Bacone e Cartesio e Espinoza
Bacone e Cartesio e Espinoza
Bacone e Cartesio e Espinoza
Bacone ha intravisto per primo il potete che la scienza offre all'uomo sul mondo e ha concepito la scienza
essenzialmente come diretta a realizzare il dominio dell'uomo sulla natura, continuando il discorso di
Telesio. Tutte le sue opere tendono ad illustrare il progetto di una ricerca scientifica che, portando il
metodo sperimentale in tutti i campi della realtà, faccia della realtà stessa il dominio dell’uomo, inoltre ha
come obiettivo la proposta di un progetto relativo alla scrittura di un'enciclopedia della scienza. Nella sua
opera “Nuovo organo” si pone in netto contrasto con la scienza aristotelica, ritenuta adatta soltanto a
prevalere nelle dispute verbali, mentre con la nuova logica si prevale sulla natura.
Gli strumenti dell’intelligenza sono gli esperimenti, in quanto i sensi non bastano a fornire una guida sicura.
Il connubio tra mente e universo è raggiungibile solo con l’eliminazione dei pregiudizi e le anticipazioni. Si
crea la differenza tra:
-scienza tradizionale o delle anticipazioni, nella quale ci si serve della logica tradizionale, che prescinde
dall'esperimento;
Nel primo libro del "Nuovo Organo", oltre all'eliminazione delle anticipazioni, Bacone stabilisce una triplice
critica: delle filosofie, delle dimostrazione e della ragione umana naturale. Inoltre, mira a purificare
l'intelletto da quelli che chiama idòla:
1) idòla tribus: l’intelletto umano è portato ad interessarsi più a certi concetti che ad altri, che vengono
scartati. La fonte principale di questa idòla è l’insufficienza dei sensi;
3) Idòla fori: derivano dal linguaggio e portano alla nascita delle dispute verbali;
4) Idòla theatri: derivano da dottrine filosofiche del passato o da dimostrazioni errate. Bacone si limita ad
individuare le tre false filosofie: sofistica, con il suo maggior esponente, Aristotele; empiristica, a cui
appartengono gli alchimisti e superstiziosa, cioè quella che si mescola alla teologia.
Il metodo è prettamente induttivo per eliminazione e mira a cogliere la causa dei fenomeni. Si incomincia
con la raccolta dei dati e si procede con l'elaborazione delle tavole:
1) delle presenze, che raccolgono i casi in cui un determinato fenomeno si presenta ugualmente, benchè in
circostanze diverse;
2) delle assenze, che raccolgono i casi in cui lo stesso fenomeno non si presenta;
3) dei gradi, che raccolgono i casi in cui il fenomeno si presenta nei suo gradi decrescenti.
Inizia così, una fase negativa, consistente nell'escludere quelle cause che risultano incompatibili con il
fenomeno studiato, poi si procede alla formulazione di una prima ipotesi, che verrà messa alla prova con
una serie di esperimenti che Bacone chiama istanze prerogative. In fine c'è l'istanza cruciale.
Bacone differenzia il suo metodo a quello degli empiristi (semplice raccolta di fatti, come fanno le
formiche, accumulano) e dei razionalisti (ragionamento astratti, come i ragni che si fanno la ragnatela con
la propria bava). Lui invece è un’ape.
CARTESIO
Il metodo di Cartesio serve a distinguere il vero dal falso, in vista dell’utilità e de vantaggi. Voleva trovare
una filosofia che non fosse puramente speculativa ma anche pratica , una forma di sapere che possa
consentire all’uomo l’ideazione di congegni che gli facciano godere senza fatica dei frutti della terra.
Il metodo deve essere unico e semplice e utile in ogni campo teoretico e pratico. Il metodo (confutato e
smontato nel 900 da Feraben) si distingue in:
1) evidenza = accogliere come vero solo ciò che risulta evidente, chiaro e distinto;
3) sintesi = risalire dal semplice al complesso; in questo punto è presente l’idea di ordine della conoscenza,
è un ordine di natura epistemologica, e prevede l’ordine della conoscenza;
4) enumerazione e revisione = enumerare tutti gli elementi individuati e rivedere tutti i passaggi per non
commettere errori.
Bisogna, secondo Cartesio, considerare falso tutto ciò di cui si può dubitare. Questo dubbio si riferisce alla
conoscenza sensibile, ciò che nella realtà appare in un modo, e nei sogni in un altro; questa conoscenza si
distingue da quella matematica che è uguale sia nella veglia che nel sonno. A questo punto Cartesio
idealizza l’esistenza di un genio maligno che ci inganna facendoci apparire chiaro ed evidente ciò che è
falso, il dubbio cosi si estende a ogni cosa e diventa universale; si distinguono quindi due tipi diversi di
dubbi: dubbio metodico e iperbolico. Cartesio, tuttavia, individua un’unica verità, il cogito: io dubito,
quindi esisto (cogito ergo sum). Non si può dubitare di ciò in quanto è il dubbio stesso che lo conferma. Il
dubitare diventa quindi la certezza della mia esistenza (esempio del pezzo di cera: anche se il pezzo di cera
cambia forma e si scioglie, continuiamo a chiamarlo cera; non mi baso quindi sulle sue caratteristiche
fisiche, ma sull’idea e concetto della cera che c’è nella mia mente. Quindi l’idea o concetto, ovvero ciò che
appare nel pensiero, si conosce più distintamente delle cose materiali). Può darsi quindi che quello che
percepisco non esista, ma è impossibile che non esisto io che penso; su questa certezza deve essere
fondata ogni conoscenza.
Per Cartesio, Dio è il garante della conoscenza umana ed è una garanzia gnoseologica della conoscenza. Per
provare l'esistenza di Dio, Cartesio concepisce 3 prove:
1) è difficile supporre che io, creatura finita e imperfetta, abbia potuto produrre l'idea di una sostanza
perfetta;
2) se sono in grado di riconoscermi come essere finito e imperfetto, è perchè esiste un essere più perfetto
di me, dal quale io dipendo e da cui ho acquisito le miei imperfezioni, infatti se io fossi il creatore di me
stesso, mi sarei dato tutte le perfezione che concepisco e che sono appunto contenute nell'idea di Dio;
3) la terza prova o prova ontologica dice che non è possibile concepire Dio come essere perfetto senza
ammettere la sua esistenza, perchè l'esistenza è una delle sue perfezioni necessarie.
L'errore per Cartesio, è una mancanza che non dipende da Dio ma dall'uomo ed è un difetto del modo di
conoscere. Consiste inoltre nel dare il proprio assenso in ciò che non si presenta in maniera chiara e
distinta, dunque l'errore dipende dal libero arbitrio e lo si può evitare solo attenendosi alle regole del
metodo.
1) obbedire alle leggi e ai costumi del paese, osservando la religione tradizionale e regolandosi in tutto
secondo le opinioni più moderate e più lontane dagli eccessi;
2) essere il più fermi e risoluti possibile nell'azione e di seguire con costanza anche l'opinione più dubbiosa;
3) cercare di vincere piuttosto se stessi che la fortuna e di cambiare i propri desidere più che l'ordine del
mondo.
Cartesio, come Galilei, fa la sua distinzione tra proprietà oggettive e soggettive dei corpi e divide la realtà in
due zone distinte:
Se inizialmente aveva ritenuto di dover mettere in dubbio l'esistenza delle cose corporee, ammettendo
soltanto l'esistenza della res cogitans, dopo aver dimostrato che Dio esiste ed è garante del criterio di
evidenza, Cartesio può affermare anche l'esistenza del mondo corporeo. Inoltre, con l'esempio del pezzo di
cera, prima intero, poi sciolto, Cartesio comprende i tratti della corporeità, ovvero l'estensione, la
flessibilità e la mutevolezza. Così come le idee sono modifiche della res cogitans, analogamente i corpi, con
le loro mutevoli qualità sensibili, sono modifiche della res extensa.
SPINOZA
La sua opera fondamentale è l’“Ethica ordine geometrico demonstrata”, una sorta di enciclopedia delle
scienze filosofiche. La sua tesi centrale è la visione panteistica di Dio con la Natura. La sua caratteristica di
base è la sintesi che esso realizza tra la tradizionale visione metafisico - teologica del mondo e gli esiti della
nuova scienza. L’idea che rende possibile questa fusione è il concetto di Dio come ordine geometrico del
mondo.
Il suo metodo è di tipo geometrico: utilizza assiomi definizioni e dimostrazioni. I motivi che lo portarono a
scegliere questo metodi sono, per gli studiosi:
- era convinto che il reale costituisse una struttura necessaria di tipo geometrico.
Il concetto fondamentale è quello di sostanza. Per Spinosa era “ciò che è in sé e per sé si concepisce”.
Significa che deve la proprio esistenza unicamente a se stessa ed è quindi autosufficiente, ed è un concetto
che per essere pensato non ha bisogno di altri concetti. Gode quindi di un’autonomia sia ontologica che
concettuale. La sostanza è:
3) unica: nella natura non si possono dare due o più sostanze della medesima natura o attributo;
4) infinita: se fosse finita dovrebbe essere limitata da un’altra della medesima natura;
Dio non è più esterno al mondo creato ma è “deus sive natura”: Dio ovvero la natura. Per chiarire ciò
ricorre ai concetti di attributi e modi. Gli attributi sono ciò che l’intelletto percepisce della sostanza, le
qualità essenziali della sostanza, anche se sono infiniti perché la sostanza è infinita l’uomo ne conosce solo
due: l’estensione e il pensiero. I modi per Spinoza sono i modi di essere della sostanza. Come tali, essi
esistono e possono essere pensati solo nella sostanza e in virtù della sostanza. Spinoza distingue due tipi di
modi: quelli infiniti, che coincidono con le proprietà strutturali degli attributi e quelli finiti che sono i singoli
corpi e le singole menti.
La sostanza di Spinoza è la natura come realtà infinita ed eterna, che si manifesta in un'infinità di
dimensioni e che si concretizza in un'infinità di maniere o forme d'essere. Quando Spinoza distingue tra
natura naturante (cioè Dio e i suoi attributi, considerati come causa) e la natura naturata (cioè l'insieme
dei modi, visti come effetto) non fa che ribadire panteisticamente che la natura è la madre e figlia di se
medesima. Dio non crea qualcosa di diverso da se, ma piuttosto si modifica, cioè si esprime in infiniti modi.
Oltre che immanente, la causalità divina è anche libera, cioè non dipende da un progetto divino, nel senso
che Dio agisce seguendo le sole leggi della propria natura. Dunque in Dio la libertà e la necessità,
coincidono.
È profondamente antifinalista; afferma infatti che le cause finali non esistono né in natura, né in Dio.
Ammettere quindi l’esistenza di cause finali è un pregiudizio dell’intelletto umano. Identifica quindi tre
errori fondamentali del finalismo:
- considerare come causa ciò che in natura è effetto e viceversa (non è l’ambiente a conformarsi ai viventi,
ma sono i viventi a conformarsi all’ambiente).
- rende imperfetto ciò che è perfetto: perfetto è ciò che è immediatamente prodotto da dio; se dio però
crea delle cose con un fine, esse sono meno perfette di altre
-toglie la perfezione a dio: se dio agisse per un fine, necessariamente vorrebbe qualcosa di cui difetta
Si pone in contrasto anche con la visione biblica di dio: al dio a volte adirato, geloso, arrabbiato (un super-
uomo) contrappone la sua visione di un dio sovra-personale, coincidente con il tutto cosmico.
Il presupposto di base dell’Etica è la naturalità dell’uomo: contro l’antropologia tradizionale che vedeva
l’uomo come un’eccezione all’interno della natura, afferma che la nostra specie è come tutte le altre.
Essendo quindi simili a tutti gli altri animali del mondo le azioni umane e le passioni obbediscono a regole
fisse e necessarie, che possono essere studiate con la geometria. In questa prospettiva l’unico
atteggiamento conveniente non è deridere le passioni ma comprenderle.
La liberazione dalle passioni si raggiunge con la contemplazione del Dio-Natura, cosa che si può evincere
anche dalla teoria dei tre generi della conoscenza:
1) Consiste nella percezione sensibile mediante la quale la mente coglie la realtà in modo parziale; questa
conoscenza è quella prescientifica in cui i fenomeni non venivano connessi casualmente, ma studiati
individualmente. L’errore sta nella sua inadeguatezza di rappresentare le cose.
2) Scaturisce dalla ragione e si fonda sulle “idee comuni”; si riferisce ai concetti della moderna scienza
meccanicistica, si identifica con quella visione razionale del mondo che trova nella scienza la sua
espressione e che connette le cose in modo causale.
3) La definisce come “scienza intuitiva”, che si propone di concepire la realtà alla luce della sostanza; si
identifica con la metafisica, ossia con la visione delle cose nel loro scaturire da Dio.