Part2 Contro-La-Musica Estratto

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PA RT I C E L L E

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Contro la musica di Manlio Sgalambro
© 1994 De Martinis & C. Editori, Catania

© 2021 Carbonio Editore srl, Milano


Tutti i diritti riservati

ISBN: 9788832278279

www.carbonioeditore.it

Progetto grafico e impaginazione: Marco Pennisi & C. srl


Manlio Sgalambro

Contro la musica
Prefazione di Elena Sgalambro
forte-piano / acuto-grave

Quando Fortunata de Martinis mi ha proposto di


scrivere la prefazione a Contro la musica, pubbli-
cato nel lontano 1994, un brivido freddo mi ha
attraversato la spina dorsale! Come allontanarmi
dal “padre”, un rifugio sicuro, per affrontare “l’al-
tro” Manlio?
Scorrendo i ricordi e leggendo queste pagine,
mi accorgo che in realtà il “padre” spiega molto del
filosofo. Manlio guardava da una parte e dall’altra,
e mi sorge anche il dubbio che lo sguardo dell’uo-
mo e del filosofo spesso giocassero fra loro.
Sul filosofo pessimista è stato detto molto ma
su come questo pessimismo fosse portato dall’uo-
mo, al di là di quanto si possa leggere sulle bio-
grafie talvolta agiografiche, forse non è stato detto
abbastanza.
Per me, in ogni caso, nel parlare di lui, mi ri-
trovo davanti un padre, certamente molto sui ge-

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neris, ma sinceramente un padre, un “papà” per
l’appunto. Mentre guida individua con precisione
gli indiani dietro i pietroni di lava lungo la circon-
vallazione di Catania, mentre si torna a casa dall’a-
ver preso mia sorella Elisa all’asilo dalle suore. Lui
avrà avuto circa 45 anni, non un padre giovane,
giovane mio padre non lo è mai stato, e intrattie-
ne noi, tre piccole bambine in macchina con lui,
facendoci sparare dai finestrini… Oggi penso che
a giocare fosse più lui, con la sua ampia cultura di
film western, genere di cui era patito e che tanto
amava. Come mio padre si potesse destreggiare fra
quei suoi mondi e il nostro, per me è rimasto un
mistero. Capisco quanto la sfera della “genitoria-
lità” potesse risultare ostica a quell’uomo con lo
sguardo spesso perso nei suoi pensieri, nella sua
“originale” capacità di occuparsi dell’altro. Io lo
ricordo come un padre affettuoso, assente e/o pre-
sente, c’era sempre una porta chiusa a chiave a pro-
teggere il suo mondo, dietro la quale prosperava la
sua vera vita: lo studio. Così era chiamata la stanza
dove si nascondeva a tutti noi e dove trascorreva
appunto, buona parte del giorno. Per chi cresce
la prima sensazione è che tutto intorno cambi di
proporzione, si ingrandisca e si rimpicciolisca a se-

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conda dei momenti. Ed ecco che quella “grande”
porta sempre chiusa a chiave si ridimensiona e di-
venta solo una porta, una banale porta e non più
l’ingresso all’antro buio. Quell’uomo alto dai ca-
pelli bianchi, i suoi lo erano sin da giovane, che ti
guardava dall’alto in basso si ridimensiona, diventa
un uomo, non alto, e che non ti guarda più. Per-
ché ad un certo punto lui ha iniziato dal suo antro
a guardare lontano dove solo lui poteva arrivare.
Lui che da giovinetto si aggirava nella piazza della
sua Lentini in pigiama, fumando come un turco,
lui che la gente compativa portando il dito alla
tempia facendolo girare per indicare che non era
proprio a posto. Ma del resto solo questa indipen-
denza o autonomia dal sociale poteva supportare
questo visionario che ha sempre guardato all’uomo
come un male inevitabile, con grande curiosità e
con ancora maggiore distacco, volendosi mischiare
con la banalità dell’esistere solo alla bisogna.
Mio padre amandoci quindi suo malgrado ci
compativa anche: ci aveva condannato alla vita e
lui ne era l’artefice. Eppure mi raccontava di quan-
to a lungo mi avesse cullato di notte canticchiando
ninne nanne e canzoncine inventate lì per lì, que-
ste ultime escogitate anche al fine di farci mangia-

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re… (Quello che sarebbe accaduto anni dopo con
le canzoni è cosa nota a tutti).
In realtà Contro la musica è anche molto con-
forme nel suo sviluppo ai modi dell’uomo Sga-
lambro, coerente con il centro della sua riflessione
di sempre, dell’inimicizia del mondo.
Già l’incipit Un fantasma si aggira tra noi tradisce
questa sua costante. Più che i connotati della melas-
sa opprimente di oggi, e cioè che cosa sia diventata
questa musica, Sgalambro attacca sul problema me-
tafisico della musica. Osserva che due secoli di sto-
ria della musica ne avrebbero decretato anche la fi-
ne. La musica non esprimeva nemmeno un proprio
ethos. Da viva, infatti, la musica già soffriva del male
del mondo, dato che l’esperienza di ascolto che un
tempo offriva, nel silenzio a differenza del frastuo-
no di oggi, di fatto portava all’ascolto di noi stessi,
più che alla condivisone empatica di una esperienza
di rinunzia al mondo, quale sarebbe stato un suo
possibile senso etico. Perciò scrive che “la musica è
dalla parte del mondo, non dà una mano a resistervi
ma prende le difese del nemico da un punto di vista
privilegiato, dentro di noi… come se nella musica si
celebrasse l’incontro con il proprio Sé, come si è voluto
sempre far credere, e non lo scontro col mondo”.

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Oggi tutti fanno rumore, in una diffusione so-
nora forzata in ogni luogo e fuori luogo. La musi-
ca non può perciò generare quell’ascolto, ma tut-
tavia si disvela ugualmente come una reclame del
mondo, nella coerente nuova funzione di diverti-
mento, nella indifferenza emotiva dell’ascoltatore.
“L’oggetto che la musica riesce a far vendere di più, la
cosa più pregiata, è il mondo che invece, a detta degli
esperti, non vale una cicca.” E la musica si fa sempre
più sentire, costi quel che costi, con volumi esa-
sperati, perché a spingerne l’invadenza è la stessa
sua paura di non trovare più nessun orecchio ad
accoglierne il suono.
Poco importerebbe appurare se questo regresso
sia imputabile alla musica di massa, o invece ad
un ascoltatore regredito che si rifiuta di ascoltare.
Il problema sarebbe metafisico e quindi a monte.
I tanti filosofi e musicisti citati, sprazzi di lucidità,
convergono in una constatazione “La musica tace
quando Brunilde esclama: «vidi la fine del mondo»,
ma lo strepito degli ottoni arriva lo stesso”. E ancora
“Un elenchino compilato da Schoenberg dà le sen-
sazioni possibili che deve far provare una musica:
entusiasmo, piacere, diletto, felicità, divertimento,
distrazione, sensazioni violente o esaltazione”. E

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Sgalambro osserva che “L’anima vi pesca a piace-
re… La musica non ha ethos. Ethos lo ha l’ascolto”.
Osservazioni che aprono altri fronti e che mettono
in discussione la stessa considerazione di musica
come linguaggio.
Perché “la musica non è né edonistica né etica”.
Paladina di un mondo nel quale mio padre sta-
va stretto e che non riveriva, “qualsiasi cosa voglia
l’autore, essa se ne va per i fatti suoi”. Scrive Wagner
(a Liszt) “Scioglimi via dal mondo”, lo stesso grido
che invocava mio padre.
Ma “la musica celebra in festa l’esistenza del mon-
do” e vince per e con il mondo, “ti obbliga come la
vita a vivere anche se non vuoi”.
Rivedo mio padre davanti ad una brioche col
“tuppo” e una granita di mandorla. “La fine del
mondo è rimandata”!
Elena Sgalambro

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CONTRO LA MUSICA
(sull’ethos dell’ascolto)

«La musica non possiede alcun potere parti-


colare, è inutile, non reca felicità né affina
il gusto. Chi sostiene il contrario si fonda su
pregiudizi, dogmi, superstizioni ed errori».
SESTO EMPIRICO, Contro i musici
(Adversus mathematicos, VI)

Krak! Krak! Krakerakrak!


Richard Wagner

Chi ascolta veramente, ascolta l’ascolto.


M. S.
U
n fantasma si aggira tra noi. Il fantasma della
musica. Una opprimente melassa, un indi-
stinto in cui si trova di tutto, musica da came-
ra e musica da piazza, per pochi e per molti, buo-
na e cattiva musica. (“Persino la cosiddetta ‘cattiva
musica’ è dopotutto musica, e non un semplice
complesso di questi o quei fenomeni acustici”, af-
ferma compiaciuto Ingarden. Questo dice tutto.)
Mahler compone la musica di Mahler ma cantic-
chia le canzoni napoletane. Es gefällt: per ognuna
viene pronunciata la parola mortale: piace. Un
rozzo ascoltatore, senza ethos alcuno, s’è impadro-
nito della musica (come una volta si diceva che
la musica si impossessava dell’ascoltatore). Essa lo
segue ipnotizzata e sprigiona suoni dai suoi stessi
fan. Dalle loro orecchie spalancate suona quella
stessa musica che essi vogliono ascoltare.
Ciò che qui si è chiamato ‘contro la musica’
non è libero da valori. Anzi si appresta a eseguire
una condanna che nello stesso tempo suppone che

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l’oggetto sia stato giudicato. L’atteggiamento che
non valuta si dispone attorno alle scienze uma-
ne, o al loro interno stesso, come se si dovessero
proteggere. Al soggetto conoscente si raccomandò
di essere non di valutare, fino a quando esso non
sparì. All’ultimo soggetto, se per caso se ne fos-
se salvato uno, si addice di essere anacronistico.
Chi valuta oggi è l’Umstürzler, il sovvertitore. Egli
rovescia i valori, perché questo è valutare. Contro
la musica: il significato dunque dev’essere inteso.
Non è una volgare polemica che qui s’innesca ma
una delicata questione metafisica.
Nel crepuscolo dell’umanità la musica suo-
nerà da sola. Forse già si fa musica per nessuno.
In ogni caso la critica dell’ascolto intende regolarsi
non seguendo le leggi della musica, ma sottopo-
nendone a leggi l’ascolto, sottoponendola a un
ethos. La critica dell’ascolto, che dev’essere perse-
guita con altri mezzi, s’affaccia qui in modo im-
proprio nel corso di un regolamento di conti con
la musica, con l’assuefazione ‘sociale’ ad essa. Ma
non tutto ciò che ‘vale’ entra dalla porta.

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I

L
e implicazioni metafisiche della musica sem-
brano sparite davanti a quelle sociali. Ma di
sicuro a ogni nota corrisponde uno scossone
del mondo, mentre dal sociale salgono battimani.
Il baccano universale: così si potrebbe chiamare la
musica che aspirasse non al solo ruolo sociale ma
a udire il suono delle cose. Il primato della musi-
ca accompagna il primato del mondo di cui però
s’è scoperto il trucco. Per un verso è come se il
baccano musicale dovesse coprire le grida scollac-
ciate dei viventi e proteggerne un eventuale orec-
chio cosmico. Per l’altro, al gesto del mondo che
scopre le sue carte, nell’età della metafisica avan-
zata che già si legge in Kant come se egli fosse la
mano della filosofia, corrisponde un invito sempre
più pressante ai Maestri di tutte le specie: Music,
please! Che l’essenza sia data al vedere, a un vedere
superiore, o come Logos parli e quindi che l’essen-
za sia parola, ciò è arcinoto. Che l’Essenza si oda,
questo dà alla musica il suo spazio nei cieli. Con

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una affermazione da ‘filosofia dell’arte’: «L’intero
sistema musicale si trova espresso anche nel si-
stema solare» (Schelling). Secondo la definizione
di Thomas Mann la musica è Idea acustica. Idea
acustica dell’‘essere’ è più appropriato. Si potrebbe
almanaccare che a parte subjecti musica sono i bri-
vidi che proviamo ad ascoltare l’universo. Il suono
come brivido dunque verrebbe confermato. L’udi-
to è il peggiore dei sensi. Il meno libero. Nell’o-
recchio si installa il mondo come suono dirom-
pente a cui non si resiste. Il suono spadroneggia.
Il problema principale è una critica dell’ascolto.
Quando si imputò all’ascolto di essere regredito,
si accusò la musica di massa. Il regresso ha tut-
tavia altre cause. L’ascoltatore regredito si ‘rifiuta’
di ascoltare. I suoni devono colpirlo senza la sua
partecipazione.
Io sono qui, dice l’ascoltatore regredito, ma non
ascolto affatto. Sono i suoni che ascoltano se stes-
si. L’ascoltatore regredito non vuole entrarci. Egli
vuole ascoltare musica declinando ogni responsa-
bilità. La prepotenza della musica lo sconcerta. Da
quando l’intesa con la musica si ruppe, dopo le
fusa della melodia, l’ascolto è semplicemente cat-
turato da volgari malfattori.

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