Mino Bergamo - La Scienza Dei Santi
Mino Bergamo - La Scienza Dei Santi
Mino Bergamo - La Scienza Dei Santi
net
MINO BERGAMO
N.B.: La numerazione di pagina dell'originale cartaceo riportata all'interno del presente testo elet-
tronico in grassetto e tra [ ].
Ripresentiamo, a trent'anni dalla sua pubblicazione, questo magnifico studio. L'Autore, scomparso a
soli 34 anni in circostanze drammatiche - mor il 3 maggio 1991 per il morso di un pesce velenoso
durante una battuta di pesca subacquea in Indocina - era uno studioso di grande impegno, ricercato-
re scientifico e docente presso l'Universit di Udine prima e successivamente presso l'Ecole des
Hautes Etudes di Parigi. Si era distinto per l'acutezza delle sue indagini nell'ambito del Seicento
francese e, in particolare, del filone mistico da Francesco di Sales a Fnelon, su cui appunto scrisse
questo suo primo saggio.
Il CURATORE di http://lamelagrana.net.
2
A Sophie
3
PREMESSA
Uno degli aspetti pi rilevanti - e meno studiati - della cultura europea del XVII secolo, senza
dubbio l'alto sviluppo raggiunto, in area francese, dalla spiritualit cristiana di appartenenza cat-
tolica e di matrice controriformistica. Come aveva benvisto Henri Bremond, il carattere essenziale
di questa spiritualit una spiccata, insistente tendenza al misticismo. Beninteso, questa tendenza
non si presenta, socialmente e cronologicamente, come un blocco omogeneo. In primo luogo, lungi
dal propagarsi in modo uniforme attraverso il corpo sociale, il misticismo obbedisce a una precisa
topografia socioeconomica: esso riguarda soprattutto, a quanto sembra, le regioni e le categorie in
via di marginalizzazione, le classi sociali pi sfavorite dal nuovo corso della storia. In secondo
luogo, la frequenza delle sue manifestazioni diacroniche pu essere rappresentata come una curva,
la cui fase ascendente si situa nella prima met del secolo, e la cui fase discendente ha inizio nel
decennio 1650-1660. Si pu ben dire comunque, al di l di queste restrizioni, che il misticismo co-
stituisce una componente non secondaria, bench sotto molti aspetti extrasistematica, della cultura
francese secentesca: la Francia del XVII secolo mistica, come lo erano state la Spagna del XVI e
la Germania del XIV. Nulla di strano, dunque, che proprio sul suo territorio, e proprio in quest'ar-
co di tempo, l'esperienza mistica abbia potuto codificarsi in una scienza vera e propria - quella che
si chiamava allora, indifferentemente, la science mystique o la science des saints. [VII]
Nei quattro studi raccolti in questo libro, abbiamo tentato di portare alla luce alcuni elementi di
questa merveilleuse science, o, pi precisamente, del particolare discorso che si organizza attorno
ad essa. Abbiamo trattato cos, di volta in volta, della capacit generativa assegnabile a un certo
tema (la perdita di s) nell'ambito di tale discorso (capitolo I); delle pratiche intertestuali in esso
operanti (capitolo II); del linguaggio delle relazioni spaziali da esso articolato (capitolo III); dei
vari tipi di rapporti (ideologici, strutturali, strategici) che esso intrattiene con il contesto culturale
in cui si trova inserito (capitolo IV). Naturalmente, le indagini che abbiamo svolto non hanno alcu-
na pretesa di esaustivit: ci siamo limitati a sollevare quei problemi che ci sembravano essere di
maggior interesse e pertinenza per il campo - che il nostro - dell'analisi testuale. Abbiamo cerca-
to inoltre di restringere il pi possibile il corpus di scritti preso in esame, in modo che il nostro la-
voro contribuisse anzitutto alla conoscenza critica di un gruppo di testi privilegiati - quelli che a-
mavamo di pi, quelli che pi meritavano di essere amati. cos che questo libro costituisce, ancor
prima che un'indagine sul discorso mistico - e ancor pi di una riflessione sulle strutture del di-
scorso a partire da un'analisi del discorso mistico - una lunga e appassionata lettura delle opere di
Jean-Joseph Surin - il pi grande, e il pi dimenticato, dei contemplativi secenteschi. [VIII]
4
ww.lamelagrana.net
I
LA PASSIONE DELLA PERDITA
ww.lamelagrana.net
Da molto tempo, ormai, la storia delle idee ha spostato il proprio oggetto dallo spazio ben defini-
to, dai contorni chiaramente disegnati, dei 'sistemi' - ideologici, filosofici o scientifici - al terreno
incerto, dai margini quasi impercettibili, delle 'mentalit' - spazio in cui i diversi sistemi sembrano
perdere la loro unit individuale e aggregarsi in una nuova unit, pi mobile e pi vasta. Mostrando
dunque come proprio su questo suolo friabile, ad un tempo pi indeterminato e pi omogeneo, si
radichino le configurazioni di superficie - opere individuali, grandi correnti di pensiero, discipline -
la storia delle idee le priva della loro compattezza apparente e della loro apparente irriducibilit. Il
corso lento, ambiguo e uniforme, delle mentalit, rappresenta insomma, per gli storici contempora-
nei (penso soprattutto all'cole des Annales) un vero punto di rifusione dei dati di partenza a cui si
trovano confrontati.
Questo rinnovamento, ormai generale, ha curiosamente risparmiato la storia del pensiero religio-
so. In questo campo, le unit abitualmente descritte dagli storici (e descritte nella loro falsa eviden-
za, accettate senza essere sottoposte a una critica preliminare sufficientemente severa) sono, ancor
oggi, quelle della 'scuola' o della 'dottrina' - correnti o sistemi di pensiero che l'analisi s'incarica di
restituire nella loro (supposta) coerenza1.
La ricerca che intraprendo parte da presupposti molto diversi - quelli stessi, precisamente, che il
rinnovamento della storia delle idee nell'ambito dell'cole des Annales ha consacrato. Quei mede-
simi presupposti, dunque, ma inscritti, a dire il vero, in una [3] nuova strategia. Non si tratter pi,
infatti, di portare alla luce, sotto la dispersione dei discorsi, il suolo incerto ma uniforme delle men-
talit, di scoprire il loro lento flusso, scandito soltanto da rare fratture secolari. Ma di condurre un'a-
nalisi specifica dell'universo del discorso, a partire dal punto preciso in cui la storia delle mentalit
lo surdetermina. Chiameremo tema il fattore che opera questa surdeterminazione, la funzione-limite
che rappresenta, a livello di una dispersione di discorsi, di una molteplicit di dottrine, di una varie-
t di sistemi di pensiero, la presenza e la pregnanza dell'archi-strato di una mentalit. Cercher di
stabilire, nella mia ricerca: a) se la pleiade di dottrine che popola la spiritualit di un'epoca (o alme-
no una sua fascia rilevante) pu essere ricondotta all'unit di un tema e descritta a partire da esso; b)
se la panoplia di differenze che separa quelle dottrine, pu essere analizzata come un ventaglio di
diramazioni di una sola matrice tematica. Fin d'ora puntando su una soluzione affermativa, e dun-
que volgendo il problema in scommessa, premetto che la mia analisi mirer a far apparire qualcosa
come un reticolo, o un circuito, in cui ad ogni canale di circolazione, ad ogni livello d'inscrizione di
una matrice tematica, corrisponda un atomo di discorso, un cristallo di dottrina.
Il tema che mi propongo di analizzare quello, estremamente diffuso nella spiritualit del Sei-
cento, dell'anantissement - la perdita irreparabile della soggettivit in cui il mistico incorre sulla
via dell'unione a Dio. Assumer, come punto di partenza, questi rilievi di Gabriel Joppin, uno dei
migliori interpreti di Fnelon:
Le mot 'anantissement' ou parfois 'annihilation' est surann aujourd'hui. Par contre, il tait en honneur
dans la littrature spirituelle du XVIIe sicle. C'tait au point que, en 1640, J.-P. Camus, veque de Belley,
estimait qu'il faut tre tranger en France pour ignorer ce mot, et tre nophyte spirituel pour en ignorer la
signification mystique [...]
Cet anantissement, c'est le dpouillement de soi-mme sur lequel saint Franois de Sales insiste sans
cesse. Toute la doctrine de notre bienheureux Pre tendait au parfait dnuement de soi, crivait la Mre de
Chantal.
son tour, elle ne recommandait rien autant que la mort soi. Vous voyez, mes chres filles, qu'il faut
accompagner la prsence de Dieu qui nous vivifie, de la mort nous-mmes. Selon son expression, ce n'est
pas assez d'tre petit devant Dieu, il faut tre rien, c'est le fondement sur quoi il difie, car il se plat de tra-
vailler sur le nant. Et dans une [4] exhortation sur les anantissements du verbe ternel en sa venue sur la
terre,
l'exemple de Jsus-Christ, dit-elle, il faut que nous nous anantissions toutes, je ne dis pas seulement
du dsir, de l'honneur, de l'estime, d'tre aimes et caresses, mais, qui plus est, anantir les dsirs superflus
de notre perfection.
C'est qu'il ne suffit pas l'homme d'tre subordonn, mais il doit tre dsappropri et ananti et appro-
pri Jsus, ajoute le cardinal de Brulle, et cela parce que nous n'avons de vraie vie qu'avec Jsus-Christ
en Dieu.
Tout le XVIIe sicle a parl, peut-on dire, d'anantissement, de mort, de dsappropriation. On pourrait
l'infini multiplier les textes de Brulle, Olier, Guillor, Saint-Jure et de bien d'autres. A quelques coles qu'ils
appartiennent d'ailleurs, ils parlent tous peu prs le mme langage. Aussi, remarque M. Bremond:
Ce ne sont pas les matres de l'cole Franaise qui nous invitent sans cesse l'anantissement; on peut
dire que ce sont tous les spirituels. Brulle ne l'a pas invent, il le recueille d'auteurs qui sont venus avant
lui.
Ainsi un prlat, M. de Condren recommande l'anantissement:
Sauf la perfection chrtienne commune tous et celle qui est propre votre vocation particulire - il
tait oratorien - vous devez vous anantir vous-mme l'exemple du fils de Dieu, pour vous conformer aux
mes qui vous sont confies, comme il s'est ananti pour se rendre semblable aux hommes pcheurs, sauf le
pch.
Pour lui, s'anantir c'est sentir en nos curs l'abaissement et l'anantissement de Jsus-Christ. On re-
connat sans difficult l'adhrence au Christ de l'cole Franaise. Soyons vides de toutes choses, recom-
mandait son tour M. Olier, Dieu nous remplira de sa plnitude parce qu'il ne se trouvera que lui en nous.
Le Pre Saint-Jure dans son Homme religieux consacre tout un chapitre l'abngation et l'anantisse-
ment de soi-mme. Sans encore distinguer comme d'autres entre anantissement actif et passif, il expose
ce que Dieu fait pour anantir une me et ce que l'homme doit faire pour s'anantir. Dieu anantit l'me
par l'humiliation qui la dtache d'elle-mme et de ses volonts. En retour, l'me doit accepter ces abaisse-
ments et s'abandonner entirement [...]
Plus que tout autre, peut-tre, le P. Guillor a insist sur la ncessit du renoncement, de l'abngation, de
la mort soi-mme. Vous n'irez jamais bien avant dans la perfection que vous ne mouriez vous-mme;
cette vrit n'est point dispute. [...]
En instituant les surs de Saint-Joseph, le Pre Jean-Paul Mdaille se propose de fonder un Institut
ananti.
Dieu, dit-il, m'a fait voir un modle accompli de notre petit dessein en la trs sainte Eucharistie. Jsus y
est tout ananti. Nous devons aussi travailler l'tablissement d'un Institut ananti. [...]
Les religieuses [di questo Istituto] porteront le nom de Surs de Saint-Joseph, parce que, prcise Mgr.
Devie, vque de Belley, ce que [5] l'esprit de saint Joseph a de particulier, c'est prcisment de n'avoir rien
de particulier. C'est un esprit d'oubli, d'anantissement, qui fait qu'on se plat tre compt pour rien. [...]
Dans son discours sur Jsus-Christ adorateur comme Homme-Dieu, M. Sarazin, chanoine thologal de
Chartres, insistant sur les anantissements que Dieu exige de ses adorateurs, distinguait:
L'anantissement de puissance dans lequel nous tombons, quand nous reconnaissons sincrement devant
Dieu que tout le bien vient de lui et tout le mal de nous, et que nous sommes des cratures si faibles et si cor-
rompues que nous avons besoin qu'il nous soutienne chaque pas, qu'il arrte notre imptueuse inclination
au mal, et qu'il fasse tout le bien en nous, parce que nous ne pouvons rien sans lui...
Le second anantissement... est celui d'action qui consiste se mettre devant Dieu comme une statue qui
n'a nul mouvement et qui attend que l'architecte la place o il lui plaira et qu'il dispose d'elle en la manire
qu'il voudra....
L'anantissement de la saintet... quand ils ont les larmes aux yeux et qu'ils frappent leurs poitrines,
qu'ils n'osent regarder le ciel, qu'ils crient qu'ils sont les plus grands pcheurs et qu'ils ne demandent que mi-
sricorde....
L'anantissement de la bonne pense, c'est--dire que pour adorer nous sommes obligs de nous recon-
natre des cratures si inutiles que mme notre esprit n'a aucune bonne pense que Dieu ne lui donne, et qu'il
n'y a dans nous qu'un fond de penses vaines, charnelles, intresses et toutes malicieuses.
7
L'anantissement de volont, auquel on n'a point de part gu'on ne soit pret d'accepter tout ce que la vo-
lont souveraine ordonnera de nous, soit pour la vie, soit pour la mort....
L'anantissement de tout l'tre que Dieu nous a donn... L'adorateur est engag de se prsenter Dieu
comme rduit au nant, et n'ayant plus nul tre afin que, s'il a se glorifier, il se glorifie de son nant.
L'anantissement de tous les tres mauvais... qui composent le vieil homme2.
L'elenco fornito da Joppin, bench non si tratti che di una rapida ricognizione, attesta gi l'enor-
me diffusione del tema della perdita. Colpisce, soprattutto, la variet delle scuole che lo recuperano,
la diversit dei campi dottrinali a cui suscettibile di applicarsi. Colpisce al punto, si dir, che c' da
chiedersi se legittimo ricondurre tutte le occorrenze del termine anantissemment a riapparizioni
di uno stesso tema. legittimo, risponderemo, se e nella misura in cui, pur ricorrendo in sistemi an-
titetici, pur collegandosi a nozioni irriducibili, il termine anantissement, a un livello preciso del
campo semantico che mette in gioco, riveste, in tutte le sue occorrenze, un identico valore. Ora,
raggiunto attra-[6]verso la pratica della continua umiliazione, presentato come adhrence al sacrifi-
cio dell'Uomo-Dio, inteso come 'riposo' mistico e completa passivit dell'anima, l'anantissement
rappresenta comunque il punto di catastrofe dell'identit, la perdita irrimediabile dell'io. Diremo che
questa rappresentazione costituisce il suo valore tematico, identico per tutte le sue diverse occorren-
ze.
Se c'impegnassimo a seguire i corsi e i ricorsi del tema della perdita, cos definito, arriveremmo,
con ogni probabilit, a delimitare uno spazio che coincide con quello occupato, nella spiritualit del
XVII secolo, dal discorso mistico. Non sar questa, tuttavia, l'indagine che intraprender nel presen-
te studio - i risultati a cui essa condurrebbe sono, ancora una volta, assolutamente prevedibili. Ci
che qui m'interessa, non tanto l'onnipresenza del tema della perdita nel misticismo secentesco,
quanto il rapporto che si stabilisce fra l'unit di questo tema - l'omogeneit di fondo del discorso mi-
stico - e la dispersione delle dottrine - la panoplia di nozioni che ne occupa la superficie. Vorrei in-
sediarmi nello stretto margine in cui identit e differenza s'intrecciano, vorrei situarmi in quel punto
mediano da cui un unico tema s'irradia in un ventaglio di dottrine e in cui una dispersione di dottri-
ne converge verso uno stesso tema.
Ai fini della nostra analisi, dovremo anzitutto distinguere le diverse modalit di presenza asse-
gnabili a un tema nell'ambito di un insieme testuale. Non lo stesso, se un tema genera in un testo
delle nozioni originali, se vi si cristallizza in una dottrina specifica, o se al contrario vi presente
come un limite a cui tendono dottrine sorte in altri contesti, nozioni generate da altri temi. Non lo
stesso, in altri termini, se un tema comanda di lontano lo sviluppo di un discorso formandone, per
cos dire, la linea di pendenza, o se ne genera le strutture dottrinali, se emette le serie di concetti che
vi si articolano. Analizzeremo, in un primo sondaggio, due dottrine che si lasciano ricondurre al te-
ma della perdita come una sua pura emanazione. Apparse entrambe in Francia nella prima met del
XVII secolo, ma formulate in ambiti completamente diversi, esse costituiranno un buon campione
della prima serie emessa dal tema della perdita - quella delle dottrine che esso stesso genera, dei
concetti che esso stesso emana. In un secondo sondaggio, esamineremo una pleiade di nozioni e-
stranee, originariamente, al tema della perdita, e mo-[7]streremo, inscritta nei testi di un mistico del-
la stessa epoca, la deriva che le trasporta verso di esso, la pendenza irresistibile che le fa tendere tut-
te al punto-limite dell'anantissement. Questa pleiade di nozioni, o meglio la loro re-inscrizione
nell'orizzonte dell'anantissement, costituir il campione della seconda serie emessa dal tema della
perdita - quella dei reticoli di concetti che esso si annette, quella delle dottrine che si appropria.
Cominciamo, dunque, con le due dottrine in cui l'anantissement presente non soltanto come
tema ma come nozione, con i due discorsi che non soltanto rinviano alla perdita come al tema che li
comanda, ma che l'assumono dottrinalmente quale oggetto da definire. La successione formata da
queste due dottrine pu essere considerata, indifferentemente, come un campione della prima serie
emessa dal tema della perdita - cio come fattore di una struttura - e come il tracciato della nozione
di anantissement nella prima met del XVII secolo - cio come segmento di una storia.
8
Il primo membro della serie dipendente dal tema della perdita, la prima stazione nel percorso
della nozione di anantissement, possono essere situati sul terreno della scuola che Louis Cognet
denomina cole abstraite.
Appare in Francia, alle soglie del XVII secolo, la figura sovrana di Benot de Canfeld. Orientato
verso una mistica profondamente speculativa - 'mistica delle essenze', stato detto -, Benot de Can-
feld, come Louis Cognet ha dimostrato, un erede della grande tradizione reno-fiamminga3. L'ulti-
ma fase della vita spirituale - vie surminente, come egli la designa, con un termine che gli viene da
Harphius - consiste nell'unione alla volont essentielle di Dio, che n'est autre chose que Dieu
mme4. Fusione totale, completa liquefazione, vera dification dell'anima, che Canfeld non esita a
comparare all'unione ipostatica della divinit e dell'umanit in Cristo:
Comme tout ainsi qu'avant l'Incarnation il tait seulement Dieu, mais aprs l'union avec l'humanit il est
Dieu et homme, ainsi la volont, qui tait seulement divine, aprs l'union avec la ntre devient divine et hu-
maine, et comme cet homme-l pouvait dire: je suis Dieu, ainsi cette volont de l'homme peut dire: je suis la
volont de Dieu5. [8]
Ora, l'unione (all'essere divino) e l'annientamento (dell'essere proprio) sono una sola e stessa co-
sa:
[l'anima] ayant parfaitement connu qu'il [Dio] est tout, et qu'elle n'est rien, elle demeure, rside et vit uni-
quement en lui, et rien en elle-mme, d'o suit qu'elle est toute en Dieu, toute Dieu, toute pour Dieu, et
toute Dieu, et rien en elle-mme, rien elle-mme, rien pour elle-mme, rien elle-mme6.
Si noti come tutto l'insieme unione-annientamento sia retto da ayant connu: la conoscenza prece-
de e provoca la dification.
Si annuncia gi, con quest'inscrizione nell'orizzonte della conoscenza, tutta l'ambiguit e tutta la
potenza della speculazione canfeldiana sull'anantissement. Poich l'essere della creatura il nulla,
l'annientamento non che l'epifania del vero. Ma, al di fuori delle verit, il nulla della creatura sus-
sisterebbe come essere.
Si ici on me demande, qu'est-ce donc la crature: je rponds qu'elle n'est qu'une pure dpendance de Dieu
[...]. Si on me dit que la crature, si elle est une dpendance de Dieu, donc elle est quelque chose: je rponds
qu'elle est, et qu'elle n'est point: tout ainsi comme ces rayons et cette chaleur; car si on regarde les rayons
sans voir le Soleil, et l'on sent la chaleur sans voir le feu, ils sont: mais si on regarde le Soleil mme ou le
feu, il n'y a plus de rayon ni de chaleur, mais tout est soleil et tout feu; ainsi si on contemple la crature sans
contempler le Crateur, elle est; mais si on contemple le Crateur, il n'y a plus de crature; car [...] le Cra-
teur s'attribue et s'approprie la crature, comme quelque tincelle sortie de lui et la rvoque soi comme
son centre et origine, et en son infirmit l'annihile, et rduit rien7.
Il peso dell'essere si modifica dunque in funzione della conoscenza, varia in rapporto al posto
occupato dalla verit. Vi una verit dell'essere, una verit sull'essere, per cui la creatura non
niente; ma vi anche un inganno, vi dell'inganno, per cui il non-essere (la creatura) . Il gioco del-
la verit e della menzogna precede e determina il rapporto dell'essere e del nulla. L'essere e il nulla
variano, si pu dire, come i risultati di questo gioco. La regola della perfezione la regola del gioco,
la regola per vincere il gioco, cio per cogliere la verit e trovarvi Dio: d'autant qu'ici est question
de trouver Dieu, et cette infinie Essence, il ne faut considrer la crature comme quelque chose,
mais comme absorbe en cet abme8. [9]
Nella dottrina di Benot de Canfeld, la conoscenza presente come lo strato pi profondo, pi
'antico' come il sistema abilitato a rendere conto di tutti gli altri. Lo stesso sistema dell'essere
(chiamiamo cos la panoplia delle nozioni che presuppongono la nozione dell'essere: il nulla, il
creatore, la creatura, ecc.) rinvia al gioco della verit e dell'inganno come a ci che lo precede e lo
determina. Nella struttura di questo rinvio, l'anantissement l'effetto, il taglio, potremmo dire,
della verit. Secondo un'espressione che dovremo qui prendere alla lettera, la verit tranchante
(trancher: sparer en coupant, in Littr, Dictionnaire de la langue franaise). E ci che essa
tranche, ci che, tagliando, essa separa e fa cadere, l'essere dell'uomo: la verit annienta.
9
Ora, il taglio della verit non si effettua mai per la coscienza; non rimanda ad un soggetto che,
dell'anantissement a cui soccombe, sarebbe allora egli stesso l'artefice. La vera conoscenza anzi-
tutto un sapere che riceviamo, che ci infuso dall'alto; in secondo luogo, non lo riceviamo che nel
vuoto della coscienza, non s'infonde in noi che in quanto abbiamo saputo fare, della nostra anima, il
deserto dei nostri pensieri.
[...] cette essence tant toute supernaturelle, ne peut tre comprise de notre sens et jugement, tant incompr-
hensible, n'est comprise par la raison: cette essence n'est comprise que hors de nous, mais tandis que nous
faisons quelque aspiration, ou operation, nous sommes dedans nous: elle n'est compri se sinon quand on est
le patient, mais quand l'me produit quelque acte, elle est l'agente: elle est dessus nous, mais tous nos actes
sont dessous nous9.
Cos, al soggetto negata quest'ultima gloria, d'essere il sacerdote del sacrifcio di cui egli stes-
so la vittima. A propriamente parlare, l'uomo non si annienta. certamente una conoscenza (la con-
templazione dell'essenza divina, la visione del fuoco e del sole) che lo annichila; ma di questa cono-
scenza egli non il soggetto. Della verit che lo distrugge, l'uomo non sapr mai nulla; essa giunge
da altrove e giunge altrove, altrove che nella coscienza - in questo apex animae10 di cui tanti mistici
ci parlano. Tutta centrata sulla conoscenza, la mistica canfeldiana tutta decentrata dalla coscienza;
fa alla verit un posto di primo piano, e tuttavia non le fa posto che Altrove. [10]
Infine, la verit che distrugge deifica, poich in Dio che l'anima si annienta. Della verit l'uomo
muore; ma non muore che alla morte, e per accedere, in Dio, a una nuova vita - vie surminente,
come dice Canfeld. Al culmine dell'esperienza interiore, anantissement e dification coincidono, la
mezzanotte e il mezzogiorno dello spirito si congiungono. Ed per evocare questa strana implica-
zione della vita nella morte, questa reversibilit della separazione (da s) e dell'unione (all'altro),
che Benot de Canfeld ricorre alla simbologia amorosa, in ci che essa offre di pi alto, la metafora
nuziale. L'amore certamente la soglia di massima interiorizzazione dell'anima, non in se stessa ma
nello Sposo: essa abita all'interno dell'esterno, si rifugia nell'intimit di ci che la eccede:
[Ce] n'est autre chose qu'une continuelle prsence, et habitude d'union entre Dieu et l'me son Epouse, en la-
quelle l'me revtue de Dieu, et Dieu de l'me sans se retirer, et sans aucune rtraction ou intervalle, vivent
l'un dans l'autre. [...] Du plus profond de son cur, elle s'abhorre elle-mme, et infiniment s'loigne de toutes
penses d'elle-mme, et de tout sentiment de douceur, pour apprhender parfaitement la totalit de cette subs-
tance, pour s'y jeter et ingrer ternellement, pour s'y perdre irrcuprablement, pour y mourir totalement, et
fnalement pour l'tre uniquement et ce pour le nu amour d'icelle Essence; et hait mort tout ce qui peut faire
sentir quelque plaisir, ou autre pense d'elle-mme, ou qui lui donne savoir qu'elle est une, et son Epoux un
autre, auquel plus que sa vie elle dsire avec toutes cratures d'tre fondue, liqufie, consume, et anan-
tie11.
Una seconda stazione nel percorso dell'anantissement - il secondo membro della prima serie
emessa dal tema della perdita - si pu individuare nella flessione mistica della spiritualit berullia-
na, quale si manifesta in Olier, in Sguenot e, soprattutto, in Charles de Condren.
Pierre de Brulle, figura di grandezza ineguagliabile nella spiritualit del XVII secolo, aveva
spostato l'asse della devozione da Dio a Ges Cristo, ed elevato il mistero dell'Incarnazione al rango
di principale application e plus grande pit de la religion chrtienne12, come dice Germain
Habert, il primo dei suoi biografi. Jsus - scrive Brulle - est l'objet de la science du salut et de la
science des Chrtiens13, a lui che dovranno sempre volgersi i cuori, come gli sguardi degli anti-
chi si volgevano verso il sole: [11]
Les Egyptiens adoraient le soleil et l'appelaient par excs le fils visible du Dieu invisible. Mais Jsus est
le vrai soleil qui nous regarde des rayons de sa lumire [...] soleil que nous devons et toujours regarder et
toujours adorer14.
Un excellent esprit de ce sicle - prosegue Brulle - a voulu maintenir que le soleil est au centre du
monde, et non pas la terre; qu'il est immobile, et que la terre, proportionnment sa figure ronde, se meut au
regard du soleil. [...] Cette opinion nouvelle, peu suivie en la science des astres, est utile et doit tre suivie en
la science du salut. Car Jsus est le soleil immobile en sa grandeur et mouvant toutes choses [...] Jsus est le
vrai centre du monde, et le monde doit tre en un mouvement continuel vers lui. Jsus est le soleil de nos
10
mes, duquel elles reoivent toutes les grces, les lumires et les influences. Et la terre de nos curs doit tre
en mouvement continuel vers lui15.
Nello spazio cristocentrico aperto da questa rivoluzione copernicana della spiritualit, Charles de
Condren poteva articolare una dottrina dell'anantissement profondamente originale16, imperniata
sull'idea di sacrificio (nantisme sacrificiel17, come ha detto Louis Cognet).
Nel pensiero di Condren, l'incommensurabilit fra Dio e il mondo assoluta. Nulla potr mai far
varcare alla creatura (alla creatura nel suo essere) l'abisso di distanza che la divide dal creatore, nul-
la potr mai riparare la sparation infinie que l'tre divin en a18. Traendo da quest'opposizione le
pi estreme conseguenze, Condren si spinge a mettere in dubbio la piena realt della creazione:
Lorsqu'il a fait sortir les cratures de lui, il leur a donn un tre sur le nant et sur la boue, et ainsi, quand
il leur a donn un tre formel et visible, l'tre rel et vritable de ces mmes choses-l est toujours plus de-
meur en lui qu'il n'en est sorti par la cration19.
L'essere della creatura non soltanto tratto dal nulla, ma formato di nulla, abitato dal nulla che lo
divora. E in che modo questa massa di niente potrebbe onorare Dio, se non offrendogli, nel sacrifi-
cio, lo spettacolo del proprio annientamento? In che modo quest'essere-ombra potrebbe manifestare
la grandezza dell'essere divino, se non annientandosi davanti a lui? Teatralizzando, nel sacrificio, il
suo non-essere, la creatura glorifica l'essere del creatore. [12]
Le sacrifice rpond donc tout ce que Dieu est. Il le regarde comme le souverain tre, auquel tout tre est
d en sacrifice [...]. En offrant tout Dieu, nous protestons qu'il n'est rien de tout ce qui est dans l'univers, et
que tout n'est rien de lui20.
Necessit, dunque, del sacrificio - solo mezzo, per la creatura, di onorare il creatore21 -, che si
rovescia ora, per un vertiginoso passaggio-al-limite del pensiero, in impossibilit del sacrificio.
L'uomo una masse de pch: nel suo essere, il nulla del peccato si aggiunge al nulla della creatura
e lo raddoppia; egli una vittima impura, un'ostia indegna. In alcune pagine molto belle sui sacrifici
antichi, Condren ricorda come Dio rifiutasse gli animali malati o deformi, la perfection de la vic-
time matrielle essendo chiamata a rappresentare la perfection de la victime spirituelle22. Come
il corpo di questi animali l'essere dell'uomo, un nulla impuro, un nulla pieno di peccato, e come
tale indegno di essere offerto a Dio.
[...] encore que tous les hommes soient obligs de s'offrir Dieu en qualit d'hosties, pour lui tre sacri-
fis, nanmoins ils ne peuvent pas s'acquitter de ce devoir, le pch les ayant rendus impurs et irrguliers23.
In quanto abitato dal nulla della creatura, l'essere umano, davanti all'essere del creatore, non
degno che di annientarsi; in quanto viziato dal peccato, indegno di questo sacrificio24.
Il primo valore dell'Incarnazione, secondo Condren, quello di procurare a Dio una vittima de-
gna della sua gloria. Ancor prima che redentore, Cristo il perfetto adoratore, colui che pi di o-
gni altro onora l'infinit di Dio, immolandogli, nella sua persona, una vittima essa stessa infinita.
Ce nous est un grand sujet de joie de penser cette infinit de Dieu notre pre, et de voir que le sacrifice
de tout l'tre cr n'est pas suffisant pour en exprimer les louanges. Il lui faut donc prsenter une personne
qui surpasse toute crature. Et encore, aprs qu'elle a t trente-quatre ans l'adorer et l'aimer, ce n'est
point trop qu'elle soit la fin dtruite, et qu'elle meure plus que d'amour. Non, il n'y a qu'un Dieu qui puisse
tre de soi digne de Dieu, il n'y a que la personne du Verbe et de la Sagesse qui le connaisse assez pour lui
rendre les respects qui lui sont dus. La vie de Jsus-Christ est sa complaisance et ses dlices, mais il a voulu
qu'il la dtruist, en confessant que sa grandeur incomprhensible la surpasse, et qu'il n'y a rien de trop grand
pour tre immol une si grande gloire25. [13]
dunque per adorare Dio, per onorarlo con il sacrificio di cui gli uomini si erano resi indegni,
che Cristo si incarnato. Ma si incarnato anche perch gli uomini, aderendo26 al suo sacrificio,
potessero adorare e onorare Dio degnamente. il secondo valore dell'Incarnazione, l'altra chiave
del mistero. Sacrificandosi al posto degli uomini, Cristo non li libera dal sacrificio, ma libera, per
loro, il posto del sacrificio. Ora, questo posto non soltanto quello del dovere di adorazione della
creatura; quello della sua unione all'essere del creatore. Cos, immolandosi sulla croce, le Fils de
11
Dieu s'est offert son Pre pour tre consomm en Dieu27. Ma, d'altra parte, egli si offerto a noi
pour tre tout en nous comme un autre nous-mme, pour y tenir la place que nous y tenons28. E
Condren non ha che una preghiera: rispondete a questo appello, lasciate che Cristo sia tutto in voi, e
che lo sia nel suo stato di vittima annientata nell'essere divino. Vi perderete allora in questo an-
nientamento, sarete voi stessi consumati in Dio.
Laissez-vous Dieu dedans la consommation qu'il a faite de Jsus-Christ, et Jsus-Christ dedans la
perte qu'il a faite de soi en Dieu afin que Dieu ft tout en lui: et perdant pour vous tout dsir de vivre et
d'tre, que toute votre disposition soit que Dieu soit en vous, et qu'il y vive selon tout ce qu'il est et en soi-
mme et envers toutes choses29.
Benot de Canfeld e Charles de Condren, l'cole abstraite e il misticismo berulliano: sono que-
ste, mi sembra, nella prima met del XVII secolo, le due grandi stazioni nel percorso dell'anantis-
sement. Fra l'una e l'altra, una rivoluzione copernicana si prodotta. Per Benot de Canfeld, l'anan-
tissement aveva luogo nell'incontro diretto, folgorante, dell'atomo umano con la volont essenzia-
le divina; e, in generale, nella vie surminente dell'anima, Cristo giocava un ruolo ben esiguo. E
sappiamo che quest'astrazione attir su Benot de Canfeld numerosi attacchi, al punto che, nel 1610,
sotto la pressione dei suoi superiori, egli pubblic una nuova edizione della Rgle, in cui venivano
aggiunti sei interi capitoli sulla figura e sul ruolo del Cristo. Sulla scia della rottura berulliana, Con-
dren, Olier, Sguenot, elaboravano invece una dottrina dell'anantissement come adesione al sacri-
ficio di Cristo. Sul terreno del nuovo cristocentrismo, si disegna una figura mediata, partecipata
dell'anantissement, che succede al [14] formidabile choc di volont teorizzato da Benot de Can-
feld.
La successione di queste stazioni, l'alternanza dell'annihilation canfeldiana e del sacrificio berul-
liano, forma dunque un segmento nella storia delle dottrine, nella storia, precisamente, della dottrina
dell'anantissement. Ma costituisce anche un campione della prima serie emessa dal tema della per-
dita, definisce cio un livello preciso della sua capacit generativa. Annihilation e sacrificio sono,
nello stesso tempo, figure di una storia (della storia della nozione di anantissement) e fattori di una
struttura (della struttura del tema della perdita di cui rappresentano, localmente, la capacit genera-
tiva). Naturalmente, anzitutto in quanto fattori della struttura del tema della perdita che, in questa
sede, essi devono interessarci; naturalmente, il compito della nostra ricerca di approfondire l'anali-
si di questa struttura, non di proseguire il racconto di quella storia.
Veniamo alla seconda serie emessa dal tema della perdita, quella dei concetti che non emana ma
si annette, quella delle dottrine che non fa sorgere ma che si appropria. Non si tratter pi, qui, sem-
plicemente, di descrivere delle dottrine in cui il rapporto con il tema esaminato perfettamente ma-
nifesto - ed anzi originario, fondatore. Dovremo scomporre e ricomporre il montaggio di nozioni
apparentemente estranee al tema della perdita fino a scoprire, nel loro congegno, le falle in cui sur-
rettiziamente questo tema s'insinua, fino a individuare, nella loro struttura, i punti da cui, pi o me-
no clandestinamente, esso lavora. Dovremo osservare il suo lavorio fino a coglierne l'incidenza sul
senso della nozione analizzata, fino, eventualmente, a riconoscervi il principio di un'inversione di
senso, di una transvalutazione. Il campione su cui condurremo la nostra analisi tratto dall'opera di
Jean-Joseph Surin30, nell'ambito, dunque di quello che Henri Bremond ha chiamato il moralismo
mistico31. Assumeremo, come punto di partenza, la tesi, sostenuta da Bremond, secondo cui nei te-
sti di Surin, come in quelli di tanti altri spirituali gesuiti di quest'epoca, si compirebbe una reinter-
pretazione mistica delle nozioni e dei temi ereditati dalla tradizione ascetica e, in particolare, dalla
tradizione ignaziana. Cercheremo di mostrare come questa reinterpretazione si articoli alla deriva
che trascina verso il tema mistico della perdita nozioni e dottrine ad esso estranee, come, al [15] li-
mite, questa reinterpretazione e questa deriva siano una sola e stessa cosa.
Consideriamo, in primo luogo, una pleiade di testi, ricavati tutti dai Cantiques spirituels de
l'amour divin32, e consacrati all'abbandono dei beni terreni, al rifiuto delle ricchezze e delle conso-
lazioni del mondo, imperniati, insomma, sul tema ascetico della povert. Se, come crediamo, i testi
12
di Surin rimodelleranno questo tema ascetico fino ad includervi il tema mistico dell'anantissement,
la nostra ipotesi di partenza ricever verifica e conferma.
Trascuriamo, per il momento, la vena di gioia, di allgresse, che attraversa queste strofe come il
brivido stesso del godimento. Mettiamo fra parentesi questo fatto, di fronte a cui siamo posti bru-
talmente, e che lontano dall'essere un'evidenza, questo fatto che della perdita si gode, che il godi-
mento non , forse, che una via per perdersi. Soffermiamoci sui due versi del ritornello: Aprs a-
13
voir tout quitt. J'ai trouv ma libert. Il confronto con la saggezza antica inevitabile; Surin stes-
so lo suggerisce, nella quarta strofa. Questa libert che sorge dal fondo stesso della perdita, e che vi
sorge come libert dalla cura, dalla tempesta dell'apprensione, non stranamente simile alla serenit
del saggio stoico? Quest'anima ormai sans moi, quell'Io che leva regalmente la testa al di sopra
della propria rovina e a cui pi nulla ne saur[ait] faire tort, non ricordano forse la sovranit del
saggio di Epitteto? Analogia solo apparente, che la quinta e la sesta strofa vengono a dissipare. Li-
bert e serenit non rinviano, qui, a un soggetto pieno, sovrano, ma a un soggetto perduto: Qu'on
me prise, qu'on me blme, / J'ai perdu jusqu' mon me. Per Epitteto, al contrario, l'anima ci di
cui nessuno potrebbe espropriarci. La libert del saggio di fronte al tiranno si fonda, precisamente,
su questa inalienabilit. Il tiranno potr impossessarsi dei miei averi, potr separarmi dalla mia fa-
miglia, potr torturare o uccidere il mio corpo; ma non potr mai nulla contro la mia anima, che il
mio solo bene, che tutto me [17] stesso. Per questo non vi ragione di temere il suo potere, per
questo il saggio l'unico vero sovrano33. In Epitteto, dunque, il periplo della perdita si chiude da-
vanti a ci che non pu in alcun modo essere perduto; la libert senza limiti che si manifesta nel
punto massimo della perdita quella di questo inalienabile. La serenit, la liberazione dalla cura,
presuppongono quindi, non la perdita, ma la certezza che il soggetto non potr mai soccombervi. O
meglio, presuppongono la perdita e la perdita totale, in quanto essa, arrestandosi davanti all'anima,
ne manifesta l'inalienabilit, ne consacra la sovranit. Il punto di vista di Surin completamente di-
verso. L'anima si perde, come si perdono la casa, l'eredit, la terra. La libert che si manifesta nella
perdita non la libert dalla perdita, ma la libert che la perdita ha reso possibile: la libert dall'ave-
re. Se il saggio antico pu vivere al di sopra di ogni preoccupazione, perch sa che il suo solo vero
bene non pu essere perduto. Il saggio cristiano, il santo, vive al di l di ogni preoccupazione perch
ha perduto tutto, e perch questa perdita la sua gioia. Ritroviamo l'inquietante paradosso che ave-
vamo, all'inizio, messo fra parentesi, paradosso di cui possiamo ormai rendere conto. Se resto indif-
ferente di fronte ad ogni sventura - de tous les maux je ne fais plus que rire34, dir altrove Surin -
se godo di perdere tutto e di perdermi in questa perdita, perch nel vuoto scavatosi nel mio essere,
Dio potr discendere ed abitare: Aussitt qu' cette perte / Mon esprit s'est prpar, / Ma poitrine
s'est ouverte, / Et Dieu s'en est empar.
Fissiamo ora positivamente, indipendentemente dalla loro opposizione alla saggezza antica, in
caratteri essenziali della saggezza cristiana. L'assoluta povert dev'essere ricercata in quanto fa ac-
cedere alla libert dall'avere; ma, a sua volta, questa libert dall'avere dev'essere ricercata perch
implica una liberazione dall'essere (umano) che prepara l'unione a Dio. questo il nuovo orizzonte
in cui la serenit del saggio viene ad inscriversi, all'intersezione cio della libert dall'avere, dell'e-
spropriazione del soggetto e dell'unione mistica. L'Io che si trova in posizione di soggetto dell'enun-
ciato, l'Io di cui il discorso predica ancora la serenit e la saggezza, dunque una semplice finzione.
Poich la serenit e la saggezza non sono pi di un soggetto umano, poich non sono pi, a pro-
priamente parlare, di alcun soggetto, ma si [18] manifestano l dove il soggetto si eclissa, dove
l'uomo, eccedendosi, accede a Dio - l dove l'uomo eccede in Dio.
Il poema sulla serenit del santo manifestamente una reinterpretazione mistica del tema asceti-
co della povert. Il povero, l'asceta che si spogliato di tutti i beni terreni, diventa qui l'eroe di una
folgorante unione mistica, vera possessione divina. Ma quest'unione, come abbiamo visto, non pu
realizzarsi che nella misura in cui l'abbandono dei beni terreni si confonde con la perdita dell'essere
del soggetto, nella misura in cui, cio, la perdita tende al punto-limite dell'anantissement. L'inscri-
zione del tema della povert nell'orizzonte dell'unione mistica, ne suppone dunque il rimodellamen-
to in funzione del tema della perdita. Come ponevano nell'ipotesi di partenza, la reinterpretazione
mistica dei temi ascetici - qui, appunto, il tema della povert - e il vasto movimento di deriva che, al
tempo della grande mareggiata mistica del XVII secolo, trasporta le dottrine pi diverse nell'oriz-
zonte dell'anantissement, si articolano l'uno sull'altra, sono solidali e inseparabili.
Tuttavia, l'implicazione della morte del soggetto nella separazione dai beni terreni - che consente
la reinterpretazione della povert nell'orizzonte dell'unione mistica - resta, bisogna riconoscerlo,
quanto mai enigmatica. Anche ammettendo - come abbiamo ammesso - che la povert, quale Surin
14
l'intende, non sia tanto la separazione da una serie pi o meno estesa, o magari infinitamente estesa,
di averi, quanto la separazione dalla forma stessa dell'avere, non si capisce per quale ragione questa
liberazione dall'avere - nel momento in cui si manifesta come liberazione dalla cura dell'avere - pos-
sa essere contata come una liberazione dall'essere. Come pu, il saggio di Surin, liberarsi dall'essere
semplicemente liberandosi dall'avere? Come pu, anzi, liberarsi dell'essere come di un avere? Come
spiegare l'equivalenza che il testo stabilisce - o che, almeno, presuppone - fra questi due termini?
nella filosofia di Emmanuel Levinas che potremo trovare dei concetti che ci permettano di rendere
conto di quest'equivalenza, e dunque di ricostruire la teoria - tacitamente inscritta nel poema di Su-
rin - a cui l'embricazione povert-anantissement rinvia come alla sua condizione di possibilit.
Partendo dalla distinzione heideggeriana fra essere ed ente, Levinas la radicalizza fino a derivar-
ne la nozione di un esistere [19] senza esistente, il y a, come egli lo designa, forme impersonnel-
le comme il pleut ou il fait chaud35.
Imaginons le retour au nant de toutes choses, tres et personnes. Allons-nous rencontrer le pur nant? Il
reste aprs cette destruction imaginaire de toutes choses, non pas quelque chose, mais le fait qu'il y a. L'ab-
sence de toutes choses retourne comme une prsence: comme le lieu o tout a sombr, comme une densit
d'atmosphre, comme une plnitude du vide ou comme le murmure du silence. Il y a aprs cette destruction
des choses et des tres, le champ de forces de l'exister, impersonnel. Quelque chose qui n'est ni sujet, ni
substantif. Le fait de l'exister qui s'impose, quand il n'y a plus rien. Et c'est anonyme: il n'y a personne ni rien
qui prenne cette existence sur lui. C'est impersonnel comme il pleut ou il fait chaud. Exister qui retourne
quelle que soit la ngation par laquelle on l'carte. Il y a comme l'irrmmissibilit de l'exister pur36.
Permanenza ostinata dell'esistere dopo la sparizione delle cose e degli esseri, l'il y a ancora
l'antecedenza misteriosa di ogni esistente, il fondo anonimo, ontologicamente primo, su cui si
produrr l'individuazione, su cui avr luogo l'ipostasi: L'exister sans existant que j'appelle il y a est
l'endroit o se produira l'hypostase37.
Sono le condizioni in cui si compie l'ipostasi che qui c'interessano, cio le modalit di costituzio-
ne dell'esistente nell'esistere, e precisamente la forma in cui si distacca, dal fondo anonimo dell'il y
a, l'essere dell'uomo. Ebbene, pour qu'il puisse y avoir un existant dans cet exister anonyme, il faut
qu'il y devienne possible un dpart de soi et un retour soi, c'est--dire l'uvre mme de l'identi-
t38. Non possiamo seguire passo a passo Levinas nell'analisi che egli conduce di questo dpart de
soi operatore dell'ipostasi. Ricorderemo soltanto che nel tempo che esso si produce, e che vi si
produce come rottura della durata, cio come presente. Il presente l'istante in quanto non si offre
come elemento di una serie, come parte di una durata ed esito di una storia, ma si pone come ci
che parte da s e che non che a partire da s, cio come puro inizio:
En effet, l'instant du temps, dans sa production, peut ne pas venir d'une srie infinie qu'il faudrait parcou-
rir, mais montrer de l'indiffrence cette srie; il peut, sans dnouer le nud gordien du temps, le trancher.
tre partir de lui-mme. Cette faon pour l'instant d'tre, c'est tre prsent. Le prsent est une ignorance de
l'histoire39. [20]
Cos, nel gran flusso della durata popolato di puri eventi, nel continuum in cui gli istanti non be-
neficiavano ancora di alcuna individualit, ecco che, d'improvviso, nella rottura operata dal presen-
te, un istante s'individua, si fa uno, L'evento che allora si produce quello della trasformazione de
l'vnement en substantif, de l'hypostase40. Nel flusso de cette existence impersonnelle que -
parler rigoureusement, on ne peut nommer, car elle est pur verbe41, appare come uno sbarramento,
come una diga, come un sostantivo e un nome, l'individualit di un esistente. Nell'universo in cui
l'essere non si declinava ancora che in verbi impersonali - il y a... il pleut... il fait chaud... -, un esi-
stente fa irruzione, che si appropria dell'essere come di un attributo: [...] il est matre de cet exister
comme le sujet est matre de l'attribut42. Il presente il fattore di questa trasformazione, la fun-
zione al limite dell'esistere e dell'esistente, per cui l'esistere volge gi in esistente:
D'un ct c'est un vnement, pas encore quelque chose, il n'existe pas; mais c'est un vnement de l'exis-
ter par lequel quelque chose vient partir de soi. D'un ct, c'est encore un pur vnement qui doit s'expri-
mer par un verbe; et cependant il y a comme une mue dans cet exister, dj quelque chose, dj existant. Il
15
est essentiel de saisir le prsent la limite de l'exister et de l'existant, o, fonction de l'exister, il vire dj en
existant43.
Puro inizio, dpart de soi, il presente anche relazione a s, inevitabile ritorno: Le commence-
ment n'est pas seulement, il se possde dans un retour sur lui-mme. [...] en mme temps qu'il est, il
se possde44. Questo ritorno del presente su di s, senza dividere l'esistente, lo raddoppia. L'esis-
tenza (dell'esistente) dualit: Le moi possde un soi, o il ne se reflte pas seulement, mais au-
quel il a affaire comme un compagnon ou un partenaire [...]45. Ci su cui bisogna insistere,
che questo ritorno non raddoppia l'essere dell'esistente, ma raddoppia il suo essere di un avere:
Mon tre de double d'un avoir: je suis encombr par moi-mme46. Ora, questi due momenti, d-
part de soi e retour soi, sono contemporanei, sono come le due facce di un solo evento: il presente
come produzione dell'esistente nell'esistenza. L'implicazione dell'essere nell'avere dunque origina-
ria; prima di essa niente esiste, poich la condizione stessa dell'esistente. [21]
L'individuo appare come essere raddoppiato di un avere, e questo raddoppiamento la condizio-
ne di possibilit della sua esistenza, ci che fa di lui un esistente.
La teoria dell'ipostasi formulata da Levinas rende conto agevolmente del rapporto, che ci era ap-
parso cos enigmatico, fra liberazione dall'avere e separazione dall'essere. L'annientamento dell'es-
sere dell'uomo, dell'esistente-uomo, necessariamente l'alienazione di un avere, poich l'avere la
forma originaria della sua esistenza. E, reciprocamente, la povert assoluta come separazione dalla
forma stessa dell'avere, necessariamente anantissement, poich, al di qua o al di l dell'avere, l'e-
sistente-uomo non pu sussistere.
Certo, l'interpretazione che sosteniamo richiede un deciso colpo di forza teorico - quasi un atto di
terrore. Bisogna, per interpretare come abbiamo proposto l'equivalenza povert-anantissement, ac-
cettare di rendere conto dell'articolazione di un discorso - l'equivalenza in questione quale si articola
nel discorso mistico di Surin - a partire dal sistema messo in gioco da un altro discorso - la teoria
dell'ipostasi nel discorso filosofico di Levinas -, e anzi di renderne conto come di un ingranaggio di
questo sistema. Bisogna, in altri termini, per comprendere il primo discorso con l'aiuto del secondo,
averlo gi pre-compreso nel sistema di quest'ultimo. Il gesto che allora si compie , in definitiva, la
reinscrizione di un discorso gi antico in un posto preciso assegnatogli da una teoria pi recente
all'interno del suo proprio sistema. Atto di violenza, ripetiamolo, sicuramente antistorico. E non ab-
bastanza, tuttavia, perch non si possa costantemente ritrovarlo in discipline come la storia delle
scienze e l'epistemologia - il fenomeno, di cui Michel Serres ha fatto la teoria per il campo delle
matematiche, delle ridistribuzioni ricorrenti47. Ammettiamo allora - alla scuola, per una volta, dei
matematici - che il gesto di reinscrizione da noi compiuto sia meno un atto di cancellazione della
storia che un modo nuovo - e irriverente - di fare storia: una storia che non riscriva ma reinscriva,
che non 'restituisca' ma ricostruisca. Una storia, insomma, attiva e non reattiva - nel senso che Nie-
tzsche assegnava a questi termini - e capace, contrariamente a quello che Nietzsche stesso crede-
va48, di non costituire un ostacolo per la vita. [22]
Suppongo dunque che mi si accordi - a titolo, almeno, di esperimento - la reinscrizione del di-
scorso di Surin nella teoria di Levinas. I vantaggi di questa reinscrizione, a livello delle interpreta-
zioni che essa rende possibili, sono enormi. Non soltanto, dal momento in cui la si effettua, l'equi-
valenza espropriazione-anantissement diventa infine intelligibile. Ma tutto il corteo di nozioni che
accompagna, nel poema di Surin, l'epifania della perdita, trovando il suo posto nella nuova inscri-
zione, si lascia agevolmente interpretare.
Sia, ad esempio, la liberazione dalla cura. L'identit - scrive Levinas - n'est pas une inoffensive
relation avec soi, mais un enchanement soi; c'est la ncessit de s'occuper de soi49. Questa meta-
fora dell'incatenamento compare a pi riprese nei testi di Levinas. Essa figura, naturalmente, lo
strano destino del presente che, infinitamente libero nei confronti del passato, infinitamente pri-
gioniero di se stesso (Il ne se rfre qu' soi; mais la rfrence qui aurait du l'blouir de libert
l'emprisonne dans une identifcation)50; si applica, per renderne conto, al conflitto che lacera gli
eroi di Eschilo e di Racine; ma, soprattutto, introduce nell'esistenza la dimensione della cura. L'in-
catenamento a s, lo abbiamo visto, la necessit in cui l'esistente si trova di occuparsi di se stesso:
16
La ranon de la position d'existant rside dans le fait mme qu'il ne peut pas se dtacher de soi.
L'existant s'occupe de soi51. Ora, in conformit con il senso figurato dalla metafora dell'incate-
namento che bisogna intendere, nel poema di Surin, la serenit come liberazione dalla cura, e non
nel senso della saggezza antica. Il cristiano libero, smisuratamente libero, non perch ha preso
coscienza dell'inalienabilit della sua anima, ma perch ha sciolto il nodo che, legandolo a se stesso
faceva di lui un esistente, cio uno schiavo. La perdita non libera, nell'uomo, la sovranit del sog-
getto, ma libera l'uomo dalla schiavit del soggetto. D'altra parte, la serenit e la liberazione dalla
cura non rinviano all'affermarsi di quella sovranit, ma discendono dalla fine di questa schiavit.
Liberato da s, il cristiano non dovr pi occuparsi di s, poich la cura la maniera d'essere di un
esistente (di ci che sussiste per s). Rapito in Dio, la sua esistenza consumata nell'esistenza divina
(Rien que Dieu, rien que la Grce), egli potr esclamare: Que je hais cette [23] prudence qui re-
garde de si loin, / Je n'ai que la providence / Qui pourvoit mon besoin52.
Una precisazione s'impone. Annientato come esistente, come individuo, l'uomo non aderisce tut-
tavia al flusso dell'esistenza anonima, il suo presente non si dissolve nella folla di eventi impersona-
li che popola l'il y a. Egli si annienta nell'esistenza divina, cio in Dio come esistente ed esistente
supremo. questa l'essenza stessa della dsappropriation - della liberazione dall'avere come forma
di anantissement -, perfettamente enunciata in un passo dell'Introduction la vie et aux vertus
chrtiennes di Jean-Jacques Olier:
Il n'y a rien de plus contraire au christianisme que la proprit. Car le christianisme prend son origine en J-
sus-Christ, qui forme ses membres sur lui, lequel tant homme est tabli et transfr en la substance du
Verbe. C'est pourquoi l'esprit du christianisme veut que les chrtiens soient transplants et transfrs de la
tige d'Adam sur le Verbe Incarn, et qu'tant vivifis par Lui et soutenus sur Lui, ils ne soient plus en eux-
mmes, ils ne vivent plus de leur propre vie, et n'oprent plus qu'en lui seul. Il ne faut donc rien avoir tant en
horreur que la proprit, qui nous prive de la plnitude du Verbe, de sa vie et de son opration [...]53.
Torniamo alla dimensione della cura. In quanto incatenato a s, l'uomo condannato a occuparsi
di s. Cette manire de s'occuper de soi - scrive Levinas - c'est la matrialit du sujet54. E ancora:
La relation entre Moi et Soi n'est pas une inoffensive rflexion de l'esprit sur lui-mme. C'est toute
la matrialit de l'homme55. Questa comprensione della materialit ci fornisce la chiave di un altro
poema di Surin, pi semplice ancora di quello gi citato, e ancora pi stupefacente per l'enormit
dello spazio dottrinale percorso in questa semplicit. Bisognerebbe riflettere sulla semplicit che di-
stingue la scrittura di Surin, cos diversa dall'architettura scolastica che sostiene, naturalmente, il di-
scorso teologico, ma anche il linguaggio di tanti grandi spirituali del secolo, da Brulle ad Alexan-
dre Piny. Questa semplicit non pu essere spiegata se non come l'effetto di una straordinaria rapi-
dit. La scrittura, Deleuze lo ha dimostrato, modellata da rapporti di volocit e di lentezza; la
semplicit dei poemi di Surin, come quella delle favole di Fedro o di La Fontaine, forse, per la
scrittura, il colore, il tono della velocit pi grande, proprio come il bianco lo per la luce. [24]
Le Pauvre
[...]
Je ne saurais avoir,
Ni maison, ni mnage,
Ni rien en mon pouvoir,
Ni meuble, ni bagage;
Ce m'est un lourd fardeau, d'autant que je sais bien
Que bienheureux celui qui ne possde rien.
On ne saurait de moi,
Retirer grand service,
Car vivre sans moi,
C'est l mon seul office,
Mais je suis satisfait, d'autant que je sais bien
Que bienheureux celui qui ne possde rien.
17
Quand je manque de tout,
Je suis lors mon aise,
Le pauvre est mon got,
Et le riche me pse,
Je suis content de peu, d'autant que je sais bien
Que bienheureux celui qui ne possde rien.
Je connais force gens,
Qui sont toujours en presse,
Ils sont fort indigents,
Et demandent sans cesse,
Mes besoins sont petits, d'autant qu je sais bien
Que bienheureux celui qui ne possde rien.
Esprits ns pour le Ciel,
Que faites-vous en terre?
Le monde n'est que fiel,
Son repos n'est que guerre,
N'ayez plus de souci, ne savez-vous pas bien
Que bienheureux celui qui ne possde rien.
[...]
Tralasciamo il rapporto che si stabilisce fra perdita e liberazione dalla cura, rapporto che abbia-
mo gi analizzato nel poema precedente. Consideriamo soltanto l'ultima strofa citata, punto d'inten-
sit massima del cantico, e punto-chiave della dottrina che vi si articola. La separazione dello spirito
dalla terra, dal suolo della materialit, curiosamente, non figurata attraverso la liberazione dal cor-
po ma attraverso la liberazione dalla cura: n'ayez [25] plus de souci. Se l'interpretazione della cu-
ra come dimensione aperta dall'incatenamento a s dell'esistente esatta, avremmo qui una visione
completamente nuova della caduta e del peccato. Lo spirito non precipita, per effetto del peccato,
nella tomba del corpo, ma nella prigione dell'identit. La materialit, la 'terrestrit' dell'esistenza non
si esprimono, originariamente, attraverso la caduta nel corpo, ma attraverso l'incantesimo a s
dell'esistente. Il corpo compreso a partire da questo incatenamento: il soggetto del bisogno e
dunque la causa della cura, il S che raddoppia l'Io e di cui l'Io dovr occuparsi. Non insomma il
corpo a esprimere originariamente la materialit, poich non la esprime che in quanto inscritto,
come soggetto del bisogno, nell'orizzonte della cura. Il corpo non la traccia del peccato, bench
porti su di s, nella forma del bisogno, il marchio di questa traccia.
La tesi che avanziamo pu sembrare azzardata; lo tanto poco, in realt, che in un altro cantico
Surin presenta esplicitamente la liberazione dalla cura come l'asse del rifiuto del mondo.
La Sagesse des Saints
Ceux qui l'Amour en sa gloire,
A donn de son vin boire,
Sont bien faits d'une autre faon,
Que eux que le monde rvre,
qui ne saurait jamais plaire
Le got d'une telle boisson.
Les mondains sont toujours en crainte,
Perdre c'est leur grande complainte,
Jamais ils n'ont assez de bien;
Les Saints sont faits d'une autre sorte,
Amour de son feu les transporte,
Leur plaisir est de n'avoir rien.
Les mondains ont la tte sage,
Mais dpourvus d'un franc courage,
Ils sont de frayeurs tous saisis;
18
Les Saints ont une autre mthode,
Ils ne sauraient vivre leur mode,
Dieu pour soi les ayant choisis. [26]
Les mondains sont toujours en peine,
Tout leur esprit est la gene,
Ils sont troubls tout propos;
Les Saints tous remplis d'allgresse,
Mprisant l'humaine sagesse,
Trouvent en Dieu tout leur repos.
Ayant peur que terre leur manque,
Ces mondains ont tout la banque,
Pour n'tre jamais dpourvus;
Les Saints dedans la providence
Trouvent un fonds pour leur dpense,
Le Ciel est en souci pour eux.
Les mondains ont l'me pourvue
De grands desseins, et longue vue,
Pour mettre ordre tous leurs besoins;
Les Saints marchent l'aventure,
Sans penser leur nourriture,
Ils sont libres de tous ces soins.
Les mondains pleins de leur lumire
Pour tre sages font litire
Des maximes des plus grands Saints;
Ils portent si haute prudence,
Que la cleste providence,
Ne suffit leurs grands desseins.
Les Saints ayant le creur au large,
Font en Dieu toute leur dcharge;
Le mondain ne peut faire ainsi,
Plein d'un aveuglement extrme,
Charm de l'amour de soi-mme,
Il ne peut vivre sans souci.
[...]
L'esistenza mondana che si svolge nella sfera dell'avere - o meglio, in quanto si svolge nella sfe-
ra dell'avere - definita come 'crainte', 'gne', 'trouble', ecc.; ad essa la vita angelica si oppone come
'repos', 'allgresse', indissociabili dalla passione della perdita, dal plaisir de n'avoir rien. Fin dalla
seconda strofa, la liberazione dall'avere e dalla cura posta come liberazione dall'identit: alla
'crainte' e alla 'complainte' dei mondani si oppongono la serenit e la gioia di coloro che Amour de
son feu [...] transporte. 'Trasporto' amoroso che si deve leggere, qui, nel suo senso radicale - che il
nostro immaginario ha, lo so [27] bene, cancellato -, come trasferimento di soggetto, ratto d'identit:
i Santi ne sauraient vivre leur mode, Dieu pour soi les ayant choisis. Ritroviamo dunque, mani-
festato, costituito attraverso la sua stessa negazione, il triangolo che ci ormai divenuto familiare:
incatenamento a s - condanna all'avere - ineluttabilit della cura. Ora, lo spartiacque della vita
mondana e della vita angelica scorre fra questo triangolo e la sua negazione. Il mondo si inscrive
dunque nell'orizzonte della cura - nell'orizzonte che scende, dall'identit e dall'avere, fino alla di-
mensione della cura - e la materialit che lo grava non pu essere compresa che a partire da questo
orizzonte.
Se non si stabilisce questo rapporto, questa gerarchia dottrinale, la nozione di bisogno, quale Su-
rin la definisce, resta inintelligibile. L'orrore del bisogno risiede, per lui, nelle mille astuzie, nei mil-
le accorgimenti che il suo appagamento richiede. Pour mettre ordre tous leurs besoins, i mon-
19
dani ont l'me pourvue de grands desseins, et longue vue. Condannati dall'istanza del bisogno alla
prudenza e all'accortezza, essi non potranno che separarsi da Dio. Le intuizioni di Surin su questo
punto sono magnifiche. Chi vive strategicamente, chi bara con l'evento, chi tenta di piegare la ven-
tura a suo vantaggio, offende la provvidenza divina: Ils portent si haute prudence, / Que la cleste
providence, / Ne suffit leurs grands desseins. Dall'altro lato dello spartiacque, al di l e al di so-
pra della mondanit, la vita angelica dei Santi trascorre nel completo abbandono alla provvidenza:
la liberazione dal bisogno vi appare come liberazione dalla cura del bisogno, dalla strategia del suo
appagamento: Les Saints dedans la providence / Trouvent un fonds pour leur dpense, / Le Ciel est
en souci pour eux.
Quest'interpretazione della maledizione del bisogno , a dir poco, sorprendente. Perch mai, di-
versamente che nei grandi testi della tradizione, pur cos cari a Surin, la tragicit del bisogno non
appare qui nella limitazione dell'essere che esso manifesta? Perch Surin non coglie, nel bisogno, la
crudele epifania di una mancanza? Soltanto se si presuppone la comprensione della mondanit
nell'orizzonte della cura e dell'incatenamento a s, questa singolare nozione del bisogno pu essere
spiegata. Ci che separa l'uomo da Dio, ci che, facendo di lui un esistente, gli sbarra l'accesso
all'esistenza divina, l'incatenamento a s quale si manifesta [28] nell'ineluttabilit della cura.
questo la mondanit, questo la linea di separazione della terra e del cielo. Tutti i segni della terre-
strit, tutte le tracce della separazione - e, prima fra esse, la traccia del bisogno - saranno ricondotte
all'identit e alla cura come al punto d'Archimede attorno a cui l'intera dottrina ruota.
Inscritto in questa comprensione della mondanit, ma inscrittovi come un supplemento in rappor-
to all'interpretazione del bisogno che da essa discende, il tema della provvidenza come avventura.
In tutto il poema, l'opposizione fra resistenza mondana e santo abbandono alla provvidenza, si arti-
cola alle opposizioni: humaine sagesse / allgresse - o, come in un altro cantico, sainte folie -, pru-
dence / aventure. L'abbandono alla provvidenza si oppone alla cura, come lo spirito dell'avventura
si oppone alla prudenza. Quest'associazione della volont divina al sorprendente, allo straordinario,
torna a pi riprese negli scritti di Surin. Cos, ad esempio, nelle Questions importantes la vie spi-
rituelle sur l'amour de Dieu, la quatrime disposition que donne l'amour parfait le total aban-
donnement et la perte de soi-mme entre les mains de Dieu dans les aventures surprenantes.
Aprs avoir perdu sa propre volont et ses propres desseins, l'anima est expose aux effets sur-
prenants de la Providence, et meurt de plus en plus soi-mme, voyant que Dieu dispose d'elle
comme d'une chose sienne, et la promne par des effets toujours nouveaux des aventures surpre-
nantes56.
Nella metafora ricorrente della provvidenza come avventura, ben una 'nuova' posizione di Dio
in rapporto all'uomo e al cosmo che si segnala, una posizione tanto diffusa nella spiritualit moder-
na da poter essere assunta come una delle spie principali della sua specificit.
Depuis Occam - scrive Michel de Certeau - ce moderniste, l'Inceptor disait-on, dans l'enseignement
commun s'est gnralise sa conception d'un pouvoir divin tranger toute rationalit mtaphysique ou tho-
logique. A la limite, Dieu peut vouloir un jour le salut, le lendemain la perte d'une population. Il n'y a aucune
relation stable de notre raison avec ses dcisions57.
Il Dio di Occam, e, sulla sua scia, di tutto il cristianesimo moderno, irrompe nella vita dell'uomo
come un disordine essen-[29]ziale, , per usare un'immagine cara a Surin, un abisso in cui la Ragio-
ne si perde, uno spazio in cui le leggi e i valori umani appaiono misteriosamente capovolti.
A questa nuova iscrizione della divinit, va senza dubbio ricondotta l'enorme diffusione, nel XVI
e ancora nel XVII secolo, del tema che associa la santit alla follia. Poich Dio versa ormai nella
sragione, poich tutto lo oppone all'ordine sociale e cosmico, il mistico - il santo - sar l'eroe di un
contrordine assoluto. In un bellissimo poema di Surin - De l'abandon intrieur, pour se disposer
la perfection de l'Amour Divin -, l'amore di Dio non cessa di trascriversi in una sorta di desiderio
antisociale, volont di purezza e volont di contrordine slittano ininterrottamente l'una sull' altra. Il
santo appare, strofa dopo strofa, vagabond, illettr, insens, sauvage, in una danza continua dei se-
gni medesimi che la societ dell'epoca dispone, come altrettante marche del suo rigetto, attorno
all'area della sragione. Cito qui gli ultimi versi, i pi sconvolgenti, di questo straordinario poema.
20
Alla fine della sua lunga odissea nell'anantissement, al ritorno dal suo naufragio in Dio, il misti-
co lancia all'ordine sociale quest'incredibile sfida:
Au revenir de cet heureux naufrage,
Je veux parler la face des Rois,
Je veux paratre en ce monde un sauvage,
En mprisant ses plus svres lois.
Ce m'est tout un, que je vive ou je meure,
Il me suffit, que l'Amour me demeure.
Je ne veux plus qu'imiter la folie
De ce Jsus, qui sur la Croix un jour,
Pour son plaisir, perdit honneur et vie,
Dlaissant tout pour sauver son Amour.
Ce m'est tout un, que je vive ou je meure,
Il me suffit, que l'Amour me demeure.
* * *
Torniamo, dopo questo lungo dtour per i Cantiques di Surin, al tema della perdita e alla sua
pregnanza nel discorso mistico del Seicento. Abbiamo distinto, nella struttura che rappresenta la ca-
pacit generativa di questo tema, due serie maggiori: la prima [30] formata dalle nozioni che esso
stesso fa sorgere, dalle dottrine che esso stesso emana; la seconda dai concetti che si annette, dalle
dottrine che impregna, dai temi di cui si appropria. Abbiamo assunto, come campione della prima
serie, la sequenza costituita dalla nozione canfeldiana di annihilation, e da quella, formulata da
Charles de Condren, di sacrificio. Abbiamo prescelto, come campione della seconda serie, la rein-
terpretazione mistica dei temi ascetici, che caratterizza una vasta fascia della spiritualit secentesca.
Un primo esempio di questa reinterpretazione - un primo membro-campione della seconda serie - ,
come abbiamo cercato di dimostrare, la riformulazione del tema della povert in termini di anan-
tissement, quale si compie nei Cantiques spirituels di Surin. Sempre dall'opera di Surin trarremo un
nuovo membro-campione della seconda serie emessa dal tema della perdita: la reinterpretazione mi-
stica del concetto ascetico d'indifferenza.
Tracciamo brevemente, prima di affrontare i testi di Surin, il quadro generale dell'evoluzione di
questo concetto, fra il XVI e il XVII secolo. a S. Ignazio di Loyola che spetta il merito di aver in-
trodotto, sulla scena della spiritualit moderna, la nozione d'indifferenza, sottraendola al millenario
oblio in cui era caduta, dopo le grandi riflessioni che gli stoici - e, al loro seguito, i primi filosofi
cristiani - le avevano consacrato. Negli Esercizi spirituali (ove tuttavia, come giustamente stato
rilevato58, non appare mai il sostantivo indiferencia, ma soltanto l'aggettivo indiferente), essa si pre-
senta come il grado zero della volont umana al riguardo di tutti gli oggetti che non possono farla
progredire verso Dio:
El hombre es criado para alabar, hacer reverencia y servir a Dios nuestro Seor, y mediante esto salvar su
anima; y las otras cosas sobre la haz de la tierra son criadas para el hombre y para que le ayuden en la
prosecucin del fin para que es criado. De donde se sigue que el hombre tanto ha de usar dellas, quant,o le
ayudan para su fin, y tanto debe quitarse dellas, quanto para ello le impiden. Por lo qual es menester
hacernos indiferentes a todas las cosas criadas, en todo lo que es concedido a la libertad de nuestro libre
albedro, y no le est prohibido; en tal manera que no queramos de nuestra parte ms salud que enfermedad,
riqueza que pobreza, honor que deshonor, vida larga que corta, y por consiguiente en todo lo dems;
solamente deseando y eligiendo lo que ms nos conduce para el fin que somos criados59. [31]
L'indifferenza la soglia di stornamento, la linea di separazione della volont da tutte le cose
create; essa , si pu dire, il versante negativo della pratica di volere incessantemente, di volere con
tutte le forze, ci che conforme al proprio fine trascendente. Ma vi di pi. Non soltanto l'indiffe-
renza per le cose create si raddoppia del desiderio del fine trascendente, ma si sdoppia essa stessa e
si ritaglia: l'indifferenza per le cose create in quanto tali si raddoppia allora del desiderio di cui pos-
sono e devono essere oggetto, in quanto strumenti per raggiungere il fine trascendente. Lungi dal
21
rappresentare il punto di catastrofe della volont umana, l'indifferenza dunque un efficace conge-
gno di regolazione dei suoi investimenti. Lungi dall'opporsi semplicemente al desiderare, essa fun-
ziona come un preciso ingranaggio nella strategia di ordinamento dei desideri. in quanto tale, del
resto, che il titolo stesso del libro degli Esercizi, senza nominarla, la prescrive (la pre-inscrive): E-
xercicios espirituales para vencer a si mismo y ordenar su vida, sin determinarse por afeccin algu-
na que desordenada sea. E che altro l'indifferenza, se non quest'assenza fra le radici della volont,
fra i motivi che ne orientano le decisioni e le cause che ne determinano le scelte, di ogni propen-
sione che sia disordinata, di ogni investimento cio che non si ordini al fine cui destinato l'uomo?
Nel corso del XVII secolo, a partire soprattutto da Franois de Sales, la nozione d'indifferenza
subisce tutte una serie di modificazioni: modificazioni che riguardano, essenzialmente, il suo campo
d'applicazione, ma che comportano anche una trasformazione lenta, insensibile, del suo spazio se-
mantico:
Au-del des premiers commentateurs qui limitaient le champ d'application de l'indiffrence aux vne-
ments de la vie extrieure et l'tat de vie, les auteurs spirituels, de Franois de Sales Fnelon, universali-
sent l'indiffrence et l'intriorisent toujours davantage. Ils le font de telle manire qu'elle devient un tat int-
rieur et passif d'acquiescement la conduite de Dieu. Aussi tend-elle se confondre avec la conformit la
volont de Dieu, avec l'abandon total entre les mains de Dieu, et avec le pur amour, qui est le motif le plus
lev de la vie spirituelle. Tout au long de ce cheminement et ce sommet, on s'abandonne soi-mme et on
se rend progressivement indiffrent tout, non seulement aux biens de la gloire, comme le disait Rodri-
guez, mais jusqu'au salut et au ciel, si, par impossible, c'tait l le bon plaisir de Dieu60. [32]
All'interno di questa deriva generale - processo, ad un tempo, di amplificazione e d'intensifica-
zione dell'indifferenza - si lascia isolare una corrente pi precisa, pi marcatamente mistica. la
tendenza - culminante, senza dubbio, in Mme Guyon - a rimodellare l'habitus dell'indifferenza sullo
stato di passivit mistica, a collegarlo con la graduale cessazione, nella quiete contemplativa, di tut-
te le operazioni dello spirito umano. Laddove, negli Esercizi, l'indifferenza rinviava a un atto del li-
bero arbitrio, atto volontario di pura ascesi (non desiderer la mia vita pi che la mia morte, non de-
siderer nulla se non, di volta in volta, ci che meglio si conforma al fine trascendente che costitui-
sce il mio destino), essa slitta poco a poco fino a designare lo stato di languore e di morte (anantis-
sement della volont umana, sotto il giogo della potenza divina che l'invade - o ancora, secondo
un'ambiguit regolata, l'infinito acquiescement della volont alla sua propria morte.
Si sviluppa dunque, nel corso del XVII secolo, un'interpretazione squisitamente mistica della no-
zione d'indifferenza, che la riformula nello spazio dell'tat passif, associandola all'anantissement
della volont, all'eclissi del soggetto umano. Cercher di fissare, nell'opera di Surin, una tappa di
questo processo di reinterpretazione, tappa mediana, come vedremo, fase di transizione e d'incertez-
za, in cui le due interpretazioni, quella nuova e quella antica, senza opporsi n associarsi, ma come
parallelamente, e ancora ignorandosi, coesistono.
Sia, quale primo punto di riferimento, il poema intitolato Le Triomphe de l'Amour. Come risulta
evidente fin dalla prima strofa, se non dal titolo stesso, l'oggetto del cantico lo spossessamento del
soggetto, la sua cattivit sotto l'impero di un Altro il cui volto resta celato nell'ombra:
Quelqu'un hors de ma connaissance
S'est rendu matre de mon cur,
Il le tient tout en sa puissance,
Le possdant comme vainqueur;
J'ai perdu toute ma franchise,
Je ne puis plus vivre ma guise,
Je suis au pouvoir de l'Amour,
Je lui servirai nuit et jour. [33]
Il cantico si suddivide in due sezioni, consacrata, ciascuna, a una diversa fase dell'esperienza mi-
stica. La prima evoca il tempo delle prove, pi precisamente lo stadio di morte spirituale che
l'anima deve attraversare per giungere alle nozze mistiche con lo Sposo. A questo mariage spirituel,
all'abme de grandeurs e al gouffre de gloire in cui lo Sposo immerge l'anima, dedicata invece la
22
seconda parte del poema. Mi soffermer unicamente, nella mia analisi, sulla fase, descritta nella
prima sezione, in cui la presenza dell'Amore sentita come mortifera e sterminatrice. Tutto ci che
resta, nell'uomo, dell'antico ceppo di Adamo, dovr essere, in questa fase, annientato completa-
mente, e soppresso definitivamente, perch l'anima si eguagli alla natura, divina, di Colui che la de-
signa, ormai, come sua sposa:
Lorsque la Puissance Divine
Se saisit de l'esprit humain,
Incontinent elle extermine
Ce qui reste du vieux levain;
Pour faire place la Sagesse,
Il faut en l'homme que tout cesse.
Ora, perch lo stadio di morte spirituale possa essere superato, perch il tempo delle prove si
concluda con la deificazione dell'anima, bisogna che quest'ultima subisca l'opera di morte dello spi-
rito divino con una perfetta ressegnazione e in un'assoluta immobilit:
Comme quand d'une main subtile
Le peintre accomplit son tableau,
Il faut qu'une toile immobile
Reoive les traits du pinceau;
Ainsi Dieu ne se reprsente
Dans le fond d'une me mouvante.
La fase dolorosa, notturna, dell'esperienza mistica, che precede l'esplosione di gioia e di luce del
matrimonio spirituale, oscilla dunque fra i due poli della morte subita e della morte accettata, della
devastazione inflitta e della devastazione accolta eroicamente. Il gioco ininterrotto di questi poli at-
traversa tutto il poema, ordinandone il contenuto in due serie convergenti. [34]
Sia, ad esempio, il gruppo di strofe in cui Surin evoca la resa dell'Io di fronte agli attacchi di
Amore, e ne descrive l'agonia sotto il suo dominio:
Il s'est lanc comme un foudre,
Jetant le feu par ses regards,
Il a rduit mon cur en poudre,
Et l'a perc de mille dards;
Il m'a fait tout autant de brches,
Que son carquois avait de flches.
Je suis au pouvoir de l'Amour,
Je lui servirai nuit et jour.
Que peut une terre fragile
Contre un si valeureux effort?
Que peut une masse d'argile
Contre un plus puissant que la mort?
Il n'est plus temps de se dfendre,
Entre ses mains il se faut rendre.
Je suis, etc.
Depuis une langueur extrme
Me tient tout l'esprit empch,
Je ne puis plus rien de moi-mme,
Au poteau je suis attach;
Je ne puis plus que le voir faire,
Sans lui vouloir tre contraire.
Je suis, etc.
Pour monument de sa victoire
Il a fait dresser ce poteau,
O pour le comble de sa gloire,
23
Il veut tablir mon tombeau;
Heureuse alors sera ma vie,
Lorsque l'Amour l'aura ravie.
Je suis, etc.
C'est l que mon me captive
Souffre la rigueur de ses lois,
C'est l que sa vertu me prive
De l'usage de tous mes droits;
L ne me restent d'autres armes,
Que les soupirs, et que les larmes.
Je suis, etc. [35]
Seul entre le Ciel et la Terre,
Me voyant rduit aux abois,
Je souffre une terrible guerre,
Qui me vient choquer sur ce bois;
Le monde parle, la chair crie,
L'Enfer cume, quoi qu'on die,
Je suis au pouvoir de l'Amour,
Je lui servirai nuit et jour.
Da un lato il languore estremo, la lenta agonia del soggetto che si vede, progressivamente, pri-
vato di ogni sua facolt (je ne puis plus rien de moi-mme), espropriato di ogni suo diritto (c'est
l que sa vertu me prive de l'usage de tous mes droit). D'altro lato, l'eroico acquiescement dell'a-
nima alla sua morte - la stupenda chiusura dell'ultima strofa citata, in cui, aggredito su tutti i fronti
da potenze ostili, seul entre le Ciel et la Terre, l'Io vacillante del contemplativo non rinuncia ad
assumere, ancora una volta e al prezzo della sua stessa dannazione (l'Enfer cume), il refrain
dell'infinito assoggettamento alla signoria di Amore. L'eclissi del soggetto, come ogni altra unit del
contenuto del poema, si inscrive dunque nel gioco, regolare e inarrestabile, che rinvia l'uno all'altro,
senza soluzione di continuit, i due poli della morte subita e della morte accettata - o invocata
(heureuse alors sera ma vie, lorsque l'Amour l'aura ravie), al limite.
Consideriamo adesso un secondo gruppo di strofe che, come quelle gi citate - come, del resto, il
poema intero - descrivono la morte del soggetto, ma che, inquadrando questa morte nella prospetti-
va particolare della sospensione del volere, riguardano da vicino il tema dell'indifferenza, del cui
percorso pretendiamo individuare, in questo testo, una stazione.
Mais voici des lois bien tranges,
Qui ne pourront gure trouver
Parmi les hommes des louanges,
Bien peu les voudront approuver;
Mais toutefois il ne m'importe,
Puisque c'est lui qui me conforte.
Je suis au pouvoir de l'Amour,
Je lui servirai nuit et jour.
La vertu me fut prcieuse,
Tant que je fus en mon pouvoir,
Elle ne m'est plus gracieuse,
Je ne puis pas mme la voir; [36]
cela je n'ai rien dire,
Puisque mon Matre le dsire.
Je suis, etc.
Je veillais sur ma conscience,
Pour tenir mon esprit gal,
Mais j'ai perdu cette science,
Ne pouvant pntrer le mal,
24
Une trs sincre innocence,
Me met tout l'indiffrence.
Je suis, etc.
L'oraison qui m'tait si douce,
Quand je m'y peine, c'est en vain,
Je n'y puis rien s'il ne m'y pousse,
Je n'y peux avoir de dessein;
Je n'y vais plus qu' l'aventure,
Comme qui suivrait la Nature.
Je suis, etc.
Ni le soin de la solitude
Ne me saurait plus maintenir,
Ni je ne peux faire d'tude
Pour les vertus entretenir;
Il faut qu' lui je m'abandonne,
Je n'ai rien que je ne lui donne.
Je suis, etc.
Je n'ai plus aucune pratique,
Mon cur ne s'y peut arrter,
rien de moi je ne m'applique,
Nul bien je ne puis projeter;
Ma volont toute perdue,
En lui se trouve suspendue.
Je suis, etc.
Ouvrant les yeux je ne vois goutte,
Tant plus je me veux claircir
Des vrits, moins je les gote,
La clart me fait obscurcir;
Je suis plong dans un abme,
O je ne vois ni fond ni cime.
Je suis, etc.
Je suis surpris quand je me garde,
Je perds le bien que je poursuis,
En me pressant, je me retarde,
Lorsque je m'aide, je me nuis;
Quand sur l'Amour je me dcharge,
Je sens que mon cur est au large.
Je suis, etc. [37]
Depuis que l'Amour me matrise,
Je suis rduit sa merci,
Il faut que lui seul me suffise,
Je ne peux avoir de souci;
Comme rien plus je n'apprhende,
Aussi rien plus je ne demande.
Je suis, etc.
Je ne trouve rien qui m'tonne,
Quand il lui plat de me calmer,
Mais quand il veut lui-mme, il tonne
Et fait mon esprit abmer;
Il me rassure, il m'pouvante,
Il me console, il me tourmente.
Je suis, etc.
25
Je ne sens plus rien qui me touche,
Il retient tous mes mouvements,
Je suis tout comme une souche,
S'il n'anime mes sentiments,
Enfin c'est l'me de mon me,
Je suis esclave de sa flamme.
Je suis au pouvoir de l'Amour.
Je lui servirai nuit et jour.
Dedicate alle leggi della signoria d'Amore, ai dettami della schiavit dell'anima, queste strofe
evocano, essenzialmente, la distruzione della volont morale. L'Io vede morire in s ci che pi gli
era stato caro: l'applicazione al bene, pazientemente ricercata, la pratica della virt, ardentemente
intrattenuta. Ormai incapace persino di accedere di sua iniziativa alla dolcezza della preghiera, il
mistico schiavo, letteralmente, di un Soffio che resta libero di non manifestarsi (je suis tout
comme une souche, s'il n'anime mes sentiments). L'Io, dunque, si sente morire nella morte della
sua volont morale (quanto siamo lontani, ormai, dall'indifferenza ascetica di S. Ignazio!) e assume
questa morte come un ultimo atto d'amore: il faut qu' lui je m'abandonne, je n'ai rien que je ne lui
donne. La sospensione del volere si situa sulla linea di fluttuazione che congiunge i due poli della
morte subita e della morte accettata; talora il vuoto di volont, che l'Altro dal volto celato, l'Altro
dispotico e divino, scava nell'anima (ma volont toute perdue, en lui se trouve suspendue), e talo-
ra la perfetta rassegnazione con cui quest'anima accetta la sua morte ( cela je n'ai rien dire, pui-
sque mon Matre le dsire). Fra i due poli, [38] ancora una volta, il rinvio incessante e il gioco
inarrestabile; l'ambiguit in cui s'inscrive la sospensione del desiderio, , rigorosamente, indecidibi-
le.
Ora, tutto il problema di stabilire in che misura l'indifferenza effettivamente l'oggetto dottri-
nale del testo esaminato. un primo dato di fatto, che il termine indiffrence appare una volta sol-
tanto in tutto il poema. Chiamato per di pi a occupare una casella strettamente determinata dal suo
contesto locale (quello di un'innocence che discende dall'accecamento morale dell'Io), il termine in-
diffrence, nella sua unica apparizione, certamente insufficiente a eleggere l'indifferenza a oggetto
dottrinale del cantico. un secondo dato di fatto, che l'idea d'indifferenza incessantemente evoca-
ta nel corso del poema. Che cosa manifestano, se non attitudini d'indifferenza, le numerosissime se-
quenze sulla sospensione del volere, che cosa esprime, se non l'indifferenza, un enunciato come: je
ne sens plus rien qui me touche? Il cantico del Triomphe de l'Amour articola, si pu dire, una dot-
trina dell'indifferenza che ancora non si enuncia come tale. E questa dottrina ancora inconfessabile,
questa nuova nozione cui ancora si rifiuta il nome, non altro che la prima manifestazione di un'in-
terpretazione puramente mistica dell'indifferenza, che raggiunger il suo pieno sviluppo soltanto al-
la fine del secolo. Silenziosamente, clandestinamente, uno slittamento si produce, che reinscrive la
sospensione del volere nell'orizzonte della morte del soggetto, che riformula la nozione d'indiffe-
renza nel dominio della perdita.
Curiosamente, mentre gi vi si articola la nuova interpretazione mistica, sopravvive ancora,
nell'opera di Surin, la vecchia interpretazione ignaziana, ascetica, dell'indifferenza. il caso, per
non fare che un esempio, del capitolo VI, libro II, delle Questions importantes la vie spirituelle
sur l'amour de Dieu: De la seconde disposition excellente que donne l'amour parlait, qui est d'tre
indiffrent tout.
Comment se pratique et s'tablit dans le cur cette indiffrence en toutes choses?
En ce que l'homme qui ne dsire que Dieu et qui cherche lui plaire en toutes choses, est tellement dispo-
s au regard de tout ce qui se prsente, qu'il ne se soucie pas plus d'une chose que de l'autre, mais seulement
de la volont de Dieu. Et c'est une grande perfection, parce que la limitation dans laquelle l'me se met, se
rendant attache un objet plutt qu' un autre, la retire d'un bien trs particulier, qui est l'indiffrence61. [39]
E ancora, sempre nel medesimo capitolo:
Tout de mme qu'une balance qui a deux plats galement loigns du centre autour duquel roule la barre
laquelle les plats sont suspendus: elle ne va pas de son poids plus d'un ct que d'autre, et c'est la posture la
26
plus parfaite de la balance; ainsi, la volont ayant son arrt constant dans la volont de Dieu, quand un effet
se prsente avec son contraire, la perfection de la volont humaine, qui a toute la force tourne Dieu, de-
meure entirement indiffrente tout, hors de Dieu, et jamais de sa part ne produit rien qui la fasse pencher
d'un ct plutt que de l'autre. Mais elle se tient en quilibre, attendant de Dieu la dtermination de tout; et
Dieu, par sa providence, donnera le branle au ct qu'il voudra; et aussitt qu'il l'a donn et que cette divine
volont est dclare, l'me s'y porte, sans perdre pourtant son indiffrence. Car elle ne s'incline cet effet par
aucun motif tir de la nature de la chose qui arrive, mais par le seul motif de la volont de Dieu, applique
cela ou au contraire62.
L'orizzonte in cui s'inscrive l'indifferenza non , qui, come nel cantico del Triomphe de l'Amour,
la distruzione del soggetto, ma, come negli Esercizi di Sant'Ignazio, la preferenza accordata, in rap-
porto ad ogni altro oggetto, alla gloria e alla volont divine. Laddove, nel Triomphe de l'Amour,
l'indifferenza si opponeva al libero esercizio della volont (je ne sens plus rien qui me touche, il
retient tous mes mouvements) e rinviava a una vacanza di soggetto, a un vuoto scavato al posto del
soggetto (je suis plong dans un abme), essa appare, nel primo brano riportato, precisamente
come un atto di libero esercizio della propria volont da parte di un soggetto sovrano, atto con cui la
volont stornata da tutte le cose create e rivolta alla divinit creatrice (il ne se soucie pas plus
d'une chose que de l'autre, mais seulement de la volont de Dieu). Nel secondo brano, in cui Surin
riprende l'immagine, tipicamente ignaziana, della bilancia, non si trova, egualmente, nessuna traccia
della morte mistica del soggetto. Come nel primo brano, l'indifferenza cessa di rapportarsi all'a-
nantissement come al suo proprio referente; come nel primo brano, essa designa la separazione da
tutti i desideri umani, in quanto si raddoppia di una tensione intransigente verso l'assoluto: la per-
fection de la volont humaine, qui a toute la force tourne Dieu, demeure indiffrente tout, hors
de Dieu. In piena conformit con la tradizione ascetica, l'indifferenza non delimita dunque, misti-
camente, l'evanescenza del soggetto davanti all'assoluto, ma di fronte ad esso, l'allontamento del
soggetto dal crea-[40]to. Per ci stesso, lungi dal defnire la soglia di anantissement del volere -
secondo l'ambiguit indecidibile: morte subita, morte accettata -, essa funziona ormai, all'interno
della strategia della volont, come un fattore di ridistribuzione dei suoi investimenti.
L'opera di Surin si situa dunque a una svolta decisiva nel processo di reinterpretazione che tra-
sporta, nel corso del XVII secolo, la nozione ascetica d'indifferenza nel dominio mistico del tema
della perdita. Mentre continua a enunciarvisi l'interpretazione tradizionale, ignaziana e ascetica, vi
si articola gi, senza ancora dichiararsi, una nuova interpretazione mistica, che segretamente la tra-
sgredisce. Mentre la parola indiffrence continua a disegnare, asceticamente, la linea di separazione
del soggetto da tutti i desideri umani, si disegna, ancora senza nome, un nuovo spazio, in cui la so-
spensione del volere s'inscrive nel punto di catastrofe dell'identit. In questo nuovo spazio d'inscri-
zione, tracciato ai margini della morte del soggetto, tutte le interpretazioni posteriori, fino a quella,
radicale, di Mme Guyon, continueranno ad articolare la nozione d'indifferenza, mentre l'interpreta-
zione ignaziana, presente ancora - e ancora dominante - nell'opera di Surin, si ec1isser progressi-
vamente.
La descrizione della struttura rappresentante la capacit generativa del tema della perdita ormai
completa. Entrambe le serie che si articolano in questa struttura - serie (a) dei concetti che il tema
della perdita emana, serie delle dottrine che fa sorgere; serie (b) delle nozioni che si annette, delle
dottrine e dei temi che si appropria - sono state sufficientemente analizzate. Della serie (a) abbiamo
esaminato, studiando le nozioni di annihilation in Benot de Canfeld e di sacrificio in Charles de
Condren, due validi membri-campione. Studiando la reinterpretazione mistica, formulata da Surin,
dei temi ascetici della povert e dell'indifferenza, abbiamo fornito invece due membri-campione
della serie (b). Questa struttura a due serie rappresenta, abbiamo detto, la capacit generativa del
tema della perdita; rappresenta cio - naturalmente a un alto livello di astrazione - il dominio di
questo tema nella spiritualit del Seicento, e ne illustra le modalit di formazione. Alle due serie (a)
e (b) corrispondono due flussi storici: l'improvviso diffondersi, nei primi decenni del secolo, di [41]
sempre nuove dottrine dell'anantissement, e, ad esso contemporanea, ma pi lenta e pi graduale,
la deriva che trasporta dottrine provenienti dagli ambiti pi diversi nel dominio mistico della perdita
27
di s. La struttura che si compone di (a) e di (b) rappresenter allora la precisa linea di pendenza che
questi flussi impongono, nel XVII secolo, a una vasta fascia della spiritualit francese (una fascia la
cui estensione coincide, come sappiamo, con l'estensione del discorso mistico), e questa fascia co-
stituir il dominio del tema che si scompone in quella struttura. Infine, poich, per definizione, un
tema (qui, il tema della perdita) un fattore 'mentale' che surdetermina, in una certa epoca (per noi,
il XVII secolo), l'evoluzione dei pi diversi sistemi di pensiero (nel nostro caso, di differenti dottri-
ne spirituali), la linea di pendenza che evochiamo, rappresentata nella struttura a due serie in cui si
scompone il tema della perdita, definir la surdeterminazione che l'universo delle dottrine spirituali
riceve, all'inizio del XVII secolo, da una svolta della mentalit collettiva.
28
NOTE
1
Da alcuni anni, tuttavia, si comincia ad assistere a una salutare inversione di tendenza. Teniamo a segna-
lare, in questa prospettiva, i recenti lavori di Michel de Certeau: L'criture de l'histoire (Gallimard, 1974) e
La Fable mystique (Gallimard, 1982). Tali opere presentano infatti, oltre al loro eminente valore intrinseco, il
merito tutt'altro che secondario di aver introdotto le pi raffinate tecniche di ricerca storica in un dominio
tradizionalmente ostile ad ogni rinnovamento.
2
GABRIEL JOPPIN, Fnelon et la mystique du pur amour, Paris 1938, pp. 20-25.
3
LOUIS COGNET, La spiritualit moderne, Paris 1966, pp. 249-250.
4
Rgle de perfection, III, 1, p. 333. La prima edizione completa di quest'opera, la principale di Benot de
Canfeld, del 1609, ma un manoscritto della Rgle circolava nelle comunit religiose sin dal 1593. L'affer-
mazione dei biografi di Canfeld, secondo cui la Rgle sarebbe stata composta verso il 1590, dunque vero-
simile. Cito dalla recente edizione critica di Jean Orcibal (P.V.F., 1982), che riprende il testo del 1609.
5
Exercice compos par le R. P. Benot capucin, citato in Cognet, op. cit., p. 256.
6
Rgle, III, 6, pp. 368-369.
7
Ibid., m, 8, pp. 381-382-383.
8
Ibid. p. 383.
9
Ibid., III, 2, p. 340.
10
Ibid., III, 12, pp. 404-406.
11
Ibid., III, 7, pp. 371-372.
12
Citato in H. BREMOND, Histoire littraire du sentiment religieux en France, t. III, Paris 1935, p. 44.
Cfr. GERMAIN HABERT, La vie du cardinal de Brulle, Paris 1646.
13
PIERRE DE BERULLE, uvres compltes, Discours de l'tat et des grandeurs de Jsus, 1856, p. 161.
Quest'opera, la principale di Brulle, quella in cui prende forma il sistema cristocentrico, fu pubblicata per la
prima volta nel 1623, e scritta nel 1622 - all'epoca cio del riflusso e del declino della spiritualit canfeldia-
na.
14
Ibid., p. 160.
15
Ibid., p. 161.
16
Condren non pubblic mai nulla. La sua dottrina ci nota soprattutto attraverso le sue lettere (mi riferi-
r all'edizione di P. AUVRAY e A. JOUFFREY, [43] Lettres du P. Charles de Condren, Paris 1943). Possiamo
inoltre contare su due valide testimonianze: La vie du P. Charles de Condren (Paris 1643) di Denis Amelote,
allievo e amico di Condren, e l'Ide du sacerdoce et du sacrifice de Jsus-Christ, una raccolta pubblicata nel
1667 da Quesnel, di cui la seconda sezione costituita interamente da note prese alle conferenze di Condren
(mi riferir all'edizione Pin, uvres compltes du P. Charles de Condren, t. II, Paris 1858).
17
L. COGNET, op. cit., p. 385.
18
Lettres, p. 23.
19
Citato in M. Dupuy, Brulle: une spiritualit de l'adoration, Paris 1964, p. 158.
20
Ide du sacerdoce et du sacrifice de J.-C., II parte, cap. 2, p. 59.
21
Il sacrificio il devoir essentiel de la religion (Ide, II parte, cap. 1, p. 46). Come tale non si distin-
gue pi dal dovere di adorazione: i devoirs de crature sono, ad un tempo e lnseparabilmente, l'adoration
et le sacrifice de nous-mme. Le Fils de Dieu a droit sur nous par plusieurs titres. Premirement les droits
divins qu'il a comme Fils de Dieu et hritier de son Pre ternel [...]. Ces mmes droits divins nous obligent
consentir qu'il soit en nous comme Dieu plus que nous-mme, et non seulement tre ses serviteurs et ser-
vantes, mais aussi ses cratures, et lui rendre non seulement les devoirs de servitude, mais aussi les devoirs
de crature, qui sont l'adoration et le sacrifice de nous-mme. (Lettres, pp. 372-373). Il dovere di adorazio-
ne, obbligo essenziale della creatura secondo Brulle, ritorna, dunque, nella dottrina di Condren, come dove-
re di sacrificio. Un'articolazione analoga si trova in Franois Guillor, uno degli spirituali pi influenzati da
29
Condren: [...] il n'y a point d'opration qui soit propre et essentielle aux cratures comme celle de rendre un
hommage de profonde adoration celui qui est au-dessus d'elles [...]. Portez les yeux jusqu'au plus haut du
ciel, et vous verrez qu'il n'y a rien qui n'adore la grandeur de Dieu par un continuel exercice d'anantisse-
ment (F. GUILLORE, Confrences spirituelles pour bien mourir soi-mme, cit. in H. BREMOND, op. cit., t.
3, p. 361).
22
Ide, II parte, cap. 2, p. 54.
23
Ibid., II parte, cap. 4, p. 70.
24
Sulla distinzione fra il nulla della creatura e la macchia del peccato, cfr. H. BREMOND, op. cit., t. 3, p.
372: nell'essere dell'uomo Condren distingue comme deux couches, l'homme de pch, l'esclave e
l'homme-crature, l'homme de nant.
25
D. AMELOTE, La vie du P. Charles de Condren, 1643, t. 1, p. 135.
26
Condren riprende la dottrina berulliana dell'adhrence agli stati del Verbo incarnato; ma, nella sua pro-
spettiva tutta tesa all'annientamento, essenzialmente allo stato di vittima di Cristo che l'uomo chiamato ad
aderire.
27
Citato in H. BREMOND, op. cit., t. 3, p. 368.
28
Ibid., p. 369.
29
Lettres, pp. 29-30.
30
Surin (1600-1665) fu uno dei pi grandi mistici della Compagnia di Ges. Per una presentazione com-
pleta e filologicamente dettagliata delle sue opere, rinvio all'eccellente studio di Michel de Certeau, Les
uvres de Surin, apparso in Revue d'Asctique et de Mystique, nn. 40-41, 1964-1965. In questa sede, sar
sufficiente ricordare i titoli, e le date di composizione, dei suoi scritti principali: Cantiques spirituels de
l'amour divin (1639-1655); Catchisme spirituel (1654-1655); Contrats spirituels (1655); Dialogues spiri-
tuels (1655-1658); Guide spirituel pour le perfection (1660); Posies spirituelles (1661); Science exprimen-
[44]tale des choses de l'autre vie (1663); Questions importantes la vie spirituelle sur l'amour de Dieu
(1664).
31
H. BREMOND, op. cit., t. 5.
32
Rinvio, per tutte le citazioni dai Cantiques che seguiranno, all'edizione del 1664, Paris, F. Lambert.
33
I temi che evochiamo percorrono tutte le di Epitteto. In particolare, sul rapporto fra l'inalie-
nabilit dell'anima (o meglio, fra la coscienza di questa inalienabilit) e la libert-serenit del saggio, cfr. L.
II, c. 2. Sull'implicazione che associa la separazione dai beni materiali, l'epifania dell'inalienabilit dell'anima
e l'affermarsi sovrano della libert, cfr. L. I, c. 1 e L. IV, c. 1. Infine, sull'impotenza del tiranno di fronte al
saggio, cfr. L. I, c. 2.
34
In Cantiques spirituels de l'amour divin, De l'abandon intrieur, pour se disposer la perfection de
l'Amour divin.
35
EMMANUEL LEVINAS, De l'existence l'existant, Paris 1978, p. 95.
36
E. LEVINAS, Le Temps et l'Autre, Paris 1979, pp. 25-26.
37
Ibid., p. 28.
38
Ibid., p. 31.
39
De l'existence l'existant, p. 125.
40
Ibid., p. 125.
41
Ibid., p. 140.
42
Le Temps et l'Autre, p. 31.
43
Ibid., p. 32.
44
De l'existence l'existant, pp. 35-36.
45
Ibid., pp. 37-38.
46
Le Temps et l'Autre, p. 37.
47
Cfr. M. SERRES, Herms I, La Communication, Paris, Minuit, 1980, pp. 78-112.
48
Cfr. FRIEDRICH NIETZSCHE, Considerazioni inattuali, Sull'utilit e il danno della storia per la vita, in
Opere di F. Nietzsche, Adelphi, vol. III, t. 1.
49
Le Temps et l'Autre, p. 36.
50
De l'existence l'existant, p. 135.
51
Le Temps et l'Autre, p. 36.
52
Cantiques spirituels de l'amour divin, Du dlaissemente de toutes choses pour vivre plus parfaite-
ment.
53
J.-J. OLIER, Introduction la vie et aux vertus chrtiennes, cap. 11, par. 8, Paris 1641, p. 302.
54
Le Temps et l'Autre, p. 36.
30
55
Ibid., p. 38.
56
Questions importantes la vie spirituelle sur l'amour de Dieu, L. II, cap. 8, Paris 1930, p. 90.
57
M. DE CERTEAU, Mlancolique et Mystique: J.-J. Surin, in: Analytique, 2, Paris 1978, pp. 4142.
58
Cfr., ad esempio, G. Bottereau, L'indiffrence ignatienne, in: Dictionnaire de spiritualit asctique et
mystique, t. 5, voce Indiffrence.
59
Ejercicios espirituales, Principio y fundamento, Madrid 1965, pp. 15-16.
60
A. RAYEZ, L'indiffrence au XVIIe et au XVIIIe sicles, sempre in: Dictionnaire de spiritualit asc-
tique et mystique, t. 5, voce Indiffrence.
61
Questions importantes la vie spirituelle sur l'amour de Dieu, Paris 1930, p.79.
62
Ibid., pp. 80-81. [45]
31
II
IL SENSO TRADITO
32
I
Quante volte, leggendo un libro, siamo colpiti da una referenza che non troviamo pertinente, da
una citazione che ci sembra inadeguata? Quante volte, in un testo, notiamo la presenza massiccia,
tenace, di un altro testo, e quante volte questa presenza ci appare traditrice, risonanza dissonante,
ripetizione differente? ogni lettura, bisogna dirlo, desta in noi questo sospetto, in qualche punto; in
qualche punto di ogni testo un rinvio ci sembra un abuso, o una citazione un tradimento.
Ora, la presenza pi o meno letterale, integrale o no, di un testo in un altro, definisce quello spa-
zio dell'intertestualit di cui la teoria della letteratura comincia a scoprire l'estensione e l'importan-
za. L'idea di abuso, di crimine perpetrato sul senso, che tanto spesso associamo a una citazione o ad
un rimando, potrebbe essere un buon punto di partenza per un'esplorazione in questo spazio, tutto
sommato ancora assai poco conosciuto. La questione si pone allora di sapere se l'idea di tradimento
pi che una risorsa fugace dell'intuizione, se legittimo servirsene come di un concetto nell'analisi
della scrittura intertestuale. Assumer, come ipotesi di lavoro, che il tradimento rinvia a una struttu-
ra non secondaria, e analizzabile, dell'intertestualit. Tenter, esaminando un caso di scrittura inter-
testuale, di dimostrare l'esistenza e descrivere il montaggio di un dispositivo che rende possibile e
regola lo scarto che il testo considerato impone al testo a cui rimanda e che ripete. Cercher insom-
ma di mostrare che il crimi-[49]ne compiuto contro il senso, il tradimento della scrittura, suppone
una preparazione minuziosa, una macchinazione laboriosa e paziente. Se queste operazioni potran-
no essere condotte a termine, l'ipotesi assunta si trover confermata, e potremo assegnare alla vio-
lenza deformante, alla virulenza traditrice della scrittura, il posto e il rango di una struttura nello
spazio generale della testualit.
Il primo problema che ci si pone di determinare il livello e lo statuto di questo scarto imposto al
senso che abbiamo, fino ad ora, accettato come un dato dell'evidenza. In realt, nulla meno evi-
dente di questo scarto, niente meno certo del fatto che la semplice ripetizione di un enunciato pos-
sa trasformarne il senso. Consideriamo, ad esempio, il caso di una citazione letterale, i cui limiti
coincidano con quelli di una frase. La citazione e la formulazione originaria sono identiche, o me-
glio, identica la frase che vi si articola. Una sola, di conseguenza, sar la descrizione strutturale
che il linguista potr assegnare alle due formulazioni; una sola, in particolare, la rappresentazione
semantica che potr ricostruire. Dal punto di vista di una grammatica generativa, il senso - inteso
come interpretazione della struttura sintattica della frase - , nelle due formulazioni, il medesimo.
Nondimeno constatiamo incessantemente, nella nostra esperienza linguistica, che la stessa serie di
segni, introdotta in due contesti irriducibili, inscritta in due campi di rapporti completamente diver-
si, muta singolarmente di valore. Ma il valore di cui cogliamo la differenza, l'oggetto che si trasfor-
ma sotto i nostri occhi, non sar, a propriamente parlare, il senso della frase, non sar, in ogni caso,
la forma logica che Chomsky descrive sotto questo nome. Eccoci dunque nella necessit di defi-
nire, indipendentemente dalla descrizione linguistica della frase, questo misterioso oggetto, valore o
senso, di cui sappiamo che la semplice ripetizione di un enunciato pu indurre la trasformazione.
Partiremo dalla distinzione, stabilita da Michel Foucault nell'Archologie du savoir, fra enuncia-
to, proposizione e frase. Nella terza sezione di questo libro, al momento di fissare l'oggetto della
'descrizione archeologica' Foucault isola l'unit discorsiva dell'enunciato (atome du discours),
opponendola, ad un tempo, all'unit linguistica della frase, all'unit logica della proposizione, [50] e
all'unit pragmatica dello speech act. Non rispetter sempre, in questo studio, tutte le distinzioni
33
stabilite da Foucault, n terr conto di tutti gli elementi della sua definizione dell'enunciato. Ma la
differenza, da lui magistralmente fissata, fra enunciato e frase, costituir il punto di riferimento teo-
rico essenziale della mia ricerca. Un livello, in particolare , una dimensione di questa differenza, ri-
veste per noi il massimo interesse. La ripetibilit dell'enunciato, sostiene Foucault, non dello stes-
so ordine, e non copre la medesima estensione, della ripetibilit della frase. La frase una pura for-
ma, specificata soltanto dalle sue leggi di costruzione: essa pu, per ci stesso, essere infinitamente
riattualizzata. Come la frase, anche l'enunciato ha il potere di essere ripetuto; ma, dot d'une cer-
taine lourdeur modifiable, d'un poids relatif au champ dans lequel il est plac, trop li ce qui
l'entoure et le supporte pour tre aussi libre qu'une pure forme1, esso non pu ripetersi, come pre-
cisa Foucault, che dans des conditions strictes, senza l'illimitata libert che propria della frase.
Data la molteplicit, virtualmente infinita, delle ricorrenze di una frase, non si avr dunque che una
serie finita di ricorrenze di uno stesso enunciato. Pu sempre accadere che ad una serie di ricorrenze
della stessa frase corrisponda una molteplicit di enunciati diversi; pu sempre accadere che l'iden-
tica frase non costituisca pi il medesimo enunciato.
Le phrase que 'les rves ralisent les dsirs' peut bien tre rpte travers les sicles; elle n'est point le
mme nonc chez Platon et chez Freud. Les schmes d'utilisation, les rgles d'emploi, les constellations o
ils peuvent jouer un rle, leurs virtualits stratgiques constituent pour les noncs un champ de stabilisation
qui permet, malgr toutes les diffrences d'nonciation, de les rpter dans leur identit; mais ce mme
champ peut aussi bien, sous les identits smantiques, grammaticales ou formelles les plus manifestes, dfi-
nir un seuil partir duquel il n'y a plus d'quivalence et il faut bien reconnatre l'apparition d'un nouvel non-
c2.
L'enunciato dunque definito da un campo di stabilizzazione, o di utilizzazione, costituito dalle
regole d'uso, dalle sue virtualit strategiche, dai rapporti che lo uniscono ad altri enunciati. Questo
campo di stabilizzazione assicura, da un lato, la ripetibilit dell'enunciato, distinguendolo cos dal
puro evento, singolare e irripetibile, dell'enunciazione. Ma, d'altro lato, impone a questa stessa ri-
[51]petibilit delle restrizioni particolarmente gravose, distinguendo cos l'enunciato dell'entit, in-
finitamente ripetibile, della frase. Esso trama l'identit dell'enunciato nella dispersione delle enun-
ciazioni diverse, e fissa le sue soglie di trasformazione nella serie di ricorrenze della stessa frase.
Applichiamo adesso la distinzione enunciato/frase, quale Foucault la definisce, ai dati che la no-
stra esperienza ci fornisce sul tradimento della scrittura. Il senso tradito, il valore che una semplice
ripetizione basta a trasformare, il valore enunciativo della frase ripetuta - o di qualsiasi altra serie
di segni, inferiore o superiore alla frase, che un testo riprende da un altro testo. Sia ancora - poich
questo il caso d'intertestualit che esamineremo - la citazione letterale di una frase. Lo scarto impo-
sto al senso ha luogo nel punto di dirimenza dell'identit dell'enunciato dall'identit della frase. La
citazione - letterale - tradisce nella misura in cui, sotto le specie di un'identica frase, permette di
formulare un enunciato nuovo. Ma perch un nuovo enunciato appaia, bisogner che si organizzi un
nuovo campo di stabilizzazione, che si diano nuovi schemi di utilizzazione e nuove serie di relazio-
ni, e che insomma si trasformino le condizioni d'inscrizione della frase. Il tradimento del senso, l'al-
terazione del valore enunciativo, si articolano dunque a un preciso dispositivo di traduzione: il sen-
so tradito in quanto la frase tradotta, tra-dotta in nuove condizioni d'inscrizione, in un sistema
d'inscrizione originale. Chiameremo tra-duzione il tradimento del senso, in quanto si articola a un
dispositivo di scrittura ed analizzabile come una struttura dell'intertestualit. Tra-duzione, in altri
termini, il concetto di cui ci serviremo in questo studio per analizzare - e dunque, inevitabilmente,
ridistribuire - la molteplicit di scarti, di slittamenti, di abusi, che popola ordinariamente il riferi-
mento intertestuale.
II
Nelle Questions importantes la vie spirituelle sur l'amour de Dieu, Surin cita pi volte uno
stesso passaggio di S. Bonaventura, tratto dal VII capitolo dell'Itinerarium mentis in Deum3. Ecco il
passaggio in questione: [52]
34
Si autem quaeras, quomodo haec fiant, interroga gratiam, non doctrinam; desiderium, non intellectum; gemi-
tum orationis, non studium lectionis; sponsum, non magistrum; Deum, non hominem; caliginem, non clarita-
tem; non lucem, sed ignem totaliter inflammantem et in Deum excessivis unctionibus et ardentissimis affec-
tionibus transferentem4.
Esso compare, nel testo di Surin, una prima volta nel V capitolo del libro II, e due volte nel V
capitolo del libro III. Riporto qui le tre citazioni, nei relativi contesti.
(R. I)
C'est quelque chose trange quand on va dans la vie spirituelle par raisonnement. La spiritualit s'en peut
bien servir, mais la plus grande partie et la principale de la vie spirituelle se gouverne plus par imptuosit
d'amour ou par les lumires que donne cet amour, que par ce qu'Aristote enseigne en ses trois figures.
Ce n'est pas que l'amour divin ne soit trs sage et savant quand il faut, mais c'est qu'il est simple, fervent
et ardent, et saint Paul souhaitait, dans le passage que nous avons dj angu du IIIe Chapitre aux Ephsiens,
aux chrtiens, qu'ils pussent comprendre la charit de Jsus-Christ surpassante et surnageante au-dessus de la
science. Et comme c'est un point fort parfait, l'Aptre, en ce passage tout divin, aprs avoir dsir aux chr-
tiens d'tre fortifis en l'homme intrieur, d'avoir Jsus-Christ habitant en eux par la foi, d'tre enracins et
fonds en la charit, qui sont de bons points de mystique, il leur dsire la facult de comprendre toutes les
dimensions des choses divines, et, avec tous les saints, d'entrer en leur vritable science, c'est--dire dans la
science qui leur est propre. Et quelle est cette science propre des saints? C'est de surpasser par ardeur leur in-
telligence, et concevoir que l'amour, en ce qui est de Dieu, passe notre entendement et ses raisonnements. Et
aprs cela vient la plnitude de Dieu: c'est la vraie perfection o il faut aspirer.
La plupart des hommes veulent contenter leur raisonnement, et vont dans les choses de la science mys-
tique comme on fait aux autres sciences de philosophie et de thologie. Mais il y a un autre chemin, qui est
d'aller en l'cole que saint Ignace appelle scholam affectus. Dans la science de la spiritualit, il faut prendre
une autre mthode, et, par l'humiliation de l'entendement et la ferveur de l'affection, entrer dans les lumires
divines. C'est quoi ceux qui sont exercs dans la pratique de ne vouloir que Dieu, sont appels.
Je veux, pour finir et pour laisser les esprits convaincus de cela, rapporter un texte de saint Bonaventure.
Il dit au livre qu'il intitule Itinerarium aeternitatis5: Pour bien entendre les choses de la mystique, Interroga
gemitum orationis, non studium lectionis; Deum, non hominem; sponsum, non magistrum; caliginem, non
claritatem; non lucem, sed ignem totaliter inflammantem: Pour bien entendre les choses intrieures de la spi-
ritualit ou science mystique, il faut aller au dsir non l'entendement, [53] au gemissement non la lecture,
Dieu non pas l'homme, Jsus poux non pas aux docteurs, aux tnbres mystiques non pas la lumire,
au feu brulant non pas la clart clatante. Aprs, il laisse un chacun consulter le sentiment de la grce, et
non pas celui de la doctrine6.
(R. II. 1)
REPONSE A UNE OBJECTION QU'ON FAIT SOUVENT CONTRE CE QUE JE VIENS DE DIRE
Quelle est cette objection?
C'est que l'on dit: Ceux qui parlent ainsi des choses extraordinaires et qui vantent ce qui est de la mys-
tique, nous disent que les ames prouvent de grandes choses, que ce sont des trsors et des merveilles; et si
on leur demande ce que c'est, ils ne savent rien dire, sinon des termes d'exagration, si ce n'est, que ce sont
des richesses de Dieu inexplicables, qu'elles trouvent des merveilles dans leurs oraisons et communications
avec Dieu. On leur demande ce que c'est: elles ne donnent que des exclamations, des tmoignages qu'elles se
rendent que leur esprit les abm dans les mystres de Dieu. Si on les presse de dire quelque chose, on ne
trouve rien.
Il y a des dvots qui, venant rendre compte leur directeur de ce qui se passe dans leur intrieur, disent
qu'ils prouvent de si grandes choses qu'ils n'ont point de langue pour les exprimer. Que si leur directeur est
un philosophe, il les presse et leur demande ce que c'est qu'ils ont senti et prouv en leur intrieur, si c'est
substance ou accident; et comme ils ont accoutum dans leurs livres de voir des propositions ou des compa-
raisons, si ces bonnes mes ne leur peuvent mettre rien en avant, ils s'en moquent et disent que ce sont des
fols, et leur ordonnent des potages.
C'est la raison qui fait que certaines gens qui sont venus examiner les choses mystiques, voyant comme
parlent les auteurs de cette science divine, disent que ce ne sont que des termes extraordinaires, qui ne signi-
fient rien, et qu'en effet ils n'ont rien appris l'glise. Car au moins les scolastiques forment de nouvelles
35
questions, et, aprs les avoir proposes, ils balancent de part et d'autre o est la raison. Mais ces mystiques ne
disent rien, ils allguent de beaux termes, qu'ils ont des attouchements divins, des blessures intrieures, des
communications des vrits trs hautes, des joies transportantes. On leur demande ce que c'est: ils sont in-
continent bout, et aprs qu'elles vous ont parl, vous n'en savez pas davantage que devant. C'est pourquoi
quelques-uns font des railleries de leurs termes et des rises de tous leurs discours: Ainsi peut-tre nous par-
lez-vous de grandes richesses et opulences que personne ne peut avoir que celui qui les imagine?. A cela je
rponds que les choses plus elles sont divines, plus elles sont vritables et solides, et moins faciles expli-
quer. Voyez saint Paul qui dit qu'il a t lev au troisime ciel o il a ou des choses tranges; priez-le de
vous dire ce que c'est, il vous dira que Non licet homini loqui. Saint Jean dans l'Apocalypse nous dit des
choses trs hautes [54] de Dieu, des promesses que Jsus Christ fait aux ames; il leur promet Manna abscon-
ditum, et dabo illi calculum candidum; et in calculo nomen novum scriptum quod nemo scit nisi qui accipit:
Je donnerai au victorieux une manne cache et un caillou blanc sur lequel sera crit un nom nouveau, que
nul se sait que celui qui le reoit. Vous direz donc de mme ces Aptres qu'ils vous en ont fait accroire.
Saint Bernard sur ce mme sujet dit: Dabitur nosse cui dabitur experiri. Et saint Bonaventure vous dira: Si
quaeris quomodo haec fiant, interroga gratiam non doctrinam, desiderium non intellectum, Sponsum non
magistrum, etc., et le reste de ce passage que j'ai dj cit ci-devant.
Le docteur scolastique ne se contentera pas de cela, et examinant la mystique, il voudra une claire expli-
cation, et, moins de cela, il dira que je fais des contes. Cependant je ne puis dire autre chose, sinon que le
chemin pour arriver la connaissance de ces choses n'est pas la mme que la route des autres sciences; qu'ef-
fectivement ces mes pures et simples, qui Dieu fait ses libralits, prouvent et sentent des choses trs v-
ritables, trs solides, trs divines, mais pour lesquelles nous n'avons point de termes, et que les saints qui les
ont voulu dclarer, comme saint Denis, ont parl d'une faon qui est ridicule au monde et comme envelop-
pant contradiction, car il dit: Qu'il faut s'lever la divine notion sans notion7.
(R. II. 2).
Ainsi, quand une me contemplative sera interroge sortant de son oraison, il se pourra faire qu'elle ne
pourra rien dire, et que nanmoins elle sera vraiment pleine des richesses et des grandeurs de Dieu; et que
l'on sera contraint de dire et de conclure par les paroles de Notre-Seigneur: Confiteor tibi, Domine, Pater
caeli et terrae, quia abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti ea parvulis: Je vous rends
grces, mon Pre, Seigneur du ciel et de la terre, de ce que vous avez cach ces choses aux sages et aux pru-
dents, et que vous les avez dcouvertes aux petits.
Et on peut dire, avec saint Bonaventure: Interroga gratiam non doctrinam, caliginem non claritatem,
non lucem sed ignem totaliter inflammantem: Il faut aller la grce et non la doctrine, aux tnbres mys-
tiques, non pas la lumire, au feu brlant, non pas la clart clatante. Alors mes docteurs qui ne peuvent
rien croire que ce qui a pass par leurs syllogismes, diront ou que saint Bonaventure s'est tromp et qu'on a
mieux examin depuis lui, ou que les docteurs mystiques sont des reveurs qui se laissent tromper aux fem-
melettes, et que la scolastique doit juger de cela. Que si ces docteurs sont aussi scolastiques que saint Bona-
venture, ils diront qu'ils ne sont pas de cet avis8.
Il passo di S. Bonaventura appare, ogni volta, nell'identico punto strategico. Esso fissa il confine
tra le scienze religiose, funge da spartiacque fra mistica e scolastica, assegna alla scienza mistica
la sua autonomia e la sua specificit. [55]
In R. I, dopo aver denunciato l'errore di coloro che vont dans les choses de la science mys-
tique comme on fait aux autres sciences de philosophie et de thologie; dopo aver affermato che
dans la science de la spiritualit il faut prendre une autre mthode, che Surin, pour laisser les es-
prits convaincus de cela, ricorre al testo dell'Itinerarium.
In R. II. 1, la citazione prende posto in una struttura bipolare, articolata sull'opposizione fra d-
vots o mystiques e un soggetto x, portatore della funzione antimisticismo, che assume, nello svi-
luppo del testo, varie identit. Lo troviamo in un primo momento, ancor protetto dall'anonimato,
all'enunciazione dell'obiezione contro cui Surin prende la penna; lo vediamo riapparire nei panni del
directeur philosophe che schernisce le bonnes mes dei contemplativi; lo troviamo di nuovo,
poi, all'enunciazione dell'obiezione rivolta alla mistica - ma, questa volta, la sua presenza nel testo
non pi marcata da un indeterminato on, siglata al contrario da un precisissimo certaines
gens qui sont venus examiner les choses mystiques, dove l'allusione a Jean Chron, autore, nel
1657, di un celebre Examen de la thologie mystique, trasparente. Ma tutti questi valori assunti
36
dalla funzione antimisticismo, si riassumeranno, alla fine, nell'immagine di un irriducibile docteur
scolastique, di fronte a cui Surin non potr che ribadire que le chemin pour arriver la connais-
sance de ces choses n'est pas la mme que la route des autres sciences.
In R. II. 2, la situazione pi ambigua. Contro l'antimisticismo degli scolastici dell'epoca, Surin
fa appello all'autorit dello scolastico Bonaventura, come se volesse sottomettere la mistica al giu-
dizio di una scienza che, per non essere quella dei dottori moderni, non meno scolastica. In realt,
ancora una volta per difendere la piena autonomia della mistica che il passaggio dell'Itinerarium
viene citato. Giacch la differenza fra S. Bonaventura e i dottori moderni sta appunto nel fatto che
questi stimano que les docteurs mystiques sont des rveurs qui se laissent tromper aux femmelettes
et que la scolastique doit juger de cela. Il riconoscimento alla scolastica di un potere d'esame e di
giudizio sulla mistica non si distingue pi dall'antimisticismo, fa tutt'uno con esso. Cos, parados-
salmente (o piuttosto, retoricamente), l'au-[56]torit della vera scolastica invocata per provare
l'impotenza della scolastica a giudicare in materia mistica.
Le tre apparizioni del passo di S. Bonaventura hanno luogo dunque in uno spazio le cui varianti
sono la separazione e il conflitto delle scienze religiose (giacch lo scontro misticismo/antimisti-
cismo non cessa di ripiegarsi sull'opposizione mistica/scolastica). Chiameremo contesto della ricor-
renza-Surin il campo definito dalla compresenza di questi tratti. Distingueremo inoltre una precisa
funzione contestuale della citazione di S. Bonaventura: ogni volta, essa chiamata a legittimare la
separazione delle scienze religiose, destinata a siglare l'autonomia della mistica, a orlare il margine
in cui essa si strappa dalla scolastica.
Ora, per assolvere efficacemente questa funzione, il testo dell'Itinerarium deve racchiudere il
principio d'originalit di una scienza, individuare un regime di conoscenza nella sua specificit. Ap-
parentemente, tuttavia, esso non soddisfa minimamente queste condizioni. Le opposizioni che mette
in gioco (desiderio/intelletto, tenebra/luce, preghiera/studio, ecc.) sembrano circoscrivere piuttosto
l'area di un misterioso al di l della conoscenza. certo che, nella dottrina di Surin, esse devono ri-
vestire un valore singolarmente diverso da quello che oggi siamo portati ad attribuire loro. Ma nul-
la, nei testi trascritti, ci mette sulla pista di un tale valore. Dovremo cercare altrove, nell'opera di Su-
rin, un campo associato a queste opposizioni, che ne permetta un'altra lettura e le abiliti alla funzio-
ne che, nei contesti esaminati, sono chiamate ad assolvere.
Consideriamo, in primo luogo, l'opposizione intelletto/amore. Nei Fondements de la vie spiri-
tuelle9, un curioso libro in cui si trovano raccolti i commentari di Surin all'Imitazione di Cristo, un
intero capitolo dedicato all'interpretazione di queste parole: Vult Deus nos sibi perfecte subici, et
omnen rationem per inflammativum amorem transcendere (Im. di Cristo, I, 14, 3) - si tratta, come
vediamo, di un'altra occorrenza della nostra opposizione.
La vritable dvotion - commenta Surin - ne consiste pas en raisonnement et en spculation, ni en hautes
penses tires de notre cerveau, mais en soumission de cur, et en abaissement, qui, tant joints avec l'affec-
tion, non seulement unissent le creur Dieu, mais causent beaucoup de lumire, parce que l'amour divin est
un feu clairant, et les hommes reoivent par [57] son moyen, non seulement des penses hautes et sublimes,
mais encore les reoivent avec grande abondance: si bien qu'on se trompe fort de bander avec effort son es-
prit pour connatre beaucoup de chose. L'amour est un fleuve trs doux qui sans aucune peine conduit dans
l'me des trsors d'intelligence et de science10.
All'amore, e proprio all'amore in quanto si oppone all'intelletto, associato qui tutto un campo
della conoscenza. In virt di quest'associazione, l'opposizione intelletto/amore si articola a una par-
tizione che taglia in due lo spazio del conoscere. Nel breve testo che ho riportato quest'associazione
e quest'articolazione sono evidentissime. Raisonnement, spculation e hautes penses tires
de notre cerveau, non possono opporsi ad affection e soumission de cur senza opporsi
anche, parce que l'amour est un feu clairant, alle penses hautes et sublimes, trsors d'intelli-
gence et de science, che l'irradianza di questo fuoco dispensa all'anima umana. Ma osserviamo
meglio. Non soltanto l'opposizione intelletto/amore che si scrive qui sotto le specie di una parti-
zione del conoscere: tutte le altre opposizioni messe in gioco dal passaggio dell'Itinerarium prendo-
no posto nell'orizzonte di questa scrittura. Mentre i pensieri connessi all'esercizio dell'intelletto sono
37
tratti dal nostro cervello, sono cio il frutto dell'opera dello spirito umano, quelli connessi alla
pratica dell'amore sono pensieri che gli uomini 'ricevono', che giungono in loro da altrove. Pi chia-
ramente ancora, al sapere che lo spirito conquista avec beaucoup d'effort, si oppongono le cono-
scenze che l'amore, sans aucune peine, 'conduce' nell'anima. Ci troviamo di fronte alla distinzione
tra una conoscenza di fonte umana, frutto dell'industria e della fatica dello spirito, e una conoscenza
di fonte divina, che s'infonde nell'anima dall'alto, senza che lo spirito debba operare. (Sia detto, fra
parentesi, che la figura della conoscenza infusa non potrebbe venire associata all'amore se quest'ul-
timo non subisse, nel testo, un'oscillazione che ne trasporta il senso dalla soumission de cur
dell'uomo davanti a Dio, all'amour divin, feu clairant e fiume dolcissimo, potenza trascenden-
te che si confonde con la divinit stessa). Il regime di conoscenza associato all'opposizione amo-
re/intelletto si associa dunque, nello spazio stesso di questa opposizione maggiore, alle opposizioni
fra grazia e dottrina, opera divina e opera umana, industria e dono di Dio. E queste opposi-[58]zioni
s'inscrivono a loro volta nell'orizzonte della partizione del conoscere veicolata dall'opposizione
maggiore.
In un altro capitolo dei Fondements, il VII del libro III, troviamo la medesima associazione di un
ordine della conoscenza alla serie delle opposizioni bonaventuriane. Dopo aver isolato la nozione di
una luce che l'uomo riceve direttamente da Dio per via sovrannaturale, Surin si chiede quali siano le
condizioni che ne liberano l'accesso, e quali gli ostacoli che lo sbarrano. Nella serie degli ostacoli,
accanto al vizio ed al peccato, all'amor vano e alle passioni, figura l'appoggio che l'uomo prende,
abitualmente, sulla ragione.
[...] l'homme qui s'attache son raisonnement, et qui met plus de fond en lui qu'en cette infusion de lumire
divine gratuitement donne, met un empchement cette illumination: car il doit croire que, quelque excel-
lence qu'il y ait en ses discours faits par sa diligence (comme en effet il y peut avoir du bien), que ce qui
vient par une dispensation surnaturelle et dpendante de la grce est sans comparaison plus grand, et qu'il at-
teint par la simple contemplation la vrit en elle-mme11.
Si acceder invece alla purezza della luce divina par l'assujettissement de son esprit Jsus-
Christ par amour; en appliquant la force de son intelligence ce mme mour, et remplissant par le
canal de l'affection le vaisseau de l'entendement.
Par ce biais - continua Surin - quoique directement l'me ne fasse pas mtier de connatre et d'entendre,
nanmoins elle se dispose de telle manire, que par aprs cet amour, qui est un feu, vient rayonner dans
l'entendement, et y introduit de hautes et sublimes connaissances12.
In conclusione,
l'homme doit tre persuad que, bien que son travail soit bon, nanmoins il entrera plus avant en toutes
choses par la lumire dpartie d'en haut pat voie surnaturelle que par toute son tude: ainsi s'engendrera un
certain mpris de ses propres lumires, et grande dfance de son industrie13.
Qui, l'opposizione maggiore a cui viene associato il nuovo regime di conoscenza, visibilmente
quella fra Dio e uomo, opera umana e dono divino. L'opposizione intelletto/amore ha cessato d'in-
scriversi all'origine della partizione del conoscere, di fondare la divisione dei campi di conoscenza;
quest'ultima al contrario, [59] fondata altrove, che le preesiste e la determina (intelletto e amore
non si oppongono pi se non in quanto si situano in campi opposti in rapporto all'infusione di luce
sovrannaturale). Il risultato, in ogni caso, quello stesso del testo precedente. Le opposizioni bona-
venturiane, bench si gerarchizzino diversamente, ricevono il medesimo senso dal campo di cono-
scenza che viene associato loro: trascrivono una partizione dello spazio del conoscere. Questa tesi,
del resto, pu essere verificata con una contro-prova. Facendo un rapido inventario dei termini che
designano, nel testo, il sapere notato di segno negativo, otteniamo due serie di una certa omogenei-
t: (a) raison - raisonnement - discours; (b) travail - tude - industrie. Sul versante
della conoscenza marcata di segno positivo, avremo, da un lato, il periodo (a1) in cui si stabilisce
l'identit di questa conoscenza con l'irradianza del fuoco amoroso; e, d'altro lato, la serie (b1): in-
fusion de lumire divine gratuitement donne - dispensation surnaturelle et dpendante de la gr-
ce - contemplation - lumire dpartie d'en haut. Mettendo in correlazione i quattro gruppi iso-
38
lati sui due versanti, reperiremo, accanto all'opposizione intelletto/amore (a/a1), una pleiade di op-
posizioni che ricoprono, per lo pi, quelle bonaventuriane dell'Itinerarium: grazia/dottrina, Di-
o/uomo, orazione/studio, lavoro/quiete. Diremo, per concludere, che la partizione dello spazio della
conoscenza costituisce l'orizzonte di reinscrizione comune a tutte le opposizioni che Surin riprende,
in generale, dalla tradizione mistica, e, in particolare, da S. Bonaventura.
Rileggiamo, alla luce di questi ragguagli, la pagina che abbiamo denominato R. 1. La saggezza
dei santi, scrive Surin, c'est de surpasser par ardeur leur intelligence, et concevoir que l'amour, en
ce qui est de Dieu, passe notre entendement et ses raisonnements. Ci stupiremo meno, ormai, di
vedere, nel paragrafo successivo, quest'oltranza amorosa farsi 'scuola' di un sapere ben determinato,
o di apprendere che la ferveur de l'affection e l'humiliation de l'entendement costituiscono il
'metodo' proprio di una 'scienza' di cui, per altro, si rivendicano l'autonomia e la singolarit. Tutto
ci non pu che discendere in linea retta dall'associazione all'amore - e all'amore in quanto opposto
all'intelletto - del campo della conoscenza infusa. Ancora meno ci stupir, poi, che a definire i limiti
della mistica sia chiamato il [60] testo di S. Bonaventura. nell'orizzonte di una partizione dello
spazio del conoscere che tutte le sue opposizioni sono qui reinscritte: i due termini di ciascuna di
esse (amore/intelletto, grazia/dottrina, orazione/studio, ecc.) qualificano due opposti campi di cono-
scenza. E poich il termine colpito dalla negazione ogni volta il significante del sapere umano, la
serie di esclusioni che il passaggio bonaventuriano mette in gioco, le negazioni ripetute che ne
scandiscono il ritmo, faranno emergere, sul fondo del campo di conoscenza rigettato, l'insieme della
conoscenza infusa. Nulla di pi naturale, dunque, se prendiamo sul serio questo processo di rein-
scrizione, che il testo dell'Itinerarium sia assunto a paradigma della scienza mistica, poich indivi-
dua il regime di conoscenza a cui essa s'identifica.
III
Nell'analisi che precede, ho cercato di definire lo statuto della presenza del testo bonaventuriano
nel discorso di Surin, ho tentato di descrivere quello che si potrebbe chiamare il suo sistema di ri-
correnza. Questo sistema apparso costituito: da un preciso contesto - la separazione e il conflitto
delle scienze religiose; dalla funzione contestuale che il passaggio di S. Bonaventura chiamato ad
assolvere - fissare l'autonomia della mistica, legittimare la divisione del sapere religioso; e da un
campo associato che rappresenta la sua sfera d'inscrizione dottrinale - il regime della conoscenza in-
fusa. Assumer il sistema di ricorrenza di un enunciato come unit di misura della tra-duzione; si
dir che vi tra-duzione se e nella misura in cui esso non coincide con il sistema d'inscrizione ori-
ginaria del medesimo enunciato. Il mio proposito semplice: isolare, nell'Itinerarium mentis in
Deum, il sistema d'inscrizione originaria del passaggio citato da Surin; compararlo con il sistema di
ricorrenza, e stimare, eventualmente, il loro scarto.
Verifichiamo, in primo luogo, se il contesto sotteso dalla ricorrenza-Surin compatibile con la
dottrina di S. Bonaventura, se, in particolare, di esso si trovano tracce nell'Itinerarium mentis in
Deum. [61]
In hac oratione orando illuminamur ad cognoscendum divinae ascensionis gradus. Cum enim secundum sta-
tum conditionis nostrae ipsa rerum universitas sit scala ad ascendendum in Deum; et in rebus quaedam sint
vestigium, quaedam imago, quaedam corporalia, quaedam spiritualia, quaedam temporalia, quaedam aeviter-
na, ac per hoc quaedam extra nos, quaedam intra nos: ad hoc, quod perveniamus ad primum principium con-
siderandum, quod est spiritualissimum et aeternum et supra nos, oportet nos transire per vestigium, quod est
corporale et temporale et extra nos, et hoc est deduci in via Dei; oportet, nos intrare ad mentem nostram,
quae est imago Dei aeviterna, spiritualis et intra nos, et hoc est ingredi in veritate Dei; oportet, nos transcen-
dere ad aeternum, spiritualissimum, et supra nos, aspiciendo ad primum principium, et hoc est laetari in Dei
notitia et reverentia maiestatis14.
Secundum hunc triplicem progressum mens nostra tres habet aspectus principales. Unus est ad corporali a
exteriora, secundum quem vocatur animalitas seu sensualitas; alius intra se et in se, secundum quem dicitur
spiritus; tertius supra se, secundum quem dicitur mens15.
39
Cominciamo col distinguere i tre piani messi in gioco in questi due paragrafi: un piano cosmolo-
gico - piano della scomposizione dell'universo in cose corporee e spirituali, temporali e perenni, a
cui si aggiunge, spiritualissimo ed eterno, il primo principio; un piano antropologico - piano della
suddivisione dell'anima in tre aspetti principali, senso, spirito e mente; un piano gnoseologico -
piano della ripartizione del conoscere in conoscenza per vestigio, per immagine e conoscenza diret-
ta della divinit del principio. L'ascesa verso Dio traccia il suo itinerario all'intersezione di questi tre
piani tripartiti, stabilendo, fra di essi, tutto un fascio di relazioni. Proviamo a ripercorrerle. Poich
nello stato della nostra condizione, la scala per ascendere a Dio l'intero universo, dovremo, per
giungere a lui, ripercorrerne con la conoscenza tutta l'estensione. Dapprima speculeremo Dio per
vestigio nelle cose materiali, quindi per immagine nelle cose spirituali, e infine in se stesso come
spiritualissimo principio. Ma poich, nella gerarchia cosmica, l'anima umana (il soggetto conoscen-
te) occupa una posizione precisa (quella mediana delle sostanze spirituali), il percorso della cono-
scenza corrisponder a una gamma di posture del soggetto. Dapprima l'uomo speculer Dio fuori di
s nelle sostanze corporee; quindi in se stesso, nell'immagine che gliene offre la sua propria anima;
infine sopra di s, mirando al primo principio. A questo punto le cose si complicano ulterior-
[62]mente per un'intersezione fra i piani cosmologico e gnoseologico, cos articolati, e il piano an-
tropologico: alle tre posture che l'anima, come soggetto della conoscenza, pu assumere dal luogo
mediano che essa occupa nel cosmo, corrisponde infatti una stratificazione delle sue funzioni, una
tripartizione della sua essenza. Ai tre gradi del conoscere verranno cos a corrispondere tre aspetti
dell'anima umana.
Come si vede, lo spazio della conoscenza si tesse in una rete di riscontri, di contrappunti, di ana-
logie. Esso rientra in un'architettura - in una gerarchia - che antropologica e cosmologica non me-
no che gnoseologica. In quest'immenso edificio, ogni elemento trova il suo posto, ciascuno distinto
dagli altri, ma tutti inclusi nel medesimo disegno.
Ora, sulla base dell'architettura unitaria che abbiamo descritto, che si ordinano le scienze reli-
giose. Ecco come S. Bonaventura introduce quest'ennesima corrispondenza, stabilendone, nello
stesso tempo, l'origine divina:
[Cristo] scientiam veritatis edocuit secundum triplicem modum theologiac, scilicet symbolicae, propriae et
mysticae, ut per symbolicam recte utamur sensibilibus, per propriam recte utamur intelligibilibus, per mysti-
cam rapiamur ad supermentales excessus16.
Alle tre tappe dell'itinerario della conoscenza fanno riscontro tre rami del sapere religioso: la teo-
logia simbolica, che regola la conoscenza delle cose sensibili - la speculazione di Dio nei vestigi; la
teologia propria o scolastica, che regola la conoscenza delle cose intelligibili - la speculazione di
Dio nell'immagine che ne offre l'anima umana; la teologia mistica, che sigla l'ascesa della mente al-
la pura luce della divinit. E, naturalmente, a partire da questa prima corrispondenza, il periplo di
tutte le altre potrebbe essere ripercorso. Ma soltanto un aspetto particolare della 'scienza della ve-
rit' che qui ci interessa: il suo carattere unitario. Teologia simbolica, scolastica e mistica si distin-
guono, evidentemente, ma come i rami di un unico sapere - proprio come uno solo il nome, teolo-
gia, sotto cui sono raggruppate. Egualmente, le tre figure della conoscenza sono i gradi di una stessa
scala, le tappe di un solo itinerario: costituiscono, come dice S. Bonaventura, il triplice splendore
di un sol giorno, e il primo come il [63] vespro, il secondo come il mattino, il terzo come il merig-
gio17. Le scienze si saldano e si completano, nello ,stesso modo in cui le conoscenze si gerarchiz-
zano, in conformit con i gradi di un itinerario18. Il ritmo del progresso verso Dio gerarchizza, riuni-
ficandoli, i diversi modi del conoscere, i differenti rami del sapere. Tutto, in realt, per la forza di
un'illimitata rete di corrispondenze, si gerarchizza e si unifica al ritmo di un progresso ascensionale:
il cielo e la terra, l'uomo ed il cosmo, le forme della natura e le funzioni della mente. L'universo in-
terno, l'abbiamo visto, scala per ascendere in Dio.
stato sufficiente analizzare una pagina di S. Bonaventura per verificare la completa assenza,
nell'Itinerarium mentis in Deum, del contesto messo in gioco dalla rioccorrenza-Surin. E, viceversa,
che cosa resta, in tale contesto, dell'organizzazione bonaventuriana del sapere e della conoscenza?
Nulla, assolutamente nulla. Scompare la gran rete analogica che tesseva l'unit del pensiero,
40
dell'uomo e del cosmo. Scompare soprattutto - ma come isolare le due perdite? - l'ordinamento uni-
tario delle scienze religiose. In rapporto al mondo di S. Bonaventura, il mondo di Surin si direbbe
lacerato da un sisma, oscurato da un'eclissi. Si perduta la trasparenza che permetteva al maestro
francescano di scorgere le corrispondenze fra gli ordini dell'universo; si spezzata l'unit che armo-
nizzava le scienze pi diverse. La conoscenza ha cessato di chiedere al cosmo il segreto della sua
esistenza, per apparire qui in tutta la sua solitudine; simultaneamente il sapere si dilacera, quasi ba-
stasse coglierlo nella sua specificit per dubitare gi della sua esistenza.
Dobbiamo adesso ritrovare, nel contesto generale dello spazio che abbiamo individuato, la posi-
zione che occupa il passo citato da Surin. A quale grado della scala per ascendere in Dio esso corri-
sponde? A quale soglia dell'itinerario? Qual la funzione che vi svolge? Premetto fin d'ora che non
stato possibile assegnare al passo in questione una funzione contestuale propria, una funzione che
esso non condividerebbe con nessun altro enunciato dell'Itinerarium mentis in Deum. Se determi-
niamo come contesto pertinente per l'analisi lo spazio senza frattura del sapere e della conoscenza -
che poi lo spazio in cui si disegna la struttura di tutto il libro -, dobbiamo rassegnarci a riconoscere
[64] che il nostro passaggio non opera, a livello di questo contesto, in modo singolare; l'unit mini-
ma individuata dall'esercizio della stessa funzione contestuale, un'area testuale assai pi vasta, che
coincide, grossomodo, con il VII capitolo dell'Itinerarium (parleremo, convenzionalmente, dell'area
testuale A). dunque alla funzione calcolabile sulla scala di quest'area, che confronteremo la fun-
zione richiesta dalla ricorrenza-Surin.
Tre, come si visto, sono i modi del conoscere:
Quoniam autem quilibet praedictorum modorum geminatur, secundum quod contingit considerare Deum ut
alpha et omega, seu in quantum contingit videre Deum in unoquoque praedictorum modorum ut per specu-
lum et ut in speculo, seu quia una istarum considerationum habet commisceri alteri sibi coniunctae et habet
considerari in sua puritate: hinc est, quod necesse est, hos tres gradus principales ascendere ad senarium, ut,
sicut Deus sex diebus perfecit universum mundum et in septimo requievit; sic minor mundus sex gradibus
illuminationum sibi succedentium ad quietem contemplationis ordinatissime perducatur19.
I tre modi fondamentali del conoscere si suddividono dunque in sei gradi di conoscenza, ciascun
modo sdoppiandosi secondo lo schema: per specchio/in specchio. Si distingueranno cos: la specu-
lazione di Dio per vestigia eius in universo20 e la speculazione di Dio in vestigiis suis in hoc
sensibili mundo21; la speculazione per immagine e in immagine; la speculazione dell'unit divina
per eius nomen primarium quod est esse22 e la speculazione della beata Trinit in eius nomine
quod est bonum23. Ma sulla corrispondenza che termina il testo citato che vorrei richiamare l'at-
tenzione. Servendosi dell'analogia con i sei giorni della creazione, Bonaventura fa apparire, oltre il
periplo delle sei illuminazioni, la quiete della contemplazione, domenica dell'anima umana, ripo-
so e festa del mondo minore. Ora, lungi dall'inscriversi, in rapporto ai sei gradi che la precedono, in
una posizione di supplemento, la contemplazione il limite a cui tutte le illuminazioni tendono, il
fine da cui esse ricevono il loro senso, ci che le fa esistere come gradi di una scala, tappe di un
itinerario. Questa conclusione s'impone non appena si osserva il testo da vicino. Nel brano riportato,
ad esempio, leggiamo: ...sic minor mundus sex gradibus illuminationum... ad quietem contempla-
tionis ordinatissime perducatur. Le sei illuminazioni sono strumento, o via, per giungere alla per-
fetta contemplazio-[65]ne. Egualmente, nel prologo, troviamo: [...] sex illuminationum suspensio-
nes, quibus anima quasi quibusdam gradibus vel itineribus disponitur, ut transeat ild pacem per e-
cstaticos excessus sapientiae christianae24. Le illuminazioni sono strade che l'anima si prepara a
percorrere, o soglie che si dispone a varcare, ut transeat ad pacem, per poter raggiungere la pace
della contemplazione. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Citiamone uno ancora, dal capitolo
VII:
His igitur sex considerationibus excursis tanquam sex gradibus throni veri Salomonis, quibus pervenitur ad
pacem, ubi verus pacificus in mente pacifica tanquam in interiori Hierosolyma requiescit [...]25.
41
Ancora una volta le sei illuminazioni rappresentano il mezzo per giungere alla quiete. Esse sono
come i sei gradini del trono di Salomone, e la contemplazione il trono su cui l'anima riposa dopo
aver salito i gradini dell'illuminazione.
La perfetta contemplazione dunque il fine in vista del quale si svolge l'itinerario delle sei illu-
minazioni, e viceversa le sei illuminazioni non si ordinano in una successione, non formano un iti-
nerario, che in quanto tendono a questo fine. In altri termini: in relazione all'istanza della contem-
plazione che le conoscenze si gerarchizzano e rientrano in un unico disegno, come tappe di uno
stesso itinerario o fasi di un identico processo. Alla contemplazione sar associata, quindi, una fun-
zione decisiva e quasi fondatrice a livello del contesto bonaventuriano: da essa dipende, infatti, in
ultima istanza, l'unificazione dello spazio del conoscere, poich soltanto in rapporto ad essa che le
varie conoscenze si gerarchizzano in un unico edificio. Ora, il campo di enunciati in cui l'istanza
della contemplazione si dissemina, coincide, precisamente, con il settimo ed ultimo capitolo
dell'Itinerarium; ricopre cio con esattezza l'area testuale di cui fa parte il passo citato da Surin. Nel
raggio di quest'area, e dunque al nostro passaggio, sar applicabile allora la funzione associata alla
perfetta contemplazione: determinare in ultima istanza l'unit dello spazio della conoscenza. C' bi-
sogno di sottolineare lo scarto, anzi l'antitesi, tra la funzione contestuale svolta dal passo discusso
nella sua inscrizione originaria, e quella che adempie nella ricorrenza-Surin? Qui sigilla l'unit delle
conoscenze, l ne propizia la separazione; qui garantisce l'omogeneit del sapere, l ne autorizza l'a-
tomizzazione. [66]
Ma in che cosa consiste, esattamente, la quiete della contemplazione, questo dies requiei che
conclude e corona l'avventura mistica? Le due righe che intitolano il VII capitolo bastano gi, da so-
le, a informarci sul contenuto della quies: De excessu mentali et mystico, in quo requies datur in-
tellectui, affectu totaliter in Deum per excessum transeunte26. Al vertice dell'esperienza mistica
troviamo questo 'transito' dell'anima in Dio, questa quasi deificazione dell'anima per cui S. Bona-
ventura ricorre, pi volentieri che ad ogni altro, al termine excessus - cos, ad esempio, per descrive-
re l'estasi di S. Francesco sull'Alvernia: [...] in Deum transit per contemplationis excessum27. Ora,
questo salto dell'anima al di l di se stessa (che l'ex- di excessus, ossessivamente ripetuto, non cessa
di evocare), questo spostamento decisivo del suo baricentro nell'Altro, non si compie senza che tutte
le operazioni dell'intelletto vengano abbandonate: In hoc autem transitu, si sit perfectus, oportet
quod relinquantur omnes intellectuales operationes [...]28. La quiete di cui gode l'anima umana, al-
la fine delle sei illuminazioni, dunque la cessazione dell'opera della conoscenza: al culmine dell'i-
tinerario, l'ex-stasi, il trasporto dell'anima in Dio, si realizza nel silenzio della potenza intellettiva.
Ma non tutto. La sospensione estatica dell'intelletto si accompagna e si completa di una verti-
ginosa intensificazione dell'affetto. Fra la potenza affettiva e quella intellettiva (per S. Bonaventura,
teniamolo presente, l'anima si divide in facolt o 'potenze') si stabilisce casi una singolare dialettica.
Quanto pi la potenza affettiva si fortifica (e si fortifica nella misura in cui l'anima si avvicina all'e-
stasi), tanto meno la potenza intellettiva agisce ed opera, come in virt di un trapasso di energia
dall'una all'altra potenza.
Les facults de connatre se taisent - scrive E. Gilson - mais elles se taisent parce que l'affectif leur impose
silence [...] et l'affectif, son tour, ne peut leur imposer silence que parce qu'il a tir l'me toute entire vers
lui et accapar ses nergies29.
Il medesimo movimento che strappa l'esperienza estatica al controllo dell'intelletto, la assoggetta
alla 'vigilanza' di un amore fervente: [67]
Iste amor transcendit omnem intellectum et scientiam [...] Unde cum mens in illa unione coniuncta est Deo,
dormit quodam modo, et quodam modo vigilat [...] Sola affectiva vigilat et silentium omnibus aliis potentis
imponit [...]30.
Sospensione dell'intelletto e incandescenza dell'affetto, cessazione della conoscenza e intensifi-
cazione dell'amore, sono dunque i due poli dell'excessus mentis, le due leve dell'estasi. La dialettica
che li unisce si manifesta, nel capitolo VII, in due punti privilegiati, in due passi che, a distanza di
un paragrafo, stabiliscono la medesima rete di opposizioni. Ecco il primo:
42
Quoniam igitur ad hoc [al transito dell'anima in Dio] nihil potest natura, modicum potest industria, parum est
dandum inquisitioni, et multum unctioni; parum dandum est linguae, et plurimum internae laetitiae; parum
dandum est verbo et scripto, et totum Dei dono, scilicet Spiritui sancto; parum aut nihil dandum est creatura-
e, et totum creatrici essentiae [...]31.
Quanto al secondo, non altro che il passaggio tante volte citato da Surin. Questo passaggio, con
l'altro che a distanza di una pagina gli fa eco, disvela dunque la meccanica della perfetta contempla-
zione, mettendo a nudo il gioco di leve che la sostiene.
Dobbiamo, a questo punto, far fronte a una serie di legittime perplessit. I dati in nostro possesso
sembrano, in effetti, contraddirsi apertamente. Da una parte la perfetta contemplazione - sintassi e
metafore non cessano d'indicarlo - appare come il fine a cui tutte le illuminazioni tendono, come il
coronamento ed il termine del movimento del conoscere. D'altra parte - l'abbiamo visto - essa e-
sclude ogni conoscenza. Al posto, allo stesso posto che dovrebbe essere occupato dalla conoscenza
pi alta, dalla visione pi chiara, troviamo la cecit del non sapere. L'ignoranza chiamata a coro-
nare, senza scacco e senza frattura, il processo della conoscenza. In che modo tutto questo possibi-
le? La posta in gioco di questa domanda , per noi, decisiva. Dalla risposta che sapremo fornire, di-
pender la coerenza di tutta l'analisi finora condotta. in quanto occupa la posizione di fine comune
a tutte le illuminazioni, che l'estasi pu sigillare l'unit delle conoscenze, ed nella misura in cui
l'estasi sigilla effettivamente l'unit delle conoscenze, che l'area testuale A esplica la funzione con-
testuale che le abbiamo attribuito. Com' possibile, dunque, che l'acceca-[68]mento estatico occupi
il posto pi alto in un itinerario che non altro, fin dalla sua prima tappa, che il processo stesso del-
la conoscenza? Ancora una volta, bisogner individuare un campo associato all'excessus mentis, che
ne rovesci, in qualche modo, il significato, che permetta d'intendere altrimenti la cessazione della
conoscenza da esso richiesta.
Fra i due brani, gi analizzati, in cui abbiamo riconosciuto la pi compiuta immagine della dia-
lettica dell'estasi, si estende il paragrafo pi lungo del capitolo VII, costituito dalla citazione della
folgorante apertura della Teologia Mistica dello Pseudonigi. Dopo aver rilevato, nel primo brano, la
natura tutta divina, amorosa e non cognitiva, dell'esperienza estatica, Bonaventura prosegue dicen-
do cum Dionysio ad Deum Trinitatem:
Trinitas superessentialis et superdeus et superoptime Christianorum inspector theosophiae, dirige nos in
mysticorum eloquiorum superincognitum et superlucentem et sublimissimum verticem; ubi nova et absoluta
et inconversibilia theologiae mysteria secundum superlucentem absconduntur occulte docentis silentii caligi-
nem in obscurissimo, quod est supermanifestissimum, supersplendentem, et in qua omne relucet, et invisibi-
lium superbonorum splendoribus superimplentem invisibiles intellectus. Hoc ad Deum. Ad amicum autem,
cui haec scribuntur, dicatur cum eodem: Tu autem, o amice, circa mysticas visiones, corroborato itinere, et
sensus desere et intellectuales operationes et sensibilia et invisibilia et omne non ens et ens, et ad unitatem, ut
possibile est, inscius restituere ipsius, qui est super omnem essentiam et scientiam. Etenim te ipso et omnibus
immensurabili et absoluto purae mentis excessu, ad superessentialem divinarum tenebrarum radium, omnia
deserens et ab omnibus absolutus, ascendes32.
La funzione di questa lunga citazione, situata fra i due passi che meglio rappresentano l'ellissi
della conoscenza nell'estasi, inequivocabile: essa permette di assimilare all'excessus mentis la con-
templazione dionisiana del raggio di tenebra, induce l'identificazione fra la quiete estatica - il silen-
zio della potenza intellettiva - e 'lo ' dell'Areopagita. Seguiamo dunque, in conformit
con l'indicazione dataci da Bonaventura stesso, le tracce di questa assimilazione.
Secondo Henri-Charles Puech, prise en sa premire signification, la Tnbre est essentiellement
agnosia. Le gnophos est trs exactement, comme chez l'anglais anonyme qui, au XIVe sicle, a
donn ce titre son livre, 'le Nuage de l'Inconnaissance'33. [69]
Prise ainsi - scrive ancora Puech - la Tnbre dionysienne risque cependant d'apparatre dnue de contenu:
les conditions dialectiques (mthode apophatique) et dogmatiques (incognoscibilit de Dieu) la rencontre
de quoi elle nat semblent toutes ngatives. H. Ritter s'y est mme tromp, qui parle, propos de notre au-
teur, d'agnosticisme mystique. C'est ngliger les assertions et les images de nos textes [...]. La Tnbre
n'est pas un tat absolument vide: elle est ignorance, mais - comme chez saint Bonaventure - ignorantia doc-
43
ta. Selon les formules - ncessairement paradoxales, puisque l'objet de la vision est ici l'Invisible - que rpte
l'Aropagite, on connat au-dessus de l'intelligence par le fait de ne rien connatre (Th. Myst. I, 3, 1001 A);
on est digne de connatre et de voir Dieu par le fait mme que l'on ne voit ni ne connat (Epist. V, 1073 A);
l'inconnaissance absolue selon la transcendance est connaissance de Celui qui est au-dessus de toutes les
choses connues (Epist. I, 1065 A); on voit et connat grce un aveuglement et une ignorance [...] par le
fait mme de ne point voir ni connatre ce qui est au-dessus de la vision et de la connaissance: c'est l vrita-
blement voir et connatre et clbrer au-del de l'essence Celui qui est au-del de toute essence (Th. Myst.
II, 1025 A)34.
L'agnosia dionisiana si converte dunque - per uno di quei passaggi al limite che ricorrono fre-
quentissimi nel linguaggio dei mistici cristiani, e che autorizza l'infinita trascendenza della divinit -
nella conoscenza pi eminente: perch soltanto la negazione di ogni conoscenza pu svelare colui
che al di l della conoscenza; perch soltanto l'oscurarsi di ogni luce pu manifestare ci che
sfugge inevitabilmente allo sguardo. Questa conversione dell'agnosia in conoscenza costituisce, se-
condo Puech, l'essenza del significato della Tenebra dionisiana: termine ambivalente dunque, come
gi suggerivano, del resto, gli attributi luminosi spesso chiamati a qualificarla - essi abbondano, ad
esempio, nella pagina citata da S. Bonaventura.
Ora, se l'excessus mentis assimilabile alla tenebra dello Pseudo-Dionigi - e lo indubitabilmen-
te -, il non sapere che ad esso associato non mancher di convertirsi, sul modello dell'agnosia, nel
sapere pi profondo. Questa conversione ha luogo, in effetti, in tutta una pleiade di testi, cos netta-
mente e con tale frequenza da arrivare a cristallizzarsi nella nozione di docta ignorantia35. Citer un
caso soltanto, di particolare interesse, perch la perfetta contemplazione e l'excessus mentis vi rin-
viano, in un primo momento, all'incandescenza dell'affetto, e subito dopo, quasi senza soluzione di
continuit, alla divina caligo. [70]
Haec enim est perfecta contemplatio; et illas inflammationes et ardores, quos emittit ille sol in animas illas,
quae habent excessus mentales, nullus potest explicare. Si enim secundum Apostolum gemitus sunt inenarra-
biles, quibus postulat pro nobis Spiritus, quid sunt excessus? quid ardores? [...] Sed quid est, quod iste radius
excaecat, eum potius deberet illuminare? Sed ista excaecatio est summa illuminatio, quia est in sublimitate
mentis ultra humani intellectus investigationem. Ibi intellectus caligat, quia non potest investigare, quia
transcendit omnem potentiam investigativam. Est ergo ibi caligo inaccessibilis, quae tamen illuminat mentes,
quae perdiderunt investigationes curiosas. Et hoc est quod dixit Dominus, se habitare in nebula; et in Psalmo:
Posuit tenebras latibulum suum36.
La suprema contemplazione, che si compie nell'excessus mentis, una docta ignorantia, una ce-
cit di veggente: qui l'intelletto si offusca, qui viene meno ogni conoscenza; ma in questo vuoto di
conoscenza si pu cogliere, secondo la lezione dell'Areopagita, l'essenza inconoscibile di Dio. Non
pi lecito sorprendersi, ormai, del fatto che a coronare il processo della conoscenza sia chiamata
l'esperienza estatica: il non sapere che l'accompagna racchiude, l'abbiamo visto, la pi grande sa-
pienza. La perfetta contemplazione effettivamente il fine a cui tutte le conoscenze tendono, lo
necessariamente, e proprio in virt di ci che ce ne aveva fatto dubitare: la cessazione, che essa ri-
chiede, dell'opera stessa della conoscenza.
Siamo in grado, a questo punto, di definire il sistema di inscrizione originaria del passo citato da
Surin - o, pi esattamente, dell'area testuale di cui esso fa parte, e che corrisponde, nell'Itinerarium
mentis in Deum, alla pratica della perfetta contemplazione. Questo sistema risulta composto da: a)
un contesto generale costituito dall'organizzazione gerarchica e unitaria del sapere e della cono-
scenza; b) una precisa funzione con testuale - determinare, in ultima istanza, questa gerarchizzazio-
ne e quest'unit; c) un campo associato che l'abilita, legittimando l'inscrizione della perfetta con-
templazione al vertice del processo della conoscenza, alla funzione contestuale cui destinata - il
campo di ambivalenze proprio della tenebra dionisiana.
IV
44
Avevamo assunto la divergenza del sistema di ricorrenza dal sistema d'inscrizione originaria di
un enunciato come unit di [71] misura della tra-duzione. Tra-duzione traversata della distanza
che separa i due sistemi. Ora, nel caso che esaminiamo, questa distanza enorme. Il sistema di ri-
correnza e il sistema d'inscrizione originaria sono quasi antitetici. L'identica frase che s'inscriveva,
nell'Itinerarium mentis in Deum, in uno spazio unitario e gerarchizzato, che anzi di quello spazio
determinava la gerarchizzazione e sigillava l'unit, si vede riapparire, nei testi di Surin, al centro di
uno spazio lacerato e conflittuale, convocata per siglare, di questo spazio, la definitiva divisione.
Lungi dal coincidere, i due contesti si escludono; lungi dal convergere, le due funzioni contestuali si
oppongono. L'atto, apparentemente anodino, della citazione, comporta una tra-duzione di altissima
portata; la ricorrenza che vi si stabilisce una re-inscrizione completa e sconcertante. Alle due figu-
re, a noi familiari, della citazione esatta e inesatta, bisognerebbe aggiungere una terza, nuova figura:
quella della citazione an-esatta, tra-duttrice e traditrice.
Certo, della tra-duzione, l'analisi che precede non coglie, e dall'esterno, che il fatto bruto della
sua esistenza. Essa isola due inscrizioni divergenti di uno stesso testo, descrive due sistemi. Ma non
illustra minimamente le modalit della trasformazione che tra-duce il testo dal primo al secondo si-
stema, ignora tutto dell'evento che si produce fra di essi. Ignora, in altri termini, la tra-duzione come
evento, bench permetta di coglierne, a posteriori, la necessit: perch i due opposti sistemi esistano
e siano descrivibili, bisogna che la tra-duzione abbia avuto luogo. Riprendiamo, da un nuovo punto
di vista, la nostra analisi, tentiamo d'illuminare, almeno di scorcio, il dispositivo che regola la tra-
sformazione dei sistemi. Questa seconda analisi non potr essere considerata soddisfacente che nel-
la misura in cui sapr dare una risposta alla seguente domanda: qual la dinamica della trazione di
cui gi abbiamo verificato l'esistenza e apprezzato la portata?
Cominciamo col porci il problema della trasformazione contestuale. Abbiamo visto che allo spa-
zio gerarchizzato e sintetico, caratterizzato dall'unit di fondo del sapere, messo in scena da S. Bo-
naventura, si sostituiva, nel testo di Surin, uno spazio diviso e conflittuale, caratterizzato dalla sepa-
razione e dalla lotta delle scienze religiose. Come si giustifica una metamorfosi cos macro-
[72]scopica? Di quale secolare processo di trasformazione essa dev'essere considerata l'esito? Preci-
siamo subito che l'estensione di questo processo, dunque il dominio della trasformazione contestua-
le, eccede, in buona parte, i limiti del presente sondaggio - oltre che, naturalmente, la competenza di
chi lo conduce. Reperire le condizioni di apparizione del nuovo contesto, significa infatti analizzare
la ridistribuzione delle scienze religiose fra il XIII e il XVII secolo. Posso soltanto, in questa sede,
evocare i risultati di alcune recenti ricerche storiche, suscettibili, a mio avviso, d'illuminare, sia pure
in modo incompleto, la questione della trasformazione contestuale.
Recentemente, Michel de Certeau ha richiamato l'attenzione sulla vasta mutazione epistemologi-
ca che ridistribuisce le scienze religiose tra il XVI e il XVII secolo. Egli insiste, in particolar modo,
sulla nuova diversit, sulla quasi separazione, che affetta, alle soglie della modernit, i vari rami del
sapere religioso.
Beninteso,
cette diversit tait reconnue depuis longtemps, intrieure l'unique thologie; depuis longtemps, on cher-
chait spcifier les caractres de ses diverses branches et, ds le XVe sicle, on se demandait quomodo dif-
ferunt inter se theologia mystica et scolasticaa. Mais l'optique nouvelle dont tmoignait dj le dveloppe-
ment de la thologie positive au XVIe sicle brise la hirarchie qui respectait mais unissait les thologies dif-
frentes, conues jusque-l comme des tapes anagogiques correspondant une architecture anthropolo-
gique; thologie symbolique, usant des choses sensibles; thologie propre ou scolastique, usant des intelli-
gibles; thologie mystique, ravissement ad supermentales excessus et achvement du savoir pour le con-
templatif, sapiens et perfectus theologus b. Cette ordonnance thologique, dj branle par les coups que
a
Cit. GHELLINCK, dans RAM 25 (1949), 290. Cf. aussi GERSON, Theologia mystica (1420), I, pars 6a: De acquisi-
tione mysticae theologiae et de ejus decem differentiis ad theologiam speculativam.
b
Cf. BONAVENTURE, In Hexameron, coll. 20, 21 (d. Quaracchi, 5, 424); GERSON, Considerationes de mystica theo-
logia, VI, 28 (Opera, 3, 383-384). C'est encore cette distinction traditionelle que se rfre Jrme Accetti dans son
Tractatus de theologia symbolica, scolastica et mystica (1582) ou, beaucoup plus tard, Saint-Cyran (cit. ORCIBAL, La
45
la Devotio moderna avait ports la spculation rationnelle c, fut bouleverse par le type de [73] connais-
sance que dfendaient les tenants de la thologie positive: s'ils cherchaient tudier les Pres et commenter
l'criture comme eux, en rompant ainsi avec les mthodes labores par les docteurs du XIIe sicle, leur rac-
tion ne tenait pas, finalement, la volont de suivre une priode de l'histoire thologique plutt qu'une autre,
encore moins l'intention d'ordonner diffremment les fonctions organiques de la science sacre, mais
deux genres de travail, deux faons de penser, deux manires de travailler, l'une doctrinale, l'autre
historique) d. De ce point de vue, l'objet matriel de la science pouvait tre le mme. Le thologien positif
et le thologien scolastique tudiaient galement saint Paul ou saint Augustin. Mais l'objet formel tait
autre; autres aussi, par consquent, les principes, les critres et les mthodes, comme le montreraient encore
aujourd'hui une thse de lettres et une thse de thologie dogmatique sur un mme sujet. L'lment d'unit,
reprsent par le terme thologie, restait donc extrieur ce qui spcifiait la dmarche scientifique et l'on
parla bientt de la positive et de la scolastique37.
Sulla scia di Guelluy, Michel de Certeau individua con la pi grande precisione lo statuto dell'o-
riginalit che contraddistingue la teologia positiva. Essa non consiste tanto nella formulazione di
nuove nozioni o nella scoperta di temi inediti, quanto nell'introduzione di nuovi principi, nuovi me-
todi, nuovi criteri, insomma di una nuova struttura della conoscenza. Appariva dunque, con la teo-
logia positiva, un tipo di sapere estraneo e irriducibile a quell'insieme di leggi, a quel denominatore
comune di regole, che per quattro secoli aveva assicurato l'omogeneit delle scienze religiose. Sotto
l'urto di quest'inattesa novit, il grande edificio medievale, la hirarchie qui respectait mais unissait
les thologies diffrentes, da lungo tempo travagliata da crisi gravissime, esplodeva letteralmente.
Un simile evento epistemologico non poteva non comportare le pi gravi conseguenze a livello del-
la struttura stessa delle varie scienze religiose. Sia, nel XVII secolo, la teologia mistica: [74]
Prsente comme une exprience ou comme une connaissance exprimentale e, la thologie mystique
tait dj frquemment oppose la thologie scolastique. Mais elle se dveloppe plutt, semble-t-il, selon
le principe qui fixait l'originalit de la positive: non pas, de rares exceptions prs, comme une fonction dans
un ensemble ou comme un ordre dans une hirarchie thologique, mais dans une perspective qui recouvre
tout le champ et tout le progrs de la vie chrtienne, [...] et qui se distingue seulement par l'aspect expri-
mental, affectif ou pratique selon lequel les choses de la religion sont envisages. C'est, au dire de
Sandaeus, l'un de ses meilleurs dfenseurs, une doctrina practice-practica et affectuosa f. Cette autonomie
de fait, relle encore que souvent implicite, obtient bientt la reconnaissance lgale: le thologien mys-
tique devient lui aussi un mystique, l'poque mme o le philosophe chimiste, en se dgageant des
considrations cosmologiques, devient un chimiste g. Le substantjf apparat d'abord, semble-t-il, dans les
milieux ou propos des courants qui se dtachent le plus de la thologie. Ainsi la Censura de Thomas de J-
sus contre la Thologie germanique (1611) comporte une secunda pars intitule: De aliis erroribus Be-
gardorum et aliorum Mysticorum quos libellus iste contineth - et nous avons ici l'un des tant premiers em-
plois du mot. De mme, la mystique s'mancipe. L'adjectif prend peu peu ses distances par rapport
thologie. La thologie, mme la mystique, nous enseigne... i: le qualificatif va cristalliser en nom. San-
spiritualit de Saint-Cyran, 1962, 9), alors que Bourgoing, en prsentant l'uvre de Brulle adopte la classification mo-
derne: trois thologies: la positive..., la scolastique... et la mystique (BERULLE, uvres, 1644, VII).
c
Ce sont, pour Grard Grote (t 1384), les simplices idiotae qui peuvent tre levs la thologie mystique (cit.
POLLET, dans Rev. SR 26 (1952), 392-395). Plus tard, le chartreux Vincent d'Aggsbach, cusain extrmiste et prophte
de la Docte ignorance, refusait mme d'assimiler la thologie mystique la contemplation cause de la connaissance
qu'elle comportait encore (cit. VANSTEENBERGHE, Autor de la Docte ignorance..., 1915, 208).
d
GUELLUY, L'volution des mthodes thologiques Louvain, dans RHE 37 (1941), 129 et 131.
e
Cfr. LAREDO, Subida, 8 (Obras, BAC, 324); SAINTE THRSE, Vida, cap. 10, 11, 12, 18, etc. (Obras, BAC, 1951,
647, 1653, 660, 692); saint Jean de la Croix [...]; JUAN LOPEZ DE SEGURA, Libro de instruccin... (1554), cit. dans BA-
TAILLON, Erasmo y Espana, 1950, t. 2, 191; LOUIS DE BLOIS, Institutio, I et 12 (Opera, 1632, 299 et 323-324); LOUIS
DU PONT, Vie du P. B. Alvarez, 1626, 145; etc.
f
SANDAEUS, Pro theologia mystica clavis, 1640, 4. En 1531, les Opera utilissima de Battista da Crema le prsentent
dj comme maestro di scientia spirituale pratica (cit., PREMOLI, Fra' Battista da Crema, 1910, 101).
g
Cfr. PLANIS-CAMPIS, uvres, 1646, 447, sur les philosophes chimistes, et LEMERY, Cours de Chimie, 1675,
Prface, sur les chimistes.
h
Ed. ORCIBAL, La rencontre du carmel thrsien..., 1959, 195.
i
CHARRON, Sagesse, 1635, II, 21.
46
daeus, en 1640, parle de mystica naturalis j; Chron, en 1657, de tout ce qu'on traite dans la mystique k;
Lon de Saint-Jean dclare en 1661: Laissons la mystique ses expressionsl. La mystique, dit Sutin, est
une science tout fait spare des autresm, et elle provoquera par l mme les campagnes de Bossuet
contre la nouvelle [75] mystique n, - si nouvelle, d'un point de vue smantique, qu'elle est encore ignore
du Dictionnaire de Trvoux, au XVIIIe sicle, et qu'elle attendra le XIXe pour figurer dans le titre d'un ou-
vrage38.
Esiste dunque, fra il XVI e il XVII secolo, un processo di differenziazione delle scienze religiose
- o piuttosto di radicalizzazione di una differenza per altro gi riconosciuta - processo di cui la rovi-
na dell'edificio unitario medievale permette di apprezzare la portata. Le varie scienze non si svilup-
pano pi come funzioni di un insieme o come ordini di una gerarchia, ma ciascuna secondo una
prospettiva che le propria. La differenza che gi le separava, rifluisce a monte, al livello strutturale
della prospettiva, si fa profonda e radicale, tanto da statuire l'assoluta singolarit di ciascuna di
esse. Coronamento ed effetto di un tal processo di differenziazione, si vede apparire, nel XVII seco-
lo, e prendere il posto dell'architecture mdivale dont la cl de vote tait la thologie, un tri-
dre pistmologique coordonnant la positive, la scolastique et la mystique39.
La costituzione di questo triedro, il processo di differenziazione epistemologica che essa presup-
pone, possono senza dubbio esser considerati come la prima linea di derivazione del contesto stabi-
lito dalla ricorrenza-Surin.
A questo primo generalissimo orizzonte, bisognerebbe aggiungere una seconda linea di deriva-
zione, determinata dal fascio di circostanze storiche che accompagnano, verso la met del XVII se-
colo, l'evoluzione della spiritualit in Francia. Si diffonde ovunque a quest'epoca un violento anti-
misticismo, in reazione quasi - una sorta di contro-movimento - alla grande mareggiata mistica che
aveva caratterizzato i primi quarant'anni del Seicento. Una data essenziale , a questo riguardo, il
1657, anno di pubblicazione dell'Examen de la thologie mystique di Jean Chron. il primo gran-
de attacco, scoperto e generalizzato, contro il misticismo; la sua diffusione rapidissima, la sua ri-
sonanza enorme. Ora, il testo di Chron un punto di riferimento costante negli scritti di [76] Surin.
La difesa del misticismo contro le possenti machines de thologie - per usare un'espressione di
Surin stesso - approntate da Chron, attraversa, praticamente, tutta la sua opera - composta, ad ec-
cezione dei Cantiques, nel breve arco di tempo che va dal 1654 al 1664. Fra il 1659 e il 1660, egli
stese, del resto, un trattato interamente consacrato ai problemi emersi durante la polemica, scatenata
dalla 'bomba Chron'. Il libro, oggi perduto, doveva intitolarsi, secondo Remi-Marie Boudon, Di-
scours justificatif des choses mystiques; ma, in una lettera del 31 marzo 1661, Surin stesso ne fa
menzione sotto il titolo: De la mystique, pour la dfendre des attaques de ceux qui la mprisent et
la dcrient. Il trattato, in ogni caso, non pot essere pubblicato per opposizione dei superiori di Su-
rin. Quanto mai significativa, a questo proposito, la lettera che il padre Oliva, vicario generale del-
la Compagnia, indirizza a Surin il 31 ottobre 1661:
Je n'approuve ni ne dsapprouve la doctrine mystique, mais, comme je l'ai crit maintes reprises, je sou-
haite que les Ntres n'crivent plus sur cette matire, afin d'viter les polmiques et pour d'autres graves rai-
sons. Votre Rvrence se dclare totalement abandonne aux indications de l'obissance: qu'elle s'en tienne
donc notre dcision. Si elle a le dsir d'crire, qu'elle tourne ailleurs sa plume. Il ne manque pas d'autres
matires beaucoup plus utiles, par exemple la rforme des murs et l'claircissement de l'criture Sainte,
et dont elle pourrait s'occuper avec fruit, en dehors de toute polmique40.
j
Clavis, II. Cf. ibid., 149: boni Mysticae Doctores.
k
Examen de la thologie mystique, 1657, 15. Cf. ibid., 115 (Mais de voir que la mystique suive le tempra-
ment...), 351 (la mystique a tellement cru...).
l
La France convertie, 1661, 315.
m
Guide spirituelle, IV, 3. Cf. sa lettre de janvier 1661: ... les doctrines, les histoires et quoi que ce soit qui marque
l'extraordinaire ou la mystique (d. RAM 30 (1954), 40).
n
Instr. sur les tats d'oraison, Lachat, 18, 443. Cf. Remarques sur la rponse la relation (Lachat, 20, 229): Atta-
ch aux saints Pres et aux principes de la thologie dont la mystique est une branche. De mme Fnelon: On excitera
(ce qui est si facile en matire de spiritualit et de mystique) la drision des esprits profanes (uvres, 1850, 3, 49).
47
Come si vede, tutta l'opera di Surin, e pi ancora la sua vita, tramata attorno al conflitto misti-
cismo-antimisticismo, e sospesa, per cos dire, alle sue sorti. L'incidenza di questo conflitto pu
dunque essere assunta come la seconda linea di derivazione del nostro contesto.
Il problema della trasformazione contestuale, tuttavia, non pu ancora considerarsi risolto. Diffe-
renziazione delle scienze religiose e polemica contro l'antimisticismo sono, in effetti, i due tratti
dominanti nei testi delle Questions sur l'amour de Dieu. Ma, in ciascuno di questi testi, i due tratti
non cessano di confondersi l'uno con l'altro, di scambiare la loro identit: tutte le immagini dell'an-
timisticismo si riassumono, lo abbiamo visto, nella figura del docteur scolastique; l'opposizione mi-
sticismo/antimisticismo non cessa di slittare sull'opposizione mistica/scolastica. Il contesto [77] di
ricorrenza della citazione bonaventuriana insomma specificato dalla presenza incrociata dei due
tratti dominanti; fra le sue condizioni di apparizione dovremo includere dunque l'incrocio delle linee
di derivazione a cui questi tratti possono essere ricondotti. Quest'intersezione definisce, in effetti,
una delle forme assunte dal conflitto misticismo-antimisticismo nel XVII secolo, e l'affrontamento
Surin-Chron ce ne offre un esempio privilegiato.
Examen de la thologie mystique, qui fait voir la diffrence des lumires divines de celles qui ne le sont
pas, et du vrai, assur et catholique chemin de la perfection de celui qui est parsem de dangers et infect
d'illusions, et qui montre qu'il n'est pas convenable de donner aux affections, passions, dlectations et gots
spirituels la conduite de l'me, l'tant la raison et la doctrine:
questo il titolo completo - un vero titolo-manifesto - del libro di Chron. Vi si ritrovano, valoriz-
zate in senso opposto, le medesime coppie che Surin stabilisce nelle Questions sur l'amour de Dieu:
dottrina/passione, affetto/intelletto. Sono, di fatto, le opposizioni che contraddistinguono mistica e
scolastica nel nuovo triedro epistemologico. Ma, nel fervore della polemica, vengono riprese, a se-
conda dei casi, come argomenti contro l'esperienza mistica o come prove in sua difesa. La nuova
partizione delle scienze religiose struttura e organizza il conflitto misticismo/antimisticismo; la
grande mutazione epistemologica che ha luogo fra il XVI e il XVII secolo ordina le lotte fra avver-
sari e partigiani dell'esperienza mistica, surdetermina la scena di cui Surin e Chron sono i figuranti.
Possiamo, a questo punto, tentar di enumerare - ma non si tratter che di un'enumerazione parzia-
le e approssimativa - le condizioni di apparizione del contesto di ricorrenza stabilito da Surin: una
linea di derivazione globale, tracciata sull'arco di due secoli, costituita dal processo di differenzia-
zione delle scienze religiose; una linea di derivazione locale, costituita dalla polemica sul mistici-
smo, quale si sviluppa, in Francia, verso la met del XVII secolo; l'incontro puntuale di queste linee
di derivazione, la surdeterminazione, ad opera della mutazione epistemologica globale, del conflitto
locale misticismo/antimisticismo.
Abbiamo cos ricostruito, riportandola a un intreccio di mutazioni e congiunture, la genesi del
contesto di ricorrenza, abbiamo [78] individuato la matrice di trasformazione del contesto nella ri-
correnza-Surin. Tuttavia, la dinamica che abbiamo descritto non interessa il contesto che indipen-
dentemente, a rigore, dal suo effettivo valore contestuale - dal suo carattere, cio, di luogo offerto
all'inscrizione di un determinato enunciato. Mentre risalivamo la china genealogica della trasforma-
zione contestuale, non ci siamo mai curati, in effetti, d'illustrare la trasformazione, pi precisa, della
rete di rapporti che il contesto stabilisce, di volta in volta, con l'enunciato in questione. Dovremo
adesso, brevemente, interrogare, al limite fra il contesto e l'enunciato che vi s'inscrive, questa nuo-
va, al tempo stesso pi precisa e pi impalpabile, trasformazione.
Sappiamo che l'azione concertata di tutte le relazioni tese fra enunciato e contesto, la presenza
calcolata di tutto un condizionamento contestuale, sfocia nell'assegnazione di una funzione stretta-
mente determinata. Sappiamo anche che, nel sistema di ricorrenza, questa funzione contestuale non
la stessa che nel sistema d'inscrizione originaria, che anzi, nei due sistemi, la funzione contestuale
antitetica. La domanda che poniamo allora: in virt di quale azione condizionante, il contesto di
ricorrenza pu destinare il segmento dell'Itinerarium alla funzione desiderata? Anzitutto, introdu-
cendo espliciti richiami allo scopo o all'obiettivo della citazione. Cos, ad esempio, in R.I: Je veux,
pour finir et pour laisser les esprits convaincus de cela, rapporter un texte de saint Bonaventure.
Ma evidente che quest'operazione non potrebbe bastare. Il passo citato potrebbe mostrarsi indiffe-
48
rente alla nuova funzione che gli viene attribuita - nulla sarebbe, in verit, pi probabile, data la
grande distanza che separa questa funzione dalla funzione originaria - e la citazione risultare allora,
semplicemente, inadeguata. In ogni R, tutta la pagina circostante, su cui l'enunciato bonaventuriano
sembra irradiare la sua luce, invece sapientemente organizzata secondo rapporti di tensione hipo-
lare. Cosicch, in un primo momento, piuttosto questa zona con testuale, apparentemente oscura, a
proiettare la sua luce sul diamante della citazione, stabilendone, letteralmente, il valore. Tutto si
gioca, si pu dire, nello spazio grafico di una particella, il non iterato attorno a cui si costruisce tutto
il passo dell'Itinerarium. L'organizzazione contestuale del senso pertinentizza, nel vasto spettro se-
mantico della negazione, la variante pi [79] radicale, ci fa optare per una lettura drammatica del
non bonaventuriano. I termini delle varie coppie si opporranno ormai, ai nostri occhi, conflittual-
mente e irriducibilmente, proprio come, nel contesto, scolastica e mistica, contemplativi e dottori,
filosofi e spirituali. Cos dunque, mediante legami sintattici e omologie semantiche, da un lato attri-
buendo alla citazione un preciso obiettivo (legittimare la separazione delle scienze religiose), e d'al-
tro lato predisponendola a ricevere quest'attribuzione (inducendo una lettura conflittuale e dramma-
tica delle coppie che la compongono), il contesto di ricorrenza prescrive all'enunciato bonaventuria-
no una funzione diametralmente opposta alla sua funzione primitiva.
Bench in modo molto diverso, il condizionamento contestuale opera anche, lo s'immagina, nel
sistema d'inscrizione originaria. Naturalmente, il segmento pertinente per l'analisi della funzione
contestuale non pi, qui, il solo passo citato da Surin, ma tutta l'area testuale A, in cui si dissemina
l'istanza della perfetta contemplazione e che corrisponde, come sappiamo, al VII capitolo
dell'Itinerarium. Nondimeno, si pu riconoscere un'azione molto specifica del condizionamento
contestuale a livello, precisamente, del nostro passaggio, e tale da adeguarlo alla funzione ascritta
all'area A di cui fa parte. L'Itinerarium mentis in Deum mette in gioco uno spazio a struttura vertica-
le, formato da strati sovrapposti. Il vettore del progresso spirituale vi s'inscrive come il necessario
abbandono degli elementi propri di ogni strato per quelli dello strato immediatamente superiore. Ma
gli elementi ogni volta abbandonati, lungi dall'essere negati puramente e semplicemente, non lo so-
no mai che nell'ultimo strato raggiunto, e per essere meglio conservati al livello dello strato loro
proprio. Questa particolare organizzazione dello spazio semantico suppone l'elezione di una varian-
te tenue della negazione, e orienta in questo senso la lettura di tutto il testo dell'Itinerarium. In par-
ticolare, il non iterato del nostro passaggio apparir qui come un non pi, mentre i due membri di
ogni coppia, lungi dall'inscriversi come poli di una differenza radicale o di un conflitto irriducibile,
figureranno come termini di un superamento o gradi di una gerarchia. Ora, la funzione prescritta a
tutto il VII capitolo , l'abbiamo visto, quella di sigillare l'unit del sapere religioso determinandone,
in ultima istanza, la gerarchizzazione. Inserendo, da un lato, l'enunciato in questione nella prospetti-
va di un superamento ver-[80]ticale, di una gerarchia, mettendo le sue forze differenziatrici al servi-
zio di una strategia dell'unit, il condizionamento contestuale ne predispone dunque l'adeguazione
alla funzione che, d'altro lato, esso stesso prescrive nel raggio di tutta la sua area testuale.
In conclusione: trasformazione totale della rete di rapporti tesa fra enunciato e contesto, che ac-
compagna e completa il processo di trasformazione contestuale. O ancora: brusca inversione di rotta
del condizionamento contestuale, che permette di prescrivere al segmento bonaventuriano una fun-
zione diametralmente opposta alla funzione contestuale originaria.
V
Abbiamo ricostruito, riportandola a due diverse linee di derivazione e al loro incrocio, la genesi
storica del contesto stabilito dalla ricorrenza-Surin. Abbiamo descritto la dinamica della trasforma-
zione contestuale, fissando le condizioni di apparizione del nuovo contesto. Abbiamo quindi sposta-
to il raggio dell'analisi sulla rete di rapporti che, in ogni sistema d'inscrizione, si tesse fra l'enunciato
e il suo contesto, e ne abbiamo messo a fuoco, embricata nel processo di trasformazione contestua-
le, l'inversione pi completa. Infine, si potuto dimostrare che da tale inversione dipendeva il capo-
volgimento della funzione contestuale nel sistema di ricorrenza. Ci comporta forse che la mutazio-
49
ne della funzione contestuale dev'essere considerata una pura dipendenza della trasformazione del
contesto?
Osserviamo con pi attenzione. Per definizione, la funzione contestuale si situa al limite dell'e-
nunciato e del contesto, si situa anzi, e si disloca, come questo stesso limite. Inevitabilmente, dun-
que, l'analisi della rete di rapporti tesa fra l'enunciato e il contesto, finir per enucleare, come il suo
naturale risultato, la specificit di una funzione con testuale. Tuttavia, soltanto una faccia, o un ver-
sante, della funzione contestuale, sembra dipendere dall'azione condizionante del contesto: la sua
determinazione, la sua prescrizione. Il contesto prescrive la funzione contestuale dell'enunciato, o
meglio determina l'enunciato a ricevere una certa funzione contestuale. Ma nulla assicma che questa
funzione potr essere effettivamente esplicata, che l'enunciato assolver efficace-[81]mente la man-
sione prescrittagli. Tutto ci che sappiamo che il contesto condiziona la lettura dell'enunciato sino
a farlo apparire disponibile all'esplicazione di una certa funzione contestuale, fino cio a completare
il successo della prescrizione. La produzione poi di quest'esplicazione, alla quale l'enunciato stato
determinato, sfugge interamente al controllo del condizionamento contestuale. E come, del resto,
potrebbe non sfuggirgli? Lungi dall'apparentarsi a un'azione del contesto sull'enunciato, l'esplica-
zione della funzione contestuale costituisce l'azione di ritorno dell'enunciato sul contesto. Si dir al-
lora che il contesto, con un'azione condizionante, prescrive all'enunciato il condizionamento che, di
ritorno, ne dovr subire. Distingueremo dunque, nell'ambito della funzione contestuale, due opera-
zioni diverse: una performance, eseguita dal contesto, che la prescrive; una performance eseguita
dall'enunciato, che la esplica. Ora, data questa distinzione, si pu dire che l'affermazione 'la muta-
zione della funzione contestuale una pura dipendenza della trasformazione del contesto', vera
soltanto se riferita alla prima delle due operazioni, la performance prescrittiva del contesto.
Che ne , invece, della seconda operazione? A quali condizioni la sua trasformazione soggiace?
O ancora, pi esplicitamente: in che modo, dato un determinato contesto di ricorrenza, un certo e-
nunciato arriva ad assolvervi la funzione prescrittagli, se questa funzione diametralmente opposta
a quella che esplicava nella sua inscrizione originaria? Sappiamo che, nel sistema di ricorrenza co-
me nel sistema d'inscrizione originaria, l'enunciato bonaventuriano non poteva esplicare la funzione
a cui i rispettivi contesti lo destinavano, se non in virt di un campo associato ohe lo abilitava ad es-
sa. Nell'Itinerarium mentis in Deum, l'area testuale A poteva effettivamente sigillare l'unit dello
spazio del conoscere, solo in quanto il campo associato dell'agnosia dionisiana installava l'excessus
mentis al posto pi alto nel processo della conoscenza. Nella ricorrenza-Surin, il testo bonaventu-
riano poteva fissare il principio d'originalit della mistica e siglare la scissione delle conoscenze, in
quanto il campo della conoscenza infusa ne dislocava i termini sugli opposti versanti di una nuova
partizione del conoscere. La sostituzione del campo associato dell'agnosia con quello della cono-
scenza infusa dovrebbe quindi rendere conto della trasformazione della performance contestuale
dell'enunciato. [82] Reperire la pleiade di scarti, la molteplicit di spostamenti che conducono a
questa sostituzione - o meglio, ricondurre questa sostituzione a un insieme regolato di trascrizioni -
vorrebbe dire, allora, isolare la seconda matrice di trasformazione della funzione contestuale. in
questa prospettiva, e secondo quest'ipotesi di lavoro, che procederemo nella nostra analisi.
Trascrizione
Il campo associato alle opposizioni bonaventuriane , nella ricorrenza-Surin, un campo di cono-
scenza - conoscenza che s'infonde dall'alto, nel riposo dello spirito umano, che solo l'amore procura,
mentre l'intelletto non pu che ostacolarla. Il campo associato alle stesse opposizioni
nell'Itinerarium mentis in Deum quello dell'inconoscenza, dell'agnosia - campo essenzialmente
ambivalente poich l'inconoscenza vi si capovolge nella conoscenza pi eminente. Notiamo subito
che, nel sistema d'inscrizione originaria, soltanto in virt di un capovolgimento autorizzato dall'in-
finita trascendenza dell'oggetto - l'inconoscibile stesso - che il campo associato costituisce un cam-
po di conoscenza. Questa mediazione, questo passaggio-al-limite, non compaiono invece nei testi di
Surin: qui alla sospensione dell'intelletto associato, direttamente e immediatamente, tutto un cam-
po di conoscenza. Ma, per ci stesso, la conoscenza infusa non pu appartenere al medesimo ordine
50
della docta ignorantia. La prima una conoscenza piena e positiva - popolata di penses hautes et
sublimes, feconda di sempre nuovi tesori di scienza -, che si distingue da quella intellettuale sol-
tanto per la sua origine (divina) e per le modalit della sua acquisizione. La seconda il vuoto di
ogni conoscenza e scienza, ed appunto in quanto tale - immensamente povera, irreparabilmente
vuota - che corona il processo del conoscere, poich il pi nobile oggetto a cui la conoscenza possa
tendere - l'essenza divina - l'inconoscibile. Trasformazione, dunque, dell'ordine di conoscenza as-
sociato alle opposizioni bonaventuriane, trascrizione del campo associato dall'ordine paradossale
della docta ignorantia all'ordine positivo della conoscenza infusa.
Della trascrizione che evochiamo spia inequivocabile il seguente fenomeno stilistico. L'incono-
scenza dello Pseudo-Dionigi e [83] di Bonaventura, la docta ignorantia, si manifestava nell'imma-
gine privilegiata della Tenebra - figura sempre ambivalente: tenebra, come scriveva Dionigi, che
splende al di sopra di ogni luce, tenebra superlucente, come ripeteva S. Bonaventura. Nei testi di
Surin, al contrario, la figura ambivalente della Tenebra tende a venire abbandonata; la conoscenza
infusa si esprime, generalmente, sul registro senza ambivalenze della pura luce. Allo spostamento
della sapienza mistica sul terreno della conoscenza propriamente detta, rispondono, stilisticamente,
questo declino delle ambivalenze della Tenebra, questa deriva verso il dominio incontrastato della
luce.
Certo si obietter che il declino dell'ambivalenza luce-tenebra non globale, che in alcuni testi di
Surin l'immagine ambivalente della Tenebra mantenuta. Ci vero, senza alcun dubbio. Ma l'o-
biezione resta senza valore per chi, come me, non crede che la totalit dell'Opera deva sempre esse-
re rispettata, a meno che, naturalmente, la sua unit strutturale non sia stata verificata da una opera-
zione critica preliminare. Ora, meno di ogni altra l'opera di Surin si presta a una totalizzazione, per
la buona ragione che pi di ogni altra si presenta come una molteplicit di scritture distinte. Si trat-
ter allora di determinare, di volta in volta, in quest'opera non totalizzabile, lo spazio testuale cui as-
segnare un certo sistema di scrittura. Sia, nel nostro caso, la scrittura non ambivalente della luce e
della tenebra. Si potrebbe delimitare, nel corpus degli scritti di Surin, una vasta unit testuale, corri-
spondente all'insieme delle occorrenze di una struttura bipolare, in cui la sapienza mistica si oppo-
ne, di volta in volta, alla conoscenza intellettuale, alle altre scienze religiose, a tutto il sapere uma-
no, ecc. Se si ammette la pertinenza di questa partizione, se si riconosce l'autonomia relativa di
quest'area, ci si trova di fronte a un'unit di tutt'altro genere di quelle del libro e dell'Opera, stabilita
trasversalmente ad esse e individuata dalla per,sistenza di un preciso rapporto strutturale. Nel peri-
metro di quest'unit di cui supporr che si accetti l'esistenza - la figura ambivalente della Tenebra
viene sistematicamente abbandonata, mentre nettissimo il dominio di immagini puramente lumi-
nose. Reciprocamente, nessuno dei testi - piuttosto rari a dire il vero - in cui, nell'opera di Surin,
l'immagine della Tenebra mantenuta, appar-[84]tiene all'area testuale in questione. Le ambivalen-
ze dionisiane - e con esse fatalmente la dottrina della docta ignorantia - non riprendono vigore che
al di fuori della struttura di opposizione bipolare, in contesti del tutto diversi, come l'enumerazione
dei gradi dell'orazione - il caso del brano De la contemplation, nel tomo I del Catchisme spiri-
tuel41, dove la docta ignorantia esplicitamente richiamata - o la gerarchizzazione degli stadi del
progresso spirituale - il caso di un capitolo del Guide pour la perfection, consacrato al ravisse-
ment42. Alla persistenza di quella che potremmo definire una forma generale del contenuto - il rap-
porto di opposizione bipolare -, corrisponderebbero dunque una fascia di omogeneit dottrinale - il
rifiuto della docta ignorantia - e una costante stilistica - la riduzione dell'ambivalenza luce-tenebra.
Un primo esempio di questa corrispondenza (premetto che mi soffermer soltanto sull'indisso-
ciabilit della struttura oppositiva e del declino della Tenebra, supponendo inscritto, in questo de-
clino, l'abbandono della docta ignorantia) ci viene fornito da un testo dei Dialogues spirituels, t. II,
il capitolo De la lumire surnaturelle:
Qu'est-ce que la lumire surnaturelle?
C'est celle qui vient, non de l'effort de notte esprit, ni de l'tude, mais de l'influence divine. Ainsi un homme
peut avoir lu tout ce qui est dans les Livres, et n'avoir pas un seul rayon de cette lumire surnaturelle, parce
qu'elle ne consiste pas dans le raisonnement, ni dans tout ce que la science humaine apprend; mais qu'elle est
51
un pur don de la grce qui claire l'esprit lorsqu'il le trouve dispos par l'humilit [...]. On ne saurait mieux
connatre la lumire surnaturelle qu'en la comparant avec celle qu'on acquiert par son industrie, et par sa dili-
gence [...]. La lumire surnaturelle a quelque chose de plus relev. Car elle vient dans l'esprit simplement, et
par une influence divine. Elle vient par l'Oraison et non par le raisonnement. On la reoit plutt en se sou-
mettant humblement l'esprit de Dieu, qu'en discutant, et balanant les motifs de part et d'autre. Ceux qui se
contentent de la voie de discussion s'garent aisment, s'aheurtent leur sens et demeurent dans les tnbres
de la raison humaine43.
Notiamo, in primo luogo, la presenza nettissima, il valore strutturante, del rapporto oppositivo,
conflittuale e concorrente, fra la conoscenza infusa e il sapere umano. All'estrema pregnanza di
questo rapporto, fa riscontro la completa assenza, sul versante della sapienza mistica, delle ambiva-
lenze tradizionali. Il binomio [85] luce-tenebra rifluisce invece sul versante della conoscenza natu-
rale, che viene figurata, alla fine del testo, dalle tnbres de la raison humaine. Ma non si tratta
pi, qui, di un'ambivalenza. L'immagine della tenebra, posta al termine del discorso, quasi come una
conclusione, segna l'esito del conflitto, corona il successo della conoscenza sovrannaturale e lo
smascheramento del falso sapere umano; la sua apparizione non genera l'ambiguit ma dissipa l'in-
ganno, ristabilisce il vero nella sua inequivocabilit. La tenebra non forma dunque, con l'immagine
della luce, una coppia ambivalente, ma si sostituisce ad essa per occuparne il posto. In luogo di una
falsa luce, il discorso installa la verit inequivocabile della notte. Quanto poi all'identificazione del-
la conoscenza sovrannaturale con la sapienza mistica, essa non pone il minimo problema: nel capi-
tolo successivo, la science des saints, verr definita con i medesimi criteri, e anzi con gli stessi ter-
mini applicati qui alla lumire surnaturelle; e la science des saints, lo abbiamo visto analizzando
R. I, non altro che la science mystique.
Un secondo esempio pu essere ricavato dal Guide spirituel pour la perfection, sezione I, capito-
lo V:
[...] cette lumire divine se perd, parce qu'on ouvre les yeux la lumire humaine basse et faible, qui sert plu-
tt de tnbres que de lumire, de laquelle Notre Seigneur parlant dit: Lucem huius mundi videt, c'est la
lumire de ce monde. Saint Paul l'appelle le jour humain: Parum mihi est ut a nobis judicer aut ab huma-
no die; ce jour humain, proprement, c'est le jugement des hommes ou la lumire de la sagesse naturelle, la-
quelle quand l'homme vient regarder, il perd la lumire de Dieu. [...]. C'est le jour humain qui fait perdre
la lumire de Dieu [...] c'est la lumire de la sagesse humaine qui fait obstacle la lumire divine44.
Il rapporto conflittuale, di opposizione ed esclusione, fra la luce naturale e la luce divina non po-
trebbe essere pi manifesto: dove l'una risplende l'altra dispare. E, ancora una volta, a questa strut-
tura si articola un registro di scrittura senza ambiguit. Come nel testo precedente, qui ancora il bi-
nomio luce-tenebra presente sul versante del jour humain, e qui ancora non vi tuttavia presen-
te come un'ambivalenza. L'oscurit la verit ultima della luce umana, basse et faible, qui sert plu-
tt de tnbres que de lumire. La luce divina, al contrario, brilla di un chiarore che [86] nessuna
traccia d'ombra tempera, e che l'immagine della tenebra, situata sul versante opposto, fa ancor me-
glio risaltare.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Ma i testi che abbiamo analizzato sono gi sufficienti,
credo, a illustrare la relazione stabile, tenace, che unisce l'area a struttura di opposizione bipolare e
l'espunzione dell'ambivalenza luce-tenebra. Nel raggio di quest'area, la transposizione della sapien-
za mistica sul terreno della conoscenza positiva avviene con particolare nettezza, mentre la dottrina
della docta ignorantia (che pure, lo si visto, in qualche testo sopravvive) del tutto abbandonata -
come attesta, oltre all'assenza di ogni formulazione esplicita, la riduzione dell'ambivalenza luce-
tenebra di cui essa motivava e sosteneva l'inscrizione. Per confermare l'ipotesi di una trascrizione
del campo associato - trascrizione per cui esso si traspone dall'ordine paradossale della docta igno-
rantia all'ordine positivo della conoscenza infusa e si trascrive in immagini puramente luminose -
baster allora verificare l'appartenenza del campo associato all'unit testuale appena individuata.
Abbiamo gi visto come, nella citazione delle Questions sur l'amour de Dieu, per effetto di tutto
un condizionamento contestuale, i termini dell'enunciato bonaventuriano si caricassero di una con-
flittualit nuova, dislocandosi sugli opposti versanti di una differenza radicale. In tutti i casi in cui,
52
negli scritti di Surin, le coppie bonaventuriane riappaiono al di fuori del rigido schema della cita-
zione, questa radicalizzazione della differenza, questa reinscrizione conflittuale, sono poi ancor pi
marcate. Ora, il campo associato non altro, per definizione, che il campo di conoscenza che si as-
socia alle coppie bonaventuriane, quali Surin le reinterpreta; ovvero non altro che il campo della
conoscenza infusa in quanto si associa alla tensione di una differenza o all'incidenza di un conflitto,
in quanto cio si inscrive in un rapporto di opposizione bipolare. Il campo associato della cono-
scenza infusa si ritaglia dunque nell'area testuale in cui pi pienamente si consuma la scissione della
luce dalla tenebra, in cui pi compiutamente si realizza il distacco della sapienza mistica dall'agno-
sia dionisiana. Dunque, come all'inizio affermavamo, trascrizione del campo associato dall'ordine
paradossale della docta ignorantia a un ordine di conoscenza piena e positiva, cui rispon-[87]dono,
stilisticamente, il declino delle ambivalenze della Tenebra, la deriva nell'assolutezza della luce.
Trascrizione
Nel IX capitolo del libro I dei Fondements, Surin mette in luce un aspetto essenziale della cono-
scenza infusa, un tratto che i testi finora analizzati non evidenziavano, bench certamente lo suppo-
nessero. Il capitolo dedicato all'interpretazione delle seguenti parole dell'Imitazione di Cristo:
Plus didicit in relinquendo omnia, quam in studendo subtilia.
Comment est-ce que l'homme se fait plus savant en dlaissant toutes choses qu'en tudiant beaucoup et
s'adonnant aux subtilits de l'cole? C'est parce que, par l'abandon des biens et des objets de ce monde, il se
rend capable d'une lumire, qui lui fait plus voir et comprendre que tout ce que les livres et la spculation et
travail lui peuvent enseigner. Pour entendre ceci, il faut savoir qu'il y a deux voies pour parvenir la con-
naissance des choses, que l'on appelle science. La premire voie est l'tude: lire beaucoup, couter les
matres, prendre grand travail; par ce moyen les hommes se rendent vritablement savants. L'autre voie est
en dlaissant et se sparant de toute affection aux choses cres, s'approchant de Dieu et s'adonnant l'orai-
son; par l insensiblement et sans que l'me ait autre dessein que de connatre Dieu, elle se trouve instruite
d'en haut, et leve une haute connaissance de Dieu et des mystres de notre religion; mme les choses
humaines et naturelles sont souvent dcouvertes avec claircissement des secrets que les hommes estiment,
et d'o on tire sujet de se bien conduire, de profiter autrui et de louer Dieu. [...] Ces personnes, par l'abn-
gation parfaite d'elles-mmes et par l'oraison, viennent augmenter si fort leurs connaissances, qu'elles sont
dans les vritables notions des choses, tant naturelles que surnaturelles, et ont comme une fontaine de lu-
mire sur toutes choses, qu'elles n'auraient pas sans le secours de Dieu, sans l'oraison let dlaissement des
cratures45.
La conoscenza infusa, l'instruction d'en haut che si trova associata qui all'opposizione: orazio-
ne-ascesi/studio, una luce che si comunica sur toutes choses, tant naturelles que surnaturelles.
L'indeterminazione dell'oggetto , come si vede, assoluta: la conoscenza infusa non si applica a un
dominio particolare di oggetti, in rapporto al quale potrebbe essere definita; non , a propriamente
parlare, una conoscenza, ma, come dice Surin, una 'via' alla conoscenza, alla 'scienza' generale delle
cose. un [88] 'regime' del conoscere, come appare chiaramente in un altro capitolo dei Fonde-
ments, il VI del libro V, dedicato al commento delle seguenti parole: Magna est differentia, sapien-
tia illuminati et devoti viri, et scientia litterati ac studiosi clerici. Questa differenza consiste, se-
condo Surin, en trois choses plus remarquables:
Premirement, en ce que la sagesse d'un homme adonn l'oraison et communication avec Dieu, vient de la
lumire de Dieu: Quia desuper lumen intelligentia accipit. Parce qu'il reoit la lumire d'en haut, et que la
science vient du travail et de l'effort que l'homme fait par son industrie: d'o vient que cette sagesse commu-
nique de Dieu aux humbles, est accompagne de la vrit, comme sortant de la fontaine de toute lumire qui
est Dieu. C'est une source toute pure et dbrouille, sans nuages et sans obscurits, au lieu que ce qu'on ac-
quiert par raisonnement a beaucoup de l'esprit humain, qui est toujours mel de doutes et d'incertitude [...].
La seconde diffrence est que la lumire communique de Dieu, vient sans aucune peine et fatigue de l'esprit,
au lieu que la science humaine cause beaucoup de lassitude et de travail l'homme. Les lumires de Dieu
soulagent, consolent et dilatent le creur; celles qui viennent de l'tude le fatiguent et le lassent, suivant ce qui
est crit: Qui addit scientiam addit et laborem. On ne peut augmenter sa science sans augmenter ses travaux.
(Eccle., I, 8).
53
La troisime diffrence consiste en ce que les connaissances qui viennent par la lumire divine s'impriment
tout coup, pour le moins assez souvent, et que celles qui s'acquirent par l'tude et par la science, viennent
successivement et peu peu, ainsi que le dit le mme auteur, dont nous expliquons les paroles, faisant dire
Notre-Seigneur: In puncto humilem elevo mentem: J'claire et lve en un moment l'esprit humble (III, 43,
3); en telle sorte qu'il reoit plus de lumire en ce moment, que s'il avait tudi dix ans dans les coles. Cela
se fait par l'opration de Dieu, et par la communication d'une lumire qui entre dans l'me sans distinction
aucune d'objets, mais qui contient en minence mille vrits distinctes46.
Al momento di definire la conoscenza infusa, la mistica sapienza dell'illuminato, e di fissarne la
differenza dalla scienza acquisita con lo studio; Surin non pensa nemmeno a delimitare un oggetto,
o un insieme di oggetti: non a quel livello che la differenza si situa. Egli si preoccupa invece di
individuare un'origine, una fonte - la scienza dell'illuminato vient de la lumire de Dieu - e di de-
scrivere delle modalit di acquisizione - la luce divina vient sans aucune peine et fatigue de
l'esprit, le conoscenze che essa distribuisce s'impriment tout coup. La conoscenza [89] infusa,
insomma, non interviene nei testi di Surin come un dominio o uno stock di conoscenze, ma come un
'modo' o un 'regime' del conoscere, suscettibile di essere applicato ai domini pi diversi - , ricor-
diamolo, sur toutes choses che la luce sovrannaturale si comunica.
Definizione della conoscenza infusa sulla base della sua provenienza e delle sue modalit di co-
municazione; applicazione del regime di conoscenza cos definito a ogni sorta di oggetti naturali e
sovrannaturali: sono questi i due tratti attorno a cui ruota la seconda trascrizione del campo associa-
to. La docta ignorantia, infatti, assolutamente inseparabile dal carattere paradossale del suo ogget-
to: nella misura in cui l'oggetto a cui tende l'inconoscibile stesso, che l'inconoscenza contempla-
tiva pu convertirsi in conoscenza; in quanto l'oggetto della visione l'invisibile, che la cecit e-
statica si fa veggenza. Il campo associato al testo bonaventuriano nel sistema d'inscrizione origina-
ria si estende nella vicinanza di un oggetto ben preciso. L'inconoscibile si presenta essenzialmente
come dominio, spazio limitato e circoscritto. Il campo associato al medesimo testo nel sistema di
ricorrenza, invece un regime di conoscenza che si estende a ogni sorta di oggetti, che ricopre uno
spazio illimitato e senza esteriorit. Trascrizione dunque del campo associato da uno spazio locale e
limitato alla totalit stessa dell'esistente.
Le due trascrizioni che abbiamo descritto sono prese l'una nell'altra, solidali e inseparabili: se la
sapienza associata all'esperienza mistica si estende a ogni sorta di oggetti, dovr necessariamente
trascriversi sul regista della conoscenza piena e positiva, poich non si d docta ignorantia che in
rapporto all'inconoscibile. Il duplice scarto che queste trascrizioni co-implicate impongono al cam-
po associato, sufficiente a rendere conto della mutazione che affetta, nel sistema di ricorrenza, la
performance contestuale dell'enunciato? Pu, la loro co-implicazione, la loro complicazione, essere
considerata la matrice di trasformazione di questa performance? Le funzioni esplicite dell'enunciato
bonaventuriano nel sistema di ricorrenza e nel sistema d'inscrizione originaria ci erano apparse, ri-
cordiamolo ancora una volta, antitetiche: qui esso sigillava l'unit dello spazio della conoscenza, l
ne siglava la scissione. Sar utile, giunti a questo punto, introdurre nella nostra analisi una nuova di-
stinzione. L'unit che abbiamo definito per-[90]formance dell'enunciato si lascia scomporre in al-
meno due elementi: l'azione che un certo enunciato effettua in un determinato sistema d'inscrizione;
l'incidenza di questa azione, a livello del contesto stabilito dal sistema d'inscrizione. Ora, l'azione
effettuata dal testo bonaventuriano , nei due sistemi, la medesima: circoscrivere, nello spazio gene-
rale della conoscenza, l'area della sapienza mistica. Ma le incidenze contestuali di quest'azione so-
no, nei due casi, antitetiche. E tanto pi sorprendente quest'antitesi, in quanto l'azione portata a
termine la medesima. Nel sistema d'inscrizione originaria, il passo bonaventuriano (o, pi esatta-
mente, l'area testuale di cui esso fa parte) delimita la perfetta contemplazione, la mistica sapienza
che risiede oltre le sei illuminazioni, operando contestualmente una sintesi dello spazio della cono-
scenza. Nel sistema di ricorrenza, esso individua la science propre des saints o science mystique
precipitando il processo contestuale di divisione delle conoscenze. Perch questo sia possibile, per-
ch l'isolamento della sapienza mistica nello spazio della conoscenza determini in un caso l'unifica-
zione e nell'altro la lacerazione di questo spazio, bisogna che, nei due casi, la struttura reperita sotto
54
il nome di sapienza mistica sia singolarmente diversa. E tale da comportare, di volta in volta, gli ef-
fetti di unificazione o di separazione che abbiamo riscontrato. Possiamo dunque riformulare la no-
stra domanda in questi termini: le trascrizioni del campo associato finora reperite, comportano una
mutazione strutturale della sapienza mistica tale da rivoluzionare l'economia della sua presenza nel-
lo spazio generale del conoscere?
Si consideri il tableau T a pagina seguente. Ho cercato di illustrare, in questo schema, come la
trascrizione , pi la trascrizione di cui si complica, trasformi in modo tale il campo associato, che
la sapienza mistica a cui esso si applica (a cui il testo bonaventuriano lo applica) diventa incompati-
bile con le altre scienze religiose. Non ho avuto cura di specificare, nella parte superiore del
tableau, che in quanto il campo associato quello della docta ignorantia, la sapienza mistica pi
che compatibile con le altre scienze religiose. Inscrivendosi al vertice dello spazio della conoscenza,
essa si pone, rispetto alle altre scienze, come un fine comune, rapportandole a s come alla meta a
cui tutte devono tendere. In questo modo articola allo spazio stratificato della conoscenza un per-
corso ideale dello spirito, un itinerario: [91]
TABLEAU
SAPIENZA MISTICA (I) SAPIENZA MISTICA (II)
(SPAZI GNOSEOLOGICO E COSMOLOGICO
INTERSECATI)
Campo associato della docta ignorantia: determinazione Campo associato della conoscenza infusa: indeterminazio-
strettissima dell'oggetto - l'essenza divina trascendente. ne assoluta dell'oggetto.
Localizzazione precisa della sapienza mistica al vertice Deterritorializzazione della sapienza mistica su tutta l'e-
dello spazio della conoscenza in conformit con l'eccellen- stensione dello spazio della conoscenza.
za dell'oggetto.
Compatibilit della sapienza mistica con tutte le altre Incompatibilit e conflitto della sapienza mistica con ogni
scienze, ogni scienza occupando uno strato ben preciso altra scienza. Estendendosi ad ogni sorta di oggetti, ponen-
nello spazio della conoscenza, in conformit con il grado dosi come vera scienza a tutti i livelli dello spazio del co-
di eccellenza del suo oggetto. noscere, essa contende alle altre scienze il loro dominio e
contesta la loro legittimit.
(L'oggetto della sapienza mistica si situa al grado pi alto (Presuppone la trascrizione , ma anche, co-implicata, la
nella gerarchia cosmica ed , come tale, l'oggetto pi de- trascrizione ).
gno a cui la conoscenza possa tendere).
[92] ogni conoscenza dovr esservi acquisita in vista di quella che le superiore (e che dovr suc-
cederle), e tutte in vista dell'ultima, la mistica sapienza che le corona. Nella parte superiore del
tableau, quindi, la sapienza mistica realizza la sintesi di tutte le conoscenze sussumendole nell'unit
dell'Itinerario. Non vi , mi sembra, dubbio possibile: in quanto applica alla sapienza mistica il
campo associato della docta ignorantia che il testo bonaventuriano realizza l'unificazione dello spa-
zio della conoscenza. Ma trascrivete il campo associato sul registro della conoscenza positiva, de-
territorializzatelo fino ad includervi la totalit stessa dell'esistente; applicatelo infine alla sapienza
mistica, e la inscriverete necessariamente, inevitabilmente, in un rapporto di esclusione e di conflit-
to con ogni altra forma di sapere. Le trascrizioni che abbiamo reperito, le trasformazioni del campo
associato che esse operano, permettono dunque, come avevamo supposto, di rendere conto della
mutazione della performance contestuale fornita dall'enunciato bonaventuariano nella ricorrenza-
Surin - o, tenendo conto della nuova distinzione, di giustificare la diversa incidenza contestuale
dell'azione compiuta dall'enunciato bonaventuriano nel sistema di ricorrenza.
VI
Nella prima parte di questo studio, dopo aver rapidamente reperito un contesto e una funzione
contestuale comuni alle tre ricorrenze del passo dell'Itinerarium nelle Questions, al momento di de-
finire il campo associato che abilitava il passo bonaventuriano alla nuova funzione contestuale, ab-
biamo concentrato il fuoco dell'analisi sull'opposizione amore/intelletto. Subito dopo, abbiamo con-
55
siderato l'opposizione Dio/uomo, ed in rapporto ad essa, essenzialmente, che abbiamo definito il
campo associato come campo della conoscenza infusa. Erano queste, in effetti, le opposizioni do-
minanti nella citazione dell'Itinerarium. Inoltre, alla luce del campo associato a queste due opposi-
zioni, il testo nominato R. I ci risultava pienamente decifrabile, le difficolt che in un primo mo-
mento non avevamo mancato d'incontrare si lasciavano ormai risolvere agevolmente. Ma che ne
di R. II? Se, in R. I, la citazione bonaventuriana prendeva posto, effettivamente, in una struttura
dominata dall'opposizione amore/intelletto, lo stesso non [93] pu certamente dirsi di R. II; qui
l'opposizione maggiore, attorno a cui si tesse la pagina, piuttosto dicibile/indicibile. La sapienza
mistica si oppone alla scolastica, alla dottrina, come un'esperienza inaccessibile al linguaggio, per i
cui misteri, come scrive Surin, nous n'avons point de termes. Ora, l'abbiamo visto, in R. II come
in R. I la citazione di S. Bonaventura assunta a paradigma della scienza mistica. In R. I, il suo va-
lore paradigmatico ci ormai trasparente: esso dipende dal campo della conoscenza infusa associato
alle opposizioni amore/intelletto e Dio/uomo. Ma in R. II? Quale fra le opposizioni messe in gioco
dal passo dell'Itinerarium, riprende quella dicibile/indicibile che vi domina? Senza dubbio l'opposi-
zione che sigilla, nell'Itinerarium, la segretezza dell'excessus mentis: caliginem non claritatem,
opposizione che, in R. II 2, troviamo come intensificata dalla traduzione che ne d Surin: il faut
aller... aux tnbres mystiques, non pas la lumire. in quanto oppone alla chiarezza del discor-
so il mistero dell'indicibile che il testo bonaventuriano assunto, in R. II, a paradigma della scienza
mistica.
A un tratto ci troviamo di fronte a una serie di impreviste difficolt. Il campo associato che ab-
biamo descritto, e le cui trascrizioni rendono conto della trasformazione subita dalla funzione conte-
stuale nel sistema di ricorrenza, non potrebbe forse essere applicato che nel raggio di R. I? Il campo
associato in virt del quale, in R. II, la citazione di S. Bonaventura perviene a fissare il principio
d'originalit della mistica, e ad accelerare il processo con testuale di scissione del sapere religioso,
sarebbe forse del tutto diverso dal campo della conoscenza infusa? quanto sembra suggerire il re-
gistro di scrittura che abbiamo messo in relazione con la conoscenza infusa, descrivendo la trascri-
zione .
Come potrebbe, un regime di conoscenza che non cessa di manifestarsi nel dominio incontrastato
della luce, costituire il campo associato alle tnbres mystiques di R. II? Vi di pi: come si con-
cilia l'espunzione dell'immagine della Tenebra con la lettera del testo bonaventuriano? Dopo tutto,
bench non s'irradii in tutto il testo, l'opposizione caliginem / claritatem presente in R. I come in
R. II, e, fatto ancor pi signifcativo, in R. I come in R. II Surin ne fornisce la stessa traduzione in-
tensificante: il faut aller... aux tnbres mystiques non pas la lumire. Non [94] soltanto dunque
il campo associato della conoscenza infusa risulta inapplicabile, apparentemente, nel raggio di R. II,
ma la legittimit stessa della sua applicazione in R. I si trova adesso contestata. Apparentemente.
Ora, il registro di scrittura che abbiamo posto in relazione con la conoscenza infusa interamen-
te ed esclusivamente definito dalla riduzione dell'ambivalenza conoscenza-inconoscenza. Esso fon-
da il dominio di una conoscenza positiva scacciando l'immagine ambivalente della tenebra dionisia-
na. Ed nella misura in cui portatrice dell'ambivalenza dionisiana conoscenza-inconoscenza, che
l'immagine della tenebra viene bandita. Ovvero essa non viene bandita che l dove portatrice di
quest'ambivalenza; ma siamo certi che lo sia, in R. II? Le tnbres mystiques di Surin, sono dav-
vero la caliginem... in qua omne relucet dello Pseudo-Dionigi e di S. Bonaventura? Precisiamo
ancora il nostro pensiero. Il registro di scrittura in cui si trascrive il campo associato definito, cer-
tamente, dal dominio di immagini puramente luminose. Ma questo dominio si stabilisce nello spa-
zio tradizionalmente occupato dall'immagine della tenebra supersplendente, e l soltanto: esso tra-
scrive la sostituzione della docta ignorantia con la conoscenza infusa. Nulla vieta, tuttavia, che
l'immagine della tenebra sia mantenuta al di fuori di questo spazio di significazione. La domanda
che poniamo semplice: l'opposizione caliginem/claritatem riveste, in R. II, un senso tale da non
ripiegarla sull'opposizione docta ignorantia/conoscenza intellettuale? Se potremo rispondere affer-
mativamente a questa domanda, diverr forse possibile, anche, ricondurre la tenebra mistica, cos
come si reinscrive nel testo di Surin, al campo della conoscenza infusa.
56
Cominciamo con l'esplorare, in R. II, questa dimensione dell'indicibile, del segreto mistico, che
trova nell'immagine tradizionale della tenebra la sua cauzione e il suo sigillo. L'obiezione rivolta al-
la mistica, cui Surin tenta qui di rispondere, colpisce, ad un tempo, un difetto e un eccesso di lin-
guaggio. Da una parte i contemplativi disent qu'ils prouvent de si grandes choses qu'ils n'ont point
de langue pour les exprimer; d'altra parte, ils allguent de beaux termes, des termes extraordi-
naires qui ne signifient rien, e aprs qu'[ils] vous ont parl, vous n'en savez pas davantage que
devant. La fioritura di termini straordinari, di invenzioni lessicali, che caratterizza il linguaggio
mistico, [95] non cessa di rinviare, nel testo, a un'essenziale impossibilit di dire, di significare, a un
improvviso venir meno della lingua, che essa avrebbe la funzione di compensare. Curiosamente,
questa struttura riconosciuta dai due avversari: Surin, proprio come il nemico che suppone e a cui
si rivolge, riconosce il carattere straordinario, ridiculeau monde, del linguaggio mistico; e, come
lui, fa di questa scrittura una drammatizzazione della dfaillance della lingua, una sorta di panto-
mima del silenzio. Tutto il peso della controversia porta invece sulla realt del referente. Per il sup-
posto avversario, questo vuoto di linguaggio su cui danzano, come in acrobazia, dei termini straor-
dinari che non significano nulla, dei significanti puri, l'indice inequivocabile dell'assenza di refe-
rente. L'esaminatore riconduce il reale alla sfera della corretta signifcazione; tutto il reale, egli
sembra sostenere, pu essere significato, e viceversa nulla abita nel margine paradossale che si sca-
va tra il difetto di lingua e l'eccesso di scrittura, nulla se non il demone dell'immaginario: ainsi
peut-tre nous parlez-vous de grandes richesses et opulences que personne ne peut avoir que celui
qui les imagine?. Surin, al contrario, difende la realt del referente, tanto pi reale quanto pi
sfugge alla significazione, tanto pi presente quanto pi assente dalla scena del linguaggio: ce-
la je rponds que les choses plus elles sont divines, plus elles sont vritables et solides, et moins fa-
ciles expliquer.
Cos si configura, a grandi linee, la dimensione dell'indicibile, del segreto e dell'oscurit mistica.
Si tratta ora di articolare questa dimensione a quella dell'illuminazione e della conoscenza. Il reale a
cui l'esperienza mistica si rapporta, estas materias tan sin materia, questi spazi donde es maestra,
no la lengua, sino la gracia - per usare due belle espressioni di Diego de Jess, il geniale interprete
di Juan de la Cruz47 -, ricoprono il dominio dionisiano e bonaventuriano dell'inconoscibile e dell'in-
visibile? Ci che non pu essere detto, ben ci che non pu essere conosciuto n visto? Il segreto
di cui non lecito agli uomini parlare, il sasso bianco su cui si trova scritto un nuovo nome impro-
nunciabile, le tnbres mystiques evocate da Surin, coincidono con la tenebra dell'inconoscenza,
o caligo, di Dionigi e S. Bonaventura?
In un testo del Catchisme spirituel, consacrato alla lumire et abondance de biens spirituels48
che premiano il contemplati-[96]vo nell'ultimo stadio della vita spirituale, Surin ritorna, inaspetta-
tamente, sulla questione dell'indicibile. Il testo si apre, infatti, e si dispiega, sul registro senza ambi-
valenza della pura luce. Coloro che fruiscono di questi beni sovrannaturali, possiedono des trsors
de sagesse et de science, des connaissances trs hautes des choses divines, abondance de conseils et
de lumires tant pour eux que pour autrui.
[...] ils connaissent les mystres de la Foi d'une faon si releve et si particulire, qu'ils semblent les pntrer
profondment, quoique nanmoins au-dessous de leur grandeur: et cela par une lumire si sublime, qu'on
peut dire sans exagrer, que les sentiments qu'ils ont en suite de ces lumires touchant les mystres de l'In-
carnation, de l'Eucharistie, de la Passion, de la communication des grces, et gnralement de toute l'cono-
mie du Christianisme, sont si hauts, qu'il n'y a pas plus de proportion entre ce qu'ils en connaissent, et ce
qu'on en sait d'ordinaire par la Thologie et science commune aux hommes, qu'il y a entre les connaissances
des enfants, et celles des Philosophes sur des choses naturelles.
Si tratta come vediamo, di uno spazio dominato da una luminosit che esclude ogni ambivalenza,
e che si lascia ricondurre, come attesta la relazione che la oppone alla teologia o science commune
aux hommes, al regime della conoscenza infusa. Ora, in questo spazio positivo e senza equivoco
che il seguito del testo definisce la dimensione dell'indicibile.
Comment se peut faire ce que vous dites, puisque l'on voit que ces personnes en parlant de ces mystres [...]
ne disent point de chose trop nouvelle, ou correspondante telle lumire?
57
C'est que ces sentiments qui donnent leur entendement tant de connaissances, n'ont point de paroles qui
leur soient proportiones: tout de mme qu'une personne qui viendrait des Indes, ayant got les fruits de ce
pays-l, ne pourrait aucunement expliquer la diffrence de tels fruits, combien qu'elle en eut une notion trs
parfaite; parce qu'il n'y a point de paroles propres telles choses: mme ici, celui qui voudrait expliquer un
autre la diffrence d'entre le Muscat, l'Abricot, et le Melon, serait bien en peine, et ne pourrait que par gestes,
ou par quelque son d'admiration expliquer sa pense, quoiqu'au dedans la connaissance qu'il a d'un de ces
fruits pour le distinguer de l'autre, ait en soi-mme une grande tendue. Aussi dans les choses surnaturelles,
les sentiments et les connaissances qu'on en a, sont de telle diversit d'objets, que pour les expliquer il ne se
trouve point de paroles, Non licet homini loqui. C'est pourquoi sainte Thrse, en parlant des choses qu'elle
exprimentait, s'indignait de la faiblesse des termes, n'y voyant aucune proportion avec ce qu'elle voulait
dire. [97]
All'obiezione insinuata dall'Avversario - onnipresente nei testi di Surin, funzione essenziale della
sua scrittura -, si ribatte facendo intervenire uno scollamento decisivo tra linguaggio e conoscenza.
L'esperienza mistica comporta una conoscenza, illuminazione sicura e notion trs parfaite, ma
questa conoscenza incomunicabile; per signifcarla, ripete Surin, il ne se trouve point de paroles,
Non licet homini loqui. L'indicibilit dell'oggetto mistico non dipende dunque dalla sua inconosci-
bilit, linguaggio e conoscenza hanno cessato, qui, di ricoprirsi. L'opposizione dicibile/indicibile
non ricade pi in Surin, come in S. Bonaventura, nel dominio dell'opposizione conoscibi-
le/inconoscibile, ma in quello, piuttosto, dell'opposizione ordinario/straordinario. L'oggetto dell'e-
sperienza mistica manca nel linguaggio, cos come un frutto indiano, atomo di esotismo, frammento
di un Altro mondo, sfugge ad ogni descrizione. Il linguaggio adeguato al dominio dell'esperienza
ordinaria, assolutamente inadeguato agli oggetti di un'esperienza straordinaria; per i frutti scono-
sciuti che ho gustato nell'Altro mondo, il tesoro della lingua umana non mi offre alcun significante.
appena necessario ricordare come quest'opposizione ordinario/straordinario laceri, letteralmente,
la vita di Surin come, in generale, costituisca uno degli aspetti dominanti della spiritualit dell'epo-
ca. La controversia sulle grazie straordinarie agita l'inizio del XVII secolo, come la querelle sul pu-
ro amore ne turber la fine. In particolare, il gruppo dei gesuiti riformisti che, negli anni 1625-1635,
inquietava le autorit romane, manifestava una viva devozione per questi favori sovrannaturali, per
queste conoscenze giunte dritte dritte da un altro mondo, che laceravano il tessuto della vita religio-
sa ordinaria come un evento improvviso spezza la monotonia della durata. E di questo gruppo di
giovani gesuiti, lettori ferventi di Santa Teresa, fautori di un rinnovamento mistico della Compagni-
a, Surin sarebbe presto diventato la figura di maggior rilievo. Ma la devozione per le grazie straor-
dinarie gioca anche un altro ruolo nella vita di Surin: se lo lega, da un lato, ai giovani gesuiti rifor-
misti, non cessa di renderlo sospetto, d'altro lato, ai suoi superiori. Cos, generalmente a causa della
sua inclinazione per le 'cose straordinarie', Surin polarizza spesso la corrispondenza fra Roma e i
provinciali di Aquitania, sia che i superiori inquieti inviino, su di lui, dei dossiers all'autorit centra-
le, sia che dall'autorit centrale giungano richie-[98]ste di nuove informazioni sul suo caso49. Pi
volte, d'altra parte, chiamato a giustifcare la sua dottrina, egli condotto a confrontarsi direttamen-
te su questo terreno. E di queste polemiche, di queste schermaglie che non mancarono di articolarsi
a precisi rapporti di forza, le sue opere, le sue lettere soprattutto, recano tracce incancellabili.
In conclusione, l'indicibile non occupa pi, in Surin come in S. Bonaventura, il posto dell'inco-
noscibile; si inscrive invece sul versante di una conoscenza straordinaria, ultra terrena, che il lin-
guaggio umano non permette di tradurre. Ma, allora, l'immagine della tenebra, chiamata a fgurare
quest'indicibile, non marca pi la frattura tra il soggetto e l'oggetto della conoscenza, bens lo scol-
lamento fra conoscenza e linguaggio, l'inattitudine del secondo a signifcare la prima. Ci eravamo
chiesti in che modo una conoscenza senza ambivalenze, piena e positiva, potesse costituire il campo
associato di un testo in cui fgurava, tra le altre, l'opposizione luce/tenebra - risolta, naturalmente, a
vantaggio del secondo termine. Ebbene questo possibile nella misura in cui l'immagine della tene-
bra non si inscrive qui all'interno della relazione di conoscenza - per segnarne la frattura - ma all'in-
tersezione della conoscenza e del linguaggio - per marcarvi una sfasatura, un'inadeguatezza. Il cam-
po associato alle tnbres mystiques di Surin non insomma quello dell'inconoscenza, ma quello
stesso che si associa alla requie dell'intelletto, all'incandescenza dell'affetto, all'opera divina nello
58
spirito: il campo della conoscenza infusa. Ma quest'associazione non pu essere stabilita che a con-
dizione di aggiungere, ai tratti che gi individuano il campo della conoscenza infusa, il tratto dello
straordinario - 'straordinario' dicendosi qui di non sapere che il linguaggio non permette di tradurre.
A questo nuovo ultimo tratto del campo associato, corrisponde, beninteso, una terza trascrizione,
che chiameremo trascrizione .
Il campo associato dell'agnosia dionisiana non si applica soltanto, nell'Itinerarium mentis in
Deum, alla sospensione estatica dell'intelletto, ma anche, egualmente, alla dfaillance del discorso,
all'erosione del linguaggio. Ho gi avuto l'occasione di richiamare l'attenzione sul curioso gemel-
laggio che unisce, nel capitolo VII dell'Itinerarium, i due periodi che precedono e seguono la cita-
zione dello Pseudo-Dionigi. Una stessa rete di opposizioni circonda il [99] testo della Teologia Mi-
stica, formandone quasi la cassa di risonanza, o il registro d'inscrizione. Fra i due capi di questa re-
te, fra il primo e il secondo periodo, tuttavia possibile stabilire una serie di varianti. Nel passo che
segue la citazione, e che si vede ricorrere in Surin, l'opposizione dominante senza dubbio quella
che separa amore e intelletto; nel passo che la precede, l'opposizione maggiore non si lascia definire
con altrettanta chiarezza, ma, sul versante dei termini colpiti dalla negazione, il predominio dei si-
gnificanti del mondo del discorso nettissimo. dunque fra l'al di l del linguaggio e l'al di l
dell'intelletto, fra l'indicibile e l'inintelligibile, ohe si estende il testo dello Pseudo-Dionigi - para-
digma, come sappiamo, del campo associato. Sospensione dell'intelletto e assenza di linguaggio, e-
clissi della ragione e del discorso, costituiscono le due facce simmetriche della tenebra, le due iden-
tiche misure dell'agnosia.
Questa struttura del campo associato - del paradigma del campo associato - non fa che riprodur-
re, del resto, un sistema gi presente nella Teologia Mistica50. Nel V capitolo di questo testo, lo
Pseudo-Dionigi stabilisce una rigorosa equipotenza fra i termini: , , . Dio
trascende, in una volta, l'intelligenza, la conoscenza ed il discorso. Cos, al culmine del percorso
negativo richiesto dalla teologia mistica, di Dio si giunger ad avanzare: ,
51, non discorso, n intelligenza, , 52, e non pu essere nomina-
to n compreso. O ancora: , 53, a Dio non si pu
attribuire n discorso, n parola, n conoscenza. Manifestamente, la negazione colpisce tutto l'uni-
verso greco, percorre a ritroso, fino ad esaurirlo, il cammino intrecciato dell'intelletto, della cono-
scenza e del linguaggio. Al termine del percorso della negazione si trova, da un lato, il mondo greco
capovolto, e, d'altro lato, un vettore di pura trascendenza, un al di l ineffabile, semplice freccia
dell'oltre. Di quest'incognita divina, tutto ci che si pu dire ci che non , e non poco, poich
ci che Dio non , tutto il mondo greco, i cui rapporti strutturali, bench affettati di segno negati-
vo, sono mantenuti, e mantengono anzi, poich a questo livello solo le negazioni contano, il loro po-
tere di definizione. Dio dunque, nello stesso tempo e per il medesimo movimento, [100] al di l
del pensiero, della conoscenza e del linguaggio, o ancora al di l di questo stesso al di l, poich,
come dice altrove Dionigi, superiore a ogni negazione non meno che ad ogni affermazione.
Ora, questo delicato sistema di equipotenze, cui il campo associato alla contemplazione bona-
venturiana si lascia ricondurre, completamente abbandonato nei testi di Surin. Qui l'indicibile ces-
sa di ricoprire l'inconoscibile, qui viene meno l'equipotenza fra intelletto, linguaggio e conoscenza.
L'abbandono del pensiero e del linguaggio, la mort au discours, per riprendere un'espressione del
padre Crasset54, non si compie pi nell'immensa povert della tenebra dionisiana, nel vuoto essen-
ziale dell'agnosia, ma si accompagna della scoperta di sempre nuovi tesori di conoscenza, come di
Nuovi Mondi favolosi. la rivelazione che giunge a Surin, ancor nella sua giovinezza, dall'illumi-
nato incontrato sulla via di Rouen:
Il me dit que la lumire surnaturelle que Dieu verse dans une me lui fait voir tout ce qu'elle doit faire plus
clairement que la lumire du soleil ne montre les objets sensibles, et que la multitude des choses qu'elle d-
couvre l'intrieur est beaucoup plus grande que tout ce qui est en la nature corporelle55.
All'universo del discorso, alla doppia articolazione del pensiero e del linguaggio, non si oppone
pi il puro limite dell'inconoscenza, ma il campo silenzioso, e ricco tuttavia di ogni conoscenza e
scienza, il mondo straordinario dell'illuminazione.
59
Rottura dunque del sistema di simmetrie in cui s'intrecciavano e si univano l'intelletto, il lin-
guaggio e la conoscenza; apertura, oltre lo spazio del discorso, di un campo di conoscenza straordi-
naria - l'illuminazione - pi elevato e pi vasto di tutto il sapere umano. Trascrizione del campo as-
sociato da un sistema di rigorosa equipotenza fra i tre termini, a un sistema a potenze ineguali, e an-
zi incommensurabili.
VII
Abbiamo ricostruito la dinamica della trasformazione contestuale, riconducendo l'apparizione del
nuovo contesto all'incrocio di due linee di derivazione: una linea di derivazione globale, tracciata
sull'arco di diversi secoli, costituita dal processo di differenziazione delle scienze religiose; una li-
nea di derivazione locale, co-[101]stituita dalla polemica sul misticismo, quale si sviluppa in Fran-
cia verso la met del XVII secolo.
Abbiamo distinto, embricata nel processo di trasformazione contestuale, una trasformazione pi
precisa: trasformazione della rete di rapporti che si tesse fra il contesto e l'enunciato, inversione
completa e repentina di tutto il condizionamento contestuale. Si quindi visto come, da tale inver-
sione, dipendesse la prescrizione, nel sistema di ricorrenza, di una funzione contestuale opposta a
quella prescritta nel sistema d'inscrizione originaria. Abbiamo riconosciuto allora, nell'inversione
del condizionamento contestuale, la prima matrice di trasformazione della funzione contestuale, o
meglio la matrice di trasformazione del primo versante di questa funzione, definito come il dominio
della sua prescrizione, o ancora indifferentemente, come il dominio della performance prescrittiva
eseguita dal contesto.
Abbiamo analizzato la trasformazione del campo associato - la sostituzione del campo dell'agno-
sia con quello della conoscenza infusa - riconducendola a una serie di tre trascrizioni. Trascrizione
, riguardante l'ordine di conoscenza richiesto dal campo associato: trascrizione dall'ordine parados-
sale della docta ignorantia a un ordine di conoscenza positiva. Trascrizione , riguardante il domi-
nio, lo spazio d'applicazione, della conoscenza richiesta dal campo associato: trascrizione da un
dominio locale e limitato, a un dominio di estensione illimitata. Trascrizione , riguardante il siste-
ma di rapporti, sotteso dal campo associato, fra la conoscenza, il pensiero ed il linguaggio: trascri-
zione da un sistema di rigorosa equipotenza fra i tre termini a un sistema a potenze ineguali.
Infine abbiamo mostrato come, sulla base della trascrizione (ma la trascrizione coimplicata
nella trascrizione e, d'altra parte, queste due trascrizioni non potrebbero avere successo, il campo
che esse trascrivono non potrebbe associarsi al testo dell'Itinerarium, se una trascrizione , spezzan-
dovi la simmetria linguaggio-conoscenza, non lo abilitasse all'opposizione: + tnbres mystiques / -
lumire), fosse possibile rendere conto della mutazione che affetta, nel sistema di ricorrenza, la per-
formance contestuale dell'enunciato bonaventuriano. perch il campo associato all'enunciato bo-
naventuriano si trascrive fino ad includere tutti i diversi domini di conoscenza, che la sapienza mi-
stica - cui [102] l'enunciato in questione applica il suo campo associato - entra in un rapporto di
conflitto e concorrenza con le altre scienze religiose. , paradossalmente, in quanto definisce una
sapienza totale e senza esteriorit, dunque conflittuale e concorrente con ogni altra scienza, che il
passo dell'Itinerarium precipita il processo contestuale di scissione dello spazio del sapere. Ovvero -
poich la performance eseguita dall'enunciato non altro che il secondo versante della funzione
contestuale, equiparabile al dominio della sua esplicazione - in virt del gioco di trascrizioni in cui
preso il campo associato, che il passo citato pu esplicare, nella ricorrenza-Surin, una funzione
diametralmente opposta alla sua funzione originaria. Si dir dunque, senz'altro, che il sistema di tra-
scrizione del campo associato costituisce la seconda matrice di trasformazione della funzione conte-
stuale, o ancora la matrice di trasformazione della funzione contestuale sul suo secondo versante.
L'analisi della dinamica tra-duttrice - del movimento che trasporta l'enunciato dal sistema d'in-
scrizione originaria al sistema di ricorrenza - sfocia dunque nel riconoscimento di tre precise tra-
sformazioni: trasformazione del contesto, del campo associato e della funzione contestuale. Queste
trasformazioni non costituiscono una serie ordinata, non si ordinano in una successione, ma s'inter-
secano in una scena intrecciata, formano un concatenamento complesso. L'agente di tale intersezio-
60
ne , naturalmente, la funzione contestuale. La mutazione che l'affetta - essa stessa doppia, o sdop-
piata, divisa fra i due versanti della prescrizione e dell'esplicazione - scorre al limite delle trasfor-
mazioni del contesto e del campo associato, s'innesta in entrambe e funziona in questo modo fra di
esse come una sorta di cerniera. Prese ambedue nella trasformazione della funzione con testuale, e
prese l'una nell'altra in essa, le trasformazioni del campo associato e del contesto formano, con tale
trasformazione, un vero nodo macchinico, del cui funzionamento la tra-duzione l'esito. Il concate-
namento complesso delle trasformazioni del contesto, del campo associato e della funzione conte-
stuale insomma il dispositivo che regola lo scarto dei sistemi d'inscrizione, il dispositivo di rezio-
ne, di tra-duzione, del segmento bonaventuriano nella ricorrenza-Surin.
A questo punto, conclusasi ormai anche l'analisi dinamica della tra-duzione, il nostro sondaggio
sulla citazione bonaventuria-[103]na delle Questions sur l'amour de Dieu deve considerarsi com-
piuto. Abbiamo provato l'esistenza (sezioni II e IIl) ed operato lo smontaggio (sezioni IV, V e VI) di
un dispositivo di tra-duzione; abbiamo portato alla luce, in un caso di citazione letterale, l'azione di
una macchina tra-duttrice che trasforma radicalmente la leggibilit di una frase. Dobbiamo soltanto
chiederci, ormai, e valutare, sulla base dell'analisi che esso ha reso possibile, se il concetto di tra-
duzione stato effettivamente efficace, se ha consentito una miglior comprensione di quel fenome-
no di tradimento, di scarto imposto al senso, da cui eravamo partiti. Diremo che ne ha almeno con-
sentito una conoscenza pi dettagliata, che stato, quantomeno, un buon microscopio. Grazie ad es-
so, stato possibile analizzare il tradimento del senso sulla base di una serie ben definita di trasfor-
mazioni che investono il sistema d'inscrizione della frase. Un fenomeno vago, confuso (abuso, tra-
dimento) ha rivelato, poco a poco, la sua complessit strutturale, si , poco a poco, mostrato nella
sua complicazione di artefatto, nella sua co-implicazione di effetto. Basterebbe questo risultato,
credo, a giustificare l'assunzione del concetto di tra-duzione e a legittimarne l'uso. Ma il concetto di
tra-duzione presenta anche un secondo vantaggio. Esso permette d'introdurre, negli spazi incrociati
della significazione e della ripetizione, la lama della differenza - che spezza in due, marcata da un
trattino, la parola traduzione. Tra-duzione l'atomo differenziale dell'intertestualit. Ora, non c'
quasi bisogno di ricordare come la filosofia contemporanea abbia legato il suo destino all'idea di
differenza, n quanto abbia amato farla sorgere dal fondo stesso della ripetizione - attraverso le fi-
gure privilegiate dell'eterno ritorno, della maschera, del simulacro, ecc. Che l'analisi dei rapporti di
senso, e in particolar modo l'analisi dell'intertestualit, possano essere condotte nella vicinanza
dell'idea di differenza ed anzi sotto il suo sigillo; che, in tal modo, una sorta di cortocircuito, un
lampo di trasversalit, metta in rapporto fra loro due discipline diverse - questo, a mio avviso,
l'argomento decisivo in favore del concetto di trazione - questa, in ogni caso, la sua seduzione pi
grande. [104]
61
NOTE
1
M. FOUCAULT, L'archologie du savoir, Paris, Gallimard, 1969, p. 138.
2
Ibid., p. 136.
3
Mi riferir, per i testi di S. Bonaventura, all'edizione Quaracchi, Opera omnia, 10 vol., 1882-1902. Per
le Questions di Surin rimando invece all'edizione critica di A. Pottier e L. Maris, Paris 1930.
4
Itinerarium mentis in Deum, VII, 6, t. V, p. 313.
5
Si tratta in realt dell'Itinerarium mentis in Deum, il cui titolo viene confuso qui, probabilmente, con
quello del De septem itineribus aeternitatis - un opuscolo scritto da Rodolfo di Biberach, e un tempo attribui-
to a S. Bonaventura.
6
Questions importantes la vie spirituelle sur l'amour de Dieu, II, 5, pp. 76-77-78.
7
Ibid., III, 5, pp. 131-135.
8
Ibid., III, 5, p. 138.
9
Nell'avertissement della prima edizione dei Dialogues spirituels (Nantes 1700), il padre Pierre Cham-
pion, curatore dell'opera, precisava:
L'auteur de l'ouvrage que nous donnons au public l'a intitul Dialogues spirituels parce qu'il y introduit une
me dvote qui s'entretient avec son directeur. Il l'avait divis en quatre tomes. Mais comme l'on en a extrait de
chaque volume une partie considrable pour en faire un livre part, nous rduirons le reste trois tomes. Ce
livre qui en a t tir par l'ordre de feu Monseigneur le prince de Conti est celui des Fondements de la vie spiri-
tuelle [...].
I Fondements de la vie spirituelle non sono dunque un'opera autonoma - o almeno non lo erano nella con-
cezione di Surin. Essi nascono da una scissione che gli editori operano, par l'ordre de Monseigneur le prince
de Conti, nel corpus dei Dialogues. Poich, sfortunatamente, non stato ritrovato fino ad oggi alcun mano-
scritto completo dei Dialogues spirituels, quest'opera non ha ancora potuto essere ricostituita in conformit
con il piano originale ideato da Surin. Ci accontenteremo dunque di rinviare, da un lato, ai Fondements - ri-
pubblicati in un'eccellente edizione critica dal padre Ferdinand Cavallera -, e d'altro lato ai tre tomi dei Dia-
logues pubblicati da Champion.
10
Les Fondements de la vie spirituelle, V, 9, Paris 1930, pp. 281-282.
11
Ibid., III, 7, p. 182.
12
Ibid., III, 7, pp. 182-183. [105]
13
Ibid., III, 7, p. 183.
14
Itinerarium mentis in Deum, I, 2, t. V, p. 297.
15
Ibid., I, 4, t. V, p. 297.
16
Ibid., I, 7, t. V, p. 298.
17
Ibid., I, 3, t. V, p. 297.
18
Cfr. ad es., ibid., V,l, t. V, p. 308.
19
Ibid., I, 5, t. V, p. 297.
20
Ibid., I, t. V, p. 296.
21
Ibid., II, t. V, p. 299.
22
Ibid., V, t. V, p. 308.
23
Ibid., VI, t. V, p. 310.
24
Ibid., Prologus, 3, t. V, p. 295.
25
Ibid., VII, 1, t. V, p. 312.
26
Ibid., VII, t. V, p. 312.
27
Ibid., VII, 3, t. V, p. 312.
28
Ibid., VII, 4, t. V, p. 312.
29
E. GILSON, La philosophie de Saint Bonaventure, Paris 1943, p. 373.
62
30
Collationes in Hexaemeron, II, 30, t. V, p. 314, citato in E. Gilson, op. cit., p. 372.
31
Itinerarium mentis in Deum, VII, 5, t. V, pp. 312-313.
32
Ibid., VII, 5, t. V, p. 313.
33
HENRI-CHARLES PUECH, En qute de la Gnose, Paris, Gallimard, 1978, t. I, p. 122.
34
Ibid., p. 127.
35
Cfr. ad es.: Breviloquium, p. 5, c. 6, t. V, p. 260; II Sent., d. 23, a 2, q. 3, t. II, p. 546; Coll. in Hexaem.,
II, 32, t. V, p. 342, e XX, 11, t. V, p. 427.
36
Collationes in Hexaemeron XX, 10-11, t. V, p. 427.
37
MICHEL DE CERTEAU, Mystique au XVIIe sicle , in Mlanges de Lubac, Paris 1964, t. II, pp. 277-
278.
38
Ibid., pp. 278-279.
39
MICHEL DE CERTEAU, L'Absent de l'Histoire, Paris, Mame, 1973, p. 54.
40
Citato in J.-J. SURIN, Guide spirituel pour la perfection, Paris, Descle de Brouwer, 1963, p. 46.
41
Catchisme spirituel, t. I, II, 2, Paris 1669, pp. 128-129-130.
Colgo l'occasione per ricordare che il Catchisme spirituel, nella forma in cui gli editori ce lo hanno con-
segnato, non corrisponde che in parte al piano concepito da Surin. Nelle sue opere posteriori, e nelle sue let-
tere, Surin designa infatti, sotto il nome di Catchisme spirituel, un insieme di quattro volumi: il Catchisme
spirituel propriamente detto; il Supplment au Catchisme spirituel; le Additions au Catchisme spirituel; il
Guide spirituel pour la perfection (quest'ultimo libro fu composto verso la fine del 1660, e rappresenta un
tutto relativamente autonomo in rapporto ai tre precedenti, redatti nel 1654-1655). Ora, l'edizione 'classica'
del Catchisme, curata da Vincent de Meur e pubblicata in due tomi presso Claude Cramoisy fra il 1661 e il
1663 (l'edizione del 1669, a cui mi riferisco, ne costituisce una ristampa), sembra di fatto non aver conserva-
to, nella sua totalit, che il Catchisme spirituel propriamente detto (corrispondente alle parti I-IV del primo
tomo, come attesta un manoscritto, giunto fino a noi, di questo pannello iniziale dell'opera di Surin). Del
Guide spirituel - il cui testo integrale, recentemente ritrovato, stato pubblicato nel 1963 da Michel de Cer-
teau -, l'edizione di Vincent de Meur non riproduce invece che alcuni capitoli. Delle Additions e del Suppl-
ment non sussistono, purtroppo, che manoscritti incompleti. Dal loro esame - nonch dai numerosi riferimen-
ti fatti da Surin, in altri suoi scritti, a queste sezioni del Catchisme e ai capitoli che dovevano comporle - ri-
sulta per chiaramente che alcune parti delle Additions e [106] del Supplment sono state omesse dall'edizio-
ne del 1661-1663. Se dunque - in attesa di un'edizione critica che presenti in forma attendibile i manoscritti
finora ritrovati - continuiamo a rinviare in questa sede al testo stabilito da Vincent de Meur, ci sembra tutta-
via doveroso ricordare che tale testo non conserva che una parte dello scritto originale di Surin.
42
Guide spirituel pour la perfection, Paris 1963, pp. 292-296.
43
Dialogues spirituels, t. II, Paris 1723, pp. 265-266-267.
44
Guide spirituel pour la perfection, I, 5, pp. 83-84-85.
45
Les Fondements de la vie spirituelle, I, 9, Paris 1930, pp. 90-91.
46
Ibid., V, 6, pp. 266-267.
47
Cfr. Obras de san Juan de la Cruz, Burgos 1929, t. I, pp. 353-354.
48
Cfr. per tutte le citazioni che seguono, Catchisme spirituel, IV, 7, t. I, Paris 1669, pp. 387-388-389.
49
Cfr. i documenti allegati da M. de Certeau, in JEAN-JOSEPH SURIN, Correspondance, Paris 1966.
50
La serie equipotente conoscenza-pensiero-linguaggio attraversa e sostiene tutta la Teologia Mistica. Un
quarto termine, a dire il vero, si aggiunge spesso a questa serie e la surcodifca: l'essere. Cos, ad esempio, in
De divinis nominibus, I, 4-5, l'indicibilit e l'inconoscibilit del raggio divino vengono fatte dipendere dalla
sua trascendenza in rapporto alla sfera dell'essere, poich tutte le conoscenze sono conoscenze dell'essere
e, d'altra parte, soltanto ci che pu essere denominato.
51
Patrologiae cursus completus, Series graeca, t. IlI, 1045 D.
52
Ibid., 1045 D.
53
Ibid., 1048 A.
54
Su Jean Crasset, cfr. HENRI BREMOND, Histoire littraire du sentiment religieux en France, t. V, Paris
1920, e t. VIII, Paris 1928.
55
Correspondance, Paris 1966, p. 142.
[107]
63
ww.lamelagrana.net
III
L'ESOTISMO MISTICO
In un saggio ormai celebre1, Lotman ha brillantemente dimostrato la pertinenza e l'efficacia
dell'uso di modelli spaziali (topologici) nella descrizione semiotica dei testi della cultura - un testo
della cultura essendo, val forse la pena di ricordarlo, il modello pi astratto della realt dal punto
di vista di una data cultura2. Il presente studio costituice un tentativo di trasporre i principali con-
cetti lotmaniani dal campo della tipologia della cultura a quello dell'analisi testuale. Si tratter, pi
precisamente, di verificare se il modello INvsES - cui Lotman attribuisce una portata esplicativa di
raggio amplissimo - possa venire utilizzato con profitto nell'analisi di singoli testi letterari. Ripro-
duco qui, per maggior chiarezza, la definizione che Lotman fornisce di questo modello, nonch lo
schema di cui si serve per illustrarlo:
Sia dato uno spazio bidimensionale (piano) diviso da una frontiera in due parti, delle quali una comprenda
una quantit limitata di punti e l'altra un numero illimitato, cos che prese unitamente esse compongano un
insieme universale. Ne deriva che la frontiera dev'essere, in tal caso, una linea chiusa omeomorfa a una cir-
conferenza. Allora, secondo il teorema di Jordan (fig. 1), la frontiera divide il piano in due porzioni: una e-
sterna (ES) e una interna (IN)3.
Fig. 1
Nelle pagine che seguono, tenter d'interpretare alla luce del modello appena definito lo spazio
semantico messo in gioco da due lettere giovanili di Jean-Joseph Surin. Prima d'intraprendere
quest'analisi, vorrei introdurre tuttavia alcune precisazioni. Da un punto di vista metodologico, anzi-
tutto, doveroso premettere che [111] ci di cui il modello INvsES potr rendere conto, non sar
tanto la dottrina formulata dalle due lettere, quanto il discorso che le traversa e le sottende - non tan-
to dunque la sostanza, quanto la forma del loro contenuto. Ci dicendo, non faccio del resto che ri-
prendere un'altra tesi di Lotman, secondo cui le strutture spaziali che l'indagine semiotica, forte del
ricorso ai modelli topologici, permette di ricostruire, altro non sono che le pi semplici forme del
contenuto, la primitiva architettura del senso4. Da un punto di vista storico, tengo invece a ricordare
che le lettere prescelte costituiscono due fra i pi prestigiosi esempi della vasta letteratura dominata,
nel XVII secolo, dal tema dell'illettr clair5. Senza pretendere di estendere automaticamente a tut-
ta questa letteratura i tisultati che potremo ottenere per i testi di Surin, diremo che la generalizzabili-
t di tali risultati rappresenta una possibilit aperta - e un'ipotesi di lavoro suggestiva per un eventu-
ale, pi ampio sondaggio su questo terreno. Da un punto di vista bibliografico, vorrei infine segna-
lare che la prima delle due lettere cui questo studio consacrato, gi stata analizzata da Michel de
Certeau in un saggio realmente magistrale, in cui gli strumenti della ricerca filologica e quelli della
storia delle mentalit si trovano riuniti in una felicissima sintesi6. Per mia parte, lungi dall'opporre
l'indagine che sto per intraprendere a uno studio cos illuminante, mi auguro soltanto che essa possa
65
contribuire ad integrarlo, apportandogli il complemento - metodologico ed euristico - dell'analisi te-
stuale. [112]
1. La relazione esotica
Il primo dei due testi che vorrei prendere in esame una lettera dell'8 maggio 1630, indirizzata ai
confratelli del collegio di La Flche7. Surin, allora trentenne, vi narra il suo incontro con un giovane
ag de dix-huit dix-neuf ans, in cui non esita a riconoscere le tracce della pi eminente illumi-
nazione divina. Ora, quest'intrecoio minimo non manca di articolarsi, nel testo, a un preciso sistema
di relazioni spaziali:
Mes rvrends pres,
Je voudrais avoir assez de forces pour coucher tout au long, et assez de lumire pour bien exprimer com-
bien heureusement m'a reu notre Seigneur au sortir de mon pays8, pour la rencontre que j'ai faite d'un bien
que je ne saurais assez priser, je veux dire d'une me des plus rares que j'ai jamais connues et de qui j'ai su
des secrets merveilleux.
All'inizio della lettera, all'origine del racconto, troviamo un cambiamento di spazio, troviamo lo
spostamento di un punto il personaggio narratore - da un primo a un secondo sito, da un antico a un
nuovo universo. Tentiamo, innanzitutto, di ricostruire il sistema spaziale in rapporto a cui il perso-
naggio narratore si trova cos in movimento. L'espressione au sortir de mon pays svolge, a questo
riguardo, una funzione fondatrice9: in primo luogo essa disgiunge, per il fatto stesso d'indicare un
passaggio dall'uno all'altro, lo spazio in cui l'azione si svolge e quello da cui il narratore proviene;
in secondo luogo, grazie a uno dei suoi lessemi (il verbo sortir), essa qualifica tali spazi, rispettiva-
mente, come esterno e interno; in terzo luogo presenta lo spazio interno come ambiente proprio del
narratore (mon pays), e lo spazio esterno come una terra straniera. Ma non tutto. Lo spazio e-
sterno in cui il narratore penetra, quello stesso in cui Dio lo riceve; e lo riceve, precisamente,
propiziando il suo incontro con l'illuminato. Da un lato, dunque, lo spazio esterno, la terra straniera,
non che il sito ove Dio risiede, poich vi riceve, come un ospite che accoglie un pellegrino, il
viaggiatore Surin - il che sufficiente, beninteso, a caratterizzare lo spazio esterno come mondo mi-
stico. D'altro lato, l'illuminato appartiene interamente a questo spazio, a questo mondo, ne rigoro-
samente - testualmente - indissociabile, poich non ha esigenza testuale se non come strumento, o
[113] tramite, dell'ospitalit divina destinata al narratore. Possiamo perci definire lo spazio esterno
- il mondo mistico - come l'insieme che ha per elementi la coppia ordinata di personaggi (l'illumina-
to, Dio), la relazione d'ordine fra essi essendo un rapporto di rappresentazione tale che il primo rap-
presenta il secondo per il personaggio narratore. Notiamo inoltre che il semplice fatto che lo spazio
esterno sia caratterizzato come mondo mistico, ci permette di qualificare come mondo profano lo
spazio interno ad esso opposto.
Alla luce di quanto abbiamo detto, il cambiamento di spazio che inaugura il testo pu essere in-
terpretato come il viaggio di un eroe nobile (Surin) proveniente da uno spazio profano interno come
dal suo ambiente proprio, in uno spazio mistico estraneo ed esterno - straniero -, ove dimorano, in
qualit di personaggi fissi, Dio e l'illuminato. Il seguito della lettera consister, essenzialmente, in
una descrizione di questo secondo spazio.
interessante osservare come Surin non possa organizzare un tale sistema di relazioni spaziali,
senza imporre una notevole distorsione allo spazio reale, o referenziale, presupposto dalla lettera.
Sappiamo infatti (da un resoconto di Remi-Marie Boudon10, biografo di Surin, da un testo posterio-
re di Surin stesso11, e infine da alcune sequenze della lettera in esame, in cui il punto di vista refe-
renziale riprende vigore) che l'incontro con l'illuminato ebbe luogo su una diligenza, precisamente
fra Rouen e Parigi. A livello dello spazio referenziale abbiamo dunque due personaggi mobili - Su-
rin e l'illuminato - in viaggio verso Parigi; ma nello spazio testuale non abbiamo pi che un solo e-
roe mobile - Surin -, che si avventura in una terra straniera di cui l'illuminato, ormai personaggio
fisso, divenuto abitante. Lo spazio testuale e lo spazio referenziale divergono dunque in modo fla-
grante, come se il primo non potesse organizzarsi in sistema, se non disorganizzando le coordinate
del secondo.
66
Come si detto, lo spostamento del personaggio narratore in uno spazio mistico seguito da una
descrizione abbastanza particolareggiata di questo spazio. Aggiungiamo che tale descrizione si con-
centra su di un unico obiettivo: l'illuminato. Il mondo mistico che, nella sequenza iniziale, viene in-
trodotto come un insieme a due elementi, risulta quindi descritto, su tutta la superficie del testo,
come un insieme composto da un solo elemento - n [114] potrebbe, d'altronde, avvenire altrimenti,
dato che il secondo elemento dell'insieme di partenza (Dio) non presente al personaggio narratore
che nella rappresentazione che gliene offre la figura stessa dell'illuminato (il primo elemento). A
quali leggi obbedisce dunque la descrizione fornita da Surin? Che tipo di spazio essa perviene a
modellizzare? Formuliamo l'ipotesi che il testo di Surin riproduca gli schemi di un esotismo assai
diffuso nel XVII secolo, e singolarmente nel genere delle relazioni di viaggio; che, di conseguenza,
lo spazio mistico in esso modellizzato si configuri come uno spazio esotico.
Convenzionalmente, chiameremo esotismo ogni letteratura in cui la percezione dello spazio e-
sterno soggiace alle seguenti condizioni:
(I) ES non viene percepito come dotato di un'organizzazione propria e specifica.
(II) ES viene definito dall'assenza di una prima serie di tratti propri di IN.
(III) ES viene definito inoltre dalla presenza di una seconda serie di tratti, selezionati in funzione della loro
assenza, o della loro impossibilit in IN.
(IV) ES, cos definito, diventa oggetto di sogno e desiderio, e viene opposto a IN come un mondo infinita-
mente migliore.
Le condizioni (II), (III) specificano, dotandola di un preciso contenuto, la condizione (I). Mani-
festamente, (II) e (III) stigmatizzano due atteggiamenti simmetrici. In entrambi i casi, infatti, la
struttura di IN il parametro della costruzione di ES, sia che ES risulti definito dall'assenza dei trat-
ti propri della struttura di IN, sia che al contrario venga caratterizzato dalla presenza di tratti pre-
scelti in funzione della loro assenza in questa stessa struttura. Diremo che i due punti di vista e-
spressi da (II) e (III) presuppongono un identico osservatore, situato al di fuori di ES, o ancora che
essi costituiscono le varianti di una medesima percezione esotica, definita dalla non-inclusione del
soggetto nello spazio esterno che egli percepisce. Simmetrici, come abbiamo visto, gli atteggiamen-
ti (II) e (III) possono apparire inoltre, a seconda delle grandezze testuali prese in considerazione, al-
ternativi o complementari. Su piccola scala, essi tendono a formare un'alternativa: difficilmente, in-
fatti, un singolo enunciato pu fondere i due punti di vista e soddisfare, ad un tempo, (II) e (III). Su
[115] grande scala, al contrario, essi intrattengono un rapporto di complementarit: ogni testo esoti-
co procede combinando enunciati che soddisfano, alternativamente, l'una o l'altra condizione. La
condizione (IV), infine, definisce l'assiologia che investe gli schemi strutturali fissati dalle condi-
zioni precedenti.
Forniamo adesso alcuni esempi di enunciati esotici, tratti dal genere letterario - le relazioni di vi-
aggio - in cui l'esotismo secentesco ha trovato la sua manifestazione pi compiuta.
L'assenza, nelle societ selvagge, dell'organizzazione (religiosa, economica, sociale) che caratte-
rizzava le societ europee, senza dubbio il tratto pi frequentemente riportato dai viaggiatori
dell'epoca. Nel 1614, un luogo comune affermare, come Claude d'Abbeville, les indiens Topi-
namba n'ont ni foi ni aucune ombre de religion, ils n'ont aussi aucune loi ni police pour le public,
sinon quelque parcelle de la loi de nature12. Un simile enunciato, tuttavia, non pu ancora definirsi
esotico: esso soddisfa le condizioni (I) e (II), ma non la condizione (IV). Perch vi sia esotismo, bi-
sogna che l'assenza dell'organizzazione che caratterizza IN, sia associata a un'infinita valorizzazione
di ES - bisogna che, in altri termini, anche la condizione (IV) sia soddisfatta. Tale, ad esempio, il
caso di questo frammento del gesuita Le Jeune:
[...] si c'est un grand bien d'tre dlivr d'un grand mal, nos Sauvages sont heureux; car les deux tyrans qui
donnent la ghenne et la torture un grand nombre de nos Europens, ne rgnent point dans leurs grands
bois, j'entends l'ambition et l'avarice. Comme ils n'ont ni police, ni charges, ni dignits, ni commandement
aucun, car ils n'obissent que par bienveillance leur capitaine; aussi ne se tuent-ils point pour entrer dans
67
les honneurs, d'ailleurs comme ils se contentent seulement de la vie, pas un d'eux ne se donne au Diable pour
acqurir des richesses13.
L'assenza di strutture di potere (ni police [...], ni commandement aucun), nonch di distinzioni
sociali (ni charges, ni dignits), diviene qui la condizione di possibilit di un'esistenza paradisia-
ca, la cui pace e serenit non pi turbata dai demoni dell'avarizia e dell'ambizione.
Un'argomentazione analoga - ed egualmente esotica - condotta in questo brano di Paul Boyer:
Ils [i selvaggi] ne savent ce que c'est que d'extorsions ni des subsides, ni des brigandages; point d'avarice,
point de cupidit, point de calomnie, [116] point de rapports, point de caquets, point de contentions, point de
procs, point de chicane, point de paillardise, point de serviteurs, point de matres, point d'inconstances, point
de collusionnaires, point d'exactions, point de gueux, point de mendiants, ni pas un brin de convoitise, ce qui
nous devrait faire rougir de honte. Point de distinction de condition parmi eux, et ils ne considrent les
hommes que par les actions qu'ils savent faire14.
Qui ancora, ES caratterizzato in modo puramente negativo - a livello retorico, ovviamente, e
non assiologico -, definito dall'assenza dei mali morali che affliggono IN; qui ancora, l'idilliaca as-
senza di questi mali sembra discendere in linea retta dalla mancanza delle strutture organizzative e
gerarchiche proprie di IN (point de serviteurs, point de matres [...], point de distinction de condi-
tion parmi eux).
I brani di Le Jeune e Boyer possono essere considerati esemplificativi di tutta una classe di e-
nunciati esotici, definita dalla compresenza delle condizioni (I), (II), (IV). costruendo enunciati
simili che il mondo classico perverr, poco a poco, alla modellizzazione dell'immagine del buon
selvaggio. Vi perverr, in verit, infinitamente prima di quanto, abitualmente, si sia portati a crede-
re. Nella seconda met del XVII secolo, il missionario Jean-Baptiste du Tertre poteva gi scrivere:
[...] les sauvages de ces les sont les plus contents, les plus heureux, les moins vicieux, les plus sociables, les
moins contrefaits et les moins tourments de maladies de toutes les nations du monde. Car ils sont tels que la
nature les a produits, c'est--dire dans une grande simplicit et navet naturelle: ils sont tous gaux, sans que
l'on connaisse presque aucune sorte de supriorit ni de servitude [...]. Nul n'est plus riche, ni plus pauvre
que son compagnon, et tous unanimement bornent leurs dsirs ce qui leur est utile, et prcisment nces-
saire, et mprisent tout ce qu'ils ont de superflu, comme chose indigne d'tre possde15.
La definizione di ES sulla base dell'assenza dell'organizzazione sociale propria di IN, la valoriz-
zazione assiologica dei tratti che attestano una simile assenza, permettono gi, in questo testo, di co-
struire l'immagine di una navet naturelle infinitamente positiva, sinonimo ormai di felicit, di
benessere, di pace.
Una seconda classe, complementare alla prima, di enunciati esotici, definita invece dalla pre-
senza simultanea delle condizioni (I), (III), (IV). Membro esemplare di questa seconda classe, il
seguente passaggio del cappuccino Yves d'Evreux: [117]
[les guenons] s'entresuivent queue queue, la premire donnant la cadence au pas, en sorte que les suivantes
mettent les pieds et les mains o la premire a mis les siens. Elles font quelquefois une si grande procession
que l'on en a vu telle fois deux ou trois cents sauter les unes aprs les autres. Je ne veux pas dire davantage,
encore que ce serait la vrit, pour n'tonner point le lecteur. Je sais que je me suis trouv plusieurs fois dans
les bois esquels elles avaient coutume d'habiter plus souvent, et vous dirai, sans taxer le nombre, que j'en ai
vu une trs grande quantit faisant en la manire que je viens de dire. Chose qui est autant agrable qu'autre
que l'on puisse imaginer: car ces animaux se jetteront corps perdu d'arbre en arbre, de branche en branche,
comme pourrait faire un oiseau bien volant, et vont si vite que c'est tout ce que vous pouvez faire de jeter la
vue dessus16.
Come in un testo onirico, anche in quest'incantevole - e incantato - racconto esotico, la chiave di
lettura ci viene offerta da una denegazione: Je ne veux pas dire davantage [...] pour n'tonner point
le lecteur. In realt, lo stupore, la sorpresa del destinatario, precisamente l'obiettivo di senso in
vista del quale l'intero testo organizzato. Tutto, nella descrizione di Yves d'Evreux, sembra calco-
lato per meravigliare, per sorprendere. La denegazione centrale opera, in questo senso, una scansio-
ne ritmica altrettanto indispensabile che una cesura nella metrica di un verso. Essa separa, infatti,
68
una parte ancora propriamente descrittiva, e denotativa, da una sezione in cui la dimensione valora-
tiva, assiologica, acquista tutto il suo rilievo (chose qui est autant agrable qu'autre que l'on puisse
imaginer), al tempo stesso in cui lo spessore retorico del linguaggio cresce vertiginosamente - fino
al punto culminante dell'identificazione metaforica della scimmia, animale terrestre, a un oiseau
bien volant, che disloca tutta la scena in una zona d'indiscernibilit fra il cielo e la terra.
Una parola, meglio di ogni altra, pu esprimere la dimensione in cui il testo riportato s'installa:
merveilleux, merveille. Merveille: chose rare, extraordinaire, surprenante, qu'on peut gure voir ni
comprendre - glossa Furetire nel suo Dictionnaire universel. Cosa strana, dunque, e sorprendente,
che impossibile vedere e concepire... qui, bisognerebbe aggiungere, nello spazio interno delle so-
ciet europee; ma che perfettamente possibile, e anzi doveroso, incontrare e celebrare l, nello
spazio esterno delle terre d'oltreoceano. Il criterio del merveilleux, di ci che qui non pu essere vi-
sto, di ci che qui manca, il principio che ispira la [118] descrizione (e l'assiologia) di d'Evreux,
il fattore che attira il suo sguardo (e la sua ammirazione) verso l'insolito spettacolo di una moltitu-
dine di scimmie volanti. Il discorso si orienta come naturalmente, come necessariamente, verso ci
che qui manca, cosicch la superficie di ES viene percorsa, e valutata, in funzione delle lacune, o
dei limiti, della struttura di IN.
In generale, costruendo enunciati che obbediscono al criterio del merveilleux - nel quale or-
mai facile, credo, riconoscere le condizioni (I), (III), (IV) - che si poco a poco costruito il paesag-
gio esotico, quale ancor oggi noi l'intendiamo.
Un nuovo esempio di enunciati esotici di secondo tipo ci viene fornito da questo brano di Le
Jeune:
Ils sont grands, droits, forts, bien proportionns, agiles, rien d'effmin ne parat en eux. Ces petits damoi-
seaux qu'on voit ailleurs, ne sont que des hommes en peinture, comparaison de nos sauvages. J'ai quasi cru
autrefois que les images des empereurs romains reprsentaient plutt l'ide des peintres, que des hommes qui
eussent jamais t, tant leurs ttes sont grosses et puissantes; mais je vois ici sur les paules de ce peuple les
ttes de Jules Csar, de Pompe, d'Auguste, d'Othon, et des autres que j'ai vu en France tires sur le papier,
ou releves en des mdailles17.
Nell'aspetto fisico dei selvaggi, il tratto della bellezza, o della virilit, non viene selezionato che
per essere opposto alla natura effeminata degli europei - ces petits damoiseaux, des hommes en
peinture. in virt della sua assenza in IN, che la bellezza virile dei selvaggi viene rilevata e ma-
gnificata, questa stessa assenza che la rende, ad un tempo, pertinente ed esaltante. Tale assenza
non appare tuttavia, nel passo citato, come un non-luogo, un puro nulla; essa , al contrario, un ele-
mento iscritto nella struttura linguistica di IN, ma iscrittovi come un segno che non ha rispondenza
nel reale. un segno artistico (les images des empereurs romains) cui non si associa pi alcun re-
ferente, una rappresentazione il cui correlato ormai venuto meno. Il corpo dei selvaggi verr a
prendere il posto di questo correlato scomparso, saturer come un nuovo referente una funzione se-
gnica che aveva, da secoli, perduto il proprio. Ma il testo di Le Jeune interessante anche da un al-
tro punto di vista. Esso mostra come, per l'uomo del XVII secolo, la distanza nel tempo e la distanza
nello spazio tendessero a confondersi. In questo senso, si pu concepire il frammento in esame co-
me un processo di lavorazione [119] testuale il cui in-put costituito da quattro termini articolati in
due opposizioni (europei vs selvaggi; moderni vs antichi), e il cui out-put un'opposizione fra due
coppie di termini equivalenti
europei selvaggi
( __________
moderni
vs __________
antichi
.)
Nel lavoro del testo i quattro elementi, inizialmente disgiunti, si sono gradualmente avvicinati, fino
a sovrapporsi senza residui nell'ultima sequenza: sulle spalle dei selvaggi, il nostro gesuita vedr
ormai le teste possenti e fiere di Cesare, di Augusto, di Pompeo.
Come abbiamo detto commentando le condizioni d'esistenza dell'esotismo, la percezione (descri-
zione) esotica di ES presuppone un osservatore incluso in IN. Tuttavia, nel caso di enunciati come
quelli che abbiamo esaminato, ove il personaggio il cui punto di vista orienta la descrizione di ES
69
altri non che l'eroe mobile, evidente che la non-inclusione dell'osservatore nello spazio esterno
che descrive dovr essere riformulata come la sua estraneit allo spazio in cui, per altro, si trova in-
cluso. Per generalizzazione, diremo che l'eroe-tipo della relazione di viaggio secentesca definito
dalla sua estraneit allo spazio esterno che l'include, o ancora che egli non si avventura in ES senza
portare con s (sotto forma di giudizi, di criteri, di parole e di pensieri) il suo mondo di provenienza,
o infine che non penetra in ES se non come un frammento di IN, momentaneamente distaccatosi dal
proprio pianeta.
Non difficile dimostrare che il testo di Surin si costruisce combinando i due tipi di enunciati
che abbiamo descritto - alternando cio i due atteggiamenti discorsivi ammessi dal codice dell'esoti-
smo. Pi precisamente, la descrizione che Surin fornisce dell'illuminato - abitante dello spazio e-
sterno mistico - ricalca in tutti i loro schemi le innumerevoli desorizioni che i viaggiatori secente-
schi ci hanno lasciato dei selvaggi - abitanti di uno spazio esterno geografico ed etnologico. Si con-
sideri, ad esempio, il seguente passaggio:
(I a) J'ai trouv dans le coche, plac tout auprs de moi, un jeune garon ag de dix-huit dix-neuf ans,
simple et grossier extrmement en sa parole, sans lettres aucunes, ayant pass sa vie servir un prtre; (I b)
mais au reste rempli de toutes sortes de grces et dons intrieurs si relevs que je n'ai [120] jamais rien vu de
semblable. (II a) Il n'a jamais t instruit de personne que de Dieu en la vie spirituelle, (II b) et cependant il
m'en a parl avec tant de sublimit et solidit que tout ce que j'en ai lu ou entendu n'est rien en comparaison
de ce qu'il m'en a dit.
Il brano citato pu essere scomposto in due sequenze (I, II), graficamente separate dall'unico
punto presente nel testo. Ciascuna di queste sequenze pu essere a sua volta scomposta in due sotto-
sequenze (Ia, Ib; IIa, IIb), demarcate in entrambi i casi da una particella di valore avversativo (mais,
che separa Ia e Ib; cependant, che divide IIa da IIb). Ora, le quattro sottosequenze cos ottenute arti-
colano altrettanti enunciati appartenenti, alternativamente, alla prima e alla seconda classe di enun-
ciati esotici. Esaminiamo ad una ad una queste sottosequenze.
Ia caratterizza l'illuminato, da un lato come simple et grossier extrmement en sa parole, d'al-
tro lato come sans lettres aucunes. Essa lo definisce, in altri termini, a partire dall'assenza di due
tratti precisi, il sapere e la civilit. Ma questi tratti avevano valore canonico in un certo ambiente, a
cui Surin apparteneva, o meglio, da cui Surin proveniva, di intellettuali gesuiti. ES viene definito
cos sulla base dell'assenza dei tratti di IN, ossia in conformit con le condizioni (I) e (II) della no-
stra definizione dell'esotismo. Quanto alla condizione (IV), possiamo considerarla come a sua volta
soddisfatta, nella misura in cui la valorizzazione assiologica del personaggio dell'illuminato, esplici-
tata dagli enunciati che precedono e che seguono la sottosequenza Ia, si applica necessariamente a
questa sottosequenza come un tratto contestuale. Ia articola dunque un enunciato esotico di primo
tipo.
Ib ci presenta invece l'illuminato come rempli de toutes sortes de grces et dons intrieurs. Es-
sa individua, diremo, un tratto proprio di ES. Ora, questo tratto immediatamente qualificato come
mancante, o come impossibile in IN: abitante dello spazio interno, Surin n'[a] jamais rien vu de
semblable ai doni spirituali dell'illuminato. Ci si stupirebbe a torto del fatto che, subito dopo aver
enunciato una propriet di ES, Surin senta il bisogno, come per giustificare il suo atto, di precisare
che tale propriet assente nello spazio di IN. Egli pensa, e scrive, all'interno di una logica dell'eso-
tismo: solo l'assenza di una certa propriet nello spazio di IN pu motivare la sua selezione nello
[121] spazio di ES; ES non pu essere descritto, o costruito, che in funzione dei limiti e delle lacune
della struttura di IN. Diremo che la sottosequenza Ib soggiace alle condizioni (I) e (III) della nostra
definizione, nonch alla condizione (IV) - il tratto selezionato in ES essendo di per se stesso porta-
tore di un alto valore assiologico. Ib articola dunque un enunciato esotico di secondo tipo.
La sequenza I si costruisce, come abbiamo visto, combinando due enunciati appartenenti, rispet-
tivamente, alla prima e alla seconda classe di enunciati esotici. Essa costituisce, in quanto tale, un
modello completo di testo esotico, un micro-testo esotico, se si vuole.
IIa caratterizza nuovamente l'illuminato a partire dall'assenza di un tratto ben definito: l'istruzio-
ne in materia di spiritualit - se si eccettua, beninteso, l'istruzione ineffabile che egli riceve dal cie-
70
lo. Preciseremo la nostra affermazione dicendo che il tratto negato a ES l'istruzione religiosa co-
mune, umana e istituzionale, ossia la cultura religiosa ordinariamente impartita nello spazio di IN.
La sottosequenza IIa soddisfa, manifestamente, le condizioni (I) e (II) della nostra definizione. Che
ne della condizione (IV)? Se si osserva la costruzione sintattica della sottosequenza esaminata, si
pu facilmente notare che in essa, grazie ad un semplice artificio grammaticale (Il n'a jamais t
instruit de personne que de Dieu...), la designazione dell'illuminazione divina e la postulazione
dell'ignoranza umana si articolano senza soluzione di continuit. Ora, il valore connotativo di una
simile disposizione sintattica mi sembra inequivocabile: essa chiamata a connotare la reciproca
appartenenza delle entit semantiche a cui si applica, a evocare la loro profonda indissolubilit. A
tal punto, dunque, l'assenza del tratto di IN si trova qui valorizzata, che essa pu fare tutt'uno con la
categoria dell'illuminazione divina. Come si vede, anche la condizione (IV) pienamente soddisfat-
ta. Diremo perci che IIa articola un enunciato esotico di primo tipo.
Sia infine la sottosequenza IIb. Come in Ib, vi si trova enunciato un tratto positivo di ES - la su-
blimit et solidit delle parole dell'illuminato. E proprio come in Ib - e perfino secondo il medesi-
mo schema sintattico -, l'enunciazione del tratto di ES immediatamente seguita dalla dichiarazione
della sua assenza nello spazio di IN. I libri e i discorsi che circolano in questo [122] spazio - e che
ovviamente costituiscono, dato che IN il suo ambiente proprio, la biblioteca e la cultura di Surin -
sono tanto sprovvisti, infatti, del carattere solido e sublime delle parole del giovane, che basta
paragonarli ad esse perch addirittura si volatilizzino, perch cessino letteralmente di esistere. An-
cora una volta, il tratto assegnato a ES non viene considerato che in funzione della sua mancanza in
IN; ancora una volta, i limiti o le lacune di IN costituiscono il criterio, o l'unit di misura, dei tratti
selezionati in ES. IIb soddisfa dunque le condizioni (I) e (III), nonch - com' intuivamente evidente
alla lettura del testo pla condizione (IV). Essa articola, di conseguenza, un enunciato esotico di se-
condo tipo.
Come la sequenza I, anche la sequenza II mette in gioco due enunciati appartenenti alle due di-
verse classi, da noi definite, di enunciati esotici; come I, a titolo eguale e con eguale diritto, essa
pu essere considerata un modello completo di testo esotico. Quanto al brano che le contiene - e che
le struttura, a tutti i livelli, secondo la legge di un serrato parallelismo -, esso , in senso proprio, un
testo manierista. Un testo cio in cui le risorse del codice sono esplorate e sfruttate fino ai limiti del
possibile, ossia fino ai margini della transcodificazione. La zona del codice esotico esplorata dal
brano di Surin , evidentemente, la dualit dei percorsi ammessi dal sistema delle condizioni che lo
definiscono, la duplicit dei punti di vista discorsivi, o delle funzioni enunciative, che tale sistema
autorizza. Cos, laddove nell'esotismo classico delle relazioni di viaggio le funzioni enunciative si
succedevano a un ritmo piuttosto lento, laddove dunque gli enunciati dei due tipi si espandevano, o
proliferavano, dando luogo a serie compatte e superfici omogenee (il frammento, la pagina, talvolta
il capitolo) - nell'esotismo manierista di Surin si assiste a un'accelerazione quasi parossistica del
ritmo di variazione della funzione enunciativa, che contrae gli enunciati di diverso tipo sino a farli
rientrare, e scontrare, in seno a una stessa proposizione. Operando un'accelerazione frenetica del te-
sto esotico classico, imponendo una velocit infinitamente pi alta alla declinazione dei suoi ele-
menti, Surin porta all'estremo limite delle sue capacit il codice dell'esotismo, ossia ne esalta le ca-
pacit, al tempo stesso in cui ne esplora e ne misura i limiti. [123]
Gli esempi di enunciati esotici contenuti nel testo di Surin si potrebbero moltiplicare. Fra i tanti
possibili, citiamo i due che seguono.
Quando Surin racconta: Comme je le pressais de me dire si quelqu'un ne l'avait point enseign,
il me dit que non [...], egli dipinge nuovamente l'illuminato come estraneo a ogni forma di cultura,
caratterizza ES, dunque, a partire dall'assenza di un tratto canonico di IN. Poich d'altra parte la va-
lorizzazione assiologica dell'illuminato, esplicitata dalle sequenze che precedono e seguono il
frammento citato, si applica necessariamente a quest'ultimo come un tratto contestuale, diremo che
esso soddisfa le condizioni (I), (II) e (IV) del nostro schema, ovvero che costituisce un enunciato
esotico di primo tipo.
71
Un altro esempio di enunciazione esotica ci viene offerto dalla sequenza iniziale, gi preceden-
temente riportata. Se si osserva come Surin vi rappresenta il personaggio dell'illuminato, si noter
che egli lo definisce unicamente in funzione dello spazio interno, o pi esattamente in funzione del-
la sua inconcepibilit in questo spazio: si tratta di uno spirito infinitamente raro, ci dice Surin, e i
segreti che da lui si apprendono sono merveilleux - ossia, ancora una volta, sorprendenti, straor-
dinari, assenti dal mondo ordinario. Vi di pi. Pura esteriorit rispetto a IN, presenza che non ha
altro essere se non quello della sua propria assenza in un altrove, l'illuminato appare a Surin, uomo
dell'interno, come dotato di un altissimo, inestimabile valore - egli , lo sappiamo, un bien que je
ne saurais assez priser. ES non esiste che come proiezione di ci che in IN manca, e questa proie-
zione, il cui ES si riduce, oggetto della pi intensa valorizzazione assiologica. Manifestamente, le
condizioni (I), (III) e (IV) del nostro schema sono pienamente rispettate; manifestamente, all'interno
della sequenza iniziale si elabora un enunciato esotico di secondo tipo.
Supporr che mi si accordi, a questo punto, che la descrizione che Surin fornisce dell'illuminato -
e dunque dello spazio mistico a cui l'illuminato s'identifica - avviene secondo gli schemi enunciativi
propri del codice dell'esotismo. Diremo che, nella lettera esaminata, lo spazio mistico si configura
come uno spazio esotico, o ancora che il primo modello di spazio mistico elaborato da Surin quel-
lo di uno spazio esterno costruito secondo i canoni [124] dell'esotismo dell'epoca. Da questa defini-
zione si possono dedurre diversi corollari. Ecco quelli che mi sembrano essere i pi rilevanti.
(a) Lo spazio mistico non si presenta ancora come dotato di un'organizzazione specifica, ma co-
me semplice proiezione, e pura dipendenza, dell'organizzazione che caratterizza lo spazio profano.
(b) Surin pu ben accelerare vertiginosamente il ritmo di variazione della funzione enunciativa,
pu ben alternare freneticamente i due punti di vista ammessi dal codice esotico, egli non perviene
tuttavia a fornire una descrizione soddisfacente dello spazio esterno, a presentare cio il mondo mi-
stico come dotato di un'organizzazione specifica. Per far questo, sarebbe stato necessario trovare un
nuovo punto di vista, uscire dunque dal codice dell'esotismo, e non limitarsi a sfruttare manieristi-
camente le sue risorse.
(c) Come ogni descrizione dello spazio esterno che si fondi sui due punti di vista fissati dal codi-
ce esotico, la descrizione che Surin fornisce del mondo mistico presuppone un osservatore incluso
nello spazio interno (nel mondo profano).
(d) Poich tuttavia, come accadeva nelle relazioni di viaggio, il personaggio che orienta la de-
scrizione di ES (ossia il depositario dei due punti di vista esotici) s'identifica qui al personaggio nar-
ratore, e quest'ultimo all'eroe mobile, la non-inclusione dell'osservatore nello spazio esterno che de-
scrive dovr essere riformulata come la sua estraneit allo spazio stesso in cui si trova incluso. Di-
remo allora che la prima incursione di Surin nello spazio esterno - nel mondo mistico - non stata
coronata dalla sua assimilazione a questo spazio, dalla sua integrazione in questo mondo: prigionie-
ro dell'esotismo e dei suoi schemi, egli non ha potuto compiere che un viaggio di ricognizione, un
viaggio non iniziatico.
72
Cerchiamo, anzitutto, di ricostruire i due modelli messi a punto nello stato testuale t1. Il primo di
essi facilmente percettibile in questa sequenza: Je suis encore depuis quelque temps en un lieu
comme champtre, loign de toutes les faons mondaines et de tout ce qui est poli dans la vie hu-
maine [...]. La prima caratteristica che il narratore attribuisce al sito in cui si trova quella di esse-
re comme champtre. chiaro che il lessema champtre non dev'essere inteso qui in un senso
meramente denotativo, e quindi prettamente geografico, ma al contrario in un senso connotativo,
per la precisione etico-sociale. Questo valore connotativo del resto esplicitato subito dopo, allor-
ch ci vien detto che il sito in questione infinitamente lontano da ogni forma di mondanit e di
buona creanza (politesse). La sequenza citata introduce dunque uno spazio che essa definisce in
funzione della sua esteriorit a un particolare universo chiuso: il codice della civilit. Diremo che
essa elabora un modello spaziale tale che 1N1vsES1 = civilit vs non-civilit. Proprio perch tale
modello si articola a livello connotativo, e mette in gioco soltanto categorie etico-sociali, lo spazio
esterno da esso definito non dev'essere confuso con il sito geografico in cui il narratore risiede.
vero soltanto che questo sito, rappresentato dal testo, costituisce il quadro, o il supporto, a partire da
cui il testo elabora un tipo di spazio propriamente ideologico - ossia, come abbiamo visto, il model-
lo . [126]
Il est vrai pourtant que, dans ce lieu, se trouvent de grands trsors de grces et il semble que la providence
divine m'y a conduit pour en mme temps perdre la vue des grandeurs du monde et entrer en connaissance
des grandeurs de Dieu, lesquelles je ne trouve pas en moi mais en des personnes que sa Majest a merveil-
leusement enrichies de ses dons et en qui je puis voir, comme travers des fentres, la lumire de l'autre vie.
Surin introduce qui, evocandoli con l'espressione metaforica de grands trsors de grces, due
nuovi attori19, due personaggi fissi - o meglio un insieme ancora indeterminato di personaggi fissi,
che nelle sequenze immediatamente successive egli analizzer come una coppia. Per comodit,
chiameremo p' e p" questi nuovi attori, mentre riserveremo il simbolo pn all'eroe mobile - al perso-
naggio narratore. Come ogni elemento, nel testo esaminato, anche p' e p" vengono subito iscritti in
un sistema di relazioni spaziali. Tale sistema diverge profondamente, tuttavia, dal modello IX pre-
cedentemente definito. p' e p", ci dice Surin, sono come finestre attraverso cui si pu vedere la lu-
mire de l'autre vie. Il semplice fatto che dei personaggi siano associati, spazialmente, alla figura
della finestra, presuppone l'esistenza di una parete-frontiera all'interno della quale essi possano gio-
care un ruolo di (relativa) apertura. Ora, ci che si pu vedere al di l della finestra - la lumire de
l'autre vie - non lascia dubbi sull'identit di questa parete-frontiera: si tratta della linea di separa-
zione fra questa e quella vita, fra il mondo terreno e il mondo celeste. Lo spazio chiuso circondato
(limitato) dalla parete-frontiera si oppone dunque allo spazio illimitato che si estende fuori di essa,
come il mondo finito dell'essere umano si oppone all'infinit dell'essere divino, come la terra limita-
ta e delimitata si oppone al libero cielo. Diremo che la sequenza citata articola un modello spaziale
tale che IN2vsES2 = QSvsQL20. Quanto a p' e p", essi s'iscrivono alla frontiera dei due spazi, dei
due mondi, s'iscrivono cio come punti di questa frontiera. Non come punti qualsiasi, tuttavia, ma
come punti privilegiati che assicurano la comunicazione fra QS e QL. Essi sono i punti-finestra in
cui QL si lascia percepire da QS, o attraverso cui lascia filtrare in QS la sua luce. Ma attenzione: il
fatto che p' e p" assicurino questa funzione di comunicazione fra i due mondi, non modifica mini-
[127]mamente la loro qualit di punti di frontiera (essi fanno parte della linea di frontiera, come del-
le finestre fanno parte della parete su cui si aprono). Ora, come osserva Lotman, la frontiera appar-
tiene sempre e soltanto a un unico spazio - l'interno o l'esterno - e mai a entrambi nello stesso tem-
po21. In quanto punti di frontiera, p' e p" non possono dunque appartenere che a QS o a QL, al
mondo terreno o al mondo divino. Essi apparterranno, naturalmente, al mondo divino, uniti come
sono a quella Majest che li ha merveilleusement enrichis de ses dons, essi stessi non essendo,
del resto, che puri trsors de grces. Bench abbiano una faccia rivolta verso l'interno e una fac-
cia rivolta verso l'esterno, i personaggi-finestra definiti da Surin non appartengono quindi che a
questo secondo spazio, sono puri elementi di QL.
A questa descrizione del modello , si potrebbe forse obiettare che essa trascura il dato spaziale
pi evidente fornito dalla sequenza considerata, ossia il fatto che p' e p" si trovano dans ce lieu,
73
nel sito cio ove il narratore risiede, referenzialmente identificabile con la piccola citt di Marennes.
Senza dubbio. Ma trascurare un dato pur cos evidente, e cos immediato, significa distinguere lo
spazio ideologico costruito dalla lettera e lo spazio geografico che essa non fa che rappresentare,
significa rifiutarsi di confondere la trama di relazioni spaziali che ne costituisce la nervatura ideolo-
gica con lo spazio geografico, fisico, che forma unicamente il suo decoro drammatico. Ancora una
volta, vero soltanto che questo decoro pu, in certi momenti del testo, costituire il supporto dello
spazio ideologico (cosa che, ad esempio, avveniva nella prima sequenza esaminata e non avviene
nella seconda), ma non vero, e non lo in nessun momento del testo, che i due spazi siano riduci-
bili l'uno all'altro.
Parti di ES2, e iscritti nel modello , p' e p" sono ancora elementi di ES1, iscritti nel modello .
Ma non in virt delle stesse propriet che essi fanno parte dei due spazi, s'iscrivono nei due mo-
delli. Ascoltiamo come Surin descrive uno dei due personaggi (p', diremo) su cui la sua attenzione
sembra concentrarsi22: Il est vrai que cette me ne sait que ce que l'onction du Saint Esprit lui en-
seigne. Car elle est extrieurement fort mprisable selon le monde, pauvre, de condition servile,
simple, contrefaite en son corps [...]. [128]
La descrizione che precede, non soltanto autorizza l'iscrizione di p' - e, per estensione, della cop-
pia di personaggi di cui esso il membro-campione - nello spazio esterno del modello , ma inoltre
ci permette di definire questo spazio sulla base di una nuova gamma di tratti. Non soltanto, p' si pre-
senta come simple - lessema che, nell'idioletto di Surin, strettamente equivalente a grossier e
significa / estraneo al codice della civilit / 23 -, ma ancora come mprisable selon le monde, de
condition servile, ignorante, povero e fisicamente deforme. Lo spazio di cui p' fa parte, potr esse-
re dunque definito come esteriorit ai mondi chiusi del sapere, dell'onore, della bellezza, della ric-
chezza, del potere - oltre che, beninteso, a quello della civilit. Generalizzando, si potrebbe dire al-
lora che ES, rappresenta tutto ci che si situa al di fuori dell'alta o della buona societ (per quanto
riguarda il tratto della bruttezza, apparentemente irriducibile a questa generalizzazione, baster ri-
cordare che le aristocrazie occidentali hanno sempre fissato i loro limiti meno in funzione di un'eti-
ca, che di un'estetica di s, ossia di una cortesia - di una civilit - in cui l'aspetto morale e l'aspetto
fisico non apparivano disgiunti). Una tal formulazione risulta ancora, tuttavia, abbastanza insoddi-
sfacente. Perch non tanto in opposizione a una certa zona del corpo sociale che Surin sembra vo-
ler definire p', quanto in opposizione alla Societ stessa, se per Societ intendiamo qui la particolare
immagine (beninteso di valore paradigmatico) che una determinata societ secerne di se medesima,
o piuttosto che un'aristocrazia secerne della societ a cui s'identifica. Diremo perci che, attribuendo
a p' i tratti che abbiamo riscontrato, Surin rivendica, ovvero seleziona e valorizza, precisamente in
funzione della loro extra-sistematicit, gli elementi extra-sistematici del corpo sociale - quegli ele-
menti cio che non trovano posto nell'immagine paradigmatica che una certa societ elabora di se
stessa24.
Riassumendo: (a) esiste uno stato testuale t1 - manifestato, fra le altre, dalle tre sequenze finora
esaminate - in cui la lettera a d'Attichy fa funzionare simultaneamente due modelli spaziali netta-
mente distinti, il modello e il modello ; (b) il modello tale che IN1vsES1, = Societ vs non-
Societ; (c) il modello tale che IN2vsES2 = QSvsQL; (d) i due personaggi fissi p' e p" [129] su-
biscono una duplice iscrizione spaziale in quanto sono, ad un tempo, parti di ES, e di ES2; (e) non
in virt delle stesse propriet che p' e p" s'iscrivono nel modello e nel modello ; (f) essi appar-
tengono a ES, in quanto hanno le propriet esplicitate dalla terza sequenza esaminata; (g) essi ap-
partengono a ES2 in quanto hanno le propriet esplicitate dalla seconda sequenza esaminata. (No-
tiamo, fra parentesi, che la proposizione (a) verifica la nostra ipotesi (I)).
Quanto abbiamo detto finora, riguarda la struttura del sistema spaziale messo in gioco dal testo
nel suo stato t1. Vogliamo adesso determinare la posizione dell'eroe mobile (di pn) rispetto alla strut-
tura che abbiamo individuato. Sia, in primo luogo, la posizione di pn rispetto al modello :
Je crois que vous n'tes plus en humeur d'crire des lettres gentilles et lgantes. Et pour moi, je vous con-
fesserai franchement que mes gots sont extrmement changs depuis quelque temps, et plt Dieu qu'il en
fut ainsi de ma vie.
74
L'allusione alle lettere gentilles et lgantes, un tempo scritte da Surin, non permette di nutrire
dubbi sulla sua provenienza: egli giunge da un mondo impregnato di quella politesse o civilit che
costituisce uno degli aspetti fondamentali dello spazio interno nel modello . Per generalizzazione,
diremo che IN, costituisce il mondo di provenienza di pn. Ora, in rapporto a un simile mondo di
provenienza, la situazione attuale di pn - ovvero la situazione definita da t1 - appare assai ambigua.
Da un lato, infatti, la confessione, da parte di Surin, del radicale changement de gots sopravvenuto
in lui depuis quelque temps, certifica che egli ha definitivamente ripudiato il suo ambiente primi-
tivo. Ma, d'altro lato, l'auspicio conclusivo mostra perfettamente che il changement de vie, ardente-
mente desiderato, non ha ancora fatto seguito al changement de gots, che l'invoca e lo richiede.
Quest'ambiguit, ostinatamente e 'volontariamente' intrattenuta dal testo, pu senz'altro essere tra-
dotta, spazialmente, in una posizione d'intervallo o d'intermezzo. Diremo allora che pn occupa, in t1,
una posizione intermedia fra IN1 e ES1: gi uscito dal mondo chiuso della civilit - e, per estensione,
della Societ -, egli non ha ancora raggiunto lo spazio aperto della pura esteriorit a tutti i [130] va-
lori sociali. Essere di transizione - e in transizione - pn s'insedia nell'intervallo che separa i due
mondi.
Questa posizione intermedia del resto ribadita poche righe pi avanti, allorch Surin ci dice che
la sua presenza a Marennes aide fort [s]on me entrer dans cette navet et sincrit avec laquel-
le nous devons approcher de Dieu [...]. Egli dunque sul punto di entrare in ES1 - chiaramente e-
vocato dai tratti della sincrit e della navet -, ma, precisamente, non vi ancora entrato. Tanto
poco, anzi, il passaggio in ES1 pu considerarsi compiuto, che subito dopo, quasi ad attenuare l'eu-
foria delle parole precedenti, Surin aggiunge: [...] combien que de tout cela j'en use fort mal. Di
nuovo, quindi, pn ci appare in movimento verso ES1 e di nuovo il suo movimento resta come sospe-
so, di nuovo la fine del viaggio rinviata.
A quanto precede, mi sembra doveroso aggiungere le due seguenti osservazioni:
(i) La particolare posizione occupata da pn nel modello costituisce un'ulteriore prova della di-
sgiunzione esistente fra lo spazio ideologico costruito dal testo e lo spazio geografico rappresentato
in esso. Sappiamo infatti che il sito in cui pn risiede costituisce il supporto a partire dal quale si arti-
cola la definizione dell'universo ideologico ES1. Ma quest'ultimo si lascia tanto poco ridurre al sito
geografico che pure fornisce il supporto indispensabile alla sua delimitazione, che mentre pn, nello
stato testuale t1, si trova incluso in quel sito, esso si colloca, nel medesimo stato testuale, al di fuori
di ES1 - poich, come abbiamo visto, soltanto sul punto di entrarvi.
(ii) Nella misura in cui ES1 costituisce uno spazio puramente ideologico, evidente che !'inclu-
sione in esso varr necessariamente come adesione o appartenenza ad esso. Nel modello - ma
questa regola pu essere estesa a tutto il sistema spaziale della lettera a d'Attichy -, non vi pu esse-
re dunque disgiunzione alcuna fra le due categorie: inclusione vs non-inclusione, appartenenza vs
estraneit (come si ricorder, questa disgiunzione sussisteva invece nella lettera del 1630, dov'era
legittimata da una certa promiscuit dei livelli geografico e ideologico)25.
Veniamo adesso alla posizione che l'eroe mobile occupa, nello stato t1 del testo, rispetto al mo-
dello spaziale . Tale posizione risulta immediatamente evidente alla lettura della sequenza stessa
[131] che ci ha permesso di definire il modello : l'eroe che non pu vedere la luce dell'altra vita se
non attraverso la finestra-frontiera, si colloca manifestamente nello spazio interno, sul versante op-
posto della frontiera rispetto a quella stessa luce divina. E tuttavia, bench Surin si trovi ancora sal-
damente ancorato a QS, qualcosa di lui - qualcosa d'impalpabile certo, ma non per questo di meno
reale - filtra gi verso lo spazio esterno e straniero, la linea incandescente del suo sguardo. QL for-
se meno lontano, per il narratore-eroe, di quanto egli stesso non ce lo lasci credere. Forse senza an-
cora saperlo, e soprattutto senza mai rivelarlo, egli viaggia verso il mondo dell'Altro alla velocit
della luce. Un ulteriore rilievo, sempre a proposito della stessa sequenza, pu consolidare quest'ul-
tima ipotesi. Surin ci dice che la provvidenza divina sembra averlo condotto a Marennes pour en
mme temps perdre la vue des grandeurs du monde et entrer en connaissance des grandeurs de
Dieu. Mettiamo fra parentesi, ancora una volta, la collocazione geografica di questa scena, e cer-
chiamo piuttosto di orientarla secondo le coordinate dello spazio ideologico. Bench ancora situato
75
in QS, Surin perde gi di vista le sue grandezze (les grandeurs du monde), ed entra in conoscenza
degli oggetti di QL (les grandeurs de Dieu). Tutto si gioca, nuovamente, a livello dello sguardo:
l'evidente simmetria dei due movimenti in cui lo sguardo di Surin preso (simmetria sottolineata,
nel testo, dalla figura dell'antitesi), quel suo progressivo allontanamento da QS che non , in ultima
analisi, che un avvicinamento a QL - tutto ci non pu non suggerire l'immagine di un viaggio in
atto, di un percorso che si sta gi compiendo. Viaggio immobile, certo, viaggio sul posto in cui nul-
la si muove se non il fuoco dello sguardo - ma non questa la miglior definizione del viaggio del
contemplativo, del viaggio mistico? Diremo, in conclusione, che nello stato t1 del testo, a livello del
modello spaziale , il personaggio narratore in viaggio fra QS e QL, o ancora che occupa una po-
sizione intermedia fra questa e quella vita.
Abbiamo isolato i due modelli spaziali messi in opera dalla lettma di Surin nello stato testuale h
e abbiamo determinato la posizione del personaggio narratore in rapporto a ciascuno di essi. Vo-
gliamo adesso sapere se, come postulato nell'ipotesi (II), esiste [132] uno stato t2 del testo in cui tali
modelli si ricoprono e si congiungono. Consideriamo, a questo fine, il seguente passaggio:
(1) C'est ce que je n'eusse jamais pens et que je n'ai jamais bien connu: en quelle mendicit Dieu nous
veut rduire et en quel dsert il nous veut mener pour atteindre la puret de sa grce. Afin que l'me ne
sente rien de cette vie ni de ses propres oprations, ni se sente elle-mme, il faut qu'elle vive en une obis-
sance qui lui renverse tous ses mouvements, bons, indiffrents et mauvais, en une puret qui ne la laisse d-
lecter en rien de cr; et qu'ainsi devenue toute sauvage dans ce dsert, elle se puisse apprivoiser Dieu et
revenir en sa simplicit originelle, ayant pris nouvelle naissance; elle soit mconnaissable soi et autrui,
n'ayant plus de vie ni de mouvements que pour adorer et servir un homme qui, tant Dieu, est en ses faons
de faire hai: de tous les autres hommes, lesquels se prosternent la vrit devant lui, mais refusent ses con-
seils et tiennent sa vie et sa doctrine une pure folie, fuyant extrmement de faire comme lui et de marcher
aprs lui.
(2) C'est o je trouve que Dieu nous a taill de la besogne, nous enjoignant l'imitation de son Fils et de
vivre rebours du monde, choquant tous les hommes avec lesquels nous vivons par des murs, sentiments et
maximes contraires aux leurs, tant rejets par eux, traits comme fols et extravagants, afin que par cette ad-
version de toutes cratures et dlaissement universel de tout soulas, nous soyons ncessits de nous rfugier
lui et trouver en sa familiarit notre consolation et notre appui en sa conduite, portant un cur abstrait, soli-
taire, tranger, incapable de s'accommoder et faonner aux usages de ce pays que nous tenons pour un exil.
Nella parte iniziale della sequenza (1), il testo si muove nell'orizzonte dell'opposizione QSvsQL.
Surin descrive qui (e prescrive) la volatilizzazione di ogni oggetto di QS come una condizione ne-
cessaria dell'accesso a QL. Per raggiungere la purezza della grazia divina, l'anima dovr dunque in-
stallarsi nella completa assenza degli oggetti del mondo (metaforicamente evocata dalla parola d-
sert), non dovr pi compiacersi in alcuna cosa creata, non dovr nemmeno pi percepire la realt
della vita terrena. Nella fascia centrale di (1), tuttavia, il deserto in cui QS si dilegua viene ridefi-
nito come il luogo di un divenir sauvage dell'anima umana, mentre l'accesso a QL s'identifica a un
ritorno dello spirito en sa simplicit originelle. Il dileguarsi di QS si confonde cos con l'esteriori-
t a IN, (mondo civile e sociale), e l'accesso a QL fa tutt'uno con la penetrazione in ES, (universo
della simplicit e della navet, esteriorit assoluta ai valori sociali [133] della civilit). Ma non
tutto. Nella parte finale della stessa sequenza, la natura divina del Cristo (la sua appartenenza a QL)
si converte insensibilmente nella sua estraneit alle faons de faire degli uomini, nella sua este-
riorit, cio, ai codici comportamentali di IN, - esteriorit cos irriducibile, per altro, da non potersi
manifestare in IN, che sotto le specie dell'assoluta follia. Come si vede, la divinit e la non-Societ
(il mondo selvaggio), la vita terrena e il codice sociale, s'intrecciano in un continuo gioco di scambi
che non pu, alla lunga, che cancellare la loro primitiva distinzione.
Nella sequenza (2), il gioco di trasformazioni inaugurato dalla sequenza (1) si accelera conside-
revolmente. Praticare l'imitazione di Cristo, ossia vivere secondo le leggi di QL, significa apparire
agli uomini fols et extravagants, significa cio adottare costumi e massime antisociali. Abbiamo
dunque una prima trasformazione QL ES1. Ma vivere secondo principi antisociali, significa po-
tersi, e anzi doversi rifugiare in Dio, significa entrare nella sua familiarit e trovarvi il nostro
unico sostegno. Abbiamo perci una seconda trasformazione ES1 QL, che ci riporta circolarmen-
76
te allo stato di partenza. Infine, entrare nella familiarit di Dio significa divenire ancor pi radical-
mente, aneor pi irriducibilmente estranei aux usages de ce pays. Ora, la presenza del sostantivo
pays, e ancor pi quella del termine usages, indicano chiaramente che lo spazio a cui il soggetto
divenuto completamente estraneo, ben un insieme di usi e di costumi, un sistema di norme e con-
venzioni, in breve un codice sociale. Ma, d'altra parte, il ricorso al dimostrativo ce, in un contesto di
un'assoluta generalit, non pu che identificare il paese cui il soggetto ha cessato di appartenere
al mondo umano stesso, all'universo medesimo della vita terrena. Abbiamo allora una duplice tra-
sformazione che, in un primo momento, converte l'appartenenza a QL nell'estraneit a IN1 e, in un
secondo momento, riconverte quest'estraneit nella non-appartenenza a QS. In altri termini: QL
non-IN1 non-QS. ( quasi superfluo precisare che i due momenti della trasformazione sono ele-
menti di un tempo logico profondo, e non del tempo discorsivo di superficie - nel quale, al contra-
rio, essi si avvicinano fino a sovrapporsi).
Il ciclo di trasformazioni realizzato dalle sequenze (1) e (2) attesta inequivocabilmente l'esistenza
di uno stato t2 del testo in [134] cui i modelli e si contaminano fino a confondersi - e d confer-
ma in tal modo alla nostra ipotesi (II). In questo stato, QS (IN2) non si distingue pi da IN1 n
QL(ES2) da ES1. I quattro termini articolati, nello stato testuale t1, in due opposizioni spaziali ben
distinte, si sono avvicinati fino a ricoprirsi, cosicch non si ha pi, nello stato t2, che una sola oppo-
sizione spaziale, nel cui spazio interno IN3 si sommano IN1 e IN2, e nel cui spazio esterno ES3 si
raggiungono ES1 e ES2. Chiameremo modello il modello spaziale avente IN3 come spazio interno
e ES3 come spazio esterno. Quanto allo spazio mistico, esso non altro che il luogo, definito dalle
sequenze (1) e (2), in cui l'estraneit al codice sociale vale per la non-appartenenza al mondo terre-
no, e in cui reciprocamente l'imitazione di Cristo (l'iscrizione nel mondo divino) si manifesta come
un'assoluta estraneit ai principi del codice sociale. Diremo allora (confermando la nostra ipotesi
(III) che nella lettera a d'Attichy il mondo mistico s'identifica allo spazio esterno ES3 del modello ,
o ancora, indifferentemente, che esso si situa sulla linea di convergenza di ES1 e ES2, al punto d'in-
contro fra l'appartenenza al mondo divino e l'estraneit al codice sociale.
Quanto abbiamo detto riguarda la forma assunta, nello stato t2, dal sistema spaziale del testo.
Cerchiamo adesso di determinare quale sia, nel sistema dotato di questa forma, la posizione occupa-
ta dal personaggio narratore.
Nella sequenza (1), al momento di specificare le modalit del passaggio da IN3 (IN1 + IN2) a ES3
(ES1 + ES3), Surin precisa: C'est ce que je n'eusse jamais pens et que je n'ai jamais bien connu
[...]. Egli nega cos che il passaggio di cui tratta gli sia sperimentalmente noto, nega cio di averlo
egli stesso compiuto e dunque, per ci stesso, di appartenere a ES3. Tuttavia, subito dopo questa
(de)negazione, Surin designa con un nous - ossia con un pronome che l'include - il soggetto del pas-
saggio che descrive. pur vero, d'altra parte, che tale passaggio si presenta, in (1), come una pura
virtualit, come un progetto iscritto nella volont divina. Diremo che nous il destinatario di una
prescrizione che gl'impone di appartenere a ES3, ma che questa prescrizione non stata ancora rea-
lizzata. Nous appartiene dunque a ES3, ma non gli appartiene che virtualmente, a livello di un sem-
plice poter essere, a livello di un puro dover essere. [135]
Nella sequenza (2), nous ancora una volta destinatario dell'ingiunzione divina che gli prescrive
di aderire a ES3, ma, una volta ancora, tale ingiunzione resta come sospesa. O meglio, essa rimane
sospesa fino alle ultime parole della sequenza, ove quasi segretamente, quasi clandestinamente,
nous va ad occupare il posto che il discorso (il comando) divino gli aveva, gi da sempre, destinato.
Questa realizzazione del comando divino distintamente percettibile, se si osserva la successione
dei verbi di (2). Dal participio choquant all'infinito faonner, tutti i verbi messi in gioco dal testo
introducono, o definiscono, delle circostanze implicate, pi o meno direttamente, ma sempre vir-
tualmente, dall'ingiunzione divina di vivre rebours du monde. I verbi suddetti, nonch l'infinito
vivre, s'iscrivono dunque - e v'iscrivono l'area testuale di cui costituiscono le articolazioni - nello
spazio semantico aperto dal gruppo verbale nous enjoignant, ovvero perpetuano - sulla superficie
dell'area che delimitano - la dipendenza del contenuto del testo dall'istanza dell'ingiunzione divina.
Rispetto agli schemi di questa dipendenza, la sottosequenza finale interviene come una deviazione
77
improvvisa. Tale brusca deviazione, tale microscopica catastrofe, si manifesta, in primo luogo, sotto
le specie di una certa sfasatura sintattica. Per rispettare fino in fondo la sintassi del periodo, Surin
avrebbe dovuto scrivere, infatti, ce pays que nous devons o que nous sommes appels tenir pour
un exil. Egli opta invece per una tutt'altra soluzione, e introduce un indicativo presente (que
nous tenons...), sintatticamente assai inatteso. evidente, tuttavia, che ci che ci appare, alla lettu-
ra del testo, come una lieve incongruenza sintattica non , in realt, che una repentina mutazione di
senso - nella misura in cui nulla sembra poter fissare qui la norma sintattica, se non il criterio stesso
dell'omogeneit semantica. In che cosa consiste dunque questo scarto all'omogeneit del senso che -
a riprova del fatto che ogni lingua , anzitutto, un sistema di pensiero - non manca di manifestarsi,
alla nostra sensibilit linguistica, come un piccolo sfregio alle strutture della sintassi? Essenzial-
mente, direi, in un passaggio non segnalato, in un passaggio quasi furtivo, dal livello della pura vir-
tualit al livello della piena attualit. Introducendo l'indicativo presente tenons, Surin non definisce
pi, infatti, una virtualit implicata dal comando divino, ma uno stato di cose attuale corrispondente
alla realizza-[136]zione di questo stesso comando. In altri termini: se i vari verbi dipendenti da nous
enjoignant manifestano un dover essere del soggetto - ossia manifestano come un dover essere la
sua appartenenza a ES3 -, il verbo finale manifesta l'essere reale o attuale del soggetto - ossia mani-
festa la sua appartenenza a ES3 (la sua estraneit a IN3) come uno stato di cose presente, come un
fatto compiuto. In quanto soggetto dell'indicativo tenons, nous ormai passato sull'altro versante
della frontiera, ha compiuto il gran salto, seguendo il percorso annunciato dalla voce divina.
(De)negata all'inizio della prima sequenza, l'appartenenza del personaggio narratore a ES3 si poco
a poco avvicinata alla superficie del testo, per aprirsi infine un varco nella sfasatura che caratterizza
la parte conclusiva della seconda sequenza. Appena mascherato sotto le spoglie del generico nous, il
soggetto Surin fa irruzione cos nello spazio esterno del testo, fa irruzione cio nel mondo mistico
definito dal testo. Per questo soggetto non pi umano, per quest'uomo che gi un dio, che altro po-
trebbero essere la vita terrena e sociale, il mondo umano e civile, se non un crudele, intollerabile e-
silio?
L'analisi che abbiamo condotto del sistema spaziale costruito dalla lettera a d'Attichy, pu essere
riassunta in due serie di proposizioni, la prima delle quali riguarda la struttura dello spazio testuale,
e la seconda la posizione dell'eroe mobile (pn) rispetto a questa struttura.
La prima serie comprende le proposizioni (a) - (g) precedentemente formulate, nonch le tre pro-
posizioni che seguono: (h) esiste uno stato t2 del testo in cui i due modelli spaziali e si contami-
nano fino a confondersi; (i) in questo stato si disegna un modello spaziale : IN3vsES3, ove IN3 =
IN1 + IN2 e ES3 = ES1 + ES2; (l) lo spazio mistico s'identifica a ES3, nasce cio dalla riunione di ESl
e di ES2.
La seconda serie comprende le proposizioni seguenti: (a') in ogni stato del testo, l'inclusione e
l'esclusione rispetto a un certo spazio equivalgono, rispettivamente, all'appartenenza e all'estraneit
a questo medesimo spazio; (b') dato il modello nello stato testuale t1, pn si trova in movimento da
IN1 verso ES1, e la sua posizione tale che, gi escluso da IN1, non ancora incluso in ES1 (c') dato
il modello nello stato testuale t1, pn si trova in movimento da IN2 verso ES2, e la sua posizione,
bench difficil-[137]mente determinabile con esattezza, tale che, in ogni caso, esso non ancora
completamente incluso in ES2; (d') dato il modello nello stato testuale t2, pn compie un movimento
che lo trasporta da IN3 a ES3, la sua posizione finale essendo di completa inclusione in quest'ultimo
spazio. (Notiamo, per inciso, che la proposizione (d') verifica la nostra ipotesi (IV).)
Come si situa, in rapporto al codice dell'esotismo, il sistema spaziale definito dalle proposizioni
(a)-(1) e (a')-(d')?
Non c' dubbio, mi sembra, che nello stato t1 del testo gli ES dei modelli e si conformino, es-
senzialmente, ai tradizionali canoni dell'esotismo. Ci particolarmente evidente nel caso di ES1,
che viene dettagliatamente e ripetutamente descritto sulla base dell'assenza dei tratti marcati in IN1
(civilit, sapere, ricchezza, ecc.). Si dir che ES1 corrisponde al primo punto di vista riconosciuto
dal codice esotico, o ancora, indifferentemente, che esso viene costruito con enunciati esotici di
primo tipo. Ma anche ES2 - bench la sua caratterizzazione, nel testo, sia minima - si lascia ricon-
78
durre al registro percettivo (e descrittivo) dell'esotismo. p' e p" sono infatti presentati come mer-
veilleusement enrichis dai doni divini. Lo stato di gratificazione interiore che li caratterizza, viene
dunque ricondotto alla dimensione del merveilleux, viene qualificato cio come raro e straordinario:
i tratti di ES2 - o dei suoi elementi - sono rilevati e apprezzati in funzione della loro assenza in IN2.
Si dir che ES2 corrisponde al secondo punto di vista, o alla seconda funzione enunciativa, ammessa
dal codice dell'esotismo.
Nello stato testuale t2, lo spazio esterno si configura come somma, o riunione, degli ES prece-
denti. Non si avr dunque, in questo stato, alcuna trasformazione della struttura di ES, n alcun ap-
profondimento della sua conoscenza. Pura somma di ES1 e ES2, come potrebbe, ES3, non conser-
varne i tratti strutturali, come potrebbe sfuggire al codice esotico da cui ambedue i suoi costituenti
dipendono? Fols et extravagants: cos, l'abbiamo visto, sono definiti in t2 gli abitanti (gli elemen-
ti) di ES3. Ora, questi aggettivi costituiscono la matrice di due enunciati esotici potenziali, l'uno di
primo e l'altro di secondo tipo. Definire come fols gli abitanti di ES3, significa infatti caratterizzarli
in funzione dell'assenza di un tratto ben preciso - la 'ragione' -, verosimilmente attribuibile a INa; e
designarli come extravagants significa non [138] prenderli in considerazione se non in funzione
dell'assenza, nello spazio interno, dei tratti di cui essi appaioni dotati. Lo stato t2 non apporta pertan-
to la bench minima modificazione alla struttura di ES e al punto di vista del soggetto che l'organiz-
za: nella fase finale come nella fase iniziale del testo, lo spazio esterno continua ad essere oggetto di
una percezione esotica.
Come abbiamo dimostrato analizzando le condizioni d'esistenza dell'esotismo, la percezione eso-
tica (di primo e di secondo tipo) suppone un osservatore situato al di fuori dello spazio che descrive
- o almeno, qualora l'osservatore sia l'eroe mobile, estraneo allo spazio in cui si trova incluso. Ora,
se l'osservazione di ES dal di fuori si giustifica agevolmente nello stato testuale t1, allorch pn non
ancora incluso nello spazio esterno (ES1 e ES2), essa appare problematica nello stato t2, quando il
personaggio narratore ormai incluso in ES3 - l'inclusione valendo qui, lo sappiamo, come sinoni-
mo di appartenenza. Non vi forse contraddizione nel dire che ES3 viene percepito dal di fuori e
che, al tempo stesso, il narratore entrato a farne parte? In realt, tutto il problema di sapere se, in
t1 e in t2, il personaggio che orienta la percezione (e la descrizione) dello spazio esterno il mede-
simo, se cio, in t2 come in t1, l'osservatore che percepisce ES dal di fuori ben il personaggio nar-
ratore. Ora, basta prestare la dovuta attenzione alla lettera del testo per realizzare che chi percepisce
gli abitanti di ES3 come folli ed eccentrici non affatto pn (o meglio il nous che lo comprende),
bens eux, l'attore collettivo in opposizione al quale, per l'appunto, nous si definisce. Lo stesso punto
di vista che, in t1, era adottato da pn (era je che percepiva ES1 come privo dei tratti marcati di IN1, e
ES2 come universo del merveilleux), viene assunto in t2 dall'attore collettivo a cui pn si oppone. Il
medesimo punto di vista subisce dunque, nel testo, una rotazione che lo trasporta dall'eroe all'anti-
eroe, da io a essi. Questa rotazione, per la verit, comporta alcune modificazioni parziali del punto
di vista che essa disloca: laddove la percezione di je, in t1, valorizzava infinitamente gli ES sui qua-
li, dal di fuori, era diretta, la percezione di eux in t2 non si raddoppia affatto di una valorizzazione,
bens di una svalutazione assiologica di Es3. Propriamente parlando, non si potrebbe allora definire
come esotico il punto di vista di eux, dato che la condizione (IV) non viene rispettata. Ma poich
soltanto la dimensione assiologica dell'esotismo viene me-[139]no, mentre la sua dimensione strut-
turale rigorosamente preservata, diremo ugualmente che in t2 Surin reintroduce un esotismo nega-
tivo, un esotismo astioso e pieno di odio, che egli disloca ormai verso un altro soggetto, o verso un
anti-soggetto, pi precisamente.
interessante osservare come, d'altra parte, lo sguardo fissato sullo spazio esterno sia unicamen-
te, in t2, quello di eux. L'attore nous dispone, in effetti, di un suo punto di vista, di una percezione
propria: ma questa percezione diretta su INa, non sullo spazio esterno a cui esso appartiene. Tutto
ci che sappiamo di nous, che percepisce INa come un esilio; ma non sappiamo nulla della sua
percezione della patria, il suo punto di vista su ESa ci resta ineluttabilmente nascosto.
Da tutto questo, agevole dedurre che al momento in cui redige la lettera a d'Attichy (1634), Su-
rin non ha ancora elaborato un modello di spazio esterno alternativo a quello dell'esotismo, e suscet-
79
tibile di rendere conto del mondo mistico nella sua specificit. Egli non dispone dunque che di un
modello tale che la percezione di ES rinvia a un osservatore incluso in IN - o almeno, e in ogni ca-
so, estraneo ad ES. Per comporre un racconto iniziatico, per narrare un viaggio in cui l'eroe mobile
ottiene alla fine l'iniziazione (ovvero si assimila al mondo mistico), egli si trova cosl nella necessit
di descrivere ES dal punto di vista di un altro personaggio, non incluso in questo spazio. Poich
d'altra parte l'eroe mobile s'identifica qui al personaggio narratore, quest'ultimo non potr figurarsi
come incluso in ES, che a condizione di delegare a un anti-soggetto la descrizione dello spazio stes-
so in cui si trova incluso. Dato il modello di spazio esterno di cui Surin dispone al tempo della lette-
ra a d'Attichy, la messa in scena di un viaggio iniziatico si paga al prezzo del definitivo silenzio
dell'iniziato, la figurazione della propria assimilazione al mondo mistico implica l'abdicazione del
personaggio narratore all'impossibile compito di descrivere 'dall'interno' questo mondo. Possiamo
dire perci che quel che separa la lettera del 1630 dalla lettera del 1634, la relazione esotica dal rac-
conto iniziatico, non una modificazione del punto di vista del testo sull'esterno mistico, ma una
trasformazione del soggetto di questo punto di vista, dell'osservatore cui viene affidato il compito di
descrivere ES. Fintanto che je (il personaggio narratore, l'eroe mobile) si assume quest'in-
[140]carico (come avveniva nella lettera del 1630, come ancora avviene nello stato t1 della lettera in
esame), il testo non pu inscenare che un viaggio non-iniziatico, in cui l'eventuale inclusione di pn
in Es non si accompagna della sua assimilazione a questo spazio. Alloroh il punto di vista esotico
viene dirottato su un altro personaggio, pn acquista invece - al prezzo del suo silenzio - un'assoluta
libert di movimento, ossia la facolt di penetrare in ES, non pi da profano, ma da iniziato.
La ricostruzione analitica dello spazio semantico messo in gioco dalle due lettere esaminate pu
a questo punto considerarsi conclusa. L'organizzazione di tale spazio corrisponde, a livello delle sue
pi semplici forme del contenuto, alla fase iniziale di una ricerca linguistica che caratterizzer tutta
l'opera di Surin, e che pu essere definita come il tentativo di risolvere il problema fondamentale
del rapporto fra testo ed esperienza, fra vita mistica e linguaggio. Come parlare di fenomeni che ec-
cedono le strutture ordinarie dell'esistenza umana, come trovare le parole adeguate a un'esperienza
di cui l'intelletto stesso non pu rendere conto? Le due lettere del 1630 e del 1634 costituiscono,
non tanto la risposta di Surin a queste domande, quanto la prova della sua (temporanea) incapacit
di rispondervi in modo soddisfacente. Quello che sar uno dei pi geniali interpreti della vita misti-
ca, colui che, nei Cantiques de l'amour divin, sapr inventare per esprimerla un idioletto metaforico
infinitamente coerente e suggestivo, colui che, nella Science exprimentale, sapr descriverne con
allucinante e quasi clinica esattezza i pi segreti aspetti psichici, colui che, nelle sue grandi opere
dottrinali, sapr infine fornirne una complessa e raffinata presentazione d'insieme - non sembra an-
cora aver elaborato, in questi primi scritti epistolari, uno strumento linguistico di sufficiente potenza
e precisione. Dell'esperienza mistica che gi riconosce in coloro che lo circondano - Marie Baron,
Madeleine Boinet, il giovane della diligenza - e di cui avverte in se stesso, ancora confusamente, i
primi sintomi, Surin non perviene a fornire qui che un'immagine incompleta e per cos dire capovol-
ta, come il negativo di una fotografia perduta. Non fosse che per averci permesso di portare alla lu-
ce tutta questa (irrisolta) problematica del rapporto vita mistica-discorso, la modellizzazione spazia-
le cui abbiamo scelto di ricorrere merite-[141]rebbe, ci sembra, una piena giustificazione. Ma vi di
pi. La nostra analisi ha dimostrato con sufficiente chiarezza che l'impossibilit di elaborare una
presentazione adeguata della vita mistica (ES) non rinvia, nelle lettere prese in esame, a una pura
assenza di discorso, o a un linguaggio oscuramente balbettante. Essa si traduce al contrario nel ri-
corso a un sistema enunciativo preesistente e perfettamente articolato - articolato precisamente, co-
me si visto, attorno all'inevitabile iscrizione in IN di ogni possibile descrizione di ES. Questo si-
stema enunciativo, fondato sull'impossibilit di accedere linguisticamente allo spazio esterno, altro
non che il discorso dell'esotismo, quale si manifesta, essenzialmente, nel genere letterario delle re-
lazioni di viaggio. Beninteso, il discorso dell'esotismo non si traspone dalle relazioni di viaggiatori
e missionari alle lettere spirituali di Surin, senza subire alcune inevitabili modifiche: cos l'accelera-
zione parossistica del ritmo di variazione della funzione enunciativa nella lettera del 1630, cos il
dirottamento della percezione di ES su un anti-soggetto - e la conseguente conversione della rela-
80
zione esotica in racconto iniziatico - nella lettera del 1634. Ci non toglie che, al di l di queste pur
notevoli varianti, sia il medesimo discorso a manifestarsi, ad esempio, nei rapporti di un Le Jeune o
di un d'Evreux, e nei due scritti spirituali di Surin. E per poco che tali scritti si considerino esempla-
ri della vasta letteratura consacrata al tema dell'illettr clair, ci si dovr chiedere se questa lettera-
tura nel suo insieme non possa essere concepita come il luogo di un'intersezione fra Testo spirituale
e Testo delle relazioni di viaggio - intersezione in cui il sistema enunciativo messo a punto dal se-
condo verrebbe preso a prestito dal primo, come un surrogato atto a sopperire all'assenza di un lin-
guaggio adeguato alla descrizione dell'esperienza mistica. E su quest'interrogazione critica e storica,
possiamo concludere ormai la nostra ricerca: giacch la sua semplice apertura, la possibilit stessa
che abbiamo avuto di formularla, basta a rispondere alla domanda metodologica che ha animato il
nostro studio. Per averci permesso di riconoscere l'esistenza di un discorso unico soggiacente a in-
siemi testuali apparentemente disgiunti, per averci consentito d'individuare, a livello delle pi sem-
plici forme del contenuto, una struttura transtestuale tale da rimettere in questione l'appa-[142]rente
irriducibilit di due ideologie (l'ideologia religiosa di Surin, l'ideologia 'etnologica' dei viaggiatori
secenteschi) - la modellizzazione spaziale dev'essere indubbiamente considerata, se non un metalin-
guaggio di valore universale, almeno uno strumento suscettibile di essere adottato con profitto (su
determinati terreni, in particolari circostanze) nella strategia ermeneutica dell'analisi testuale. [143]
81
NOTE
1
Il metalinguaggio delle descrizioni tipologiche della cultura, in LOTMAN e USPENSKIJ, Tipologia del-
la cultura, Milano, Bompiani, 1975.
2
Ibidem, p. 150.
3
Ibid., p. 155.
4
Cfr. ibid., p. 151.
5
Sulla diffusione di questo tema nella spiritualit secentesca, cfr., in particolare, H. BREMOND, Histoire
littraire du sentiment religieux en France, t. II, Paris 1916, pp. 64-68.
6
M. DE CERTEAU, L'illettr clair dans l'histoire de la lettre de Surin sur le Jeune Homme du Coche,
Revue d'Asctique et de Mystique, t. 44, 1968. Questo saggio si trova oggi ripreso in La Fable mystique, Pa-
ris, Gallimard, 1982, pp. 280-329.
7
Mi riferir al testo stabilito da M. de Certeau nella sua edizione critica delle lettere di Surin: J.-J. SURIN,
Correspondance, Paris, Descle de Brouwer, 1966, pp. 140-143.
8
Adottando la variante au sortir de mon pays piuttosto che au sortir de Rouen (come in Correspon-
dance, p. 140), non faccio che seguire le indicazioni dello stesso M. de Certeau che, nel saggio citato (cfr.
R.A.M., p. 391, o La Fable mystique, p. 309), ritiene di dover correggere, su questo punto, la sua prima edi-
zione.
9
A chi mi obiettasse di aver attribuito un peso eccessivo, nella mia dimostrazione, a una variante filologi-
camente incerta, replicher che una simile obiezione non ha senso se non all'interno di una ben precisa con-
cezione - che non condivido - del rapporto fra indagine filologica e analisi testuale. Quanto a me, lungi dal
credere che il loro rapporto funzioni, per cos dire, a senso unico - in modo tale cio che sia soltanto la se-
conda a dovere e a poter trarre dalla prima le sue garanzie di verit -, penso al contrario che la coerenza di
una dimostrazione strutturale, verificando la funzionalit di una determinata variante, possa in certi casi co-
stituire, per l'indagine filologica, un nuovo argomento, e una prova supplementare.
10
H.-M. BOUDON, L'Homme de Dieu en la personne du K P. Jean-Joseph Seurin, Chartres 1683, p. 30.
11
SURIN, op. cit., p. 812.
12
C. D'ABBEVILLE, Histoire de la Mission des Pres Capucins en l'Ile de Maragnan, Paris 1614, citato in
G. ATKINSON, Les Relations de Voyages du XVIIe sicle et l'volution des ides, Paris 1924, p. 30.
13
LE JEUNE, Relation de ce qui s'est pass en la Nouvelle France en l'anne 1634, Paris 1635, pp. 101-
102, citato in G. ATKINSON, op. cit., p. 71.
14
P. BOYER, Vritable Relation de tout ce qui s'est fait et pass au voyage que Monsieur de Bretigny fit
l'Amrique occidentale, Paris 1654, p. 278.
15
J.-B. DU TERTRE, Histoire gnrale des Antilles, Paris 1667, t. II, p. 357.
16
Y. D'EVREUX, Suite de l'Histoire des choses plus mmorables advenues en Maragnan s anns 1613 e
1614, Paris 1615, pp. 199-200, citato in G. Chinard, L'Amrique et le rve exotique dans la littrature fran-
aise aux XVIIe et XVIIIe sicles, Paris 1934, p. 14.
17
LE JEUNE, op. cit., p. 100, citato in Chinard, op. cit., p. 139.
18
J.-J. SURIN, op. cit., pp. 233-235.
19
Questi personaggi sono identificabili, referenzialmente, a Marie Baron e Madeleine Boinet, entrambe
conosciute da Surin durante il suo soggiorno a Marennes (cfr. Correspondance, pp. 168-184 e 190-195).
20
Adottiamo qui, ancora una volta, la terminologia di Lotman, secondo cui il simbolo, QS rappresenta
l'invariante di concetti come' mondo visibile', 'mondo terreno', 'mondo dei vivi', 'questo mondo' e il simbo-
lo QL l'invariante dei concetti di 'mondo dell'aldil', 'mondo dei non uomini' (dei e trapassati, senza distin-
zione), 'mondo non terreno', 'quel(l'altro) mondo' (Cfr. LOTMAN e USPENSKIJ, op. cit., p. 161). Per quanto
riguarda l'equivalenza, da noi stabilita, fra QS e IN, fra QL ed ES; Lotman stesso rileva che sovrapponendo
82
a quest'opposizione [QS vs QL] il modello spaziale studiato [IN vs ES], QS si presenter come lo spazio in-
terno chiuso, e QL come lo spazio esterno (ibidem).
21
Ibid., p. 165.
22
L'attore che denominiamo p' si lascia agevolmente identificare, referenzialmente, a Madeleine Boinet:
quest'ultima, come narra un abrg postumo della sua vita, nasceva infatti da genitori de basse condition,
era fort petite et mal faite, e al tempo del suo incontro con Surin era al servizio di Mme de Saujon pour
avoir soin de l'ducation de ses filles (cfr. Correspondance, pp. 190-191). Osserviamo, incidentalmente, che
la descrizione di p' fornita da Surin non minimamente applicabile, da un punto di vista referenziale, a Marie
Baron - che era di estrazione borghese e aveva sposato Monsieur Duvergier, marchand de Marennes (cfr.
ibidem, p. 170). Beninteso, ci non toglie nulla al fatto che, testualmente, i tratti di p' possano, e anzi devano
essere estesi a p": semplicemente, abbiamo qui una prova ulteriore di quanto poco lo spazio semantico delle
lettere di Surin si lasci schiacciare sullo stato di cose che ne forma il referente, di come dunque, lungi dall'es-
sere giustiziabili di una lettura pre-testuale, tali lettere esigano un'analisi capace di porre in rilievo lo spessore
propriamente testuale che le contraddistingue.
23
Il campo semantico della parola simplicit, nell'opera di Surin, sufficientemente complesso e originale
per meritare una breve glossa. Si consideri, per cominciare, il seguente passaggio, tratto da un capitolo del
Guide spirituel intitolato De la simplicit religieuse:
Comment est-ce que l'artifice nuit la simplicit d'esprit?
Parce qu'ordinairement les ruses et finesses viennent des desseins bas et des intentions des choses inf-
rieures la grce. Quand un homme craint une chose et qu'il en prtend une autre, il cherche des inven-
tions subtiles pour en venir bout, l o celui qui ne veut que Dieu et son service, comme c'est un dessein
fort haut et fort pur, marche en simplicit et n'a point besoin de dtours et de dissimulation. Les religieux
sont des personnes qui, par leur tat de vie, ne doivent chercher que Dieu et son service. Voil pourquoi
toutes feintes leur sont inutiles; ils ne trouvent point meilleure procdure que d'aller [145] rondement
parce que Dieu, qu'il cherchent, ne craint rien et veut que les hommes procdent simplement.
(Guide spirituel, Paris 1963, p. 237)
La simplicit viene definita come una forma di comportamento (una procdure), pi precisamente come
uno stile di discorso. In quanto tale, essa si oppone ad artifice, finesses, e inventions subtiles, si oppone cio
come un dire - e un fare - lineare e piano, a uno stile ricercato e sovraccarico di arguzie. Ma queste ricerca-
tezze e queste arguzie si specificano a loro volta, nel testo, in dtours, feintes, ruses, e dissimulation. Auto-
maticamente, allora la simplicit dovr essere interpretata come un discorso trasparente, sincero, come un di-
re incapace di dissimulazione.
Ora, a proposito di questa simplicit, che altro non se non l'infinita trasparenza del soggetto e del lin-
guaggio (del soggetto di fronte al linguaggio), Surin scrive, in una pagina del Catchisme spirituel: C'est
une certaine grossiret sainte que les personnes simples affectent, vitant l'artifice et la recherche curieuse,
aimant la faon de faire des personnes du commun, et leur navet (Catchisme spirituel, Paris 1669, t. I, p.
587). Simplicit dunque sinonimo di grossiret (cette simplicit ou grossiret, dir ancora Surin, poco
pi oltre), e antonimo di politesse, o biensance.
Per comprendere questo strano sistema di relazioni semantiche, in cui la parola simplicit si trova presa,
bisogna tener presente il particolarissimo codice della buona creanza, che la cultura barocca aveva elaborato.
Si diffonde a quest'epoca l'idea che una certa opacit e segretezza del dire siano qualit indispensabili nella
conversazione mondana. Data del 1641, ad esempio, lo splendido trattatello di Torquato Accetto, Della dis-
simulazione onesta. La dissimulazione vi presentata come la virt che [] il decoro di tutte l'altre virt,
come il rimedio che previene a rimuover ogni male. Fondamento della diplomazia e della politica, talento
imprescindibile nell'arte della guerra, la dissimulazione , anche e soprattutto, il perno della civilit:
Or, passando all'utile che nasce dalla dissimulazione ne' termini morali, comincio dalle cose che pi biso-
gnano, dico dall'arte della buona creanza, la qual si riduce nella destrezza di questa medesima diligenza.
E, leggendosi quanto ne scrisse monsignor della Casa, si vede che tutta quella nobilissima dottrina inse-
gna cos di ristringer i soverchi disideri, che son cagion di atti noiosi, come il mostrar di non veder gli er-
rori altrui acci che la conversazione riesca di buon gusto.
(Della dissimulazione onesta, Bari 1928, p. 38)
Ora, precisamente nella misura in cui la cultura barocca aveva codificato la civilit come destrezza dis-
simulatrice, che Surin, nel suo progetto di transvalutazione sistematica dei valori correnti, rivendica e celebra
la simplicit, come pura assenza di ogni forma di dissimulazione. Lungi dal sorprendersi che Surin possa as-
83
similare alla grossiret una simplicit di cui per altro rivendica il valore religioso, bisogna ben comprendere
che proprio in quanto essa si oppone, dal punto di vista dei codici dell'epoca, al sistema della civilit, Surin
l'assume e la valorizza nella sua pratica transvalutatrice. La simplicit religieuse precisamente perch la
grossiret sainte: essa trae tutto il suo significato, e tutto il suo valore, dal suo carattere extra-sistematico
in rapporto al codice della civilit, in rapporto al sistema di valori vigente nel 'mondo'.
24
Abbiamo gi avuto occasione di osservare (supra, p. 38) che l'esperienza religiosa appare indissolubile,
nel pensiero di Surin, da una sorta di passione antisociale, da un desiderio di trasgressione sistematica di tutte
le leggi della Societ.
25
Nella lettera del 1630, la distinzione essenziale non passa, in effetti, tra lo spazio ideologico costruito
dal testo e lo spazio geografico rappresentato in esso, ma fra lo spazio geografico-ideologico, quale il testo lo
rappresenta, e lo spazio reale che ne costituisce il referente. In questo senso, si pu dire che il linguaggio del-
le relazioni spaziali raggiunge, nella lettera del 1634, un grado di astrazione ben superiore, poich vi permet-
te l'isolamento di uno spazio ideologico, che non soltanto si sgancia dallo spazio referenziale (cfr. supra, n.
22), ma ancora, e soprattutto, dallo spazio rappresentativo.
[147]
84
ww.lamelagrana.net
IV
IL PURO AMORE DAVANTI ALLA LEGGE
DELLO SCAMBIO
I
In un momento in cui, come giustamente osserva Maria Corti, una delle esigenze pi forti della
semiotica letteraria europea [...] quella di chiarire, approfondire i nessi fra contesto storico, model-
li sociolcuturali e letteratura1, ci parso inevitabile, in chiusura di questo volume, affrontare il de-
licato problema del posto occupato e del ruolo svolto dal discorso mistico nella cultura francese del
Seicento. Nel precedente studio, abbiamo gi avuto occasione d'illustrare, sia pure indirettamente,
un particolare aspetto di questo problema: la struttura transtestuale che connette le due lettere di Su-
rin - e molto probabilmente la totalit dei testi religiosi dominati dal tema dell'illettr clair - all'u-
niverso esotico delle relazioni di viaggio, costituisce senza dubbio un dato pertinente alla definizio-
ne del rapporto fra il discorso mistico e il suo contesto storico-culturale. Tuttavia, bisogna ricono-
scerlo, si tratta pur sempre di un dato locale, indicativo di un fenomeno tutto sommato secondario -
anche se per nulla irrilevante - dal punto di vista del problema che ora ci occupa. Vorremmo adesso
situarci a un livello di massima generalit, vorremmo isolare la pi significativa costante nel fascio
delle relazioni che articolano il misticismo secentesco al sistema globale della cultura dell'epoca.
Anticipando sul futuro sviluppo dell'analisi, diciamo fin d'ora che in questo saggio sar questione
del rapporto fra economia, etica e mistica, e della strana dialettica - gioco d'incontri e di scontri,
[151] d'intersezioni e di conflitti - che il XVII secolo ha potuto intessere fra dei termini in apparenza
cos lontani.
Come punto di partenza della nostra indagine, assumeremo un'ipotesi relativamente semplice: si
assisterebbe, fra il XVI e il XVII secolo, alla formazione di un'etica dominata da uno spirito eco-
nomico. Questo primato dell'economia nel discorso della morale - o piuttosto nel discorso morale
che sottende testi di natura e di genere molto diversi - ci sembra attestato, essenzialmente, da due
fenomeni: una valorizzazione senza precedenti delle attivit propriamente economiche nella rappre-
sentazione e nella descrizione della vita collettiva2; l'affermarsi di un modello economico nella per-
cezione di rapporti estranei, in quanto tali, all'ordine dell'economia, o almeno non direttamente e in-
teramente riducibili ad esso - relazioni di amicizia, di parentela, d'amore, di potere, di parola, ecc.
Oggetto del nostro studio, sar unicamente questo secondo fenomeno. Cercheremo di mostrare co-
me la cultura del Seicento abbia messo a punto una morale in cui la legge economica dello scambio
costituisce, ad un tempo, il criterio d'analisi e il principio di valutazione di tutte le condotte umane;
come, d'altra parte, questo assurgere della legge dello scambio al rango di unit di misura delle rela-
zioni intersoggettive di ogni specie, comporti l'elaborazione di uno spazio complementare d'illegali-
t, e di conseguenza la riorganizzazione dell'universo del trasgressivo - illegittimo, trasgressivo, sa-
r ormai tutto ci che interrompe, o che perverte, il circuito economico dello scambio. Senza dub-
bio, non sarebbe difficile ritrovare le tracce di questo duplice movimento - l'instaurarsi simultaneo e
parallelo di una nuova legge e di un nuovo spazio d'illegalit - in un'ampia fascia di testi secente-
schi. In questa sede, tuttavia, preferiamo adottare una strategia diversa, ed evitando d'impegnarci in
una ricognizione estensiva e inevitabilmente frettolosa di un folto repertorio di materiali, procedere
a un'analisi il pi possibile puntuale ed esaustiva di un unico testo-campione, prescelto in funzione
della sua esemplarit. Il testo-campione su cui abbiamo deciso di condurre il nostro sondaggio -
per una volta - un capolavoro consacrato dalla storia letteraria: il Tartuffe di Molire3. A questo ri-
guardo ci sembra [152] d'obbligo segnalare - e non soltanto per ragioni di zelo bibliografico - che
una dimostrazione analoga a quella che ci accingiamo ad intraprendere - e alla quale la nostra si in
86
larga misura ispirata - gi stata compiuta da Michel Serres sul Dom Juan4. C' da chiedersi dun-
que - o almeno sar il caso di chiederselo qualora il nostro tentativo sia coronato da un certo succes-
so - se gran parte dell'opera di Molire non costituisca, come Dom Juan secondo Michel Serres, un
trait complet du don et du contre-don5, la drammatizzazione vasta e minuziosa di un'etica struttu-
rata come un'economia.
Che il modello economico dello scambio sia ben la legge presupposta dal Tartuffe, il sistema di
riferimento a cui dovranno essere ricondotti, di volta in volta, tutti i diversi elementi del suo conte-
nuto, risulta evidente fin dalle battute iniziali del primo atto:
MADAME PERNELLE
3 Laissez, ma bru, laissez, ne venez pas plus loin:
Ce sont toutes faons don t je n'ai pas besoin.
ELMIRE
De ce que l'on vous doit envers vous on s'acquitte6.
La legge detta, la regola fissata: pagare i propri debiti, onorare il circuito dello scambio. In
rapporto a questa legge, limpidamente formulata da Elmire, Tartuffe non cessa di trovarsi in posi-
zione irregolare: in tutta la commedia, egli colui che non ricambia, o colui che non ricambia se
non con una contropartita capovolta e derisoria; tutta la commedia, dunque, potr essere letta come
una drammatizzazione della legge dello scambio e della sua trasgressione, o meglio di questa tra-
sgressione e del finale trionfo della legge. Naturalmente, questo dramma economico che si snoda, in
filigrana, lungo tutta l'estensione del testo, non coincide con ci che chiameremo qui la sua dram-
maturgia di superficie - ossia con la commedia quale si offre immediatamente alla lettura -, ma con
una drammaturgia profonda che si ritaglia all'interno di quella prima e superficiale drammaturgia.
Di questa drammaturgia profonda, sarebbe inesatto affermare che la drammaturgia di [153] superfi-
cie l'occulti, o che le faccia schermo; nulla infatti pu nasconderla, nulla pu sottrarla allo sguardo,
poich per definizione essa non suscettibile di essere vista - constatata, descritta, riconosciuta -,
poich essa senza essere presente, poich reale ma non attuale. Mentre la drammaturgia di su-
perficie costituisce un oggetto dato (con le sue scansioni gi pronte, con le sue sequenze - atti, sce-
ne, ecc. - gi definite), la drammaturgia profonda un oggetto che necessita di essere costruito, una
storia cio le cui articolazioni e le cui fratture dovranno essere stabilite dall'analista; e laddove la
prima (non) pu essere (che) descritta, la seconda esige dal lettore un'attivit molto diversa da quel-
la della semplice descrizione, un comportamento al tempo stesso pi creativo e pi rigoroso, pi in-
ventivo e pi sistematico, un atteggiamento che definiremo, per comodit, d'interpretazione. Proce-
dendo dunque, senz'altri preliminari, all'interpretazione che ci richiesta, distingueremo uno svi-
luppo e un epilogo della commedia, sviluppo ed epilogo che drammatizzano, rispettivamente, il
progressivo disvelamento, la manifestazione graduale della trasgressione di Tartuffe, e la sua re-
pressione o la sua sconfitta, il ristabilimento conclusivo del circuito dello scambio. Mettiamo fra pa-
rentesi, per il momento, questo dnouement euforico del testo, e soffermiamoci sulle modalit di
manifestazione della frode, sulla drammaturgia interna della trasgressione. Alla base, se non all'ori
gine di questa drammaturgia, potremmo porre una serie ternaria, i cui elementi sono, nell'ordine, la
denuncia, il disconoscimento e l'epifania della trasgressione di Tartuffe. Il testo si sviluppa a partire
da questa figura di base, si sviluppa cio come il procedimento d'iscrizione - ma anche di manipola-
zione, di disseminazione, di effrazione - di tale figura. Le serie ternaria insomma, non certo la
struttura del testo, ma il modello formale trattato dal testo, in vista dell'organizzazione di una sua
propria struttura.
Una prima apparizione, molto breve e ancora incompleta, della figura di base si produce nella
scena I del primo atto. Non si manifestano qui che le due sequenze iniziali della serie ternaria, che
s'incontrano e si scontrano nella vivace discussione che oppone Mme Pernelle a Elmire, Mariane,
Clante e, soprattutto, a Dorine e Damis. Questi ultimi, infatti, sono i destinatori della [154] denun-
87
cia cui Mme Pernelle si rifiuta di credere - disconoscendo cos, una prima volta, la trasgressione di
Tartuffe.
DAMIS
4 Quoi? je souffrirai, moi, qu'un cagot de critique
5 Vienne usurper cans un pouvoir tyrannique,
Et que nous ne puissions rien nous divertir,
Si ce beau Monsieur-l n'y daigne consentir?
L'oggetto della prima denuncia manifestata dal testo , come si vede, di natura squisitamente so-
ciale: la protesta di Damis riguarda infatti una certa autorit, un certo potere acquisito da Tartuffe
nella casa di Orgon, in quanto autorit e potere illegittimi. L'usurpazione di un potere - potere mo-
lecolare, certo, microautorit che si esercita al modesto livello delle relazioni familiari e sulla picco-
la scala dello spazio domestico, ma che non per questo meno reale, e neppure meno universale,
oserei dire, nella prospettiva ristretta dei personaggi della commedia - dunque la colpa originaria
di Tartuffe, ossia la colpa che lo designa originariamente come trasgressore nella struttura dramma-
turgica del testo. In questo senso, bisognerebbe ritornare oggi sulla valorizzazione, a cui la critica si
abbandonata in passato con tanta facilit, della questione religiosa nel Tartuffe. Malgrado la sua
evidente preponderanza a livello della drammaturgia di superficie, non c' dubbio infatti che tale
questione risulti strettamente subordinata a una problematica etico-sociale, non appena si considera
il testo a livello della dinamica strutturale della sua drammaturgia profonda. Ci non significa, tut-
tavia, che la dimensione religiosa appaia, dal punto di vista di un'analisi della drammaturgia pro-
fonda, come priva d'importanza. Essa gioca, al contrario, un ruolo essenziale, bench non possa as-
solutamente definire l'orizzonte d'iscrizione originaria della trasgressione nella struttura di questa
drammaturgia:
DORINE
6 Certes c'est une chose aussi qui scandalise,
1 Qu'un gueux qui, quand il vint, n'avait pas de souliers
De voir qu'un inconnu cans s'impatronise,
Et dont l'habit entier valait bien six deniers,
En vienne jusque-l que de se mconnatre,
De contrarier tout, et de faire le matre. [155]
MADAME PERNELLE
H! merci de ma vie? il en irait bien mieux,
Si tout se gouvernait par ses ordres pieux.
DORlNE
Il passe pour un saint dans votre fantaisie:
Tout son fait, croyez-moi, n'est rien qu'hypocrisie.
Questo rapido scambio di battute risulta per noi illuminante. A Dorine che riformula, in sostanza,
la denuncia di Damis, e condanna il potere raggiunto da Tartuffe, Mme Pernelle replica infatti invo-
cando l'irreprensibile piet del suo comportamento. La devozione, la santit, in altri termini ci
che legittima il potere di Tartuffe, o meglio la sua acquisizione di un potere che normalmente non
gli spetterebbe, e a cui egli non avrebbe altrimenti alcun diritto di aspirare. Si capisce dunque la
funzione - decisiva, sebbene derivata - della dimensione religiosa. Se Tartuffe veramente un
sant'uomo, il potere che esercita in una famiglia di cui pure non fa parte non pu - come vorrebbero
Damis e Dorine - considerarsi usurpato, poich egli lo paga precisamente con la sua devozione, con
la rettitudine del suo giudizio, con la piet dei suoi precetti. Se al contrario la sua devozione non
che ipocrisia - come nella sua seconda battuta afferma Dorine - il suo potere realmente usurpato, e
la posizione dei suoi avversari perfettamente legittima. La dimensione religiosa si trova dunque
reiscritta in una relazione sociale, presa in una relazione sociale come un suo fattore o un suo ele-
mento: la devozione il patrimonio di Tartuffe7, il bene che egli scambia con l'ospitalit di Orgon,
88
e con il potere che questi gli conferisce nella sua propria casa. E il lungo processo che porter allo
smascheramento dell'ipocrisia di Tartuffe, quale che sia il valore ideologico di cui si vorr dotarlo,
non ha affatto, strutturalmente, la funzione di liberare la vera fede da una volgare contraffazione, e
nemmeno quella di suggerire che, in ultima istanza, la fede stessa non che una contraffazione,
bens di dimostrare la frode di cui Tartuffe si reso responsabile nei confronti di Orgon, di mettere
a nudo la sua trasgressione del circuito dello scambio. Ancora una volta, dunque, a livello della
drammaturgia profonda della commedia, la devozione non vale se [156] non come oggetto di credi-
to in una relazione sociale, e la sua verit o la sua falsit non sono pertinenti che in quanto decidono
della legittimit dello scambio a cui tale relazione s'identifica.
Una seconda apparizione della figura di base - che si presenta questa volta completa di tutti i suoi
elementi - si dissemina su una superficie testuale che va dalla quinta scena del primo atto alla terza
del terzo. Analizziamo, ad una ad una, le sequenze che la costituiscono.
La nuova grande denuncia della trasgressione di Tartuffe trova in Clante il suo destinatore, e in
Orgon (che va ad occupare cos il posto che era stato di Mme Pernelle, e che sar il suo fino alla ter-
za apparizione della figura di base) il suo destinatario:
CLANTE
[...]
3 Il est de faux dvots ainsi que de faux braves;
26 Et comme on ne voit pas qu'o l'honneur les conduit
Les vrais braves soient ceux qui font beaucoup de bruit,
Les bons et vrais dvots, qu'on doit suivre la trace,
Ne sont pas ceux aussi qui font tant de grimace.
H quoi? vous ne ferez nulle distinction
Entre l'hypocrisie et la dvotion?
Vous les voulez traiter d'un semblable langage,
Et rendre mme honneur au masque qu'au visage;
galer l'artifice la sincrit,
Confondre l'apparence avec la vrit,
Estimer le fantme autant que la personne,
Et la fausse monnaie8 l'gal de la bonne?
Si noter come Clante, nella sua tirata, pervenga gradualmente alla denuncia dell'ipocrisia di
Tartuffe in quanto violazione del rapporto di scambio che questi intrattiene con Orgon. Posta l'op-
posizione ipocrisia vs vera devozione come punto di partenza, Clante ne fornisce una serie di defi-
nizioni, una serie d'interpretazioni vorrei dire, che si succedono l'una all'altra come in una scala d'in-
tensit. In uno splendido e quasi musicale crescendo, avremo allora la serie ordinata: hypocrisie vs
dvotion masque vs visage artifice vs sincrit apparence vs vrit fantme vs person-
ne fausse monnaie vs bonne monnaie. Al vertice della scala d'intensit, troviamo cos l'interpre-
tazione che dal punto di vista di Clante - e dal punto di vista del testo - [157] quella pertinente:
l'ipocrisia fondamentalmente, testualmente la falsa moneta con cui Tartuffe ripaga i benefici ri-
cevuti da Orgon, ovvero la frode che egli perpetra ai suoi danni. In quanto tale, del resto, essa verr
nuovamente ritratta e condannata nella seconda tirata di Clante: l'interpretazione pertinente che
stata trattenuta. I francs charlantans di cui Tartuffe il capofila saranno allora:
3 Ces gens qui, par une me l'intrt soumise,
65 Font de dvotion mtier et marchandise,
Et veulent acheter crdit et dignits
prix de faux clins d'yeux et d'lans affects [...]
Scopertamente, ormai, l'ipocrisia appare come una tecnica di truffa, come una strategia per ac-
quistare (acheter) benefici di ogni sorta, scambiandoli con merce contraffatta, pagandoli con mo-
neta falsa ( prix de faux clins d'yeux et d'lans affects). L'ipocrita dunque, in senso proprio,
un falsario. Osserviamo, per finire, che nei due frammenti citati Clante ripercorre, ma in senso in-
89
verso, lo stesso tragitto compiuto da Dorine nella scena I del primo atto. Laddove Dorine partiva
dalla denuncia della posizione d'illegalit occupata da Tartuffe nella relazione sociale che lo lega a
Orgon per giungere a rivendicare, in difesa della propria tesi, la falsit della sua devozione, Clante
parte dalla constatazione dell'ipocrisia di Tartuffe - appena celata da una denuncia generale dell'ipo-
crisia religiosa - e ne deduce - sotto il velo discreto di una nuova generalizzazione - la frode subita
da Orgon. , come si vede, il medesimo rapporto strutturale (rapporto che, testualmente, subordina
la dimensione religiosa alla dimensione sociale, al tempo stesso in cui, logicamente, fa dipendere lo
statuto della seconda dalla natura della prima), ma percorso in sensi opposti a seconda dei perso-
naggi che di volta in volta l'attualizzano. Cos, alla figura di Dorine, caratterizzata da un uso essen-
zialmente dialogico della parola, e il cui discorso non cessa d'improvvisarsi in funzione delle repli-
che dell'altro, succede Clante, il raisonneur, contraddistinto da un linguaggio principalmente mo-
nologico, che procede deduttivamente, con il rigore dimostrativo di un trattato di filosofia morale.
Ma il 'monologo' di Clante non avr maggior successo del 'dialogo' di Dorine, e Orgon, proprio
come Mme Pernelle nella [158] precedente apparizione della figura di base, rifiuta di credere alla
denuncia che gli viene indirizzata e disconosce, una seconda volta, la trasgressione di Tartuffe.
Questo disconoscimento assolve, nel testo, una funzione di capitale importanza. Anzitutto, esso
rende possibile il perpetuarsi della trasgressione di Tartuffe - e dunque, al limite, lo sviluppo stesso
della commedia. Al momento in cui riceve la denuncia di Clante, Orgon occupa infatti una posi-
zione di potere che gli permetterebbe, se soltanto volesse, o meglio, se semplicemente sapesse, di
porre fine alla frode di cui vittima. Ma, appunto, Orgon non sa e non vuol sapere. La quinta scena
del primo atto, il faccia-a-faccia di Orgon e di Clante, il luogo di una separazione del sapere e del
potere, tale che colui che sa (Clante) non pu, e colui che pu (Orgon) non sa. Ne deriva, inevita-
bilmente, una duplice neutralizzazione: rescisso dal potere, il sapere vano e inutile; diviso dal sa-
pere, il potere ottuso e inefficace. Nel vuoto che si scava fra di essi, nel margine esiguo della loro
separazione, la tragressione trova, provvisoriamente, lo spazio necessario al suo esercizio - e gi
s'indovina che la sua sconfitta coincider con il momento in cui questo spazio cesser di esistere, in
cui quel vuoto sar colmato. Ma non tutto. Al tempo stesso in cui rilancia, sulla lunga distanza, la
trasgressione di Tartuffe, il disconoscimento di Orgon scatena, sulla breve distanza, una cascata di
effetti collaterali. Giacch Orgon non si limita a rinnovare, malgrado la denuncia di Clante, il suo
credito nei confronti di Tartuffe, ma decide di aumentarlo vertiginosamente: Tartuffe avr la mano
di Mariane, l'amico prediletto diverr suo genero. Ora, questo supplemento di credito, di cui il di-
sconoscimento si raddoppia, comporta una pleiade di violazioni secondarie del circuito dello scam-
bio che precedono, nel testo, l'entrata in scena (l'epifania) della trasgressione principale. Diremo che
tali infrazioni subalterne costituiscono una proliferazione abnorme, un'emanazione centrifuga del
secondo segmento della figura di base, che varca i limiti di questa stessa figura e va ad iscriversi
all'esterno del suo perimetro. come se il triangolo dell'armatura drammaturgica si aprisse su uno
dei suoi lati per lasciar scappare uno stock di singolarit eccentriche, come se la sua forma si dissol-
vesse localmente per liberare un flusso destinato ad eccederla. In generale, del resto, si potrebbe az-
zardare la [159] seguente regola: un modello formale astratto non pu incarnarsi in un testo concre-
to senza esporsi, per ci stesso, a delle operazioni locali di dissoluzione, che ne bucano qua e l
l'armatura, liberando delle serie centrifughe, propagando delle singolarit eccentriche - una delle
propriet essenziali della scrittura essendo, precisamente, quella di trovarsi sempre in eccesso, o in
difetto, rispetto ai modelli che pure presuppone, quella di porsi, se vogliamo, come il difetto o l'ec-
cesso dei suoi propri modelli.
Fra il secondo e il terzo segmento della figura di base, per una proliferazione abnorme del secon-
do segmento, si crea dunque una serie eccentrica, costituita da un piccolo gruppo di violazioni col-
laterali. Passiamole in rassegna ad una ad una, prima di affrontare l'epifania della trasgressione so-
vrana. (a) Per cominciare, il supplemento di credito di cui il disconoscimento si raddoppia non pu
stabilirsi senza una rottura di contratto. Offrendo a Tartuffe la mano di Mariane, Orgon viene meno,
infatti, all'impegno preso con Valre: Vous savez que Valre pour tre votre gendre a parole de
vous? [...] Vous voulez manquer votre foi? (vv. 410-415). L'apertura del nuovo circuito di scam-
90
bio con Tartuffe comporta dunque l'interruzione (illecita) di uno scambio precedentemente conve-
nuto: il bene che Orgon vuol dare a Tartuffe (On tient que mon mari veut dgager sa foi, / Et
vous donner sa fille. Est-il vrai, dites-moi? vv. 923-924) quello che Valre avrebbe dovuto rice-
vere. Cos, se la sua decisione pu apparire inaccetabile , essenzialmente, perch comporta il dirot-
tamento abusivo di una merce (Mariane) da un primo a un secondo circuito di scambio. Tale, in o-
gni caso, il punto di vista che difende Elmire, allorch prega Tartuffe, nella terza scena del terzo
atto, de renoncer [...] l'injuste pouvoir qui veut du bien d'un autre enrichir [son] espoir (vv.
1019-1020). Come le parole, come i desideri e le passioni, anche le persone prendono posto in un
circuito di mercato. Da questo momento, le loro azioni, i loro atteggiamenti, saranno valutati in fun-
zione della rigida legge dello scambio; sul suo modello si ricicleranno la giustizia e l'ingiustizia, in
rapporto ad essa, come a un'unit di misura, si calcoleranno ormai la colpa e l'innocenza. (b) Se
causa di un grave abuso nei confronti di Valre (per violazione di contratto, per sospensione di uno
scambio pattuito), il supplemento di credito concesso a Tartuffe implica un torto non meno grave
nei riguardi di [160] Mariane. Qui ancora, lo s'immagina, l'ingiustizia si lascia definire, e misurare,
come una violazione della legge dello scambio. Osserviamo con quali argomenti, nella scena I del
secondo atto, Orgon tenta di piegare Mariane al matrimonio da lui architettato:
ORGON
[...]
4 Or sus, nous voil bien. J'ai, Mariane, en vous
31 Reconnu de tout temps un esprit assez doux,
Et de tout temps aussi vous m'avez t chre.
MARIANE
Je suis fort redevable cet amour de pre.
ORGON
C'est fort bien dit, ma fille; et pour le mriter,
Vous devez n'avoir soin que de me contenter.
MARIANE
C'est o je mets aussi ma gloire la plus haute.
L'obbedienza della figlia in cambio dell'amore del padre, la docilit di Mariane quale giusta con-
tropartita dell'amore prodigatole da Orgon: la legge detta, e lo scambio di comune accordo pattui-
to. Ora, in virt di questo scambio, in nome di questa legge, che Orgon esige il consenso di Ma-
riane al matrimonio con Tartuffe. Egli esige dunque questo consenso come un gesto d'obbedienza,
di quell'obbedienza, precisamente, di cui Mariane gli debitrice. Ed rivendicando, seccamente, i
suoi diritti di creditore, che egli replica alla esitazioni e alle resistenze della figlia:
5 Enfin, ma fille, il faut payer d'obissance
77 Et montrer pour mon choix entire dfrence.
Ma il calcolo di Orgon inesatto, e la sua pretesa, in realt, ingiustificata: giacch egli esige di
essere (ri)pagato con dell'obbedienza sul solo terreno - quello del cuore - su cui l'obbedienza non
pu essere praticata. Per questo Dorine pu incitare Mariane a lui dire qu'un cur n'aime point par
autrui (v. 391); per questo Mariane pu lamentarsi (inutilmente) dello scambio impossibile a cui
egli vuol costringerla:
1283 Ne me rduisez point par cette dure loi
Jusqu' me plaindre au Ciel de ce que je vous doi [...][161]
Illegittima, illegale, la posizione di Orgon lo dunque doppiamente, poich comporta una dupli-
ce trasgressione della legge dello scambio: interruzione abusiva, da una parte, dello scambio conve-
nuto con Valre, e inaccettabilit, d'altra parte, dello scambio proposto, o imposto, a Mariane. (c)
Quest'ultima poi, per eludere la truffa di cui rischia di essere vittima, escogita a sua volta, con l'aiu-
to di Dorine, una nuova trasgressione della legge dello scambio. Secondo il piano dell'ingegnosis-
sima suivante, Mariane dovr sostituire, all'effettiva obbedienza richiestale da Orgon, una docilit
91
fittizia e provvisoria, e al consenso attuale da lui preteso, un assenso virtuale di cui mille falsi prete-
sti verranno, di volta in volta, a scongiurare l'attualizzazione:
DORINE
[...]
797 Mais pour vous, il vaut mieux qu' son extravagance
D'un doux consentement vous pretiez l'apparence,
Afin qu'en cas d'alarme il vous soit plus ais
De tirer en longueur cet hymen propos.
En attrapant du temps, tout on remdie.
Tantt vous payerez de quelque maladie,
Qui viendra tout coup et voudra des dlais;
Tantt vous payerez de prsages mauvais:
Vous aurez fait d'un mort la rencontre facheuse,
Cass quelque miroir, ou song d'eau bourbeuse.
Con lo stratagemma messo a punto da Dorine e da Mariane si estingue e sfuma - pi di quanto
non si concluda - lo spazio vago creatosi, come un magico intervallo, fra gli elementi della triade di
base; il loro progetto di sostituire alla contropartita richiesta un compenso ingannevole e derisorio ,
in una volta, il terzo ed ultimo effetto implicato dal disconoscimento di Orgon (il pi lontano da es-
so, logicamente e cronologicamente) e la terza ed ultima infrazione da cui il testo fa precedere l'epi-
fania della trasgressione sovrana.
Atto terzo, scena III:
TARTUFFE
966 Ah! pour tre dvot, je n'en suis pas moins homme;
Et lorsqu'on vient voir vos clestes appas,
Un cur se laisse prendre, et ne raisonne pas.
Je sais qu'un tel discours de moi parat trange; [162]
Mais, Madame, aprs tout, je ne suis pas un ange;
Et si vous condamnez l'aveu que je vous fais,
Vous devez vous en prendre vos charmants attraits.
Ds que j'en vis briller la splendeur plus qu'humaine,
De mon intrieur vous ftes souveraine;
De vos regards divins l'ineffable douceur
Fora la rsistance o s'obstinait mon cur [...]
E ancora:
987 Votre honneur avec moi ne court point de hasard,
Et n'a nulle disgrce craindre de ma part.
Tous ces galants de cour, dont les femmes sont folles,
Sont bruyants dans leurs faits et vains dans leurs paroles,
De leurs progrs sans cesse on les voit se targuer;
Ils n'ont point de faveurs qu'ils n'aillent divulguer,
Et leur langue indiscrte, en qui l'on se confie,
Dshonore l'autel o leur cur sacrifie.
Mais les gens comme nous brlent d'un feu discret,
Avec qui pour toujours on est sr du secret:
Le soin que nous prenons de notre renomme
Rpond de toute chose la personne aime,
Et c'est en nous qu'on trouve, acceptant notre cur,
De l'amour sans scandale et du plaisir sans peur.
, nel testo di Molire, la prima grande epifania della trasgressione di Tartuffe - e l'ultimo ele-
mento della serie ternaria, nella seconda apparizione della figura di base. A quest'epifania, si posso-
no assegnare tre funzioni. (a) Anzitutto, essa apporta il complemento di un'indispensabile verifica
alla denuncia formulata da Clante (cos come, del resto, a quella precedentemente articolata da
92
Do.rine). Messa alla prova del desiderio - la prova decisiva, in una morale cristiana -, la devozione
di Tartuffe si lascia cogliere per ci che : volgare ma ben collaudata finzione, copertura ipocrita di
una vita dissoluta, alla cui insegna si povrebbero iscrivere, simili a un motto o a una divisa, le paro-
le da lui stesso pronunciate, De l'amour sans scandale et du plaisir sans peur. In piena conformit
con gli avvertimenti di Clante (e, in una certa misura, di Dorine) la posizione occupata da Tartuffe,
rispetto al modello dello scambio, di pura e semplice illegalit: la religiosit in cambio della quale
Orgon prodiga sempre nuovi benefici non che ipocrisia, la moneta con cui Tartuffe lo ripaga ,
manifestamente, denaro falso. (b) Al tempo stesso in cui conferma [163] le passate denunce di Do-
rine e di Clante, l'epifania considerata anticipa, e motiva, la futura denuncia di Damis. Giacch la
trasgressione di Tartuffe non si manifesta senza potenziarsi, giacch il movimento del suo progres-
sivo disvelamento quello stesso della sua vertiginosa accentuazione. Pi precisamente, la trasgres-
sione di Tartuffe, quale si presenta nella scena con Elmire, senza dubbio l'ipocrisia denunciata da
Dorine e da Clante - e quindi la verifica di tali denunce - ma quest'ipocrisia pi un vistoso sup-
plemento d'illegalit: alla falsa devozione (alla falsa moneta) si aggiunge qui il tradimento, la sedu-
zione intrapresa nei riguardi di Elmire. E questo supplemento d'illegalit, per il fatto stesso di esor-
bitare dalle precedenti denunce, invoca ed esige una nuova denuncia che l'assuma come oggetto. In
quanto disvelamento-accentuazione, in quanto manifestazione che si raddoppia di un potenziamen-
to, l'epifania agisce dunque come un operatore di passaggio fra la seconda e la terza apparizione
della figura di base. Essa rilancia, in altri termini, la drammaturgia della trasgressione, rendendo
possibile, e anzi necessaria, la reiscrizione del primo segmento della triade di base. (c) Il supple-
mento di trasgressione che si presenta nella scena III del terzo atto non gratuito, n casuale. Non
soltanto perch, come abbiamo visto, libera nella struttura del testo il posto in cui verr ad iscriversi
la denuncia di Damis - non soltanto, diremo, perch pre-scrive questa denuncia -, ma anche perch
a sua volta pre-scritto da un elemento che lo precede, perch s'iscrive in una casella liberata, ante-
riormente, da una diversa istanza. Tale istanza non altro, lo s'immagina, che il supplemento di
credito concesso da Orgon. Il potenziamento della truffa - di cui la sua manifestazione si raddoppia
- risponde all'aumento di credito - di cui il suo disconoscimento si era accompagnato. Secondo una
logica paradossale, che dovremo enunciare qui in tutto il suo rigore, una maggior generosit viene
ripagata con una maggior ingratitudine, e il nuovo dono ricompensato con un nuovo furto. Orgon
rinnova il suo credito a Tartuffe offrendogli la mano di Mariane, dandogli cio un membro della
sua famiglia; e Tartuffe lo ripaga tentando di strappargli Elmire, tentando di prendergli cio un altro
membro della sua famiglia. Egli contraccambia cos, prendendo esattamente il doppio di ci che gli
viene dato. Tale l'aritmetica della sua [164] ingratitudine, tale la logica della sua trasgressione:
all'offerta di un beneficio, rispondere prelevando il doppio del beneficio offerto; contraccambiare
dunque, non pi dando, ma prendendo di nuovo, incassando una seconda volta. Si noter come, in
quanto obbedisce a questa logica, la dinamica della trasgressione tenda a coincidere con una mec-
canica della comicit. Il falso pagamento di Tartuffe costituisce infatti il rovesciamento ironico del
versamento di Orgon (il dono della figlia si rovescia ironicamente nel furto della moglie), l'ingrati-
tudine del primo la riproduzione capovolta e derisoria della generosit del secondo (la cessione, da
parte di Orgon, di un membro della sua famiglia, si capovolge derisoriamente nel prelievo, da parte
di Tartuffe, di un altro membro della sua famiglia). Diremo allora che Tartuffe non si accontenta di
venir meno alla legge dello scambio, ma che, violandola, coglie l'occasione per ironizzare su di essa
- nella misura in cui, precisamente, la sua illegalit si struttura come l'inversione ironica dell'atteg-
giamento (legale) di Orgon. Diremo inoltre che la terza funzione assegnabile all'epifania considerata
quella di replicare a un supplemento di credito con un supplemento di truffa, e di replicarvi in
modo tale che la dinamica della trasgressione e la meccanica della comicit vengano a coincidere.
La drammaturgia della trasgressione ricomincia nella scena V del terzo atto. Damis, che ha assi-
stito di nascosto all'incontro di Elmire e di Tartuffe, riferisce al padre ci che ha appena visto. Ab-
biamo qui, dunque, la terza grande denuncia della trasgressione di Tartuffe - e il primo segmento
della figura di base, nel terzo stadio della sua manifestazione:
93
DAMIS
1055 Nous allons rgaler, mon pre, votre abord
D'un incident tout frais qui vous surprendra fort.
Vous tes bien pay de toutes vos caresses,
Et Monsieur d'un beau prix reconnat vos tendresses.
Son grand zle pour vous vient de se dclarer:
Il ne va pas moins qu' vous dshonorer;
Et je l'ai surpris l qui faisait Madame
L'injurieux aveu d'une coupable flamme [...]
Diciamo subito che la funzione assolta dai versi citati non pu in alcun modo essere ridotta al
ruolo che essi svolgono all'interno [165] della finzione drammatica. Questi versi hanno infatti per
oggetto una sequenza del testo stesso a cui appartengono (la scena, precisamente, del corteggiamen-
to di Elmire): essi sono dunque, in una volta, enunciati della commedia ed enunciati sulla comme-
dia - enunciati della commedia su se stessa. Ora, in quanto enunciati della commedia, essi continua-
no a giocare, come tutti gli altri enunciati, sul piano della finzione drammatica (essi avranno, nella
fattispecie, la funzione di avvertire Orgon, di metterlo in guardia contro gli inganni di Tartuffe); ma,
in quanto enunciati sulla commedia, questi medesimi versi costituiscono un frammento di metate-
sto, o ancora appartengono a una dimensione metatestuale, che quella dell'auto-decifrazione, o
dell'auto-interpretazione del testo. Soltanto questa seconda valenza tratterr qui la nostra attenzione.
Attraverso le parole di Damis, si pu dire, il testo ci parla di s; ma ci parla di s da un punto di vi-
sta estremamente preciso, quello richiesto dal particolarissimo atto linguistico - una denuncia - che
si effettua in tali parole. Parlandoci di s attraverso la denuncia di Damis, il testo ci dice appunto
che cosa, nei fatti precedentemente narrati, suscettibile di venir denunciato, che cosa cio, in rap-
porto al sistema di valori da esso presupposto, deve essere considerato colpevole o trasgressivo. O-
ra, i versi citati non lasciano dubbi a questo proposito: la colpa di Tartuffe - ci che, nel suo com-
portamento con Elmire, pu valere come colpa - una pura e semplice violazione della legge dello
scambio. in quanto pagamento mancato o derisorio delle caresses e tendresses prodigate da
Orgon, che la seduzione di Elmire intrapresa da Tartuffe pu venir denunciata, ossia suscettibile
di costituire una colpa; in rapporto alla legge dello scambio che, tramite la denuncia di Damis, il
testo considera e condanna il comportamento di Tartuffe. Questa legge si rivela dunque, una volta
di pi, il sistema di riferimento che esso mette in gioco, l'etica che segretamente ma incessantemen-
te lo sostiene.
La successiva sequenza della figura di base - il terzo disconoscimento di cui la trasgressione di-
viene oggetto - si manifesta nelle scene VI e VII del medesimo atto. Per comodit, scomporremo
questa sequenza in due sottosequenze (i) e (ii), la prima delle quali non soltanto precede (cronologi-
camente) ma implica (logicamente) la seconda. La sottosequenza (i) pu essere definita [166]
come la drammatizzazione del giudizio d'inesistenza che Orgon formula sulla trasgressione di
Tartuffe, respingendo imperativamente la denuncia rivoltagli da Damis. Tale giudizio d'inesistenza
appare inseparabile, nel testo, dalla difesa realmente geniale che Tartuffe improvvisa davanti alle
accuse di Damis, e sulla quale val la pena, a rischio di ritardare lo sviluppo dell'analisi, di soffer-
marsi un istante, tanto la logica dell'ipocrisia vi si trova condotta alle sue pi estreme e suggestive
conseguenze. Riproduciamo dunque i versi pi significativi - ed i pi belli - in cui la suddetta difesa
si traduce:
1074 Oui, mon frre, je suis un mchant, un coupable,
Un malheureux pcheur, tout plein d'iniquit,
Le plus grand sclrat qui jamais ait t;
Chaque instant de ma vie est charg de souillures;
Elle n'est qu'un amas de crimes et d'ordures;
Et je vois que le Ciel, pour ma punition,
Me veut mortifer en cette occasion.
94
Come si vede, non pi, qui, affermando semplicemente il falso, e travestendolo sotto le specie
del vero, che Tartuffe perviene a ingannare Orgon, ma dicendo precisamente il vero, e camuffando-
lo sotto le sembianze del falso. Vi dunque uno strano accorgimento, una curiosa astuzia della pa-
rola, che comporta come il ritorno surrettizio della menzogna sulla verit, o l'insinuarsi clandestino
del falso all'interno della manifestazione iperbolica del vero. Assistiamo cos a una finzione para-
dossale, conturbante, in cui colui che mente, mente dicendo il vero, in cui la finzione prende se stes-
sa come oggetto e si reduplica, in cui Tartuffe, resuscitando i pi inquietanti miraggi della parola
barocca - ma anticipando anche, con ogni evidenza, gli esiti pi profondi del motto di spirito freu-
diano - finge di fingere, ed in tal modo trionfa. Ma ritorniamo adesso sul piano, che quello da noi
prescelto, della drammaturgia della trasgressione, e chiediamoci quale funzione assolva, dal punto
di vista di questa drammaturgia, la sottosequenza esaminata. chiaro, anzitutto, che tale funzione
eccede in larga misura l'implicazione che (i) esercita sulla sottosequenza che immediatamente le
succede. Di fatto, la mansione principale del giudizio d'inesistenza, sembra ben essere quella di ri-
lanciare la trasgressione di Tartuffe, assicurando la prosecuzione [167] della sua vertiginosa parabo-
la. A livello di (i), Orgon occupa ancora - e lo occupa per l'ultima volta - quel posto del potere che
gli permetterebbe, se soltanto il sapere vi si aggiungesse, di mettere fine alla frode di Tartuffe. Ma,
per l'appunto, la scena che oppone Orgon a Damis - o, pi esattamente, la scena in cui Tartuffe so-
pravviene ad opporli l'uno all'altro - perpetua ed accentua la scissione del potere e del sapere che il
precedente scontro fra Orgon e Clante aveva inaugurato. Qui come l, dunque in una separazione
del sapere e del potere che il rilancio della trasgressione trova la sua condizione di possibilit; qui
come l, nella misura in cui il personaggio che occupa il posto del potere si acceca ottusamente
sulla realt della trasgressione, ed in cui, reciprocamente, al personaggio che ben conosce questa re-
alt quel posto rimane inaccessibile, che la frode pu continuare, indisturbata, a dispiegarsi. La sot-
tosequenza (ii) manifesta il supplemento di credito di cui il giudizo d'inesistenza si accompagna.
Proprio come, nel secondo stadio dello sviluppo drammaturgico, Orgon non si era accontentato d'i-
gnorare la denuncia di Clante, ma aveva vertiginosamente aumentato il suo credito a Tartuffe (of-
frendogli la mano di Mariane), cos ora egli non si limita a respingere la accuse di Damis, ma ac-
corda a Tartuffe questo nuovo, inconcepibile beneficio:
1176 Je ne veux point avoir d'autre hritier que vous,
Et je vais de ce pas, en fort bonne manire,
Vous faire de mon bien donation entire.
Un bon et franc ami, que pour gendre je prends,
M'est bien plus cher que fils, que femme, et que parents.
Deciso a non avere altri eredi all'infuori di Tartuffe, Orgon non esita dunque a stipulare un con-
tratto di donazione con cui s'impegna a trasferirgli la propriet intera dei suoi beni. Al dono della
figlia, egli aggiunge cos quello della sua fortuna: l'amico del cuore diverr, in una volta, suo genero
e suo erede. Ora, in quanto si fa veicolo di un simile 'Supplemento di credito, la sottosequenza (ii)
accumula su di s almeno due funzioni. In primo luogo, essa trasforma in modo decisivo i rapporti
di potere esistenti fra i personaggi: nel momento stesso in cui trasferisce a Tartuffe tutte le sue ric-
chezze, Orgon decade dalla posizione di potere che aveva [168] occupato fino ad allora, e libera la
drammaturgia della trasgressione dal vincolo che la faceva dipendere dalla sua ignoranza - o dalla
sua ottusit, se si preferisce - come da una condizione necessaria e sufficiente. In secondo luogo, es-
sa comporta due violazioni collaterali della legge dello scambio, che vanno ad iscriversi fra il se-
condo e il terzo segmento della figura di base, creandovi uno spazio vago che riproduce, con effetto
di evidente simmetria, quello generato dal precedente disconoscimento.
Esaminiamo rapidamente, prima di dedicarci all'analisi della nuova epifania della trasgressione
sovrana, questa coppia intermedia d'infrazioni subalterne. (a) Facendo dono a Tartuffe di tutto il suo
patrimonio, Orgon rompe il contratto familiare che prevede in Damis l'erede legittimo. quanto
sottolinea con forza Clante che, nella prima scena del quarto atto, rivendica a pi riprese la posi-
zione di legalit di Damis - juste hritier, hritier lgitime - in opposizione alla situazione di
pura illegalit in cui verrebbe a trovarsi Tartuffe, entrando in possesso di una ricchezza sulla quale
95
non pu avanzare alcun diritto. Facendo dono a Tartuffe del suo patrimonio, Orgon gli d dunque
ci che deve gi a Damis, gli cede un bene che, di diritto, appartiene gi ad un altro. Si noter, a
questo riguardo, la puntuale analogia che intercorre fra una simile infrazione e quella che Orgon a-
veva commesso, sulla scia del suo primo disconoscimento, stabilendo di cedere a Tartuffe (in ma-
trimonio) una merce (Mariane) per la quale si era gi impegnato con un altro (Valre). Ed addirit-
tura sorprendente, per il lettore moderno, constatare la rigorosa identit di linguaggio con cui ven-
gono trattate, nel testo, due situazioni drammatiche che appaiono, ai suoi occhi, cos diverse. Quan-
do Clante, rivolgendosi a Tartuffe, condanna come un pur caprice le don qui [lui] est fait d'un
bien o le droit [l'] oblige ne prtendre rien (vv. 1235-1236) non ritrova forse le parole che Elmi-
re, a proposito di Mariane, aveva indirizzato allo stesso Tartuffe, deprecando l'injuste pouvoir qui
veut du bien d'un autre enrichir [son] espoir (vv. 1019-1020)? E, dopotutto, che cosa, se non il
contesto, ci permette di comprendere che il bien di cui Tartuffe sta per diventare possessore ille-
gittimo, ora il patrimonio e ora la figlia di Orgon, ora un oggetto economico e ora un soggetto
umano? come se il modello economico - a livello di ci che esso comporta di pi [169] significa-
tivo: un determinato linguaggio - si fosse esteso a tutte le specie di rapporti sociali, come se la
nuova etica - sul piano del discorso stesso in cui si formula - fosse l'applicazione pi rigorosa e pi
esatta di un'economia. (b) La seconda infrazione propiziata, sia pur indirettamente, dalla sequenza
del disconoscimento, quella che Tartuffe commette replicando in modo evasivo, pretestuoso, alla
precisa richiesta, che Clante gli aveva rivolto, di riappacificare Damis con Orgon, rinunciando
all'eredit di quest'ultimo. Ancora una volta, il testo calcola con esattezza questo scarto:
CLANTE
1217 Vous nous payez ici d'excuses colores [...]
Ci troviamo di fronte qui a una situazione in cui ci s'imbatte spesso leggendo, in particolare, Le
festin de pierre: la parola stessa si presenta, essenzialmente, come un oggetto di scambio, la perce-
zione dell'universo del discorso si ristruttura in funzione del concetto, decisivo, di scambio verbale.
Da questo concetto, come dal suo orizzonte d'iscrizione, la distinzione del vero e del falso ricever
ormai il suo significato: la menzogna tende a divenire cos una violazione dello scambio comunica-
tivo - pagamento mancato dell'interlocutore, o suo falso pagamento.
(Quest'inserimento di una trasgressione compiuta da Tartuffe fra le violazioni collaterali generate dalla se-
quenza del disconoscimento merita, crediamo, alcune precisazioni. Non avremmo dovuto forse, infatti, ri-
condurla piuttosto al terzo segmento della figura di base, alla manifestazione cio della trasgressione sovra-
na? Ci dipende, unicamente, dal modo in cui ci si rappresenta quest'ultima trasgressione. Se, sotto il nome
di trasgressione sovrana, si sussumono tutte le infrazioni compiute da Tartuffe, chiaro che l'infrazione in
esame dovr essere ricondotta al terzo elemento della serie ternaria, e che la nostra presentazione del tutto
inadeguata. Se al contrario s'intende per trasgressione sovrana l'insieme delle violazioni che Tartuffe accu-
mula nei confronti di Orgon, l'infrazione commessa nei riguardi di Clante non potr, evidentemente, essere
inclusa in quest'insieme, e la nostra presentazione apparir pienamente giustificata. Ora, per quanto ci con-
cerne, non esitiamo un solo istante a optare per questa seconda concezione: essa ha infatti l'immenso vantag-
gio di definire la trasgressione sovrana come una relazione intersoggettiva piuttosto che come la performan-
ce di un soggetto, di mettere l'accento cio sull'aspetto relazionale, differenziale, della trasgressione). [170]
Consideriamo adesso l'epifania della trasgressione sovrana - la terza ed ultima sequenza della fi-
gura di base. Come gi quella del disconoscimento, anche questa sequenza pu essere scomposta in
due sottosequenze, fra le quali s'inserisce, tuttavia, una sottosequenza intermedia esterna, in quanto
tale, alla figura di base, sebbene non estranea, come vedremo, al suo sviluppo. La prima sottose-
quenza coincide, molto precisamente, con la rappresentazione del secondo incontro di Elmire e di
Tartuffe (atto quarto, scena V). facile osservare che i ruoli ricoperti dai due personaggi risultano
qui, rispetto alla scena del loro primo incontro, interamente capovolti: laddove infatti, in qull'occa-
sione, era Tartuffe a giocare il ruolo attivo, mentre Elmire si limitava a subire, del tutto passivamen-
te, la sua iniziativa, ora Elmire a condurre l'azione, mentre Tartuffe non fa che muoversi secondo
le sue direttive, assumendo atteggiamenti predeterminati, e surdeterminati, dalla sua strategia. In
questo senso, si pu ben dire che la nuova grande epifania della trasgressione di Tartuffe - almeno
96
nel raggio della sua prima sottosequenza - essenzialmente opera di Elmire, che la provoca e la
propizia, che la suscita, che l'orchestra e l'organizza sotto gli occhi di Orgon. Ed estremamente in-
teressante rilevare come quest'epifania decisiva in cui, per la prima volta, Tartuffe viene smaschera-
to davanti al suo benefattore, non possa prodursi se non in virt dell'azione coniugata di due ma-
schere: quella di Elmire, che si finge amante e seduttrice; quella di Orgon, che si nasconde sotto un
tavolo, che si 'traveste' da oggetto inanimato9. Dobbiamo forse dedurne che il trionfo della verit
non mai che una voluta nella spirale dell'inganno, che la vittoria promessa - e concessa - alla veri-
t quella stessa della menzogna pi abile, della finzione pi astuta? Questione aperta. Situandoci
ora sul piano pi preciso della drammaturgia della trasgressione, diremo che la sottosequenza in e-
same, in quanto l'impostura a cui si riduce l'apparente devozione di Tartuffe non occupa, nella rap-
presentazione che la definisce, un posto meno importante del suo tentativo d'adulterio, apporta si-
multaneamente il complemento di una prima verifica alla denuncia di Damis e il suggello di un'ulte-
riore conferma alle denunce di Dorine e di Clante. Essa esplica dunque, nella struttura drammatur-
gica, una funzione che possiamo identificare come la verifica di tutte le diverse denunce di cui, in
precedenza, la trasgressione era [171] stata oggetto. Le due scene successive (IV, VI; IV, VII)
drammatizzano, intrecciandole, la sottosequenza intermedia che si aggiunge, dall'esterno, alla figura
di base e la seconda sottosequenza dell'epifania della trasgressione - naturalmente, la relativa pro-
miscuit di queste sotto sequenze a livello della drammaturgia di superficie non infirma minima-
mente il loro rapporto di successione (e, come si vedr, d'implicazione) nel tempo strutturale della
drammaturgia profonda. La sottosequenza intermedia che divide, iscrivendovisi, il terzo lato del tri-
angolo di base, altro non che il tanto atteso riconoscimento di Orgon, la sua presa di coscienza
della frode commessa da Tartuffe. Ora, tale riconoscimento si caratterizza, immediatamente, come
inefficace. Quando esso si produce, Orgon si trova gi, infatti, in una posizione di debolezza nei
confronti di Tartuffe, al quale ha trasferito, con la donazione del terzo atto, la propriet di tutte le
sue ricchezze. Nel momento in cui addiviene al sapere, allorch infine riconosce la frode di cui
vittima, Orgon ha perduto ormai ogni potere, e il suo sapere non vale, per ci stesso, pi di quello
che gi possedevano Clante, Damis, Dorine, e insomma tutti gli altri (impotenti) personaggi della
commedia. giocoforza constatare, a questo punto, che la congiunzione del potere e del sapere
testualmente preclusa a tutti gli attori - a tutti quelli, beninteso, apparsi fino ad ora sulla scena. Per
tutti questi personaggi, il potere e il sapere costituiscono i termini di un'alternativa irriducibile: o-
gniqualvolta uno di essi occupa, o va ad occupare il posto del sapere, il posto del potere gli gi di-
venuto inaccessibile. In quest'alternativa, strutturalmente prevista dal testo, risiede la loro profonda
debolezza; da quest'alternativa, il personaggio del trasgressore trae tutta la sua forza. Per il fatto di
caratterizzarsi come inefficace, il riconoscimento di Orgon non , sul piano della pura evoluzione
drammaturgica, meno funzionale. Esso precipita infatti l'epifania della trasgressione di Tartuffe, ne
accelera il ritmo, ne scatena il divenire. Esasperato dall'ingiunzione (inefficace) con cui Orgon pre-
tende di scacciarlo, Tartuffe reagisce minacciando a sua volta di scacciare Orgon, ossia rivendican-
do, e ritorcendo, l'imposizione stessa che gli era stata rivolta:
ORGON
[...]
1556 Il faut, tout surle champ, sortir de la maison. [172]
TARTUFFE
C'est vous d'en sortir, vous qui parlez en matre:
La maison m'appartient, je le ferai connatre,
Et vous montrerai bien qu'en vain on a recours,
Pour me chercher querelle, ces lches dtours,
Qu'on n'est pas o l'on pense en me faisant injure,
Que j'ai de quoi confondre et punir l'imposture,
Venger le Ciel qu'on blesse, et faire repentir
Ceux qui parlent ici de me faire sortir.
97
Trascuriamo pure, in questa sede, l'inquietante bellezza della risposta di Tartuffe (risposta che,
sia detto fra parentesi, va infinitamente al di l della semplice sfrontatezza, e c'introduce nel mistero
di una menzogna ormai senza ragione, nel delirio di un'ipocrisia che prolifera su se stessa e che si
esercita nel vuoto) e limitiamoci a osservare che questa minaccia inattesa, questa ritorsione improv-
visa dell'ingiunzione ricevuta definiscono, precisamente, la seconda sottosequenza dell'epifania del-
la trasgressione. In quanto comporta un'imposizione che Tartuffe non esita a ritorcere, il riconosci-
mento di Orgon opera dunque come un dispositivo che implica il passaggio dalla prima alla seconda
sottosequenza dell'epifania, facendo salire la trasgressione di un grado, completandone la manife-
stazione con un potenziamento. Ora, questa nuova sottosequenza assolve, nella drammaturgia del
testo, due funzioni distinte. In primo luogo, per il fatto stesso d'identificarsi a un supplemento di tra-
sgressione (la minaccia di esproprio) che n la denuncia di Damis, n quelle di Dorine e di Clante
avevano previsto, essa richiede e motiva la formulazione di una nuova denuncia che l'assuma come
oggetto. Essa rilancia quindi la drammaturgia della trasgressione, pre-scrivendo una quarta appari-
zione della figura di base. In secondo luogo, essa fornisce una risposta derisoria alla sequenza del
disconoscimento, rovesciando ironicamente il supplemento di credito di cui tale sequenza si era
raddoppiata. Si noter, a questo riguardo, la perfetta simmetria con cui l'esproprio di Tartuffe ripro-
duce, capovolgendola, la donazione concessa da Orgon. Per maggior esattezza, bisognerebbe di-
stinguere due usi contrari che Orgon e Tartuffe fanno dello stesso legame giuridico, o ancora due
opposti significati che il medesimo contratto assume, a seconda che lo si consideri dal punto di vista
dell'uno o dell'altro dei due personaggi. Dal [173] punto di vista di Orgon, la donazione costituisce
il mezzo pi sicuro per garantire la propria successione a Tartuffe, frustrandone i suoi eredi legitti-
mi. Grazie ad essa - com'egli stesso, del resto, ci dice a chiare lettere: Je ne veux point avoir d'au-
tre hritier que vous - Orgon intende dunque assicurare a Tartuffe il possesso futuro del suo pa-
trimonio, ossia metterlo in condizione di fruirne anche dopo la sua morte. Dal punto di vista di Tar-
tuffe, la donazione rappresenta invece uno strumento per rivendicare la propriet immediata ed e-
sclusiva della fortuna di Orgon; egli se ne serve quindi per spogliare Orgon del possesso presente
dei suoi propri beni, per metterlo cio, fin d'ora e per sempre, nell'impossibilit di fruirne. Come si
vede, le posizioni di Tartuffe e di Orgon si strutturano, in relazione a un'istanza-spartiacque costitui-
ta dal contratto di donazione, secondo le leggi della pi rigorosa inversione speculare: l'esproprio a
scadenza immediata di cui il primo minaccia il secondo impugnando tale contratto, disegna l'imma-
gine simmetrica e capovolta del significato che il secondo, stipulandolo, aveva inteso conferirgli -
quello di un dono a lungo termine, di un lascito. Ancora una volta, dunque, a un supplemento di ge-
nerosit Tartuffe risponde con un supplemento d'ingratitudine, e ancora una volta la sua risposta
tale che la dinamica della trasgressione e la logica dell'ironia - del rovesciamento ironico - vengono
a coincidere.
Siamo giunti cos al livello estremo dello sviluppo drammaturgico, alle soglie, quasi, dell'epilogo
della commedia. Ricominciamo allora, per l'ultima volta, la nostra ispezione del triangolo di base.
Atto quinto, scena III:
MADAME PERNELLE
1642 Qu'est-ce? J'apprends ici de terribles mystres.
ORGON
Ce sont des nouveauts dont mes yeux sont tmoins,
Et vous voyez le prix dont sont pays mes soins.
Je recueille avec zle un homme en sa misre,
Je le loge, et le tiens comme mon propre frre;
De bienfaits chaque jour il est par moi charg;
Je lui donne ma fille et tout le bien que j'ai;
Et, dans le mme temps, le perfide, l'infame,
Tente le noir dessein de suborner ma femme [174]
Et non content encore de ces lches essais,
Il m'ose menacer de mes propres bienfaits,
98
Et veut, ma mine, user des avantages
Dont le viennent d'armer mes bonts trop peu sages,
Me chasser de mes biens, o je l'ai transfr,
Et me rduire au point d'o je l'ai retir.
, nel testo, la quarta ed ultima denuncia della trasgressione di Tartuffe. Si noter, immediata-
mente, come nella situazione dialogica in cui essa s'inscrive, Orgon vada ad occupare il posto di de-
stinatore che era stato, in precedenza, di Damis, Dorine e Clante, mentre Mme Pernelle lo sostitui-
sce al suo antico posto di destinatario. Avremo modo, analizzando la sequenza del disconoscimento,
di considerare con la dovuta attenzione questo clamoroso rovesciamento della posizione di Orgon
nel circuito comunicativo. Limitiamoci, per il momento, ad alcune osservazioni interne sulla struttu-
ra della sua denuncia. Come gi quella di Damis, ma forse ancor pi vistosamente, questa denuncia
costituisce un racconto nel racconto, un'occasione che il testo si offre per narrare nuovamente, a uno
dei suoi personaggi, ci che ha appena raccontato al suo lettore. In quanto tale - in quanto cio gli
enunciati che raggruppa hanno come oggetto un'altra serie di enunciati appartenenti al medesimo
testo - essa si lascia ricondurre a quella che abbiamo gi riconosciuto essere la dimensione metate-
stuale della commedia di Molire. Ora, la materia testuale ripresa e condensata nel frammento di
metatesto articolato da Orgon, non nulla di meno che tutta la vicenda svoltasi fino al momento
della sua presa di parola - la storia stessa, dunque, a cui il testo s'identifica. Ed. per noi davvero
confortante costatare come tutta questa materia, tutta questa storia, sia riassunta e commentata pre-
cisamente dal punto di vista della legge dello scambio: in quanto pagamento mancato o compenso
derisorio dei propri benefici che Orgon denuncia a Mme Pernelle le tappe successive della trasgres-
sione di Tartuffe; o meglio, in quanto comportano un simile pagamento mancato, un simile com-
penso derisorio, che i vari atteggiamenti di Tartuffe possono apparire come tappe di una trasgres-
sione, e a questo titolo essere denunciati da Orgon. Ma vi di pi. Lungi dal limitarsi a definire la
legge globale in rapporto a cui si situa la trasgressione di Tartuffe (in rapporto a cui il comporta-
mento di Tartuffe si situa come trasgressivo), il metatesto [175] di Orgon enuncia, in tutto il suo ri-
gore, la legge della trasgressione stessa - ossia la logica a cui obbedisce, nello spazio del testo, la
sua manifestazione. Le ripetute antitesi chiamate a rappresentare, negli ultimi cinque versi del
frammento citato, la particolare relazione esistente fra l'esproprio minacciato da Tartuffe e la dona-
zione concessa da Orgon non permettono di nutrire dubbi a questo riguardo. Evocando insistente-
mente, per mezzo del sistematico ricorso alla figura dell'antitesi, la simmetria capovolta che articola
la minaccia di Tartuffe alla concessione di Orgon, e pi generalmente l'ingratitudine del primo alla
generosit del secondo, il testo mette a nudo la logica della trasgressione in quanto meccanica dell'i-
ronia, ovvero esplicita la legge del rovesciamento ironico che regola la dinamica interna della tra-
sgressione di Tartuffe. Ingrandendo leggermente la nostra scala d'osservazione, vorremmo adesso
sottolineare la profonda coerenza che unisce le denunce di Orgon e di Damis, o pi esattamente le
interpretazioni metatestuali di cui esse si fanno veicolo: l'una e l'altra definiscono infatti la stessa
trasgressione, mettono in gioco la stessa forma d'illegalit, presuppongono la medesima legge. Ora,
questa coerenza troppo rigorosa, troppa calcolata, per non indurci a considerare le due denunce
come diversi (capitoli di un solo metatesto, che accompagnerebbe il testo lungo tutto lo sviluppo
della sua drammaturgia. Formuliamo dunque l'ipotesi che tutte le denunce che si susseguono nel
corso della commedia costituiscano i frammenti disseminati di un'unica istanza metatestuale, che
raddoppia, alla stregua di un apparato di auto-interpretazione, il dispiegarsi del testo su tutta la sua
superficie. Naturalmente, perch una simile ipotesi possa essere presa sul serio, necessario conce-
pire le denunce di Dorine e di Clante come auto-interpretazioni prospettive elaborate dal testo - in
opposizione alle auto-interpretazioni retrospettive, rappresentate dalle denunce di Orgon e di Da-
mis. Dopotutto, allorch Dorine e Clante denunciano l'ipocrisia di Tartuffe, non annunciano forse
ci che il testo ci mostrer gradualmente, non ne anticipano insomma il successivo sviluppo? E
quando Clante presenta l'ipocrisia di Tartuffe come una posizione d'illegalit nel circuito di scam-
bio che questi intrattiene con Orgon, non elabora forse, dei fatti che anticipa, un'interpretazione ri-
gorosamente coerente con quella che Orgon e Da-[176]mis forniranno dei fatti che s'incaricheranno
99
di ripetere? L'anticipazione di Clante non forse, in altri termini, perfettamente omogenea ai ri-
chiami di Orgon e di Damis? Assumendo ormai a nostro carico l'ipotesi appena formulata, diremo
allora che la lettura del Tartuffe come drammaturgia di una trasgressione della legge dello scambio
costituisce, ancor prima e ancor pi che la nostra interpretazione, quella che il testo, per mezzo
dell'apparato metatestuale di aui si raddoppia, ci fornisce di s.
La seconda sequenza della figura di base d luogo alla bellissima rappresentazione del discono-
scimento di Mme Pernelle. Questa rappresentazione si radica, o s'inscrive, in una situazione comuni-
cativa notevolmente diversa da quella messa in gioco nelle due precedenti apparizioni della figura
di base. In primo luogo, senza ancora considerare l'identit degli attori che ricoprono i ruoli di de-
stinatore e destinatario, facile osservare che la struttura stessa di uno di questi ruoli si modifica-
ta. Laddove il ruolo di destinatore della denuncia (e destinatario del disconoscimento) continua ad
essere definito dalla presenza del sapere e dall'assenza del potere, quello di destinatario della de-
nuncia (e destinatore del disconoscimento) non pi caratterizzato dall'assenza del sapere e dalla
presenza del potere, ma dall'assenza di entrambi questi elementi. Nello stadio attuale dello sviluppo
drammaturgico, il posto del potere divenuto inaccessibile a tutti i personaggi - a tutti, beninteso,
tranne al personaggio del sovrano, la cui manifestazione, o meglio la cui evocazione sulla scena
(giacch il sovrano non si manifesta mai se non attraverso la mediazione di un altro, che lo rappre-
senta e ne fa le veci) coincider con la fine della trasgressione, e con l'epilogo della commedia. Tut-
tavia, soprattutto a livello degli attori che s'inscrivono in queste caselle strutturali, che la diversit
della nuova situazione comunicativa si rende sensibile. Abbiamo gi rilevato come Orgon divenga
qui il destinatore della stessa denuncia di cui era stato, per eccellenza, il destinatario. Aggiungiamo
che egli si vede opporre da Mme Pernelle il medesimo disconoscimento che, in passato, egli stesso
aveva opposto alle denunce di Damis e di Clante. Il capovolgimento della sua posizione , come si
vede, completo e sconcertante. Del resto, gli effetti di comicit, davvero irresistibili, ottenuti nella
scena in esame, appaiono assolutamente inseparabili da questo [177] processo d'inversione. Se ri-
diamo dell'irriducibile ostinazione di Mme Pernelle, del suo delirante rifiuto di credere, non forse,
innanzitutto, perch Orgon, proprio Orgon a farne le spese? La comicit del disconoscimento di
Mme Pernelle non risiede tanto, o non risiede soltanto nell'indubbia efficacia della sua rappresenta-
zione, ma anche e soprattutto nella qualit della situazione dialogica in cui s'inserisce - situazione
che, ancora una volta, comporta il rovesciamento derisorio della posizione di Orgon. Il contesto
comunicativo presupposto dalla sequenza del disconoscimento, nella quarta apparizione della figura
di base, si oppone dunque a quello messo in gioco dalla medesima sequenza, nelle sue passate appa-
rizioni, a un duplice livello: strutturale, da una parte, poich il ruolo di destinatario della denuncia (e
destinatore del disconoscimento) vi riceve una trasformazione corrispondente alla nuova inaccessi-
bilit del posto del potere; attoriale, d'altra parte, poich Orgon vi gioca un ruolo diametralmente
opposto a quello che aveva svolto nel secondo e nel terzo stadio dello sviluppo drammaturgico.
La terza sequenza della figura di base, l'epifania della trasgressione sovrana, si dispiega su una
superficie testuale che comprende le scene IV, V e (parzialmente) VI del quinto atto. Come la se-
quenza omologa nella precedente iscrizione della serie ternaria, essa si suddivide in due sottose-
quenze fra le quali s'inserisce, in guisa di sottosequenza intermedia, il riconoscimento da parte del
destinatario della denuncia (qui, Mme Pernelle) della trasgressione che aveva, in un primo momento,
disconosciuto. Avremo cos una catena di tre sottosequenze (a)-(b)-(a') corrispondenti, rispettiva-
mente, alla realizzazione dell'esproprio minacciato nel quarto atto, al riconoscimento della trasgres-
sione disconosciuta, al potenziamento di cui, manifestandosi, questa trasgressione si raddoppia. Le
sottosequenze (a) e (b) sono agevolmente identificabili e non meritano, mi sembra, un'analisi parti-
colareggiata. A proposito di (a) sar sufficiente ricordare che l'entrata in scena di Loyal - l'emissario
attraverso la cui mediazione Tartuffe rende effettiva la sua minaccia di esproprio - non ha affatto la
funzione di verificare, cumulativamente, tutte le denunce che avevano assunto la trasgressione come
oggetto, o, il che lo stesso, di confermare in tutti i suoi punti la denuncia cumulativa articolata da
Orgon. Essa si limita a certificare, sotto gli occhi del destinatore del [179] disconoscimento, ci che
nell'ultima denuncia vi era di specifico, ossia il supplemento di trasgressione che, per il fatto stesso
100
di esorbitare dalle altre denunce, ne aveva motivato e pre-scritto la formulazione. Da questo punto
di vista la nuova epifania - a livello, beninteso, della sua prima sottosequenza - si distingue netta-
mente da quelle che l'avevano preceduta, le quali, come si ricorder, avevano precisamente la fun-
zione di verificare, in una volta, tutte le denunce formulate (e disconosciute) prima della loro iscri-
zione nella struttura drammaturgica. Per quanto riguarda la sottosequenza intermedia, vorremmo
soltanto rilevare che essa genera, nel testo, una situazione tale che tutti i personaggi sanno, ma nes-
suno di essi pu: l'universale diffusione del sapere stata pagata - si potrebbe dire mimando il lin-
guaggio di Molire - con la completa volatilizzazione della dimensione del potere; uno scambio a-
berrante ha avuto luogo, in virt del quale i personaggi presenti sulla scena hanno pagato l'acquisto
di un sapere sulla trasgressione con la perdita del loro potere di reprimerla. Pi complesso, e pi dif-
ficilmente determinabile, appare lo statuto della sottosequenza (a'). Osserviamo, per cominciare, che
tale sottosequenza non coincide con nessuno degli episodi rappresentati sulla scena, bens con un
evento che vi risulta semplicemente evocato, attraverso il racconto di uno dei personaggi - Valre,
l'amante di Mariane. Essa comporta per ci stesso una certa sfasatura fra la drammaturgia profonda
e la drammaturgia di superficie, poich il medesimo evento che nella seconda si situa su un piano
metadiegetico nettamente distinto da quello, diegetico10, su cui s'inscrivevano, ad esempio, gli in-
contri di Elmire e di Tartuffe o l'arrivo di Monsieur Loyal, possiede nella prima uno statuto identico
a quello che definisce questi eventi - o meglio le sequenze e le sottosequenze a cui essi s'identifica-
no. Ecco, in ogni caso, il racconto con cui Valre ci mette al corrente del fatto in cui abbiamo rico-
nosciuto la seconda sottosequenza dell'epifania della trasgressione:
1827 Avec regret, Monsieur, je viens vous affliger;
Mais je m'y vois contraint par le pressant danger.
Un ami, qui m'est joint d'une amiti fort tendre,
Et qui sait l'intrt qu'en vous j'ai lieu de prendre,
A viol pour moi, par un pas dlicat,
Le secret que l'on doit aux affaires d'tat, [179]
Et me vient d'envoyer un avis dont la suite
Vous rduit au parti d'une soudaine fuite.
Le fourbe qui longtemps a pu vous imposer
Depuis une heure au Prince a su vous accuser,
Et remettre en ses mains, dans les traits qu'il vous jette,
D'un criminel d'tat l'importante cassette,
Dont, au mpris, dit-il, du devoir d'un sujet,
Vous avez conserv le coupable secret.
J'ignore le dtail du crime qu'on vous donne;
Mais un ordre est donn contre votre personne;
Et lui-mme est charg, pour mieux l'excuter,
D'accompagner celui qui vous doit arrter.
Il resoconto di Valre ci autorizza indubbiamente ad inferire l'esistenza di un supplemento, o di
un progresso, nella drammaturgia della trasgressione. Come avevamo appreso nella prima scena del
quinto atto11, Orgon aveva affidato alla custodia di Tartuffe alcuni importanti e segreti documenti
che egli aveva a sua volta ricevuto da Argas - un amico costretto all'esilio e ricercato dalla giustizia
del re. Esibendo ora di fronte al sovrano questi documenti servendosene come di altrettante prove
per far incriminare il suo benefattore, tradendo dunque, al tempo stesso, la generosit, l'amicizia e la
fiducia di Orgon, Tartuffe compie un ultimo passo in avanti nell'itinerario della frode, varca un'ul-
tima soglia o un ultimo gradiente nella scala d'intensit dell'ingratitudine. Le cose si complicano no-
tevolmente, tuttavia, non appena si considera che la denuncia formulata da Tartuffe gioca simulta-
neamente su due piani, o su due scene, e che, per di pi, essa assume un significato opposto a se-
conda dell'ordine in cui s'inscrive, in funzione della scena sulla quale interviene: sulla scena privata,
familiare, della relazione Orgon-Tartuffe essa costituisce, l'abbiamo visto, un abuso di fiducia e un
tradimento; ma, sulla scena pubblica della relazione Tartuffe-Prince, essa rappresenta il servizio ze-
lante di un cittadino e di un suddito ansioso di difendere l'interesse del suo Stato e del suo sovrano
101
12. Quest'ambivalenza, questa duplicit di significati verr pienamente esplicitata, del resto, nell'ul-
tima scena della commedia, allorch in presenza dell'ufficiale di polizia Tartuffe e Orgon forniranno
due interpretazioni opposte della denuncia di cui sono stati, rispettivamente, il destinatore e l'ogget-
to: [180]
ORGON
1877 Mais t'es-tu souvenu que ma main charitable,
Ingrat, t'a retir d'un tat misrable?
TARTUFFE
Oui, je sais quels secours j'en ai pu recevoir;
Mais l'intrt du Prince est mon premier devoir;
De ce devoir sacr la juste violence
touffe dans mon cur toute reconnaissance,
Et je sacrifierais de si puissants nuds
Ami, femme, parents, et moi-mme avec eux.
Atto d'ingratitudine e di slealt dal punto di vista sostenuto da Orgon; servizio leale e dovere di
suddito dal punto di vista difeso (ovviamente) da Tartuffe: tale il duplice statuto della denuncia
rivolta al sovrano, tale l'ambivalenza generata, nel testo, dall'apertura di una seconda scena - pub-
blica, politica - che va ad iscriversi a fianco della prima - domestica, privata - e appare caratterizza-
ta, in rapporto ad essa, da valori contrari, da posizioni capovolte. Dobbiamo seriamente interrogarci,
a questo punto, sulla validit della definizione che abbiamo dato di (a'): possiamo ancora, dopo
quanto abbiamo detto, considerare questa sotto sequenza, e la denuncia a cui essa s'identifica, come
un semplice supplemento di trasgressione? Possiamo, ci sembra, e anzi dobbiamo, ma precisamente
a condizione di considerare che la trasgressione non mai semplice, che essa non pu in alcun caso
assumere un significato univoco, o meglio che essa non pu sussistere se non in quanto e fino a
quando resiste a un'interpretazione che la riduca a un tal significato. Quale trasgressione, infatti, a-
vrebbe soltanto un'opportunit di realizzarsi, se a tutti i livelli dell'ordine sociale essa si manifestas-
se come tale, se essa non trovasse fra i livelli e le istanze di quest'ordine dei margini d'idiosinorasia
o di paradosso in cui insinuarsi, in cui introdursi e prosperare? Dalla disgiunzione della scena pub-
blica e della scena privata, dell'ordine politico e dell'ordine domestico, la trasgressione trae la sua
attuale possibilit di esistere, proprio come, in precedenza, aveva trovato nella separazione del sape-
re e del potere la base del suo sviluppo, il fondamento della sua drammaturgia. E che cosa mai la
frode, e quale mai l'arte di Tartuffe ou l'imposteur, se non questo straordinario talento di scopri-
re o d'inventare dei punti d'idiosincrasia fra le grandi istanze della [181] legge, se non quest'incredi-
bile prontezza a sfruttare i divari che si aprono quando si cambia di livello, quando si passa dal po-
tere al sapere, dalla famiglia alla nazione, e insomma da una dimensione all'altra dell'ordine sociale?
Per finire, un'ultima puntualizzazione. Abbiamo visto come, nel secondo e terzo stadio dello svilup-
po drammaturgico, l'ingratitudine di Tartuffe tendesse sistematicamente a riprodurre, capovolgen-
dola, la generosit di Orgon, con il risultato di far coincidere la dinamica della trasgressione con una
logica dell'ironia. Sappiamo anche, pi precisamente, che il rovesciamento ironico si situava a livel-
lo delle due sequenze del disconoscimento e dell'epifania, in quanto i supplementi di trasgressione
di cui la seconda si raddoppiava disegnavano l'immagine capovolta dei supplementi di credito di cui
la prima si era accompagnata. Ora, si deve escludere a priori che la sequenza dell'epifania possa
comportare, nella presente apparizione della figura di base, il rovesciamento ironico della sequenza
del disconoscimento: quest'ultima, infatti, non vi si arricchisce di nessun supplemento di credito di
cui il supplemento di trasgressione possa rinviare l'immagine inversa ma simmetrica. Ci significa
forse che la dinamica della trasgressione e la logica dell'ironia hanno cessato di coincidere? Osser-
viamo con pi attenzione: se si commisura la denuncia a cui il supplemento di trasgressione si ridu-
ce con quella che definisce la prima sequenza della serie ternaria, si noter che esse intrattengono
un rapporto estremamente preciso e tutt'altro che casuale. Dati i due circuiti comunicativi istituiti
dall'atto reiterato della denuncia e comprendenti ciascuno tra ruoli - il destinatore, il destinatario e
102
l'oggetto della denuncia formulata -, i personaggi che occupano i ruoli di destinatore e di oggetto -
Orgon e Tartuffe - si scambiano infatti le parti dall'uno all'altro circuito, Tartuffe assumendo nel se-
condo il ruolo di destinatore che Orgon giocava nel primo, e Orgon ricoprendovi il ruolo di oggetto
che nel primo era Tartuffe a rivestire. A livello di due fra i tre personaggi che vi s'inscrivono, i due
circuiti comunicativi si articolano dunque secondo un rapporto d'inversione speculare, il che ci au-
torizza beninteso ad inferire che la denuncia costitutiva della prima sequenza della figura di base si
rovescia ironicamente in quella a cui la terza sequenza - la sottosequenza finale della terza sequenza
- s'i-[182]dentifica. Come si vede, la dinamica della trasgressione non si affatto separata dalla lo-
gica dell'ironia: semplicemente, il meccanismo dell'inversione ironica non opera pi fra la seconda e
la terza sequenza, fra il disconoscimento e l'epifania, ma fra l'epifania e la denuncia, fra la terza e la
prima sequenza della figura di base. Nulla di pi esatto, del resto, nulla di pi strutturalmente ne-
cessario di questo spostamento del punto d'applicazione dell'inversione ironica: al momento in cui
Orgon - la vittima, il defraudato - cessa di essere il protagonista del disconoscimento per divenire
l'eroe della denuncia, ecco che Tartuffe non programma pi la sua trasgressione come il capovolgi-
mento derisorio del disconoscimento ma precisamente come quello della denuncia, ecco che il col-
pevole, il frodatore, riorganizza l'epifania della sua frode in modo tale da poter nuovamente ironiz-
zare sul mutato atteggiamento della sua vittima. In questo senso si pu dire che, anche ammettendo
per assurdo che una simmetria capovolta fra la sequenza dell'epifania e la sequenza del disconosci-
mento fosse empiricamente possibile (e non esclusa a priori dall'assenza di ogni supplemento di
credito), la necessit strutturale ne vieterebbe ugualmente l'attualizzazione, giacch la logica dell'i-
ronia non trova la sua completa esattezza, non riceve il suo pieno significato, se non in quanto il
comportamento del trasgressore si configura come il capovolgimento derisorio di quello della sua
vittima - ossia di Orgon e di Orgon soltanto, non di uno qualunque dei personaggi della commedia.
Non ci resta ormai che descrivere l'epilogo del testo, ossia quello stadio conclusivo della dram-
maturgia profonda che comporta, nello stesso tempo e per il medesimo movimento, la repressione
della frode e il ristabilimento del circuito dello scambio. Tale stadio conclusivo pu essere presenta-
to come una successione di quattro sequenze che denomineremo, nell'ordine, (a) credito, (b) sovra-
nit, (c) sudditanza, (d) pagamento. Diciamo subito, prevenendo eventuali (e giustificate) obiezioni,
che questa denominazione puramente arbitraria, e risponde unicamente a delle esigenze di como-
dit: (b) e (c) contengono infatti degli elementi di 'pagamento' suscettibili di giustificare, in linea di
principio, l'estensione alle suddette sequenze di un'etichetta che, per ragioni di chiarezza, abbiamo
preferito riservare alla sola sequenza (d) - in [183] particolare, come vedremo, la sudditanza non
altro che la forma di pagamento dovuta alla sovranit. Senza attardarci pi oltre su questo problema
nominale - e supponendo che il lettore ci conceda, in virt della loro strumentalit, delle designa-
zioni di diritto abbastanza incerte -, veniamo adesso all'analisi delle singole sequenze.
La prima di esse si ritaglia nella scena VI del quinto atto, obbligando ci cos - poich in questa
medesima scena avevamo gi riconosciuto l'ultimo elemento dell'epifania della trasgressione - a ri-
vendicare una volta di pi la completa indipendenza della drammaturgia profonda dalla drammatur-
gia di superficie: ci che a livello dell'una si presenta come un blocco omogeneo (una scena), pu
benissimo scomporsi, a livello dell'altra, in due segmenti fra i quali s'insinua la frattura probabil-
mente pi radicale di tutta la commedia - ossia la frontiera che separa la fase culminante della tra-
sgressione di Tartuffe dal suo improvviso declino, dalla sua brusca repressione. Ora, questa sequen-
za in cui si demarca, in tutta la sua forza, la reciproca irriducibilit delle due drammaturgie, trova il
suo punto d'iscrizione, sul piano della manifestazione linguistica, nell'offerta d'aiuto che Orgon, mi-
nacciato d'arresto dopo la denuncia di Tartuffe, riceve da Valre:
1848 Le moindre amusement vous peut tre fatal.
J'ai, pour vous emmener, mon carrosse la porte,
Avec mille louis qu'ici je vous apporte.
Ne perdons point de temps: le trait est foudroyant,
Et ce sont de ces coups que l'on pare en fuyant.
vous mettre en lieu sur je m'offre pour conduite,
103
Et veux accompagner jusqu'au bout votre fuite.
In conformit con una legge che ci ormai divenuta familiare, il gesto di Valre viene immedia-
tamente valutato, nella logica del testo, da un punto di vista rigorosamente economico, come un
servizio cio che dovr essere ripagato, o come un credito che si tratter di rimborsare:
ORGON
Las! que ne dois-je point vos soins obligeants!
Pour vous en rendre grce il faut un autre temps;
Et je demande au Ciel de m'tre assez propice,
Pour reconnatre un jour ce gnreux service. [184]
Le attenzioni di Valre sono dunque obligeant(e)s - parola in cui evidentissima l'impronta
del verbo latino ligare, e che interpreteremo qui, restituendola al suo valore etimologico, nel senso
dell'istituzione di un vincolo, della fondazione di un legame. Con la sua generosit, Valre obb-liga
Orgon, lo lega a s, lo fa dipendere da un vincolo - da un obbligo - di cui il testo non manca di sug-
gerire la natura economica al lettore attento alle peripezie della lettera, poich gli fa segno che ben
in qualit di debitore (que ne dois-je point [...]) che Orgon obbligato, e che lo sar fino a quan-
do non potr rendre grce, con una giusta ricompensa13, all'aiuto che gli stato generosamente
offerto. In un universo in cui nulla gratuito, e in cui le relazioni fra i personaggi tendono natural-
mente ad esprimersi nel linguaggio dell'economia, la proposta d'aiuto avanzata da Valre istituisce
un vincolo da creditore a debitore, apre un circuito di credito che il seguito del testo s'incaricher di
chiudere, o, pi esattamente, crea una situazione in cui il lettore viene indotto a prevedere un segui-
to tale che questo circuito potr alla fine essere chiuso. Spingere il lettore a programmare un deter-
minato sviluppo dell'intreccio, anticipare ai suoi occhi una futura (e conclusiva) sequenza di paga-
mento: tale sembra essere dunque la funzione ricoperta dalla sequenza (a) nella dinamica della
drammaturgia profonda.
Sia ora la sequenza (b). Chiamiamo sovranit l'insieme di atti, di giudizi, di pensieri che l'ufficia-
le, nell'ultima scena del V atto, attribuisce al principe, o compie ed esprime in suo nome. La secon-
da sequenza dell'epilogo coincide dunque con l'intervento del sovrano, nella mediazione e nel rac-
conto che ce ne offre il personaggio che funge da suo portavoce. Tale intervento comporta, somma-
riamente, due grandi conseguenze, che identificheremo come (i) la punizione di Tartuffe e (ii) il
perdono di Orgon. La punizione del trasgressore, la repressione della frode, perentoriamente e-
nunciata dall'ufficiale fin dalle prime battute del suo discorso (vv. 1899-1902), allorch rompendo
infine il suo silenzio, egli svela che il vero scopo della sua missione non , come tutti i personaggi
avevano creduto, l'arresto di Orgon, bens, contrariamente all'aspettativa generale, quello di Tartuf-
fe. Tutta la tirata che segue, almeno fino al v. 1936, mira a giustificare quest'inattesa rivelazione,
come l'ufficiale stesso, del resto, ci lascia intende-[185]re, quando risponde a Tartuffe, che chiede
spiegazioni sul suo arresto: Ce n'est pas vous qui j'en veux rendre raison. Egli vuol dunque, ef-
fettivamente, rendere ragione dell'arresto che ha annunciato, sebbene, certo, non a Tartuffe, ma
ad Orgon, a cui subito dopo si rivolge, e al lettore naturalmente, la cui curiosit s'insinua, e si fa
schermo, dietro allo stupore dei vari personaggi. Assumeremo quindi che il discorso dell'ufficiale si
propone, per ammissione del suo stesso autore, di rendere conto dell'imprigionamento di Tartuffe,
ossia della sconfitta riportata dalla trasgressione, della disfatta subita dalla frode. A questo titolo - e
quale che sia l'intenzione pre-testuale che pu aver animato Molire al momento della sua stesura -
esso merita tutta la nostra attenzione. Spetter poi all'analisi stabilire se esso esplica realmente la
funzione che si arroga - giustificare il trionfo della legge - o se al contrario, nell'inadempienza del
suo compito strutturale, esso non risponda di fatto che all'esigenza pre-testuale di rendere un osse-
quioso omaggio a Louis XIV.
L'EXEMPT
[...]
1905 Remettez-vous, Monsieur, d'une alarme si chaude.
Nous vivons sous un Prince ennemi de la fraude,
104
Un Prince dont les yeux se font jour dans les curs,
Et que ne peut tromper tout l'art des imposteurs.
D'un fin discernement sa grande me pourvue
Sur les choses toujours jette une droite vue;
Chez elle jamais rien ne surprend trop d'accs,
Et sa ferme raison ne tombe en nul excs.
Il donne aux gens de bien une gloire immortelle;
Mais sans aveuglement il fait briller ce zle,
1915 Et l'amour pour les vrais ne ferme point son cur
tout ce que les faux doivent donner d'horreur.
Celui-ci n'tait pas pour le pouvoir surprendre,
Et de piges plus fins on le voit se dfendre.
D'abord il a perc, par ses vives clarts,
Des replis de son cur toutes les lchets.
Venant vous accuser, il s'est trahi lui-mme,
Et par un juste trait de l'quit supreme,
S'est dcouvert au Prince un fourbe renomm,
Dont sous un autre nom il tait inform;
1925 Et c'est un long dtail d'actions toutes noires
Dont on pourrait former des volumes d'histoires.
Ce monarque, en un mot, a vers vous dtest [186]
Sa lche ingratitude et sa dloyaut;
A ses autres horreurs il a joint cette suite,
Et ne m'a jusqu'ici soumis sa conduite
Que pour voir l'impudence aller jusques au bout,
Et vous faire par lui faire raison de tout.
Oui, de tous vos papiers, dont il se dit le matre,
Il veut qu'entre vos mains je dpouille le tratre.
1935 D'un souverain pouvoir, il brise les liens
Du contrat qui lui fait un don de tous vos biens,
Et vous pardonne enfin cette offense secrte
O vous a d'un ami fait tomber la retraite;
Et c'est le prix qu'il donne au zle qu'autrefois
On vous vit tmoigner en appuyant ses droits,
Pour montrer que son cur sait, quand moins on y pense,
D'une bonne action verser la rcompense,
Que jamais le mrite avec lui ne perd rien,
Et que mieux que du mal il se souvient du bien.
Si spesso preteso che l'intervento del sovrano, quale in questa lunga tirata l'ufficiale lo dram-
matizza, sia quello di un deus ex machina che sfida ogni verosimiglianza, compromettendo cos l'u-
nit stilistica della commedia. Per quanto ci riguarda, lasciamo volentieri ad altri l'arduo compito di
stabilire se il dnouement ideato da Molire si situi o no al di fuori del 'tono' generale del testo, e del
principio del verosimile che ne aveva, fino ad allora, governato l'intreccio. Situandoci immediata-
mente sul piano della drammaturgia profonda, osserveremo soltanto che il sovrano non gode affatto,
nella sua azione, di una libert illimitata, che cio il suo intervento, quand'anche sfuggisse al con-
trollo del principio di verosimiglianza, non sarebbe per questo abbandonato all'infinita libert del
caso, poich al contrario esso soggiace a tutte le leggi e le restrizioni impostegli da una rigorosa ne-
cessit strutturale. Abbiamo visto, analizzando le differenti apparizioni della figura di base, che la
trasgressione di Tartuffe trovava le sue condizioni di possibilit, da un lato in una separazione del
potere e del sapere che si manteneva lungo tutto lo sviluppo della sua drammaturgia, e d'altro lato
nella duplicit di significati che il suo ultimo elemento (la denuncia del tradimento di Orgon) rive-
stiva nelle due scene su cui andava ad inscriversi, o, il che lo stesso, nel punto d'idiosincrasia che
opponeva queste scene in rapporto alla denuncia che s'iscriveva in esse. Ora l'intervento del sovra-
no, nel resoconto che l'ufficiale ne fornisce, si struttura precisamente [187] in modo da sopprimere
105
questa duplice condizione di possibilit, saturando entrambi gli spazi in cui la trasgressione aveva
trovato rifugio. In primo luogo, infatti, il sovrano realizza nel suo comportamento una perfetta sin-
tesi del potere e del sapere. Si noter, a questo proposito, l'abbondanza dei lessemi attinti dai domini
della luce e dello sguardo - metafore canoniche del sapere e della conoscenza - nel discorso dell'uf-
ficiale. Gli occhi del sovrano, lo sappiamo, se font jour dans le curs, e la sua mente, armata del
pi sottile discernimento, sur les choses toujour jette une droite vue. Par ses vives clarts, d'al-
tronde, egli ha potuto penetrare (percer) la vera natura di Tartuffe, mettendo a nudo la segreta i-
gnominia del suo cuore. Come si vede, con insistenza davvero straordinaria che l'ufficiale indica
nel sapere una prerogativa del Principe - al punto che c' quasi da chiedersi se non ci si trovi di
fronte a un abbozzo di teoria politica che riconosca nel sapere una propriet costitutiva della sovra-
nit, e inseparabile dal potere assoluto. certo, in ogni caso, che la congiunzione del potere e del
sapere si realizza pienamente nel personaggio del sovrano, che sopprime cos la prima, fondamenta-
le condizione di possibilit della trasgressione. Ma non tutto. L'accusa che Tartuffe aveva formu-
lato ai danni di Orgon, se indubbiamente costituiva, sulla scena privata e familiare, un atto d'ingrati-
tudine e di slealt, rappresentava nondimeno, sulla scena pubblica e politica, un servizio reso allo
stato e al suo sovrano. Ora il principe, nel suo giudizio, lascia completamente cadere quest'aspetto
positivo del gesto di Tartuffe, e ne trattiene unicamente l'aspetto negativo. Egli impone dunque, sul-
la scena pubblica della sua parola, il significato che la denuncia di Tartuffe rivestiva sulla scena pri-
vata, mentre l'originario (e positivo) significato pubblico di questa denuncia si eclissa definitiva-
mente. Per il sovrano, l'atto di Tartuffe non costituisce in alcun modo un gesto di lealt nei suoi
confronti, ma soltanto un gesto di slealt e di tradimento nei confronti di Orgon. quanto l'ufficiale
ci dice a chiare lettere allorch, dovendo riassumere il giudizio di colui che rappresenta, dichiara la-
pidariamente: ce monarque, en un mot, a vers vous dtest sa lche ingratitude et sa dloyaut. In
una parola, dunque - ma in quest'unica parola tutto il resto si trova racchiuso - il sovrano ha detesta-
to la slealt e l'ingratitudine di Tartuffe, e questo sentimento ha prevalso in lui su ogni [188] altro,
cancellando dalla sua mente, e dal suo giudizio, l'aspetto politicamente positivo della denuncia indi-
rizzatagli. In tal modo, egli sopprime l'originaria ambivalenza dell'atto di Tartuffe, lo spoglia della
sua duplicit, lo restituisce a quel significato univoco che fa tutt'uno con la sua condanna. Privata di
entrambe le sue condizioni di possibilit, bandita dagli spazi che le permettevano di sussistere, la
trasgressione quindi, strutturalmente, votata a un'inesorabile sconfitta. Il gesto con cui il principe,
rompendo il contratto di donazione, frustra Tartuffe dei vantaggi della sua frode e quello, ancor pi
radicale, con cui lo condanna ad essere imprigionato, disoendono in linea retta da questa vittoria
strutturale della legge. Realizzando la congiunzione del potere e del sapere, riunificando la scena
privata e la scena pubblica (imponendo cio sulla seconda un valore che non aveva corso se non
all'interno della prima), il sovrano preclude alla trasgressione tutti i suoi luoghi d'iscrizione, satu-
rando nella struttura drammaturgica tutti i vuoti in cui essa poteva insinuarsi, tutti i margini in cui
poteva trovare rifugio. Testualmente dunque, e indipendentemente da ogni considerazione pre-
testuale, il discorso che Molire fa pronunciare all'ufficiale pienamente efficace, poich il trionfo
della legge che esso si propone di giustificare vi risulta di fatto giustificato, in virt di un'operazione
infallibilmente condotta sulla struttura drammaturgica.
Un problema, tuttavia, rimane in sospeso: quello della famigerata cassette di Argas, quello del
reato che Orgon aveva commesso celando alla giustizia dei documenti appartenenti ad un ribelle.
Ma l'azione del principe non sarebbe completa se, dopo aver represso la trasgressione di Tartuffe,
egli ne lasciasse sussistere in qualche modo gli effetti, e il suo comportamento apparirebbe quasi in-
coerente se, dopo aver egli stesso cancellato il significato politico della denuncia di Tartuffe, ne te-
nesse conto ora ai danni di Orgon. Alla punizione del colpevole far seguito cos il perdono dell'in-
nocente - innocente e colpevole dicendosi qui, unicamente, dei ruoli giocati da Tartuffe e da Orgon
in rapporto all'etica presupposta dal testo, ossia alla legge economica dello scambio. Perch, ecco
l'essenziale, proprio come Tartuffe, era imperdonabile, proprio come Tartuffe doveva essere punito
in quanto aveva peccato contro la sola legge che conti - quella incessantemente presupposta dal te-
sto -, cos ora Orgon pu essere perdonato perch il [189] suo reato risulta in ultima analisi tollera-
106
bile dal punto di vista di questa medesima legge. Il discorso dell'ufficiale (vv. 1937-1944) assolu-
tamente esplicito a questo riguardo. Il perdono il premio con cui il sovrano ripaga lo zelo che
un tempo Orgon gli aveva testimoniato, la ricompensa che egli concede per un servizio che un
tempo Orgon gli aveva reso. Come si vede, in omaggio a una sola e stessa legge, o piuttosto in
virt di un'identica economia, che Orgon pu essere perdonato e che Tartuffe deve essere punito:
perch sa fissare sempre il giusto prezzo, perch, pi di ogni altra cosa, teme di contravvenire alla
legge dello scambio, che il sovrano concede a Orgon il suo perdono; perch non ha mai saputo ri-
conoscere il giusto prezzo dei benefici ricevuti, perch non ha mai saputo versare che una ricom-
pensa capovolta e derisoria, perch infine non ha mai cessato di contravvenire a quella legge a cui
il sovrano stesso, come tutti i personaggi della commedia, tenuto a conformarsi, che Tartuffe non
pu non essere punito. Nel bilancio - in senso proprio - stabilito dal principe, il perdono di Orgon e
la condanna di Tartuffe sono gli effetti inseparabili, indissolubili, dell'applicazione della medesima
legge - nel senso in cui si parla, ad esempio, di una legge economica: innocente chi pu essere
giustificato di fronte alla legge o all'economia del testo; colpevole, e imperdonabile, chi pecca
contro di essa.
Le sequenze (c) e (d) di susseguono, quasi senza soluzione di continuit, negli ultimi versi della
commedia (vv. 1955-1962). Sar, per una volta, fingendo di rispettare la loro promiscuit di super-
ficie - e lasciando al lettore il compito di mettere l'accento, se lo riterr opportuno, sulla cesura che
le divide nella drammaturgia profonda - che tenteremo di descrivere qui la loro successione. La ge-
nerosit del principe, la generosit con cui il principe ha voluto cancellare l'offense secrte com-
messa da Orgon, esige immediatamente un pagamento, il solo vero pagamento che un suddito possa
versare al suo sovrano: una testimonianza di completa e felice sottomissione. Come dice Clante ri-
volgendosi a Orgon: ... sa bont vous irez genoux rendre ce que demande un traitement si
doux (vv. 1955-1956). inginocchiandosi davanti al principe, esaltando in ginocchio il suo pote-
re, riconoscendo la sua sovranit attraverso la testimonianza iperbolica della propria sottomissio-
ne, che Orgon potr sdebitarsi del generoso trat-[190]tamento di cui ha beneficiato; e, reciproca-
mente, la generosit di questo trattamento il beneficio con cui il principe si assoggetta Orgon, de-
stinandogli un credito che non potr essere rimborsato se non con la venerazione, con la sottomis-
sione, con la sudditanza. Come i rapporti di amicizia e parentela, come i circuiti comunicativi e le
relazioni amorose, cos anche i rapporti di potere si trascrivono, si riformulano, nel linguaggio eco-
nomico dello scambio. La generosit - o la 'giustizia' - diviene il credito con cui il sovrano si assog-
getta un suddito-debitore, o, per meglio dire, il beneficio per mezzo del quale il principe fonda la
sua sovranit, esigendo come contropartita la sudditanza del beneficiario. A Orgon, vero capo di
famiglia, vero cittadino - vero ottuso -, non resta che raccogliere con gioia l'invito all'obbedienza
indirizzatogli da Clante, non senza arricchirlo, tuttavia, di un proposito che annuncia gi il suo fu-
turo - e annuncia al tempo stesso l'avvenire della societ pacificata, della societ liberata dal flagello
della trasgressione grazie al magico intervento di un sovrano:
1957 Oui, c'est bien dit: allons ses pieds avec joie
Nous louer des bonts que son creur nous dploie.
Puis, acquitts un peu de ce premier devoir,
Aux justes soins d'un autre il nous faudra pourvoir,
Et par un doux hymen couronner en Valre
La fiamme d'un amant gnreux et sincre.
Cos dunque, acquitts un peu de ce premier devoir - assolto cio quest'obbligo essenziale che
per loro l'obbedienza -, i personaggi di Molire potranno riprendere il corso ordinario della loro
esistenza; cos dunque, con un trasgressore in meno e un sovrano in pi - perch questo, lo si sar
capito, lo scambio fondamentale e taciuto che la commedia realizza -, essi potranno ricominciare la
recitazione monotona della morale dello scambio. Sar Valre, il piccolo creditore che con la sua
generosit aveva obb-ligato Orgon, a beneficiare per primo delle gioie dell'ordine ristabilito: come
compenso dei suoi justes soins (l'aggettivo juste predicandosi, qui come sempre, di ci che risulta
funzionale nel sistema dello scambio), come contropartita della sua disponibilit ad aprire sempre
107
nuovi circuiti di debito-credito, della sua prontezza a far circolare la moneta dei sentimenti umani,
[191] egli otterr la merce che temeva ormai di aver perduto (la mano di Mariane, naturalmente), e
che la scomparsa del trasgressore dalla scena, al prezzo di una rinnovata e generale sudditanza, gli
ha ora, com' 'giusto', restituito.
II
Supporr che mi si accordi, a questo punto, che la commedia del Tartuffe - assunta in qualit di
testo-campione del discorso etico secentesco - mette in opera una precisa, insistente drammatizza-
zione della legge dello scambio, e dello spazio d'illegalit complementare che si organizza attorno
ad essa14. Diremo allora che nella cultura del XVII secolo si elabora un'etica in cui la legge econo-
mica dello scambio permette di modellizzare i rapporti intersoggettivi di ogni specie (ossia costitui-
sce il principio sulla base del quale tutti i diversi comportamenti umani possono essere compresi,
descritti, valutati), e chiameremo modello economico (o etico-economico) questa legge, in quanto
assolve una tal funzione modellizzante. Vogliamo adesso stabilire quale rapporto il discorso mistico
intrattenga con questo modello etico-economico. In linea di principio, si possono ammettere tre so-
luzioni. Possiamo ritenere che il discorso mistico lo adotti, e lo applichi alla relazione uomo-Dio.
Possiamo ritenere che lo respinga, e che sviluppi dell'esperienza religiosa una dottrina essenzial-
mente antieconomica. Possiamo credere infine che il problema non sia pertinente, e che la questione
del rapporto fra discorso mistico e modello etico-economico non abbia ragione di essere posta. A
titolo d'ipotesi, considereremo vera la seconda possibilit, e diremo che la perfezione cristiana si
presenta, negli scritti dei mistici del Seicento, come il luogo di una sovversione sistematica del mo-
dello etico-economico, come lo spazio di una trasgressione sempre ricominciata della legge dello
scambio. Nelle pagine che seguono, cercheremo di verificare quest'ipotesi attraverso l'analisi di un
testo di Jean-Pierre Camus, uno dei principali discepoli di Franois de Sales15. Diciamo subito che
tale testo costituisce la rilettura - e la riscrittura - di un altro, cosicch la nostra analisi si muover
necessariamente nella dimensione dell'intertestualit. Se, una volta [192] di pi, abbiamo privilegia-
to questa dimensione, perch crediamo fermamente che nulla sia pi proprio a rivelare le scelte
decisive di un autore, dell'operazione che egli compie selezionando le sue fonti e del modo in cui
rilegge (riscrive) le fonti cos selezionate.
Nel 1641, Camus pubblicava un libro intitolato: La Carite ou le portrait de la vraie charit.
Histoire dvote tire de la vie de saint Louis. In quest'opera, egli si proponeva d'illustrare le som-
maire et le sommet de la religion et de la perfection chrtienne16 a partire da un aneddoto tratto
dall'Histoire de saint Louis di Jean de Joinville. Ecco l'aneddoto in questione, quale Joinville lo rac-
conta:
Tandis que le roy estoit en Acre, envoia le soudanc de Damas ses messages au roy, et se plaint moult li
des amiraus de Egypte, qui avoient son cousin le soudane tu; et promist au roy que se il li vouloit aidier, que
il li deliverroit le royaume de Jerusalem, qui estoit en sa main. Le roy ot conseil que il feroit response au
soudanc de Damas par ses messages propres, lesquiex il envoya au soudanc. Avec les messages qui l al-
rent, ala frre Yves le Breton de l'ordre des frres Preescheurs, qui savoit le sarrazinnois. Tandis que il
aloient de leur hostel l'ostel du soudanc, frre Yves vit une femme vieille qui traversoit parmi la rue, et por-
toit en sa main destre une escuelle pleinne de feu, et en la senestre une phiole pleinne d'yaue. Frre Yves li
demanda: Que veus-tu de ce faire?. Elle li respondi qu'elle vouloit du feu ardoir paradis, que jamez n'en
feust point, et de l'yaue esteindre enfer, que jamez n'en feust point. Et il li demanda: Pourquoy veus-tu ce
faire? - Pour ce que ce je ne meil que nulz face jamez bien pour le guerredon de paradis avoir, ne pour la
poour d'enfer; mez proprement pour l'amour de Dieu avoir, qui tant vaut, et qui tout le bien nous peut
faire17.
Se si confronta questa versione originaria con la riformulazione offertane dal religioso secente-
sco, agevole reperire la seguente pleiade di scarti: in primo luogo, il testo di Camus dilata a dismi-
sura tutti gli elementi del racconto di Joinville, integrandoli talvolta con una serie di digressioni e di
aneddoti paralleli; in secondo luogo, esso introduce un gruppo di modificazioni secondarie che alte-
108
rano il quadro o la cornice dell'evento; in terzo luogo, conferisce un nome proprio all'anonima pro-
fetessa di Joinville, un nome - Carite - che annuncia gi la dottrina di cui essa chiamata a diveni-
re il simbolo; in quarto luogo, opera una trasformazione radicale del suo discorso, inserendovi una
lunga [193] esposizione dottrinale sui principi della perfezione cristiana; in quinto luogo, incorpora
nella vicenda narrata un elemento completamente assente nell'Histoire de saint Louis, facendo pro-
nunciare a Yves le Breton un discorso con cui commenta e loda quello di Carite. Mi soffermer
unicamente, in questa sede, sulle due trasformazioni conclusive. Vorrei mostrare come, grazie ad
esse, Camus abbia potuto esplicitare l'insegnamento che gli appariva racchiuso nel racconto di Join-
ville, non gi sviluppando un'interpretazione critica di questo racconto, ma articolandone una nuova
versione, narrando la stessa vicenda in modo parzialmente diverso. La trasformazione narrativa var-
rebbe qui, in altri termini, come una glossa od un commento, permetterebbe d'includere nel racconto
stesso l'interpretazione di cui si vuole renderlo oggetto. Se la nostra ipotesi esatta, i nuovi elementi
aggiunti al discorso di Carite da un lato, e d'altro lato il discorso attribuito a Yves le Breton, do-
vrebbero veicolare una particolare lettura delle parole originariamente pronunciate dalla femme
vieille di Joinville.
L'esposizione dottrinale che, come si detto, Camus inserisce nel discorso di Carite, pu essere
scomposta in due grandi segmenti: (I) una certa definizione della perfezione cristiana; (II) l'opposi-
zione del cristianesimo alla religione ebraica e a quella islamica sulla base del concetto di perfezio-
ne cos definito. Esaminiamo ad uno ad uno questi segmenti.
(I) La pratica della giustizia, spiega Carite,
consiste en deux chefs, qui est de s'abstenir du mal et de faire le bien: mais pour tre justice vraiment chr-
tienne, il faut que cette fuite du pch (qui est le mal des maux et le souverain mal, parce qu'il est directe-
ment oppos au souverain bien, qui est Dieu) et cette suite de la vertu se fasse pour l'amour de Dieu, c'est--
dire en la charit qui est l'me, la vie et la racine des vraies et solides vertus chrtiennes, le fondement nces-
saire de l'difice de l'essentielle perfection du christianisme. Or cette vertu a cela de propre et par prciput
sur toutes les autres, qu'elle atteint la dernire fin, avec des dispositions trs suaves parce qu'elles sont amou-
reuses, et nulle autre qu'elle n'arrive ce but, et n'y peut joindre sans elle, et que par elle; de plus, elle a cette
marque qui la distingue essentiellement de toutes les autres, c'est qu'elle ne cherche point ses profits, mais le
seul intrt de la gloire de celui qu'elle nous fait aimer, qui est Dieu18.
Il fondamento della pi elevata giustizia, la quintessenza della perfezione cristiana, si riduce
dunque alla virt teologale di carit. [194]
Ora, la carit viene definita, e differenziata dalle altre virt, sulla base di due tratti distintivi: essa
raggiunge il fine ultimo; elle ne cherche point ses profits, essa cio puramente disinteressata.
All'origine di questa definizione, non difficile riconoscere una dottrina di matrice scolastica, la cui
formulazione pi limpida si trova, probabilmente, nella Summa theologiae di Tommaso d'Aquino.
Si consideri, ad esempio, il seguente passaggio:
Amor autem quidam est perfectus, quidam imperfectus. Perfectus quidem amor est quo aliquis secundum se
amatur, ut puta cui aliquis vult bonum: sicut homo amat amicum. Imperfectus amor est quo quis amat aliquid
non secundum ipsum, sed ut illud bonum sibi ipsi proveniat: sicut homo amat rem quam concupiscit. Primus
autem amor Dei pertinet ad caritatem, quae inhaeret Deo secundum se ipsum: sed spes pertinet ad secundum
amorem, quia ille qui sperat aliquid sibi obtinere intendit19.
Da un lato, dunque, un amore perfetto, che S. Tommaso paragona all'amicizia, in cui il destinata-
rio del sentimento amoroso viene amato in se stesso e per se stesso. E d'altro lato un amore imper-
fetto, equiparato al desiderio, alla concupiscenza, in cui non amiamo pi qualcuno secundum ip-
sum, ma per i vantaggi che ce ne potranno derivare, e anzi affinch ce ne possa derivare qualche
vantaggio. Carit e speranza vengono assimilate, rispettivamente, al primo e al secondo di questi
due amori; la loro differenza si omologa all'opposizione che divide amicizia e concupiscenza, disin-
teressamento e interessamento, perfezione e imperfezione. In un altro passaggio della Summa theo-
logiae, una distinzione manifestamente analoga a quella messa in opera nel frammento citato, si ap-
plica all'insieme delle tre virt teologali:
109
Fides autem et spes attingunt quidem Deum secundum quod ex ipso provenit nobis vel cognitio veri, vel a-
deptio boni: sed caritas attingit ipsum Deum ut in ipso sistat, non ut ex eo aliquid nobis proveniat. Et ideo ca-
ritas est excellentior fide et spe [...]20.
, come si vede, la stessa fondamentale disgiunzione fra uno stato in cui tendiamo a Dio consi-
derato in se stesso - o, come dice S. Tommaso, in cui lo raggiungiamo per fermarci in lui - e uno
stato psichico in cui tendiamo a Dio per poterne trarre un certo vantaggio - in cui dunque non lo
raggiungiamo che per tornare verso noi stessi. Fede e speranza vanno ad inscriversi sul secondo
[195] versante di questa grande disgiunzione, esse costituiscono due sottoclassi del medesimo stato,
quello in cui ci congiungiamo con Dio ut ex eo aliquid nobis proveniat. Sull'altro versante della
disgiunzione, l dove l'uomo si rapporta a Dio in quanto tale, a Dio in s e per s, soltanto la carit
risplende, in un disinteressamento che si confonde con la pura luce della sua perfezione - et ideo
caritas est excellentior fide et spe. Ora, manifesto che Camus, attraverso la mediazione del di-
scorso di Carite, non fa che articolare una variante di quest'antica dottrina. Il primo tratto distintivo
che egli assegna alla carit, non infatti null'altro che una riformulazione della propriet essenziale
attribuitale da S. Tommaso: a differenza delle altre virt, la carit raggiunge il fine ultimo, ossia
Dio in quanto tale, ossia il primo principio considerato nell'infinit della sua gloria, indipendente-
mente da noi e dai nostri interessi21. E il secondo tratto distintivo si riduce alla negazione della pro-
priet essenziale ascritta alla fede e alla speranza - negazione che gi S. Tommaso, del resto, predi-
cava della carit come una sua propriet specifica, nel secondo frammento da noi riportato22.
Non c' da esitare, mi sembra, sulle ragioni che possono aver indotto Camus - come gi, prima di
lui, Franois de Sales23 - a volgersi verso la dottrina enunciata da S. Tommaso. L'interesse primario
che una tale dottrina poteva rivestire, per uno spirituale appartenente alla cultura francese del XVII
secolo, era senza alcun dubbio quello di autorizzare una sovversione del modello etico-economico,
divenuto dominante nello spazio di questa cultura. Il problema di stabilire una gerarchia delle virt
teologali24 aveva condotto S. Tommaso ad articolare una dottrina di cui era lontano dal poter preve-
dere le future virtualit strategiche - quelle virtualit sovversive che soltanto il contesto culturale se-
centesco avrebbe potuto rivelare, e anzi, che esso soltanto avrebbe potuto costituire. Era infatti evi-
dente - o piuttosto, lo era divenuto per spirituali moderni come Franois de Sales e Jean-Pierre Ca-
mus - che la riduzione della distinzione fra le tre virt teologali alla disgiunzione fra due grandi stati
del rapporto uomo-Dio, se da un lato permetteva un ordinamento gerarchico delle varie virt, ne
implicava d'altro lato la ristrutturazione oppositiva e conflittuale. Giacch i due grandi stati non era-
no semplicemente distinti, ma essenzialmente e strutturalmente opposti: essi si arti-[196]colavano
come i due termini di una contraddizione, rinviavano l'uno all'altro come i due membri di un'antite-
si. E quest'antitesi, questa contraddizione a cui la gerarchia delle virt teologali si lasciava ricondur-
re, non era che il conflitto fra uno stato in cui l'uomo, mettendosi in relazione con Dio, ricercava an-
cora un determinato profitto - la cognitio veri nel caso della fede, l'adeptio boni nel caso della
speranza -, e uno stato in cui egli rinunciava definitivamente a tener conto del proprio interesse, uno
stato in cui egli tendeva a Dio indipendentemente ormai da ogni considerazione interessata. In altri
termini: la dottrina tomista delle virt teologali permetteva di aprire, nella religione cristiana, lo
spazio di un conflitto fra una pratica ispirata dal calcolo del proprio interesse, e una pratica in cui
questo calcolo era completamente abbandonato; essa comportava inoltre una gerarchizzazione, una
valutazione assiologica tale che questo conflitto veniva risolto a vantaggio della pratica disinteressa-
ta. In una cultura caratterizzata dall'egemonia del modello economico, in un'epoca in cui tutti i
comportamenti umani sembravano doversi regolare in funzione della rigida legge dello scambio - e
dover soggiacere per ci stesso a un calcolo particolarmente meticoloso dei vantaggi e degli svan-
taggi, dei profitti e delle perdite. Sorgeva cos, dalle venerabili profondit della tradizione scolasti-
ca, una dottrina in cui la perfezione cristiana faceva tutt'uno con la rinuncia alla considerazione dei
propri interessi, con l'abdicazione alla ricerca dei propri profitti, e insomma, in una parola, con l'ab-
bandono della concezione economica del rapporto con Dio.
(II) Nel primo segmento della sua esposizione dottrinale, Carite assimila dunque l'idea di perfe-
zione a una nozione essenzialmente antieconomica della carit in quanto suprema virt teologale.
110
Vediamo ora come essa stabilisca, a partire da quest'idea antieconomica della perfezione, la doppia
opposizione del cristianesimo alle religioni ebraica e islamica.
La loi de Mose, loi de servitude dont le joug a t si dur Israel, n'avait que des menaces et des promesses
temporelles, par lesquelles Dieu dtournait ce peuple de dure cervelle de mal faire par la crainte des chti-
ments, et le poussait au bien par le dsir des rcompenses temporelles. Voil jusques o allait ce peuple, tout
enseveli dans l'esprit ou servile ou mercenaire. [197]
Le moine Sergius qui a fabriqu l'Alcoran, et qui a accommod quelques pices tant de l'ancienne que de la
nouvelle alliance aux rveries et impostures du faux prophte des musulmans, n'ayant eu ni la vraie foi, ni
par consquent la charit [...], n'a pu ni atteindre au blanc de la vrit, ni au but de la fin dernire, ce qui est
rserv la foi vive et oprante par la charit. C'est pourquoi ou il ne dtourne du mal, ou il n'invite faire le
bien les sarrazins que par les promesses et les menaces de la mosaque, ou s'il passe les bornes de cette vie, il
ne leur propose en enfer que des supplices sensibles et en paradis que des dlices matrielles, n'ayant pris de
l'une et de l'autre alliance, mosaque et chrtienne, que la lettre qui tue, non l'esprit qui vivifie [...]25.
Ebraismo e islamismo, quali nel suo discorso Carite li rappresenta, costituiscono due varianti di
una stessa strutturazione economica dell'idea di giustizia. Nella dottrina attribuita ad ambedue que-
ste religioni, la pratica della giustizia si lascia ricondurre a un sistema di scambio funzionante a due
livelli. A un primo livello, il male viene ripagato con tormenti che appaiono, a seconda dei casi,
temporali od eterni, e unicamente a motivo di questo pagamento terribile i fedeli sono chiamati ad
astenersi dal peccato; a un secondo livello, il bene viene premiato con una ricompensa che consiste,
a seconda dei casi, in una felicit temporale o in una beatitudine eterna, e soltanto in funzione di
questo pagamento sublime i fedeli sono chiamati ad abbracciare la virt. Nell'immagine che Cari-
te ci fornisce delle religioni a cui opporr il cristianesimo, la pratica della giustizia si presenta dun-
que come una strategia di tipo economico, in cui il fedele opta per un circuito di scambio piuttosto
che per un altro: essere giusti significa scegliere il buon circuito di scambio, significa voler scam-
biare la propria rettitudine con un'esistenza felice o con la salvezza dell'anima, piuttosto che la pro-
pria malvagit con una vita di tormenti o con l'eterna dannazione. Come si vede, nel particolarissi-
mo sistema di valori instaurato dal testo, le religioni marcate di segno negativo sono quelle stesse
che autorizzano una pratica della giustizia fondata sul modello economico dello scambio. E gi s'in-
tuisce che la religione cristiana - la sola marcata di segno positivo - s'identificher a una dottrina che
pone la giustizia al di fuori e al di sopra di un simile modello: le vrai christianisme nous inspire
des sentiments de Dieu et de la religion [...] bien plus purs et plus levs que tout cela26. Certo,
come l'ebraismo e l'islamismo, il cristianesimo istituisce un sistema di punizioni e di ricom-
[198]pense, di premi e di castighi, di scambi euforici e disforici; ma lungi dal ridurre la pratica della
giustizia a una mera funzione di questo sistema, esso fa consistere tutta la sua perfezione - e dunque
tutta l'eccellenza della sua verit - in una facolt di situarsi soggettivamente al di fuori degli scambi
dogmaticamente e oggettivamente istituiti:
[...] ces rets et ces filets [le reti e i lacci dell'esprit servile et mercenaire] n'arrtent point les oiseaux qui vo-
lent haut; l'esprit chrtien va plus outre et ne s'arrte qu'a la fin dernire, qui est Dieu et sa gloire; c'est l que
se doivent terminer tous les desseins du vrai chrtien, lequel doit aimer et servir Dieu pour l'amour de lui-
mme, et d'un amour si dsintress que quand il n'aurait ni enfer pour punir ceux qui se rvoltent contre ses
lois, ni de paradis pour rcompenser de la couronne de justice ceux qui se soumettent ses volonts, il n'en
serait ni moins aimable ni moins estimable [...]27.
Quand'anche l'inferno e il paradiso non esistessero, quand'anche tutto il sistema degli scambi
dogmatici fosse improvvisamente abolito, il vero cristiano - il perfetto - non amerebbe Dio con me-
no ardore, non lo servirebbe con minor zelo, non si sottometterebbe ai suoi precetti con minor esat-
tezza, non sarebbe, in una parola, meno giusto: giacch non affatto per evitare il pagamento terri-
bile delle pene infernali che egli rifugge dal peccato, n per ottenere lo splendido premio della glo-
ria celeste che si consacra alla virt, ma per un amore puro e disinteressato della volont divina. E-
gli pratica la giustizia al di sopra degli scambi istituiti dal dogma, la delicatezza del suo amore lo
proietta al di l della legge. In questo spazio che il dogma non controlla, in questo puro al di l della
legge, risiede dunque tutta la perfezione, tutta l'eccellenza della giustizia cristiana: tale la sua mi-
111
stica essenza, tale il mistero di una religione che fa dell'eccesso in rapporto alla sue proprie leggi il
luogo deputato all'enunciazione della sua verit pi profonda. Ma, ed ci che qui c'interessa, que-
ste leggi si riducono, nell'interpretazione che Carite ne sviluppa, a un insieme di varianti del mo-
dello economico messo a punto dell'etica secentesca: la perfezione che non cessa di eccederle costi-
tuir dunque, dal punto di vista di quest'etica, una zona di pericolosa vacanza, uno spazio extra-
sistematico in cui l'azione del suo modello regolatore appare misteriosamente, inconcepibilmente
sospesa. [199]
Non ci sembra necessario insistere pi oltre sulla lunga sequenza che Camus interpola nel di-
scorso di Carite: la nostra analisi ha sufficientemente dimostrato che essa il luogo di una sintesi
dottrinale in cui l'edificio della perfezione cristiana viene ripensato in opposizione al modello etico-
economico dello scambio. Si tratta adesso di determinare il rapporto che si stabilisce fra questa se-
quenza interpolata e il nucleo originario del discorso della profetessa. Osserviamo, per cominciare,
che soltanto al termine dell'esposizione dottrinale di cui abbiamo fissato le linee di forza Carite e-
nuncia, nel racconto di Camus, il suo antico progetto di distruggere i supplizi infernali e di abolire
le ricompense celesti28. Per ci stesso, il lettore tender a percepire questo progetto come preparato,
giustificato, o addirittura motivato dalla dottrina che ne precede, nel testo, l'enunciazione; per ci
stesso, egli sar portato a decodificarne il senso alla luce di tale dottrina, a interpretarlo cio in fun-
zione della sintesi antieconomica in essa realizzata. In conformit con una preoccupazione pedago-
gica che lo spinge a non lasciare nulla d'implicito nel suo racconto, Camus non abbandona tuttavia
all'iniziativa del destinatario il compito di attualizzare questo fondamentale raccordo fra le due parti
- la nuova e l'antica - del discorso di Carite. Sappiamo infatti che quando la profetessa avr dichia-
rato il suo folle disegno, quando avr manifestato la sua intenzione di ridurre in cenere il paradiso e
di spegnere le fiamme dell'inferno afin que dsormais Dieu soit aim et servi pour l'amour de lui-
mme, Yves le Breton prender a sua volta la parola, per commentare e giudicare il discorso che
gli stato rivolto. Il testo suscita cos, all'interno del suo spazio, un personaggio-lettore a cui tutti i
destinatari extra-testuali sono chiamati a identificarsi. E non certo un caso se l'intero commento di
questo lettore modello - di questo personaggio che il testo ci presenta come il suo lettore modello -
ruota attorno alla questione del rapporto fra le due grandi parti del discorso di Carite. Il personag-
gio-interprete dice al lettore ci che il lettore tenuto a dire del testo, e pi precisamente di quel
punto cruciale della sua struttura che il raccordo fra la sequenza interpolata e il nucleo originario.
Seguiamo dunque passo a passo lo sviluppo dell'interpretazione che Yves le Breton enuncia al no-
stro posto, raccogliamo pazientemente le istruzioni che il testo ci prescrive nel processo della sua
stessa decodifica. [200]
Autant que le commencement du discours de cette dame semblait non seulement raisonnable, mais sublime
et relev au frre Yves, autant la fin lui sembla donner dans l'extravagance; mais se souvenant que Dieu avait
voulu sauver les croyants par la folie de la foi, et que comme la sagesse humaine est une folie devant Dieu,
souvent aussi les actions qui paraissent folles devant les hommes sont fort sages devant Dieu, il aima mieux
prendre le tison par o il ne brlait pas, et louer la premire partie de ce discours, que blmer la seconde avec
des termes de prcipitation29.
Inizialmente, dunque, soltanto la premire partie de ce discours - ossia l'esposizione dottrinale
della sequenza interpolata - pu apparire sublime et relev(e) a Yves le Breton. La seconda parte
- ovvero il nucleo originario del discorso di Carite - gli sembra piuttosto donner dans l'extrava-
gance. Ma egli sa bene che molto spesso les actions qui paraissent folles devant les hommes sont
fort sages devant Dieu. A questa classe di azioni bifronti, che non appaiono folli agli occhi del
mondo che per racchiudere una verit troppo eminente, appartiene forse l'oscuro progetto enunciato
da Carite: la parvenza di sragione che lo caratterizza, nasconde forse un'essenza di vertiginosa
saggezza, perfettamente evidente all'infinita chiaroveggenza divina, bench difficilmente penetrabi-
le per il debole intelletto umano. Ma il lettore modello non si scoraggia: dopo aver lodato l'esposi-
zione dotbrinale di cui aveva potuto apprezzare tutta la profondit e la giustezza, egli si mette dun-
que alla ricerca del senso segreto, del senso mistico racchiuso nella seconda, enigmatica parte del
112
discorso che ha udito. In un primo momento, tuttavia, i suoi sforzi ermeneutici non saranno coronati
da alcun successo:
Tout ce qui le mettait en peine, tait de concevoir par quel moyen cette femme mettrait le feu au paradis avec
son flambeau, et de quelle sorte, avec si peu d'eau que celle qu'elle portait en son vase, elle pourrait teindre
les vastes flammes de l'enfer. Cette cruche qu'elle tenait en sa main, le tentait d'imaginer qu'elle en eut un
autre dans la tte, et qu'elle ft blesse en l'imagination, ou atteinte de quelque maladie hypocondriaque30.
Ancora una volta, come si vede, le parole di Carite si sottraggono alla comprensione di Yves le
Breton, ancora una volta esse si richiudono sul segreto del loro enigma. A questo punto, colto dal
[201] dubbio, il personaggio-interprete sta quasi per abbandonare il suo compito: di fronte all'irri-
ducibile opacit del discorso della profetessa, egli tentato di credere che nessuna sapienza brilli
oltre la densa cortina della sua insensatezza, e che la follia costituisca la sua verit ultima, piuttosto
che un'illusione generata dalla sproporzione fra la ragione divina e la ragione umana. Nuovamente,
tuttavia, il lettore modello torna a riflettere sul progetto che cos ostinatamente gli cela il suo signi-
ficato e, al termine di questa seconda fase dell'indagine, intuisce infine la soluzione dell'enigma: e-
gli comprende allora che cette sage dame lui parlait en figure comme autrefois la Thcuite Da-
vid31, e decide d'interpretare il suo discorso alla stregua di un'allegoria o di una parabola:
A la fin, aprs avoir recueilli ses esprits et pntr le fond de ce gnreux dessein, il estima toutes les raisons
de cette vertueuse femme et approuva galement les deux parties de son discours. La premire, comme tant
fonde sur les maximes et les principes de la foi chrtienne, et la connaissance de la pure et vraie charit; la
seconde, comme reprsentant au naf, par une expression fort sensible, les vrits de la premire, et confir-
mant par exemple la force du raisonnement32.
Entreprise parabolique33, la seconda parte del discorso di Carite non fa che rappresentare al-
legoricamente, e confermare (ossia ribadire) retoricamente, una verit che la prima parte aveva gi
espresso in modo esplicito, denotativo, sistematico. Fra le due .parti del discorso udito, fra il proget-
to conclusivo e la precedente esposizione dottrinale, Yves le Breton stabilisce dunque un rapporto
da significante a significato: il nucleo originario del discorso di Carite si ripiega cos sulla sequen-
za interpolata come una sua illustrazione allegorica, e reciprocamente questa sequenza si presenta
come il solo contenuto assegnabile al nucleo originario. Il personaggio-interprete ha compiuto or-
mai la sua missione, e l'ha compiuta, direi, con la massima efficacia. Bisogna comprendere infatti
che anche le battute d'arresto, anche i provvisori fallimenti della sua analisi sono ingranaggi perfet-
tamente funzionali nella strategia del testo. Mostrandoci il suo lettore modello nell'impossibilit di
attribuire un qualunque significato al progetto di Carite prima di averne decifrato il preciso valore
allegorico, il testo ci lascia intendere che questo valore ben l'unico significato attribuibile a quel
progetto, e ci 'persuade' che chi si rifiutasse di [202] sottoscrivere l'interpretazione finale non po-
trebbe che rifugiarsi - come Yves le Breton nella fase iniziale della sua indagine - nella falsa evi-
denza del non senso, e invocare come sola spiegazione il vano fantasma della follia. O credere che
la seconda parte del discorso di Carite sia priva di senso, o ritenere che essa illustri en figure il
senso gi significato denotativamente dalla prima parte: tale l'alternativa davanti a cui il testo pone
il destinatario, ricorrendo alla finzione del personaggio-interprete e strutturando nel modo che si
visto il percorso della sua interpretazione.
Ricapitoliamo. Facendo astrazione dall'amplificazione stilistica che ne dilata tutti gli elementi e
dalle modificazioni secondarie che ne alterano la cornice (oltre che, beninteso, dall'invenzione del
nome stesso di Carite), il racconto di Joinville subisce, nella riformulazione di Camus, due tra-
sformazioni principali. In primo luogo, la versione secentesca fa precedere il nucleo originario del
discorso della profetessa (il progetto di abolire le pene infernali e le ricompense celesti) da una lun-
ga esposizione dottrinale sui principi della perfezione cristiana; in secondo luogo, attribuisce a Yves
le Breton un discorso in cui egli analizza quello di Carite, e pi particolarmente il rapporto che vi
articola l'esposizione dottrinale al grand dessein conclusivo, la sequenza interpolata al nucleo ori-
ginario. In virt della prima trasformazione, Camus inserisce nel discorso di Carite una dottrina
squisitamente antieconomica, e fa cos di questo discorso - della prima parte di questo discorso - il
113
luogo di una sovversione radicale e sistematica del modello propugnato dalla nuova ideologia mora-
le. In virt della seconda trasformazione, egli ripiega il nucleo originario sulla sequenza interpolata,
'persuadendo' il lettore che il solo contenuto assegnabile al primo sia la rappresentazione allegorica
della dottrina antieconomica gi precedentemente esplicitata nella seconda. Ora, come non ricono-
scere, in questa duplice trasformazione narrativa, una precisa operazione critica condotta sul testo di
Joinville? La forma in cui quest'operazione si realizza - una riscrittura piuttosto che una glossa - non
deve trarci in inganno: di fatto, l'out-put della doppia trasformazione messa in opera da Camus
ben l'interpretazione - una certa interpretazione - delle parole pronunciate da Carite nell'Histoire
de saint Louis. Che quest'interpretazione prenda posto in una riformulazione [203] trasformata del
racconto originario, anzich in un testo puramente analitico - tale appunto la specificit, e in un
certo senso l'originalit stilistica del libro di Camus. Il discepolo prediletto di Franois de Sales non
fu certamente il solo, fra gli spirituali del XVII secolo, a riconoscere nel progetto di Carite la quin-
tessenza delle dottrine antieconomiche che sorgevano ovunque al tempo della grande mareggiata
mistica34. Ma, a mia conoscenza, egli fu l'unico a introdurre nel flusso stesso della narrazione questa
nuova visione critica, a rimodellare cio il racconto di Joinville in funzione dell'interpretazione di
cui era divenuto oggetto. Sulla legittimit di una simile interpretazione, si potrebbe poi discutere a
lungo. certo, da un lato, che le costruzioni dottrinali di cui la vicenda di Carite forn il pretesto in
molti scritti secenteschi eccedono infinitamente - non c' quasi bisogno di dirlo - il significato origi-
nario del racconto di Joinville. Ma, d'altro lato. non c' dubbio che questo racconto si presti mira-
bilmente a illustrare quelle medesime dottrine che non cessano di eccederne il senso primitivo, e
che la leggenda di Carite costituisca uno dei pi riusciti rpchages della letteratura religiosa mo-
derna. Pu sempre accadere che un testo, con il mutare delle circostanze storiche e culturali, acqui-
sti nuovi valori e divenga suscettibile di nuovi usi: tale fu il caso della teoria scolastica della carit,
tale sembra essere stato quello del racconto di Joinville. Se dunque, piegando questo racconto a
rappresentare le loro dottrine antieconomiche, gli spirituali secenteschi - e Jean-Pierre Camus in
particolare - ne trasformarono indiscutibilmente il senso primitivo, ci sembra tuttavia di poter asse-
rire che essi lo trasformarono nella 'buona' direzione, ossia (non) sfruttando (che) le virtualit se-
mantiche aperte - e oggettivamente aperte - dal contatto dell'antico testo con il nuovo contesto cultu-
rale.
L'operazione critica che Camus conduce sul racconto di Joinville attesta nel modo pi inequivo-
cabile una dottrina antieconomica della perfezione cristiana - essa non , l'abbiamo visto, che una
riformulazione del testo originario in funzione di questa dottrina. Possiamo assumere perci - con-
fermando la nostra ipotesi di partenza - che il discorso mistico realizza una sovversione sistematica
del modello economico elaborato dall'etica secentesca35. Vorremmo adesso mostrare come questa
sovversione, che definisce [204] il livello propriamente ideologico del discorso mistico, tenda a
raddoppiarsi, sul piano strutturale, di una strana dipendenza dal medesimo modello. Pu accadere
che un testo non si limiti a rilevare l'estraneit dell'esperienza mistica alla legge dello scambio, ma
giunga a definire l'esperienza mistica in funzione di quest'estraneit: chiaro che in un simile testo
il modello economico, ideologicamente respinto, non cesserebbe tuttavia di essere presente come
ci in opposizione a cui l'oggetto del testo viene definito; gi estromesso dalla sfera ideologica, il
modello economico continuerebbe a funzionare sul piano strutturale, e a funzionarvi come ci che
permette al discorso di costruire il suo stesso oggetto. Diremo che, in ogni testo di questo tipo, il di-
scorso mistico strutturalmente dipendente dal modello di cui realizza la sovversione ideologica.
Consideriamo, in qualit di testo-campione, il capitolo V, libro III, dei Fondements de la vie spi-
rituelle. Surin elabora qui un'interpretazione puramente antieconomica dell'esperienza mistica, inte-
ramente basata sull'antitesi fra l'amore di Dio e il sistema dello scambio. Quest'interpretazione si
manifesta a due riprese nel testo di Surin, organizzandovi due presentazioni successive e distinte del
divino amore, a ciascuna delle quali corrisponde un'esigenza teorica, una prospettiva ermeneutica
molto specifica, e molto diversa da quella a cui l'altra pu essere ricondotta.
114
La prima presentazione coincide con il passaggio in cui Surin, invocando l'autorit di santa Cate-
rina da Genova, definisce la natura, o l'essenza, di un amour net et droit, che sarebbe quello des
vrais amants de Dieu; essa corrisponde dunque all'esigenza di ritagliare, nello spazio semantico
universale, un dominio a cui il nome di vero o di puro amore (di amore mistico, diremo ormai per
semplificare) potr essere attribuito, all'esigenza cio di produrre, o di formare, il concetto di amore
mistico. Ecco il passaggio in questione:
Sainte Catherine de Gnes dit que l'amour net et droit, est celui qui gratuitement agit pour Dieu comme il a
agi pour nous, oprant par pure bont. Ainsi cette me qui aime en la faon des vrais amants de Dieu, ne
considre plus ce qui lui doit arriver de son service, et n'en est nullement touche; mais sans faire aucune r-
flexion la grandeur de la rcompense, fait tout le bien qu'elle peut36. [205]
Amare, nel senso mistico di questa parola, significa dunque servire gratuitamente colui che si
ama, servirlo cio senza esigere n considerare una qualunque contropartita, senza chiedere n desi-
derare una qualsiasi ricompensa. L'amore mistico s'identifica a un servizio in cambio del quale non
si chiede nulla, a una prestazione che si rinuncia a scambiare con qualcosa, a un'azione che ha ces-
sato d'inscriversi nel circuito economico dello scambio. L'estraneit a questo circuito diviene cos
ci che permette di definire, di distinguere nella sua specificit l'amore mistico, il che implica be-
ninteso che ancora il modello economico a funzionare qui come sistema di riferimento, poich
soltanto in rapporto ad esso - in opposizione ad esso - l'essenza mistica dell'amore pu essere rico-
nosciuta e designata. Il concetto di amore mistico non pu dunque formarsi, nel testo di Surin, se
non prendendo posto in un orizzonte aperto dal pensiero economico, e andando ad inscriversi in
un'opposizione di cui la pratica dello scambio costituisce il membro marcato.
A questa prima presentazione ne fa eco una seconda, molto diversa, in cui il problema non pi
di ritagliare, nel sistema semantico, il dominio concettuale dell'amore mistico, ma di differenziare
interiormente questo dominio, di ripartire e di ordinare gli elementi che lo costituiscono. Va detto
d'altra parte che questa pratica del classificare, del suddividere, dell'ordinare, ritorna con frequenza
quasi ossessiva nella scrittura di Surin, e ne indica indiscutibilmente l'appartenenza a una cultura
che si pone, come Michel Foucault ha dimostrato, sotto il segno di una mathesis, di una scienza ge-
nerale della classificazione e dell'ordine37. Nel dominio globale dell'amore mistico, Surin distingue
dunque tre gradi, o tre livelli:
Le premier [degr] est que l'me ne considre en rien sa vie, sa sant, son honneur et son repos; mais
abandonne toutes ces choses Dieu, les lvrant en proie sa puissance et sa volont pour en faire ce qu'il
lui plaira, sans se soucier en rien de la conservation de tout ce qui la touche, tchant de voir en tout o est la
gloire de ce Seigneur, sans aucune considration de son intrt [...].
Le second degr c'est de ne songer en rien son trsor spirituel, ni ses mrites, ni aux actions o il y a le
plus de gain et de richesses spirituelles. L'me renonce tout ce soin, et n'y pense aucunement, non par n-
gligence, mais pour ne pouvoir du tout penser soi, pource qu'elle a mis toute sa [206] vertu et activit
rendre service son Seigneur, sans peser et se consoler de ce que se Seigneur paie bien [...].
Le troisime degr, est de ceux qui ont mme abandonn entre les mains de Dieu leur salut et leur terni-
t, sans vouloir conserver en eux aucune inquitude, ni vue aucune, sinon pour voir ce que Dieu veut d'eux,
auquel ils veulent plaire jamais, et ne sont mus aucune chose, que pour ce qu'ils servent Dieu de pur
amour pour lui. [...] Cela a fait dire plusieurs saints des choses tranges, comme sainte Thrse que, de-
vant tomber entre les mains de celui qu'elle aimait le plus au monde, elle ne craignait point la mort: et cette
autre sainte qui, marchant avec un flambeau dans une main, et une cruche d'eau de l'autre, dit que c'tait pout
teindre le feu infernal, et pour brler le Paradis, ann de ne penser plus qu' l'amour et servir Dieu pour sa
pure bont38. Cela a fait dire saint Ignace, fondateur de la Compagnie de Jsus, que s'il voyait le ciel ouvert
et que Dieu lui offrit de rester au sicle pour lui rendre quelque petit service avec risque de son salut, il pren-
drait cette dernire condition de servir purement Dieu avec son pril, plutt que son assurance pour le ciel. Et
je crois qu'un des vrais amateurs de Dieu, quand il verrait toute la gloire accumule prte lui tre donne, il
la laisserait pour un seul acte du pur intrt de Dieu. C'est pour cela qu'ils abandonnent entre les mains de
Dieu tout leur sort et le point dcisif de leur ternit, ne se souciant que de faire ce qui lui plat. Ce seul point
les absorbe39.
115
Per rendere conto della tripartizione stabilita da Surin, necessario presupporre tre diversi circui-
ti di scambio in cui il servizio che l'uomo rende a Dio suscettibile d'inscriversi: (i) l'uomo pu
conformarsi alla volont di Dio, osservare i suoi comandamenti, seguire i suoi consigli, obbedire al-
la sua legge, nella speranza di ottenere, in contraccambio, il suo sostegno e il suo soccorso nelle vi-
cissitudini della vita terrena; (ii) l'uomo pu fornire tutte le suddette testimonianze d'amore per pro-
curarsi, come contropartita, un guadagno a livello delle sue ricchezze spirituali, un aumento
del tesoro della sua virt; (iii) egli pu esibire queste identiche prove per assicurarsi, in qualit di
ricompensa, la salvezza dell'anima e la vita eterna. Ora, facile osservare che i tre livelli d'amore
mistico distinti da Surin disegnano, in controluce, l'immagine dei tre circuiti di scambio appena de-
scritti, cosicch ciascuno di quei livelli pu essere definito a partire dalla negazione, o dal rifiuto, di
uno di questi circuiti. Il primo grado dell'amore mistico, ad esempio, consister nell'abbandonare
ogni interesse per tutte le cose terrene, nel rimettersi incondizionatamente alla volont divina per
tutto ci che riguarda la serenit, la salute, l'onore, la vita stessa - manifestando cos che non per
salva-[207]guardare simili beni che si onora e si riverisce Dio, scongiurando dunque, sotto gli occhi
dell'amato, l'eventualit del primo circuito di scambio, e per ci stesso drammatizzando il proprio
disinteressamento relativamente a questo circuito. Il secondo grado dell'amore mistico corrisponde-
r invece alla rinuncia, da parte dell'anima umana, a ogni cura e considerazione del suo progresso
spirituale, a ogni preoccupazione ed interesse per il tesoro della sua virt: in tal modo essa significa
all' amato che non affatto per ottenere come ricompensa un aumento del suo merito - per arricchir-
si moralmente - che lo serve e che lo onora, e scongiura di conseguenza l'eventualit del secondo
circuito di scambio, teatralizzando il suo disinteressamento relativamente a questo circuito. Il terzo
livello, infine, viene raggiunto quando l'anima [a] mme abandonn entre les mains de Dieu [son]
salut et [son] ternit, quando dunque ha testimoniato a colui che ama che nemmeno per ottenere
la vita eterna - il bene pi prezioso - essa gli offre la sua venerazione, e ha negato cos la possibilit
dell'ultimo circuito di scambio, manifestando un disinteressamento assoluto, elevando il suo amore
alla pura gratuit del dono.
Come si vede, sempre in relazione - in opposizione - a un particolare circuito di scambio che i
vari gradi dell'amore mistico vengono definiti, proprio come era in opposizione alla pratica generale
dello scambio che il dominio complessivo di tale amore aveva potuto costituirsi. In entrambe le pre-
sentazioni fornite da Surin, il modello economico dello scambio - concepito a seconda dei casi sotto
forma di pratica generale o di circuiti particolari - interviene dunque come il membro marcato
dell'opposizione strutturale da cui l'amore mistico - globalmente o localmente - riceve il suo signifi-
cato. Si noter d'altra parte - e da un tutt'altro punto di vista - che fra le due presentazioni s'insinua
una certa sfasatura, o un certo scarto. Perch la differenziazione gerarchica dei tre livelli d'amore
abbia un senso, bisogna infatti presupporre che nel primo di essi sussistano ancora i due circuiti di
scambio negati ai livelli successivi, e che nel secondo continui a funzionare quello scambio dal cui
superamento il terzo appare caratterizzato. In due dei livelli distinti dalla seconda presentazione, si
vede cos riapparire surrettiziamente, sotto forma di circuiti particolari, ci che, in generale, era sta-
to escluso dal dominio dell'amore mistico nella prima presentazione. Naturalmente, que-[208]sta
sfasatura del sistema dottrinale, simultanea e parallela al cambiamento di prospettiva ermeneutica
effettuato dal discorso di Surin, non compromette in alcun modo la profonda unit dell'orizzonte di
pensiero in cui questo discorso non cessa di svilupparsi: quale che sia la variazione di dottrina che
sopravviene fra le due presentazioni, sempre e soltanto in un orizzonte definito dalla pertinenza
del problema economico che si muove il testo di Surin, sempre e soltanto in opposizione al model-
lo economico dello scambio che esso forma - e trasforma - i propri concetti.
La presentazione dell'esperienza mistica in funzione della sua estraneit al modello economico -
e il conseguente assurgere di questo modello al rango di principio di definizione di quell'esperienza
- non la sola forma di dipendenza strutturale imputabile al discorso mistico del XVII secolo. In
tutto un gruppo di testi secenteschi, l'esperienza mistica non viene pi concepita come puramente e
semplicemente estranea alla legge dello scambio, ma piuttosto come trasgressiva in rapporto ad es-
sa; ci che permette di definiria, in altri termini, non tanto la negazione o l'assenza, quanto la per-
116
versione o la transvalutazione del sistema economico dello scambio. Ora, che una tal definizione
mantenga, come e pi di quella precedentemente analizzata, la sovranit strutturale del modello i-
deologicamente contestato, mi sembra essere di un'immediata evidenza. chiaro infatti che ogni
trasgressione attesta e presuppone l'esistenza di una legge, ogni transvalutazione quella di un siste-
ma di valori, ogni infrazione e ogni perversione quella di un buon funzionamento del modello. In
quanto si assimila a tutte queste nozioni, l'esperienza mistica non cessa dunque di rinviare al model-
lo etico-economico, nel momento e per il gesto stesso in cui ne trasgredisce la legge, ne sconvolge
l'assiologia e ne perverte il buon funzionamento.
Vorrei adesso esaminare un caso in cui il discorso slitta, all'interno del medesimo testo, dalla
prima alla seconda concezione dell'esperienza mistica, e dalla prima alla seconda forma di dipen-
denza strutturale. Il testo su cui effettuer la mia dimostrazione La clef du pur amour, l'opera forse
pi importante del domenicano Alexandre Piny40. Prima di procedere all'analisi, mi sembra tuttavia
opportuno formulare alcune precisazioni di carattere pro-[209]pedeutico. Come giustamente osser-
vava Henri Bremond, la dottrina di Piny interamente polarizzata sul problema delle prove interio-
ri41. Aggiungiamo che le prove descritte e interpretate dal mistico domenicano non sembrano tanto
appartenere al tempo ordinario della vita purgativa, quanto a una fase di pene straordinarie che in.
alcuni casi lo raddoppia, e che si prolunga talvolta fino al termine della vita terrena. per i contem-
plativi che attraversano questa fase straordinaria, e pi particolarmente per quelli il cui destino ap-
pare definitivamente associato a un tale tat de croix, che Piny redige la maggior parte dei suoi
scritti. La sua opera non costituisce al limite che un lungo e sempre ricominciato trattato di dire-
zione spirituale, consacrato a tutti coloro che sono condotti par la voie des souffrances, a tutte le
anime qui sont dans une insatisfaction continuelle, qui portent un fond d'angoisse et d'amertume
dans leur cur: qui le ciel est un ciel de bronze, la terre une terre d'pines, et elles elles-mmes
un sujet continuel de croix42. Ora, l'aspetto indubbiamente pi doloroso, e pi enigmatico,
dell'tat de croix descritto da Piny un ostinato, incessante sentimento di derelizione. Stremata
dalle torture che le vengono inflitte, perduta nelle tenebre del suo inferno interiore, l'anima umana
giunge a credersi abbandonata, o addirittura irrimediabilmente condannata, da colui che pure essa
non cessa di amare con tutte le sue forze. Nella Clef du pur amour, Piny torna a due riprese su que-
sta pena suprema, su questo estremo e indicibile tormento. E, ogni volta, le indicazioni pratiche che
egli rivolge ai suoi destinatari vi si articolano a una concettualizzazione ardita, cattivante dell'ango-
scia di derelizione, che mette in gioco tutta una strana teoria dell'amor puro in quanto massima per-
fezione cristiana. Ecco dunque i due frammenti in cui questa teoria risulta pi evidente, frammenti
che si situano, rispettivamente, nei capitoli IV e VI, libro II, del testo esaminato:
(I) Il n'y a donc rien craindre, mon cher lecteur, pour ces mes si dsoles, et dans un tat si affligeant;
et il y a si peu craindre, que j'ose dire que tout ce qu'il y a de plus horrible et de plus dsespr dans cet tat
ne sert et ne servira qu' purer encore plus leur amour, et les rendre la plus grande gloire de Dieu et la
plus grande sanctification de leurs mes, les rendre, dis-je, des victimes du plus pur amour. En effet, si
Dieu ne mettait l'me dans ces sortes d'tats, o tout parat comme [210] dsespr, et o l'on n'oserait
presque plus esprer pour tant d'horreurs, tant d'impits et de misres qu'on y dcouvre, l'on n'aimerait ja-
mais dans toute la puret de l'amour; puisque notre salut et l'esprance du salut trouvant toujours place dans
les autres tats o Dieu se communique nous, on ne saurait jamais bien tmoigner que ce n'est point en vue
du salut qu'on l'aime, et qu'on ne laisserait pas de toujours l'aimer galement, quand mme il n'y aurait point
de salut faire ou esprer. Il faut donc pour purer notre amour autant qu'il doit l'tre, il faut que Dieu nous
mette dans un tat o en effet nous puissions dire que nous l'aimons uniquement pour l'amour de lui, et pour
ce qu'il est, et nullement pour notre salut, ni en vue du salut: et c'est ce qu'il fait quand il met l'me dans l'tat
que je viens de dcrire, et qu'on appelle parmi les spirituels l'tat de l'amour dsespr, ou du dsespoir
amoureux.
Ainsi donc pour faire servir cet tat si horrible, si pnible et si dsolant purer encore plus notre amour,
et nous maintenir dans l'exercice du plus pur amour, l'me qui s'y trouve engage n'a qu' se jeter dans ce
dsespoir amoureux, c'est--dire rflchir pour une bonne fois sur tout ce qu'il y a de plus dsolant dans son
tat, et qui pourrait en quelque manire lui faire perdre l'esprance de son salut; aprs quoi, se tournant vers
Dieu comme une me qui n'aurait quasi plus de salut esprer, ou du moins qui n'ose plus l'aimer et le servir
117
en vue de son salut et pour l'esprance du salut: Seigneur, doit-elle dire alors, c'est bien maintenant que je
puis vous aimer purement, puisque c'est maintenant que je vous aimerai sans esprance de rcompense. Oui,
grces vous soient rendues de m'avoir mis dans un tat o tout me parat perdu, et dsespr, puisque n'ayant
plus lieu de vous servir par l'esprance, je serai comme contrainte, mais heureusement contrainte, de vous y
servir purement par amour. [...] J'accepte donc de tout mon cur ce rigoureux tat, quelque dplorable qu'il
puisse tre: me donnant lieu de vous aimer, et d'un amour toujours plus pur. Je consens que vous le fassiez
durer autant que ma vie; puisque ne laissant pas de continuer vous servir, je continuerai vous y servir par
amour, en continuant vous servir sans esprance de rcompense43.
(II) J'avoue que c'est dj un amour bien pur quand l'me vit ainsi, et veut vivre sans joie; et que dans un
tat o l'on ne voit rien qui console, mais o plutt tout parat crucifant, et assez souvent comme perdu et
dsespr, on soutient, et on demeure pourtant en paix, et l'on continue dans tous ses exercices de pit, pour
tmoigner Dieu que ce n'est point par l'esprance de rcompense, ni pour la joie qu'on gote en le servant,
qu'on l'aime et qu'on le sert: c'est l, dis-je, un amour dj bien pur, pour commencer devenir la joie de
Dieu: mais ! que c'est un amour bien autrement pur, et peut-tre autant pur qu'il peut l'tre, lors que cet
tat o l'on ne voit rien sur quoi on peut se consoler, ni appuyer quelque assurance de salut, lors, dis-je, que
cet tat sans joie, ou plutt dsolant jusques au dernier moment de la vie, aprs lequel il n'y aura plus de
temps, l'me a nanmoins assez d'estime, assez de prfrence pour son Dieu, et assez d'amour pour l'accom-
plissement de sa divine volont et de [211] son bon plaisir, pour prendre encore, dans ce dernier moment, la
devise du pur amour: moriar, modo regnet; oui Seigneur, la bonne heure que je prisse, et prisse pour tout
jamais, si tel est votre bon plaisir: pourvu que mon Dieu rgne, et que je sois le sujet de sa joie et de son bon
plaisir. Non Seigneur, point de paradis de dlices, si telle est votre volont, que nous en soyons exclus; et
point d'autre paradis que celui que le pur amour fait goter par avance, je veux dire l'assurance amoreuse, et
le souvenir amoureux, que toujours, grand Dieu, vous serez ce que vous tes, et que toujours vous vous
contenterez en ce que nous serons.
O! que c'est bien l tre en effet la joie de Dieu, et que c'est bien l achever et consommer le sacrifice du
pur amour, qu'on avait commenc en vivant sans jaie: n'tant gure au pouvoir ni de la crature ni de l'amour
de faire davantage, aprs avoir voulu vivre sans joie, en vue du bon plaisir de Dieu, de vouloir encore mourir
sans joie, et vivre ainsi ternellement sans joie, si tel tait son ban plaisir44.
Consideriamo, per cominciare, il primo frammento riportato. Esso pu essere scomposto in due
grandi sequenze: una sequenza (a) in cui Piny interpreta il significato 'oggettivo' dello stato di dere-
lizione - ossia il significato che esso riveste nel disegno della divinit che l'ha voluto; e una sequen-
za (b) in cui egli determina, esemplificandolo in una magnifica preghiera, il comportamento che
necessario assumere pour faire servir cet tat si horrible [...] purer encore plus notre amour. In
(a), Piny spiega come lo stato di derelizione sia un'occasione che Dio offre all'anima umana per
provargli la purezza del suo amore, per testimoniargli cio che ce n'est point en vue du salut
qu'[elle] l'aime, et qu'[elle] ne laisserait pas de toujours l'aimer galement quand mme il n'y aurait
point de salut faire ou esprer. La derelizione, in altri termini, voluta da Dio come una prova
la cui funzione di verificare la purezza dell'amore che gli viene consacrato: soltanto coloro che
continueranno ad amarlo con egual fervore nella certezza di essere dannati - ossia nella convinzione
di non poter ricevere alcuna ricompensa in cambio della loro adorazione - sono veri e perfetti aman-
ti; essi soltanto amano Dio in tutta la purezza dell'amore. Ora, c' forse bisogno d'insistere sull'e-
quazione che sottende tutto il ragionamento di Piny? palese che il suo discorso si sviluppa nell'o-
rizzonte di una teoria antieconomica ove perfezione = purezza, e purezza = disinteressamento, e che
soltanto alla luce di questa duplice equazione l'interpretazione che egli fornisce dello stato di dereli-
zione pu essere compresa. La [212] suprema perfezione consiste per lui, come gi per Camus e per
Surin, nel non chiedere n nel desiderare ricompensa alcuna in cambio del proprio amore, nel non
inscriversi dunque - e nel non inscrivervi il proprio cuore - nella logica dello scambio che l'ideolo-
gia dominante aveva esteso fino ad inc1udervi le pi segrete passioni dell'anima umana. Per questo,
e per questo soltanto, il pur terribile stato di derelizione poteva apparire al maestro domenicano un
inestimabile privilegio, perch esso offriva al contemplativo la possibilit - altrimenti inconcepibile
- di praticare un amore realmente e radicalmente disinteressato, e dunque realmente e infinitamente
puro. Dall'interpretazione sviluppata nella sequenza (a), discende poi in linea retta la direzione spiri-
tuale impartita, ed esemplificata, nella sequenza (b). In questa seconda sequenza, l'anima in cui Piny
118
rappresenta il destinatario ideale del suo insegnamento, rende grazie a Dio di averla precipitata in
uno stato di disperazione senza ritorno poich, dal fondo stesso di questa disperazione, essa potr
levare il canto dell'amore pi puro. Essa accetta dunque de tout [son] cur ce rigoureux tat, e
accondiscende anzi a sopportarlo durante tutta la sua vita, giacch in tal modo avr in ogni momen-
to - e al prezzo di un interminabile martirio - la possibilit di amare Dio puramente, en continuant
[le] servir sans esprance de rcompense.
Veniamo adesso al secondo frammento. Nelle righe iniziali, il testo rievoca l'atteggiamento espo-
sto nella seconda sequenza del frammento precedente, relativizzando la purezza e l'amore in esso
racchiusi, e annunciandone gi il superamento. Certo, l'amore di cui Piny aveva indicato la via in (I,
b) era gi un amour bien pur; ma bien autrement pur, et peut-tre autant pur qu'il peut l'tre,
l'amore che egli si accinge ora a descrivere, e che costituir l'oggetto proprio del nuovo frammen-
to. L'autore suppone qui che l'anima afflitta dall'angoscia di derelizione sia ormai prossima alla
morte, e pi precisamente l'immagina in quell'ideale quanto letterariamente codificato 'ultimo mo-
mento', dopo di cui, com'egli dice, il n'y aura plus de temps. In quest'istante supremo, spiega im-
placabile il maestro domenicano, l'anima dovr acconsentire con gioia alla condanna che le sembra
ormai un'incontestabile certezza, dovr accettare cio, conformandosi senza rimpianti alla volont
divina, la dannazione che crede esserle stata riservata. Si tratta ora di comprendere perch, dal punto
di vista [213] di una gerarchia dell'amor puro, il gesto con cui il cnstlano sottoscrive la sua stessa
condanna pu apparire superiore alla pratica descritta - e prescritta - nel primo frammento. Il testo
di Piny non permette di nutrire dubbi a questo riguardo. Come l'indica chiaramente l'ultimo capo-
verso di (II), il nuovo atteggiamento assunto dall'anima pu essere considerato pi puro nell'esatta
misura in cui comporta un maggior sacrificio. Laddove infatti in (I, b), acconsentendo di buon cuore
alla sua derelizione, il cristiano non faceva che accettare uno stato di vita, terribile certo, ma pur
sempre limitato e transitorio, egli accetta qui, sottomettendosi alla propria condanna, di languire e di
soffrire eternamente. Secondo la spiegazione che Piny ne fornisce, il supplemento di purezza fa
dunque tutt'uno con un'accentuazione del sacrificio, il che ovviamente presuppone che la sofferenza
- o la disponibilit alla sofferenza - sia divenuta la sola unit di misura della perfezione.
Ora questa spiegazione, per essere assolutamente esplicita, non cessa tuttavia di apparire pro-
blematica. Tornando a considerare (I), facile osservare che in nessun passaggio di questo fram-
mento ci vien detto che il puro amore consiste nell'accettare la propria derelizione; ci si dice soltan-
to che opportuno accettare, ed anzi salutare con gioia questo stato desolante, in quanto ci d la
possibilit di amare Dio puramente, ossia di amarlo in modo disinteressato. Secondo il punto di vi-
sta manifestato da (I), la purezza non coincide dunque - come retrospettivamente si sforza di farci
credere il secondo frammento - nell'accettazione eroica dello stato di derelizione, ma nel disinteres-
samento di cui tale stato apre la possibilit, e per raggiungere il quale l'anima non esita a sacrificar-
si, abbracciando le pene che la derelizione le riserva. Vi di pi. Se, come si detto, il sacrificio
che l'anima compie in (I) relativo - la derelizione pur sempre uno stato di vita -, il disinteressa-
mento di cui essa d prova rigorosamente assoluto: giacch la specificit dello stato - transitorio -
di derelizione, precisamente che in esso l'anima crede di aver perduto Dio per sempre, e che dun-
que, se continua ad amarlo, ben indipendentemente da ogni possibile ricompensa, creata o increa-
ta, naturale o sovrannaturale, temporale od eterna. Da tutto questo consegue che il puro amore espo-
sto in (I, b) pu essere [214] considerato relativo - e inferiore all'amore assoluto rappresentato in (II)
- soltanto se si proietta su (I) il punto di vista introdotto da (II), e si calcola la purezza dell'amore in
funzione dell'entit del sacrificio; se al contrario si adotta il punto di vista esplicitato in (I, a), e si
calcola la purezza in funzione del disinteressamento, l'amore descritto in (I, b) dovr essere conside-
rato assoluto.
Ci troviamo cos costretti ad ammettere, fra i due testi citati, un cambiamento di prospettiva sen-
za di cui n la relativizzazione operata in (II) dell'amore gi esposto in (I, b), n la sua subordina-
zione all'amore descritto dal nuovo frammento, avrebbero potuto effettuarsi. Questo cambiamento
di prospettiva consiste,l'abbiamo visto, nel far dipendere la purezza dell'amore dall'entit del sacri-
ficio piuttosto che dalla delicatezza del disinteressamento. Cerchiamo adesso di comprendere me-
119
glio i presupposti di questa trasformazione, di scoprire quali siano le sue radici nel sistema globale
della dottrina di Piny. Esaminiamo, a questo fine, il seguente passaggio:
(III) Ce n'est donc pas l'esprance de vivre dans la joie et de trouver une vie sans croix, qu'on doit embrasser
la vie spirituelle et se jeter dans les bras du pur amour; mais il faut au contraire, si l'amour est vritablement
pur, en sorte qu'il ne respire que Dieu et sa volont, ne s'attendre qu' bien des croix, et toujours plus pe-
santes, et en plus grand nombre, puisque le caractre de cet amour c'est de nous faire aimer nos dpens, ce
qui ne se fait que par la croix et par la vie crucifie45.
Il brano citato illustra con straordinaria precisione le radici del nodo che si tesse, nel pensiero di
Piny, fra perfezione e sacrificio. Se questi fattori aumentano sempre di pari passo, se il purificarsi
dell'amore non pu che procurarci delle pene toujours plus pesantes et en plus grand nombre, e
se, reciprocamente, soltanto l'intensificarsi del dolore pu farci progredire sulla via dell'amor puro,
in quanto le caractre de cet amour c'est de nous faire aimer nos dpens, in quanto cio l'es-
senza del puro amore di mantenere l'amante in un'incessante condizione di perdita. Bisogna che la
purezza sia concepita come una totale disponibilit al deficit - o pi semplicemente come il deficit
stesso del nostro rapporto con Dio -, perch i suoi progressi e i suoi regressi possano essere misurati
in funzione delle maggiori o minori perdi-[215]te subite dal soggetto umano, o, il che lo stesso, in
funzione dei maggiori o minori sacrifici che egli si trova a dover compiere. Un calcolo come quello
effettuato nel frammento (II) presuppone perci necessariamente l'equazione purezza = perdita, e
non pu avvenire che all'interno di una teoria antieconomica della perfezione cristiana. Ma, ed ci
su cui vorremmo insistere, questa teoria molto diversa da quella che abbiamo incontrato in autori
come Surin e Camus, e che Piny stesso, del resto, riformulava nel frammento (I) da noi riportato.
Assimilare la perfezione dell'amore al deficit registrato dal nostro bilancio allorch ci mettiamo in
rapporto con Dio (il n'y a amour si pur [...] que celui qui nous fait aimer Dieu nos dpens46, ri-
pete instancabilmente Piny), valutare la purezza della nostra passione sulla base di ci che essa ci
costa, significa infatti aver gi presupposto quella logica economica, quel sistema dello scambio e
del profitto, che la prima grande teoria da noi individuata aveva precisamente escluso. I nomi di
perfezione e di purezza non designano pi, in questa seconda, nuova concezione, la semplice estra-
neit dell'amore alla logica dello scambio, ma piuttosto la perversione, l'irregolarit del circuito di
scambio in cui l'amore risulta iscritto. Lo statuto del puro amore si , come si vede, radicalmente
trasformato: amiamo di puro amore, non quando rifiutiamo di entrare nel circuito dello scambio, ma
quando accettiamo di venir costantemente defraudati nello scambio in cui, gi da sempre, siamo
stati presi.
Un'obiezione, lo so bene, potrebbe essermi rivolta: perch il concetto di scambio perverso acqui-
sti tutta la sua pertinenza, non basta che, nel dominio di un determinato rapporto (nella fattispecie, il
rapporto uomo-Dio), uno dei due partners (il soggetto umano) si trovi in un continuo stato di perdi-
ta; bisogna che questa perdita sistematica possa essere sfruttata dall'altro partner come una fonte di
guadagno, bisogna cio che egli possa ricavarne un non meno sistematico profitto. Ora, in qual mo-
do Dio potrebbe avvantaggiarsi della terribile perdita subita dall'anima nel corso dell'esperienza mi-
stica? Quale profitto egli potrebbe mai trarre dai ripetuti e sempre maggiori sacrifici che gli vengo-
no offerti dalla sua irriducibile e inconsolabile amante? Per quanto ci possa apparire sorprendente,
vi , negli scritti di Piny, tutta una teoria che legittima una simile interpretazione. Si legga, ad e-
sempio, questa magnifica pagina della Clef du pur amour: [216]
(IV) Et certes, si c'est tre par le pur amour la joie de Dieu, que de l'aimer dans toute la puret de l'amour,
je vous demande, mon cher lecteur, si on peut aimer Dieu plus purement, et partant si on peut mieux devenir
sa joie et lui tre plus agrable, que de vouloir dans son bon plaisir et en vue de sa volont tre sans plaisir et
sans joie, et y tre d'une manire qu'on vive et qu'on meure sans joie? Non certes jamais amour ne fut si pur
que celui-ci; puisque vouloir vivre et mourir sans joie, c'est consentir non seulement ce qu'on soit priv de
toutes les joies et consolations humaines et licites, mais mme ce que Dieu ne soit et ne fasse point notre
joie, si tel tait, ou quand tel est son bon plaisir. Or y eut-il jamais amour si pur, que pour tre la joie de Dieu
nous consentions que Dieu mme ne soit point la ntre, en se communiquant nous, et se laissant gouter et
savourer nous? Et partant, puisque c'est jusques o se porte l'amour d'une me qui veut tre sans joie, vivre
120
sans joie et mourir sans joie, ne faut-il pas conclure que c'est tre en effet par le pur amour la joie de Dieu,
que d'tre et vouloir tre, vivre et mourir sans joie, puisque c'est alors aimer Dieu duns toute la puret de
l'amour?47.
Il messaggio complessivo veicolato da (IV) presenta una struttura composta da due serie diver-
genti. La prima serie corrisponde alla sequenza iniziale e alla sequenza conclusiva di (IV), ossia alle
due grandi interrogative che aprono e chiudono il testo. Il contenuto espresso da queste sequenze
pu essere analizzato in una deduzione D, fondata sulla propriet logica detta transitiva (se a = b e b
= c, allora a = c):
() Essere oggetto del godimento di Dio equivale ad amarlo in tutta la purezza dell'amore.
() Amare Dio in tutta la purezza dell'amore equivale a rinunciare, se tale la sua volont, a tu ti
gli oggetti del proprio godimento.
() Essere oggetto del godimento di Dio equivale dunque a rinunciare, in nome della sua volont,
a tutti gli oggetti del proprio godimento.
Le tre proposizioni (), (), () si limitano a riformulare dei messaggi esplicitamente articolati da
(IV). La proposizione (), ad esempio, traduce nel nostro metalinguaggio critico il contenuto della
premessa della sequenza iniziale. Le proposizioni () e () descrivono invece il significato introdot-
to dalla domanda successiva a tale premessa all'interno della medesima sequenza, e costituiscono
inoltre la rappresentazione semantica assegnabile alla sequenza con-[217]clusiva. Possiamo dunque
affermare che la deduzione D non tanto il risultato di un'interpretazione, quanto di una pura de-
scrizione del testo: essa non presuppone, in altri termini, l'esplicitazione di messaggi implicitati da
(IV), ma soltanto la riformulazione metalinguistica di messaggi gi espliciti.
Un'opera d'interpretazione si rende invece necessaria per individuare la seconda serie di senso
messa in gioco del frammento citato. Questa seconda serie trova il suo punto d'origine in una parti-
colare lettura - interna al testo - del messaggio descritto dalla proposizione (). Tale lettura si effet-
tua nelle due sequenze che costituiscono la fascia centrale di (IV). Rinunciare a tutti gli oggetti del
proprio godimento - spiega Piny nella prima di queste sequenze - non significa soltanto spogliarsi
delle consolazioni e delle gioie terrene, ma anche e soprattutto privarsi, se tale il desiderio divino,
di quel godimento supremo e sovrano che la presenza di Dio stesso. Immaginiamo ora di sostitui-
re, nel rapporto di equivalenza definito da (), la rinuncia globale agli oggetti del proprio godimento
con la privazione che ne costituisce il culmine, ossia con la sua parte pi dolorosa e pi difficile. Ot-
terremo molto precisamente l'equivalenza stabilita dalla seconda sequenza della fascia centrale, ma-
nifesta sineddoche particolarizzante di quella articolata dalla sequenza iniziale del testo, e metalin-
guisticamente descritta da (). Questa nuova equivalenza pu essere riformulata nella proposizione
metalinguistica ():
Amare Dio in tutta la purezza dell'amore equivale ad accettare, se tale la sua volont, che egli
non divenga mai l'oggetto del nostro proprio godimento.
Ora, per poco che si faccia reagire la proposizione () sulla proposizione () - per poco cio che
si ricolleghino i messaggi testuali espliciti riformulati in queste proposizioni -, si arriver ad inferir-
ne un messaggio testuale implicito, che esplicitiamo nella seguente proposizione ():
Essere oggetto del godimento di Dio equivale ad accettare, se tale la sua volont, che egli non
divenga mai l'oggetto del nostro proprio godimento. [218]
La proposizione () definisce la conseguenza necessariamente implicata, in virt della propriet
transitiva, delle proposizioni () e (), o ancora esplicita - interpreta - il messaggio testuale implici-
tato dai messaggi testuali espliciti descritti in queste proposizioni. Siamo in grado, a questo punto,
di identificare la seconda serie di senso costitutiva del messaggio complessivo di (IV). Essa non
altro che la deduzione D', formata dalle proposizioni (), (), () precedentemente enunciate. Dire-
mo allora che nel frammento (IV) il senso non cessa di circolare, di ramificarsi, di divergere nelle
121
due grandi deduzioni D e D', e che questa circolazione costituisce la significanza propria di tale
frammento, ossia la dinamica interna del suo sistema semantico.
Concentriamo adesso la nostra attenzione sulla deduzione D', e pi particolarmente sulla propo-
sizione () che la conclude. Operando su questa proposizione alcune semplici - e, mi sembra, erme-
neuticamente legittime - trasformazioni, si possono conseguire dei risultati della massima importan-
za. Basta infatti capovolgere la formulazione di () per ottenere la proposizione ():
Dio gode dell'anima che lo ama in quanto, per conformarsi alla sua volont, essa rinuncia a gode-
re di lui.
Ed sufficiente introdurre in () un principio di gradazione, o di quantifcazione, per arrivare al-
la proposizione ():
Dio gode tanto pi dell'anima che lo ama, quanto pi essa rinuncia, per rispettare la sua volont,
a godere di lui.
O se si preferisce, dando alla stessa proposizione una formulazione pi generale:
Tanto pi l'amato gode dell'amante, quanto pi, per obbedirgli, l'amante rinuncia a godere di lui.
Difficilmente si potrebbe esagerare l'importanza di questo paradosso. Esso spezza le leggi della
reciprocit in amore, sostituendo alla proporzionalit diretta del piacere dei due amanti la propor-
zionalit inversa del piacere dell'amante e di quello dell'amato. Esso distrugge ogni rappresentazio-
ne ottimistica e ingenua della passione amorosa, optando per una concezione tragica, per una teoria
[219] lucida e crudele. Da solo esso rovina tante interpretazioni semplicistiche, che si ostinano a ri-
durre l'esperienza mistica a una componente - l'unione estatica - tutto sommato abbastanza seconda-
ria nella totalit del suo sistema. Ma soprattutto - ed il punto su cui vorrei soffermarmi - esso per-
mette di completare la ricostruzione della teoria antieconomica elaborata da Piny.
Applichiamo dunque la proposizione () ai dati forniti dalla precedente analisi del frammento
(II). Abbiamo visto che in esso, in virt di un significativo cambiamento di prospettiva rispetto al
primo frammento, la purezza dell'amore veniva a coincidere con l'entit della perdita subita (e volu-
ta) dal soggetto umano nel dominio dell'esperienza mistica. Cos, accettando lo stato di derelizione,
ossia acconsentendo a vivere separato da colui che egli amava al di sopra di tutto, il contemplativo
compiva gi un gran sacrificio, e raggiungeva per ci stesso un alto grado di purezza; ma infinita-
mente pi puro era l'amore cui egli si elevava sottoscrivendo la sua stessa dannazione, acconsenten-
do cio alla massima perdita, alla separazione eterna dall'oggetto del suo amore. Ora, la proposizio-
ne () ci autorizza a riconoscere, nel sacrificio con cui l'anima accetta lo stato di derelizione, il prin-
cipio di un notevole godimento divino: giacch in tal modo, e per sottomettersi alla valont dell'a-
mato, essa rinuncia a godere di lui durante tutta la vita terrena. Ma la stessa proposizione - lo stesso
paradosso - ci consente anche di distinguere, nel gesto con cui il cristiano accetta la propria danna-
zione, il massimo godimento della divinit: in questo modo infatti l'amante acconsente, per rendere
omaggio al desiderio dell'amato, a separarsi da lui eternamente, e compie cos una rinuncia assoluta
al proprio godimento. La sofferenza dell'anima e il godimento della divinit, la perdita dell'amante e
il guadagno dell'amato procedono insieme, aumentano e diminuiscono di pari passo. Il puro amore
dunque, simultaneamente, il luogo in cui il soggetto umano acconsente a un martirio (a un deficit)
senza limiti, e lo spazio in cui il soggetto divino trae da questo martirio un piacere (un guadagno)
esso stesso illimitato. Il concetto di scambio perverso non potrebbe, mi sembra, trovare un'applica-
zione pi appropriata. Nel circuito di scambio che il puro amore stabilisce fra l'uomo e la divinit,
uno dei due partners necessariamente in perdita, e di questa perdita l'altro partner si avvantaggia
per trarre un supple-[220]mento di profitto - un sovrappi di godimento. La purezza, quale Piny la
definisce, l'istituzionalizzazione di questo scambio truccato, la consacrazione della frode com-
messa dal soggetto divino ai danni del soggetto umano, al momento stesso in cui il soggetto umano
si rivela consenziente alla frode che subisce48. Immaginiamo un Orgon che si pieghi indefinitamente
- e coscientemente - ai soprusi di Tartuffe, immaginiamo un'Elvire che giunga ad accettare anche
l'inganno, anche l'incostanza e il tradimento di Don Giovanni. Tale il ruolo destinato al contem-
122
plativo sulla scena dell'esperienza mistica, tale la parte che gli viene riservata nel dramma del puro
amore.
Riassumiamo. Nella Clef du pur amour si registra uno slittamento da una prima a una seconda
concezione del puro amore, chiaramente percettibile nelle differenze che separano i frammenti (I) e
(II), nonch nella valutazione retrospettiva che (II) fornisce di (I). Secondo la concezione messa in
gioco da (I), la purezza risiede nel disinteressamento dell'amore, ossia nella sua estraneit al sistema
dello scambio. Secondo la concezione introdotta da (II) - e sviluppata in tutte le sue implicazioni dal
frammento (III) - la purezza dell'amore consiste nel deficit che l'amante accetta di subire in nome
dell'amato. Poich d'altra parte - e come attesta il frammento (IV) - ad ogni perdita subita dal primo
corrisponde un equivalente guadagno del secondo, si pu dire che in questa nuova concezione la
nozione di purezza si assimila a quella di frode - di una frode tuttavia di cui l'amante sarebbe al
tempo stesso il complice e la vittima, in quanto cosciente dell'irregolarit dello scambio e consen-
ziente ad essa. Entrambe queste concezioni veicolano - come ritengo sia intuitivamente evidente -
una sovversione ideologica del modello etico-economico, ed entrambe continuano a dipendere strut-
turalmente da questo medesimo modello. La prima, perch in essa il sistema dello scambio neces-
sariamente presupposto come ci in opposizione a cui il concetto di purezza pu formarsi - la pu-
rezza (non) essendo definita (che) dall'estraneit dell'amore a questo sistema. La seconda, perch il
concetto di frode - a cui essa assimila quello di purezza - non ha senso che all'interno di una logica
dello scambio, di cui costituisce la trasgressione regolata, e gi da sempre prevista dal codice. Per
concludere, vorrei osservare che in questa seconda concezione la dipendenza strutturale si rafforza,
e [221] tende a trasformarsi in specularit. Adottandola, il discorso mistico adotta infatti la stessa
opposizione di base - scambio regolare vs frode - articolata dal discorso etico, limitandosi a capo-
volgerne i segni di valore. Il discorso mistico, in altri termini, non si accontenta pi di costituire i
propri concetti in funzione del modello economico, ma incorpora i concetti stessi messi in gioco da
questo modello, invertendone semplicemente le caratteristiche assiologiche. Esso si struttura dun-
que come l'immagine speculare - o l'antimodello - del modello propugnato dal discorso etico, esso
si esaurisce nel capovolgimento - nella transvalutazione - del sistema di valori instaurato da questo
discorso.
Le precedenti analisi hanno chiaramente dimostrato che il discorso mistico tende - in forme e in
gradi diversi - a dipendere strutturalmente dal modello etico-economico. Diremo allora che i mistici
secenteschi non hanno potuto sviluppare un'ideologia antieconomica, senza continuare a presuppor-
re - sul piano strutturale del loro discorso - il modello ideologicamente contestato. Dobbiamo forse
dedurne che il discorso mistico non respinge che in apparenza la legge dello scambio, e che non
pu venire opposto al discorso etico se non in quanto l'analisi resta prigioniera dell'illusione dell'i-
deologia? Ci significherebbe ridurre abusivamente lo spessore e l'importanza del livello ideologi-
co. Lungi dall'essere una mera apparenza, un'ombra che si dissolve non appena si raggiunta la
'verit' del livello strutturale, l'ideologia ha una sua consistenza, una sua specificit, un suo essere
proprio e per nulla secondario. In generale, si pu dire che il discorso umano fatto di molti strati
diversi, ciascuno dotato di un'organizzazione propria, e nessuno suscettibile di essere considerato
come privo di spessore e d'importanza. Se vero dunque che la sovversione ideologica del modello
economico si raddoppia, nel discorso mistico, di una dipendenza strutturale dal medesimo modello,
vero anche ohe questa dipendenza non diminuisce in nulla la virulenza e la radicalit di quella
sovversione. Per cogliere l'entit della tensione creata dal discorso mistico in seno alla cultura
dell'et classica, bisogna ben comprendere che ci che i mistici presentavano come suprema perfe-
zione cristiana costituiva, per la maggior parte dei loro contemporanei, un vero e proprio scandalo
morale. Santificare la pura e semplice ignoranza della legge dello [222] scambio, o addirittura la de-
liberata trasgressione di questa legge, era probabilmente altrettanto intollerabile, per gli uomini del
XVII secolo, che il denigrare la ragione e l'esaltare la follia. In quest'ultima parte del nostro lavoro,
vorremmo illustrare quello che fu il momento di massima tensione ideologica nel rapporto fra i mi-
stici e il loro ambiente culturale. Tale momento coincide, molto precisamente, con la pubblicazione,
nell'inverno del 1697, dell'Explication des Maximes des Saints sur la vie intrieure - un piccolo li-
123
bro in cui Fnelon, allora arcivescovo di Cambrai, si proponeva di riassumere gli elementi fonda-
mentali della teologia mistica. Il disagio dell'ambiente culturale-religioso non meno che profano - si
tradusse nella vigorosa, spettacolare campagna che Bossuet, vescovo di Meaux, condusse contro
Fnelon e la sua dottrina. Spalleggiato da altri illustri rappresentanti del mondo ecclesiastico, Bos-
suet riusc ad ottenere, al termine di una lunga controversia, una condanna formale del libro di F-
nelon. In questa condanna, i migliori storici del pensiero religioso ci hanno insegnato a riconoscere
il colpo decisivo inferto allo sviluppo del misticismo - gi seriamente compromesso, del resto, da
quasi mezzo secolo di ostilit, di accuse, di sospetti49. Cercare di comprendere le cause della con-
troversia, tentare di portare alla luce le radici della polemica Bossuet-Fnelon, significher dunque
indagare sulle ragioni che provocarono la messa al bando del discorso mistico alle soglie del secolo
dei lumi - ma che ne determinarono anche, a partire dagli anni 1650-1660, il progressivo riflusso
verso zone sempre pi periferiche dello spazio culturale. La nostra ipotesi - la nostra scommessa -
che il principale detonatore della controversia - e quindi il fattore decisivo nell'esclusione del misti-
cismo - sia stata precisamente quell'ideologia antieconomica di cui abbiamo cercato finora - mi au-
guro con un certo successo - di mettere in rilievo l'esistenza.
Lungi dall'introdurre delle novit inaudite nel dominio della spiritualit cristiana - come per mol-
to tempo e a dispetto dell'evidenza stessa si voluto credere50 -, l'Explication des Maximes des
Saints non faceva che raccogliere l'eredit di un discorso (antieconomico) che si era andato svilup-
pando lungo tutto l'arco del XVII secolo. Per maggior precisione, bisognerebbe aggiungere che F-
nelon s'inserisce in quel filone dell'ideologia antieconomica [223] che definisce l'esperienza mistica
in funzione della sua estraneit alla logica del profitto e dello scambio. Egli dunque l'erede natura-
le di Franois de Sales, di Camus, di Surin, e di tutti i grandi spirituali secenteschi che avevano in-
dicato nel disinteressamento dell'amore la suprema perfezione cristiana. Una rapida ispezione del
testo delle Maximes sar sufficiente a provare la veridicit di quest'affermazione51.
Nell'exposition des divers amours, che inaugura il libro, Fnelon distingue cinque differenti ti-
pi d'amore, a ciasouno dei quali corrisponde un determinato stato nella gerarchia della vita spiritua-
le. Nei successivi articoli, egli illustra poi le propriet fondamentali di questi tipi d'amore, opponen-
dole ogni volta alle propriet che sarebbe erroneo attribuire loro. Riproduco qui alcune delle defini-
zioni pi significative formulate da Fnelon a riguardo di questi amori gerarchicamente distinti, in-
tegrandole, se e nella misura in cui mi parr opportuno, con un breve commento.
(1) Il primo tipo d'amore, che Fnelon respinge al di fuori del dominio cristiano, quello in cui si ama Dio
non pour lui, mais pour les biens distingus de lui, qui dpendent de sa puissance, et qu'on espre en obte-
nir. Tel tait l'amour des Juifs charnels, qui observaient la loi pour tre rcompenss par la rose du ciel et
par la fertilit de la terre. parler exactement - aggiunge il nostro autore - ce n'est pas aimer Dieu; c'est
s'aimer soi-mme, et rechercher uniquement pour soi, non Dieu, mais ce qui vient de lui52.
(2) Il secondo tipo d'amore tale che in esso on ne dsirerait que Dieu, mais Dieu pour le seul intrt de san
propre bonheur, et parce qu'on croirait trouver en lui le seul instrument propre notre flicit. Un simile
amore serait un amour indigne de Dieu; proprio come il precedente, esso sarebbe plutt un amour de soi-
mme qu'un amour de Dieu53. La definizione di questo secondo tipo d'amore per noi della massima im-
portanza. Essa infatti dimostra che, per Fnelon, ci che rende l'amore impuro non tanto - non essenzial-
mente - la bassezza spirituale della ricompensa desiderata dall'amante, quanto il fatto stesso che l'amante
possa desiderare un qualsiasi ricompensa. Quand'anche, amando Dio, non volessimo altra ricompensa che
Dio stesso, il nostro amore non sarebbe meno impuro: quoique cet amour ne nous ft point chercher d'autre
rcompense que Dieu seul, il serait nanmoins purement mercenaire et de pure concupiscence54. Purificarsi,
elevarsi alla pratica della vera giustizia cristiana, non significher dunque optare per uno scambio sempre pi
nobile, sempre pi giusto - non vi pu essere n nobilt n giustizia all'interno del sistema dello scambio -
ma sottrarre il proprio amore al controllo del modello etico-economico. [224]
(3)-(4) Il terzo e il quarto tipo d'amore non vengono identificati sulla base di criteri specifici. Essi si defini-
scono come dei miscugli in cui rientrano, in proporzioni diverse, il secondo tipo d'amore - l'amore mercena-
rio e interessato - e l'amore disinteressato che, come vedremo, costituisce il quinto ed ultimo livello della ge-
rarchia stabilita da Fnelon. Cos, nel terzo tipo d'amore, si assiste a un commencement d'amour de Dieu
124
pour lui-mme , ma le motif de notre propre intrt est son motif principal et dominant55. Nel quarto tipo
d'amore, al contrario, l'elemento disinteressato a prevalere, bench il motivo del proprio interesse continui
ad essere sensibilmente presente nell'anima. Coloro che hanno raggiunto questo quarto livello d'amore pos-
sono gi, a buon diritto, essere considerati dei giusti: tandis que nous n'avons encore qu'un amour d'esp-
rance, o l'intrt propre domine sur l'intrt de la gloire de Dieu, une me n'est point encore juste. Mais
quand l'amour dsintress ou de charit commence prvaloir sur le motif de l'intrt propre, alors l'me
qui aime Dieu est vritablement aime de lui56. Il movimento con cui l'anima si eleva alla giustizia e quello
in virt del quale l'elemento disinteressato diviene predominante, sono dunque una sola e medesima cosa:
cominciamo ad essere giusti nel momento preciso in cui la logica dello scambio perde il controllo del nostro
cuore - anche se l'impulso economico, non ancora del tutto soffocato, continua a farsi sentire in noi.
(5) Vi infine un quinto tipo d'amore - che Fnelon assimila alla suprema perfezione - in cui il disinteressa-
mento assoluto, in cui il desiderio della ricompensa - ossia il motivo del proprio interesse - ha definitiva-
mente abbandonato l'anima umana. Alors on aime Dieu au milieu des peines, de manire qu'on ne l'aimerait
pas davantage, quand mme il comblerait l'me de consolation. Ni la crainte des chatiments, ni le dsir des
rcompenses, n'ont plus de part cet amour. On n'aime plus Dieu, ni pour le mrite, ni pour la perfection, ni
pour le bonheur qu'on doit trouver en l'aimant. On l'aimerait autant, quand mme, par supposition impos-
sible, il devrait ignorer qu'on l'aime, ou qu'il voudrait rendre ternellement malheureux ceux qui l'auraient
aim57. Si noter come Fnelon, per suggerire la grandezza del disinteressamento raggiunto dall'anima, ri-
corra qui a quelle supposizioni impossibili che costituiscono forse l'aspetto pi caratteristico della sua dottri-
na. E pu essere interessante osservare come spesso egli raggiunga, allorch formula tali supposizioni, una
sorta di lirismo selvaggio, molto insolito, e anzi affatto sorprendente, se si considera il tenore ordinario della
sua sobria e sorvegliatissima scrittura. Si legga ad esempio il seguente passaggio: Si, par un cas qui est im-
possible cause des promesses purement gratuites, Dieu voulait anantir les mes des justes au moment de
leur mort corporelle, ou bien les priver de sa vue, et les tenir ternellement dans les tentations et les misres
de cette vie, comme saint Augustin le suppose, ou bien leur faire souffrir loin de lui toutes les peines de l'en-
fer pendant toute l'ternit, comme saint Chrysostome le suppose aprs saint Clment; les mes qui sont dans
cet [...] tat du pur amour ne l'aimeraient ni ne le serviraient pas avec moins de fidlit58. Tutto questo
frammento pervaso da una strana forma d'e-[225]brezza: ne sono segni inconfondibili la proliferazione del-
le supposizioni enunciate nella protasi del periodo ipotetico, il crescendo d'intensit in cui si lasciano ordina-
re i loro correlati semantici, l'accumularsi progressivo ed enfatico delle autorit invocate in loro difesa.
come se un impulso di vertigine avesse trascinato Fnelon di supposizione in supposizione, d'ipotesi in ipote-
si, di paradosso in paradosso. In generale, del resto, si potrebbe azzardare la seguente regola: le supposizioni
impossibili costituiscono, nello stile severo e quasi ascetico delle Maximes, l'unico luogo deputato all'irru-
zione del pathos, alla manifestazione di un'ebbrezza che attraversa la scrittura con il fulgore e la rapidit di
una meteora.
Da quanto precede emerge chiaramente che il disinteressamento dell'amore - ovvero la sua estra-
neit alla logica del profitto e dello scambio - costituisce la chiave di volta della dottrina articolata
nelle Maximes. Esso vi presente infatti come ci che permette di qualificare - e di quantificare - la
purezza, rendendo possibile cos una gerarchizzazione degli stati della vita spirituale: tanto pi sa-
remo puri, tanto pi saremo vicini al vertice della gerarchia cristiana, quanto meno il desiderio di
una ricompensa prender parte al nostro amore, quanto meno, dunque, il modello etico-economico
governer la dinamica dei nostri sentimenti. L'ideologia sovversiva propugnata dal testo di Fnelon
non potrebbe, mi sembra, essere pi evidente. Esso faceva della vita spirituale la scena di un allon-
tanamento progressivo dalla sfera di controllo del modello dominante; esso identificava la suprema
perfezione con uno stato in cui l'azione di questo modello aveva defnitivamente, irreparabilmente
cessato di esercitarsi. Certo, questa contestazione non era nuova nel discorso mistico; nuovo, o par-
zialmente nuovo, era in compenso il contesto culturale in cui essa s'inseriva. Insediando al vertice
dell'itinerario spirituale, santificando dunque come il vertice di quest'itinerario, la pura e semplice
vacanza del modello etico-economico, Fnelon non faceva che riformulare una dottrina gi antica,
una dottrina che tutti i grandi mistici secenteschi avevano enunciato prima di lui. Ma, precisamente,
egli la riformula in un momento in cui il modello etico-economico era divenuto abbastanza potente
per schiacciare ogni opposizione, per eliminare ogni resistenza. Ora, la vita religiosa, o pi esatta-
mente la vita mistica - la scena su cui si recitava il dramma di un contatto diretto fra l'uomo e la di-
125
vinit -, era probabilmente, alla fine del XVII secolo, l'ultima zona di resistenza all'espansione vitto-
riosa del modello etico-economico, [226] l'unico territorio che la razionalit dell'utile, la logica del
profitto e dello scambio, non era ancora pervenuta ad annettersi. La posta in gioco della lunga con-
troversia che oppose Bossuet e Fnelon, era appunto la sottomissione di quest'ultima zona franca.
Ci che Bossuet non poteva accettare, nella dottrina sviluppata da Fnelon, era precisamente il
suo elemento essenziale, la definizione del quinto tipo d'amore. Il vescovo di Meaux espresse in pi
occasioni una severa condanna per questo stato d'amore puro e disinteressato, che egli considerava
completamente estraneo alla tradizione e allo spirito della religione cristiana. Ecco alcuni passaggi
estratti dai suoi Mmoires M.gr l'archevque de Cambrai, in cui questa condanna si fa sentire con
particolare nettezza:
(i) [...] ce prtendu amour pur, qu'on imagine dsintress de son propre bien, n'est qu'une illusion 59.
(ii) [...] ce prtendu amour pur dont vous faites un degr surminent, n'est qu'une illusion, un amusement
dangereux, et une entire subversion de la religion et de l'vangile60.
(iii) Voil cet amour que j'appelle une illusion, l'extinction de l'esprance comme de la crainte, un amour qui
se dtruit par lui-mme, dont j'ai dit et je dis encore, qu'on ne trouve rien dans aucun scolastique, dans aucun
mystique, dans aucun thologien, dans aucun Pre61.
Se ci si chiedesse poi che cosa poteva motivare delle accuse tanto violente, la risposta una sol-
tanto:
On ne doit point souffrir, dans cette vie, un amour qui n'ait plus besoin de s'exciter par la considration des
bienfaits de Dieu, passs, prsents et futurs [...] C'est d'ailleurs une vrit dtermine par le concile de
Trente, que la vue de la rcompense anime les plus parfaits, et qu'ils croient en avoir besoin, pour exciter un
fond de langueur qui reste dans les plus grands saints durant cette vie. Le mme concile a dfini qu'il faut
proposer la vie ternelle comme rcompense aux enfants de Dieu, c'est--dire ceux qui doivent aimer par
tat, et qui ont reu l'esprit d'adoption, pour, en bannissant l'esprit de crainte et de servitude, recevoir celui
d'amour et de libert62.
Se il puro amore di Fnelon pu apparire a Bossuet un errore inquietante, un'illusione colpevole,
o addirittura una completa sovversione della religione e del vangelo, dunque perch la conside-
razione della ricompensa deve animare anche i pi perfetti, [227] perch non bisogna affatto accet-
tare, in questa vita, un amore in cui il desiderio della ricompensa non abbia pi parte, perch l'asso-
luto disinteressamento non permesso ai mortali. Il n'appartient qu' Dieu seul d'aimer sans be-
soin, scrive altrove Bossuet63. Su questa terra, in questa vita, non possiamo e non dobbiamo ele-
varci a un amore puramente gratuito: a differenza di Dio, gli uomini hanno il dovere di assoggettarsi
alla razionalit dell'utile, di sottomettersi alla logica del profitto e dello scambio. Respingendo oltre
i limiti della vita terrena l'assoluto disinteressamento, riconoscendo a Dio, e a Dio soltanto, la facol-
t di amare senza necessit, il potere di prodigare gratuitamente il proprio amore, Bossuet comple-
tava il movimento d'espansione del modello etico-economico, estendeva il suo controllo all'ultima
zona che ancora gli sfuggiva. Anche i pi perfetti - anche i contemplativi - saranno tenuti ormai a
desiderare una giusta contropartita in cambio dell'amore che essi offrono a Dio, anche sulla scena
dell'esperienza mistica si dovr eccitare ormai il proprio cuore con un'attenzione incessante alla fu-
tura ricompensa.
Ora, vi era una dottrina, di matrice essenzialmente scolastica, che i mistici avevano spesso invo-
cato, nel corso del XVII secolo, in difesa della loro concezione antieconomica della perfezione cri-
stiana: si trattava di quella teoria - di cui abbiamo gi fornito alcuni esempi analizzando il racconto
di Camus - che definiva la carit, suprema virt teologale, come un amore di Dio considerato in se
stesso, indipendentemente da noi e dai nostri interessi. A sua volta, Fnelon non manc di riconre a
questa teoria come a un argomento decisivo in favore della propria dottrina: [...] la charit - egli
scrive ad esempio in una sua lettera - est un amour de Dieu par lui-mme, indpendamment du mo-
tif de la batitude qu'on trouve en lui64. Una volta ammessa questa definizione, era poi facile de-
durre l'assoluta conformit del quinto tipo d'amore alla virt teologale di carit:
126
Je n'ai jamais prtendu mettre dans l'tat des mes les plus parfaites aucun amour d'une espce au-dessus
de la charit vertu thologale, qui est commune tous les justes. Voici ce que j'ai dit sur le cinquime tat,
qui est celui des parfaits. L'amour pour Dieu seul considr en lui-mme sans aucun mlange de motif int-
ress ni de crainte ni d'esprance, est le pur amour, ou la parfaite charit65. Le plus pur amour n'est donc
rien dans mon livre au-dessus de la charit commune mme aux imparfaits. Il est vrai [228] seulement que
les actes de charit sans sortir jamais de leur espce, sont plus frquents et un plus haut degr dans les par-
faits que dans les imparfaits66.
Per imporre nel mondo religioso la sua concezione, per bandire dalla sfera dell'ortodossia cristia-
na l'ideologia antieconomica, Bossuet doveva dunque, innanzitutto, trovare una mediazione fra la
dottrina scolastica della carit come amore disinteressato e il modello etico-economico, una media-
zione che sottraesse ai partigiani del discorso mistico la prova stessa a cui essi non cessavano di ag-
grapparsi.
Di fatto, possibile reperire, negli scritti di Bossuet, due diversi e successivi tentativi di media-
zione, a ciascuno dei quali corrisponde una definizione sensibilmente differente del concetto di cari-
t. La prima grande mediazione - al tempo stesso la pi grossolana e la pi esplicita - si realizza nel
libro X dell'Instruction sur les tats d'oraison67:
[...] on expliquera par principes et dans toute son tendue, la nature de l'amour divin, en posant ce fondement
de saint Paul: La charit ne cherche point ses propres intrts: Non quaerit quae sua sunt. Ce qui montre
que par sa nature elle est dsintresse, et qu'un amour intress n'est pas charit.
En mme temps il ne laisse pas d'tre vritable qu'elle aime la batitude, et c'est un second principe qu'il sera
ais d'tablir. On montrera donc, par l'criture et par les Pres, que c'est le vu et la voix commune de toute
la nature, et des Chrtiens comme des philosophes, qu'on veut tre heureux, et qu'on ne peut pas ne le pas
vouloir ni s'arracher ce motif dans aucune des actions que la raison peut produire, en sorte que c'en est la fin
dernire, ainsi qu'on le reconnat dans toute l'cole.
Ds l donc il n'est pas possible la charit de se dsintresser l'gard de la batitude: ce qui se confirme
par la dfinition de la charit que donne saint Thomas, qui est que la charit est l'amour de Dieu, en tant
qu'il nous communique la batitude, en tant qu'il en est la cause, le principe, l'objet, en tant qu'il est notre fin
dernire68. C'est le propre de la charit, dit ce saint docteur, d'atteindre notre fin dernire en tant qu'elle est
fin dernire; ce qui ne convient aucune autre vertu: Charitas tendit in ultimum finem, sub ratione finis ulti-
mi: quod non convenit alicui alii virtuti69.
Ces en tant, que ce saint docteur rpte sans cesse en cette matire, sont usits dans l'cole pour expliquer
les raisons formelles et prcises; en sorte que d'aimer Dieu, comme nous communiquant sa batitude, em-
porte ncessairement que la batitude communique est dans l'acte de charit une raison formelle d'aimer
Dieu; par consquent un motif dont l'exclusion ne peut tre qu'une illusion manifeste. [229]
C'est ce qui fait ajouter ce saint docteur, que, si, par impossible, Dieu n'tait pas tout le bien de l'homme, il
ne lui serait pas la raison d'aimer70: c'est--dire qu'il ne serait pas un motif formel et une raison prcise pour
laquelle il aime. D'o il s'ensuit que c'est l'homme un motif d'aimer Dieu, que Dieu soit tout son bien, c'est-
-dire, en d'autres mots, sa batitude. [...]
C'est donc une illusion d'ter l'amour de Dieu le motif de nous rendre heureux; et c'est une contradiction
manifeste de dire d'un ct avec saint Thomas, qu'on doit aimer Dieu en tant qu'il nous communique la bati-
tude, et, de l'autre, exclure la batitude d'entre les motifs de l'amour, puisque la raison d'aimer ne s'explique
pas d'une autre sorte71.
La beatitudine, la ricompensa della vita eterna, si presenta qui, nel modo pi esplicito, come
l'oggetto formale o il motivo della virt di carit - ancora una volta la batitude communique est
dans l'acte de charit une raison formelle d'aimer Dieu. Siamo, come si vede, agli antipodi della
dottrina feneloniana secondo cui la carit un amore di Dio considerato indipendentemente dalla
beatitudinie che possibile trovare in lui. Per Bossuet, al contrario, il n'est pas possible la charit
de se dsintresser l'gard de la batitude. Mettiamo pure fra parentesi, per il momento, il pro-
blema del valore teologico di questa dottrina. Cerchiamo semplicemente di comprendere in che mo-
do essa possa conciliarsi con la definizione, accettata da Bossuet stesso, della carit come amore di-
sinteressato. Come pu, la virt di carit, essere un amore che non cerca i propri interessi, e al
tempo stesso mirare alla ricompensa della vita eterna? Come pu, simultaneamente, essere per sua
natura disinteressata, e amare Dio in quanto propria beatitudine? Com' possibile, infine e soprat-
127
tutto, sottoscrivere ad entrambe queste tesi senza cadere in una vistosa contraddizione? Bisogna, e-
videntemente, aver operato una netta distinzione fra i concetti d'interesse e di ricompensa, bisogna
aver ridefinito l'interessamento dell'amore in modo che cessi di coincidere con la ricerca di una ri-
compensa, con la richiesta di una contropartita. Questa ridefinizione chiaramente attestata dal se-
guente passaggio:
L'ide de la rcompense ne rend pas la charit plus intresse, puisque la rcompense qu'elle dsire n'est
autre que celui qu'elle aime, et qu'elle ne lui demande ni honneurs, ni richesses, ni plaisirs, ni aucun des biens
qu'il donne pour s'y arrter; mais lui-mme72. [230]
La carit pu essere disinteressata, e nello stesso tempo tendere a una ricompensa, perch la ri-
compensa cui essa tende non distinta dall'oggetto del suo amore - l'ide de la batitude, scrive
ancora Bossuet, est confusment l'ide de Dieu, cosicch tous ceux qui dsirent la batitude dans
le fond dsirent Dieu73. L'interessamento non sopravviene dunque allorch l'amante desidera una
ricompensa in cambio del suo amore, ma quando la ricompensa ,che egli desidera un bene distinto
dalla persona dell'amato. E precisamente il contrario di quanto insegnava Fnelon, allorch affer-
mava che tout mercenaire purement mercenaire, qui aurait une foi distincte des vrits rvles,
pourrait ne vouloir point d'autre rcompense que Dieu seul, parce qu'il le connatrait clairement
comme un bien infini, et comme tant lui seul sa vritable rcompense, ou l'unique instrument de sa
flicit74. Bossuet e Fnelon muovevano, con ogni evidenza, da due nozioni estremamente diverse
dell'amore interessato. Per Fnelon, ci che introduceva nell'amore il vizio dell'interessamento, era
il fatto stesso che l'amante potesse desiderare una ricompensa (qualunque ricompensa, non fosse
che il possesso e il godimento dell'amato. Di conseguenza, egli non poteva concepire la carit, ossia
l'amore disinteressato, che come uno stato psichico in cui l'anima non era pi mossa dal desiderio di
alcuna ricompensa, in cui dunque essa viveva e sentiva al di fuori della logica del profitto e dello
scambio. Per Bossuet, ci che rendeva l'amore interessato, era invece il fatto che l'amante ricercasse
una ricompensa distinta dalla persona dell'amato e inferiore ad essa. In tal modo, egli si dava i mez-
zi di reintrodurre il disinteressamento nell'orbita del modello etico-economico: la carit, l'amore di
Dio disinteressato, non coincideva pi, per lui, con uno stato psichico in cui l'anima, rinunciando a
chiedere una qualsiasi contropartita, si metteva al di sopra del sistema dello scambio, ma soltanto
con un atteggiamento in cui, non chiedendo altra contropartita che la presenza di Dio stesso, essa si
elevava al livello pi alto all'interno di questo sistema. Da una parte, dunque, la carit era il luogo
in cui il modello etico-economico veniva trasceso e sovvertito; dall'altra, e in virt di un'interpreta-
zione molto diversa dell'opposizione interessamento vs disinteressamento, il luogo in cui tale mo-
dello trovava la sua applicazione pi gloriosa - lo spazio dello scambio pi nobile, il dominio della
transazione pi pura. [231]
Riassumendo, diremo che la prima mediazione realizzata da Bossuet fra il modello etico-
economico e la dottrina della carit come amore disinteressato, consisteva nel far passare la linea di
separazione fra interessamento e disinteressamento all'interno del sistema dello scambio, in modo
tale che il secondo termine non designasse pi una zona d'esteriorit in rapporto a questo sistema,
ma soltanto il suo circuito pi eminente, il suo livello pi elevato. Ora, sul piano teologico, questa
mediazione era rigorosamente inaccettabile. La dottrina in cui essa sfociava - ossia la designazione
della beatitudine come oggetto formale dell'atto di carit - si scontrava infatti con i testi pi autore-
voli della tradizione scolastica, a cominciare dalla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino, a tor-
to invocata da Bossuet. In un breve ma densissimo saggio intitolato Dissertation sur les oppositions
vritables entre la doctrine de M. l'vque de Meaux et celle de M. l'archevque de Cambrai, Fne-
lon non ebbe difficolt a dimostrare l'impertinenza delle citazioni su cui il suo avversario tentava di
appoggiare la propria dottrina: i principali passaggi della Summa riportati nell'Instruction sur les -
tats d'oraison erano stati estrapolati da contesti in cui S. Tommaso non trattava affatto dell'oggetto
formale della carit, ma di problemi molto diversi e del tutto marginali in rapporto a tale questio-
ne75. Al contrario, Fnelon poteva addurre tutta una serie di testi specificamente consacrati alla de-
finizione della virt di carit, e, in primo luogo, i due frammenti decisivi che abbiamo gi avuto oc-
casione di commentare esaminando il racconto di Camus:
128
C'est dans les endroits o saint Thomas veut distinguer prcisment la charit et l'esprance qu'on peut
trouver les vritables notions sur ces deux vertus. Il y a, dit ce saint docteur, un amour parfait, et un amour
imparfait. Le parfait est celui par lequel on aime quelqu'un en lui-mme, en lui voulant du bien, comme un
homme aime son ami. L'amour imparfait est celui par lequel on aime quelque chose non en elle-mme, mais
afin que quelque bien nous en revienne, comme un homme aime la chose pour laquelle il a une sorte de con-
cupiscence. Ce premier amour appartient la charit qui s'attache Dieu considr en lui-mme. L'esprance
appartient au deuxime amour; car celui qui espre tend obtenir pour soi quelque bien.
Voil l'esprance moins parfaite que la charit, et pourquoi? Parce qu'elle cherche Dieu en tant qu'il nous
en revient un bien, c'est--dire, la batitude, et que la charit s'attache lui, en le considrant simplement en
[232] lui-mme. Cette doctrine est videmment confrme par ces paroles du mme saint docteur. Ce qui est
par soi est plus parfait que ce qui est par autrui. La foi et l'esprance atteignent Dieu, il est vrai; mais c'est en
tant qu'il nous revient de lui la connaissance de la vrit, et la possession du bien. Mais la charit atteint Dieu
pour s'arrter en Dieu, non afin qu'il nous en revienne quelque bien. C'est par l que la charit est plus excel-
lente que la foi et que l'esprance.
Voil des endroits de saint Thomas qui sont dcisifs, et qui ne peuvent jamais tre luds. Ce saint doc-
teur s'est accommod comme Scot de la distinction de la bont absolue d'avec la relative76. Voil des endroits
o il traite expressment ce qui constitue l'essence de ces vertus, ce qui les distingue prcisment les unes des
autres, et ce qui rend la charit plus parfaite selon la parole de l'Aptre: Tria haec; major autem horum est
charitas. M. de Meaux, en renversant cette doctrine, borne la charit l'amour imparfait d'esprance. Il n'en
fait mme qu'un dsir naturel et invincible de la batitude qui devient selon lui surnaturel, en ce qu'il la
cherche en Dieu, au lieu de la chercher dans les cratures77.
Da parte sua, Bossuet non tard a rendersi conto delle difficolt sollevate dalla dottrina che ave-
va esposto nell'Instruction sur les tats d'oraison. Fin dalle battute iniziali della controversia, egli
elabor dunque una seconda mediazione, che si traduceva in una definizione sensibilmente diversa
della virt di carit. Consideriamo ad esempio i due brani che seguono, tratti dal Sommaire de la
doctrine du livre qui a pour titre: Explication des maximes des saints78.
(I) [...] pour commencer par la dfinition de la charit, dont toute l'cole convient, j'avoue qu'elle regarde
Dieu en soi-mme, comme l'objet de notre amour absolu et sans aucun rapport nous, et par consquent in-
dpendamment du motif mme de la batitude: ce qui fait que la mme cole propose l'esprance comme
mercenaire de sa nature, et ayant en vue la rcompense comme son motif; au lieu qu'elle dfnit la charit
comme dsintresse, parce que, tout enflamme de la beaut des perfections divines, elle ne se laisse tou-
cher d'aucun dsir de la rcompense: cette doctrine est enseigne presque par toute l'cole, et surtout par
Scot et ses disciples, de sorte qu'elle ne peut tre condamne en aucune manire. L'auteur donc, mettant en ce
point toute sa confiance, seplaint d'tre inquit et accus sur un sentiment qui lui est commun avec les sco-
lastiques: mais il se joue visiblement des thologiens79.
(II) [...] quand les thologiens disent que la charit ne regarde que Dieu en soi-mme, sans aucun rapport
nous, c'est en le considrant comme son objet, qu'ils appellent spcifique: en sorte qu'ils sont tous d'accord,
sans qu'aucun ose le nier, qu'en mme temps les bienfaits de Dieu, qui se [233] rapportent nous, nous sont
une source inpuisable d'amour, et nous excitent par des motifs trs pressants, quoique moins principaux,
aimer de plus en plus cette excellence infnie. Ainsi, pour parler dans la rigueur et dans la prcision scolas-
tique, il suffirait la charit d'avoir pour objet Dieu trs-bon en soi, qui est son objet spcifique, sans lequel
la charit ne peut tre. Mais, dans la pratique, la charit embrasse tout; elle nous prsente Dieu tout entier, si
l'on peut parler ainsi, comme trs-bon en soi, et comme trs-bienfaisant envers nous, par cette plnitude de
bont. Enflamms par tous ces motifs, nous nous coulons en lui, nous nous y attachons, et nous y demeu-
rons colls sans que nous puissions tre arrachs de cette source de bont, aussi fconde que parfaite. Ainsi,
ce que dit l'cole dans la dfinition de la charit, qu'elle se porte Dieu sans aucun rapport nous, doit s'en-
tendre par abstraction, et non par exclusion, parce qu'on peut bien ne pas penser cette bont rpandue de
toutes parts, mais non en exclure la considration, si capable d'enflammer notre amour, et en qui se runis-
sent tous nos biens comme dans leur source80.
Nel primo frammento, Bossuet riconosce che la carit tende a Dio considerato in s stesso e sen-
za rapporto con noi e con i nostri interessi, et par consquent indpendamment du motif mme de
la batitude. Egli rinuncia dunque a fare della beatitudine l'oggetto formale della virt di carit, e
abbandona per ci stesso la mediazione realizzata nell'Instruction sur les tats d'oraison. Lungi
129
dall'assimilare l'opposizione fra amore interessato e amore disinteressato a quella fra il desiderio di
una ricompensa distinta dalla persona amata e il desiderio della persona amata come ricompensa,
Bossuet - proprio come Fnelon - fa coincidere qui l'interessamento con il fatto stesso di desiderare
una ricompensa, ed eguaglia il disinteressamento alla pura assenza di un tale desiderio. Cos, se la
scolastica dfinit la charit comme dsintresse, in quanto elle ne se laisse toucher d'aucun
dsir de la rcompense; viceversa, perch continua a rinviare al desiderio di una ricompensa co-
me al suo motivo o alla sua causa, che la speranza deve essere considerata comme mercenaire de
sa nature. Dobbiamo credere forse che Bossuet si sia ormai rassegnato a sottoscrivere senza riserve
la dottrina scolastica della carit, rinunciando al tentativo di mediarla con il modello etico-
economico? La mediazione, in realt, si soltanto spostata, ha semplicemente cambiato il suo punto
d'applicazione. Nel secondo frammento, Bossuet ritorna infatti sulla definizione articolata nel pri-
mo, sottoponendola a un vistoso processo di rivalutazione. Certo, la bont di Dio considerata in se
stessa l'oggetto [234] specifico della virt di carit; ma, accanto a tale oggetto, les bienfaits de
Dieu qui se rapportent nous non cessano d'intervenire come des motifs trs-pressants, quoique
moins principaux. Tutto il problema, evidentemente, di stabilire quale rapporto intercorra fra
questi motivi moins principaux e l'oggetto specifico della carit. Apparentemente, questo pro-
blema non ammette alcuna soluzione soddisfacente: se si riducono i benefici divini al rango di ele-
menti accidentali e separabili dall'oggetto specifico, si rispetta infatti la dottrina scolastica, ma si
accetta - e si legittima - la possibilit di un atto di carit completamente disinteressato, di un atto
che sfugge cio al controllo della legge economica dello scambio; e se al contrario si afferma che i
benefici divini accompagnano necessariamente l'oggetto specifico, si ristabilisce senz'altro il con-
trollo del modello etico-economico, ma si contravviene alla dottrina scolastica sottoscritta nel primo
frammento. La genialit di Bossuet sta nell'aver introdotto un artificio di pensiero che permette di
accogliere al tempo stesso queste due soluzioni apparentemente incompatibili, e di soddisfare cos
le esigenze contrastanti a cui ciascuna di esse suscettibile di rispondere. Tale artificio, non che
una separazione precisa, radicale, del piano pratico e del piano teorico: secondo Bossuet, la relazio-
ne fra oggetto specifico e motivi secondari, varia a seconda che la si analizzi sull'uno o sull'altro di
questi piani. Cos, pour parler dans la rigueur et la prcision scolastique, il suffirait la charit
d'avoir pour objet Dieu trs-bon en soi, qui est son objet spcifique [...] Mais, dans la pratique, la
charit [...] nous prsente Dieu tout entier [...], comme trs-bon en soi, et comme trs-bienfaisant
envers nous. Se dunque, da un punto di vista strettamente speculativo, i benefici divini costituisco-
no dei motivi accidentali e separabili dall'oggetto specifico, essi si uniscono necessariamente a que-
sto medesimo oggetto sul terreno della concreta devozione religiosa. lecito, in altri termini, fare
astrazione dal motivo della ricompensa in sede teorica, ma non n lecito n possibile compiere un
atto di carit senza tenerne il debito conto. In questo modo, Bossuet raggiunge entrambi gli obiettivi
che si era prefisso: egli rispetta la dottrina scolastica, poich ammette che la considerazione dei doni
prodigati da Dio non essenziale alla definizione della virt di carit; egli assicura al modello etico-
economico il controllo di tutta la vita religiosa, [235] poich afferma che l'attenzione ai benefici di-
vini - ossia il desiderio della ricompensa - essenziale all'effettuazione degli atti dipendenti da que-
sta virt.
La dottrina insegnata nel Sommaire costituisce il punto d'arrivo della riflessione di Bossuet su
questa materia: negli scritti successivi egli non far che riformularla, senza apportarle alcuna modi-
fica degna di rilievo. Si legga ad esempio questo passaggio tratto dai Mmoires M.gr l'archevque
de Cambrai:
[...] quand l'cole dit, comme elle fait communment, que la charit est l'amour de Dieu comme excel-
lent en lui-mme, sans rapport nous, visiblement il faut entendre, et tous aussi sans exception l'entendent
ainsi, que l'on peut bien distinguer ou sparer par l'esprit ce rapport nous de l'objet spcifique de la charit,
mais non pas l'exclure pour cela, ni sparer les bienfaits divins du rang des motifs pressants, quoique seconds
et subsidiaires de la charit.
130
De cette sorte, la distinction de cet objet spcificatif d'avec les autres motifs est bonne en spculative;
mais cette sparation ne se fait que par la pense, pendant que rellement et dans la pratique on s'aide de tout;
et celui-l est le plus parfait, qui absolument aime le plus par quelque motif que ce soit81.
Qui ancora, come si vede - e forse ancor pi chiaramente che nel Sommaire - Bossuet fa interve-
nire la stessa separazione decisiva di pratica e teoria, che gli permette simultaneamente di accoglie-
re e di neutralizzare la dottrina scolastica. Da un lato, infatti, egli riconosce che la bont di Dio con-
siderata in se stessa l'oggetto specifico della carit, e ammette che i benefici divini non rientrano
in questa virt che a titolo di motivi sussidiari e sempre separabili dal suo oggetto specifico. Ma,
d'altro lato, egli precisa che una simile separazione ne se fait que par la pense, pendant que rel-
lement et dans la pratique on s'aide de tout. Bonne en spculative, ma inapplicabile alla sfera
della devozione concreta, la sospensione del motivo della ricompensa scade cos al livello di una
mera finzione teorica, in quanto tale incapace di regolare l'effettiva dinamica dei sentimenti umani.
Per concludere, diremo allora che la separazione di pratica e teoria va a ricoprire, a partire alme-
no dal Sommaire, la stessa funzione mediatrice che svolgeva, nell'Instruction sur les tats d'oraison,
la differenziazione dei concetti d'interessamento e ricompensa. In quel testo, come si ricorder, tale
differenziazione [236] permetteva a Bossuet di ridefinire l'amore disinteressato come uno stato psi-
chico in cui l'anima non cercava altra ricompensa all'infuori di Dio stesso, e di ricondurre cosl la
virt di carit sotto il controllo della legge dello scambio. Nel Sommaire e nei testi successivi, l'e-
nucleazione di un piano pratico strutturalmente distinto da quello teorico, gli consente di respingere
la definizione della carit come amore indipendente dal motivo della ricompensa nel dominio della
pura speculazione, e di stabilire invece, sul terreno della concreta piet cristiana, il principio della
necessaria inclusione del desiderio della ricompensa nell'atto di carit, e dunque dell'inevitabile i-
scrizione di quest'atto nella logica economica dello scambio. Certo, non bisogna sottovalutare tutti
gli scarti che separano le due dottrine successivamente elaborate da Bossuet. evidente tuttavia che
entrambe obbediscono al medesimo progetto, che entrambe perseguono - e realizzano - la stessa
mediazione fra il modello etico-economico e la teoria scolastica della carit come amore disinteres-
sato. Quanto poi al rapporto specifico che ciascuna di esse intrattiene con questa teoria, si pu dire
che mentre la dottrina sviluppata nell'Instruction la sovvertiva e l'alterava, quella articolata a partire
dal Sommaire si limita a neutralizzarla, tagliando tutte le sue connessioni con il terreno delle prati-
che.
Come rispose Fnelon al nuovo tentativo di mediazione effettuato da Bousset? Il testo fonda-
mentale, a questo riguardo, sembra essere la Rponse l'ouvrage de M. de Meaux intitul: Summa
doctrinae. Esaminiamo, per cominciare, l'analisi che Fnelon vi fornisce del problema, sollevato
da Bossuet nel Sommaire, del ruolo giocato dai benefici divini in quanto motivi secondari dell'atto
di carit. In linea d'ipotesi, Fnelon ammette due diverse soluzioni: i benefici divini possono essere
des motifs partiels, comme parle l'cole, qui, tant joints avec la considration de Dieu parfait en
lui-mme, ne font qu'un seul motif total, qui est le formel ou spcifique de la charit82; o al contra-
rio essi possono costituire un motif accidentellement surajout, et sans lequel le motif spcifique
de cette vertu serait entier et suffisant83. Se si accetta la prima soluzione, si riconosce che il motivo
della ricompensa essenziale all'esercizio della carit, si ammette cio che non possibile compiere
un atto di questa virt senza tener conto dei doni che Dio ci riserva. Se si [237] ritiene invece che
le motif secondaire de la batitude ne soit que surajout accidentellement, en sorte que sans lui le
motif spcifique de cette vertu serait entier et suffisant - se si propende insomma per la seconda so-
luzione -, il s'ensuit qu'on peut aimer Dieu parfaitement, sans y tre excit par le motif de la bati-
tude, et que le retranchement de ce motif laisserait l'amour tout entier84. A seconda che si conside-
rino i benefici divini motivi parziali integrantisi nell'oggetto specifico, o motivi accidentali estranei
in quanto tali a quest'oggetto, si fa dunque del desiderio della ricompensa un elemento essenziale
all'esercizio della carit, o un fattore aleatorio dal quale sempre possibile prescindere. Fnelon,
ovviamente, non esita a optare per la seconda possibilit. Ecco gli argomenti che egli avanza in fa-
vore di questa soluzione:
131
Si les bienfaits de Dieu en tant qu'utiles pour nous faisaient partie du motif spcifique de l'acte de charit, la
bont de Dieu relative nous serait, aussi bien que sa bont ou perfection absolue, l'objet formel de la chari-
t. [...] La bont de Dieu, en tant que relative nous par ses bienfaits, ne pourrait entrer dans le motif spci-
fique d'un acte de charit sans en changer l'espce; car c'est une maxime constante des thologiens que toute
nouvelle formalit, qui change l'espce de l'objet formel, change aussi l'espce de la vertu. Or est-il que la
bont de Dieu, en tant que relative nous par ses bienfaits, est une formalit ou concept diffrent de sa bont
absolue. Donc, en ajoutant la bont relative l'absolue, dans le motif spcifique de la charit, on en change-
rait l'espce85.
I benefici divini non possono in alcun modo rientrare, alla stregua di motivi parziali, nell'oggetto
specifico della carit. Se vi rientrassero, spiega il nostro autore, la bont di Dio relativa a noi - con-
cetto o formalit a cui i benefici divini si lasciano ricondurre - costituirebbe, congiuntamente con la
bont divina considerata in se stessa, l'oggetto formale o specifico della virt di carit. Ma nessuna
nuova formalit pu aggiungersi all'oggetto specifico di una certa virt senza mutarne la specie, tra-
sformando per ci stesso - , car [...] toute nouvelle formalit, qui change l'espce de l'objet formel,
change aussi l'espce de la vertu - la natura o l'essenza di quella virt. Includere nel motivo proprio
dell'atto di carit i benefici divini, significherebbe dunque, di fatto, non definire pi un atto di pura
carit, ma un atto misto in [238] cui l'essenza della carit si trasformata e corrotta per l'irruzione di
una nuova formalit - la bont di Dio relativa a noi - nel suo oggetto specifico.
Non si pu non ammirare il rigore e la lucidit dell'argomentazione condotta da Fnelon: dimo-
strando che assolutamente impossibile includere i benefici divini nell'oggetto specifico della carit
- e questo per la buona ragione che operando una simile inclusione si trasformerebbe la specie
dell'oggetto e di conseguenza la natura stessa della virt -, egli si d i mezzi di ricondurre questi be-
nefici al ruolo di motivi puramente accidentali, di elementi dunque la cui soppressione non pu to-
gliere nulla di proprio o d'essenziale all'atto di carit, e all'amore di Dio che in esso si traduce. Di
qui a concludere che l'atto di carit in quanto tale indipendente dal motivo della ricompensa non
c'era che un passo - un passo che, lo si pu immaginare, Fnelon non manc di compiere, per la pi
grande gloria dell'ideologia antieconomica:
D'o je conclus que l'esprance de la rcompense, ou pour mieux dire, la rcompense mme n'est point un
motif propre qui excite rellement et immdiatement la charit86.
Forte di questa definizione, teologicamente ineccepibile, Fnelon poteva a sua volta passare
all'attacco, e contestare la legittimit della mediazione realizzata nel Sommaire di Bossuet:
M. de Meaux tolrant regret la distinction de Dieu bon en lui-mme et de Dieu bon nous, qu'il prtend
avoir t invente par saint Anselme dans l'onzime sicle, et dont le subtilit de Scot s'est accomode87, veut
du moins ne la tolrer presque toute l'cole88 que comme une spculation inutile. Mais dans la pratique, in
ipso usu et praxi89, il faut toujours, selon lui, faire un seul motif total de tous ces motifs de la perfection abso-
lue de Dieu, et de la relative nous, pour se dterminer en tout acte que la raison peut produire90 par le motif
de la batitude91.
Fnelon smaschera qui con la pi grande efficacia la neutralizzazione della dottrina scolastica su
cui riposava la mediazione di Bossuet. Rivendicando la necessaria congiunzione del motivo disinte-
ressato e del desiderio della beatitudine nell'esercizio concreto della carit, il vescovo di Meaux ri-
duceva la distinzione scolastica fra la bont di Dio considerata in se stessa e la bont di Dio consi-
derata relativamente a noi - ossia percepita in quanto no[239]stra beatitudine - al rango di una sp-
culation inutile. Il medesimo argomento ribadito, in una formulazione parzialmente diversa, nel
seguente passaggio:
Si l'assemblage qu'il veut qu'on fasse ncessairement des divers motifs a lieu, pour composer un motif total et
indivisible, sans lequel Dieu parfait en soi manquerait de la vritable raison pour se faire aimer, on ne peut
plus perdre de vue dans aucun acte la batitude. Alors l'acte propre de la charit, qui est indpendant de la
batitude, n'est plus qu'une chimre92.
Generalizzare su terreno delle pratiche la promiscuit dei diversi motivi - ossia la riunione della
bont assoluta e della bont relativa di Dio -, significa radicare il desiderio della beatitudine in ogni
132
atto che la ragione pu produrre, e statuire cos l'impossibilit di compiere un'azione che non sia,
almeno parzialmente, motivata da un tale desiderio. In questo modo, conclude Fnelon, si esclude
precisamente ci che nella teoria scolastica costituisce l'acte propre de la charit, poich esso
per definizione indipendente dal motivo della beatitudine. Svilire la dottrina scolastica della carit
assimilandola a una mera finzione speculativa, vanificare l'atto preciso e concreto che questa dottri-
na permetteva di definire: tale era dunque l'accusa - a nostro avviso pienamente giustificata - che
Fnelon muoveva al suo avversario.
Siamo in grado, a questo punto, di formulare alcune proposizioni generali sulla polemica Bos-
suet-Fnelon. Chiamiamo posta in gioco della controversia la legittimit (l'ortodossia) del quinto
tipo d'amore descritto nelle Maximes - ossia di uno stato spirituale in cui l'anima vive, ama, sente al
di fuori della legge dello scambio. Chiamiamo asse della controversia un certo rapporto d'implica-
zione redproca, riconosciuto da entrambi gli avversari, fra il quinto tipo d'amore e la dottrina scola-
stica che postulava l'indipendenza della carit dal motivo della beatitudine. Per ricondurre gli innu-
merevoli testi che costituiscono i materiali o i dati bruti della polemica all'unit della loro posta in
gioco, necessario analizzarli (come abbiamo cercato di fare per alcuni di essi nelle pagine prece-
denti) in funzione di ci che abbiamo chiamato l'asse della controversia. Se non si presuppone il
rapporto costitutivo di quest'asse, l'interminabile disputa sulla natura della carit in cui s'impegna-
rono i due grandi prelati diviene [240] assolutamente incomprensibile. Viceversa, basta non perdere
di vista l'incidenza di questo rapporto, perch il significato - o pi esattamente la posta in gioco - di
tale disputa appaia del tutto trasparente: perch e nella misura in cui riteneva che, una volta am-
messa l'indipendenza della carit dal motivo della beatitudine, si ammetteva anche, necessariamen-
te, la legittimit dell'amor puro, che Fnelon invoc e difese con tanto accanimento la dottrina sco-
lastica che stabiliva la suddetta indipendenza; perch e nella misura in cui riconosceva la stessa
implicazione, che Bossuet s'ingegn, con un'ostinazione e un'insistenza almeno eguali a quelle del
suo avversario, a trasformare, e neutralizzare, a ridurre questa medesima dottrina.
Ci sembra doveroso precisare che se la posta in gioco della polemica Bossuet-Fnelon rigoro-
samente esemplare di tutte le reazioni negative suscitate dalle Maximes, lo stesso non pu essere
detto dell'asse attorno a cui questa polemica ruota. In altri termini: se tutti i nemici di Fnelon guar-
darono al suo stato di puro amore - o meglio all'ideologia antieconomica che in esso si traduceva -
come a un intollerabile scandalo, non tutti credettero di dover includere nella loro condanna la no-
zione di carit che Fnelon invocava in sua difesa. Particolarmente interessante, da questo punto di
vista, l'atteggiamento assunto, nel corso della controversia, da Paul Godet des Marais, vescovo di
Chartres. Godet des Marais conveniva con Fnelon sulla definizione dell'atto di carit, ma negava
che da questa definizione fosse possibile dedurre l'esistenza di uno stato della vita spirituale che si
conformasse a quello descritto da Fnelon sotto il nome di amor puro. Ma ascoltiamo da Godet des
Marais stesso le ragioni che lo spinsero a prendere posizione contro le Maximes:
On dispute en thologie savoir si le motif de la rcompense, autrement si la vue de notre propre bonheur
fait partie du motif spcifque ou objet formel de la charit, ou bien si elle constitue seulement le motif sp-
cifque et l'objet formel de l'esprance. Ceux qui soutiennent ce dernier, disent que la charit, de sa nature, et
considre prcisment dans l'acte qui lui est propre, n'a pour objet ou motif que la bont infnie de Dieu en
elle-mme, sans aucun rapport au bonheur qui nous en doit revenir. Cette opinion est trs-commune en tho-
logie et trs-orthodoxe. Je l'ai soutenue moi-mme, et je n'ai jamais cru y donner la moindre atteinte en le d-
clarant contre le livre de M. de Cambrai93, avec lequel elle ne peut avoir aucun rapport, sinon qu'on tire au-
jourd'hui des consquences pernicieuses [241] de ce principe, qui sont manifestement contre les vrits les
plus incontestables de la thologie.
On dit: si la charit de sa nature ne regarde que la bont infinie de Dieu en elle-mme sans rapport notre
propre bonheur, je puis donc faire un acte d'amour de Dieu, n'y tant excit que par la vue de sa bont infinie
telle qu'elle est en elle-mme, indpendamment de toute autre ide qui ait rapport nous. Cette proposition
ne peut se nier: mais voici la consquence dangereuse qu'on en tire.
Si je puis faire un tel acte d'amour de Dieu, pourquoi n'en ferai-je pas plusieurs? Si j'en puis faire plu-
sieurs, pourquoi ne parviendrai-je pas un tat habituel, qui n'est que la suite ordinaire de la frquence des
actes? Or tout tat habituel doit tre conforme la nature des actes par lesquels il se trouve form en nous. Si
133
donc les actes de charit sont tels de leur nature, qu'ils n'aient pour motif que la bont infinie de Dieu ind-
pendamment de notre propre bonheur, il doit y avoir aussi un tat habituel de charit, qui n'ait que ce seul
motif.
Il est ais de reconnatre le faux de ce raisonnement, ds qu'on fait rflexion que quelque multiplicit
d'actes de charit qu'on admette dans la vie chrtienne, on ne peut se dispenser d'y en admettre aussi un grand
nombre de toutes les autres vertus; la vie chrtienne consistant dans l'exercice distinct de toutes les vertus, et
dans la pratique des actes qui leur sont propres: d'o il s'ensuit qu'il ne peut y avoir d'tat habituel de justes
sur la terre, quelque parfaite que puisse tre leur charit, qui ne soit form par les actes de toutes les autres
vertus94.
Come si vede, Godet des Marais sottoscrive senza riserve la definizione dell'atto di carit propos-
ta da Fnelon: proprio come quest'ultimo, egli ammette che la charit, de sa nature, [...] n'a pour
objet ou motif que la bont infinie de Dieu en elle-mme, sans aucun rapport au bonheur qui nous
en doit revenir; e, proprio come lui, egli ne deduce che sempre possibile compiere un atto
d'amore in cui l'anima non eccitata che par la vue de sa bont infinie telle qu'elle est en elle-
mme, indpendamment de tout autre ide qui ait rapport avec nous. Ma - e tale il punto di diri-
menza che lo separa da Fnelon - egli non crede che sia lecito postulare uno stato abituale in cui
l'anima non decada mai - o tenda a non mai decadere - da questo puro e completo disinteressamen-
to. Ecco l'argomento che egli adduce: in un simile stato, non si potrebbero compiere che gli atti di-
pendenti dalla virt di carit, laddove un principio inderogabile dell'ortodossia cristiana che l'ani-
ma deve praticare, in ogni stato della vita spirituale, l'exercice distinct de toutes les vertus. Di-
ciamo subito che questo argomento riposa su un vistoso fraintendimento [242] della dottrina fene-
loniana. Fnelon non disse mai - n nelle Maximes n in altri scritti - che lo stato del puro amore
comportava la sospensione degli atti di tutte le virt, ad eccezione di quelli di pura carit: egli af-
fermava soltanto che in questo stato c'est la charit qui prvient toutes les autres vertus, qui les
anime et qui en commande les actes pour les rapporter sa fin, en sorte que le juste de cet tat
exerce alors d'ordinaire l'esprance et toutes les autres vertus avec tout le dsintressement de la
charit mme qui en commande l'exercice95. L'tat habituel de charit contro cui Godet des Ma-
rais dirige la sua critica, non dunque che un'immagine assai poco somigliante dell'tat habituel
du pur amour effettivamente descritto da Fnelon - il che implica beninteso che quella critica per-
de, in rapporto a questo stato, ogni possibile pertinenza. Ma ci che qui c'interessa, non tanto il
problema del valore assegnabile alla critica di Godet des Marais, quanto il fatto che in essa il rap-
porto costitutivo dell'asse della polemica Bossuet-Fnelon sia completamente abbandonato. Per
Godet des Marais, la dottrina del puro amore non discendeva affatto in linea retta dalla definizione
della carit come virt indipendente dal motivo della beatitudine, bens da un uso erroneo e perver-
so di questo principio: prendendo posizione contro le Maximes, egli non intendeva dunque donner
la moindre atteinte a una tal definizione, ma soltanto condannare le consquences pernicieuses
che Fnelon aveva potuto trarne. Va detto infine che, per il fatto stesso di riconoscere un atto - ma
non uno stato - in cui lecito prescindere dal desiderio della ricompensa, Godet des Marais occupa
una posizione ideologicamente intermedia fra Bossuet et Fnelon: egli ammette - contrariamente a
Bossuet - la possibilit di elevarsi localmente al di sopra della legge dello scambio, ma nega - a dif-
ferenza di Fnelon - la possibilit di sottrarsi sistematicamente al controllo di questa legge. Laddove
dunque, nella dottrina di Fnelon, l'ideologia antieconomica si traduceva in tutta la sua violenza;
laddove d'altra parte, nella dottrina di Bossuet, tutti gli atti della vita spirituale erano posti sotto la
rigida sorveglianza del modello etico-economico - Godet des Marais sviluppa una soluzione inter-
media, che pur allontanando lo spettro della grande sovversione mistica concede al cristiano (pro-
babilmente in omaggio a [243] una secolare tradizione teologica) la libert d'ignorare, in alcuni
momenti privilegiati della sua esistenza interiore, la logica stessa a cui egli ordinariamente tenuto
ad inchinarsi.
La lunga controversia di cui abbiamo tentato di ritrovare le fila si concluse, come abbiamo detto,
con la sconfitta di Fnelon: il 12 marzo 1699, il papa Innocenzo XII rendeva nota la sua condanna
del testo delle Maximes, proibendone, sotto pena di scomunica, la pubblicazione e la lettura, e de-
nunciando come temerarias, scandalosas, male sonantes, piarum aurium offensivas, in praxi perni-
134
ciosas, ac etiam erroneas ventitre proposizioni in esso contenute96. La prima di queste proposizioni
temerarie, di queste frasi scandalose che non potrebbero non offendere le orecchie pie dei buoni
cristiani, era il postulato di base di ogni dottrina antieconomica:
Datur habitualis status amoris Dei, qui est charitas pura, et sine ulla admixtione motivi proprii interesse; ne-
que timor poenarum, neque desiderium remunerationum habent amplius in eo partem.
quasi inutile aggiungere che, a nostro giudizio, la Chiesa operava in tal modo una censura pu-
ramente ideologica - e tanto pi riprovevole, sul piano teologico, in quanto colpiva un'opera fonda-
mentalmente ortodossa97. Il breve di Innocenzo XII costituisce dunque, dal nostro punto di vista,
una delle pi gravi concessioni che l'istituzione ecclesiastica abbia accordato all'ideologia dominan-
te. pur vero, d'altra parte, che il testo papale non condannava esplicitamente che lo stato del puro
amore, mentre restava silenzioso sulla questione dell'atto specifico di carit. In questo senso, si pu
dire almeno che il breve del 12 marzo lasci la porta aperta all'ideologia moderata che professava,
ad esempio, Paul Godet des Marais. Ci che scompariva per sempre dalla scena della spiritualit
cristiana, era invece il grande sogno mistico di una vita condotta al di fuori e al di sopra della razio-
nalit dell'utile, di un'esistenza irrecuperabilmente estranea all'ordine imposto dall'ideologia econo-
mica. Il XVII secolo si chiudeva cos, trascinando nell'ombra tutto ci che avrebbe potuto compro-
mettere la stabilit della nuova cultura. Liberato dagli inquietanti paradossi mistici, l'uomo europeo
entrava ormai nell'et delle certezze. L'etica socia-[244]le del profitto si era gi definitivamente im-
posta - anche se, beninteso, non ancora nella forma, a noi pi familiare, dell'imperativo universale
del produrre. Nello spazio della cultura classica, in cui l'idea di produzione non aveva posto98, era
piuttosto lo scambio - la circolazione regolata dei beni - a definire la forma generale dell'utilit99.
Sotto questa forma, l'abbiamo visto, l'etica del profitto trov la sua prima grande affermazione; sot-
to questa forma essa celebr - lasciandosi alle spalle, come vane speculazioni, le leggi mistiche del
puro amore - il suo primo grande trionfo100. [245]
135
NOTE
1
M. CORTI, Modelli e antimodelli nella cultura medievale, in Strumenti critici, n. 35, febbraio 1978, p.
3.
2
Questo primo fenomeno, e la svolta radicale che esso determina nell'atteggiamento dell'uomo europeo
davanti al denaro, al guadagno, alla ricerca e all'accumulazione di ricchezza, sono gi stati oggetto di nume-
rosi e imponenti studi, che ne hanno giustamente evidenziato il rapporto con lo sviluppo storico del capitali-
smo. Segnaliamo, in particolare, le opere ormai classiche di Max Weber (Die protestantische Ethik, trad. it.
in Sociologia delle religioni, t. 1, Utet, 1976) e R. H. Tawney (Religion and the Rise of Capitalism, London
1922), che analizzano la valorizzazione dell'attivit economica nell'etica promossa dalla Riforma. Successi-
vamente, altri studiosi hanno portato alla luce una tendenza analoga nella morale cattolica della medesima
epoca: cfr. ad esempio H.-M. ROBERTSON, Aspects of the Rise of Economic Individualism, Cambridge 1934,
pp. 133-167, e J. BRODRICK, The Economic Morals of the Jesuits, London 1934.
3
Per tutte le citazioni del Tartuffe che seguiranno, rinvio all'edizione delle opere di Molire nella Biblio-
thque de la Pliade, Gallimard, 1971.
4
M. SERRES, Herms I, La communication, Minuit, 1968, pp. 233-245. Eccezion fatta per questo lavoro
di Serres, la critica sembra aver fino ad ora ignorato la funzione modellizzante della legge dello scambio nel
teatro di Molire. Per un bilancio complessivo degli studi condotti su questo autore, e un'interessante messa a
punto sulle attuali prospettive della ricerca, si consulter comunque uvres et critiques, VI, 1, Paris 1981.
5
M. SERRES, op. cit., p. 244.
6
Tutti i corsivi che costellano i frammenti del testo di Molire riportati in questo studio - diciamolo ora
una volta per tutte - sono opera nostra.
7
Cfr. Tartuffe, II, II, vv. 529-530:
ORGON
[...]
Enfin avec le Ciel l'autre est le mieux du monde,
Et c'est une richesse nulle autre seconde.
8
Si manifesta qui, per la prima volta, un semema proveniente, con indiscutibile evidenza, dal campo se-
memico dell'economia. Questa circostanza si riprodurr spesso nel seguito della commedia, il che ci autoriz-
za a stabilire l'esistenza di un'isotopia sememica di tipo economico - ove per 'isotopia sememica' inten-
[246]diamo qui, restrittivamente, la manifestazione di una serie di sememi distinti e appartenenti allo stesso
campo sememico. Naturalmente, una simile isotopia non dev'essere confusa con il dramma economico che
definisce la struttura profonda dell'opera; ci nonostante, si pu dire che essa lo rivela, marcando i punti in
cui esso si affaccia sul piano della manifestazione linguistica. Ci si potrebbe obiettare di aver attribuito trop-
pa importanza a quest'isotopia nel corso della nostra analisi, o ancora di averne alterato lo statuto, interpre-
tando alla stregua di denotazioni delle espressioni che comportano un senso figurato, e talvolta un uso real-
mente metaforico del linguaggio. A questa duplice obiezione, rispondiamo in anticipo che: (i) non abbiamo
attribuito all'isotopia economica maggior importanza di quanta il testo stesso c'imponga di attribuirgliene, per
mezzo del meta testo di cui si raddoppia (cfr. infra, pp. 183-185); (ii) non abbiamo mai 'preso alla lettera'
delle espressioni dotate di un valore figurale, ma sempre e soltanto restituito alla loro figuralit la funzione
che le propria, e che quella, ancora una volta, di rivelare il dramma economico costitutivo della struttura
profonda del testo.
9
Su questo doppio travestimento - cui si aggiunge, beninteso, quello di Tartuffe 'camuffato' da uomo pio -
cfr. le intelligenti osservazioni di J. Guicharnaud in Molire, une aventure thtrale, Gallimard, 1963, p. 117.
10
L'opposizione diegetico/metadiegetico desunta dalla terminologia di Genette. Cfr. Figures III, Seuil,
1972, pp. 238-243.
136
11
Tartuffe, V, 1:
ORGON
1576 Cette cassette-l me trouble entirement;
Plus que le reste encor elle me dsespre.
CLANTE
Cette cassette est donc un important mystre?
ORGON
C'est un dpt qu'Argas, cet ami que je plains,
Lui-mme, en grand secret, m'a mis entre les mains:
Pour cela, dans sa fuite, il me voulut lire;
Et ce sont des papiers, ce qu'il m'a pu dite,
O sa vie et ses biens se trouvent attachs.
CLANTE
Pourquoi donc les avoir en d'autres mains lchs?
ORGON
Ce fut par un motif de cas de conscience:
J'allai droit mon tratre en faire confidence;
Et son raisonnement me vint persuader
De lui donner plutt la cassette garder,
Afn que, pour nier, en cas de quelque enqute,
J'eusse d'un faux-fuyant la faveur toute prte,
Par o ma conscience eut pleine suret
A faire des serments contre la vrit.
quasi superfluo segnalare, nel racconto-spiegazione che Molire fa pronunciare a Orgon, l'allusione i-
ronica alla casistica dei gesuiti.
12
Quest'ambivalenza gi stata rilevata da GUICHARNAUD, op. cit., p. 139.
13
L'idea di ricompensa viene resa esplicita nel testo per mezzo del verbo reconnatre, che viene usato qui,
precisamente, nel senso di rcompenser. [247]
14
Nell'etica fondata sul principio dello scambio pressoch impossibile non riconoscere una transposi-
zione delle strutture elementari del commercio. Come la rivalutazione del mercante o la tolleranza dell'usura
nel calvinismo e nella morale dei gesuiti, l'etica dello scambio sembra dunque inseparabile dal pieno svilup-
po del capitalismo commerciale. Certo, essa non comporta una valorizzazione diretta delle pratiche connesse
alla nuova economia; in compenso, essa riorganizza il microcosmo umano in funzione della loro forma pi
generale, proiettando il modello dello scambio su tutti i diversi rapporti intersoggettivi.
15
Sulla personalit e sull'opera di J-.P. Camus, cfr. HENRI BREMOND, La querelle du pur amour au temps
de Louis XIII, Paris 1932, e GABRIEL JOPPIN, Une querelle autour de l'amour pur: Jean-Pierre Camus,
vque de Belley, Paris 1938.
16
La Carite, Paris 1641, p. 28.
17
J. DE JOINVILLE, uvres, Paris 1867, pp. 294-296.
18
La Carite, pp. 91-92.
19
Summa theologiae, 2.2. q. 17, a. 8.
20
Ibidem, 2.2. q. 23, a. 6.
21
Sulla concezione del fine ultimo in Camus cfr., in particolare, La dfense du pur amour, Paris 1640, pp.
255-256, o, pi generalmente, De la souveraine fin des actions chrtiennes, Caen 1637.
22
Una riformulazione ancor pi precisa della dottrina tomista si pu trovare nella Dfense du pur amour,
sections VII, VIII, IX, pp. 10-14. Camus sviluppa qui un vero e proprio reticolo di connessioni intertestuali
con i due passaggi della Summa che abbiamo gi riprodotto. Cos, nella sezione VII, riprendendo la duplice
equivalenza stabilita da S. Tommaso nel primo passaggio, egli omologa la speranza a un amore fondato sulla
concupiscenza, e la carit a un amore fondato sull'amicizia: nous aimons Dieu d'amour de convoitise par
l'esprance [...] et d'amour d'amiti par la charit (p. 10). Ed ecco come, riprendendo la definizione fissata
da S. Tommaso nello stesso frammento (imperfectus amor est quo quis amat aliquid [...] ut illud bonum sibi
137
ipsi proveniat), egli presenta nella sezione VIII l'amore corrispondente alla virt di speranza: cet amour
[...] regarde la bont divine, mais avec gard l'avantage qui nous en revient ou peut revenir (p. 12). Nella
sezione IX, infine, l'amore di carit viene definito pressoch con le stesse parole usate da S. Tommaso nel
secondo passaggio, come indica del resto l'esplicita citazione di Camus: nous allons [Dieu] et nous appli-
quons lui en nous y arrtant, comme dit saint Thomas (2.2. q. 23, a. 6) [caritas attingit ipsum Deum ut in
ipso sistat], sans revenir nous, et sans prtendre qu'aucun bien nous en provienne [non ut ex eo aliquid
nobis proveniat] (p. 13).
23
Cfr. Trait de l'amour de Dieu, II, 17, 22, in FRANOIS DE SALES, uvres, Gallimard, 1969, pp. 459,
462, 476.
24
Le domande cui S. Tommaso si proponeva di rispondere nella quaestio 17, art. 8, e nella quaestio 23,
art. 6, erano, rispettivamente: utrum caritas sit prior spe; utrum caritas sit excellentissima virtutum.
25
La Carite, pp. 94-95.
26
Ibid., pp. 95-96.
27
Ibid., pp. 96-97.
28
Ecco la sequenza in cui Camus riformula il nucleo originario del discorso della profetessa (ibid., pp.
101-103):
Maintenant il faut que je vous dclare en la prsence de tout ce monde un grand dessein qu'il y a beau-
coup d'annes que je mdite pour la plus grande gloire de Dieu [...]. Vous voyez l'quipage auquel je me pr-
sente devant vous, [248] ayant en cette main cette torche ardente, en l'autre ce vase plein d'eau [...]. Je vous
dirai donc en deux mots qu'avec ce flambeau allum je dsire mettre le feu au paradis, et le rduire tellement
en cendre qu'il n'en soit plus parl. Et rpandant cette eau sur les flammes de l'enfer je prtends les teindre,
et qu'il n'y ait plus de tourments ni de supplices en ce lieu malheureux, afin que dsormais Dieu soit aim et
servi pour l'amour de lui-mme [...].
29
Ibid., p. 105.
30
Ibid., p. 107.
31
Ibid., p. 108.
32
Ibid., pp. 108-109.
33
Ibid., p. 111.
34
Camus stesso ne segnala alcuni, in un testo in cui rievoca gli autori che, prima di lui, avevano narrato la
vicenda di Carite:
Le bon Seigneur Jean, Sire de Joinville, en est le premier crivain. Cent bons auteurs l'ont redit aprs lui,
entre lesquels il y a prs d'une douzaine d'ignatiens, tous de bonne remarque, Jacques Alvarez de Paz, Arias,
du Pont, Rodriguez, Montanus, Drexelius, Cressolius, Saint-Jure, et, depuis peu, Jean Suffren, grand et saint
prdicateur, qui en faisait pe et bouclier en chaire, l'a couche dans son Anne Chrtienne
(Animadversion sur la preface d'un livre intitul Dfense de la vert, Paris 1642, citato in BREMOND, op.
cit., p. 30).
35
Abbiamo visto - supra, n. (14) - come l'elaborazione di questo modello sia indissociabile dall'afferma-
zione storica del capitalismo commerciale. Si pu dunque suggerire che la resistenza mistica all'espansione
dell'etica dello scambio traduca l'opposizione di forze sociali escluse o marginalizzate dallo sviluppo della
nuova economia. Tale ipotesi sembra confermata dal fatto che, aux XVIe et XVIIe sicles, ils [i mistici] ap-
partiennent le plus souvent des rgions et des catgories en voie de rcession socio-conomique, dfavori-
ses par le changement, marginalises par le progrs ou ruines par les guerres (M. DE CERTEAU, La Fable
mystique, Gallimard, 1982, p. 37).
36
Les fondements de la vie spirituelle, Paris 1930, p. 169.
37
M. FOUCAULT, Les mots et les choses, Gallimard, 1966, pp. 70-72.
38
Si riconoscer qui agevolmente, restituita al suo originario anonimato, l'inquietante figura di Carite.
39
Les fondements de la vie spirituelle, pp. 169-171.
40
Per una presentazione globale della spiritualit di Piny, cfr. H. BREMOND, Histoire littraire du senti-
ment religieux, t. VIII, Paris 1928.
41
Ibidem., pp. 14-15.
42
La clef du pur amour, Paris 1685, pp. 213-214.
43
Ibid., pp. 191-194.
44
Ibid., pp. 218-220.
45
Ibid., p. 209.
46
Ibid., p. 10.
47
Ibid., pp. 214-215.
138
48
Un'interessantissima variazione sul tema dello scambio perverso, si pu trovare in un cantico anonimo,
composto pour les mes qui aspirent la surminente et trs-sainte perfection de la vie unitive. Questo po-
ema fa parte di una raccolta di cantici choisis dans divers auteurs, che furono aggiunti ai Cantiques spiri-
tuels di Surin a partire almeno dall'edizione del 1669 (cfr. il frontespizio di questa stessa edizione, stampata a
Parigi, presso Florentin Lambert). Nel testo in questione, la relazione mistica viene esplicitamente presentata
come uno scambio irregolare, come uno scambio in cui si produce una frode di cui l'anima accetta di essere
vittima: [249]
[...]
Vous tes tout esprit et vie,
Votre amour est spirituel,
Et qui de vous a quelque envie
Doit oublier l'tat mortel.
Il faut combattre la nature,
touffer tous ses sentiments,
Renoncer la crature
Et quitter ses contentements.
Et qu'avons-nous en contr'change?
La pesanteur de votre croix,
Douce et lgre qui se range
Bien volontiers dessous vos lois.
N'aimer sur terre aucune chose,
Quitter tout et ne trouver rien,
C'est (ainsi qu'on nous le propose)
De tous les biens le plus grand bien.
C'est une grande scheresse
D'tre toujours dans le travaux,
Toujours noy dans la tristesse,
Et combattu de mille maux.
Aimer Dieu seul, et penser tre
Priv de tout amour pour lui,
Et n'avoir rien pour se repatre
Qu'un pain de larmes et d'ennui.
Chercher les vertus et les suivre,
Et s'en trouver toujours bien loin,
Et ne pouvoir mourir ni vivre,
Ni recevoir aide au besoin.
Ne trouver rien qui vous contente
De tout ce qu'en terre on peut voir,
Avec une incertaine attente
Des biens qu'au ciel on pense avoir.
Ce n'est pas tout d'tre incertaine,
Mais l'esprit semble tre assur
De souffrir l'ternelle peine,
Et vit comme un dsespr.
Hormis qu'il n'est pas infidle,
Il croit n'avoir aucune foi,
Et s'il en a quelque tincelle,
C'est tout le bien qu'il trouve en soi.
Mais il faut cesser de se plaindre
Et reconnatre ingnument
Que tout ce que l'me doit craindre,
C'est de manquer au dnuement.
Le bien de l'me est en sa perte,
139
Elle se doit abandonner,
Et la peine qu'elle a soufferte
Vient de se vouloir gouverner.
[...] [250]
Per comprendere il senso di queste strofe, bisogna evidentemente presupporre lo scambio ordinariamente
proposto dalla religione cristiana: abbandonare i beni della terra per ottenere quelli del cielo. L'esperienza
straordinaria (mistica) descritta nei versi citati, si struttura appunto come la violazione di un tale circuito di
scambio: come contropartita (en contr'change) della sua rinuncia a tutti i beni terreni, l'anima non trova
qui che la pesanteur de [la] croix. I beni del cielo sembrano esserle non soltanto attualmente, ma eterna-
mente negati (l'esprit semble tre assur de souffrir l'ternelle peine); i tesori dello spirito le appaiono irri-
mediabilmente preclusi. Il testo formula con estrema chiarezza l'amara legge di questo scambio truccato, o
piuttosto di questo scambio che non ha avuto luogo: quitter tout et ne trouver rien. Ora, precisamente in
un tale scambio mancato che consiste de tous les biens le plus grand bien. Il fatto che, per l'autore ano-
nimo di questo poema non meno che per il padre Piny, le bien de l'me est en sa pette. Per questo il faut
cesser de se plaindre, per questo dobbiamo accettare di buon cuore la frode che la divinit commette ai no-
stri danni. Se il bene pi grande, se la pi alta perfezione risiedono nella massima perdita, chiaro che lo
scambio truccato cui l'anima chiamata a sottomettersi nel corso dell'esperienza mistica, non pu essere che
uno strumento di purificazione straordinaria, un'occasione che la divinit le offre per elevarsi al vertice della
gerarchia spirituale.
49
Nel suo eccellente Crpuscule des mystiques (Descle de Brouwer, 1958), Louis Cognet scrive ad
esempio, commentando l'esito della controversia Bossuet-Fnelon: Derrire la tragdie des personnes, il y a
la tragdie de la mystique elle-mme, ou plutt des mystiques, et c'est juste titre que la plupart des histo-
riens, aprs H. Bremond, voient dans le bref Cum alias [il comunicato papale che annunciava la condanna
delle Maximes] le signal de la droute des mystiques (p. 6).
50
Il breve Cum alias gett sulle Maximes, e pi generalmente sulla spiritualit di Fnelon, un discredito
ottuso e aprioristico che si perpetu per almeno due secoli. Il merito di aver interrotto questa deplorevole tra-
dizione spetta, una volta di pi, a Henri Bremond. La sua celebre Apologie pour Fnelon (Paris 1910), ben-
ch indubbiamente mantenesse una prudente riserva riguardo al testo delle Maximes, apriva la via a una let-
tura critica e spregiudicata delle opere feneloniane, nonch a una revisione del giudizio negativo universal-
mente ammesso dalla doxa cattolica ottocentesca. In questa prospettiva vanno segnalati, in particolar modo, i
seguenti studi: G. JOPPIN, Fnelon et la mystique du pur amour, Paris 1938; J. ORCIBAL, Fnelon et la cour
romaine, in Mlanges de l'cole de Rome, Paris 1940; R. SCHMITTLEIN, L'aspect politique du diffrend
Bossuet-Fnelon, Bade 1954; J.-L. GORE, La notion d'indiffrence chez Fnelon et ses sources, Paris 1956;
L. COGNET, op. cit.
51
Per l'Explication des Maximes des Saints, rinvio all'edizione delle opere di Fnelon curata da Aim
Martin, Paris 1835, 3 vol. Per tutti gli altri scritti di Fnelon citati in questo studio, rimando invece all'edizio-
ne delle opere complete stampata a Ginevra, Slatkine reprints, 1971, 10 vol., che riprende quella detta dei
quattro editori, Paris 1850-1852. Per i testi di Bossuet, mi riferir infine alle uvres compltes pubblicate a
Tours, 1862-1863, 12 vol. - edizione che riprende quella di Lebel, Versailles, 1815-1819.
52
Explication des Maximes des Saints, t. 2, p. 5.
53
Ibid, p. 7.
54
Ibid., p. 5.
55
Ibidem.
56
Ibid., p. 6.
57
Ibidem. [251]
58
Ibid., p. 8.
59
crits ou mmoires M.gr l'archevque de Cambrai, t. 10, p. 40.
60
Ibid., p. 42.
61
Ibid., p. 62.
62
Ibid., p. 42.
63
Ibid., p. 89.
64
Lettres de M. l'archevque de Cambrai un de ses amis, t. 2, p. 283.
65
Explication des Maximes des Saints, t. 2, p. 7.
66
Rponse l'ouvrage de M. de Meaux intitul Summa doctrinae, t. 2, p. 383.
140
67
La mediazione realizzata nell'Instruction non ancora diretta, lo so bene, contro l'Explication des Ma-
ximes des Saints (i due testi, com' noto, furono composti e pubblicati pressoch contemporaneamente). Tut-
tavia, ben contro la dottrina del puro amore che essa si rivolge - ossia precisamente contro la dottrina che
Bossuet attaccher nelle Maximes, e che egli folgora qui nella spiritualit e negli scritti di Mme Guyon. Ag-
giungiamo che tale mediazione, se di per se stessa anteriore all'esplosione della polemica, costitu successi-
vamente - e a pi riprese - materia di dibattito fra i due prelati. Da questo punto di vista, essa dev'essere dun-
que considerata rigorosamente pertinente all'analisi della controversia che ci occupa in questo studio.
68
Bossuet giustappone qui artificialmente delle espressioni desunte - in modo del resto assai approssima-
tivo - da passaggi molto diversi della Summa theologiae. Cfr. soprattutto 2.2. q. 23, a. 1; q. 25, a. 12; q. 26, a.
1, a. 2, a. 4. Vedi anche 1.2. q. 114, a. 4.
69
Summa theologiae, 2. 2. q. 26, a. 1.
70
Ibid., 2.2. q. 26, a. 13, ad 3.
71
Instruction sur les tats d'oraison, t. 9, p. 593.
72
Ibid., p. 594.
73
Ibidem.
74
Explication des Maximes des Saints, t. 2, p. 8.
75
Riportiamo qui la sezione della Dissertation (t. 2, p. 411) consacrata alla critica delle citazioni di Bos-
suet:
Pour les endroits que M. de Meaux cite de saint Thomas, les uns ne regardent que l'amour particulier
d'amiti, et point la nature de la charit. Ce saint docteur veut seulement que l'amiti suppose une communi-
cation mutuelle de biens; mais il ne dit pas que l'utilit de cette communication entre comme un motif dans
l'amiti. D'autres passages marquent seulement que la charit a pour objet Dieu en tant que batifant; mais
ce n'est pas pour exprimer que la batitude soit le motif de la charit: c'est seulement pour dire qu'elle re-
garde Dieu, non dans l'ordre naturel, mais dans le surnaturel, en tant qu'il nous lve la vision intuitive de
son essence. D'autres enfin expriment que la charit regarde la batitude secondario. Mais on sait que, selon
l'cole, il n'y a d'essentiel que ce qui est premier, primarium; et que les choses secondaires n'entrent jamais
dans la constitution et dans l'espce d'une vertu. Donc si la charit ne regarde la batitude que secondaire-
ment, ce motif ne lui est point essentiel. Non seulement on peut se l'arracher dans l'acte de charit, mais en-
core l'acte de charit se trouve entier et parfait dans son espce sans ce motif.
Nelle Lettres pour servir de rponse celle de M. de Meaux, Fnelon sottopone a una critica particolar-
mente rigorosa l'uso fatto da Bossuet di un certo passaggio della Summa theologiae (2.2. q. 26, a. 13, ad 3).
Beninteso, le Lettres non mirano a rispondere all'Instruction, ma, come il titolo ci avverte, a un [252] tutt'al-
tro scritto di Bossuet. Poich tuttavia la citazione che vi si trova criticata era gi presente nell'Instruction (cfr.
supra, p. 238), e pi generalmente costituisce uno dei principali textes l'appui invocati da Bossuet durante
tutta la controversia, ci sembra interessante riportare le fasi salienti della magistrale argomentazione condotta
da Fnelon (t. 2, pp. 659-661):
Saint Thomas a dit, il est vrai, que Dieu est un chacun toute la raison d'aimer, parce qu'il est tout le
bien de l'homme; car si par impossible Dieu n'tait pas le bien de l'homme, il ne lui serait pas la raison d'ai-
mer. D'o il condut ainsi: Et c'est pourquoi dans l'ordre de l'amour il faut que l'homme aprs Dieu s'aime
principalement. Mais en vrit, Monseigneur, est-ce l l'endroit o ce saint docteur explique ex professo le
motif formel qui est essentiel tout acte de charit? Nullement. [...] Dans cet article il s'agit non de la dfini-
tion de la charit, mais de savoir si l'ordre de la charit se conserve dans la patrie cleste. La troisime ob-
jection de cet article porte que dans la patrie Dieu sera toute la raison ou rgle de l'amour. Dans les saints les
uns l'gard des autres, l'objection tend conclure qu'un saint aimera son prochain plus que soi, si ce pro-
chain est plus avanc auprs de Dieu. Saint Thomas rpond que non, parce que dans le ciel Dieu est
chaque bienheureux toute la raison d'aimer, et qu'il est tout le bien de l'homme; d'o il conclut que chaque
saint s'aime toujours plus qu'il n'aime les autres saints plus levs que lui dans la gloire, parce que tel est en
Dieu l'ordre ou la raison d'aimer, qu'aprs Dieu on doit s'aimer principalement. Dieu ne plaise que ce
saint docteur entende par l que la batitude soit dans le ciel la seule raison qui attache les saints Dieu!
Trente textes formels du saint combattent une doctrine si odieuse. Il ne s'agit point l du motif de l'amour
pour Dieu, mais seulement de la rgle d'amour pour le prochain. Saint Thomas ne donne point la charit
d'autre motif essentiel d'amour de Dieu, que sa perfection infinie. [...] Concluez donc que saint Thomas, loin
de parler ex professo du motif essentiel, unique et total de l'amour de Dieu, comme vous l'assurez dans l'en-
droit que vous avez cit, n'y parle en aucune faon du motif de cet amour, mais seulement de la raison ou
rgle de l'amour des bienheureux, les uns pour les autres.
141
76
Fnelon allude qui polemicamente al seguente passaggio dell'Instruction sur les tats d'oraison: Si je
l'ai bien remarqu, saint Anselme, auteur du XIe sicle, est le premier qui a dfini la batitude par l'utilit ou
l'intrt en l'opposant l'honntet et la justice; la subtilit de Scot s'est accommode de cette distinction
[...] (t. 9, p. 593).
77
Dissertation, t. 2, p. 412.
78
Quest'opera - come del resto la maggior parte degli scritti della controversia - fu redatta e pubblicata sia
in francese che in latino (cfr. Histoire de Bossuet, in uvres compltes, t. 1, p. 283). Teniamo a ricordarlo
perch precisamente alla versione latina - la Summa doctrinae libri cuius titulus est: Explication des Ma-
ximes des Saints - che Fnelon fa riferimento nella sua risposta (cfr. infra, p. 245).
79
Sommaire de la doctrine, t. 10, p. 25.
80
Ibid., pp. 26-27.
81
crits ou mmoires, t. 10, p. 60.
82
Rponse, t. 2, p. 385.
83
Ibid., p. 393.
84
Ibidem.
85
Ibid., p. 385.
86
Ibid., p. 392.
87
Cfr. Instruction sur les tats d'oraison, t. 9, p. 593 e supra, n. 76.
88
Cfr. Sommaire de la doctrine, t. 10, p. 25 e supra, p. 241. [253]
89
Cfr. ibid., p. 26 e supra, p. 242.
90
Cfr. Instruction sur les tats d'oraison, t. 9, p. 593 e supra, p. 237.
91
Rponse, t. 2, p. 387.
92
Ibidem.
93
Godet des Marais allude qui alla Dclaration de trois vques contre l'Explication des Maximes des
Saints, che egli aveva firmato, assieme a Bossuet e all'arcivescovo di Parigi, il 6 agosto 1697 (cfr. BOSSUET,
uvres compltes, t. 10, pp. 5-18).
94
Lettre pastorale sur le livre intitul Explication des Maximes des Saints, in FENELON, uvres com-
pltes Genve, 1971, t. 3, pp. 93-94.
95
Lettres de M. l'archevque de Cambrai un de ses amis, t. 2, p. 283.
96
Il breve di Innocenzo XII si trova riprodotto in BOSSUET, uvres compltes, t. 10, pp. 362-364.
97
A coloro che trovassero una simile interpretazione azzardata, eccessiva, o addirittura insostenibile, non
possiamo che consigliare vivamente la lettura della monumentale opera di RAYMOND SCHMITTLEIN, L'a-
spect politique du diffrend Bossuet-Fnelon. Grazie a un'analisi lucida e serrata di un'enorme massa di do-
cumenti, Schmittlein dimostra perentoriamente che la condanna delle Maximes, lungi dal dipendere da un e-
same obiettivo della questione teologica, fu determinata dalla crescente pressione politica esercitata dalla
corte di Versailles sulla Santa Sede (cfr., in particolar modo, il capitolo Le procs politique, pp. 389-493).
Resta poi da stabilire se, come vuole questo autore, tale pressione politica sia la pura conseguenza dell'acca-
nita ostilit che Mme de Maintenon aveva concepito per Fnelon, o se al contrario essa traduca, come noi cre-
diamo di poter affermare, un pi profondo conflitto di natura ideologica.
98
Cfr. M. FOUCAULT, op. cit., p. 177.
99
Cfr. J. SAVARY, Le parfait ngociant, Paris 1675, pp. 1-2.
100
Le conclusioni che si possono trarre dalla lunga analisi che abbiamo condotto ci sembrano del tutto e-
videnti. Per uno zelo probabilmente inutile teniamo comunque a esplicitarle, sia pure dislocandole fra queste
annotazioni liminari. In conclusione, dunque, la costante indubbiamente pi tenace nel fascio delle relazioni
che articolano il discorso mistico al sistema culturale secentesco, indubbiamente il suo rapporto con l'etica
che si sviluppa - e che s'impone - in un diverso settore di questo stesso sistema. Tale rapporto pu essere
considerato da tre punti di vista - ideologico, storico e strutturale: da un punto di vista ideologico, il discorso
mistico realizza una sovversione sistematica del modello economico propugnato dal discorso etico; da un
punto di vista strutturale, esso continua a presupporre questo medesimo modello, sia come ci a partire da
cui pu formare i propri concetti, sia come un codice di cui opera la trasgressione regolata; da un punto di
vista strategico, esso costituisce infine una zona di strenua resistenza alla sua espansione vittoriosa, un balu-
ardo quasi irriducibile, che non capitoler se non dopo mezzo secolo di affrontamenti, di lotte, di repressioni.
Diremo allora che il discorso mistico ideologicamente opposto al discorso etico, strutturalmente dipenden-
te da esso, e strategicamente perdente nei suoi confronti. Queste tre caratteristiche costituiscono, per cos di-
re, i segni di riconoscimento del discorso mistico nella cultura dell'et classica, o ancora le coordinate che
permetterebbero di reperirlo, in un ideale grafo rappresentante la totalit di questa cultura. [254]
142
INDICE
Premessa p. VII
[255]
143
ww.lamelagrana.net
La scienza o la sapienza dei santi era l'espressione di cui ci si serviva, nel XVII
secolo, per designare ci che si definiva anche, indifferentemente, la scienza
mistica. Tanto basta per capire che i "santi" di cui sar questione in questo libro
non sono gli eroi dell'agiografia tradizionale, ma quelli che noi oggi chiame-
remmo i contemplativi. Va detto inoltre che ci che viene alla luce in questa ri-
cerca, non sono i contorni generali di un'esperienza, ma le strutture elementari
di un discorso. Non si tratter, in altri termini, di descrivere quel che i mistici
sentivano, e nemmeno, a propriamente parlare, quel che pensavano, ma il modo
in cui essi pensavano, la maniera in cui articolavano il loro pensiero. Si tratter,
in una parola, di situarsi nel punto preciso in cui un pensiero si converte in lin-
guaggio. Si segnala infine all'attenzione del lettore che il presente saggio cir-
coscritto alla spiritualit francese del Seicento. Questa restrizione non corri-
sponde tanto a naturali limitazioni di competenza, quanto piuttosto alla ferma
convinzione che il misticismo, o pi esattamente i misticismi, siano in primo
luogo manifestazioni storicamente determinate (e differenziate) di societ e di
culture diverse.