti caratterizzanti, la propria
dogmatica nazionale possa svolgere piu` efficacemente unopera di
colonizzazione culturale condotta per il (presunto) bene dellUnione stessa. Uneco di quanto appena detto puo` cogliersi nel
contrasto tra chi sostiene la necessita` di promuovere anche sul piano
europeo il grado di sviluppo conseguito dalla dogmatica tedesca,
onde evitare il rischio che altre scienze giuridiche arretrate, come
quella inglese e francese, retrocedano il discorso penale europeo ad
uno stadio premoderno (379), e chi sottolinea, per contro, che non
di rado i giuristi di molti Paesi dellUnione guardano con sospetto
alle riforme ispirate al sistema tedesco proprio a causa della sua
estrema complessita` (380). Contrasto rivelatore, se mai ce ne fosse
(378) Cfr. La mise en oeuvre du Corpus Juris dans les E tats-Membres, II e III, cit.,
passim. I suddetti rapporti sono inoltre riproposti, in forma semplificata e schematica,
nellAnnexe I al primo volume (p. 109 ss.), ove e` dato rinvenire centinaia di tabelle
comparative, concepite con il precipuo scopo di rendere particolarmente chiari e
accessibili i risultati della ricerca.
(379) SCHU} NEMANN, Strafrechtsdogmatik als Wissenschaft, cit., p. 11.
(380) In questo senso, sia pure muovendo da una diversa impostazione, sfavorevole alluniformizzazione dei sistemi penali nazionali, rileva come la dogmatica tedesca
non possa comunque svolgere il ruolo di precettore per lEuropa WEIGEND, Strafrecht
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Considerazioni conclusive.
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Polisemie ricorrenti.
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Sembra ripetersi, in circostanze assai diverse, una vecchia incomunicabilita`. In tempi ormai remoti, ma con effetti che si sono propagati sino agli odierni glossari della Commissione, Otto Mayer aveva
tradotto service public con o ffentliche Anstalt formano una
o ffentliche Anstalt (service public) i mezzi statali, patrimoniali e
personali che sono determinati e riuniti per lassolvimento di un
determinato compito pubblico (8). Si erano cos` fusi moduli organizzativi e modi di fruizione entrambi rigorosamente pubblicistici,
sulla falsariga di quella duplicita` di elementi che stava accompagnando in Francia, sul finire dellOttocento, la nascita della nozione,
allinterno di unarmatura, sconosciuta pero` oltralpe, e contraddistinta da quel rapporto di sudditanza speciale che avrebbe reso a
lungo estremamente difficile dalla parte generale del diritto amministrativo la visibilita` dellamministrazione di prestazione, orientando secondo modi e tempi affatto peculiari il dibattito tedesco sul
nuovo volto degli apparati.
Il lessico europeo, che si irradia da quel principio di concorrenza inserito sin dal trattato di Roma nelluniverso delle prestazioni
di interesse generale, taglia invece radicalmente i ponti con il
linguaggio ottocentesco, irrompe nelle diverse tradizioni nazionali,
accentua le polisemie, fa scoppiare rilevanti problemi definitori,
seziona istituti e nozioni non solo destinati, come nellordinamento
italiano, alla nota ambulatorieta` di contenuti tra ordinamento amministrativo e penale, ma costretti ormai a soppesare i limiti nazionali delle diverse accezioni e le specifiche coordinate applicative
imposte dal diritto comunitario.
Il giurista continentale avverte subito, a fior di pelle, che lordine
giuridico europeo si costruisce in questo campo in forte discontinuita` con le diverse tradizioni nazionali ed in particolare con quella
tradizione continentale approdata e` il caso francese ed italiano
ad una valorizzazione costituzionale dei servizi pubblici. Molto piu`
difficile e` invece andare al di la` di questa prima, epidermica,
2 EG-Vertrag und die Liberalisierung in den Sektoren Telekommunikation, Energie und
Post, Baden-Baden, Nomos, 2001, pp. 74 e ss.
(8) O. MAYER, Theorie des franzo sischen Verwaltungsrechts, Straburg, Tru bner,
1886, p. 225. Per una contestualizzazione del dibattito tedesco, B. SORDI, Tra Weimar e
Vienna. Amministrazione e teoria giuridica nel primo dopoguerra, Milano, Giuffre`, 1987,
pp. 250 e ss., con la letteratura ivi richiamata.
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stessa forma del monopolio legale (22). Ed anche per questo lart.90
passo` quasi inosservato negli scritti degli amministrativisti italiani e
francesi.
La deflagrazione del diritto comunitario nei confronti della
tradizione continentale avverra` dunque molto piu` tardi, a partire
dallAtto Unico Europeo, che nel 1986 iniziera` a mettere in agenda
anche per i servizi la realizzazione di uno spazio senza frontiere
interne (23), cui seguira` il varo delle prime direttive di liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni e poi, sia pur con minor
impeto, nel campo dei servizi postali, trasporti, energia, radio e
televisione. Solo da questo momento in poi, in un clima che stava
profondamente e rapidamente mutando per politiche generali, rivoluzioni tecnologiche, incipienti de-territorializzazioni, e, fatto non
meno importante, consentiva per la prima volta al Consiglio di
procedere a maggioranza qualificata, la matrice soggettiva dello
Stato che lavora, dello Stato che da` forma alleconomia, mai
smentita ed anzi costantemente incrementata nel corso del Novecento, sincamminava mestamente sul viale del tramonto.
I servizi di interesse generale vengono sottratti allambito dei
servizi pubblici, intesi come regime amministrativo speciale; quandanche conservati al settore pubblico, a quella mano pubblica che
aveva afferrato e fatto propri i piu` svariati statuti di attivita`, vengono
sottoposti in linea di principio alle medesime regole del mercato. Il
modello competitivo assurge a norma fondamentale della nuova
costituzione economica. I diritti speciali od esclusivi vengono
rigorosamente delimitati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia
e sottoposti ad un rigido sindacato di proporzionalita`. La missione
cede alla realizzazione del grande mercato interno; le esigenze di
interesse generale non possono piu` incidere sugli scambi o compromettere il buon funzionamento del nuovo spazio economico senza
(22) Interpreta lopinio communis dellepoca, che estende a tutto il campo dei
servizi pubblici leccezione dellart. 90 c. 2 del Trattato di Roma alle regole di
concorrenza, A. PAPPALARDO, Art. 90, in Trattato istitutivo della Comunita` economica
europea. Commentario, diretto da R. QUADRI, R. MONACO, A. TRABUCCHI, vol. II, art.
85-136, Milano, Giuffre`, 1965, pp. 690-95.
(23) Con lart. 13 dellAtto Unico Europeo del 17 febbraio 1986 che fissava le
tappe per ladozione delle misure destinate allinstaurazione progressiva del mercato
interno.
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frontiere. Il bilanciamento, la dichiarazione di sostanziale non belligeranza tra le regole del mercato proprie delleconomia privata e la
missione delleconomia pubblica, affidata al compromesso dellart.
90, vengono accantonate. Con i limiti gia` visti, propri dello specifico
raggio dintervento comunitario, tramonta lo Stato che lavora, si
ritira il vecchio burattinaio; i servizi sono restituiti al mercato; non
nel senso che se ne impone dautorita` la privatizzazione, ma nel
senso che se ne proclama ora la natura schiettamente economica e
dunque la necessaria sottoposizione alle regole di concorrenza. Si
aprono al mercato forniture e prestazioni, si dischiudono persino le
reti infrastrutturali. Dei sofferti rovelli in punto di specialita` non ce`
piu` traccia. Ininfluenti le questioni di riparto; ininfluenti pure le
antiche, difficilissime, distinzioni tra imprese organo, imprese enti
pubblici, imprese ordinarie in partecipazione pubblica, che a posteriori avevano cercato di offrire una sistemazione teorica del disordinato interventismo pubblico (24). Il modello competitivo vi irrompe senza distinzioni, senza alcun riguardo alluna o allaltra
forma, indifferente sia allabisso, per tanto tempo invalicabile, che
aveva separato lo Stato dalla societa` commerciale, sia alla tormentata, ma infine raggiunta, identita` di essenza dellimpresa, fossero
privati o pubblici i soggetti che lesercitano (25). La distinzione tra
impresa pubblica e impresa privata puo` anche sopravvivere, ai fini
dellordinamento nazionale, ma e` priva di rilievo sul piano comunitario. La neutralita` non implica piu` loriginario rispetto per gli
istituti delleconomia mista. Lantica mano pubblica, se ancora
esistente, e` sottoposta senza eccezioni alle regole del mercato.
Monopoli legali e riserve originarie vengono accerchiati: il modello
competitivo avanza, conquista lultimo ridotto. Il servizio non e` piu`
ne istituzione ne regime amministrativo. I servizi per il diritto
comunitario rilevano come mere attivita` economiche. Quel service
public che alla Scuola di Duguit era apparso addirittura in grado di
sostituire la stessa nozione di sovranita` viene privato del suo conte(24) M.S. GIANNINI, Le imprese pubbliche in Italia, in Rivista delle societa`, III
(1958), pp. 227-276.
(25) Cfr. rispettivamente, G. TREVES, Le imprese pubbliche, Torino, Giappichelli,
1950, pp. 12 e ss.; V. OTTAVIANO, Impresa pubblica, in Enc. del dir., vol. XX, Milano,
Giuffre`, 1970, p. 675.
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non puo` essere imbalsamata soltanto in un certo modello, amministrativo, di esercizio delle attivita` prestazionali, frutto di contingenze
storiche e di sensibilita` solidaristiche indubbiamente diffuse, che sul
piano giuridico furono pero` distillate secondo tratti troppo dipendenti dallinossidabile architettura a regime amministrativo propria
dellordinamento francese.
Se la tradizione continentale continua a possedere un proprio
tratto unificante lo ha sul piano della costituzione economica, da
intendere non come declinazione storicamente datata di un certo
equilibrio tra economia pubblica ed economia privata o come un
certo grado di funzionalizzazione, ma come ordine giuridico del
mercato coerente con il modello europeo di societa`. Sul piano dei
servizi, questo non significa la necessaria perpetuazione di un determinato modello di esercizio, la gestione amministrativa; significa,
invece, la persistenza di una responsabilita` pubblica che cementi
anche in questo campo il senso dellappartenenza e della coesione
sociale. Come bene ha visto la Commissione, la Daseinsverantwortung del potere pubblico non si e` dissolta. La tradizione continentale
continua ad affidarsi alla mano visibile del diritto piu` che alla
mano invisibile del mercato (50); proclama la non autosufficienza del
mercato; ne circoscrive e delimita gli spazi salvaguardando i valori
fondamentali della persona. Il modello competitivo delleconomia
aperta e in libera concorrenza, essenziale per costruire il mercato al
di la` delle barriere statali, non e` in grado da solo di restituire la
complessita` della costituzione economica europea. Ne e` in grado di
restituire la composita architettura dellUnione europea ed il ruolo
ancora rilevante che vi giocano gli Stati e le singole tradizioni
nazionali, bene espresse in un diritto comunitario in cui le specifiche
missioni ed i relativi diritti speciali ed esclusivi, per quanto soggetti
ad un sindacato di proporzionalita`, continuano ad avere piena
cittadinanza, evocando quel pluralismo e quelle diversita` che sono
alla base della costruzione europea.
La clausola tedesca dello Stato sociale di diritto, nella elastica
flessibilita` e mutevolezza delle tecniche, ma nella fedelta` ad un
ber das
(50) Limmagine e` di E.-J. MESTMA} CKER, Die sichtbare Hand des Rechts. U
Verha ltnis von Rechtsordnung und Wirtschaftssystem, 1978, ed e` stata recentemente
ripresa da HA} BERLE, Europa ische Verfassungslehre, cit., p. 537.
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LEKTIONEN IN BESCHEIDENHEIT:
STABILITA
} TSPOLITIK IN WESTDEUTSCHLAND 1970-1990
Zweimal ist in der Geschichte Westdeutschlands ein wirtschaftspolitisches Grund- und Groprogramm, um eine Neuorientierung einzula uten, in Gesetzesform gekleidet worden: den U bergang von der Zwangs- zur Marktwirtschaft verko rperte das
Leitsa tzegesetz von 1948 (*) (1), den U bergang von einer Ordnungszur Prozesspolitik oder, unter konzeptionellem Vorzeichen, vom
(*) aaO = am angegebenen Ort; Abs. = Absatz; Art. = Artikel; Aufl. = Auflage;
AWG = Auenwirtschaftsgesetz; AWV = Auenwirtschaftsverordnung; BBankG =
Bundesbankgesetz; begr. = begru ndet; BFH = Sammlung der Entscheidungen des
Bundesfinanzhofs, Bonn, Stollfuss; BGBl I = Bundesgesetzblatt Teil I, hg. Bundesminister der Justiz, Bundesanzeiger Verlagsges.m.b.H.; BGH = Bundesgerichtshof; BGHZ
= Entscheidungen des Bundesgerichtshofs in Zivilsachen, herausgegeben von den
Mitgliedern des Bundesgerichtshofs und der Bundesanwaltschaft, Ko ln u.a., Carl Heymanns Verlag; BIP = Bruttoinlandsprodukt; BVerfG = Bundesverfassungsgericht;
BVerfGE = Entscheidungen des Bundesverfassungsgerichts, herausgegeben von den
Mitgliedern des Bundesverfassungsgerichts, Tu bingen, Mohr; BVerwG = Bundesverwaltungsgericht; BVerwGE = Sammel- und Nachschlagewerk der Rechtsprechung des
Bundesverwaltungsgerichts, begru ndet von Karl Buchholz, Berlin, Carl Heymanns
Verlag; ders. = derselbe; Dez. = Dezember; ebd. = ebenda; EWG = Europa ische
Wirtschaftsgemeinschaft; EWS = Europa isches Wa hrungssystem; FinA = Finanzarchiv;
Fn. = Funote; G = Gesetz; GG = Grundgesetz; GmbH = Gesellschaft mit beschra nkter
Haftung; hg. = herausgegeben; HGrG = Haushaltsgrundsa tzegesetz; Kap. = Kapitel;
Lfg. = Lieferung; NJW = Neue Juristische Wochenschrift; Nov. = November; NVwZ =
Neue Zeitschrift fu r Verwaltungsrecht; RdW I = Die Republik der Wirtschaft Teil I (vgl.
Fn. 5); RGBl = Reichsgesetzblatt; Rn = Randnummer; s.= siehe; S. = Seite; sc. = sculpsit;
StabWG = Gesetz zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft;
StabZG = Stabilita tszuschlaggesetz; SV Socialpolitik = Schriften des Vereins fu r Socialpolitik, Gesellschaft fu r Wirtschafts- und Sozialwissenschaften; u.= und; u.a. = und
andere; vgl. = vergleiche; VO = Verordnung; VVDStRL = Vero ffentlichungen der
Vereinigung der Deutschen Staatsrechtslehrer, Berlin; VWG GVBl = Vereinigtes
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Aufmerksamkeit. Wenn je eine wirtschaftswissenschaftliche Kurvengraphik die Politik und die o ffentliche Meinung erreicht hat, dann
war es die sogenannte Phillips-Kurve gewesen, die (u brigens schon
bald in der Wirtschaftswissenschaft selbst umstritten) (13) ein sogenanntes trade-off zwischen den beiden Gro en suggerierte, das heit
eine umgekehrte Proportionalita t und daraus folgend die notwendige Abstimmung entlang der gewu nschten Quoten oder Sa tze. Auf
diesem Hintergrund war der vielzitierte Ausspruch Helmut
Schmidts als Bundesfinanzminister zu verstehen: in Deutschland
seien eher 5% Preisanstieg als 5% Arbeitslosigkeit zu ertragen (14).
Man war der Meinung, aus der Phillips-Kurve gleich einer Speisekarte sich die politisch opportune Relation von Geldwertschwund
und Arbeitslosensatz wa hlen zu ko nnen.
In den Augen der Rechtswissenschaft (15) war schon aus der
Perspektive des Gesetzesbegriffs das Stabilita ts- und Wachstumsgesetz eine ungewo hnliche Erscheinung. Sein Inhalt erwies sich als
heterogen und mehrgestaltig; auf eine einzige Formel war das
Gesetz nicht zu bringen. Es umfasste Elemente aus vier Gesetzeskategorien, es war gleichzeitig Plan-, Organ-, Rahmen- und
Manahmegesetz (16). Immerhin ist es auf ein einheitliches Ziel
gerichtet, das man kurz mit Konjunkturpolitik mittels antizyklischer
Finanzpolitik kennzeichnen kann. In dieser Zielgerichtetheit und in
der angestrebten Vollsta ndigkeit der Regelungen besitzt das Gesetz
kodifikatorische Zu ge, so dass es nicht zu ku hn erscheint, unser
Gesetz als bisher einzige wirtschaftspolitisch motivierte Kodifikation, wenn auch vergleichsweise geringen Umfangs, anzusehen.
(13) Vgl. beispielsweise A. WOLL, Das Phillips-Theorem, in Studien zum Inflationsproblem, hg. von Theodor PU} TZ (SVSocialpolitik 80), Berlin, Duncker & Humblot, 1975,
S. 101.
(14) Helmut Schmidt, Auf dem Fundament des Godesberger Programms, 2. Aufl.,
Bonn, Bad Godesberg, Verlag Neue Gesellschaft, 1974, S. 153.
(15) Zum Schrifttum s. RdW I, 4. Kap. Fn. 59 und 66. FERNER: K.VOGEL/M.
WIEBEL, in Bonner Kommentar, Art. 109 GG, Zweitbearbeitung 1971, hg. von R. DOLZER
u.a., Heidelberg, MU} LLER; HANS HERBERT v. ARNIM, Volkswirtschaftspolitik,
Frankfurt/Main, Metzner, 1974; 6. Aufl.: Neuwied, Luchterhand, 1998, Abschnitt E.
(16) STERN, in Klaus Stern/Paul Mu nch/Karl-Heinrich Hansmeyer, Gesetz zur
Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft, Kommentar, 2. Aufl.,
Stuttgart, Kohlhammer, 1972, S. 68.
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(22) BVerfGE 16.147 (1963), 17.306 (1964), 19.119 (1965); vgl. den Ru ckblick
des Gerichts in BVerfGE 30.250, 263 (1971).
(23) BVerfGE 16.147 (1963), 18.315 (1965). Zur weiteren Entwicklung der
Rechtsprechung s. etwa R. BREUER im Handbuch des Staatsrechts, hg. von J. Isensee /P.
Kirchhof, Heidelberg, Mu ller, Band VI, 1989, 148 Rn 14ff.
(24) 1 Reichsabgabenordnung vom 13.12.1919 (RGBl 1993) und vom
22.05.1931 (RGBl I 161), in Kraft bis 31.12.1976.
1 Abs. 1 Reichsabgabenordnung lautete im ersten Satz: Steuern sind einmalige
oder laufende Geldleistungen, die nicht eine Gegenleistung fu r eine besondere Leistung
darstellen und von einem o ffentlich-rechtlichen Gemeinwesen zur Erzielung von
Einku nften allen auferlegt werden, bei denen der Tatbestand zutrifft, an den das Gesetz
die Leistungspflicht knu pft.
(25) Na heres hierzu in RdW I, 8. Kap. 1, unter 1. Einen U berblick u ber die
Diskussion nach 1945 gibt etwa H. PAULICK, Die wirtschaftspolitische Lenkungsfunktion
des Steuerrechts und ihre verfassungsma igen Grenzen, in Theorie und Praxis des finanzpolitischen Interventionismus, Festschrift Fritz Neumark, hg. von H. HALLER u.a., Tu bingen, Mohr, 1970, S. 203.
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(26) BVerfGE 6.55 (1957), 13.181 (1961), 14.76 (1962), die Leitentscheidung
16.147 (1963), 19.119 (1965). Aus dem Schrifttum: KARL HEINRICH FRIAUF, Verfassungsrechtliche Grenzen der Wirtschaftslenkung und Sozialgestaltung durch Steuergesetze,
Tu bingen, Mohr, 1966 (hierzu F. Neumark, FinA 25, 1966, 476); H.H. RUPP, Zur
Problematik o ffentlich-rechtlicher Machtpotenzierung durch Funktionenkombination,
NJW 1968, 569; K. VOGEL, Steuerrecht und Wirtschaftslenkung, Jahrbuch der Fachanwa lte fu r Steuerrecht, Herne, Berlin, Verlag Neue Wirtschaftsbriefe (Steuer und Recht),
1968/69, S. 225; PETER SELMER, Steuerinterventionismus und Verfassungsrecht,
Frankfurt/Main, Athenaeum, 1972; CHRISTIAN PESTALOZZA, Formenmibrauch des Staates,
Mu nchen, Beck, 1973, S. 39; KLAUS TIPKE/H.W. KRUSE, Reichsabgabenordnung, Kommentar, Ko ln-Marienburg, O. Schmidt, Lfg. 21, Dez. 1974, 1 Rn 7; WOLFGANG KNIES,
Steuerzweck und Steuerbegriff: eine dogmengeschichtliche und kompetenzrechtliche Studie,
Mu nchen, Beck, 1976. Weiteres Schrifttum etwa bei KLAUS STERN, Das Staatsrecht der
Bundesrepublik Deutschland, Band II, Mu nchen, Beck, 1980, 46 I 4e; PAUL KIRCHHOF
im Handbuch des Staatsrechts, hg. von J. ISENSEE/P. KIRCHHOF, Heidelberg, Mu ller, Band
IV, 1990, 88 Rn 53.
(27) Der Steuergesetzgeber hat sich spa ter seinerseits der Rechtsprechung angeschlossen, 3 Abs. 1 Abgabenordnung 1977 (vom 16.3.1976, BGBl I 613): die
Erzielung von Einnahmen kann Nebenzweck sein.
ffentlicher Haushalt und Wirtschaft, VVD(28) Hierzu statt aller K. H. FRIAUF, O
StRL 27 (1969) 1. Aus der spa teren Rechtsprechung s. vor allem BVerfGE 55.274
(1980), 67.256 (1984).
(29) U berblicke bei JORG-GU} NTHER GRUNWALD, Erfolgskontrolle finanzpolitischer
Stabilisierungsmanahmen, Berlin, Duncker & Humblot, 1977, S. 349; HERMANN H.
HOLLMANN aaO (oben Fn. 17) S. 349.
(30) G u ber Manahmen zur auenwirtschaftlichen Absicherung gema 4 des
Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft, vom
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29.11.1968 (BGBl I 1255). Nicht mehr angewandt gema VO zur Aufhebung der 1
und 2 AbsicherungsG vom 28.10.1969 (BGBl I 2045).
(31) HIERZU M. KLOEPFER, Das Geeignetheitsgebot bei wirtschaftslenkenden Steuergesetzen, NJW 1971, 1585. - Mit demselben Fall hatte sich der Bundesfinanzhof befasst,
BFH 97. 456 (1970).
(32) G u ber die Erhebung eines ru ckzahlbaren Konjunkturzuschlags zur Einkommensteuer und zur Ko rperschaftsteuer vom 23.7.1970 (BGBl I 1125).
(33) Hierzu auch BVerfG NJW 1970, 2208 (Ablehnung einer einstweiligen
Anordnung).
(34) G zur Verwirklichung der mehrja hrigen Finanzplanung des Bundes, I. Teil:
Zweites Steuera nderungs G 1967, Art. 1: G u ber eine Erga nzungsabgabe zur Einkommensteuer und zur Ko rperschaftsteuer, vom 21.12.1967 (BGBl I 1254).
(35) Steuera nderungsG 1973, Art. 4: G u ber die Erhebung eines Zuschlags zur
Einkommensteuer und zur Ko rperschaftsteuer fu r die Kalenderjahre 1973 und 1974,
vom 26.6.1973 (BGBl I 681).
(36) HIERZU E. HEUSS, Der Mibrauch des Rechtes durch die Wirtschaftspolitik, in
Wirtschaftsordnung und Staatsverfassung, Festschrift Franz Bo hm, Tu bingen, Mohr, 1975,
S. 245.
(37) Bundestagsverhandlungen, Drucksache VI/1017 vom 7.7.1970 (Verhandlungen des Deutschen Bundestages, Drucksachen, Berlin, Karl Heymanns Verlag).
(38) Bundestagsverhandlungen, Drucksache V/2087 vom 1.9.1967.
(39) Bundestagsverhandlungen, Drucksache 7/419 vom 28.3.1973, S. 25, 47.
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gesicherten Erkenntnisse der Wirtschaftswissenschaften als zusta ndiger Fachdisziplin (51); es reo konominierte also gewissermaen
den Begriff, obwohl man sich doch sonst so sehr um seine Juridifizierung gesorgt hatte.
Die Entscheidung des Bundesverfassungsgerichts, oder seine
wissenschaftliche Abhandlung, war in einem Zeitpunkt erschienen,
als die dem Stabilita ts- und Wachstumsgesetz zugrunde liegende
Philosophie ihren Ho hepunkt la ngst u berschritten hatte und das
Gesetz selbst fast in Vergessenheit geraten war. Der Keynesianismus
und seine fiskalisch formierte Nachfragepolitik konnten nicht halten, was sie versprochen hatten; ihr Optimismus realisierte sich zum
groen Teil nicht. Die Ursachen fu r das partielle Misslingen
sind oft aufgezeigt, vielfach u brigens vorausgesagt worden. Fu r
manche wirtschaftsliberale Autoren ist der Misserfolg unausweichlich gewesen, weil dem Element der Planung im Keynesianismus
eine irrig-vermessene Anthropologie zugrunde gelegen habe (52). Bei
konomen fu hrte der Misserfolg als Resultat
ihnen und verwandten O
einer Prozesspolitik zur Ru ckbesinnung auf das Erfordernis sorgfa ltig angelegter Ordnungspolitik, wa hrend auf genau entgegengesetzter Seite neue Munition gewonnen wurde fu r die generellen Attacken gegen die Marktwirtschaft, welche Pra gung auch immer sie
angenommen hatte. In la ngeren Perioden deutscher Geschichte
betrachtet, war ein weiteres Mal das Vertrauen, dem man sich doch
so gern hingab, in die wirtschaftliche Steuerungskompetenz des
Staates entta uscht worden, und diese Entta uschung schlug sich in
bedauernden Ursachenanalysen, aber auch manchen Schuldzuweisungen nieder. Natu rlich wurde Ursachenforschung auch von
den Gegnern und wohlwollenden Skeptikern der nachfrage(51) Ebd. S. 338.
(52) ERNST HEUSS, Die Vorstellung von der Machbarkeit der Wirtschaftspolitik, in
Beitra ge zur Wirtschafts- und Gesellschaftspolitik, Festschrift Theodor Pu tz, hg. von E.
DU} RR, Berlin, Duncker & Humblot, 1975, S. 23; E. HOPPMANN, Soziale Marktwirtschaft
oder Konstruktivistischer Interventionismus?, in Soziale Marktwirtschaft im Wandel,
hg.von EGON TUCHTFELDT, Freiburg, Rombach + Co, 1973, S. 27; E. TUCHTFELDT, Soziale
Marktwirtschaft und Globalsteuerung: zwei wirtschaftspolitische Experimente, Wirtschaftspolitische Chronik Heft 1 (1973) 9. - Den anthropologischen Gesichtspunkt fand
man weniger bei Walter Eucken als vielmehr in den Schriften v. Hayeks (s. auch RdW
I, S. 79).
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und Fernwirkungen, intendierte und nichtintendierte die befu rchteten Nebenwirkungen ins Spiel kommen; und wenn bei all
dem nicht nur die Handlungen, sondern auch Erwartungen der
Wirtschaftsakteure in Betracht zu ziehen sind, die Mo glichkeit von
Antizipationen, von ausweichendem Verhalten, und was der Dinge
mehr sind? Oft musste man sich da mit Plausibilita ten begnu gen, oft
verschwamm deren Grenze zur bloen Spekulation.
Unter dem Stichwort offene Flanken wurden im wesentlichen drei Schwachstellen der Stabilita tspolitik und ihrer legislativen
Umsetzung aufgezeigt. Zum einen gelang die auenwirtschaftliche
Absicherung nicht nach Wunsch; trotz dem (einer Generalklausel
gleichenden) 4 (55) gab ja das StabWG das Bild einer geschlossenen Volkswirtschaft wieder. Groe Sorge bereitete das Pha nomen
bergang zu flexiblen Wechder importierten Inflation. Durch den U
selkursen im Ma rz 1973, die das Ende des Bretton-Woods-Weltwa hrungssystems bedeuteten, entspannte sich die Lage, ohne dass
aber die auenwirtschaftlichen Sto rungen endgu ltig unterbunden
worden wa ren. Fu r eine gewisse Zeit haben sich die Bundesregierungen des Instrumentariums des Auenwirtschaftsgesetzes
(AWG) (56) bedient. So wurden aufgrund 23 AWG (57) Kapitalanalysiert bei KLAUS MACKSCHEIDT/J. STEINHAUSEN, Finanzpolitik I: Grundfragen fiskalpolitischer Lenkung, 2. Aufl., Tu bingen, Mohr; Du sseldorf, Werner, 1975, S. 68.
(55) 4 StabWG lautet: Bei auenwirtschaftlichen Sto rungen des gesamtwirtschaftlichen Gleichgewichts, deren Abwehr durch binnenwirtschaftliche Manahmen nicht oder nur unter Beeintra chtigung der in 1 genannten Ziele mo glich ist, hat
die Bundesregierung alle Mo glichkeiten der internationalen Koordination zu nutzen.
Soweit dies nicht ausreicht, setzt sie die ihr zur Wahrung des auenwirtschaftlichen
Gleichgewichts zur Verfu gung stehenden wirtschaftspolitischen Mittel ein.
(56) AuenwirtschaftsG vom 28.4.1961 (BGBl I 481).
(57) 23 AWG: (1) Rechtsgescha fte zwischen Gebietsansa ssigen und Gebietsfremden ko nnen beschra nkt werden, wenn sie 1. den entgeltlichen Erwerb von Grundstu cken im Wirtschaftsgebiet und von Rechten an solchen Grundstu cken durch Gebietsfremde, 2. den entgeltlichen Erwerb von Schiffen, die im Schiffsregister eines Gerichts
im Wirtschaftsgebiet eingetragen sind, und von Rechten an solchen Schiffen durch
Gebietsfremde, 3. den entgeltlichen Erwerb von Unternehmen mit Sitz im Wirtschaftsgebiet und Beteiligungen an solchen Unternehmen durch Gebietsfremde, 4. den entgeltlichen Erwerb inla ndischer Wertpapiere durch Gebietsfremde, 5. den entgeltlichen
Erwerb von Wechseln, die ein Gebietsansa ssiger ausgestellt oder angenommen hat,
durch Gebietsfremde, 6. die Aufnahme von Darlehen und sonstigen Krediten sowie die
Inanspruchnahme von Zahlungsfristen durch Gebietsansa ssige oder 7. die Fu hrung und
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Dritteln beteiligt sind (62). Der Gesetzgeber hat versucht, die Gemeinden an die Hand zu nehmen (63), doch gelang es ihm nicht, in
Phasen kontraktiver Notwendigkeiten ein prozyklisches Ausgabeverhalten der Gemeinden zu verhindern. Hier scheiterte also Stabilita tspolitik am mangelnden Zentralismus: das groe Trauma der
Planer, welcher politischen Richtung sie auch immer sich zugeho rig
fu hlen mo gen.
Die dritte offene Flanke bot die Lohnentwicklung oder, in
zugespitzter Formulierung, die stabilita tspolitische Inpflichtnahme
der Gewerkschaften. Der Gesetzgeber hatte gemeint, mit der Konzertierten Aktion des 3 StabWG (64) eine weise Lo sung gefunden
zu haben (65). Die Resonanz in Politik und Wissenschaft war zu(62) Siehe etwa K. PREGITZER, Die Konjunktursteuerung und das fo derative System
des Grundgesetzes, in Wirtschaftsordnung und Grundgesetz, hg. von WOLFGANG BOHLING,
Stuttgart, Fischer, 1981, S. 71 (mit Schrifttum).
(63) 16 StabWG: (1) Gemeinden und Gemeindeverba nde haben bei ihrer
Haushaltswirtschaft den Zielen des 1 Rechnung zu tragen. (2) Die La nder haben durch
geeignete Manahmen darauf hinzuwirken, da die Haushaltswirtschaft der Gemeinden
und Gemeindeverba nde den konjunkturpolitischen Erfordernissen entspricht.
(64) 3 StabWG: (1) Im Falle der Gefa hrdung eines der Ziele des 1 stellt die
Bundesregierung Orientierungsdaten fu r ein gleichzeitiges aufeinander abgestimmtes
Verhalten (konzertierte Aktion) der Gebietsko rperschaften, Gewerkschaften und Unternehmensverba nde zur Erreichung der Ziele des 1 zur Verfu gung. Diese Orientierungsdaten enthalten insbesondere eine Darstellung der gesamtwirtschaftlichen Zusammenha nge im Hinblick auf die gegebene Situation. (2) Der Bundesminister fu r Wirtschaft
hat die Orientierungsdaten auf Verlangen eines der Beteiligten zu erla utern.
(65) Aus dem Schrifttum: K.H. BIEDENKOPF, Rechtsfragen der konzertierten Aktion, Betriebs-Berater 1968, 1005; J. MOLSBERGER, Zwischenbilanz der Konzertierten
Aktion, Ordo 21 (1970) 167; D. CASSEL, Die Konzertierte Aktion: Instrument einer
rationalen Stabilisierungspolitik?, in 25 Jahre Marktwirtschaft in der Bundesrepublik
Deutschland, hg.von DIETER CASSEL u.a., Stuttgart, Fischer, 1972, S. 251; CH. WATRIN, Die
Demokratisierung der Wirtschaftspolitik in der Bundesrepublik Deutschland, in Demokratie und Mitbestimmung, hg. von ARTHUR F. UTZ/H.B. STREITHOFEN, Stuttgart, Seewald,
1970, S. 124; Konzertierte Aktion: kritische Beitra ge zu einem Experiment, hg. von ERICH
HOPPMANN, Frankfurt/Main, Athenaeum, 1971 (hierzu Ingo Schmidt, Zeitschrift fu r
Wirtschafts- und Sozialwissenschaften 92, 1972, 421); J. KLAUS, Die Konzertierte Aktion
als Instrument der neuen Wirtschaftspolitik, in Neue Wege der Wirtschaftspolitik, hg. von
ERNST DU} RR (SVSocialpolitik 67), Berlin, Duncker & Humblot, 1972, S. 11; B. KU} LP, Der
Einfluss der konzertierten Aktion auf das Verhalten der Tarifpartner, ebd. S. 53; M. KERN,
Wandlungen der Konzertierten Aktion, in Wirtschaftspolitische Chronik Heft 3/1973, S.
49; HEINZ-DIETER HARDES, Einkommenspolitik in der BRD, Stabilita t und Gruppen-
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na chst gro; in der Konzertierten Aktion erblickte man die einkommenspolitische Erga nzung oder gar Grundlegung der Konjunkturpolitik des Gesetzes. Kritik an der neuen Einrichtung lie
freilich auch nicht auf sich warten, eine Kritik, an der sich Juristen
beteiligten: geru gt wurde etwa aus verfassungsstaatlicher Sicht die
Gefahr der Entparlamentarisierung und aus rechtsstaatlicher Sicht
die Ausdu nnung von Klagerechten (66). Aber nicht die juristischen
Bedenken, sondern andere Gru nde waren es, die zum Misserfolg
und schlielich zum Bruch fu hrten (67), und hiervon sind vor allem
zwei zu nennen. Zum einen stellte sich die von Wirtschaftswissenschaftlern vorausgesagte Asymmetrie in der Reaktion der Adressaten konjunkturpolitischer Manahmen ein: im Abschwung mit
expansiven Notwendigkeiten wird Einkommen tendenziell gesta rkt, sodass Zustimmung u berwiegt; im Aufschwung, nun kontraktive Politik anmahnend, nimmt Einkommen eher ab als zu,
weshalb sich Widerstand regt (um die Dinge auf eine einfache
Formel zu bringen). Zweitens erwies sich mit der Zeit der Dissens
in der Frage als unu berbru ckbar, ob die Konzertierte Aktion blo
konjunkturpolitische Aufgaben zu erfu llen oder sich in einem
Selbstfindungsprozess zur Gesellschaftspolitik zu bekennen habe.
Im Ergebnis scheiterte mit der Konzertierten Aktion eines der aus
der deutschen Geschichte vertrauten Konstrukte des staatlich koordinierten Korporatismus. Wenn wir die Zuspitzung zu Anfang
dieses Absatzes wieder aufnehmen, dann handelte es sich in unserem Fall um eine Art kontraktiver Korporatismus, der scheiterte
(scheitern musste).
interessen: der Fall Konzertierte Aktion, Frankfurt/Main, Herder & Herder, 1974; OTTO
A. FRIEDRICH, Lohnpolitik und Konzertierte Aktion: Erfahrungsbericht eines Praktikers
(na mlich als Vertreter der Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverba nde), in
Wirtschaftspolitik - Wissenschaft und politische Aufgabe, Festschrift Karl Schiller, hg. VON
H. KO} RNER, Bern, Stuttgart, Haupt, 1976, S. 329; HELMUT SIEKMANN, Institutionalisierte
Einkommenspolitik in der Bundesrepublik Deutschland, Mu nchen, Vahlen, 1985.
(66) BIEDENKOPF aaO; H.H. RUPP, Konzertierte Aktion und freiheitlich-rechtsstaatliche Demokratie, in Konzertierte Aktion, hg. von E. HOPPMANN aaO, S. 1.
(67) Das erste Gespra ch der Konzertierten Aktion fand im November 1967 statt.
Im Jahr 1977 nahmen die Gewerkschaften den Gang der Unternehmen vor das
Bundesverfassungsgericht zum willkommenen Anlass, aus der Konzertierten Aktion
auszusteigen. Freilich hat man sich auch danach an informellen Tischen zusammengesetzt.
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voraussichtlichen Ausgaben und die Deckungsmo glichkeiten in ihren Wechselbeziehungen zu der mutmalichen Entwicklung des gesamtwirtschaftlichen Leistungsvermo gens
darzustellen, gegebenenfalls durch Alternativrechnungen. (2) Der Finanzplan ist vom
Bundesminister der Finanzen aufzustellen und zu begru nden. Er wird von der Bundesregierung beschlossen und Bundestag und Bundesrat vorgelegt. (3) Der Finanzplan ist
ja hrlich der Entwicklung anzupassen und fortzufu hren.
50 HGrG: (1) Bund und La nder legen ihrer Haushaltswirtschaft je fu r sich eine
fu nfja hrige Finanzplanung zugrunde ( 9 Abs. 1 und 14 des Gesetzes zur Fo rderung
der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft vom 8. Juni 1967 - Bundesgesetzbl. I
S. 582). (2) Das erste Planungsjahr der Finanzplanung ist das laufende Haushaltsjahr. (3)
Der Finanzplan ( 9 Abs. 2 Satz 2 des Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t und des
Wachstums der Wirtschaft) ist den gesetzgebenden Ko rperschaften spa testens im
Zusammenhang mit dem Entwurf des Haushaltsgesetzes fu r das na chste Haushaltsjahr
vorzulegen. Die gesetzgebenden Ko rperschaften ko nnen die Vorlage von Alternativrechnungen verlangen. (4) Im Finanzplan sind die vorgesehenen Investitionsschwerpunkte
zu erla utern und zu begru nden. (5) Den gesetzgebenden Ko rperschaften sind die auf der
Grundlage der Finanzplanung u berarbeiteten mehrja hrigen Investitionsprogramme (
10 des Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t und des Wachstums der Wirtschaft)
vorzulegen. (6) Die Planung nach 11 Satz 1 des Gesetzes zur Fo rderung der Stabilita t
und des Wachstums der Wirtschaft ist fu r Investitionsvorhaben des dritten Planungsjahres in ausreichendem Umfang so vorzubeiten, da mit ihrer Durchfu hrung kurzfristig begonnen werden kann. (7) Die Regierung soll rechtzeitig geeignete Manahmen
treffen, die nach der Finanzplanung erforderlich sind, um eine geordnete Haushaltsentwicklung unter Beru cksichtigung des voraussichtlichen gesamtwirtschaftlichen Leistungsvermo gens in den einzelnen Planungsjahren zu sichern.
Aus dem Schrifttum: H. FISCHER-MENSHAUSEN, Mittelfristige Finanzplanung und
Haushaltsrecht, in Probleme der Haushalts- und Finanzplanung, hg. von HEINZ HALLER
(SVSocialpolitik 52), Berlin, Duncker & Humblot, 1969, S. 56; KURT SCHMIDT/E. WILLE,
Die mehrja hrige Finanzplanung: Wunsch und Wirklichkeit, Tu bingen, Mohr, 1970; K.-H.
HANSMEYER, Die mittelfristige Finanzplanung: ein neues Instrument der Wirtschaftspolitik?, in Neue Wege der Wirtschaftspolitik, hg. von ERNST DU} RR (SVSocialpolitik 67),
Berlin, Duncker & Humblot, 1972, S. 125; E. WILLE, Finanzplanung am Scheideweg:
Resignation oder Neubesinnung?, FinA 35 (1976/77) 66; WOLFGANG GRAF VITZTHUM,
Parlament und Planung, Baden-Baden, Nomos, 1978, S. 164; KLAUS STERN, Das Staatsrecht der Bundesrepublik Deutschland, Band II, Mu nchen, Beck, 1980, 45 IV 4; WERNER
HEUN, Staatshaushalt und Staatsleitung, Baden-Baden, Nomos-Verlags-Gesellschaft,
1989, S. 232.
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dots, zum Monetarismus la sst sich vor allem dem Verstetigungspostulat entnehmen. Ansonsten kann man aus theoretischer Sicht
nicht daran vorbeikommen, dass der Angebotspolitik im Gegensatz
zum Monetarismus keine handlungsleitende Konzeption zugrunde
liegt. Angebotspolitik (in Anlehnung an supply-side-economics)
dru ckt in der Wortwahl zuna chst nur den Gegensatz zur Keynesianischen Nachfragepolitik aus. Wenn das Wort aber nicht nur einer
Abgrenzung dienen, sondern seinerseits mit Substanz gefu llt werden
soll, dann kann man von kaum mehr als einer Ansammlung wirtschaftspolitischer Teilchen im Dienst der Stabilisierung sprechen.
Im Vordergrund steht die Sta rkung des Produktionspotentials
durch Fo rderung unternehmerischer Investitionen. Dieses Ziel bedingend oder begleitend werden Kataloge aufgestellt mit programmatischen Stu cken wie Deregulierung, Privatisierung, Konsolidierung der o ffentlichen Haushalte, Verringerung der Staatsquote,
Abbau der Subventionen, aber auch Innovationsfo rderung (um nur
dieses Beispiel auf der strukturpolitischen Ausgabenseite der o ffentlichen Haushalte zu bringen). In der Einkommenspolitik wird Zuru ckhaltung empfohlen. Die Geldpolitik soll sich im groen und
ganzen monetaristisch orientieren. Insgesamt also ein gewisser Eklektizismus, ein diffuses Arrangement, nicht untypisch fu r das Handeln im Zeichen einer Realpolitik, die zwar ein Ziel (hier das Ziel
wirtschaftlicher Stabilita t), nicht jedoch konstitutive Prinzipien vor
Augen hat. Anders ausgedru ckt, stellt sich Angebotspolitik als Ausfluss o konomischen Effizienzdenkens, nicht jedoch trotz manchen Beteuerungen als Renaissance ordnungspolitischer Positionen dar (79). Aus juristischer Sicht liee sich ein angebotspolitisches
Gesetzeswerk nach Art des Stabilita ts- und Wachstumsgesetzen nur
schwer vorstellen.
Welche Wirkung ist von den neuen Verschreibungen, von den
Globalsteuerung und Angebotspolitik, in Wirtschaftspolitik zwischen o konomischer und
politischer Rationalita t, Festschrift Herbert Giersch, hg. von M. E. STREIT, Wiesbaden,
Gabler, 1988, S. 187; N. KLOTEN, Das Stabilisierungsproblem: Konzeption und wirtschaftspolitische Praxis, in Wa hrungsreform und Soziale Marktwirtschaft, hg. von WOLFRAM
FISCHER (SVSocialpolitik 190), Berlin, Duncker & Humblot, 1989, S. 99.
(79) Wieder anders gesagt, vertra gt sich Angebotspolitik durchaus mit dem
ordnungspolitisch inzwischen ja kaum mehr subsumierbaren Begriff der Sozialen Marktwirtschaft.
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die Stabilita t des Ganzen (82). Der Vorrang wird der Geldpolitik
eingera umt, hier lie man sich bis zu einem gewissen Grad von
regelgebunden-monetaristischen U berlegungen inspirieren. Der
Bundesbank, formell unabha ngig von Gesetzes wegen, wird vom
Sachversta ndigenrat sozusagen die materielle Unabha ngigkeit verliehen. Stu cke der Angebotspolitik treten ebenfalls im Gutachten
1974 auf, vermehrt im Gutachten des na chsten Jahres (83); ein
Bekenntnis zur Angebotspolitik legten die Sachversta ndigen dann
im Jahresgutachten 1976/77 ab (84), ein weiteres Mal 1981/82 (85).
Die Ministerien verstanden die Botschaft, waren sich aber auch
daru ber im Klaren, dass das Instrumentarium der Globalsteuerung,
wenn auch nicht mehr systematisch, so doch supplementa r nach wie
vor zum Abruf bereit stehen wu rde (86). Die goldene Regel, wie
einmal formuliert wurde (87), des policy mix machte die Runde, die
goldene Regel also der form- und prinzipienlosen Beliebigkeit.
Das begann in der A ra Schmidt und a nderte sich nicht nach der
sogenannten Wende, die ordnungspolitisch keine gewesen ist, in der
A ra Kohl. Wenn man fu r Ordnungspolitik pla dierte, so war es doch
ein ordnungspolitischer Synkretismus, und da ha tten sich Zweifel
erheben mu ssen, ob nicht Begriffsverschiebungen solcher Art das
Ziel eher verdunkelten, das man mit dem Konzept der Ordnungspolitik zu erreichen suchte.
Als irrlicht-irrisierend kann man so die Wirtschaftspolitik bezeichnen, und in a hnlich vielen hell-dunklen Farben spielte sich das
(82) Vom sogenannten assignment ru ckte der Sachversta ndigenrat nur voru bergehend ab, so im Jahresgutachten 1984/85 (Drucksache 10/2541); s. F. Holzheu, FinA
43 (1985) 20.
(83) Drucksache 7/4326.
(84) Drucksache 7/5902.
(85) Drucksache 9/1061. Zum Ru ckblick dort Nr. 300 (S. 143); zweifelnd KARL
SCHILLER, Der Stellenwert staatlicher Konjunktur- und Bescha ftigungspolitik in der Bundesrepublik Deutschland, in Friedman contra Keynes (oben Fn. 80) S. 31.
(86) Nicht alles ist hier aus rechtlicher Sicht geglu ckt; so wurde das InvestitionshilfeG = Art. 8 des Gesetzes zur Wiederbelebung der Wirtschaft und Bescha ftigung und
zur Entlastung des Bundeshaushalts (HaushaltsbegleitG 1983) vom 20.12.1982 (BGBl I
1857) fu r verfassungswidrig erkla rt, BVerfGE 67. 256 (1984). Zur konjunkturpolitischen
Begru ndung des Gesetzes s. Bundestagsverhandlungen, Drucksache 9/2074 und 9/2140
vom Nov. 1982, S. 72.
(87) OTTO SCHLECHT, Konjunkturpolitik in der Krise (oben Fn. 72) S. 35.
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sich die Bank erst mit dem endgu ltigen Zusammenbruch des Bretton-Woods-Regimes im Ma rz 1973 lo sen. An die Stelle rigider
Parita ten traten flexible Wechselkurse. Freilich nicht im vollen
Umfang: die Vorboten der europa ischen Wa hrungsunion ku ndigten
sich an. Im Fru hjahr 1972 wurde der Europa ische Wechselkursverbund, die sogenannte Wa hrungsschlange gegru ndet, die in wechselnder Zusammensetzung aus Staaten inner- und auerhalb der
EWG bestand, deren Wa hrungen nun unter Verwendung gewisser
Bandbreiten aufeinander abgestimmt wurden. Nach dem Ende des
Bretton-Woods-Systems setzten diese Staaten die Wechselkurspolitik mittels des sogenannten Blockfloatens gegenu ber dem Dollar
fort. Innerhalb des Blocks blieb die Bundesbank zur Intervention
verpflichtet. Ihre Bewegungsfreiheit schien sich durch die Errichtung des Europa ischen Wa hrungssystems (EWS) im Jahr 1979 noch
weiter zu verringern (92). Aber die Sorge um den Handlungsraum
der Bundesbank erwies sich schlielich als unbegru ndet: Die Interventionen am Devisenmarkt, ob nun die Bank hierzu verpflichtet
war oder sie aus eigenem Antrieb, das heit politisch handelte,
gelangten nie in die Gefahrenzone des Bretton-Woods-Systems; die
Beteiligten des EWS waren flexibel genug, die Leitkurse wenn
erforderlich neu festzusetzen (sogenanntes Realignment); das Instrumentarium der Beistandskredite, im EWS gegenu ber der
Wa hrungsschlange nicht unwesentlich erweitert, wurde in der Praxis weniger als erwartet in Anspruch genommen; und nicht zuletzt
ist es die zunehmend dominierende Stellung der Deutschen Mark im
EWS gewesen, welche der Bundesbank einen ausreichenden Spielraum, nun auch schon einen Spielraum europa ischer Dimension
gewa hrte (93).
Bretton Woods, Wa hrungsschlange, EWS: Wechselkurspolitik
stellte traditionellerweise ein Stu ck Auenpolitik dar, so dass in
Fragen der Wa hrung zu denen auch Auf- und Abwertungen
(92) Das European Currency Unit wurde eingefu hrt und von manchen schon als
ku nftige europa ische Geldbezeichnung Ecu mit franzo sischer Aussprache propagiert.
(93) In der gleichsam europa ischen Position der Bundesbank gru ndete das Intermezzo des Deutsch-franzo sischen Finanz- und Wirtschaftsrat von 1988, einer Einrichtung, die die deutsche Notenbank an die Leine ha tte nehmen sollen. Jedoch stellten sich
auch in diesem Fall die Befu rchtungen als unbegru ndet heraus, der Rat hat die ihm
zugedachte Rolle nicht gespielt (s. Manfred J.M. Neumann aaO [Fn. 90] S. 332).
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geho ren die Zusta ndigkeit der Regierung und nicht der Notenbank gegeben war. Konsultationen fanden natu rlich statt, nicht
immer zog man freilich am gleichen Strang. In diesem Zusammen ffentlichkeit erregt, als
hang hatte eine Kollision Aufsehen in der O
sich zwar nicht die Regierung als Ganze (unter Kanzler Brandt),
wohl aber der sachna chste Minister Schiller und der Bundesbankpra sident Klasen (beide SPD) gegenu ber standen: Weil in der
Wa hrungskrise des Sommers 1972 Schiller gegen, Klasen jedoch fu r
Kapitalverkehrskontrollen (94) pla dierte und dieser es war, dem das
Kabinett folgte, sah sich Schiller veranlasst, von seinem Amt zuru ckzutreten (95).
Wenn wir, den zweiten Impuls aufnehmend, vom Handlungsziel sprechen, dann wenden wir uns jenen Entwicklungen zu, in
denen man gewissermaen einen Selbstfindungsprozess der Bundesbank erblicken kann. In den ersten Jahren unserer Periode hat sich
die Bank, trotz manchen Forderungen aus Politik und Wissenschaft,
zwar niemals formell auf das magische Polygon festlegen lassen, hat
sie also konzeptionell jeder Gleichschaltung widerstanden (96), in
der Sache selbst entzog sie sich jedoch nicht immer den Wu nschen
einer nachfrageorientierter Konjunkturpolitik, den Wu nschen nach
dem billigen Gelde. Es war ein heikles Lavieren zwischen den Polen
des Unterstu tzens und des Opponierens der von der Regierung
verfolgten Fiskalpolitik. Technisch betrieb die Bundesbank in erster
Linie Kreditpolitik, steuerte also Kreditangebot und -nachfrage;
eingesetzt wurden die Instrumente der Liquidita tspolitik (Mindestreserve, Rediskontkontingent) und der Zinspolitik (Diskont- und
Lombardsatz). Weil jedoch hohe Inflationsraten das Ziel der Wa h(94) Siehe oben zu Fn. 58.
(95) RU} DIGER ROBERT, Die Unabha ngigkeit der Bundesbank, Kronberg/Taunus,
Athenaeum, 1978, S. 22; W. JA} GER, in Geschichte der Bundesrepublik Deutschland, hg.
von KARL D. BRACHER U.A., 5/I, Republik im Wandel 1969-1974: die A ra Brandt, Stuttgart,
Deutsche Verlags-Anstalt, Mannheim, Brockhaus, 1986, S. 51.
(96) Normativ angeknu pft, so die Forderungen, ha tte die Gleichschaltung an 12
Satz 1 BBankG (Gesetz u ber die Deutsche Bundesbank, vom 26.07. 1957, BGBl I 745:
Die Deutsche Bundesbank ist verpflichtet... die allgemeine Wirtschaftspolitik der
Bundesregierung zu unterstu tzen) und an 13 Abs. 3 StabWG (Die bundesunmittelbaren Ko rperschaften, Anstalten und Stiftungen des o ffentlichen Rechts sollen
im Rahmen der ihnen obliegenden Aufgaben die Ziele des 1 beru cksichtigen).
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auf, und an der Weiterverfolgung des Projekts war man nicht mehr
interessiert (105). Hinzu waren Bedenken in der Sache selbst getreten, die sowohl von politischer als auch wissenschaftlicher Seite
gea uert wurden: das Instrument der Aktivzuwachsreserve wu rde
strukturpolitische Effekte mit sich bringen und so die Regel der
strukturellen Neutralita t der Geldpolitik noch zusa tzlich verletzen (106); und in Hinblick auf die Kreditplafondierung wa ren auer
a hnlichen strukturellen u berdies wettbewerbspolitische Nachteile
infolge geradezu monopoloider Wirkungen (107) zu befu rchten.
Schlielich war auch das Bedu rfnis nach zusa tzlichen Steuerungsmitteln geschwunden, nachdem die Zwa nge des Bretton-WoodsSystem weggefallen waren und sich herausgestellt hatte, dass in der
neuen Lage die Bundesbank mit den bisherigen Instrumenten zurecht kommen wu rde.
erla t na here Bestimmungen u ber die Berechnung und Feststellung der Ho chstgrenze
und des Zuwachses. (3) Die Deutsche Bundesbank kann verlangen, da ein Kreditinstitut ein Guthaben bis zur Ho he des Betrages, um den es die nach Absatz 1 festgesetzte
Ho chstgrenze u berschreitet, fu r einen der Dauer der festgestellten U berschreitung
entsprechenden Zeitraum auf Girokonto bei ihr unterha lt. Sie erla t na here Bestimmungen u ber die Berechnung und Unterhaltung dieses Guthabens. Das Guthaben wird
nicht auf die nach 16 zu haltende Mindestreserve angerechnet. (4) 16 Abs. 3 und
Abs. 5 bis 7 gilt sinngema . (5) Allgemeine Anordnungen der Deutschen Bundesbank
nach den Absa tzen 1, 2, 4 und 5 bedu rfen der Zustimmung des zusta ndigen Bundesministers.
(105) In den Jubila umsba nden der Deutschen Bundesbank wurde die Episode
mehr oder weniger schamhaft verschwiegen (ein kurzer Hinweis bei v. Hagen aaO, oben
Fn. 90, S. 450f).
(106) Zusa tzlich deshalb, weil von der Regel das Gesetz in der Vorschrift u ber die
Mindestreserve selbst schon abgewichen war, 16 Abs. 1 Satz 3 BBankG: (...)
Innerhalb dieser Grenzen kann sie (sc. die Bundesbank) die Vom-Hundert-Sa tze nach
allgemeinen Gesichtspunkten, insbesondere fu r einzelne Gruppen von Instituten, verschieden bemessen sowie bestimmte Verbindlichkeiten bei der Berechnung ausnehmen
(...). - Die ho chstrichterliche Rechtsprechung hat in der bedeutsamsten Entscheidung
zum BBankG die Mo glichkeit struktureller Differenzierung auch auf Satz 1 der Vorschrift ausgedehnt, BVerwGE 41.334 (1973).
(107) Stellungnahme des Wissenschaftlichen Beirats beim Bundesministerium der
Finanzen aaO (oben Fn. 103) S. 574.
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tra i motivi di censura degli accordi di cartello, quello dellinterferenza con il commercio interstatale.
Questa linea interpretativa e` di breve durata. Viene ben presto
sfidata da una concezione piu` sensibile alle ragioni della liberta`
contrattuale. Questultima viene affermata nel caso Lochner vs. New
York (1905) nel quale senza peraltro affrontare questioni di
rilievo antitrust si enuncia un severo limite al potere di regolazione (di polizia) degli Stati proprio in nome della liberta` contrattuale. Si trattava di una rottura ideologica molto sensibile con la
tradizione della disciplina della societa` bene ordinata attraverso i
police powers che era stata tipica della giurisprudenza e dottrina per
almeno due terzi del XIX secolo (2). Di qui alla materia dei cartelli
il passo era breve e viene infatti compiuto nel 1911 con lo Standard
Oil Case, nel quale si afferma che s` il trust e` illegittimo, ma solo
nella misura in cui introduca limitazioni innaturali, oltre il consueto e il normale alla liberta` di commercio. E` la teorizzazione della
Rule of Reason che riattualizza nel contesto della lotta ai monopoli
il canone della ragionevolezza tipico della Common Law. Laddove per i cartelli era piu` facile argomentare la loro irragionevolezza,
per i trusts, per i monopoli e le concentrazioni occorreva verificare
caso per caso se incorressero in questa censura. Nel 1918, il giudice
Brandeis precisa in Chicago Board of Trade che occorreva verificare volta per volta se le restrizioni stipulate dalle imprese fossero
tali, con riguardo a quel settore del commercio, da soffocare ogni
concorrenza. Il procedimento era necessariamente induttivo e implicava unaccurata analisi del mercato. Nel 1920 la Corte suprema
ribadisce il concetto in U.S. Steel dove chiarisce che: A) grande
non e` necessariamente negativo; B) la cooperazione tra rivali
poteva persino aiutare a stabilizzare i mercati. Cio` si sposava ideologicamente con la giurisprudenza della Corte a firma Sutherland
nella quale durante gli anni Venti si erge una vera diga allattivita`
pubblica di regolazione di prezzi e onorari in nome della liberta`
contrattuale e in particolare del XIV emendamento. Gli economisti
per parte loro non disdegnavano di avallare questa linea, ammonendo contro i rischi di una competizione sfrenata. Come si usava
(2) Si veda al riguardo lanalisi di W. J. NOVAK, The Peoples Welfare, Chapel Hill
and London, 1996, pp. 245-247.
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dire nei primi anni Venti competition is war, and war is hell.
Come a suggerire: ben vengano gli accordi fra le imprese se servono
ad evitare un esito cos` funesto. Non sorprende allora che di questo
alleggerimento del controllo sugli accordi fra imprese non beneficino affatto i sindacati, perseguiti con la stessa determinazione di
prima. Ci si attendeva dai singoli lavoratori che contrattassero su
base individuale con i datori di lavori in ossequio alla piu` stretta
ortodossia liberista, a dispetto delle critiche di Roscoe Pound e delle
titubanze di Holmes. Ribadendo questa tesi ancora una volta nel
1927, la Corte suprema dichiara illegali le associazioni di tagliatori di
pietra in quanto suscettibili di interferire nel commercio interstatale
con i loro scioperi.
E` su questa consolidata giurisprudenza che si innesta e con cui
deve fare i conti il New Deal. Complice la rivoluzione dei paradigmi
nel campo della teoria economica (Chamberlin, Berle e Means),
lIndustrial Recovery Act (1933) restituisce al governo un importante
ruolo nella ridefinizione delle compatibilita` tra mercato ed interesse
pubblico. Da una parte si moltiplicano i codici di onesta concorrenza, mentre dallaltra viene ammessa la contrattazione collettiva,
sfociata nella creazione (1935) del National Labour Relations
Board. A questa svolta, la Corte suprema reagisce in modo selettivo: colpisce come incostituzionale in ALA Schechter Poultry Corporation (1935) lo standard della onesta competizione perche
troppo vago e discrezionale; ammette invece in Nebbia v. New York
(1934) la regolazione pubblica del prezzo del latte perche rientrante
nel legittimo esercizio dei poteri di polizia degli Stati.
Le resistenze della Corte non impediscono che la legislazione
conosca importanti sviluppi, tra cui merita segnalare il RobinsonPatman Act del 1936 che protegge il piccolo commercio colpendo le
discriminazioni praticate dai fornitori. A sua volta il Wheeler Act del
1938 introduce la protezione del consumatore dalla pubblicita`
fraudolenta. Ed e` appunto la tutela del consumatore a divenire il
tratto unificante di questa legislazione, capace di mediare tra il
principio della proprieta` privata e della liberta` contrattuale e quello
dellinteresse pubblico. La nomina del professore di Yale Thurman
Arnold alla testa della divisione antitrust del ministero della giustizia
(1938), nonche un mutamento di sensibilita` tra i giudici della Corte
fanno s` che la protezione intransigente del contratto e della pro-
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la fine della Seconda Guerra Mondiale queste idee potranno fruttificare. La legislazione approvata nel 1958 ed emendata nel 1973
introduce importanti limitazioni: 1) proibisce i cartelli come accordi
orizzontali, salvando solo i cartelli tesi a razionalizzare un settore
industriale; 2) gli accordi verticali come licenze, esclusive etc.
vengono proibiti se dannosi; 3) viene proibito labuso di potere
economico da parte delle imprese dominanti. I concetti chiave sono
quelli di limitazione della concorrenza e di abuso di potere, assortiti
dalla novita` che ad applicarli sono giudici ordinari e non amministrativi. La giurisprudenza ha sviluppato questi standards facendone
applicazione per colpire i prezzi eccessivi praticati da imprese
dominanti (caso Vitamin B12, 1976) o per censurare la disparita` di
trattamento inflitta ad imprese omologhe. Quanto alle fusioni, esse
possono essere proibite quando, in base al principio di causalita`, da
esse possa derivarne una consistente diminuzione della concorrenza
rafforzando cos` una posizione dominante sul mercato. La capacita`
di deterrenza della concorrenza scoraggiando in particolare
lingresso di nuovi soggetti nel mercato da parte di unimpresa
dotata di grande forza finanziaria e` un indice della illiceita` della
fusione. Lanalisi cui procede la giurisprudenza e` pertanto strutturata come segue:
A) analisi della forza finanziaria delle imprese che intendono
procedere alla fusione alla luce di quella di cui dispongono le
imprese concorrenti; B) la disponibilita` della ditta che fagocita
unaltra ad utilizzare le proprie risorse per incrementare lattivita`
della ditta acquisita; C) impatto presumibile di questa concentrazione di risorse sui concorrenti attuali e potenziali.
3. Non e` un caso che la Direzione generale della concorrenza
di Bruxelles sia sempre stato un feudo tedesco. I tedeschi disponevano di un retroterra in materia del tutto ignoto agli altri europei, a
cominciare dai francesi per giungere sino agli inglesi, in questo assai
meno progrediti dei cugini americani.
Ma come e` nato il diritto comunitario della concorrenza? La
mano americana e` riconoscibile e porta il nome del professor Robert
Bowie, consulente dellAlto commissario statunitense per la Germania, mentre sembra che il consigliere di Stato francese Maurice
Lagrange procedette al drafting. Sintomo dellinfluenza americana e`
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1. Images and bodies: the European Union on the web. 2. Elections as human rights
events: international standards for European operations. 3. Observation as virtualisation: unforeseen results in Peru. 4. More than a mote in a not so alien eye: Peruvian
provocation. 5. The beam in ones own eye: Europe s embarrassment over Swedish
zeal. 6. Nemo dat quod non habet: co-operative relations among the United Nations.
7. Rights make might: freedoms and elections, citizenships and peoples. 8. The fact
of our existence: the thing and the title for America and Europe. 9. Fact and right:
vicious geographies and virtuous constituencies.
Citizenship of the Union is hereby established. Every
person holding the nationality of a Member State will
be a citizen of the Union.
Treaty on European Union, 1993.
International instruments recognise specific human
rights criteria which electoral processes should abide
by for them to be considered valid.
Ombudsmans Office, Peru, 2000
1.
At this point in our time and space, all manner of entities and
institutions are able to offer a controlled image of themselves, one
which can be created in cyberspace on web sites, freely accessible for
both transmission and reception. Web sites constitute a source of
virtual images on the internet. They are constantly being created,
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routes that branch off and cross over in continuous expansion. Its
capacity and possibility for cloning and proliferating kaleidoscopic
images is almost infinite. I shall enter with a previously determined
course. It is Europe, the Union at home, and as far away as America.
It is also democracy, with the basis of polity or constituency entitled
to rights. Constituent citizenships and rights to liberty set our
course. The European Union itself will be the virtous guide and
maybe the vicious escort. Exploiting the web, which really permits
distant and unforeseen connections, or even ones which would be
hard in the event of their being physical, we shall move backwards
and forwards between Scandinavian Sweden, Europe, and Andean
Peru, America, not all of Sweden or the whole of Peru as we shall
see. I shall explain the reasons for the strange itinerary and the
specification on identity. We shall take our real time on our virtual
journeys (4).
Since we are contemplating virtues and other potentialities, I
turn to the apparently virtuous and virtual field of international
co-operation, and more specifically to a seemingly even more impartial area that of electoral observation to safeguard democracy
and foster human rights. Personal experience is behind this choice,
but together with objective interest which will not be necessary to
specify, as shall be seen. I am not alone and by myself in my
professors office and with my research work. I co-operate and
observe in company an activity which is likewise reflective. This
question of observation in the area of co-operation could also serve,
though incompletely, to tackle the difficult challenge of understanding the European Union in comparison with its individual States. A
(4) This essay on virtual history is a somewhat dissident dialogue with existent
literature on citizenship, whose latest outstanding achievement is offered by the scholar
who has called us together on this exploration project: PIETRO COSTA, Civitas. Storia della
cittadinanza in Europa, Bari 1999-2001. This genre is characterised by its European or
Euro-American-centred stance not only through conscious accuracy, as in this case, but
even when making the impossible attempt to embrace the entire world, as in the quoted
Imagined Communities by B. ANDERSON (confront, as touchstone, the fourth chapter, the
one on Latin America). As long as Europe must still account for colonialism, European
past and present may be in compelling need of out-of-Europe specific perception, and
not generic information, of local and not global knowledge in brief. This is the
commitment of this paper.
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and explanation are available. In terms that are more general, they
deal with democratisation tasks via election observation and other
means such as election process direct assistance. Here we have
reports and records concerning this external activity carried out by
the European Union. Now, as from 2002, there is also immediate
access to the site of Europeaid, the brand new European office for
co-operation (9).
Between November 2000 and mid 2001 the European Commission produces reports on election observation and assistance strategies which are working papers concerning the fostering of democracy and human rights to be consulted with other main European
institutions, the Council and Parliament. They define the current
framework of the pursuit. Furthermore, they coincide with the
preparation and execution of the electoral observation in Peru
election-ass-observ/index.httm. The documentation is in acrobat reader, which allows
page quotes. To begin with I visited the site in July 2001, leaving around this moment,
or more correctly with an annual report corresponding to October, the material
consulted to reflect the state of the Peruvian electoral observation that will concern us.
The European web page design dates from 1995 and it is already overloaded with
information. The eu key is due to change from subdomain to domain, with a complete
overhaul of the web site.
(9) Europeaid: http://europa.eu.int/comm/europeaid/projects/eidhr/index-en.htm,
with its disclaimer: The Commission accepts no responsibility or liability whatsoever
with regard to the material on this site (...). Please note that it cannot be guaranteed that
a document available on-line exactly reproduces an officially adopted text. Only
European Union legislation published in the paper editions of the Official Journal of the
European Communities is deemed authentic (). This disclaimer is not intended to
limit the liability of the Commission in contravention of any requirements laid down in
applicable national law nor to exclude its liability for matters which may not be excluded
under that law. As for the accountability, the problem lies in the latter, of course. As
for the information on electoral observation, Europeaid (European Initiative for Democracy and Human Rights; director, FRANCESCO DE ANGELIS) does not integrate the previous
documentation on its web site. It remains on that of Human Rights and Democratization
subsidiary (also on the web) to External Relations (commissioner, CHRIS PATTEN). In the
latter, you can still (mid-2002) find the address for the Peru-2001 operation that we are
going to consider (http://www.moeue-peru.org), but as a dead-end, linking to nowhere.
At least virtually, I mean on the net, there is a lack of co-ordination among European
offices that we shall tackle not in cyberspace, but in Peru. In fact, it is the Peruvian side,
namely Peru Virtual, which has saved the European observation site there:
http://www.peruvirtual.net/moeue (MOEUE, Misio n de Observacio n Electoral de la Unio n
Europea).
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less committed, the so-called international, are the specific measuring stick employed. Thus with this reference to form and content,
the election observation concerning Peru has had to issue its report.
But let us not anticipate events.
We are concerned here with the fact that when a more neutral
and even inexpressive term is adopted, in this case international
standards, it does not appear that the task is being resolutely and
clearly carried out with the more precise and committed human
rights standards. It would seem that the latter, human rights, are
useful only to legitimise the observation, not to constitute its rule.
For these, mere international standards are deemed sufficient. Is
there a difference or are they two ways of understanding the same
unique idea? In the latter supposition, why duplicate syntagma?
Why this insistence on human rights when operations are conceived,
justified, planned and explained only for international standards to
appear at the very moment of implementation?
For the evaluating of elections, what can international standards
be if they are clearly not the same as human rights, or are not
identified exactly with international law as conceived by the United
Nations from the Universal Declaration on Human Rights whose
article 21 set the first principle? Everyone has the right to take part
in the government of his country, directly or through freely chosen
representatives; the will of the people shall be the basis of the
authority of government; this will shall be expressed in periodic and
genuine elections which shall be by universal and equal suffrage and
shall be held by secrete vote or by equivalent free voting procedures. These words mark the mere beginning of an intensive
development that with its ups and downs has continued for just over
fifty years. As we shall verify both in America and in Europe, human
rights are today not only those of the Universal Declaration resolutely and clearly carried out with the more precise and committed
human rights standards.
If the present legislative body of the international law of human
rights is not what defines and specifies standards, what else might it
be? There is no clear answer to this, for there is no real alternative.
In practice, although bearing some association to human rights,
especially to political ones, international standards are somewhat
elusive and intuitive. With the connection in mind, this reference to
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tion case on the European Union web site is the Peruvian one. Let
us journey towards it.
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leading core team, twelve others for process and electoral campaign
witnessing and analysing, and a contingent of over fifty to reinforce
supervision on the eve of and during election days. All in all the
operation lasted practically four months between mid-February with
the first briefing meeting for observation personnel while still in
Europe, and mid-June on the final withdrawal of the core team
following a thirteen week stay in Peru (though with staggered
vacation short breaks, not affecting the operations continuity)
together most of the time with the twelve long term observers,
leaders usually in Lima and the latter deployed throughout the
country (30). Real group research work lay behind; ahead lay the
writing up of a collective report which, in keeping with the principles of co-operation, was to include recommendations for the
Peruvian citizens and authorities concerning the electoral system
and practice (31).
New virtualities appear, one of a vision to obtain an understanding and one of determination to achieve experience. The official
report offers the results of the observation as a form of virtualisation
in electoral matters. It proves apparent accordance between image
the use of the name mission, although long-coined and thus useful in the international
field.
(30) The core team members in the field were Ulrich Fanger as legal and election
advisor, Adolfo Cayuso as observers co-ordinator, Andrea Malnati as media and
research advisor; Scipion du Chatenet as security and logistic advisor (the head of
mission was missing, as I shall explain, and I am the fifth man of course). The long term
observers were Delphine Blanchet and Nils Meyer in Arequipa, Sonia Franco and
Thomas Boserup in Iquitos, Pedro Lacunza and Sikke Bruinsma in Ayacucho, Bjo rne
Folke and Jean Leloutre in La Libertad and Lambayeque, Tiina Heino and Miguel
Alonso-Majarangranzas in Apurimac, Cusco and Puno, and Lars Tollemark and Richard
Atwood in Lima. Some employees, namely Leo Cardinaels and Marisol Herna ndez,
collaborated diligently in the very observation work above their administrative tasks. The
human factor has been shown to be a crucial key for any history, not only micro.
(31) The Final Report of the Peru-2001 electoral observation can be found on the
European Union web site (http://europa.eu.int/comm/external-relations/human-rights/euelection-ass-observ/peru/final-report.pdf) that also houses several of the preparatory pronouncements and public statements, though not the periodical reports classified as reserved. As we know, the documentation is not on the Europeaid site, but only on the one
of Human Rights and Democratisation. The most complete public information, including
the official report also in Spanish, Informe Final, is to be found on the observation site:
http://www.peruvirtual.net/moeue.
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offered by the State itself through its legal system (33), but rather in
its dynamics and their result.
Let us start at the top just for the sake of itinerary. When the
European observation team arrives in situ, it is confronted to begin
with by a schedule of interviews with higher election institutions.
This start could affect visibility somewhat and even seriously influence insight, which in effect occurred to a greater extent as a
consequence of the Swedish embassys initial mediation, acting in its
own interests, a matter I shall deal with further on. No great damage
was done. We had sufficient time and means for checking. Therefore, I am not going to follow the trail of evidence, but just the route
through short cuts. I shall begin at the top in accordance not with
early sensations, but with the final proofs, with those particularly
concerning human rights standards.
With a view now to political neutrality, the Peruvian elections in
2001 are presided by a substantially judiciary body, the so-called
National Electoral Jury, and managed by a different autonomous
office, the National Office of the Electoral Processes (34). The
highest electoral authority, the National Jury, is a body sensitive to
political party claims as it is oblivious to public or more general
interests, for example the rapid settlement of electoral disputes in a
delicate stage of transition. Actually, while the law provides only for
(33) DIETER NOHLEN, SONIA PICADO and DANIEL ZOVATTO (eds.), Tratado de
Derecho Electoral Comparado de Ame rica Latina, Me xico 1998.
(34) Jurado Nacional de Elecciones (JNE, National Electoral Jury:
http://www.jne.gob.pe; president, MANUEL SAu NCHEZ PALACIOS; members, FLORA ADELAIDA
BOLIuVAR, GASTOu N SOTO, CARLOS VELA Y RAMIRO DE VALDIVIA), escorted by the Oficina
Nacional de Procesos Electorales (ONPE, National Office of the Electoral Processes:
http://www.onpe.gob.pe; chief, FERNANDO TUESTA) and also by the Registro Nacional de
Identificacio n y Estado Civil (RENIEC, National Record of Identification and Civil
Status: http://www.identidad.gob.pe; chief, CELEDONIO MEu NDEZ). This trinity forms the
Sistema electoral of the 1993 Constitution which (as near in time as distant in spirit) still
rules over the general elections of 2001. It establishes this institutional tripartite electoral
scheme independent from the branches of government. With supreme jurisdiction,
ruling power, legislative initiative and supervising empowerment, the National Electoral
Jury presides. The National Office of the Electoral Processes organises. The National
Record of Identification and Civil Status assists with its own authority for census
elaboration and identity accreditation. The principal positions in these electoral institutions are appointed not by the executive branch, but by ordinary judiciary bodies or by
ones belonging to constitutional realms.
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special and summary electoral remedies, ordinary appeals are accepted in addition (35). This situation causes a considerable delay
thereby endangering both internal and foreign confidence in the
current process. The Peruvian executive itself, which has no authority concerning the management of the election process for reasons of
neutrality, utters warnings about the serious delays caused by jurisdictional deference in face of party claims between the two rounds
required for the presidential election, due to the failure to achieve
absolute majority in the first. While the parliamentary and presidential elections were held on the eighth of April, the second round for
the presidency took place on the third of June.
The supreme electoral bodys desire to satisfy the political
parties does not mean that it is sensitive to citizens rights. This is the
issue which mainly concerns us. In order to foster womens political
participation the law establishes a gender quota in the electoral rolls
which the National Electoral Jury has negligently played down. Peru
is a country with a strong internal migration, where voting is not
voluntary, as we shall see, and postal votes are not allowed except
abroad. To avoid costly and difficult journeys in order to vote the
law requires the installation of temporary residents polling stations,
yet this stipulation has not been fulfilled. The National Electoral
Jury failed to order its compliance. Although the National Office of
the Electoral Processes has signed and carried out an agreement
with the Ombudsmans Office to set up Ombudsman facilities in its
own electoral administration departments, the National Electoral
Jury, which is the superior body, has refused to recognise the
authority of this other constitutional institution, as is the Ombudsmans Office, to defend electoral rights and participation of the
citizenship. The result is that such an important organism, the
supreme one in the electoral field, is deferential not to citizens rights
but to political forces (36).
(35) The same body, el Jurado Nacional de Elecciones, coordinates and publishes,
without concern for contradiction, electoral statutes: Legislacio n Electoral del Peru , Lima
2001.
(36) The administrative autonomy of the National Office of the Electoral Processes, while under the ruling and supervising control of the National Electoral Jury,
allows disparity in relations with the Ombudsmans Office. Regarding the missing
temporary residents polling stations, a biased interpretation of the electoral statues was
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according to official statistics (41). They were held for one president,
two vice-presidents and one hundred and twenty single-chamber
parliamentary seats. If this indicates a serious problem of underrepresentation, this is due to not only quantitative but also and
above all qualitative reasons. As a country, Peru has an extremely
diverse population due to the coexistence of regions with different
economies and customs, as well as an abundance of language and
cultural communities, such as the indigenous, without political
representation or constitutional incorporation as collective bodies
under the current constitutional law (42). For the 2001 general
elections the only formally parliamentarian and politically representative house for the whole of Peru is the Congress of the Republic,
with one hundred and twenty seats in Lima, the State capital, and
nowhere else.
Serious problems regarding constitutional foundation on citizenship representation are to be found. When the elections are
declared to conform to international standards, this means, among
other things, that the political agents have had the freedom and
wherewithal to render themselves competitively vivid in the eyes of
citizens. Indeed, it may be said that in general terms this has shown
to be so in the case of the Peruvian 2001 general elections. The
political authorities and police and even military forces have guar(41) The Biblioteca Digital del Instituto Nacional de Estadstica e Informa tica de la
Presidencia del Consejo de Ministros provides a useful virtual site to begin with for
information which is not only statistical: http://www.inei.gob.pe/biblioinei.
(42) Concerning this human diversity, I could refer to any introduction to Peru, but
I must refrain for I do not know of any that is clear and complete. Regarding the most
outstanding aspect of language plurality, there are not only the Quechua and Aymara
cultures shared with Bolivia; the first one being also shared with Ecuador and to some
extent with Colombia, Argentina and Chile. Furthermore, there are those pertaining to
around twenty Amazonian indigenous peoples not all entirely within the state frontiers.
As we shall observe, in the Peruvian constitutional and legal language, this presence is
referred to by the expression peasant and native communities, the latter deemed to be
the Amazonian, as if the former were no longer indigenous. For the international normative
phrasing, especially by virtue of the Convention on Indigenous and Tribal Peoples in
Independent Countries of the International Labour Organisation, both of them are considered as indigenous peoples insofar as they are previous to and have survived colonialism. Until now in Peru no constitutional enactment has led, as we shall confirm, to any
reconsideration of the representative system on behalf of the plurality of peoples which
it embraces, nor even, so far, to a revision of the legal language itself.
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anteed these conditions, beginning with their own neutrality vis a` vis
the electoral offers. However, what is guaranteed to the candidatures or the electoral observations is not extended to the citizen,
either as an individual or collectively. With public order under heavy
military control, and following a cruel period of terrorism and
counter-uprisings, with neither side respecting rights, there is not
the same consideration concerning the exercise of liberties on the
part of either civil associations or the very citizen, the individual (43).
In certain areas, labour unions activity has been curbed on behalf of
voting safety and there have been serious restrictions to personal
liberty on the part of the police, for the same pretext of electoral
peace, with flaunting of military authority as if it enhanced rather
than hindered political free participation (44).
(43) During the last two decades of the twentieth century in Peru, between
terrorism and no less terrorist counter-terrorism, there have been more deaths and
disappearances (many of which have remained unsolved) than in Chile, Argentina or
Uruguay under military regime. If I were asked why the situation is less well-known
abroad, the reason I would give would not be that there were outright dictatorships
inciting opposition in the other countries, but that in Peru it is the case of indigenous
population causing indifference: Ombudsmans Office, Las Voces de los desaparecidos.
Testimonios de los familiares, Lima 2001, voices of the missing through relatives
testimony. In the First Encounter of Indigenous Peoples of Peru, to which I shall refer
later, a dossier on Human Rights Violations by the Armed and Police Forces,
Principales violaciones a los derechos humanos por parte de las Fuerzas Armadas y
Policiales, was passed around, in order to break the silence.
(44) In the long run there were no signs of this particular point in the European
report. Some are to be found in the reports, which are of course much more authoritative
and expert, published on the Peruvian Ombudsmans web site. Yet above all I rely on
my own interviews as deputy head of the European observation with military chiefs of
the civil police in terrorist threatened areas. I was able to travel there and meet them
thanks to the Defence Ministry service corps to such an extent was the Peruvian
government open to international presence in these elections. My indebtedness is also
extended to a previously mentioned non government organisation, the Council for
Peace. The governments direct assistance was also due to self-interest, since after the
journeys each press conference was summoned and presided by the minister. Yet in the
first one, with no other awkwardness apart from the significant silence of the media, I
also pointed out my perception of the armed forces police bias, and not just its electoral
neutrality. The latter, not the former, was publicly agreed with by the other observation
teams also participating in the journeys under military protection, both international
(Organisation of American States and NDI-Carter Center) and domestic (Transparencia
and Consejo por la Paz).
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It should also be noted that the distance between political and civil
liberties, specifically between the right to vote and other civic capacities, widens and grows worse because of the requirements for the
registration of parties or associations for electoral purposes. All the
credentials, programs and documents must be presented in Spanish,
as if it were the only language alive in Peru, together with a collection
of signatures of strict adhesion (not to be repeated in other registration
petitions), constituting one per cent of total votes in the previous
elections. This puts the figure at over one hundred thousand people,
which in turn must be at least five times greater in the polls in order
to maintain the registration which confers representative authorisation and electoral guarantees. Add to this that preventive curbing of
liberties is under military order and served by a police force whose
members lack civil rights, including the right to vote. Contrast all of
this with what has already been written concerning the higher electoral
authorities extreme deference to political forces to the detriment of
citizens rights. All in all, it appears that mental attitude and current
behaviour of public institutions and authorities pose serious problems, both legal and political, to citizenship foundation of the constitutional system and citizens participation in the representative procedures. In both their rules and practice, these same general elections
may constitute the most eloquent sign.
As a clue, let us shed light on an already mentioned extreme, the
mandatory vote. The establishing of universal suffrage, which was the
fruit of the 1979 Constitution, goes hand in hand with an obligation
dating from the time when voting was limited to literate members of
the male sex which is far from the ideals of foundation and participation (45). Together with obligatory military service which is at
present in the process of being abolished, and also with the payment
of taxes, political participation through vote is the main responsibility
and obligation of citizenship. Now, from 1979, universal suffrage,
male and female, is a right from the age of eighteen, and a duty until
(45) MANUEL VICENTE VILLARAu N, Ante-Proyecto de Constitucio n de 1931 por la
Comisio n que e l presidiera. Exposicio n de Motivos, Lima 1962, ed. Luis Echecopar,
(reproduced by Ce sar Landa, ed., Materiales de ensen anza. Historia constitucional del
Peru , Lima 2001), is a historical key text for reasoning in support of literate mens
obligation to vote in the actual oligarchy of that period.
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the age of seventy. Abstention from voting carries a fine which is severe
for the less affluent majority together with another penalty which
could be called accessory. As long as the sanction goes unpaid, citizen
identification is withheld. The constitutional right to identity, and thus
of personal citizenship, is cancelled.
Control used to be achieved by means of an individual voting
credential which registered participation. A state-of-the-art national
identity card has now been introduced, yet it does not fully represent
a constitutional right to identity. A centralised national record of identification and civil status has been set up, taking over what was previously a municipal competence, and it is ordering the electoral roll
while issuing documentation. The new identity document still registers election participation so that in cases of unjustified abstention it
loses its identification function in individual official or private matters
such as judicial and notarial or banking and business. Justification is
as easy for affluent urban people as it is difficult for the rest, but paying
the fine. Although the statute now declares otherwise, citizens do not
find any substantial difference between the old voting credential and
the new identity card as regards the effects of electoral abstention. No
legal case has been heard of where law prevailed over practice to this
effect. Neither in the military, civil, nor private police spheres, nor
criminal and penitentiary areas, is an illegal practice judicially challenged, that of withholding documentation even after the completion
of a prison sentence, thus doubling the punishment by including loss
of identity and impossibility to vote.
Here is a matter that has also seriously divided opinions within
the European observation. Can such a severe system of mandatory
voting and its grave consequences for common people conform to
international standards of democracy and rights? On one hand the
democratic objective of political integration for the entire population can be appreciated; on the other hand, the damaging effect on
a constitutional right to liberty, such as participation might be, is
noticed (46). Anyway, the Europeans observers agree on the excessive severity.
(46) For the democratic argument from Peru, J.C. and R. VALDIVIA, Diccionario de
Derecho Electoral Peruano, entries Votar es obligatorio (e indispensable) and Voto
obligatorio.
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This obligatory nature of voting participation, with its characteristic harshness moreover, is reaching or exceeding limits from
which other previously mentioned problematic aspects might stem,
such as final adjudication at the highest level by the National
Electoral Jury, party intervention at the polling stations, or police
interference to ends other than the peaceful exercise of rights, or
extremely limited political representation with complete disregard
for the existing plurality. Might it be that this insistence on mandatory voting, on forcing the democratic foundation of state institutions precisely in this way rather than in one more in keeping with
the constitutional principles of rights (insofar as they are rights to
freedom before and above all else), is connected to all of this?
We seem to be touching rock bottom. It is not just a question of
the voting system conspiring against representation of plural cultures or peoples, and especially indigenous ones, which seems quite
evident when it is not overlooked (47). It also happens that this same
system, with all these connected aspects, might be the intended
treatment for a deficient constituency, the unstable background of
the constituted State, the deceptively solid appearance of the quicksand which provides precarious foundations to Peru as a body
politic. The obligatory vote, this alleged sign of democracy, may be
a sign of the abyss which yawns at the very feet of the State. With
obligation under threat of a fine together with the withholding of
identity and so on, abstention reaches around twenty per cent,
increasing to over thirty per cent if we add blank and spoiled votes.
What citizenship of what cultural description would there be with
freedom of active as well as passive participation, with the proper
constitutional right to suffrage? What do all these details tell us?
To begin with, according to such evidence, the electoral system
is seeking the States legitimisation rather than citizen representation
or citizenships existence as the proper agent. In addition, at least in
the case of peoples with different cultures to that of the State,
citizens chief expectations may be placed not exactly on represen(47) Still within the Amazonian context, for there are no, or I am not aware of,
more comprehensive studies, JAVIER ECHEVARRIuA, Las comunidades nativas y el sistema
electoral peruano, in MILKA CASTRO (ed.), Derecho consuetudinario y pluralismo legal,
Arica 2000, vol. II, pp. 575-587.
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predominantly Quechua one in the Cusco department. The Amazonian peoples simply remained independent.
Federalism is from the start a short-lived episode in Perus
constitutional history, and antifederalism a determined option. The
same could be said of the capitals location in colonial Lima rather
than the pluricultural Cusco, the ancient Inca centre. Qosco means
umbilicus in Quechua. Lima is originally the name of an extinct
people, geographical feature or water flow that lent its name to what
was established as the Ciudad de los Reyes, City of Kings, European
kings of course. It is the constitutional capital of the Peruvian State,
where the only Congress, the high courts and the executive sit. The
State is established and spreads out from there as if the entire
territory and its people, or rather peoples in the plural, were under
its exclusive responsibility (and not their own) regarding law, justice
and government.
A delegate and dependent political and administrative network
is indeed created, but never achieving entire operative competence
for its respective functions. In fact it loses them, or rather, does not
acquire them as it spreads and descends so to say. This does not
imply progressive anarchy. More simply it means that some responsibilities to do with law, justice and government continue to lie
generally in the hands of community jurisdictions, above all of the
indigenous variety. The same municipal administration rules people
and territory much more than institutions issuing from the capital.
However much it persists, the centralised State is pure fiction, the
most complete virtuality, just as federalism is a permanent challenge,
an utter virtuality from start to finish (55). In spite of everything,
(55) The theme of decentralisation, in these such restricting terms, crops up time
and time again in Peruvian publishing; recently, PEDRO PLANAS, La descentralizacio n en
el Peru Republicano, 1821-1998, Lima 1998, and JOHNNY ZAS FRIZ BURGA, La descentralizacio n ficticia. Peru , 1821-1998, Lima 1998. The former dwells more on federal
approaches and the latter to municipal questions, quite appropriately in a country such
as Peru which has a marked community or local plural character. Concerning the issue
of descentralizacio n, indigenous presence may seem outstanding even in the non indigenous sector: Jose Destua and JOSEu LUIS REu NIQUE, Intelectuales, indigenismo y descentralismo en el Peru , 1897-1931, Lima 1984, but can be even more so with the consideration
for federalist approaches and even practices on the indigenous side: M. THURNER, From
Two Republics to One Divided, pp. 127-129.
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function of the State and thereafter recognises indigenous community jurisdiction with no pondering of the latter with regard to the
former. Now constitutional phrasing also refers to ethnic and
cultural plurality as a title to rights, yet without such a right being
reflected in rules concerning personal identity accreditation and
exercise. Aside from language variables and other no less important
details, all of this represents quite a frequent position nowadays
among constitutional practices all over America (60).
A more satisfactory acceptation of indigenous as a normative
qualification is now also in force for Peruvian law by virtue of the
aforesaid Convention on Indigenous and Tribal Peoples in Independent Countries from the International Labour Organisation which
indgenas y el Estado. El reconocimiento constitucional de los derechos indgenas en
Ame rica Latina, Barcelona 2002, pp. 174-177. Regarding the Peruvian Constitution the
adjective present is relative, because through a report submitted in July 2001 a
presidential commission, the Comisio n de Estudio de las Bases de la Reforma Constitucional del Peru , has cast doubt on the force of the 1993 constitutional text since it did
not respect the reform procedure of the preceding one and was ratified by a questionable
plebiscite. That previous Constitution, from 1979, may be now taken as the still
legitimate one. It was silent over indigenous presence and did not contain valuable
institutions such as the Ombudsman. As soon as the new Congress was constituted at the
end of July, 2001, some parliamentary motions called for the disqualification of the last
Constitution, that of 1993. I shall not go into subsequent proposals of constitutional
changes for the same reason that I gave concerning the European reference documents,
to abide by the legal situation of the election observation period. The sensitive matter of
the current constitutional law was usually treated in an equivocal manner during election
campaigns and procedures that were after all carried out according to the 1993
Constitution (except for the date, or rather year, and also the spirit). I have still to return
to these normative trials and tribulations. In 2002 the Congress has launched a web page
on
constitutional
reform:
http://www.congreso.gob.pe/comisiones/2002/debateconstitucional/index.htm.
(60) Besides the quoted Pueblos indgenas by C.G. BARIEu and by M. APARICIO,
WILLEM ASSIES, GEMMA VAN DER HAAR and ANDREu HOEKEMA (eds.), The Challenge of
Diversity: Indigenous Peoples and Reform of the State in Latin America, Amsterdam 1999
(Mexican edition, El reto de la diversidad, in the same year); DONNA LEE VAN COTT, The
Friendly Liquidation of the Past: The Politics of Diversity in Latin America, Pittsburgh
2000, pp. 257-280; RAQUEL YRIGOYEN (ed.), Pluralismo legal y reconocimiento constitucional del derecho indgena en Ame rica Latina, on the quoted Alertanet:
http://geocities.com/alertanet/foros2a.html. ALISON BRYSK, From Tribal Village to Global
Village: Indian Rights and International Relations in Latin America, Stanford 2000, is not
concerned with legal matters, either constitutional or international.
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Peru ratified in 1994. Such is the meaning there for any situation
where precolonialist culture, institutions or customs have been
preserved in any degree. The wording of the identification is certainly not innocent. While the description of peasant contemplates
integration into citizenship with no further consideration (61), that of
indigenous today assumes a different, more plural and thus complex possibility. In the case of this international covenant, the
qualification means the right to community and territory and the
right to customs and traditions, but not the right to law, not to their
own indigenous law through self-government. Let us notice also
that, against sound constitutional ruling, the International Labour
Organisation patronizes rights and interests of indigenous peoples
without allowing or providing indigenous representation or participation (62).
Peasant and indigenous are terms which produce virtual
images that may generate contrasting realities. In the case of the
convention of the International Labour Organisation, the second
qualification, that of indigenous (or rather the first one chronologically here in Peru since it has previously appeared in constitutional recognitions), presents the virtuality of authorising specific
rights obliging the State not to rule on them except after consultation with the entitled peoples, the so-called indigenous. Subordination to unrevised or non-reflexive constitutional law is no longer so
clear. Nevertheless, in Peru, until now the endorsing of this convention has not even led to a legislative revision, let alone a constituent
reconsideration, in spite of there having been no lack of international claims (63).
(61) DEu BORA URQUIETA, De Campesino a Ciudadano. Aproximacio n jurdica, Cusco
1993; Pedro GERMAu N NUu Nx EZ, Derecho y Comunidades Campesinas en el Peru , 1969-1988,
Cusco 1996.
(62) MAGDALENA GOu MEZ (ed.), Derecho indgena, Me xico 1997; LUIuS RODRIuGUEZPINx ERO, Between Policy and Rights: The Internacional Labour Organization and Indigenous Peoples, 1919-1989, forthcoming.
(63) Ministry of Justice and Ombudsmans Office, Compendio de Legislacio n para
los Pueblos Indgenas y Comunidades Nativas, Lima 1999-2000, with the aforesaid
convention in the second volume, as if there had been an oversight in the first. In fact
it originally appeared as the only one in 1999, without noticing the existence of
international law, which was immediately added with the second volume in 2000. In the
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In constitutional terms, which even with the observed recognition of indigenous presence are not the general and common
conditions, it is still a precarious situation. Still more precarious,
even with that constitutional cover, is the present position of indigenous cultures, customs, communities and peoples. Precarious,
though lasting, is the very duality. However, there is no need to go
to the extreme of condemning all of this as truly colonial phenomena
in order to understand the distance that lies between unstable and
adversary tolerance for the indigenous presence, and, for the non
indigenous, right and law, state and constitution, policy and constituency. Perus constituted stance appears to be still none other
than that of huge duplicity due neither only nor mainly to its own
determination, but also to history and legacy, to colonial history and
racist legacy.
All of this is not usually faced up to by predominant political
and juridical minds and voices in Peru. The electoral campaign of
2001 has been quite symptomatic in this respect. They were both
general and special elections following the fall of the Fujimori
regime, under the Constitution which was established during that
time, under this regime, in 1993. However, in spite of and also due
to this transitory circumstance, they were not summoned as formally
constituent or for any constitutional reform. They had this potential
in fact, although it was avoided in public debates during the
campaign and the call to vote. It was only immediately afterwards
that the matter was brought into the open (69). During the electoral
indicated that the complaints came from La Libertad, Puno and Loreto. Nevertheless he
tried to justify this behaviour, pointing out that this was not illegal for some Andean
communities, but typical of a sense of reciprocity. The counterproductive effect of this
news caused outrage concerning the wrongly termed dealing and indifference towards
my efforts to put the matter into a context of community culture. The electoral
agreements with trade unions and peasant federations to which I shall refer can be
understood in this context. I know of nothing similar to F. C. SCHAFFER, Democracy in
Translation, quoted above, either regarding Peru or the rest of America. On June 17,
2002, I attended a meeting of heads and deputy heads of mission in Brussels where
comparative problems regarding culturally non-European peoples were posed, though
not discussed.
(69) I have already referred to the July-2001 report issued by the Comisio n de
Estudio de las Bases de la Reforma Constitucional del Peru which was appointed by the
President of the Republic. It does not tackle the issue of constituency, with this or other
699
BARTOLOME
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period, Valentn Paniagua, President of the Republic in the transition period, suggested, not in a political but rather in an academic
venue, that Peru was in need of a constitutional change or even of a
new Constitution. In political debates during the election campaign
the issue continued to be avoided. Throughout this period, the
constitutional uncertainty was openly approached only on occasions
such as that of a more reserved, though political, forum of a
university conference where the two main political forces participated (70).
wording, but it gives an opportunity for some commentary which does so: RAQUEL
YRIGOYEN, El cara cter pluricultural del Estado y de la Nacio n y la justicia indgenacampesina, which is a note addressed to the very members of the said commission. All
this documentation can be seen on the aforementioned Alertanet site which is directed
by Yrigoyen herself. Through her initiative and with co-ordination from CEAS, the
Catholic Episcopal Commission for Social Action, with the Pontificia Universidad
Cato lica del Peru s hospitality, during a conference held between March 12th and 13th,
on Special Jurisdiction and Customary Law (the term special comes from the Peruvian
constitutional text for indigenous jurisdiction), we shared an opportunity to raise the
issue and discuss it. Present on the panel was FRANCISCO EGUIGUREN, one of the
constitutionalists who would later form part of the aforesaid commission. Another of
them, CEu SAR LANDA, also offered me the opportunity to talk, on May 21st, on indigenous
rights during a doctorate session on constitutional law, in the same Catholic University.
As well as in my role of professor, I always acted in my capacity as deputy head of the
European observation, which apart from being an obligation, served to reinforce the
constant connection between an academic theme and a civic challenge.
(70) As I have participated and thus been present during the display of positions,
I may refer in particular to the conference on Governing without a Majority, which the
Universidad Peruana de Ciencias Aplicadas organised on May 28th, under the direction
of JOSEu LUIS SARDOu N. The reason for the meeting is in itself a considerable constitutional
challenge because of the existence of an extremely hybrid presidentialist and parliamentarian regime in Peru: CARLOS HAKANSSON, La forma de gobierno de la Constitucio n
peruana, Piura 2001. Of special interest for problems of constituency, I have also
attended meetings of the Mesa Nacional sobre el Pluralismo Jurdico-Cultural, organised
by the department of Dignidad Humana, of the CEAS, the aforementioned Catholic
Episcopal Commission for Social Action. Apart from the limited possibility of personally
attending many other events, it is worthwhile to add that there was abundant television
broadcasting of functions and debates in their entirety during an electoral period that
with a double round and the previously mentioned delay, has been really long. From
early on, at the beginning of March, at a private dinner with heads of the principal
international observation teams (OAS, NDI-Carter Center and we, the European),
President Paniagua frankly set out before us the constitutional challenge or even that of
constituency. But it was not a question that could be publicly raised by us, not even with
700
(2002)
On that electoral occasion, important reform plans were proposed. But political parties, those who perform political representation, did not broach the thorniest question concerning constituent
dismantling owing to regional and also deeper cultural plurality. The
1993 Constitution was questioned, but without that implication.
There was a slight hint of a half-hearted step towards decentralisation. There was also a motion in favour of recuperating, at a central
level, bicameralism, which had existed until 1933, yet not for
interregional and intercultural representation. The proposal consisted of duplicating the houses instead so as to avoid the parliamentary practice of single majority decisions at one go without
previous discussion in commission and with no second chamber to
reconsider them. This, together with legislative delegation to an
executive that even resorted to secret legislation, has been quite
usual in recent times. Reformist proposals added plans for the
re-balancing of relations between the parliament and government,
which during the Fujimori regime had leaned heavily towards a
presidentialist line which was hardly possible to check. During the
electoral campaign, there was nothing more in sight that might
concern constituency by citizenship, the underlying question for all
these constitutional issues (71). Definitively, these conceivable reforms, including regionalisation, continue to move within the frame-
a completely off the record insinuation. The Organisation of American States, functioning as practically the guardian of the Peruvian transition, treating Peru as a minor and
ward, was particularly concerned that such a thing (the open debate on constitution and
constituency) would not happen, as we shall verify.
(71) Among publications on Fujimoris peculiar regime insofar as the fact that it
was not open dictatorship, but obscure corruption instead with a constitutional slant as
a basis, a parliamentary chronicle dating from a second final period can be read: HENRY
PEASE, As se destruyo el Estado de Derecho. Congreso de la Repu blica. Peru 1995-2000,
Lima 2000. For a broader perspective on the key of law making, PEDRO PLANAS,
Inseguridad jurdica, imprevisio n normativa e ineficiencia legislativa. Efectos de la subordinacio n del Congreso peruano al Ejecutivo, 1980-2000. Estudio cualitativo de la poltica
legislativa desarrollada en los u ltimos veinte an os, con e nfasis en el Congreso unicameral
del fujimorato, an offprint of the journal Advocatus, Lima 2001. On the Fujimori regime
in more general terms, the same author has an early monograph: P. PLANAS, El
Fujimorato. Estudio poltico-constitucional, Lima 1999.
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work of the image of Peru as a unitary State, shaped since its own
origin (72).
To all appearances, there was a reluctance to broach the unnamed issue of inconstituency, even when the theme was considered
to be constituent rather than merely constitutional. Mentioning it
would be tantamount to looking and virtualising. No matter how
signs are put into words, there is no escaping the question of citizen
under-representation as an effect and also cause of the deficiency or
lack of state integration, which, if apparently supported, is, for the
purpose of legitimisation, thanks to well-lubricated mechanisms
such as voting obligation or civic participation under severe penalty.
This is not all of course, as we already know. From the police
function of military forces to electoral meddling by the parties
concerned passing through the arbitrary discretion of high institutions whose ideal aim is to guarantee free voting and whose real
function may be to gerrymander suffrage. To all this, add the
insistence on party exclusiveness in political representation and the
normative monopoly of a central parliament, albeit bicameral, together with government and not with regions and communities. The
system seems to conspire towards a closure, blocking the very
possibility of questioning its constituency. Are images, at least the
political images, really under control? At all events, the constitutional realities are not.
5.
The beam in ones own eye: Europes embarrassment over Swedish zeal.
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(2002)
team, when this is not the real case for the operation as a whole.
Here comes the moment for inside affairs of the Peru-2001 European observation. It was not so peaceful. During the operation,
there was an even crossing of opposing images. Furthermore this is
so for reasons that perhaps are revealing and may reflect the
constituent problems of the European Union itself, of its own
deficient articulation, or also of its virtualities above all. The examination of disagreements is not irrelevant therefore.
Taking extreme care not to be guilty of any indiscretion or even
gossip, I shall limit myself to occurrences which might be of interest
to our present reflective purposes among the kaleidoscope of reflecting images between America and Europe, Peru and Sweden, as
we are about to see. I must behave so because of my personal
involvement, for my position was actually more than deputy head
due to the usual absence of the chief observer. I have already stated
that I assume my part of the responsibility, which was greater then,
in action, and becomes even greater now as I am going to recapitulate (73).
The European scenario is known. The observation is organised
by the European Commission, a stable executive with its Presidency
and Commissioner for Foreign Relations. Regulation is supposed to
be carried out by the Parliament, a representative assembly through
direct universal suffrage, and at a higher level by the Council, an
intergovernmental authority with its rotating Presidency of the
moment, and with its general secretary, Mr CFSP, in charge of the
Common Foreign and Security Policy. All these institutional agents
shared the common aim of external action within the area of
co-operation, of which electoral observation forms a part. The
virtual image is still not complete. One very significant specification
(73) I was informed that my responsibilities would in fact be wider than those of
deputy due to the absence of the head (except during the week of arrival and days prior
to the elections rounds), but I was not warned about the possible problems which could
arise. I imagine they would have been difficult not only to foresee but also to face, given
the European Unions institutional structure or rather present constituent nonstructure (Mr CFSP, JAVIER SOLANA). This is precisely the point I want to consider from
the perspective of the electoral observation.
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For European perception of the Swedish alternative, that proceeding from the Organisation of American States, several presuppositions were latent and working. In a case such as the Peruvian
one, according to the less European perspective, one should act with
understanding and indulgence, without applying minimum requirements of equal exigency with other cases like international
standards. The yardstick of human rights was always kept in sight,
but this did not imply its constant and serious application. There
was not a deep contradiction, that concerning principles, between
the two approaches, the European on the one hand and the Swedish
on the other. Nevertheless, they designed a very different kind of
electoral observation. Let us endeavour to grasp some meaningful
nuances.
As for the Swedish perspective, shared with the Organisation of
American States, the strictly electoral observation task would have
held less importance. It would have been reduced and discreet, like
an accompaniment encouraging and supporting the political process
rather than a presence subjecting it to any serious scrutiny. This
would not have restricted the possibilities of co-operation. It is the
emphasis on the kind of operation and its subsequent method that
marked the difference. Direct support and aid would have prevailed
not just in the longer term, but also on that electoral occasion. The
foreign observation itself would have surreptitiously turned into that
assistance approach. The Peruvian electoral institutions showed
willing to receive this underhand form of backing. Once the European Union stopped giving them direct assistance to perform the
observation, they reproached them and demanded that the operation should at least help their image. Confronted by the clear lack of
receptivity among the European core team, the Swedish embassy
became a constant mouthpiece for Peruvian electoral institutions
expectations and American pressures. The Organisation of American States offered the example. They accomplished the impossible,
combining observation and support, neutrality to observe and partiality to support (79).
previously (though unsuccessfully) proposed that the European electoral observation
should be organised directly as its subsidiary.
(79) With all of this, the previously mentioned deficiency of rule of law (with its
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Not only would the electoral observation have been downgraded for its inability to openly fulfil its specific duty of cooperation or be serious about its own task, but also because in this
way longer-term requirements would have gained protagonism.
Above all it would concern a supposed need which would be
impossible to satisfy in the short term, the civic education activity
that Europe itself could offer without facing the question of the
cultural gap and the cultural exigencies of a case such as the
Peruvian (80). The new form of co-operation in the interests of
democratisation would essentially be reduced, at least for the mopeculiar and insufficient normative or only directive sources) for the observation itself
becomes really significant. The observations guidelines, the so-called terms of reference
for our task, clearly stated that we were under the direct authority of the Commission
Delegation in Lima (chief, JEAN MICHEL PEu RILLE), and that we could resort where
necessary and always within our sphere of independence to the Swedish Embassy as
representative of the Council Presidency of the moment. They also instructed us to
co-ordinate with the other observation operations, particularly the Organisation of
American States. It is unnecessary to go into details concerning how such precautions
might function in such a scenario. This is where what I commented about final sources
comes in, about them being incorporated because of improvised decisions regarding
unforeseen events, like the hidden agenda, made possible by the very deficiency of the
Unions articulation. My improvised reaction was to announce my resignation if any
confirmation of the aforesaid alternative agenda were backed by the European Commission. We, core team and observers, had gone to do a job, not to pretend to do so. To
be completely honest, I must confess that I also had my own agenda, with the indigenous
question, but I said so at the very beginning, at the seminar in Stadtschlaining, Austria,
to which I shall refer later. At no time did I ever hide it. Furthermore, it fitted in (though
not through any foresight of mine) with the European agenda, not the Swedish one, so
there was no merit in my contractual loyalty.
(80) During the electoral observation period in fact, a European mission involved
in evaluating civic education programmes visited Lima. We offered them assistance and
collaboration and received no worthwhile information from them in turn. They were
travelling around several countries as if local knowledge and interactivity were irrelevant
for the mere establishing of communication even if it had been in keeping with the
proper and more economical principle of non invading with external co-operators but
instead fostering internal agency. In any case, communication is always important. This
same activity of civic education by local agents can lead to a similarly one-sided plan for
teaching on the part of the established electoral system, with its occasionally unwarranted, if not elitist requirements, without any previous operational question of human
rights confronting the neo-colonial assumptions. Even local only contemplates EuroAmericans, requiring no use of other languages or knowledge of other cultures for the
non Euro-American areas.
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ment, to a somewhat neo-colonialist aftertaste, through the culturally one-sided European perspective. Depending on biased civic
education, the timing for the programme of constitutional rights
would be somehow different, with some of them, including political
ones, belittled or even belated. The very link between human rights
and democratisation as clearly proposed by the European Union
internal documents would be degraded (81).
I have already pointed out that the other approach, the Swedish
one, is admitted in the diplomatic circles of foreign representation
and external action pertaining to the Union Member States. They
understand it much better than that of observation with impartiality, transparency and professionalism as the European Union told
us. The same independence that this bestows on electoral observation itself is opposed in the field by certain embassies still steeped in
the deep-rooted notion and practice of external action run by
individual States, or also todays European ones working in loose
co-ordination. How can they accept that those who come barging in
on their own terrain, the European observers, are not accountable to
them, the States diplomatic representations? There may be a lack of
understanding between the Union and its Member States, that puts
(81) To prove that I am not playing the Manichean, a visit to the website of the
Swedish International Development Agency (SIDA, Styrelsen fo r Internationellt Utvecklingssamarbete: http://www.sida.se), will suffice. This praiseworthy institution stands out
among other European agencies, and furthermore collaborated in the preparations for
the Peruvian observation (for following collaboration: http://www.eueop.org). As part of
a more general programme for human rights, including observation, it has summoned a
seminar for 2002 on parliamentary activity as an instrument of democracy, Parliamentary
Democracy and the Management of Parliaments, aimed at members of parliaments from
other countries and especially from Latin America. For practical purposes its contents
are ruled by one particular model, the Riksdag, none other than the Swedish parliament
itself. This is the sketch of the all Swedish programme as model for the world: The
Parliamentary System and the Political System in Sweden. The Parliament, the Riksdag,
history, the Parliamentary Act and the Constitution, The Members, The Committees.
Study tours and visits. The Riksdag, a Parliamentary Committee, Ministries, Central
Agencies, Political Parties or organisations, Media. As for a more specialised institute
in Sweden, there is the International Institute for Democracy and Electoral Assistance
(IDEA: http://www.idea.int), with its most substantial contribution of Codes of Conduct,
for both Ethical and Professional Observation of Elections (1997) and Ethical and
Professional Administration of Elections (1998).
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model to offer America and at the same time holds its share of
responsibility for lack of constituency there.
If we endeavour to limit ourselves to the more specific matter of
electoral observation, it is also possible for Europe to find itself in an
embarrassing situation. During the Peruvian election period, at least
two elections were held in Europe; in Italy and the Basque Country.
They were both extremely problematic due to very different circumstances and motives. The European Union does not believe that its
undertaking could be to inspect them, however it assumes this
function for external purposes. Even if one admits a transitional
situation as a requirement for monitoring, has there not been just
such a case during the last few years (though for different reasons
and in differing degrees of course) in Italy and the Basque Country?
Would Europe or its Member States be willing to allow external
agents, say American, to publicly scrutinize its electoral processes
for strengthening European democracy and fostering European
citizens rights?
With its natural and legitimate interest in taking part in electoral
observations ruling and even heading them, and putting this into
practice after Peru by taking effective charge of the political leadership of these very operations (90), would the European Parliament
reciprocate? The most it will admit to is not any kind of reciprocity
by non-Europeans but rather a certain backwards repercussion of
unilateral observation by Europeans which, due to its commitment
to principles, could help Europe itself in its articulation as a
Union (91). Besides, of course, we could hardly question the United
tions and contacts irrespective of political or institutional spheres. In any case, given this
unforeseen social blend, the usual formula for strengthening democracy through empowering parties (more than they already are on paper and in the practice of electoral
and political regime) seems questionable.
(90) Council Conclusions on EU Election Assistance and Observation (31-V-2001),
appendix already quoted from the Annual Report on Human Rights (8-X-2001), p. 211:
The practice of appointing an experienced member of the European Parliament as the
Chief Observer of an EU election mission should be encouraged.
(91) This suggestion is illustrated by the Council Conclusions on EU Election
Assistance and Observation (31-V-2001), p. 207: The EU itself is a project for democracy, development and peace. The Council stresses that the EUs presence in third
countries is a political statement and represents a commitment to these values. As non
virtual checking would be more overwhelming than helpful right now I shall limit myself
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It could be a case of what is termed democratic legal conditionality for economic aid itself, a case of democratisation being an
explicit legal condition for economic co-operation, which is not
primarily considered as a historic debt concerning unsettled colonial
responsibilities particularly European ones and thus regarding
not exactly the States, but the indigenous peoples instead (93). But if
we are already assured by the European Union that we are contemplating new forms of co-operation not only for development and
welfare, but also and above all for basic elements such as democracy
and human rights, why then are these other reciprocal and therefore
more democratic monitoring possibilities not even conceived? Why
is reciprocity itself not even virtually thinkable? Why is electoral
monitoring still viewed as an exceptional and unidirectional formula
for transition situations, and not as a normal means of sharing
experience for mutual democratic progress? For donor States themselves to be monitored, the invitation to do so could cover expenses
Dependence on aid furthermore increased as things progressed since, on the one hand,
the electoral organisation was swindled by a computing firm, and on the other hand,
squandering the money of others, controls on and by these same electoral institutions
were increased through costly programmes. For these elections, in order not to interfere
with observation, the European Union only subsidised supervisory bodies (not administrative or jurisdictional ones) such as the Ombudsmans Office, or also non-government associations like Transparencia and Consejo por la Paz (allocations in
http://europa.eu.int/comm/europeaid/reports/compendium2001macro.pdf, pp. 166-168),
but several member States (Spain is one of them) which are in fact deeply committed to
Perus economic competition and the countrys political conflict, directly defrayed
electoral institutions. I have already mentioned the possibility of division of labour,
which of course needs no programming or even co-ordinating, between the Union
concerning itself with rights, and the member States taking care of interests. The very
lack of European constituency evidently creates a breeding ground not just for Peruvian
confusion: S. STAVRIDIS stresses this: The Common Foreign and Security Policy of the
European Union. Why Institutional Arrangments Are Not Enough, in S. STAVRIDIS, E.
MOSSIALOS, R. MORGAN and H. MACHIN (eds.) New Challenges to the European Union,
pp. 87-122.
(93) Showing a strong defence of conditionality deemed as democratic for cooperation considered as donation, JENNIFER MCCOY, Monitoring and Mediating Elections
during Latin American Democratisation in K.J. MIDDLEBROOK (ed.), Electoral Observation
and Democratic Transitions, pp. 53-90, with an epigraph on Donor Commitment and
Political Conditionality, pp. 85-87, which begins thus: The international community
must follow through with promised carrots and sticks, and reproaching the European
Union for not being demanding enough with democratic conditionality.
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Let us proceed by returning to the International Labour Organisations Convention on Indigenous and Tribal Peoples in Independent Countries. This organisation is today one of the United
Nations specialised agencies, yet its origins date back to the second
decade of the twentieth century. This Convention not only recognises certain rights, but also previously defines the category of the
subjects entitled to them, the aforesaid indigenous and tribal
peoples. We are already aware of this, but it would be advisable to
consider the matter more closely. The definition is to be found at the
beginning, in the first article. The text, as is usual nowadays, is easily
available not just in print but also on the web. I shall dispense with
the colonial rather than postcolonial concept, of tribal people so as
not to complicate the matter for constituencies such as the Peruvian
and the Swedish. Let us look at indigenous peoples.
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going any further, the strong presence of the United Nations (with
its financial and technical assistance) in the Peruvian elections
showed no special sign of concern regarding the norms and practice
of human rights as a basic element for the organisation itself and the
electoral process. Elections are human rights events. If any of the
international presences distinguished itself in these matters, one
could say without fear of contradiction that it was precisely the
European observation (102). Nevertheless, as far as we are concerned, as I have already pointed out, this attention fell short on the
problem of lack of constituency not only because it was beyond the
electoral supervisions very authority, but also and above all because
it lacked the international standard which might have derived from
various United Nations agencies present in Bolivia for the putting into practice among
them of the UNDAF, the United Nations Development and Assistance Framework, with
the specific aim of enforcing the very commitment to human rights. The sessions
progress made clear the extent to which the initiative was not at all unnecessary. On the
part of the UNDP (the United Nations Development Programme), whose responsibilities include electoral assistance, there came a request for forms for propagandist
introductions on human rights in their economic documents and no more. Their specific
argument was that in countries such as Bolivia, it is impossible to go further (i.e. be more
demanding) in programmes for assistance and promotion, concerning principles such as
the compensatory promotion of female workers or the total eradication of child labour.
For these purposes there is no lack of those who question such imperatives, arguing
respect towards cultures or societies where children play a role in family or community
work, as if there were no room for dialogue and self-management in co-operation, or for
means and methods of evolution and change, all the more responsible and determined
for their being endogenous and assumed. One-sidedness, either due to bureaucratic
inertia or to the impatience of voluntary services, is the main handicap of co-operation
itself.
(102) This does not only concern the already mentioned section of the Framework
of human rights on the European observations website, but also the attention paid
throughout the process by means of diverse statements and declarations, together with
the chapter on Rights and electoral discrimination of the final report, all of which is also
present on the web, as we already know. It should also be said that we, European
observers, had a certain handicap: the core team in the field did not only project an
inevitably European image, but one that was also unnecessarily masculine, which added
to the already mentioned fact that all the European ambassadors to Peru were men.
During the lengthy electoral period, in the transition situation, there were civic initiatives
and meetings on human rights, and above all concerning the as yet unclarified extremely
serious infringements committed during the last two decades. From what I saw, no UN
or OAS personnel in the field regularly attended or showed interest in these meetings.
I shall return to this point.
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Even the United Nations, with its constituency of States, with its
own citizenships or peoples inconstituency, is unable to provide
formulae, although it can of course recognise rights. It wrongfully
attempts both, as occurred with de-colonisation. Yet neither the
United Nations as a coming together of States, nor the States
themselves, with their upside down virtual images of respective
citizenships (the latter depending on the former, the constituencies
on the States, and not the other way round) may become exclusive
constituent agents. They try to do so at the risk of reproducing and
even aggravating the common problems of the lack of constituency,
in all its extent and varieties. Only citizenships may identify themselves, expressly through suffrage or implicitly through liberties, as
constituencies without burdens or dependencies such as mandatory
voting and military monitoring. Citizenships which are merely mirror images of States, individual or forming regional or widespread
unions, including the United Nations, can hardly become constituencies. In its limited way, the European Union virtually warned us
when it backed up its electoral observation programme in support of
democracy and fostering of rights. Human rights standards are the
best warning.
Since unconsciousness is disabling in its blindness and awareness is the prerequisite to achieve sight, our task here is to identify
the disorder and diagnose the disease, not analyse the virus and treat
the malaise. It should be observed that in its practice and theory,
rules and doctrines, constitutionalism does not usually consider the
issue of constituency, even when it recognises (sometimes only
paying tribute to) the most suitable foundation, the suprastate
character of human rights. The problem is the weakness or even lack
of a constituent thinking as the appropriate first element of constitutional law. The imagined construct of Nations as constituted
constituting agents weighs heavily, as does the established and also
figurative reality of the States. This is the usual scenario even when
constitutionalism faces an explicit question of constituency, whatever the wording.
There is bibliography on so-called minorities described as ethnic or even national, and on their rights regarding constituted States,
including occasionally the consideration of a possible title of secession from the given reality of the existing States, the Nations with a
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son with its previous operations (116), but also remarkably contemplative in itself, both inwardly and outwardly, among its members as
well as with other observations, in other forums and regarding the
press media and public opinion (117). Dialogue, which is human
rights standards own method, as the European Union told us, was
continuous, free-flowing and on many different levels, not only
among our own people, nor solely with the institutions.
Let us reflect then. We should continue with the dialogue which
started with the operation itself. Let us virtualise it. The aforesaid
interference, or as least some of it, might not have been meddling as
such in a real sense, but this would only be the case if it were
genuinely concerned with human rights, with the virtual standards
of foreign presence legitimisation and the virtual sources for the
code of international observation conduct. Concerning the question
of mandatory voting being extended to the obligation to adopt a
specific electoral option, the American stance argued in terms of
democracy (through a maximised participation), but not rights,
(116) While still in Europe, in Stadtschlaining, Austria, in mid-February, the
observation personnel had an initial training seminar. It was organised by SIDA, the
already mentioned Swedish agency for international co-operation, as part of a programme developed for training in this specific field of electoral observation. There was
no presentation on indigenous presence in Peru, except for references to history and
myth, not to present and polity. I posed the question and received a reply: You are
confusing Peru with Bolivia. In Peru, we, the core team, were responsible for organising
training sessions and appraisal meetings, without ignoring the indigenous factor.
(117) Without wishing to enter into any personal comparison of course, my own
curriculum regarding electoral observation was quite scanty. I had only participated as
a common observer in the double round of the very general (for they were CentralAmerican and municipal together with parliamentarian and presidential) elections in
Guatemala in 1995-1996. But the Peru core team and also the observation staff
represented a really remarkable amount of well earned experience and proven capacity.
For my own part, I am not any known or secret expert in electoral matters either. At the
start, I resorted to the generous advice of a good specialist like JOSEu RAMOu N MONTERO.
Concerning my initial limitations, I must also admit that, except its frontier in the vicinity
of the Titicaca for I often visit Bolivia (as member of the academic board of the
Universidad de la Cordillera and as a UNICEF consultant), I had never before set foot
in Peru. Among people who showed interest were colleagues in legal history from the
Pontificia Universidad Cato lica del Peru , mainly FERNANDO DE TRAZEGNIES, last minister for
foreign affairs in the Fujimori government. It was the nature of the regime which
discouraged me, though being conscious that this refusal was unfair towards people.
More than one candidate failed before the European Commission considered my name.
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which would have been difficult, in that this would affect and
double obligation, not freedom. In contrast, the European position
was able to argue in terms of liberties, placing individual determination first and foremost, and consequently democracy. In this
manner it would be possible to refer to human rights for a right to
abstention and silence, including blank or even spoiled voting,
especially the latter when suffrage is mandatory. After all, elections
transfer responsibility and bestow power. Rights in general and
elections in particular make powers. They empower institutions. If
there is citizenship not wanting this empowerment in general or in
the specific case (118), will a fundamental right to non participation
not be conceivable and admissible?
Yet the difficulty remains. How can one claim that the right to
abstention, or in the case of its being forbidden and penalised, to
silence or vote spoiling, constitutes (since it is considered as a liberty
in the context of participation) a human right to non participation?
Such a thing is difficult to deduce from the present normative body
of human rights, and not to be inferred, as far as I can see, from any
of its jurisdictional or doctrinal developments. This means that it is
a matter of mere opinion with no other authority than its own
(118) I am not making speculations. It is also a practical question in a case like the
Peruvian. I have already referred to the municipal revocations in order to lessen electoral
local empowerments attuned in fact to indigenous practices. They were due in 2001, and
delayed to avoid coinciding with the general elections when they were brought forward.
The electoral institutions immediately proposed that they should be cancelled, claiming
that they were an excessive and costly burden as they received no external aid (they were
finally held on 25 November). On the part of Peru, it would not appear to be one of the
crucial elements for communities constitutional incorporation. On the international
side, there is no awareness that, for the sake of democracy itself, local elections might be
more important than the general state elections. Along these lines, during the aforesaid
indigenous conference on May 25 much importance was attached, as a sign of democracy, to revocation procedures, through new elections, which are allowed against local
representatives and not permitted regarding either parliamentarians or presidency. As
the vote was not obligatory in the Guatemala case, I witnessed the lively influx in general
elections due to the coinciding of municipal ones, in contrast with the poor turnout,
outside Guatemala City, during a second round which was just presidential. As I
explained elsewhere (Ama Llunka, Abya Yala, notes 51, 94, 97 and 98 in the second
chapter), I was not in a position, despite my efforts, to be able to contribute to the
convenient inclusion of the indigenous question in the European programme in the case
of the Guatemala observation, 1995-1996.
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The problem begins with the lack of competition even in the virtual
world of ideas and for the potential capacity of words.
The word constituency has a more limited meaning in the field
of politics, I know. Usually what it means is constituted and not
constituent citizenship, the citizenship that empowers institutions
via suffrage, but does not extend to freely creating itself as the
segment of humanity which authorises the State. Other European
languages, such as French, German, Spanish or Italian, lack an
equivalent coining of any word even with this limited meaning.
Constituency in a stronger sense attempts to say something which is
indescribable in any language in a world presided over by the
institution of States doubling up as Nations (119), thus a truly
infantile universe, somewhat lacking in words and without the
guileless imagination for conceiving other possibilities, even through
the most basic human requirement of liberties. Well, in America as
in Europe, we are facing imagined constituencies, no less functional
for being imagined, and it would be advisable to reflect as conclusively as possible on this point. With this little help from historical
sources, current literature, world wide web browsing and electoral
observation, let us try to do our best (120).
8. The fact of our existence: the thing and the title for America and
Europe.
In the mid-nineteenth century Peru was a formless State, with
(119) I ponder on this in Ama Llunka, Abya Yala, a title containing another play
on languages, American this time, Quechua and Kuna, to try to express, at least
figuratively, what signifies the most difficult political concept in any current language
with European roots, free constituency and especially for indigenous peoples, as in this
case. This is not to say that we need the word in order to pose the question, as shown
in the meetings with Aymara Mallkus and Quiche Alcaldes, to which I have previously
referred, and where the question was how to say constituency and inconstituency in
Aymara or in Quiche, in Quechua or in Nahuatl. They did not need it to be brought to
their attention for reflecting on it because it forms a part of their existence as an everyday
experience.
(120) I intentionally paraphrase a title already cited, Imagined Communities by B.
ANDERSON, since I use the adjective imagined, between imaginary and imaginative, in the
same sense as he does, which is not falseness, illusion or trick, but the imagined form of
immaterial possibility working as virtuality configuring reality.
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C.A. RAMOS NUu Nx EZ, Toribio Pacheco, jurista peruano del siglo XIX, Lima
1993.
(122) TORIBIO PACHECO, Cuestiones Constitucionales, Arequipa 1854, p 231 (el
hecho de nuestra existencia poltica esta ya consumado), in part reproduced in the
already quoted Materiales de ensen anza edited by CEu SAR LANDA. The version of the first
bound edition was signed in Puno, since a part was previously published in the
newspaper El Heraldo of Arequipa during 1853, following new sections throughout 1855
for the El Heraldo of Lima. There is a current edition of these Cuestiones Constitucionales, Lima 1996, with an introduction from JOSEu PALOMINO. Since we have already cited
the author and his course has only now been published, we can refer, as a halfway
witness, to M.V. VILLARAu N, Lecciones de Derecho Constitucional (1915-1916), Lima 1998,
edited by DOMINGO GARCIuA BELAUNDE. I am grateful to CARLOS RAMOS and CEu SAR LANDA
for their advice.
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This is something that brings us, as far as States go, almost up to the
present, despite human rights (123).
In the case of 19th century Peru, an appeal to Europe was
rejected as a colonial arrangement, preferring instead to rely on the
States own capacity, despite another fact, that the jurists imaginary
world, his virtual universe, was European. The same can be said for
the State itself. The conceived and therefore conceivable law was
European. Europe was the imagined reality also for America (124).
Neither did our Peruvian jurist suppose that, later on, right would
take such precedence over law, authorising even practices bordering
on colonial tutelage, for instance the observation of elections by
other States, be they overseas or continental, the European Union or
the Organisation of American States (125).
(123) SHARON KORMAN, The Right of Conquest: The Acquisition of Territory by
Force in International Law and Practice, Oxford 1996: M.J. PETERSON, Recognition of
Governments: Legal Doctrine and State Practice, 1815-1995, London 1997; FRANCIS A.
BOYLE, Foundation of World Order: The Legalist Approach to International Relations,
1898-1921, Durham 1999; STEFANO MANNONI, Potenza e Ragione. La scienza del diritto
internazionale nella crisi dellequilibrio europeo, 1870-1914, Milano 1999, to which I can
add my commentary on the latter: Positive Morality. La inco gnita decimono nica del
derecho internacional, in these Quaderni Fiorentini, 28, 1999, pp. 1127-1140.
(124) For the most graphic verification in the same case of the Peruvian 19th
century jurist, C.A. RAMOS NUu Nx EZ, Toribio Pacheco, Appendix I, Cata logo de los libros de
la biblioteca de Toribio Pacheco.
(125) If our theme had been electoral observation as performed not by the
European Union in America, but by the Organisation of American States at home, I
would not have described it as bordering on tutelage but downright neo-colonial, with
abundant evidence throughout the process. It went so far as a front-page photograph of
the National Office of the Electoral Processes, giving a formal account before the OAS
rather than the competent constitutional body, the National Electoral Jury. The Peruvian
ministers of defence and the interior, both belonging to the military, together with the
OAS core team occupied a front line position on the panel of their final press conference.
These are eloquent images to say the least. Among some of its members (the beneficiaries
of co-operation, not the donors), the Organisation of American States enacts a style of
internal inspection that the European Union does not consider regarding its respective
States, yet in the case of America, its human rights motivations are nearly reduced to an
ideological veneer covering up political control at least as for electoral observation and
assistance or as for, in general, non-economical co-operation deemed democratic. I do
not refer to other areas such as the jurisdictional dimension of the Organisation of
American States itself. This warning is also valid of course for the European Union. If
we had explored its jurisdictional branch, we would certainly have a more solid image,
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from the European Convention, but not the United Nations. It does
not rely on the international law of human rights. This is Europe,
stupid! Here we have an improper answer as to substance and not
only style. Why, then, does such an emphasis on common human
rights come afterwards, with the purpose of co-operation from
Europe? Where does the foundation of Europe lie in the last or
rather first instance?
As for this foundation, some learned people try to trace common constituent European tradition back to ancient Roman and
Canon law, the latter even on religious Christian grounds. If tradition must be precisely constitutional to found present Europe, the
stance seems outrageous in theoretical terms, and in the practical
field, highly risky and truly damaging for rights and liberties (131).
There are others who follow an undoubtedly better path in their
efforts to trace and regain a closer common European constitutionalism, founded on rights to freedom and guarantee for liberties (132).
It is a challenge caused by the current phrasing of the European
Unions constituent approach. It gives rise to invented traditions, to
both the Roman-canonist legacys dislocation and the constitutional
heritages overstating.
The plural nature of the reference to the constitutional traditions common to the Member States beyond the States very
(131) Reference may be made to a collective critical and problematic reflection:
PIO CARONI and GERHARD DILCHER (eds.), Norm und Tradition. Welche Geschitlichkeit fu r
die Rechtsgeschichte?, Cologne 1998. The recovery of tradition is usually attempted with
respect to private law, yet apart from its involvement, it also extends to the public or
even constitutional dimension, in terms that implicate religion, Christianity for Europe
as any other for elsewhere. It may be even the Roman kind: PAOLO PRODI, Il sacramento
del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dellOccidente, Bolonia 2000.
It should also be remembered that, without the Catholic slant of course, no other seems
to be the initial trend of the Institut fu r Europa ische Rechtsgeschichte in Frankfurt am
Main with its first impressive and most useful work, the Handbuch der Quellen und
Literatur der neueren europa ischen Privatrechtsgeschichte (1973-1988) edited by HELMUT
COING.
(132) As a fitting example now, with specific reference to the constituent principles registered by the Treaty on European Union, MAURIZIO FIORAVANTI, Sovranita` e
Costituzione. Il modello Europeo tra Otto e Novecento, in his collection on La Scienza
del Diritto Publico. Dottrine dello Stato e della Costituzione tra Otto e Novecento, Milano
2001, vol. II, pp. 889-906.
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plurality, acknowledges the fact that, for the purposes of constituency, there is no unmistakable European tradition in the singular.
This virtuality cannot come into existence under the rule of human
rights and fundamental liberties, be they European or also common
to the whole of humanity. It is evidence from the debate developed
during the nineties, predating the Unions constituent treaties, on
the possibility of a specific and distinctly European constitutionalism which we do not now need to recall. Rather, what we should do
is to clean and focus the lens in order to identify and scrutinise the
image at its best in the scenario of participation in rights and
communication in democracy that is not historical but present,
vis-a`-vis the future, not the past (133).
As for the past vis-a`-vis the present, there are of course some
predominant States traditions in the European constitutional field,
but with an adverse tendency towards the subordination of rights to
legal norms with no constituent setting and play of freedoms,
regardless of however much they could have been considered,
although never, in these past times, as potentially and justly human
rights (134). Human rights and fundamental freedoms were never
a source of constituency or authority of constitutionality, not even in
the French or any other European historical revolution. You do not
find constitutionalism in historical Europe (135). All in all, it does not
(133) R. BELLAMY and DARIO CASTIGLIONE (eds.), Constitutionalism in Transformation: European and Theoretical Perspectives, Oxford 1996. For the current debate, in existence on the net since 1997, the European Integration Online Portal: http://eiop.or.at. We
may also find, offering journals and other publications reviews together with European
political and legal information, the Porte dEurope: http://www.portedeurope.org.
(134) I can refer to my Constituyencia de derechos, pp. 142-171, coinciding for my
part with M. FIORAVANTI, Sovranita` e Costituzione, just quoted, p. 891, in the detail of
appreciating that a European constitutional tradition strictly speaking only dates back as
far as the mid-twentieth century, that is to say, at practically the same moment of both
the gestation of European integration and the United Nations Declaration of Human
Rights, with all of which the constituent references to characteristic European constitutional traditions make still less sense, if not utter nonsense.
(135) Observing todays Europe and dealing with its pre-constitutional era, ANGELA DE BENEDICTIS, Poltica, governo e istituzioni nellEuropa moderna, Bolonia 2001,
highlights the historical existence of communal, even peasant liberties, although correctly situated in a strong social hierarchy based on status, with no room moreover for
the individual as subject of freedom. However, in my opinion these nuances are not
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mon history and culture, not being so far possible through other
elements which might have served the States such as language,
religion or law itself. Thus, we would enter an unsuitable nationalist
terrain, be it infra, supra or also state, which is unfavourable towards
pluralities and compatibilities, towards co-constitutencies and interconstituencies, if I might be allowed to use such strong language of
far-more-than-four-letter words.
Concerning the Unions foreseeable broadening, is the question
of its own identity a necessary piece of luggage for Europe on its
present journey from a past characterised by its lack of solidarity
internally and externally towards a future of co-operation in its
externally widest and internally densest sense? Maybe the European
Union already possesses a proper identity which is as yet unrecognised (140). Without the need for its own normative and even
(140) Since the parliamentary recommendation concerning its incorporation into
the Treaty of the Union through ratifications has not been followed, the Charter of
Fundamental Rights of the European Union, drawn up by a special Convention
commissioned by the Council, i.e. the States, and signed towards the end of 2000 by the
Council, Parliament and Commission presidencies, lacks a definite normative status. But
it offers solemn testimony. The Charter reaffirms, with due regard for the powers and
tasks of the Community and the Union and the principle of subsidiarity, the rights as
they result, in particular, from the constitutional traditions and international obligations
common to Member States, the Treaty on European Union, the Communitiy Treaties,
the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental
Freedoms, the Social Charters adopted by the Community and by the Council of Europe
and the case-law of the Court of justice of the European Communities and of the
European Court of Human Rights. With all its European references, amid the
complicated syntax, it even alludes to, but does not rely on the international law of
human rights. The allusion is a roundabout way of reference, as quoted, to the international obligations common to member States, and also to the indivisible, universal
values of human dignity, freedom, equality and solidarity. Having assumed the text as its
own, the European Parliament has issued propaganda on the web asserting that it is the
end-result of a special procedure without precedent in the history of the European Union
with no reference of course to the unquestionable originality of placing the recognition of
rights itself, at this moment in time, behind the European powers and other institutional
devices. I do not know if this is proof that, despite appearances such as the partisan rather
than national organisation of parliamentary groups, the Parliament in fact shares the interstate paradigm constitutively represented as intergovernmental by the Council. It also
happens that rights make might: that the adoption of virtually constitutional texts empowers Parliament, as well as Courts. The declaration itself attempts to warn of this: This
Charter does not establish any new power or task for the Community or the Union, or
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recognised in international documents (153). Let us allow the Quechua language to proclaim the principle of human rights, without
the interference of any European tongue: Pachantin ayllu wawaq
allin kausaypi kananta yuyaykuspan, kay kamachikuy paqarin.
Runaq kausay qasi kusi kausaypi kananpaq, tukuy llakipi kaspapas
justicia taripananpaq. Kikin runakayninta runa masinkunawan
reqsichispa kausananpaq. Here is a principle described in an
indigenous peoples own language (154).
As a European office, it appears to have no need of any doctrinal
duty in America. If communication is the objective, the culture of
rights (in that it recognises and does not impose) is the most
translatable. There, with or without European mediation, it really
exists, or can surely be achieved. The means of connection and the
sphere for relationships then, is or must be co-operation, and not in
a one-way direction. On behalf of human rights, between Europe
and America, as well as between Euro-American and Indo-America,
communications cannot be unidirectional (155).
(153) It is the repeatedly mentioned passage from my second heading quote,
which constitutes a continuous reference point for the Peruvian Ombudsmans Office.
At the time of the 2001 elections, as I have already said, the acting Ombudsman was
WALTER ALBAu N, with SAMUEL ABAD as deputy for constitutional matters and WILLIAN
LOu PEZ as expert in electoral supervision. LILIAM LANDEO was in charge of the indigenous
or more restricted native programme. I express my gratitude to them in both personal
and institutional terms.
(154) It is the first whereas or rationale of the Universal Declaration of Human
Rights, whose complete version in Cusco Quechua (together with another ten variants of
this language spoken by millions of people, and without common institutions at least for
avoiding the disintegration of the written language) is available on the web on the aforementioned site belonging to the United Nations High Commissioner for Human Rights.
In cases like this of stateless languages, there are no translations by request of the United
Nations, but they are taken from the web itself: http://www.unhchr.ch/udhr/navigate/
alpha.htm. My word processor programs language corrector tool for Spanish and English
describes the quote as a complete error since it is absolutely unprepared for languages like
Quechua.
(155) Peru does not of course deserve this hopefully unwitting and transitory
internet joke, while the information from an ambitious site is to be included, from
vLex.com (http://derecho.org), where the section on Peruvian Constitutional Law leads to
the following message which is also repeated for other Latin American cases: This
category is void. There are others whose emptiness is irreversible. At some point in the
year 2000, the web site of the Peruvian constituent process of 1993 (http://www.
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Despite its immediate bearing, if we deal with equal co-operation, as we should, a definitive settlement of colonial debt is a
different matter. It is a problem for the European debtor before the
American creditor. In view of the history of colonialism itself, with
its serious legacies, in external questions such as co-operation based
on an equal footing regarding peoples rather than States through
human rights exigencies, the future of the European Union is at
stake, and not only because of internal challenges. Europes constituential fate continues to be linked to that of America through a
responsibility that has always been as unevenly matched as it is still
shared (156).
Voices will say that this is all mere virtuality. Indeed, I admit this
is so. Who could doubt it? I have pointed it out and emphasised it
from the start. I am not playing with words or juggling virtues,
virtualities and virtualisations. I am taking it all in the utmost
seriousness, with all of its implications and possibilities. I have
likewise pointed out that for both ordinary normative and extraordinary constituential purposes, virtuality itself may be implicated,
even operational from the very moment when its correspondence
with human rights, and not other standards, is raised, as on the
European Unions web site. It is virtuality, nothing more, nothing
less.
It is a virtualising virtue. We have begun and we shall finish by
assessing and appreciating it as a form of reality in the legal context.
In order to foresee a better future, if it is feasible, we must overcome
trite understandings such as good legal science is positivist, adjusted
rcp.net.pe/CCD/ccd.html) disappeared, for evidently political motives: We regret that
this page no longer exists, is the message you get for now. Even the cyber library is
capable of censorship that would be difficult in any other support, such as printed
documents. The storage of so much information at risk on the web has yet to be solved.
The screen switches off while the paper is filed.
(156) At the start, I referred to a reservation a` propos de Civitas, the Storia della
cittadinaza in Europa by PIETRO COSTA. Here is my doubt, consciously unfair with a
specific piece of research centred on the European issue. I do not know up to what point
we may understand historical and present European stances, without at the same time
contemplating the dark shadow cast by its longstanding perseverance on external
unidirectional projection. But see now how a collective work under his co-direction
tackles precisely this dimension: P. COSTA and DANILO ZOLO (eds.), Lo Stato di diritto.
Storia, teoria, critica, Milan 2002.
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and thus trailing presumption of constituent powers and consolidation of political institutions. Rights, in that they are fundamental and
must be superior to norms as premises for them, are one thing, and
institutions, which are conventional, are another. The latter are
better controlled by constituencies through Treaties, if these are
contracted among Peoples prior to between States. The Constitution, in contrast, is under the power of Nation meaning States
population (159).
The case of America, not only Peru, is especially meaningful
regarding all these effects. A virtual inter-American international law
is not and has never been considered. The imaginary demarcation of
frontiers itself, even without res nullius, and yet with uti possidetis,
could act in favour of, or be taken seriously by, not exactly States but
Peoples; indigenous peoples as effective possessors in their case, and
with practice in treaties, not only among themselves but also (with
the mutual recognition on an equal footing that this involves in
principle) with the very States (160). Although a clear consequence of
the fact of our existence, neither has such a feasible inter-American
law been taken into consideration, nor does the actual one query the
reason why, in the indigenous case, legal logic does not work.
Throughout centuries of colonialism and constitutionalism, the protection of possession has not sought to benefit the possessors (the
Peoples), but the party who in fact does not possess and presumes
(159) ENRICO SCODITTI, La Costituzione senza Popolo. Unione Europea e Nazioni,
Bari 2001, pp. 189-208, who goes into precisely the constituent value of treaties in the
European case. For the American, the issue was discussed in a seminar on Indigenous
Peoples, State Constitutions and Treaties and Other Constructive Agreements between
Peoples and States, held in Seville between September 10-14, 2001, whose papers are to
be published in Law and Anthropology. International Yearbook for Legal Anthropology.
My paper is included in Genocidio y Justicia. La Destruccio n de Las Indias ayer y hoy,
Madrid 2002. For the historical background, FRANCIS PAUL PRUCHA, American Indian
Treaties: The History of a Political Anomaly, Berkeley 1994; R.A. WILLIAMS JR., Linking
Arms Together: American Indian Treaty Visions of Law and Peace, 1600-1800, New York
1997; ABELARDO LEVAGGI, Diplomacia hispano-indgena en las fronteras de Ame rica,
Madrid 2002.
(160) The idea is considered by PABLO GUTIEu RREZ VEGA, The domestication of the
legal status of indigenous peoples: Timelessness or interpolation in modern international
law, to be published in Law and Anthropology within the proceedings of the aforementioned seminar on Indigenous Peoples, State Constitutions and Treaties.
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to do so (the States). This American rule shows no signs of puzzlement at all. It is because of such a make-believe, pretended geography flanking legal fiction, an out-and-out fantasy which could be
easily visible otherwise, that the mere fact of existence, even indigenous, can be a right to constituency for States and not for Peoples.
Just like a piece of fiction, though not in the eyes of yesterdays
and todays working law, the fact of our existence was and is applied,
for example, to Peru as a State, just as it may be to all States,
including European ones, together with their Unions. From the past,
for the present and into the future, in such a way do States
preconstitute their own title to constituency over Peoples as if it
were moreover a natural, geographic fact, before and more than a
conventional, legal one. The virtuality of the former covers the
reality of the latter. In fact, if this was and still is the question, let us
focus on the touchstone. Although it may not be verifiable for the
visible map, in the mid-nineteenth century, indigenous peoples
constituted more solid social bodies than the self-empowered
American States. Perus virtual constituency, this presumed Nation,
was neither greater nor more self-sustained than the indigenous ones
inside state imaginary frontiers. Perus consistency as a State then
was not superior to the current presence of the indigenous peoples
that have not suffered extinction. Geographical fantasy, like legal
fiction, renders visible what may be insubstantial, and makes invisible what is consistent. Maps record the unfocused vision of constituential law (161).
(161) It is not surprising that in more academically expert circles, crass ignorance
is to be found as regards indigenous peoples. Just review the present debate, already
mentioned, between T.M. FRANCK, The Empowered Self, pp. 224-254, and W. KYMLICKA,
Politics in the Vernacular, pp. 241-253 and 275-289, which is of particular interest as it
is not about a new version of the row between individualists and communitarians, but
rather the crossroads where I also position myself, between individualisms more or less
sensitive towards communitarisms on the shared assumptions of human rights. THOMAS
FRANCK, an expert on international law, naively confesses that he imagines the situation
of Americas indigenous people as being practically the same as that of immigrants, and
on this presumption (i.e. this ignorance of the existence of communities with compact
cultures which have pre-colonial roots), in opposition to WILL KYMLICKA, he argues in
favour of the same legal consideration being given to both (the indigenous and the
immigration) cases. Yet see also how KYMLICKA himself, Politics in the Vernacular, pp.
120-132, in debate here with J. ANAYA, Indigenous peoples in International Law, also
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thinkable and feasible. This is the advantage of being born, like the
European Union, in times of virtuality which was unimaginable
when the very States were created and began to burden themselves.
Today they can be reborn and virtualise themselves as Member
States. All of them, Europe together with the States, are improving
thanks to rights. They may be saved by virtue of human rights. The
challenge thus posed consists of responding to the commitment
without dissociation or dissonance between some rights and others,
be they States, Unions, broader European, constitutional or international, the same ones after all, or in principle. Rights are human,
otherwise, they are not rights.
It is a matter of principle, a matter of right, not fact. It is the
right to our human existence because of the fact of our existence as
people. Here are human rights as effective legal rules, and as such,
as suprastate binding norms, open to constituencies not exclusive of
the States nor necessarily identified with them. Bearing in mind the
development of human rights during the last fifty years and especially after the granting of self-determination to some, not all,
colonised peoples, and also what may be foreseen in the new
millennium for both suprastate and state areas, are we, Europeans,
in need of a European constitutionalism of rights, European rights
differentiated from human rights? In the present situation and
facing the foreseeable scenario, let me repeat that the fabrication of
a European history that might virtualise the constitutional traditions common to the Member States, as an imagined constituential
heritage of its own, does not seem either necessary nor even appropriate. The argument speaks also of European constitutional law as
it may entail empowerment of institutions over rights (163).
(163) For an approach on the behalf of liberties as a European heritage, ALESSANPIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna 2002. Thus, as we already
know, not all the historical founding of the European Union goes in search of Roman
and Christian assets more adverse to freedom, but the domain of history always
constitutes a terrain mined with excluding traps for alien or even fellow people. We also
know the reference to the Union Treaty, current article 6. 2: constitutional traditions
common to the Member States, traditions constitutionnelles communes aux E tats
membres, gemeinsamen Verfassungsu berlieferungen der Mitgliedstaaten, tradiciones constitucionales comunes a los Estados miembros, tradizioni costituzionali
comuni degli Stati membri... Here is the literal passage from M. FIORAVANTI, Sovranita`
DRO
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BARTOLOME
u CLAVERO
Let us compare the bodies politic we have taken into consideration, that is, Peru on the one hand and on the other, Sweden in
Europe and Europe, the Union, itself. The former is a characteristic
case of State in America. It is unable and often unwilling to
guarantee the rights of the whole population existing inside the
respective boundaries, as this is partly compounded by peoples not
always desirous of belonging to the State. The very State lacks
standing for the task. It does not enjoy the confidence of some
peoples, namely the indigenous, to recognise, cover and guarantee
rights, both individual and collective. Their constituent consent is
lacking. In this situation, the trend of political foreign co-operation,
like the European Unions as well as the Organisation of American
States, is to strengthen Peru as a State through the democratic
authorisation of its imagined single constituency, fictitious Peruvian
citizenship. This is precisely the meaning of the substitution of
international standards for human rights standards. Electoral observation seeks to strengthen the States irrespective of the character of
their constituency. Thus, contrary to the very terms of reference of
European political co-operation, democracy is imposed and, accordingly, rights are not always honoured. Is this what you, Peru, truly
need from the human rights requirements? Rather, to be democratic, you need the strengthening of indigenous peoples constituencies through self-determination about their own law, so precisely
to identify yourself, Peru, with the rule of human rights. Here we
have achieved a conclusion that may be extended to the American
continent.
Sweden is not such a different case. As we also know, it lacks
standing for recognition, covering and protection of rights, both
collective and individual, due to a colonised people, the Saami. In
their case, compared with the Swedish population, they are a
e Costituzione, p. 891 already quoted: Si potrebbe dire che le nostre tradizioni
costituzionali sono in realta` quelle che si sono venute a formare nei diversi paesi europei
nella seconda meta` del secolo ventesimo, sulla base di communi scelte, effettuate a
partire dallultimo dopoguerra, per un certo tipo di democrazia, per certi modi di
garanzia dei diritti. Add now P. COSTA, Civitas, vol. IV, pp. 439-473. In short, common
European traditions belong to recent times, those of human rights, and represent
particular options within the constitutional field during a post-war and post-totalitarianism situation. Rien va plus, either for internal constituency or for export purposes.
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(2002)
pronounced minority, but human rights do not depend on arithmetic or statistics, and for peoples rights, the State cannot be the
yardstick. On the other hand, Swedens law satisfies the coverage of
rights for most of its population, the Swedish people (not taking into
account either the Aaland Islands, which are part of Finland (164),
nor the Swedish migration to America). Here comes the constituential question. In this scenario also extendable to the rest of Europe
(where state boundaries do not demarcate peoples, where this very
demarcation shows itself to be unfeasible and where the national
majorities are satisfied by States as regards recognition and protection of rights), who are in need of a Unions constituency formed by
the States but the States themselves? Neither citizens nor peoples
seem to be in such a need of European Union as States Union.
Instead, they, peoples and citizens, may need recognitions and
guarantees for the rights insufficiently covered or not considered at
all by the States. Here is the virtuality of present and future human
rights as the legal identity of the European Union, which is the way
traced by its own web page concerning political co-operation, but
not by the rest of virtual and actual Europe. It is exactly the reverse
scenario of both the current Charter and Convention for a new
framework and structure. States, neither peoples nor citizens, are the
active constituencies for both the European Charter and Convention (165).
(164) As they, the Aalanders, are European people (and not indigenous, like the
Saami), they enjoy a more satisfying settlement on their behalf not just between Sweden
and Finland, but also in the international domain before and above the European Union:
HURST HANNUM, Autonomy, Sovereignty, and Self-Determination, already cited, pp. 29-30,
247-262 and 370-375, on the Saami people too; and in his collection of Documents on
Autonomy and Minority Rights, Dordrecht 1993, pp. 115-143, where you can hardly find
any documentation on indigenous peoples inside American States (for the Nicaragua
Atlantic Coast, pp. 381-399). There might be more, although not for the Quechua
people; for instance, 1993 Carta del Pueblo Embera -Wounaan, which relies not just on
Panamanian law (1983 Statute establishing the Comarca Embera de Darie n), but also and
above all on the international law of human rights, declaring that in both the
Organisation of the United Nations and the Organisation of American States, drafts on
the Human Rights of the Indigenous Peoples are currently being discussed (Derechos
de los Pueblos Indgenas, Vitoria 1998, pp. 505-560, which is a more specific collection).
(165) Let us never forget the true touchstone of the meagre reference to the
so-called minorities by the European Charter of Fundamental Rights: The Union shall
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BARTOLOME
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All we need is human rights as rule of law for States performance, relationship and grouping together. As rights, they are
currently, on the one hand, quite developed and refined concerning
individuals; on the other hand however, they are in a somewhat
embryonic and even contaminated condition regarding communities. They are still lacking the necessary basis and branch of collective and compound constituencies for the due protection and fostering of the individual liberties themselves. At this point in time, it
should not have to be necessary to insist on the fact that they, one
and the other kinds of rights, collective and individual, are mutually
needed as far as the latter are covered and may be guaranteed by the
former. As for constituency, there is no simple human subject with
defined boundaries, and neither is there need of one today, even less
the presumed ideal of its existence, as States have presumed and
tried. All constituencies are compound and every constitutionalism
must be equally complex. We are not even accustomed to thinking
about it yet, much less to digesting it, yet the fable says that state is
not nation, nation is not people, nor constituency is state, nation or
even people in the singular. Peoples are constituencies facing the
challenge of plurality itself. Peru suffers identification between State
and constituency, but so do both the European Union and its
Member States. As a witness, I bear testimony; as a scholar, I have
questions; as a professional, I had the privilege of being able to
combine civic commitment and constitutional research in an exceptional situation.
respect the cultural, religious and linguistic diversity, and full stop, without any register
of rights. It must be added that the jurisdictional European Convention for the
Protection of Human Rights, referred to by the European Union as we know, implements policies for the protection of minorities, which do not represent strict recognition
of rights either: http://www.humanrights.coe.int/minorities/index.htm. We already know
the current patronizing approach from the European Commission: http://europa.eu.int/
comm/external-relations/human-rights/rm/index.htm. As regards the political European
Convention for the proposal of the badly needed renewal of Union structures (web site:
http://european-convention.eu.int), working since early 2002, is composed by States and
Unions representatives accountable not before constituencies or citizenships, but
Member States and European institutions themselves. Such was also the case of the
previous Convention that produced the Charter of Fundamental Rights, presently
located in a normative limbo. No wonder that information and public debate are scant
and poor.
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tarono il vantaggio loro offerto dal possesso del ferro e del cavallo,
testimoniano di una superiorita` che non e` soltanto quella accidentale
legata a un predominio della forza, bens`, attraverso questultima, si
afferma come differenza qualitativa di spessore spirituale e di vocazione storico-universale (2). La stessa costituzione politica degli Stati
Uniti, che viene spesso citata ad esempio della possibilita` di un governo repubblicano anche per Stati di ampie dimensioni, non deve
trarre in inganno: lassetto federale risulta infatti il peggiore di tutti per
salvaguardare lunita` dello Stato, e solo la collocazione geografica particolarmente fortunata degli Stati Uniti ha consentito loro di sopravvivere ai conflitti intestini ed alle guerre con lesterno (3). Daltra parte,
anche da questo punto di vista, Hegel ritiene di trovarsi di fronte a un
organismo in via di formazione: quando la conquista dei territori sara`
completata, diventera` necessario, anche per gli Stati Uniti, adeguare
il proprio assetto costituzionale alle esigenze di una societa` matura,
soddisfacendo il bisogno di una guida piu` salda (4).
In questo contesto, la citazione del detto napoleonico sembra
turbare la linearita` della posizione hegeliana. La noia provata dal
vecchio imperatore per il Vecchio Mondo, infatti, impedisce di
acquietarsi soddisfatti nella contemplazione di questultimo. O
forse, meglio, sembra sottolineare come, in rapporto ad esso, altro
(2) Il Nuovo Mondo si e` mostrato assai piu` debole del Vecchio; due risorse gli
mancavano: il ferro e il cavallo. LAmerica e` un mondo nuovo, debole e impotente. I
leoni, le tigri, i coccodrilli sono piu` deboli che in Africa, e lo stesso vale anche per quanto
riguarda gli uomini (1822/23, 87). Sempre suggestive, al riguardo, le pagine di ORTEGA
Y GASSET, Hegel e lAmerica, ne Lo Spettatore, trad. it. di Carlo Bo, vol. II, Milano 1949,
pp. 207-217.
(3) Gli Stati federali sono i peggiori Stati in relazione al loro rapporto verso
lesterno. Soltanto la sua particolare collocazione ha impedito che tale circostanza
bastasse alla sua totale rovina. Se grandi Stati le fossero piu` vicini, tale svantaggio
emergerebbe nel suo carattere essenziale (1822/23, 89). Riferendosi al recente conflitto
con lInghilterra, Hegel prosegue evidenziando la disunione dellesercito, assieme alla
sussistenza di una tale tensione tra il Sud e il Nord degli Stati che, se la guerra fosse
durata piu` a lungo, si sarebbe arrivati a una completa divisione dello Stato (ibid.).
(4) LAmerica del Nord e` per ora uno Stato che si sta in se formando, uno Stato
in fieri, che non ha ancora il bisogno della monarchia, perche il suo sviluppo non e`
ancora giunto a tal punto Ma quando tutte le terre sono occupate, cos` che la pressione
della societa` si ritorce su se stessa, e sorge il bisogno dellattivita` industriale e commerciale, allora lo Stato deve necessariamente essere sviluppato al punto di ottenere una
nuova costituzione (ibid.).
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mediterranea verso lesterno, rappresentata dalle penisole dellItalia e della Grecia, quellandare in se comporta una definitiva
dislocazione e perdita di centralita` di cio` che secondo Hegel aveva
costituito, se non il cuore, comunque il centro del mondo
antico, ovvero appunto il Mediterraneo (23).
Daltra parte, il carattere intimamente eterogeneo dellEuropa
implica non soltanto la presenza di una opposizione, che Hegel
definisce essenziale, tra regioni dellinterno e regioni costiere; ben
di piu`, dal momento in cui il bacino mediterraneo ha lasciato il posto
alle regioni settentrionali dellOccidente come teatro principale
della storia del mondo, esso sembra implicare, ancora piu` radicalmente, il venir meno di quella prima opposizione, e lemergere di
unopposizione ancora piu` profonda: quella che potremmo definire,
in termini schmittiani, come opposizione tra terra e mare. E`
vero che lassunzione dellopposizione in questi termini avrebbe
comportato la necessita` di proiettare sugli oceani quella stessa
definizione che Hegel riserva al Mediterraneo, proprio per distinguerlo da questi ultimi. (24) Ma tale ampliamento non e` affatto
incompatibile con la filosofia della storia hegeliana, anzi in un certo
senso e` addirittura richiesto dalle sue implicazioni ultime, ed espressamente attuato da Hegel. Nel celebre passo in cui troviamo detto
che il mondo e` per gli europei qualcosa di rotondo (25), non
soltanto sembra inevitabile estendere agli oceani laffermazione hegeliana secondo cui il mare scinde le terre, ma unisce gli uomini (26), ma Hegel non sembra neppure tanto lontano dal trarre la
conseguenza che la storia universale si stesse avviando ad una
progressiva de-localizzazione dei conflitti politici e delle contese
(23) Sullimportanza delle determinazioni geografiche nellinterpretazione hegeliana della storia universale, cfr. P. ROSSI, La storia universale e il suo quadro geografico,
in Hegel. Guida storica e critica, a cura di P. ROSSI, Roma-Bari 1992, pp. 169-206.
(24) Il Mediterraneo, riportano gli uditori di Hegel, non e` un oceano, il quale si
presenta innanzitutto come unuscita, vuota e infinita, verso lignoto, nei cui confronti gli
uomini hanno pertanto un rapporto meramente negativo (1822/23, 90). Qui bisogna
sottolineare, in particolare, lavverbio anzitutto. Quanto alluscire da se , esso e` cio`
che contraddistingue, in Hegel, lo spirito europeo dallo spirito asiatico: tanto piu`
necessariamente, dunque, lEuropa doveva proiettarsi alla conquista degli oceani e delle
terre oltremare.
(25) Ivi, 460.
(26) Ivi, 103.
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interstatali: non nel senso della perdita dimportanza della dimensione spaziale, bens` al contrario nel senso che, per la prima volta,
leta` moderna affacciava il problema di un controllo e di una contesa
estesi allo spazio nella sua globalita` (27).
Daltra parte, proprio la perdita di rilevanza dellopposizione
interno/esterno, se proiettata su scala temporale, rende quanto mai
problematica lesclusione dellAmerica dalla filosofia della storia,
nella misura in cui questultima venga assunta nellaccezione e nella
portata che ad essa attribuisce Hegel. Posto che in Europa lo spirito
sia tramontato in se , posto che il cuore dellEuropa sia costituto,
proprio percio`, dallOccidente e non viceversa, sembra paradossale
sostenere che lAmerica appartiene al futuro, ed escluderla quindi
dalla filosofia della storia. Se il futuro dellOccidente e` ancora
lOccidente, cio` significa che lAmerica era gia` ben inclusa nellorizzonte storico del presente ai tempi di Hegel: a meno di non ritornare
ad una lettura che subordini la nozione di Occidente a quella di
Europa, col risultato pero` di entrare in contraddizione con lasse
portante dellintera filosofia della storia, costruita sullopposizione e
sulla progressiva integrazione di Oriente e di Occidente (28). In
estrema sintesi: o la designazione dellAmerica come paese del
futuro non poteva comunque legittimare lesclusione del continente americano dalla considerazione della filosofia della storia,
pena linversione nella determinazione dei rapporti tra Europa e
Occidente; oppure, il futuro che annunciava lAmerica doveva
considerarsi gia` ampiamente incluso nella storia dellOccidente,
doveva gia` appartenere strutturalmente alla definizione dellEuropa
nel suo passato e nel suo presente, e dunque lAmerica, in quanto
futuro passato dellEuropa, in quanto Occidente dellOccidente,
non era piu` soltanto paese del futuro, bens` altrettanto e piu`
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Ivi, 426.
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diritto costituisce il mero effetto (37), il cristianesimo apporta lesperienza di un dolore intimamente vissuto: ma cristianesimo e romanita` non possono essere scissi, poiche entrambi sono le forme
attraverso cui si consuma la liquidazione dellesperienza storicouniversale dellantichita`, basata sulla coappartenenza di storia, tragedia e destino. A questi principi del mondo antico, allesperienza
della giovane individualita` del mondo greco, Roma e il cristianesimo sostituiscono luna il dominio della politica e loggettivazione
del questo a mera esteriorita`, la correlazione prosaica di dominio
e diritto; laltro, la riconduzione a questo, e percio` stesso a
rappresentazione, di quellUno irrappresentabile che, nella religione
ebraica, aveva costituito il culmine hegelianamente inteso
dellesperienza religiosa dellOriente. Innestata sulla nuova direttrice
aperta da Cesare verso il mondo del nord, ecco cos` dischiudersi
cio` che per Hegel rappresenta lOccidente in quanto cuore dellEuropa: la connessione tra politica, diritto e cristianesimo. Evidentemente, a partire da questultimo si operera` una riqualificazione dei
primi due, si attuera` una nuova declinazione nei rapporti tra gli
individui (il questo come molteplicita` di particolari) e lo Stato
come principio di organizzazione universale. E` questo, notoriamente, il principio del mondo germanico, ovvero, come ormai
sappiamo a sufficienza, dellEuropa propriamente intesa, dellEuropa in quanto si afferma nella modalita` del per se (38).
Giungiamo cos` a cio` che, del pensiero hegeliano, e` massimamente noto: la sequenza dei quattro mondi o regni dello spirito
universale; lattribuzione a ciascuno di un determinato principio
costituzionale; la connessione di questultimo con la religione di
volta in volta dominante. In realta`, nulla come questi schemi, per
(37) Ivi, 443. Linterpretazione del mondo romano e` nel corso del 1822/23 molto
piu` articolata di quanto lascerebbe prevedere la lettura dei Lineamenti di filosofia del
diritto. In particolare, emerge con particolare nettezza come il diritto sia assolutamente
insufficiente ad esprimere in tutta la sua ricchezza il significato di Roma per la storia
universale. Ma sullinterpretazione hegeliana di Roma, cfr. G. BONACINA, Hegel, il mondo
romano e la storiografia, Firenze 1991.
(38) Il mondo europeo moderno, il principio germanico, presenta la costituzione
monarchica, in cui i circoli particolari diventano liberi senza pericolo per il tutto, anzi
dove e` proprio lattivita` della particolarita` a produrre il tutto (1822/23, 76).
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quanto indubbiamente risalenti allo stesso Hegel (39), puo` contribuire meglio a non far comprendere il pensiero di Hegel nella sua
mobilita`, concretezza e articolazione. Daltra parte, e` inutile negare
che in essi, per quanto pallidamente, si riflette senzaltro il nocciolo
del pensiero filosofico-storico di Hegel, e per quanto ci riguarda piu`
da vicino, della sua interpretazione del nesso Europa/Occidente.
Europa in senso proprio, ormai dovrebbe essere chiaro, e` per Hegel
soltanto il mondo moderno (40); ma proprio in quanto tale, questultimo e` un mondo che si proietta strutturalmente al di la` se , che reca
il proprio futuro inscritto nel suo piu` recondito passato, nella sua
essenza piu` profonda. Proprio percio`, proprio perche il futuro e`
gia` da sempre cio` che di anteriore vige al cuore dellEuropa, non
e` possibile per questultima recidersi dal suo essersi-prodotta, dalle
modalita` del suo esser-divenuta. Cos`, nonostante tutti i distacchi e
tutte le separazioni, lEuropa deve di necessita` sempre di nuovo
riscoprire, nel suo stesso interno, un proprio Oriente: da un lato,
come cio` in rapporto a cui essa si e` determinata e si determina di
volta in volta; dallaltro, come cio` a partire da cui la vita dello spirito
risorge dal tramonto in cui lo spirito medesimo declina ad Occidente.
Ma tale Oriente dEuropa sara` a sua volta, necessariamente,
storicizzato e temporalmente determinato, a partire dal momento in
cui viene in contatto con essa. Allora, come lOriente e` per lEuropa
lalba che la precede, ma che in realta` essa reca strutturalmente in se
stessa come principio e come inizio, da un lato del suo proprio
essersi-prodotta, dallaltro del proprio costante uscire da se : cos`
lAmerica, in quanto Occidente del suo Occidente, e` il suo futuro
piu` proprio in quanto e` gia` presente in essa, in quanto ha gia` trovato,
in essa, il suo passato. LOriente e` il passato che trova nellEuropa
il suo futuro, perche questultima riproduce in se il proprio passato
come futuro suo proprio, come la possibilita`, e in pari tempo la
(39) Cfr. Lineamenti di filosofia del diritto, 352-358, e lo studio di G. BONACINA,
Storia universale e filosofia del diritto, Milano 1989.
(40) Ma sulla mobilita` presente nellinterpretazione hegeliana della modernita`, cfr.
K.R. MEIST, Differenzen in Hegels Deutung der Neuesten Zeit innerhalb seiner Konzeption der Weltgeschichte, in H.C. LUCAS-O. PO} GGELER (a cura di), Hegels Rechtsphilosophie
im Zusammenhang der europa ischen Verfassungsgeschichte, Stuttgart - Bad Cannstatt
1986, pp. 465-501.
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GAETANO RAMETTA
RICHARD HYLAND
IMAGINE EUROPE
As the sun rose through cloudy streaks, a few rays reached the
high clay walls that served as the gateway to the hill country. The
camels were up, some kneeling on four legs, others stamping the
dirt, as young men in fezzes pitched hay for feed. Camel heads
swiveled down, snatched a mouthful, then snaked back up. Cud was
chewed. Tails strained and lifted for defecation. Wood scraped
against metal as an ancient gate was unbarred and swung open from
the inside. Calico goats rushed out through the tall entryway and
milled around on the hard packed dirt of the empty marketplace. A
young shepherd and his dog coaxed the animals to the wild grass
along the side wall.
A few traders spread their heavy carpets along the base of the
village walls, but most were still wrapped in their bedrolls against
the morning chill. Business would not begin for another hour. Fires
crackled under copper pots as water boiled for sweet tea. Young
girls sold flatbread still warm from the oven. At midday, older girls
in ruby red dresses sparkling with sequins would circulate through
the marketplace bearing poles over their shoulders, selling meals
from pots laden with couscous and spicy stews, and thered be more
hot bread. The caravan would spend the day at the village and
another evening and leave just after moonrise. By the following
daybreak it would clear the pass and reach the next river.
Akmut did not buy in the market, at least not for profit. He
purchased small items to examine in the evening, then passed them
on, usually when parting, to a woman he d met. Akmut was a scribe.
Even the village merchants who could read could not compose a
letter, yet letters needed to be written. Births, deaths, and wedding
invitations had to be communicated to family members whod
802
(2002)
moved further along the trade route or into the city. Wills had to be
drafted and gift documents and sometimes deeds of title. Akmut had
apprenticed at fifteen. For seven years he memorized sentences. For
seven more, when his master could not see well enough to write,
Akmut recorded letters and legal documents with hand-dipped pen
and ink from his masters dictation. A few months ago, his master,
too weak to travel, conveyed his writing implements to Akmut and
presented him with a tightly-woven silk kilim from the Caucasus that
shone even in the shadow of the clay walls.
As their turns came, merchants from the village squatted in
front of the carpet, showed Akmut letter they wished to answer or
indicated the news they wished to convey. Akmut carried the letters
himself and delivered them as the caravan passed. If the messages
were to travel in the opposite direction, the merchants waited for a
caravan to return. Akmut had accumulated such a store of phrases
and situations he didnt think about his work. His clients explained
their situation, and the proper letter suggested itself. He entered the
minds and felt the emotions of his clients, expressing what they
would have expressed had they been able to write.
One of the joys of his profession was following over a lifetime
the surprises that fortune prepared for the residents of a remote
village on the trade route. This morning Akmut learned that one of
his clients had died and the two sons had squabbled over the
inheritance. Akmut knew, since he had acted as amanuensis for the
will, that the wealth was not divided equally. His master had
suggested that equal treatment would assure that both sons honored
their fathers memory. The elderly client had refused. His first born
was a profligate, he was not devoted to the livestock and took his
inheritance for granted. Once the bequests became known a
scribe had confirmed the purport of the will a few weeks earlier
the deceaseds brothers intervened. They prevailed on the younger
son to offer to his sibling livestock and pasture land. Akmut was to
draw up the deed of gift.
Another client, a merchant in dates, olive oil, tannic red wine
and imported tobacco, wished Akmut to draft a bill of exchange so
that he might purchase tools in the city with funds he had on deposit
with his brother. His daughter was to be engaged. Announcements
were needed, and documents for the dowry.
803
RICHARD HYLAND
804
(2002)
help. Now she needed it. Her father, his brother, had long sought
for her a suitable match. He did not seek her happiness, only to
extend his holdings. One of the wealthiest merchants in the village
had died. Everyone believed the elder son, who had long been
engaged, would inherit. Instead, the merchant left almost everything
to his younger son. When Samadjas father learned of the inheritance, he offered Samadja to the heir and was accepted. Samadja had
known the younger brother since childhood. Like her father, he
cared only for money and property. She would not be his wife.
Samadja loved Zadar. Zadar song and wrote verse and composed dance melodies on the nine-stringed qualvar. His father,
believing his son a disgrace who would never support himself, had
inquired along the trade route where Zadar might apprentice as a
potter. If she was engaged, and if he was bound in apprenticeship in
a distant village, they would never see each other again. Theyd
decided to run away. Samadja wished her uncle to help them.
Akmut listened without writing. He always waited until the end
before he began to write. Before mentioning the immediate purpose
the letter was to serve, his clients usually traced the dispute or
difficulty from its imagined origins, often in the exploits of a distant
ancestor. What Akmut had learned about life he had learned from
these stories, but his master had taught him they were frequently
unrelated to the aim the client wished to pursue. The point of the
letter was not addressed until the end partially out of embarrassment at having to request assistance from a relative, but also due to
the traditional manner of story telling, still prevalent in the hill
country, which, refined as it had been on cold evenings around a fire,
passed the time by gradually increasing suspense and then, just
before interest gave way to slumber, reached a swift and decisive
conclusion. In the letters, usually no more was needed than a
sentence of introduction and a simple request. Often it turned out
that no letter was needed at all. In those situations, Akmuts master
had always counseled his clients against writing, even though he
thereby had to forego his fee. At those moments, Akmut took
particular pride in his profession.
But that was not the only reason Akmut listened to Samadja.
She remained at peace as she spoke, as if her earnestness could
conquer fate. She was as cool as the evening that was falling in blues
805
RICHARD HYLAND
and purples over the hills. She knew what she wanted and was
prepared to do what was necessary to achieve it.
When Samadja finished, Akmut refilled his pipe and took a puff.
Two stars had come out in the dusk. He had come to believe that all
stories would be variations on those he had heard, and all letters a
combination of phrases he had already written. At that moment he
recognized he had never before witnessed how passion is transformed into commitment and then into action. Of course Akmut
knew women in the villages along the trade route. He knew servants
and bread girls and the young women who sold meals and tended
the animals. Those young women knew how to escape from a walled
village at night and work on their love-making with the young men
in the caravans. They were lustful and curious. But Akmut preferred
travel to a life confined for its entire span to a walled village in the
midst of date palms and goat herds. He knew the languages spoken
along the route, and could compose a decent letter in each of them.
But a young woman in love he encountered for the first time.
Samadja asked again whether he would write the letter. Akmut
did not yet know, so he simply nodded. She pulled from her sleeve
a smooth goatskin purse and, opening it, asked how much it would
be. Akmut leaned forward and examined its contents. Even in the
failing light he could see it contained only a few coins, not enough
for his fee. He leaned back, puffed again, then looked her in the eye
and told her the first letter would be free. Samadja glared back at
him. She thought he was amusing himself with her. Akmut leaned
forward again, removed three heavy copper coins from the purse,
and stacked them on the carpet.
Akmut knew Samadjas uncle. Since he could read and write, he
didnt use a scribe, but Akmut had on several occasions delivered to
him mail collected along the route, including letters from Samadjas
father. The uncle would not assist Samadja to escape from her
fathers control. It was unthinkable. Akmut asked her how they
intended to reach the city. They would steal out of the village at
night and join a caravan setting out by the moon. Akmut said her
father would discover her absence at dawn and borrow a horse.
Hed have no trouble catching the caravan by noon. Then they
would hide in the mountains by day and travel alone at night. Since
806
(2002)
they would have to avoid the villages and oases, Akmut asked how
they would carry enough food and water.
For the first time, Samadja looked down. She had not abandoned the idea. She was refining her plan. Akmut told her he knew
her uncle, not well, but he knew him. If she wished, he would call
on him, explain the situation, and ask him to intercede with her
father. Perhaps her uncle would offer to let them both live with him
in the city, where Zadar could study music. Perhaps that would also
satisfy Zadars father. She looked up and, for the first time, permitted herself a faint smile. Akmut replaced the coins in Samadjas
purse. It would be better if there was nothing in writing. Akmut
promised to return with an answer before a month had passed.
The goats bleated as they were herded back though the narrow
gate. Samadja slipped her purse into her sleeve. She broke into a
broad smile, leaned forward and quickly touched her warm lips to
Akmuts unrazored cheek, then jumped to her bare feet and,
without looking back, slipped inside the gate just before the village
was bolted shut for the night.
Akmut puffed on his pipe and leaned back against the clay wall.
Far more stars were spread across the clear sky than he would have
been able to count. The traders gathered around the fire that
crackled from the dry wood. They smoked and finished what was
left of their midday meal. Akmut wrapped his writing implements
and stowed them in their case. Then he walked over and squatted by
the fire. As the smoke curled up toward the stars, he listened as the
traders told of caravans past and of brigands, of the adventures they
had had in their youth, of the young women in the villages, and of
what they would do when they reached the city.
Im sitting in my law school office in the northwest of Beijing
wondering what it means that my imagination spends so much of its
time on the Silk Route. Its done so ever since, forty years ago, I first
read about Xanadu, its twice five miles of fertile ground, and the
walls and towers with which it was girdled round. The ruins of that
palace lie somewhere in Mongolia, but, now that I think of it,
Khanbalik, Kublais winter palace, is buried under a hill of rubble
only about forty minutes cab ride from here. I have for years
traveled with no other goal but to deprive this part of the world of
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its fascination for me. With regard to much of the world that strategy
has succeeded. Once I saw the Grand Canyon and Hoover Dam, I
lost all interest in them. London was easy to defeat, as were Berlin,
Madrid, and Rome, even Prague. Paris is a little harder to get rid of,
probably because it manages to change so quickly and yet remain the
same. But some places wont release their grip on me. Though
nothing distinguishes Damascus from half a dozen other cities in the
Middle East, and though Palmyra is but a Roman provincial capital
like any other, I cannot prevent my imagination from sojourning
there.
I came to China with the hope of finding a cure. Chinese cities,
I knew, are unlivable. Most monuments of any antiquity were
destroyed during the Cultural Revolution, or in similar iconoclastic
uprisings in centuries past. The sites have been restored over the
past two decades, usually in concrete rather than wood, and with
less of an eye to historical accuracy than to accommodating the
souvenir shops. There is nothing left here that might be called
atmosphere, and only those addicted to guidebook descriptions can
draw any pleasure from a visit. In Xian, the capital of Tang China,
the ancient terminus of the Silk Route, the situation, if possible, is
even worse. The Tang dynasty palace and its walls have disappeared,
leaving not even a line on the map. The only trace that remains of the
capitals two famous marketplaces, the Eastern Market and the
Western Market, the first for domestic specialties, the other for
imported wares, is in dongxi, the name for thing in Mandarin,
which means east-west.
Even an awareness of the dangers of Orientalism has not cured
me. Like many others, I project onto the Orient a part of life that
cant be accommodated within Western rationalism insights from
the wisdom literature, eroticism and a love of opulence, mysticism
and inscrutability, poverty that produces wisdom, and the unbroken
continuity of tradition. Thanks to Edward Said, I know this projection impoverishes our own culture and relegates Asians to the status
of inferiors unworthy as discussion partners. But that knowledge
does little to restrain my imagination.
There is yet a further, more personal problem. The imagination
of those who write in America, whether law professors or novelists,
is usually occupied with American problems. Few (if any) significant
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Those, too young to have fought in the war, point to the practical
advantages trains now crisscross Europe without stopping at the
borders and without requiring a change of cars or stations. Those
younger still mention other advantages the chance to go to
school, to work, to live in a favorite city across the river, the ease of
vacations on a sunny coast, and how almost every city in Europe has
broadened its taste in shopping, entertainment, food, and drink.
The question Im left with is whether the prospect of a European community can reconcile the dichotomies in the European
imagination. Since I assume such issues are first broached in fiction,
I have chosen five contemporary European novels to investigate, five
books I selected either because they came highly recommended or
because they had won, or almost won, literary prizes. All five are
amazing, all gorgeously written. Though they are geographically
distributed, I do not pretend they present a comprehensive survey.
And yet, since the results of the investigation are so uniform, it is
difficult to believe the selection is random Tim Parks, Europa
(1997), Juan Manuel de Prada, La tempestad (1997), Christian
Kracht, Faserland (1995), Andre Makine, Le testament franc ais
(1995), and Rossana Campo, Lattore americano (1997). They all
attempt to penetrate the darkness they find at the heart of Europe.
Joseph Conrads spirit presides over each of them.
Only one of these books focuses explicitly on Europe Tim
Parks Europa, a book short-listed for the Booker Prize. Over three
days, a multi-national group of foreign-language teachers, together
with a few of their students, travel from Milan to Strasbourg to
present their employment grievances to the European Parliament.
As Parks chronicles this voyage, he presents an unrelenting critique
of life within the European Union. Hes convinced the project of a
united Europe is doomed, what I should have done, of course, was
to laugh in his face, or produce some more polite gesture but of
similar subtext, as for example enquiring, Europe? Or just, Where,
sorry? As though genuinely unaware that such an entity existed....
We are lost, I reflect, this is the truth about my colleagues and myself
in this coach, we are lost in this foreign country that isnt ours, this
Europe that may or may not exist... . Problems within the member
states are more likely to be caused by Europe than resolved by it.
So I ask, jokingly, if others present are aware what the divorce rate
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(Camilo Jose Cela was accorded the same prize three years earlier),
a young Spanish academic sets out for Venice to complete his
research on Giorgiones painting The Tempest. The novels conceit offers the same possibilities recently harvested by the Philadelphia Art Museum when it rehung its European collection, not by
country but instead by periods and schools, thereby suggesting a
European perspective on modern painting. I expected from de
Prada a plot that would reveal Venices European roots and would
tie together various strands of European culture in the images
present in Giorgiones masterwork.
Instead, de Prada envisions Venice as a presence foreign and
intimidating, even to a fellow European. Venice visited on me the
curse it reserves for intruders, but until now I had not been aware
of having crossed the border into a territory that did not belong to
me... (1). Behind a window, after a murder, the narrator catches a
glimpse of everything that is threatening about a foreign place. For
an instant a face of abominable whiteness, with hollow eyes and a
nose like the beak of a terrible bird, looked out from one of the
windows and then concealed itself in a cape and disappeared in the
darkness: it was a nightmarish vision that could not correspond to a
human visage, unless the walls of that mansion sheltered a monster
drawn from mythology (2).
Christian Krachts Faserland presents a picaresque journey
through contemporary West German culture. Kracht works at
transcending Germanys guilt over the last world war by accepting
it, defends the avant-garde against philistine materialism, and urges
a productive fusion of American and West German pop culture,
thereby offering a wonderfully nuanced map of the young German
soul. Things European become topical, in a way that links Faserland
to the vision of Europe Tim Parks offers in Europa. The Middle
(1) Venecia haba volcado sobre m el maleficio que se reserva a los intrusos,
pero hasta ese momento no tuve conciencia de estar infringiendo las fronteras de un
territorio que no me perteneca....
(2) A una de ellas se asomo fugazmente un rostro de blancura abominable, con
los ojos huecos y una nariz como el pico de un pajarraco, que se embozo con una capa
antes de adentrarse otra vez en la tiniebla: fue una visio n insensata que no poda
corresponderse con una figura humana, salvo que las paredes de aquel casero n custodiasen un monstuo de las mitologas.
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These five novels make thear that law alone cannot succeed in
constructing a European identity. Despite the sublime accomplishments of European law, it represents the strand of Western rationalism that deals with darkness by repressing it. Europes writers of
contemporary fiction seem to believe that Europe cannot grow as
long as it denies what it regrets about its past, but rather can prosper
only if it can reconcile that past with its cultural achievements.
These books are exemplary in their pursuit of this reconciliation. Tim Parks states the issue the brutality is anchored at the
foundation of Europe just as solidly as is Reason, and precisely at the
same spot. Andre Makines narrator recognizes within himself a lust
for violence, his identification with both the plunderer and the
plundered. De Prada bravely pursues not only the monstrosity he
encounters at the heart of Europe, but also the sexual urges he
knows he cannot tame. Christian Kracht reaches out to accept the
responsibility his generation feels for the horror of the last war.
Rossana Campo pursues her animal sensuality until she encounters
its destructive power. These authors strive for a constructive dialogue with these forces in the tradition of Hegel, the original
European, who taught the creative power of negativity.
As jurists we therefore find it difficult to believe that any human
concern might escape our jurisdiction. It might surprise us, however,
to realize that most things worthwhile cannot be limited by law
dreams, imagination, creativity, belief, generosity, friendship, love.
To this list, contemporary European fiction adds the categories of
instinct, tradition, contradiction, and confusion. That is our shadow.
We cant get rid of it and we cantt jump over it. Nor should we want
to, for shadow is just another from of the third dimension, the
perspective in which the artificial becomes real.
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propuesta historiogra fica con cierto grado de radicalidad cabe distinguir un periodo de preparacio n y un momento de definicio n. El de
preparacio n no ha sido corto, y en su travesa Marta Lorente no so lo ha
estado acompan ada, sino que ha tenido guas: los nombres de quienes
fueron abriendo camino, Francisco Toma s y Valiente y Bartolome
Clavero, los encuentra el lector bien destacados en el prea mbulo. No,
no esta sola la autora, y es eso lo que precisamente evita que su obra sea
una extravagancia. Pero es la suya, esta que comento, la que con mayor
extensio n, amplitud y ambicio n sustenta una tesis interpretativa del
largo inicio de la contemporaneidad jurdica en Espan a cuya formulacio n se encuentra todava en sus comienzos, y que au n ha de mostrarse
fecunda.
La tercera objecio n posible es la de mayor relevancia, pues tiene
que ver con el abismal desajuste que se manifestara entre unos objetivos limitados (los determinados por el subttulo), y una conclusio n tan
desmesurada como la que vengo apuntando. Me apresuro a sen alar que
el indicado desfase, si como tal se observa, no se produce en el plano de
la escritura del libro, sino en todo caso en el de su lectura, o ma s
exactamente en el de la ma personalsima. No hay inadecuacio n entre
medios y fines en el libro de Marta Lorente. La autora fija sus metas, y
el lector, por su cuenta, llega a las suyas propias; de aque lla son los
equilibrados objetivos, que se sen alan, como es de rigor, en las pa ginas
iniciales, y van alcanza ndose en las restantes; de e ste, de quien escribe
estas lneas, es el desbordamiento valorativo, si se estima que en esta
recensio n lo hay.
Los objetivos, en efecto, son mesurados. Enfoca esta investigacio n
a la ley, en el siglo que la consagra como centro del orden jurdico. Pero
ni se centra en su concepto, ni se enfrenta a su problema tica significacio n frente a normas de distinto nombre, ni se detiene en su proceso de
elaboracio n. La autora pretende situarse prudentemente lejos de estos
sustanciales asuntos, aunque no ignore que se ira n abriendo, como
anchos y bien visibles caminos conexos que son, tentadores ante quien
inicie la travesa que marca la lectura. No cabe, sin embargo, la
posibilidad de que el lector se distraiga contemplando horizontes tan
amplios y profundos, obligado como esta a concentrar su atencio n en el
seguimiento de la ruta por la que se le conduce. Es e sta una va de
apariencia secundaria. Se trata en ella de tomar en consideracio n a la ley
so lo desde el momento en que, proyectada, elaborada y aprobada,
cumplidos los pertinentes tra mites de procedimiento y atendidos todos
los requerimientos exigibles de fondo y forma, ha de hacerse pu blica.
La eleccio n de ese momento terminal del proceso normativo, tan
irrelevante para la factura de las leyes como fundamental para su
establecimiento, se revela plena de ventajas. En primer lugar, permite a
la autora mantener su investigacio n dentro de lmites manejables,
consintiendo el uso de una panoplia abarcable de fuentes para una
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cronologa relativamente amplia; mayor ambicio n objetiva hubiera convertido la elaboracio n de este libro en algo parecido a la cada en un
pozo sin fondo. Ventajosa es tambie n la opcio n en el plano expositivo,
logra ndose un punto de vista que trasciende la estricta acotacio n de su
terreno: en no pocas ocasiones, la senda de modesta apariencia por la
que el lector se deja guiar permite contemplar considerables tramos de
las que antes sen ala bamos como primarias, con las que no puede dejar
de cruzarse una y otra vez. As, con la fe rtil potencialidad de la
sugerencia bien fundada, y sin la tantas veces paralizante obligacio n de
agotarlas, se tratan a menudo cuestiones centrales para la comprensio n
de la cultura jurdica decimono nica.
Pero las ventajas son sobre todo de me todo. La receta epistemolo gica es de formulacio n simple: este libro elige, como punto inicial de
la reflexio n que conduce, justo aque l que hubiera sido final en un
abordaje aparentemente ma s directo y sustantivo del feno meno normativo en el siglo XIX. La va que aqu se emprende no parece, en efecto,
la ma s encaminada a enfrentarse al corazo n del orden jurdico en dicha
centuria: si, en el momento en el que empieza a buscar a sus destinatarios, la ley ya es plenamente ley, la problema tica especfica de su
publicidad puede manifestarse como accidental frente a la esencial de
su concepto y factura; y no es que a lo accidental no haga falta prestarle
atencio n, sino que no parece que pueda ser aislado sin que pierda el
anclaje referencial que le da sentido. Frente a argumentos como estos,
que la autora hubo de sopesar en la preparacio n de su monografa, e sta
resueltamente comienza su andadura en una lnea que hubie ramos
esperado ma s de llegada que de salida. La opcio n es arriesgada, porque
toda la primera parte del libro ha de luchar contra el convencimiento
del lector medio, no necesariamente infundado, de que se ha errado
tanto el camino como el objetivo; y es que, por mucho que la autora
expresamente se comprometa a demostrar lo contrario, es difcil sustraerse a la tentacio n de pensar que se ha empezado por el final, que se
ha elegido un objeto poco relevante, que se buscan los frutos en el
huerto ma s pobre.
No se hasta que punto esta eventual previsio n de una lectura
extran ada o abiertamente desconfiada gua el estilo de la escritura, pero
lo cierto es que en estos primeros captulos (en realidad en toda la
seccio n primera, que cubre algo ma s de la primera mitad del libro, hasta
que se alcanza el importante momento de 1851), la exposicio n avanza
con un empuje poco frecuente en nuestro por lo general ma s sosegado
(y elijo el te rmino con cuidado: no quiero decir ni pacfico, ni anodino,
ni poco incisivo) terreno de estudio. Contribuye a este efecto arrollador
la brevedad de los epgrafes, la sustantividad de cada pa rrafo, la
ausencia de disgresiones, la preferencia por la nota larga con transcripcio n del texto que respalda o ilustra la argumentacio n. Sin que obste el
recurso frecuente a las recapitulaciones, que son tributo de cortesa
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JOSEu MARTIuNEZ GIJOu N, Historia del Derecho Mercantil. Estudios, Universidad de Sevilla, Secretariado de publicaciones, 1999.
Le raccolte di scritti che talora, con non corretta riduttivita` si
chiamano minori (molto piu` giusto sarebbe chiamarli sparsi)
spesso non facilmente rintracciabili anche per la loro lontananza cronologica e per laccavallarsi di studi sugli stessi temi, si puo` rivelare una
felice occasione per considerare il valore complessivo dellopera di un
Autore. Nel caso specifico Martnez Gijo n, per lunghi anni cattedratico
di Storia del diritto nellUniversita` di Siviglia, ove ha creato una scuola
che annovera alcuni tra i piu` noti storici del diritto spagnolo. Proprio
uno di questi allievi, Carlos Petit, si e` preso cura di raccogliere e
rieditare una serie di contributi del Maestro in tema di storia del diritto
mercantile, il campo nel quale, insieme a quello della storia del diritto
di famiglia in Castiglia, Martnez Gijo n ha ottenuto i risultati scientifici
piu` probanti. Lorganizzazione interna che Petit ha dato al volume
esplicita anche i temi su cui si e` specificamente soffermata lattenzione
e linteresse scientifico dellAutore e testimonia una lunga e proficua
militanza storiografica.
La prima sezione comprende il contributo piu` antico (1964),
concernente la giurisdizione marittima in Castiglia durante il Basso
Medioevo. Il taglio prevalentemente istituzionale pone in rilievo uno dei
connotati piu` costanti della storiografia di Martnez Gijo n, cioe` la
ricchezza di documentazione che, nel caso specifico della giurisdizione
marittima, fa emergere le caratteristiche di funzionamento di tribunali
che sono speciali per la materia, per i giudici non togati e per la
snellezza dei procedimenti.
La seconda sezione ha per tema la commenda nel diritto spagnolo
e si compone di tre contributi, la commenda-deposito (1964), la
commenda mercantile (1966), la commenda e il trasporto di merci nel
basso Medioevo (1974).
Si tratta della articolazione e progressiva attivazione di un disegno
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complessivo inteso a colmare una lacuna nella storiografia spagnola carente di una monografia sulla commenda che invece lAutore ritrovava
nella letteratura francese, italiana e tedesca. Prendendo spunto dallidea
del contratto fiduciario, si inizia la storia della commenda in relazione ai
suoi collegamenti concettuali e pratici con il deposito e si collegano le
origini romane dellistituto allemergere dei temi e delle problematiche
legate alla banca. Se non e` molto lo spazio dedicato alle dottrine giuridiche
e teologiche, molta attenzione e cura e` data allevoluzione delle fonti
normative spagnole a partire dalla legislazione visigota fino al XVIII secolo e alle formalizzazioni successive di questi contratti nei documenti
notarili e in quelli privati (da una non chiara gratuita` nei secoli precedenti
si passa definitivamente al deposito lucrativo nel XVI secolo). La pratica
dei depositi bancari sembra a Martnez Gijo n gia` presente a Barcellona
nel XIII secolo, contrariamente a quanto ha ritenuto Sayous, ed il fenomeno si espande in Eta` moderna quando le grandi compagnie spagnole
di commercio si nutrono dei depositi dei privati o delle persone giuridiche. Levoluzione e` quindi nel senso di una progressiva ricerca di spazi
operativi al di la` dei vincoli canonici pur presenti in Spagna anche se talora
piu` teoricamente che concretamente: anche la nascita dei banchi pubblici
procede in questa direzione. La custodia, oggetto essenziale del deposito,
fu rimpiazzata dalla possibilita` delluso delle cose depositate concesse ai
depositari e dal carattere lucrativo che i depositi acquisiscono beneficiando i depositanti.
La seconda parte dello studio riguarda la commenda mercantile
basata sul commento di documenti spagnoli del XIII e XIV secolo e sul
confronto con i testi del Consolato del mare sullo stesso tema, a
dimostrazione della esistenza degli stessi problemi di credito e di
finanziamento e di una utilizzazione degli stessi strumenti presenti in
altri scali del Mediterraneo, e in questa ricostruzione lAutore mostra di
apprezzare le elaborazioni di Astuti. Anche nel diritto spagnolo e`
predominante la commenda unilaterale, in cui laccomandatario non
apporta capitale. E` anche interessante lesame successivo della utilizzazione della commenda e di altri metodi commerciali nei traffici tra
Spagna e America, tutto basato su documenti originali tratti dagli
archivi sivigliani, e che offre materiali soprattutto per rilevare lutilizzazione frequente del contratto di commissione. Questi temi dei rapporti col derecho indiano tornano frequentemente nellopera di
Martnez Gijo n e Petit ha raccolto in una sezione intitolata Instituciones del trafico con los Indios ben cinque contributi scritti tra il 1967
ed il 1987.
Petit sostiene nella premessa che le pagine dedicate da Martnez
Gijo n al commercio americano sono importanti in quanto consentono
di allargare gli studi precedenti sui metodi commerciali sia sulla base di
nuove documentazioni sia per prospettive classificatorie che aprono.
Credo che Petit si riferisca soprattutto ai contributi relativi al fenomeno
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gene ricamente, en tanto que comunidad poltica organizada: un territorio, una poblacio n, una constitucio n. A este respecto, el Estagirita se
preguntaba: En el caso de las personas que habitan el mismo lugar,
cua ndo hay que pensar que es una sola su ciudad? No sera , desde
luego, por las murallas, ya que una sola muralla podra rodear el
Peloponeso. Tal es seguramente el caso de Babilonia, y de cualquier
poblacio n cuya a rea es ma s propia de una raza que de una ciudad. De
Babilonia cuentan que al tercer da de haber sido tomada, au n no lo
saba una parte de la ciudad (Poltica, III, 3). En una He lade empobrecida y amenazada por constantes guerras civiles, y desgarrada por
revueltas y enfrentamientos entre las clases sociales que imposibilitaban
la puesta en pra ctica del viejo ideal democra tico de concordia ciudadana, Aristo teles (384-322 a.C), ma s que el arquetipo de la politeia, la
constitucio n perfecta, buscaba algo ma s modesto, pero inexcusable: la
seguridad (aspha leia), que entenda so lo alcanzable desde el valor de la
moderacio n.
La solucio n de erigir murallas, la ma xima concrecio n material del
concepto lineal de frontera, ha sido, por supuesto, el ideal de todo
re gimen poltico mnimamente evolucionado, desde la Gran Muralla
China, construida en el siglo III a.C. para detener, con sus 3000
kilo metros de longitud estimados, las invasiones ta rtaras. Pero, ni
siempre ha sido posible levantarlas, ni siempre, desde luego ni
mucho menos-, han tenido e xito a la hora de fijar y mantener la
indemnidad de los lmites de una comunidad poltica independiente.
Por eso, el ideal geome trico, racional y cartesiano de las fronteras
lineales ha sido, en la historia, una excepcio n deseada, aunque so lo
esgrimido, como elemento rector de sus respectivas polticas coloniales,
por las potencias europeas en el siglo XIX, cuya ma xima expresio n sera
la Conferencia de Berln de 1884-1885, y que alcanzara su supremo, y
ma s que dudoso, esplendor, en el proceso de descolonizacio n de A frica,
en la segunda mitad del siglo XX, tras la Segunda Guerra Mundial. Por
lo tanto, la frontera ma s frecuente, en el tiempo histo rico de los
hombres, ha sido la frontera zonal o marginal, es decir, un borde ma s o
menos extenso, una tierra de nadie, que separa comunidades u organizaciones polticas enemistadas entre s (de similar o de dispar evolucio n
cultural, social, econo mica, poltica y militar), como resultado de campan as intermitentes, ya ofensivas, ya defensivas, y de victorias inestables
que han impedido el sometimiento de una por la otra, o la destruccio n
de ambas. En el caso concreto de la Pennsula Ibe rica, no hace falta
recordar, durante la dominacio n romana, el caso de la resistencia de los
astures, ca ntabros y vascones, que origino una de esas fronteras marginales en el limes de la Repu blica de Roma, entre el 197 a.C., en que fue
dividida Hispania en dos provincias (la Citerior y la Ulterior), hasta que,
despue s del 19 a.C., se convirtio en una tierra pacificada (Hispania
pacata), tras las campan as de los an os 29 a 19 a.C., en las que tuvo que
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ofrecer nada a los indios que luego no pudiera cumplir. Otra rama
apache, la de los gilen os, emplazada en la parte suroccidental de Nuevo
Me xico, fue trabajosamente atrada a la vida pacfica entre 1775 y 1789.
Y lo fue con dificultad porque los apaches, en general, amaban la
libertad, y no queran establecerse en un lugar, ni cultivar la tierra,
incumpliendo casi siempre las cla usulas de sus tratados en las que se
comprometan a hacer sus siembras, recoger sus cosechas, criar sus
ganados, y fabricar sus casas para vivir como racionales, a expensas de
su sudor y trabajo (p. 257). Era el programa ilustrado que se les quera
imponer, a fin de que fuesen se deca felices. Hay que subrayar,
en todo caso, que en varias ocasiones se exceptuo a los adultos, en estos
tratados, de la obligacio n de ser evangelizados, consintiendo el que
conservasen su religio n tradicional, a fin de no hacerles demasiado
onerosa la paz. Finalmente, incluso los enemigos declarados de los
apaches, los comanches, que les disputaban la posesio n de las llanuras
de Texas y Nuevo Me xico, concertaron tratados de amistad con los
espan oles (enterrando el hacha de la guerra) en 1771 y 1786; al igual que
los semisedentarios navajos, en 1786 y 1805.
Ahora bien, la amenaza u ltima para la supervivencia del Virreinato
de la Nueva Espan a proceda, ma s que de estas marginales tribus indias
independientes, primero de las trece colonias inglesas de la Ame rica del
Norte, y, tras su independencia, declarada en 1776 y reconocida por el
Tratado de Versalles de 1783, de los nacientes Estados Unidos de
Ame rica. Esta nueva nacio n pronto emprendio su expansio n hacia el
sur, en busca de tierras fe rtiles y de una salida al Golfo de Me xico,
favorecida por su mayor poblacio n, sobre todo, con respecto a la
despoblada Luisiana. Mientras tanto, la Corona espan ola, poseedora de
la Florida y de la Luisiana, quera que el Golfo de Me xico fuese
plenamente espan ol, al margen de la amenaza militar y del contrabando
de las Bahamas inglesas. Por otra parte, Inglaterra introdujo la semilla
de la futura discordia entre Espan a y los Estados Unidos al reconocer
a estos u ltimos, en 1783, su derecho a la libre navegacio n por el ro
Mississippi, del que gozaba desde la Paz de Pars de 1763, olvidando
interesadamente que Bernardo de Ga lvez, gobernador de la Luisiana
(1777-1782), durante la guerra haba conquistado ya todo el valle del
Mississippi, junto con otras plazas fuertes brita nicas (Baton Rouge,
Natchez, Mobila, Panzacola), pasando a ser todo e l enteramente espan ol por derecho de conquista. En cualquier caso, para contener la
emigracio n y las ansias expansionistas de los granjeros, comerciantes y
especuladores de tierras establecidos en Kentucky y Tennessee, la
poltica de los sucesivos gobernadores espan oles de la Luisiana (Esteban Rodrguez Miro de 1782 a 1791, Francisco Luis He ctor, baro n de
Carondelet, de 1791 a 1797, y Manuel Gayoso de Lemos desde 1797
hasta 1799) frente a los Estados Unidos fue la de establecer alianzas con
los indios de aquellas tierras, a fin de que sirviesen de antemural de
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esta bula pontificia se haba definido y declarado que los indios deban
ser convertidos pacficamente, puesto que eran seres libres, que no
podan ser esclavizados, pudiendo y debiendo gozar libremente de su
libertad y de sus propiedades. Aunque, con posterioridad, al no haber
sido previamente examinada y autorizada por el Consejo de las Indias,
esta bula de 1537 no tuvo vigencia dentro de la Monarqua Hispa nica,
siendo revocada por un breve del mismo Paulo III, de 19 de junio de
1538, lo cierto es que la Sublimis Deus informo , en la pra ctica, los
principios rectores de las trascendentales Ordenanzas de nuevos descubrimientos, poblaciones y pacificaciones de 1573. En definitiva, desde
entonces, en aquellos territorios que todava no reconocan la soberana
de los reyes de Castilla, que a aquellas alturas del siglo ya eran
u nicamente las llamadas fronteras interiores, la poltica de dominacio n
tuvo que orientarse hacia la procura de unas relaciones amistosas con
aquellos indios rebeldes, que no eran vasallos del rey, puesto que no
haban aceptado ser tales, sino comunidades polticas independientes.
Cierto es que tal poltica de atraccio n por medios no coactivos, en la
pra ctica, estuvo trufada de acciones de fuerza y de campan as militares.
La prohibicio n de la guerra ofensiva no fue respetada siempre, quiza s ni
siquiera frecuentemente, sobre todo, en los primeros decenios de
aplicacio n de dichas Reales Ordenanzas. En cualquier caso, las instrucciones despachadas por el Consejo de Indias, en nombre de los
monarcas, siempre insistieron en la utilizacio n de los medios pacficos
(buen trato, buen ejemplo, y evangelizacio n previa).
La poltica de penetracio n pacfica, y el empleo de su principal
instrumento jurdico, el tratado, es evidente que fue seguida con un
cara cter e impronta de continuidad. Sobre todo, obviamente, en aquellos lugares fronterizos donde se concentraban los indios ma s rebeldes,
y ma s aguerridos: Chile, el Ro de la Plata y la Nueva Espan a. Los
diferentes tratados no poseyeron un contenido rgidamente establecido,
sino que se adaptaron a las circunstancias de cada momento, y de cada
lugar: debilidad o fortaleza de las fuerzas militares espan olas y de las
tribus indgenas; resultado, de diferente signo, de una batalla o de una
serie de escaramuzas o enfrentamientos previos; la amenaza de potencias europeas rivales (Inglaterra, luego los Estados Unidos); la conciencia o conviccio n de que resultaba imposible o, por el contrario,
factible doblegar la resistencia indgena, etc. En cualquier caso, la
reiteracio n de los tratados denota su inobservancia continuada, o, al
menos, su frecuente incumplimiento por parte de los nativos, y, a veces,
de los propios espan oles. Tales rupturas de paz llevaron a que, con el
transcurso de los an os, la Corona estimase que aquellos rebeldes no
constituan comunidades polticas independientes, sino vasallos insumisos, puesto que haban incumplido dichos tratados, en los que
reconocan ma s o menos gene ricamente la soberana de los
monarcas castellanos. En ellos, sus cla usulas ma s habituales fueron, ante
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comunidad internacional, creo que la poltica de las autoridades espan olas no fue la de considerar, indefinidamente, a las tribus indgenas
rebeldes de sus fronteras interiores como sociedades u organizaciones
polticas independientes.
Entre otras cosas, porque no lo eran. Recordemos las expresivas
palabras del Caballero De Croix, recogidas en el primer texto de la cita
liminar: cada indio era una repu blica libre, integrante de una muchedumbre de ba rbaros dispersos y sin cabeza, incapaces de ponerse de acuerdo,
ni de respetar el sagrado de las capitulaciones. La poltica de penetracio n
pacfica haba sido concebida como un aplazamiento temporal en el
proceso de dominacio n, que se quera gradual por ma s beneficioso, de
los u ltimos pueblos indgenas rebeldes a la autoridad de la Corona
espan ola. De ah la inclusio n en los tratados, siempre que fue posible,
de la cla usulas de evangelizacio n y reduccio n. Una vez cristianizados,
hasta Las Casas admita que, voluntariamente, podan ser considerados
vasallos del rey; y, una vez congregados en pueblos, es decir, convertidos en sedentarios y agricultores, la dependencia econo mica y comercial
les impedira seguir mantenie ndose ni siquiera desearlo independientes. Quien civiliza al menor, al incapaz, al menesteroso, se convierte
en su progenitor, en su tutor, en su patrono, o en su mentor, ma s o
menos indefinidamente. Las Reales Ordenanzas de nuevos descubrimientos, poblaciones y pacificaciones de 1573, que no afectaban para nada a
los territorios adquiridos y a las poblaciones sometidas por la fuerza, y
la conquista militar, que eran la inmensa mayor parte de las Indias para
esas fechas, podan implantar entonces aquella favorable poltica paternalista (caracterstica de la sociedad estamental y corporativa del Antiguo Re gimen). Porque, en efecto, el monarca, pater familias de la
comunidad de pueblos que integraban la Monarqua Universal Hispa nica, poda permitirse ya casi mediado el reinado de Felipe II
dispensar magnanimidad y paciencia a la hora de adquirir nuevas tierras
y hombres, desde su consolidada posicio n de fuerza: aquellos indgenas
fronterizos y extran os, que vivan en los confines del Imperio cristiano,
podan pasar de su desamparada exposicio n a disfrutar de la condicio n
de filiifamilias por adopcio n. Una adoptio que, como la del Derecho
romano cla sico, supona que el adoptado, al quedar bajo la potestas del
paterfamilias, se desligaba de su familia (gens, tribu) originaria para
unirse y someterse, en nombre, agnacio n y religio n, a la del nuevo pater,
en este caso, poltico y soberano. El problema, particular o general,
individual o moral, pu blico o poltico, es siempre el mismo, temporalmente eterno: se le pregunta al menor, y, en su caso, se respeta siempre
su respuesta, si quiere ser adoptado? O sabe siquiera que es la
adopcio n, y que ocurrira cuando despierte cruelmente del suen o de la
infancia?
JOSEu MARIuA VALLEJO GARCIuA-HEVIA
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1807-1821, vede nelle tavole decemvirali una radicale riforma legislativa, una sorta di rivoluzione liberale nel V secolo a.C.
Marra mostra che la Storia agraria puo` interessare per i suoi limiti,
oltre che per il valore intrinseco. Il valore e` quello di una ricerca di
storia costituzionale romana che espone tesi brillanti, a volte ardite, e
che gia` manifesta a pieno lindipendenza intellettuale del giovane
studioso. Ma motivi di interesse specifico sono anche in quella tensione
al realismo che gia` aveva allontanato Weber dalla dogmatica giuridica
dominante, orientandolo verso la Scuola germanistica e verso lo studio
storico del diritto, e che qui lo porta ad affrontare la storia del diritto
romano attraverso lanalisi complessiva dei rapporti agrari e attraverso
il riferimento costante alla costituzione politica e sociale nelle sue
tendenze evolutive: lo studio della storia economica e sociale si affianca
cos` alla storiografia del diritto, anzi la storia del diritto e` qui soprattutto
uno strumento per interpretare i rapporti regolati dal diritto nella loro
trasformazione; la ricerca diviene in un senso piu` complessa e piu`
concreta, in altro senso piu` astratta e tipizzante, attraverso un metodo
costruttivo che gia` cerca analogie e differenze specifiche per delineare
modelli di trasformazione economica e sociale. La distruzione delleconomia comunitaria, le tavole decemvirali come riforma legislativa che
prelude ad un capitalismo di tipo agrario nel mondo antico, la liberazione della proprieta` fondiaria che gioca in ultima istanza a favore degli
interessi agrari medio-grandi, le tendenze alla burocratizzazione e alla
formazione della signoria fondiaria: linterpretazione fortemente attualizzante della storia romana sembra spingere Weber ai confini di un
ambito disciplinare strettamente storico-giuridico e prefigurare le direzioni della ricerca successiva.
Marra valorizza la Storia agraria come momento significativo nella
genesi del metodo della sociologia comprendente e rileva, a questo
proposito, limpiego dei giudizi di possibilita` teorizzati negli scritti
metodologici (p. 96) ricordiamo, quadri fantastici la cui formulazione e` in primo luogo condizionata dal tipo del nostro interesse
storico , nonche luso di una terminologia, nella descrizione degli
effetti sociali ed economici delle XII Tavole, tratta di peso dalla
legislazione prussiana (p. 73): Weber parla di separazione e riaggregazione dei fondi, di liberazione e mobilizzazione della terra, di
economia individualistica, di liberta` contrattuale, di liberta` di
circolazione, ecc. Marra ritrova, nella storiografia soggettiva, nel modernismo della Storia agraria, linfluenza di Meyer e di Mommsen (pp.
267 ss., p. 290), ma si potrebbe azzardare, con una battuta, che Weber
inizi a fare sociologia proprio facendo cattiva storiografia: non stupisce
la relativa freddezza con cui la comunita` scientifica accoglie una ricerca
pure importante come la Storia agraria romana.
Marra assume questi limiti della Storia agraria romana in quanto
ricerca puramente storiografica come chiave di accesso al contesto della
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padrone, distruggendo i legami naturali dellamore, della libera sottomissione, della comunita`; dal confronto con Mu ller risulta un Weber
vicino alla sensibilita` romantica, che sulla questione del valore spirituale dellantica costituzione agraria tende alla trasfigurazione degli
oggetti assenti tipica del romanticismo (p. 210).
Marra individua punti di contatto anche con lilluminismo cetuale
di Justus Mo ser, con la sua valorizzazione dei liberi contadini come
espressione piu` autentica del popolo e dei suoi valori e con la sua
immagine ideale dellantica liberta` germanica (p. 196). Attraverso linfluenza di Mo ser e Mu ller emerge cos` un Weber che si confronta
ancora con il problema di una terza via per cos` dire rispettosa
dellidentita` nazionale tedesca, tra lassolutismo da una parte ed il
razionalismo rivoluzionario dellilluminismo francese dallaltra (p.
199). Un Weber che si e` formato assorbendo la critica romantica alle
riforme liberali di inizio secolo e, in generale, alle tendenze riformatrici
dellIlluminismo, e che si mostra sensibile, se non ad unimmagine
organicistica della societa` per ceti, quanto meno ai temi della pubblicistica tradizionalista sulle antiche liberta` dei sassoni e sul carattere
individualistico della rivoluzione francese. Un Weber che fra capitalismo e anticapitalismo propende affettivamente per lanti- o precapitalismo della vecchia costituzione agraria, salvo accettare il capitalismo e le trasformazioni sociali del capitalismo come fatto ormai
irresistibile e orizzonte di senso dellagire politico responsabile. Un
Weber a tratti romanticamente nostalgico della piena umanita` e del
carattere personale delle relazioni personali del vecchio mondo agrario:
per Weber il capitalismo e` invece servitu` senza padrone, dominio
delle leggi impersonali del mercato e dello Stato, sradicamento e
frantumazione dei rapporti tradizionali di solidarieta` organica.
Lopera di Weber sullantica costituzione agraria romana e sulle
questioni agrarie tedesche e` quindi valorizzata come punto di convergenza nientaffatto atipico di liberalismo moderato e romanticismo
politico nella cultura dellOttocento tedesco (pp. 225 ss.). In particolare, la prima ricerca storiografica di Weber e la tensione politica che la
anima sono ricondotte a temi propri del liberalismo organico e moderato prevalente nel nord della Germania un liberalismo di funzionari
e professori, i cui tratti salienti sono linfluenza dello storicismo, la
tradizione delle liberta` germaniche, il contatto diretto o mediato con il
movimento germanista (), la valorizzazione delle comunita` rurali, lo
scetticismo sui diritti, lassenza di qualsiasi pregiudizio liberale nei
confronti dellintervento dello Stato (p. 222). Nel quadro di una
relativa arretratezza del processo di industrializzazione, il liberalismo
della Germania del Vorma rz non e` espressione immediata degli interessi
di una borghesia emergente, quanto piuttosto un orientamento politicoculturale promosso da e lites di intellettuali e funzionari: di qui lorganicismo e lanti-individualismo che caratterizzano alcune espressioni del
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surcodificare la ricerca scientifica dallesterno, sulla base di considerazioni meramente politiche o di opportunita` istituzionale.
Alcune osservazioni conclusive. Nel libro di Marra, lapprofondimento della biografia intellettuale di Weber avviene attraverso una
ricognizione dei temi e dei motivi romantici, organicistici e storicistici
che possono essere rintracciati a partire dalla produzione giovanile.
Demolita limmagine accomodante di un Weber tardo esponente del
liberalismo classico, continuatore duna grande tradizione di pensiero e
al tempo stesso testimone della sua crisi in un mondo in trasformazione (p. 9), il carattere anomalo del liberalismo del Weber maturo
in gran parte si chiarisce e si stempera in considerazione del carattere
anomalo del liberalismo dellOttocento tedesco.
E` convincente la collocazione della formazione di Weber in un
contesto che si rivolge nostalgicamente a certi passi di Tacito sui
germani, un liberalismo che in pieno Ottocento ancora ripensa, trasfigurandole, immagini della cultura e delle istituzioni della societa` per
ceti e del vecchio mondo agrario. Certo, a costruire lidea di una piena
e bella umanita` travolta dal processo di modernizzazione in Weber
contribuiscono non solo la rielaborazione di motivi romantici e di
unimmagine della costituzione agraria tradizionale, ma anche un ideale
goethiano della Bildung, quindi la valorizzazione di una borghesia
mercantile positivamente proiettata al dominio del mondo attraverso
lesperienza concreta della varieta` delle sue forme e del suo divenire. Ma
il punto che merita qui di essere soprattutto sottolineato e` che in Weber
non ce` nessun eudemonismo e, di conseguenza, almeno nellopera della
maturita`, non ce` alcuna tensione verso la felice compattezza immaginata dai contemporanei per il mondo che fu. La condizione moderna
per Weber non e` ne la sazieta` di Abramo, ne il corso organico della
semplice vita contadina, ne il carattere armonico e immediatamente
etico dei rapporti sociali governati dallautorita` delleterno ieri. La
condizione moderna non e` ne la felicita`, ne lintegrazione, ma al
contrario la liberta` e il conflitto, quindi anche sofferenza. La storia delle
religioni mostra cio` che nella modernita` e` evidente: il processo generale
di razionalizzazione ha separato sfere di agire e di pensiero, ha creato
razionalita` specifiche e forme di vita autonome. I conflitti che in
conseguenza di tale separazione si originano sono i dilemmi insolubili
che dilaniano luomo moderno, i demoni che egli non puo` piu` esorcizzare, ma che aprono anche lo spazio della sua liberta` cioe`, per
Weber, lo spazio dellagire responsabile, capace di calcolare i mezzi e di
ponderare i fini.
Laspetto problematico della rilettura di Marra non e` di spingere
linterpretazione dellopera weberiana della maturita` verso la stigmate
per molti versi infamante o forviante di modernismo reazionario. In
realta`, affinita` con quella costellazione di pensiero possono anche essere
presenti e meritare di essere rilevate accanto alle importanti divergenze
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(motivi anticapitalistici e tardo-romantici sopravvivono nellaccettazione tragica della modernita` come sradicamento e dominio della
tecnica; ma ricorderei anche lautomatismo impersonale degli apparati
che si apre alla potenza del carisma nella democrazia plebiscitaria della
societa` di massa). Piuttosto, il punto problematico e` in che misura
lopera della maturita` sia stabilmente impostata dagli orientamenti
politico-culturali del contesto di formazione, in particolare dalla tensione politica che e` possibile rintracciare negli scritti del giovane Weber
sulla storia romana e sulla questione agraria.
Se, ad esempio, e` assolutamente convincente la collocazione della
formazione di Weber in un contesto culturale intriso di storicismo e di
motivi romantici, pure e` opportuno ricordare che la resa dei conti con
lo storicismo e` uno dei punti centrali dei saggi metodologici. Gia` nel
saggio su Roscher e Knies (1903-6) Weber demolisce lo spirito del
popolo, la categoria-feticcio della Scuola storica del diritto e della
Scuola storica delleconomia. Nel libro Dalla comunita` al diritto moderno. La formazione giuridica di Max Weber. 1882-1889, Torino,
Giappichelli, 1992, Realino Marra ha mostrato Weber, studente e
giovane ricercatore, che in reazione allastrattezza e al carattere fortemente costruttivo del metodo giuridico dominante nelle facolta` di
giurisprudenza manifesta unaffinita` elettiva con la Scuola germanistica.
Ma la formazione nellambito della Scuola germanista non gli impedira`,
gia` nel saggio Diritto romano e diritto germanico (1895), di frustare
la non piccola schiera di germanisti da strapazzo, difensori dei prati e
dei boschi nostrani, le cui mene sono quasi altrettanto infruttuose della
filisteistica e francamente ripugnante pedanteria dei puristi della lingua; laffinita` del giovane Weber con la Scuola germanistica non
impedira` al Weber della Sociologia del diritto di ritrovare nel metodo
sistematico della Begriffsjurisprudenz il piu` alto grado di razionalita`
logico-metodologica. Non sembra allora del tutto corretto affermare
che in Weber non ce` un pensiero dello Stato di diritto. Il Weber della
Sociologia del diritto e della Sociologia del potere sembra aver assorbito
la lettura di giuristi come Laband, Gerber, Jehring e Jellinek e in questo
senso troviamo in Weber un pensiero del diritto come ambito compiutamente differenziato dalla politica (e forse ritroviamo anche motivi
hegeliani, ad esempio a proposito dellautocoscienza dello Stato). Insomma, il taglio degli studi agrari non puo` illuminare completamente il
contesto della formazione di Weber, perche esso ospita autori che
Weber conosce ma che non possono emergere nellambito di uno
studio sulla costituzione agraria romana. Soprattutto, il contesto di
formazione non puo` definitivamente risolvere la complessita` della
ricerca weberiana successiva, se non altro perche questa si sviluppa
anche in rottura, se non in polemica, con tale contesto.
Ma proprio per questo unindagine approfondita sulla formazione
di Weber e sulla sua biografia intellettuale offre spunti importanti per
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A proposito di
GUSTAVO ZAGREBELSKY
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Italia superato lidea del positivismo delle origini: lidea cioe` del diritto
come insieme di atti di volonta`, perduranti nel tempo, di un legislatore
personale che dispone del potere di comando. Linterpretazione del
diritto e` stata collocata in una dimensione obbiettiva, con la nascosta
aspirazione, risalente nei secoli (JEAN GERSON nel De vita spirituali
animae del 1402 parla del giudice come geometer vel arithmeticus;
Gottfried W. Leibniz mirava a una giurisprudenza more mathematico
demonstata, ma gia` dei giuristi romani si disse che calcolavano con i
concetti giuridici), a gareggiare in esattezza e formalizzazione con le
scienze teoretiche e in primo luogo, per lappunto, con la geometria o
laritmetica. Cos` facendo, sono stati superati gli aspetti piu` rozzi della
concezione imperativa del diritto. Ma, sganciando il diritto dalla
volonta` personalizzata del legislatore, si e` confermata, anzi accentuata,
la centralita` del postulato positivista fondamentale: il diritto come
artefatto, oggettivamente esistente, di fronte al quale il giudice deve
essere un puro e semplice specchio che riflette la realta`, per darne
unimmagine chiara e fedele.
Fermo questo postulato, la giurisprudenza teorica ha pero` rigettato, ha anzi ridicolizzato lidea del giudizio come esclusiva applicazione
della legge, tramite deduzioni relative a fatti sussunti nella descrizione normativa. Lo schema logico del sillogismo normativo non e`
affatto abbandonato, ma da gran tempo ormai si e` fatta strada lidea che
la premessa maggiore (la norma da applicare) non sia quasi mai
integralmente determinata dalla legge e che quindi, per la parte carente,
le decisioni dei giudici contengano elementi creativi ed esprimano
percio` non il diritto ma una politica del diritto. Questa discretion
del giudice (per usare il linguaggio di Dworkin) e` ammessa in linea di
principio e non soltanto come conseguenza del deplorevole stato in cui
versa la legislazione, come fanno i giuristi pratici. E` invece oggetto di
teorie dellinterpretazione e dellapplicazione del diritto che si richiamano per lo piu` a Hans Kelsen o a Herbert Hart, rimanendo percio`
nellambito del positivismo ortodosso, sia pure un positivismo non
ingenuo ma, come si dice, critico.
Per Kelsen, ogni attuazione del diritto e` al tempo stesso, in parte,
applicazione vincolata di norme esistenti e, in altra parte, creazione
discrezionale di norme nuove. Nello sviluppo a gradi dellordine
giuridico, il vincolo inizialmente generico derivante dalla costituzione si
fa via via piu` stringente, fino alla determinazione, in tutto e per tutto
vincolante, dellordine contenuto nella sentenza del giudice o nel
provvedimento dellamministrazione. Le norme giuridiche diventano
progressivamente sempre piu` dettagliate e la discrezionalita` dellinterprete viene parallelamente ridotta, fino a scomparire, man mano che dal
vertice dellordinamento ci si avvicina alla sua applicazione al singolo
caso concreto. Il carattere creativo della giurisprudenza, secondo questo modo di vedere, dipende dal linguaggio utilizzato nei diversi gradi
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Nella dottrina di Ronald Dworkin, i principi occupano una posizione centrale [nel punto b), sopra enunciato]. Di essi si afferma
lappartenenza al campo del diritto e, cio` non di meno, anche una
differenza concettuale rispetto alle regole.
Questi due punti sono difficilmente concepibili congiuntamente da
parte dei positivisti delle regole e, in primo luogo, da parte dei filosofi
analitici. Infatti, essi sono portati a negare o luno o laltro. Considerando la formulazione non analitica dei principi un difetto essenziale
rispetto al compito regolativo delle condotte umane che e` proprio del
diritto, alcuni sono disposti come e` accaduto in Italia per vari anni
dopo lentrata in vigore, nel 1948, di una Costituzione ricca di disposizioni di principio a degradarli, se non a pura retorica costituzionale, a mere affermazioni di ideali o di ideologie, influenti forse nel
dibattito politico ma ininfluenti sullattivita` delle Corti. Considerando i
principi come regole imperfette ma assumendo invece limperfezione
come un difetto perdonabile, altri assimilano i principi alle regole, quali
regole che abbracciano un elevato grado di casi e, negando quindi
lesistenza di una differenza concettuale, assoggettano i principi allo
stesso regime delle regole (per esempio, con riguardo allinterpretazione
e alla soluzione dei casi di collisioni).
Si tratta di atteggiamenti liquidatori inaccettabili che, in omaggio a
(4) Sebbene la dottrina di Dworkin sia formulata esplicitamente per contrastare
la dominante dottrina positivistica, in contrapposizione agli assunti di uno dei pr`ncipi
del positivismo contemporaneo, H. Hart, si e` negata la loro inconciliabilita` sostenendo
che esse trattano, in realta`, di cose diverse (C.S. Nino, Dworkin and Legal Positivism, in
Mind, LXXXIX, 1980, p. 519 ss. e B. PASTORE, Dworkin giusnaturalista?, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, LXI, 1, 1984). Con le parole di L. Prieto Sanchs,
Quattro domande sulla teoria del diritto di Dworkin, in Analisi e diritto 1994. Ricerche di
giurisprudenza analitica, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 277 (il quale afferma al contrario
la contraddizione, insieme a G. CARRIOu , Una reciente propuesta de conciliatio n entre el
iusnaturalismo y el positivismo jurdico, in U. SCARPELLI (ed.), La teoria generale del diritto.
Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, Comunita`, Milano, 1983,
pp. 361 ss.): il positivismo sarebbe un approccio descrittivo, che confida di poter
definire le regole duso della parola diritto mediante criteri puramente fattuali; la teoria
interpretativa difesa da Dworkin, al contrario, sarebbe un approccio normativo, impegnato a mettere in luce le chiavi morali e politiche di un sistema giuridico particolare allo
scopo di facilitarne unapplicazione ottimale. Su questa distinzione, che e` unapplicazione di unaltra distinzione cavallo di battaglia del positivismo , quella tra punto
di vista interno al diritto e punto di vista esterno, si dira` qualcosa successivamente,
al 4.
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concezioni ormai anacronistiche, disconoscono una dimensione essenziale e qualificante il diritto attuale, con riferimento alla quale e` stata
perfino coniata lespressione principialismo giuridico, in antitesi a
normativismo classico (L. Prieto Sanchs). Si e` anzi sostenuto che il
diritto per principi soverchia ormai come una necessita` il diritto per
regole, tutte le volte in cui ci si trovi di fronte a casi controversi.
Quando, rispetto a determinate materie scottanti, si scontrano esigenze di regolazione plurali e punti di vista tutti degni di riconoscimento, il diritto per regole non e` idoneo a governare la complessita` e
soccorre il diritto per principi. Non e` casuale il fatto che esso si sviluppi
particolarmente nelle cosiddette societa` pluraliste e rispetto a questioni
in cui si intrecciano diritti, interessi, ideologie e aspirazioni confliggenti,
legittimati dalle odierne costituzioni rigide del pluralismo (questa e`, per
lappunto, la caratteristica fondamentale degli odierni stati costituzionali: una nozione recente, creata in Europa con lintenzione di riflettere queste caratteristiche, di cui qualcosa si dira` in seguito) (5).
3.
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nel 1967 scriveva della tirannia dei valori, intendeva non solo indicare
esangui fantasmi, in lotta per porsi come lunico supremo tiranno, ma
anche denunciare luso illimitato, non mediato da alcun potere oggettivo, di qualsiasi mezzo per (farli) prevalere (6).
Il principio, al contrario, e` un bene iniziale che chiede di realizzarsi
attraverso attivita` conseguenzialmente orientate. Esso ha contenuto
normativo rispetto allazione o al giudizio. Il criterio di validita` dellazione e del giudizio e` la riconducibilita` logica al principio. Lagire e
il giudicare per principi sono intrinsecamente regolati e delimitati dal
principio medesimo di cui sono conseguenza: ex principiis derivationes.
La massima del principio e`: agisci in ogni situazione concreta che ti si
presenta in modo che nella tua azione si trovi allopera un riflesso del
principio stesso. E` come un blocco di ghiaccio che, a contatto con le
circostanze concrete della vita, si spezza in molti frammenti, in ciascuno
dei quali si trova la stessa sostanza del blocco originario. Tra il principio
e lazione ce` un calcolo di adeguatezza nel caso concreto che rende la
seconda prevedibile, almeno nella sua direzione. I principi ben possono
attecchire nello stato di diritto; anzi, la nozione stessa di stato di diritto
e` la sintesi di numerosi principi che esprimono una concezione moderata e razionale dellesistenza individuale e collettiva.
Valore e principio sono dunque nozioni per diversi aspetti antitetiche. Eppure hanno pero` in comune il nucleo: entrambi si riferiscono
a beni, come ad esempio, la persona umana, la vita, la natura, la cultura,
larte, oppure la sicurezza, lespansione economica, il benessere, la
potenza dello stato, la nazione e perfino la razza. Cio` spiega la confusione dei due concetti, luso quasi sempre promiscuo dei due termini e
la critica che spesso viene impropriamente rivolta al secondo (il principio) con argomenti propriamente riferibili al primo (il valore).
Riguardando entrambi beni, anzi spesso gli stessi beni, questi
possono essere incorporati in proposizioni di valore o in proposizioni di
principio, sia pure con formule non coincidenti. I valori (positivi o
negativi) si esprimono attraverso predicati che fanno appello allagire
sentito soggettivamente (buono o cattivo; giusto o ingiusto, utile o
inutile); i principi, attraverso predicati orientati alla prassi che fanno
appello allagire ragionato obbiettivamente (intangibile, inviolabile,
responsabile, punibile, ecc.) e anche in questa differenza espressiva si
(6) I riferimenti contenuti in questo capoverso sono a E. FORSTHOFF, Das Umbildung des Verfassungsgesetzes, in Festschrift fu r Carl Schmitt, 1959, pp. 35 ss.; ID., Zur
Problematik des Verfassungsauslegung, in Beitra ge zum o ffentlichen Recht, Bd. 7, Stutt berlegungen eines Juristen zur Wertgart 1961; C. SCHMITT, Die Tyrannie der Werte. U
Philosophie, Stuttgart 1960, pp. 16 ss.; J. HABERMAS, Faktizita t und Geltung, Suhrkamp,
Frankfurt a. Main, 1992, pp. 309 ss. (trad. it., Fatti e norme, Guerini, Milano, 1996, pp.
302 ss.). Una trattazione dei medesimi temi in J.J. GOMES CANOTILHO, Conctituic a o
dirigente e vinculac a o do legislator. Contributo para a comprensa o das normas constitucionais programa ticas, Coimbra ed., 1982, pp. 279 ss.
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dottrina di Dworkin questo punto cruciale e` messo in risalto e costituisce una spiegazione del successo del diritto per principi.
Le nostre societa` non si accontentano di principi semplici che
possano produrre non problematicamente un diritto per regole. Sono
societa` complesse anche dal punto di vista dei propri postulati morali.
Essi si traducono in assiomi giuridici plurimi e perfino confliggenti. E`
difficile che i principi possano produrre regole unilateralmente ispirate.
Anche se il peso dei singoli ingredienti, per ciascuno di noi, puo`
essere diverso a seconda delle nostre propensioni ideali, tutti (o molti di
noi) vogliamo (o vogliono) una societa` libera, ma anche le riforme
sociali; luguaglianza di fronte alla legge, ma anche luguaglianza rispetto a determinate situazioni di base; quindi norme giuridiche generali ma anche particolari; diritti negativi di protezione contro le interferenze di poteri pubblici e privati, ma anche diritti positivi a
prestazioni di tali poteri; i diritti degli individui, ma anche quelli dei
gruppi; la coscienza con le sue pretese (per esempio, alluso delle risorse
offerte dalla biotecnologia in materia di procreazione assistita, o al
suicidio assistito-eutanasia), ma anche la stabilita` delle strutture sociali
e la protezione dei soggetti deboli; la difesa delle identita` collettive,
come quelle nazionali, ma anche la propensione a integrare senza
distruggere identita` culturali diverse; la protezione di forme di vita
sociale santificate dalla tradizione (anche al di la` della loro ridotta
funzione economico-sociale), come la famiglia, ma anche il riconoscimento di altri modi di convivenza; la valorizzazione delle energie
materiali e spirituali degli individui ma anche la protezione dalla loro
forza distruttrice dei beni collettivi, come quelli naturali; il rigore
nellapplicazione della legge ma anche la pieta` nei confronti delle sue
conseguenze piu` rigide; la responsabilita` individuale nella costruzione
della propria esistenza ma anche lintervento collettivo a sostegno dei
piu` deboli, lordine ma anche la spontaneita` sociali, ecc. ecc. Non credo
che in queste simultaneita` possano vedersi sintomi di disordine morale, come vorrebbero i fautori di unetica pubblica forte per comunita`
umane ben temprate (ad esempio, A. MacIntyre). Ci vedrei piuttosto
linfluenza di una ricca storia millenaria sullo spirito degli individui e
delle societa` che cerca di esprimersi coerentemente nei modi di organizzare la convivenza tra gli esseri umani. In ogni caso, si tratta di dati
di fatto che possono essere rifiutati ideologicamente ma che, se li si
volesse rifiutare anche praticamente, richiederebbero politiche del diritto unilateralmente semplificatrici e percio` autoritarie (10).
I principi giuridici, con la loro flessibile capacita` di interagire tra
loro, adempiono a quella funzione integratrice che le regole, data la loro
logica di reciproca esclusione, non possiedono. Essi sono la forma in cui
(10) Il riferimento e` ad A. MACINTYRE, After Virtue. A Study in Moral Theory
(1981), trad. it., Dopo la virtu`. Saggio di teoria morale, Milano, Feltrinelli2, 1993, 22-23.
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punto del mantenimento del diritto esistente (cio` che, peraltro, puo`
coerentemente giustificare perfino il diritto di resistenza in nome dei
principi, quando siano violati dalle maggioranze politiche). Tuttavia, sul
materiale normativo premono tutti gli altri elementi di cui si e` detto nel
paragrafo precedente, standard di moralita` politica, condizioni normative e situazioni obbiettive di doverosita` sociale. Essi imprimono un
movimento che e` compito non solo della legislazione, ma anche delle
Corti e della scienza giuridica incanalare e rendere costruttivo, come
forza di trasformazione, adattamento, arricchimento e purificazione, del
diritto precedente.
Lintegrita`, secondo Dworkin, esprime la pretesa dei singoli di
essere trattati come soggetti uguali, as equals, come individui degni di
uguale rispetto e considerazione, cioe` si potrebbe dire con altro
linguaggio come soggetti dotati tutti di uguale capacita` giuridica.
Questa nozione di uguaglianza si contrappone a quella di egualitarismo,
che allude alluguale distribuzione di beni collettivi. Nel rigettare la
possibilita` di incorporare nei principi del diritto una simile nozione
materiale di uguaglianza cio` che Dworkin designa come pretesa di
essere trattati (non as equals, ma) equally questa teoria del diritto si
ascrive alla tradizione giuridica liberale. Essa riconosce i diritti umani,
ma nella sola dimensione individuale e come protezione contro larbitrio. Non riconosce, tra i principi dellordine giuridico, i cosiddetti
diritti sociali i quali, mettendo in moto politiche pubbliche per la
diffusione di benessere e di opportunita` tra i soggetti socialmente
sfavoriti (a parte la difficolta` di intendere il bene comune in modo
condiviso), richiederebbero un diritto differenziato, azioni positive e
discriminazioni alla rovescia che comprometterebbero lesigenza giuridica primaria del trattamento di tutti as equals.
Piu` precisamente: il compito di promuovere il benessere sociale, di
produrre beni collettivi e di distribuirli equally e` un compito non
giuridico, ma politico. I poteri delle Corti non devono essere utilizzati
a questi fini. Ai giudici non spetta spendere argomenti di policy ma
distribuire le ragioni e i torti in base ai diritti e agli obblighi, senza
perseguire direttamente fini di utilita` o di giustizia generali; non spetta
cioe` decidere in nome della societa` nel suo insieme, ma solo in nome dei
diritti individuali coinvolti in una controversia tra individui. Inserire
nelle valutazioni dei giudici considerazioni circa il benessere sociale o la
societa` giusta significherebbe infatti piegare i diritti a considerazioni
politiche, cioe`, in sostanza, a subordinare i singoli alle pretese della
collettivita` o alle policies delle maggioranza. Le cosiddette azioni
positive o discriminazioni alla rovescia risultano percio` in linea di
principio sospette e difficili da giustificare perche , per un fine in ipotesi
socialmente buono, violano lesigenza del trattamento di tutti as equals.
Le prese di posizione di Dworkin di fronte alle decisioni della Corte
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Conseguenze e difficolta`.
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lo allontanano dallinterpretazione fedele della legge; dallaltro, garantisce il legislatore contro le tentazioni di un diritto pretorio, creato dal
giudice nei casi concreti. Monopolio interpretativo da un lato; monopolio normativo, dallaltro.
Questo schema puo` essere plausibile, nella sua ingenuita`, per
definire il rapporto tra due poteri in atto: la giurisdizione e la legislazione. Molto di meno quando si tratti della costituzione. Di fronte alla
giurisdizione costituzionale, sempre in atto, la legislazione costituzionale e` uneventualita` eccezionale e sporadica. Lintervento del legislatore costituzionale per contrastare una linea giurisprudenziale costituzionale e` uneventualita` teoricamente prevista e ammessa, in pratica e`
unanomalia. Accade cos` che, a differenza della giurisprudenza ordinaria, la giurisprudenza costituzionale opera normalmente nel vuoto di
contropotere.
Questa situazione di squilibrio ha alimentato idee fantasiose
culminate nel famoso aforisma del giudice Holmes: la costituzione e`
cio` che noi diciamo che sia le quali danno a intendere lonnipotenza
delle corti costituzionali e lequiparazione dellinterpretazione costituzionale alla legislazione costituzionale. Esagerazioni. Almeno per la
Corte costituzionale italiana, quella che in astratto puo` apparire una
quasi totale assenza di limiti si traduce paradossalmente nella percezione della propria fragilita`. Alla forza in teoria, corrisponde la debolezza in pratica. Manca la contro-forza cui potersi appoggiare, con cui
confrontarsi e perfino scontrarsi, manca il contrasto delle opposte
debolezze che, come nellarco a sesto acuto, le rafforza entrambe. Se sai
che puoi essere corretto, agisci con maggiore sicurezza. Il tuo errore
non e` catastrofico ma puo` essere rimediato, e sulla legittimita` del
rimedio puoi essere chiamato di nuovo a pronunciarti.
Le Corti comuni possono rafforzarsi dallinterazione con il legislatore. Le Corti costituzionali si indeboliscono per questa assenza. Le loro
decisioni non sono contestabili sul piano del diritto ma, proprio per
questo, sono esposte a una critica politica continua e corrosiva che le
delegittima come prodotto di arbitrio.
I rischi sono anche maggiori quando la giurisprudenza e` una
giurisprudenza di principio, rimessa dunque allintensa opera ricostruttiva del giudice. Anche sotto questo punto di vista, risultano le
responsabilita` della scientia iuris e i complessi rapporti che esistono tra
questa e la iuris prudentia. Solo radicandosi in essa, nel farsi suo organo,
le giurisdizioni costituzionali possono compensare il deficit di legittimita`
che deriva dalla mancanza di limiti e dalla loro apparente onnipotenza.
La posizione della Corte costituzionale italiana, rispetto alla dottrina
costituzionale, non e`, negli anni presenti, una situazione invidiabile, cio`
che spiega la riluttanza che spesso si avverte, nel farsi della sua
giurisprudenza, una certa riluttanza ad utilizzare apertamente argomenti
di principio.
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esso non farebbe che riproporre i limiti della giurisprudenza per regole
di marca positivistica. La possibilita` di distinzioni, limmissione cioe`
nella costruzione del caso di elementi nuovi cui attribuire rilevanza e
rispetto ai quali invocare nuovi principi di valutazione, e` cio` che
consente alla giurisprudenza di vivere. La condizione decisiva di trasformazione e sviluppo non caotico e distruttivo e` il controllo di questa
immissione. Se essa non si riduce allarbitrio del giudice del caso
concreto e` solo perche su di esso agiscono fattori giuridico-culturali di
cui egli e` imbevuto. Infatti, come meglio si potrebbe definire la cultura
di un popolo se non come i criteri di selezione di cio` che e` ritenuto
rilevante e irrilevante nella vita collettiva? Il custode di questi criteri e`
la scienza giuridica i cui compiti e la cui responsabilita`, per la terza
volta, sono chiamati in causa come condizione per il buon funzionamento di un diritto per principi.
9.
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BARTOLOME
u CLAVERO
EL COMU
u N Y NO SU DOBLE
(a propo sito de Pasado y Presente de los comunales y de lo comunitario (1))
1. Sospechas fundadas de costumbre. 2. Evidencias sumarias de economa. 3.
Rostro y grueso del comu n. 4. Ayllu qaman a. 5. Pasado y presente.
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Comencemos por doctrina jurdica histo rica, pues es con ella como
arrancan las actas. E stas no voy a seguirlas en toda su extensio n de
forma pedisecua, pero a este pie de la letra comienzo porque ofrece
realmente un buen arranque. Introduce por s y tambie n por contraste,
por un testimonio de complejidad al cabo. De entrada se nos habla de
bienes municipales en cuanto que comunales. Es la ecuacio n de la que
se parte. Respecto a los mismos, se nos muestra co mo la doctrina de los
siglos XVI y XVII en el a mbito hispano abrigaba y expona un principio
claro. Se tenan tales bienes por dominio del monarca al servicio de la
dotacio n de los pueblos. Era principio de jurisdiccio n, mas con vertiente dominical. El prncipe contaba con intencio n fundada, esto es
con ttulo presunto sin carga as de prueba, respecto a todo dominio
pu blico, correspondie ndole al comu n lo propio dentro de su te rmino
por privilegio regio y no en principio por otro derecho. La regla ha de
complementarse de un modo que implica quiebra al introducirse la
costumbre a los efectos no so lo de re gimen, sino tambie n de ttulo.
Hace as por la puerta abierta su entrada la complejidad. Con dicho
valor consuetudinario agregado o tal vez precedente, el tiempo inmemorial en el dominio comunal vena a equivaler a privilegio regio, con
lo que e ste llegaba a ser prescindible o resultar incluso ma s bien
superpuesto a un firme establecido entonces por la costumbre. El uso
comunitario, y no el privilegio poltico, va a ser precisamente la
evidencia histo rica que se desprende de la mayora de las ponencias (3).
Partamos entonces de la complejidad resultante. No hay un principio que la unifique o ni siquiera que la centre. Si no lo haba del
dominio poltico, tampoco se le tena por virtud del ma s estrictamente
propietario. No exista un derecho de propiedad individual respecto al
que se contrapusiera o frente al que se cualificase otro de cara cter
colectivo. Tal otro principio tampoco se daba. El mejor testimonio se
(2) S. DE DIOS, J. INFANTE, R. ROBLEDO Y E. TORIJANO, Presentacio n, p 10, en Bienes
comunales, pasado y presente, pp. 9-12. Cito por el subttulo pues es el que distingue. Las
ponencias del Primer Encuentro, que en 1998 abordo el asunto en unos te rminos ma s
generales de recorrido histo rico, se han publicado debidamente en 1999. En 2002 se ha
celebrado el Tercer Encuentro, e ste dedicado a Patrimonio Cultural, actas en prensa. En
cuanto al par de publicaciones que acompan an, ya esta anunciado.
(3) S. DE DIOS, Doctrina castellana sobre adquisicio n y enajenacio n de los bienes de
las ciudades, 1480-1640, en Bienes comunales, pasado y presente, pp. 13-79. En la
exclusio n relativa del pie de la letra se comprende tambie n el del ndice, pues no procedo
a la resen a completa, trabajo por trabajo, de un volumen que, por colectivo, ha de
resultar forzosamente desigual.
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De esta misma premisa poda depender por entonces, antes del siglo
XIX, la propia legitimidad del municipio local. El conjunto de pra cticas creado en torno al sistema comunitario resulto asimismo crucial
para que los distintos vecindarios reconocieran a sus consejos como
organizaciones comunitarias, identificando en el ayuntamiento recursos
interpretativos y consolidando las lealtades de sus poblaciones (17).
El municipio como criatura del re gimen local de Estado se bastara
para hacer incomprensible hacia el exterior de la comunidad toda
aquella lo gica. Su resistencia contempora nea bajo tales condiciones sera
fuertemente expresiva de una consistencia histo rica difcil ahora de
apreciar. Como de la ley de Estado sera caracterstica la escritura, de la
costumbre de comunidad poda serlo la oralidad. Desde uno de estos
mundos no resulta el otro muy visible ni, au n menos, inteligible.
Tampoco presumamos que existiese una especie de progreso ineluctable desde lo oral hacia lo escrito consumado durante la edad moderna
para beneficio final de la pra ctica de Estado. Ma s bien al contrario,
pudo darse un proceso desformalizador a trave s del cual la oralidad
acabo siendo crucial para el registro de los intercambios que se efectuaron en la comunidad entre los siglos XVII y XVIII, con su
consecuencia palmaria para en trabajo de la historiografa: Esta recuperacio n de lo oral limita dra sticamente cualquier estudio de las
transacciones acaecidas en las comunidades rurales de entonces (18).
4.
Ayllu qaman a.
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comunitaria y en concreto la del ayllu. Las comunidades no municipalizadas o no doblegadas a municipio despliegan tambie n la iniciativa de
concebir y proponer posibilidades constitutivas de sociedades incluyentes desde sus propias perspectivas. Selecciono una muestra de literatura
que as contempla para el comu n de modo expreso no so lo un pasado
y un presente, sino tambie n un futuro. Comienza mostrando una
representacio n de geografa poltica distinta a la de los Estados (22).
Ayllu qaman a significa desarrollo comunitario desde la perspectiva
de comunidades aymaras y quechuas que se mantienen vivas como tales,
como colectividades no so lo aplicadas a recursos agrarios. Mas la tierra
es la base. Lo es un re gimen de comunidad complejo con experiencia y
capacidad para el aprovechamiento complementario de pisos ecolo gicos
a variadas alturas conforme al propio medio natural. Toda una cultura
tanto material como espiritual constituye y activa comunidad. Entre el
siglo XVI y los albores del XXI, ni el colonialismo hispano ni el Estado
boliviano han sido para plantear o ni siquiera para concebir alternativas
plausibles a este comunitarismo andino. Entre la ignorancia, la prepotencia y el hostigamiento de parte ajena, la resistencia, la reserva y el
acomodo de la propia, transcurre una larga historia tambie n para las
comunidades. Lo que ahora puede mayormente interesarnos es que, aun
con todo el deterioro sufrido y con todo el acoso continuo, se sienten y
encuentran en condiciones de concebir y plantear sus propios proyectos
de desarrollo comunitario no so lo econo mico, sino ma s integral (23).
Ve anse motivaciones en castellano del acuerdo comunitario reconstitutivo de un ayllu en 1999 mirando a un horizonte igualmente
reintegrador de marka y de suyu como niveles progresivamente amplificadores de comunidades tras periodos todo esto de intentos empen ados por impulso o con respaldo del Estado, o tambie n de instituciones
internacionales, ya de cooperativizacio n agraria, ya de corporativizacio n
(22) S. YAMPARA HUARACHI, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, portada que
reproduce una imagen todava viva del Tawantinsuyu o comunidad previa y resistente al
colonialismo europeo y a los Estados andinos.
(23) S. YAMPARA HUARACHI, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, pp. 50 (ayllu
qaman a, organizacio n para el bien vivir), 141 (qaman a, vivir bien en armona con todos
y entre todos),149 (qaman a es aproximadamente igual a la sumatoria del crecimiento
material, ma s crecimiento biolo gico, ma s el crecimiento espiritual, ma s el gobierno de los
ecosistemas) y 161-165 (Glosario aymara con el concepto compuesto de ayllu qaman a:
Organizacio n de la vida en el Ayllu y a partir del mismo). Es libro tambie n con
epgrafes expresivos: Jacha Champi uraqipampi qamawir sartata - Ejercicio territorial del
Ayllu (pp. 105-122); Ayllu qamawiru kuttan a - Refuncionalizacio n del Ayllu (pp. 123142), ma s las debidas Tuktaya - Conclusiones (pp. 143-157), retomando cuestiones de
entrada: Ayllunak Markanakan uraqxpata yatxatan a - Territorialidad andina y su conceptualizacio n (pp. 53-69). Personalmente, con la asistencia de inte rpretes, he participado en
reuniones de representantes de ayllus y markas, como agregaciones e stas de aquellos (S.
Yampara Huarachi, El Ayllu y la territorialidad en los Andes, pp. 151-153), trata ndose
la dimensio n constitucional del desarrollo comunitario en tales te rminos constitutivos,
valga la aparente redundancia.
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Pasado y presente.
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MARIA ZANICHELLI
1.
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Sebbene non esista unautentica tradizione di europeismo autocosciente (19), e` possibile individuare i lineamenti essenziali di unidea di Europa, che si e` manifestata e realizzata variamente nel corso
della storia. LEuropa ha una propria identita` che si presenta come
inconfondibile nei suoi caratteri salienti, eppure nello stesso tempo
cangiante e difficile da delineare nettamente: la sua specificita` consiste
soprattutto nella tensione fra componenti diverse, talora conflittuali. Da
tale peculiarita` deriva la vera sfida posta dalla fase attuale dellintegrazione. Essa potra` proseguire soltanto se i popoli europei sapranno
trovare ragioni piu` profonde, non puramente strumentali, di aggrega(16) DAHRENDORF, Perche lEuropa? Riflessioni di un europeista scettico cit., p. 19.
(17) J. HABERMAS, Dopo lutopia (1991), a cura di W. PRIVITERA, Venezia 1992, pp.
47 sgg.
(18) Assume un valore particolarmente significativo oggi laffermazione (fatta da
Habermas a proposito della Germania) secondo cui ununificazione politica non puo`
essere vissuta soltanto come prodotto residuale della creazione a tappe forzate di una
zona valutaria allargata (ivi, p. 53). Questo, riguardo allUnione europea, e` il nodo che
nessuna prospettiva puramente funzionalista e` in grado di sciogliere. Doveva riconoscerlo lo stesso Jean Monnet quando affermava: Si javais su, jaurais commence par la
culture.
(19) V. HAVEL, Preface, in A Soul for Europe cit., voll. 1-2, p. XIII.
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del dibattito sul futuro dellEuropa, e dargli una soluzione, non si tratta
pero` semplicemente di definire in modo piu` netto unidentita` politica
degli Europei preservando invece il pluralismo e la molteplicita` sul
piano culturale; occorre anche, in piu`, non tradire e non snaturare
loriginalita` della polity europea. I due versanti, del resto, sarebbero
difficilmente separabili: la diversita` culturale, e` stato detto, ha trovato
nellUnione europea una struttura politica ideale (41). E qualunque
scelta miri a unificare e a rendere piu` centripeto il policy making
dellUnione non puo` soffocare questa felice strategia di integrazione
senza omologazione, se non vuole privare lEuropa di una risorsa
insostituibile, che appartiene innegabilmente alla sua identita`. Anche
per questo la forma auspicabile per una futura unione politica non e`
quella di una nuova grande nazione: lobiettivo dovrebbe essere
piuttosto quello di unEuropa che riesca a tenere insieme i propri
frammenti (42).
3.
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di un corpo politico consiste anche di elementi ulteriori (storici, comunicativi), che toccano le ragioni stesse dellappartenenza degli individui
alla comunita`: essa e`, secondo la definizione di Cerutti, linsieme delle
immagini del mondo, dei valori e dei principi che noi riconosciamo
come nostri: nel condividerli sentiamo di essere noi (47).
Gli atti con cui un gruppo definisce la propria identita` non si
riducono a mera descrizione del presente, ne allacquisizione di
uneredita` o alla ricerca di radici originarie, ma hanno in se una
componente normativa e progettuale, rivolta al futuro: il gruppo si
forma unimmagine di se anzitutto individuando mete prioritarie e
principi regolativi che orientino il proprio agire (48). Lidentita` pertanto, per le comunita` come per gli individui, non e` semplicemente
loggetto immodificabile di una scoperta, bens` e` soprattutto il risultato di un processo di scelta, in cui il ragionamento gioca un ruolo
essenziale (49). Per questo essa e` suscettibile di continue riformulazioni,
e anzi la possibilita` di ridefinirne gli elementi costitutivi in funzione di
mutamenti storici e culturali e` garantita in particolare nelle democrazie
liberali (50). Una comunita`, infatti, non e` libera di scegliere le proprie
radici, ma puo` decidere a quali tradizioni dare seguito e a quali no: le
discussioni pubbliche in cui si selezionano le tradizioni che meritano di
essere sviluppate rientrano in quei discorsi di autochiarimento che
Habermas considera un aspetto fondamentale della vita politica, e una
via obbligata per la definizione dellidentita` di un gruppo (51).
In questa prospettiva si chiarisce anche il ruolo comunemente
unidentita` che preceda il nostro essere nella societa` (ivi, p. 51). Sul rapporto tra
formazione dellidentita` e processi di socializzazione cfr. in particolare HABERMAS, Lotta
di riconoscimento nello stato democratico di diritto cit., pp. 70, 88.
(47) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
p. 4. Per questa ragione, ha precisato lo stesso Cerutti, lidentita` politica non puo` ridursi
ad una formula normativa quale quella rawlsiana (F. CERUTTI, Identita` e politica, in ID.,
Identita` e politica, Roma-Bari 1996, pp. 14 sgg.).
(48) Ivi, p. 7; ID., Identita` politiche e conflitti. Definizioni a confronto cit., p. 20.
(49) Questa tesi e` argomentata in modo particolarmente efficace da A. SEN, La
ragione prima dellidentita` (1999), in ID., La ricchezza della ragione. Denaro, valori,
identita`, trad. di G.M. Mazzanti, Bologna 2000, pp. 3-29.
(50) CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An Introduction cit.,
pp. 5-6.
(51) HABERMAS, Lotta di riconoscimento nello stato democratico di diritto cit., p. 83.
Esiste dunque un legame necessario tra identita` e riconoscimento, ma parallelamente
anche tra identita` e conflitto. La filosofia politica e morale contemporanea ha recuperato
e variamente rielaborato lassunto hegeliano secondo cui lidentita` ha inevitabilmente
una dimensione intersoggettiva, e si costruisce sempre in modo dialettico, attraverso
forme di negoziazione miranti a ottenere il riconoscimento: oltre ad Habermas, cfr., tra
gli altri, Ch. TAYLOR, Il disagio della modernita` (1991), trad. di G. Ferrara Degli Uberti,
Roma-Bari 2002, pp. 39 sgg.; ID., Multiculturalismo. La politica del riconoscimento
(1992), trad. di G. Rigamonti, Milano 1993; A. HONNETH, Lotta per il riconoscimento.
Proposte per unetica del conflitto (1992), trad. di C. Sandrelli, Milano 2002, pp. 85-86,
93-103.
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(52) La memoria della guerra, per esempio, e` uno degli elementi che uniscono
i popoli dellEuropa (CERUTTI, Towards the Political Identity of the Europeans. An
Introduction cit., p. 12). Lintegrazione tuttavia e` possibile non soltanto fra gruppi che
hanno memoria di unita` in guerra, ma anche che hanno lottato, sofferto, cercato la pace
su fronti opposti (ID., Peace and War in the European Conscience, in A Soul for Europe,
cit., vol. 1, p. 113). Secondo Cerutti peraltro e` lesistenza di simboli comuni, piu` che
di miti, a poter offrire un sostegno allidentita` tramite la memoria. Sul mito come
veicolo di energie simboliche ed emozionali, capaci di dare senso alla vita di una
comunita` e di costituire unidentita` politica, cfr. invece B. HENRY, Political Identity as
Myth?, ivi, cit., vol. 2, pp. 65-69.
(53) E. RENAN, Quest-ce quune nation?, in ID., Oeuvres comple`tes, Paris 19471962, vol. I, p. 892: Or lessence dune nation est que tous les individus aient beaucoup
de choses en commun, et aussi que tous aient oublie bien de choses.
(54) Piu` che una memoria collettiva immutabile, si dovrebbe assicurare in Europa
la possibilita` di resoconti diversi degli stessi eventi, attraverso quello che Ricoeur,
proprio pensando allidentita` europea, ha definito il modello dello scambio delle
memorie (RICOEUR, Quel e thos nouveau pour lEurope? cit., pp. 107-116).
(55) V.E. PARSI, Introduzione, in ID. (a cura di), Cittadinanza e identita` costituzionale europea, Bologna 2001, pp, 18 sgg. Limportanza dellindividuazione dialogata di
valori e progetti condivisi che avviene nei dibattiti costituenti e` sottolineata da CERUTTI,
Identita` politiche e conflitti. Definizioni a confronto cit., p. 22.
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cercare soluzioni nuove significa, per lEuropa, anche diventare cio` che
e`: non smarrire le conquiste della democrazia costituzionale che hanno
arricchito lesperienza storica dei suoi Stati, e innestarle in un contesto
piu` ampio, pur senza fare dellUnione la riedizione dello Stato nazionale
a dimensioni allargate.
Per questo governi, parlamenti, la stessa nazione in quanto
categoria culturale, conservano importanti funzioni. La dialettica complessa che il processo europeo instaura tra le competenze dellUnione e
il ruolo degli Stati membri tema che nei primi decenni dellintegrazione era stato al centro del dibattito fra le Corti costituzionali nazionali
e la Corte di giustizia di Lussemburgo sembra mantenere un certo
rilievo anche nel disegno della futura Europa. Non lannullamento degli
Stati, dunque, ma la ricerca di nuove forme di equilibrio fra istituzioni
statali e Unione, e fra gli Stati entro lUnione. Il modello di pluralismo
istituzionale, suggerito nel 1993 dalla celebre sentenza del Tribunale
costituzionale tedesco sul Trattato di Maastricht, puo` costituire ancor
oggi uno strumento di riflessione (63).
Non a caso i temi della sussidiarieta` e del ruolo dei parlamenti
nazionali nellUnione sono oggetto attualmente dei lavori della Convenzione europea; e il Progetto preliminare di Trattato costituzionale,
redatto dal Praesidium della Convenzione e presentato il 28 ottobre
2002, si apre con una disposizione che riconosce il pluralismo dellUnione e definisce lUnione come Unione di Stati europei che
mantengono la loro identita` nazionale, coordinando le loro politiche
a livello europeo e gestendo, sul modello federale, alcune competenze
comuni (art. 1) (64). Si tratta, in effetti, di un problema tipicamente
costituzionale: non soltanto perche coinvolge lorganizzazione dei
poteri e la ripartizione delle competenze, ma soprattutto perche riguarda lidentita` e la legittimita` di un nuovo soggetto politico, e quindi
(63) Bundesverfassungsgericht, sentenza 12 ottobre 1993, cause 2 BVG 2134/92 e
2 BVG 2159/92. Su questo significato del Maastricht-Urteil cfr. M. CARTABIA, Il pluralismo istituzionale come forma della democrazia sovranazionale, in Politica del diritto,
1994, pp. 203-227. In questa linea il multiversum politico e` stato indicato come forma
istituzionale auspicabile per il futuro prossimo dellEuropa (G. MARRAMAO, LEuropa
dopo il Leviatano. Tecnica, politica, costituzione, in BONACCHI (a cura di), Una Costituzione senza Stato cit., pp. 139 sgg.). Sul tema cfr. anche SCODITTI, La costituzione senza
popolo. Unione europea e nazioni cit., pp. 57-63.
(64) CONV 369/02 (per il testo del Progetto cfr. http://european-convention.
eu.int). Il tema della ripartizione di competenze fra Unione e Stati membri e` tornato di
estrema attualita` anche nella riflessione scientifica, e proprio in relazione alla crisi di legittimita` dellUnione. Cfr. J.H.H. WEILER, LUnione e gli Stati membri: competenze e sovranita`, in Quaderni costituzionali 2000, pp. 5-14; L.M. DuIEZ-PICAZO, What does it mean
to be a State within the European Union?, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2002, pp. 651-671; A. VON BOGDANDY, J. BAST, The European Unions Vertical
Order of Competences: the Current Law and Proposals for its Reform, in Common Market
Law Review, 2002, pp. 227-268.
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anche i fini che lEuropa deve darsi, e lanima a cui essa non puo`
rinunciare.
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diritti come fonte autonoma di legittimazione nel caso specifico dellUnione europea: qui infatti, in assenza di una cultura politica diffusa
che faccia da sfondo alle pratiche regolative, difficilmente potrebbe
stabilirsi quel nesso interno fra diritti e sovranita` popolare, autonomia
privata e autonomia pubblica, che per Habermas e` il presupposto della
capacita` fondativa dei diritti. La centralita` assicurata ai diritti, pertanto, non appare sufficiente di per se a garantire la legittimita` dei
processi decisionali nellUnione. Ai diritti non si puo` assegnare una
funzione sostitutiva rispetto alla politica; e lunita` della storia istituzionale europea, e` stato detto, puo` essere in effetti rappresentata meglio,
o piu` fedelmente, con la centralita` del politico che con la priorita` dei
diritti (78). Del resto, se e` vero che il rispetto dei diritti e` il nucleo
essenziale intorno al quale si sono aggregate nella storia europea le
diverse identita` nazionali, esso costituisce pero` anche un elemento di
differenziazione tra le singole comunita` politiche di riferimento: ciascuna di esse, rispetto ad uno standard di salvaguardia universalmente
condiviso, tutela i diritti secondo modalita` particolari, espressione di
visioni e concezioni altrettanto particolari (79). Peraltro e` stato messo in
dubbio che la promozione dei diritti umani possa essere intesa in se
come la raison de tre dellUnione e lasse del suo sistema giuridico (80).
I diritti non sembrano dunque un fattore assolutamente decisivo
rispetto alla questione della legittimita`: resta pertanto irrisolto il problema di come legittimare istituzioni dotate di competenze sempre
(78) PALOMBELLA, Tradizioni, politica e innovazione nel nuovo ordine europeo cit.,
p. 7. La priorita` dei diritti, secondo Palombella, rappresenta certamente una conquista
degli ordinamenti europei, ma non puo` sradicarsi completamente dalla tradizione
politico-parlamentare altrettanto tipica dellEuropa. Una concezione puramente giuridica dei diritti, che si illudesse di sostituire al potere il diritto, abolendo il sistema delle
sovranita` in nome di un ordine fondato sullastratta razionalita` di diritti universali,
sarebbe in contrasto con tutta la tradizione istituzionale e culturale europea, incentrata
piuttosto sulle nozioni di volonta` politica, supremazia dellinteresse pubblico, priorita`
della legge, centralita` del parlamentarismo (ivi, pp. 6-7, 31-35). Cfr. anche ID., Lautorita`
dei diritti. I diritti fondamentali tra istituzioni e norme, Roma-Bari 2002, pp. 136-141.
(79) WEILER, Diritti umani, costituzionalismo e integrazione: iconografia e feticismo
cit., pp. XXIV-XXXII; ID., Fundamental Rights and Fundamental Boundaries: on the
Conflict of Standards and Values in the Protection of Human Rights in the European Legal
Space, in ID., The Constitution of Europe cit., pp. 102-129. Come e` stato detto, nella storia
europea i diritti, strappati al cielo giusnaturalistico dal Prometeo rivoluzionario, hanno
seguito un percorso che li ha portati ad assumere una tensione progettuale, una capacita`
di incidere sullordine esistente entro contesti delimitati da precise coordinate spaziali,
sociali, politico-istituzionali (P. COSTA, La cittadinanza fra Stati nazionali e ordine
giuridico europeo: una comparazione diacronica, in BONACCHI (a cura di), Una Costituzione
senza Stato cit., pp. 317-318).
(80) A. VON BOGDANDY, The European Union as a Human Rights Organization?
Human Rights and the Core of the European Union, in Common Market Law Review,
37, 2000, pp. 1337-1338. Per Bogdandy le perplessita` suscitate in generale da uneccessiva proliferazione dei diritti umani e del discorso sui diritti umani sono confermate a
maggior ragione nel caso dellUnione europea.
939
LETTURE
940
LETTURE
941
LETTURE
942
LETTURE
Libro Bianco sulla Governance europea del 25 luglio 2001 (COM 428, cfr.
http://europa.eu.int/comm/governance/white-paper/index-en.htm) la Commissione europea ha sottolineato esplicitamente linterazione tra lefficacia dellazione internazionale
dellUnione e la sua legittimazione rispetto ai cittadini europei. Sulle responsabilita` dellUnione europea come attore globale nel quadro di un nuovo multilateralismo cfr. TELOv ,
Linterde pendance entre la gouvernance europe enne et la gouvernance globale cit., pp. 21-25.
(94) A questo riguardo LUCIANI, Legalita` e legittimita` nel processo di integrazione
europea cit., p. 86, osserva che sarebbe unillusione pericolosa costruire una forma di
unita` politica allinsaputa dei cittadini.
Ragguagli fiorentini
ATTIVITA
v DEL CENTRO DI STUDI
PER LA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO MODERNO
NELLANNO ACCADEMICO 2001-2002
Sono stati graditi ospiti del Centro di studi per la storia del
pensiero giuridico moderno per un soggiorno di studio il prof. dr.
Mariano PESET REIG (della Universidad de Valencia), la Lic.a Alba
DE PAZ GONZALEZ (della Universidad de Sevilla), il Lic. Ramon
NARVAEZ (della Universidad Nacional Autonoma de Mexico).
Durante il 2002 sono stati pubblicati i due tomi del volume 30o
dei Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, nei quali si segnalano saggi di VASOLI, DUSO, CLAVERO, DILCHER,
NAPOLI, PASQUALUCCI, COLAO, MECCARELLI, MANNONI, GROSSI, JANNARELLI, KUEHN, NARVAEZ. Nonche
note critiche di Cazzetta, Lorente,
Cappellini, Grossi, Bortoluzzi, Canale, Caroni, M. Cattaneo, Cianferotti, De Francesco, Halpe rin, Modugno, DAlessandro, Sabbioneti, Volante.
Durante lanno 2002 sono stati pubblicati nella Biblioteca del
Centro: Codici Una riflessione di fine millennio Atti dellIncontro di studio Firenze, 26/28 ottobre 2000; Pietro COSTA,
Iurisdictio Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433). Ristampa.
Indice
pag.
PIETRO COSTA, Pagina introduttiva. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MODELLI E DIMENSIONI
MARIA ROSARIA FERRARESE, Il diritto europeo nella globalizzazione: fra terra e mare.
11
39
LA DIMENSIONE GIURIDICA
ANTONIO PADOA SCHIOPPA, Note su ordine giuridico europeo e identita` europea in
prospettiva storico-costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
61
77
109
141
CORRADO MALANDRINO, Sovranita` nazionale e pensiero critico federalista. DallEuropa degli stati allunione federale possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . .
169
245
273
299
349
381
UGO MATTEI, Miraggi transatlantici. Fonti e modelli nel diritto privato dellEuropa
colonizzata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
401
FIGURE DELLESPERIENZA
SILVANA SCIARRA, Di fronte allEuropa. Passato e presente del diritto del lavoro . .
427
461
948
(2001)
577
605
639
653
781
801
LETTURE
M. LORENTE SARINx ENA, La voz del Estado. La publicacio n de las normas (1810-1889)
(J. Vallejo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
821
829
832
853
A PROPOSITO DI ...
GUSTAVO ZAGREBELSKY, Diritto per: valori, principi o regole? (a proposito della
dottrina dei principi di Ronald Dworkin) . . . . . . . . . . . . . . . . . .
865
899
917
RAGGUAGLI FIORENTINI
Attivita` del Centro di Studi per la Storia del Pensiero Giuridico Moderno
nellanno accademico 2001/2002. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
945
950
(2001)
Ugo MATTEI
Prof. Ordinario di Diritto civile - Universita` di Torino
Silvana SCIARRA
Prof. Ordinario di Diritto del lavoro - Universita` di Firenze
Alessandro BERNARDI
Prof. Straordinario di Diritto penale - Universita` di Ferrara
Bernardo SORDI
Prof. Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno - Universita` di Firenze
Knut Wolfgang NO
} RR
Professor fu r Privatrechtsgeschichte, Kirchenrecht, Bu rgerliches Recht - Universita t Tu bingen
Stefano MANNONI
Prof. Straordinario di Storia delle costituzioni moderne - Universita` di Firenze
Bartolome CLAVERO
Catedra`tico de Historia del derecho - Universidad de Sevilla
Gaetano RAMETTA
Ricercatore di Storia della filosofia - Universita` di Padova
Richard HYLAND
Distinguished Professor, Rutgers School of Law, Camden, New Jersey
Jesu s VALLEJO
Profesor Titular de Historia del Derecho y de las Instituciones - Universidad de Sevilla
Vito PIERGIOVANNI
Prof. Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno - Universita` di Genova
Jose Mara VALLEJO GARCIuA-HEVIA
Profesor Titular de Historia del Derecho y de las Instituciones - Universidad Complutense
de Madrid
Giulio ITZCOVICH
Dottorando di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali - Universita` di Pisa
Gustavo ZAGREBELSKY
V. Presidente della Corte Costituzionale, prof. Ordinario di Diritto costituzionale Universita` di Torino
Maria ZANICHELLI
Assegnista di ricerca in Filosofia del Diritto - Universita` di Parma