Letteratura Italiana - Francesco Petrarca
Letteratura Italiana - Francesco Petrarca
Letteratura Italiana - Francesco Petrarca
Nasce ad Arezzo nel 1304 e muore ad Arquà nel 1374, si trasferisce ad Avignone con la famiglia e
inizia gli studi giuridici ma li molla. Conduceva una vita frivola e dissipata, ma era anche
profondamente religioso (portava sempre con sè le Confessioni di sant’Agostino), amava molto i
classici, scriveva in latino, usò la figura di Laura (richiamava il lauro, pianta sacra ad Apollo dio
della poesia) come simbolo in cui concentrare la sua vita travagliata.
Nonostante tutto voleva una sicurezza economica, quindi prese gli ordini minori. Era molto amico di
Boccaccio. Aveva una tendenza al raccoglimento interiore, per meditare, a Valchiusa —> otium
letterario (da cui naquero molti dei suoi testi). Egli era il simbolo di un’attività intellettuale
indipendente.
Nel 1341 a Roma sul Campidoglio ricevette un’incoronazione poetica, ma subito dopo seguì una
crisi religiosa (causa del ritiro in convento del fratello Gherardo)—> tortuoso processo interiore per
tentare di purificarsi —> profondo dissidio di personalità. P. sapeva di essere molto influente, non si
ha mai voluto avere un ruolo polotico fisso da ricoprire, lo distraeva dallo studio, ma sentiva molto i
problemi del suo tempo e ad esempio appoggiò il ritorno del papa a Roma.
Era un intellettuale cosmopolita (libero da ogni condizionamento nazionale), manifestato dalla
perpetua voglia di viaggiare.
Era un intellettuale cortigiano, accettava la signoria e la sostiene col suo prestigio, giocando un
importante ruolo, ma senza mai abbandonare la sua autonomia, data soprattutto dalle rendite
ecclesiastiche, anticipando la figura del chierico, e grazie ai favori dei signori.
La letteratura viene considerata come la manifestazione più alta dello spirito umano—> humanitas
Il mondo antico diventa il modello prediletto di vita, P. disprezza un sapere puramente tecnico e
scientifico e apprezza “le lettere”, perchè conducono alla meditazione e alla riflessione che portano
alla conoscenza di sè. Per P. il poeta è il sacerdote di questo “culto”.
Abbiamo detto che scrive in latino, le due opere sono divise in due gruppi: religioso-morali e
umanistiche. Odiava la filosofia scolastica, perchè per lui la filosofia è quella che mira a
comprendere l’uomo e a esplorare la sua interiorità. Deve tutto a Sant’Agostino. Egli si rinchiude
nella contemplazione del proprio io a causa della sua incapacità di affrontare il mondo esterno.
IL SECRETUM, scritto in un latino limpido e armonioso nonostante ciò che scrive non lo sia, è la
traduzione del suo continuo esame di coscienza, un dialogo tra P. che rappresenza la fragilità del
peccatore e Sant’Agostino che rappresenta l’istanza superiore, si svolge in 3 giorni alla presenza di
una donna bellissima che è la Verità. 3 libri:
1. A. rimprovera la debolezza di volontà di P.
2. A. analizza i peccati capitali e si concenta sull’accidia, che affligge P.
3. A. analizza le colpe più gravi: il desiderio di gloria terrena e l’amore per Laura.
Quando il dialogo si conclude P. ha ancora le idee confuse ed è pieno di contraddizioni, e continua
a non sapere come conciliare vita mondana e l’ascesi.
Per P. la solitudine è molto importante, ma deve essere rallegrata dalla natura, dagli amici e dai
libri. Essa dice che può essere fonte di purificazione tramite meditazione, preghiera, studio dei
classici ed esercizio della poesia.
P. sa che per lui l’ideale assoluto di un’eroica ascesi è impossibile, quindi ripiega verso la vita
tranquilla del letterato, perchè per lui l’attività letteraria è un modo per migliorare sè stesso —>
umanesimo cristiano.
Petrarca a differenza di Dante non assimila più il mondo antico al presente, nasce quindi la filologia
(la scienza che ha come fine la ricostruzione di testi letterari nella loro forma più vicina all’originale e
che ne consente una comprensione più precisa). Egli fruga nelle antiche biblioteche e scopre molte
cose, compiendo un accurato lavoro di confronto con le opere già in suo possesso per evitare errori
e , grazie alla sua rete di contatti in europa, mette in circolo le sue scoperte. P. guarda agli scrittori
del passato con nostalgia e ammirazione, ma comunque ha la consapevolezza del distacco
temporale con essi.
Durante tutta la durata della sua vita scrive epistole in prosa latina (24 di Familiari, 17 di Senili, le
Sine Nomine, le Varie). Esse sono dei veri e propri componimenti letterari, che egli rivedeva per
eliminare ogni riferimento troppo preciso a cose, persone, momenti storici —> trasfigurazione
letteraria della realtà, seguendo la legge della selezione e dell’idealizzazione.
Immagine ideale del dotto: -fede in una cultura disinteressata -fastidio per le attività pratiche -sogno
di un’esistenza quieta e appartata -consapevolezza di dover assumere una funzione pubblica.
Con P. tutti gli aspetti più bassi della quotidianità vengono eliminati, anticipando il Rinascimento.
Nelle epistole si colgono molti particolari che evidenziano la psicologia contraddittoria di P.
AFRICA: composto nel 1338, un poema epico in esametri latini, il cui argomento è la seconda
guerra punica, tutto il materiale è stato trovato dalle Storie di Livio e dall’Eneide. P. esalta la gloria di
Roma, in particolare di Scipione, ma oltre alla enfasi celebrativa si può notare come P. pensi alle
cose negative e che più gli danno da pensare: la vanità, l’inquietudine, la morte, che è l’unica
certezza. Anche la gloria romana sembra poco rispetto all’eterno.
DE VIRIS ILLUSTRIBUS: un racconto di biografie di illustri personaggi romani, ma anche qui P.
arriva al pessimismo, parlando della fugacità della gloria e della miseria della condizione umana.