Cronologia Essenziale Degli Studi Sul Tarantismo

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Cronologia essenziale degli studi sul tarantismo, da Platone a De Martino 1

367 a. C.
Platone nell'Eutidemo descrive formule cantate per annullare le conseguenze dei morsi di scorpioni,
serpenti e ragni malefici.
1362
Guglielmo Marra da Padova racconta nel Sertum papale de venenis che «quando il malato ode una
melodia che coincide con il canto del ragno da cui è stato morso, ne trova giovamento».
1425
Sante de Ardoynis scrive nel “De Veneris” che i morsicati persistono nello stato di immaginazione,
inclinazione, pensiero fino al momento in cui il veleno del morso non fosse stato debellato.
1450
Johannes Tinctoris nei suoi studi di teoria musicale testimonia l'esistenza di musiche usate per
"risanare gli ammalati" e cita la "questione dei tarantolati".
1487
Giovanni Pontano nel suo dialogo Antonio attesta come le donne pugliesi siano facilmente soggette
ad essere morse dal ragno.
1490 circa
Leonardo da Vinci scrive in un suo manoscritto questo appunto: "Il morso della taranta mantiene
l’omo nel suo proponimento, cioè quel che pensava quando fu morso".
1513
Antonio De Ferrariis, nell'epistola De situ Japygiae, scrive: "la natura vi ha generato un animale
dannosissimo, un malefico ragno il cui veleno viene espulso al suono di flauti e tamburi. Non ci
crederei se non n'avessi avuto numerose prove".
1527
Ferdinando Ponzetti espone nel "De tarantula Apuliae et cura" la teoria, secondo la quale il veleno si
depositerebbe nel cervello congelando il pensiero e le azioni della vittima costringendolo nello stato
del morso fino a che non si fosse dissolto.
1531
Francesco Berni recita nel suo Rifacimento dell'Orlando Innamorato (II.17):
"Come in Puglia si fa contro al veleno
Di queste bestie, che mordon coloro,
Che fanno poi pazzie da spiritati;
E chiamasi in vulgar Tarantolati;
E bisogna trovar un, che sonando
Un pezzo, trovi un suon che al morso piaccia;
Sul qual ballando, e nel ballar sudando
Colui, da se la fiera peste caccia"
1533
Heinrich Cornelius Agrippa, nel De Occulta Philosophia, scrive: «Si trova anche scritto che coloro i
quali siano stati morsicati dalla Tarantola in Puglia cadano in sopore, dal quale vengono tratti mercè
determinati suoni che li spingono a ballare in cadenza».
1602
Vincenzo Bruno, medico e filosofo di Melfi, pubblica tre dialoghi il primo dei quali si occupava del
Tarantismo: "Dialogo delle tarantole di due Filosofi dimandati Pico et Opaco". Bruno racconta di un
uomo pugliese, secondo il quale nell'anno 1596, dopo l'apparizione di una cometa, erano accaduti
1
http://www.taranta.eu/index.php/2-non-categorizzato/2-cronologia-essenziale-degli-studi-sul-tarantismo-
da-platone-a-de-martino.html
avvenimenti funesti (siccità, venti incredibili e così via). Durante questi eventi a Venosa molti uomini
e donne furono morsi da Tarantole e assunsero comportamenti folli: in numerosi casi queste persone
affermavano di agire addirittura in obbedienza agli ordini di un'entità che ne dominava la volontà.
Secondo l'esposizione che fa Vincenzo Bruno, si usciva da questa particolare condizione di "invasato"
solo dopo aver danzato senza sosta una particolare musica.
1608
Il nome tarantella, riferito alla musica, appare per la prima volta in uno spartito trascritto da Foriano
Pico. Pico era attivo alla fine del '500, ed eseguiva le sue tarantelle in occasione delle danze dei
tarantati di Venosa.
1610
Matteo Zaccolini scrive un trattato sul fenomeno del tarantismo in cui dice di aver scoperto il ballo
"di quelli che sono morsi dalla tarantola che guariscono per la presenza di oggetti colorati, oltre il
suono di strumenti".
1620
Fernando Epifanio nelle Centum Historiae analizza numerosi casi di tarantati, fra cui il caso di un
suo giovane concittadino, tale Pietro Simeone, pizzicato mentre dormiva di notte in un campo.
Epifanio credeva fermamente nella musica come terapia “certissima” criticando chi sosteneva che il
tarantismo non fosse necessariamente scatenato da un morso. Inoltre fu il primo a proporre come
metodo di cura per tarantati morsi da tarantole malinconiche le nenie funebri.

1641
Athanasius Kircher, dopo essersi recato in Puglia nel 1630 per fare delle ricerche su alcune antiche
terapie musicali legate al culto di Dioniso, pubblica un trattato dal titolo De arte magnetica in cui
espone il risultato dei suoi studi sul fenomeno del tarantismo. Kircher racconta: “Come il veleno
stimolato dalla musica spinge l’uomo alla danza mediante continua eccitazione dei muscoli, lo stesso
fa con la tarantola; il che non avrei mai creduto se non l’avessi appreso per testimonianza dei Padri
ricordati, che son degnissimi di fede. Essi infatti mi scrivono che in proposito fu tenuto un
esperimento nel palazzo ducale di Andria, in presenza di uno dei nostri Padri, e d tutti i cortigiani. La
duchessa infatti, per mostrare nel modo più adatto questo ammirabile prodigio della natura, ordinò che
si trovasse a bella posta una taranta, la si collocasse, librata su una piccola festuca, in un vasetto colmo
d’acqua, e che fossero quindi chiamati i suonatori. In un primo momento la taranta non dette alcun
segno di muoversi al suono della chitarra, ma poi, allorché il suonatore dette inizio ad una musica
proporzionata al suo umore, la bestiola non soltanto faceva le viste di eseguire una danza saltellando
sulle zampe e agitando il corpo, ma addirittura danzava sul serio, rispettando il tempo: e se il
suonatore cessava di suonare anche la bestiola sospendeva il ballo. I Padri vennero a sapere che ciò
che in Andria ammirarono in quella circostanza come episodio straordinario, era a Taranto fato
consueto: infatti i suonatori di Taranto, che curavano con la musica questo morbo anche in qualità di
funzionari pubblici retribuiti con stipendi regolari per aiutare i più poveri e per sollevarli dalle spese,
per accelerare e rendere più facile la cura dei pazienti solevano chiedere ai colpiti il luogo e il campo
dove la tarantola li aveva morsicati e il suo colore. Perciò, individuato subito il luogo dove diverse e
numerose tarantole si adoperavano a tessere le loro tele, i medici citaredi si avvicinavano e tentavano
vari tipi di armonie e, mirabile a dirsi, ora queste, ora quelle saltavano. Quando vedevano saltare una
tarantola di quel colore indicata dal paziente, affermavano con certezza di aver trovato il modulo
esattamente proporzionato all’umore velenoso del tarantato e adattissimo alla cura, con il quale
ottenere un sicuro effetto terapeutico". Kircher compose anche una sonata per liuto ispirata alla
tarantella e la chiamò "Antidotum tarantulae".
1695
Giorgio Baglivi scrive un trattato sul tema: “De Tarantula”, in cui esamina criticamente le teorie
sull'efficacia della musica contro il morso del ragno, e cerca di dare una interpretazione chimica e
meccanica del morbo. Baglivi ipotizza l’ esistenza di due tarantismi, uno vero, di natura tossicologia
ed uno falso, che egli definì “i carnevaletti delle donne”.
1710
Ludovico Valletta conclude una ricerca sul campo comparando numerose testimonianze e
distinguendo i casi di avvelenamento da morso del ragno da quelli di presunta possessione diabolica.
1720
George Berkeley, in Viaggio in Italia, narra numerosi episodi di tarantismo a cui ha assistito
personalmente. L'autore prende una posizione equilibrata tra la tesi di chi crede che il fenomeno sia
originato dal morso del ragno e chi lo ritiene una finzione. Secondo Berkeley, infatti, le tarantate non
fingevano ma non può dirsi sicuro che all'origine dei loro sintomi vi fosse il ragno.
1741
Nicola Caputi pubblica il trattato "De tarantulae anatome et morsu", in cui si tenta un inquadramento
clinico su basi scientifiche degli effetti del veleno della tarantola. Caputi, a dispetto del suo approccio
scientifico, dà credito anche alle guarigioni miracolose per intercessione di San Paolo.
1742
Francesco Serao conclude le sue "Lezioni accademiche sulla tarantola" affermando che la causa del
tarantismo non è da ricercare nella tarantola ma nei pugliesi e che animali e malattie entravano nella
questione "in obliquo", mentre i puglievi vi entravano "in recto".
1779
Andrea Pigonati, nella Lettera al sig. Abate Angelo Vecchi sul Tarantismo, scrive: "E' da notarsi che
in Taranto ed in altri luoghi della Puglia, sapendosi che una donna sia stata attaccata dal tarantismo, e
siane stata guarita con un dato suono, per farle ingiuria, alla notte, le fan suonare quello stesso modo
sotto la finestra, ed essa urla e balla contro sua voglia, ancorché abbia impegno di non comparir tale.
Stando io in Brindisi un Canonico mio amico maritò una nipote, e diede una festa da ballo. Egli aveva
una sorella, che anni prima aveva sofferto il Tarantismo, ma ciò non era pubblico. Un nemico del
Canonico e della sorella disse di voler ballare, ed ordinò a suonatori di suonare la contraddanza detta
Pizzicapizzica, ch’era quella appunto colla quale era guarita la sorella del Canonico: e venendo ciò
eseguito dai suonatori essa si alzò, e cominciò ad urlare, e a ballare; onde si cambiò la festa in lutto».
Questo brano è la più antica attestazione scritta del termine Pizzicapizzica.
1780
Henry Swinburne nel suo Viaggio nel regno delle due Sicilie racconta di aver visto le tarantate a
Brindisi. Egli afferma che i loro comportamenti sono identici a quelli delle antiche baccanti e afferma
pertanto che il ragno è solo il pretesto che, con l'affermazione del cristianesimo, le donne utilizzarono
per poter impunemente perpetrare l'antico rito dionisiaco.
1785
Johann Hermann Von Riedesel, barone di Eisenbach, scrive le sue Passeggiate in Italia. Per lui il
tarantismo è legato a una serie di fattori ambientali e climatici, ma soprattutto alle frustrazioni
amorose di cui erano vittima quelle donne che avevano la sorte di non poter trovare un marito a causa
del loro aspetto sgraziato.
1819
Antoine-Laurent Castellan nelle Lettere dall'Italia racconta il caso emblematico di Ginevra, giovane
e bella ragazza che, innamorata di un mariaio albanese, dopo varie peripezie lo vede morire in mare,
vittima di un attacco di pirati. Sconvolta dal dolore, Ginevra tenta il suicidio lanciandosi da una rupe,
ma viene salvata. Da allora diventa una tarantata. Per Castellan dunque il tarantismo è causato "dalla
natura del clima, dall'aridità del terreno, dalla rarità dei boschi e dal caldo eccessivo. In effetti, queste
cause tendono a sviluppare e a rendere dannose parecchie altre indisposizioni; è anche riconosciuto
che l'idrofobia regna in Puglia più che altrove; e l'aria calda e umida, e la sua pesantezza in estate,
fanno sì che le più piccole malattie in questo paese diventino mortali".
1821
Keppel Craven, nel suo A tour through the southern provinces of the kingdom of Naples, racconta:
«The expenditure of money and time attending the ceremonies observed in the cure of a Tarantata,
which attract the attention and form the diversion of a whole village, will account for the husband’s
objections to the neighbours encouragement of them. [...] she sits with her head reclining on her
hands, while the musical performers try the different chords, keys, tones, and tunes that may arrest her
wandering attention, or suit her taste or caprice. I heard some specimens of these preludes, which
resemble unconnected pieces of recitative. The sufferer usually rises to some melancholy melody in a
minor key, and slowly follows its movements by her steps; it is then that the musician has an
opportunity of displaying his skill, by imperceptibly accelerating the time till it falls into the merry
measure of the pizzica, which is, in fact, that of the Tarantellas or national dance, only that in the
composition of the Tarentine air greater variety and a more polished and even scientific style is
observable. She continues dancing to various successions of these tunes as long as her breath and
strength allow, occasionally selecting one of the bystanders as her partner, and sprinkling her face with
cold water, a large vessel of which is always placed near at hand. While she rests at times, the guests
invited relieve her by dancing by turns after the fashion of the country; and when, overcome by
resistless lassitude and faintness, she determines to give over for the day, she takes the pail or jar of
water, and pours its contents entirely over her person, from her head downwards».
1828
Crufurd Tait Ramage scrive un resoconto intitolato Wanderings in Search of Ancient Remains and
Modern Superstitions. Per Ramage la storia del ragno è pura mistificazione e menzogna, spiegabile
con la propensione all'isteria da parte dei giovani del posto.
1832
Friedrich Karl Justus Hecker scrive nel suo Tanzwut (Danzimania): «fin dal secolo XV si manifestò
nelle Puglie una strana malattia nervosa, attribuita al morso velenoso di un ragno chiamato Tarantola,
per la quale i morsicati, o anche per genio epidemico quei che temevano di esserlo stati, divenivano
melanconici quasi stupefatti e appena capaci di ragione. Questo stato in molti si associava ad una sì
grande sensibilità per la musica che ai primi tocchi di una melodia prediletta esultavano di gioia e
dapprima lentamente e indi sempre con più rapido moto danzavano senza posa, fino a quando
estenuati cadevano al suolo. Era inoltre comune opinione che il veleno della Tarantola, mercè la
musica e la danza venisse distribuito a tutto il corpo ed eliminato col sudore per via della pelle. Per
conseguenza si credé che la musica fosse l'unico rimedio contro il morso del malefico ragno, e fin dal
principio del secolo XVII intere turbe di suonatori giravano all'uopo per le città e per le campagne
durante mesi d'estate, nei quali specialmente veniva intrapresa la cura degli ammalati che accorrevano
i frotte a cercare nel ballo un farmaco ai loro tormenti. La qualità della musica stava in stretto rapporto
colla natura della malattia, ed essa fece si profonda impressione negl'italiani del Mezzogiorno, che
anche oggidì, benché scomparsa da lungo tempo la malattia conservasi presso di loro la Tarantèlla
come una musica particolare per ballo, i cui tempo si fa sempre più celere e stretto».
1845
Charles Didier afferma in Italia Pittoresca: "La Tarantola, su cui si sono fatte tante storie, è una
specie di ragno, al cui puntura produce in realtà un'irritazione nervosa che la musica allevia. Quando
trova un corpo sano, al ferita non è dannosa; ma, se incontra un germe viziato, l'irritazione diviene
cronica e non guarisce affatto. Un medico della zona mi ha dato in proposito preziose informazioni;
lui stesso si è fatto pungere al braccio; provò i sintomi nervosi di cui ho appena detto, con un gran
malore allo stomaco; ma guarì dopo alcuni giorni. Gli scienziati considerano in genere favole tutto ciò
che si è raccontato sulla puntura della Tarantola, come causa del tarantismo, o bisogno smodato della
danza, che va fino allo sfinimento. Forse bisogna qui intravedere una di quelle associazioni di idee
così comuni presso i popoli dall'ardente immaginazione. Si saranno associati con un legame di causa a
effetto, due distinti fenomeni, i quali non hanno altro rapporto se non di apparire negli stessi luoghi:
all'esistenza della Tarantola si sarà appoggiata l'esistenza della Tarantella".
1868
Léon Palustre de Montifaut, archeologo, pubblica il suo Viaggio da parigi a Sibari. Questa è la sua
interpretazione del tarantismo: "Curiosa affezione quella del tarantismo, e fino ad oggi ancora
inspiegata! La puntura di un insetto, oggi innocente, non poteva essere pericolosa un tempo. E'
permesso al volgo di rendere così ragione di un disordine interno che si manifestava soprattutto con il
desiderio estremo di ballare al suono degli strumenti, e un bisogno smodato di musica e di rumore.
Oggi è generalmente ammesso, anche presso gli abitanti della zona, che l'immaginazione abbia una
gran parte in questo strano sconvolgimento fisico e morale. Sarebbe anche permesso vedere, con
alcuni scrittori, nei mezzi praticati per risollevare la persona che soffre, un resto delle orge osservate
nella celebrazione del culto di Bacco".
1875
Ferdinando Gregorovius scrive nel suo saggio Nelle Puglie: "La nota favola che attribuisce l'origine
della danza pugliese, la tarantella, al morso di questo insetto, non è senza un certo significato. Forse in
essa si trova in realtà adombrato un residuo dell'antico culto di Cibele."
1876
Luigi Giuseppe De Simone pubblica una intervista ad uno dei più famosi suonatori per i tarantati, il
violinista cieco Francesco Mazzotta di Novoli che lamenta il fatto che progressivamente tra i musicisti
più giovani si stesse perdendo l’antica ricchezza di sapere.
1890
Ignazio Carrieri scrive in un saggio sul tarantismo: "dopo accertati i fenomeni di questa nevrosi, non
dovrebbe impadronirsi la scienza della cura di essa, sottraendole quanto vi è di teatrale, di esagerato o
di falso e liberandola dal mistero, dal quale resta anche oggidì circondata?". Carrieri, come Baglivi,
distingue un tarantismo vero, legato all’azione del veleno della tarantola, dallo “pseudotarantismo”,
forma di nevrosi isterica dovuta a suggestione e a “contagio morale”.
1891
Paul Bourget scrive Sensazioni d'Italia, frutto del suo viaggio nel bel paese. In esso appunta: "Voglio
anche pregare il mio compagno di ripetermi la commovente canzone popolare in dialetto di Manduria
che s'accompagna al tamburello e dovrebbe guarire gli ammalati, morsi dalla tarantola o rosi da una
disperazione d'amore:
Malinconicu cantu e allegru mai
Cacciati fora sti malincunii.
Come l'aggiu a cacciari, quannu tu sai?
Ai nu cori e lu donai a ti".
1891
Janet Ross scrive nel suo diario Journey in the Land of Manfred, Prince of Taranto: "Domandai anche
a Don Eugenio delle informazioni circa la famosa tarantola. La stagione non era ancora ben avanzata,
per poter noi vedere l’insetto -ragno, e gli effetti della sua morsicatura; ma tutta la povera gente e
parecchie fra le persone più civili credono implicitamente al “tarantismo”, a dispetto del sonetto che
dice: Non fu Taranta, né fu Tarantella, ma fu lo vino della carratella. Le informazioni che mi diede
Don Eugenio, spettatore di centinaia di casi, differiscono da quelle avute da altri. Egli mi diceva:
Esistono varie specie di quest’insetto che ha differenti colori, e vi sono due specie di tarantismo,
quello umido e quello secco. Le donne, quando lavorano nei campi di grano, sono più soggette ad
essere morsicate a causa delle poche vesti che portano addosso, durante il caldo eccessivo. Il male si
annunzia con una febbre violenta, e la persona colpita di dimena furiosamente in tutti i versi gridando
e lamentandosi. Allora subito si fanno venire dei musicanti, e se la musica che si suona non incontra la
fantasia della tarantata ( o tarantato, vale a dire la persona morsicata), la donna ( o l’uomo) si contorce
e si lamenta più forte, gridando ”no, no, no questa canzone“. I musicanti allora cambiano
immediatamente motivo, e il tamburello strepita e picchia furiosamente per indicare la differenza del
tempo. Finalmente quando la tarantata trova la musica che fa per lei, si slancia d’un balzo e si mette a
ballare freneticamente. Se poi si tratta di ” tarantismo secco“, i parenti cercano il colore dell’insetto
che l’ha morsicata, e le adornano le vesti e i polsi di nastri dello stesso colore dell’insetto, bianco o
celeste, verde, rosso o giallo. Se nessun colore risponde a quello che si cerca, allora vien coperta da
strisce di ogni colore, che svolazzano intorno a lei come essa balla, si dimena, si agita con le braccia
per aria, da vera indemoniata. La funzione o cerimonia si comincia generalmente in casa; ma va a
finire sempre per la strada, sia per il caldo, sia per la tanta gente che si raccoglie. Quando finalmente
la “tarantata” si calma, vien messa in un letto caldo, dove dorme qualche volta sino a diciotto ore di
seguito. Pel “tarantismo umido“, i musicanti vanno a sedere per lo più vicino ad un pozzo, dove la
tarantata viene irresistibilmente attratta; e mentre la disgraziata balla, un numero straordinario di
parenti e di amici la inondano d’acqua, per cui, diceva Don Eugenio, ” è incredibile la quantità
d’acqua benedetta che viene consumata“. E ne parlava con vero dispiacere, perché in Puglia non è
difficile il caso, che il bestiame muoia in estate per mancanza d’acqua. Pare che il “tarantismo umido”
sia quello peggiore, perché talvolta la febbre si prolunga a sino a settantadue ore; ma in tutti e due i
casi, fui assicurata che se i musicanti non sono chiamati, la febbre continua indefinitivamente, e viene
qualche volta seguita da morte. ” Vicino a Taranto” continuava Don Eugenio, “c’è un mastro muratore
che conosco benissimo, il quale pieno d’idee moderne, beffeggiava chiunque gli parlasse di morsi
velenosi della tarantola, e minacciava di battere le donne di casa se si fossero permesse di chiamare i
musicanti in caso di morsi di tarantola. Sia stata fatalità, sia stato volere di San Cataldo, un bel giorno
fu morsicato proprio lui; e dopo aver sofferto tutte le pene dell’inferno, con un a febbre indiavolata per
parecchi giorni, finalmente mandò a chiamare la musica, dopo aver chiuso accuratamente tutte le porte
e le finestre della casa. Ma il delirio fu tanto forte che con gran gusto di quelli che credono nel
“tarantismo”, spalancò la porta e si slanciò in mezzo della strada, gridando con tutte le forze che
aveva” Hanno ragione le femmine! Hanno ragione le femmine!” Per questo trascrissi la musica della
tarantella che mi fu insegnata da un vecchio contadino che la suonava sul violino, accompagnato da
suo figlio con la chitarra battente, e da un altro con la chitarra francese. Erano tutti e tre chiamati
spesso per i ” tarantati “, e mi assicurava che quel motivo aveva sempre un gran successo.”
1908
Francesco De Raho pubblica il testo "Il Tarantolismo nella superstizione e nella scienza", in cui le
cause della patologia che colpiva le contadine sono identificate nelle condizioni sociali e psicologiche
in cui versavano le masse rurali dell’epoca.
1954
Alan Lomax e Diego Carpitella pubblicano 170 registrazioni sonore e oltre 70 fotografie scattate nel
Salento che testimoniano l'attualità del fenomeno del tarantismo. Le registrazioni di Carpitella sono le
più antiche testimonianze sonore oggi disponibili sulla pizzica salentina.
1961
Ernesto De Martino pubblica "La terra del rimorso", in cui dimostra definitivamente che il
tarantismo non è una malattia organica classificabile con criteri clinici e che il suo legame col veleno
di un ragno rientra nella categoria dei miti, mentre il tarantismo è da classificare come fenomeno
antropologico, residuo di una fenomenologia sociale articolata di origine precristiana contaminata
successivamente dal contesto popolare contadino e dai riti cristiani.