I Racconti Delle Donne

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È di pochi mesi fa l’uscita de I racconti delle donne (Einaudi, 2019), un’antologia

a cura di Annalena Benini che raccoglie racconti di Ginzburg, Munro, Yourcenar,


Morante, Woolf e altre grandi scrittrici del Novecento che, nei loro racconti, hanno
cercato di raccontare «i luoghi in cui le donne dicono chi sono davvero, dentro il
semplice e inesauribile groviglio dell’essere vive».

Natalia Ginzburg scrive nel 1948 il Discorso sulle donne. Ha trentadue anni e
una vita che ha già conosciuto la guerra e l’orrore: suo marito Leone Ginzburg, infatti, a
soli trentacinque anni muore per mano delle SS. Da lì, per l’autrice palermitana, inizia
un periodo buio. Le ultime parole del marito, che le scriveva dal carcere, sono: «Ti
bacio ancora e ancora e ancora. Sii coraggiosa». Di quel coraggio, Natalia Ginzburg,
riempie le pagine dei suoi scritti unendolo inscindibilmente alla verità: d’altronde,
proprio come scrisse la Ginzburg, «noi non possiamo mentire nei libri e non possiamo
mentire in nessuna delle cose che facciamo […]».

Questo patto con la verità è, in fondo, lo stesso che sorregge tutto il libro a cura
di Annalena Benini, una sorta di «canone imprevisto e contemporaneo» [1] con il quale
la giornalista ha voluto rappresentare i mille volti del femminile. Da un racconto di
Virginia Woolf ad uno degli aneddoti infantili di Elsa Morante, da Alice Munro al
celebre Discorso sulle donnedella Ginzburg, il libro tratteggia vicende nelle quali «le
donne riconosceranno molto di sé e gli uomini, oggetto d’amore e di guerra, potranno
specchiarsi».

Natalia Ginzburg scrive il discorso per la rivista «Mercurio» diretta da Alba de


Céspedes, autrice anch’essa che con i suoi romanzi (da Nessuno torna indietro a Dalla
parte di lei) ha raccontato storie di donne per le donne, basti pensare a Quaderno
proibito, una «storia privata per il pubblico» [2].

Tornando al Discorso della Ginzburg, l’autrice vuole come scrivere un punto


della situazione sulla condizione femminile, argomento a lei molto caro. Uno degli
aspetti più interessanti della biografia dell’autrice è appunto quello che riguarda la
concezione di sé stessa in quanto donna in relazione, soprattutto, al microcosmo
maschile della casa editrice Einaudi e, di conseguenza, con le grandi figure maschili (da
Pavese a Giulio Einaudi).

Nel Discorso sulle donne, 1948, così, radicalmente, si esprime, ritenendo di aver
scoperto la profonda differenza tra uomo e donna: «Le donne hanno la cattiva
abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda
malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio
delle donne […] a me non è mai successo d’incontrare una donna senza scoprire dopo
un poco in lei qualcosa di dolente e di pietoso che non c’è negli uomini» [3].

Arriva la risposta di Alba de Céspedes che, in una lettera, prende posizione


sull’argomento e offre il suo punto di vista, divergente, in parte, da quello dell’autrice
di Lessico famigliare:
«Ma – al contrario di te – io credo che questi pozzi siano la nostra forza. Poiché
ogni volta che cadiamo nel pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro
essere umano, e nel riaffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono di
comprendere tutto quello che gli uomini – i quali non cadono mai nel pozzo – non
comprenderanno mai. […] Ma quando si cade nel pozzo si sa anche che essere felici
non è poi molto importante: è importante sapere tutto quello che si sa quando si viene
su dal pozzo» [4].

La de Céspedes vede e riconosce che gli uomini che non si abbandonano mai
totalmente, che non rischiano mai di cadere nel pozzo, non mostrano un segno di
superiorità ma, piuttosto, di un difetto e ribadisce che questa caduta nel pozzo,
connessa inevitabilmente alla salita, sia, in realtà, la vera forza delle donne.

Con questo scambio di pensieri Ginzburg e de Céspedes mostrano un elemento


importante: la solidarietà non solo tra due grandissimi scrittrici del Novecento ma,
soprattutto, tra due amiche. È una situazione rara all’interno del mondo della
letteratura, dove spesso gli interessi hanno superato, se non cancellato, la componente
umana e solidale.

Il sentimento di amicizia e di unione non è solamente legato a ciò che avviene


dietro un libro, ovvero alle autrici, alla loro presenza nelle case editrici e a tutto il
sistema letterario ed editoriale: nel corso del Novecento, infatti, la presenza di romanzi
o racconti con protagoniste amiche tra di loro è stata importante. Ma è soprattutto
negli ultimi vent’anni che il panorama letterario italiano e non solo è stato
letteralmente invaso dalle presenze femminili: da Howard a Marias, da Atwood ad
Alice Munro, dalla torinese Oggero a Serena Dandini, per non parlare del libro Storie
della buonanotte per bambine ribelli, che non ha bisogno di descrizione poiché se n’è
parlato tantissimo.

Ma ecco che è proprio con L’Amica geniale di Elena Ferrante che risulta
evidente come la morfologia romanzesca e del Familienroman e del Bildungsroman sia
stata invasa da donne, figlie e madri, riuscendo a diventare un caso letterario in poco
tempo, capace di indagare i volti del femminile che nel Novecento sono riusciti ad
essere finalmente rappresentati nelle pagine delle grandi scrittrici (e scrittori).

È altresì palese come da anni, ormai, i grandi casi letterari siano tutti libri di
donne. Se nel corso del Novecento è stato complicato il processo per «diventare
autrice», come suona il titolo di un libro di Elisa Gambaro [5] che percorre le vicende di
sei grandi autrici del secolo scorso, ora, nel XXI secolo, si ha come un’egemonia di
romanzi di donne, spesso per donne.

Se, come sottolinea Gambaro, le storie scritte da donne «hanno ormai


conquistato ampio spazio nel circuito della produzione e del consumo», questo è
anche e soprattutto perché il pubblico delle lettrici forse (e si sottolinea il forse poiché
è un giudizio che crea sempre ampi dibattiti) si appassiona di più alle vicende
femminili, instaurando e rafforzando quel processo di immedesimazione che da
sempre coinvolge le pratiche di lettura. Inoltre, e questo Gambaro lo ribadisce, «il
pubblico delle lettrici è la porzione ormai stabilmente maggioritaria dell’utenza
libraria» [6]. Le donne leggono le donne: ecco perché spesso si consolida quel felice
binomio di libri di donne per donne alla base, spesso, di grandi casi letterari.

Spesso il pubblico femminile desidera specchiarsi, immergersi nel pozzo citato


da Ginzburg-de Céspedes per trovare e le somiglianze e, d’altronde, le inevitabili
differenze che percorrono il genere femminile o, forse, il genere umano in toto.

È proprio questo viaggio nell’interiorità che Annalena Benini ci vuole offrire con
I racconti delle donne, «la scoperta di un’idea concreta, intima e spietata della realtà e
della letteratura»

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