Psicologia Dell Apprendimento PDF
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LO STUDIO DELL’APPRENDIMENTO
Le definizioni operative
La sperimentazione scientifica è possibile perché i ricercatori sanno quali operazioni
devono eseguire per ottenere risultati che altri hanno ottenuto o che essi desiderano che
altri ottengano dopo di loro.
Quando un educatore riesce ad affermare fondatamente che ha scoperto un metodo
d’insegnamento ugualmente efficace per gli alunni molto intelligenti e quelli meno
intelligenti, specifica in modo preciso chi son gli alunni intelligenti e quelli meno
intelligenti. Probabilmente dirà che ha messo a raffronto due gruppi di alunni, uno mezzo
sigma sopra la media e l'altro mezzo sigma sotto la media sulla scala di Wechsler per i
bambini. Perciò per quell'educatore la definizione di «alunno intelligente» è «un alunno
che ottiene più di 107 punti, quando risponde ai quesiti del test di intelligenza di Wachsler
per i bambini, somministrato individualmente nelle condizioni prescritte, e i valori grezzi
ottenuti sono trasformati secondo una scala che si trova nel manuale di tale test».
In altre parole l'educatore ha specificato le operazioni eseguite per poter affermare che un
alunno è intelligente: egli ha dato una definizione operativa di «alunno intelligente».
Di solito le definizioni operative non sono riportate così dettagliatamente come nel nostro
esempio, poiché si suppone che esista un patrimonio comune di conoscenze scientifiche,
per cui è sufficiente dire che si considerano intelligenti «gli alunni che hanno ottenuto più
di 107 punti sulla scala di intelligenza di Wechsler per i bambini». Tutte le altre specifi-
cazioni sono implicite nel concetto di prova di intelligenza di Wechsler.
In modo analogo se il ricercatore desidera fare il discorso sulla «creatività», dovrà definire
operativamente il concetto, cioè esplicitare le operazioni che esegue e che altri possono
nuovamente eseguire per ottenere i medesimi risultati. Il modo in cui definirà la creatività
dipenderà dagli scopi e dalle circostanze della ricerca e dal significato che vuole dare al
concetto teorico di «creatività». Per alcuni ricercatori sarà creativo l'alunno che ottiene un
certo livello nei test di Torrance o di Kogan e Wallach, per altri creatività sarà un
comportamento caratteristico, osservato sotto precise condizioni, per altri ancora sarà
determinante il giudizio degli insegnanti; è però probabile che solo in casi speciali il
ricercatore chiederà semplicemente quanto siano creativi gli alunni, poiché sappiamo che
gli insegnanti facilmente confondono la creatività con l'intelligenza.
Non tutti gli scienziati però sono d'accordo sul valore rappresentativo della definizione
operativa. Alcuni giungono ad affermare che un concetto è la definizione operativa, in
modo che se la definizione operativa di amore fosse il numero di baci che la madre dà al
bambino, essi direbbero che l'amore non ha nessun significato senza la sua definizione
operativa. Sappiamo però che la scienza empirica di fatto accetta più spesso una posizione
che contempla la presenza di concetti astratti o teorici anche se non sono operativamente
definiti. Nella definizione di teoria, da noi data sopra, consideriamo i concetti empirici,
cioè le definizioni operative dei concetti teorici, una mediazione perfettibile tra il concetto
teorico e l'osservazione della realtà. Da questa concezione deriva la necessità di avere
definizioni operative valide, non solo dal punto di vista di un’appropriata esecuzione delle
operazioni per rilevare il concetto, ma anche dal punto di vista della corrispondenza logica
tra la definizione empirica e la definizione teorica. Se questo legame logico non esistesse
si creerebbe una situazione assurda nella sperimentazione, perché qualsiasi definizione
operativa potrebbe rappresentare un concetto teorico: ad esempio l'aumento della sabbia
trasportata al mare dal Fiume delle Perle potrebbe diventare la definizione empirica di
«ricchezza», perché non è impossibile trovare una relazione positiva tra quantità di sabbia
depositata e quantità di merce comperata dai cinesi col passare degli anni: ma non vi è
nessuno che non veda l'assurdità di affermare che l'operazione intrapresa nel valutare la
quantità di sabbia depositata sia «ricchezza» o anche sia un indice direttamente legato al
suo concetto. Potrebbe invece essere un’accettabile definizione operativa di ricchezza la
quantità di merce acquistata dai cinesi da un anno all'altro.
Quando un ricercatore usa una scala di personalità destinata a misurare la femminilità e
mascolinità, come la scala omonima nel questionario CPI tradotta in italiano, si avvicina
ad una definizione operativa assurda della dimensione «femminilità-mascolinità» se
applica la scala alla popolazione italiana, poiché non abbiamo ragioni per credere che per
gli americani e gli italiani i comportamenti esaminati rappresentino il medesimo concetto
teorico. Un altro esempio di definizione operativa accettata comunemente senza eccessive
critiche è la «maturità» del candidato alla fine delle scuole superiori. Di fatto le operazioni
a cui il candidato si sottopone durante gli esami sono la definizione operativa della
maturità; ma questa definizione può essere assurda per due ragioni: quali argomenti logici
abbiamo per affermate che la definizione operativa rappresenti in qualche modo il concetto
«maturità» e inoltre qual è il concetto di maturità che ha ciascuna commissione gli esempi
potrebbero essere moltiplicati, ma già emerge l'importanza che tutti i concetti siano
definiti operativamente in modo valido se si vuole intraprendere una qualsiasi
sperimentazione che abbia i requisiti anche minimi della scientificità.
Non possiamo dilungarci di più sul concetto di «definizione operativa» perché esuleremmo
dai limiti che ci siamo proposti in questa esposizione, ma riteniamo di aver messo in
sufficiente rilievo l'importanza che tali definizioni siano valide per poter intraprendere un
discorso scientifico.
Le variabili
Quando un concetto è stato definito operativamente, è possibile descriverlo, ad esempio,
mediante il procedimento di misurazione. Cosi, accettata la definizione operativa
d’intelligenza come il risultato della somministrazione di uno strumento, chiamato prova
di intelligenza, possiamo essere interessati al come l'intelligenza varia quantitativamente.
Chiamiamo «variabile» un concetto o costrutto, quando lo rappresentiamo con un simbolo
a cui vengono assegnati dei valori numerici diversi. Così x è un simbolo che può
rappresentare i punteggi di intelligenza di diverse persone. I valori che si assegnano al
simbolo x nel caso del test d’intelligenza dipendono dalla definizione operativa di
intelligenza.
Ovviamente nessuna variabile può essere migliore della sua definizione operativa. Se la
definizione non è valida non lo è neppure la variabile.
Spesso una variabile può avere solo due valori e allora le chiamiamo variabile dicotomica,
alcuni esempi sono il sesso (maschio o femmina), vivo o morto, presente o assente, e così
via.
Abbiamo incontrato tre parole che a questo punto richiedono una chiarificazione: i
concetti teorici (o costrutti), i concetti empirici (o definizioni operative) e le variabili. Ab-
biamo la definizione di un concetto teorico o di un costrutto, quando gli diamo significato,
esplicitando le relazioni che ha con altri concetti teorici o costrutti: ad esempio possiamo
definire l’«intelligenza» come «capacità di pensiero astratto».
Un concetto è definito operativamente, quando esplicitiamo le «operazioni» che si
intraprendono per misurare e rilevare la presenza o assenza del concetto: così
«intelligenza» è definita operativamente quando specifichiamo i comportamenti che i
bambini devono manifestare per poter affermare che sono intelligenti o non intelligenti. La
definizione operativa può essere una misurazione o un intervento sperimentale. Quella
fondata sulla misurazione esplicita le operazioni da eseguire per misurare il concetto,
mentre la definizione operativa sperimentale specifica le manipolazioni del concetto da
parte dello sperimentatore.
Chiamiamo infine variabili i costrutti o concetti astratti, visti come capaci di assumere
valori o qualità secondo le specificazioni delle definizioni operative. Questo è un modo
piuttosto audace di definire una variabile, ma la riteniamo sufficiente ai nostri scopi.
Siamo ora in grado di chiarire meglio il concetto di teoria che abbiamo enunciato sopra.
Supponiamo che un ricercatore formuli la seguente «teoria» del sottorendimento: il
sottorendimento probabilmente dipende in parte dal concetto di sé; gli alunni che si perce-
piscono negativamente tendono a riuscire di meno di quanto si potrebbe prevedere in base
al loro potenziale intellettivo e alle loro attitudini; inoltre è probabile che siano in
relazione con il sottorendimento anche i bisogni dell'io e il bisogno di realizzazione (need
Achievement). Il ricercatore sa anche che esiste una relazione tra intelligenza, attitudini e
bisogno di realizzazione. Questo insieme di presupposti e di ipotesi costituisce una teoria
che può essere rappresentata con un diagramma come nella figura 1.1.
Lo sperimentatore non può misurare direttamente il «concetto di sé», però può fare delle
induzioni partendo dal test del «disegno della persona», perciò definisce operativamente il
«concetto di sé» come determinati modi di risposta al test del «disegno della persona». I
circoli con le lettere maiuscole (Ss, Pr, At) rappresentano variabili ottenute mediante defini-
zioni operative misurate; le definizioni operative sono indicate dalla doppia linea che
collega la variabile con le osservazioni. Le lettere minuscole (ss, bi, br, pr, at) sono le
definizioni dei costrutti; la linea continua tra Ss e ss indica la relazione nota tra la
variabile Ss e il costrutto ss. Il costrutto «profitto» (pr) è definito operativamente come la
discrepanza tra profitto misurato (Pr) e attitudine misurata (At). Le linee continue tra Pr e
pr e tra At e at indicano relazioni scientificamente già verificate tra due costrutti teorici e
le relative definizioni empiriche; anche la linea continua tra pr e at indica relazioni già
bene stabilite tra i costrutti «attitudine» e «profitto». Le linee continue tra Ss, Pr e At
indicano correlazioni riscontrate tra le tre variabili. Le linee tratteggiate indicano relazioni
che si suppongono esistenti tra i costrutti, ma che attendono, in questa miniteoria,
conferma scientifica. Si può anche osservare che il ricercatore non ha una definizione
operativa di bisogno di realizzazione (di fatto ne abbiamo), ma presuppone un legame tra
nA e Pr. I bisogni dell'io non sono definiti qui.
LA RICERCA SCIENTIFICA
La descrizione
Al livello più semplice abbiamo la ricerca empirica che si limita alla descrizione, e
consiste spesso nel riportare con esattezza quanto si osserva attraverso conteggi,
percentuali, o anche descrizioni verbali di comportamenti o altro fenomeno preso in
esame. Questo tipo di ricerca è particolarmente necessaria, quando si affrontano problemi
completamente nuovi e di solito è anche il primo passo della ricerca scientifica, intesa nel
senso che definiremo in seguito.
La categorizzazione
Qualche volta la ricerca descrittiva può giungere ad un livello più avanzato, quando si
spinge fino a fare suddivisioni o categorie di persone od oggetti. Ad esempio uno
psicologo clinico può intervistare un certo numero di persone e poi classificarle in due
gruppi: maturi e immaturi. In medicina spesso la ricerca si riduce alla classificazione delle
malattie secondo i sintomi che manifestano. Noi non consideriamo la descrizione come
ricerca scientifica, neppure quando arriva al livello di classificazione mediante conteggi o
misurazioni. Tuttavia i procedimenti classificatori sono importanti e quasi sempre sono un
passo necessario nella sperimentazione scientifica.
La ricerca inferenziale
Si fa un notevole passo verso la ricerca scientifica quando, oltre alla descrizione e la
classificazione, si procede a raffronti tra gruppi per scoprire se differiscono tra loro, ad
esempio se un gruppo riesce meglio di un altro in italiano o se ottiene valutazioni più
elevate di un altro su una dimensione di personalità. Tutta la ricerca che mira alla verifica
di ipotesi è ricerca di differenze tra gruppi e perciò di confronti tra essi. Anche la ricerca
che si limita a rilevare differenze tra gruppi è essenzialmente descrittiva.
La ricerca relazionale
Oltre alla ricerca descrittiva propriamente detta, classificatoria e comparativa, abbiamo la
ricerca relazionale. Molte ricerche si prefiggono di trovare come certi eventi sono
relazionati tra loro. Ad esempio un ricercatore può essere interessato non solo a scoprire
quale sia il livello di intelligenza di un gruppo di alunni, ma anche quale relazione esista
tra il livello di intelligenza e la futura riuscita nella scuola. Questo è un tipico problema di
ricerca correlazionale. Con essa entriamo già nel campo della ricerca che possiamo
chiamare scientifica, nel senso che il ricercatore è interessato non solo alla conoscenza
descrittiva del fenomeno, ma anche alla sua spiegazione attraverso la scoperta delle rela-
zioni tra i fenomeni, e alla previsione delle situazioni future. La ricerca correlazionale
presenta spesso problemi complessi di spiegazione, poiché le relazioni che si scoprono non
sono necessariamente cosi dirette come appaiono. Un esempio può dimostrare come la
scoperta di relazioni precise non sia un problema semplice. In una terza media un
ricercatore vuole esaminare il livello di impegno nell'attività scolastica. La definizione
della variabile «impegno» è il numero di assenze dalla scuola nel periodo di un anno
considerando più impegnati coloro che hanno meno assenze. Desidera scoprire la relazione
tra «impegno» e sesso ed alla fine dell'anno ne scopre una: le ragazze sono meno
«impegnate» che i ragazzi; ma è facile vedere la fallibilità di questa relazione; dai dati
offerti non è lecito affermare che le ragazze siano meno impegnate che i ragazzi. La
debolezza dell'interpretazione sta nel fatto che sulle ragazze influisce una variabile che
tende ad aumentare le assenze rispetto ai ragazzi. Quindi la definizione operativa di
«impegno» è accettabile, però ad una condizione, che si faccia una distinzione tra assenza
per indisposizione e assenza per qualsiasi altra ragione. Infatti, è molto probabile che non
poche ragazze si assentino periodicamente, ma con la giustificazione appropriata. Il
ricercatore che non tiene conto di questa variabile in più, facilmente arriva a conclusioni
non valide, perché la relazione tra «impegno» e sesso è indebolita dal fatto che esiste una
relazione nascosta tra «indisposizione» e «impegno» e questo in misura non uniforme per i
ragazzi e le ragazze. Allora il risultato riscontrato dal ricercatore probabilmente non è una
questione di relazione tra sesso e impegno, ma tra sesso e indisposizione. Sappiamo però
che con una migliore definizione operativa di «impegno» il ricercatore troverà
probabilmente che le ragazze sono più impegnate dei ragazzi.
In molte situazioni è assai utile conoscere la presenza di relazioni indirette, soprattutto
quando si è interessati alla misurazione di una variabile che difficilmente è attingibile in
modo diretto. Ad esempio sappiamo che esiste una buona correlazione tra l'intelligenza
degli alunni e la loro riuscita nella scuola. Sappiamo anche che esiste una relazione
positiva non indifferente tra l'intelligenza degli alunni e il livello di istruzione dei loro
genitori. In uno studio di vaste proporzioni potrebbe essere impossibile misurare
l'intelligenza degli alunni con una prova individuale o di gruppo, ma potrebbe essere
disponibile l'informazione sul livello di istruzione dei genitori. Questa variabile allora può
essere sostituita a quella dell'intelligenza degli alunni in modo abbastanza valido.
Ovviamente l'utilità delle variabili che ne rappresentano altre dipende da quanto elevata è
la relazione tra la variabile che interessa e quella che deve servire da sostituto e dipende
anche dalla situazione di ricerca. Ad esempio sarebbe sconsigliabile usare una variabile
sostitutiva quando si può avere una buona misura della variabile vera senza grandi costi.
L'uso di variabili rappresentative è un problema importante nella ricerca, poiché la
variabile che si misura direttamente è contaminata dall’operazione di misurazione: ad
esempio se si chiedesse ad un gruppo di alunni se hanno letto un capitolo di un libro di
testo, essi potrebbero rispondere di sì quasi nella totalità per timore di rappresaglie. Il
professore però potrebbe avere una misura indiretta più precisa se prendesse ad uno ad uno
i loro libri, li schiudesse e guardasse i bordi delle pagine di quel capitolo per vedere se
sono ancora nuovi o hanno i segni di essere stati sfogliati più volte. Qui non si suggerisce
che il professore assuma atteggiamenti polizieschi, ma si propone un esempio pratico per
dimostrare la possibilità di usare in certe circostanze delle variabili sostitutive per ottenere
la misura di una dimensione che interessa. Lo psicologo clinico fa continuo uso di
variabili sostitutive, e qualche volta a sproposito, soprattutto chi usa le tecniche proiettive
con una certa leggerezza. Il lettore attento si sarà già reso conto che le variabili sostitutive
non sono altro che definizioni operative modificate della variabile originale e che la
relazione tra le due misure ottenute attraverso definizioni operative diverse può essere un
indice di validità della definizione operativa introdotta al posto di una precedente.
La ricerca relazionale causale
Il ricercatore mira non soltanto a scoprire le relazioni che esistono tra due o più variabili,
ma si sforza di scoprire anche la loro interdipendenza causale. La ricerca orientata a
scoprire le relazioni causali tra le variabili è quella che più comunemente è considerata
come ricerca scientifica o sperimentazione empirica scientifica, soprattutto in psicologia e
nella sperimentazione in campo educativo. La ricerca relazionale causale permette non
solo una descrizione adeguata dei fenomeni, una spiegazione valida, ma offre anche
l'informazione necessaria per un opportuno controllo dei fenomeni. In molte situazioni
educative la ricerca è intrapresa per scoprire interventi efficienti che possano produrre uno
sviluppo più adeguato della persona, creando ambienti in cui essa può trovare spazio per la
sua manifestazione creativa.
La maniera più semplice per scoprire le relazioni causali tra le variabili è l'esperimento. In
un esperimento il ricercatore manipola direttamente la variabile indipendente
controllando, cioè neutralizzando, l'effetto di tutte le altre variabili, che ragionevolmente
si possono considerare presenti con la variabile manipolata, e osservando l'effetto che la
manipolazione ha sulla variabile dipendente. Le eventuali differenze riscontrate sono
attribuite all'intervento considerato come causa. Lo sperimentatore però trova difficile
controllare le variabili indipendenti estranee all'esperimento per poter attribuire alla
manipolazione l'effetto osservato e in questo compito ha bisogno di razionalità nella
pianificazione e spiegazione dell'esperimento stesso e inoltre deve usare appropriate
tecniche per assicurarsi che l'effetto dipenda veramente dalla variabile manipolata.
Al di fuori delle situazioni sperimentali vere e proprie è difficile verificare la relazione di
causa ed effetto.
Psicologia dell’Apprendimento
– I Unità Didattica – Lezione 6
L’ASSOCIAZIONISMO
2. IL FUNZIONALISMO;
3. LA PSICOLOGIA ANIMALE.
L'insistenza di Watson sulla necessità di dare alla Psicologia un carattere oggettivo non era certo
una novità. Nel corso del 1600 il fondatore della filosofia moderna, Cartesio, nel tentativo di
spiegare in chiave meccanicistica il corpo e la mente, aveva compiuto, forse, il primo tentativo di
fare della Psicologia una disciplina scientifica. Al Sensismo e al Materialismo francese del XVIII
secolo il comportamentismo deve l'opzione verso concettualizzazioni materialistiche della psiche.
Ancora più importante fu il contributo di Auguste Comte, fondatore del Positivismo, movimento
filosofico il cui elemento più caratteristico è l'insistenza su ciò che è osservabile, registrabile e
misurabile. Il Pragmatismo, infine, definito come la filosofia più rappresentativa della cultura
americana, ha indubbiamente costituito un ulteriore punto di riferimento culturale del
comportamentismo, per il suo desiderio di produrre tecnologie in grado di modificare l'ambiente.
Il secondo precedente del Comportamentismo è il Funzionalismo. La psicologia funzionale, pur non
essendo totalmente oggettiva, rappresentava, al tempo di Watson, dal punto di vista dell'oggettività,
un passo avanti rispetto al passato, suscitando vasti consensi in America, fino a diventare
dominante.
La maggiore influenza sull'elaborazione del programma watsoniano giunse dalla "psicologia
animale". La teoria evoluzionistica, proposta da C. Darwin nel corso del secolo XIX, aveva
postulato l'esigenza di dimostrare sia la presenza della “mente” negli organismi inferiori, sia la
continuità tra la mente umana e quella animale, avendo eliminato ogni differenza qualitativa tra
“uomo” e “animale”.
Agli inizi del XX secolo cominciò a diffondersi lo studio del comportamento animale dal punto di
vista biologico; inoltre erano stati elaborati e impiegati con qualche successo alcuni test oggettivi
per la sua previsione e controllo. Frattanto sorgevano laboratori di psicologia comparata e molte
università cominciavano ad istituire corsi di questa materia. Cominciò negli stessi anni ad essere
conosciuta l'opera del fisiologo russo Ivan Petrovich Pavlov (1849-1936), il quale dette grande
impulso alla psicologia oggettiva in generale e al comportamentismo di Watson in particolare. Dallo
studio delle reazioni degli animali a stimoli costanti, Pavlov derivò la teoria dei riflessi condizionati,
secondo cui una risposta si abbina ad un nuovo stimolo che precedentemente non la provocava1.
In breve si riconobbe che le reazioni del condizionamento classico rappresentavano un elemento
comune a gran parte del comportamento animale e umano. Le scoperte di Pavlov ebbero un grande
significato, infatti, prima dei suoi studi la Psicologia era stata caratterizzata da un approccio
soggettivo e l’introspezione era stata considerata l'unico mezzo valido per lo studio del
comportamento: questo metodo, secondo gli studiosi dell’epoca, non andava contro la
“scientificità” della disciplina.
Il comportamentismo vide la luce ufficialmente nel 1913 quando, nella Psychological Rewiew, fu
pubblicato un articolo di John B. Watson, che era un esteso e violento attacco contro i tradizionali
sistemi psicologici limitati agli stati di coscienza: l’introspezione, in modo particolare, è
considerata incompatibile con la psicologia scientifica, in quanto realtà soggettiva.
Il comportamentismo watsoniano riteneva indispensabile che la psicologia diventasse la scienza del
comportamento, cioè che si occupasse solamente di atti comportamentali osservabili e suscettibili di
essere descritti oggettivamente in termini di stimolo-risposta (S-R). Il suo campo d’indagine e di
applicazione non si limitava solo allo studio del comportamento umano, ma anche di quello animale
cui Watson si era attivamente dedicato nei suoi primi anni di ricerca.
Attraverso lo studio oggettivo del comportamento, la Psicologia, nella sua versione
comportamentista, può raggiungere l'obiettivo di prevedere la risposta una volta conosciuto lo
stimolo e prevedere quello necessario a determinare una certa risposta. Watson aveva una finalità
precisa: raggiungere l'estensione del metodo scientifico dell'analisi dei fenomeni al comportamento,
1
Pavlov I.P., Conditioned reflexes - Oxford University Press - New York, 1927.
basandosi su dati obiettivi e quindi su metodi di studio oggettivi. Secondo Watson le procedure che
presentano sufficienti garanzie di obiettività sono:
il metodo dell’osservazione;
il metodo del riflesso condizionato;
il metodo del resoconto verbale;
metodi basati sui test.
Il metodo dell'osservazione costituisce la base necessaria di tutti gli altri metodi; i test oggettivi
erano già stati elaborati e impiegati in precedenza, ma Watson volle servirsene per la previsione e il
controllo del comportamento. Anche i metodi del condizionamento erano già praticati prima della
nascita del Comportamentismo, sebbene il loro uso in America fosse limitato; spetta sopratutto a
Watson il merito di averne propagandato l'applicazione nelle indagini nel suo Paese.
Molto più rilevante è l'accettazione della terza procedura, quella cioè che va sotto il nome di
"resoconto verbale". I resoconti verbali sono dati obiettivi, che non si differenziano in alcun modo
da qualsiasi altra risposta fornita dall'organismo. Nella concezione watsoniana essi sono dati tra altri
dati, utilizzabili più facilmente di altri, perché consentono una più rapida esecuzione delle ricerche.
Inoltre, Watson era convinto che fosse l'ambiente a costituire la classe di cause più rilevanti capaci
di determinare l'evoluzione e il perdurare di comportamenti adeguati o inadeguati, sia nell'animale
sia nell'uomo.
Nella posizione di Watson non c'è, evidentemente, posto per una spiegazione del comportamento in
termini di ereditarietà. I suoi esperimenti lo portarono a convincersi che i disturbi emozionali degli
adulti dipendessero da forme errate di condizionamento avvenuto nel primo periodo di vita, la
terapia, pertanto, doveva basarsi su un nuovo apprendimento che annullasse il precedente.
Se accettiamo che la validità di un sistema scientifico sia misurata anche sulla base degli sviluppi
successivi, che da esso hanno preso l'avvio, esistono pochi dubbi nel considerare il comportamen-
tismo di Watson uno degli apporti più fruttuosi emersi nella storia della psicologia.
Infatti, questo sistema ha costituito la matrice d’importanti inquadramenti teorici, ognuno dei quali
ha sviluppato alcune delle intuizioni o delle tesi presentate da Watson.
Ciò che accomuna ognuno di questi inquadramenti è l'adesione al metodo scientifico proposto da
Watson e il costante rifiuto dell'introspezione.
Psicologia dell’Apprendimento
– II Unità Didattica – Lezione 2
2
Guthrie E.R., The Psycology of Learning, Happer, New York, 1935 (ed. riv. 1952).
Hull introdusse la variabile intermedia del impulso (drive). L'impulso, per Hull, è uno stimolo (Si)
che sorge da uno stato di necessità tessutale e che ha la funzione di provocare o attivare il
comportamento.
Nel suo sistema figurano due tipi principali d’impulsi: quelli primari e quelli secondari, che hanno
origine dai primi.
La teoria dell'apprendimento di Hull si basò sul principio del rinforzo primario, secondo la quale se
un nesso stimolo-risposta ha come conseguenza una riduzione dello stato di necessità, suc-
cessivamente ci sono molte probabilità che lo stesso stimolo provochi un’identica risposta. Da
notare che la ricompensa o il rinforzo equivale, nel sistema di Hull, alla riduzione di una necessità
primaria. Secondo Hull, il nesso stimolo-risposta è rafforzato dalla serie di successivi rinforzi. Non
si può avere apprendimento in assenza del rinforzo necessario a produrre una riduzione
dell'impulso.
Benché il Comportamentismo sia ormai tramontato come scuola ufficiale, è tuttora vivo lo spirito
neocomportamentistico che, però, va considerato più come un'impostazione o un atteggiamento di
tipo generale che come una Scuola vera e propria.
Da molti importanti punti di vista, la posizione di B. F. Skinner (1904-1990) rappresenta un
rinnovamento del vecchio comportamentismo watsoniano.
Hull sottolineava l'importanza della teoria, mentre quello di Skinner è un rigoroso comportamen-
tismo di tipo esclusivamente descrittivo, dedicato allo studio delle risposte e basato su dati empirici.
L'obiettivo di Skinner è di descrivere il comportamento, non di spiegarlo, occupandosi, quindi,
solamente del comportamento osservabile; egli ritiene, inoltre, che il compito dell'indagine
scientifica sia da stabilire relazioni funzionali tra le condizioni-stimolo originarie e la successiva
risposta dell'organismo.
Skinner ha molto insistito sul tipo di comportamento operante o strutturale, il quale si verifica in
assenza di qualsiasi stimolo esterno osservabile e la cui risposta dell'organismo è, apparentemente,
spontanea. Il condizionamento operante agisce anche sull'ambiente in cui si trova l'organismo:
secondo Skinner, quest'ultimo è molto più rappresentativo delle reali situazioni di apprendimento
vissute dai soggetti umani. La classica dimostrazione strumentale di Skinner si basava
sull’osservazione del comportamento che portava il soggetto dell’esperimento, un animale, ad
azionare il congegno di apertura dello Skinner-box, appositamente costruito per eliminare
l'interferenza di qualsiasi stimolo estraneo. Nella gabbia di Skinner gli animali ricevono una piccola
ricompensa (cibo o acqua) che viene definita "rinforzo", se essi premono una leva. Dopo questi
rinforzi il condizionamento diventa molto rapido. Da questo esperimento fondamentale Skinner
ricavò la legge dell'acquisizione, secondo la quale la forza di un comportamento operante viene
accresciuta tutte le volte che tale comportamento è seguito dalla presentazione di uno stimolo di rin-
forzo. Questi tipi di condizionamenti e di "gratificazioni" sono alla base di molti comportamenti
umani:
nel bambino una gratificazione importante è il consenso e l'approvazione degli adulti.
Skinner tratta il linguaggio come una forma verbale di comportamento, arrivando a considerarlo
sostanzialmente simile alle altre forme di comportamento.
L'influenza esercitata da Skinner sulla psicologia contemporanea è testimoniata dall'attività di un
gruppo di seguaci entusiasti ed estremamente operosi. Uno di questi fu Albert Bandura (1925) che,
adoperò un metodo diverso per lo studio dei comportamenti aggressivi nei bambini. In un
esperimento del 1961 fu dimostrato che i ragazzi imitavano immediatamente comportamenti
aggressivi esibiti da un modello, alla presenza del medesimo. Una successiva indagine3 dimostrò
che i ragazzi esposti a dei modelli aggressivi, generalizzavano delle risposte aggressive a nuove
situazioni in cui il modello non era presente.
Bandura giunse alla conclusione che i bambini si identificavano con le ricompense e le punizioni
dei modelli adulti, nonché con il loro comportamento e dedusse quindi che essi apprendevano "per
imitazione".
A conclusione della presente lezione, si può dire che il Comportamentismo entrò a far parte inte-
grante della psicologia sperimentale di tradizione americana. Mezzo secolo dopo la pubblicazione
dell'articolo di Watson che segnò il suo debutto ufficiale, Skinner celebrò l'anniversario con un
articolo dal titolo “Behaviorism at Fifty” (1963), in cui è scritto che l'imponente progresso della
psicologia sperimentale in America è dipeso sopratutto dall'influenza del Comportamentismo.
3
Bandura A., Ross Dorothea & Ross Sheilaa, Transmission of aggression trought imitation of aggressive
models, J. Abnorn, Soc. Psycol, 1961-63.
Psicologia dell’Apprendimento
– II Unità Didattica – Lezione 3
E' opportuno far subito presenti le seguenti considerazioni: il tecnologo del comportamento è
contrario all'adozione di qualsiasi forma di punizione. Il principio fondamentale al quale ci si ispira
è quello di agire sul comportamento dell'allievo manipolando i rinforzi (detti anche “Rinforzatori”);
quando il comportamento inadeguato è fortemente disturbante e non esistono altre modalità di
controllo, è preferibile adottare le procedure consistenti nella sottrazione dei rinforzi (punizione del
tipo B).
La punizione, così com’è usualmente somministrata, è uno strumento pedagogicamente inefficace,
cioè non serve ad eliminare il comportamento verso il quale essa è diretta. Oltre a tale inefficacia
essa presenta altre limitazioni, specialmente quando costituisce elemento abituale dello stile
educativo dell'insegnante, poiché tende a produrre nell'allievo una serie di effetti più o meno
negativi, che possono essere ricondotti alle seguenti classi di comportamento:
4
Yates A. J., Behavior Therapy, Wiley, New York, 1970.
Psicologia dell’Apprendimento
– II Unità Didattica – Lezione 4
"I bambini non sono ritardati. Solo il loro comportamento nell'ambiente normale è qualche volta
ritardato"5.
5
Lindsley P.R., "Direct Measurement and prothesis of retarded behavior", journal of education, 1964, p. 147.
Ai limiti di natura biologica si aggiungono, spesso, limitazioni ambientali, fisiche e sociali, che
rendono quanto mai problematico il recupero del soggetto con handicap ed il suo inserimento nella
società.
E' nei confronti di queste limitazioni ambientali che è necessario rivolgere la nostra attenzione.
Infatti, un ambiente attentamente programmato è in grado di produrre miglioramenti sorprendenti
nei comportamenti handicappanti, anche quando questi hanno un'origine organica.
E' necessario tener presente che ogni bambino è un caso a sé stante, che presenta, cioè, delle abilità
più sviluppate ed altre invece che si trovano ad un livello inferiore di evoluzione e che, sotto certi
aspetti, lo limitano. Può trattarsi di limitazioni cognitive, emozionali e comportamentali.
Proprio per queste ragioni, all'interno della tecnologia del comportamento si dà molto spazio
all'insegnamento individualizzato, che consente al bambino, o all'adolescente, non solo di procedere
secondo il proprio ritmo di apprendimento, ma anche di raggiungere soddisfacenti livelli di sviluppo
cognitivo e sociale.
Inoltre, se riteniamo giusto che l'handicappato sia integrato nelle strutture "normali", è necessario
che il suo inserimento avvenga sin dalla scuola materna, dandogli pieno diritto ad usufruire dei
servizi pubblici e a vivere una vita il più "normale" possibile.
Questi obiettivi potranno essere raggiunti solo quando alla base di ogni intervento vi sia un'inte-
grazione ben studiata e programmata.
La metodologia alla quale si conforma tale programmazione contempla le fasi di seguito riportate.
1. Preparazione dell'ambiente sociale
Prima che il soggetto con handicap venga inserito nella scuola è necessario predisporre l'ambiente
sociale, affinché esso si dimostri ricettivo nei confronti del processo d’integrazione. A tale scopo,
utili saranno le riunioni e gli incontri nei quali sia discusso e analizzato tale problema. A tali
incontri dovrebbero partecipare tutte le componenti della scuola (personale docente e non docente,
genitori ecc.). Una volta creatosi il clima favorevole (attenuate cioè le ansie e i timori conseguenti
all'inserimento del soggetto con handicap), si procederà alle fasi successive.
4. Interventi.
Al fine di raggiungere queste mete educative didattiche, l'insegnante potrà ricorrere all'istruzione
programmata, o ad un altro insegnamento individualizzato, per quanto riguarda i comportamenti co-
gnitivi degli allievi con diversa abilità e alle tecniche di conduzione delineate in precedenza per
quanto riguarda i comportamenti sociali. In entrambi i casi è compito dell'insegnante di sostegno
valutare sistematicamente il progresso effettuato dall'allievo con handicap e di fornire costanti solle-
citazioni didattiche e socializzanti.
Nel predisporre l'intervento educativo l'insegnante, secondo le vigenti normative, si avvarrà
dell'intervento degli operatori sociali per formare insieme con essi una vera e propria équipe psico-
pedagogica, che si ponga il problema di agevolare il processo d’integrazione. Ovviamente, anche i
genitori dell'allievo con diversa abilità dovrebbero essere costantemente coinvolti, per quanto di
loro competenza e possibilità, nella programmazione didattico-educativa e diventare essi stessi
agenti educativi nei confronti dei propri figli.
Psicologia dell’Apprendimento
– II Unità Didattica – Lezione 6
Ciò che si vuole ottenere da tale operazione è individuare gli elementi costitutivi del compito, e per
ognuno di essi precisare i relativi prerequisiti. Dopodiché si confronta il compito con le abilità
possedute dall'allievo, pervenendo, infine, alla decisione di presentare il compito all'allievo, nel
caso in cui questi possegga effettivamente le abilità necessarie al suo superamento, oppure di rin-
viarlo ad un momento successivo, in caso contrario. La task analysis sembra costituire uno stru-
mento indispensabile per ogni tipo di programmazione, in modo particolare quando il destinatario è
una persona con "handicap". Essa permette di graduare i compiti secondo le difficoltà, consentendo
quindi di definire la successione e il momento in cui dovrebbero essere presenti
FASE 3: L'ASSESSMENT (VALUTAZIONE) FUNZIONALE E L'ANALISI
Scopo dell'analisi funzionale è invece quello di scoprire quali sono gli stimoli in grado di produrre
o di facilitare l'emissione del comportamento e quali gli eventuali rinforzi che lo mantengono in
vita. Ogni comportamento, infine, si riterrà acquisito nel momento in cui sarà comparso per un
certo numero di volte.
Lo psicologo comportamentista nutre forti perplessità nei confronti della cosiddetta osservazione
indiretta del comportamento, quella cioè fondata sui dati verbali. Esempi di osservazione indiretta
sono i questionari, le scale di atteggiamenti, ecc. La non validità di tale sistema, ha spinto numerosi
psicologi a prediligere l'altra modalità osservativa, quella cioè che si fonda sull'osservazione diretta
e immediata del comportamento, cogliendolo cioè nel momento stesso in cui si presenta.
La metodologia osservativa usata da Kozloff, (Kozloff M.A., Il bambino handicappato. Problemi
di apprendimento e di comportamento: Un intervento psicologico programmato) Giunti-Barbera,
Firenze, 1981), è un buon esempio in tal senso.
Essa consiste in una tabella e in una scala comportamentale. La prima ha lo scopo di dirigere
l’osservazione inizialmente verso aree comportamentali specifiche e, successivamente, verso
singoli comportamenti che le costituiscono. La seconda mira a collegare ognuno di questi
comportamenti ai parametri dell'indagine comportamentale, cioè la frequenza, la durata e
l'intensità, alle quali Kozloff aggiunge il posto e le persone presenti nel momento in cui si
manifesta il comportamento. Si sa che il soggetto portatore di handicap trova difficoltà non
trascurabili a generalizzare un comportamento a persone e a luoghi diversi. E' quindi necessario os-
servare attentamente il comportamento in tutte queste diverse situazioni.
Accanto a tale metodologia osservativa esiste un'altra tecnica che mira invece ad individuare i
collegamenti con la situazione in cui il comportamento si manifesta, cioè gli antecedenti e le conse-
guenze prodotte dal comportamento.
FASE 4: TECNICHE D'INTERVENTO
Le tecniche d'intervento adottate dal programmatore sono generalmente suddivise in due categorie,
a seconda che il loro impiego sia finalizzato ad incrementare, oppure a decrementare la frequenza,
la durata e l'intensità del comportamento sul quale è stato deciso d'intervenire.
La scelta e l'uso della tecnica avvengono dopo la designazione degli obiettivi e l'osservazione
iniziale. Nel caso in cui la frequenza, la durata o l'intensità del comportamento debbano essere
incrementate, si potrà ricorrere alle seguenti tecniche:
Controllo dello stimolo, che consiste nello strutturare la situazione-stimolo nel modo più
adeguato alla produzione delle risposte.
Rinforzo, che consiste nel far seguire il comportamento adeguato manifestato dal soggetto
da conseguenze positive di vario genere.
Modellamento, che consiste nel presentare al soggetto un modello che esegue la prestazione
richiesta (sfruttando quello che è definito 1'"apprendimento per imitazione").
Nel caso in cui il soggetto non possegga il comportamento oggetto d'intervento, sarà necessario
usare delle tecniche finalizzate in tal senso che sono, oltre a quelle già indicate, lo shaping (o
modellaggio) e lo shaining (o concatenamento), procedure che permettono al soggetto di acquisire
e produrre il comportamento desiderato con una precisa gradualità.
Quando invece la frequenza, la durata o l'intensità del comportamento devono essere decrementate,
sarà possibile ricorrere alle seguenti tecniche:
Estinzione, tecnica che consiste nel fare in modo che i comportamenti inadeguati non siano
rinforzati.
Rinforzo differenziale, tecnica che consiste nel rinforzare solo il comportamento adeguato e
sottoponendo a estinzione quello inadeguato.
Costo della risposta, tecnica che consiste nel far seguire al comportamento inadeguato la
perdita parziale o totale di un beneficio.
Time-out, tecnica che consiste nel sottrarre al comportamento inadeguato ogni tipo di
rinforzo per un certo periodo di tempo.
Saziazione ( o saturazione), tecnica particolarmente adatta all’eliminazione di gesti
stereotipati e che consiste nel far ripetere tali gesti fino a provocarne la scomparsa.
Ogni intervento deve, infine, poter essere verificato. Ciò è necessario per controllare l'efficacia o
l'inefficacia degli interventi adottati, per modificare eventualmente il programma e renderlo più
adeguato al raggiungimento degli obiettivi prefissati per garantire il controllo da parte di tutta la
comunità scolastica.
COGNITIVISMO
Mentre però la logica di questi periodi è nell'azione, nell'adulto è nel pensiero. Le organizzazioni
mentali inferiori sono in stretta relazione con quelle superiori, in maniera tale che l'ordine di
successione delle fasi di sviluppo appare costante. Ogni ristrutturazione cognitiva ha le sue basi
nelle organizzazioni precedenti ed è indispensabile alle successive, le operazioni logiche del
pensiero adulto sono già implicite nelle organizzazioni senso-motorie, una necessità logica collega
111
J. Piaget, 1936 pag. 23.
le varie fasi di sviluppo. E' necessario perciò per questa componente logica l'ordine di successione
delle fasi. Si deve tenere conto però che anche se l'ordine è necessario non significa che:
a) tutti i soggetti percorrono l'intero iter evolutivo,infatti, questo può essere interrotto o ritardato sia
da condizioni ambientali sia da condizioni interne dell'organismo;
b) l'iter sia lo stesso per tutti gli individui, alcune esperienze o le diverse società possono favorire
alcuni percorsi in luogo di altri. Il passaggio da uno sviluppo a quello seguente si avrà solo quando
si saranno realizzate le condizioni di struttura che lo renderanno possibile.
L'intelligenza può essere considerata come la forma superiore dell'interazione adattiva tra
l'organismo e l'ambiente. Affinché questa interazione si conservi e si conservi l'organismo (cioè le
strutture della conoscenza), deve esistere una situazione di adattamento tra questo e l'ambiente
esterno.
L'adattamento, per Piaget, si realizza mediante due processi tra loro complementari: l'assimilazione
e l'accomodamento.
ASSIMILAZIONE ACCOMODAMENTO
2
Geymonat, Tisato 1991 pag. 471-472
Per Piaget lo sviluppo del bambino si articola in quattro grandi stadi o periodi:
Periodo delle operazioni concrete dai 7 agli 11- Periodo delle operazioni formali che parte dagli
12 anni 11-12 anni
Stadio pre-operatorio
Gli aspetti caratterizzanti questo stadio sono la concettualizzazione, il pensiero per immagini e l'uni-
direzionalità. Il bambino comincia, infatti, a crearsi delle categorie e apprende a livello
rappresentativo ciò che ha appreso a livello senso-motorio: se prima riconosceva l'oggetto mutando
il contesto di cui faceva parte, ora lo riconosce anche mediante un simbolo (verbale, gestuale,
grafico), siamo però ancora al preconcetto perché il bambino associa subito al simbolo, per esempio
al nome la visione concreta dell'oggetto. Al bambino riesce ancora difficile concepire due idee
simultaneamente, poiché egli presta maggiore attenzione all'aspetto percettivamente più
appariscente; ad esempio: presi due contenitori, uno largo e basso, l'altro stretto e alto, e messo del
liquido nel primo, il bambino osserva e lo vede ad una certa altezza, se la stessa quantità viene
messa nell'altro, essendo più stretto, il medesimo liquido apparirà ad un’altezza maggiore: il
bambino, a questa età, concluderà affermando che dopo il travaso c’è più liquido, colpito dal vistoso
aumento dell’altezza! Questa Esperienza sperimentale, secondo lo psicologo svizzero, dimostra
l’assenza, ancora, nella mente del bambino del principio della “reversibilità”, prerequisito di quello
della “conservazione”.
Il pensiero a questo livello è intuitivo, non c'è una logica, non c'è ragionamento.
Il gioco impegna la maggior parte delle ore di veglia del bambino, attraverso di esso il bambino fa
come se seguisse davvero attività della vita reale, che possono andare dalle più semplici alle più
complesse. Non affrontiamo in questa sede l'importanza del gioco, ricordiamo solo che esso, come
il linguaggio, è certamente uno strumento di sviluppo.
Il linguaggio è primariamente usato dal bambino da un punto di vista personale, egocentrico; anche
fino ai sette - otto anni egli usa poche espressioni comunicative, presupponendo che tutti pensino a
suo stesso modo. Spesso i bimbi conversano con se stessi, pensano ad alta voce, cosicché veramente
ci rendiamo conto come il linguaggio sia "strumento del pensiero", ma il linguaggio serve
soprattutto a comprendere l'ambiente esterno e ad adattarvisi: è uno strumento di comunicazione nel
senso che favorisce i processi di accomodamento.
Piano di lavoro
Svilupperemo dapprima il piano di lavoro secondo l'ordine logico indicato in conclusione della
precedente introduzione, e con una numerazione indipendente dei nostri articoli da quelli del
programma dell'UNESCO. Solo dopo di ciò, faremo dei suggerimenti sull'ordine cronologico da
seguire per la sua esecuzione, cosa che permetterà di ristabilire la corrispondenza col programma di
numerazione del programma dell'UNESCO.
Psicologia dell’Apprendimento
– III Unità Didattica – Lezione 4
I.2 Esaminare la situazione attuale delle linee guida dell'educazione familiare e favorire ogni
movimento suscettibile di contribuire all'educazione dei genitori, non nel senso d'una pressione in
una qualunque direzione, ma d'una informazione esatta sulle conseguenze generali dei processi più
diffusi (fiducia o autorità o punizione ecc.) ch'essi sono portati a impiegare. Un'attenzione speciale
sarà riservata alle leghe di genitori e alle organizzazioni tendenti a riavvicinare la famiglia e la
scuola.
I.3 In collaborazione con il Dipartimento di scienze sociali potrebbe essere condotta un'inchiesta sui
conflitti tra generazioni e il ruolo (positivo o negativo) della famiglia negli atteggiamenti sociali
(specificatamente nazionali o internazionali) dell'adolescente. La più semplice ricerca a questo
proposito potrebbe per esempio consistere (in connessione con le ricerche già fatte sullo sviluppo
dell'idea di patria e degli atteggiamenti nei confronti degli altri popoli) nel determinare, in differenti
ambienti rappresentativi, fino a che punto, e sotto l'influenza di quali fattori, l'adolescente adotti gli
atteggiamenti del suo ambiente sociale o ne prenda le distanze.
I nidi e gli asili
Tra la famiglia e la scuola materna s'inserisce a volte un'istituzione la cui importanza pedagogica
può essere grande: nelle regioni industrializzate, e ovunque la madre è lontana da casa per le
necessità del suo lavoro, dei nidi o asili si sostituiscono alla famiglia in attesa dell'età dell'ingresso
nella scuola. Ora, in ambienti simili, il bambino piccolo fa una serie di nuove esperienze, relative le
une a delle attività diverse (gioco, materiale di costruzione ecc.), le altre agli scambi sociali
(specialmente con dei nuovi compagni che lo fanno uscire dall'abituale cerchia familiare). Esistono
dei nidi o asili eccellenti che mettono a profitto questa funzione di tramite per organizzare una vera
e propria educazione prescolastica. Ce ne sono, al contrario, altri in cui non se ne fa per niente e in
cui il bambino acquisisce una serie di abitudini nocive. E dunque necessario, in relazione con
l'educazione prescolastica preventiva, prevedere una doppia ricerca:
II. 1. In collaborazione con l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL, che fornirebbe senza
dubbio dati sulla difficoltà delle lavoratrici di sesso femminile ad assicurare l'educazione dei propri
figli) ed eventualmente con la Lega internazionale per l'educazione prescolastica, potrebbe esser
fatta un'inchiesta sull'organizzazione dei nidi e asili nei diversi Paesi, sulla loro attività educativa e
la preparazione del personale responsabile.
II. 2. Bisognerebbe quindi studiare i mezzi d'azione, in accordo sia con i movimenti d'educazione
familiare che con le organizzazioni per l'educazione prescolastica. Azione difficile in quanto, nella
maggior parte dei Paesi, tutto è ancora da organizzare, ma si potrebbe agire tramite
l'intermediazione di organizzazioni private o, eventualmente, con la pubblicazione dei risultati otte-
nuti in alcune esperienze privilegiate suscettibili di servire da esempio o da incitamento (non ne
conosco, ma dovrebbero essercene negli U.S.A. o in Inghilterra).
III. 2.2 Congiuntamente o in connessione con III. 2.1 la stessa documentazione sarà analizzata da
uno psicologo dal punto di vista delle convergenze o divergenze tra i risultati ottenuti e i dati
attualmente conosciuti sullo sviluppo del bambino tra i quattro e i sette anni (dal punto di vista delle
attività intellettuali e delle attitudini morali e sociali).
III. 2.3. Gli studi preparatori saranno allora sottoposti ad uno stage che riunisca le più
rappresentative personalità dell'insegnamento prescolastico incaricato di determinare cosa si possa
ottenere oggi dalle scuole materne, in quanto alla formazione delle attività sperimentali e degli
atteggiamenti sociali, dal doppio punto di vista della normale educazione preventiva e
dell'educazione internazionale. I documenti originati da III. 2.1 e III. 2.2 saranno pubblicati o diffusi
in molte copie per servire da base di discussione allo stage.
Psicologia dell’Apprendimento
– III Unità Didattica – Lezione 5
IV. 2. In connessione con questa prima inchiesta, o in modo distinto, bisognerà rimettere a punto la
vecchia ricerca del BIE sull'utilizzo dei metodi di lavoro a squadre. La formazione contemporanea
di un pensiero libero e di un pensiero suscettibile di reciprocità esige, in effetti, la possibilità d'una
collaborazione tra gli allievi stessi. Sia l'invenzione che la verifica sono stimolate dal lavoro in
comune, e quest'ultimo costituisce il miglior processo educativo per abituare lo spirito alla
coordinazione dei punti di vista, ossia a quella reciprocità intellettuale che è uno dei caratteri
fondamentali dello spirito internazionale.
La vecchia ricerca del BIE non ha potuto essere condotta tramite questionari presso i Ministeri della
Pubblica istruzione. Anche in questo caso, si tratterà di trovare e di scegliere un certo numero di
educatori specializzati, di pionieri o di realizzatori del lavoro a squadre, e poi di mettere insieme
qualche documento di prima mano su delle valide esperienze.
IV. 3. In quanto all'autonomia e alla reciprocità morali, solo i metodi del self-government hanno sin
qui costituito uno strumento educativo efficace. Se dunque si tratta di instaurare un'educazione
internazionale che non si riduca semplicemente a delle lezioni verbali, ma che faccia affidamento
sull'esperienza vissuta con l'educazione civica e le sue difficoltà, bisogna prevedere dalla scuola un
apprendimento della cooperazione distinto dalle relazioni tra maestro e allievo e fondato
sull'autonomia e la reciprocità stesse. Il self-government può a questo proposito presentare le forme
più diverse: semplice organizzazione del lavoro in comune da parte degli stessi allievi,
responsabilità della disciplina collettiva, organizzazioni parascolastiche (cooperative sociali, club
ecc.).
Si tratterà dunque di redigere una lista di queste possibilità interne o parascolastiche, avendo bene in
vista, da subito, l'utilizzo di alcune di queste dal punto di vista internazionale, e di redigere, in
questo caso dal principio, una raccolta di esperienze tipiche (che possano servire da modello) più
che un inventario esaustivo (che allora non sarebbe sincero e neppure completo). Anche su questo
punto si potrebbe ripartire dalla vecchia inchiesta del BIE, che però non è aggiornata né dal punto
di vista degli istituti che possono interessare né da quello delle varietà possibili del self-government.
Un paragone dettagliato dovrà essere fatto tra il self-government negli istituti ordinari (esternati che
ricevono allievi che vivono nella loro famiglia), i collegi e le comunità di bambini propriamente
dette. Non dimenticare a questo proposito le esperienze iniziali di Carcino a Civitavecchia che
abbiamo segnalato alla conferenza di Firenze.
IV. 4. Ammesso che un'educazione attiva, con lavoro a squadre e self-government costituisca la
condizione preliminare necessaria ad ogni educazione internazionale, si tratta quindi di esaminare
come l'essenza delle esperienze così vissute dal bambino, là dove esse lo sono, sia integrata
nell'insegnamento per la comprensione internazionale. Due tappe sono qui da distinguere. Si tratta,
in altre parole, di stabilire come si passa dalla democrazia a scuola alla comprensione della
democrazia civica e internazionale.
IV. 4.1 Estensione dei raggruppamenti o club locali in senso internazionale: rapporti con
raggruppamenti o club simili in altri paesi (corrispondenza, viaggi ecc.) ed eventualmente
integrazione in un'organizzazione internazionale (club internazionali).
IV. 4.2 Utilizzo delle esperienze vissute nelle lezioni stesse: tutte le difficoltà della vita in comune,
della reciprocità, della libera discussione senza ricorso alla forza, della sottomissione alle decisioni
comuni, del rispetto dei punti di vista contrari e delle minoranze, sono delle realtà che si
comprendono solo dopo un'esperienza propriamente vissuta. L'educazione internazionale può essere
considerata un'estensione dell'insegnamento dei diritti dell'uomo; ora, i diritti dell'uomo non si
insegnano: si conquistano con l'esperienza reale ed è solo dopo quest'esperienza vissuta che sono
assimilabili in un insegnamento. Si tratterà dunque di costituire una forte metodologia in educazione
internazionale concepita come un proseguimento dell'apprendimento dell'educazione civica degli
uomini, attraverso l'azione dei bambini stessi in seno ai loro raggruppamenti organizzati.
Queste parti IV. 4.1 e IV. 4.2 del piano d'azione dovranno senza dubbio essere affidate ad uno
specialista, tra coloro che redigeranno un testo o uno dei risultati di IV. 1, IV. 2 e IV. 3.
IV. 5. Uno stage incaricato di discutere i metodi così suggeriti e di studiare i mezzi di favorirne la
diffusione sarà di sicura utilità, ma solo dopo l'elaborazione completa dei risultati ottenuti e la
redazione delle proposte relative a IV. 4.
IV. 6. Converrà ugualmente, a seguito di uno stage di questo tipo, o delle inchieste preliminari
IV. 1-3, fornire eventualmente un aiuto finanziario alle più interessanti esperienze, provocare nuove
attività e stabilire una rete di esperienze associate che scambino regolarmente i loro risultati e si
stimolino così reciprocamente mentre esercitano la loro influenza sui movimenti degli educatori.
3
Piaget, 1999, pag.215-230.
Psicologia dell’Apprendimento
– III Unità Didattica – Lezione 6
Come si può notare, seguendo la freccia, il punto di partenza è l’ambiente esterno che fornisce gli
stimoli, seguono una serie di caselle, ognuna delle quali rappresenta le strutture (gli organi di senso,
ad esempio) e i rispettivi stati o funzioni del sistema. Pertanto, le informazioni, sotto forma di
energia fisica (un suono, ad esempio), colpiscono i nostri organi di senso che, dopo averle raccolte e
trasformate in impulsi elettrici, le trasmettono al cervello. Prima di essere processate, le
informazioni sono conservate in un registro sensoriale, una forma rudimentale di memoria a
brevissima durata. In questo primo magazzino i dati sono selezionati e ridotti per poi essere inviati
alla memoria a breve termine (MBT). La MBT, con capacità e durate limitate, elabora e collega le
informazioni.
La permanenza delle informazioni nella MBT può essere prolungata attraverso la ripetizione delle
informazioni; normalmente questo magazzino temporaneo trattiene i dati in numero molto limitato e
solo per il tempo necessario alla loro elaborazione, dopo di che passano alla memoria a lungo
termine (MLT).
La MLT ha capacità notevoli e durata illimitata. Secondo alcuni studiosi, un’informazione
depositata in essa non sarà mai cancellata, anche se può risultare impossibile recuperarla. Il modello
proposto non chiarisce, in modo adeguato, la distinzione tra percezione e memoria, non sempre
identifica in modo preciso dove avvengono i processi di elaborazione.
E’ importante sottolineare come questo modello preveda la presenza, nell’elaborazione, sia di dati
provenienti dalla realtà esterna sia da quella interna, almeno dalla MBT in poi. Tornando al tema
dell’oblio, vi sono autori che sostengono che possa avvenire per decadimento nei registri sensoriali,
per sostituzione nella memoria a breve termine o per le interferenze conseguenti ai nuovi
apprendimenti. Occorre, comunque, pensare la percezione e la memoria come processi costruttivi,
pertanto, “ricordare” non significa attingere ad un archivio, ma “ricostruire” un ricordo, basandosi
sulle tracce mnestiche presenti: questo spiegherebbe il perché i ricordi sono trasformati nel corso
degli anni quando sono rievocati.
Sono diversi i tentativi di applicare il modello HIP all’apprendimento, i primi risalgono agli anni
Sessanta, come il modello EPAM (Elementary Perceiver and Memorizer): sistema di simulazione
del comportamento umano quando deve trattare apprendimenti di tipo associativo.
Nel 1981 Anderson propone il modello ACT, più volte rivisto negli anni successivi. Questo
modello considera due tipi di conoscenza e si occupa di buona parte dei processi inerenti
all’apprendimento scolastico. Secondo questo modello vi sono due tipi di conoscenza: dichiarativa e
procedurale. La prima forma di conoscenza riguarda il sapere “cosa” (fatti, teorie, ecc.), è
conservata nella MLT. La conservazione avviene attraverso le “proposizioni”: unità d’informazione
contenente relazione e argomenti (“Francesco gioca”, ad esempio). L’insieme delle conoscenze
dichiarative può essere rappresentato da una rete di proposizioni, organizzata in set d’informazioni
aventi elementi in comune. La conoscenza dichiarativa è stata ripartita in memoria episodica e
memoria semantica. La memoria episodica si riferisce alle informazioni riguardanti scene ed eventi,
secondo modalità di tipo temporale. La memoria semantica riguarda le conoscenze che un individuo
ha rispetto ai simboli verbali, alle parole, ai significati e alle relazioni. Quando si tratta di capire
“come” fare qualcosa, allora si parla di conoscenza di tipo procedurale: conoscenza più dinamica e
più prossima alla realtà rispetto a quella dichiarativa.
Secondo il modello HIP, la conoscenza dichiarativa è rappresentata mediante nodi e relativi vettori.
Complessivamente, essa appare come un’ampia rete di proposizioni contenute nella struttura
cognitiva. Se seguiamo un’informazione nella mente umana si ha: dopo che essa è stata selezionata
e percepita, raggiunge la MBT che attiva le proposizioni correlate e quelle pertinenti depositate
nella MLT. L’attivazione si propaga attraverso i collegamenti tra le proposizioni. Ciò che di solito
si definisce “consapevolezza”, secondo il modello HIP corrisponde alle affermazioni attive in un
dato momento presenti nella MBT. Dopo essere state elaborate, l’informazione è inserita nel
sistema di conoscenze pertinenti presenti nella struttura cognitiva. L’informazione può essere
semplicemente depositata, in questo caso si parla di assimilazione, oppure può produrre nuove
conoscenze. Infatti, un’informazione nuova può innescare inferenze, nuovi collegamenti tra le
proposizioni già possedute per poi generare una nuova visione delle cose; in entrambi i casi si ha un
apprendimento significativo. Il processo di deposito dell’informazione nella MLT è supportato dalle
conoscenze precedenti, pertanto, i nuovi dati sono depositati nel “luogo” giusto, in funzione dei
significati già in possesso e delle categorie concettuali già determinate. E’ evidente che la
conservazione dei dati e il loro recupero può essere più o meno funzionale in base all’efficacia dei
processi utilizzati in queste operazioni. Se la conoscenza dichiarativa riguarda il “cosa”, quella
procedurale riguarda il “come”. Si tratta di un tipo di conoscenza operativa che tende a modificare
qualcosa, quando viene attivata. Questo modello, nella formulazione più recente, cerca di
armonizzare ulteriormente la ricerca con l’apprendimento scolastico, introduce, infatti, una
distinzione tra livello simbolico e sub-simbolico della cognizione.
Riconoscimento di forme
Il riconoscere qualcosa è strettamente legato al riconoscimento di forme. Le conoscenze procedurali
si basano su due processi fondamentali: generalizzazione e discriminazione. Generalizzare significa
applicare a situazioni diverse un determinato modello, adeguatamente modificato, tratto
dall’esperienza. La discriminazione è il processo inverso: sono inserite condizioni aggiuntive in una
produzione specifica che determina un restringimento della gamma di applicabilità. I modelli HIP si
occupano di dare spiegazioni delle differenze individuali. In linea con i presupposti teorici, secondo
alcuni studiosi le differenze individuali sono dovute all’Hardware (componenti strutturali del
sistema) e al Software (insieme di conoscenze acquisite).
Le presentazioni brevi, com’è la seguente, rischiano di risultare banalizzanti, tuttavia mi auguro che
il lettore si incuriosisca e ne approfondisca lo studio: scoprirà l'utilità e la "bellezza" dell'Analisi
Transazionale.
Per comprendere il vissuto di una persona (sentimenti, pensieri, emozioni...) si devono analizzare le
comunicazioni (transazioni) che mette in atto; la comunicazione può non essere rivolta all'esterno,
ma ciò non cambia che è da questo "fatto" oggettivo che bisogna partire: l'analisi delle transazioni
da cui “Analisi Transazionale” (AT). L'AT compie i primi passi nel 1949, si trattava di qualcosa di
molto diverso rispetto alle successive evoluzioni e all'odierno assetto, ciononostante è proprio in
quell'anno che Eric Berne (1910-1970) scrive un articolo aprendo, così, una strada che solo qualche
anno più tardi apparirà in tutta la sua originalità. Infatti, Berne, psichiatra americano, stava
seguendo un training di formazione psicoanalitica e solo nel 1956 si distaccò "ufficialmente" dalla
Psicoanalisi ortodossa. Ma l'influenza della psicoanalisi è piuttosto presente nei suoi scritti; d'altra
parte il fondatore dell'AT “era attratto dall'acutezza e profondità della psicoanalisi, e seccato per la
sua lentezza, complessità e rigidezza” (Woollams 1978, p. 21).
Altro strumento importante di dissidio era costituito dallo stesso "setting" psicoanalitico, cioè le
condizioni entro le quali si realizza la terapia: condizioni deresponsabilizzanti, che concedono uno
spazio non adeguato alle risorse della persona che chiede la psicoterapia (cliente). L'AT, come
appare chiaro, nasce in ambito clinico e si afferma come una Scuola di psicoterapia, ma ciò non ha
pregiudicato che il modello dell'AT ben presto fosse applicato in settori quali il mondo aziendale e
la Scuola con l'obiettivo di migliorare le relazioni umane, creare gruppi ben funzionanti ecc. Infatti
l'AT “appare come un metodo che si adatta in modo particolare agli insegnanti” (Chalvin 1986, p.
19); aiuta, senza diventare psicoterapeuti, a “conoscersi meglio, a diventare più pienamente
responsabili, a rispettare i propri sentimenti come quelli degli altri. Ci propone dei mezzi, ci
descrive dei procedimenti per pervenirci, ma non ci dà né ricette né soluzioni” (Idem).
Tutto ciò è più chiaro se si compie una piccola incursione in quel complesso d’idee che costituisce
la concezione dell'uomo dell'AT: la sua “filosofia”. L'AT sposa una filosofia positiva, umanistica,
che non solo fornisce il fondamento per le sue diverse applicazioni, ma promuove anche,
direttamente, il cambiamento, rendendone il processo sicuro, appassionante e spesso anche
divertente. La filosofia globale dell'AT inizia con il presupposto che “tutti sono OK”. Ciò significa
che ognuno di noi, a prescindere dal nostro stile di comportamento, ha un nucleo di fondo che è
degno di essere amato; tutti gli esseri umani possiedono, potenzialità, desiderio di crescita e di auto-
realizzazione.
Tutte le nostre parti hanno un'intenzione positiva e sono perciò importanti e utili per noi. Poiché
crediamo che tutte queste parti esistano, e hanno intenzioni positive, ci mettiamo diligentemente
alla loro ricerca e le troviamo.
Una volta stabilito il contatto con queste parti, facciamo attenzione ad esse (rivolgiamo loro delle
carezze), le nutriamo, favoriamo il loro pieno sviluppo. Questa filosofia conduce a ciò che è
probabilmente il presupposto più importante della teoria e della pratica dell'AT: “Io sono OK e tu
sei OK”.
Per favorire la cooperazione e la reciprocità nella relazione, l'AT sottolinea l'uso di contratti che
descrivono e proteggono i diritti e le responsabilità di ognuno.
La teoria dell'AT è basata su un modello decisionale.
Ciascuno di noi impara comportamenti specifici e decide un piano di vita nell'infanzia. Benché le
nostre decisioni infantili siano fortemente influenzate dai genitori e da altre persone, siamo noi
stessi che prendiamo queste decisioni nel modo caratteristico di ogni persona. Giacché siamo noi ad
aver deciso il nostro piano di vita, abbiamo anche il potere di cambiarlo, prendendo nuove decisioni
in qualsiasi momento. Per questo motivo ciascuno di noi è responsabile per la propria crescita,
poiché scegliamo di mantenere le nostre vecchie decisioni o di prenderne delle nuove. Nessuno può
farci cambiare. Ciascuno di noi è in ultima analisi responsabile solo per se stesso, e non per gli altri.
Per quanti tentativi facciamo, non possiamo rimproverare altri che noi stessi per il nostro
comportamento.
Tuttavia ci influenziamo gli uni gli altri, talvolta profondamente. E giacché tutti possiamo essere
OK, è preferibile che queste influenze siano positive, aumentando così la possibilità che ciascuno di
noi prenda decisioni che favoriscano la crescita. Questa, in sostanza, è l'AT!" (Woollams 1978, p.
19-21).
Psicologia dell’Apprendimento
– IV Unità Didattica – Lezione 2
Il diagramma della personalità, illustrato nella figura 1, mostra i tre stati dell'Io di base di una
persona. Una "pelle" esterna, che di solito non è disegnata, racchiude i tre cerchi per indicare che
sono tutte funzioni di un'unità destinata a formare una personalità. Questo è chiamato diagramma di
primo ordine, perché gli stati dell'Io non sono suddivisi in parti più piccole. Il diagramma della
personalità è sia "strutturale", come rappresentazione delle componenti biologiche e storiche degli
stati dell'Io, sia "funzionale", in riferimento al modo in cui sono usati. L'analisi strutturale si occupa
dello sviluppo storico e dell'innata capacità espressiva di ogni stato dell'Io; in altre parole, del
contenuto dello Stato dell'Io. L'analisi funzionale
descrive come una persona usa i suoi stati dell'Io per rapportarsi a se stesso e agli altri - in altre
parole, il funzionamento dello stato dell'Io1.
Vediamo ora ciascuno stato dell'Io più da vicino e distinguiamo meglio la differenza tra struttura e
funzione. Cominciamo con la seguente figura: La figura 2A riporta uno schema della struttura
mentale di una persona adulta, la 2B i modi che una persona ha a disposizione per usare le strutture
rappresentate in 2A. Pur non volendo addentrarci in una discussione circa la nascita e lo sviluppo di
1
Woollams 1978, p. 26-27
queste strutture in un bambino, occorre ben evidenziare che i genitori (e/o chi si prende cura del
bambino) esercitano un ruolo essenziale nella determinazione di contenuti di ciascuna struttura,
nonché nelle eventuali patologie; oltre alle influenze esterne, per l'AT è altrettanto essenziale la
capacità decisionale della persona: le scelte che da piccoli si fanno!
Psicologia dell’Apprendimento
– IV Unità Didattica – Lezione 3
Fig. 3
Un messaggio della mamma (sbrigati!) causa la reazione del figlio nel suo stato dell'Io Bambino,
nonché la registrazione del medesimo messaggio nel suo Genitore. In questo stato dell'Io vi sono
registrati messaggi importanti (Nastri) ricevuti da persone significative quando si era piccoli
(genitori, parenti, insegnanti). La capacità di selezionare i messaggi da registrare migliora con
l'aumentare dell'età. L'influenza di queste registrazioni sul comportamento di un individuo è
enorme; anche un’eventuale psicoterapia non cancella quanto registrato, ma permette alla persona
di avere una maggiore possibilità di scelta: oltre ai nastri “tradizionali” se ne aggiungono altri nuovi
e più adeguati agli obiettivi della persona.
L'analisi funzionale evidenzia che il Genitore funziona in due modi fondamentali: Genitore
Affettivo (GA) e Genitore Normativo (GN). Questo stato dell'Io non viene attivato solo nel caso in
cui una persona adulta si prende cura di un bambino, ma tutte le volte che una persona si prende
cura di qualcun altro. Il GA è premuroso, interessato, perdonante, rassicurante, permissivo,
protettivo, preoccupato. Il GN è dogmatico, potente, molto protettivo, radicato nei principi,
punitivo, esigente. Sia il GA sia il GN possono essere usati in modo positivo o negativo. Infatti, un
GA “troppo” premuroso, protettivo ecc. finisce con l'essere un GA negativo in quanto rende
difficile all'altro utilizzare le proprie capacità, attingere agli altri stati dell'Io oltre al Bambino
(magari Bambino Adattato negativo). Invece il GN negativo è “troppo” dogmatico, critico ed
esigente: diventa un vero persecutore per l'altro o per se stessi. Genitore, Adulto e Bambino hanno
tutti diritto alla stessa considerazione e occupano il loro posto legittimo in un’esistenza piena e
produttiva. L'AT compie il primo passo nella sua azione diagnosticando in quale stato dell'Io è la
persona in quel momento. Tale diagnosi si fonda sull’osservazione del comportamento, quindi della
comunicazione verbale e non verbale che un individuo manifesta: da questi elementi è possibile
costruirsi un’idea abbastanza precisa del suo vissuto inosservabile (quindi dello stato dell'Io).
Psicologia dell’Apprendimento
– IV Unità Didattica – Lezione 4
Le Transazioni
Osservando l'interazione tra due individui possiamo definire quali sono gli Stati dell'Io coinvolti: in
tale modo concretizziamo un'analisi delle transazioni (comunicazioni). Lo studio delle transazioni è,
ovviamente, essenziale per quest’approccio: da qui occorre partire per gestire comportamenti
inadeguati. Vi sono due generi di transazioni: semplici (quando coinvolgono solo due stati dell'Io) e
complesse (quando ne coinvolgono tre o quattro). A secondo di quali stati dell'Io vengono attivati,
possiamo distinguere: transazioni complementari, incrociate e ulteriori.
Transazioni complementari
Quando lo stimolo e la risposta sono paralleli e coinvolgono solo due stati dell'Io si parla di
transazioni complementari. La figura seguente illustra quanto detto:
Una transazione complementare ha le seguenti caratteristiche: la risposta deriva dallo stato dell'Io a
cui lo stimolo è stato diretto e la risposta torna allo stato dell'Io che ha fatto partire lo stimolo.
Transazioni incrociate
Si hanno quando le linee di comunicazione non sono parallele. Queste transazioni generano una
comunicazione difficile e poco soddisfacente.
Pur non potendo entrare in dettaglio, va evidenziato che la transazione incrociata può e deve essere
scelta quando si vuole attivare uno stato dell'Io diverso da quello presente nell'interlocutore: si può
trattare di una vera e propria scelta terapeutica. Ad uno studente che affermi “Sono un vero disastro
a scuola, finirò con il ritirarmi!” si può replicare chiedendo “Vuoi esaminare con me le tue
difficoltà?”. Lo studente parla da BA, ma riceve una risposta da uno stato dell'Io Adulto diretta al
suo Adulto.
Transazioni ulteriori
Una transazione ulteriore contiene un messaggio sociale e un (segreto) messaggio psicologico. Può
essere angolare o duplice. Una transazione angolare coinvolge tre stati dell'Io e si verifica quando i
messaggi sono inviati, simultaneamente, da uno Stato dell'Io di colui che dà l'avvio alla transazione
a due Stati di colui che la riceve. Quando si traccia il diagramma, il messaggio sociale è disegnato
come una linea continua, il messaggio psicologico invece con una tratteggiata". (Woollams, 1987,
p. 106).
Osserva le transazioni nella figura seguente. Una transazione duplice coinvolge quattro stati dell'Io,
due in ogni persona. Quando la comunicazione è a due livelli, sociale e psicologico, è il secondo
livello a segnare il destino della comunicazione. Il contenuto psicologico della comunicazione,
inoltre, è trasmesso attraverso il linguaggio non verbale.
Psicologia dell’Apprendimento
– IV Unità Didattica – Lezione 5
I Giochi
Un altro concetto fondamentale dell'AT è quello di “Gioco”. Berne definisce il gioco psicologico
come “una serie di transazioni complementari ulteriori che progrediscono verso una conclusione
possibile ben definita”2. Un alunno che persiste in un comportamento inadeguato, nonostante i
ripetuti richiami, forse sta mettendo in atto il gioco “prendetemi a calci”: infatti, la rabbia
dell'insegnante monta fino al punto in cui decide di punire l'alunno. Il risultato del gioco è un
“sentimento parassita” (si definisce così perché nasce sempre da una svalutazione). Anche se nel
gioco non vi è un tornaconto, non significa che si tratti di attività positiva, anzi. Il gioco si attua
escludendo l'Adulto, è ripetitivo, assorbe energie, crea sempre insoddisfazione. In Berne (1967) vi è
un approfondito esame dei giochi umani. Ogni individuo preferisce alcuni giochi rispetto ad altri:
riconoscere i propri giochi preferiti può essere il primo passo verso livelli di maggiore
soddisfazione visto che si può cambiare gioco o non giocare affatto (in questo senso!). Il discorso
sui giochi non può essere approfondito in questa sede per cui dopo questi brevi cenni affrontiamo
l'ultimo importante aspetto dell'AT: il copione.
Il copione
“Un copione è un piano di vita personale che un individuo decide in giovane età in reazione alla sua
interpretazione degli avvenimenti sia esterni sia interni” (Woollams, 1978, p.206). L'AT pone molto
l'accento sulla capacità decisionale della persona umana: i fatti della vita non incidono sulla persona
secondo un rapporto di causa-effetto, ma filtrati attraverso la capacità decisionale. Sono questi due
elementi a determinare l'atteggiamento della persona nei confronti della vita e di se stessa. Ogni
individuo conosce alcune regole che guidano la propria vita, altre possono avere enorme influenza,
ma non essere conosciute in modo chiaro. Il discorso sul copione è più di pertinenza della
psicoterapia, anche perché definire i contenuti del copione di vita di una persona non è fatto
immediato e semplice. La maggior parte delle decisioni che guidano la nostra vita è stata presa (in
modo conscio o inconscio) attorno ai tre anni d’età per cui è necessario “scavare” prima di acquisire
consapevolezza e, eventualmente, ridecidere. Il copione di vita di una persona contiene i "permessi"
2
Berne, 1967, p. 48.
le "ingiunzioni" e le "controingiunzioni". I permessi sono elementi di crescita per la persona,
consentono lo sviluppo del potenziale del bambino e quindi l'esercizio della sua libertà. Esempi di
permessi sono frasi del tipo: Puoi esser felice, Puoi essere del tuo sesso, Puoi esistere. Le
ingiunzioni (provengono dal Bambino della figura genitoriale) sono ordini che tendono a soffocare
il BL: Non esistere, Non godere, Non essere intimo. Le controingiunzioni, infine, (provengono dal
Genitore della figura genitoriale) sono ordini in positivo che tendono a contenere i “danni” delle
ingiunzioni: Sii perfetto, Sii forte, Compiacimi. Ad esempio, una controingiunzione “Sii perfetto” si
contrappone ad un’ingiunzione come “Non esistere”. L'insieme di questi messaggi, la qualità e la
forza di ciascuno di essi, determinano il copione di vita. Per concludere questa essenziale
esposizione dell'AT consideriamo, ora, alcune applicazioni in campo scolastico.
Psicologia dell’Apprendimento
– IV Unità Didattica – Lezione 6
Connessionismo o Associazionismo: è una teoria psicologica derivata dalla filosofia empirista del
XVII e XVIII secolo, secondo la quale ogni evento psichico complesso deriva da associazioni di
idee semplici, ossia dalla combinazione di elementi di ordine sensoriale che si organizzano sulla
base di determinate leggi associative. L’associazionismo ha come presupposto l’elementarismo e
descrive a livello psicologico quello che la riflessologia di I.P. Pavlov descrive a livello
neurofisiologico. Iniziato con le ricerche sull’apprendimento animale, poi estese all’apprendimento
umano, l’associazionismo ha trovato in H. Ebbinghaus il suo primo esponente con le sue ricerche
sulla memoria per verificare la frequenza delle associazioni, ossia il numero delle ripetizioni
necessarie per memorizzare. Rientrano in questo ambito la sua ricerca sulle sillabe senza senso e
altre dirette a sottolineare il grado di attività e di partecipazione del soggetto ai processi associativi e
di apprendimento. L’associazionismo ha trovato un suo sviluppo nel connessionismo di E. L.
Thorndike, per il quale ogni forma di apprendimento avviene in base alla connessione di stimolo e
risposta la cui intensività varia, oltre che da soggetto a soggetto, in base alla sua natura, descritta
dalle leggi associative quali la frequenza dello stimolo, la contiguità, la legge dell’effetto secondo
cui esistono forti probabilità che si ripeta, mentre, in caso di insoddisfazione, andrà gradatamente
spegnendosi.
Interazione: azione o influenza reciproca tra due variabili nel corso della quale ciascuna subisce
una modificazione per effetto dell’altra. Si può avere una:
- interazione statica:in relazione ai piani di ricerca statica della varianza, dove si misura
l’effetto di variabili indipendenti rispetto alla variabile dipendente;
- interazione sociale tra due soggetti, ciascuno dei quali modifica i propri comportamenti in
rapporto a quelli dell’altro, anticipandoli o rispondendovi;
- interazione simbolica, è l’aspetto del comportamento umano sul quale G. H. Mead basò la
sua teoria secondo cui l’uomo si distingue dagli animali per l’infinità di significati simbolici
che è in grado di apprendere e di immagazzinare vedendosi come è visto dagli altri.
Linguaggio: in generale l’uso dei segni intersoggettivi. Per intersoggettivi si intendono i segni che
rendono possibile la comunicazione. Per uso si intende: 1. la possibilità di scelta (istituzione,
mutazione, correzione) dei segni, 2. la possibilità di combinazione di tali segni in modi limitati e
ripetibili. La lingua è da intendere come un insieme organizzato di segni linguistici. La distinzione
tra lingua e linguaggio è stata fatta prevalere da Saussure che ha definito la lingua come “insieme
delle abitudini linguistiche che permettono ad un soggetto di comprendere e di farsi comprendere”.
Percezione: la percezione è ciò che ci consente di accedere a qualche cosa, a ciò che “c’è”: è
apertura all’effettività, conoscenza delle esistenze. Questa prima definizione, apparentemente
evidente, permette di cominciare a caratterizzare la percezione per differenza rispetto a ciò che non
è. La percezione si distingue anzitutto dal pensiero in senso stretto proprio per il suo carattere
sensibile, a cui corrisponde la presenza concreta di qualcosa. Si distingue in secondo luogo dal
sentimento, in quanto apre a un’esteriorità invece di ridursi all’esperienza di uno stato dell’io: La
percezione è dunque caratterizzata da una doppia dimensione. Da un lato è un modo di accesso alla
realtà quale è in se stessa; nella percezione in nessun momento ho la sensazione di avere a che fare
con un doppione, con una immagine della cosa: ho, al contrario la convinzione di scoprire una realtà
che precede il mio sguardo, così come esisteva prima ancora che la percepissi. Dall’altro la
percezione è sensibile, vale a dire mia: è l’esperienza che io ho della realtà. Si traduce in questo
modo il fatto incontestabile che, senza soggetto percepente, precisamente senza organi di senso,
niente apparirebbe. È sufficiente distogliere lo sguardo o chiudere gli occhi perché scompaia un
pezzo intero dello spettacolo, oppure spostarsi perché il paesaggio cominci a muoversi: proprio
mentre si dà a noi come precedente la nostra esperienza, il percepito sembra allo stesso tempo
totalmente tributario della nostra soggettività sensibile. Nell’esperienza immediata coesistono,
dunque, due evidenze opposte; la percezione si fa laggiù, nel mondo, e si fa in me, raggiunge la
cosa così come è in sé e coglie questa stessa cosa attraverso degli stati del soggetto. Se queste due
dimensioni sono conciliabili agli occhi dell’esperienza esse si rivelano al contrario incompatibili
non appena si tenti di nominarle, non appena la riflessione tenti di impadronirsene. Ora, come è
possibile partire da stati soggettivi, immanenti, e dunque relativi, e accedere a ciò che risposa in sé e
non è relativo che a se stesso? Come può il vissuto raggiungere una cosa spaziale che gli è
profondamente estranea? Questo è il problema della percezione, così come è posto essenzialmente
dalla tradizione filosofica. Così formulato il problema riposa interamente sull’assimilazione,
considerata come ovvia e pacifica tra le due caratterizzazioni della percezione: il “qualcosa” non
può designare che la cosa estesa nello spazio e la percezione uno stato soggettivo. Non ci sarà in
questo ragionamento una grave incoerenza? Si conferisce in prima istanza un senso determinato
all’essere del percepito così come a quello del percepente, si comincia con il sottomettere la
percezione a delle categorie disponibili, quelle del soggetto vissuto e dell’oggetto esteso – categorie
edificate dal cartesianesimo – e si sfocia allora nella problematica questione della relazione fra il
soggetto e l’oggetto. Se è vero che nella percezione qualcuno percepisce qualche cosa, niente ci
autorizza a definire questo “qualcuno” come un insieme di stati soggettivi e questo “qualche cosa”
come un oggetto esteso. Si può al limite affermare che un soggetto raggiunga un oggetto, senza con
ciò pregiudicare il senso stesso di queste nozioni. L’incoerenza consiste nella subordinazione
aprioristica della percezione, è la percezione stessa, in quanto originario accesso alla realtà, che può
liberarcene il senso.
Semantica: la dottrina che considera il rapporto dei segni con gli oggetti cui si riferiscono, cioè il
rapporto di designazione. La semiotica rappresenta quella parte della linguistica che studia,
analizza, la funzione significatrice dei segni, i nessi tra i segni linguistici e i loro significati.
Stimolo: qualsiasi manifestazione o variazione di energia all’esterno o all’interno dell’organismo
che abbia luogo con una certa rapidità, che raggiunga una determinata intensità e che perduri per un
determinato periodo di tempo. in psicologia sperimentale lo stimolo è una variante in relazione ad
altre due varianti che sono il comportamento o la personalità (o organismo) tra loro correlate dalla
formula C=f(S↔P)che descrive la dipendenza del comportamento dall’interazione tra stimolo e
personalità. Lo stimolo è, inoltre, alla base degli studi sulla percezione.