L'umorismo Di Pirandello
L'umorismo Di Pirandello
L'umorismo Di Pirandello
Nel seguente brano, l’autore più che definire l’umorismo, stabilisce cosa esso
non è e cosa generalmente (almeno per il “gran numero”) si è soliti ritenere che esso
sia: definizioni di genere che l’autore non approva.
1
È pur vero però che a una parola si può per comune accordo alterare il significato.
Tante parole che noi adoperiamo adesso in un senso, ne avevano un altro in antico. E
se alla parola umorismo, come abbiamo veduto, s’è già veramente alterato il senso,
non ci sarebbe in fondo nulla di male se - per determinare, per significare senza
equivoco la cosa - venisse adoperata un’altra parola”.
Dopo queste riflessioni iniziali, Pirandello entra nel merito della dissertazione, nelle
Questioni preliminari, di cui questo è l’incipit:
Dopo la lunga riflessione sulle differenze tra arte antica e arte moderna,
Pirandello si addentra, con l’aiuto di Taine, nell’analisi delle diverse tipologie di
umorismo, concludendo che:
“Il Taine riesce a coglier bene la differenza generale tra la plaisanterie inglese e la
francese, o meglio, il diverso umore dei due popoli. Ogni popolo ha il suo, con
caratteri di distinzione sommaria. Ma, al solito, non bisogna andare tropp’oltre, non
bisogna cioè prender questa distinzione sommaria come solido fondamento nel
trattare d’un’espressione d’arte specialissima come la nostra”.
“Ebbene, noi vedremo che nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non
si nasconde, non resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sentimento, quasi
uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo
analizza, spassionandosene; ne scompone l’immagine; da questa analisi però, da
questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe
chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario.
2
Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile
manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a
ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia
rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente,
arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del
contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia
signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che
forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che parata così,
nascondendo così le rughe e la
canizie, riesca a trattenere a sé
l’amore del marito molto più
giovane di lei, ecco che io non
posso più riderne come prima,
perché appunto la riflessione,
lavorando in me, mi ha fatto
andar oltre a quel primo
avvertimento, o piuttosto, più
addentro: da quel primo
avvertimento del contrario mi
ha fatto passare a questo
sentimento del contrario. Ed è
tutta qui la differenza tra il
comico e l’umoristico”.
Fondamentale, quindi, la
differenza tra comico e
umoristico, il cui tratto
distintivo è del tutto
soggettivo, “sentimentale”
per dirla con Pirandello, ma
razionale al contempo,
derivante dalla “riflessione”.
Proprio questo ricorso alla
razionalità aveva indotto
Croce a polemizzare con
l’autore siciliano: eccessi
razionalistici, in lui, che non
potevano di certo essere
apprezzati dal teorico
dell’Estetica, che aveva fondato
proprio sull’intervento o meno
della ragione la vena della vera
poesia.
Già i suoi primi romanzi, L’esclusa, Il turno, il già citato Il fu Mattia Pascal presentano
esempi vari e diversi di poetica umoristica. L’idea dell’assoluto relativismo dei
punti di vista sulla realtà produce nella società umana, chiusa in una serie di
norme come in una gabbia, la molteplicità delle forme, che rende l’uomo insicuro di
tutto, perfino della sua identità. Questa insicurezza è vista, tramite lo sguardo
dell’autore, con sarcasmo, ironia, ma in fondo con profonda pietà umana. Anche
quando si ferma all’assurdo e all’inspiegabile, Pirandello sembra farsi carico della
sofferenza dei suoi personaggi che, guardando la realtà altra che si sono creati, di
quella sofferenza si disfano, lasciandola sulle spalle dell’autore e del lettore.