Etruschi - Cortona
Etruschi - Cortona
Etruschi - Cortona
In questo stand sono presentati mappe tattili, riproduzioni di oggetti e pannelli profumati su alcuni
temi della civiltà etrusca, di cui la città di Cortona è stata un centro importante.
L’area del futuro parco archeologico di Cortona consiste in evidenze archeologiche di età etrusca e
romana, alcune interne alla città, altre nel territorio circostante, disposte lungo la strada statale
umbro casentinese che ricalca un’antica direttrice viaria.
All’interno della città sono visibili:
Il tratto di muro all’interno di Palazzo Cerulli-Diligenti;
La volta a botte di porta S. Agostino;
La porta bifora;
Alcuni tratti murari etruschi.
Il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona riunisce le collezioni dello storico Museo
dell’Accademia Etrusca, sito al piano nobile di Palazzo Casali, e la nuova sezione archeologica che
sarà ospitata ai piani inferiori. Le collezioni del Museo dell’Accademia Etrusca comprendono
reperti di epoca egizia, etrusca e romana, la pinacoteca (con opere di Pietro da Cortona e Luca
Signorelli), la Biblioteca Alta e il corredo funebre del Tumulo II del Sodo.
La nuova sezione archeologica ospiterà il corredo del Tumulo di Camucia, la Tabula Cortonensis e i
ritrovamenti degli ultimi anni di ricerca archeologica nella città e nel territorio cortonese.
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Il pannello sul retro, che riproduce la decorazione di un vaso per profumi, è profumato con
l’essenza di iris, una delle poche testimonianze scritte sui profumi per il corpo usati nel mondo
antico.
Il Tumulo II del Sodo si trova sulla sponda destra del rio di Loreto. E’ un tumulo di periodo arcaico
(570 a.C. circa), del diametro di circa 70 metri con due tombe all’interno: la tomba 1 con copertura
a pseudo-volta e sette celle fu individuata nel 1928/29; la tomba 2 costituita da due celle è stata
individuata nel 1991 con un ricchissimo corredo di oreficeria.
Nel 1990 è stata messa in luce, sul lato est del tumulo, una monumentale piattaforma-altare di
pietra, cui si accede tramite una gradinata i cui paramenti laterali sono decorati con rilievi e gruppi
scultorei: una leonessa, o sfinge, in lotta contro un guerriero. La riproduzione della scalinata a
grandezza naturale è esposta in questo stand. (per gentile concessione del museo civico
archeologico di Bologna)
Il pannello sul retro, la cui decorazione riproduce il paramento in conci in arenaria delle celle del
tumulo, è profumato con l’odore “riti funerari”: è un odore composto da una miscela di legni
resinosi usati nel complesso rituale di sepoltura. Si chiudevano gli occhi al defunto e lo si chiamava
a gran voce, per tre volte. Constatata la sua morte irrompevano le grida di dolore ed i lamenti di
parenti e amici. Il corpo era lavato e sparso di unguenti aromatici. Il defunto era successivamente
vestito e composto nel suo letto, coi piedi rivolti all’ingresso. L’abitazione era accuratamente
spazzata. Probabilmente accompagnavano il rito oggetti magici, fumigazioni odorose e nenie
musicali. Passato il tempo stabilito il morto, nel caso di un rito incineratorio, era portato,
probabilmente di notte, dove era stata preparata la catasta di legna che doveva bruciarlo. E’
probabile che fossero utilizzate particolari essenze legnose, come il cipresso o altri alberi resinosi.
Il morto era deposto sulla catasta col suo letto ed accompagnato dagli ultimi doni.
Uno dei parenti poi, voltato all’indietro per non incorrere nella maledizione del defunto, accostava
la torcia sulla catasta. Quando la legna era consumata, si raccoglievano con grandissima cura le ossa
in un panno e le si lavava anche con latte o vino, le si asciugava e le si deponeva nell’urna. Il
banchetto funerario che seguiva serviva anche a purificare i presenti, che dopo la cerimonia si
sottoponevano a fumigazioni: dalla fumigazione odorosa, per fumum, proviene il termine
“profumo”.
La tavola, ritrovata nel 1992 in territorio cortonese, è un documento iscritto con incisione su una
lastra di bronzo, delle dimensioni di cm 28,5 x 45,8, qui riprodotta in scala 1: 1.
Su una faccia sono iscritte 32 righe (recto) mentre sull’altra faccia sono riportate 8 righe (verso). In
un periodo successivo, la tavola è stata spezzata intenzionalmente in otto parti. Il testo è una
transazione di terreni, fra cui vigneti, tra due famiglie, alla presenza di testimoni.
Il problema della lingua etrusca non è un "mistero" come comunemente si crede. Si riesce a leggere
senza difficoltà perché l'alfabeto etrusco è derivato dall’alfabeto greco euboico, arrivato in Italia da
Cuma, colonia euboica, nell'VIII secolo a.C. Le popolazioni locali italiche lo hanno adottato,
sviluppandolo differentemente a seconda delle aree: Lazio, Etruria ecc. Anche la grammatica
etrusca è in parte nota. L’etrusco è però una lingua al momento senza parentele linguistiche con
quelle antiche, e ci sono pervenute solo iscrizioni brevi, quasi tutte di ambiente funerario: quindi
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conosciamo solo un lessico ristretto e settoriale, mentre mancano i vocaboli più comuni. La tavola
di Cortona è importante perché aggiunge nuove parole al vocabolario noto.
Il pannello riproduce in malta il colore bronzo, della Tabula ma di molti altri reperti importanti per
la comprensione e la conoscenza della civiltà etrusca.
Stele di Lemnos
La stele funeraria iscritta, con la raffigurazione di guerriero, è stata trovata a Kaminia, presso l’isola
di Lemnos in Grecia, ed è databile agli ultimi decenni del VI secolo a.C. Qui è riprodotta a
dimensioni circa della metà rispetto a quelle reali. La lingua, secondo le più recenti teorie, è etrusco
arcaico con alcuni adattamenti locali. Non è ancora chiaro se il rinvenimento in Grecia significa che
ci sia stata una fase linguistica comune dell’area mediterranea (di cui Etruria e Lemnos sarebbero
due testimonianze) o se nell’isola abbia vissuto un gruppo di Etruschi, forse quei pirati del mare
Tirreno che lo scrittore greco Tucidide ricorda essere stati presenti a Lemnos prima della sua
conquista da parte di Atene.
Il pannello riproduce il profilo del guerriero in solco; i colori alludono alle definizioni
convenzionali date ai gruppi alfabetici greci: greco-occidentale (“rosso”) e greco-orientale (“blu”).
La moneta fa parte di una serie di monete di bronzo prodotta nell’Etruria settentrionale interna. Sul
lato principale (diritto) c’è una testa di aruspice (il sacerdote etrusco con il caratteristico copricapo a
punta) e, sul lato secondario (rovescio) ci sono gli strumenti del sacrificio (ascia e coltello) e una
mezzaluna. La moneta può arrivare a pesare fino a 200 g.
Molte città etrusche, specialmente dal IV secolo a.C., emisero monete ottenute con la tecnica della
fusione, soprattutto in bronzo, ma talora in oro, basate sull’unità di misura etrusca del peso, l’asse.
Le principali zecche erano presso Volterra, Populonia, Vetulonia e una non ben precisata area
dell’Etruria settentrionale fra Arezzo, Chiusi e Cortona.
Gli aruspici esercitavano l’arte della divinazione attraverso l’esame e l’interpretazione delle folgori,
di eventi particolari, e delle viscere degli animali: nel pannello è riprodotto il cosiddetto “fegato di
Piacenza”, modello in bronzo del fegato di pecora per divinazione, con i nomi di divinità etrusche.
Villa di Ossaia
In località Ossaia-La Tufa vicino Cortona è stata messa in luce una villa romana di età tardo
repubblicana-imperiale, per un’area complessiva di circa 1000 mq. Questo complesso è stato
interessato da tre diverse fasi abitative: la prima è databile tra il 50 a.C. e la metà del I secolo d.C.;
la seconda fase costruttiva va dall’80-100 d.C. al III secolo d.C. La terza fase documenta una ripresa
fra l’età della Tetrarchia e quella costantiniana fino alla metà del V secolo d.C.
Della villa sono rimaste le tracce dei muri degli ambienti, e alcune testimonianze delle decorazioni:
intonaci dipinti, mosaici figurati con pantere e mosaici geometrici bianchi e neri, di cui è presente
una riproduzione.
Il pannello, che riproduce un frammento dell’intonaco colorato della villa, è profumato con una
miscela di essenze di piante usate dagli etruschi per insaporire i cibi.
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Mosaico della villa di Ossaia
Kantharos e Lekythos
I due vasi riprodotti sono un esempio dei possibili ritrovamenti ceramici in Etruria. Il primo
(kantharos) è un vaso a forma di calice con alte anse a nastro, utilizzato per consumare vino. Il
materiale è bucchero, una ceramica etrusca nera, sia in frattura sia in superficie, che risulta lucente a
imitazione del metallo, ottenuta con un procedimento di cottura particolare.
Oltre a realizzare il bucchero gli Etruschi produssero altre serie ceramiche, come quelle a figure
nere, rosse, e, specialmente nell’ultima fase, a vernice nera.
Il secondo vaso (lekythos) ha un corpo cilindrico e un beccuccio stretto, è stato prodotto ad Atene
appositamente per contenere sostanze profumate. La superficie è di colore arancio, le figure sono
dipinte in nero e rifinite, nei particolari, con l’incisione attraverso una punta metallica.
Nella lingua greca il vocabolo lekythos si riferisce a tutte le specie di vasi da profumi a base oleosa.
L’Etruria è stata un mercato privilegiato delle esportazioni greche di ceramica fin dall’VIII secolo
a.C., da Cuma, Corinto e l’Attica.
Le piante
L’Etruria, nome latino della regione in cui si sviluppò la civiltà etrusca, corrisponde circa all’attuale
Toscana, i confini ad est e a sud segnati dal Tevere, ad ovest dal Mar Tirreno (incluse le isole), a
nord probabilmente dalla valle dell’Arno, anche se alla fine del VI secolo a.C. l’espansione etrusca
raggiunse la pianura padana e la Campania.
In questo territorio i boschi avevano un’estensione molto maggiore di adesso, come testimoniano gli
studi di paleobotanica e i toponimi, i nomi dei luoghi, come Querceto, Rovereto e simili.
Gli Etruschi furono grandi produttori di cereali, secondo le fonti letterarie greche e latine, e i tanti
ritrovamenti archeologici legati all’agricoltura, come modellini di carri e buoi, di contenitori per
alimenti, di cereali e legumi carbonizzati emersi dagli scavi degli abitati.
Cereali e legumi erano la base dell’alimentazione, sotto forma di pane, pappe, polente e farinate.
Altri cibi erano la frutta, le verdure, le carni. Sappiamo che si beveva vino, prodotto in Etruria o
importato dalla Grecia, perché all’interno dei corredi delle tombe sono stati trovati recipienti per il
vino.
L’olio d’oliva era usato per l’illuminazione (nel museo di Cortona è conservato un importante
lampadario etrusco), come ingrediente di pomate cosmetiche e medicinali, per usi alimentari.
Gli autori antichi descrivono gli Etruschi come fabbricatori di farmaci, ricavati dalle piante, triturate
e miscelate con olio d’oliva o grassi animali per unguenti e pomate, con acqua, vino, latte o miele
liquido per gli infusi.
I ritrovamenti paleobotanici, le raffigurazioni tombali, le testimonianze scritte identificano, tra tante
piante, il biancospino usato come astringente, la quercia e la rosa canina come antinfiammatorio, il
cipresso come balsamico e tossifugo, il timo per usi digestivi e antisettici, il pulegio come
cicatrizzante e digestivo.