3 - Hávamál - Il Discorso Di Hár

Scarica in formato docx, pdf o txt
Scarica in formato docx, pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 37

LJÓÐA EDDA

HÁVAMÁL

IL DISCORSO DI HÁR

Il poema
Il contenuto
Le redazioni
Genere e metrica
Suddivisione critica
Edizioni italiane

Il poema

L'Hávamál, o «Discorso di Hár», è la seconda composizione della Ljóða Edda. Come la Vǫluspá, anche
questo è un lungo monologo, e a parlare è lo stesso Óðinn, qui chiamato con l'epiteto di Hár, «alto» o
«eccelso», da cui anche gli altri titoli con i quali il poema è conosciuto in traduzione italiana: Discorso
dell'Alto o Discorso dell'Eccelso. Evidenze storiche e linguistiche mostrano che le sue parti più antiche
risalgono con ogni probabilità all'inizio del X secolo.

Óðinn il Viandante (✍ 1886)


Georg von Rosen (1843-1923)
Illustrazione (Sanders 1893)
La parte di argomento sapienziale è limitata rispetto a quella sentenziale: buona parte del lunghissimo
poema è infatti occupato da una lunga sequenza di massime che riguardano le occorrenze della vita
quotidiana e il giusto comportamento da tenersi nei rapporti tra gli uomini, e tra uomo e donna. Da questo
punto di vista il poema risulta interessantissimo come documento psicologico del mondo rurale della
Scandinavia medievale, fatto di un'esistenza semplice e rude, a tratti cinica, venata di un rozzo eroismo. Ne
sortisce il ritratto di un popolo piccolo ma vigoroso, tenace e fiero, avvezzo alla lotta contro una natura ostile
e alla sopravvivenza in tempi di violenza e di sopraffazione.
La parte più strettamente sapienziale comprende invece alcuni preziosi passaggi sulle rune e sui canti
magici. Vi sono poi rapide esposizioni di tre importanti miti riguardanti Óðinn: la mancata seduzione della
figlia di Billingr, il furto dell'idromele della poesia, l'acquisizione delle rune da parte di Óðinn.

Il contenuto

Mentre la Vǫluspá è l'opera unitaria di un poeta, l'Hávamál è una compilazione di pezzi di diversa origine e
provenienza, «cuciti» insieme a formare un lungo monologo che tratta della vita quotidiana, dei rapporti
umani, delle relazioni tra i sessi, delle rune e dei canti magici, con alcuni episodi mitologici inseriti nel
discorso in qualità di esempio. Né le varie parti sono omogenee in sé stesse: un certo numero di strofe sono
state ricollocate all'interno del poema nel chiaro tentativo – non sempre ben riuscito – di seguire una
sequenza argomentativa. Tutto questo si nota per le brusche variazioni nel metro e per un discorso privo di
un ordine chiaro, irto di tortuosità e di salti logici. La critica moderna ha ravvisato nel poema un certo
numero di fonti distinte: le varie suddivisioni effettuate dagli studiosi non sono però sempre coincidenti.
Ragion per cui, ne proponiamo una nostra.
Ma esaminiamo il contenuto del poema:

[1-79]. La prima parte viene generalmente intitolata Gestaþáttr, «capitolo dell'ospite». In una lunga serie di
massime, vi si tratta dei doveri dell'ospitalità, si invita alla prudenza e alla circospezione, si consiglia la
moderazione nel mangiare, nel bere, nel dormire, nel parlare. Si discute dell'amicizia, che va accuratamente
coltivata, mentre dai falsi amici e dai nemici bisogna ben guardarsi. Si tratta della giocondità, della cortesia,
dei rapporti tra uomo e uomo. È bello accettare l'ospitalità, ma preferibile avere una dimora propria per
quanto piccola e mal messa; splendidi sono i doni della vita, ma il bene supremo è una fama che sopravviva
alla morte; non bisogna vivere nascondendosi o rifuggendo i pericoli, ma combattere, affermarsi,
conquistare la gloria.

[81-95]. Segue una sezione un po' meno omogenea, a cui si fa riferimento come Mansǫngr, «canzone degli
uomini». Vi si tratta di diversi argomenti, che vertono per lo più sui rapporti tra uomini e donne, tracciati
con una buona dose di cinismo. La morale è che non è prudente fidarsi delle donne, le quali sono volubili di
natura e false nel cuore, e se si vuole sedurre una ragazza è lecito adularla e farle doni perché lei si conceda.

[96-102]. Nel Billingsmeyarþáttr, «capitolo della figlia di Billingr», Óðinn narra del suo tentativo di


seduzione di un'anonima fanciulla, definita semplicemente come figlia di Billingr, che si conclude con un
nulla di fatto: il dio viene gabbato e schernito dall'astuta ragazza e deve scappare senza aver avuto quello che
voleva. Questo mito, di cui non abbiamo altre fonti, viene accennato col solito stile rapido e privo di dettagli.

[104-110]. Nel Gunnlaðarþáttr, «capitolo di Gunnlǫð»,  assistiamo a un nuovo tentativo di seduzione,


questa volta ai danni di Gunnlǫð, figlia di Suttungr, che si conclude questa volta con la vittoria di Óðinn.
L'impresa erotica è però finalizzata al furto dello skáldskapar mjǫðr, l'idromele della poesia; si introduce nel
poema il motivo dell'acquisizione della sapienza poetica, magica e runica. (Due strofe
del Gestaþáttr, [13] e [14], sono forse originarie di questa sezione.)

[111-137]. Segue una parte abbastanza compatta a cui viene dato il titolo di Loddfáfnismál, «discorso di
Loddfáfnir», che si ha ragione di credere sia stato il nucleo originale dell'Hávamál. Si tratta qui di una nuova
serie di massime, che Hár (Óðinn) elargisce al giovane Loddfáfnir. Questa volta a parlare non è Óðinn, ma
qualcuno (forse lo stesso Loddfáfnir) che afferma di aver udito l'intero discorso nelle «sale di Hár».
Le massime, questa volta introdotte da una lunga formula di apertura («Ti consiglio, Loddfáfnir | e tu accetta
il consiglio»), non sono molto diverse nel contenuto da quelle che comparivano nel Gestaþáttr.

[138-145]. È la sezione intitolata Rúnatal, «dissertazione sulle rune». Óðinn vi racconta in prima persona di


come rimase appeso nove notti al tronco del gran frassino Yggdrasill, con una lancia e sacrificato a sé stesso,
per impossessarsi dei segreti delle rune. Si tratta dell'unica trattazione – svolta nel solito modo rapido e
oscuro tipico della poesia gnomica – di questo mito importantissimo. La sezione si conclude con alcune
strofe che trattano delle rune, le cui differenze di metro e di forma attestano però una diversa provenienza.

[146-163]. Segue il Ljóðatal, «dissertazione sui canti magici». Óðinn elenca diciotto tra i più potenti canti
magici che conosce, dei quali spiega le proprietà, pur senza enunciarli. Anche qui sono confluite alcune
strofe di diversa provenienza, come la [162] che fa di nuovo riferimento a Loddfáfnir.

[164]. L'ultima strofa sembra provenire dal Loddfáfnismál, di cui era evidentemente la conclusiva, ma è stata
spostata in fondo il poema a mo' di chiusa generale.

Le redazioni

L'Hávamál  ci è pervenuto nel solo Codex Regius ed è assente in ogni altro manoscritto. Snorri, nella
sua Prose Edda, ne cita soltanto una strofa, la prima, che in tre dei quattro manoscritti snorriani è mancante
di un verso (soltanto nel Codex trajectinus [T] la citazione è completa). Tre semiversi della strofa [84] sono
citati nella Fóstbrǿðra saga; tre semiversi della strofa [138] si trovano anche nello Svipdagsmál [30].
Al contrario, la strofa Vafþrúðnismál [10] ricorda il genere di sentenze che compongono l'Hávamál: si
ritiene provenga da qualche raccolta di tal genere.

Genere e metrica

L'Hávamál  è un essenzialmente un poema sentenziale che, al contrario degli altri presenti nella raccolta
della Ljóða Edda, svolge essenzialmente un'operazione di ammaestramento morale sotto forma di massime e
consigli; in secondo luogo tratta di rune e di canti magici; le vicende mitologiche rivestono una minore
importanza e sono perlopiù ricordate a scopo di esempio.

Essendo un'opera composita, l'Hávamál  non segue un unico metro. Nel corso del componimento, le varie
strofe si svolgono in molti metri diversi, spesso alternandosi disordinatamente. Il più frequente è il «metro
strofico» [ljóðaháttr], che, come abbiamo detto, è legato alla poesia sentenziosa, ai testi dai contenuti
magico-formulari o proverbiali. Nella sua forma canonica il «metro strofico» è formato da quattro versi, in
cui due «lunghi», costituiti da due semiversi, si alternano a due «pieni», formati di un solo semiverso.
Tuttavia, l'Hávamál presenta, oltre a strofe dal metro regolare, delle varianti delle stesse, spesso formate da
un numero di versi superiore a quattro e con versi «lunghi» seguiti da sequenze di due o più versi «pieni».
Tutta la sezione del Gestaþáttr [1-79] segue con buona regolarità il «metro strofico». Segue una strofa a
parte, di argomento runico [80], che presenta una variante dello stesso metro (un unico verso «lungo»
seguito da quattro versi «pieni»).

All'inizio della sezione successiva, il Mansǫngr [81-90], vi è un improvviso mutamento del metro, che passa
al «metro delle canzoni» [málaháttr]. Ogni strofa è formata da un certo numero di versi «lunghi» (in genere
quattro o sei) ciascuno costituito a sua volta di due semiversi. All'interno di detta sezione si presenta però
ulteriori variazioni metriche. Ad esempio, la strofa [84] ritorna al «metro strofico», le strofe [85-87] sono in
«metro epico» [fornyrðislag] (una variante del «metro delle canzoni» con versi di quattro sillabe anziché
sei), la strofa [88] ritorna ancora una volta al «metro strofico», le strofe [89-90] sono di nuovo nel «metro
delle canzoni». Tali caotici mutamenti del metro indicano senza dubbio la presenza di strofe e componimenti
in origine indipendenti, interpolati nel nostro poema.
A partire dalla strofa [91], l'Hávamál ritorna nel regolare «metro strofico». Il Loddfáfnismál [111-
137] prosegue nello stesso metro, ma le strofe si fanno irregolari nel numero dei versi e nella sequenza di
«lunghi» e «pieni». Il Rúnatal, la sezione relativa all'acquisizione delle rune da parte di Óðinn, prosegue
nello stesso metro fino al verso [141]. Seguono due strofe [142-143] sulla scienza runica che presentano la
stessa struttura della strofa [80], il che fa pensare che queste tre strofe provenissero da uno stesso poema. La
strofa [144] torna al «metro delle canzoni». Dopodiché il poema ritorna al «metro strofico» fino alla
fine [145-164].

In questa pagina, per ragioni grafiche, i due semiversi che compongono i «versi lunghi» sono stati spezzati e
disposti su due righe. Così le strofe, originariamente costituite da quattro o più versi, sono ora organizzate su
sei o più righe. Ecco, per confronto, la versificazione corretta della strofa [1], in «metro strofico»
[ljóðaháttr]:
Gáttir allir áðr gangi fram
um skoðaz skyli
um skygnaz skyli;
Þvi at óvist er at vita hvar
ovinir
sitja á fleti fyrir.

E la versificazione rigorosa della strofa [81], in «metro epico» [fornyrðislag]:

At kveldi skal dag leyfa, konu, er brennd


er,
mæki, er reyndr er, mey, er gefin er,
ís, er yfir kemr, ǫl, er drukkit er.

È evidente che la nostra organizzazione del testo non permette di distinguere, strofa per strofa, il metro
originale. A questo viene in aiuto l'apparato di note. Si tenga ben presente che, nella versificazione, i numeri
arabi indicano le strofe e le lettere, per comodità, i singoli semiversi, che nella nostra organizzazione del
testo corrispondono alle righe.

Suddivisione critica

Se classifichiamo le strofe, potremmo azzardarci a ipotizzare da quante fonti siano esse derivate. La nostra
conclusione è che il materiale possa essere fatto risalire, secondo il metro e l'argomento, a un numero
massimo di nove fonti. È possibile che alcune di tali fonti possano venire identificate: quanto qui risulta è
una semplice applicazione del metodo proposto.
Edizioni italiane

Escludendo le strofe scorporate presenti nelle antologie, la prima traduzione dell'Hávamál, sebbene non
integrale, è quella presente nel libro I canti dell'Edda, a cura di Olga Gogala di Leesthal, pubblicato nella
collana «I grandi scrittori stranieri» dalla UTET (Torino 1939). Suddiviso in canti separati, dal titolo
di Havamal (nel quale si distinguono a sua volta un «Primo esempio di Odino» e un «Secondo esempio di
Odino»), Loddfafnesmal [111-137] e Canto runico di Odino [138-145], è una traduzione metrica in quartine
di endecasillabi alternati a settenari. Sebbene non possa essere considerata una traduzione letterale, è sorretta
da un buon corredo di note.

Tutte le porte, pria di entrare in casa


son da guardarsi e da provare bene:
non si sa mai se dietro quella soglia
non attenda un nemico.

Segue la traduzione di Alberto Mastrelli, nel libro L'Edda. Carmi norreni, nella collana «Classici della
religione», edita da Sansoni (Firenze 1951, 1982). Intitolata, sciogliendo l'epiteto, Havamal. Il carme di
Odino, è in versi liberi, con le coppie di semiversi «cucite» in versi interi. Abbastanza libera, ma rigorosa,
fittamente annotata.

Tutte le porte, prima di entrare


      si guardino con attenzione,
      si considerino con cura,
poiché non si sa se un nemico
      ti attende nell'atrio.

Un'altra traduzione, con il titolo tradotto direttamente in Canzone dell'Eccelso, è quella fornita da
Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, nell'antologia Il canzoniere eddico, edito da Garzanti (Milano
1982). Di nuovo versi liberi, sebbene i semiversi siano evidenziati, presenta un corredo di note ridotto al
minimo e non giustifica molte scelte, non sempre felici, nella traduzione.

Ogni ingresso, prima che si attraversi,


dev'essere spiato
dev'essere scrutato:
ché non si può sapere dove nemici
si trovino seduti nella sala.
Più recente, un'edizione monografica, tradotta e curata da Antonio Costanzo, intitolata Hávamál. La voce di
Odino, per la Collana di Studi Nordici (di cui è l'unica pubblicazione) della Diana Edizioni (Frattamaggiore
2010). Al ridicolo sottotitolo, Il testo sacro degli antichi vichinghi, fa da contraltare la singolare ricchezza
del libro. Il testo originale affianca l'ottima traduzione, in versi liberi. Nella prima parte del libro, ogni
singola strofa è corredata di un commento del curatore, perlopiù paccottiglia esoterico-spiritualista di scarso
spessore. Nella seconda parte del libro, assai più interessante, vengono invece fornite molte preziose
indicazioni di natura filologica e lessicale. In appendice, le immagini delle pagine 3r-7v del Codex
Regius con il testo dell'Hávamál.

Tutti gli usci prima che si proceda,


devono essere scrutati,
devono essere osservati,
perché non si sa per certo dove nemici
attendano in sala.

LJÓÐA EDDA
HÁVAMÁL

IL DISCORSO DI HÁR

Il capitolo dell'ospite (1-79)


Il canto degli uomini (81-95)
Il capitolo della figlia di Billingr (96-102)
Il capitolo di Gunnlǫð (104-110)
Discorso di Loddfáfnir (111-137)
Dissertazione sulle rune (138-145)
Dissertazione sui canti magici (146-163)
Chiusa (164)
Note
HÁVAMÁL

IL DISCORSO DI HÁR

[Gestaþáttr] [Il capitolo dell'ospite]


Il capitolo 1 Gáttir allir Tutte le porte
dell'ospite. áðr gangi fram prima di varcarle
um skoðaz skyli vanno spiate,
um skygnaz skyli; vanno scrutate,
Þvi at óvist er at vita ché dubbio sovviene
hvar ovinir se nemici siedano
sitja á fleti fyrir. nella sala [che ti sta] davanti.
2 Gefendr heilir! Ai generosi, salute!
Gestr er inn kominn! L'ospite venga dentro!
hvar skal sitja sjá? Dove dovrà sedere?
mjǫk er bráðr Va assai velocemente
sá er á brǫndom skal accanto al focolare
síns um freista frama. chi esibisce le sue doti.
3 Eldz er þǫrf Di fuoco c'è bisogno
þeims inn er kominn per chi è venuto dentro
ok á kné kalinn; ed ha le ginocchia gelate.
matar ok váða Di cibo e vestiti
er manne þǫrf, necessita l'uomo
þeim er hefir um fjall farit. che ha percorso la montagna.
4 Vatz er þorf Di acqua c'è bisogno
þeim er til verðar kømr, per chi al banchetto viene,
þerro ok þjóðlaðar, di tovaglioli e di cortesi inviti,
góðs um ǿðis, di animo ben disposto,
ef sér geta mætti, se riesca a ottenerlo,
orðz ok endrþǫgo. di conversazione e di silenzio.
5 Vitz er þǫrf Di intelligenza c'è bisogno
þeim er víða ratar; per chi viaggia per lungo;
dælt er heima hvat; ogni cosa è facile a casa.
at augabragði verðr Si ammicca [prendendosi gioco]
sá er ekki kann di chi nulla sa
ok með snotrom sitr. e siede tra i sapienti.
6 At hyggjandi sinni Del proprio intelletto
skylit maðr hrǿsinn vera, non dovrebbe l'uomo vantarsi,
heldr gætinn at geði; al contrario, sia misurato nell'animo.
þá er horskr ok þǫgull Sia attento e silenzioso
kømr heimisgarða til, quando giunge a un cortile:
sjaldan verðr víti vǫrom, di rado il prudente ha danno;
þvíat óbrigðra vin perché un amico più fidato
fær maðr aldregi l'uomo non ha mai trovato
en manvit mikit. di un gran buon senso.
7 Enn vari gestr L'ospite prudente
er til verðar kømr, che viene al banchetto,
þunno hljóði þegir, tace aguzzando l'udito,
eyrom hlýðir, con le orecchie ascolta
en augom skoðar; e con gli occhi osserva;
svá nýsiz fróðra hverr fyrir. così ogni uomo prudente scruta
intorno.
8 Hinn er sæll È lieto colui
er sér um getr che per sé ottiene
lof ok líknstafi; lodi e favori.
ódælla er við þat Ardua è la cosa
er maðr eiga skal che l'uomo deve ottenere
annars brjóstum í. nel petto di un altro.
9 Sá er sæll È lieto colui
er sjálfr um á che in sé possiede
lof ok vit meðan lifir; lodi e saggezza.
þvíat ill ráð Perché cattivi consigli
hefir maðr opt þegit l'uomo ha spesso ricevuto
annars brjóstom ór. dal petto di un altro.
10 Byrði betri Bagaglio migliore
berrat maðr brauto at non si porta l'uomo in viaggio
en sé manvit mikit; di un gran buon senso.
auði betra Della ricchezza, migliore
þikkir þat í ókunnom stað, ti si rivela in un paese sconosciuto:
slíkt er válaðs vera. tale è la salvezza del disperato.
11 Byrði betri Bagaglio migliore
berrat maðr brauto at non si porta l'uomo in viaggio
en sé manvit mikit; di un gran buon senso.
vegnest verra Provvista peggiore
vegra hann velli at non ci si porta per campi
en sé ofdrykkja ǫls. del bere smodato di birra.
12 Era svá gott, Non è così buona
sem gott kveða come buona dicono
ǫl alda sonom; la birra per i figli degli uomini.
þvíat færa veit Poiché poco controllo ha
er fleira drekkr, l'uomo che troppo beve
síns til geðs gumi. del suo intelletto.
13 Óminnis hegri heitir «Airone dell'oblio» è chiamato
sá er yfir ǫlðrom þrumir, chi indugia in birreria;
hann stelr geði guma; quello che rapisce la ragione all'uomo.
þess fugls fjǫðrom Dalle penne di quell'uccello
ek fjǫtraðr vark io stesso venni incatenato
í garði Gunnlaðar. nella fortezza di Gunnlǫð.
14 Ǫlr ek varð, Ebbro io divenni
varð ofrǫlvi, ebbro senza misura,
at ins fróða Fjalars; accanto al saggio Fjalarr.
því er ǫlðr bazt, Ché la birra è ottima,
at aptr uf heimtir a patto che mantenga
hverr sit geð gumi. il suo intelletto, l'uomo.
15 Þagalt ok hugalt Silenziosa e accorta
skyli þjóðans barn sia di un capo la schiatta
ok vígdjarft vera; e audace in battaglia.
glaðr ok reifr Lieto e sorridente
skylii gumna hverr sia ciascun uomo
unz sinn bíðr bana. finché non sia ucciso.
16 Ósnjallr maðr L'uomo vile
hyggz muno ey lifa, crede vivrà per sempre
ef hann við víg varaz; se evita le battaglie.
en elli gefr Ma la vecchiaia non porta
hánom engi frið, a lui nessuna pace,
þótt hánom geirar gefi. anche se gliela portano le armi.
17 Kópir afglapir Sta immobile lo stolto
er til kynnis kømr, che dai conoscenti è andato;
þylsk hann um eða þrumir; farfuglia tra sé e indugia.
alt er senn, Ma poi gli passa
ef hann sylg um getr, se ottiene da bere:
uppi er þá geð guma ecco che si rivela il carattere.
18 Sá einn veit Solo uno conosce,
er víða ratar chi molto ha vagato
ok hefir fjǫlð um farit, e molto ha viaggiato,
hverjo geði che carattere
stýrir gumna hverr, possegga ciascun uomo:
sá er vitandi er vits. lui possiede la saggezza.
19 Haldit maðr á keri, Non trattenga [a sé] l'uomo il
drekki þó at hófi mjǫð, bicchiere,
mæli þarft eða þegi; e beva con misura l'idromele,
ókynnis þess parli sensatamente o taccia.
vár þik engi maðr, Di cattive maniere
at þú gangir snemma at sofa. nessun uomo ti farà colpa
se tu vai presto a dormire.
20 Gráðugr halr, L'ingordo
nema geðs viti, che non conosce misura
etr sér aldrtrega; mangia e si ammala.
opt fær hlǿgis, Spesso l'accolgono le risa,
er með horskom kømr, quando tra gente accorta arriva
manni heimskom magi. la pancia di un uomo sciocco.
21 Hjarðir þat vito Le greggi ben sanno
nær þær heim skolo quando devono tornare a casa
ok ganga þá af grasi; e andarsene dai pascoli.
en ósviðr maðr Ma l'uomo insavio
kann ævagi non conosce mai
síns um mál maga. la misura della sua pancia.
22 Vesall maðr L'uomo incapace
ok illa skapi e di cattivo gusto
hlær at hvívetna; ride per ogni cosa.
hitki hann veit Quello che lui non sa
er hann vita þyrpti, e che dovrebbe sapere:
at hann era vamma vanr. che non è privo di difetti.
23 Ósviðr maðr L'uomo insavio
vakir um allar nætr sta sveglio tutte le notti
ok hyggr at hvívetna; e si preoccupa di tutto.
þá er móðr Così è sfinito
er at morni kømr; quando viene il mattino;
alt er víl, sem var. tutte le sue miserie son [rimaste] qual
erano.
24 Ósnotr maðr L'uomo insavio
hyggr sér alla vera crede gli siano tutti
viðhiæjendr vini; quelli che gli sorridono, amici.
hitki hann fiðr, Non si accorge affatto
þótt þeir um hann fár lesi, se gli tendano tranelli,
ef hann með snotrom sitr. quando tra i saggi siede.
25 Ósnotr maðr L'uomo insavio
hyggr sér alla vera crede gli siano tutti
viðhlæjendr vini; quelli che gli sorridono, amici.
þá þat finnr Ed ecco si accorge,
er at þingi kømr, quando arriva all'assemblea,
at hann á formælendr fá. che ha pochi sostenitori.
26 Ósnotr maðr L'uomo insavio
þikkiz alt vita, pensa di saper tutto
ef hann á ser i vá vero; se sta da solo in un canto.
hitki hann veit, Ma nulla sa
hvat hann skal við kveða, quando deve parlare in risposta,
ef hans freista firar. se qualcuno lo mette alla prova.
27 Ósnotr maðr L'uomo insavio
er með aldir kømr, quando si trovi con gli uomini
þat er bazt at hann þegi; questo è meglio, che taccia.
engi þat veit Nessuno però sa
at hann ekki kann, che lui non sa nulla,
nema hann mæli til mart, purché non parli troppo.
veita maðr, Ma l'uomo che non sa,
hinn er vætki veit, questo neppure sa:
þótt hann mæli til mart. che a volte parla troppo.
28 Fróðr sá þykkiz Saggio lo stimano
er fregna kann chi sa fare domande
ok segja it sama; e parlare a tono.
eyvito leyna Nulla celare
mego ýta sønir, possono i figli dell'uomo
því er gengr um guma. di quello che capita ai mortali.
29 Ǿrna mælir In abbondanza dice,
sá er æva þegir chi mai tace,
staðlauso stafi; ciance insensate.
hraðmælt tunga La lingua chiacchierona
nema haldendr eigi, se non è trattenuta
opt sér ógott um gelr. spesso suona contro sé stessa.
30 At augabragði Non ammiccherà [prendendosi gioco]
skala maðr annan hafa, nessun uomo di un altro
þótt til kynnis komi; quando viene tra congiunti.
margr þá froð þikkiz, Accorto in molti lo stimano
ef hann freginn erat se non gli fanno domande,
ok nái hann þurrfjallr þruma. e un posto ottiene indisturbato.
31 Fróðr þikkiz Accorto si ritiene
sá er flótta tekr chi sa sfuggire,
gestr at gest hæðinn; ospite, agli scherni degli ospiti.
veita gǫrla Non sa con certezza
sá er um verði glissir, chi al banchetto lo schernisca
þótt hann með grǫmom glami. se chiacchiera con malintenzionati.
32 Gumnar margir Molti uomini
erosk gagnhollir, son tra loro amichevoli
en at virði vrekaz; ma a banchetto si accapigliano.
aldar róg Rissa tra gli uomini
þat mun æ vera sempre vi sarà;
órir gestr við gest. s'azzuffa l'ospite con l'ospite.
33 Árliga verðar Al mattino di buon'ora
skyli maðr opt fá, deve l'uomo spesso mangiare,
nema til kynnis komi; quando va a trovare congiunti.
sitr ok snópir, [Altrimenti] si siede e scruta avido,
lætr sem sólginn sé, si comporta da affamato
ok kann fregna at fá. e partecipa poco al discorso.
34 Afhvarf mikit Una strada assai tortuosa
er til illz vinar, porta a un cattivo amico
þótt á brauto búi; anche se abita lungo la via.
en til góðs vinar Ma a un buon amico
liggja gagnvegir, conducono strade diritte
þótt hann sé firr farinn. anche se si è stabilito più lontano.
35 Ganga skal, Bisogna andarsene:
skala gestr vera non deve l'ospite stare
ey i einom stað; sempre in un posto.
ljúfr verðr leiðr, Chi è caro diviene malvisto
ef lengi sitr se a lungo risiede
annars fletjon á. nella sala di un altro.
36 Bú er betra, Una propria dimora è meglio
þótt lítit sé, anche se è piccola:
halr er heima hverr; ognuno è libero a casa sua.
þótt tvær geitr eigi Anche se possiede due capre
ok taugreptan sal, e una sala dal tetto sconnesso,
þat er þó betra en bǿn. è meglio che chiedere la carità.
37 Bú er betra, Una propria dimora è meglio
þótt lítit sé, anche se è piccola:
halr er heima hverr; ognuno è libero a casa sua.
blóðugt er hjarta Sanguina il cuore
þeim er biðja skal di chi è costretto a chiedere
sér í mál hvert matar. cibo per sé a ogni passo.
38 Vápnom sínom Dalle proprie armi
skala maðr velli á non deve l'uomo in campo aperto
feti ganga framarr; allontanarsi di un passo.
þvíat óvíst er at vita Perché non si può sapere
nær verðr á vegom úti quando fuori sulle strade
geirs um þǫrf guma. potrà servire la lancia.
39 Fanka ek mildan mann Non ho trovato un uomo così munifico
eða svá matar góðan, o così generoso di cibo
at ei væri þiggja þegit, che non accettasse un dono;
eða síns fjár o delle sue ricchezze
svági [gjǫflan], così elargitore,
at leið sé laun, ef þegi. da sprezzare una ricompensa, a
riceverla.
40 Fjár síns, Alle proprie ricchezze
er fengit hefr, che si siano accumulate
skylit maðr þǫrf þola; non deve l'uomo attaccarsi.
opt sparir leiðom Spesso si risparmia per il male
þats hefir ljúfom hugat; quel che era disposto per il bene:
mart gengir verr en varir. molte cose van peggio di come si
crede.
41 Vápnom ok váðom Con armi e vestiti
skolo vinir gleðjaz, saranno gli amici lieti,
þat er á sjálfum sýnst; ciò è già evidente su sé stessi.
viðrgefendr ok endrgefendr Chi dona e chi ricambia doni
erosk lengst vinir, son fra sé gli amici più intimi,
ef þat bíðr at verða vel. se le cose procedono bene.
42 Vin sínom Al proprio amico
skal maðr vinr vera deve l'uomo essere amico
ok gjalda gjǫf við gjǫf; e ricambiare dono con dono.
hlátr við hlátri Le risa con le risa
skyli hǫlðar taka, ripagheranno gli uomini,
en lausung við lygi. ma l'ipocrisia con la menzogna.
43 Vin sínom Al proprio amico
skal maðr vinr vera, deve l'uomo essere amico
þeim ok þess vin; a lui e al suo amico.
en óvinar síns Ma all'amico del proprio nemico
skyli engi maðr non deve nessun uomo
vinar vinr vera. essere amico.
44 Veitztu, ef þú vin átt, Sappi: se hai un amico
þann er þú vel trúir, in cui riponi buona fiducia
ok vill þú af hánom gott geta, e vuoi da lui qualcosa di buono,
geði skaltu við þann blanda devi accordare il tuo animo col suo
ok gjǫfom skipta, e doni scambiare:
fara at finna opt. va' a trovarlo spesso.
45 Ef þú átt annan, Se un altro ne hai
þannz þú illa trúir, in cui riponi cattiva fiducia
vildu af hánom þó gott geta, e vuoi da lui qualcosa di buono,
fagrt skaltu við þann mæla, gentilmente gli devi parlare
en flátt hyggja ma riflettere con astuzia
ok gjalda lausung við lygi. e ricambiare l'ipocrisia con la
menzogna.
46 þat er enn of þann E questo ancora riguardo a colui
er þú illa truir in cui riponi cattiva fiducia
ok þér er grunr at hans geði, e sospetti dei suoi sentimenti:
hlæja skaltu við þeim ridere devi con lui
ok um hug mæla; e parlare a dispetto del tuo cuore:
glíok skolo gjǫld gjǫfom. dovrai ricambiare i doni ricevuti.
47 Ungr var ek forðom, Giovane fui un tempo,
fór ek einn saman; viaggiai del tutto solo,
þá varð ek villr vega; allora mi smarrii per le strade.
auðigr þóttumz Ricco mi parve d'essere
er ek annan fann; quando trovai un altro:
maðr er mannz gaman. l'uomo è gioia per l'uomo.
48 Mildir, frǿknir Gli uomini generosi e prodi
menn bazt lifa, vivono nel modo migliore,
sjaldan sút ala; di rado fomentano il dolore.
en ósnjallr maðr Ma l'uomo codardo
uggir hotvetna, ha paura di tutto:
sýtir æ gløggr við gjǫfom. al tirchio dà fastidio fare doni.
49 Váðir mínar Le mie vesti
gaf ek velli at diedi nei campi
tveim trémǫnnum; a due uomini di legno.
rekkar þat þóttuz Grand'uomini si credettero
er þeir rift hǫfðu: come ebbero gli abiti:
neis er nǫkkvinn halur. nudo, chiunque è affranto.
50 Hrørnar þǫll, Si dissecca l'albero
sú er stendr þorpi á, che si erge su un dirupo,
hlýrat henne bǫrk né barr; non lo protegge corteccia né foglia.
svá er maðr, Così è l'uomo
sá er manngi ann; che da nessuno è amato:
hvat skal hann lengi lifa? perché dovrebbe vivere a lungo?
51 Eldi heitari Più ardente del fuoco
brennr med illom vinom divampa tra cattivi amici
friðr fimm daga; l'amicizia per cinque giorni.
en þá sloknar Ma poi si spegne
er inn sétti kømr, quando il sesto viene
ok versnar allr vinskapr. e si rovina tutta l'amicizia.
52 Mikit eitt Non grandi cose
skala manne gefa; deve l'uomo donare,
opt kaupir sér í litlu lof; spesso con poco si ottiene una piccola
með hálfom hleif lode.
ok með hǫllo keri Con mezzo pane
fekk ek mér félaga. e con una coppa inclinata
mi son trovato un compagno.
53 Lítilla sanda, Piccole sabbie,
lítilla sæva, piccoli mari,
lítil ero geð guma; piccole sono le menti degli uomini.
þvíat allir menn Ché tutti gli uomini
urðot jafnspakir, non sono ugualmente saggi,
hálf er ǫld hvar. a mezzo l'umanità dovunque [è divisa].
54 Meðalsnotr Moderatamente saggio
skyli manna hverr, dovrebbe essere ogni uomo:
æva til snotr sé; mai troppo sapiente.
þeim er fyrða Sono tra gli uomini
fegrst at lifa, a vivere meglio
er vel mart vito. coloro che [non] molto sanno.
55 Meðalsnotr Moderatamente saggio
skyli manna hverr, dovrebbe essere ogni uomo:
æva til snotr sé; mai troppo sapiente.
þvíat snotrs mannz hjarta Ché il cuore dell'uomo saggio
verðr sjaldan glatt, di rado è felice
ef sá er alsnotr er á. se chi lo possiede ha molta sapienza.
56 Meðalsnotr Moderatamente saggio
skyli manna hverr, dovrebbe essere ogni uomo:
æva til snotr sé; mai troppo sapiente.
ørlǫg sín Il proprio destino
viti engi fyrir; nessuno conosca in anticipo,
þeim er sorgalausastr sefi. ché la mente non abbia ad angosciarsi.
57 Brandr af brandi Torcia da torcia
brinn unz brunninn er divampa finché si consuma;
funi kveykisk af funa fiamma s'accende da fiamma.
maðr af manni Dall'uomo l'uomo
verðr at máli kuðr apprende il sagace parlare,
en til dǿlskr af dul. ma stolto se [rimane] in silenzio.
58 Ár skal rísa Si leverà di buon'ora
sá er annars vill chi di un altro vuole
fé eða fjǫr hafa; le ricchezze o la vita.
sjaldan liggjandi úlfr Difficilmente il lupo accovacciato
lær um getr, si procura un coscio,
né sofandi maðr sigr. né l'uomo che dorme la vittoria.
59 Ár skal rísa Si leverà di buon'ora
sá er á yrkendr fá, chi dispone di pochi braccianti
ok ganga síns verka á vit; e va lui stesso a sorvegliare i lavori.
mart um dvelr Molto spreca
þann er um morgin sefr, colui che dorme al mattino:
hálfr er auðr und hvǫtom. metà ricchezza è in mano al solerte.
60 Þurra skiða Di legna secca
ok þakinna næfra, e di corteccia di betulla per tetti
þess kann maðr mjǫt, di questo l'uomo sappia la misura;
ok þess viðar e [anche] di questo, la legna,
er vinnaz megi quanta ne basti
mál ok missere. per l'una e l'altra stagione.
61 Þveginn ok mettr Lavato e sazio
ríði maðr þingi at, cavalchi l'uomo all'assemblea,
þótt hann sét væddr til vel; anche se non è ben vestito.
skúa ok bróka Di calzari e brache
skammiz engi maðr, nessun uomo deve vergognarsi
né hests in heldr e nemmeno del cavallo
þótt han hafit góðan. anche se non ne ha uno buono.
62 Snapir ok gnapir Ghermisce e si protende
er til sævar kømr quando viene al mare
ǫrn á aldinn mar; l'aquila, all'antico mare.
svá er maðr Così è l'uomo
er með mǫrgom kømr che nella folla avanza
ok á formælendr fá. e pochi lo sostengono.
63 Fregna og segja Domandare e parlare
skal fróðra hverr, deve l'uomo accorto
sá er vill heitinn horskr; se vuole essere chiamato saggio.
einn vita, Uno [soltanto] deve sapere,
ne annar skal, non un altro deve,
þjoð veit ef þríro. tutti sanno se tre [sanno].
64 Ríki sitt Il suo potere
skyli ráðsnotra hverr deve l'uomo prudente
í hófi hafa; con accortezza esercitare.
þá hann þat finnr E questo scopre
er með frǿknom kømr, chi viene tra valorosi:
at engi er einna hvatastr. che nessuno è di tutti il più accorto.
65 Orða þeira Di quelle parole
er maðr ǫðrom segir, che un uomo all'altro dice,
opt hann gjǫld um getr. spesso bisogna dare riparazione.
66 Mikilsti snemma Troppo presto
kom ek í arga staði, sono venuto in molti luoghi
en til síð ísuma; e troppo tardi in altri.
ǫl var drukkit, La birra era stata bevuta,
sumt var ólagat, A volte non ancora fermentata:
sjaldan hittir leiðr í lid. chi è sgradito ha raramente fortuna.
67 Hér ok hvar Qua e là
myndi mér heim uf boðit, sarei stato invitato nelle case
ef þyrptak at málungi mat, se di cibo non avessi avuto bisogno ai
eða tvau lær hengi pasti
at ins tryggva vinar, o se due prosciutti fossero rimasti
þars ek havða eitt etit. appesi
presso l'amico leale
dopo che ne avessi mangiato uno.
68 Eldr er beztr Il fuoco è ottimo
með ýta sonom presso i figli degli uomini
ok sólar sýn, e la vista del sole;
heilyndi sitt la propria salute
ef maðr hafa náir, se si può averla,
án við lǫst at lifa. e una vita senza vergogna.
69 Erat maðr allz vesall, Nessun uomo è del tutto infelice
þótt hann sé illa heill; anche se ha cattiva salute;
sumr er af sonom sæll, alcuni traggono dai figli gioia,
sumr af frændom, alcuni dai congiunti,
sumr af fé ǿrno, alcuni dalle ricchezze,
sumr af verkom vel. alcuni dalle buone azioni.
70 Betra er lifðom È meglio per il vivo
ok sæl lifðom [en sé ólifðum]; che per il morto:
ey getr kvikr kú; chi vive ha sempre una vacca.
eld sá ek upp brenna Il fuoco ho visto ardere
auðgom manni fyrir, dapprima per l'uomo ricco;
en úti var dauðr fyr durom. ma morto giaceva fuori la porta.
71 Haltr ríðr hrossi, Lo zoppo va a cavallo,
hjǫrð rekr handarvanr, guida il gregge il monco,
daufr vegr ok dugir; il sordo combatte ed è utile.
blindr er betri Essere cieco è meglio
en brendr sé; che essere cremato:
nýtr mangi nás. non serve a niente un cadavere.
72 Sonr er betri, Un figlio è meglio
þótt sé síð of alinn anche se nato postumo,
eftir genginn guma; dopo che il padre è andato.
sjaldan bautarsteinar Raramente le lapidi
standa brautu nær, si ergono lungo la strada
nema reisi niðr at nið. se non le innalza il congiunto al
congiunto.
73 Tveir ro eins herjar, Due sono più terribili di uno,
tunga er hǫfuðs bani; la lingua è l'assassina della testa.
er mér í heðin hvern Io sotto ogni mantello
handar væni. mi aspetto le mani.
74 Nótt verðr feginn È lieto la notte
sá er nesti trúir, chi confida nelle provviste.
skammar ro skips ráar; Corti sono i pennoni delle navi;
hverf er haustgríma; instabili sono le notti autunnali;
fjǫlð of viðrir il tempo cambia
á fimm dǫgum in cinque giorni
en meira á mánuði. e ancor più in un mese.
75 Veita hinn Non sa
er vettki veit, chi nulla sa,
margr verðr af aurum api; molti impazziscono per l'oro.
maður er auðigr, Un uomo è ricco,
annar óauðigr, un altro è povero,
skylit þann vítka váar. non si deve biasimare chi è indigente.
76 Deyr fé, Muoiono le mandrie,
deyja frændr, muoiono i parenti,
deyr sjalfr it sama, morirai tu stesso allo stesso modo.
en orðstírr Ma la fama
deyr aldregi non muore mai
hveim er sér góðan getr. per chi se ne è fatta una buona.
77 Deyr fé, Muoiono le mandrie,
deyja frændr, muoiono i parenti,
deyr sjalfr it sama, morirai tu stesso allo stesso modo.
ek veit einn Una cosa conosco
at aldrei deyr: che mai muore:
dómr um dauðan hvern. la reputazione di chi è morto.
78 Fullar grindr Pieni i recinti
sá ek fyr Fitjungs sonum, vidi dei figli del Pancione:
nú bera þeir vonar vǫl; ora essi portano il bastone del
svá er auðr mendico.
sem augabragð, È la ricchezza
hann er valtastr vina. un batter d'occhio,
il più incostante degli amici.
79 Ósnotr maðr, L'uomo insavio
ef eignask getr se riesce ad avere
fé eða fljóðs munuð, la ricchezza o l'amor di donna,
metnaðr hánum þróask, l'orgoglio in lui cresce
en mannvit aldregi: ma il buon senso mai:
fram gengr hann drjúgt í dul. avanza solo in arroganza.
80 Þat er þá reynt, Questo è dunque provato:
er þú að rúnum spyrr quando tu le rune consulti
inum reginkunnum, di origine divina,
þeim er gerðu ginnregin che crearono i supremi numi,
ok fáði fimbulþulr; che dipinse il terribile vate,
þá hefir hann bazt, ef hann questo è meglio, tacere.
þegir.
[Mansongr] [Canto degli uomini]
Detti per gli 81 At kveldi skal dag leyfa, A sera si deve il giorno lodare,
uomini. konu, er brennd er, la moglie, quando è cremata,
mæki, er reyndr er, la spada, quando è provata,
mey, er gefin er, la fanciulla, quando è sposata,
ís, er yfir kemr, il ghiaccio, quando è attraversato,
ǫl, er drukkit er. la birra, quando è bevuta.
82 Í vindi skal við hǫggva, Nel vento si deve il legno spaccare,
veðri á sjó róa, col buon tempo in mare remare,
myrkri við man spjalla, nel buio con una fanciulla parlare:
mǫrg eru dags augu; molti sono gli occhi del giorno.
á skip skal skriðar orka, Una nave serve per viaggiare,
en á skjǫld til hlífar, uno scudo per proteggere,
mæki hǫggs, una spada per colpire,
en mey til kossa. una fanciulla per baciarla.
83 Við eld skal ǫl drekka, Presso il fuoco bevi la birra,
en á ísi skríða, sul ghiaccio pattina,
magran mar kaupa, compra un cavallo magro
en mæki saurgan, e una spada insozzata,
heima hest feita, a casa ingrassa il cavallo
en hund á búi. ma il cane nel cortile.
84 Meyjar orðum Alle parole di una fanciulla
skyli manngi trúa non deve nessun uomo credere,
né því, er kveðr kona, né a ciò che dice una donna.
því at á hverfanda hvéli Sulla ruota [del vasaio] che gira
váru þeim hjǫrtu skǫpuð, sono stati plasmati i loro cuori,
brigð í brjóst of lagið. e la mutevolezza nel loro petto.
85 Brestanda boga, D'un arco che cigola,
brennanda loga, d'una fiamma che avvampa,
gínanda ulfi, d'un lupo che spalanca le fauci,
galandi kráku, d'un corvo che stride,
rýtanda svíni, d'un maiale che grugnisce,
rótlausum viði, d'un albero senza radici
vaxanda vági, del mare che si leva
vellanda katli, del calderone che bolle.
86 Fljúganda fleini, D'una lancia che vola,
fallandi báru, d'un'onda che si rovescia,
ísi einnættum, del ghiaccio di una notte,
ormi hringlegnum, del serpe che si attorce,
brúðar beðmálum dei discorsi di donne a letto,
eða brotnu sverði, d'una spada che si spezza,
bjarnar leiki dei giochi di un orso,
eða barni konungs. o del figlio di un re.
87 Sjúkum kalfi, D'un vitello malato,
sjalfráða þræli, d'un servo intraprendente,
vǫlu vilmæli, delle confidenze di una veggente,
val nýfelldum. d'un assassinio recente.
88 Akri ársánum Su un campo seminato anzitempo
trúi engi maðr nessun uomo confidi,
né til snemma syni, né troppo presto in un figlio.
veðr ræðr akri Il tempo governa il campo
en vit syni; e la saggezza il figlio:
hætt er þeira hvárt. entrambi sono inaffidabili.
89 Bróðurbana sínum, Nell'assassino del fratello,
þótt á brautu mæti, quando lo si incontri sulla via,
húsi hálfbrunnu, in una casa mezzo bruciata,
hesti alskjótum, in un destriero che troppo corre
þá er jór ónýtr, (è inutile un cavallo
ef einn fótr brotnar, se si rompe una zampa):
verðit maðr svá tryggr nessun uomo sia così ingenuo
at þessu trúi ǫllu. da credere in tutto questo.
90 Svá er friðr kvenna, Così è l'amore delle donne
þeira er flátt hyggja, che sono false di pensiero:
sem aki jó óbryddum come condurre un cavallo non ferrato
á ísi hálum, sul ghiaccio scivoloso,
teitum, tvévetrum irruento [puledro] di due anni
ok sé tamr illa, e non del tutto domato;
eða í byr óðum o nel vento turbinante
beiti stjórnlausu, una nave senza timone;
eða skyli haltr henda o uno zoppo che cerchi di catturare
hrein í þáfjalli. una renna su un monte in disgelo.
91 Bert ek nú mæli, Apertamente ora parlo
því at ek bæði veit, perché l'uno e l'altro conosco,
brigðr er karla hugr konum; insidioso è alle donne il cuore degli
þá vér fegrst mælum, uomini.
er vér flást hyggjum: Quanto più dolcemente parliamo,
þat tælir horska hugi. tanto più falsamente pensiamo:
così s'inganna il sentimento
dell'avveduta.
92 Fagurt skal mæla Con dolcezza deve parlare
ok fé bjóða e donare ricchezze
sá er vill fljóðs ást fá, chi vuole ottenere l'amore di una
líki leyfa donna.
ins ljósa mans: Loda il sembiante
Sá fær er fríar. della splendida fanciulla:
la conquista chi la lusinga.
93 Ástar firna Amore rimproverare
skyli engi maðr non deve nessun uomo
annan aldregi; ad un altro mai.
oft fá á horskan, Spesso imbrigliano il saggio
er á heimskan né fá, laddove lo stolto non imbrigliano
lostfagrir litir. le radiose apparenze d'amore.
94 Eyvitar firna In nessun modo rimproverare
er maðr annan skal, un uomo a un altro deve
þess er um margan gengr di quel che accade alla gente.
guma; Stolti da saggi
heimska ór horskum son fatti i figli degli uomini:
gerir hǫlða sonu questo il potere del desiderio.
sá inn máttki munr.
95 Hugr einn þat veit Unica la mente sa
er býr hjarta nær, quel che dimora accanto al cuore;
einn er hann sér um sefa; ognuno è solo con i suoi sentimenti.
ǫng er sótt verri Non c'è malattia peggiore
hveim snotrum manni per l'uomo saggio
en sér engu að una. di non avere nulla da amare.
[Billingsmeyjarþáttr] [Il capitolo della figlia di Billingr]
96 Þat ek þá reynda Questo ho compreso
er ek í reyri sat mentre tra le canne sedevo
ok vættak míns munar; e aspettavo [di soddisfare] il mio
hold ok hjarta desiderio.
var mér in horska mær; Carne e cuore
þeygi ek hana at heldr hefik. era per me quella splendida fanciulla,
ma ancora non sono riuscito a
possederla.
97 Billings mey La figlia di Billingr
ek fann beðjum á trovai nel letto,
sólhvíta sofa; bianca come il sole e addormentata.
jarls ynði I privilegi di un nobile
þótti mér ekki vera non erano nulla per me,
nema við þat lík at lifa. se non vivevo con quel bel sembiante.
98 «Auk nær aftni «Verso sera
skaltu, Óðinn, koma, dovrai, Óðinn, venire,
ef þú vilt þér mæla man; se vuoi persuadere la fanciulla.
allt eru óskǫp Sarebbe assai sconveniente,
nema einir viti a meno che noi due soli si sappia
slíkan lǫst saman.» di certi segreti convegni.»
99 Aftr ek hvarf Tornai indietro
ok unna þóttumk e di godere credevo,
vísum vilja frá; mosso da passione.
hitt ek hugða Questo io pensavo:
at ek hafa mynda che avrei avuto
geð hennar allt ok gaman. il suo cuore tutto e il piacere.
100 Svá kom ek næst Quando la volta dopo arrivai,
at in nýta var c'era all'erta
vígdrótt ǫll of vakin, l'intera schiera e vegliava,
með brennandum ljósum con torce avvampanti
ok bornum viði, e bastoni impugnati:
svá var mér vílstígr of vitaðr. così mi fu indicata la via dello scorno!
101 Auk nær morgni, Sul far del mattino,
er ek var enn of kominn, quando venni di nuovo,
þá var saldrótt sofin; la schiera dei servi dormiva.
grey eitt ek þá fann Soltanto trovai la cagna
innar góðu konu di quella buona femmina
bundit beðjum á. legata nel letto.
102 Mǫrg er góð mær, Molto, la buona fanciulla,
ef gǫrva kannar, se si vuol saperla tutta,
hugbrigð við hali. è d'animo volubile con gli uomini.
Þá ek þat reynda, Questo ho appurato
er it ráðspaka quando quella donna saggia
teygða ek á flærðir fljóð; provai a condurre alla lussuria.
háðungar hverrar Ad ogni scherno
leitaði mér it horska man, mi espose l'accorta fanciulla,
ok hafða ek þess vettki vífs. e da quella donna non ebbi un bel
niente.
103 Heima glaðr gumi A casa lieto l'uomo,
ok við gesti reifr, sorridente con gli ospiti,
sviðr skal um sig vera, deve saper essere,
minnigr ok málugr, di buona memoria e loquace,
ef hann vill margfróðr vera. se vuole apparire vissuto;
Oft skal góðs geta; spesso parlerà di cose buone.
fimbulfambi heitir Pezzo d'idiota viene chiamato
sá er fátt kann segja, chi poco sa raccontare:
þat er ósnotrs aðal. questo è il carattere dell'insavio.
[Gunnlaðarþáttr] [Il capitolo di Gunnlǫð]
. 104 Inn aldna jǫtun ek sótta, L'antico jǫtunn ho visitato,
nú em ek aftr of kominn: proprio ora sono di ritorno.
fátt gat ek þegjandi þar; Poco ottenni là col silenzio:
mǫrgum orðum con molte parole
mælta ek í minn frama ho parlato a mio vantaggio
í Suttungs sǫlum. nelle sale di Suttungr.
105 Gunnlǫð mér of gaf Gunnlǫð mi diede
gullnum stóli á sul trono d'oro
drykk ins dýra mjaðar; da bere il prezioso idromele.
ill iðgjǫld Un cattivo compenso
lét ek hana eftir hafa le diedi in cambio
síns ins heila hugar, per il suo cuore generoso,
síns ins svára sefa. per il suo spirito innamorato.
106 Rata munn Il morso del trapano
létumk rúms of fá lasciai si facesse spazio
ok um grjót gnaga, e perforò le rocce;
yfir ok undir sopra e sotto
stóðumk jǫtna vegir, avevo le vie degli jǫtnar:
svá hætta ek hǫfði til. così rischiai la testa.
107 Vel keypts litar Con l'inganno quel bel sembiante
hefi ek vel notit, mi son ben goduto:
fás er fróðum vant, a poco rinuncia chi è saggio.
því at Óðrerir Perché Óðrørir
er nú upp kominn è ora salito
á alda vés jarðar. al santuario delle stirpi della terra.
108 Ifi er mér á In me è il dubbio
at ek væra enn kominn che sarei ritornato
jǫtna gǫrðum ór, dalle fortezze degli jǫtnar,
ef ek Gunnlaðar né nytak, se Gunnlǫð non mi avesse aiutato:
innar góðu konu, la brava donna
þeirar er lǫgðumk arm yfir. che cinsi con il braccio.
109 Ins hindra dags Il giorno dopo
gengu hrímþursar vennero i hrímþursar
Háva ráðs at fregna a chiedere consiglio ad Hár
Háva hǫllu í. nella sala di Hár.
At Bǫlverki þeir spurðu, Di Bǫlverkr chiedevano,
ef hann væri með bǫndum se fosse tornato tra gli dèi
kominn o se Suttungr l'avesse ammazzato.
eða hefði hánum Suttungr of
sóit.
110 Baugeið Óðinn Sul sacro anello, Óðinn,
hygg ek, at unnið hafi; credo, abbia giurato;
hvat skal hans tryggðum trúa? ma chi potrebbe credergli?
Suttung svikinn Suttungr frodò,
hann lét sumbli frá lui, del suo idromele
ok grætta Gunnlǫðu. e pianse Gunnlǫð.
[Loddfáfnismál] [Discorso di Loddfáfnir]
Discorso di 111 Mál er at þylja È tempo che cominci a parlare
Loddfáfnir. þular stóli á dal seggio del vate
Urðarbrunni at, presso Urðarbrunnr.
sá ek ok þagðak, Vidi e tacqui,
sá ek ok hugðak, vidi e meditai,
hlydda ek á manna mál; ascoltai i discorsi degli uomini.
of rúnar heyrða ek dæma, Udii delle rune e imparai,
né of ráðum þǫgðu né furono celati i dettagli.
Háva hǫllu at, Alle sale di Hár,
Háva hǫllu í, nelle sale di Hár,
heyrða ek segja svá. sentii dire così:
112 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
nótt þú rísat Di notte non alzarti
nema á njósn séir a meno che tu non sia di guardia
eða þú leitir þér innan út o che non stia cercando un posto fuori
staðar. città.
113 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
fjǫlkunnigri konu Di una donna affascinante
skalattu í faðmi sofa, non dormir nell'abbraccio
svá at hon lyki þik liðum. così che t'imprigioni tra le sue
membra.
114 Hon svá gerir Lei farà in modo
at þú gáir eigi che tu non ti curerai
þings né þjóðans máls; delle assemblee né delle parole del
mat þú villat sovrano;
né mannskis gaman, che cibo più non vorrai
ferr þú sorgafullr að sofa. né umani piaceri,
e che tu vada a dormire colmo di
crucci.
115 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
annars konu La donna di un altro
teygðu þér aldregi non sedurre mai
eyrarúnu at. [per farne] la tua segreta amante.
116 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
áfjalli eða firði, Sul monte o nel fiordo
ef þik fara tíðir, se viaggi a lungo,
fásktu at virði vel. assicurati abbondanti provviste.
117 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
illan mann A un uomo malvagio
láttu aldregi non permettere mai
óhǫpp at þér vita, di conoscere i tuoi guai:
því at af illum manni ché da un uomo malvagio
fær þú aldregi non si otterrà mai
gjǫld ins góða hugar. di ricambiare un animo amico.
118 Ofarla bíta Morso a sangue
ek sá einum hal io vidi un uomo
orð illrar konu; dalle parole di una donna malvagia.
fláráð tunga Una lingua falsa
varð hánum at fjǫrlagi fu per lui la morte
ok þeygi of sanna sǫk. e non già per giuste ragioni.
119 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
veistu, ef þú vin átt Sappi questo, se hai un amico
þann er þú vel trúir, nel quale riponi fiducia,
far þú at finna oft, va' a trovarlo spesso:
því at hrísi vex perché è coperto di sterpi
ok hávu grasi e di erba alta
vegr, er vættki treðr. il sentiero che nessuno percorre.
120 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
góðan mann Un buon compagno
teygðu þér at gamanrúnum scegliti per piacevoli conversari,
ok nem líknargaldr, meðan þú e impara incantesimi benefici, mentre
lifir. hai vita.
121 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
vin þínum Con il tuo amico
ver þú aldregi non essere mai
fyrri at flaumslitum; il primo a rompere il vincolo.
sorg etr hjarta, L'angoscia ti rode il cuore
ef þú segja né náir se non puoi raccontare
einhverjum allan hug. a qualcuno tutti i tuoi pensieri.
122 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
orðum skipta Parole scambiare
þú skalt aldregi tu non dovrai mai
við ósvinna apa. con insavie scimmie.
123 Því at af illum manni Ché da un uomo malvagio
mundu aldregi non otterrai mai
góðs laun of geta, ricompensa per il bene.
en góðr maðr Ma un uomo buono
mun þik gerva mega potrà farti sentire
líknfastan at lofi. apprezzato con le lodi.
124 Sifjum er þá blandat, Amicizia è scambiata
hver er segja ræðr quando uno può rivelare
einum allan hug; a un altro il suo intero pensiero.
allt er betra Tutto è migliore
en sé brigðum at vera; che non essere fidàti;
era sá vinr ǫðrum, non è amico di un altro
er vilt eitt segir. chi parla solo per piacergli.
125 Ráðumk, þér Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
þrimr orðum senna Per tre parole non disputerai
skalattu þér við verra mann con un uomo peggiore di te:
oft inn betri bilar, spesso il migliore è sconfitto
þá er inn verri vegr. quando combatte il peggiore.
126 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
skósmiðr þú verir Non il calzolaio farai
né skeftismiðr, o l'armaiolo
nema þú sjálfum þér séir, se non per te stesso.
skór er skapaðr illa Se la scarpa è mal fatta
eða skaft sé rangt, o è storta la lancia,
þá er þér bǫls beðit. la scarogna è in agguato per te.
127 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
hvars þú bǫl kannt, Dovunque tu abbia ricevuto offesa,
kveð þ[ér/at] bǫlvi at afferma che è un'offesa
ok gefat þínum fjándum frið. e non dar tregua ai tuoi nemici.
128 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
illu feginn Gioia del male
ver þú aldregi, non avere mai,
en lát þér at góðu getit. ma trai piacere dal bene.
129 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
upp líta Guardare in alto
skalattu í orrustu, non devi in battaglia:
gjalti glíkir [pazzi] quali cinghiali
verða gumna synir diventano i figli degli uomini:
síðr þitt um heilli halir. così non ti lanceranno incantesimi.
130 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
ef þú vilt þér góða konu Se vuoi per te una buona femmina
kveðja at gamanrúnum parlale con dolci sussurri
ok fá fǫgnuð af, e prendi piacere con lei;
fǫgru skaltu heita devi fare belle promesse
ok láta fast vera; e subito mantenerle:
leiðisk manngi gótt, ef getr. nessuno soffre il bene, a riceverlo.
131 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
varan bið ek þik vera Prudente ti consiglio di essere
ok eigi ofváran; ma non troppo prudente.       
ver þú við ǫl varastr Sii con la birra molto prudente
ok við annars konu e con la donna di un altro
ok við þat it þriðja e questo per terzo,
at þjófar né leiki. che i ladri non ti freghino.
132 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
at háði né hlátri Con scherno e risate
hafðu aldregi non ricevere mai
gest né ganganda. ospite né viandante.
133 Oft vitu ógǫrla Spesso non sa bene
þeir er sitja inni fyrir colui che siede dentro [casa]
hvers þeir ro kyns, er koma; di qual stirpe siano coloro che
erat maðr svá góðr arrivano.
at galli né fylgi, Nessun uomo è così buono
né svá illr, at einugi dugi. da non avere difetti,
né così cattivo da non servire a nulla.
134 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
at hárum þul Del vate dai capelli grigi
hlæ þú aldregi, non ridere mai;
oft er gótt þat er gamlir spesso è buona cosa quel che dicono i
kveða; vecchi.
oft ór skǫrpum belg Spesso da un otre sgualcito
skilin orð koma vengono parole sensate,
þeim er hangir með hám uno che è appeso tra i pellami,
ok skollir með skrám e penzola tra i ritagli di cuoio,
ok váfir með vílmǫgum. e ciondola tra stomaci coi cagli.
135 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
gest þú né geyja Non scacciare un ospite,
né á grind hrekir, non condurlo alla porta,
get þú váluðum vel. tratta con garbo i poveri.
136 Rammt er þat tré, Poderosa è quella spranga di legno
er ríða skal che deve scorrere
ǫllum at upploki. per aprire a tutti.
Baug þú gef, Un anello dai in dono
eða þat biðja mun o ti invocheranno
þér læs hvers á liðu. qualche malanno nel corpo.
137 Ráðumk þér, Loddfáfnir, Ti consiglio, Loddfáfnir,
en þú ráð nemir, e tu accetta il consiglio,
njóta mundu, ef þú nemr, ne trarrai beneficio se l'accetti,
þér munu góð, ef þú getr: bene ti verrà se l'accogli.
hvars þú ǫl drekkir, Dovunque tu beva birra,
kjós þér jarðar megin, invoca per te la forza della terra!
því at jǫrð tekr við ǫlðri, perché la terra agisce contro la birra,
en eldr við sóttum, il fuoco contro la malattia,
eik við abbindi, la quercia contro la dissenteria,
ax við fjǫlkynngi, la spiga contro la stregoneria,
hǫll við hýrógi, il sambuco contro le liti in famiglia,
heiftum skal mána kveðja, per l'ira devi invocare la luna,
beiti við bitsóttum, l'erica contro la rabbia,
en við bǫlvi rúnar, e contro il male le rune,
fold skal við flóði taka. il terreno agisce contro le inondazioni.
[Rúnatal] [Dissertazione sulle rune]
Dissertazione 138 Veit ek, at ek hekk Lo so io, fui appeso
sulle rune. vindgameiði á al tronco sferzato dal vento
nætr allar níu, per nove intere notti,
geiri undaðr ferito di lancia
ok gefinn Óðni, e consegnato a Óðinn,
sjalfur sjalfum mér, io stesso a me stesso,
á þeim meiði su quell'albero
er manngi veit che nessuno sa
hvers af rótum renn. dove dalle radici s'innalzi.
139 Við hleifi mik sældu Con pane non mi saziarono
né við hornigi, né con corni [mi dissetarono].
nýsta ek niðr, Guardai in basso,
nam ek upp rúnar, feci salire le rune,
æpandi nam, chiamandole lo feci,
fell ek aftr þaðan. e caddi di là.
140 Fimbulljóð níu Nove terribili incantesimi
nam ek af inum frægja syni ricevetti dall'illustre figlio
Bǫlþorns, Bestlu fǫður, di Bǫlþorn, padre di Bestla,
ok ek drykk of gat e un sorso ottenni
ins dýra mjaðar, del prezioso idromele
ausin Óðreri. attinto da Óðrørir.
141 Þá nam ek frævask Ecco io presi a fiorire
ok fróðr vera e diventai saggio,
ok vaxa ok vel hafask, a crescere e farmi possente.
orð mér af orði Parola per me da parola
orðs leitaði, trassi con la parola,
verk mér af verki opera per me da opera
verks leitaði. trassi con l'opera.
142 Rúnar munt þú finna Rune tu troverai
ok ráðna stafi, lettere chiare,
mjǫk stóra stafi, lettere grandi,
mjǫk stinna stafi, lettere possenti,
er fáði fimbulþulr che dipinse il terribile vate,
ok gerðu ginnregin che crearono i supremi numi,
ok reist Hroftr rǫgna. che incise Hroptr degli dèi.
143 Óðinn með ásum, Óðinn tra gli Æsir,
en fyr alfum Dáinn, ma per gli Álfar Dáinn,
Dvalinn ok dvergum fyrir, Dvalinn innanzi ai Dvergar,
Ásviðr jǫtnum fyrir, Ásviðr innanzi ai giganti,
ek reist sjalfr sumar. io stesso ne ho incisa qualcuna.
144 Veistu hvé rísta skal? Tu sai come incidere?
Veistu hvé ráða skal? Tu sai come interpretare?
Veistu hvé fáa skal? Tu sai come dipingere?
Veistu hvé freista skal? Tu sai come provare?
Veistu hvé biðja skal? Tu sai come invocare?
Veistu hvé blóta skal? Tu sai come sacrificare?
Veistu hvé senda skal? Tu sai come mandare?
Veistu hvé sóa skal? Tu sai come immolare?
145 Betra er óbeðit È meglio non essere invocato
en sé ofblótit, che [ricevere] troppi sacrifici:
ey sér til gildis gjǫf; un dono è sempre per un compenso.
betra er ósent È meglio essere senza offerte
en sé ofsóit. che [ricevere] troppe immolazioni.
Svá Þundr of reist Così Þundr incise
fyr þjóða rǫk, prima della storia dei popoli;
þar hann upp of reis, poi egli si levò su
er hann aftr of kom. da dove era venuto.
[Ljóðatal] [Dissertazione sui canti magici]
Dissertazione sui 146 Ljóð ek þau kann Conosco incantesimi
canti magici. er kannat þjóðans kona che non conosce sposa di sovrano
ok mannskis mǫgr. né figlio d'uomo.
Hjalp heitir eitt, «Aiuto» si chiama il primo
en þat þér hjalpa mun ed a te darà aiuto
við sǫkum ok sorgum contro liti e angosce
ok sútum gǫrvǫllum. e ogni tristezza.
147 Þat kann ek annat Questo conosco per secondo:
er þurfu ýta synir, di cosa necessitano i figli degli uomini,
þeir er vilja læknar lifa. se vogliono vivere da guaritori.
148 Það kann ek þriðja: Questo conosco per terzo:
ef mér verðr þǫrf mikil se ho grande urgenza
hafts við mína heiftmǫgu, di incatenare i miei nemici,
eggjar ek deyfi io spunto le lame
minna andskota, dei miei avversari:
bítat þeim vápn né velir. non mordono più armi né bastoni.
149 Þat kann ek it fjórða: Questo conosco per quarto:
ef mér fyrðar bera se uomini impongono
bǫnd að boglimum, ceppi alle mie membra,
svá ek gel, così io canto
at ek ganga má, che me ne possa andare:
sprettr mér af fótum fjǫturr, la catena salta via dai piedi
en af hǫndum haft. e dalle mani il laccio.
150 Þat kann ek it fimmta: Questo conosco per quinto:
ef ek sé af fári skotinn se io vedo scagliata dal nemico
flein í folki vaða, la lancia volare nella mischia,
fýgra hann svá stinnt non vola quella con tale impeto
at ek stǫðvigak, ch'io non possa fermarla
ef ek hann sjónum of sék. se solo la intercetti con lo sguardo.
151 Þat kann ek it sétta: Questo conosco per sesto:
ef mik særir þegn se un guerriero mi ferisce
á vrótum hrás viðar, con radici di un albero verdeggiante,
ok þann hal quell'uomo
er mik heifta kveðr, evoca da me furore:
þann eta mein heldr en mik. ché il male divori lui e non me.
152 Þat kann ek it sjaunda: Questo conosco per settimo:
ef ek sé hávan loga se vedo avvampare l'alta
sal um sessmǫgum, sala intorno ai miei compagni di
brennrat svá breitt, panca,
at ek hánum bjargigak; non brucia [quella] con tale ardore
þann kann ek galdr at gala. ch'io non possa salvarla
con l'incantesimo che conosco, a
cantarlo.
153 Þat kann ek it átta, Questo conosco per ottavo,
er ǫllum er che per tutti
nytsamligt at nema: è da cogliere con profitto:
hvars hatr vex dovunque sorge l'odio
með hildings sonum tra i figli del sovrano.
þat má ek bæta brátt. questo subito io posso acquietare.
154 Þat kann ek it níunda: Questo conosco per nono,
ef mik nauðr um stendr se mi trovo in difficoltà
at bjarga fari mínu á floti, per salvare la mia nave sui flutti,
vind ek kyrri il vento io calmo
vági á sulle onde
ok svæfik allan sæ. e addormento tutto il mare.
155 Þat kann ek it tíunda: Questo conosco per decimo,
ef ek sé túnriður se io vedo «cavalcatrici dei recinti»
leika lofti á, giocare nell'aria,
ek svá vinnk io posso fare in modo
at þær villar fara che esse smarriscano il ritorno
sinna heimhama, ai loro corpi a casa,
sinna heimhuga. ai loro spiriti a casa.
156 Þat kann ek it ellifta: Questo conosco per undicesimo:
ef ek skal til orrustu se io devo in battaglia
leiða langvini, condurre vecchi amici.
und randir ek gel, sotto gli scudi io canto
en þeir með ríki fara ed essi vanno vittoriosi
heilir hildar til, salvi alla mischia,
heilir hildi frá, salvi dalla mischia:
koma þeir heilir hvaðan. dovunque salvi giungono.
157 Þat kann ek it tolfta: Questo conosco per dodicesimo:
ef ek sé á tré uppi se io vedo su un albero in alto
váfa virgilná, un impiccato oscillare,
svá ek ríst in tal modo incido
ok í rúnum fák e in rune dipingo
at sá gengr gumi così che quell'uomo cammini
ok mælir við mik. e parli con me.
158 Þat kann ek it þrettánda: Questo conosco per tredicesimo:
ef ek skal þegn ungan se io un giovane guerriero
verpa vatni á, spruzzerò d'acqua,
munat hann falla, egli non cadrà,
þótt hann í folk komi: anche se venga nelle schiere:
hnígra sá halr fyr hjǫrum. non morirà quell'uomo di spada.
159 Þat kann ek it fjǫgurtánda: Questo conosco per quattordicesimo:
ef ek skal fyrða liði se io devo alle genti umane
telja tíva fyrir, enumerare prima gli dèi,
ása ok alfa degli Æsir e degli Álfar,
ek kann allra skil; conosco l'ordine di tutti;
fár kann ósnotr svá. gli insavi non sanno così tanto.
160 Þat kann ek it fimmtánda Questo conosco per quindicesimo:
er gól Þjóðrǿrir quel che cantò Þjóðrǿrir
dvergr fyr Dellings durum: il nano, dinanzi alle porte di Dellingr.
afl gól hann ásum, Cantò potenza agli Æsir
en alfum frama, e agli Álfar coraggio,
hyggju Hroftatý. saggezza a Hroptatýr.
161 Þat kann ek it sextánda: Questo conosco per sedicesimo:
ef ek vil ins svinna mans se io voglia d'una accorta fanciulla
hafa geð allt ok gaman, avere tutto il sentimento e il piacere,
hugi ek hverfi l'animo io piego
hvítarmri konu della donna dalle candide braccia,
ok sný ek hennar ǫllum sefa. e distorco ogni suo pensiero.
162 Þat kann ek it sjautjánda Questo conosco per diciassettesimo:
at mik mun seint firrask che mai mi eviterà
it manunga man. la giovane fanciulla.
Ljóða þessa Di questi incantesimi
mun þú, Loddfáfnir, potrai tu, Loddfáfnir,
lengi vanr vera; fare a lungo a meno;
þó sé þér góð, ef þú getr, tuttavia bene verrà a te se li accogli,
nýt ef þú nemr, beneficio se li accetti,
þǫrf ef þú þiggr. giovamento se li ricevi.
163 Þat kann ek it átjánda, Questo conosco per diciottesimo:
er ek æva kennik ciò che io mai insegnerò
mey né manns konu, a fanciulla né a sposa
 allt er betra (tutto è meglio
er einn um kann; quando uno solo sa,
þat fylgir ljóða lokum, così arrivo alla fine dei miei detti),
nema þeiri einni se non, unica, a colei
er mik armi verr che col braccio mi cinge
eða mín systir sé. o è a me sorella.
Chiusa. 164 Nú eru Háva mál Ora ecco i canti di Hár
kveðin Háva hǫllu í, pronunciati nella sala di Hár,
allþǫrf ýta sonum, molto utili ai figli degli uomini,
óþǫrf jǫtna sonum. inutili ai figli dei giganti.
Heill sá, er kvað, salute sia a chi li disse!
heill sá, er kann, salute sia a chi li conosce!
njóti sá, er nam, utili siano a chi li ha appresi!
heilir, þeirs hlýddu. salute, a coloro che li ascoltarono!

NOTE

1 ― Questa prima strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [2]). Tre dei quattro manoscritti snorriani omettono
il terzo semiverso (1c); il Codex Trajectinus [T] è l'unico a riportare integralmente la citazione.

12 ― (a) Si segue qui il piccolo emendamento dell'edizione di Jónsson dall'originale er «è» a era «non è»,
che ha più senso nel contesto della strofa (Jónnson 1926).
13 ― (f) Gigantessa, figlia di Suttungr. Óðinn la sedusse per rubarle l'idromele della saggezza, v. infra [104-
110]. 

14 ― (c) Fjalarr e Galarr furono i due nani che uccisero Kvasir e dal suo sangue distillarono l'idromele della
saggezza, che poi venne rubato da Óðinn, v. infra [104-110]. 

22 ― (f) Anche qui, come in 12a, si segue l'emendamento dell'edizione di Jónsson dall'originale er «è»
a era «non è», che ha più senso nel contesto della strofa (Jónnson 1926).

25 ― (a-c) Questi primi tre semiversi sono abbreviati nel manoscritto. 

27 ― (f) L'idea ricorda irresistibilmente il detto latino præstat tacere et stultus haberi quam edicere et omne
dubium removere «è meglio stare zitti e sembrare stupidi che parlare e togliere ogni dubbio».

36 ― (e) Taugreptan indica un tetto fatto di giunchiglia e cannicci intrecciati. 

37 ― (a-c) Questi primi tre semiversi sono abbreviati nel manoscritto. 

39 ― (e) Il manoscritto riporta semplicemente svági | at leið se laun ef þegi «non così | da sprezzare una
ricompensa se ne riceva». Jónsson emenda in svági gløggvan «non così avaro...» (Jónsson 1926), ma questo
non sembra accettabile dal contesto. Altri ritengono che la parola soppressa sia, al
contrario, gjǫflan «liberale, munifico, generoso» (Evans 1986). Su questa linea alcuni pensano che la
parola svági «non così» vada appunto scissa in svá «così» più un  gi che verrebbe in questo caso interpretato
come un'abbreviazione o un errore dello scriba per gjǫflan. Comunque sia, il senso della frase è sicuramente
che non esiste uomo così elargitore di doni che si offenda se ne riceva uno. 

51 ― (c) L'antica «settimana» norvegese era di cinque giorni; solo col Cristianesimo sarebbe stata adottata
quella di sette (Leesthal 1939). 

52-52 ― (d-e) «Mezzo pane» era espressione proverbiale per indicare piccola quantità (Leesthal 1939).
«Coppa inclinata» è una coppa che, semivuota, va inclinata per potervi bere. 

54 ― (f) L'originale ha er vel mart vito «coloro che molto sanno». Ma poiché la strofa non avrebbe molto
senso (all'esortazione di essere moderati in saggezza è arduo far seguire un'affermazione per cui proprio i
sapienti sarebbero gli uomini che vivono meglio), è stato proposto di emendare mart vito nel suo
negativo mart vitut (Evans 1986). La frase verrebbe così ad avere un significato perfettamente contrario,
anche se coerente con il contesto: «coloro che non molto sanno».

55 ― (a-c) Questi primi tre semiversi sono abbreviati nel manoscritto. 

56 ― (a-c) Questi primi tre semiversi sono abbreviati nel manoscritto. 

61 ― (e-f) Secondo Henry Adams Bellows, gli ultimi due semiversi sono stati interpolati successivamente
nella strofa (Bellows 1923). 

65 — Questa strofa è probabilmente mutila della prima metà. Alcuni curatori vi premettono tre semiversi
tratti da manoscritti pià recenti, anche se la loro autenticità è dubbia. Essi suonano: «Un uomo deve essere
guardingo | e prudente molto, | e con giudizio fidarsi dell'amico» (Bellows 1923). 

70 ― (b) Il manoscritto ha ok sæl lifðom, privo di senso. Fu lo stesso Rasmus Rask, agli esordi degli studi
germanistici, a suggerire di emendarlo in en sé ólifðum, poi adottato in tutte le traduzioni (Rask 1818). ―
(d-f) Olga Gogala di Leesthal traduce: «divampar vidi il fuoco presso il ricco | mentre la Morte stava alla sua
porta» (Leesthal 1939). Ha indubbiamente più senso ma non sembra questo essere il significato della
frase. 
71 ― (e) È interessante notare che all' autore del componimento era ancora familiare l'uso di bruciare i
cadaveri. Questo può aiutarci a collocare la composizione di questa parte dell'Hávamál: l'uso della
cremazione fu infatti abbandonato con l'introduzione del Cristianesimo, quindi verso la fine del IX
secolo. (Leesthal 1939) 

73 ― Alcuni studiosi ritengono che questa strofa, che poca attinenza ha con le precedenti o le successive, sia
il risultato di un'interpolazione posteriore (Bellows 1923). 

74 ― (c) «Corti sono i pennoni delle navi». Non è ben chiaro il senso di questo semiverso nell'ambito della
strofa. Molti studiosi ritengono che qui, come in altre luoghi dell'Hávamál, il compilatore o il copista abbia
inserito dei versi isolati per cui non si trovava una collocazione migliore (Bellows 1923). A nostro avviso,
tuttavia, il non comprendere il senso di certi passaggi non giustifica necessariamente lo smembramento delle
strofe: certune associazioni di idee, o particolari della vita pratica, che sembrano non avere senso per noi,
non significa che non ne avessero per coloro a cui il poema fosse destinato. 

78 ― (b) Fitjungr, che qui è fornito come nome proprio, vuol dire in realtà «grassone, pancione, ciccione»
(da fita «grasso»). Si tratta del crapulone per antonomasia, a cui non fanno difetto le ricchezze e
l'appetito. 

80 ― Bellows non ha dubbi sul fatto che questa strofa sia fuori posto; in particolare, il riferimento alla
magia runica suggerirebbe che originariamente la strofa dovesse essere posta in qualche lista di canti magici
come ad esempio il Ljóðatal [147-165]. Inoltre la struttura metrica di questa strofa presenterebbe tali
irregolarità da far pensare che siano andati perduti dei versi o che dei versi siano stati interpolati (Bellows
1923). Il manoscritto non presenta tuttavia alcuna lacuna. A nostro parere, il particolare metro della strofa
(una variante del «metro strofico» [ljóðaháttr] costituita da un verso «lungo» seguito da una lunga serie di
versi «pieni») permette di confrontarla con le strofe [142-143], costruite allo stesso modo. Poiché tutt'e tre le
strofe trattano di sapienza runica, ci sembra logico asserire che possano provenire da una medesima
composizione, oggi perduta. 

81-90 ― Questa serie di strofe non segue più il «metro strofico» [ljóðaháttr] caratteristico dell'Hávamál. Più
esattamente, nelle strofe [81-83] abbiamo il raro «metro delle canzoni» [málaháttr] (una variante del «metro
epico» [fornyrðislag]), la strofa [84] ritorna al «metro strofico», le strofe [85-87] – che si configurano come
una sorta di elenco di cose da cui è necessario diffidare – sono in «metro epico» [fornyrðislag], la
strofa [88] ritorna ancora una volta al «metro strofico», le strofe [89-90] sono di nuovo nel «metro delle
canzoni». Dopodiché il poema ritorna al «metro strofico». Tali caotici mutamenti del metro indicano senza
dubbio la presenza di strofe e componimenti in origine indipendenti, interpolati nel nostro poema. Poiché
alcune di queste strofe consigliano perlopiù a diffidare delle donne, è presumibile che siano state inserite in
questo punto dell'Hávamál come introduzione alla susseguente vicenda della mancata seduzione della figlia
di Billingr da parte di Óðinn [96-102]. 

83 ― (d) In norreno en mæki saurgan è letteralmente «una spada sporca». S'intende naturalmente una spada
a lungo provata in battaglia e che è stata ripetutamente insozzata di sangue (da cui la nostra traduzione). Si
tratta dunque di una buona spada, ragione per cui nel testo se ne consiglia l'acquisto. 

84 ― (d-f) Questi tre semiversi sono citati nella Fóstbrǿðra saga, la «Saga dei fratelli adottivi». 
87 ― Questa strofa è probabilmente incompleta. Alcuni editori aggiungono questi quattro semiversi tratti da
tarde redazioni dell'Hávamál: «del cielo chiaro | di una folla che ride | della ciotola di un cane | del dolore di
una sgualdrina».

96-102 ― Dopo aver trattato della falsità delle donne, in queste strofe la si illustra con un esempio pratico,
attraverso il racconto della mancata seduzione della figlia di Billingr da parte di Óðinn.

100 ― (e) I «bastoni impugnati» [bornum viði] sono probabilmente quelli delle torce, da cui si evince il
senso dei «fuochi di luce» [brennandum ljósum] del verso precedente, da noi tradotto – un po' liberamente –
con «torce avvampanti». ― (f) Vílstingr, letteralmente «via della miseria, della malora, dello scorno». 
102 ― Rasmus Rask aggiunge all'inizio di questa strofa tre semiversi tratti da un tardo manoscritto, che
suonano: «poche sono così buone | da non essere mai false | sì da ingannare la mente dell'uomo». Questi tre
semiversi e la prima parte della strofa (semiversi [102a-102c] formano, nell'edizione di Rask, un'intera
strofa; la seconda parte della strofa (semiversi [102d-102i] formano una strofa a parte. (Rask 1818)

103 ― Questa strofa, che nulla ha a che fare con la vicenda della figlia di Billingr e quella di Gunnlǫð, è
interposta tra le due apparentemente senza alcuna ragione logica.

104-110 ― In queste strofe si allude alla storia della seduzione (questa volta condotta a buon fine)
di Gunnlǫð da parte di Óðinn e del furto dell'idromele della poesia. La vicenda, narrata da Snorri
in Skáldskaparmál [2], è la seguente: dopo aver ucciso il sapiente Kvasir, i nani Fjalarr e Galarr, scolarono il
suo sangue in un vaso chiamato Óðrørir e in due coppe, che poi dovettero consegnare al
gigante Suttungr come guidrigildo per l'uccisione del padre di questi. Suttungr portò il vaso e le coppe nella
sua caverna e vi mise a guardia la figlia Gunnlǫð. Óðinn, che intendeva impadronirsi del magico idromele,
giunse nei pressi della casa di Suttungr, sotto il falso nome di Bǫlverkr «colui che opera il male». Dopo aver
forato la roccia con un trapano chiamato Rati, trasformatosi in serpente, Óðinn passò attraverso il buco e
giunse presso Gunnlǫð. Dopo essere giaciuto con lei per tre giorni e tre notti, Óðinn ricevette da lei il
permesso di bere tre sorsi del magico idromele ma, presi la coppa e i due vasi, in tre sorsi li vuotò.
Trasformatosi in aquila, Óðinn fuggì poi verso l'Ásgarðr ma, lungo il viaggio, scontrandosi con Suttungr,
non poté fare a meno di versare sulla terra un po' di idromele. Ed è così che l'arte poetica fu donata agli
uomini.

106 ― (e) «Vie degli jǫtnar» [jǫtna vegir] è una kenning per indicare le rocce. Ricordiamo che Óðinn,
trasformato in serpente, si era infilato nel foro lasciato dal trapano nella parete della roccia: mentre scivolava
nel pertugio, egli aveva roccia sopra e sotto di sé. 

107 ― (a) Vel keypts litar. Nel suo importante studio sull'Hávamál, David Evans ritiene che il manoscritto
qui sia corrotto e traduce litar (litr è letteralmente «colore» ma, per estensione, «aspetto, sembiante») come
qualcosa che abbia a che fare con l'idromele della poesia. Secondo l'autore, il resto del verso si riferirebbe
appunto ai benefici del possesso di questo vélkeypts mjǫðr «idromele preso con l'inganno» (Evans 1986). A
nostro parere, non c'era tuttavia bisogno di sviare così tanto il senso della strofa, che così com'è si riferisce
con sufficiente chiarezza alla seduzione di Gunnlǫð da parte di Óðinn, che gli permise di rubare il magico
idromele custodito nel vaso Óðrørir. ― (f) Il senso letterale del verso á alda vés jarðar è «al santuario delle
stirpi della terra», intendendo con ogni probabilità che il magico idromele, rubato da Óðinn a Suttungr,
cadde poi sulla terra di modo che anche presso gli uomini è oggi diffusa l'arte poetica. Questo è il mito
narrato da Snorri in Skáldskaparmál [2]. Essendo il verso un po' lambiccato, gli studiosi hanno creduto di
individuarvi delle corruttele. Jónnson ha proposto di emendare in á vé alda jaðars «al santuario del signore
delle stirpi», intendendo con questo che il magico idromele sarebbe stato poi trasportato
nell'Ásgarðr (Jónsson 1926). Questo «santuario del signore delle stirpi» sarebbe, nell'interpretazione di
Jónnson , una doppia kenning dove il «signore delle stirpi» è appunto Óðinn e il suo santuario l'Ásgarðr. A
parte il fatto che è sempre preferibile riferirsi al testo non emendato piuttosto che modificarlo per adattarlo
alle nostre interpretazioni, ma il mito del furto dell'idromele da parte di Óðinn è appunto la rivelazione delle
origini della poesia, dono degli dèi e strumento di sapienza soprannaturale.

111-137 ― Questo gruppo di strofe comprende una composizione unitaria, a cui si dà generalmente il titolo
di Loddfáfnismál, «Discorso di Loddfáfnir», poi confluito nell'Hávamál. Si configura come una serie di
consigli che Hár («alto, eccelso», epiteto di Óðinn) rivolge a un certo Loddfáfnir, riferiti da qualcuno che
afferma di averli uditi nelle «sale di Hár». Il nome Loddfáfnir non compare altrove, non sappiamo quindi
dire chi fosse o di quali vicende fosse stato il protagonista. Alcuni interpreti ritengono che Loddfáfnir sia
stato uno scaldo itinerante, l'effettivo autore della composizione, nella quale riferisce delle massime
sapienziali che afferma di avere udito dallo stesso Hár (ipse dixit). Secondo Karl Müllenhoff, infatti, il
titolo Hávamál in origine era dato al solo Loddfáfnismál (Müllenhoff 1908). Il contenuto delle strofe
del Loddfáfnismál è in effetti assai assai vicino a quello delle prime strofe dell'Hávamál. La strofa [111] è
probabilmente corrotta ma, nonostante gli sforzi fatti al riguardo, è arduo individuare ed emendare le
corruttele.
112 ― La lunga formula che introduce la maggior parte dei versi del Loddfáfnismál nei manoscritti viene in
seguito riferita in modo abbreviato. 

115 ― (g) Eyrarúna vuol dire letteralmente «mormorare all'orecchio»; da qui, nel linguaggio


poetico eyrarúno è colei che mormora in segreto all'orecchio di qualcuno, una confidente, intima amica,
amante. Questa parola compare qui e in Vǫluspá [39] dove ha addirittura il significato di «moglie». 

114 ― (f) Si confronti con la scena, presente nel poema anglosassone Deor, dove è detto di Mæðhild «un
doloroso amore la privava di tutto il sonno» [þæt him seo sorglufu slæp ealle binom]. 

119 ― (g) A quanto pare, nel manoscritto originale, i versi [119h-119j] si trovavano, ripetuti, in fondo alla
strofa [44]. Da qui, Barend Sijmons deduceva che l'autore del Loddfáfnismál era anche quello
del Gestaþáttr (Sijmons 1906). L'ipotesi è forse un po' eccessiva: nulla impedisce che, nella rielaborazione
del materiale del Hávamál, gli stessi versi siano stati erroneamente ripetuti in due punti diversi. Nelle
edizioni critiche, questi versi sono espuntati dalla strofa [44] (rimane il semiverso [44f] simile, ma non
identico, al [119g]).

120 ― (g) Nem liknargaldr «impara incantesimi benefici» è la traduzione letterale (galdr è infatti il canto
magico). Poiché questa chiusa non è molto coerente col resto della strofa, Sijmons gioca sull'analogia tra
magia e fascino e intende: «impara a renderti amabile» (Sijmons 1906). L'interpretazione ha il pregio di
accordarsi al significato della strofa, ma il difetto di essere eccessivamente libera.

122 ― (g) Ósvinna apa, letteralmente «insavie scimmie» ma, in senso traslato, «idioti, folli». Il
norreno api (cfr.anglosassone apa, inglese ape «scimmia») ha entrambi i significati; questo vocabolo non si
trova nella poesia scaldica, né nella prosa popolare, ma si riscontra unicamente nella letteratura religiosa e
sapienziale. 

124 ― (a) Sifjum er þá blandat. Sif significa «relazione, parentela», in questo caso sta per
«amicizia»; blanda è «mescolare, scambiare». Si intende qui una relazione di amicizia che è quasi un
vincolo di parentela. Si potrebbe forse riferire alla «fratellanza di sangue», con la quale si mescolava il
sangue in una solenne cerimonia (Leesthal 1939). 

127 ― (f) Nel testo kveðu þ' bǫlvi at. Nella sua edizione dell'Hávamál, Bugge espande la
contrazione «þ'» in þér «a te» nel testo («afferma sia un'offesa a te»), ma in appendice propone una lettura
alternativa þat  «questo» («afferma sia questo un'offesa») (Bugge 1867). Qualunque sia la soluzione corretta,
non inficia il senso della traduzione: «protesta ad alta voce per l'offesa che ricevi e non lasciar correre per
viltà o debolezza». 

129 ― (g) Gjalti glíkir è letteralmente «somiglianti a cinghiali». In genere viene inteso come «pazzi di
terrore», nel senso dell'espressione norrena svín galinn «pazzo come un porco». Si è anche pensato, con
scarsa verosimiglianza, a una possibile influenza dell'episodio evangelico dei dèmoni che entrano in un
branco di porci (Euaŋgélion katà Matthaîon [8]). È anche possibile che questo semiverso e il successivo
siano stati interpolati da un differente poema (Bellows 1923). ― (i) Síðr þitt of heilli halir. Jónsson
suggerisce che þitt qui possa avere più senso come pronome accusativo þik  «te» (Jónsson 1926). Evans
emenda in þik  (Evans 1986). Anche se abbiamo lasciato il testo norreno originale, in traduzione abbiamo
tenuto conto dei suggerimenti. 

131 ― (f) Ok  eigi ofváran. I due semiversi suonano letteralmente «prudente io ti consiglio di essere | e non
troppo prudente», ma il passo suona meglio leggendo come fosse en «ma» invece di ok «e». Nonostante le
argomentazioni di molti studiosi, non c'è tuttavia necessariamente da pensare che il testo sia corrotto (cfr.
nota 70b). ― (f-j) È probabile che questi quattro semiversi siano stati interpolati da un differente
poema (Bellows 1923). 
133 ― Molti editori eliminano gli ultimi tre semiversi [133d-133f] di questa strofa come spuri, ponendo i
primi tre semiversi [133a-133c] alla fine della strofa [132]. Altri, dopo aver spostato i semiversi [133d-
133f] in coda alla strofa [132], li sostituiscono inserendo tre semiversi tratti da un tardo manoscritto e che
suonano: «male e bene | i figli degli uomini | portano sempre mescolati in petto». (Bellows 1923). 

134-134 ― (h-l) È possibile che gli ultimi cinque semiversi della strofa siano stati interpolati da un
differente poema (il parallelismo tra gli ultimi tre indica la comune origine). Secondo Bellows, la loro
interpolazione in questa strofa dipende dall'associazione tra la pelle grinzosa delle persone anziane e gli otri
di cuoio appesi nelle antiche case di campagna vichinghe (Bellows 1923). ― (l) Il fermento che si formava
nello stomaco dei vitelli veniva adoperato per la preparazione del latte rappreso e del formaggio, dopo essere
stato lavato e appeso ad asciugare e affumicare. Vílmǫgr è lo stomaco che contiene appunto il vil, termine
usato ancora oggi in Islanda per designare questo speciale fermento del latte (Sijmons 1906 | Leesthal
1939). 

137 ― Questa strofa, lista di strani rimedi magici, è una delle più ardue e di difficile interpretazione.
Secondo alcuni studiosi sarebbe stata probabilmente interpolata, ma – vista le oggettive difficoltà a penetrare
le antiche pratiche magiche di uso quotidiano – è assai più probabile che siano gli studiosi stessi a non
riuscire a capirci molto! Diamo nelle note seguenti qualche spiegazione riguardo ai versi più ardui. ― (f-g)
«Invoca per te la forza della terra! | perché la terra serve contro la birra». Secondo la spiegazione di Olga
Gogala di Leesthal, questa coppia di semiversi farebbe riferimento al fatto che la birra che veniva distillata
in casa conteneva spesso dei tossici, in quanto non si sapeva ben ripulire il grano dalle erbacce; si
provvedeva dunque a mescolare la terra alla birra per neutralizzarne le eventuali qualità nocive (Leesthal
1939). È forse una spiegazione troppo pratica per un poema di argomento magico. È invece possibile, a
nostro parere, che si faccia riferimento all'uso vichingo di versare in terra il primo sorso di birra in modo da
nutrire gli spiriti del luogo [landvættir] affinché potesse esserci armonia tra le forze soprannaturali che
vigilavano sul territorio e gli uomini che vi dimoravano. ― (i) Tra i rimedi rimedi erboristici, la quercia [fik]
e i suoi prodotti erano consigliati per le irregolarità intestinali (abbinde è la dissenteria); fino a tempi molto
recenti si dava da bere ai bambini caffè di ghianda come astringente (Leesthal 1939). ― (j) Reichborn-
Kjennerud ricorda al riguardo che in Norvegia e in Svezia la spiga di grano veniva utilizzata contro il mal di
denti e altre malattie (Reichborn-Kjennerud 1923 | Leesthal 1939). ― (k) Hǫll við hýrógi. Il significato
letterale è «la sala [agisce] contro le liti in famiglia». Anche se è vero che i litigi familiari si svolgono nel
chiuso delle sale, rimane difficile cogliere il senso della frase. Molti autori hanno proposte varie
interpretazioni. Secondo Sijmons la parola hǫll «sala» andrebbe emendata in havll, nome nordico del
sambuco [Sambucus nigra] (Sijmons 1906). Questa è la soluzione comunemente accettata dai traduttori. Si
veda ad esempio la traduzione inglese di Henry Adams Bellows «la segale cura i dissidi» [rye cures
rupture] (Bellows 1923). In Italia, Olga Gogala di Leesthal traduce «il sambuco [sana] i dissidi familiari» e
sana anche, aggiunge in nota, tutti i malanni che ne possono derivare, come l'itterizia, malattia associata alla
collera e all'inquietudine (Leesthal 1939). Anche Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli traducono «il
sambuco [si porta via] le liti familiari» (Scardigli 1982). ― (m) Beiti við bitsóttum. Altra frase di ardua
interpretazione. La parola bíta in norreno vuol dire «mordere» (bit è «morso»). Bitsótt è la «malattia del
morso», probabilmente una malattia contagiosa trasmessa attraverso il morso di un animale. Traduciamo per
brevità «rabbia», ma si tratta di una licenza. Quello che sfugge è il significato della prima parola, beiti,
anch'essa legata all'area semantica del mordere. Rask. Sijmons la riferisce al lombrico [Lumbricus
terrestris], in quanto in norreno beit-fiskr indicava l'esca utilizzata nella pesca, tanto che – sempre secondo
Sijmons – ancora ai primi del Novecento in alcuni dialetti norvegesi il lombrico sarebbe stato
chiamato beite o bietel (Sijmons 1906). Da qui la traduzione di Olga Gogala di Leesthal che rende questo
semiverso con «serve il lombrico per ferite e morsi», ricordando in nota come il lombrico venisse adoperato
in medicina fin dai tempi remoti (Leesthal 1939). Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli traducono
«l'allume [porta via] le malattie da morsi» (Scardigli 1982). Ci sembra che tali traduzioni siano
eccessivamente cervellotiche, tanto più che il significato principale di beiti è «pascolo».Già ai primi
dell'Ottocento, la traduzione svedese di Rasmus Rask riportava «il pascolo cura le malattie dei morsi» [bete
mot bitsjuka] (pur conservando l'ambiguità, perché in svedese bete vuol dire anche «esca») (Rask 1818). Su
questa linea la traduzione di Henry Bellows «l'erba cura la scabbia» [grass cures the scab] (ma la scabbia si
trasmette per contatto, non con i morsi) (Bellows 1923). Secondo il monumentale dizionario antico islandese
di Richard Cleasby e Gudbrand Vigfússon, la parola beiti, oltre ad avere il significato generale di «pascolo»,
indica pure l'erica [Erica vulgaris] (Cleasby ~ Vigfússon 1874). Ci sembra che sia questa la soluzione più
semplice ed elegante. ― (o) Flóð in norreno significa «inondazione, diluvio, alluvione»; in poesia la parola
può anche indicare un fiume o un mare. Di qui le traduzioni letterali, come quella inglese di Bellows «il
campo assorbe gli allagamenti» [the field absorbs the flood] (Bellows 1923). Più sottile quella italiana di
Olga Gogala di Leesthal «il terreno gli umori assorbe» (Leesthal 1939). Interessante la traduzione di
Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli che insinua la presenza dell'elemento magico: «la terra porta via il
flusso maligno»  (Scardigli 1982). 

138-145 ― Questa sezione è intitolata Rúnatal «Dissertazione sulle rune». Si allude al mito di


come Óðinn sacrificò sé stesso per impossessarsi del potere delle rune, racconto che purtroppo non è riferito
da altri documenti e del quale l'Hávamál rimane l'unica fonte. Questa la ragione per cui l'intero passo rimane
oscuro e di ardua interpretazione. Se questo non bastasse, il brano sembra essere corrotto: le strofe [138 |
139 | 141] seguono la vicenda del sacrificio di Óðinn, mentre la [140] sembra provenga dalla sezione
relativa alla seduzione di Gunnlǫð e al furto dell'idromele della poesia [104-110]. Le strofe
dalla [142] alla [145] provengono da fonti diverse e sembrano essere state inserite qui semplicemente perché
trattano lo stesso argomento, la conoscenza delle rune e il potere che ne deriva.

138 ― (g-i) Questi tre semiversi sono anche presenti nello Svipdagsmál [30]. 

140 ― Questa strofa, come detto, sembra provenga dalla sezione relativa alla seduzione di Gunnlǫð [104-
110], come si evince dal riferimento all'idromele della poesia contenuto nel vaso Óðrørir. Come sappiamo
da Snorri (Gylfaginning [6]), Bestla fu la madre di Óðinn, Bǫlþorn ne fu il nonno. Nulla tuttavia sappiamo di
questo altro figlio di Bǫlþorn che, stando a quanto qui è detto, avrebbe insegnato a Óðinn nove «terribili
canti magici» [fimbulljóð]. Alcuni interpreti ritengono si tratti di Mímir che, in tal caso, diverrebbe zio
di Óðinn. È un'ipotesi elegante ma, ahimé, rimane soltanto un'ipotesi.

142-143 ― Queste due strofe vengono probabilmente da un medesimo poema di argomento magico-runico,
tanto che in alcune edizioni sono accorpate insieme in una strofa unica. Alcuni traduttori, seguendo il
consiglio di Bugge, traspongono i semiversi della strofa [142] in quest'ordine: a, e, f, b, c, d, g (Bugge
1867): ne risulta un periodare più scorrevole, ma è dubbio che sia stata questa l'intenzione del poeta (è noto
quanto la poesia scaldica fosse involuta e complessa). Come già detto, il «metro strofico» qui utilizzato,
presenta le medesimi varianti della strofa [80], anch'essa di argomento runico, così che è possibile che le tre
strofe provengano da uno stesso poema. 

142 ― (e) Il «terribile vate» [fimbulþulr] di cui qui si parla è evidentemente lo stesso Óðinn. Si noti che le
rune, una volta incise nel legno, venivano dipinte di rosso. 

143 ― I nomi Dáinn e Dvalinn compaiono entrambi come nomi di nani in Vǫluspá [14]. Il fatto che


qui Dáinn venga detto un elfo potrebbe essere spiegato come la possibilità di una confusione tra i vari esseri
che partecipavano alla sfera del soprannaturale: sappiamo infatti che gli elfi scuri [Døkkálfar] dimoravano
sottoterra ed erano spesso confusi con i nani (così come in molti testi nani e troll e giganti sembrano
confondersi gli uni con gli altri, nella vaga immagine di esseri primordiali legati al mondo litico). In ogni
caso, Dáinn è l'unico nome di elfo che conosciamo, per quanto sia anche un nome di nano. Inoltre, i
nomi Dáinn e Dvalinn compaiono insieme anche nel Grímnismál [33], anche se come nomi di due dei
quattro cervi che rodono le foglie del frassino Yggdrasill. Del gigante Ásviðr «tutto saggio» non si hanno
altre ricorrenze nella letteratura. 

144 ― Questa strofa, che utilizza il «metro delle canzoni» [málaháttr], è un'interpolazione da una fonte
ancora diversa. Nel manoscritto la frase «sai tu come» [veistu hvé] è abbreviata. 

145 ― Anche questa strofa è problematica. Si ritiene che i semiversi a-e e i semiversi f-i appartenessero in


origine a due strofe diverse: Bugge pensa che questi ultimi provengano dalla fine della strofa [143] (Bugge
1867). ― (f) Þundr, epiteto di Óðinn. 
146-163 ― Questa sezione è intitolata Ljóðatal, «dissertazione sui canti magici». Óðinn parla di diciotto dei
potenti canti magici che egli conosce, dei quali spiega le proprietà, pur non enunciando i canti stessi.
L'enumerazione dei canti (primo, secondo, terzo, etc.) viene data nel testo in numeri romani. 

147 ― (c) Nell'edizione tradotta da Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli si legge «di che cosa i figli degli
uomini abbiano bisogno | se vogliono vivere da mendici» (Scardigli 1982). È sicuramente una svista: la
parola corretta non è «mendici» ma «medici». È infatti quest'ultimo il significato del norreno læknar. Anche
se val forse la pena di sottolineare che dall'anglosassone læce «guaritore» è derivata, in inglese moderno, la
parola leech «sanguisuga» (anche in senso figurato), proprio grazie al largo impiego che la medicina antica
faceva di questo animaletto per praticare salassi e simili. 

149 ― Questa strofa riguardante la magica liberazione di un prigioniero da ceppi e catene, ricorda una scena
narrata dal Venerabile Beda e riguardante il nortumbriano Imma il quale, catturato dopo la battaglia di Trent
(679), non poté essere legato in alcun modo in quanto corde e catene si scioglievano magicamente e
cadevano a terra. La ragione di questo fatto era che suo fratello Tunna, avendo creduto che Imma fosse
morto in battaglia, aveva fatto dire molte messe per liberare la sua anima: poiché Imma era vivo, quelle
messe avevano invece l'effetto di liberarlo fisicamente dai ceppi. (Historia ecclesiastica Anglorum [IV:
22]) 

151 ― (c) Á rotom rás viðar «con radici di un albero verdeggiante». Semiverso di difficile interpretazione:
difficile dire quale sia il senso di ferire un uomo con la radice di un albero verde (si potrebbe ad esempio
pensare a quanto narrato nella Grettis saga, in cui si causa la morte del protagonista incidendo rune su una
radice che gli era stata mandata). Effettivamente è all'opera qualche tipo di arte magica, visto che Óðinn si
dice in grado di ritorcere la fattura al nemico. Alcuni traduttori hanno proposto di emendare la problematica
parola rás (qui interpretata «verdeggiante») con rams «forte», ma questo non riduce le perplessità. 

155 ― (b) «Cavalcatrici dei recinti» [túnriður] è una kenning per «streghe». 

160 ― Secondo l'opinione di Müllenhoff, questa strofa sarebbe stata la conclusione originale
dell'Hávamál e la frase «un quindicesimo» sarebbe stata aggiunta soltanto quando la strofa finì per essere
inserita nella sezione dei canti magici (Müllenhoff 1908). Non è molto chiaro, tuttavia, su quali basi si possa
sostenere tale ipotesi: non ci sembra che questa strofa abbia qualcosa di particolarmente significativo da
giustificare tale asserzione. ― (b) Þjóðrǫrir non è menzionato altrove: non sappiamo chi fosse. ―
(f) Hroptatýr è epiteto di Óðinn. 

162 ― Questa strofa è il risultato della giustapposizione di due strofe differenti. I primi tre semiversi di
questa strofa (a-c) sono infatti quanto resta di una strofa originariamente indipendente, che è stata poi
giustapposta alla strofa successiva (qui formata dai semiversi d-i). Molte edizioni le registrano infatti come
due strofe differenti, la prima delle quali lacunosa. I tentativi di completare i versi mancanti non hanno dato
risultati convincenti. Il richiamo a Loddfáfnir nella seconda parte della strofa fa capire che questa
apparteneva in origine alla sezione del Loddfáfnismál. 

163 ― (g-i) Cioè «se non, unica, a colei | che col braccio mi cinge | oppure è a me sorella». Chi è questa
donna che viene detta essere l'«unica» [einni] confidente di Óðinn per quanto riguarda le segrete arti
magiche del dio? Alcuni interpreti intendono questo passo nel senso che, in qualche antica versione del mito
nordico, la sposa di Óðinn fosse anche sua sorella (a volte con l'esplicito intento di «nobilitare» il mito
nordico tracciando un parallelo classico con Iuppiter, la cui sposa Iuno era  detta et soror et
coniunx (Æneis [I: 47])). Al contrario, nell'Hávamál i due attributi sono posti tra loro in una sorta di
opposizione, in cui il secondo è introdotto dalla congiunzione eða «o». Il tono della strofa sembra essere
generale: non pare che Óðinn si riferisca a qualcuno in particolare. Il senso è probabilmente: «non
racconterei queste cose a nessun altro, tranne forse, unica persona, a mia moglie od a mia sorella». 

164 ― La chiusa dell'Hávamál  viene di nuovo dal Loddfáfnismál. È evidente che è slittata alla fine del
poema a causa dell'inserzione del Rúnatal e del Ljóðatal. Vari traduttori tendono a rimetterla «a posto»,
dopo la strofa [137], così da concludere la sezione iniziata con la strofa [111] (Müllenhoff 1908 | Bellows
1923). 

Bibliografia

 BELLOWS Henry Adams [trad.], The Poetic Edda. Translated from the Icelandic with an Introduction
and Notes. American-Scandinavian Foundation, New York 1923.
 BUGGE Sophus, Sæmundar Edda hins fróða. In: «Norrœœn fornkvæði». Christiania [Oslo] 1867.
 CLEASBY Richard ~ VIGFÚSSON Guðbrandur, An Icelandic-English Dictionary. Oxford, 1874.
 COSTANZO Antonio [cura], Hávamál. La voce di Odino. Il testo sacro degli antichi vichinghi. Diana,
Frattamaggiore 2010.
 EVANS David A.H., Hávamál. Londra 1986.
 GERING Hugo [trad.], Die Edda. Die Lieder der sogenannten älteren Edda. Bibliographisches Institut,
Liepzig/Wien 1892, 1927.
 GRUNDTVIG Nikolai Frederik Severin, Lidet om Sangene i Edda. København 1806.
 HILDEBRAND Karl von, Die Lieder der Älteren Edda. Schöningh, Paderborn 1876
 JÓNSSON Finnur, Sæmundar Edda. Reykjavík 1926.
 LEESTHAL Olga Gogala di [cura], Canti dell'Edda. UTET, Torino 1939.
 MASTRELLI Alberto [cura], L'Edda. carmi norreni. Classici della religione. Sansoni, Firenze 1951,
1982.
 MÜLLENHOFF Karl, Deutsche Alterertumskunde. Berlin, 1908.
 NECKEL Gustav, Edda. Die Lieder des Codex Regius nebst verwandten Denkmälern, vol. I. Heidelberg
1962.
 NIEDNEL Felix, Edda Heldendichtung / Götterdichtung. Diederichs, Jena 1962.
 PRAMPOLINI Giacomo, Letterature germaniche insulari. In: Storia universale della letteratura, vol.
III. UTET, Torino 1949.
 RASK Rasmus Christian [trad.], Sæmundar Edda. Stockholm 1818.
 REICHBORN-KJENNERUD Ingjald, Lægerådene i den eldre Edda. In: «Maal og Minne». Novus
Forlag, Kristiania [Oslo] 1923.
 RYDBERG Viktor, Undersökningar i germanisk mythologi. Adolf Bonnier, Stockholm 1886. →
ID., Teutonic Mythology. Gods and Goddesses of the Northland. Norrœna Society, London 1889.
 SCARDIGLI Piergiuseppe [cura] ~ MELI Marcello [trad.], Il canzoniere eddico. Garzanti, Milano 1982.
 SIJMONS Barend, Lieder der Edda. Halle 1906.

Potrebbero piacerti anche