Ermete e La Stirpe Dei Draghi
Ermete e La Stirpe Dei Draghi
Ermete e La Stirpe Dei Draghi
ERMETE
E LA STIRPE DEI DRAGHI
Mutazioni di una mitologia
Prefazione di
Riccardo Valla
MIMESIS
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INDICE
PREFAZIONE
di Riccardo Valla p.
INTRODUZIONE p.
1. HERMETICA DRACONICA p.
2. LE CREAZIONI DI IALDABAŌTH p.
9
RICCARDO VALLA
che si trova nel Beowulf, e in questo poema del IX secolo il drago non ha
le ali e non soffia ancora fuoco; nell’Edda (XII secolo) e nella successiva
Volsunga Saga, corrispondenti a un tempo in cui la leggenda si è già “fis-
sata”, Fáfnir soffia fuoco e fumo soffocante. Il termine con cui è indicato,
wyrm (o una delle sue varianti locali: wurm, worm), significa “serpente”,
“bruco”, “verme” e in poesia “drago”; nei secoli seguenti si trova anche in
italiano il termine analogo, sia nel significato di “drago” (in traduzioni del
termine draco dei testi sacri) sia in quello di “demonio”; il dantesco “Cer-
bero il gran vermo” è dunque sia il gran drago sia il gran demonio.
Il particolare del fuoco è dunque entrato nella figura letteraria del drago
tra il Beowulf e l’Edda, ossia verso il Mille, un’epoca in cui la Cina era
tornata, dopo vari secoli, a essere un unico impero e aveva riallacciato i
rapporti con le terre vicine.
Nei testi nordici il drago non compare solo in quelli epici finora citati,
ma anche in quelli profetici. Il più noto di questi draghi è il Serpente di
Midgard, Jörmungandr, che cinge il mondo e impedisce al fondo dell’oce-
ano di sollevarsi. Questo serpente ha la forma dell’ouroboros, ovvero del
serpente che si morde la coda, ma in questo aspetto si limita a riprendere
una tradizione molto più antica. Nei giorni della fine del mondo, al tempo
del Ragnarök, della caduta degli dèi, il serpente scioglierà la sua spira e
l’oceano dilagherà sulla terra.
Il secondo drago nordico è Nídhöggr, annidato negli inferi tra le ra-
dici dell’albero che regge i mondi, il frassino Yggdrasill. Nei giorni del
Ragnarök volerà via da Hel (il mondo infero) portando sulle ali i morti
che si recano a distruggere i vivi. La profezia è nel primo canto dell’Edda
poetica e anche se le parole della Veggente non sono chiare, sembra di
poter capire che nei giorni della caduta degli dèi i giganti del mondo di
fuoco e del mondo di ghiaccio si muoveanno contro gli dèi, e al fianco di
questi giganti (o demoni o titani) combatteranno anche i morti del mondo
sotterraneo di Hel, che la Veggente definisce come “i codardi, i traditori, gli
spergiuri”, ossia i dannati. Le schiere dei dannati saranno portate alla gran-
de battaglia sia dalla “Nave delle Ombre”, Naflgar, sia dal drago Nídhöggr.
Anche qui, nella citata Profezia della Veggente, incontriamo i morti contro
i vivi; inoltre si precisa che Nídhöggr “succhia il loro sangue” e i lupi sbra-
nano le loro carni.
Oltre al draco, nelle culture classiche (compresa in esse quella ebrai-
ca) si incontrano altre due forme che potrebbero essere tra gli antenati del
wyrm nordico: l’idra greca, che è una sorta di drago con molte teste, e i
cherubini ebraici, che sono una sorta di serpente alato (con quattro o sei
ali a seconda dei testi) e l’antica iconografia della tentazione di Eva mostra
12 Ermete e la stirpe dei draghi
INTRODUZIONE
larla una minestra che Demetra rifiutò, talmente era afflitta. Allora Baubo,
forse per esprimere il proprio scontento o forse per rallegrare la dea, solle-
vò le vesti (l’anasyrma) rivelando le proprie intime nudità. Iacco, eccitato,
si mise ad applaudire, mentre la dea, divertita, scoppiò a ridere e accettò
la minestra.
Al di là dell’ironia mitologica, nel cibo offerto alla dea si deve riconoscere il
pasto che sta a fondamento della liturgia eleusina, rappresentato dal kykeōn (dal
verbo kykaō «mescolare»), un semolino rituale a base di acqua, farina d’orzo
e di un non ben identificato glēchōn, sorta di menta selvatica che molti oggi
riconoscono in una pianta psicoattiva dagli effetti narcotici e/o allucinogeni .
La versione della vicenda Baubo-Iacco è basata su due fonti cristiane:
Clemente Alessandrino (Protrept. 2, 20, 1-21) e Arnobio (Adv. nat. 5, 25),
entrambe sono alla base del frammento orfico 52 (nell’edizione di KERN,
pp. 126-128). L’interpretazione del gesto di Baubo è problematica. Si tratta
certamente di un anasyrma tipico, ma non è chiaro cosa ella esibisce.
Il testo di Clemente specifica che si tratta della fica (ta aidoia). Il fra-
mento orfico nella sua integralità accenna all’esibizione non già della vulva
in natura, ma di un’immagine oscena (oude preponta typon), che è forse
nella regione pubica o certamente nella parte del corpo al di sotto dei seni
(hypo kolpois), o nella quale la regione pubica o la vulva è stata confor-
mata. Questa immagine rappresenta il fanciullo Iacco che appare ridente
quando, scotendolo con la mano (cheiri te rhiptaske) lo distende. Arno-
bio dettaglia minuziosamente l’operazione, su una fonte ignota, diversa da
quella di Clemente: Baubo esibisce certamente la fica, dopo una toilette
intima, e ha fatto assumere, stendendola o manipolandola (levigari), alla
vulva la forma di un fanciullino. Inoltre in Arnobio l’intenzione del gesto
di Baubo è dichiaratamente ludica e provocatoria di riso.
Iacco quindi non sarebbe presente in persona, ma evocato nelle pieghe
del sesso muliebre, a partire da un’icona vaginale. Secondo un’ipotesi les-
sicale attendibile Iacchos equivarebbe a choiros «fica» e, quindi, Baubo
mostra soltanto la vulva che assume aspetto di volto fanciullesco ridente
dopo che essa stessa ha corrugato la fessura con le mani (cfr. H. DIELS, «Ar-
cana cerealia», in AA.VV., Miscellanea Salinas, Palermo 1908, pp. 10 ss.).
In un passo di Eronda (6, 19) il termine Baubōn con la terminazione di
genere maschile, che è una variante in rapporto al nome femminile Baubo,
designa lo olisbos, ovvero, nel lessico erotico latino, il penis coriaceus,
uno strumento di forma fallica adoperato nella masturbazione femminile,
l’odierno «fallo di gomma» (cfr. H. FRISK, Griechisches Etymologisches
Wörterbuch, Heidelberg 1954, s.v. baubaō).
L’attribuzione di Baubo all’ambito orfico è legata a una rielaborazione
20 Ermete e la stirpe dei draghi
Ezio Albrile
Novembre 2008
21
I
HERMETICA DRACONICA
1. Prolegomena
celesti così chiamate poiché ognuna di esse amministra gli influssi astrali
di 10 gradi dello Zodiaco9. All’astrologia sono inoltre collegati i trattati
ermetici di melotesia e di medicina astrologica o iatromathematika, miran-
ti a stabilire il rapporto tra una parte del corpo, origine della malattia, e il
corrispondente influsso astrale10.
Quanto alla magia, i testi più significativi attribuiti a Hermes sono pre-
senti nel corpus dei papiri magici greci e sono all’incirca databili tra II e IV
sec. d.C.: Hermes vi appare come un dio influente e autorevole, invocato
per acquisire quel «potere» (fama, agio, beni materiali, sesso) che solo la
prassi magica può recare. Quanto all’alchimia, infine, sviluppatasi a partire
dal III-II sec. a.C. ma con un retaggio molto più antico11, il rapporto con
l’ermetismo è evidente in particolare nei testi di Zosimo panopolitano, il
primo alchimista dell’antichità la cui opera sia collocabile in un contesto
storico12. Vissuto in Egitto agli albori del IV sec. d.C., Zosimo segna il
punto di confine tra la manipolazione dei metalli e la percezione mistica
che questa presuppone.
La cosmologia narrata da Zosimo si configura come l’esito di un viag-
gio interiore, di un «sogno lucido» in cui le mutazioni della materia e dei
corpi sono l’esito di una intima demiurgia: da tecnica di manipolazione dei
metalli, l’alchimia ermetica è mutata in un processo simbolico di rigenera-
zione dell’uomo interiore, dallo «spazio esterno» si è penetrati nello «spa-
zio interno». L’elaborazione di valori gnoseologici e iniziatici relativi ai
metalli trae infatti origine dal ferro meteoritico, che per la sua provenienza
celeste è ritenuto forse più prezioso dell’oro, oltre che più raro. Un lega-
me anche linguistico: in greco significa sia «stella» che «ferro».
Si risale così ad un’epoca anteriore alla vera e propria Età del Ferro, nata
Questa la traccia del famoso romanzo che riprende e a suo modo «cano-
nizza» il mito del più famoso vampiro transilvanico. Sulle sue gesta e sul suo
nome molto si è favoleggiato19. Pochi invece sanno, come ha mostrato magi-
stralmente Marinella Lőrinczi nel suo prezioso libro, che l’origine del sopran-
nome Dracul (Dracula) è da collegare all’Ordine cavalleresco del Dragone20, o
meglio all’«Ordine del Dragone rovesciato», fondato dall’imperatore del Sacro
Romano Impero Sigismondo di Lussemburgo, allora anche re d’Ungheria.
Nel 1431, a Norimberga, ne entrava infatti a far parte il voivoda valacco
Vlad, padre dell’omonimo e più famoso principe Vlad, le cui efferatezze
saranno la base del mito di Dracula il vampiro21. È idea sostenuta da un ma-
nipolo di storici che il soprannome Dracula (Dracul) sia da collegare alle
insegne dell’Ordine (vedi figura): l’attribuzione precoce del soprannome
non sarebbe quindi legato a un atto di condanna nei confronti del principe,
sempre che lo sia mai stato, ma piuttosto è la traduzione, l’adattamento in
valacco (in romeno) del titolo cavalleresco.
L’Ordine del Dragone ha un ruolo apparentemente secondario nella sto-
ria della cavalleria medioevale e un’esistenza limitata a qualche decennio.
Qualcuno lo ritiene un affioramento di quella moda dilagante nei secoli
XIV-XV, in conformità alla quale i prìncipi o le grandi famiglie aristocra-
tiche erano quasi tenute ad aver un ordine proprio22. Alle esigenze di rango
si associano quelle comuni a tutti gli ordini cavallereschi di allora: la lotta
a eretici e miscredenti, in prima fila i mussulmani. La ragione particolare
che spinse Sigismondo di Lussemburgo, insieme alla consorte Barbara e a
una schiera di eminenti dignitari a fondare tale ordine nel 1408, fu quella
di contrastare le dottrine dell’eretico boemo Jan Hus (1369-1415) e di Gi-
rolamo di Praga. Essi vollero perciò rappresentare il nemico da combattere
come un dragone, noto simbolo di Satana, abbattuto, cioè «rovesciato»,
quale emblema dell’eresia distrutta. Questa la motivazione palese.
L’ordine annoverò fra le sue fila anche il re Alfonso V d’Aragona il Ma-
gnanimo: ben presto però il sovrano iberico se ne distaccò, creandone uno
19 Si vd. in partic. i lavori di M. LŐRINCZI, Nel dedalo del drago. Introduzione a Dra-
cula (Università degli Studi di Cagliari / Dipartimento di Filologie e Letterature
Moderne 9), Roma 1992; R. FLORESCU-R.T. MCNALLY, Alla ricerca di Dracula,
Milano 1973 (ed. or. New York 1972); M. PETRONIO, Dai vampiri al conte Dracula
(Nuovo Prisma 15), Palermo 1999.
20 Cfr. LŐRINCZI, Nel dedalo del drago, pp. 40 ss.; G. NANDRIŞ, «Le thème de Dracula
dans les littératures européennes», in Acta Historica, 8 (1968), p. 65; G.GIRAUDO,
Drakula. Contributi alla storia delle idee politiche nell’Europa Orientale alla
svolta del XV secolo, Venezia 1972, pp. 42-44.
21 LŐRINCZI, Nel dedalo del drago, pp. 31 ss.
22 Vd. quanto detto in J.HUIZINGA, L’autunno del Medio Evo, Firenze 1966, pp. 85 ss.
28 Ermete e la stirpe dei draghi
Due insegne dell'Ordine del Dragone rovesciato. La croce reca la scritta O quam
misericors est deus/ justus et paciens.
3. Alchemica draconica
33 Cfr. G. FURLANI, «Tre trattati astrologici siriaci sulle eclissi solare e lunare», in
Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze Morali, Stori-
che e Filologiche, Ser. VIII, Vol. II, fasc. 11-12, 1947, pp. 569 ss.
34 Cfr. PS III, 131 (SCHMIDT-MACDERMOT, p. 332, 3-10).
35 PS III, 102; 105; 106; 108; 119.
36 PS III, 126 (SCHMIDT-MACDERMOT, p. 317, 16-21).
37 PS III, 126(SCHMIDT-MACDERMOT , p. 319, 10-18).
38 Cfr. G. QUISPEL, «Hermes Trismegistus and the Origins of Gnosticism», in R. VAN
DEN BROEK-C. VAN HEERTUM (eds.), From Poimandres to Jacob Böhme: Gnosis,
Hermetism and the Christian Tradition (Pimander: Texts and Studies published
by the Bibliotheca Philosophica Hermetica, 4), Amsterdam 2000, pp. 145 ss.;
e, nello stesso volume, R. VAN DEN BROEK, «Religious Practices in the Hermetic
“Lodge”: New Light from Nag Hammadi», pp. 77 ss.
39 Cfr. N. PORCU, «L’immagine della Ruota della Fortuna nei manoscritti della Con-
solatio philosophiae di Boezio», in Nuovi Annali della Scuola Speciale per Ar-
chivisti e Bibliotecari, 17 (2003), p. 15; J. VAN LENNEP, Art et alchimie. Étude de
l’iconographie hermétique et de ses influences, Paris-Bruxelles 1966, p. 32.
40 Cfr. Tim. 53c ss.; F. STRUNZ (C.-M. EDSMAN), s.v. «Alchemie», in RGG, I, Tübin-
32 Ermete e la stirpe dei draghi
45 Vd. anche ALBRILE (cur.), Olimpiodoro. Commentario al libro di Zosimo, pp. 88-
89 (BERTHELOT-RUELLE II, p. 98, 8-10).
46 Cfr. TH. ROMMEL, s.v. «Magnet», in PWRE, XIV/1, Stuttgart 1928, coll. 483-485.
47 Cfr. R. REITZENSTEIN, Poimandres. Studien zur griechisch-ägyptischen und früh-
christlichen Literatur, Leipzig 1904, p. 329.
48 Corp. Herm. I, 4 (FESTUGIÈRE-NOCK I, pp. 7-8, che invece integrano con
).
49 Vd. anche STRICKER, De Grote Zeeslang, p. 21.
34 Ermete e la stirpe dei draghi
4. Iranica draconica
50 Cfr. Euseb. Praep. ev. I, 10, 46-48 (= A.M. BAUMGARTEN, The Phoenician History
of Philo of Biblos [EPRO 89], Leiden 1981, pp. 20-21 [testo]; 245-246 [trad.]).
51 Si vd. ad es. i contributi raccolti nel volume miscellaneo AA.VV., La Persia e Bi-
sanzio. Convegno Internazionale (Roma 14-18 otttobe 2002) (Atti dei Convegni
Lincei 201), Roma 2004 .
52 Cfr. P.O. SKJÆRVØ, s.v. «Aždahā I. In Old and Middle Iranian», in E. YARSHATER
(ed.), Encyclopaedia Iranica, III, London-New York 1989, p. 193b.
53 De hist. con. 29 ( KILBURN, VI [London-Cambridge (Mass.) 1959], pp.42-43).
54 Cfr. E. ALBRILE, «Le acque del Drago. Note in margine alla Passione e martirio di
Santo Stefano protomartire», in Studi sull’Oriente Cristiano, 3 (1999), pp. 41 ss.
(che rinvia alle conclusioni di SKJÆRVØ, s.v. «Aždahā», cit.).
55 Vd. inoltre R. AJELLO, «Mec Tigran e il mito del combattimento col tricefalo», in
AA.VV., Transcaucasica II (Quaderni del Seminario di Iranistica, Uralo-Altaistica e
Caucasologia dell’Università degli Studi di Venezia 7), Venezia 1980, pp. 68-81.
Hermetica draconica 35
trono di Jamšīd (l’avestico Yima Xšaētā)56, il sovrano che con il suo pecca-
to pose fine al tempo paradisiaco57. Una grave maculazione, che per alcuni è
l’aver sacrificato e mangiato carne58 e per altri l’incesto demonico con la sorel-
la gemella59: una trasgressione, preludio di un inesorabile declino, culminante
nell’avvento del diabolico Ḍaḥḥāk, l’oppressore che ucciderà Jamšīd segando-
lo verticalmente in due con una lisca o un «osso di pesce»60.
Ma se il peccato di Jamšīd ha come conseguenza l’instaurarsi del tempo
storico, segnato dall’avvicendarsi delle stagioni e dalle calamità che l’ac-
compagnano (neve, piogge e inondazioni, siccità…), l’azione del tiranno,
come ha notato Simone Cristoforetti, ispirato dal magister gnosticus Gian-
roberto Scarcia, tende a suo modo alla restaurazione dello stato edenico, il
quale si situa antecedentemente all’incontro dei sessi ed è caratterizzato da
una segregazione. Nel mito infatti, Ḍaḥḥāk è il geloso custode della rossa
sfera femminile emblematizzata dalla verginità e dal sangue, custode della
fica; nell’epopea avestica Aži Dahāka rapisce e segrega nella sua inarriva-
bile «magione» (maniha), edificata in Babilonia, le seducenti Savaŋhavāci
e Arnavāci, che tradizioni tarde presentano come figlie o sorelle di Yima61.
Il Drago è contrario a qualsivoglia contatto tra il maschile e il femminile62
e tende quindi a impedire l’unione tra i due sessi63.
64 L’omosessualità del vampiro latente già nella novella di John William Polidori (Il
vampiro, trad. it. A. Brilli-A. Randazzo, Genova 1984; apparsa originariamente nel
1819, sulle pagine del New Monthly Magazine), diventa palese nelle opere della
scrittrice contemporanea Ann Rice, il cui romanzo più famoso è Intervista col vam-
piro (trad. it. M. Bignardi, Milano 1995 [ed. or. New York 1976]), da quest’opera
si snoda una nuova mitologia vampirica, per certi versi innovativa, la cui figura di
riferimento è il vampiro Lestat, personaggio liminale e sessualmente ambiguo.
65 Si tratta del cosiddetto motivo della «Seduzione degli Arconti»; la bibliografia
sull’argomento è vastissima, mi permetto di rinviare a E. ALBRILE, «Abēzagīh.
Note di alchimia gnostico-iranica», in Studi sull’Oriente Cristiano, 9: 1 (2005),
pp. 5-27, articolo in cui ho ricostruito lo sviluppo e la persistenza del mitologhema
in un’area definita «indo-iranica-gnostica».
66 Cfr. J.JACOBSEN BUCKLEY, «Libertines or Not: Fruit, Bread, Semen and Other Body
Fluids in Gnosticism», in Journal of Early Christian Studies, 2 (1994), p. 19, n. 17.
67 È il fondamento del mito sistanico studiato da G. SCARCIA, «Sulla religione di
Zābul. Appunti per servire allo studio del ciclo epico sistanico», in Annali dell’Isti-
tuto Orientale di Napoli, N. S. 15 (1965), pp. 119-165; e GH. GNOLI, Ricerche
storiche sul S–stān antico (Report and Memoirs X), IsMEO (ora IsIAO), Roma
1967, pp. 121 ss .
Hermetica draconica 37
68 Con rif. al noto lavoro di R.B. ONIANS, ora in trad. italiana: Le origini del pen-
siero europeo (Ramo d’oro, n. 31), Milano 1998 (ed. or. Cambridge 1951, rev.
1954), p. 142; GH. GNOLI, «Un particolare aspetto del simbolismo della luce nel
Mazdeismo e nel Manicheismo», in Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, N.S.
12 (1962), pp. 121 ss.; F. MICHELINI TOCCI, «Simboli di trasformazione cabalistici
ed alchemici nell’Ēš mĕṣarēf con un excursus sul “libertinismo” gnostico», in
Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, N.S. 31 (1981), pp. 78 ss.
69 CRISTOFORETTI, «La “dieta” di Ḍaḥḥāk», p. 102; ID., Il Natale della Luce, Milano
2002, pp. 284 ss. .
70 La locuzione, tratta dalla mitografia iranica, è liberamente reinterpretata e volta in
senso positivo, cfr. SKJÆRVØ, s.v. «Aždahā», p. 196 a.
71 Cfr. D.N. MACKENZIE, A Concise Pahlavi Dictionary, Oxford University Press,
London 1971, p. 73; CRISTOFORETTI, «La “dieta” di Ḍaḥḥāk», p.103.
38 Ermete e la stirpe dei draghi
81 Vd. A. PANAINO, Tištrya, Part II: The Iranian Myth of the Star Sirius (Serie Orien-
tale Roma LXVIII, 2), IsIAO, Roma 1995 , pp. 66-67; 83-86.
82 Cfr. G.MESSINA, «La celebrazione del Tīragān in Adiabene», in AA.VV., Atti del
XIX Congresso Internazionale degli Orientalisti (Roma, 23-29 settembre 1935),
Roma 1938, p.241.
83 A. PANAINO, Tištrya, Part II, p. 47; ID., s.v. «Tištrya», nella versione elettronica di
E. YARSHATER (ed.), Encyclopaedia Iranica:
www.iranica.com/newsite/articles/ot_grp9/ot_tistrya_20050829.html, pp. 1-3.
84 PANAINO, Tištrya, Part II, p. 71.
85 Cfr. AirWb, col. 349.
86 Yašt 8, 6 (= A. PANAINO, Tištrya, Part I: The Avestan Hymn to Sirius [Serie Orien-
tale Roma LXVIII, 1], IsIAO, Roma 1990, p. 32, 61); A. PIRAS, «Le tre lance
del giusto Wīrāz e la freccia di Abaris. Ordalia e volo estatico tra iranismo ed
ellenismo», in Studi Orientali e Linguistici, 7 (2000), p. 101.
Hermetica draconica 41
tutte le culture umane tendono a separare i morti dai vivi, delimitandone gli
ambiti d’azione e creando così un ordine, un’armonia, la noce, nonostante
sia un alimento vitale, è associata alla morte nel pasto di Ḍaḥḥāk, e dunque
il suo consumo regolamentato ritualmente.
Un momento abberrante del mito di Ḍaḥḥāk è l’insistere sul vincolo fra
la figliolanza, cioè la semenza del primus homo Kayumarṯ (< medio-persia-
no Gayōmard < avestico Gayō-mƏrƏtan), e l’origine delle genti kurde, cre-
ate, plasmate a partire dalla materia cerebrale scampata all’ingordigia dei
serpenti svettanti sulle spalle del tiranno. L’insaziabile voracità di Ḍaḥḥāk
di fronte a un cibo che gli brucia le viscere, la dieta di cervello, di noci e
quant’altro s’è detto, in connessione con una festa incentrata sul fuoco e
sulla luce, fanno pensare a un esito ultimo, ormai deformato e corrotto in
senso fiabesco, della peculiare inclinazione «spermatica» che nell’antica
cultura indo-iranica lega il fluido seminale alla luminosità93.
Sono numerosi gli indizi presenti nell’Avestā, connessi all’idea di xvarƏnah-
(> xwarrah/farrah in medio-iranico, farn in sogdiano), l’aureola splendente
che circonda i dinasti iranici e ne rappresenta la «fortuna». È il sentire reli-
gioso legato all’irradiarsi della luce che ne rivela il significato spermatico e
germinale: nell’ideologia avestica, lo xvarƏnah- è essenzialmente immaginato
come un potere straordinario, è qualcosa di intangibile e di atemporale, uno
«splendore», una «forza luminosa» che agisce e opera efficacemente.
Lo xvarƏnah- risiede in gran quantità nelle acque superiori, che dalla
cima del monte Hukairya, da un’altezza di mille uomini (hazaŋrāi barƏšna
vīranąm), si gettano nelle acque inferiori del mare Vouru.kaša, al cui centro
si erge il GaokƏrƏna (> pahlavi Gōkarn), l’Albero della Vita sorvegliato dal
mitico pesce Kara (> pahlavi Kar)94. La gloria, la forza luminosa, lo splen-
dore fiammeggiante, è racchiusa nelle acque in alto e in basso95, nel macro
e microcosmo: è la potenza magica che ha come veicolo l’elemento umido.
Nell’acqua risiedono infatti la vita, la forza e l’eternità96.
93 GNOLI, «Un particolare aspetto del simbolismo della luce», pp. 98 ss.; G. WIDEN-
GREN, Il manicheismo, trad. it. Q. Maffi-E.Luppis, Milano 1964 (ed. or. Stuttgart
1961), pp. 71 ss.; M.ELIADE, «Spirito, luce e seme», in Occultismo, stregoneria e
mode culturali. Saggi di religioni comparate, trad. it. E. Franchetti, Firenze 19902
(ed. or. Chicago 1976), pp. 119 ss.
94 GNOLI, «Un particolare aspetto del simbolismo della luce», p. 102.
95 Per l’epiteto Ādur-Anāhīd, «Anāhitā del Fuoco», ed i legami della dea (alla quale
è dedicato uno specifico tempio) con il culto del fuoco, cfr. M. BOYCE, «Iconocla-
sm among the Zoroastrians», in J. NEUSNER (ed.), Christianity, Judaism and other
Greco-Roman Cults, Pt. IV (Studies in Judaism in Late Antiquity 12/IV), Leiden
1975, pp. 104-105.
96 Cfr. M. ELIADE, Trattato di Storia delle Religioni (Universale Scientifica Borin-
Hermetica draconica 43
ghieri, 141/142), Torino 1976, pp. 193 ss.; in partic. pp. 199 ss.
97 Vd. l’edizione di A. HINTZE, Der Zamyād-Yašt. Edition, Übersetzung, Kommentar
(Beiträge zur Iranistik, Band 15), Wiesbaden 1994.
98 Cfr. GNOLI, «Un particolare aspetto del simbolismo della luce», pp. 105 ss.; e
ID., «Lichtsymbolik in Alt-Iran. Haoma-Ritus und Erlöser Mythus», in Antaios,
8 (1967), pp. 528 ss.; BUSSAGLI, L’arte del Gandhāra, pp. 111, 262; vd. inoltre
l’estesa trattazione in HINTZE, Der Zamyād-Yašt, pp. 17 ss.
99 Cfr. GNOLI, «Un particolare aspetto del simbolismo della luce», p. 102; cfr. anche
H.S. NYBERG, A Manual of Pahlavi, Part. II: Glossary, Wiesbaden 1974, p. 101a.
100 Vd. anche M. BOYCE, s.v. «Haoma II. The Rituals», in YARSHATER (ed.), Encyclo-
paedia Iranica, XI, New York 2001, pp. 662a-667b.
101 Così nell’interpretazione di GH. GNOLI, «AxvarƏtƏm xvarƏnō», in Annali dell’Isti-
tuto Orientale di Napoli, 13 (1963), p. 297; BUSSAGLI, L’arte del Gandhāra, pp.
111.
102 Vd. inoltre HINTZE, Der Zamyād-Yašt, pp. 17 ss.
103 Cfr. Yašt 8, 20-26 (= A. PANAINO, Tištrya, Part I: The Avestan Hymn to Sirius [Serie
Orientale Roma LXVIII, 1], IsMEO [ora IsIAO], Roma 1990, pp. 46-52).
104 Cfr. GNOLI, «Un particolare aspetto del simbolismo della luce», p. 103; ID.,
«AxvarƏtƏm xvarƏnō», p. 297; ZAEHNER, Zurvān, pp. 369-371.
44 Ermete e la stirpe dei draghi
105 Cfr. G. MANTOVANI, «Eau magique et eau de lumière dans deux textes gnostiques»,
in J. RIES-J.-M. SEVRIN (eds.), Les objectifs du Colloque de Luvain-la-Neuve
«Gnosticisme et monde hellénistique», Institut Orientaliste de Louvain, Louvain-
la-Neuve 1980, p. 143; una suggestione, quella di Anāhitā, che non è stata ripresa
negli «Atti» definitivi del convegno (cfr. G. MANTOVANI, «Acqua magica e acqua
di luce in due testi gnostici», in J. RIES [avec la coll. de Y. Janssens et de J.-M.
Sevrin], Gnosticisme et monde hellénistique, Actes du Colloque de Louvain-la
Neuve [Publications de l’Institut Orientaliste de Louvain 27], Louvain-la-Neuve
1982, pp. 429 ss.); su questa dea, che Erodoto testimonia di origine straniera (cfr.
GH. GNOLI, s.v «Anāhitā», in M. ELIADE [ed.], The Encyclopedia of Religion, I,
New York-London 1987, p. 249), si veda l’estesa trattazione in YARSHATER (ed.),
Encyclopaedia Iranica, I, London 1985, pp. 1003a-1011b (articoli di M. BOYCE,
M.L. CHAUMONT e C. BIER).
106 GNOLI, «Un particolare aspetto del simbolismo della luce», p. 105.
107 Cfr. WIDENGREN, Il manicheismo, pp. 72-73.
108 Che lo celato nel seme abbia una natura e una provenienza celesti è affer-
mato da Aristotele in De gener. anim. II (B), 3, 736b, 34 ss .
Hermetica draconica 45
117 Per quanto segue vd. anche R. PETTAZZONI, «La figura mostruosa del tempo nella
religione mitriaca», in L’Antiquité Classique, 18 (1949), pp. 265-277; riproposto
nella trad. ingl. di H.J. Rose: «The Monstrous Figure of Time in Mithraism», in
ID., Essays on the History of Religions (Studies in the History of Religions [Supp.
to Numen] 1), Leiden 1954, pp. 180-192.
118 The Mysteries of Mithra, engl. trans. by T.J. McCormack, New York 1956 (ed. or.
Bruxelles 1903), pp. 105-110; una buona sintesi delle indagini di Cumont è R.L.
GORDON, «Franz Cumont and the Doctrines of Mithraism», in J. R. HINNELLS (ed.),
Mithraic Studies. Proceedings of the First International Congress of Mithraic
Studies, Manchester 1975, pp. 215-248.
119 Non è possibile addentrarsi nelle molteplici implicazioni storiche di questa comples-
sa problematica, si può solo rinviare alla cospicua letteratura su questi argomenti. In
Hermetica draconica 47
termini generici si può dire che la religiosità legata a Zurwān – quali che ne siano la
genesi e l’interpretazione – era portatrice di una concezione del tempo ciclico, del
«Grande Anno» di 12.000 anni, suddiviso in quattro periodi di 3.000 anni ciascuno.
Essa riguarda sia lo sviluppo storico del mazdeismo zoroastriano, sia l’irradiazione
di alcune sue idee fondamentali al di fuori del mondo religioso iranico. Il dualismo
zoroastriano, quale si presenta nei testi avestici delle Gāθā, era invece portatore
di una concezione del tempo lineare in cui si compendiavano la sua soteriologia e
la sua escatologia; a questo proposito è ancora fondamentale il poderoso lavoro di
ZAEHNER, Zurvān; vd. inoltre H.S. NYBERG, «Questions de cosmogonie et cosmolo-
gie mazdéennes», in Journal Asiatique, 214 (1929), pp. 192-310; ivi, 219 (1931),
pp. 1-134 e 193-244; G. WIDENGREN, «Zervanitische Texte aus dem “Avesta” in
der Pahlavi-Überlieferung. Eine Untersuchung zu Zātspram und Bundahišn», in G.
WIESSNER (Hrsg.), Festschrift für Wilhem Eilers, Wiesbaden 1967, pp. 278-287; ID.,
«Philological Remarks on some Pahlavi Texts chiefly concerned with Zervanite Re-
ligion», in AA.VV., Sir J.J. Zarthosti Madressa Centenary Volume, Bombay 1967,
pp. 84-103; GH. GNOLI, «L’évolution du dualisme iranien et le problème zurvanite»,
in Revue de l’Histoire des Religions, 201 (1984), pp. 115-138; e M. BOYCE, «Some
Reflections on Zurvanism», in Bulletin of the School of Oriental and African Studies,
19 (1957), pp. 404-416; ID., «Some Further Reflections on Zurvanism», in AA.VV.,
Papers in Honor of Prof. Ehsan Yarshater (Acta Iranica 30), Leiden-Téhéran-Liège
1990, pp. 20-29; una revisione delle diverse ipotesi sulle origini dello zurvanismo
è in S. SHAKED, «The Myth of Zurvan: Cosmogony and Eschatology», in I. GRUEN-
WALD-S. SHAKED-G.G. STROUMSA (eds.), Messiah and Christos. Studies in the Jewish
Origins of Christianity Presented to David Flusser (Texte und Studien zum Antike
Judentum 32), Tübingen 1992, pp. 219-240.
120 Molto materiale iconografico è raccolto da D.LEVI, «Aion», in Hesperia, 13
(1944), pp. 269-314.
121 Cfr. J. DUCHESNE-GUILLEMIN, «Aiōn et le léontocéphale, Mithras et Ahriman», in
La Nouvelle Clio, 10 (1958-1960), p. 95.
122 Ci si è interrogati sui legami con l’astrolatria mesopotamica, cfr. A.D.H. BIVAR,
«Mithra and Mesopotamia», in HINNELLS (ed.), Mithraic Studies, II, pp. 275-289
(pls. 7-9).
48 Ermete e la stirpe dei draghi
123 Tra questi vi è H. JACKSON, «The Meaning and Function of the Leontocephaline in Ro-
man Mithraism» , in Numen, 32 (1985), p. 20, autore di un pur pregevolissimo lavoro.
124 C. Cels. 6, 22.
125 Una sintesi e una tassinomia sulla presenza del leontocefalo nei misteri di Mithra (da
un punto di vista iranistico) è nel lavoro di J.R. HINNELLS, «Reflections on the Lion-
Headed Figure in Mithraism», in AA.VV., Monumentum H. S. Nyberg I (Acta Iranica
4, Ser. II: Hommages et opera minora), Leiden-Téhéran-Liège 1975, pp. 333-369.
126 CIMRM, 695, fig. 197.
127 Cfr. F.CUMONT, «Mithra et l’orphisme», in Revue de l’Histoire des Religions, 109-110
(1934), pp. 63-72; un’altra congettura è che Felice, il personaggio al quale è dedicato
il rilievo di Modena, in origine fosse un myste orfico; «convertitosi» al mithraismo e
raggiunto il grado di pater ridedicò il monumento a Mithra, cfr. S. WIKANDER, Études
sur les mystères de Mithras, I. Introduction, Lund 1951, pp. 33-36.
128 Sulla figura del Chronos orfico, cfr. K. ZIEGLER, s.v. «Orphische Dichtung», in
PWRE, XVIII/1, Stuttgart 1942, coll. 1324-1326; W.H. ROSCHER, s.v. «Chronos»,
in W.H. ROSCHER (hrsg.), Ausführliches Lexikon der griechischen und römischen
Mythologie, I/1, Leipzig 1884-1886, coll. 899-900.
129 La polimorfia del serpente orfico è stata notata da R. FERWERDA, «Le serpent, le
nœud d’Hercule et le caducée d’Hermès. Sur un passage orphique chez Athéna-
gore», in Numen, 20 (1973), pp. 104-115.
Hermetica draconica 49
138 L’ipotesi di Cumont è seguita da G. WIDENGREN, Die Religionen Irans (Die Reli-
gionen der Menschheit 14), Stuttgart 1965, pp. 230-232.
139 Cfr. G. VERCELLIN, «Leucippidi e Dioscuri in Iran. II: Zur e Arzur», in Annali
della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Ca’ Foscari, 9 (1970), (Serie
Orientale, 1), p. 56.
140 Cfr. G. TUCCI, «An Image of a Devi Discovered in Swat and some Connected
Problems», in East and West, N.S. 14 (1963), p. 166.
141 È un particolare da inserire nella più ampia mitologia sistanica, vd. M. BUSSAGLI,
«Cusanica et serica I: La fisionomia religiosa del dio Žun (o Shun) di Zābul», in
Rivista degli Studi Orientali, 38 (1962), pp. 79-91.
142 Per questo mi permetto di rinviare a E.ALBRILE, «Il “Bianco Monte” dei Magi. La
montagna paradisiaca nel sincretismo iranico-mesopotamico», in Annali dell’Isti-
tuto Orientale di Napoli, 57 (1997), pp. 145-161.
143 Vd. anche i miti osseti riportati in VERCELLIN, «Leucippidi e Dioscuri», p. 56.
144 Cfr. inoltre JACKSON, «The Meaning and Function of the Leontocephaline», pp.
23-24.
145 TMMM 2, pp. 53-54.
146 Vd. W. DEONNA, «La descendance de Saturne à l’Ouroboros de Martianus Ca-
pella», in Symbolae Osloenses, 31 (1955), pp. 170-189.
Hermetica draconica 51
6. Intermezzo astrologico
165 Cfr. Vett. Val. Anth. 1 (KROLL [Berlin 1908], pp. 8, 32; 11, 13; 5, 26; 10, 20).
166 Per la recezione mithraica di questo motivo, cfr. R. BECK, «The Seat of Mithras
at the Equinoxes: Porphyry, De Antro Nympharum 24», in Journal of Mithraic
Studies, 1 (1976), pp. 95-98.
167 Cfr. F. CUMONT, Recherches sur le symbolisme funéraire des romans, Paris 1942,
pp. 177-178.
168 Cfr. Macr. Sat. 1, 21, 1.
169 Cfr. Hipp. Ref. IV, 50.
170 Cfr. Z. PLEŠE, Poetics of the Gnostic Universe. Narrative and Cosmology in the
Apocryphon of John (Nag Hammadi and Manichaean Studies, 52), Leiden-Boston
2006, pp. 184-185.
Hermetica draconica 55
7. Memorie ematiche
ERMETE
E LA STIRPE DEI DRAGHI
Mutazioni di una mitologia
Prefazione di
Riccardo Valla
II
MIMESIS
59
II
LE CREAZIONI DI IALDABAŌTH
1. Demiurgie sorgive
però rilevare è l’uso del termine per designare l’Uomo primigenio,
Adamo. La nozione si trasmette al lessico gnostico manicheo: secondo il
mito, le particelle luminose liberate dalla , cioè gli elementi noetici
intrappolati nella creazione, sono assemblate in un’immensa Colonna di
Luce che si innalza dalla terra al cielo24. Giunto sulla Luna, questo stelo
iridescente si configura come un’ immagine macroantropica, l’«Uomo per-
fetto», , il Gesù cosmico, sintesi di tempo e di eternità25. Un
simulacro che, dal punto di vista escatologico e comparativo, coincide sia
con il dio iranico del Tempo Zurwān nel suo divenire scandito in passato,
presente e futuro, sia con l’«ultimo Dio», istomēn-yazd, l’ultimo ς
dei testi manichei copti26, l’immensa statua luminosa corrispondente al
ς ς, al tan ī pasēn, il «Corpo finale» dell’escatologia zoro-
astriana e zurvanita27, l’icona macroantropica che nel tempo finale s’innal-
zerà fino al cielo a guisa di una Colonna di Luce cosmica, la bām istūn dei
testi manichei in medio-iranico.
Una terminologia salvifica che ha una lunga storia.
ci sono così una Hera Teleia nei riti di iniziazione femminili31 e uno Zeus
Teleios che giudica e delibera sulle anime nell’Ade32. La prassi misterica è
alla base del nascente credo cristiano, se pensiamo che, secondo le parole
di Luciano di Samosata (Peregr. 11), Gesù avrebbe introdotto una nuova
nella società del tempo33.
In un secondo sviluppo semantico, designa gli oggetti consa-
crati nel culto, ed è con questo significato che lo troviamo in un papiro
magico, sotto forma di (participio: )34. Entrambe
le accezioni sono presenti in uno scholium ad Aristofane che narra come
un certo Eudemo, sedicente medico, filosofo e , abbia venduto
un anello magico «preparato, consacrato» () per contrastare
ogni tipo di malìa35. La parola è anche parte del lessico astrologico: gli
astrologi predicono eventi futuri e compongono trattati cui sovente danno
il nome di apotelesmatika; di conseguenza sono chiamati essi stessi apote-
lesmatologoi36. Certo non potrebbero compiere predizioni se non ritenesse-
ro gli astri , «che conducono ad un fine, produttivi»: Giove
infatti è ritenuto proprio in quanto produce e conduce a
effetto. L’idea è quindi che gli astri, nella loro azione a distanza, produca-
no, determinino gli eventi terreni.
Lessico che ha un singolare riflesso nella prassi teurgica della tarda an-
tichità, codificata nei cosiddetti Oracoli caldaici.
Gli Oracoli caldaici37, silloge in cui compare la prima attestazione del
versi; questi inoltre, grazie alla sua , sarebbe stato l’autore del mira-
colo della pioggia (da altri attribuito però al filosofo egizio Arnouphis)48.
La tradizione tende a sottolineare l’affiatamento di padre e figlio nella con-
segna della scienza esoterica49 e in particolare della sapienza teurgica, che
esigeva, oltre alle doti personali, tutte le garanzie di una serissima prepa-
razione.
Questo intento si rifletterebbe nella testimonianza di Michele Psello
(contenuta nella dissertazione «Sull’omerica catena aurea»)50 relativa al
rito anagogico celebrato da Giuliano padre: egli avrebbe domandato per il
figlio una natura arcangelica, ottenendo per via medianica l’interessamento
nientemeno che dell’anima di Platone mediante la o catena
di Hermes (fr. 203). Essa, veicolo dell’influenza divina e intermediaria tra
la divinità e l’umanità, rendeva possibili le pratiche teurgiche attraverso la
simpatia universale, in grado di unire tutti i termini della catena grazie al
, al «legame di fuoco intriso d’amore» (fr. 39, 2)
di cui ci parla Proclo, citando gli Oracoli caldaici51.
48 Nel primo quarto del III secolo Dione Cassio (LXXI 8, 10) non menziona Giu-
liano, attribuendo piuttosto il miracolo agli occulti poteri del sacerdote egiziano.
Egli avrebbe invocato in suo aiuto alcuni demoni e Hermes Aerios.
49 Cfr. J. BIDEZ-F. CUMONT, Les Mages hellénisés. Zoroastre, Ostanès et Hystaspe
d’après la tradition grecque, I (Introduction), Paris 1938 (repr. 1973), p. 176.
50 Cfr. J.M. DUFFY-D.J. O’ MEARA (eds.), Michaelis Pselli. Philosophica minora, I:
Opuscula logica, physica, allegorica, Stuttgart-Leipzig 1992, opusc. 46, 164-168;
spec. 165-166. Anche Proclo, iniziato alle pratiche teurgiche da Asclepigenia (fi-
glia di Plutarco d’Atene, cfr. M.E. WAITHE, A History of Women Philosophers, I:
Ancient Women Philosophers 600 B. C.-500 A.D., Dordrect 1987, pp. 201-205),
tramite rivelazione fu consacrato alla «catena di Hermes»; un vincolo ieratico che,
per mezzo della metempsicosi, legava i più illustri filosofi di tutti i tempi (Marino,
Vita Procl. 28): egli si riteneva infatti la reincarnazione del pitagorico Nicomaco
di Gerasa. Vd. anche la tr. fr. di P. LÉVÊQUE, Aurea catena Homeri. Une étude sur
l’allégorie grecque, Paris 1959, pp. 41 ss.; 56; 69; 72; 78-81; e H.D. SAFFREY, «La
Théurgie comme phénomène culturel chez les Néoplatoniciens (IVe-Ve siècles)», in
, 8 (1984), pp. 161-171 (ora in ID., Recherches sur le Néoplatonisme
aprés Plotin, Paris 1990, pp. 52 ss.). Sull’anima arcangelica del secondo Giuliano,
cfr. J. BIDEZ, Catalogue des manuscrits alchimiques grecs (CMAG), VI, Bruxelles
1928, p. 143; N. JANOWITZ, Magic in the Roman World: Pagans, Jews and Chris-
tians. Religion in the First Christian Centuries, London 2001, p. 80. Negli Oracoli,
sembra delinearsi la promessa, per il teurgo, di occupare un nuovo corpo, vivificato
secondo il grado di perfezione conseguito nelle esistenze precedenti. Sull’utilizzo
della catena d’oro negli Oracoli caldaici vd. anche KROLL, De oraculis Chaldaicis,
p. 23: «in oraculis catenis locus non fuit; fontibus fuisse constat» e W. THEILER, Die
chaldäischen Orakel und die Hymnen des Synesios, Halle 1942, p. 27 n. 4.
51 In Tim. II, 53, 18-54, 8.
Le creazioni di Ialdabaōth 67
3. Opere teurgiche
in tutti gli esseri dei segni»55 o simboli della sua assoluta superiorità, una
sorta di lasciapassare per gli iniziati. In questo contesto soteriologico il
Primo Dio instaura, mediante i , un vasto sistema di segni, che
permette di stabilire una proficua comunicazione tra le anime e il divino;
questi segni (che costituiscono dei legami «simpatetici» tra i vari livelli
dell’universo e permettono di riconoscere la presenza soterica della divi-
nità anche nella più bassa materia) possono essere una statua, una pietra,
un animale, una pianta o qualsiasi altro elemento materiale entri nei riti dei
teurgi, cui gli Oracoli tributano la massima fede.
La teurgia è una , un o un’insieme di mediante i quali
viene promessa al teurgo, in possesso della rivelazione divina, la liberazio-
ne dal vincolo della necessità, ossia dalla prospettiva deterministica sottesa
alle comuni arti mantiche. Esse vengono esecrate in particolare nel fram-
mento oracolare 107, in cui si nega l’aruspicina56 in quanto espressione di
una fede nella sequela di , ed , che il teurgo non
deve alimentare (fr. 103); al contrario, egli entra direttamente in contatto
con le stesse divinità, che parlano attraverso i medium, inabitano le statue
o si manifestano in epifanie.
Queste premesse erano necessarie per capire il mutare e l’adattarsi del
nostro lessico in ambiti squisitamente ermetici e magici.
Era credenza diffusa nella tarda antichità (e poi nel Medioevo latino e
bizantino) che le «immagini incantate», i o «talismani» teur-
gici consacrati alla divinità che li animava, fossero in grado, con la loro
presenza, occulta o ben visibile, di scongiurare sconfitte militari e calamità
naturali. Un episodio del genere è riferito nel racconto di Zosimo 4, 18,
secondo il quale, nel 375 d.C., Atene fu salvata da un terremoto grazie al
teurgo Nestorio, che, attenendosi a istruzioni ricevute in sogno, consacrò
nel Partenone un costituito da una statua di Achille.
Giuliano il Teurgo, presunto autore degli Oracoli caldaici, avrebbe salva-
4. Talismani viventi
65 Cfr. F. CUMONT, L’Egitto degli astrologi, trad. it. a cura di G. Bezza, Milano 2003,
p. 147.
66 Sat. I, 18, 21 = fr. 238 KERN (MARINONE [Torino 19872], p. 272).
67 De phil. ex or. I (WOLFF [Berlin 1856], p. 138) = Eus. Praep. Ev. V, 14; BIDEZ-
CUMONT, Les Mages hellénisés, II (Les Textes), Paris 1938 (repr. 1973), p. 284.
68 Cfr. il mio «Le magie di Ostanes», in AA.VV., Ravenna da Capitale imperiale
a Capitale esarcale, Atti del XVII Congresso Internazionale di Studio sull’Alto
Medioevo (Ravenna, 6-12 giugno 2004), Spoleto – Fondazione CISAM 2005, pp.
1069-1083.
69 Cfr. K. PREISENDANZ, s.v. «Ostanes», in PWRE, XVIII2, Stuttgart 1942, col. 1616.
70 Cfr. E.L. BOWIE, «Apollonius of Tyana: Tradition and Reality», in ANRW, II, 16.2,
Berlin-New York 1978, pp. 1652-1699.
72 Ermete e la stirpe dei draghi
81 Cfr. F. MONTANARI, GI. Vocabolario della Lingua Greca, Torino 1995, p. 1875c.
82 Cfr. Hom. Il. VIII, 369; Hes. Theog. 775-806; e inoltre F. BÖLTE, s.v. «Styx», in
PWRE, IV/A. 1, Stuttgart 1931, coll. 457-463.
83 Hom. Od. X, 514.
84 Hom. Il. II, 755.
85 Herod. VI, 74.
86 Paus. VIII, 18, 4-6.
87 Fed. 113B-C.
88 Per i molteplici usi dei , vd. la notizia di Atanasio Sinaita
in PG 89, 525B; cfr. anche H. SARADI-MENDELOVICI, «Christian Attitudes toward
Pagan Monuments in Late Antiquity and Their Legacy in Later Byzantine Centu-
ries», in Dumbarton Oaks Papers, 44 (1990), p. 57.
89 Patrologia Syriaca, p. 1368.
90 DZIELSKA, Apollonius of Tyana in Legend and History, pp. 107-108.
91 PG 97, coll. 400-404 = Patrologia Syriaca, I/2 (Paris 1907), p. 1366.
92 Eusth. 1645, 42.
93 Cfr. C. MANGO, «Antique Statuary and the Byzantine Beholder», in Dumbarton
74 Ermete e la stirpe dei draghi
102 De rad. V, 230 (Turri [Milano 1994], p. 59); cfr. anche I.P. COULIANO, Eros e
magia nel Rinascimento, Milano 1987, pp. 74 ss.
103 Picatrix IV, 3 (ARECCO-LI VIGNI-ZUFFI [Milano 1999], p. 227).
104 Apocr. Joh. II, 19, 13-15 (Synopsis, p. 51, 4-5).
76 Ermete e la stirpe dei draghi
nife exoun xM pefxo ebol xitN pekp_n_a auw fnatwwn Nqi pef}swma
«Soffia sul suo volto un po’ del tuo e il suo corpo si solleverà in
piedi»105.