Jesús Huerta de Soto, «Moneta, credito bancario e cicli economici», trad. it. di Carlo Zucchi (capp. 1-5) e di Giancarlo Ianulardo (capp. 6-9), revisione di Carlos Ianulardo, a cura di Giancarlo Ianulardo
Jesús Huerta de Soto, «Moneta, credito bancario e cicli economici», trad. it. di Carlo Zucchi (capp. 1-5) e di Giancarlo Ianulardo (capp. 6-9), revisione di Carlos Ianulardo, a cura di Giancarlo Ianulardo
Jesús Huerta de Soto, «Moneta, credito bancario e cicli economici», trad. it. di Carlo Zucchi (capp. 1-5) e di Giancarlo Ianulardo (capp. 6-9), revisione di Carlos Ianulardo, a cura di Giancarlo Ianulardo
Capitolo I:
Natura giuridica del contratto di deposito irregolare di moneta
Capitolo II:
La violazione dei principi giuridici del contratto di deposito irregolare di moneta
nella storia
1) INTRODUZIONE
2) LA BANCA IN GRECIA E A ROMA
I trapeziti o banchieri greci
La banca nel mondo ellenistico
La banca a Roma
Il fallimento della banca del cristiano Callisto
Le «societates argentariae»
3) I BANCHIERI NEL BASSO MEDIOEVO
La rinascita della banca di deposito nell’Europa mediterranea
La proibizione canonica dell’usura e del «depositum confessatum»
La banca nella Firenze del secolo XIV
La Banca dei Medici
La banca in Catalogna durante i secoli XIV-XV: La Taula de Canvi
4) LE BANCHE ALL’EPOCA DI CARLO V E LA DOTTRINA DELLA SCUOLA DI
SALAMANCA SUL NEGOZIO BANCARIO
Lo sviluppo delle banche a Siviglia
La Scuola di Salamanca e il negozio bancario
5) UN NUOVO TENTATIVO DI SVILUPPARE LEGITTIMAMENTE IL NEGOZIO
BANCARIO: LA BANCA DI AMSTERDAM. LO SVILUPPO DELL’ATTIVITÀ
BANCARIA NEI SECOLI XVII E XVIII
La Banca di Amsterdam
David Hume e la Banca di Amsterdam
Sir James Steuart, Adam Smith e la Banca di Amsterdam
Le Banche di Svezia e Inghilterra
John Law e il sistema bancario della Francia nel secolo XVIII
Richard Cantillon e la fraudolenta violazione dei contratti di deposito irregolare
Capitolo III:
I tentativi di fondazione giuridica della banca con riserva frazionaria
1) INTRODUZIONE
2) L’IMPOSSIBILE IDENTIFICAZIONE DEL DEPOSITO IRREGOLARE CON IL
CONTRATTO DI PRESTITO O DI MUTUO
Ragioni per una confusione
L’equivocata dottrina della Common Law
L’errata dottrina della Common Law
La dottrina dei Codici Civile e Mercantile spagnoli
Critica dell’identificazione tra il contratto di deposito irregolare di moneta e il contratto di
prestito o mutuo
La causa o motivazione distinta di entrambi i contratti
La tesi dell’accordo tacito o implicito
3) UN’USCITA A VUOTO: LA RIDEFINIZIONE DEL CONCETTO DI DISPONIBILITÀ
4) IL DEPOSITO IRREGOLARE DI MONETA, LE OPERAZIONI CON PATTO DI
RICOMPRA E I CONTRATTI DI ASSICURAZIONE SULLA VITA
Le operazioni con patto di ricompra
Il caso particolare dei contratti di assicurazione sulla vita
Capitolo IV:
Il processo bancario di espansione creditizia
1) INTRODUZIONE
2) L’ATTIVITÀ BANCARIA DI VERA INTERMEDIAZIONE NEL CONTRATTO DI
PRESTITO
3) L’ATTIVITÀ DELLA BANCA IN UN CONTRATTO DI DEPOSITO BANCARIO DI
MONETA
4) EFFETTI DELLA DISPOSIZIONE DA PARTE DEL BANCHIERE DEI DEPOSITI A
VISTA: IL CASO DELLA BANCA ISOLATA
Il sistema di contabilizzazione europeo-continentale
La pratica contabile nel mondo anglosassone
La possibilità di espandere crediti e di creare depositi da parte di una banca isolata
Il caso della banca molto piccola
L’espansione del credito e la creazione dal nulla dei depositi nel caso della banca unica
monopolista
5) L’ESPANSIONE CREDITIZIA E LA CREAZIONE DI NUOVI DEPOSITI DA PARTE
DI TUTTO IL SISTEMA BANCARIO
La generazione di crediti in un sistema bancario di piccole banche
6) ALCUNE COMPLESSITÀ ADDIZIONALI
L’espansione iniziata simultaneamente da tutte le banche
Il filtro dei mezzi di pagamento fuori dal sistema bancario
Il mantenimento di riserve superiori all’incasso minimo necessario
Coefficienti di cassa distinti secondo la tipologia di depositi
7) L’IDENTITÀ ESISTENTE TRA LA CREAZIONE DI DEPOSITI E L’EMISSIONE DI
BIGLIETTI DI BANCA SENZA COPERTURA
8) IL PROCESSO DI CONTRAZIONE CREDITIZIA
Capitolo V:
Effetti dell’espansione creditizia bancaria sul sistema economico
Capitolo VI:
Considerazioni complementari sulla teoria del ciclo economico
1) Perché la cresi non si verifica quando i nuovi investimenti sono finanziati da risparmio
reale (e non da espansione creditizia)
2) La possibilità di ritardare l’avvento della crisi: la spiegazione teorica del processo di
recessione inflazionistica (stagflation)
3) Il credito al consumo e la teoria del ciclo
4) Il carattere autodistruttivo dei booms artificiali prodotti dall’espansione creditizia: la
teoria del «risparmio forzato»
5) Dilapidazione del capitale, capacità oziosa e cattivo investimento delle risorse produttive
6) L’espansione creditizia come causa mediata della disoccupazione di massa
7) L’insufficienza della contabilità nazionale nel momento di contabilizzare le diverse fasi
del ciclo
8) La funzione imprenditoriale e la teoria del ciclo
9) La politica di stabilizzazione del livello generale dei prezzi e i suoi effetti stabilizzatori
sul sistema economico
10) Come evitare i cicli economici: prevenzione e recupero dalla crisi economica
11) La teoria del ciclo e le risorse oziose: il loro ruolo negli stadi iniziali del boom
12) La necessaria contrazione del credito nella fase di recessione: critica della teoria della
«depressione secondaria»
13) L’economia «maniaco-depressiva»: la demoralizzazione della cultura imprenditoriale e
altri effetti negativi che il ripetersi del ciclo economico ha sull’economia di mercato
14) Influenza delle fluttuazioni economiche sulla Borsa valori
15) Effetti del ciclo economico sul settore bancario
16) Marx, Hayek e la considerazione delle crisi economiche come inerenti all’economia di
mercato
17) Due considerazioni complementari
18) La teoria del ciclo e la sua evidenza empirica
I cicli economici prima della Rivoluzione Industriale
I cicli economici a partire dalla Rivoluzione Industriale
I «felici» anni Venti e la Grande Depressione del 1929
Le recessioni economiche della fine degli anni Settanta e dell’inizio degli anni Novanta
Altri lavori di verifica empirica della teoria austriaca del ciclo economico
Conclusione
Capitolo VII:
Critica delle teorie monetarista e keynesiana
1) Introduzione
2) Critica della teoria monetarista
Il concetto mitico di capitale
La critica della Scuola austriaca a Clark e Knight
Critica della versione meccanicista della teoria quantitativa nella scuola monetarista
Breve cenno alla teoria delle aspettative razionali
3) Commenti critici alla teoria economica keynesiana
La legge di Say
I tre argomenti di Keynes sull’espansione creditizia
L’analisi keynesiana come teoria specifica
La cosiddetta efficienza marginale del capitale
La critica di Keynes a Mises e Hayek
Critica del moltiplicatore keynesiano
Critica del principio dell’«acceleratore»
4) La tradizione marxista e la teoria austriaca del ciclo economico. La rivoluzione
neoricardiana e la polemica sul reswitching
5) Conclusione
6) Appendice sulle operazioni di assicurazione sulla vita e altri intermediari finanziari non
bancari
Le compagnie di assicurazione sulla vita come veri intermediari finanziari
Il valore di riscatto e l’offerta monetaria
La corruzione dei principi tradizionali di assicurazione sulla vita
Altri intermediari finanziari veri: fondi di investimento e società di gestione del risparmio
Considerazione speciale delle assicurazioni di credito
Capitolo VIII:
Teoria della banca centrale e della banca libera
Capitolo IX:
Una proposta di riforma del sistema bancario. La teoria del coefficiente di cassa del
100 per cento
1) La storia moderna delle teorie a favore della proposta del coefficiente di cassa del 100 per
cento
La proposta di Ludwig von Mises
F.A. Hayek e il coefficiente di riserva del 100 per cento
Murray N. Rothbard e la proposta di un gold standard puro con un coefficiente di reserva del
100 per cento
Maurice Allais e la difesa europea del coefficiente di cassa del 100 per cento
L’antica tradizione della Scuola di Chicago a favore del 100 per cento di riserva
2) La nostra proposta di riforma del sistema bancario
(a) La totale libertà di scelta della moneta
(b) Il sistema di completa libertà bancaria
(c) Assoggettamento di tutti gli agenti implicati nel sistema di libertà bancaria alle
norme e principi tradizionali del diritto e, in particolare, al coefficiente del 100 per
cento di riserva per i depositi a vista
Come sarebbe il sistema finanziario e bancario in una società libera?
3) Analisi dei vantaggi del sistema proposto
4) Risposta alle possibili obiezioni alla nostra proposta di riforma monetaria
5) Analisi economica del processo di riforma e transizione verso il sistema monetario e
bancario proposto
Alcuni principi strategici fondamentali
Fasi della riforma del sistema bancario e finanziario
L’importanza della terza e delle successive fasi della riforma: la possibilità di approfittarne
per ammortizzare il debito pubblico o le obbligazioni del sistema pensionistico della Sicurezza
Sociale
L’applicazione della teoria della riforma del sistema finanziario e bancario al processo di
unificazione monetaria ed europea e alla costruzione del settore finanziario nelle antiche
economie di socialismo reale
6) Conclusione: Il sistema bancario in una società libera
Bibliografia
Prefazione all’edizione italiana
Sono contento di presentare ai lettori di lingua italiana la traduzione di Dinero, crédito bancario y
ciclos económicos,1 specialmente necessaria negli attuali momenti in cui si stanno scatenando in
tutta la loro virulenza la grave crisi finanziaria e la conseguente recessione economica mondiale che
già annunciavamo da quando, dieci anni fa, fu pubblicata la prima edizione di questo libro
* * *
La politica di espansione artificiale del credito consentita e orchestrata dalle banche centrali negli
ultimi quindici anni non poteva concludersi diversamente. Il ciclo espansivo che adesso si è
concluso si consolida a partire da quando l’economia nordamericana è uscita dalla sua ultima
recessione (rapida e repressa) nel 2001 e la Riserva Federale ha ripreso di nuovo la grande
espansione artificiale del credito e degli investimenti iniziata a partire dal 1992. Questa espansione
creditizia non era sostenuta da un aumento parallelo del risparmio volontario delle economie
domestiche. Durante molti anni la massa monetaria sotto forma di biglietti e depositi è aumentata a
un ritmo medio superiore al 10 per cento annuale (il che equivale a duplicare ogni sette anni il
volume totale di moneta in circolazione nel mondo). Questa grave inflazione fiduciaria è stata
collocata nel mercato tramite il sistema bancario sotto forma di crediti di nuova creazione concessi
a tassi di interessse molto ridotti (finanche negativi in termini reali), il che ha favorito una grande
bolla speculativa sotto forma di aumento dei prezzi dei beni di capitale, attivi immobiliari e titoli
rappresentativi dei medesimi che sono scambiati nella borsa valori, i cui indici sono aumentati in
modo spettacolare.
Stranamente, allo stesso modo come era già avvenuto nei «felici» anni precedenti la Grande
Depressione del 1929, lo shock dell’aumento di moneta non ha riguardato in modo significativo i
prezzi del sottinsieme di beni e servizi di consumo (approssimatamente solo un terzo del totale dei
beni). Infatti, nell’ultimo decennio, così come negli anni Venti del secolo scorso, si è sperimentato
un aumento notevole della produttività, risultato della produzione massiccia di nuove tecnologie e
di importanti innovazioni imprenditoriali che, in assenza di iniezione monetaria e creditizia,
avrebbero prodotto una salutare e continua riduzione del prezzo unitario dei beni e servizi di
consumo. Inoltre, il pieno inserimento nel mercato globalizzato dell’economia cinese e indiana ha
aumentato ancor di più la produttività reale di beni e servizi di consumo. Che non si sia prodotta
una sana deflazione di prezzi dei beni di consumo, in una fase di così grande aumento della
produttività come quella degli ultimi anni, è la prova principale del fatto che il processo economico
è stato molto perturbato dallo shock monetario, fenomeno questo che analizziamo in dettaglio nel
nono paragrafo del sesto capitolo.
Così come spieghiamo in questo libro, l’espansione creditizia artificiale e l’inflazione dei mezzi di
pagamento (fiduciari) non rappresentano una scorciatoia che renda possibile lo sviluppo economico
stabile e sostenuto, senza la necessità di incorrere nel sacrificio e in una disciplina che comporta
ogni tasso elevato di risparmio volontario (che, al contrario, soprattutto negli Stati Uniti, negli
ultimi anni non solo non è aumentato ma addirittura in alcuni casi ha sperimentato tassi negativi).
Infatti, le espansioni artificiali della moneta sono sempre, in larga misura, «pane per oggi e miseria
per domani». Oggi, in effetti, non sussiste alcun dubbio sul carattere recessivo che, alla lunga, ha
sempre lo shock monetario: il credito di nuova creazione (non risparmiato precedentemente dai
cittadini) mette fin da principio a disposizione degli imprenditori un potere d’acquisto che questi
spendono in progetti di investimento spropositatamente ambiziosi (negli ultimi anni specialmente
nel settore delle costruzioni e delle promozioni immobiliari), cioè, come se il risparmio dei cittadini
fosse aumentato, quando di fatto una tal cosa non è avvenuta. Si produce così uno scoordinamento
1
Desidero ringraziare per lo sforzo e la dedizione profusa i traduttori della presente opera in italiano, il mio allievo Dr. Giancarlo
Ianulardo, che è anche il curatore della traduzione, e il Dr. Carlo Zucchi; inoltre un ringraziamento particolare per lo sforzo di
revisione va all’Ingegnere Carlos Ianulardo.
generalizzato nel sistema economico: la bolla finanziaria («esuberanza irrazionale») colpisce
negativamente l’economia reale e presto o tardi il processo si inverte sotto forma di una recessione
economica nella quale inizia il doloroso e necessario riassestamento che richiede sempre il
riadattamento di tutta la struttura produttiva reale che è stata distorta dall’inflazione. I detonatori
concreti che annunciano il passaggio dall’euforia propria dell’«ebbrezza» monetaria al «malessere»
della recessione sono molteplici e possono variare da un ciclo all’altro. Nelle circostanze attuali
hanno agito come detonatori più visibili l’aumento del prezzo delle materie prime e specialmente
del petrolio, la crisi delle cosiddette ipoteche subprime negli Stati Uniti e infine, la crisi di
importanti istituzioni bancarie quando si è scoperto nel mercato che il valore dei loro attivi (prestiti
ipotecari concessi) era inferiore a quello dei loro passivi.
Nelle attuali circostanze sono molte le voci interessate che pretendono ulteriori riduzioni dei tassi
di interesse e nuove iniezioni monetarie che permettano a chi lo desideri di portare a termine senza
perdite i suoi investimenti. Tuttavia, questa fuga in avanti, potrebbe solo posporre nel tempo i
problemi a costo di renderli in seguito molto più gravi. Infatti, la crisi è arrivata perché i profitti
delle imprese di beni di capitale (specialmente nel settore delle costruzioni e promozioni
immobiliari) sono scomparsi come risultato degli errori imprenditoriali indotti dal credito a buon
mercato, e perché i prezzi dei beni di consumo hanno iniziato a comportarsi relativamente meno
male di quelli dei beni di capitale. A partire da questo momento inizia un doloroso ed inevitabile
riassestamento che fa sì che, ai problemi di caduta della produzione e aumento della
disoccupazione, si aggiunga anche un aumento dei prezzi dei beni di consumo (recessione
inflazionistica o «stagflazione»).
L’analisi economica più rigorosa e l’interpretazione più fredda e ponderata degli ultimi
avvenimenti economici e finanziari rafforzano la conclusione che, così come era avvenuto con i
falliti tentativi di pianifacare dall’alto l’estinta economia sovietica, è impossibile che le Banche
Centrali (veri organi di pianificazione centrale finanziaria) siano capaci di individuare la politica
monetaria più conveniente in ogni momento. O, espresso in altro modo, il teorema
dell’impossibilità economica del socialismo, scoperto dagli economisti austriaci Ludwig von Mises
e Friedrich A. Hayek, secondo il quale è impossibile organizzare la società sulla base di mandati
coercitivi emanati da un organo di pianificazione, giacché questo non può mai ottenere
l’informazione di cui ha bisogno per dare un contenuto di coordinamento ai suoi comandi, è
pienamente applicabile alle Banche Centrali in generale, e alla Riserva Federale e a suo tempo ad
Alan Greenspan ed oggi a Ben Bernanke in particolare: non c’è nulla di più pericoloso che cadere
nella «fatale arroganza» - secondo la felice espressione di Hayek – di credersi onnisciente o almeno
così sapiente e potente da essere in grado di definire in ogni momento la politica monetaria più
adatta (fine tuning). Di modo che la cosa più probabile è che la Riserva Federale e, in minor misura,
la Banca Centrale Europea, piuttosto che smorzare i movimenti più acuti del ciclo economico, siano
stati i principali artefici responsabili della sua genesi e del suo aggravamento. L’alternativa per Ben
Bernanke e il suo consiglio nella Riserva Federale e per il resto delle Banche Centrali (capeggiate
da quella europea) non è, pertanto, per nulla agevole. Per molti anni hanno trascurato la loro
responsabilità monetaria e adesso si trovano in una via senza uscita: o consentono che il processo
recessivo abbia già inizio e con esso il salutare e doloroso riassestamento; oppure fuggono in avanti
«dando all’ubbriaco, che già avverte in tutta la sua virulenza i postumi d’una sbornia, ancora più
alcool», il che aumenterà esponenzialmente le probabilità di cadere in un futuro non molto distante
in una ancor più grave recessione inflazionistica (questo fu esattamente l’errore commesso dopo il
crash borsistico del 1987, che ci portò all’inflazione della fine degli anni Ottanta e si concluse nella
grave recessione del 1990-1992). Inoltre, iniziare di nuovo in questo momento la politica del credito
a buon mercato non può far altro che rendere più difficile la necessaria liquidazione degli
investimenti non redditizi e la riconversione delle imprese, potendo finanche giungere a far sì che la
recessione si prolunghi indefinitamente, come è successo all’economia giapponese negli ultimi
anni, che dopo aver sperimentato tutti gli interventi possibili, non ha più risposto ad alcuno stimolo
di espansione creditizia monetarista o di tipo keynesiano. In questo contesto di «schizofrenia
finanziaria» si devono interpretare gli ultimi «colpi alla cieca» dati dalle autorità monetarie
(responsabili di due obiettivi intimamente contradditori: da una parte controllare l’inflazione, e
dall’altra iniettare tutta la liquidità necessaria ad evitare il crollo del sistema finanziario). E così la
Riserva Federale un giorno salva Bear Stearns, AIG, Fannie Mae e Freddie Mac o Citigroup, e il
giorno successivo fa fallire Lehman Brothers col prestesto più che giustificato di «dare una lezione»
e non alimentare il moral hazard o «azzardo morale». In seguito, dinanzi alla piega che prendevano
gli eventi, si approva un piano di 700 milioni di dollari per acquistare i titoli eufemisticamente
denominati «tossici» o «illiquidi» (cioè, senza valore) della banca che, se è finanziato a carico delle
tasse (senza produrre ulteriore inflazione) dovrà comportare un notevole carico fiscale per le
economie domestiche, proprio nel momento in cui queste meno possono permetterselo. Infine,
dinanzi ai dubbi che tale piano possa sortire alcun effetto, si opta per iniettare moneta pubblica
direttamente nelle banche, e anche per «garantire» la totalità dei loro depositi fino a ridurre quasi a
zero i tassi di interesse.
Al confronto, la situazione delle economie dell’Unione Europea è un po’ meno negativa di quella
nordamericana (lasciando ora da parte l’effetto espansivo della deliberata politica di deprezzamento
del dollaro, e le relative maggiori rigidità europee specialmente nel mercato lavorativo che tendono
a rendere più durature e dolorose le recessioni nel nostro Continente). La politica espansiva della
Banca Centrale Europea, sebbene non sia esente da gravi errori, è stata un po’ meno irresponsabile
di quella della Riserva Federale. Inoltre, il conseguimento dei criteri di convergenza, richiese a suo
tempo un notevole e salutare risanamento delle economie europee. Solo i paesi periferici come
l’Irlanda e, soprattutto, la Spagna si videro immersi fin dall’inizio del loro processo di convergenza
in un’importante espansione creditizia. Il caso della Spagna è paradigmatico. L’economia spagnola
ha sperimentato un boom economico che, in parte, fu dovuto a cause reali (riforme strutturali di
liberalizzazione intraprese a partire dai governi di José Maria Aznar nel 1996); ma d’altra parte, per
nulla trascurabile, fu alimentato da un’espansione artificiale della moneta e del credito, che
aumentarono ad un tasso triplo rispetto all’evoluzione delle medesime grandezze in Francia o
Germania. Gli agenti economici spagnoli in larga misura interpretarono la discesa dei tassi di
interesse, risultato di un processo di convergenza, nei termini di un allentamento monetario che
sono stati tradizionali in Spagna: maggiori disponibilità di moneta facile e richieste massicce di
crediti alle banche spagnole (soprattutto per finanziare la speculazione immobiliare) che queste
hanno soddisfatto creandoli dal nulla dinanzi allo sguardo impavido della Banca Centrale Europea.
Quest’ultima, dinanzia all’aumento dei prezzi, e fedele al suo mandato, finché ha potuto, ha cercato
di mantenere inalterati i tassi di interesse nonostante le difficoltà di quei membri dell’Unione
Europea che, come la Spagna, adesso scoprono che una grande parte di quanto investito in immobili
è stato un errore e sono destinati a una duratura e dolorosa ristrutturazione della loro economia
reale.
In queste circostanze, la politica più adatta sarebbe quella di liberalizzare l’economia a tutti i livelli
(e specialmente il mercato del lavoro) per permettere che i fattori produttivi (e specialmente il
fattore lavoro) siano riassegnati rapidamente ai settori redditizi. Ugualmente è imprescindibile la
riduzione della spesa pubblica per aumentare il reddito disponibile degli agenti economici
fortemente indebitati che hanno bisogno di restituire i loro prestiti quanto prima. Gli agenti
economici in generale e le imprese in particolare si risanano solo riducendo i costi (specialmente del
lavoro) e restituendo i loro prestiti. E per far ciò è imprescindibile un mercato del lavoro molto
flessibile e un settore pubblico molto più austero. Da ciò dipenderà che il mercato del lavoro scopra
quanto prima quali siano i veri valori reali dei beni di investimento prodotti per errore, ponendosi
così le basi per un recupero economico sano e sostenibile in un futuro che per il bene di tutti,
speriamo che non tardi troppo ad arrivare.
* * *
Non si deve dimenticare che lo scorso periodo di espansione artificiale è stato caratterizzato, tra gli
altri aspetti, da una graduale corruzione dei principi tradizionali della Contabilità, così come essa
era applicata da secoli in tutto il mondo. In concreto, l’approvazione delle cosiddette Norme
Internazionali di Contabilità (NIC) e la loro trasposizione sotto forma di legge nei diversi paesi (in
Spagna attraverso il nuovo Piano Generale di Contabilità che entrò in vigore il 1° gennaio 2008) ha
comportato l’abbandono del tradizionale principio di prudenza che è stato sostituito dal principio
del valore di mercato o ragionevole (fair value) nel momento di valutare gli attivi di bilancio e
specialmente quelli di carattere finanziario. In questo abbandono del principio tradizionale di
prudenza hanno esercitato una grande influenza sia le società della borsa valori, sia le banche di
investimento oggi già in fase di estinzione e, in generale, tutte le parti interessate ad «inflazionare» i
valori di bilancio con il fine di avvicinarli a valori borsistici presuntamente più «obiettivi» e che in
passato continuavano ad aumentare in un processo economico di euforia finanziaria. Infatti, tale
processo si è caratterizzato nel corso degli anni della «bolla speculativa» per la retroalimentazione
esistente fra alcuni valori borsistici in aumento e il loro riflesso contabile immediato, la qual cosa si
voleva utilizzare, a sua volta, per giustificare ulteriori aumenti artificiali dei prezzi degli attivi
finanziari che erano quotati nella borsa valori.
In questa corsa sfrenata per abbandonare i principi tradizionali della contabilità e sostituirli con
altri più «conformi ai nuovi tempi» divenne moneta comune la valutazione di imprese in funzione
di ipotesi poco ortodosse e criteri puramente soggettivi che nelle nuove norme sostituissero l’unico
criterio veramente oggettivo (quello della transazione storica). Ora il crollo dei mercati finanziari e
la perdita di fiducia generalizzata nelle banche e nella loro contabilità da parte degli agenti
economici hanno messo in evidenza il grave errore commesso nel lasciarsi trascinare dalle NIC e
dall’abbandono dei principi contabili tradizionali basati sulla prudenza, cadendo nei vizi della
contabilità creativa a valori «ragionevoli» di mercato (fair value).
In questo contesto vanno comprese le recenti misure prese sia negli Stati Uniti che nell’Unione
Europea per «lenire» (cioè, invertire parzialmente) l’applicazione del valore ragionevole nella
contabilità degli enti finanziari. Misura che va nella giusta direzione ma incompleta e presa per le
ragioni sbagliate. Infatti, gli enti finanziari «si sono ricordati di Santa Barbara solo quando ha
tuonato», cioè, quando il crollo del valore degli attivi «tossici» o «illiquidi» ha messo in pericolo la
loro solvibilità. Tuttavia, erano contenti delle nuove NIC negli anni precedenti alla «esuberanza
irrazionale» nei quali i crescenti e sproporzionati valori borsistici e finanziari consentivano loro di
far emergere nei loro bilanci profitti e patrimoni propri altissimi che a loro volta li incoraggiarono
ad assumere rischi (o, meglio, incertezze) praticamente senza freno. Si rende così evidente come le
NIC agiscano in modo prociclico, aumentando la volatilità e distorcendo la gestione
imprenditoriale: in epoche di espansione generano un falso «effetto ricchezza» che induce ad
assumere rischi sproporzionati; quando dalla notte al giorno si mettono in evidenza gli errori
commessi, la perdita di valore degli attivi riduce immediatamente il capitale delle imprese che sono
obbligate a vendere attivi e a cercare di ricapitalizzarsi nel momento peggiore, cioè, quando gli
attivi valgono meno e si seccano i mercati finanziari. Ovviamente, principi contabili come quelli
delle NIC che si sono dimostrati così perturbatori devono essere abbandonati quanto prima,
abrogando tutte le riforme contabili promulgate di recente e in particolare quella spagnola che è
entrata in vigore lo scorso 1° gennaio 2008. E ciò non solo a causa della via senza uscita che esse
comportano in epoca di crisi finanziaria e recessione economica, ma anche, e soprattutto, perché in
epoche di espansione non si abbandoni il principio della prudenza di valutazione che ha informato
tutti i sistemi contabili dai tempi di Luca Pacioli agli inizi del XV secolo fin quando prese piede il
falso idolo delle NIC.
Insomma, l’errore più grave della riforma contabile inaugurata di recente in tutto il mondo consiste
nell’aver fatto tabula rasa di secoli di esperienza contabile e gestione imprenditoriale sostituendo il
principio di prudenza, come principio di massimo rango gerarchico fra tutti i principi tradizionali
della contabilità, con il principio del cosiddetto valore ragionevole, che non è altro se non
l’introduzione del volatile valore di mercato per tutta una serie di attivi specialmente di indole
finanziaria. Questa svolta copernicana è enormemente dannosa e minaccia le fondamenta stesse
dell’economia di mercato per le seguenti ragioni. In primo luogo, conculcare il tradizionale
principio di prudenza e obbligare a contabilizzare a valori di mercato, dà luogo al fatto che, secondo
le circostanze del ciclo economico, siano inflazionati i valori di bilancio con delle plusvalenze che
non sono state realizzate e che, in molte circostanze, può essere che non arrivino mai a realizzarsi.
L’artificiale «effetto ricchezza» che ciò può generare, specialmente nelle fasi di espansione di ogni
ciclo economico, induce alla distribuzione di profitti fittizi o congiunturali, all’assunzione di rischi
sproporzionati e, insomma, alla commissione di errori imprenditoriali sistematici e al consumo del
capitale della società, a danno della sua sana struttura produttiva e della sua capacità di crescita nel
lungo periodo. In secondo luogo, si deve insistere sul fatto che l’obiettivo della contabilità non è
quello di raccogliere i presunti valori «reali» (in ogni caso soggettivi e che si determinano e variano
ogni giorno nei corrispondenti mercati) col pretesto di raggiungere una male intesa «trasparenza
contabile» ma di rendere possibile la gestione prudente di ogni impresa ed evitare il consumo di
capitale2, mediante l’applicazione di criteri contabili rigorosamente conservatori (basati sul
principio di prudenza, e sulla contabilizzazione al costo storico o valore di mercato, secondo quale
sia quello minore) che garantiscano in ogni momento che il profitto ripartibile provenga da una
rimanente assicurazione la cui distribuzione non metta in alcun modo in pericolo la sostenibilità e
capitalizzazione futura dell’impresa. In terzo luogo bisogna prendere in considerazione il fatto che
nel mercato non esistono prezzi di equilibrio che possano essere determinati in modo oggettivo da
terzi. Al contrario, i valori di mercato sono il risultato di valutazioni soggettive e sono sottoposti a
grandi oscillazioni, per cui la loro applicazione a fini contabili elimina gran parte della chiarezza,
sicurezza e informazione che in precedenza avevano i bilanci. Adesso questi in larga misura sono
divenuti incomprensibili e inservibili per gli agenti economici. Inoltre, la volatilità propria dei valori
di mercato, soprattutto nel corso del ciclo economico, fa sì che la contabilità basata sui nuovi
principi perda gran parte della sua potenzialità come guida per l’azione per i nuovi gestori
dell’impresa, inducendo questi a commettere sistematicamente importanti errori di gestione che
hanno portato alla crisi finanziaria più grave che ha sconvolto il mondo dal 1929.
* * *
Nel capitolo IX di questo libro (quinto paragrafo) si delinea un pocesso di transizione verso l’unico
ordine finanziario mondiale che, essendo pienamente compatibile con il sistema di libera impresa, è
in grado di eliminare le crisi finanziarie e recessioni economiche che colpiscono ciclicamente le
economie del mondo. Questa riforma finanziaria internazionale proposta nel libro acquista la
massima attualità nei momenti presenti (novembre 2008) in cui i disorientati governi dell’Europa e
dell’America hanno organizzato una Conferenza mondiale per riformare il sistema monetario
internazionale con l’obiettivo di evitare che in futuro si ripetano crisi finanziarie e bancarie così
gravi come quella che attualmente scuote tutto il mondo occidentale. Per i motivi che sono spiegati
in dettaglio nel corso dei nove capitoli di questo libro, ogni riforma futura fallirà, così
deplorevolmente come sono fallite le riforme passate, nel caso in cui essa non sia orientata a
risolvere la radice stessa degli attuali problemi basandosi sui seguenti principi: 1°) ristabilimento di
un coefficiente di cassa del 100 per cento per tutti i depositi bancari a vista ed equivalenti; 2°)
eliminazione delle banche centrali come prestatrici di ultima istanza (non necessarie se si applica il
principio precedente e dannose se continuano ad agire come organi di pianificazione finanziaria); e
3°) privatizzazione dell’attuale moneta monopolista e statale di tipo fiduciario e la sua sostituzione
con un gold standard classico. Questa riforma, radicale e definitiva, rappresenterebbe come se
dicessimo la culminazione della caduta del muro di Berlino e del socialismo reale avvenuta nel
2
Si veda specialmente F.A. Hayek, «The Maintenance of Capital» (Economica, II, agosto 1934) riedito in Profits,
Interest and Investment and other Essays on the Theory of Industrial Fluctuations, Augustus M. Kelly, Nuova Jersey
1979 (1a edizione di George Routledge & Sons, Londra 1939) specialmente il paragrafo 9 «Capital Accounting and
Monetary Policy», pp. 130-132.
1989, applicandosi gli stessi principi basati sulla liberalizzazione e sulla proprietà privata all’unico
ambito, quello finanziario e bancario, che finora sia rimasto ancorato alla pianificazione (delle
banche proprio per questo chiamate «centrali»), l’interventismo estremo (fissazione di tassi di
interesse, giungla di regolamenti amministrativi) e il monopolio statale (leggi di corso forzoso che
obbligano ad accettare l’attuale moneta fiduciaria emessa dallo stato), con conseguenze così
negative come quelle da tutti conosciute.
Si deve mettere in risalto, inoltre, che il processo di transizione disegnato nell’ultimo capitolo di
questo libro, potrebbe anche rendere possibile fin da principio il «salvataggio» (bailing out)
dell’attuale sistema bancario evitando il suo rapido crollo e con ciò l’ineludibile e rapida
contrazione monetaria che dovrebbe prodursi se, in un contesto di crollo generalizzato della fiducia
dei depositanti, scomparisse un volume significativo di depositi bancari. Questo obiettivo di breve
periodo, che attualmente cercano di conseguire disperatamente i governi occidentali con i progetti
più vari (acquisti massicci di attivi bancari «tossici», garanzia ad hominem di tutti i depositi, o
semplicemente nazionalizzazione parziale o totale del sistema bancario privato), potrebbe ottenersi
nel modo più efficace, rapido e innocuo per l’economia di mercato se si applicasse immediatamente
il primo passo della riforma che proponiamo in questo libro (capitolo IX, paragrafo 5): il
consolidamento della totalità degli attuali depositi (a vista ed equivalenti) delle banche con il loro
equivalente in contanti, che sarebbe consegnato a queste affinché a partire da allora mantenessero
un coefficiente di cassa del 100 per cento in relazione ad essi. Come si spiega nel Grafico IX-2 di
detto capitolo nel quale si dice come sarebbe il bilancio aggregato del sistema bancario a partire dal
consolidamento, questa non sarebbe in alcun modo inflazionistica (in quanto la moneta di nuova
creazione sarebbe come «sterilizzata» per essere impiegata come garanzia per qualsiasi ritiro
immediato dei depositi) e inoltre libererebbe tutti gli attivi della banca («tossici» o no) che
attualmente appaiono come garanzia dei depositi a vista (ed equivalenti) nei bilanci delle banche
private. Nel capitolo 9 si propone, nell’ipotesi che la transizione al nuovo sistema finanziario si
effettui in circostanze «normali» non afflitte da una crisi finanziaria così grave come quella attuale,
che gli attivi «liberati» inizino a far parte di fondi di investimento creati ad hoc e gestiti dalla banca
per scambiare le loro partecipazioni con i titoli in vigore del debito pubblico e del resto delle
obbligazioni implicite derivate dal sistema pubblico di sicurezza sociale (paragrafo 5). Tuttavia, nei
gravi momenti di crisi finanziaria ed economica, si apre l’alternativa non solo di cancellare nei
suddetti fondi gli attivi «tossici», ma anche di dedicare una parte del resto, se così si desidera, per
permettere che i risparmiatori (non i depositanti in quanto questi avrebbero già consolidato i loro
depositi al 100 per cento) possano recuperare gran parte del valore perso nei loro investimenti
(specialmente attraverso i loro prestiti alle banche commerciali, banche di investimento e società di
gestione del risparmio). Con queste misure si ristabilirebbe immediatamente la fiducia, rimanendo
inoltre una significativa quantità ulteriore per far fronte all’obiettivo iniziale di scambiare, in una
sola volta e senza costo, una gran parte del debito pubblico emesso dai governi. In ogni caso è
necessario effettuare un importante avvertimento: come è naturale, e non dobbiamo stancarci di
ripeterlo, la soluzione proposta è valida solo nel contesto di una decisione irrevocabile in direzione
del ristabilimento di un sistema di banca libera sottoposta al coefficiente di cassa del 100 per cento
per i depositi a vista. In quanto qualsiasi riforma tra quelle indicate che si effettui senza il pieno
convincimento e decisione precedenti di modificare il sistema finanziario e bancario internazionale
nel modo indicato sarebbe semplicemente disastrosa: un sistema di banca privata che continuasse ad
agire con riserva frazionaria (orchestrata dalle corrispondenti banche centrali) genererebbe, in modo
moltiplicatore e a partire dai contanti creati per garantire i depositi, un’espansione inflazionistica
come non si è mai vista nella storia che finirebbe col dare il colpo di grazia a tutto il nostro sistema
economico.
* * *
Le precedenti considerazioni sono della massima importanza e mettono in evidenza la grande
attualità che ha acquisito il presente Trattato, dovuta alla situazione critica in cui si trova il sistema
finanziario internazionale (sebbene, indubbiamente, avrei preferito introdurre questa edizione in
circostanze economiche ben diverse). Orbene, se è drammatico che si sia giunti alla situazione
attuale, ancora più drammatica è, se possibile, la mancanza generalizzata di comprensione delle
cause dei fenomeni che ci distruggono e, soprattutto, la confusione e lo sconcerto regnante fra gli
esperti, gli analisti e la maggioranza dei teorici dell’economia. È in questo ambito in cui almeno
nutro la speranza che le successive edizioni di questo libro che si stanno pubblicando in tutto il
mondo3 possano contribuire alla formazione teorica dei suoi lettori, al riarmo intellettuale delle
nuove generazioni e, eventualmente, al così necessario ridisegno istituzionale di tutto il sistema
monetario e finanziario delle attuali economie di mercato. Se ciò avverrà, non solo considererò
come positivo lo sforzo realizzato ma riterrò un grande onore l’aver contribuito, seppur
minimamente, ad avanzare nella giusta direzione.
3
Nel periodo trascorso dalla precedente edizione si è esaurita la prima edizione inglese di quasi 4.000 copie pubblicata
negli Stati Uniti nel 2006 e la cui seconda edizione è attualmente in fase di preparazione. Inoltre, si è pubblicata una
traduzione in russo con il titolo Dengi, bankovskiy kredit i economicheskie tsikly (Edit. Sotsium, Mosca 2008), dovuta a
Tatjana Danilova e Grigory Sapov, della quale sono state stampate inizialmente 3.000 copie e che ebbi la soddisfazione
di presentare lo scorso 30 ottobre del 2008 all’Alta Scuola di Economia dell’Università Statale di Mosca. Ugualmente la
professoressa Rosine Letinier ha terminato la traduzione francese che attualmente è inedita. È stata terminata anche la
traduzione polacca dovuta a Grzegorz Luckiewicz, e si trovano in fase avanzata le traduzioni in tedesco, ceco, romeno,
olandese, cinese, giapponese e arabo che, se Dio vuole, spero che vedano la luce in un futuro non molto lontano.
Prefazione alla terza edizione
Sebbene in questa terza edizione di Moneta, credito e cicli economici si sia cercato di limitare al
massimo il contenuto, la struttura e l’impaginazione delle due edizioni precedenti, non è stato
possibile farlo in ogni caso, in quanto si è approfittato di quest’occasione per introdurre alcuni
ragionamenti e puntualizzazioni aggiuntive, sia nel testo principale sia in alcune poche note a piè di
pagina. Parimenti si è aggiornata la bibliografia, incorporando le nuove edizioni e traduzioni in
spagnolo che sono apparse nei quattro anni trascorsi dalla precedente edizione, oltre ad includersi
nuovi libri e articoli, non molto numerosi, ma che incidono in modo particolare sul contenuto dei
temi trattati in questo libro.4 Infine, l’editrice della versione inglese di Moneta, credito e cicli
economici,5 Judith Thommesen, con grande pazienza e dettagliatamente ha verificato nelle loro
fonti originali centinaia di citazioni in inglese ed altre lingue, scorgendo un numero significativo di
piccoli errori che sono già stati emendati, contribuendo così a rendere ancor più perfetta questa terza
edizione. Per tutto ciò le esprimo qui il mio profondo ringraziamento, insieme a quello che devo
anche al Dr. Gabriel Calzada, professore associato della Universidad Rey Juan Carlos, per la sua
collaborazione nella revisione e correzione di alcuni riferimenti bibliografici.
Le circostanze della congiuntura economica successive alla precedente edizione sono state
contrassegnate dalla grande inflazione fiduciaria e dall’incremento dei deficit pubblici necessari a
finanziare la guerra in Irak e far fronte alle crescenti spese che genera lo «stato del benessere» -
afflitto da gravi e insolubili problemi – nella maggior parte dei paesi occidentali. L’offerta
monetaria e il tasso di interesse hanno continuato ad essere manipolati fino a raggiungere il minimo
storico dell’1 per cento da parte della Riserva Federale nordamericana, impedendosi così che
potesse essere portato a termine il necessario processo di ristrutturazione degli errori di
investimento commessi precedentemente alla recessione dell’anno 2001. Tutto ciò ha causato una
nuova bolla speculativa nei mercati immobiliari, così come una crescita spettacolare del prezzo dei
prodotti energetici e materie prime che sono richieste a livello mondiale quasi illimitatamente, da
parte dei nuovi progetti di investimento intrapresi specialmente nel bacino asiatico e, in concreto, in
Cina. Sembra, dunque, che ci troviamo nella fase tipica di inflessione del ciclo che precede ogni
recessione economica, e che è stata ulteriormente confermata dalla recentissima inversione di 180
gradi della politica monetaria della Riserva Federale, che ha aumentato in pochi mesi i tassi di
interesse fino al 4 per cento.
4
Tra tutti merita un posto particolare il libro di Roger W. Garrison, Time and Money: The Macroeconomics of Capital
Structure, pubblicato a Londra e Nuova York da Routledge nel 2001, cioè, quando erano trascorsi già tre anni dalla
prima edizione in spagnolo di Moneta, credito e cicli economici. Il lavoro di Garrison, che si può considerare come un
manuale complementare al presente libro, è particolarmente importante in quanto sviluppa l’analisi austriaca del
capitale e dei cicli economici nel contesto dei diversi paradigmi della macroeconomia moderna, utilizzando a tal fine un
approccio e un linguaggio pienamente conformi a quelli utilizzati dal mainstream della nostra disciplina, per cui senza
alcun dubbio contribuirà ad ampliare la consapevolezza tra gli economisti in generale della necessità di tenere in conto
il punto di vista austriaco e i suoi vantaggi in confronto agli altri. Sebbena l’analisi di Garrison pecchi, secondo noi, di
un eccessivo meccanicismo nelle sue spiegazioni e non sufficientemente giustificato dal punto di vista giuridico-
istituzionale, abbiamo ritenuto opportuno favorire la sua traduzione in spagnolo da parte di una squadra di professori e
discepoli della nostra Cattedra nell’Università Rey Juan Carlos, guidata dal Dr. Miguel Ángel Alonso Neira, portando
alla traduzione in spagnolo di questo libro con il titolo di Tiempo y dinero: la macroeconomía en la estructura del
capital, Unión Editorial (Madrid 2005).
5
L’edizione inglese è stata pubblicata in modo magnifico con il titolo di Money, Bank Credit and Economic Cycles,
sotto gli auspici del Ludwig von Mises Institute, dell’Università di Auburn, Alabama, nel 2005, grazie all’appoggio del
suo presidente, Lewellyn H. Rockwell.
Speriamo che questa nuova edizione serva affinché i suoi lettori e studiosi possano comprendere
meglio i fenomeni economici del mondo che li circonda, come pure affinché gli specialisti e
responsabili dell’attuale politica economica giungano al convincimento che sia imprescindibile
abbandonare quanto prima l’ingegneria sociale in ambito sociale e finanziario. Se ciò avverrà,
riteniamo che si sia realizzato uno dei nostri principali obiettivi.
Formentor, 28 agosto 2005
Prefazione alla seconda edizione
Esaurita rapidamente la prima edizione di questo libro, sono contento di presentare ai lettori di
lingua spagnola la seconda edizione di Moneta, credito e cicli economici. Per evitare confusioni e
facilitare il lavoro degli studiosi e ricercatori, in questa nuova edizione si mantengono il contenuto,
struttura e impaginazione della prima, anche se si è approfittato dell’occasione per rivederla
interamente e procedere a correggere tutti gli errori che sono stati individuati.
L’evoluzione degli avvenimenti economici del mondo durante il periodo 1999-2001, caratterizzato
dopo un decennio di grande espansione creditizia e una bolla finanziaria dal crollo delle quotazioni
borsistiche e la nascita di una recessione che colpisce al tempo stesso gli Stati Uniti, l’Europa e il
Giappone, illustra l’analisi presentata in questo libro in modo ancora più chiaro ed evidente di
quando esso fu pubblicato per la prima volta alla fine del 1998. Anche se i governi e le banche
centrali hanno reagito all’attacco terroristico al Trade Center di Nuova York, manipolando e
riducendo i tassi di interesse a livelli storicamente bassi (1,75 per cento negli Stati Uniti, 0,15 per
cento in Giappone e 3 per cento in Europa), la massiccia espansione fiduciaria iniettata nel sistema
non solo renderà più lunga e difficile la necessaria riconversione della struttura produttiva reale ma
inoltre corre il rischio di generare una pericolosa recessione inflazionistica. In queste preoccupanti
circostanze economiche, che si ripetono in modo ricorrente dalla nascita dell’attuale sistema
bancario, il nostro maggiore desiderio è che l’analisi contenuta in questo libro aiuti il lettore a
comprendere e interpretare i fenomeni che li circondano, e possa influire positivamente sia
sull’opinione pubblica sia sui miei colleghi universitari e sui responsabili della politica economica
nei governi e banche centrali.
Dalla pubblicazione della prima edizione di questo libro sono apparse diverse recensioni6 per le
quali, dati i loro favorevoli commenti e l’importanza dei loro autori, ringrazio molto. Il loro comune
denominatore è stata la richiesta pressante di una traduzione in inglese, lavoro che nel momento in
cui scrivo queste linee si è già concluso. Speriamo, grazie a Dio, che prossimamente si pubblichi
negli Stati Uniti la prima edizione inglese di questo libro che, in questo modo, potrà avere pieno
accesso ai circoli accademici e politici più importanti.
Infine, durante i tre corsi accademici scorsi, il presente manuale è stato utilizzato con successo nel
semestre dedicato alla teoria monetaria, bancaria e dei cicli economici in singole materie di
Economia Politica e Introduzione all’Economia, primo nella Facoltà di Scienze Giuridiche e Sociali
dell’Università Rey Juan Carlos, entrambe in Madrid. Questa esperienza docente, che si basa
sull’approccio della teoria economica istituzionale e chiaramente multidisciplinare crediamo che si
possa estendere facilmente e con grande profitto a qualsiasi altro corso riferito alla teoria bancaria
(politica economica, macroeconomia, teoria monetaria e del sistema finanziario, ecc.) ed è stata
possibile grazie all’interesse ed entusiasmo che centinaia dei miei alunni hanno espresso nello
studio e discussione degli insegnamenti contenuti nel presente volume. A tutti loro, principali
destinatari di quest’opera a cui prestano il loro sforzo e dedizione, desidero esprimere il mio
ringraziamento e augurare che continuino a coltivare lo spirito critico e la curiosità intellettuale
nello stesso tempo in cui portano a compimento tappe sempre più elevate ed arricchenti nel loro
processo di formazione umanistica ed universitaria.
6
Devo ringraziare espressamente i commenti di Leland Yeager (The Review of Austrian Economics, 14:4, 2001, p. 255)
e Jörg Guido Hülsmann (The Quartely Journal of Austrian Economics, estate 2000, vol. 3, n.º 2, pp. 85-88).
Madrid, 6 dicembre 2001
Introduzione
L’analisi economica delle istituzioni giuridiche ha acquisito grande importanza negli ultimi anni e
costituisce uno degli ambiti più fruttuosi e promettenti della Scienza Economica. Sebbene una
grande parte del lavoro realizzato finora sia molto influenzato dai presupposti tradizionali del
paradigma neoclassico, e in concreto dall’uso della concezione meramente massimizzatrice in
contesti di equilibrio, le analisi economiche sulle istituzioni giuridiche evidenziano, forse più che in
qualsiasi altro campo dell’economia, le difficoltà derivanti dall’uso dell’analisi tradizionale. Infatti,
le istituzioni giuridiche sono così vicine ai fatti della vita reale che l’uso delle ipotesi tradizionali
dell’analisi economica presenta molte difficoltà. In un altro luogo abbiamo già cercato di
evidenziare i pericoli che secondo noi rappresenta l’uso dell’approccio neoclassico nell’analisi delle
istituzioni giuridiche.7 Dal nostro punto di vista, è necessario, senza dubbio, continuare lo sforzo
realizzato nel campo dell’analisi economica del diritto, ma cercando di usare una metodologia meno
restrittiva di quella generalmente usata finora e più consona all’oggetto specifico di ricerca che le è
proprio. Per questo riteniamo che l’applicazione della concezione soggettivista, sostenuta dalla
Scuola Austriaca intorno al concetto essenziale dell’azione umana creativa o funzione
imprenditoriale, all’interno di un contesto di analisi dinamica dei processi generali di interazione
sociale, sia la più interessante e fruttuosa difronte allo sviluppo futuro dell’analisi economica delle
istituzioni
D’altra parte, gli studi delle istituzioni giuridiche realizzati finora hanno avuto, in maggioranza,
implicazioni esclusivamente microeconomiche, fra altre ragioni perché gli strumenti analitici
utilizzati sono stati quelli tradizionali della microeconomia neoclassica, che si sono riversati,
senz’altro, sull’analisi economica del diritto. Questo è quanto è avvenuto, per esempio, in relazione
all’analisi economica dei contratti e la responsabilità civile, il diritto concorsuale, l’analisi
economica della famiglia, e anche l’analisi economica del diritto penale e della giustizia. Sono
molto pochi i lavori che si sono elaborati di analisi economica del diritto le cui principali
implicazioni siano corrisposte al campo della macroeconomia, estendendosi anche a questo ambito
la tradizionale e dannosa separazione che nel corso dei decenni si è venuta consolidando tra gli
aspetti micro e macro della Scienza Economica. E, tuttavia, questo non ha ragione di essere così. Da
un lato, non solo si deve riconoscere che la Scienza Economica costituisce un tutto unificato, nel
quale gli aspetti macroeconomici devono essere pienamente integrati nei loro fondamenti
microeconomici, ma, inoltre, e come cercheremo di mostrare nel presente libro, esistono istituzioni
giuridiche la cui analisi economica dà luogo ad una serie di implicazioni e conclusioni di grande
importanza e che ricadono fondamentalmente nel campo della macroeconomia. O, detto in altro
modo, anche qualora l’analisi di fondo fosse di tipo microeconomico, le sue conclusioni ed effetti
essenziali sarebbero di natura macroeconomica. Si spezza così la profonda ed artificiale separazione
che esiste tra il campo della microeconomia e della macroeconomia, riuscendosi a fornire
nell’ambito dell’analisi economica del diritto una trattazione teorica unificata ai problemi giuridici.
Questo, e non altro, è l’obiettivo essenziale dell’analisi economica del contratto di deposito
irregolare di moneta che, nei suoi diversi aspetti, ci proponiamo di realizzare nel presente libro. La
nostra analisi, inoltre, cerca di illuminare uno degli ambiti più difficili e confusi della Scienza
7
Cfr. Jesús Huerta de Soto, «La Methodenstreit, o el enfoque austriaco frente al enfoque neoclásico en la Ciencia
Económica», Atti del 5º Congresso di Economia di Castilla y León (Ávila, 28-30 novembre 1996), Servicio de Estudios
de la Consejería de Economía y Hacienda, Junta de Castilla y León, Valladolid 1997, pp. 47-83.
Economica: quello della teoria della moneta, del credito bancario e dei cicli economici. Infatti, si
può considerare che una volta risolto, dal punto di vista teorico il problema del socialismo, e messa
in evidenza dal punto di vista empirico l’impossibilità del suo funzionamento, la sfida teorica
principale per i cultori della Scienza Economica in questo inizio di secolo sia costituita,
esattamente, dal campo monetario, creditizio e delle istituzioni finanziarie. Ciò avviene in quanto,
dato il carattere molto astratto delle relazioni sociali nelle quali è implicata la moneta nelle sue
diverse manifestazioni, esse sono molto difficili da comprendere, e la corrispondente trattazione
teorica è molto complessa. Inoltre, nel campo finanziario e monetario dei paesi occidentali si è
sviluppata coercitivamente una serie di istituzioni, fondamentalmente intorno alla banca centrale, la
legislazione bancaria, il monopolio di emissione di moneta e le leggi di corso forzoso, che fanno sì
che il cuore del settore finanziario di ogni paese sia pienamente regolamentato e, per questa ragione,
molto più vicino al sistema socialista di pianificazione centrale che a quello che sarebbe proprio di
una vera economia di mercato. Sono, pertanto, come cercheremo di dimostrare in questo libro,
pienamente applicabili all’ambito finanziario gli argomenti intorno all’impossibilità del calcolo
economico socialista che originariamente erano stati sviluppati dai cultori della Scuola Austriaca di
Economia, quando dimostrarono che era impossibile organizzare in modo coordinato la società
attraverso mandati coattivi. Se la nostra tesi è corretta, l’impossibilità del socialismo si
verificherebbe anche in relazione al settore finanziario, e l’ineludibile mancanza di coordinamento a
cui dà luogo ogni intervento statale si manifesterebbe nel settore finanziario con la massima
virulenza e in modo ciclico e ricorrente nelle economie miste del mondo sviluppato.
D’altra parte, ogni studio teorico che attualmente cerchi di chiarire le cause, lo sviluppo e i rimedi e
possibilità di intervento dei cicli economici è quanto mai attuale. Infatti, nel momento di scrivere
queste linee (novembre 1997) si sta producendo una grave crisi finanziaria e bancaria nei mercati
asiatici che minaccia di estendersi all’America Latina e al resto del mondo occidentale. E tutto ciò
dopo gli anni di apparente «euforia» economica che seguirono le gravi crisi finanziarie e recessioni
economiche che avevano sconvolto il mondo all’inizio degli anni Novanta e, soprattutto, alla fine
degli anni Settanta del secolo scorso. Inoltre, finora, a livello popolare, politico e anche
nell’opinione della maggioranza degli stessi teorici dell’economia, non si è stati in grado di
comprendere quali fossero le cause di questi fenomeni, la cui comparsa successiva e ricorrente
costituisce un pretesto continuo che, nelle mani dei politici, filosofi e teorici interventisti, è usato
per condannare l’economia di mercato e giustificare un crescente intervento coattivo dello Stato
sull’economia e la società.
Perciò, e adesso già dal punto di vista della dottrina liberale, possiede anche un grande interesse
teorico l’analisi scientifica delle cause dei cicli economici e, in particolare, quale dovrebbe essere il
modello ideale di sistema finanziario di una società veramente libera. Infatti, gli stessi teorici
liberali ancora non si sono messi d’accordo in questo campo, essendoci enormi diversità di opinione
intorno al fatto se sia necessario mantenere la banca centrale o se sia meglio sostituirla con un
sistema di banca libera e, in quest’ultimo caso, a che tipo di norme in senso materiale debbano
essere sottomessi gli agenti economici che intervenissero in un sistema finanziario completamente
libero. La banca centrale fa la sua comparsa storicamente come risultato di una serie di interventi
coercitivi da parte del governo, anche se è certo che questi siano stati sollecitati in modo
determinante da diversi agenti del settore finanziario (in concreto dalle stesse banche private), che
in molte occasioni hanno ritenuto necessario invocare l’appoggio statale per garantire la stabilità dei
loro negozi nelle fasi di crisi economica. Significa questo che la banca centrale sia un risultato
evolutivo inevitabile dell’economia di libero mercato? O, piuttosto, che la forma specifica che
hanno i banchieri privati per portare a termine il loro negozio, che a partire da un determinato
momento storico si è corrotta dal punto di vista giuridico, abbia dato luogo allo sviluppo di
un’attività finanziaria incapace di sopravvivere senza il sostegno di un prestatore di ultima istanza?
Queste ed altre questioni hanno un interesse teorico straordinario e devono essere oggetto
dell’analisi più attenta. Insomma, ciò di cui si tratta è, fra altri obiettivi, di sviluppare un programma
di ricerca che abbia come proposito di chiarire quale debba essere il sistema finanziario e bancario
di una società libera.
Il lavoro di ricerca che è presentato in questo libro vuole essere multidisciplinare. In esso dovremo
appoggiarci non solo sullo studio della scienza giuridica e la storia del diritto, ma anche sulla teoria
economica, e in concreto, sulla teoria della moneta, del capitale e dei cicli economici. Inoltre, la
nostra analisi ci consentirà di interpretare in modo diverso una parte della storia dei fatti economici
relativi al mondo finanziario, e comprendere meglio l’evoluzione di determinate correnti della
stessa del pensiero economico, così come lo sviluppo di diverse tecniche della contabilità e della
pratica del negozio bancario. Sono diversi i rami e le discipline della conoscenza che devono essere
combinati per comprendere adeguatamente il fenomento finanziario, ed essi saranno studiati nella
triplice prospettiva storico-evolutiva, teorica ed etica, che ritengo necessaria per la corretta
comprensione di qualsiasi fenomeno sociale.8
Il presente libro è strutturato in nove capitoli. Nel primo si espone la natura giuridica del contratto
di deposito irregolare di moneta, studiando principalmente le sue caratteristiche principali che lo
differenziano dal contratto di prestito o mutuo. Inoltre, questo capitolo spiega quale sia la diversa
logica giuridica immanente ad entrambe le istituzioni, la loro essenziale incompatibilità e come la
loro rispettiva e diversa regolamentazione faccia parte dei principi universali e tradizionali del
diritto che erano già stati scoperti ed elaborati dal diritto classico romano.
Il secondo capitolo è uno studio di storia dei fatti economici. In esso si analizza come nel corso
della storia si sia corrotto progressivamente il principio tradizionale del diritto che regola il
contratto di deposito irregolare, fondamentalmente in conseguenza della tentazione alla quale
furono soggetti i primi banchieri di usare a proprio vantaggio la moneta dei loro depositanti. In
questo processo ha anche un ruolo da protagonista l’intervento del potere politico che, avido sempre
di ottenere nuove risorse finanziarie, ricorre ai banchieri che custodiscono depositi altrui per
approfittare di questi, concedendo loro ogni tipo di privilegi e, specialmente, quello consistente nel
potere fare uso a vantaggio proprio della moneta dei loro depositanti (alla condizione, è chiaro, che
una parte sostanziale di tale uso consista nel prestare i depositi allo stesso potere politico). Si mostra
in tal modo in questo capitolo e in tre casi specifici (quello del mondo greco e romano, quello della
rinascita della banca nelle città italiane medievali, e quello della rinascita della banca in Età
Moderna) il processo di corruzione dei principi tradizionali del diritto che regolano il contratto
bancario di deposito irregolare di moneta e gli effetti economici ai quali questo stesso diede luogo.
Nel terzo capitolo si studiano, dal punto di vista giuridico, i diversi tentativi che nella dottrina sono
stati effettuati per costruire un nuovo tipo di contratto, nel quale si pretenderebbe di inquadrare il
contratto di deposito bancario di moneta, col fine di giustificare il prestito a terzi da parte della
banca delle quantità che le sono depositate a vista. Il nostro obiettivo è mostrare che questi tentativi
incorrono in una contraddizione insolubile, per cui sono condannati al fallimento. Inoltre,
spiegheremo come la pratica privilegiata del negozio bancario, la cui evoluzione è analizzata nel
capitolo precedente, permetta di comprendere le profonde contraddizioni e la povertà teorica che
esistono nello sviluppo dottrinale della natura giuridica del contratto di deposito irregolare di
moneta che ha luogo a partire dall’Età Media fino praticamente al giorno d’oggi. Si studieranno in
dettaglio, dunque, i diversi tentativi di costruire una figura giuridica sui generis che sia capace di
regolare in maniera logica e senza contraddizioni il deposito bancario di moneta così come oggi si
pratica. La nostra conclusione è che tali tentativi non hanno potuto avere successo, in quanto
l’attuale pratica bancaria si basa, esattamente, sull’inadempimento di principi immanenti e
tradizionali del diritto di proprietà, che non possono essere violati impunemente senza che si
producano importanti conseguenze negative nei processi di interazione sociale.
Nei capitoli quarto, quinto, sesto e settimo si presenta il nucleo dell’analisi economica del contratto
di deposito bancario, così come quest’istituzione giuridica si è sviluppata nel corso della storia, cioè
facendo uso, in violazione dei principi tradizionali del diritto, di un coefficiente di riserva
8
Ho esposto la teoria dei tre livelli di approssimazione alla problematica sociale in Jesús Huerta de Soto, «Historia,
ciencia económica y ética social», Estudios de economía política, Unión Editorial, Madrid 1994, cap. VII, pp. 105-109.
frazionaria. In questi capitoli spiegheremo perché sia corretta anche nell’ambito bancario la grande
intuizione di Hayek, secondo la quale ogni volta che si viola un principio tradizionale del diritto,
prima o poi si finisce col produrre importanti conseguenze dannose per la cooperazione sociale; e
così analizzeremo, dal punto di vista teorico, quali siano gli effetti che sulla creazione di moneta,
sul coordinamento intra ed intertemporale, sulla funzione imprenditoriale e sui cicli economici
abbia l’attuale pratica bancaria di inadempiere i principi tradizionali del diritto nel contratto di
deposito di moneta. La nostra conclusione è che le fasi successive di espansione, crisi e recessione
economica che colpiscono il mercato in modo ricorrente abbiano la loro origine proprio nella
violazione del principio tradizionale del diritto sul quale dovrebbe basarsi il contratto di deposito
bancario di moneta e, pertanto, sul privilegio di cui godono i banchieri, e che storicamente hanno
ottenuto dai governi per ragioni di reciproco interesse. In questa parte studieremo in dettaglio la
teoria del ciclo economico, effettuando anche un’analisi critica della teoria delle spiegazioni
alternative che le scuole monetarista e keynesiana hanno dato a questo tipo di fenomeni.
Il capitolo ottavo è dedicato allo studio della banca centrale come prestatrice di ultima istanza. Si
tratta di un’istituzione che sorge sull’onda degli eventi. Sono così importanti ed ineludibili le
conseguenze negative che ha la violazione dei principi che devono reggere il contratto di deposito
irregolare, che i banchieri privati si rendono presto conto che devono ricorrere al governo affinché
stabilisca un’istituzione che agisca in loro favore come prestatrice di ultima istanza, e li appoggi
nelle fasi di crisi che l’esperienza rende manifeste e che, presto o tardi e in modo ricorrente, si
produrranno sempre. Cercheremo, pertanto, di mostrare che la nascita della banca centrale non sia il
risultato spontaneo delle istituzioni di mercato, ma al contrario sia imposta coercitivamente dai
governi e risponda alla richiesta di potenti gruppi di interesse. In questo capitolo si analizza anche
l’attuale sistema finanziario basato sulla banca centrale e si applica ad esso l’analisi economica
basata sull’impossibilità teorica del socialismo. Infatti, l’attuale sistema finanziario si basa sul
monopolio da parte di un organismo governativo delle principali decisioni quanto al tipo e alla
quantità di moneta e di credito che si creerà e inietterà nel sistema economico. Si tratta, pertanto, di
un sistema di «pianificazione centrale» del mercato finanziario e, pertanto, altamente
regolamentato, e in larga misura «socialista», che inevitabilmente sarà interessato dal teorema
dell’impossibilità del calcolo economico socialista, secondo il quale è impossibile coordinare
qualsiasi area della società, e specialmente quella finanziaria, mediante mandati coercitivi, data
l’impossibilità che l’organismo reggente (in questo caso la banca centrale) possa ottenere tutta
l’informazione necessaria e rilevante che sia necessaria a tal fine. Il capitolo si conclude con
un’analisi della recente polemica tra la banca centrale e la banca libera, mettendo in risalto come la
maggior parte degli attuali teorici della banca libera non abbiano compreso che la loro prescrizione
perda gran parte di potenzialità e peso teorico nel caso in cui insieme ad essa non si esiga il ritorno
ai principi tradizionali del diritto, cioè, all’esercizio della banca con un coefficiente di cassa del 100
per cento. Infatti, la libertà è inseparabile dal suo esercizio responsabile in una cornice fondata sul
rigoroso adempimento dei principi giuridici tradizionali.
Nel nono ed ultimo capitolo è proposto un modello ideale e coerente di sistema finanziario che
rispetti i principi tradizionali del diritto e si basi, pertanto, sull’esercizio della banca con un
coefficiente di cassa del 100 per cento. Sono analizzati ugualmente gli argomenti che da diversi
punti di vista sono stati presentati contro la nostra proposta, criticandoli e spiegando, infine, come
potrebbe essere portata a termine, riducendo al minimo le tensioni, la transizione dall’attuale
sistema a quello ideale qui proposto. Considerazioni complementari intorno ai vantaggi del sistema
finanziario che è proposto e all’applicazione dei principi studiati in questo libro a certi problemi
urgenti di interesse pratico, come possono essere quelli della costruzione di un nuovo sistema
monetario europeo, o di un sistema monetario moderno nelle antiche economie socialiste, insieme
ad un riassunto delle conclusioni principali dell’opera, mettono un punto conclusivo al nostro
lavoro.
Una versione riassunta delle tesi essenziali di questo libro fu esposta per la prima volta in una
comunicazione davanti alla Mont Pèlerin Society che ebbe luogo a Rio de Janeiro nel settembre del
1993, e che ricevette l’appoggio di James M. Buchanan, cosa di cui gli sono molto grato. Una
versione scritta di questa comunicazione è stata parzialmente pubblicata in spagnolo
nell’«Introduzione Critica» alla prima edizione spagnola del libro di Vera C. Smith intitolato Los
fundamentos de la banca central y de la libertad bancaria9; in seguito pubblicata in francese sotto
forma di articolo con il titolo di «Banque centrale ou banque libre: le débat théorique sur les
réserves fractionnaires»10.
Desidero ringraziare la mia collega della Facoltà di Diritto dell’Università Complutense di Madrid,
la professoressa Mercedes López Amor, l’aiuto che mi ha fornito in relazione alla ricerca di fonti e
bibliografia relative alla trattazione che nel diritto romano ricevette il deposito irregolare di moneta.
Ugualmente il mio antico professore Pablo Martín Aceña, dell’Università di Alcalá de Henares, mi
ha orientato verso lo studio dell’evoluzione della banca nel corso del Medioevo. Luis Reig, Rafael
Manzanares, José Antonio de Aguirre, José Luis Feito, Richard Adamiak di Chicago e i professori
Murray N. Rothbard (r.i.p) e Hans-Hermann Hoppe, dell’Università di Las Vegas in Nevada,
Manuel Gurdiel dell’Università Complutense di Madrid, Pablo Vázquez dell’Università di
Cantabria, Enrique Menéndez Ureña dell’Università Comillas, James Sadowsky della Fordham
University, Pedro Tenorio della U.N.E.D., Rafael Termes del I.E.S.E., Raimondo Cubeddu
dell’Università di Pisa, Rafael Rubio de Urquía de la Università Autónoma di Madrid, José Antonio
García Durán dell’Università Central di Barcellona e l’erudito José Antonio Linage Conde,
dell’Università di San Pablo-C.E.U., mi hanno aiutato molto offrendomi suggerimenti e fornendomi
libri, articoli e riferimenti bibliografici rari su temi bancari e monetari. I miei alunni dei corsi di
dottorato della Facoltà di Diritto dell’Università Complutense di Madrid, e specialmente Elena
Sousmatzian, Xavier Sampedro, Luis Alfonso López García, Rubén Manso, Ángel Luis Rodríguez,
César Martínez Meseguer, Juan Ignacio Funes, Alberto Recarte e Esteban Gándara, così come i
professori Óscar Vara, Javier Aranzadi e Ángel Rodríguez, mi hanno offerto numerosi suggerimenti
e hanno fatto enormi sforzi nel correggere errori in diverse versioni precedenti del manoscritto. A
tutti essi porgo il mio ringraziamento e li esento, come è logico, da ogni responsabilità sul contenuto
finale dell’opera.
Infine voglio ringraziare Sandra Moyano, Ann Lewis e Yolanda Moyano per la loro grande
collaborazione e pazienza nel momento di scrivere a macchina e correggere le diverse versioni del
manoscritto; e, soprattutto, ringrazio come sempre mia moglie, Sonsoles, alla quale dedico questo
libro, per il suo aiuto e comprensione così come il continuo stimolo e sostegno ricevuti nel corso
della sua preparazione.
9
Vera C. Smith, Fundamentos de la banca central y de la libertad bancaria, Unión Editorial/Ediciones Aosta, Madrid
1993, pp. 27-42.
10
Jesús Huerta de Soto, «Banque centrale ou banque libre: le débat théorique sur les réserves fractionnaires», en el
Journal des économistes et des études humaines, Parigi e Aix-en-Provence, vol. V, n.º 2/3, giugno-settembre 1994, pp.
379-391. Questo lavoro fu pubblicato in spagnolo con il titolo di «La teoría del banco central y de la banca libre», nei
miei Estudios de economía política, op. cit., cap. XI, pp. 129-143. In seguito sono state publícate altre versioni di questo
articolo, una in inglese, con il titolo «A Critical Analysis of Central Banks and Fractional Reserve Free Banking from
the Austrian School Perspective», in The Review of Austrian Economics, vol. 8, n.º 2, 1995, pp. 117-130; e un’altra in
rumeno, a cura di Octavian Vasilescu, «Băncile centrale şi sistemul de free-banking cu rezerve fracţionare: o analiză
critică din perspectiva Şcolii Austriece», Polis: Revista de Ştiinţe Politice, vol. 4, n.º 1, Bucarest 1997, pp. 145-157.
NATURA GIURIDICA DEL CONTRATTO DI DEPOSITO IRREGOLARE DI
MONETA
1
UNA CHIARIFICAZIONE TERMINOLOGICA PREVENTIVA: I CONTRATTI
DI PRESTITO (MUTUO E COMODATO) E I CONTRATTI
DI DEPOSITO
In accordo con quanto dice il dizionario della Reale Accademia Spagnola, prestito è quella cosa o
moneta che si consegna a un’altra persona affinchè la usi e, poi, la restituisca.1 Tradizionalmente, si
prendono in considerazione due tipologie di prestito: il prestito d’uso, con il quale ci si limita a
trasferire l’uso di ciò che si è prestato, stante l’obbligo di restituire la cosa prestata una volta che la
stessa è stata usata; e il prestito di consumo, con il quale si trasferisce la proprietà di ciò che si è
prestato, che viene consegnato per essere consumato, di modo che l’obbligo di restituzione venga
riferito alla consegna di una cosa della stessa quantità e qualità di quella inizialmente ricevuta e
consumata2.
Il comodato
Si chiama comodato (dal latino commodatum) il contratto reale e in buona fede in forza del quale
una persona – comodante – consegna a un’altra persona – comodatario – una cosa specifica perché
la usi gratuitamente per un certo tempo, trascorso il quale dovrà restituirla; in pratica, dovrà
restituire quello stesso oggetto ricevuto in uso3. Il contratto si qualifica come “reale” perché
presuppone la consegna della cosa e si ha, per esempio, quando presto la mia auto a un amico
perché faccia un viaggio. È chiaro che, in questo caso, il comodante continua a essere il proprietario
della cosa prestata, mentre chi la riceve ha l’obbligo di usarla in maniera adeguata e di restituirla
(l’auto che gli presto) dopo il termine concordato (quando avrà terminato il viaggio). Gli obblighi
del mio amico, il comodatario, consisteranno nel conservare la cosa (l’auto o veicolo)
diligentemente, servirsene nei modi dovuti (rispettare le regole del traffico e tenerne cura come se
ne fosse il proprietario) e restituirla al termine del comodato (alla fine del viaggio).
1
Diccionario de la Real Academia Española, Espasa Calpe, Madrid 1992, p.1179, prima accezione del significato del termine
«prestar».
2
Manuel Albaladejo, Derecho civil II, Derecho de obligaciones, vol. II, Los contratos en particular y las obligaciones no
contractuales, Librería Bosch, Barcelona 1975, p. 304.
3
Juan Iglesias, Derecho romano: Instituciones de derecho privado, 6ª edizione riveduta ed ampliata, Edizioni Ariel, Barcelona
1972, pp. 408-409.
1
Il mutuo
Benché il comodato conservi una certa importanza nella pratica quotidiana, il prestito di cose
fungibili4 e consumabili, quali possono essere l’olio, il grano e, soprattutto, il denaro, gode di
maggior rilevanza economica. Si definisce mutuo (dal latino mutuum) quel contratto in forza del
quale una persona – il mutuante – consegna a un’altra persona - mutuatario - una determinata
quantità di cose fungibili, con l’obbligo da parte di quest’ultimo di restituire - a una determinata
scadenza - una quantità equivalente in quanto a genere e qualità (ciò che in latino si chiama
tantundem). Un tipico esempio di mutuo è il contratto di prestito di moneta, che è il bene fungibile
per eccellenza. Mediante questo contratto, si consegna oggi una quantità di unità monetarie a
un'altra persona, trasferendo la proprietà e la disponibilità della moneta da colui che concede il
prestito a colui che lo riceve. Colui che lo riceve mantiene la facoltà di consumare o di disporre
come fosse proprio il denaro prestatogli, impegnandosi, trascorso un determinato periodo di tempo,
a far sì che venga restituito il medesimo numero di unità monetarie che ha ricevuto in prestito. Il
mutuo, inteso come prestito di beni fungibili, consiste, pertanto, in uno scambio di beni “presenti”
contro beni “futuri”. Perciò, e a differenza di quanto succedeva con il comodato, nel mutuo è
normale la stipula del patto di interessi, dato che, in virtù della categoria della preferenza temporale
(secondo la quale, a parità di circostanze, i beni presenti vengono sempre preferiti ai beni futuri), gli
esseri umani, in genere, saranno disposti a rinunciare oggi a una determinata quantità di unità di un
bene fungibile, solo a patto di ricevere un numero superiore di unità di bene fungibile in futuro
(quando sarà trascorso il termine). Pertanto, la differenza tra il numero di unità originariamente
consegnate e quelle che si ricevono dal prestatario trascorso il termine è, precisamente, l’interesse.
Riassumendo, nel mutuo, il prestatore assume l’obbligo di consegnare le unità prefissate al
prestatario o mutuatario a meno che la consegna non faccia parte del contratto stesso. Il prestatario
o mutuatario che riceve il prestito assume l’obbligo di restituire altrettanto della stessa specie e
qualità di quanto ricevuto (tantundem), nel momento in cui si conclude la durata del mutuo. Allo
stesso modo, è obbligato al pagamento degli interessi, sempre che gli stessi, come è normale, siano
stati pattuiti. L’obbligazione essenziale, nel prestito di bene fungibile o mutuo, è quella di restituire
altrettanto della stessa specie e qualità di quanto ricevuto, benché il suo prezzo abbia subito
alterazioni una volta trascorso il termine prefissato per la restituzione del prestito. Ciò significa che
il prestatario, non essendo obbligato fino alla restituzione del tantundem a una determinata
scadenza, beneficia del fatto di essere temporaneamente il proprietario della cosa e di avere,
pertanto, la piena disposizione della stessa. Inoltre, costituisce un elemento essenziale del prestito o
mutuo l’esistenza di una scadenza determinata, che stabilisce il periodo di tempo durante il quale la
disponibilità e la proprietà della cosa sarà del prestatario, così come il momento a partire dal quale il
prestatario verrà obbligato a restituire il tantundem. Senza l’esplicita pattuizione di una scadenza
determinata non è concepibile l’esistenza del contratto di mutuo o prestito.
Il contratto di deposito
Così come i contratti di prestito (nelle loro due versioni di comodato e mutuo) presuppongono la
trasmissione della disponibilità della cosa, che passa dal prestatore al prestatario durante un periodo
di tempo, esiste un altro contratto, il contratto di deposito, la cui essenza è che la disponibilità della
cosa non si trasmette. In effetti, il contratto di deposito (in latino depositum) è un contratto di buona
fede, in forza del quale una persona – depositante o deponente – consegna a un’altra persona –
4
Sono fungibili le cose che possono sostituirsi con altre della stessa categoria. In pratica, quelle che non si prendono in
considerazione individualmente, ma in quantità, peso o per unità di misura. I romani dicevano che erano fungibili le
cose quae in genere suo functionem in solutione recipiunt, ossia, le res quae pondere numero mensurave constant. Il più delle
volte le cose consumabili sono anche fungibili.
2
depositario – una cosa mobile, affinché la conservi, la custodisca e gliela restituisca in qualsiasi
momento le venga richiesta. Il deposito, pertanto, ha sempre luogo nell’interesse del depositante e
ha come fine essenziale la conservazione o la custodia della cosa e mantiene, finché dura, la
completa disponibilità della cosa in favore del depositante, in modo che questi possa chiederne la
restituzione in qualsiasi momento. A parte la consegna della cosa, l’obbligazione del depositante
consiste nel rimborsare le spese di deposito a colui che riceve la cosa (nel caso in cui si sia pattuita
la retribuzione, perché in caso contrario il contratto sarà gratuito). L’obbligazione del depositario
consiste nel conservare e custodire la cosa ricevuta con la diligenza del buon padre di famiglia, e
restituirla de immediato al depositante non appena questi ne faccia richiesta. È chiaro che, a
differenza del prestito, nel deposito non esiste un periodo di tempo durante il quale trasferire la
disponibilità della cosa, ma questa resta sempre custodita e a disposizione del depositante e il
deposito ha termine non appena il depositante domandi la restituzione della cosa al depositario.
2
IL CONTRATTO DI DEPOSITO DI COSE FUNGIBILI
O CONTRATTO DI DEPOSITO «IRREGOLARE »
In molte occasioni della vita di tutti i giorni siamo interessati a depositare non oggetti specifici
(come potrebbero essere un quadro, un gioiello, un baule chiuso contenente monete), ma beni
fungibili (come potrebbero essere ettolitri d’olio, metri cubi di gas, quintali di grano o milioni di
pesetas). Senza alcun dubbio, il deposito di beni fungibili continua ad essere un deposito,
fintantoché conserva come elemento essenziale quello della piena disponibilità di quanto è
depositato a favore di colui che ha effettuato il deposito, così come l’obbligo di conservazione e
custodia con la massima diligenza da parte del depositario. L’unica differenza rispetto al deposito
regolare o di cose specifiche è che, in presenza del deposito di cose fungibili, queste vanno a
mescolarsi indissolubilmente con altre cose dello stesso genere e qualità (così, per esempio, nel
magazzino di grano o di frumento, nel deposito d’olio o frantoio, o nella cassa del banchiere).
Questo miscuglio indistinguibile tra differenti unità depositate dello stesso genere e qualità fa sì che
nel deposito di beni fungibili si possa considerare trasferita la “proprietà” della cosa depositata. Ed è
così che, quando va a ritirare quanto depositato, il depositante deve limitarsi, come è logico, a
ricevere l’equivalente esatto, in quanto a quantità e qualità, di ciò che ha originariamente depositato,
ma in nessun caso riceverà le stesse unità specifiche consegnate, poiché, dato il loro carattere
fungibile, non è possibile individuarle in forma indistinguibile assieme al resto di ciò che è nelle
mani del depositario. Perciò, il deposito di beni fungibili, che conserva le caratteristiche essenziali
del contratto di deposito, al variare di uno dei suoi elementi caratteristici (nel contratto di deposito
regolare o di cosa specifica la proprietà non si trasferisce, ma è nella potestà del depositante, mentre
nel deposito di beni fungibili si può ritenere che la proprietà si trasferisce al depositario) prende il
nome di “deposito irregolare”5. Tuttavia, bisogna rimarcare che l’essenza del deposito si mantiene
inalterata e che il deposito irregolare condivide pienamente la medesima natura del deposito in
genere, che consiste nell’obbligo di guardia o custodia. In effetti, nel deposito irregolare esiste
5
Il mio alunno César Martínez Meseguer mi ha convinto che una soluzione adeguata al problema in questione è quella di
considerare che nel deposito irregolare non c’è un vero e proprio trasferimento della proprietà, in quanto questa è riferita in astratto al
tantundem o quantità della cosa depositata e, come tale, permane sempre a disposizione del depositante e non si trasferisce. Questa
soluzione è, per esempio, la raccolta nel caso di commistione regolato dall’articolo 381 del Codice Civile spagnolo, secondo il quale
«... ogni proprietario acquisirá un diritto proporzionale alla parte che gli spetta». Benché nel deposito irregolare si sia
tradizionalmente venuta considerando un’altra cosa (il trasferimento effettivo della proprietà su alcune unità fisiche), sembra più
corretto sostenere che la proprietà possa definirsi nei termini più astratti dell’articolo 381 del Codice Civile spagnolo, secondo il
quale può considerarsi il caso che non si produca alcun trasferimento della stessa quando si effettua un deposito irregolare. Questa
sembra essere, inoltre, la posizione di Luis Díez-Picazo y Antonio Gullón, Sistema de derecho civil, vol. II, Editorial Tecnos, Madrid
1989 (sesta edizione), pp. 469-470.
3
sempre una disponibilità immediata a beneficio del depositante che, in qualsiasi momento, può
presentarsi al magazzino del grano, al deposito dell’olio, o alla cassa della banca e ritirare
l’equivalente delle unità originariamente consegnate. Questo sarà l’equivalente esatto, sia in
quantità che in qualità, del bene consegnato in questione o, come dicevano i romani, il tantundem
eiusdem generis, qualitatis et bonitatis.
I depositi di beni fungibili, come la moneta, chiamati anche depositi irregolari, svolgono
un’importante funzione sociale che i depositi regolari, intesi come depositi di cose specifiche, non
sono in grado di svolgere. Così, sarebbe molto costoso e avrebbe poco senso depositare l’olio in
damigiane separate e numerate (come dire, in forma di deposito chiuso non traslativo di proprietà),
o collocare i biglietti in una busta chiusa nella quale si indicasse la sua numerazione individuale.
Benché in questi casi estremi staremmo di fronte a un deposito regolare non traslativo di proprietà,
si perderebbe l’enorme efficacia e la riduzione di costi che presuppone il trattamento congiunto e
indistinguibile dei differenti depositi6, senza che ciò implichi alcun costo né perdita di disponibilità
per il depositante, che rimane ugualmente soddisfatto se riceve, quando lo sollecita, un tantundem
uguale in quanto a quantità e qualità, ma non identico, quanto al contenuto specifico, a quello
originariamente consegnato. Tra l’altro, esistono altri vantaggi in favore del deposito irregolare. Nel
deposito regolare o di cose specifiche il depositario non risponde se si produce la perdita per caso
fortuito o per cause di forza maggiore della cosa consegnata, mentre nel deposito irregolare il
depositario risponde anche per le situazioni di caso fortuito. Con ciò, ai tradizionali vantaggi di
disponibilità immediata e di custodia di tutto il deposito, il deposito irregolare aggiunge una
caratteristica peculiare di sicurezza di fronte alla possibilità di perdita per caso fortuito7.
6
Nel caso concreto del deposito irregolare di moneta, a questi vantaggi bisogna aggiungere quello derivante
dall’eventuale servizio di cassetta di sicurezza che generalmente è offerto da parte dei banchieri depositari.
7
Come indica bene Pasquale Coppa-Zuccari, «a differenza del deposito regolare, l’irregolare gli garantisce la restituzione
del tantundem nella stessa specie e qualità, sempre ed in ogni caso ... Il deponente irregolare è garantito contro il caso
fortuito, contro il quale il depositario regolare non lo garantisce; trovasi anzi in una condizione economicamente ben più
fortunata che se fosse assicurato». Si veda Pasquale Coppa-Zuccari, Il deposito irregolare, Biblioteca dell’Archivio
Giuridico Filippo Serafini, vol. VI, Modena 1901, pp. 109-110.
4
norma. Se io ti deposito un biglietto da 5000 pesetas, si può considerare trasferita a te la proprietà
del biglietto specifico, che potrai utilizzare secondo i tuoi desideri o qualsiasi altro uso, sempre che
conservi in tuo possesso una quantità equivalente di 5000 pesetas (in forma di un altro biglietto o di
5 biglietti da mille pesetas), così che nel momento in cui io ti chiedo il loro rimborso, tu me li puoi
pagare immediatamente senza opporre ostacolo o scusa alcuna8. Ricapitolando, secondo la logica
immanente all’istituto del deposito irregolare, basata sui principi universali del diritto, l’elemento
essenziale della tutela o della custodia si concretizza nell’esigenza di tenere continuamente a
disposizione del depositante un tantundem uguale a quello inizialmente depositato. E questo, nel
caso concreto del bene fungibile per eccellenza, che è il denaro, significa che l’obbligo di custodia
esige il mantenimento in ogni momento di un coefficiente di cassa del 100 per cento a disposizione
del depositante.
8
Può darsi che Coppa-Zuccari abbia espresso nel modo migliore questo principio essenziale del deposito irregolare
quando sostenne che il depositario «risponde della diligenza di un buon padre di famiglia indipendentemente da quella
che esplica nel giro ordinario della sua vita economica e giuridica. Il depositario invece, nella custodia delle cose ricevute
in deposito, deve spiegare la diligenza, quam suis rebus adhibere solet. E questa diligenza diretta alla conservazione delle
cose proprie, il depositario esplica: in rapporto alle cose infungibili, con l’impedire che esse si perdano o si deteriorino; in
rapporto alle fungibili, col curare di averne sempre a disposizione la medesima quantità e qualità. Questo tenere a
disposizione una eguale quantità e qualità di cose determinate, si rinnovellino pur di continuo e si sostituiscano, equivale
per le fungibili a ciò che per le infungibili è l’esistenza della cosa in individuo.» Pasquale Coppa-Zuccari, Il deposito
irregolare, ob. cit., p. 95. Questa stessa tesi viene citata da Joaquín Garrigues nel suo Contratos bancarios, Madrid 1975, p.
365, ed è sostenuta, ugualmente, da Juan Roca Juan nel suo articolo relativo al deposito di denaro (Comentarios al Código
Civil y Compilaciones Forales, diretti da Manuel Albaladejo, tomo XXII, vol. 1, Rivista Editoriale del Diritto Privato
EDERSA, Madrid 1982, pp. 246-255), nella quale giunge alla conclusione che nel deposito irregolare l’obbligo di custodia
consiste, precisamente, nel fatto che il depositario «deve tenere a disposizione del deponente, in ogni momento, la
quantità depositata, e pertanto deve guardare il numero di unità della specie necessario a restituire la quantità quando gli
venga richiesta» (p. 251). Quindi, nel caso del deposito irregolare di denaro, l’obbligo di custodia si concretizza
nell’esigenza di mantenere, continuamente, un coefficiente di cassa del 100 percento.
9
Altri delitti connessi sono quelli che si commettono in quei casi in cui il depositario che riceve il deposito falsifica il
numero di certificati o di ricevute di consegna. Tale sarebbe il caso del magazziniere che ha in custodia l’olio nel caso in
cui emettesse ricevute di consegna false al fine di negoziarle per conto terzi e, in generale, di tutti i depositari di un bene
fungibile (incluso il denaro) e che emettesse certificati o ricevute di un importo superiore alla quantità effettivamente
depositata. È evidente che in questo caso ci troveremmo dinnanzi ai reati di falsificazione di documento (per l’emissione del
certificato falso) e di truffa (se con l’emissione di tale certificato si pretendeva ingannare terzi ottenendo un determinato
lucro). Più avanti constateremo come il processo storico dell’evoluzione della banca si basa sulla commissione di tali
tipologie di reato in relazione al «negozio» di emissione di biglietti di banca.
5
affidamento su una solvibilità economica sufficiente a far sì che in qualsiasi momento possa
restituire la quantità che ha ricevuto in deposito, o, al contrario, che nel disporre della quantità
ricevuta non abbia numerario proprio con il quale far fronte alla sua obbligazione di restituire in
qualsiasi momento in cui il depositante lo richieda. Nel primo caso non esiste reato di
appropriazione indebita…Al contrario, quando al disporre della quantità ricevuta non abbia in suo
possesso sufficiente contante per far fronte alle richieste del depositante, si consuma il reato di
appropriazione indebita” dal momento stesso in cui dispose a proprio beneficio della quantità
depositata e mancò di possedere un tantundem equivalente a quello consegnato10.
Il principio dell’esigenza di un coefficiente di cassa del 100 per cento, come concretizzazione
dell’elemento essenziale di conservazione e custodia nel caso del deposito irregolare di moneta, è
stato mantenuto dalla giurisprudenza europea anche nel nostro secolo. Così, una sentenza del
Tribunale di Parigi del 12 giugno 1927 condannò un banchiere per il reato di appropriazione
indebita per aver utilizzato, secondo la pratica comune bancaria, i fondi ricevuti in deposito da un
suo cliente. Un’altra sentenza dello stesso tribunale del 4 gennaio 1934, si attenne alla stessa
posizione11. Lo stesso accadde in Spagna in occasione del fallimento del Banco de Barcelona,
quando il Tribunale di Prima Istanza del nord di Barcellona, davanti al reclamo dei correntisti della
banca che domandavano di essere classificati nel fallimento come titolari di un deposito, emanò una
sentenza nella quale riconosceva i correntisti come depositanti, e pertanto il loro carattere di
creditori privilegiati. La sentenza si basò sul fatto che il diritto delle banche a fare uso del denaro
contante dei conti correnti è forzatamente limitato dall’obbligo di tenere a un livello costante i fondi
10
Antonio Ferrer Sama, El delito de apropiación indebida, Pubblicazioni del Seminario di Diritto Penale dell’Università di
Murcia, Editoriales Sucesores de Nogués, Murcia 1945, pp. 26-27. Come abbiamo indicato nel testo e come spiega anche
Eugenio Cuello Calón (Derecho penal, Editorial Bosch, Barcelona 1972, tomo II, parte especial, vol. 2, 13.ª edición, pp. 952-
953), il delitto si consuma nel momento in cui si verifica l’appropriazione o la distrazione e sorge, realmente, con il
proposito dell’appropriazione che, come fatto intimo quale è, deve essere valutata come atto esterno (come l’alienazione,
il consumo o il prestito della cosa), e non quando lo stesso viene scoperto, generalmente molto dopo, da parte del
depositante che, andando a ritirare il suo deposito, vide, con sorpresa, come il depositario non era in grado di
consegnargli immediatamente il corrispondente tantundem. Miguel Bajo Fernández, Mercedes Pérez Manzano e Carlos
Suárez González, da parte loro (Manual de derecho penal, parte speciale, «Delitos patrimoniales y económicos», Editorial
Centro de Estudios Ramón Areces, Madrid 1993), concludono anche che il reato si consuma nello stesso istante nel quale
si produce l’atto di disposizione, senza che si producano ulteriori precisi risultati, sussistendo il reato anche quando si
recupera l’oggetto o l’autore non abbia lucrato con l’appropriazione, anche nel caso in cui si possa far fronte alla consegna del
tantundem nel momento in cui lo stesso venga richiesto (p. 421). Questi stessi autori sostengono che esiste una lacuna
riguardo alla punizione politico-criminale inaccettabile nel diritto penale spagnolo, in relazione ad altri diritti nei quali
esistono «disposizioni specifiche in merito ai reati societari e all’abuso di fiducia, alle quali sarebbe possibile ricondurre i
comportamenti illeciti commessi dalle banche in relazione al deposito irregolare di conto corrente» (p. 429). Nel caso
concreto del diritto penale spagnolo, l’articolo che regola l’appropriazione indebita e che commenta Antonio Ferrer Sama
è il 252 del nuovo Codice Penale del 1996 (art. 528 dell’ antico), che dice: «Saranno puniti con le pene segnalate
dall’articolo 249 o 250, coloro che a danno altrui si approprieranno o distrarranno denaro, effetti, valori o qualsiasi altra
cosa mobile o attivo patrimoniale che abbiano ricevuto in deposito, commissione o amministrazione, o in forza di altro
titolo che faccia sorgere l’obbligo di consegnarli o restituirli, o negheranno di averli ricevuti, quando l’importo
dell’appropriazione ecceda le 50000 pesetas. Detta pena si imporrá nella sua metà superiore nel caso del deposito
necessario o misero.» Infine, il lavoro più completo riguardante gli aspetti penali relativi all’appropriazione indebita di
moneta, che tratta in extenso la posizione dei professori Ferrer Sama, Bajo Fernández ed altri, è quello di Norberto J. de la
Mata Barranco, Tutela penal de la propiedad y delitos de apropiación: el dinero como objeto material de los delitos de hurto y
apropiación indebida, Promociones y Publicaciones Universitarias (PPU, S.A.), Barcelona 1994, specialmente le pp. 407-408
y 512.
11
Queste decisioni giurisprudenziali sono raccolte da Jean Escarra nei suoi Principes de droit commercial, p. 256, e ad esse
si riferisce anche Joaquín Garrigues nei suoi Contratos bancarios, op. cit., pp. 367-368.
6
di detti conti a disposizione del correntista, obbligo per il quale questa limitazione legale nella
disponibilità impediva di consentire che i fondi depositati in un conto corrente potessero essere
considerati dalla banca come se fossero di sua esclusiva pertinenza12. Anche se il Tribunale
Supremo spagnolo non ebbe l’opportunità di pronunciarsi in merito al caso concreto del fallimento
del Banco de Barcelona, una sentenza del nostro* più alto Tribunale datata 21 giugno 1928 arrivò a
una conclusione molto simile concludendo che “secondo gli usi e i costumi mercantili riconosciuti e
ammessi dalla giurisprudenza, il contratto di deposito di moneta consiste nell’imposizione di
quantità che il ricevente, sebbene non contragga l’obbligazione di conservare per conto del
correntista il medesimo contante o i medesimi valori consegnati, deve tenere a sua disposizione
l’importo di quanto consegnato, al fine di restituirlo, totalmente o parzialmente, nel momento in cui
l’interessato lo richieda, non acquisendo in suo potere colui che li possiede la libera disposizione
delle stesse, giacchè, obbligato a ricostituirle nel momento in cui ne sia richiesto, deve conservare
costantemente numerario sufficiente per soddisfarle”13.
3
LE DIFFERENZE ESSENZIALI ESISTENTI TRA I CONTRATTI DI DEPOSITO
IRREGOLARE E DI PRESTITO DI MONETA
È di grande importanza ricapitolare e insistere nel presente paragrafo su quali siano le differenze
essenziali che esistono tra il contratto di deposito irregolare e il contratto di prestito, entrambi di
moneta. Questo perché, come avremo occasione di vedere in differenti contesti più avanti, gran
parte della confusione e degli errori giuridici ed economici sul tema di cui ci stiamo occupando
derivano dalla mancanza di comprensione delle differenze essenziali che esistono tra entrambi i
contratti.
In primo luogo, c’è da segnalare che l’incapacità di distinguere tra il deposito irregolare e il prestito
ha la sua origine nell’esagerata e indebita importanza attribuita al fatto che, come già sappiamo, nel
deposito irregolare di moneta o di qualsiasi altro bene fungibile, possa considerarsi trasferita, al
“pari” del prestito o mutuo, la proprietà della cosa depositata al depositario. Questa è l’unica
“similitudine” esistente tra entrambi i tipi di contratto, e quella che ha condotto all’errore molti
trattatisti che hanno teso così a confonderli in modo ingiustificato.
Abbiamo già visto come, nel deposito irregolare, la trasmissione della “proprietà” fosse un’esigenza
secondaria, derivata dal fatto che l’oggetto del deposito è un bene fungibile, impossibile da
individuare in forma specifica e in relazione con il quale si conseguirebbero molti vantaggi
effettuando il deposito in maniera indistinguibile assieme ad altre partite multiple fungibili dello
stesso bene. In effetti, non potendo esigersi, in termini strettamente giuridici e per ragioni di
12
«Parere di Antonio Goicoechea», in La Cuenta corriente de efectos o valores de un sector de la banca catalana y el mercado libre
de valores de Barcelona, Imprenta Delgado Sáez, Madrid 1936, pp. 233-289, e specialmente nelle pp. 263-264. Anche Joaquín
Garrigues si riferisce a questa sentenza nei suoi Contratos bancarios, op. cit., p. 368.
*
spagnolo
13
Questa sentenza è citata nello studio di José Luis García-Pita y Lastres, «Los depósitos bancarios de dinero y su
documentación», pubblicato ne La revista de derecho bancario y bursátil, Centro de Documentación Bancaria y Bursátil,
ottobre-dicembre 1993, pp. 919-1008, e concretamente la p. 991. Esiste, tra l’altro, un riferimento a questa sentenza in
Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., p. 387.
7
impossibilità fisica, la restituzione delle specifiche unità concretamente depositate, può rendersi
necessario considerare che si produca un “trasferimento” della proprietà in quanto alle unità
specifiche e individualizzate che furono depositate per il fatto che queste non sono più distinguibili.
Ciò consente al depositario o magazziniere di trasformarsi in “proprietario”, ma solo nel senso di
aver libertà (sempre che mantenga in ogni momento il tantundem) di disporre come desidera delle
unità specifiche e indistinguibili ricevute. È a questo, e solamente a questo, che mira il trasferimento
del diritto di proprietà nel caso del deposito irregolare e non, come accade nel caso del contratto di
prestito, alla completa disponibilità della cosa prestata, finché non si sia giunti alla scadenza della
durata del contratto. Pertanto, anche in relazione con l’unico elemento nel quale potrebbe ravvisarsi
l’esistenza di una “similitudine” tra il deposito irregolare e il prestito di moneta (il supposto
“trasferimento” della proprietà), si deve intendere che il trasferimento della proprietà in questione
ha un significato economico e giuridico molto distinto sia nell’uno che nell’altro contratto. E ciò
fino al punto che, come abbiamo già spiegato nella nota 5, sarebbe più giusto considerare che nel
deposito irregolare non si produca trasferimento alcuno di proprietà, finché il depositante conserva
in ogni momento la sua proprietà in astratto sul tantundem.
La ragione d’essere di questo differente contenuto giuridico si radica nella differenza essenziale tra
ambedue le tipologie di contratto, differenza che a sua volta deriva dal distinto substrato economico
sul quale si fondano entrambi. Così, Ludwig von Mises, con la sua abituale chiarezza ha
sottolineato che il prestito «in the economic sense means the exchange of a present good or a
present service against a future good or a future service. Then it is hardly possible to include the
transactions in question under the conception of credit. A depositor of a sum of money who requires
in exchange for it a claim convertible into money at any time which will perform exactly the same
service for him as the sum it refers to, has exchanged no present good for a future good. The claim
that he has acquired by his deposit is also a present good for him. The depositing of the money in no
way means that he has renounced immediate disposal over the utility that it commands». E conclude
che il deposito «is not a credit transaction, because the essential element, the exchange of present
goods for future goods, is absent»14. Pertanto, nel deposito irregolare di moneta non abbiamo una
rinuncia a beni presenti in cambio di una quantità superiore di beni futuri una volta trascorso un
periodo di tempo, ma si produce semplicemente un cambio nella forma di sfruttamento della
disponibilità dei beni presenti. Questa modifica si effettua perché, in molteplici circostanze, al
depositante sembra molto interessante dal suo punto di vista soggettivo (in pratica, crede di
raggiungere i suoi fini nel modo migliore) effettuare un deposito irregolare di meta in maniera
indistinguibile (prima abbiamo fatto riferimento, tra l’altro, ai vantaggi di assicurare il rischio di
perdita dovuta a caso fortuito cosí come di approfittare dei servizi di cassa che offrono le banche
attraverso l’operazione congiunta di conto corrente). Al contrario, l’essenza del contratto di prestito
14
Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, Liberty Classics, Indianápolis 1980, p. 301. Questa è la migliore edizione
inglese della traduzione in questa lingua di H.E. Batson della seconda edizione tedesca pubblicata nel 1924 della Theorie des Geldes
und der Umlaufsmittel, pubblicata da Duncker & Humblot en Munich y Leipzig. La prima edizione venne pubblicata nel 1912.
Esisterebbero di questa opera due traduzioni in spagnolo piuttosto deficitarie: una di Antonio Riaño, pubblicata con il titolo di Teoría
del dinero y del crédito da M. Aguilar, Madrid 1936, e l’altra di José María Claramunda Bes, pubblicata da Edizioni Zeus (Barcelona
1961).
La traduzione italiana è stata pubblicata da Edizioni Scientifiche Italiane a cura di Riccardo Bellafiore. Noi ci riferiremo a questa
edizione, nella quale si traduce il passaggio raccolto nel testo principale nel modo seguente: il deposito di moneta «dal punto di vista
economico non è un caso di una transazione creditizia. Se credito in senso economico significa lo scambio di beni o servizi presenti
contro beni o servizi futuri, risulta molto difficile includere le operazioni di riferimento sotto la categoria del credito. Chi deposita
una somma di moneta e ottiene per essa in qualsiasi momento titoli convertibili in moneta che gli renderanno esattamente lo stesso
servizio della somma cui si riferisce, non ha scambiato beni presenti contro beni futuri. Quindi, per lui il titolo che ha acquisito con il
deposito è anch’esso un bene presente. Depositare moneta non significa in alcun modo rinunciare a disporre immediatamente
dell’utilità che essa offre». Il deposito, pertanto, «non é una transazione creditizia, poiché gli manca l’elemento essenziale: lo
scambio di beni presenti contro beni futuri». Ludwig von Mises, Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione, ESI, Napoli 1999,
p. 184.
8
è radicalmente distinta. Nel contratto di prestito, quello che si pretende, esattamente, è rinunciare
oggi a una disponibilità di beni presenti, che si trasferisce a chi riceve il prestito affinché la usi e la
utilizzi; e tutto ciò in vista di ottenere in cambio, nel futuro, una volta trascorso il periodo
prestabilito nel contratto, una quantità, generalmente superiore, di beni futuri. Diciamo
generalmente superiore, poiché data la categoria logica e inerente a ogni azione umana della
preferenza temporale, secondo la quale, a parità di circostanze, i beni presenti si preferiscono
sempre ai beni futuri, è opportuno aggiungere ai beni futuri che si vanno a percepire un importo
differenziale sotto forma di interesse. Altrimenti sarebbe difficile trovare chi fosse disposto a
rinunciare alla disponibilità di beni presenti che ogni prestito suppone.
Pertanto, dal punto di vista economico, è lampante la differenza tra i due contratti: in uno, quello di
deposito irregolare, non c’è trasferimento di beni presenti contro beni futuri, mentre nell’altro sì;
come conseguenza del precedente, nel deposito irregolare non c’è trasferimento della disponibilità
della cosa, ma questa continua ad essere nelle “mani” del depositante (nonostante che, dal punto di
vista giuridico si possa considerare in un certo senso trasferita la “proprietà”), mentre nel contratto
di prestito esiste sempre un trasferimento della disponibilità che va da colui che concede il prestito a
colui che lo riceve; inoltre, nel contratto di prestito, è peculiare il patto di interesse, mentre nel
contratto di deposito irregolare di moneta, il patto di interesse è contra naturam e privo di senso.
Coppa-Zuccari, con la sua abituale perspicacia, spiega che l’impossibilità assoluta di includere il
patto di interessi nel contratto di deposito irregolare è, dal punto di vista giuridico, conseguenza
immediata del diritto che si concede al deponente di ritirare in qualsiasi momento il deposito, e del
correlativo obbligo del depositario di tenere continuamente a disposizione del depositante il
corrispondente tantundem15. Ludwig von Mises indica egualmente che per il depositante è possibile
realizzare i depositi senza domandare alcun tasso di interesse precisamente perché «the claim
obtained in exchange for the sum of money is equally valuable to him whether he converts it sooner
or later, or even not at all; and because of this it is possible for him, without damaging his economic
interests, to acquire such claims in return for the surrender of money without demanding
compensation for any difference in value arising from the difference in time between payment and
repayment, such, of course, as does not in fact exist»16. E, dato il substrato economico del contratto
di deposito irregolare di moneta, che non presuppone lo scambio di beni presenti contro beni futuri,
il mantenimento continuo della disponibilità in favore del depositante e l’incompatibilità con il
15
«Conseguenza immediata del diritto concesso al deponente di ritirare in ogni tempo il deposito e del correlativo
obbligo del depositario di renderlo alla prima richiesta e di tenere sempre a disposizione del deponente il suo tantundem
nel deposito irregolare, è l’impossibilità assoluta per il depositario di corrispondere interessi al deponente». Pasquale
Coppa-Zuccari, Il deposito irregolare, op. cit., p. 292. Coppa-Zuccari sottolinea ugualmente che questa incompatibilità tra il
deposito irregolare e gli interessi non tocca, come è logico, il caso completamente distinto della concessione degli
interessi quando il depositario diventa moroso nel momento in cui non restituisce il denaro quando viene sollecitato in
tal senso. Perciò la figura del denominato depositum confessatum fu, come poi vedremo, utilizzata sistematicamente
ovunque nel Medio Evo come sotterfugio giuridico per aggirare la proibizione canonica della riscossione degli interessi
nei prestiti.
16
Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 301. Nella recente traduzione italiana: «Il diritto
ottenuto in cambio della somma di moneta depositata ha per il depositante lo stesso valore, sia che lo converta prima o
più tardi, sia che non lo converta affatto; ed è per questo che egli, senza pregiudicare i suoi interessi economici, può
ottenere tali diritti contro la cessione di moneta, senza esigere una remunerazione per qualsivoglia differenza di valore
originata dalla differenza temporale tra il momento del pagamento e quello del rimborso, che peraltro non esiste» (p.
184).
17
Il fatto che sia incompatibile il patto di interessi con il contratto di deposito irregolare di denaro non significa che
questo debba essere un contratto gratuito. In effetti, in accordo con la sua natura propria, è normale che nel deposito
irregolare si patteggi il pagamento da parte del depositante e a favore di colui che riceve il deposito o depositario di una
determinata quantità in veste di spese per la custodia del deposito o per il mantenimento del conto. Il fatto che si paghi
un interesse esplicito o implicito è un indizio razionale che deve condurre alla convinzione che si sta violando
l’obbligazione essenziale di custodia nel contratto di deposito irregolare, e che il depositario sta utilizzando a suo
proprio beneficio il denaro dei suoi depositanti, appropriandosi indebitamente parte del tantundem che dovrebbe
mantenere in ogni momento a favore degli stessi.
9
patto di interessi sono conseguenza logica e diretta dell’essenza giuridica di un contratto, quello di
deposito irregolare, che è radicalmente distinta dall’essenza giuridica del contratto di prestito17.
L’elemento giuridico essenziale del contratto di deposito irregolare è quello relativo alla tutela o
custodia della moneta che si consegna. Questa è la motivazione o causa del contratto18 che è
preponderante su tutto il resto in considerazione delle parti che decidano di effettuare e ricevere un
deposito irregolare e si distingue radicalmente dalla causa essenziale del contratto di prestito, che
consiste nel trasferire la disponibilità di ciò che si è prestato perché il prestatario lo utilizzi e lo usi
per un periodo di tempo. Da questa differenza essenziale nella causa di entrambe le tipologie di
contratto sorgono anche altre due differenze giuridiche importanti: la prima è che nel contratto di
deposito irregolare è assente la scadenza temporale, che è l’elemento essenziale che determina
l’esistenza o no di un contratto di prestito. In effetti, così come è impossibile concepire il contratto
di prestito di moneta senza che sia precisata una scadenza temporale (durante la quale non solo si
trasmette la proprietà ma si perde anche la disponibilità), al cui termine è necessario restituire il
tantundem di moneta inizialmente prestato maggiorato degli interessi, nel contratto di deposito
irregolare non esiste scadenza alcuna, ma la disponibilità, a favore del depositante, è permanente e
questi in qualsiasi momento può ritirare il suo tantundem19. La seconda differenza giuridica
fondamentale si riferisce agli obblighi delle parti: nel contratto di deposito irregolare, l’obbligazione
giuridica derivata dall’essenza del contratto consiste, come già sappiamo, nella custodia o vigilanza
con la diligenza propria del buon padre di famiglia del tantundem che dovrà continuamente restare a
disposizione della parte che ha effettuato il deposito;20 nel contratto di prestito tale obbligazione non
esiste, e il prestatario può fare uso della quantità prestatagli con totale libertà. Diventa adesso chiara
l’importante distinzione che abbiamo fatto poc’anzi in merito al significato molto diverso presente
nel fatto giuridico del “trasferimento di proprietà” in ambedue i contratti. Perciò, così come il
“trasferimento” della proprietà nel contratto di deposito irregolare, benché si possa considerare
18
J. Dabin, La teoría de la causa: estudio histórico y jurisprudencial, tradotto da Francisco de Pelsmaeker e adattato da
Francisco Bonet Ramón, 2.ª edición, Editorial Revista de Derecho Privado, Madrid 1955, pp. 24 y ss. Che la causa del
contratto di deposito irregolare sia quella di tutela o custodia e che sia distinta dalla causa del contratto di prestito è
riconosciuto perfino da autori che, come García-Pita o Ozcáriz-Marco, non riescono ad accettare che la conseguenza
logica ineludibile del suo punto di partenza sia l’esigenza di un coefficiente di cassa del 100 per cento per i depositi a
vista della banca. Si veda José Luis García-Pita y Lastres, «Depósitos bancarios y protección del depositante», Contratos
bancarios, Colegios Notariales de España, Madrid 1996, pp. 119-266, e specialmente le pp. 167 e 191; y Florencio Ozcáriz-
Marco, El contrato de depósito: estudio de la obligación de guarda, J.M. Bosch Editor, Barcelona 1997, pp. 37 e 47.
19
I civilisti sono unanimi nel rimarcare il carattere essenziale della scadenza nel contratto di prestito, a differenza di
quanto accade nel contratto di deposito irregolare dove tale scadenza non esiste. Cosí, Manuel Albaladejo insiste sul fatto
che il mutuo si estingue, e la somma prestata deve restituirsi, quando il suddetto termine è giunto a scadenza (per
esempio, si veda l’art. 1125 del Codice Civile spagnolo), indicando perfino che se non si è data forma esplicita a tale
scadenza, in quanto la stessa forma parte inseparabile della natura essenziale del contratto di prestito, bisogna sempre dedurne
che si è voluto concedere una scadenza al debitore, e si dovrà lasciare a un terzo (i tribunali) la fissazione del termine
corrispondente (questa è la soluzione adottata nell’ art. 1128 del Codice Civile spagnolo). Si veda Manuel Albaladejo,
Derecho civil II, Derecho de obligaciones, vol. II, Los contratos en particular y las obligaciones no contractuales, op. cit., p. 317.
20
Evidentemente, la continua disponibilità a favore del depositante si riferisce al tantundem, e non alla disponibilità
concreta delle stesse specifiche unità depositate. In pratica, anche se si trasferisce la proprietà delle unità físiche concrete
depositate e si fa uso della sua specifica disponibilità, il depositario non consegue disponibilità reale alcuna, dato che la
disponibilità che ottiene dall’uso delle cose specifiche ricevute si compensa esattamente con l’esigenza di perdere una
disponibilità equivalente di altre unità specifiche che precedentemente aveva in suo possesso, e che deriva
dall’obbligazione di mantenere il tantundem sempre a disposizione del depositante. Questa continua disponibilità a
favore del depositante si suole denominare, in relazione al contratto di deposito di denaro, con l’espressione «a vista», di
modo che i cosiddetti conti correnti o depositi «a vista» riassumono, molto graficamente e grazie alla succitata
espressione, la motivazione essenziale e inconfondibile del contratto, che altro non è se non il mantenimento continuo
della disponibilità a favore del depositante.
10
un’esigenza della natura fungibile delle cose che si depositano, non presuppone il trasferimento
simultaneo della disponibilità del tantundem, nel contratto di prestito, il trasferimento della
proprietà è pieno e allora sì che esiste una completa libertà di disporre del tantundem che si
trasferisce dal prestatore al prestatario.21 Di seguito includiamo la tabella I-1, nella quale vengono
riassunte in maniera sinottica le differenze che abbiamo studiato in questo paragrafo.
TABELLA I-1
DIFFERENZE ESSENZIALI TRA DUE CONTRATTI
RADICALMENTE DISTINTI
Deposito Irregolare di Moneta Prestito di Moneta
Contenuto Economico:
Contenuto Giuridico:
21
È necessario chiarire che qui esiste un contratto denominato di «deposito a termine» le cui caratteristiche, sia
economiche che giuridiche, sono quelle di un vero e proprio prestito, e non quelle di un deposito. È importante
sottolineare che tale uso terminologico induce all’errore e nasconde l’esistenza di ciò che non è altro se non un vero
proprio contratto di prestito, nel quale si trasferiscono beni presenti contro beni futuri, si perde la disponibilità del
denaro per un periodo di tempo determinato e si ha diritto a lucrare i corrispondenti interessi. L’utilizzazione di questa
confusa terminologia maschera e offusca ancor di più la possibilità che i cittadini possano operare un’adeguata
distinzione quando si trovano davanti un vero e proprio deposito (a vista) rispetto a quando si trovano davanti un
contratto di prestito (a termine), ed è stata interessatamente mantenuta in tale forma da tutti quegli agenti economici che
approfittano dell’attuale confusione. Confusione che si aggrava ancor di più in quelle numerose occasioni relative alla
prassi bancaria nelle quali i «depositi» a scadenza (che dovrebbero essere veri e propri prestiti) si convertono de facto in
depositi «a vista», offrendo alle banche la possibilità di ottenere il proprio rimborso in qualsiasi momento e senza
penalità alcuna.
11
AL CONTRATTO DI DEPOSITO IRREGOLARE DI MONETA
L’origine dei principi tradizionali del diritto secondo Menger, Hayek e Leoni.
I principi universali e tradizionali del diritto che abbiamo spiegato nel paragrafo precedente in
relazione al contratto di deposito irregolare non sono nati nel vuoto, né sono il risultato di alcuna
conoscenza aprioristica. Inoltre, il diritto, inteso come insieme di norme e istituzioni alle quali in
modo costante, ripetitivo e regolare si adattano i comportamenti degli esseri umani, si è andato via
via formando e raffinando in modo evolutivo e consuetudinario. È stato forse uno dei più importanti
contributi di Carl Menger quello di aver sviluppato tutta una teoria economica delle istituzioni
sociali in base alla quale queste sorgono come risultato di un processo evolutivo dove interagiscono
innumerevoli esseri umani, ognuno dei quali è provvisto del suo piccolo patrimonio esclusivo e
privato di conoscenze soggettive, esperienze pratiche, aneliti, preoccupazioni, obiettivi, dubbi,
sensazioni, ecc. Nasce così in maniera evolutiva e spontanea una serie di comportamenti regolari o
istituzioni che, non solo nel campo giuridico, ma anche in quello economico e linguistico, rende
possibile la vita nella società. Menger scoprì che l’origine delle istituzioni è il risultato di un
processo sociale costituito da una moltitudine di azioni umane e che si trova sempre uno spazio
libero per un piccolo, in termini relativi, gruppo di esseri umani co
ncreti in carne e ossa che, in circostanze storiche particolari di luogo e di tempo, sono capaci di
scoprire prima degli altri come riuscire a raggiungere più facilmente i propri fini adottando e
ponendo in essere determinati comportamenti regolari. Si mette così in moto un processo
decentralizzato per tentativi ed errori nel quale tendono a prevalere nell’arco di diverse generazioni
i comportamenti che meglio coordinano le perturbazioni sociali, così che attraverso un processo
sociale inconsapevole di apprendimento e imitazione, il ruolo guida esercitato dagli esseri umani
più creativi e di successo nelle loro azioni si estende ed è seguito dal resto dei membri della società.
Inoltre, in tale processo evolutivo, quelle società che prima di tutte incorporano i principi e le
istituzione più adeguate tendono a estendersi e a prevalere sugli altri gruppi sociali. Benché Menger
sviluppi la sua teoria applicandola a un’istituzione economica concreta, quella dell’origine e
dell’evoluzione della moneta, sostiene anche che lo stesso schema teorico sostanziale si può
applicare, senza ulteriori difficoltà, per spiegare l’origine e l’evoluzione del linguaggio, e anche al
campo che ora più ci interessa, quello delle istituzioni giuridiche. Si ha così la realtà paradossale
che le istituzioni più importanti ed essenziali per la vita degli uomini nella società (morali,
giuridiche, economiche e linguistiche) non sono creazioni deliberate dell’uomo stesso, poiché egli
difetta della necessaria capacità intellettuale per assimilare l’enorme volume di informazione
dispersa che le stesse implicano e generano. Al contrario, queste istituzioni si vanno formando per
forza di cose in modo spontaneo ed evolutivo dal processo sociale di interazioni umane che,
secondo Menger, costituisce esattamente il campo che forma l’oggetto di indagine della scienza
economica22.
22
Carl Menger, Untersuchungen über die Methode der Socialwissenschaften und der Politischen Ökonomie insbesondere,
Duncker & Humblot, Leipzig 1883, e in particolare pagina 182. Proprio Menger spiega impeccabilmente nel modo
seguente la nuova domanda che pretende contestare il programma di indagine scientifica che propone per l’economia:
«Com’è possibile che le istituzioni che meglio servono il bene comune e che sono maggiormente significative per il suo
sviluppo siano sorte senza l’intervento di una volontà comune e deliberata che le creasse?» (pp. 163-165). L’esposizione
più sintetica, e forse più brillante, della teoria di Menger sull’origine evolutiva della moneta si trova in un suo articolo
pubblicato in inglese con il titolo «On the Origin of Money», Economic Journal, giugno 1892, pp. 239-255. Questo articolo è
stato recentemente riedito da Israel M. Kirzner nel suo Classics in Austrian Economics: A Sampling in the History of a
Tradition, William Pickering, Londra 1994, vol. I, pp. 91-106. In spagnolo, si può consultare inoltre Carl Menger in «Teoría
del dinero», cap. VIII de Principios de economía política, 2.ª ed., Unión Editorial, Madrid 1997, riprodotto da Jesús Huerta
de Soto (ed.), Lecturas de economía política, Unión Editorial, Madrid 1986, vol. I, pp. 213-238. Mentre in italiano, si può
consultare Carl Menger in «Teoria della moneta», cap. VIII de Principi di economia politica, UTET, Torino 1976, a cura di
Elena Franco Nani, pp. 345-463.
23
F.A. Hayek, Los fundamentos de la libertad, 5.ª ed., Unión Editorial, Madrid 1990; Derecho, legislación y libertad, 3 volumi,
Unión Editorial, Madrid 1976-1982; y La fatal arrogancia: los errores del socialismo, Unión Editorial, Madrid 1990 (2.ª ed., 1997).
Di queste opere esistiono rispettivamente le seguenti traduzioni in italiano: La società libera, Rubbettino, Soveria Mannelli
12
Queste istituzioni furono sviluppate prima da Menger e, successivamente, da F. A. Hayek in propri
differenti lavori sui fondamenti della legge e delle istituzioni giuridiche23 e, soprattutto, dal
cattedratico italiano di scienza della politica Bruno Leoni, che fu il primo a integrare, in una teoria
sintetica sulla filosofia del diritto, la teoria economica dei processi sociali sviluppata da Menger e la
Scuola Austriaca con la tradizione giuridica romana di più antico e alto lignaggio, e la tradizione
anglosassone della rule of law. In effetti, l’apporto di Bruno Leoni consiste nell’aver posto in rilievo
che la teoria austriaca, sull’origine e l’evoluzione delle istituzioni sociali, non solo offre una perfetta
illustrazione del fenomeno del diritto consuetudinario, ma, oltre a ciò, è stata in precedenza
conosciuta e segnalata dalla scuola giuridica classica del diritto romano24. Così, Leoni, citando
Catone per bocca di Cicerone, segnala espressamente come i giuristi romani erano già coscienti del
fatto che il diritto romano non era il frutto della creazione personale di un solo uomo, ma di molti,
attraverso una serie di secoli e generazioni, posto che “non c’è mai stato al mondo un uomo tanto
intelligente da prevedere tutto, e perfino se potessimo concentrare tutti i cervelli nella testa di uno
stesso uomo, gli sarebbe impossibile tener conto di tutto, nello stesso tempo, senza aver accumulato
l’esperienza derivante dalla pratica nel corso di un lungo periodo storico”25. Insomma, per Leoni il
diritto nasce come risultato di una serie continua di tentativi, nella quale ogni individuo tiene conto
delle circostanze che gli si presentano e del comportamento degli altri, perfezionandosi attraverso
un processo selettivo ed evolutivo.26
(Catanzaro) 2007; Legge, legislazione e libertà, Il Saggiatore, Milano 1984; e La presunzione fatale: gli errori del socialismo, Rusconi,
Milano, 1997.
24
Cfr. Jesús Huerta de Soto, Estudios de economía política, op. cit., cap. X, pp. 121-128, cosí come la seconda edizione
spagnola del libro de Bruno Leoni La libertad y la ley, Unión Editorial, Madrid 1995, di cui esiste una traduzione italiana
dal titolo La libertà e la legge, Liberilibri, Macerata 1995, la cui conoscenza è essenziale per tutti i giuristi e per tutti gli
economisti.
25
«Nostra autem res publica non unius esset ingenio, sed multorum, nec una hominis vita, sed aliquod constitutum saeculis et
aetatibus, nam neque ullum ingenium tantum extitisse dicebat, ut, quem res nulla fugeret, quisquam aliquando fuisset, neque cuncta
ingenia conlata in unum tantum posse uno tempore providere, ut omnia complecterentur sine rerum usu ac vetustate». Marco Tullio
Cicerone, De re publica, II, 1-2, The Loeb Classical Library, Cambridge, Massachusetts, 1961, pp. 111-112. Esiste una buona
traduzione in spagnolo di Antonio Fontán, Sobre la república, Gredos, Madrid 1974, pp. 86-87. Ciononostante, considero un po’ più
adatta la traduzione del paragrafo citato realizzata da Bruno Leoni, e che è, fondamentalmente, quella che riproduciamo nel testo. Si
veda Bruno Leoni, La libertà e la legge, Liberilibri, Macerata 1995, p. 108. Si tratta della traduzione in italiano del libro Freedom and
the Law (1.ª ed., D. Van Nostrand Co., 1961; 3ª ed., ampliata, Liberty Fund, Indianápolis 1991). Il libro di Leoni è eccezionale da
tutti i punti di vista, non solo nel porre in rilievo il parallelismo esistente, da un lato, tra il mercato e il diritto consuetudinario o
common law, e dall’altro, tra la legislazione positiva e il socialismo, ma anche perché egli fu il primo giurista a rendersi conto che
l’argomento di Ludwig von Mises riguardante l’impossibilità del calcolo economico nel socialismo non è altro che un caso
particolare del «principio più generale, secondo il quale nessun legislatore sarebbe in grado di stabilire esso solo, senza alcun tipo di
collaborazione continua da parte di tutta la popolazione coinvolta, le norme che regolano la condotta di ognuno in questa perpetua
catena di relazioni che tutti abbiamo con tutti» (p. 28). Riguardo all’opera di Bruno Leoni, fondatore della prestigiosa rivista Il
Politico nel 1950, si deve consultare l’Omaggio a Bruno Leoni, edito da Pasquale Scaramozzino, Ed. A. Giuffrè, Milano 1969, cosí
come l’articolo «Bruno Leoni in Retrospect» de Peter H. Aranson, Harvard Journal of Law and Public Policy, estate 1988. Leoni fu
un uomo poliedrico che sviluppó un’intensa attività nel campo universitario, nell’avvocatura, nell’impresa,
nell’architettura, nella musica e nella linguistica. Morì tragicamente assassinato da uno dei suoi inquilini, dal quale
cercava di riscuotere l’affitto, la notte del 21 novembre del 1967, all’età di 54 anni.
26
Secondo le parole dello stesso Bruno Leoni, il diritto si configura come «una continua serie di tentativi, che gli
individui compiono quando pretendono un comportamento altrui, e si affidano al proprio potere di determinare quel
comportamento, qualora esso non si determini in modo spontaneo». Bruno Leoni, «Diritto e politica», nei suoi Scritti di
scienza politica e teoria del diritto, A. Giuffrè, Milano 1980, p. 240.
27
Di fatto, l’interprete dell’ ius è il prudens, ossia, il perito in materia giuridica o iuris prudens. A lui tocca il compito di
rivelare il diritto. Il giurista è aiuto e consigliere del privato cittadino, e lo istruisce riguardo alle formule dei negozi o
contratti, fornisce risposte alle sue domande e dà consulenze a pretori e giudici. Si veda Juan Iglesias, Derecho romano:
Instituciones de derecho privado, op. cit., pp. 54-55.
28
Juan Iglesias, Derecho romano: Instituciones de derecho privado, op. cit., p. 56. e soprattutto Rudolf von Ihering, El espíritu
del derecho romano, Clásicos del Pensamiento Jurídico, Marcial Pons, Madrid 1997, specialmente pp. 196-202 e 251-253.
13
La grandezza della scienza giuridica romana classica affonda le sue radici, precisamente, nell’aver
preso coscienza di questo fatto importante e nell’aver dedicato i suoi sforzi a una continua opera di
studio e di interpretazione delle consuetudini giuridiche, di esegesi, di analisi logica, di colmatura di
lacune ed eliminazione di vizi; opera di interpretazione del diritto che si effettuava con i necessari
criteri di prudenza e parsimonia27. La professione del giurista classico è una vera e propria arte che
viene diretta sempre a cercare e a trovare l’essenza delle istituzioni giuridiche formatesi nel corso
del processo evolutivo della società. Inoltre, i giuristi classici non si addossano la pretesa di essere
“originali” o “geniali”, ma sono “i servitori di un certo numero di principi fondamentali, e qui sta,
come segnalò Savigny, il merito della loro grandezza”28. Hanno come impegno fondamentale quello
di scoprire i principi universali del diritto, immanenti alla logica delle relazioni umane e immutabili,
sebbene accada che, come conseguenza della propria evoluzione sociale, si prospetti spesso la
necessità di adattare l’applicazione di tali principi universali, di per sé immutabili, a nuove
situazioni e problematiche che l’evoluzione sociale va continuamente creando.29 I giuristi romani
sviluppano pertanto la loro opera in forma privata, non sono funzionari pubblici, e nonostante i
molteplici tentativi che la giurisprudenza ufficiale fa nell’epoca romana, non riesce mai a eliminare
la giurisprudenza libera, né quest’ultima perde il suo grandissimo prestigio e la sua indipendenza.
La giurisprudenza o scienza del diritto cominciò ad essere una professione liberale a partire dal III
secolo a. C. I giuristi più importanti prima della nostra Era sono Marco Porzio Catone e suo figlio
Catone Liciano, il suo console Muzio Scevola e i giuristi Quinto Muzio Scevola, Serbio Surpicio
Rufo e Alfeno Varo. In seguito, già nel II secolo d. C., inizia l’epoca classica, i cui giuristi più
famosi sono Gaio, Pomponio, Africano e Marcello, il cui percorso continuano, già nel III secolo,
giuristi tra i quali spiccano Papiniano, Paolo, Ulpiano e Modestino. A partire da questo momento il
prestigio delle soluzioni trovate da questi giuristi privati è talmente grande, che si dà ad esse forza
di legge e, al fine di evitare le difficoltà che potrebbero sorgere dalle differenze di opinione
contenute nelle opere della giurisprudenza degli uni e degli altri, si conferisce forza legale agli
scritti di Papiniano, Paolo, Ulpiano, Gaio e Modestino, così come alle dottrine dei giuristi da essi
citati, sempre che tali citazioni potessero essere comprovate ricorrendo agli originali. In caso di
disaccordo tra le opinioni di questi autori, il giudice doveva seguire la dottrina stabilita dalla
maggioranza, e in caso di pareggio, doveva sempre prevalere la tesi di Papiniano, di modo che in
mancanza di un’opinione di questo autore, il giudice restava libero di decidere30. Spetta, quindi, ai
giuristi classici romani il merito di aver scoperto, interpretato e perfezionato, per la prima volta, le
più importanti istituzioni giuridiche che rendono possibile la vita nella società e, come notiamo
continuamente, riconoscevano già e comprendevano i principi essenziali del contratto di deposito
irregolare, delineando il suo contenuto e la sua essenza così come li abbiamo esposti nei paragrafi
precedenti di questo capitolo. Il contratto di deposito irregolare non è una creazione intellettuale
senza contatto con la realtà, bensì un’esigenza logica della natura umana manifestata in molteplici
atti di interazione e cooperazione sociale, che si plasma in una serie di principi che non è possibile
violare senza che si producano gravissime conseguenze per lo svolgersi delle relazioni umane. La
grande importanza del diritto inteso in questa maniera evolutiva, scoperto e depurato dai suoi vizi
logici attraverso la scienza degli esperti giuridici, si radica in ciò che costituisce la guida automatica
che serve da orientamento nel comportamento degli esseri umani, benché, per il suo carattere
astratto, essi non siano in grado di identificare né di comprendere, nella maggior parte dei casi
concreti, qual è la funzione completa e specifica che ogni istituzione giuridica esercita. Solamente
29
«Strettamente collegata con il rilascio di pareri che potevano essere chiesti, non solamente dai privati cittadini, ma
anche dai magistrati e giudici, era la funzione dell’interpretatio, consistente nell’applicare principi antichi a necessità
nuove, cosa che presuppone una dilatazione dell’ ius civile, benché formalmente non sorgano nuove istituzioni.»
Francisco Hernández-Tejero Jorge, Lecciones de derecho romano, Ediciones Darro, Madrid 1972, p. 30.
30
Questa forza legale trova posto per la prima volta in una costituzione dell’anno 426, conosciuta con il nome di Legge
di Citazione di Teodosio II e Valentiniano III. Si veda Francisco Hernández-Tejero Jorge, Lecciones de derecho romano, op.
cit., p. 3.
14
con molto ritardo nell’evoluzione storica del pensiero umano e grazie, soprattutto, agli apporti della
scienza economica, è stato possibile dedurre le leggi dei processi sociali e arrivare a comprendere
anche solo una piccola parte della funzione che esercitano nella società le distinte istituzioni
giuridiche. E precisamente uno degli obiettivi più importanti di questo libro è analizzare
economicamente le conseguenze sociali che sta avendo la violazione dei principi universali del
diritto in relazione al contratto di deposito irregolare di moneta, analisi di teoria economica relativa
a un’istituzione giuridica (il contratto di deposito bancario di moneta) che porteremo a termine a
partire dal capitolo IV.
La conoscenza dei principi universali del diritto, tali e quali furono scoperti dai giuristi romani, si
rende possibile grazie all’opera di raccolta dell’imperatore Giustiniano, che negli anni 528-533 d. C.
profuse un ingente sforzo codificatore dei principali apporti giurisprudenziali del diritto romano
classico e li incluse in quattro libri (le Istituzioni, il Digesto, il Codice o Codex e le Novelle), che,
dall’edizione di Dionisio Goffredo31, sono conosciute con il nome di Corpus iuris civilis. Le
Istituzioni sono un’opera fondamentale destinata alla formazione degli studiosi e che venne redatta
sulla base delle Istituzioni di Gaio. Da parte loro, i Digesta o Pandectae sono una raccolta
giurisprudenziale di testi classici che incorpora più di novemila frammenti di differenti giuristi di
prestigio. I frammenti di Ulpiano, che costituiscono la parte terza del Digesto, assieme a quelli di
Paolo, Papiniano e Giuliano, superano tutti gli altri giuristi, che in totale sommano trentanove
specialisti del diritto classico romano. Nel Codex si redigono le leggi e le costituzioni imperiali
ordinate cronologicamente (ciò che equivarrebbe all’attuale concetto di legislazione), terminando il
Corpus con le Novelle o Novellae, nelle quali sono incluse le ultime costituzioni imperiali posteriori
al Codice32.
Fatta questa piccola introduzione, andiamo ora a vedere come i giuristi classici romani intendevano
l’istituzione del deposito irregolare di moneta; la considerarono come un tipo speciale di deposito
che includeva le caratteristiche essenziali di questo e la differenziavano dagli altri contratti di natura
ed essenza completamente distinte, come nel caso del mutuo e del prestito.
Il trattamento generale del contratto di deposito si trova incluso nel comma III del libro XVI del
Digesto, che si intitola “Dell’azione del deposito, diretta o contraria” (Depositi vel contra). Qui
Ulpiano comincia definendo che “deposito è ciò che si è dato a qualcuno affinché questi lo
conservi, chiamato così per ciò che si pone, perché la preposizione de aumenta il significato a
deposito, per dimostrare che è affidato alla fedeltà di quello tutto ciò che è pertinente alla custodia
31
Corpus iuris civilis, edizione di Dionisio Goffredo, Ginevra 1583.
32
Giustiniano ordinó che nei materiali compilati si facessero le modifiche precise affinché il diritto fosse adattato alle
circostanze del suo tempo e rimanesse il più perfetto possibile. Queste modifiche, correzioni e soppressioni sono
denominate interpolazioni, e sono state chiamate anche emblemata Triboniani o tribonianismi, in quanto attribuite a
Triboniano, che fu incaricato di effettuare la raccolta. Esiste tutta una disciplina dedicata allo studio di queste
interpolazioni, alla scoperta del suo contenuto mediante confronto, analisi logica, studio degli anacronismi nel
linguaggio, etc., essendo stato scoperto che un numero sostanziale di esse sono state incluse posteriormente all’epoca
giustinianea. Si veda Francisco Hernández-Tejero Jorge, Lecciones de derecho romano, op. cit., pp. 50-51.
33
Ulpiano, oriundo di Tiro (Fenicia), fu consulente di un altro grande giurista, Papiniano, e assieme a Paolo e sotto
Alessandro Severo, fu membro consulente del concilium principis e del praefectus praetorio, morto assassinato nell’ anno
228 per mano dei pretoriani. Fu un autore molto fecondo che si distinse più che per la sua opera creativa, per le sue
conoscenze della letteratura giuridica. Buon compilatore e scrittore chiaro, i suoi scritti sono accolti con favore speciale
nei Digesta di Giustiniano, costituendo il nucleo fondamentale di essi. Si confronti in questo senso Juan Iglesias, Derecho
romano: Instituciones de derecho privado, op. cit., p.58. La citazione in latino che abbiamo colto nel testo principale è la
seguente: «Depositum est, quod custodiendum alicui datum est, dictum ex eo, quod ponitur, praepositio enim de auget
depositum, ut ostendat totum fidei eius commissum, quod ad custodiam rei pertinet.» [La traduzione in spagnolo citata
nel testo originale è quella che si trova nel Cuerpo de derecho civil romano: a doble texto, traducido al castellano del latino, che
dobbiamo a Ildefonso L. García del Corral, e che è stata rieditata per Editorial Lex Nova, Valladolid, nell’anno 1988 in 6
volumi. Si veda il volume I, p. 831]. Oltre a questa traduzione esiste la notevole traduzione in spagnolo del Digesto di
Giustiniano, in tre volumi, realizzata da A. D’Ors, F. Hernández-Tejero, B. Fuentes Aca, M. García-Garrido y J. Murillo,
pubblicata da Editorial Aranzadi a Pamplona nell’anno 1968, che benché abbia un linguaggio più chiaro e attuale rispetto
alla traduzione del secolo passato di Ildefonso L. García del Corral, in molti aspetti è meno fedele e perde la freschezza e
l’esattezza che le seppe dare García del Corral e che, secondo la nostra opinione, non è stata ancora superata.
15
della cosa”33. Tale deposito può essere regolare, quando si riferisce a una cosa specifica, o
irregolare, quando si riferisce a una cosa fungibile34. In effetti, nel numero 31 del titolo II del libro
XIX del Digesto, giungiamo a conoscere, grazie a Paolo, la differenza che esiste tra il contratto di
prestito o mutuo e il contratto di deposito di bene fungibile. Paolo giunge alla conclusione che “se
qualcuno avesse depositato denaro contato di modo che non lo consegnasse né chiuso, né sigillato,
ma lo contasse, colui presso il quale può essere stato depositato non deve nessun’altra cosa se non
pagarne altrettanta quantità”35. Cioè, si spiega chiaramente che nel caso del deposito irregolare di
moneta l’obbligazione si estende solo ed esclusivamente alla restituzione del tantundem, ossia,
dell’equivalente in quantità e qualità a quanto inizialmente depositato.
Inoltre, ogni qualvolta si effettuava un deposito irregolare di moneta si consegnava a colui che
aveva acceso il deposito un certificato o ricevuta, fatti per iscritto. Questo lo sappiamo grazie a
Papiniano, che nel paragrafo 24 del titolo III del libro XVI del Digesto, facendo riferimento a un
caso di deposito irregolare di moneta dice che “ti faccio sapere tramite questa carta scritta di mia
mano, affinché tu intenda, che sono in mio potere le cento monete che in questo giorno mi hai
affidato per mezzo di consegna fatta dallo schiavo Sticho, amministratore; le quali ti consegnerò
immediatamente, quando vorrai e dove vorrai”. Questa citazione rende manifesta la disponibilità
immediata in favore del depositante e come questi acquisiva un documento di ricevuta o un
certificato di deposito irregolare di moneta che non solo costituiva prova della sua titolarità, ma che
egli doveva presentare nel momento in cui desiderasse ritirare il suo denaro36.
L’obbligazione principale dei depositari è quella di mantenere sempre a disposizione dei depositanti
il tantundem di ciò che essi consegnano loro, così che se, per qualsiasi ragione, il depositario va in
bancarotta, prima di tutto hanno prelazione assoluta i depositanti, come sottolinea Ulpiano
(paragrafo 2 del numero 7 del titolo III del libro XVI del Digesto), secondo il quale “ogni volta che
i banchieri vanno in bancarotta, si è soliti in primo luogo tener conto dei depositanti, ossia, di coloro
che avevano quantità depositate, non quelle che impiegavano a interesse in possesso dei banchieri, o
34
Nonostante e come bene indica Pasquale Coppa-Zuccari, l’espressione depositum irregulare non viene alla luce fino a
che non la utilizza per la prima volta Jason de Maino, un postglossatore del secolo XV, la cui opera venne pubblicata a
Venezia nell’anno 1513. Si veda Coppa-Zuccari, Il deposito irregolare, op. cit., p. 41. Riguardo al trattamento del deposito
irregolare nel diritto romano si deve consultare, anche, tutto il capitolo I di questa importante opera di Coppa-Zuccari,
pp. 2-32. In Spagna esiste una trattazione della bibliografia relativa al deposito irregolare romano molto valida e
attualizzata nell’articolo di Mercedes López-Amor y García, intitolato «Observaciones sobre el depósito irregular
romano», nella Revista de la Facultad de Derecho de la Universidad Complutense, n.º 74, curso 1988-1989, pp. 341-359.
35
In realtà, si tratta di un epitome o un riassunto dei Digesta di Alfeno Varo realizzato da Paolo. Alfeno Varo fu console
nell’anno 39 d.C. e autore di quaranta libri dei Digesta. Paolo, da parte sua, fu discepolo di Scevola e consulente di
Papiniano, quando questi era membro del consiglio imperiale sotto Severo e Caracalla. Figura di grande acume e
formazione dottrinale, fu autore di numerosi scritti. La citazione testuale in latino è la seguente: «Idem iuris esse in
deposito; nam si quis pecuniam numeratam ita deposuisset ut neque clausam, neque obsignatam traderet, sed
adnumeraret, nihil aliud eum debere, apud quem deposita esset, nisi tantundem pecuniae solvere.» Cfr. Ildefonso L.
García del Corral, Cuerpo de derecho civil romano, op. cit., vol. I, p. 963.
36
Papiniano, originario della Siria, fu Praefectus Praetorio a partire dall’anno 203 d.C. e venne condannato a morte
dall’imperatore Caracalla nell’anno 212, rifiutandosi di giustificare l’assassinio di suo fratello Geta. Condivise con
Giuliano la fama di essere il più insigne dei giuristi romani e, d’accordo con Juan Iglesias, «si distingue nei suoi scritti
per la sua sagacia e il suo senso pratico, ai quali lavora con uno stile sobrio» (Derecho romano: Instituciones de derecho
privado, op. cit., p. 58). La versione in latino della citazione del testo principale è la seguente: «centum numos, quos hac
die commendasti mihi annumerante servo Sticho actore, esse apud me, ut notum haberes, hac epitistola manu mea
scripta tibi notum facio; quae quando volis, et ubi voles, confestim tibi numerabo.» Ildefonso L. García del Corral, Cuerpo
de derecho civil romano, op. cit., vol. I, p. 840.
37
«Quoties foro cedunt numularii, solet primo loco ratio haberi depositariorum, hoc est eorum, qui depositas pecunias
habuerunt, non quas foenore apud numularios, vel cum numulariis, vel per ipsos exercebant; et ante privilegia igitur, si
bona venierint, depositariorum ratio habetur, dummodo eorum, qui vel postea usuras acceperunt, ratio non habeatur,
quasi renuntiaverint deposito.» Ildefonso L. García del Real, Cuerpo de derecho civil romano, op. cit., vol. I, p. 837. Bisogna
notare che il termine che si utilizza qui per designare i banchieri non è quello di argentarii, ma quello di numularii [in
spagnolo numularios, ed è giunto fino allo spagnolo di oggi. Numulario secondo il Diccionario de la Real Academia Española,
op. cit., p. 1030 significa «colui che commercia o contratta con moneta»).
16
con i banchieri, o per se stessi; e così, quindi, se si vendessero i beni, prima di quelli privilegiati si
tiene conto dei depositanti a patto che non si tenga conto di quelli che dopo hanno ricevuto interessi,
come se avessero rinunciato al deposito”37. L’enunciazione di questo principio da parte di Ulpiano
sottolinea ugualmente che non si considerava compatibile con il deposito irregolare di denaro la
riscossione degli interessi, e quando gli interessi venivano pagati dai banchieri, ciò si faceva in
riferimento a un contratto totalmente distinto (in questo caso, quello di mutuo o di prestito
effettuato a un banchiere o, come lo si conosce volgarmente oggi, contratto di “deposito” a
scadenza).
In quanto alle obbligazioni del depositario, si menziona espressamente nel Digesto (libro XLVII,
titolo II, numero 78) che colui che riceve una cosa in deposito e la utilizza in modo distinto da
quello per cui la ricevette è soggetto all’accusa di furto. Ed ugualmente ci dice Celso nel medesimo
titolo (libro XLVII, titolo II, numero 67) che se si prende possesso del deposito per defraudare, si
commette un furto. Il furto è definito da Paolo come “l’impossessamento fraudolento di una cosa,
per conseguire un lucro, che si tratti della cosa stessa, o anche del suo uso o possesso; ciò che
secondo la legge naturale è proibito fare”38. Come si vede, nel diritto romano l’attuale figura del
delitto di appropriazione indebita restava inglobata nel quadro criminale del furto. Ulpiano, facendo
riferimento a Giuliano, conclude anche che “se qualcuno avesse ricevuto da me del denaro, per
pagare un mio creditore, e dopo, dovendo egli un’ulteriore quantità di moneta allo stesso creditore,
gliela avesse pagata a suo nome, egli avrebbe commesso un furto” (Digesto, libro XLVII, titolo II,
numero 52, paragrafo 16)39.
E ancora più chiara è l’obbligazione di mantenere la disponibilità del tantundem, e la commissione
del delitto di furto nel caso in cui tale disponibilità non venga mantenuta, nel numero 3 del titolo
XXXIV (su “l’atto di deposito”) del libro IV del Codice del Corpus iuris civilis, che riassume la
costituzione redatta sotto il consolato di Gordiano e Aviola nell’anno 239, e nella quale si stabilisce
da parte dell’imperatore Gordiano ad Austero che “se tu esercitassi l’azione di deposito, non senza
ragione chiederai che ti si paghino anche interessi, giacché deve ringraziarti il depositario che tu
non lo renda responsabile dell’atto di furto, posto che colui che contro la volontà del suo padrone
avesse impiegato, deliberatamente e volendolo, per i suoi propri fini, la cosa depositata, incorre
anche nel delitto di furto”40. E, nello stesso momento, un poco più avanti, nel paragrafo 8, si spiega,
concretamente, il caso in cui il depositario utilizza a suo beneficio il denaro presso di lui depositato,
prestandolo ad altre persone, insistendo sul fatto che in tale circostanza egli viola il principio della
custodia e gli è applicabile sia l’atto di pagamento degli interessi, sia l’azione di furto che abbiamo
appena visto menzionata nella costituzione di Gordiano. Questo paragrafo 8 dice così: “Se colui che
ricevette il denaro da te depositato, lo ha dato in mutuo a suo nome, o a nome di qualsiasi altro, è
del tutto certo che tanto lui quanto i suoi eredi sono obbligati ad adempiere l’incarico di fiducia
accettato”41. Si riconosce, insomma, la tentazione a cui spesso si trovano sottoposti coloro che
ricevono il deposito di moneta per utilizzarlo a proprio vantaggio, riconoscimento che viene
38
«Furtum est contrectatio rei fraudulosa, lucri faciendi gratia, vel ipsius rei, vel etiam usus eius possessionisve; quod
lege naturali prohibitum est admittere.» Si veda Ildefonso L. García del Corral, Cuerpo de derecho civil romano, op. cit.,
tomo III, p. 645.
39
Ibidem, p. 663.
40
«Si depositi experiaris, non immerito etiam usuras tibi restitui flagitabis, quum tibi debeat gratulari, quod furti eum
actione non facias obnoxium, siquidem qui rem depositam invito domino sciens prudensque in usus suus converterit,
etiam furti delicto succedit.» Si veda Ildefonso L. García del Corral, Cuerpo de derecho civil romano, op. cit., tomo IV, p. 490.
41
«Si is, qui depositam a te pecuniam accepit, eam suo nomine vel cuiuslibet alterius mutuo dedit, tam ipsum de
implenda suscepta fide, quam eius successores teneri tibi, certissimum est.» Ildefonso L. García del Corral, Cuerpo de
derecho civil romano, op. cit., tomo IV, p. 491.
42
«Ut hoc timore stultorum simul et perversorum maligne versandi cursum in depositionibus homines cessent.» Come si
può notare, e come amplieremo più avanti nel capitolo seguente, è già stato evidenziato l’uso perverso che i depositari
facevano del denaro che davano loro i propri depositanti. Cfr. Ildefonso L. García del Corral, Cuerpo de derecho civil
romano,op. cit., tomo VI, pp. 310-311.
17
espresso in un’altra parte del Corpus iuris civilis (Novelle, Costituzione LXXXVIII, alla fine del
capitolo I), dove si afferma che è necessario sanzionare adeguatamente, non solo intentando una
causa per furto, ma anche mediante il pagamento degli interessi di mora, “affinché a causa di tale
timore gli uomini desistano dal comportarsi disonestamente, con negligenza e malvagità nella
gestione dei depositi”42.
È necessario segnalare che i giuristi romani stabilirono che in caso di inadempimento
dell’obbligazione di immediata restituzione da parte del depositario, non solo si evidenzi la
commissione anteriore di un delitto di furto, ma che si debba anche dare luogo all’obbligo di
pagamento degli interessi di mora. Così, Papiniano stabilisce che “colui che imipiegò per i suoi
scopi il denaro depositato nella propria disponibilità in un contenitore non sigillato, affinchè ne
restituisse altrettanta quantità, deve essere condannato dopo la mora, anche agli interessi per l’atto
di deposito”43. Questo principio, di piena giustizia, è quello che illustra il fenomeno che studieremo
con maggior dettaglio nel capitolo seguente, che è denominato depositum confessatum, in virtù del
quale, durante il Medioevo, si utilizzò la figura del deposito irregolare per ovviare alla proibizione
canonica della riscossione degli interessi, mascherando da depositi contratti che in realtà erano di
prestito o mutuo, e consentendo mediante il deliberato atto di incorrere in una supposta mora, la
riscossione di interessi che, qualora fosse stato riconosciuto esplicitamente come derivante da un
principio secondo il quale il contratto era un mutuo o un prestito, non sarebbe stato permesso
canonicamente.
Infine, i giuristi romani compresero la differenza essenziale che esiste tra il contratto di prestito o
mutuo e il contratto di deposito irregolare di moneta, tra l’altro nel numero 26 del titolo III del libro
XVI (estratto dovuto a Paolo), e anche negli estratti di Ulpiano raccolti nel numero 9 del punto 9 del
titolo I del libro XII del Digesto e nel numero 10 dello stesso titolo e libro. Tuttavia, l’affermazione
più chiara ed esplicita in tal senso la dobbiamo anche a Ulpiano e si trova nel paragrafo 2 del
numero 24 del titolo V del libro XVII del Digesto, nel quale Ulpiano conclude espressamente che
“una cosa è dar credito e un’altra è depositare”, e stabilisce “che nel vendere i beni di un banchiere,
si dia precedenza, dopo i privilegi, alla condizione di coloro che in relazione a un pubblico
documento, depositarono denaro in banca. Ma non si separano dagli altri creditori coloro che
ricevettero dai banchieri interessi per il denaro depositato; e a ragione, perché una cosa è dar
credito, altra è depositare”44. Si vede pertanto in questo paragrafo di Ulpiano che i banchieri
compivano due tipi di operazioni distinte. Da un lato, la raccolta dei depositi, nel qual caso non si
aveva diritto agli interessi, e c’era l’obbligo di mantenere la piena e continua disponibilità del
tantundem a favore dei depositanti che avevano un diritto privilegiato assoluto in caso di fallimento.
E dall’altro lato, un’operazione distinta, consistente nel dare a credito ai banchieri (contratto di
prestito o mutuo), che generava l’obbligazione di pagare interessi da parte del banchiere a coloro
che avevano consegnato denaro a prestito e che non avevano privilegio alcuno in caso di fallimento.
La chiarezza concettuale di Ulpiano nella distinzione di entrambi i contratti e la giustizia delle sue
soluzioni ai differenti casi non può essere maggiore.
Pertanto, i principi giuridici universali che regolano il contratto di deposito irregolare di moneta
erano già stati scoperti e analizzati da parte dei giuristi classici romani, in naturale corrispondenza
43
«Qui pecuniam apud se non obsignatam, ut tantundem redderet, depositam ad usus proprios convertit, post moram
in usuras quoque iudicio depositi condemnandus est.» Ildefonso L. García del Corral, Cuerpo de derecho civil romano, op.
cit., tomo I, p. 841.
44
«In bonis mensularii vendundis post privilegia potiorem eorum causam esse placuit, qui pecunias apud mensam
fidem publicam secuti deposuerunt. Set enim qui depositis numis usuras a mensulariis accepurunt, a ceteris creditoribus
non separantur; et merito, aliud est enim credere, aliud deponere.» Ildefonso L. García del Corral, Cuerpo de derecho civil
romano, op. cit., tomo III, p. 386. Papiniano, dal lato suo, sostiene che in caso di inadempimento da parte del depositario,
si potrá far fronte, per restituire i depositi, non solo utilizzando il denaro depositato che si trova tra i beni del banchiere,
ma tutti i beni del defraudatore, «il cui privilegio si esercita non soltanto rispetto a quella quantità di denaro depositato,
che si trova tra i beni del banchiere, ma rispetto a tutti i beni del defraudatore; e ciò viene ammesso per motivi di utilità
pubblica a causa dell’uso necessario dei banchieri. Però è sempre superiore la causa del costo che per necessità si è
sostenuto, perché il calcolo dei beni è solito farsi avendo dedotto quello.» Questo principio della responsabilità illimitata
dei banchieri si trova nel punto 8 del titolo III del libro XVI del Digesto.
18
con lo sviluppo di una significativa economia commerciale e finanziaria, nella quale il ruolo dei
banchieri era giunto a essere molto importante. Inoltre, questi principi danno luogo alle
compilazioni medievali di diversi paesi d’Europa, e in concreto a quelle della Spagna, e ciò
nonostante l’importante regresso che nell’ambito economico e finanziario implicarono la caduta
dell’Impero Romano e l’avvento del Medioevo. Così, ne Las Partidas (Legge II, Titolo III, Partita
V) si stabilisce che chi riceve merci per conto di un terzo riconosce un deposito irregolare che gli
trasmette la potestà su dette merci, rimanendo in cambio obbligato, secondo quanto pattuito nella
relativa scrittura, a restituire al depositante le merci ricevute o il valore attribuito nel contratto a
ognuna di quelle che risultassero sparite dal deposito, sia per essere state vendute mediante
autorizzazione del titolare precedente, sia per altre cause impreviste45. E anche nel Fuero Real
(Legge V, Titolo XV. Libro III), si distingue la consegna “di alcune monete contate, o oro, o
argento, ricevuti da “un altro per incarico, a peso”, nel cui caso, “può ben far uso di tutto ciò e dare
altrettanto e dello stesso tipo a colui dal quale lo ricevette”, dalla consegna “in scatola chiusa e
non per numero o a peso”, nel cui caso “non si è osato farne uso, e colui che lo avesse fatto
avrebbe dovuto versare una somma doppia a colui dal quale lo ricevette”46.
Vediamo pertanto che in questi Codici medievali si distingue chiaramente tra il deposito regolare di
cosa specifica e il deposito irregolare di moneta e si afferma che in questo secondo caso si
trasferisce la proprietà, sebbene, e possibilmente come conseguenza della crescente influenza della
figura del depositum confessatum, non si effettuino le importanti armonizzazioni incluse nel Corpus
iuris civilis relative al fatto che, benché si “trasferisca” la proprietà, l’obbligo di custodia si
mantiene, e con esso l’obbligo di avere sempre a disposizione del depositante l’equivalente
(tantundem) della quantità e qualità depositata.
Possiamo concludere, pertanto, che la tradizione giuridica romana dette un profilo corretto
all’istituzione del deposito irregolare di moneta con i suoi principi e differenze essenziali rispetto ad
altre istituzioni o contratti giuridici come quello di prestito o mutuo. Nel prossimo capitolo vedremo
a vedere come i principi essenziali regolatori delle interazioni umane relative al deposito irregolare
di moneta e, in concreto, i diritti di disponibilità e proprietà impliciti nello stesso, andarono
corrompendosi gradualmente nel corso dei secoli, come conseguenza dell’azione combinata di
banchieri e governanti, così come le ragioni e le circostanze che facilitarono e resero possibile che
ciò succedesse. Nel capitolo III studieremo i differenti tentativi giuridici di dar copertura legale ai
contratti che, contro i principi tradizionali del diritto, vennero via via accolti, per passare dopo nei
capitoli IV e seguenti a studiare le conseguenze economiche a cui tutto ciò dette luogo.
45
Ne Las Partidas i depositi li si denomina condesijos, e nella sua legge II possiamo leggere che «la potestà della
detenzione della cosa, che è data in custodia, non si trasmette a colui che la riceve, eccetto quelle che si possono contare,
o pesare o misurare quando le si ricevono se quando le si ricevono gli siano date a numero, o a peso o su misura,
passerebbe ad esso la potestà. Però sarebbe tenuto a dare quella cosa, o altrettanto: e così come ciò che ricevette a colui
che glielo dette in custodia». La grazia e la chiarezza con cui si esprimono Las Partidas su questo tema non può essere
maggiore. Si veda Las Siete Partidas, glossate dal laureato Gregorio López, pubblicate nell’edizione facsimile per il Boletín
Oficial del Estado, Madrid 1985, vol. III, 5.ª Partita, titolo III, legge II, pp. 7-8.
46
Si veda il riferimento che fa al Fuero Real Juan Roca Juan nel suo articolo su «El depósito de dinero», en Comentarios al
Código Civil y Compilaciones Forales, op. cit., tomo XXII, vol. I, p. 249.
19
CAPITOLO II
In questo capitolo spiegheremo e illustreremo con diversi esempi come, nel corso della
storia, i banchieri andarono violando i principi tradizionali del diritto riguardo al deposito
irregolare, così come le ragioni per le quali i meccanismi sociali di controllo non posero
limite agli abusi commessi. Si studierà anche il ruolo dei governi in questo processo.
Questi, lungi dall’adoperarsi per una scrupolosa difesa delle implicazioni giuridiche del
diritto di proprietà, appoggiarono quasi dall’inizio l’attività irregolare dei banchieri e
concessero loro esenzioni e privilegi in cambio della possibilità di approfittare della stessa
per i propri fini. Si spiega così il sorgere delle tradizionali relazioni di intima complicità e
solidarietà tra le istituzioni statali e quelle bancarie, e il fatto che si siano mantenute fino a
oggi. L’adeguata comprensione dell’origine giuridicamente viziata della pratica del
deposito bancario di moneta con riserva frazionaria sarà necessaria per capire il fallimento
dei diversi tentativi di giustificazione giuridica degli abusi commessi che si studieranno
nel capitolo III.
1
INTRODUZIONE
La natura giuridica del contratto di deposito irregolare di moneta esposta nel capitolo precedente è
chiara e facile da capire. Non c’è dubbio che coloro che dall’inizio ricevettero in tutela e in custodia
la moneta dei propri concittadini erano coscienti delle obbligazioni che assumevano e, in concreto,
della necessità di prendere cura come un buon padre di famiglia del tantundem ricevuto, in modo
che fosse in ogni momento a disposizione del depositante. Questo, e non altra cosa, significa
l’incarico di custodia in un contratto di deposito di bene fungibile. Tuttavia, così come è chiara la
natura giuridica del contratto di deposito irregolare, allo stesso modo è imperfetta e debole la natura
dell’essere umano. Per questo è comprensibile che coloro che ricevevano moneta in deposito si
sentissero tentati di violare l’obbligazione di custodia e di utilizzare, a proprio beneficio, il denaro
la cui disponibilità era degli altri. La tentazione era molto grande: senza che i depositanti se ne
rendessero conto, i banchieri potevano disporre di importanti somme che, ben utilizzate, potevano
generare copiosi utili o interessi, da parte di coloro che potevano appropriarsene senza danneggiare
apparentemente nessuno1. Questa tentazione quasi irresistibile alla quale, data la debolezza della
natura umana, vanno soggetti i banchieri ci fa capire che già dalle sue origini, in modo occulto, si
violavano i principi tradizionali di custodia sui quali si basa il contratto di deposito irregolare di
moneta. Inoltre, il carattere astratto e difficile di intendere il contenuto delle relazioni monetarie
1
Facciamo riferimento nel testo al lucro più evidente che in un primo momento agì come motivazione delle prime appropriazioni
indebite commesse dai banchieri. Più avanti, nel capitolo IV, spiegheremo che molto maggiore del profitto indicato, è quello che si
genera come conseguenza del potere dei banchieri di emettere moneta o creare dal nulla prestiti e depositi. Questo genera un lucro
straordinariamente maggiore, il quale però, per il carattere astratto del suo processo generativo, è certo che non fu pienamente
compreso neanche dagli stessi banchieri fino a fasi molto tardive del processo di evoluzione finanziaria. Tuttavia, il fatto che non
comprendessero, ma che intuissero soltanto, questo secondo tipo di lucro, non vuole dire che non se ne approfittassero interamente.
Insomma, nel capitolo seguente spiegheremo come la violazione da parte dei banchieri dei principi del diritto tradizionale per mezzo
della banca a riserva frazionaria rende possibile la creazione di credito a partire dal nulla, la cui restituzione in seguito si esige in
denaro contante e sonante (e per di più con interessi!). Si tratta, insomma, di una fonte di finanziamento costante e privilegiata in
forma di depositi che i banchieri creano dal nulla e utilizzano con carattere permanente per i loro propri usi.
1
fece sì che questo fenomeno, salvo in circostanze eccezionali, passasse inosservato per la maggior
parte dei cittadini e delle autorità incaricate di controllare l’adempimento dei principi morali e
giuridici. E quando gli abusi e le frodi iniziarono a essere scoperti e meglio compresi, l’istituzione
bancaria già funzionava da parecchio tempo e aveva acquisito un tale potere che fu praticamente
impossibile porre limite agli abusi in modo efficace. Anzi, la scoperta graduale da parte delle
autorità dell’immenso potere di creazione di moneta che aveva la banca spiega perché, nella
maggior parte delle occasioni, i governi finirono per trasformarsi in complici delle frodi commesse,
concedendo privilegi ai banchieri e legalizzando la loro attività irregolare, in cambio della
partecipazione diretta o indiretta ai loro immensi guadagni, servendosi così di un’importante via
alternativa di finanziamento statale. Questa corruzione nella tradizionale funzione pubblica di
definizione e difesa del diritto di proprietà si vide, inoltre, stimolata dalle ripetute situazioni di
necessità opprimente di ricorsi nei quali si trovarono compromessi i governi per la loro
irresponsabilità e mancanza di disciplina finanziaria in molti momenti storici. Si va così forgiando
una sempre più perfetta simbiosi o solidarietà di interessi tra governanti e banchieri, che in larga
misura si è mantenuta fino ad oggi.
Malgrado ciò, e nonostante le difficoltà, le situazioni precedenti iniziarono, già da molto, a essere
comprese da pensatori profondi e sagaci. Così, il dottor Saravia de la Calle, nella sua Instrucción de
mercaderes, imputa i perniciosi effetti della banca al fatto che “l’insaziabile cupidigia degli uomini
ha fatto sparire in loro gran parte del timore di Dio e la vergogna della gente, e credo anche alla
negligenza di coloro che governano la repubblica spiritualmente e temporalmente”2. Se di qualcosa
pecca Saravia de la Calle è precisamente di un eccesso di carità riguardo ai governanti. Imputa
correttamente alla debolezza o alla cupidigia degli uomini la frode nel deposito irregolare, però
ritiene i governanti responsabili soltanto di “negligenza” nel non aver saputo porre limite agli abusi.
Secondo la nostra opinione, i fatti storici mettono in evidenza che, indipendentemente dal fatto che
tale negligenza abbia avuto luogo, in molte altre occasioni è stato evidente lo sfruttamento esplicito
da parte dei governanti dei grandi profitti derivati dal “negozio” bancario. Inoltre, vedremo come, in
altre circostanze, le autorità non solo hanno concesso privilegi ai banchieri perché operassero
impunemente in cambio di favori espliciti, ma hanno perfino creato banche di proprietà pubblica
per approfittare direttamente dei corrispondenti benefici.
Benché lo sviluppo delle attività bancarie sia molto antico, e nasca praticamente con l’apparizione
della moneta già agli albori del commercio e dei primi passi della divisione del lavoro3, esporremo e
2
Luis Saravia de la Calle, Instrucción de mercaderes, Pedro de Castro, Medina del Campo 1544; rieditato nella Colección de Joyas
Bibliográficas, Madrid 1949, capitolo VIII, p. 179.
3
L’archeologo Lenor Mant scoprì nelle rovine di Babilonia una tavoletta di creta con un’iscrizione che prova sia il traffico
mercantile interurbano sia l’utilizzazione di mezzi di pagamento di natura commerciale e finanziaria. La tavoletta menziona un tale
Ardu-Nama (il liberatore della città di Ur), dando mandato a un tal Marduk-Bal-at-Irib (il liberato) della città di Orcoé, di pagare per
conto del primo la somma di quattro mine e quindici cicli d’argento a Bel-Abal-Iddin a una determinata scadenza. Questo documento
appare datato il 14 Arakhsamna dell’anno 2 del regno di Nabonaid. Da parte sua, il ricercatore Hilprecht scoprì, nelle rovine della
città di Nippur, un totale di 730 tavolette di terracotta con iscrizioni, che si suppone appartenessero agli archivi di un’impresa
bancaria della città, 400 anni a.C., con la ragione sociale di Nurashu e Figli (si veda «Origen y desenvolvimiento histórico de los
bancos», in Enciclopedia universal ilustrada europeo-americana, Editorial Espasa-Calpe, tomo VII, Madrid 1979, p. 477). Joaquín
Trigo, da parte sua, oltre a darci anche le notizie anteriori, fa riferimento a come il tempio di Uruk, verso l’anno 3300 a.C., era
proprietario delle terre che coltivava e destinatario di offerte e depositi, prestando ad agricoltori e a mercanti di bestiame e cereali e
trasformandosi nel primo ente bancario della storia. Nel Museo Britannico si trovano anche tavolette con registri di operazioni
finanziarie della banca Figli di Egibi, la cui sequenza mostra che, già in epoca assira, si trattava di un’autentica dinastia finanziaria
che per più di 180 anni si mantenne a capo dell’impresa. Da parte sua, il codice di Hammurabi facilitò la trasmissione della proprietà
regolando minuziosamente i diritti in relazione alla stessa e all’attività mercantile, ponendo limiti massimi ai tassi di interesse,
emettendo perfino prestiti pubblici al 12,5%. Allo stesso modo vennero regolati il contratto di società e la tenuta della contabilità
delle operazioni. Anche nel codice Manú dell’India si fa riferimento a operazioni di tipo bancario e finanziario. In generale, si può
dire che tra il 2300 e il 2100 a.C. ci siano resti di documentazione strumentale di operazioni finanziarie, sebbene la proliferazione del
negozio «bancario» cominci tra il 730 e il 540 a.C., quando le dinastie assire e neobabilonesi permettono un traffico commerciale
sicuro che dà luogo a banche specializzate a seconda del tipo di commercio con il quale operano. Questa attività si estende anche
all’Egitto, e da lì, successivamente, al mondo ellenico (Joaquín Trigo Portela, «Historia de la banca», cap. III de la Enciclopedia
práctica de la banca, tomo VI, Editorial Planeta, Barcelona 1989, specialmente le pp. 234-237).
4
Raymond de Roover segnala che l’attuale terminologia di banchiere ha la sua origine a Firenze, dove li si denominava
indistintamente banchieri o tavolieri, perché sviluppavano la propria attività seduti dietro un banco o una tavola. Questa terminologia
2
illustreremo la violazione dei principi tradizionali del diritto nel deposito irregolare da parte di
banchieri e governanti in tre distinte circostanze storiche: quella del mondo greco-romano; quella
delle città commerciali mediterranee del basso Medioevo e dell’inizio del Rinascimento; e, per
ultimo, quella dell’origine delle prime banche pubbliche importanti a partire dal secolo XVII.
Inoltre, l’evoluzione della banca in queste tre distinte fasi storiche riproduce in larga misura gli
stessi caratteri tipici, essendoci un evidente parallelismo tra gli stessi. In effetti, in ognuno di essi si
osserva come iniziano a violarsi i principi tradizionali del diritto e gli effetti perversi che ciò
produce, non solo sotto forma di fallimento delle banche, ma anche di profonde crisi finanziarie ed
economiche. Di modo che nell’esempio storico seguente tornano a ripetersi le stesse frodi e le stesse
fasi e caratteristiche tipiche, andando in pezzi di nuovo al momento di dare compimento ai principi
tradizionali di custodia, generandosi un’altra volta, inesorabilmente, le stesse conseguenze
perniciose, e così di seguito fino ad arrivare ai tempi attuali. Passiamo ora, senza ulteriori
preamboli, a illustrare la violazione dei principi del diritto e l’intervento complice che i governanti
attuarono nelle frodi e negli abusi commessi in ambito bancario nel corso della storia.
2
LA BANCA IN GRECIA E A ROMA
Nell’antica Grecia i templi agiscono come banche che prestano denaro a privati e monarchi. E
questo perché il tempio, per ragioni religiose, si considera inviolabile e si trasforma in un rifugio
relativamente sicuro per il denaro; inoltre, dispone di una milizia propria che lo difende e la sua
ricchezza genera fiducia nei depositanti. Così, tra i templi greci più importanti dal punto di vista
finanziario, possiamo menzionare quello di Apollo a Delfi, quello di Artemide a Efeso e quello di
Era a Samo.
era quella che si utilizzava anche nell’antica Grecia, dove i banchieri erano chiamati trapezitei perché sviluppavano i loro negozi in
una trapeza o tavola. Per ciò il discorso di Isocrate «Su un argomento bancario» è tradizionalmente conosciuto con il nome di
Trapezítica. Cfr. Raymond de Roover, The Rise and Decline of the Medici Bank 1397-1494, Harvard University Press, Cambridge,
Massachusetts, 1963, p. 15. Il grande spagnolo Diego de Covarrubias y Leyva segnala, da parte sua, che «la retribuzione che si dà al
cambista per il cambio è chiamata dai greci collybus e così chiamano i cambisti collybistas. Furono chiamati anche numenulari (oggi
cambiavalute) e argentari e anche trapeziti, mensolari o banchieri, perché non si dedicavano solo al cambio, ma esercitavano un più
lucrativo negozio, cioè, ricevevano denaro da mettere al sicuro e prestavano a interesse il proprio denaro e quello altrui». Si veda il
cap. VII di Veterum collatio numismatum, pubblicata nell’Opera omnia a Salamanca nell’anno 1577. La traduzione spagnola è quella
di Atilano Rico Seco ed è inclusa nei Textos jurídico-políticos, selezionati e redatti da Manuel Fraga Iribarne e pubblicati
dall’Instituto de Estudios Políticos, Madrid 1957, p. 488.
5
Isocrate è uno dei macróbioi dell’antichità, che visse quasi 100 anni (tra gli anni 436 e 338 a.C.). Visse, pertanto, dagli ultimi anni
di pace dell’Atene trionfante sui persiani fino alla guerra del Peloponneso, le successive egemonie spartana e tebana e l’espansione
macedone che terminò con la battaglia di Cheronea nella quale Filippo II si impose sulla Lega Ellenica lo stesso anno nel quale morì
Isocrate. Il padre di Isocrate, Teodoro, era un cittadino della classe media che si era arricchito grazie alla sua fabbrica di flauti, il che
gli permise di dare ai suoi figli un’accurata educazione. A quanto pare, furono maestri personali di Isocrate Teramene, Gorgia e,
soprattutto, Socrate (c’è un passaggio del Fedro dove Platone mette in bocca a Socrate un elogio, all’apparenza ironico, del giovane
Isocrate, nel quale Socrate fa una profezia sul grande avvenire del medesimo). Isocrate si dedicò all’attività di logografo, ossia, a
scrivere discorsi giuridico-forensi per altri (che facevano causa o difendevano i propri diritti) e dopo aprì una scuola di retorica ad
Atene. Su Isocrate si può vedere l’«Introducción general» di Juan Manuel Guzmán Hermida a los Discursos, vol. I, Biblioteca
Clásica Gredos, Madrid 1979, pp. 7-43.
6
Isocrate, «Sobre un asunto bancario», in Discursos I, op. cit., p. 112. Esiste un’edizione in italiano a cura di Argentina Argentati e
Clementina Gatti, dal titolo Orazioni, , UTET, Torino, 1965. P. 549.
7
Così, più di 2200 anni dopo Isocrate, anche il senatore della Pennsylvania Condy Raguet denunciava, allo stesso modo di Isocrate,
il grande potere che avevano i banchieri e come lo utilizzassero per intimidire i propri nemici e fare tutto il possibile per ostacolare e
scoraggiare i depositanti a ritirare i loro depositi, con la vana speranza, tra le altre, di evitare le crisi. Condy Raguet conclude che la
3
di un discorso forense nel quale Isocrate difende gli interessi del figlio di un ministro di Satiro, re
del Bosforo, che accusa Pasione, banchiere di Atene, di essersi appropriato indebitamente di un
deposito monetario dallo stesso affidatogli. Pasione era un ex-schiavo di altri banchieri (Antistene e
Archetrato) la cui fiducia aveva ottenuto e la cui prosperità riuscì perfino a superare, e per questo
arrivò a ricevere la cittadinanza ateniese. Il discorso forense di Isocrate narra di un’operazione nella
quale Pasione cercò di impossessarsi di depositi affidati alla sua banca approfittando delle difficoltà
del suo depositante, nei confronti del quale non esitò a ingannare, falsificare contratti, rubare,
corrompere, etc. In ogni caso, questo discorso è per noi tanto importante, che merita la pena che
commentiamo in dettaglio alcuni dei suoi passaggi.
Isocrate inizia la sua argomentazione segnalando il rischio che comporta fare causa a un banchiere,
perché “gli affari con le persone di banca hanno luogo senza testimoni, e i danneggiati devono per
forza correre dei rischi davanti a tali persone, che hanno molti amici, maneggiano molto denaro, e
suscitano fiducia per mestiere”6. È curioso mettere in risalto come già dall’inizio i banchieri
utilizzassero tutta la loro influenza e il loro peso sociale (enorme, data la quantità e qualità dei
personaggi che ricevevano prestiti da loro o dovevano loro favori), per difendere i loro privilegi e
mantenere la loro fraudolenta attività7.
Isocrate illustra come il suo cliente, in occasione di un viaggio, si affidò alla banca di Pasione, alla
quale consegnò un importo molto consistente di moneta. Dopo una serie di peripezie, quando il
cliente di Isocrate va a ritirare il suo denaro, il banchiere adduce il fatto che “era momentaneamente
senza fondi e non poteva restituirlo”. Malgrado ciò, invece di ammettere la sua situazione, il
banchiere negò prima di tutto che esistesse alcun deposito o debito in favore del cliente di Isocrate.
Quando il cliente, con grande sorpresa per il suo comportamento, torna a esigere il pagamento da
Pasione, ci dice che questi “dopo essersi messo le mani nei capelli, piangeva e diceva che era stato
costretto a rifiutare la restituzione del mio deposito a causa di difficoltà economiche, ma che in
breve tempo avrebbe tentato di restituirmi il denaro; mi chiese che avessi compassione di lui e
mantenessi segreta la sua cattiva situazione, affinché nel ricevere i depositi non risultasse evidente
che aveva commesso una truffa”8. Pertanto, è chiaro che, nella pratica bancaria greca, e in accordo
con il contenuto del discorso di Isocrate, i banchieri che ricevevano moneta in tutela o in custodia,
dovevano averne cura mantenendolo a disposizione dei clienti, poiché era considerata una truffa
l’uso a proprio beneficio della moneta in questione. Inoltre, è molto significativo il tentativo di
mantenere segreto questo tipo di truffe affinché la fiducia nei banchieri non si incrinasse, così che
essi potessero continuare a esercitare la loro attività fraudolenta. D’altro canto, dal discorso di
Isocrate si deduce che l’attività di Pasione non fu un caso isolato di dolo compiuto con l’obiettivo di
tenersi il denaro di un cliente in circostanze favorevoli, ma che si trovò in imbarazzo nel momento
di restituire il denaro per non aver mantenuto un coefficiente di cassa del 100 per cento e per aver
pressione era quasi insopportabile e che «an independent man, who was neither a stockholder or a debtor who would have ventured
to compel the banks to do justice, would have been persecuted as an enemy of society ...» Si veda la lettera di Raguet a Ricardo
datata 18 aprile 1821, pubblicata in David Ricardo, Minor Papers on the Currency Question 1805-1823, Jacob Hollander (ed.), The
Johns Hopkins University Press, Baltimore 1932, pp. 199-201. Questa stessa idea era già stata esposta quasi tre secoli prima da
Saravia de la Calle, che segnalando le difficoltà che creano i banchieri ai propri depositanti perché non ritirino il loro denaro, e
dinanzi alle quali pochi osavano protestare, fa riferimento alle «altre mille vessazioni che fate a quelli di voi che vanno a prelevare
soldi per ordini di pagamento li trattenete e li fate logorare nell’attesa e minacciate di pagarli in moneta svalutata. E cosi li
corrompete affinché vi diano quanto volete. Voi avete scoperto questa maniera di rubare, perché quando confidano in voi non osino
ritirare il contante, ma diano i denari a voi perché si producano altri più importanti e infernali guadagni». Instrucción de mercaderes,
op. cit., p. 183. E, da ultimo, anche Marx fa riferimento al timore reverenziale che a tutti ispirano i banchieri con le seguenti ironiche
parole che prende da G.M. Bell: «Il timore che il banchiere si accigli influisce di più delle prediche morali dei propri amici; trema
davanti alla possibilità che si creda capace di commettere una frode o di incorrere nella più leggera falsa testimonianza, per paura di
suscitare sospetti e che, come conseguenza di ciò, la banca gli restringa o gli ritiri il credito. Il consiglio del suo banchiere è più
importante di quello del suo confessore». Karl Marx, El capital, vol. III, Fondo de Cultura Económica, México 1973, p. 511. Esiste
una traduzione in italiano a cura di Bruno Maffi dal titolo Il capitale, vol. III, UTET, Torino 1987, p. 684 (i corsivi sono miei).
8
Isocrate, «Sobre un asunto bancario», in Discursos I, op. cit., pp. 114 e 117, in italiano, Orazioni, op. cit., p. 553.
4
utilizzato in particolari affari la moneta del deposito, non avendo così altra “via d’uscita” che negare
davanti a tutti l’originaria esistenza del deposito.
Isocrate continua il suo discorso e rende manifesto, per bocca del suo cliente, che “pensando io che
fosse pentito di quanto accaduto, transigetti e gli ordinai di cercare il modo di sistemare le cose così
che io recuperassi ciò che era mio. Tre giorni dopo ci riunimmo e ci demmo reciprocamente la
parola che quanto accaduto si mantenesse segreto; (parola che egli non mantenne, come saprete voi
stessi dalla continuazione del mio discorso). Egli rimase d’accordo di navigare con me fino al Ponto
e lì consegnarmi l’oro, affinché il contratto venisse rescisso il più lontano possibile da questa città;
così nessuno di quelli di qui sarebbe stato al corrente della natura della rescissione e, dopo il viaggio
di ritorno, avrebbe potuto dire tutto quello che avesse voluto”. Tuttavia, nonostante questo accordo,
Pasione dopo lo nega, fa sparire gli schiavi che erano stati testimoni del medesimo, e falsifica e ruba
i documenti necessari al fine di provare a dimostrare che, invece di un deposito, quello che aveva il
cliente era un debito. Data la segretezza con cui i banchieri realizzavano la maggior parte delle loro
attività e, in concreto, il carattere segreto che avevano molti depositi9, non si utilizzavano testimoni
tra gli stessi, motivo per cui Isocrate si vide obbligato a presentare testimoni indiretti che sapevano
che il depositante aveva portato con sé molta moneta e aveva utilizzato la banca di Pasione e che,
per di più, nel momento di effettuare il deposito aveva cambiato in oro più di mille statere. Allo
stesso modo, Isocrate adduce che l’argomento fondamentale affinché i giudici si convincano
dell’esistenza del deposito e del fatto che Pasione cercò di tenersi il denaro del medesimo è che non
volle mai “consegnare lo schiavo che sapeva del deposito affinché non fosse interrogato sotto
tortura. Quale prova sarebbe più solida di questa nei contratti con i banchieri? Dunque non facciamo
uso di testimoni con essi”10. Anche se non sappiamo in via documentale quale fu l’esito di questo
processo, è sicuro che o Pasione venne condannato, o giunse a una transazione con il suo
querelante. In ogni caso, pare che in seguito si comportò correttamente e tornò a guadagnarsi la
fiducia della città. La sua casa fu ereditata da un suo antico schiavo, Formione, che gli successe con
profitto.
Per la precisione, esiste un discorso forense di Demostene in favore di Formione, che fornisce anche
interessanti notizie sull’attività dei banchieri in Grecia. In concreto, Demostene si riferisce a come,
nel momento della morte di Pasione, questi aveva cinquanta talenti dati in prestito, dei quali “aveva
in produzione undici talenti provenienti dal deposito della banca”. Anche se non è chiaro se tali
depositi fossero a scadenza o a vista, Demostene aggiunge che le rendite che riceve il banchiere
dalla sua attività commerciale sono “insicure e provenienti da moneta altrui”. Conclude Demostene
che è “ammirevole che tra gli uomini che lavorano con la moneta, la stessa persona goda di fama di
amante del lavoro e sia onorata”, dato che “il credito è fra tutti, il capitale più importante di fronte ai
negozi”. Insomma, il negozio bancario si basava sulla fiducia dei depositanti, sull’onestà dei
banchieri, sul fatto che questi avrebbero dovuto custodire la moneta che era stata loro affidata a
vista e sempre a disposizione di quelli (i depositanti), e sul fatto che quanto era stato dato loro in
prestito, affinché fruttasse interessi, sarebbe stato utilizzato nel modo più prudente e giudizioso
possibile. In ogni caso, abbiamo molti indizi del fatto che i banchieri greci non operarono sempre
così, e che non usarono a proprio beneficio la moneta che era stata loro depositata a vista, come nel
caso descritto da Isocrate nella Trapezitica e in quello di altri banchieri che menziona Demostene
nel suo discorso in favore di Formione e che, lavorando per il proprio tornaconto, si rovinarono.
Questo è il caso di Aristoloco, che aveva un campo “che comprò dovendo denaro a molti”, e anche i
9
I greci distinguevano tra la moneta depositata a vista (phanerà ousía) e i depositi invisibili (aphanès ousía), differenza che sembra
fare riferimento più che altro al fatto che la moneta fosse o no continuamente disponibile a favore del depositante (che in ambedue i
casi doveva esserlo), e al fatto che il deposito e il suo importo fossero o no pubblicamente conosciuti, poiché potevano essere oggetto
di confische e sequestri, soprattutto di natura fiscale.
10
Isocrate, «Sobre un asunto bancario», en Discursos I, op. cit., p. 116, in italiano, Orazioni, op. cit., p. 553.
5
casi di Sosίnomo e Timodemo e altri che si rovinarono, e “quando fu necessario liquidare coloro
verso i quali erano obbligati, tutti sospesero i pagamenti e cedettero i propri beni ai creditori”11.
Esistono altri discorsi di Demostene che danno anche qualche riferimento importante sull’attività
bancaria in Grecia. Così, ad esempio, quello pronunciato “Contro Olimpiodoro per danni”12, nel
quale si parla espressamente di come un tal Comone “depositò a vista nella banca di Eraclide della
moneta, che venne speso nel funerale e nelle altre cerimonie rituali e nella costruzione del
monumento funerario”. Si tratta, pertanto, del caso di un deposito a vista effettuato dal defunto e
ritirato dai suoi eredi non appena morì per far fronte alle spese del funerale. Altri dati ancora sulle
pratiche bancarie ci fornisce il discorso “Contro Timoteo, a causa di un debito” nel quale
Demostene afferma che “i banchieri sono soliti effettuare registrazioni delle quantità che
consegnano, e a quale scopo, nonché dei depositi effettuati, affinché siano loro rese note, in vista
della compilazione dei propri bilanci, le quantità prelevate e depositate”13. In questo discorso,
pronunciato nell’anno 362 a. C., è la prima volta che con documentazione alla mano si parla delle
registrazioni contabili eseguite dai banchieri riguardo ai depositi e ai prelievi di moneta effettuati
dai propri clienti14. Inoltre, Demostene spiega come funzionava il contratto di conto corrente
bancario in forza del quale “ricevevano il denaro dalla banca coloro ai quali il depositante aveva
ordinato di girarlo”15, perciò, al fine della corrispondente prova giuridica, chiede che “si portino i
libri della banca, si esigano copie e, dopo averli esibiti davanti a Frasieride, gli permisi di
ispezionare i libri ed estrarre copia di quanto doveva questo individuo”16. Infine, Demostene
termina il suo discorso manifestando la sua preoccupazione per quanto abituali fossero i fallimenti
dei banchieri e la grande rabbia che si produceva tra la cittadinanza contro i banchieri quando
fallivano, imputando erroneamente il fallimento delle banche a quegli uomini che “trovandosi in
difficoltà, domandano prestiti e credono che in virtù della loro fama si debba loro concedere credito,
e poi, una volta ristabilitisi economicamente, non pagano ma tentano di defraudare”17. Questa
dichiarazione di Demostene bisogna interpretarla nel contesto del discorso giuridico nel quale
raccoglie le sue argomentazioni, e che ha per oggetto, precisamente, la querela contro Timoteo per
non aver restituito il prestito che gli ha fatto una banca. Molto di più si sarebbe dovuto pretendere di
quanto Demostene aveva menzionato nel suo discorso secondo il quale la maggior parte dei
fallimenti dei banchieri era dovuto alla violazione da parte loro dell’obbligazione di custodia dei
depositi ricevuti a vista e al cattivo uso a proprio beneficio, e in negozi particolari, di tale moneta
fino a quel momento in cui, per qualche ragione, il pubblico perdeva la fiducia nei banchieri stessi
e, nell’istante in cui andavano a ritirare i relativi depositi, vedevano con grande rabbia che questi
non erano disponibili.
Diverse indagini suggeriscono che i banchieri greci in generale sapevano che dovevano mantenere
un coefficiente di cassa del 100 per cento in relazione ai depositi ricevuti a vista, il che
spiegherebbe che non esistano certezze che pagassero interessi per i propri depositi, così come il
fatto dimostrato che le banche non erano considerate ad Atene come fonti normali di credito18. Ed è
11
Demostene, Discursos privados I, Biblioteca Clásica Gredos, Editorial Gredos, Madrid 1983, pp. 157-180, in italiano, Orazioni,
Ed. G. Barbera, Firenze 1877, pp. 194-211. Le citazioni del testo principale si trovano rispettivamente alle pp. 162, 164 e 176 della
menzionata edizione. Sul fallimento delle banche greche bisogna consultare Edward E. Cohen, Athenian Economy and Society: A
Banking Perspective, Princeton University Press, Princeton, New Jersey 1992, pp. 215-224. Cohen non pare cogliere, tuttavia, il
modo in cui le espansioni creditizie della banca causavano le crisi economiche che interessavano la sua solvibilità.
12
Demostene, Discursos privados II, Biblioteca Clásica Gredos, Editorial Gredos, Madrid 1983, pp. 79-98. La citazione del testo
principale si trova a p. 86.
13
Demostene, in italiano Orazioni, pp. 363-375. La citazione letterale si trova a p. 370.
14
G.J. Costouros, «Development of Banking and Related Book-Keeping Techniques in Ancient Greece», International Journal of
Accounting, 7/2, 1973, pp. 75-81.
15
Demostene, op. cit., p. 389 nell’edizione italiana.
16
Demostene, op. cit., p. 384-385 nell’edizione italiana.
17
Demostene, op. cit., p. 390 nell’edizione italiana.
18
S.C. Todd, facendo riferimento alla banca ad Atene, afferma che «banks were not seen as obvious sources of credit ... it is striking
that out of hundreds of attested loans in the sources only eleven are borrowed from bankers; and there is indeed no evidence that a
6
che i clienti effettuavano i propri depositi per ragioni di sicurezza, con l’incarico della loro tutela e
della loro custodia e il vantaggio addizionale di ottenere servizi di cassa e pagamento a terzi
facilmente documentabili. Orbene, il fatto che questi fossero i principi basilari del negozio bancario
legittimo non osta a che un numeroso gruppo di banchieri cedesse alla tentazione assai lucrosa di
appropriarsi dei depositi, attività fraudolenta che, finché la fiducia si manteneva, era relativamente
sicura, ma che alla lunga era condannata a finire in bancarotta. Inoltre, e come ci proponiamo di
mostrare in questo libro e di illustrare con differenti esempi storici, l’esistenza di un intreccio di
banchieri fraudolenti che operano, contro i principi generali del diritto, con un coefficiente di cassa
frazionario, genera un’espansione creditizia19 senza il sostegno di un risparmio reale, il che da luogo
a un boom economico artificiale e inflazionistico che alla fine ritorna in forma di crisi e recessione
economica nella quale inesorabilmente le banche tendono a fallire.
Così, Raymond Bogaert ha fatto riferimento alle crisi periodiche che colpivano la banca nella
Grecia classica e in concreto alle recessioni economiche e finanziarie che si produssero negli anni
377-376 a. C. e poco dopo nel 371 a. C., nelle quali fallirono i banchieri Timodemo, Sosinomo e
Aristoloco, tra gli altri, e che benché avessero come scintille l’attacco di Sparta prima e la vittoria di
Tebe poi, nacquero in seguito a un chiaro processo di espansione inflazionistica nel quale la banche
fraudolente giocarono un ruolo da protagonista20. È anche documentata la grave crisi bancaria che si
produsse a Efeso in seguito alla rivolta contro Mitridate, e che spinse le autorità a concedere il
primo espresso privilegio alla banca che risulti storicamente, in virtù del quale si stabilì una
moratoria di dieci anni per la restituzione dei depositi21.
In ogni caso, la “redditività” dell’attività fraudolenta dei banchieri, finché non venne scoperta e
finché i banchieri non fallirono, era elevatissima. Così, si sa dal banchiere Pasione che i suoi introiti
aumentarono a cento mine, ossia, un talento e due terzi. Il professor Trigo Portela ha stimato che
questa cifra in chili d’oro equivarrebbe, in pesetas di oggi, a più di trecento milioni di pesetas annui,
ciò che non sembra essere una quantità troppo elevata, sebbene possa essere vista come favolosa
tenuto conto del livello di mera sussistenza della maggioranza della popolazione che, per esempio,
mangiava soltanto una volta al giorno e la cui dieta si componeva di cereali e legumi. Alla sua
morte, la sua fortuna ammontava a sessanta talenti che, supposto un potere d’acquisto costante
dell’oro, supererebbe i quarantadue milioni di euro22.
depositor could normally expect to receive interest from his bank.» S.C. Todd, The Shape of Athenian Law, Clarendon Press, Oxford
1993, p. 251. Bogaert, da parte sua, conferma che i banchieri non pagavano interessi su depositi a vista, e perfino che incassavano
una commissione per la tutela e la custodia degli stessi: «Les dépôts de paiement pouvaient donc avoir différentes formes. Ce qu’ils
ont en commun est l’absence d’intérêts. Dans aucun des cas précités nous n’en avons trouvé des traces. Il est même possible que
certains banquiers aient demandé une commission pour la tenue de comptes de dépôt ou pour `l’exécution des mandats’». Raymond
Bogaert, Banques et banquiers dans les cités grecques, A.W. Sijthoff, Leyden, Holanda, 1968, p. 336. Bogaert riconosce inoltre che
non esiste indicazione alcuna che ad Atene si mantenesse un determinato coefficiente di riserve frazionarie («Nous ne possédons
malheureusement aucune indication concernant l’encaisse d’une banque antique», p. 364), sebbene già sappiamo che diversi
banchieri, come Pisone, operarono fraudolentemente, e non mantennero un coefficiente del 100 per cento, e fu perciò che, in molte
occasioni, non poterono pagare e fallirono.
19
«The money supply at Athens can thus be seen to consist of bank liabilities (‘deposits’) and cash in circulation. The amount of
increase in the bank portion of this money supply will depend on the volume and velocity of bank loans, the percentage of these loan
funds immediately or ultimately redeposited in the trapezai, and the time period and volatility of deposits». Edward E. Cohen,
Athenian Economy and Society: A Banking Perspective, ob. cit., p. 13.
20
Raymond Bogaert, Banques et banquiers dans les cités grecques, op. cit., pp. 391-393.
21
Ibidem, p. 391.
22
Joaquín Trigo Portela, «Historia de la banca», op. cit., p. 238. Raymond Bogaert, da parte sua, stima in quattro volte maggiori gli
introiti annui di Pasione al termine della sua vita, ossia, in 9 talenti: «Cela donne en tout pour environ 9 talents de revenus annuels.
On comprend que le banquier ait pu constituer en peu d’années un important patrimonie, faire des dons généreux à la cité et faire les
frais de cinq triérchies.» Raymond Bogaert, Banques et banquiers dans les cités grecques, A.W. Sijthoff, Leyden 1968, p. 367 y
también Edward E. Cohen, Athenian Economy and Society: A Banking Perspective, op. cit., p. 67.
23
M. Rostovtzeff, Historia social y económica del mundo helenístico, tradotto dall’inglese da Francisco José Presedo Velo, Editorial
Espasa -Calpe, Madrid 1967, tomo I, p. 392. Esiste una traduzione in Italiano di Manfredo Liberanome dal titolo Storia economica e
sociale del mondo ellenistico, La Nuova Italia, Firenze 1980, tomo I, p. 426.
7
La banca nel mondo ellenistico
La peculiarità più importante della banca nel mondo ellenistico, e in concreto nell’Egitto dei
Tolomei, è che allora appare, per la prima volta nella storia, e con carattere predominante, una
banca di tipo statale. In effetti, i Tolomei si resero presto conto degli importanti introiti che
ottenevano i banchieri privati mediante l’esercizio della loro attività, per cui decisero, invece di
controllare e impedire l’attività fraudolenta dei banchieri privati, di costituire una banca pubblica
che se ne approfittasse con tutto il “prestigio “ dello Stato.
Anche se la banca statale non si costituì con carattere monopolista, poiché continuarono a esistere
banche private - la maggior parte delle quali nelle mani di banchieri greci - l’attività della banca
pubblica giunse a essere molto importante per la prosperità dell’Egitto. Inoltre, come segnala
Rostovtzeff, la banca tolemaica sviluppò una “contabilità raffinata basata su una terminologia
professionale ben definita, che rimpiazzò la contabilità piuttosto primitiva dell’Atene del secolo IV
a. C.”23. Lavori archeologici diversi hanno mostrato quanto estesa fosse l’attività bancaria
nell’Egitto ellenistico: un documento frammentario trovato a Tebtunis, che raccoglie estratti dei
conti giornalieri di una banca rurale del Nomo eracleopolita, mostra il sorprendente numero di
residenti in paesi, agricoltori o no, i quali portavano avanti le loro attività per mezzo delle banche, e
avevano depositi o conti correnti bancari e facevano uso di essi per effettuare i pagamenti. Gli
uomini relativamente ricchi erano scarsi, essendo il grosso dei clienti della banca dettaglianti e
artigiani indigeni, commercianti di tessuti di lino, follatori, sarti, argentieri, orefici e un calderaio.
Inoltre, abbiamo visto che in molti casi si pagavano i debiti in argento non coniato e in oro, secondo
l’antica tradizione egizia. È stato anche accertato che trattavano con la banca commercianti di
grano, di olio, di vitelli, un macellaio e molti locandieri. La custodia dei depositi di diverse classi
era un’attività sviluppata dalla banca tolemaica dello Stato, dalle banche private e anche dai templi.
Conformemente a quanto dice Rostovtzeff, i banchieri accettavano depositi di ogni classe, sia a
vista sia a scadenza, e soggetti al pagamento di un interesse. Questi ultimi erano investiti, in teoria,
in operazioni di credito di distinte tipologie: prestiti con garanzia collaterale, ipoteche, e un tipo
assai speciale e popolare di prestito all’ingrosso.24 Le banche private custodivano in deposito la
moneta dei loro clienti e a loro volta depositavano la loro moneta nella banca dello Stato.
La principale novità della banca in Egitto fu, pertanto, la sua centralizzazione, ossia, la creazione di
una banca centrale di Stato ad Alessandria, con le succursali nei capoluoghi di provincia e nei paesi
più importanti, così che le banche private, quando esistevano, giocavano un ruolo secondario nella
vita economica del paese. Secondo Rostovtzeff, questa banca custodiva la moneta riscossa sotto
forma di imposte e accettava anche fondi privati e depositi da clienti privati, impiegando a beneficio
dello Stato i fondi non spesi. È pertanto quasi sicuro che venne mantenuto un coefficiente di riserva
frazionaria e che dei grandi benefici ottenuti si appropriavano i re tolemaici. Riguardo alla
percezione del denaro dei clienti e la sua custodia in deposito, abbiamo sufficienti informazioni
grazie alla corrispondenza di Zenone, dalla quale sappiamo come Apollonio, direttore della banca
centrale di Alessandria, aveva depositi come privato in diverse succursali della banca reale. Tutti
questi documenti dimostrano in quanti fra i privati usassero la banca per il deposito del proprio
denaro e per effettuare pagamenti. Inoltre, e grazie alla sviluppata contabilità delle banche, si
trasformarono in un sistema molto conveniente per pagare i debiti, perché costituivano un registro
ufficiale delle transazioni e una prova importante in caso di lite.
Il sistema bancario ellenistico non sparì con il governo dei Tolomei, ma si conservò con piccole
modifiche durante l’amministrazione romana dell’Egitto. Di fatto, questa organizzazione
centralizzata della banca tolemaica non fece mancare la propria influenza nello stesso Impero
Romano, e così è curioso osservare come Dione Cassio, nel suo famoso discorso di Mecenate
propugnava la creazione di una Banca di Stato Romana che prestasse moneta a un interesse
24
M. Rostovtzeff, Historia social y económica del mundo helenístico, op. cit., vol. II, p. 1398-1401, vol. III, pp. 371-376
dell’edizione italiana Storia economica e sociale del mondo ellenistico, op. cit.
8
moderato a tutti, e specialmente ai proprietari agricoli. Il capitale di questa banca si sarebbe dovuto
costituire con il denaro prodotto dalla rendita di tutte le proprietà dello Stato25. La proposta di Dione
Cassio non venne mai messa in pratica.
La banca a Roma
Sull’attività bancaria romana non abbiamo documenti molto dettagliati come quelli di cui
disponiamo grazie agli scritti di Isocrate e Demostene in relazione alla banca greca. Tuttavia,
sappiamo attraverso il diritto romano che l’istituzione bancaria e del deposito irregolare di denaro
era molto sviluppata, e nel capitolo I di questo libro abbiamo già studiato la regolazione che i
giuristi classici di Roma ci lasciarono su questo tipo di attività. Possiamo, pertanto, affermare che a
Roma si considerava che gli argentarii non acquisivano la disponibilità del tantundem dei depositi
di denaro ricevuti, che dovevano custodire e tutelare con la massima diligenza. Per questo motivo i
depositi di denaro non maturavano interessi, né in teoria dovevano venire utilizzati per essere
prestati, quantunque il depositante potesse ordinare ai banchieri di effettuare pagamenti per proprio
conto. Allo stesso modo, i banchieri accettavano “depositi” a scadenza, che non erano altro che
prestiti alla banca o contratti di mutuo, che maturavano interessi e davano diritto alla banca di usarli
a sua totale convenienza fino al termine prefissato. Esistono riferimenti a queste pratiche già
dall’anno 350 a. C. in alcune commedie, come per esempio Il prigioniero, l’Asinaria* e la
Mostellaria** di Plauto e nel Formione di Terenzio, dove si possono leggere deliziosi dialoghi che
contengono descrizioni di pratica finanziaria, compensazioni, saldo di conti, invio di assegni e altre
simili26. In ogni caso, pare che a Roma, grazie all’attività dei giuristi professionali, la pratica
bancaria era meglio regolata e almeno esisteva una più chiara coscienza di ciò che era giusto e
ingiusto in relazione ad essa. Ciò nonostante, abbiamo minore garanzia che i banchieri si
comportassero onestamente e non disponessero a proprio beneficio del denaro depositato a vista dai
propri clienti. Così, esiste un rescritto di Adriano ai commercianti di Pergamo che si erano lamentati
delle esazioni illegali e del cattivo comportamento dei propri banchieri. In aggiunta c’è un altro
scritto della città di Milasa all’imperatore Settimio Severo con un decreto del consiglio e del popolo
della città diretto a regolare l’attività dei banchieri locali27. Tutto questo indica che, sebbene non sia
sicuro che con tanta frequenza come nel mondo ellenico, esisterono, di fatto, banchieri poco
scrupolosi che si appropriarono indebitamente dei fondi dei loro depositanti e, in ultima istanza,
andarono in fallimento.
Un esempio curioso di attività bancaria fraudolenta è quello di Callisto I, papa e santo (217-222 d.
C.) che, al tempo in cui era schiavo del cristiano Carpoforo, operò come banchiere per conto di
questi e accettò depositi dei cristiani. Nonostante tutto, si rovinò e quando tentò di scappare fu
detenuto dal suo padrone, ottenendo il perdono grazie alle suppliche degli stessi cristiani che aveva
defraudato28.
25
M. Rostovtzeff, Historia social y económica del Imperio Romano, tradotto dall’inglese da Luis López-Ballesteros, Espasa-Calpe,
Madrid 1981, 4.ª edición, tomo I, p. 382. Esiste una traduzione in italiano di Giovanni Sanna dal titolo Storia economica e sociale
dell’Impero Romano, Ed. Sansoni, Milano 2003, p. 272.
26
Così, per esempio, ne Il prigioniero di Plauto possiamo leggere: «Subducam ratunculam quantillum argenti mihi apud trapezitam
sied», citato da Knut Wicksell nelle sue Lectures on Political Economy, vol. II, Routledge & Kegan Paul, Londra 1950, p. 73.
*
La commedia degli asini
**
La commedia degli spettri
27
Joaquín Trigo Portela, «Historia de la banca», op. cit., p. 239.
28
Il fatto certamente straordinario che sia esistito un banchiere che sia divenuto papa, e dopo santo, giustificherebbe che Callisto I
fosse considerato come patrono dei banchieri, se non fosse per il cattivo esempio che diede nella sua attività bancaria, nel rompere e
deludere la fiducia che in lui avevano riposto molti dei suoi fratelli cristiani. È San Carlo Borromeo (1538-1584), arcivescovo di
9
Il fallimento del banchiere Callisto, che è narrata in dettaglio nella Refutatio omnium haeresium29
attribuita a Ippolito e che fu scoperta in un convento del monte Athos nel 1844, si produsse, come le
crisi ricorrenti che abbiamo già visto verificarsi in Grecia, dopo un periodo di forte espansione
inflazionistica che venne seguita dalla grave crisi di fiducia, dalla perdita del potere d’acquisto del
denaro e dal fallimento di numerose imprese commerciali e finanziarie, che ebbe luogo sotto
l’imperatore Commodo approssimativamente dall’anno 185 all’anno 190 della nostra era.
Ippolito racconta come Callisto, essendo schiavo dell’anch’egli cristiano Carpoforo, intraprese per
conto di questi un’attività bancaria, ricevendo i depositi preferibilmente dalle vedove e dai fratelli
cristiani che, allora, già iniziavano ad essere un gruppo numeroso e influente a Roma. Ciò
nonostante, Callisto si appropria in maniera fraudolenta dei depositi ricevuti e, non potendo far
fronte alla loro immediata restituzione, tenta di fuggire via mare e perfino di suicidarsi. Dopo varie
peripezie viene flagellato e condannato ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna, da dove è
miracolosamente liberato grazie ai buoni uffici della cristiana Marzia, concubina dell’imperatore
Commodo. Trent’anni dopo, giá libero, fu eletto XVII papa nell’anno 217, per essere poi
martirizzato quando venne buttato in un pozzo dai pagani in una rivolta popolare che ebbe luogo il
14 di ottobre dell’anno 22230.
Ora si spiega come perfino i Santi Padri abbiano fatto riferimento alla professione dei banchieri le
cui grandi tentazioni mostrano di conoscere bene quando nelle costituzioni apostoliche li esortano
dicendo loro: “Banchieri, siate onesti!”31; ammonimento di moralità per i banchieri che si volle far
risalire fino alle Sacre Scritture e che i primi cristiani utilizzavano costantemente per ricordare ai
banchieri i loro doveri e allontanarli dalla tentazione.
Le «societates argentariae»
Una peculiarità dell’attività bancaria nel mondo romano fu l’apparizione delle cosiddette società di
banchieri (societates argentariae). Queste società si costituivano mediante il conferimento di beni
da parte dei soci banchieri al patrimonio sociale che doveva rispondere dei debiti. Tuttavia, e per via
dello speciale interesse pubblico delle banche, nel diritto romano si stabilì che i soci delle società
argentarie dovevano rispondere dei depositi con tutto il loro patrimonio32. La responsabilità
illimitata e solidale dei soci fu pertanto un principio generale del diritto romano, che si stabilì con il
fine di attenuare gli effetti degli abusi e delle frodi che questi commettevano e di rafforzare la
capacità di ricorso dei depositanti in caso di comportamenti irregolari33.
Milano, nonché nipote e amministratore del papa Giovannangelo de’ Medici (Pio IV) il patrono della banca, la cui festa si celebra il 4
di novembre.
29
Hippolytus Wercke, vol. 2, «Refutatio omnium haeresium», ed. P. Wendland, Lipsia 1916.
30
Juan de Churruca, «La quiebra de la banca del cristiano Calisto (c.a. 185-190)», Seminarios complutenses de derecho romano,
febbraio-maggio 1991, Madrid 1992, pp. 61-86.
31
«Gínesthe trapézitai dókimoi». Si veda «Orígenes y movimiento histórico de los bancos», in Enciclopedia universal ilustrada
europeo-americana, Espasa Calpe, Madrid 1973, tomo VII, op. cit. p. 478.
32
Si veda Manuel J. García-Garrido, «La sociedad de los banqueros (societas argentaria)», in Studi in onore di Arnaldo Biscardi,
vol. III, Milano 1988, specialmente le pp. 380-383. La responsabilità illimitata dei soci delle società argentarie nel diritto romano si
trova stabilita, tra gli altri, nel testo di Ulpiano (Digesto, 16,3, 7, 2-3) che abbiamo già citato e nell’altro di Papiniano (Digesto,
16,3,8), nel quale si stabilisce che i banchieri defraudatori rispondano non solo con il «moneta depositata che si è trovata tra i beni del
banchiere, ma con tutti i beni del defraudatore» (Cuerpo de derecho civil romano, op. cit., vol. 1, p. 837). Anche in tempi recenti è
stata proposta da qualche autore la reintroduzione del principio della responsabilità illimitata dei banchieri, con l’obiettivo di
incentivare un comportamento prudente da parte loro. Tuttavia, questo requisito non è condizione né necessaria né sufficiente per
ottenere un sistema bancario solvibile. Non è necessario, poiché una banca con un coefficiente di cassa del 100 per cento
eliminerebbe le crisi bancarie e le recessioni economiche nella maniera più effettiva. Non è neppure sufficiente, poiché sebbene gli
azionisti delle banche rispondano illimitatamente dei propri debiti, se operano con un coefficiente di riserva frazionaria, non potranno
evitare che si creino in modo ricorrente crisi bancarie e recessioni economiche.
33
Un altro tratto interessante della vita economica dell’Impero Romano è la sopravvivenza dell’attività bancaria in alcuni templi di
poderosa influenza, come quelli di Delos e Delfi, quello di Artemisia a Sardi, e soprattutto, nel tempio di Gerusalemme, che
tradizionalmente fu un luogo nel quale gli ebrei, ricchi e poveri, depositavano il loro denaro. In tale contesto, deve intendersi
l’esclusione dei cambiavalute del tempio di Gerusalemme tale e quale è descritta nel Vangelo secondo San Matteo, 21, 12-16, nel
quale si legge che Gesù, appena entrato nel tempio, «rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le bancarelle dei venditori di colombe. E
10
Gli argentarii sviluppavano la loro attività in un locale speciale o taverna. Registravano nei
loro libri i differenti addebiti e accrediti dei conti correnti dei propri clienti. I libri dei
banchieri romani facevano fede davanti ai giudici e dovevano concordare con quanto
stabilito dall’editio rationum che stipulava la forma in cui i banchieri dovevano datare e
redigere i propri conti34. Li si denominava anche mensarii (dalla mensa, o bancone, nella
quale inizialmente portavano a termine le loro funzioni di cambiavalute). La mensa era
trasmissibile come lo è oggi una licenza bancaria. Quello che veniva ceduto nella vendita
era il diritto a operare su mandato dello Stato che era proprietario della casa e dei negozi
in cui aveva luogo l’attività bancaria a Roma. Nel passaggio di proprietà potevano esser ceduti
l’arredamento e gli strumenti della taverna, così come l’attivo e il passivo finanziario dell’impresa.
Inoltre, i banchieri costituirono una organizzazione corporativa per la difesa dei propri interessi
comuni, e sembra che siano riusciti ad ottenere importanti privilegi dagli imperatori (soprattutto
nell’epoca di Giustiniano), alcuni dei quali si trovano raccolti nel Corpus iuris civilis35.
La disintegrazione economica e sociale dell’Impero Romano, risultato delle politiche
inflazionistiche degli imperatori che diminuirono il potere d’acquisto della moneta, e della
fissazione di prezzi massimi per i prodotti di prima necessità, che determinarono la loro scarsità
generalizzata, la rovina dei commercianti e la scomparsa dei flussi commerciali tra le differenti
zone dell’Impero, distrusse ugualmente l’attività dei banchieri, la maggior parte dei quali si rovinò
nelle successive crisi economiche che ebbero luogo nei secoli III e IV della nostra era. Si provò ad
arrestare questa decomposizione sociale ed economica dell’Impero con maggiori dosi di coercizione
e di interventismo statale, che accelerarono ancora di più il processo generalizzato di
decomposizione, il quale fece sì che i barbari, che da secoli venivano via via contenuti e sconfitti
dalle legioni romane alla frontiera, finissero per radere al suolo e conquistare quello che non erano
più che le macerie dell’antico e fiorente Impero Romano. La caduta del mondo classico romano dà
inizio al lungo periodo del Medio Evo, e si dovranno aspettare quasi ottocento anni affinché, di
nuovo, si riscopra l’attività bancaria nelle città italiane del Basso Medio Evo36.
disse loro: È scritto: La mia casa sarà chiamata casa della preghiera. Ma voi state facendo di essa un covo di banditi!». Un testo
identico si può leggere in San Marco, 11, 15-17. Il Vangelo di San Giovanni, 2, 14, 16, è un poco più esplicito, giacché indica che
Gesù, oltre a trovare «nel tempio i venditori di buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute nei loro banchi, facendo una frusta di corde
cacciò tutti fuori dal tempio, lasciò cadere il denaro dei cambiavalute e rovesciò loro i tavoli». Secondo la nostra opinione, la
traduzione in castigliano di queste citazioni evangeliche non è molto fortunata e, come nella traduzione del Digesto di García del
Corral, doveva essere utilizzato il termine «banchieri» invece di quello di «cambiavalute», più in consonanza con il sentire letterale
dell’edizione vulgata latina, che si riferisce espressamente, nel Vangelo di San Matteo, al fatto che «Et intravit Iesus in templum et
eiiciebat omnes vendentes et ementes in templo, et mensas numulariorum, et cathedras vendentium columbas evertit; et dicit eis:
Scriptum est: Domus mea domus orationis vocabitur; vos autem fecistis illam speluncam latronum.» Si veda la Biblia Sacra iuxta
Vulgatam Clementinam, Alberto Colunga e Laurencio Turrado (eds.), Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1994, San Matteo,
21, 12-13, p. 982. Questi testi evangelici confermano che il tempio di Gerusalemme operava come una vera e propria banca pubblica
che riceveva depositi di ebrei ricchi e poveri, e l’ammonimento di Gesù Cristo poteva intendersi come una protesta contro gli abusi
che avevano origine da una pratica illegittima (abusi consistenti, come già sappiamo, nell’uso della moneta che era depositata in
custodia presso di loro). Inoltre, le citazioni evangeliche illustrano molto bene la simbiosi che già allora si era prodotta tra l’attività
bancaria e l’autorità pubblica, poiché tanto i sommi sacerdoti quanto gli scribi rimasero indignati per il comportamento di Gesù (tutti
i corsivi delle citazioni sono, naturalmente, miei). Si veda La Biblia de Jerusalén, Editorial Desclée de Brouwer, Bilbao 1970, pp.
1686, 1724, 1777 y 1794. Sull’importanza del tempio di Gerusalemme come banca di deposito per gli ebrei, si può consultare M.
Rostovtzeff, Historia social y económica del Imperio Romano, op. cit., tomo I, p. 380.
34
Jean Imbert, nella sua Historia Económica (de los orígenes a 1789), traduzione dal francese di Armando Sáez, Editorial Vicens-
Vives, Barcelona 1971, p. 58, segnala che «la praescriptio equivaleva al nostro attuale assegno. Un capitalista incaricava un
banchiere di incassare un pagamento di un prestito per suo conto, i fondi venivano consegnati previa presentazione di un ordine di
pagamento chiamato praescriptio».
35
Si veda, ad esempio, la nuova costituzione CXXVI su «I contratti dei banchieri», così come l’editto VII («Pragmatica e
disposizione sui contratti dei banchieri») e l’editto IX, «Dei contratti dei banchieri», tutti quanti dovuti all’imperatore Giustiniano e
inclusi nelle Novelle (Si veda Cuerpo de derecho civil romano, op. cit., tomo VI, pp. 479-483, 539-544 y 547-551).
36
Un magnifico riassunto sulle cause della caduta dell’Impero Romano si può osservare in Ludwig von Mises, La acción humana:
tratado de economía, 5.ª edizione con uno «Studio Preliminare» di Jesús Huerta de Soto, Unión Editorial, Madrid 1995, pp. 905-908.
11
3
I BANCHIERI NEL BASSO MEDIOEVO
La caduta dell’Impero Romano causò la scomparsa della maggior parte dei suoi flussi commerciali
e la feudalizzazione delle relazioni economiche e sociali. La tremenda contrazione del commercio e
della divisione del lavoro assestò nel corso dei secoli un colpo definitivo alle attività finanziarie in
generale e a quella bancaria in particolare. Solamente i monasteri, come centri di fioritura
economica e culturale dotati di una maggior sicurezza, prestarono servizio come mezzi di custodia e
tutela di risorse economiche, dovendosi menzionare l’attività economica sviluppata in questo campo
dai templari, il cui ordine fu creato a Gerusalemme nel 1119 per proteggere i pellegrini. I templari
arrivarono a disporre di ingenti risorse finanziarie ottenute sia come bottino delle loro campagne
militari, sia come lascito di principi e signori feudali. La loro natura internazionale (disponevano di
più di novemila centri operativi con due sedi principali), unita al loro carattere di ordine militare e
religioso, conferiva loro una gran sicurezza riguardo alla custodia dei depositi, così come una
grande autorità morale per essersi resi meritevoli della fiducia generale. Ciò spiega come mai
cominciassero a ricevere depositi da privati, sia regolari sia irregolari, mediante l’incasso dei diritti
di custodia, occupandosi anche del trasferimento dei fondi, per il quale riscuotevano una
determinata quota per il trasporto e la protezione. Inoltre, effettuarono prestiti con mezzi propri,
ossia senza violare il principio di custodia su ciò che era stato depositato a vista presso di loro. In tal
modo l’ordine andò acquisendo una prosperità crescente che suscitò il timore e l’invidia da parte di
molti, fino a che il re di Francia Filippo il Bello decise di scioglierlo, condannando al rogo i
principali responsabili (incluso il suo Gran Maestro Jacques de Molay) con lo scopo principale di
appropriarsi di tutte le ricchezze dell’ordine che tanto agognava37.
È alla fine del secolo XI e agli inizi del secolo XII il momento in cui inizia a notarsi una certa
rinascita commerciale e mercantile principalmente intorno a Venezia e alle città italiane
dell’Adriatico, a Pisa e dopo a Firenze, che si specializzarono nel commercio con Costantinopoli e
l’Oriente. La prosperità di queste città fece sì che si manifestasse un importante sviluppo finanziario
e che tornassero a rinascere le banche. Si riproduce così lo schema che già abbiamo studiato nel
mondo classico. In effetti, all’inizio i banchieri rispettano i principi giuridici ereditati da Roma e
che abbiamo studiato nel capitolo I, sviluppando la loro attività correttamente dal punto di vista
giuridico e non facendo un uso illecito della moneta depositata a vista presso di loro in custodia e
tutela (cioè sotto forma di contratti di deposito irregolare). Solamente il denaro a loro affidato sotto
forma di prestito o mutuo (cioè come “depositi” a scadenza) formava oggetto di uso o di prestito da
parte dei banchieri finché non scadeva il termine pattuito38. In seguito e in forma graduale, i
37
Si veda, ad esempio, il libro di J. Piquet, Des banquiers au Moyen Âge: les Templiers, Étude de leurs opérations financières, París
1939, che è citato da Henri Pirenne nel suo Historia económica y social de la Edad Media, Fondo de Cultura Económica, Madrid
1974, specialmente le pp. 102 e 226. Piquet crede di vedere nel suo studio un embrione di contabilità in partita doppia nei registri che
tenevano i templari e perfino una forma primitiva di assegno. Tuttavia, sembra che i templari, al massimo, siano stati soltanto
predecessori diretti della contabilità in partita doppia, che venne in seguito formalizzata dal monaco veneziano Luca Pacioli nel 1494,
esistendo testimonianze anteriori di registri in una banca pisana, che sono chiaramente in partita doppia e che sono datati 1336, così
come in un altro dei Masari, che furono gli esattori urbani a Genova, nel 1340. Il più antico libro di contabilità di cui si ha
testimonianza in Europa riguarda una banca fiorentina del 1211. Si veda G.A. Lee, «The Oldest European Account Book: A
Florentine Bank Ledger of 1211», en Accounting History: Some British Contributions, R.H. Parker y B.S. Yamey (eds.), Clarendon
Press, Oxford 1994, pp. 160-196.
38
«Almeno in teoria, (nel Medioevo) le prime banche di deposito non erano banche di sconto né banche di prestito. Non creavano
moneta, ma utilizzavano un sistema di riserve al 100 per cento, così come alcuni monetaristi di oggi vorrebbero vedere stabilito. Le
operazioni allo scoperto (saldi debitori) erano proibiti. Nella pratica, le norme si dimostrarono di difficile mantenimento,
specialmente di fronte a casi di emergenza pubblica. La Taula di Valencia era sul punto, nel 1567, di utilizzare il tesoro presso di essa
depositato per comprare grano per la città. Si fecero anticipazioni illegali ai funzionari della città nel 1590, e in diverse occasioni alla
città stessa». Charles P. Kindleberger, Historia financiera de Europa, tradotto in spagnolo da Antonio Menduiña e Juan Tudores, con
la collaborazione di Jordi Beltrán e Lidia Lumpuy, e pubblicata da Editorial Crítica, Barcelona 1988, p. 68. Esiste una traduzione n
italiano di A. M. Galli dal titolo Storia della finanza nell’Europa occidentale, pubblicata da Ed. Laterza, Bari 1992, pp. 68-69.
39
Durante tutto il Medioevo, e con speciale rilevanza nella penisola iberica, anche nel diritto islamico si mantenne la condanna
dell’utilizzazione a proprio beneficio della moneta ricevuta in deposito irregolare. Si veda, cosí, per esempio, il Compendio de
12
banchieri, di nuovo, tornano ad essere tentati a usare a proprio beneficio il denaro depositato a vista
presso di loro, prendendo così vita un’altra volta, in modo fraudolento, l’attività bancaria a riserva
frazionaria. I pubblici poteri, in generale, non sono capaci di controllare e far rispettare i principi del
diritto e, in molte circostanze, concedono perfino privilegi e licenze affinché i banchieri operino in
questo modo irregolare, approfittandosi della banca fraudolenta sotto forma di prestiti e introiti
fiscali e giungendo, inoltre, a creare banche di interesse pubblico (come la Taula di Canvi o Banca
di Deposito di Barcellona e altre che studieremo più avanti)39.
Abbott Payson Usher ha dedicato la sua monumentale opera The Early History of Deposit Banking
in Mediterranean Europe40 a studiare la nascita lenta e graduale delle banca con riserva frazionaria
nel corso del Basso Medioevo, basata sulla violazione del principio generale del diritto, secondo il
quale bisogna mantenere intatta la piena disponibilità del tantundem in favore del depositante.
Secondo Usher, è solamente a partire dal secolo XIII che alcuni banchieri privati iniziano a
utilizzare a proprio beneficio il denaro dei propri depositanti, facendo così nascere la banca con
riserva frazionaria e la capacità espansiva di generare crediti derivante dalla riserva stessa. Inoltre,
Usher considera questo il fenomeno più importante e significativo nella storia dell’attività bancaria,
e non quello che, come spesso si pensa, costituì la nascita della banca di emissione che ebbe luogo
storicamente soltanto molto tempo dopo, al termine del secolo XVII. Benché, come vedremo nel
capitolo IV, gli effetti economici dell’emissione di biglietti senza copertura e della concessione di
prestiti a carico dei depositi a vista siano esattamente gli stessi, la storia della banca si caratterizza
per essere nata fondamentalmente intorno all’esercizio di questa seconda attività, e non della prima.
Perciò Usher afferma che «the history of banks of issue has, until latterly, obscured the importance
of due deposit banking in all its forms, whether primitive or modern». E conclude, riferendosi
ironicamente alla sproporzionata importanza che gli economisti hanno dedicato al problema
riguardante le banche di emissione in relazione all’attività molto più antica e ugualmente deleteria
delle banche di deposito, che «the demand for currency, and the theoretical interests created by the
problem, did much to foster misconceptions on the relative importance of notes and deposits. Just as
French diplomats ‘discovered’ the Pyrenees in the diplomatic crisis of the eighteenth century, so
banking theorists ‘discovered’ deposits in the mid-nineteenth century»41. Nell’uno e nell’altro caso,
Usher dimostra che il sistema bancario moderno viene alla luce attraverso la nascita della banca con
riserva frazionaria (risultato dell’attività fraudolenta dei banchieri e della complicità dei relativi
governi, e che illustra in dettaglio nel caso del sistema bancario catalano del basso Medioevo), e
non in relazione con le cosiddette banche di emissione di biglietti che storicamente entrarono in
scena soltanto dopo molto tempo.
derecho islámico (Risála, Fí-l-Fiqh), del giurista arabo-spagnolo del secolo X Ibn Abí Zayd, chiamato Al-Qayrawání, che è stato
pubblicato sotto gli auspici di Jesús Riosalido da Editorial Trotta, Madrid 1993, e nella cui pagina 130 possiamo leggere il principio
giuridico secondo il quale «colui che commercia con un deposito (di moneta) compie un atto reprensibile, però il guadagno sarà suo
se si tratta di denaro contante» (Si vedano anche le pp. 214-215, dove se indica che, nel caso di un vero e proprio prestito o mutuo, il
prestatore non può ritirare il prestito quando lo desidera, ma solo dopo il termine convenuto, secondo quanto indica Málik; in quanto
al deposito di moneta, vediamo che la figura raccolta nel diritto islamico corrisponde alla figura del deposito irregolare romano).
40
Abbott Payson Usher fu professore di Economia all’Università di Harvard e pubblicò la sua conosciutissima opera The Early
History of Deposit Banking in Mediterranean Europe in Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1943.
41
Cfr A.P. Usher, The Early History of Deposit Banking in Mediterranean Europe, op. cit., pp. 9 e 192. La traduzione in italiano di
queste citazioni potrebbe essere la seguente: «la storia delle banche di emissione ha oscurato, fino a tempi recenti, l’importanza delle
banche di deposito in tutte le loro forme, siano esse primitive o moderne». E «la domanda di carta-moneta e l’interesse teorico che
suscitarono i suoi problemi fecero molto per dare impulso a errori e malintesi che fanno riferimento all’importanza relativa dei
biglietti e dei depositi. Così, alla stessa maniera in cui i diplomatici francesi ‘scoprirono’ i Pirenei nelle crisi diplomatiche del secolo
XVIII, i teorici della banca ‘scoprirono’ i depositi a metà del secolo XIX».
13
Usher evidenzia come nelle prime banche che sorsero nella Genova del secolo XII si indicava con
estrema chiarezza se si effettuasse un deposito a vista, o si effettuasse un “deposito” a scadenza,
spiegando in questo secondo caso che si trattava di un vero e proprio prestito o mutuo42. Poi,
gradualmente, i banchieri iniziano a fare uso a proprio beneficio della moneta depositata a vista
presso di loro, e nasce la capacità espansiva del sistema bancario consistente nel potere di creare
depositi e concedere crediti dal nulla. Concretamente, nel caso della Banca di Deposito di
Barcellona, Usher calcola che le riserve in denaro metallico di tale banca aumentarono a un 29 per
cento del totale dei depositi, in forza del quale la sua capacità di concessione espansiva di crediti
restava stabilita in un rapporto di 3,3 volte la moneta metallica di cui disponeva la cassa della
banca43.
Un altro aspetto che sottolinea Usher è quello del fallimento delle differenti autorità pubbliche nel
provare a controllare l’adeguato funzionamento dell’attività bancaria e, in concreto, nel controllare
che si mantenesse in custodia il 100 per cento dei depositi a vista ricevuti. Anzi, le autorità finirono
per concedere un privilegio (ius privilegium) sotto forma di licenza governativa mediante la quale si
consente che le banche operino con un coefficiente di riserva frazionaria. Inoltre, le si obbligava a
presentare avalli44. In ogni caso, i governi furono, nella maggior parte delle circostanze, i primi che
approfittarono dell’attività bancaria fraudolenta, ottenendo da essa un finanziamento pubblico più
facile (in forma di prestiti dai banchieri). È come se ai banchieri venisse concesso il privilegio di
poter fare uso della moneta di proprietà dei loro depositanti a proprio beneficio, in cambio
dell’accordo tacito che tale uso si materializzasse, fondamentalmente, in finanziamenti e prestiti
concessi alle autorità pubbliche. E in diverse occasioni, perfino gli stessi governanti decidevano la
creazione di una banca di carattere pubblico che permettesse loro di approfittare direttamente dei
lucrosi risultati dell’attività bancaria. Tale fu l’obiettivo essenziale che ispirò, come vedremo, la
creazione della Taula de Canvi o Banca di Deposito di Barcellona.
Un fattore del tutto caratteristico che aggiunse un alto grado di complessità e confusione alla pratica
finanziaria del Medioevo fu costituito dalla proibizione dell’usura nelle tre grandi religioni
monoteiste: la giudaica, la maomettana e la cristiana. Marjorie Grice-Hutchinson ha studiato
dettagliatamente il contenuto e le implicazioni della proibizione del tasso di interesse
durante questo periodo45, sottolineando come, nel caso della religione giudaica, la
42
«In all these Genovese registers there is also a series of instruments in which the money received is explicitly described as a loan
(mutuum)». A.P. Usher, The Early History of Deposit Banking in Mediterranean Europe, op. cit., p. 63.
43
«Against these liabilities, the Bank of Deposit held reserves in specie amounting to 29 percent of the total. Using the phraseology
of the present time, the bank was capable of extending credit in the ratio of 3.3 times the reserves on hand». Cfr. A.P. Usher, The
Early History of Deposit Banking in Mediterranean Europe, ob. cit., p. 181. Non siamo d’accordo, tuttavia, con l’affermazione che
Usher fa immediatamente dopo, secondo la quale le banche private che operavano anche a Barcellona dovevano disporre di un
coefficiente di riserve molto più basso. Secondo la nostra opinione, la realtà doveva essere l’esatto contrario, allorché, quando si era
privati e più piccoli, non si disponeva di tanta fiducia del pubblico come la banca municipale di Barcellona, e trovandosi in un regime
di pura concorrenza, è certo che il coefficiente di riserva che mantenevano era più elevato (si veda le pp. 181-182 del libro di Usher).
In ogni caso, Usher conclude che «there was considerable centralization of clearance in the early period and extensive credit creation.
In the absence of comprehensive statistical records, we have scarcely any basis for an estimate of the quantitative importance of
credit in the medieval and early modern periods, though the implications of our material suggest an extensive use of credit
purchasing power». Cfr. A.P. Usher, op. cit., pp. 8-9. I lavori di C. Cipolla che menzioneremo più avanti confermano pienamente
l’ipotesi che costituisce l’argomento essenziale del libro di Usher. Nel capitolo IV studieremo per esteso la teoria dei moltiplicatori
bancari.
44
Nella Catalogna del secolo XV si lasciava che le banche operassero senza avalli, ma quelli che non presentavano avalli non
potevano mettere una tovaglia sul loro tavolo di cambiavalute, con la quale il pubblico poteva identificare immediatamente chi fosse
più o meno solvibile nell’esercizio della sua attività. Cfr. A.P. Usher, ob. cit., p. 17.
45
Marjorie Grice-Hutchinson, El pensamiento económico en España (1177-1740), traduzione spagnola di Carlos Rochar e revisione
di Joaquín Sempere, Editorial Crítica, Barcelona 1982, cap. I, «El encubrimiento de la usura», pp. 13-80.
46
«Fino al secolo XIII, la maggior parte dell’attività finanziaria era nelle mani degli ebrei e di altre persone non cristiane solitamente
del Vicino Oriente. Per questi infedeli, dal punto di vista cristiano, non c’era salvezza possibile e le proibizioni economiche della
Chiesa non li riguardavano ... L’odio verso gli ebrei scaturisce, in parte, dalle persone che dovettero pagare tassi elevati, mentre i
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proibizione non si estendesse ai prestiti realizzati ai gentili, ciò che spiega come mai,
almeno durante la prima parte del Medioevo, l’attività finanziaria e bancaria nel mondo
cristiano fosse nelle mani degli ebrei46.
Questa proibizione canonica dell’interesse aggiunge un alto grado di complessità al
problema dell’attività bancaria nel corso del Medioevo e non, necessariamente, come han
voluto far credere molti teorici della banca fino ad ora, perché questa tentasse di realizzare
un’attività utile e necessaria, cercando continuamente formule per occultare
l’indispensabile pagamento di interessi nei contratti di prestito o mutuo. È sicuro che, nella
misura in cui i banchieri sviluppavano l’attività di concessione dei prestiti, a spese di altri
prestiti («depositi» a scadenza) ricevuti in precedenza dai propri clienti e operavano come
veri e propri intermediari finanziari, svilupparono un’opera legittima e molto utile per
l’economia produttiva dell’epoca. Tuttavia, il tardivo riconoscimento finale della
legittimità economica e giuridica dell’interesse da parte della Chiesa non deve essere
considerato come un riconoscimento globale della legittimità del negozio bancario, ma
solamente di quella parte dello stesso che si basa sulla concessione di prestiti con l’impiego di
prestiti precedentemente ricevuti da terzi, ossia, sul negozio bancario di mera intermediazione
finanziaria. Pertanto, l’evoluzione storica della dottrina della Chiesa sulla legittimità dell’interesse
non presuppone, in forma alcuna, una punta di legittimazione per l’attività bancaria basata su un
coefficiente di riserva frazionaria, ossia, sull’utilizzazione a proprio beneficio da parte dei banchieri
(generalmente sotto forma di concessione di credito) della moneta presso di loro depositato a vista
dai propri clienti47.
E quella che è, in larga misura, la notevole confusione concettuale in relazione al tema di cui ci
occupiamo nasce precisamente nel corso del Medioevo come risultato della proibizione canonica
dell’interesse, ed ha la sua origine in uno dei principali espedienti48 che inventarono gli agenti
economici di allora per occultare veri e propri prestiti e il pagamento di interessi fu quello di
utilizzare la forma del contratto di deposito a vista. Vediamo in che modo. In primo luogo,
ricordiamo la nostra trattazione del contratto di deposito irregolare di moneta nel capitolo I, e che
una delle disposizioni più caratteristiche riguardo al medesimo nel Corpus iuris civilis stabiliva che
nel caso in cui il depositario non potesse consegnare immediatamente il deposito, oltre all’atto di
furto per appropriazione indebita, iniziavano a maturare gli interessi di mora a favore del
depositante (Digesto, 16,3,25,1). Non deve, quindi, sembrare strano che, nel corso del
Medioevo e al fine di ovviare alla proibizione canonica dell’interesse, molti contraenti,
confessassero o dichiarassero espressamente che, invece di un vero prestito o mutuo, il contratto
che avevano posto in essere era quello di un deposito irregolare di moneta. Questa espressa
dichiarazione giustifica il fatto che questo procedimento giuridico di occultazione del prestito sia
monarchi e i principi, benché meno furiosi, ottenevano vantaggi dalla spoliazione di questo gruppo più o meno indifeso». Harry
Elmer Barnes, Historia de la economía del Mundo Occidental hasta principios de la Segunda Guerra Mundial, tradotta in spagnolo
da Florencio Muñoz, Unión Tipográfica Editorial Hispano-Americana, México 1967, p. 218.
47
Questa è esattamente la tesi che sostiene padre Bernard W. Dempsey S.J., che nel suo pregevole libro Interest and Usury
(American Council of Public Affairs, Washington D.C. 1943) conclude che, benché si accetti la legittimità dell’ interesse, si può
considerare che il sistema di banca con riserva frazionaria incorre in una «usura istituzionale» particolarmente dannosa per la società,
poiché genera di volta in volta booms artificiali, crisi bancarie e recessioni economiche (p. 228).
48
Un inventario chiaro e conciso dei procedimenti che si idearono per dissimulare sistematicamente i contratti di prestito e la
riscossione dell’interesse si può trovare in Jean Imbert, Historia económica (de los orígenes a 1789), op. cit., pp. 157-158. Imbert
menziona il fatto che il prestito di moneta con interesse si occultava mediante: a) contratti fittizi (come quello di retrovendita o la
cauzione immobiliare); b) clausole penali (che camuffavano il pagamento degli interessi da sanzioni monetarie); c) dichiarazioni
false della somma prestata (il mutuatario si impegnava a consegnare una quantità senza interesse di un importo superiore a quello che
realmente gli era stato prestato in principio); d) operazioni di cambio (nelle quali si includeva un ricarico per interessi); ed e) censi o
rendite costituite (si trattava di rendite vitalizie nelle quali era inclusa non solo una parte corrispondente alla consegna del capitale,
ma anche una parte corrispondente agli interessi). Jean Imbert non menziona espressamente il depositum confessatum che, malgrado
ciò, fu uno dei procedimenti più utilizzati per giustificare la riscossione degli interessi e che possiamo includere nella sua categoria b)
di «clausole penali». Si veda, ugualmente, il riferimento alle «mille maniere ingegnose per dissimulare i tanto pericolosi interessi»
che fa Henri Pirenne nella sua Historia económica y social de la Edad Media, op. cit., pp. 104-105. Esiste una traduzione in italiano
di Maurizio Grasso dal tiolo Storia economica e sociale del Medioevo, Ed. Newton, Milano 1993, op. cit., pp. 150-151.
15
stato denominato depositum confessatum; deposito simulato che, nonostante la dichiarazione delle
parti, non era in alcun modo un vero deposito, ma semplicemente un prestito o un mutuo, in forza
del quale, trascorso il termine prefissato, il presunto depositante reclamava il suo denaro e, nel caso
non gli fosse stato consegnato dal presunto depositario, questi forzava la sua richiesta in mora e,
pertanto, era “condannato” al pagamento dell’interesse in virtù di un concetto apparente (la mora o
il presunto ritardo nella restituzione del prestito) che nulla aveva a che vedere con la sua causa reale
(l’esistenza del prestito). In questo modo, “mascherando” i prestiti da depositi, si riusciva ad
aggirare in maniera quanto mai valida la proibizione canonica dell’interesse, evitando le terribili
sanzioni che la stessa provocava tanto nell’ambito temporale quanto in quello spirituale.
La pratica del depositum confessatum finì per incidere assai negativamente nella dottrina
giuridica sul deposito irregolare di moneta, sottraendole la chiarezza e la purezza di
contenuto con cui era stata costruita nel periodo classico romano e introducendo alcuni
elementi di confusione che si sono mantenuti praticamente fino ai nostri giorni. In effetti,
qualunque fosse la posizione dottrinale in merito al prestito con interesse (rigorosamente
contraria, o “favorevole” entro i limiti del possibile), la trattazione del depositum
confessatum fece sì che i teorici evitassero di distinguere chiaramente tra il deposito
irregolare di moneta e il contratto di prestito o di mutuo. Così, quei canonisti più esigenti e
impegnati a scoprire i prestiti reali ovunque si contrattassero e a condannare l’interesse
che derivasse dai medesimi indipendentemente dalla sua origine o dalla sua forma,
tendevano indebitamente a identificare in modo automatico il contratto di deposito con il
contratto di mutuo, poiché cosí credevano di eliminare la finzione del depositum
confessatum smascherando il mutuo o prestito che pensavano che fosse sempre dietro ad
esso. È qui, precisamente, che si radicò il loro errore: nel pretendere di estendere l’identità
tra depositi irregolari e prestiti al resto delle operazioni che non erano che depositi veri e
propri (in quanto sua causa o motivazione essenziale era il mantenimento della rigida
custodia del tantundem sempre a disposizione del depositante). Dall’altro lato, quelli che
mantennero una posizione relativamente più comprensiva verso i prestiti a interesse,
adoperandosi a cercare formule accettabili per la Chiesa al fine della riscossione degli
interessi, difesero la figura del depositum confessatum, argomentando che, in ultima istanza,
questo non era che un prestito a rischio che, d’accordo con i principi dello stesso Digesto,
dava luogo in maniera giustificata alla riscossione di un interesse.
Come conseguenza di entrambe le posizioni dottrinali, i trattatisti finirono per credere che
l’”irregolarità” nel deposito irregolare di moneta fosse radicata non nel fatto che era depositata in
forma indistinguibile una determinata quantità di bene fungibile (esigendo sempre il mantenimento
continuo della disponibilità del tantundem a favore del depositante), bensì, per l’esattezza, nel fatto
che si mascherasse in forma di deposito un contratto che, in ultima istanza, era sempre un prestito o
un mutuo49. Inoltre, i banchieri, che erano implicati nell’utilizzazione del depositum confessatum
per mascherare sotto forma di deposito i prestiti che ricevevano e per giustificare così il pagamento
illegale degli interessi, finirono per rendersi conto che la dottrina secondo la quale il deposito
49L’identificazione dottrinale tra il deposito irregolare di moneta e il contratto di mutuo o di prestito, che arrivò a prodursi per le
ragioni indicate, fece sì che i differenti trattatisti cercassero quale caratteristica giuridica ci fosse nel deposito irregolare che potesse
coincidere con qualcuna di quelle del mutuo. Fu facile per essi rendersi conto che nel deposito di beni fungibili si «trasferisce» la
«proprietà» in termini rigorosi di ciò che è stato depositato, dato che c’è soltanto l’obbligo di conservare la custodia, mantenere e
restituire in qualsiasi momento un tantundem. Questa caratteristica del trasferimento della proprietà coincide apparentemente con
quella che si verifica nel contratto di prestito o di mutuo, per il quale fu naturale che i trattatisti considerassero, automaticamente, che
ogni deposito irregolare di moneta fosse un mutuo, poiché nello stesso si produceva un «trasferimento» della «proprietà» dal
depositante al depositario. Pertanto, sorvolarono sul fatto trascendentale nel quale c’è una differenza essenziale, come già abbiamo
dimostrato nel capitolo I, tra il deposito irregolare di moneta e quello di mutuo o di prestito, che consiste nella diversa causa o
motivazione del contratto: nel deposito irregolare è preponderante l’obiettivo di tutela o di custodia, e sebbene in un certo senso si
«trasferisca» la «proprietà», non succede così con la disponibilità della cosa, il cui tantundem deve sempre essere conservato in
custodia e mantenuto a disposizione del depositante. Al contrario, nel prestito non solo c’è un trasferimento della proprietà ma anche
un pieno trasferimento della disponibilità (di fatto si scambiano beni presenti contro beni futuri), essendo inoltre presente l’elemento
consustanziale dell’esistenza di un termine durante il quale il prestatore perde la disponibilità e che non esiste nel deposito. Vediamo,
pertanto, come, in modo indiretto, la proibizione canonica dell’interesse diede luogo a ciò che, per colpa della fraudolenta e spuria
istituzione del depositum confessatum, svanirono le differenze essenziali esistenti tra il deposito irregolare di moneta e il mutuo.
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simulava un mutuo o un prestito era per loro altamente utile anche per giustificare l’appropriazione
indebita a loro beneficio perfino del denaro, che per il vero era stato depositato a vista presso di
loro, e non prestato mediante un contratto di mutuo. Pertanto, la proibizione canonica dell’interesse
ebbe l’effetto imprevisto di eliminare la chiarezza dottrinale con cui si era costruita la figura
giuridica del contratto di deposito irregolare di moneta nel mondo romano, introducendo una
confusione che fu utilizzata da tutti per cercare di dare certificato di cittadinanza giuridica
all’appropriazione indebita e all’attività fraudolenta dei banchieri nei contratti di deposito a vista,
venendosi a creare con tutto ciò un’acuta confusione giuridica che non fu più chiarita fino alla fine
del secolo XIX50.
Ora, come illustrazione dello sviluppo del negozio bancario nel Medioevo, studieremo tre casi
concreti: quello delle banche di Firenze nel secolo XIV, quello della Taula de Canvi o Banca di
Deposito di Barcellona del secolo XV e seguenti, e quello della Banca dei Medici. In questi tre casi,
così come nel resto delle banche più significative del basso Medioevo, si riproduce sempre il
medesimo schema che già abbiamo osservato in Grecia e a Roma, cioè: le banche si creano
inizialmente in ossequio ai principi tradizionali del diritto inclusi nel Corpus iuris civilis, ossia, con
un coefficiente di cassa del 100 per cento che garantisce la tutela o la custodia continua del
tantundem a favore del depositante. Dopo, gradualmente, e come risultato dell’avarizia dei
banchieri e della complicità dei governi, questi principi iniziano a essere violati, con i banchieri che
cominciano a fare uso della moneta depositata a vista presso di loro concedendo prestiti, molte volte
ai propri governanti. Questo dà luogo a una banca con riserva frazionaria e all’espansione artificiale
del credito che, in un primo momento, ha effetti apparentemente molto espansivi sull’economia. Per
poi far terminare tutto il processo in una crisi economica generale e nel fallimento delle banche che,
arrivata la recessione, e una volta persa la fiducia del pubblico, non potranno far fronte alla
restituzione immediata dei depositi corrispondenti. Il fallimento finale dei banchieri pare essere
stata la costante storica della loro attività51 quando questa si estendeva all’uso in forma di prestito
50 In effetti, non lo fu fino ai lavori di Pasquale Coppa-Zuccari, che già abbiamo citato, quando tornò a ricostruirsi tutta la teoria
giuridica del deposito irregolare di moneta sulla stessa base con cui era stata elaborata dai trattatisti classici romani, evidenziandosi di
nuovo l’illegittimità dell’appropriazione indebita della moneta depositata a vista nelle banche. Sugli effetti del denominato depositum
confessatum nella trattazione dottrinale dell’istituzione giuridica del contratto di deposito irregolare, Coppa-Zuccari conclude che «le
condizioni legislative dei tempi rendevano fertile il terreno in cui il seme della discordia dottrinale cadeva. Il divieto degli interessi
nel mutuo non valeva per il deposito irregolare. Quale meraviglia dunque se chi aveva moneta da impiegare fruttuosamente lo desse
a deposito irregolare, confessatum se occorreva, e non a mutuo? Quel divieto degli interessi, che tanto addestrò il commercio a
frodare la legge e la cui efficacia era nulla di fronte ad un mutuo dissimulato, conservò in vita questo ibrido istituto, e fece sì che il
nome di deposito venisse imposto al mutuo, che non poteva chiamarsi col proprio nome, perché esso avrebbe importato la nullità del
patto relativo agli interessi». Pasquale Coppa-Zuccari, Il deposito irregolare, op. cit., pp. 59-60.
51 Così, per esempio, Raymond Bogaert menziona che di 163 banche di cui si ha notizia che nacquero a Venecia esistono prove
documentali secondo cui almeno 93 di esse fallirono. Raymond Bogaert, Banques et banquiers dans les cités grecques, op. cit., nota
513, p. 392
52 Come è logico, la violazione da parte dei banchieri dei principi generali del diritto, e l’appropriazione indebita in forma di prestiti
del denaro depositato a vista presso di loro, si effettuava sempre in maniera occulta e vergognosa. E si aveva piena coscienza da parte
dei banchieri dell’illiceità e dell’illegittimità del loro procedere e, inoltre, del fatto che se tutto ciò arrivava ad essere conosciuto dai
loro clienti, si perdeva immediatamente la fiducia nella banca, così che la bancarotta giungeva con ogni probabilità. Questo spiega la
tradizionale segretezza dell’attività bancaria, che assieme al carattere astratto e difficile della comprensione delle transazioni
finanziarie, dà luogo al fatto che persino ai nostri giorni esiste assai poca trasparenza nel settore bancario, e al fatto che la maggior
parte del pubblico continui a misconoscere l’aspetto fondamentale di quello che le banche, più che veri e propri intermediari
finanziari, come sono soliti presentarsi, non sono che meri agenti di creazione espansiva a partir dal nulla di crediti e depositi. Il
carattere vergognoso e, pertanto, segreto dell’attività bancaria è quello che già fu molto ben evidenziato da Knut Wicksell, per il
quale, «in fact, contrary to the original plan, the banks became credit institutions, instruments for increasing the supplies of a
medium of exchange, or for imparting to the total stock of money, an increased velocity of circulation, physical or virtual. Giro
banking continued as before, though no actual stock of money existed to correspond with the total of deposit certificates. So long,
however, as people continued to believe that the existence of money in the banks was a necessary condition of the convertibility of
the deposit certificates, these loans had to remain a profound secret. If they were discovered the bank lost the confidence of the
public and was ruined, specially if the discovery was made at a time when the government was not in a position to repay the
advances». Cfr. Knut Wicksell, Lectures on Political Economy, Volume II: Money, op. cit., pp. 74-75 (p. 257 dell’edizione spagnola
tradotta da F. Sánchez Ramos e pubblicata da Aguilar, Madrid 1947 e a p. 322 dell’edizione italiana pubblicata da UTET, Torino
1950).
53 Si veda, tra gli altri, l’interessante articolo di Reinhold C. Mueller, «The Role of Bank Money in Venice 1300-1500», in
Studi Veneziani, N.S. III, Giardini Editori, Pisa 1979, pp. 47-96. Da parte sua, Carlo M. Cipolla, nel suo notevole lavoro su:
«Il fiorino e il quattrino: La politica monetaria a Firenze nel secolo XIV», pubblicato nel suo libro Il governo della moneta a Firenze e
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della moneta presso di loro depositata a vista. I fallimenti bancari vennero inoltre accompagnati da
un’importante contrazione dell’offerta monetaria sotto forma di crediti e depositi, con la
conseguente e inevitabile recessione economica. Saranno necessari quasi cinque secoli perché i
teorici dell’economia, come vedremo nei capitoli seguenti, siano in grado di comprendere
teoricamente il perché di tutti questi processi52.
Già dalla fine del secolo XII e dall’inizio del XIII si andò sviluppando a Firenze un
incipiente negozio bancario che acquistò grande diffusione nel secolo XIV. Le banche più
importanti furono quelle degli Acciaiuoli, dei Bonaccorsi, dei Cocchi, degli Antellesi, dei
Corsini, degli Uzzano, dei Perendoli, dei Peruzzi e dei Bardi, tra gli altri. Ci sono
testimonianze del fatto che gradualmente, e dall’inizio del secolo XIV, iniziarono a
disporre in modo fraudolento di parte della moneta depositata a vista presso di loro e,
pertanto, a creare dal nulla e in forma espansiva un importante volume di credito53.
Pertanto, non c’è da sorprendersi che dopo un periodo di boom economico artificiale, che
aveva la propria origine nella creazione di mezzi di pagamento sotto forma di espansione
creditizia, giungesse inesorabilmente una profonda recessione, il cui principale detonatore
non fu soltanto l’ingente ritiro di fondi da parte dei principi napoletani, ma anche
l’impossibilità in cui si trovò l’Inghilterra di restituire i suoi prestiti, e il crollo massiccio
del prezzo dei titoli del debito pubblico del governo di Firenze, che era stato finanziato in
maniera speculativa con i nuovi prestiti creati dal nulla dalle banche fiorentine. Si
produsse così una crisi di fiducia generalizzata che fece sì che tutte le banche menzionate
“saltassero”o fallissero negli anni compresi tra il 1341 e il 1346. Il fallimento di queste
banche arrecò danno, come è logico, a tutti coloro i quali avevano depositi presso di loro e
che, a dir molto, e dopo un prolungato periodo di liquidazione, ricevettero soltanto la
metà, un terzo, o perfino un quinto dei propri depositi54. Fortunatamente, esiste una
cronaca sulle circostanze economiche e finanziarie di quel tempo scritta da Villani, e che
ha rispolverato Carlo M. Cipolla. Villani mette in evidenza che nella recessione si produsse
a Milano nei secoli XIV-XVI, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 11-97, afferma anche che «la banca dell’epoca si era già evoluta
fino al punto di creare moneta e aumentare la velocità della sua circolazione» (p. 19-20). Di quest’opera di Carlo M.
Cipolla esiste una traduzione spagnolo dal titolo «El florìn y el quattrino: La política monetaria en Florencia en el siglo
XIV», pubblicato nel suo libro El gobierno de la moneda: ensayos de historia monetaria, traduzione di Juan Vivanco, Editorial
Crítica, Barcellona 1994.
54 Carlo Maria Cipolla, Il governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli XIV-XVI, op. cit., p. 17.
55 Carlo Maria Cipolla, op. cit., p. 13. Si veda, inoltre, il commentario di Boccaccio sugli effetti economici della peste
citato da John Hicks (nota 59 del capitolo V).
56 Anche quando sia accertato che Carlo M. Cipolla faccia un’analisi interpretativa dei fatti storici con una maggior
conoscenza e una maggior applicazione della teoria economica rispetto ad altri trattatisti (come, per esempio, A.P. Usher
o Raymond de Roover, che manifestano la loro «sorpresa» di fronte alle crisi recessive del Medioevo, la cui origine essi
considerano in molte occasioni «misteriosa e inesplicabile»), è da notare come Cipolla applichi la sua analisi, di taglio
monetarista, ai periodi di recessione, da lui considerati risultato di una contrazione dell’offerta monetaria provocata
dalla diminuzione globale del credito. Pertanto, Cipolla non applica la sua analisi al periodo precedente il boom
economico, cadendo quindi, inconsciamente, in un’interpretazione «monetarista» della storia, nella quale il boom
artificiale causato dall’espansione del credito non viene riconosciuto come la vera origine e causa delle successive e
inevitabili recessioni. In quanto all’affermazione di Cipolla secondo cui fu la peste nera quella che, in ultima istanza,
giunse a risolvere il problema di «scarsità» di denaro, è anch’essa altamente discutibile, poiché il problema della
«scarsità» di moneta tende a risolversi in maniera spontanea, senza che sia necessaria una guerra o una pestilenza che
uccida gran parte della popolazione, attraverso la diminuzione generale dei prezzi, ossia del corrispondente aumento del
potere d’acquisto della moneta, che spiega come non sia necessario mantenere a livello individuale saldi di tesoreria
tanto elevati. Per ciò, anche quando non fosse comparsa la peste, il processo recessivo sarebbe presto o tardi terminato
una volta liquidati gli errori di investimento commessi durante il boom, e per effetto dell’aumento del potere d’acquisto
della moneta e della conseguente diminuzione dei saldi di tesoreria a cui ciò dà luogo; processo che, senza dubbio
alcuno, si effettuò parallelamente e indipendentemente dagli effetti che sulla popolazione ebbe la peste nera. Notiamo,
pertanto, come perfino gli storici più formati e perspicaci, come Cipolla, sbagliano parzialmente nel loro giudizio
interpretativo quando lo strumento teorico che utilizzano non è pienamente soddisfacente. E, in ogni caso, continua ad
essere molto significativo che questi teorici sostenitori di un’interpretazione inflazionista della storia continuino a
ricorrere agli «effetti benefici» delle guerre o delle pesti nere quando le considerano la causa essenziale dell’uscita dalle
crisi economiche.
18
una tremenda contrazione nel credito (ciò che egli graficamente chiama mancamento della
credenza, ossia una “scarsità di credito”), che aggravò e rese ancor più difficile la situazione
economica, causando il fallimento a cascata di industrie, botteghe artigiane e negozi.
L’evoluzione di questa recessione economica è stata studiata a fondo da Cipolla che molto
graficamente descrive il percorso dal periodo di boom economico a quello della crisi e della
recessione con le seguenti parole: l’età del “Cantico delle Creature dette via all’età della
Danza Macabra”55. In effetti, secondo Cipolla, la recessione si prolungò fino a che, “grazie”
alle distruzioni causate dalla peste, che fece diminuire drasticamente il volume della
popolazione, la quantità di moneta metallica e bancaria pro capite poté raggiungere un
livello simile a quello preesistente prima della crisi, ponendo così le basi per un’ ulteriore
ripresa56.
La conoscenza della storia della Banca dei Medici si è resa possibile grazie all’impegno e allo
sforzo investigativo di Raymond de Roover che, a sua volta, fu agevolato dalla scoperta nel 1950
degli antichi libri confidenziali (libri segreti) della Banca de’ Medici nell’Archivio di Stato di
Firenze57. Il carattere segreto di questi libri antichi mette in evidenza ancora una volta la poca
trasparenza e il carattere vergognoso dell’attività che svolgevano i banchieri, e alla quale già
abbiamo fatto riferimento nella nota 52, così come al desiderio di molti clienti delle banche italiane
(nobili, principi, perfino lo stesso Papa) di creare i propri depositi in conti di cui non si era a
conoscenza. Fortunatamente, la scoperta di questi libri ha reso possibile conoscere in dettaglio come
funzionava la Banca de’ Medici durante il secolo XV.
Prima di tutto, bisogna segnalare che, all’inizio, la Banca Medici non accettava depositi a vista, ma
soltanto depositi a termine, che altro non erano se non veri e propri mutui o prestiti concessi alla
banca dai suoi clienti e che erano denominati, precisamente per questa ragione, depositi a
discrezione. Il qualificativo di a discrezione indicava che, trattandosi di veri e propri prestiti
costituiti dai supposti “depositanti”, la banca poteva far pieno uso degli stessi e investirli
liberamente almeno fino alla scadenza precedentemente stipulata58. Discrezione era anche il termine
che si utilizzava per denominare l’interesse che pagava la banca ai clienti che le prestavano moneta
sotto forma di “deposito” a scadenza.
L’evoluzione e le vicissitudini specifiche della Banca dei Medici nel corso del secolo della sua
esistenza sono studiate in ogni dettaglio e con gran rigore da Raymond de Roover nel suo libro. Qui
ci interessa soltanto mettere in risalto come, a partire da un determinato momento, la banca iniziò ad
accettare depositi a vista e a usare indebitamente sotto forma di prestiti una parte degli stessi.
Questo fatto è stato provato in maniera documentale grazie ai conti dei libri segreti scoperti, in
alcuni dei quali, corrispondenti al marzo del 1442, si possono leggere alcune annotazioni a margine
nelle quali è indicata, in relazione a ogni deposito a vista, la probabilità stimata che si riteneva
esistesse di dover restituire il corrispondente deposito al cliente59.
Nel bilancio della Banca de’ Medici dell’ufficio di Londra, corrispondente al 12 novembre del
1477, si può leggere come tra i debiti compare già un importo molto significativo di depositi a vista.
Lo stesso Raymond de Roover stima che in un determinato momento le riserve liquide della banca,
57 Raymond de Roover, The Rise and Decline of the Medici Bank 1397-1494, Harvard University Press, Cambridge,
Massachusetts, 1963.
58 «The Medici Bank and its subsidiaries also accepted deposits from outsiders, especially great nobles, church
dignataries, condottieri, and political figures, such as Philippe de Commines and Ymbert de Batarnay. Such deposits
were not usually payable on demand but were either explicitly or implicitly time deposits on which interest, or rather
discrezione, was paid.» Raymond de Roover, The Rise and Decline of the Medici Bank 1397-1494, ob. cit., p. 101.
59 Raymond de Roover, op. cit., p. 213.
60 Raymond de Roover, op. cit., p. 245.
19
in relazione al totale delle sue obbligazioni a vista, si ridussero fino al 50 per cento di esse60, il che
indica, seguendo il medesimo criterio standard che anche prima aveva applicato A.P. Usher, un
coefficiente di espansione creditizia due volte superiore ai depositi a vista ricevuti. Ciò nonostante,
abbiamo indizi secondo cui questo coefficiente stesse peggiorando gradualmente nel corso della vita
della banca, specialmente a partire dall’anno 1464, che è l’anno in cui la banca comincia a
sperimentare problemi via via maggiori. La causa della crisi bancaria ed economica generale che
mandò in rovina la Banca de’ Medici è molto simile a quella che analizzò Carlo M. Cipolla riguardo
alla Firenze del secolo XIV. In effetti, l’espansione creditizia a cui diede luogo l’appropriazione
indebita dei depositi a vista da parte dei banchieri generò un boom artificiale basato sull’aumento
dell’offerta monetaria e sui suoi apparentemente “benefici” effetti a breve termine. Tuttavia,
essendo questo processo dovuto a un aumento dell’offerta monetaria sotto forma di depositi
modellati sulla concessione di crediti che non erano basati su una crescita di risparmio reale, il
processo dovette inevitabilmente ritrarsi, proprio come analizzeremo in dettaglio nei capitoli IV e
seguenti di questo libro. E questo è ciò che successe nella seconda metà del secolo XV nelle grandi
città commerciali dell’Italia. Deplorevolmente, la comprensione in termini di analisi economica del
processo storico che studia Raymond de Roover è meno profonda perfino di quella di Carlo M.
Cipolla, arrivando questi ad affermare che «what caused these general crises remains a mystery»61.
Secondo noi, al contrario, non c’è alcun mistero nel fatto che la Banca de’ Medici finisse per fallire,
come ugualmente accadde al resto delle banche che basarono gran parte dei loro affari sull’attività
bancaria con riserva frazionaria. Nonostante che Raymond de Roover dichiari di non comprendere
perché si produsse la crisi generalizzata alla fine del secolo XV, tuttavia la dettagliata descrizione
storica che fa del periodo finale della Banca de’ Medici riassume tutte le caratteristiche tipiche di
recessione e contrazione creditizia che ineludibilmente sorgono in seguito a un processo di grande
espansione artificiale del credito. Così de Roover spiega come la Banca de’ Medici si vide costretta
a iniziare una politica di contrazione creditizia, esigendo la restituzione dei prestiti e tentando di
aumentare la propria liquidità. Inoltre, ha dimostrato che nella sua fase finale, la Banca de’ Medici
operava con un coefficiente di riserva molto ridotto, inferiore perfino al 10 per centro del totale
delle sue attività e, pertanto, inadeguato a far fronte all’adempimento dei propri obblighi nella fase
recessiva62. Alla fine, la banca Medici finì in fallimento e tutte le sue attività caddero nelle mani dei
suoi creditori, per le stesse ragioni per le quali fallirono anche il resto dei suoi concorrenti, ossia,
per gli inevitabili effetti dell’espansione artificiale e della seguente recessione economica che viene
sempre generata dalla violazione dei principi tradizionali del diritto in relazione al contratto di
deposito irregolare di denaro.
La banca privata nasce a Barcellona in parallelo allo sviluppo di questa attività nelle grandi città
commerciali italiane. È nell’epoca di Jaime I il Conquistatore (1213-1276) quando vengono
derogate le leggi gotiche e romane sullo scambio mercantile e sostituite dagli Usi di Barcellona.
Inoltre, il regolamento completo dell’attività bancaria, con la fissazione di attribuzioni, diritti,
garanti e responsabilità del banchiere, fu elaborato in dettaglio dalle Corti del 1300-1301. Esistono
alcune disposizioni di questo regolamento che sono di grande interesse.
61 «Ciò che causò queste crisi generali continua ad essere un mistero», Raymond de Roover, op. cit., p. 239.
62 Pertanto, nel corso della vita della banca, si andò gradualmente violando il principio tradizionale del diritto che esigeva mantenere
sempre in custodia il 100 per cento dei depositi a vista, di modo che il coefficiente di riserva si ridusse in forma continuata: «A
perusal of the extant balance sheets reveals another significant fact: the Medici Bank operated with tenuous cash reserves which were
usually well below ten percent of total assets. It is true that this is a common feature in the financial statements of medieval
merchant-bankers, such as Francesco Datini and the Borromei of Milan. The extent to which they made use of money substitutes is
always a surprise to modern historians. Nevertheless, one may raise the question whether cash reserves were adequate and whether
the Medici Bank was not suffering from lack of liquidity.» Raymond de Roover, The Rise and Decline of the Medici Bank 1397-
1494, ob. cit., p. 371.
20
Così, ad esempio, il 13 febbraio dell’anno 1300 si stabilì che qualunque banchiere fosse fallito
sarebbe stato dichiarato infame mediante uno strillone pubblico lungo tutta la città di Barcellona,
nonché punito a mantenersi con una stretta dieta a pane e acqua fino a che non restituisse ai suoi
creditori l’intero importo dei suoi depositi63. Inoltre, un anno dopo, il 16 maggio del 1301, fu
stabilito l’obbligo di ottenere avalli e garanzie da terzi per svolgere l’attività bancaria, di modo che
coloro i quali la esercitavano senza presentare tali avalli non potessero mettere una tovaglia sul loro
tavolo di banchieri, al fine di far vedere a tutti che non avevano la stessa solvibilità di coloro che
avevano ottenuto avalli e, pertanto, avevano la tovaglia. Qualsiasi persona che non ottemperasse a
questa disposizione (ossia, che esercitasse l’attività bancaria senza avalli utilizzando una tovaglia)
veniva condannata per il reato di frode o di truffa64. In virtù di queste disposizioni, è chiaro che in
questo periodo iniziale il sistema bancario di Barcellona tendesse a essere abbastanza solvibile e ad
adempiere i principi essenziali del diritto in relazione al contratto di deposito bancario di moneta.
Tuttavia, esistono indizi che all’improvviso, e nonostante tutto, i banchieri privati
iniziarono ad agire in maniera fraudolenta, e fu per ciò che il 14 agosto del 1321 viene
modificato il regolamento corrispondente ai casi di fallimento delle banche, stabilendosi
che quelli che non faranno fronte ai propri obblighi con carattere immediato saranno
dichiarati in bancarotta e, nel caso in cui non ripaghino i propri debiti entro il termine
massimo di un anno, cadranno nella pubblica infamia, che sarà comunicata mediante un
banditore nei luoghi più importanti della Catalogna, e immediatamente dopo saranno
decapitati proprio davanti al loro tavolo e, la loro proprietà venduta attraverso la
giurisdizione ordinaria del luogo in cui vivevano al fine di far fronte ai propri obblighi
verso i creditori. C’è da mettere in risalto che questo è uno dei pochi esempi storici in cui
le autorità pubbliche si preoccupano di difendere in maniera effettiva i principi generali
del diritto di proprietà in relazione al contratto di deposito bancario di moneta, e benché
supponiamo che la maggior parte dei banchieri catalani che fallivano si adoperassero a
fuggire o a soddisfare i propri crediti nel termine massimo di un anno, ci sono prove
documentali secondo cui almeno uno di essi, come Francesch Castello, venne decapitato
proprio davanti alla sua banca nell’anno 1360, proprio come la legge comandava65.
Nonostante tutte queste sanzioni, c’è una costanza nel fatto che il livello di liquidità delle banche
era inferiore a quello dei depositi a vista che ricevevano, per cui fallirono in massa nel secolo XIV,
nella stessa recessione economica e creditizia che devastò il mondo finanziario italiano, e che è stata
studiata da Carlo M. Cipolla. Benché ci siano indizi che la Banca catalana resistette un po’ meglio
di quella italiana (le terribili pene in caso di frode ebbero senza dubbio alcuno un effetto benefico
relativamente ai coefficienti di riserva, rendendoli più elevati), esistono prove documentali secondo
le quali alla fine le banche catalane finirono anch’esse per non rispettare generalmente i propri
obblighi. Così, nel marzo del 1397 fu necessario promulgare una disposizione specifica, quando il
pubblico iniziò a lamentarsi del fatto che i banchieri adducessero verso i propri clienti ogni tipo di
pretesto, che si mostrassero reticenti al momento di restituire le somme che erano state consegnate
loro in custodia, che dicessero loro di “tornare più tardi” e, infine e con molta fortuna, pagassero
63 A.P. Usher, The Early History of Deposit Banking in Mediterranean Europe, op. cit., p. 239.
64 A.P. Usher, op. cit., p. 239.
65 A.P. Usher, op. cit., pp. 240 y 242. In seguito ai recenti scandali e crisi bancarie che hanno avuto luogo nel nostro
paese, qualcuno potrebbe scherzosamente porsi il quesito se non sarebbe conveniente reintrodurre contro i banchieri
fraudolenti pene di gravità paragonabile a quelle che si stabilirono nella Catalogna del secolo XIV. E secondo quanto mi
indica la mia alunna Elena Sousmatzian, nella recente crisi bancaria che ha devastato il Venezuela, una senatrice del
Partito Social-Cristiano Copei arrivò perfino a suggerirlo «seriamente» in alcune dichiarazioni alla stampa, di certo con
considerevole ricettività tra i depositanti colpiti.
66 A.P. Usher, op. cit., p. 244.
67 «In February 1468, after a long period of strain, the Bank of Deposit was obliged to suspend specie payments
completely. For all balances on the books at that date annuities bearing interest at 5 percent were issued to depositors
willing to accept them. Those unwilling to accept annuities remained creditors of the bank, but they were not allowed to
withdraw funds in cash.» A.P. Usher, op. cit., p. 278.
21
solo con piccole monete frazionarie di poco valore e mai con l’oro presso di loro depositato
originariamente66.
La crisi bancaria del secolo XIV, invece di portare a un incremento del controllo e della difesa dei
corrispondenti diritti di proprietà dei depositanti, provocò l’apparizione di una banca pubblica
municipale, la Taula de Canvi o Banca di Deposito di Barcellona, creata con la finalità di accettare
depositi e finanziare con essi le spese comunali e l’emissione dei titoli del debito pubblico della
città di Barcellona. Pertanto, vediamo come la Taula de Canvi risponde al modello tradizionale
di banca creata dalle autorità pubbliche per approfittare direttamente dei benefici
fraudolenti dell’attività bancaria. A.P. Usher ha studiato in dettaglio la vita di questa
banca che, come era da prevedere, finì per sospendere i pagamenti nel febbraio del 1468,
dopo aver utilizzato una parte importante delle sue riserve nella concessione di prestiti
allo stesso Comune barcellonese, e non potendo far fronte al ritiro dei fondi in moneta
metallica da parte dei suoi depositanti67. A partire da questa data, la banca venne
riorganizzata e gradualmente fu dotata di privilegi sempre maggiori, come la concessione
in regime di monopolio di tutti i depositi derivati da confische e sequestri giudiziari, che
godevano di una permanenza in tal modo assicurata, e potevano servire come garanzia
collaterale per finanziare la città. Dovevano inoltre essere versati e immobilizzati nella
Taula, con carattere monopolistico, i ricorsi provenienti da tutti i depositi esecutivi, tutelari
e testamentari68.
4
LE BANCHE ALL’EPOCA DI CARLO V E LA DOTTRINA
DELLA SCUOLA DI SALAMANCA SUL NEGOZIO BANCARIO69
L’analisi dell’attività bancaria durante gli anni del regno di Carlo V è paradigmatico per varie
ragioni. In primo luogo, perché l’affluenza massiccia di metalli preziosi provenienti dall’America
fece sì che il centro di gravità economico si trasferisse, almeno temporaneamente, dalle città
commerciali del nord dell’Italia verso la Spagna, e concretamente a Siviglia e al resto delle fiere
commerciali spagnole. In secondo luogo, perché le costanti necessità di tesoreria di Carlo V,
risultato della sua politica imperiale, lo portarono a finanziarsi continuamente attraverso il sistema
bancario, approfittandosi, con assai pochi scrupoli, della liquidità che il medesimo gli forniva, e
rafforzando al massimo la tradizionale complicità tra governanti e banchieri che fino ad allora, in
maniera più dissimulata, si era già convertita in una regola. Inoltre, Carlo V non poté evitare la
bancarotta del patrimonio reale, il che ebbe conseguenze molto negative, come è logico,
sull’economia spagnola in generale, e in particolare sui banchieri che l’avevano finanziato. Tutti
questi fatti fecero sì che le menti più esperte dell’epoca, quelle dei teorici della Scuola di
68 È dimostrato documentalmente che nel 1433 almeno il 28 per cento dei depositi della Taula de Canvi di Barcellona
provenivano dai sequestri coatti di origine giudiziale che si depositavano nella banca e avevano una gran stabilità. Si
veda A.P. Usher, ob. cit., p. 339, e Charles P. Kindleberger, op. cit., p. 68. In ogni caso, il coefficiente di cassa andava
peggiorando, fino alla sospensione dei pagamenti del 1464. Dopo il riassetto della Taula in questa data, la Banca di
Deposito di Barcellona mantenne una vita finanziaria languida nel corso dei trecento anni seguenti, grazie ai privilegi
che mantenne per quanto riguarda i depositi giudiziali e ai limiti che furono stabiliti ai prestiti alla città. La banca
scomparve poco dopo l’arrivo dei Borboni nella Barcellona distrutta il 14 settembre del 1714, venendo assorbita da una
nuova banca i cui statuti furono elaborati il 14 gennaio del 1723 dal Conte di Montemar e che costituirono l’essenza della
Banca di Deposito fino alla sua liquidazione finale e definitiva nell’anno 1853.
69 Una versione inglese di questo paragrafo è apparsa in Jesús Huerta de Soto, «New Light on the Prehistory of the
Theory of Banking and the School of Salamanca», The Review of Austrian Economics, vol. 9, n.º 2, 1996, pp. 59-81.
70 Ramón Carande, Carlos V y sus banqueros, 3 volumi, Editorial Crítica, Barcelona e Madrid 1987.
22
Salamanca, cominciassero a riflettere sulle attività finanziarie e bancarie delle quali furono
testimoni, per le quali disponiamo di una serie di analisi di grande valore che è necessario studiare
in dettaglio. In seguito tratteremo in successione ognuno di questi aspetti.
Lo sviluppo delle banche a Siviglia
Grazie ai lavori di Ramón Carande70, conosciamo con un certo dettaglio lo sviluppo della banca
privata a Siviglia durante gli anni di Carlo V. Lo stesso Carande spiega che la sua indagine venne
facilitata quando si scoprì la relazione dei banchieri preparata in occasione della confisca dei metalli
preziosi portata a termine nell’anno 1545 da parte della Casa de Contratación di Siviglia. La cattiva
situazione delle finanze pubbliche fece sì che Carlo V, contro i più elementari principi del diritto,
ricorresse a impossessarsi del denaro laddove esso si trovava: depositato nelle casse dei banchieri
sivigliani. È certo che questi banchieri, come poi vedremo, violavano anch’essi i principi del diritto
in relazione al contratto di deposito irregolare e utilizzavano gran parte dei depositi ricevuti per le
loro attività particolari. Ma non meno certo è il fatto che la politica imperiale di impossessarsi
direttamente delle giacenze di moneta che si trovavano nei depositi, incentivava sempre più,
facendone perfino un fatto abituale, l’attività bancaria di investire sotto forma di prestiti la maggior
parte dei depositi ricevuti: se, in ultima istanza, non esisteva nessuna garanzia del fatto che i poteri
pubblici avrebbero rispettato la parte di riserva in moneta metallica conservata nelle banche, e la
stessa esperienza dimostrava che in epoca di difficoltà l’imperatore non esitava a impossessarsi
della medesima sostituendola con prestiti forzosi alla corona, tanto valeva destinare la maggior
parte dei depositi in prestiti al commercio e all’industria privati che evitavano l’espropriazione e
assicuravano una redditività molto maggiore.
In ogni caso, questa politica di confisca è forse la manifestazione più estrema della tradizionale
politica delle autorità pubbliche di trarre beneficio dai risultati dell’attività bancaria, espropriando
gli attivi di coloro i quali, in virtù degli obblighi derivanti dal diritto, dovrebbero custodire e tutelare
al meglio i depositi altrui. È comprensibile, pertanto, che i governanti, nel momento in cui sono i
primi beneficiari dell’attività bancaria, finissero per giustificarla concedendole tutti i tipi di privilegi
perché continuasse ad operare con un coefficiente di riserva frazionaria al margine dei principi
generali del diritto.
Ramón Carande, nella sua opera (magna) su Carlo V e i suoi banchieri, mette concretamente in
relazione i banchieri più importanti della Siviglia di Carlo V agli Espinosa, a Domingo de
Lizarrazas, a Pedro de Morga e ad altri banchieri meno importanti come Cristóbal Francisquín,
Diego Martínez, Juan Íñiguez e Octavio de Negrón. Tutti costoro finirono inesorabilmente per
fallire, fondamentalmente per mancanza di liquidità per far fronte al ritiro dei depositi collocati a
vista presso di loro, il che dimostra che operavano con un coefficiente di riserva frazionaria, grazie
alla licenza o al privilegio che avevano ottenuto dal comune di Siviglia e dallo stesso Carlo V71.
Non abbiamo informazioni sulla percentuale a cui ammontavano le loro riserve, però si sa che in
molte occasioni investivano in affari particolari collegati all’armata di navi per il commercio con
l’America, nell’appalto della riscossione delle tasse, etc., che costituivano sempre un’enorme
tentazione, poiché quando avventure tanto rischiose andavano normalmente bene, conseguivano
grandi profitti. Inoltre, come abbiamo detto, le successive confische di metalli preziosi depositati
presso i banchieri non fecero che incentivare sempre più il comportamento illegittimo di questi.
Così, gli Espinosa fallirono nell’anno 1579 facendo finire in carcere i loro soci principali. In quanto
71 Non conobbero miglior sorte le banche spagnole nel secolo XVII: «Risulta che agli inizi del secolo XVII esistessero
banche nella corte, a Siviglia, a Toledo e a Granada. Poco dopo l’anno 1622, Alejandro Lindo si lamentò del fatto che non
se ne conservasse nessuno, essendo fallito l’ultimo che aveva a Siviglia, Jacome Matedo». M. Colmeiro, Historia de la
economía política española, tomo II (1863), Fundación Banco Exterior, Madrid 1988, p. 342.
72 Alla fine, con molti sforzi, riuscì a raccogliere circa duecentomila ducati, e dire che, secondo quanto scrisse, «temo di
fornire il pretesto a che tutte le banche di Siviglia falliscano». Cfr. Ramón Carande, Carlos V y sus banqueros, op. cit., vol. I,
pp. 299-323, e specialmente le pp. 315-316, che si riferiscono alla visita di Gresham a Siviglia.
23
a Domingo de Lizarrazas, il suo fallimento si consumò l’11 marzo del 1553, quando non poté far
fronte al pagamento di più di sei milioni e mezzo di maravedís. E Pedro de Morga, che cominciò le
sue operazioni nell’anno 1553, fallì nel 1575, con la seconda bancarotta di Filippo II. La stessa sorte
toccò al resto dei banchieri meno importanti, essendo a tal riguardo molto curiosa la presenza e il
commento di Thomas Gresham, che andò a Siviglia con l’istruzione di ritirare trecentoventimila
ducati in moneta metallica, per la quale aveva ottenuto la necessaria autorizzazione dall’Imperatore
e dalla regina María. Gresham si meraviglia nell’osservare che proprio nella città collettrice dei
tesori delle Indie esistesse tanta scarsità di moneta, così come nelle fiere, e temeva che ritirando i
fondi degli ordini che portava sospendessero i pagamenti tutte le banche della città72. È spiacevole
che lo strumento analitico di Ramón Carande lasci tanto a desiderare e che il suo studio
interpretativo del fallimento di queste banche si basi principalmente su spiegazioni di tipo
aneddotico, come quella derivante dall’”avidità” di metalli, che costantemente metteva in crisi la
solvibilità dei banchieri, la realizzazione da parte di essi di affari personali rischiosi che arrecavano
continuamente situazioni di grave difficoltà (armamento di navi, commercio di navigazione
d’oltremare, operazioni di assicurazione, speculazioni diverse, etc.), così come le ripetute confische
e necessità di liquidità da parte della finanza reale. In nessun luogo si menziona come vera causa del
fenomeno l’inevitabile recessione e crisi economica che produsse il periodo di boom artificiale
causato dall’inflazione di metalli preziosi provenienti dall’America e dall’espansione artificiale del
credito, senza la base di risparmio reale sufficiente, dovuta all’esercizio dell’attività bancaria con un
coefficiente frazionario di riserva.
Fortunatamente, Carlo M. Cipolla ha coperto, almeno in parte, questa lacuna teorica di Ramón
Carande e ha compiuto uno studio interpretativo delle crisi bancaria ed economica della seconda
metà del secolo XVI che, benché riferita strettamente alle banche italiane, è direttamente applicabile
anche al sistema finanziario spagnolo, poiché i circuiti e i flussi commerciali e finanziari di questa
epoca tra l’una e l’altra nazione erano intimamente interrelati73. Cipolla spiega che l’offerta
monetaria (quello che oggi è denominata M1 o M2) comprendeva, già nella seconda metà del
secolo XVI, un elevato importo di “moneta bancaria” o depositi bancari creati dal nulla dai
banchieri che non mantenevano in custodia il 100 per cento della moneta metallica depositata a
vista presso di loro. Questo dette luogo a un periodo di fioritura economica artificiale che subì
un’inversione a partire dalla seconda metà del secolo XVI quando i depositanti cominciarono a
sperimentare con timore difficoltà economiche crescenti e sorsero i primi fallimenti dei banchieri
più importanti di Firenze.
Questa fase espansiva ebbe inizio in Italia, secondo Cipolla, ad opera dei dirigenti della Banca
Ricci, che utilizzarono una parte molto importante dei loro depositi per comprare fondi pubblici e
concedere crediti. Questa politica di espansione creditizia avrebbe dovuto trascinare le altre banche
private per la stessa via, se avessero voluto essere competitive e conservare i propri benefici e le
proprie partecipazioni sul mercato. Si produce così un’euforia creditizia che dà luogo a un periodo
di grande espansione artificiale che subito comincia a invertirsi. Così, nel 1574 possiamo leggere un
bando nel quale si accusano i banchieri di rifiutarsi di restituire in moneta metallica i depositi e si
denuncia il fatto che “pagavano solo con inchiostro”. Hanno sempre più difficoltà a restituire i
73 Si veda l’articolo di Carlo M. Cipolla «La Moneta a Firenze nel secolo XVI», pubblicato ne El Gobierno y la moneda:
ensayos de historia monetaria, op. cit., pp. 11-142, specialmente le pp. 96 y ss. L’intima relazione commerciale e finanziaria
tra Spagna e Italia nel secolo XVI è molto ben documentata da Felipe Ruiz Martín, Pequeño capitalismo, gran capitalismo:
Simón Ruiz y sus negocios en Florencia, Editorial Crítica, Barcelona 1990.
74 Cipolla segnala come la Banca di Ricci, a partire dagli anni settanta non fu più capace di soddisfare la richiesta di
pagamento in moneta metallica e de facto sospese i pagamenti, pagando semplicemente «con inchiostro» o «con polizze
di banca». Le autorità di Firenze, fermandosi soltanto ai sintomi e pretendendo di risolvere in un modo tipicamente
volontarista mediante semplici ordinanze questa preoccupante situazione, imposero ai banchieri l’obbligo di «contare» o
pagare in moneta metallica i propri creditori senza alcun ritardo, ma senza diagnosticare né attaccare le cause essenziali
del fenomeno (l’appropriazione indebita dei depositi sotto forma di prestiti e l’inadempimento di un coefficiente di cassa
del 100 per cento), per il quale le successive ordinanze promulgate fallirono e la crisi andò aggravandosi in maniera
graduale fino a che esplose in tutta la sua virulenza a metà degli anni settanta del secolo XVI. Si veda Carlo M. Cipolla,
«La moneta a Firenze nel secolo XVI», op. cit., pp. 249-250.
24
depositi in moneta metallica e nelle città veneziane inizia a notarsi un’importante scarsità di
moneta. Gli artigiani non possono ritirare i propri depositi, né pagare i propri debiti e si produce una
forte contrazione del credito (ossia, una deflazione) e una profonda crisi economica che Cipolla
analizza dettagliatamente nel suo interessante lavoro. L’analisi di Cipolla è, pertanto, più
consistente dal punto di vista teorico di quella di Ramón Carande, sebbene nemmeno essa sia del
tutto adeguata, poiché pone l’accento più sulla crisi e sul periodo di contrazione creditizia che sulla
fase precedente di espansione artificiale del credito, nella quale si trova la vera origine dei mali.
Questa, a sua volta, ha la sua origine nell’inadempimento, da parte dei banchieri, dell’obbligo di
custodire e mantenere intatto il 100 per cento del tantundem o dell’equivalente dei depositi
ricevuti74.
Furono importanti, a livello internazionale, anche le relazioni che mantenne Carlo V con i Fúcares
o membri della Banca Fugger durante tutto il suo regno. I Fugger di Asburgo cominciarono
l’esercizio della loro attività come commercianti di lana e argento, così come scambiando pepe e
altre spezie con Venezia. Successivamente si dedicarono alle attività bancarie, arrivando ad avere
diciotto stabilimenti o succursali in tutta Europa. Attraverso la concessione di prestiti aiutarono
l’elezione di Carlo V a imperatore e, in seguito, lo finanziarono in numerose occasioni con la
garanzia dei carichi di argento ricevuti dall’America, così come con l’appalto degli introiti fiscali
della corona. Rimasero collassati e per poco non fallirono nel 1557 quando Filippo II sospese de
facto i pagamenti a tutti i creditori della corona, nonostante continuassero ad essere gli appaltatori
delle imposte fino al 163475.
75 Forse Ramón Carande ha studiato meglio di chiunque altro la relazione della Banca Fugger con Carlo V nella sua opera Carlos V
y sus banqueros, già citata. D’altra parte, occorre menzionare anche lo studio di Rafael Termes Carreró intitolato Carlos V y uno de
sus banqueros: Jacobo Fugger, Asociación de Caballeros del Monasterio de Yuste, Madrid 1993. Tra le molte altre notizie di
interesse, Rafael Termes segnala che una reliquia della predominante posizione dei Fugger come banchieri di Carlo V in Spagna è
che «a Madrid esiste la calle de Fúcar, il cui nome era stato spagnolizzato perfino nel linguaggio epistolare, e che sta tra la calle de
Atocha e quella de Moratín. D’altra parte, nel Diccionario de la Real Academia figura, al giorno d’oggi, la voce fúcar con il
significato di ‘uomo molto ricco e facoltoso’.» Si veda la op. cit., p. 25.
76 Tra gli altri, i seguenti autori hanno studiato recentemente i contributi degli scolastici spagnoli alla teoria economica:
Murray N. Rothbard, «New Light on the Prehistory of the Austrian School», in The Foundations of Modern Austrian
Economics, Edward G. Dolan (ed.), Sheed & Ward, Kansas City 1976, pp. 52-74; e An Austrian Perspective on the History of
Economic Thought, vol. I: Economic Thought before Adam Smith, Edward Elgar, Aldershot 1995, cap. 4, pp. 97-133 (edizione
spagnola, Unión Editorial, Madrid 1999); Lucas Beltrán, «Sobre los orígenes hispanos de la economía de mercado», in
Ensayos de economía política, Unión Editorial, Madrid 1996, pp. 234-254; Marjorie Grice-Hutchinson, The School of
Salamanca: Readings in Spanish Monetary Theory 1544-1605, Clarendon Press, Oxford 1952; El pensamiento económico en
España (1177-1740), tradotto dall’inglese da Carlos Rochar y Joaquín Sempere, Editorial Crítica, Barcelona 1982, e Ensayos
sobre el pensamiento económico en España, Laurence S. Moss y Christopher K. Ryan (eds.), versione spagnola di Carlos
Rodríguez Braun e María Blanco González, Alianza Editorial, Madrid 1995; Alejandro A. Chafuen, Economía y ética: raíces
cristianas de la economía de libre mercado, Editorial Rialp, Madrid 1986, tradotto in italiano da Cristina Ruffini con il titolo
Cristiani per la libertà: le radici cattoliche dell’economia di mercato, Liberilibri, Macerata, 1999; y Jesús Huerta de Soto, «New
Light on the Prehistory of the Theory of Banking and the School of Salamanca», The Review of Austrian Economics, vol. 9,
n.º 2, 1996, pp. 59-81. L’influenza intellettuale dei teorici spagnoli della Scuola di Salamanca sulla Scuola Austriaca non è,
d’altro lato, una mera coincidenza o un puro capriccio della storia, ma ha la sua origine e ragione di essere nelle intime
relazioni storiche, politiche e culturali che a partire da Carlo V e suo fratello Fernando I nacquero tra Spagna e Austria e
che dovranno mantenersi nel corso di vari secoli. In queste relazioni, inoltre, giocò un ruolo importantissimo anche
l’Italia, che agì da vero e proprio ponte culturale, economico e finanziario attraverso il quale fluivano le relazioni tra
entrambi gli estremi dell’Impero (Spagna e Vienna). In tal senso si deve consultare l’interessante libro di Jean Berenger El
Imperio de los Habsburgo, 1273-1918, Editorial Crítica, Barcelona 1993, specialmente pp. 133-335. Ciò nonostante, in tutti
questi lavori è stata prestata molto poca attenzione allo studio della dottrina degli scolastici in relazione al negozio
bancario. Marjorie Grice-Hutchinson fa qualche riferimento riprendendo praticamente in forma letterale il breve
contributo di Ramón Carande su questo tema (Si veda The School of Salamanca, op. cit., pp. 7-8). Da parte sua, Ramón
Carande, in Carlos V y sus banqueros, si limita a riprendere le osservazioni di Tommaso del Mercato sul negozio bancario
nelle pp. 297-298 del suo volume I. Maggior profondità ha l’analisi di Alejandro A. Chafuen, che almeno riprende le
opinioni di Luis de Molina sull’attività bancaria ed espone la questione su fino a che punto gli scolastici della Scuola di
Salamanca accettassero o no l’esercizio dell’attività bancaria con un coefficiente di riserva frazionaria (Si vedano
specialmente le pp. 159 y 200 del suo libro su Economía y ética). Altri lavori di interesse sono quelli di Restituto Sierra
Bravo, El pensamiento social y económico de la Escolástica desde sus orígenes al comienzo del catolicismo social, Consiglio
Superiore di Indagini Scientifiche, Istituto di Sociologia «Balmes», Madrid 1975, nel cui volume I (pp. 214-237) si fa
un’analisi sui contributi dei membri della Scuola di Salamanca sul negozio bancario, fornendo una versione che secondo
la nostra opinione è abbastanza parziale. D’accordo con questa versione, alcuni teorici della Scuola, come Domingo de
Soto, Luis de Molina e perfino lo stesso Tommaso del Mercato, tesero ad accettare l’esercizio dell’attività bancaria con un
25
La Scuola di Salamanca e il negozio bancario
coefficiente di riserva frazionaria, senza che si menzionassero i lavori di altri membri della Scuola che, con maggior
fondamento teorico, mantennero un’opinione radicalmente contraria. Lo stesso commento si può fare in relazione ai
riferimenti compiuti da Francisco G. Camacho nelle prefazioni che ha scritto alle differenti traduzioni in castigliano delle
opere di Luis de Molina, e in concreto nella sua «Introduzione» a La teoría del justo precio, Editora Nacional, Madrid 1981
(specialmente si devono consultare le pp. 33-34). Su questa versione la dottrina, secondo la quale alcuni teorici della
Scuola di Salamanca accettarono ipoteticamente l’esercizio dell’attività bancaria con un coefficiente di riserva frazionaria,
ha avuto grande influenza l’articolo di Francisco Belda, S.J. titulado «Ética de la creación de créditos según la doctrina de
Molina, Lessio y Lugo», pubblicato in Pensamiento, n.º 19, año 1963, pp. 53-89. Per le ragioni che indichiamo nel testo e
che studieremo con maggior dettaglio nel paragrafi 1 del capitolo VIII, non siamo d’accordo con l’interpretazione che
questi autori fanno della dottrina della Scuola di Salamanca in relazione al negozio bancario.
77 Saravia de la Calle, Instrucción de mercaderes, op. cit., p. 180.
78 Saravia de la Calle, op. cit., p. 181.
79 Saravia de la Calle, op. cit., p. 195.
80 Saravia de la Calle, op. cit., p. 196.
81 Saravia de la Calle, op. cit., p. 197.
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banchieri, affidando loro in deposito la propria moneta e pretendendo poi di ottenere interessi dagli
stessi (banchieri), con le seguenti istruttive parole: “non li libera dalla colpa, almeno veniale, per
affidare il deposito della propria moneta a chi sa che non ha da custodirgli il suo deposito, ma ha da
spendergli il suo denaro, come chi affida la donzella al lussurioso e il mangiare al goloso”.81 E a
nulla vale che il depositante tranquillizzi la sua coscienza pensando che il banchiere presterà o
utilizzerà la moneta di altri ma non la sua, poiché se “si crede nella probabilità che custodirà quella
moneta del deposito e non guadagnerà con essa; e questa probabilità non si può avere da alcuno di
questi usurai, piuttosto il contrario, che dopo l’ha da dare a strozzo, maneggiare e accumulare con
esso, perché coloro che danno a sette o dieci per cento a quelli che danno denaro per guadagnarci,
come lasceranno stare oziose queste monete che in essi così si mettono in deposito? E anche se
fosse ampiamente accertato che tu non pecchi(la qual cosa non si verifica, anzi avviene il contrario),
è assai certo che l’usuraio pecca guadagnando con le tue monete, e sottrae la ricchezza del tuo
prossimo con le tue monete”82. È chiarissima, pertanto, la dottrina di Saravia de la Calle, nel senso
che l’utilizzazione a proprio beneficio mediante la concessione di prestiti della moneta che è
depositata a vista presso i banchieri è illegittima e comporta un grave peccato, dottrina che, come
abbiamo visto, coincide con quella che originariamente fu stabilita dagli autori classici del diritto
romano, e che deriva naturalmente dall’essenza, causa e natura giuridica proprie del contratto di
deposito irregolare di moneta, che già abbiamo studiato nel capitolo I.
Saravia de la Calle spiega, anche in maniera grafica, i benefici sproporzionati che ottengono i
banchieri mediante il loro illegittimo procedere ad appropriarsi dei depositi dei loro depositanti,
invece di accontentarsi della più ridotta remunerazione che riceverebbero dalla semplice tutela o
custodia dei depositi come buoni padri di famiglia. Vediamo in che maniera tanto istruttiva si
esprime: “E giacché ricevete salario, dovrebbe essere moderato, con il quale vi sostentate, e non
tanto eccessivi furti con cui fate case superbe e comprate ricche eredità, avete eccessive spese di
famiglia e domestici, e fate grandi banchetti e vestite in maniera tanto costosa, specialmente
(considerando) che quando vi sedeste al tavolo per lucrare eravate poveri e lasciaste mestieri
poveri.”83. Inoltre, Saravia de la Calle indica come i banchieri siano molto propensi a fallire,
compiendo perfino una sommaria analisi teorica che mette in evidenza come dopo la fase espansiva
alla quale dà luogo un’espansione artificiale dei crediti concessi da questi “usurai”, giunge
inevitabilmente una fase recessiva nella quale i mancati pagamenti fanno fallire le banche a catena.
E aggiunge che “come il mercante non paga il lucro, lo fa fallire, e così si alza e tutto si perde, e di
tutto questo, come è noto sono principio e occasione e perfino causa questi usurai, perché se non ci
fossero, ognuno tratterebbe con il proprio denaro in ciò che potesse e non in piú, e cosí varrebbero
le cose nel giusto prezzo e non si caricherebbero piú di quanto vale il denaro contante. E per questo
sarebbe assai profittevole cosa che i prìnicipi non lo consentissero in Spagna, poiché nessun’altra
nazione del mondo li consente, e scaccino questa pestilenza dalla loro corte e dal loro regno”84.
Come già sappiamo, non è certo che nelle altre nazioni le autorità abbiano ottenuto più successo che
in Spagna al momento di controllare l’attività dei banchieri, ma più o meno da tutte le parti accadde
la stessa cosa, e i governanti finirono per concedere privilegi affinché i banchieri operassero
utilizzando a proprio beneficio il denaro dei loro depositanti, in cambio della possibilità di
approfittare anch’essi stessi di un sistema bancario dal quale ottenevano un finanziamento molto più
facile e rapido di quello che derivava loro dalle imposte.
Come conclusione della sua analisi, Saravia de la Calle afferma che in “nessuna maniera
deve il cristiano dare le sue monete a questi usurai, perché se pecca nel darli come sempre
pecca, ha da lasciarlo come peccato proprio; e se non si pecca, perché non pecchi
l’usuraio”. E inoltre, aggiunge che se non si utilizzano i banchieri si otterrà il vantaggio
addizionale dovuto al fatto che i depositanti “non si leveranno di soprassalto se salta il
27
detto usuraio; se fallisce, come lo vediamo tanto comunemente e così permette Nostro
Signore Dio, che come cosa mal guadagnata si perdano essi e i loro proprietari”85. Come
vediamo, l’analisi di Saravia de la Calle, a parte il suo ingegno e il suo humor, è
impeccabile e non cade in alcuna contraddizione, salvo forse nell’insistere troppo nella sua
critica ai banchieri più per il fatto che percepiscano e paghino interessi contro la
proibizione canonica dell’usura, che per l’appropriazione indebita dei depositi a vista a
loro affidati dai clienti.
Un altro trattatista che analizza il contratto di deposito irregolare di moneta è Martín de
Azpilcueta, più conosciuto come il “Dottor Navarro”. Nel suo libro Comentario resolutorio
de cambios, pubblicato per la prima volta a Salamanca alla fine del 1556, Martìn de
Azpilcueta si riferisce, espressamente, allo “scambio contro custodia” che è l’operazione di
deposito a vista di moneta che effettuano le banche. Quindi, per Martín de Azpilcueta, lo
scambio contro custodia o contratto di deposito irregolare è pienamente giusto e consiste
nel fatto che il banchiere cambista sia “custode, depositario e garante delle monete, che gli
daranno o che scambieranno contro ciò di cui avranno necessità, coloro che gliele danno o
inviano ; e che sia obbligato a pagare i mercanti, o le persone, che i depositanti vorranno
indicare, in modo tale [per cui] possono lecitamente riscuotere il loro giusto salario, o
quello della comunità, o delle parti depositanti; perché questa professione e questa carica è
utile alla repubblica e non contiene iniquità alcuna poiché è giusto che colui che lavora
guadagni il suo compenso giornaliero. E il suddetto banchiere lavora ricevendo, tenendo
in deposito e in maniera idonea il denaro di tanti mercanti, e scrivendo, calcolando e
portando conti con gli uni e con gli altri, con parecchio imbarazzo, e a volte con pericolo di
errore di conti e di altre cose. Lo stesso si potrebbe fare per un contratto con cui qualcuno
si obbligasse, verso gli uni e verso gli altri, a ricevere e tenere il loro denaro in deposito, a
calcolare, pagare e portare i conti con gli uni e con gli altri, come essi gli dicono, etc.,
perché questo contratto è affittare a un altro e da un altro le sue opere e i suoi lavori, che è
contratto definito giusto e santo”86. Come si vede, per Martín de Azpilcueta, il contratto di
deposito irregolare di moneta è un contratto pienamente legittimo, che consiste
nell’incaricare della tutela, della custodia o del deposito della moneta un professionista, il
banchiere, che deve occuparsi della sua custodia come un buon padre di famiglia
mantenendola sempre a disposizione del depositante e compiendo per conto di questi i
servizi di cassa affidatigli, per i quali avrà diritto a percepire dai depositanti il pagamento
corrispondente per i suoi servizi. In effetti, per Martín de Azpilcueta, sono i depositanti
quelli che devono pagare il depositario o banchiere e mai al contrario, di modo che i depositanti
“pagano ciò in compensazione del lavoro e dell’impegno, che ha il banchiere nel ricevere e
custodire il loro denaro, per la qual cosa i banchieri hanno il dovere di fare “il loro
mestiere correttamente, e che si accontentino del giusto salario, ricevendolo da quelli che
glielo devono, il cui denaro custodiscono, i cui conti tengono e non da coloro che non
glielo devono”87. In più, al fine di evitare confusione e rendere le cose ben chiare, Martín
de Azpilcueta, sulla stessa linea che già abbiamo visto seguire dal dottor Saravia de la
Calle, condanna espressamente i clienti che pretendono di non pagare nulla per i servizi di
custodia dei loro depositi, e perfino di ricevere interessi per gli stessi. E così il Dottor
Navarro conclude che “riguardo a questo genere di scambio, non soltanto peccano i
banchieri, ma anche con obbligo di restituire, quelli che danno loro moneta affinché la
custodiscano, e facciano il suddetto. E dopo non vogliono pagare nulla, dicendo che quello
che guadagnano con il loro denaro, e riceveranno da coloro ai quali pagheranno in
28
contanti, basta per il loro salario. E se i banchieri chiedono loro qualcosa, li lasciano e
passano a trattare con altri, e affinché non li lascino, rininziano al salario ad essi dovuto, e
lo prendono da chi non glielo deve”88.
Da parte sua, Tommaso del Mercato, nella sua Somma dei trattati e dei contratti (Siviglia,
1571), compie un’analisi del negozio bancario che segue una linea molto simile a quella
degli autori precedenti. Prima di tutto segnala, seguendo la dottrina corretta, che i
depositanti debbono pagare i banchieri per il lavoro consistente nel custodire i loro
depositi di moneta, arrivando alla conclusione che “di tutti è regola comune e generale
poter percepire il salario da coloro che consegnano la moneta alla loro banca o un tanto
ogni anno o un tanto al migliaio, poiché prestano loro servizio e custodiscono la loro
ricchezza”89. Malgrado ciò, Tommaso del Mercato segnala ironicamente che i banchieri
della città di Siviglia sono tanto “generosi”, che non chiedono niente per la custodia dei
depositi, impiegando le seguenti parole: “quelli di questa città, certo, sono regalissimi e
nobilissimi, che nessun salario chiedono, né si prendono”90. Ed è così che Tommaso del
Mercato osserva che i banchieri di Siviglia non hanno necessità di chiedere nulla, poiché
con la molta moneta che ottengono nei depositi, fanno particolari affari che sono assai
lucrativi. Dobbiamo mettere in risalto che, secondo la nostra opinione, l’analisi di
Tommaso del Mercato in questo senso si riferisce semplicemente alla constatazione di un
fatto, senza che questo implichi accettazione alcuna della sua legittimità, come diversi
autori moderni (tra gli altri, Restituto Sierra Bravo e Francisco G. Camacho) paiono
suggerire91. Al contrario, seguendo la dottrina romana più pura e l’essenza della natura
giuridica del contratto di deposito irregolare di moneta analizzata nel capitolo I, Tommaso
del Mercato è il trattatista scolastico che più chiaramente mette in evidenza che la
trasmissione della proprietà che si ha nel deposito irregolare non comporta una parallela
trasmissione della disponibilità del tantundem, con cui, all’atto pratico, non ha luogo una
piena trasmissione della proprietà. Vediamo come si esprime bene: “devono comprendere
(i banchieri) che non è loro, bensì di altri la moneta, e non è giusto che, per servirsi di esso,
omettano di servire il suo proprietario”. Aggiungendo Tommaso del Mercato che i
banchieri debbono sottomettersi a due principi basilari, il primo, “non spogliare molto la
banca, da non poter far fronte con certezza agli ordini di pagamento che verranno, perché,
se si sarà impossibilitati a pagarli spendendo e occupando moneta in impieghi e rendite o
altri affari, di certo peccano…Il secondo: che non si cimentino in affari pericolosi, che
commettono peccato, ammesso che vada loro bene, per il pericolo che si mettano in
89 Cito dall’edizione dell’Istituto di Studi Fiscali pubblicata a Madrid nell’anno 1977, edita e introdotta da Nicolás
Sánchez Albornoz, vol. II, p. 479. Esiste un’altra edizione, che è quella di Restituto Sierra Bravo, pubblicata dalla Editora
Nacional nel 1975 e che include la citazione raccolta nel testo alla p. 401. L’edizione príncipe fu pubblicata a Siviglia nel
1571 «dalla casa di Hernando Díaz Tipografo di Libri, in via della Sierpe».
90 Tommaso del Mercato, Suma de tratos y contratos, op. cit., vol. II, p. 480 dell’edizione dell’Istituto di Studi Fiscali e
p. 401 dell’edizione di Restituto Sierra Bravo.
91 Si confrontino i lavori di Restituto Sierra Bravo, Francisco Belda e Francisco García Camacho che citiamo nella nota
76.
92 Tommaso del Mercato, Suma de tratos y contratos, op. cit., vol. II, p. 480 dell’edizione dell’Istituto di Studi Fiscali e
p. 401 dell’edizione di Restituto Sierra Bravo.
93 Tommaso del Mercato, op. cit., ibidem.
94 Nueva Recopilación, legge 12 del titolo 18 del libro 5, promulgata in Zamora il 6 giugno 1554 da Carlo V, Donna
Giovanna e il principe Filippo, e che recita così: «Poiché di tenere i banchi pubblici delle fiere di Medina del Campo,
Rioseco e Villalón, e delle città, ville e luoghi di questi regni... [relazioni e accordi] tranne per quanto si riferisce... [a suo
specifico incarico concernente solo il denaro], è risultato essersi alzato e fallito...; [per] rimediare a quanto detto
ordiniamo che d’ora in avanti si attengano al loro specifico incarico e le persone che avranno i detti banchi pubblici... non li
possa tenere una sola, ma che siano due almeno, ... e che prima di ... [esercitare], diano garanzie sufficienti» (i corsivi
sono miei). Si noti che si parla in questa disposizione di banchi pubblici non nel senso che la loro titolarità fosse pubblica,
ma che, essendo privati, ricevevano depositi dal pubblico in determinate condizioni (più di due titolari, presentando
garanzie, etc.). Si confronti José Antonio Rubio Sacristán, «La fundación del Banco de Amsterdam (1609) y la banca de
Sevilla», Moneda y crédito, marzo 1948.
29
condizioni di mancare e fare grave danno a coloro che di essi si fidarono”92. Benché sia
certo che si possa interpretare che, con queste raccomandazioni, Tommaso del Mercato
sembra rassegnato ad ammettere l’utilizzazione di un certo coefficiente di riserva
frazionaria, c’è da tener conto che è molto categorico nell’esporre la sua opinione giuridica
per cui, in ultima istanza, la moneta dei depositanti non è dei banchieri, ma dei
depositanti, e inoltre mostra che nessuno tra i banchieri fa caso alle sue due
raccomandazioni: “soprattutto nel caso di guadagno, essendo comodo, è molto difficile
tenere a freno l’avarizia, e nessuno di essi ascolta questi consigli, né rispetta queste
condizioni”93. Perciò, considera molto positiva la disposizione promulgata dall’imperatore
don Carlo avente lo scopo di proibire che i banchieri svolgessero attività particolari, al fine
di allontanare la tentazione che implicava il finanziarli indefinitamente a carico della
moneta ottenuta dai propri depositanti94.
D’altro lato, e in un’altra parte della Suma de tratos y contratos, alla fine del suo capitolo IV,
Tommaso del Mercato menziona come i banchieri di Siviglia facciano da depositari delle
monete e dei metalli preziosi che hanno i mercanti della flotta delle Indie e che con tanto
copiosi depositi “facciano grandi impieghi” e ottengano pingui profitti, senza condannare
espressamente questo tipo di attività, sebbene sia certo che il passaggio in questione sia, di
nuovo, la descrizione di uno stato di cose piuttosto che un’analisi in quanto alla legittimità
delle stesse, che verrà compiuta con molta più profondità nel seguente capitolo XIV che
già abbiamo commentato. Tommaso del Mercato conclude inoltre che i banchieri “si
frappongono anche nel dare e nel prendere in cambio e in carico, che un banchiere in
questa repubblica cinge un mondo e abbraccia ancor più che l’oceano, benché a volte
stringa quel tanto da mandare tutto in rovina”95.
Gli scolastici che più hanno errato nel trattamento dottrinale del contratto di deposito
irregolare di moneta sono Domingo de Soto e, soprattutto, Luis de Molina e Juan de Lugo.
In effetti, questi teorici si lasciarono influenzare dalla tradizione medievale dei glossatori
che già abbiamo commentato nel paragrafo 2 di questo capitolo, e specialmente dalla
confusione dottrinale che si sviluppò per colpa della figura del depositum confessatum. De
Soto e, soprattutto, Molina considerano che il deposito irregolare altro non è che un
prestito che trasferisce al banchiere, non solo la proprietà, ma anche la piena disponibilità
del tantundem dei depositi, per il quale può considerarsi legittima l’utilizzazione degli
stessi in forma di prestiti, sempre e quando questi si effettuino in modo “prudente”. Può
interpretarsi che Domingo de Soto fu il primo a mantenere, sebbene molto indirettamente,
questa tesi. In effetti, nel libro VI, quesito XI, della sua opera su La giustizia e il diritto
(1556), possiamo leggere che tra i banchieri c’è “il costume, secondo quanto si dice, per cui
se un mercante deposita in cambio denaro contante, a causa di ciò il cambiavalute
risponde per una quantità maggiore. Affidai al cambiavalute diecimila; dunque egli
risponderà per me in dodici, forse in quindici; perché è un profitto molto buono per il
cambiavalute avere il denaro contante. Neppure in ciò si incontra vizio alcuno”96. Altro
95 Questa è la città di Mercato che mette insieme Ramón Carande nel vol. I di Carlos V y sus banqueros nella parte
introduttiva della sua analisi sui banchieri di Siviglia e la crisi che portò tutti loro al fallimento. Si confronti Tommaso
del Mercato, Suma de tratos y contratos, op. cit., vol. II, pp. 381-382 dell’edizione del 1977 dell’Istituto di Studi Fiscali
e p. 321 dell’edizione di Restituto Sierra Bravo.
96 «Habet autem praeterea istorum usus, ut fertur si mercatorum quispiam in cambio numeratam pecuniam deponat,
campsor pro maio ri illius gratia respondeat. Numeravi campsori dece milia: fide habebo apud ipsum & creditu pro
duodecim, & forfam pro quim decim: qui campsori habere numerata pecuniam bonum est lucrum. Neq, vero quicq vitij
in hoc foedere apparet.» Domingo de Soto, De iustitia et iure, Andreas Portonarijs, Salamanca 1556, Libro VI, quesito
XI, articolo unico, p. 591. Edizione dell’Istituto di Studi Politici, Madrid 1968, vol III, p. 591. Per Restituto Sierra
Bravo (El pensamiento social y económico de la Escolástica, op. cit., p. 215), in questa frase di Domingo de Soto si
trova implicita l’ammissione del negozio dei banchi con un coefficiente frazionario di riserva.
97 È molto significativo che diversi autori, e tra essi Marjorie Grice-Hutchinson, dubitino al momento di inquadrare
Luis de Molina tra i teorici della Scuola di Salamanca: «The inclusion of Molina in the School seems to me now to be
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caso di tipica creazione di crediti che sembra ammettere Domingo de Soto è quello del
prestito sotto forma di sconto di lettere di cambio finanziato a carico dei depositi dei
propri clienti.
Ma lo scolastico che più chiaramente ha sostenuto la dottrina erronea in relazione al
contratto di deposito irregolare di moneta che effettuano i banchieri è stato il gesuita Luis
de Molina97. Effettivamente, Luis de Molina, nel suo Trattato sui cambi (1597), sostiene la
dottrina medievale secondo cui il deposito irregolare non è che un contratto di prestito o
mutuo a favore del banchiere, che trasferisce non solo la proprietà, ma la disponibilità
integra del tantundem, per cui il banchiere può legittimamente utilizzarlo a proprio
beneficio, sotto forma di prestiti o in qualsiasi altra maniera. Vediamo come espone il suo
argomento: “perché questi banchieri, come tutti quanti, sono veri padroni della moneta
depositata nelle loro banche, nella qual cosa si differenziano grandemente dagli altri
depositari … di modo che lo ricevono come un prestito a titolo precario e, di conseguenza,
a proprio rischio”; e in altro luogo, più avanti, in modo ancor più chiaro, afferma che “tale
deposito è realmente un prestito, come si è detto, e la proprietà della moneta depositata
passa al banchiere, e perciò, nel caso in cui perisca, perisce per il banchiere”98. Questa
posizione è contraddittoria con la dottrina sostenuta proprio da Luis de Molina nel suo
altro Trattato sui prestiti e l’usura, dove raccomanda che la scadenza è un elemento
essenziale di tutto il contratto di prestito e che, se non è segnalato espressamente per
quanto tempo si può avere un prestito e non si fissò una data per la sua restituzione, “si
dovrà sottostare a ciò che giudichi il giudice su quanto tempo si potrà mantenere”99.
Inoltre, Luis de Molina ignora tutti gli argomenti che abbiamo fornito nel capitolo I per
dimostrare che il contratto di deposito irregolare nulla ha a che vedere nella sua natura ed
essenza giuridica con il contratto di prestito o di mutuo, per il quale la sua dottrina,
volendo identificare l’uno e l’altro contratto, implica un chiaro passo indietro, non solo di
fronte alle posizioni di Saravia de la Calle e Azpilcueta Navarro, molto più coerenti, ma
anche di fronte alla vera natura giuridica del contratto tale e quale la stessa è già stata
elaborata dalla scienza giuridica romana. È, pertanto, curioso che una mente della
chiarezza e della profondità di Luis de Molina non si rendesse conto di quanto
pericolosissimo fosse accettare la violazione dei principi generali del diritto sul deposito
irregolare e affermasse che “non succede mai che tutti i depositanti necessitino del loro
denaro così che non lascino in deposito molte migliaia di ducati con cui i banchieri
possano negoziare per il loro profitto o la loro perdita”100. Senza che Molina si renda conto
che così si viola, non solo lo scopo o causa essenziale del contratto, che è quella di custodia
e di tutela, ma si dà via libera ad ogni tipologia di negozi illeciti e abusi che
inesorabilmente generano la recessione economica e il fallimento delle banche. Senza
rispettare il principio tradizionale del diritto che esige la tutela continua del tantundem a
favore del depositante, non esiste nessuna guida chiara per evitare che i banchieri
falliscano. Ed è evidente che suggerimenti tanto superficiali e vaghi come quello di
“tentare di agire con prudenza” o “non cimentarsi in affari pericolosi”, non bastano per
evitare gli effetti economici e sociali molto pregiudizievoli della banca con riserva
frazionaria. In ogni caso, Luis de Molina si preoccupa almeno di segnalare che “bisogna
more dubious.» Marjorie Grice-Hutchinson, «The Concept of the School of Salamanca: Its Origins and Development»,
cap. 2 de Economic Thought in Spain: Selected Essays of Marjorie Grice-Hutchinson, ob. cit., p. 25. Questo articolo si
trova pubblicato in castigliano con il titolo di «El concepto de la Escuela de Salamanca: sus orígenes y desarrollo»,
Revista de historia económica, VII (2), primavera-estate del 1989. Secondo la mia opinione, il cuore della Scuola di
Salamanca è nettamente domenicano e, almeno in materie bancarie, è necessario differenziarlo dal gruppo,
deviazionista e molto meno rigoroso, di teologi gesuiti.
98 Luis de Molina, Tratado sobre los cambios, edizione e introduzione di Francisco Gómez Camacho, Istituto di Studi
Fiscali, Madrid 1990, pp. 137-140. L’edizione príncipe si pubblicò a Cuenca nel 1597.
99 Luis de Molina, Tratado sobre los préstamos y la usura, edizione e introduzione di Francisco Gómez Camacho,
Istituto di Studi Fiscali, Madrid 1989, p. 13. L’edizione principe è quella pubblicata a Cuenca nel 1597.
100 Luis de Molina, Tratado sobre los cambios, op. cit., p. 137.
31
raccomandare che [i banchieri] peccano mortalmente se la moneta che hanno in deposito
la compromettono nei loro affari in tal quantità che saranno presto impossibilitati a
restituire al momento opportuno le quantità che i depositanti chiedono o ordinano di
pagare a carico del deposito che hanno depositato…Allo stesso modo, peccano
mortalmente se si dedicano a affari tali da correre il pericolo di giungere a una situazione
in cui non possano pagare i depositi. Per esempio, se inviano tante merci oltremare che in
caso di naufragio della nave, o che sia catturata dai pirati, non sia loro possibile pagare i
depositi neppure vendendo il loro patrimonio. E non solo peccano mortalmente quando gli
affari vanno male, ma anche se si concludessero felicemente. E ciò in ragione del pericolo a cui si
esporrebbero di causare danno ai depositanti e ai garanti che essi stessi portarono per i depositi”101.
Consideriamo ammirevole questa raccomandazione di Luis de Molina, come tanto
ammirevole ci sembra che non si sia reso conto che la stessa è, in ultima istanza,
intimamente contraddittoria con la sua espressa accettazione del negozio bancario con
riserva frazionaria, nel caso in cui banchieri la esercitino con “prudenza”. E senza che
importi sapere quale sia la prudenza dei banchieri, l’unica maniera di evitare i rischi e
garantire che sarà sempre a disposizione dei depositanti il loro denaro, è mantenendo in
ogni momento un coefficiente di cassa del 100 per cento102.
5
UN NUOVO TENTATIVO DI SVILUPPARE LEGITTIMAMENTE
IL NEGOZIO BANCARIO: LA BANCA DI AMSTERDAM.
LO SVILUPPO DELL’ATTIVITÀ BANCARIA
NEI SECOLI XVII E XVIII
La Banca di Amsterdam
L’ultimo tentativo serio per istituire una banca basata sui principi generali del diritto in relazione al
deposito irregolare di moneta, così come in un sistema efficace di controllo governativo che
definisse e difendesse adeguatamente i diritti di proprietà dei depositanti, fu costituito con
l’istituzione della Banca Municipale di Amsterdam nell’anno 1609. La banca sorge dopo periodo di
gran confusione monetaria ed esercizio fraudolento (senza coefficiente di cassa al 100 per cento)
dell’attività bancaria da parte delle banche private. Allo scopo di finirla con questo stato di cose e
mettere ordine nelle relazioni finanziarie, si crea la Banca di Amsterdam con la denominazione di
Banca dei Cambi, che comincia le sue attività il 31 gennaio del 1609103. La peculiarità principale
101 Luis de Molina, Tratado sobre los cambios, op. cit., p. 138-139 (i corsivi sono miei).
102 Dopo de Molina, il principale scolastico che sostiene una posizione analoga sulla banca è l’ancora gesuita Juan de
Lugo, colui che secondo la nostra opinione autorizza a considerare che, in materia bancaria, esistevano due correnti
dentro la Scuola di Salamanca, una «monetaria», dottrinalmente solida e corretta, alla quale appartenevano Saravia de la
Calle, Martín de Azpilcueta e Tommaso del Mercato; e un’altra «bancaria», più incline a cadere nelle velleità della
dottrina inflazionista e nel coefficiente di riserva frazionaria, rappresentata da Luis de Molina, Juan de Lugo e, in molta
minor misura, Domingo de Soto. Nel capitolo VIII avremo l’opportunità di esporre con maggior dettaglio questa tesi.
Ora non ci resta che segnalare che Juan de Lugo seguì a piedi giunti Luis de Molina, essendo specialmente chiara la sua
avvertenza ai banchieri: «Qui bene advertit, eivsmodi bancarios depositarios peccare graviter, & damno subsequuto,
cum obligatione restituendi pro damno, quoties ex pecuniis apud se depositis tantam summam ad suas negotiationes
exponunt, ut inhabiles maneant ad solvendum deposentibus, quando suo tempore exigent. Et idem est, si negotiationes
tales aggrediantur, ex quibus periculum sit, ne postea ad paupertatem redacti pecunias acceptas reddere non possint,
v.g. si euenrus ex navigatione periculosa dependeat, in qua navis hostium, vel naufragij periculo exposita sit, qua iactura
sequunta, ne ex propio quidem patrimonio solvere possint, sed in creditorum, vel fideiussorum damnum cedere debet»..
R.P. Joannis de Lugo Hispalensis, S.I., Disputationum de iustitia et iure tomus secundus, Sumptibus Petri Prost, Lyon 1642,
Disp. XXVIII, sec. V, pp. 406-407.
103 Sul curioso riferimento ai banchi pubblici di Siviglia (e Venezia) come modello da seguire (!) per il Banco di
Amsterdam, incluso nel memoriale solevato al Consiglio municipale di Amsterdam dai commercianti più
rappresentativi d’Olanda, si deve consultare José Antonio Rubio Sacristán, «La fundación del Banco de Amsterdam
(1609) y la banca de Sevilla», op. cit.
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della Banca di Amsterdam fu quella di basarsi, dalla sua fondazione, sull’adempimento scritto dei
principi universali del diritto in relazione al deposito irregolare di moneta; e in concreto, nel
principio secondo cui nel contratto di deposito irregolare di moneta l’obbligazione del banco
depositario consiste nel mantenere costantemente la disponibilità del tantundem a favore del
depositante, ossia nel mantenere in ogni momento un coefficiente di cassa del 100 per cento in
relazione ai depositi ricevuti “a vista”. Si pretendeva con questa misura sviluppare l’attività
bancaria in forma legittima, ed anche evitare gli abusi e i fallimenti che storicamente si erano venuti
producendo in tutti i paesi nei quali lo Stato non solo non si era preoccupato di dichiarare illegale e
proibire l’appropriazione indebita del denaro depositato a vista nei banchi, ma al contrario, e nella
maggior parte dei casi, aveva finito per concedere loro ogni tipo di privilegi e licenze per il suo
agire fraudolento, in cambio della possibilità di approfittarsi fiscalmente dello stesso. Durante un
periodo molto prolungato di tempo, superiore a centocinquanta anni, la Banca di Amsterdam compì
con accuratezza i suoi impegni della fondazione. Così è dimostrato che durante i primi anni di
esistenza del banco, tra il 1610 e il 1616, tanto l’importo dei depositi, quanto le scorte in moneta
metallica erano molto prossimi al milione di fiorini. Dal 1619 al 1635, i depositi sfiorano i quattro
milioni di fiorini, essendo le scorte in moneta metallica superiori a tre milioni e cinquecentomila.
Dopo questo leggero disequilibrio, nel 1645 si raggiunge di nuovo l’equilibrio con undici milioni e
duecentottantottomila fiorini di depositi e undici milioni e ottocentomila fiorini in stock metallico.
L’equilibrio e l’aumento si mantengono abbastanza inalterati, e già nel secolo XVIII, nel 1721-
1722, c’erano ventotto milioni di fiorini di depositi e la cifra dello stock di denaro in moneta
metallica era molto prossima, quasi ventisette milioni. Questo grande aumento dei depositi della
Banca di Amsterdam si dovette, tra le altre ragioni, al fatto che la stessa servì da rifugio ai capitali
che fuggirono da folli speculazioni inflazionistiche che il sistema di John Law aveva generato nella
Francia degli anni Venti del secolo XVIII, del quale ora ci occuperemo. E così fino all’anno 1772,
nel quale si continua a mantenere il livello di ventotto-ventinove milioni di fiorini tanto di depositi,
quanto di stock metallico in moneta. Come si vede, durante tutto questo periodo, agli effetti pratici
la Banca di Amsterdam mantenne un coefficiente di cassa del 100 per cento, il quale le permise in
tutte le crisi di far fronte al ritiro fino all’ultimo dei fiorini in deposito la cui restituzione veniva
sollecitata in forma di moneta metallica, come accadde nell’anno 1672 in cui, prima del panico
prodotto dalla minaccia francese, ci fu un ritiro massiccio di moneta dalle banche olandesi che, in
maggioranza, si videro obbligate a sospendere i pagamenti (come accadde a quelli di Rotterdam e
Middelburg), con l’eccezione della Banca di Amsterdam, che non ebbe, come logico, nessuna
difficoltà a restituire i depositi. Ciò assicurò una fiducia crescente e definitiva nella sua solidità, e la
Banca di Amsterdam si convertì nell’ammirazione del mondo economicamente civilizzato di
allora. Così, Pierre Vilar segnala come, nel 1699, l’ambasciatore di Francia scrisse in
un’informativa al suo Re che “Amsterdam è senz’ombra di dubbio, di tutte le città delle Province
Unite, la più considerevole per la sua grandezza, per le sue ricchezze e per l’estensione del suo
commercio. Ci sono anzi poche città in Europa in grado di eguagliarla in questi due ultimi aspetti; il
suo commercio si estende alle due parti del mondo e le sue ricchezze sono tanto grandi che durante
la guerra forniva fino a cinquanta milioni l’anno e anche più …”104. E proprio nel 1802, quando,
come ora vedremo, la Banca di Amsterdam iniziò a corrompersi e a violare i suoi principi fondanti,
104 Pierre Vilar, Oro y moneda en la historia (1450-1920), Editorial Ariel, Barcelona 1972, p. 291. I riferimenti alle
cifre dei depositi e coefficienti che ho raccolto nel testo si trovano anche in questo libro alle pp. 292-293. Esiste una
traduzione in italiano di Alfredo Salsano dal titolo Oro e moneta nella storia (1450-1920), Ed. Laterza, Bari 1971, p. 291. I
riferimenti alle cifre dei depositi e coefficienti raccolti nel testo si trovano alla p. 278 della presente edizione. Altri banchi europei
che vennero creati seguendo il modello della Banca di Amsterdam furono la Banca del Giro di Venezia, e la Banca di
Amburgo, entrambe fondate nel 1619. Benché la prima di esse finì per non adempiere l’obbligazione scritta di custodia
e sparì nel 1797, la Banca di Amburgo tenne un comportamento più regolare e sopravvisse fino alla sua fusione con la
Banca di Germania nel 1873. J.K. Ingram, «Banks, Early European», en Palgrave’s Dictionary of Political Economy,
Henry Higgs (ed.), Macmillan, Londra 1926, vol. I, pp. 103-106.
105 Pierre Vilar, op. cit., p. 293-294, e a p. 281 dell’edizione italiana (i corsivi sono miei).
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la stessa conservava un prestigio enorme, fino al punto che il console di Francia ad Amsterdam
arrivò ad affermare che “alla fine della guerra marittima che aveva trattenuto nelle colonie spagnole
e portoghesi i tesori provenienti dalle sue miniere, l’Europa si trova, istantaneamente, inondata
d’oro e d’argento in una proporzione che eccede di molto la necessità che si ha di essi e che li
svilirebbero se li si riversasse subito e di colpo in circolazione. Cosa facevano in questo caso gli
abitanti di Amsterdam? Depositavano questi metalli in lingotti nella Banca, dove erano a loro
disposizione attraverso una remunerazione assai modica, e li toglievano a poco a poco per inviarli
ai diversi paesi nella misura in cui l’aumento del cambio indicava la loro necessità. In questo modo,
questi oggetti utili , la cui affluenza troppo rapida avrebbe fatto salire eccessivamente i prezzi di
tutte le cose, con gran pregiudizio delle persone che dispongono soltanto di introiti fissi e limitati, si
sarebbero distribuiti impercettibilmente da una moltitudine di canali rianimando l’industria e
facilitando ed animando gli scambi. Così, la Banca di Amsterdam non limitava la sua azione
all’utilità particolare degli uomini d’affari di questa città; …l’Europa intera le era debitrice di una
maggior stabilità dei prezzi, di un maggiore equilibrio negli scambi e di un rapporto più costante
tra i due metalli che concorrono ad assolvere il compito di moneta; e si può dire che se questa
Banca non si ristabilisse verrebbe a mancare un ingranaggio essenziale alla grande macchina del
commercio e dell’economia politica del mondo civile”105.
Vediamo, pertanto, che la Banca di Amsterdam non si propose di ottenere benefici
sproporzionati utilizzando i depositi in modo fraudolento, ma, in consonanza con i dettati
stabiliti da Saravia de la Calle e gli altri che già abbiamo commentato, si accontentava di
ottenere i modesti profitti derivati dai diritti che addebitava per la custodia dei depositi,
così come della piccola entrata che otteneva nel cambio delle monete e dalla vendita delle
barre di metallo coniato. Però questi introiti erano più che sufficienti per far fronte alle
spese di funzionamento e amministrazione della banca, per generare profitti, e mantenere
un’istituzione onesta e attenta con tutti i suoi impegni.
Un’altra prova del grande prestigio della Banca di Amsterdam è, per esempio, il
riferimento che si fa allo stesso negli statuti fondanti della spagnola Banca di San Carlo
nell’anno 1782. Benché questa banca si crei senza le garanzie di quella di Amsterdam, e
precisamente con l’obiettivo di utilizzare i propri depositi, prestigio e fiducia per aiutare il
finanziamento della finanza pubblica, non può sottrarsi all’influenza del gran prestigio
della banca olandese, e nel suo verbale XLIV si stabilisce che i privati potranno avere
depositi o “fondi equivalenti in moneta nella stessa banca, ciò che sarà lecito a chiunque
voglia tenerli al sicuro in essa, sia per effettuare pagamenti sia per ritirarli
successivamente, e con questo metodo si esimeranno dall’effettuare i pagamenti essi stessi,
accettando le loro cambiali come pagabili nella banca. Gli azionisti nella prima assemblea
determineranno quel tanto al migliaio che i commercianti devono soddisfare alla banca
sugl’importi ai quali ascendessero i loro conti, in accordo con ciò che si pratica in Olanda, e
stabiliranno le maggiori precauzioni convenienti alla miglior realizzazione di sconti e
riduzioni”106.
106 Cito direttamente da un esemplare che è nelle mie mani della Real Cédula de S.M. y Señores del Consejo, por la
qual se crea, erige y autoriza un Banco nacional y general para facilitarlas operaciones del Comercio y el beneficio
público de estos Reynos y los de Indias, con la denominación de Banco de San Carlos baxo las reglas que se expresan,
nella stampa di D. Pedro Marín di Madrid, anno 1782, pp. 31-32 (las cursivas son mías). Disponiamo di un magnifico
studio sulla storia del Banco di San Carlos che dobbiamo a Pedro Tedde de Lorca, pubblicato con il titolo di El banco
de San Carlos (1782-1829) dalla Banca di Spagna e Alianza Editorial, Madrid 1988.
107 Cito dalle pp. 284-285 dell’eccellente riedizione di David Hume, Essays: Moral, Political and Literary, edita da Eugene
F. Miller e pubblicata da Liberty Fund, Indianápolis 1985. La traduzione in italiano di questo testo potrebbe essere la
seguente: «Cercare artificialmente di aumentare un siffatto credito non può mai essere l’interesse di alcuna nazione; ma
crea svantaggi aumentando la moneta oltre il suo rapporto naturale con la manodopera e le merci, ed elevando così il
prezzo per il fabbricante-commerciante. E da questa prospettiva, si deve ammettere che nessuna banca potrebbe
presentare più vantaggi di quella che chiudesse sotto chiave tutto il denaro che ricevesse, e non aumentasse mai la
moneta circolante, come al solito, mediante la restituzione di una parte del suo tesoro al commercio. Una banca pubblica,
per mezzo di questo strumento, potrebbe eliminare gran parte delle operazioni di banchieri privati e speculatori e,
benché lo Stato si faccia carico dei salari dei direttori e dei cassieri di questa banca (poiché, secondo l’ipotesi precedente,
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David Hume e la Banca di Amsterdam
Una dimostrazione dell’enorme prestigio che aveva la Banca di Amsterdam, non solo tra i
commercianti, ma anche tra gli esperti e gli intellettuali, è il riferimento esplicito che alla medesima
fa David Hume, nel suo saggio Of Money. Questo saggio fu pubblicato per la prima volta, in
aggiunta ad altri, in un libro dal titolo Political Discourses, a Edimburgo nell’anno 1752. In esso,
David Hume si dichiara contrario alla cartamoneta, e considera l’unica politica finanziaria solvibile
quella che obbliga le banche a mantenere un 100 per cento di coefficiente di cassa, in armonia con
le esigenze dei principi tradizionali del diritto sul deposito irregolare di moneta. David Hume
conclude che «to endeavour artificially to encrease such a credit can never be in the interest
of any nation; but must lay them under disadvantages, by encreasing money beyond its
natural proportion to labour and commodities, and thereby heightening their price to the
merchant manufacturer. And in this view, it must be allowed that no bank could be more
advantageous than such a one as locked up all the money it received, and never augmented the
circulating coin as is usual, by returning part of its treasure into commerce. A public bank, by this
expedient, might cut off much of the dealings of private bankers and money-jobbers and though the
state bore the charge of salaries to the directors and tellers of this bank (for, according to the
preceding supposition, it would have no profit from its dealings), the national advantage resulting
from the low price of labour and the destruction of paper credit, would be a sufficient
compensation»107. Benché David Hume non abbia del tutto ragione quando dice che la banca non
avrebbe benefici, dato che potrebbe coprire le sue spese operative con i diritti di custodia che
incasserebbe e perfino ottenere modesti profitti come di fatto accadeva con la Banca di Amsterdam,
la sua analisi è categorica e dimostra che quando difendeva la creazione di una banca pubblica di
questo tipo aveva in mente l’esempio e i buoni risultati che, durante non più di cento anni, aveva
avuto il funzionamento della Banca di Amsterdam. Anzi, nella terza edizione della sua opera,
pubblicata con il titolo Essays and Treatises on Several Subjects in quattro volumi a Londra ed
Edimburgo, 1753-1754, Hume aggiunse lì dove si riferisce al fatto che «no bank could be
more advantageous than such a one as locked up all the money it received», una nota
numero 4 a piè di pagina dove dichiara che «this is the case with the Bank of Amsterdam».
Pare che con questa nota a piè di pagina Hume volesse sottolineare ancora di più, e in
maniera espressa, che il suo modello ideale di banca era quello della Banca di Amsterdam.
Hume non fu propriamente originale nella sua proposta, e prima di lui, difesero un
coefficiente di riserva del 100 per cento per la banca anche Jacob Vanderlint (1734) e,
soprattutto, il responsabile della casa reale per la moneta Joseph Harris, per il quali le
banche erano convenienti, sempre e quando «issued no bills without an equivalent in real
treasure»108.
detta banca non otterrebbe beneficio alcuno dalle sue operazioni), il vantaggio per la nazione che risulterebbe dal prezzo
ridotto della manodopera e dalla distruzione del credito cartolare, sarebbe una compensazione sufficiente».
108 «Non emetteranno biglietti senza il loro equivalente reale in metalli preziosi». Citato da Murray N. Rothbard, An
Austrian Perspective on the History of Economic Thought, vol. I: Economic Thought before Adam Smith, op. cit., pp.
332-335 e 462 (p. 508 dell’edizione spagnola del 1999, op. cit.).
109 Cito dall’edizione originale pubblicata da A. Miller & T. Cadell in the Strand, Londres 1767, vol. II, p. 301. La
traduzione in italiano di questa citazione potrebbe essere la seguente: «Ogni scellino registrato nei libri della banca è
realmente chiuso sotto chiave, in moneta coniata, nei depositi della banca. Benché, secondo il regolamento della banca,
non si possa consegnare moneta alcuna alla persona che la esiga come conseguenza del suo credito con la banca; non ho
il benché minimo dubbio che tanto il credito registrato nei libri della banca, quanto il denaro contante nei depositi che lo
compensa, possano subire aumenti e diminuzioni alterne a seconda che sia maggiore o minore la domanda di moneta
bancaria». Prima di Steuart possiamo trovare un’analisi (più sommaria) sul funzionamento della Banca di Amsterdam
nel famoso libro dell’abate Ferdinando Galiani Della moneta, edizione originale di Giuseppe Raimondi, Napoli 1750, pp.
326-328.
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Sir James Steuart, Adam Smith e la Banca di Amsterdam
Un’analisi di grande interesse sul funzionamento della Banca di Amsterdam effettuata da un autore
contemporaneo, è quella realizzata da sir James Steuart nel suo trattato pubblicato nel 1767 con il
titolo An Enquiry into the Principles of Political Oeconomy: Being an Essay on the Science of
Domestic Policy in Free Nations, nel cui capitolo 39 del volume II si presenta uno studio
riguardante la «circulation of coin through the Bank of Amsterdam». D’accordo con
Steuart, «every shilling written in the books of the bank, is actually locked up, in coin, in
the bank repositories». Ciò non toglie che «although, by the regulations of the bank, no
coin can be issued to any person who demands it in consequence of his credit in bank; yet
I have not the least doubt, but that both the credit written in the books of the bank, and the cash
in the repositories which balances it, may suffer alternate augmentations and diminutions,
according to the greater or less demand for bank money»109. In ogni caso, Steuart segnala che le
attività della banca si realizzano con la massima segretezza («are conducted with the
greatest secrecy») in armonia con la tradizionale mancanza di trasparenza del negozio
bancario, importante specialmente in un caso come quello della Banca di Amsterdam, i cui
statuti e il cui funzionamento esigono il mantenimento continuo e completo di un
coefficiente di cassa del 100 per cento. Se Steuart era nel giusto e a volte si violava tale
coefficiente, è logico che la Banca di Amsterdam cercasse da questo momento di occultarlo
a tutti i costi.
Benché esistano indizi sul fatto che già a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo
XVIII la Banca di Amsterdam iniziò a violare i principi sui quali si era fondato, ancora nel
1776 Adam Smith, nella sua Ricchezza delle nazioni, affermava che «The Bank of
Amsterdam professes to lend out no part of what is deposited with it, but, for every
guilder for which it gives credit in its books, to keep in its repositories the value of a
guilder either in money or bullion. That it keeps in its repositories all the money or bullion
for which there are receipts in force, for which it is at all times liable to be called upon, and
which, in reality, is continually going from it and returning to it again, cannot well be
doubted ... At Amsterdam no point of faith is better established than that for every
guilder, circulated as bank money, there is a correspondant guilder in gold or silver to be
found in the treasure of the bank»110. Adam Smith continua dicendo che la propria città
garantisce il funzionamento così descritto della Banca di Amsterdam, e che sta sotto la
direzione di quattro borgomastri che cambiano ogni anno. Ogni borgomastro visita le
casse, confronta il suo contenuto in moneta metallica con gli appunti dei biglietti e dei
depositi che sono nei libri e con gran solennità dichiara sotto giuramento che entrambi
coincidono. Adam Smith segnala ironicamente che «in that sober and religious country
oaths are not yet disregarded»111. E termina il suo commento aggiungendo che tutte queste
pratiche sono sufficienti per garantire l’assoluta sicurezza dei depositi nella banca, la qual
cosa si è comprovata perfino nelle diverse rivoluzioni politiche che hanno colpito
l’Olanda, e nelle quali nessun partito politico ha potuto accusare il precedente di infedeltà
110 Cito direttamente dall’edizione originale inglese di Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of
Nations, pubblicata da W. Strahan & T. Cadell, in the Strand, Londra 1776, vol. II. pp. 72-73. La traduzione in italiano di
questa citazione potrebbe essere la seguente: «La Banca di Amsterdam assicura di non prestare alcuna parte di ciò che lì
è depositato, ma che per ogni scellino che registra come credito nei suoi libri, mantiene nei suoi depositi il valore di uno
scellino, o in moneta, o in oro. Che mantenga nei suoi depositi tutta la moneta e l’oro che corrisponde alle ricevute in
vigore, il quale si può esigere in ogni momento e che, in realtà, esce da lì e torna di nuovo in forma continua, non si può
dubitare... Ad Amsterdam, non c’è dogma meglio consolidato di quello che per ogni scellino che circola come moneta
bancaria, si trova uno scellino in oro o argento corrispondente nel tesoro della banca».
111 «In questo sobrio e religioso paese, non si sorvola ancora sui giuramenti.» Adam Smith, op. cit., p. 73.
112 Adam Smith, ibidem, p. 74. La traduzione in italiano potrebbe essere: «La città di Amsterdam ricava considerevoli
introiti dalla banca, oltre che dal diritto di custodia menzionato precedentemente; ogni persona, quando apre per la
prima volta un conto nella banca, paga degli onorari di dieci fiorini, e per ogni conto nuovo, tre fiorini, due stivers; per
ogni trasferimento, due stivers; e se il trasferimento è di meno di trecento fiorini, sei stivers, con il fine di evitare la
molteplicità delle piccole transazioni.»
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nell’amministrazione della banca. Così, a mo’ di esempio, Adam Smith menziona che
perfino nel 1672, quando il re di Francia giunse fino a Utrecht e l’Olanda era in pericolo di
essere conquistata da una potenza straniera, la Banca di Amsterdam pagò fino all’ultimo
deposito a vista che le venne reclamato, il che, come già abbiamo indicato in precedenza,
rafforzò in modo ancor più impressionante la fiducia che a partire da allora il pubblico
ebbe nell’assoluta solvibilità della banca.
Come prova addizionale che la Banca di Amsterdam manteneva un coefficiente di cassa
del 100 per cento, Adam Smith menziona l’aneddoto secondo il quale alcune delle monete
ritirate dallo stesso apparivano danneggiate dal fuoco che colpì l’edificio della banca poco
dopo essere stata creata nel 1609, il che indica che queste monete si erano conservate nella
banca per un periodo di più di duecentocinquanta anni. Da ultimo, e in perfetta armonia
con la vera natura giuridica del contratto di deposito irregolare, che esige che siano i
depositanti coloro che paghino la banca, Adam Smith indica come gli introiti di
quest’ultima provenissero dai diritti di custodia: «the City of Amsterdam derives a
considerable revenue from the bank, besides what may be called the warehouse-rent
above mentioned, each person, upon first opening an account with the bank, pays a fee of
ten guilders, and for every new account three guilders three stivers; for every transfer two
stivers; and if the transfer is for less than three hundred guilders, six stivers, in order to
discourage the multiplicity of small transactions»112. A parte questo, Adam Smith
menziona altre fonti di introiti che già abbiamo citato, come quelle che derivano dalle
garanzie per il cambio della moneta e dalla gestione dell’oro e dell’argento in barre.
Sfortunatamente, nella decade degli ottanta del secolo XVIII la Banca di Amsterdam iniziò
già a violare sistematicamente i principi giuridici sui quali era stata fondata, ed è
dimostrato che a partire dalla quarta guerra anglo-olandese il coefficiente di cassa si
ridusse sensibilmente, quando la città di Amsterdam esigette che la banca le prestasse gran
parte dei suoi depositi per far fronte alla crescente spesa pubblica. Così, in questo
momento, contro venti milioni di depositi, il numero di metalli preziosi che stavano in
cassa non superava i quattro milioni, con i quali vediamo che, a parte il fatto che si
violasse il principio generale di custodia sul quale la banca si era fondata ed era vissuta
per più di centosettanta anni, il coefficiente di cassa si era ridotto dal 100 per cento al 25
per cento. Ciò comportò la scomparsa definitiva dell’antico prestigio della Banca di
Amsterdam: a partire da questo momento si produsse una diminuzione graduale dei
depositi, fino a che nel 1820 non raggiungevano neanche i centoquarantamila fiorini113.
Con la scomparsa della Banca di Amsterdam come l’ultima banca con un coefficiente di
cassa del 100 per cento, scompaiono dalla storia gli ultimi tentativi di istituire banche sulla
base dei principi generali del diritto e la supremazia finanziaria di Amsterdam è sostituita
dal sistema finanziario basato sull’espansione dei crediti, dei depositi e della carta moneta,
molto più instabile e non solvibile, che si era sviluppato nel Regno Unito.
La Banca di Amsterdam servì come precedente per la Banca di Stoccolma (Riksbank), che
entrò in funzione nell’anno 1656, divisa in due dipartimenti, uno adibito alla custodia dei
depositi con un 100 per cento di coefficiente che seguiva il modello della Banca di
Amsterdam, e un altro dipartimento adibito al prestito. Benché si supponesse che
entrambi dovessero operare separatamente, in pratica la separazione si aveva solo sulla
carta e presto la Banca di Stoccolma smise di operare seguendo i principi tradizionali della
Banca di Amsterdam114. Questa banca fu assorbita dallo Stato svedese nel 1668,
113 Pierre Vilar, Oro y moneda en la historia (1450-1920), op. cit., p. 293 e a p. 280 dell’edizione italiana.
114 In questo senso, e come ben segnala Charles P. Kindleberger (Historia financiera de Europa, op. cit., p. 71, e a p. 72
dell’edizione italiana), l’organizzazione del Riksbank fu un precedente con due secoli di antichità all’organizzazione che la
Legge di Peel del 1844 pretese dare alla Banca d’Inghilterra.
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trasformandosi, pertanto, nella prima banca statale del mondo moderno115. Inoltre, la
banca non solo violò i principi tradizionali del deposito che si vennero attuando ad
Amsterdam, ma iniziò in maniera sistematica una nuova attività fraudolenta: l’emissione
di biglietti di banca o certificati di deposito per un importo superiore ai depositi in moneta
metallica realmente ricevuti. Sorgono così per la prima volta i biglietti di banca e il
“negozio” bancario consistente nell’emissione di biglietti per un importo superiore ai
depositi ricevuti. Questa attività doveva trasformarsi, con il tempo, nel negozio bancario
per antonomasia, specialmente nel corso dei secoli seguenti, in cui l’emissione di biglietti
di banca arrivò perfino ad occultare ai trattatisti che i loro effetti erano identici a quelli
della creazione espansiva di crediti e depositi che, come ha messo in risalto A. P. Usher,
aveva costituito il nocciolo dell’esercizio della banca fin dalle sue origini storiche.
Da parte sua, la Banca d’Inghilterra viene creata originariamente nell’anno 1694 prendendo come
modello la Banca di Amsterdam e come risultato della grande influenza che l’Olanda era arrivata ad
avere in Inghilterra quando la Casa d’Orange ebbe accesso alla corona britannica. Tuttavia, la banca
non venne creata con le medesime garanzie legali di custodia che aveva la Banca di Amsterdam, ma
già da principio ebbe come obiettivo primario quello di aiutare il finanziamento della spesa
pubblica. Perciò, benché la Banca d’Inghilterra abbia voluto farla finita con gli abusi dei banchieri
privati e del governo che fino ad allora si erano ripetuti sistematicamente in Inghilterra116, in pratica
non conseguì mai questo obiettivo. Insomma, la Banca d’Inghilterra, nonostante i privilegi che
ricevette sotto forma di garanzia di saldi provenienti dal governo, nonostante avesse il monopolio
della responsabilità limitata in Inghilterra, e fosse l’unica persona giuridica che potesse emettere
biglietti, per colpa dell’inadempimento sistematico dell’obbligo di custodia in relazione ai propri
depositi e della concessione di prestiti e anticipazioni alla finanza pubblica a carico dei medesimi,
dopo diverse vicissitudini curiose, come quella dell’espansione inflazionistica, conosciuta con il
nome di South Sea bubble117, finì per sospendere i pagamenti nell’anno 1797. Nel corso di
quell’anno, nel quale si proibì alla Banca il pagamento in moneta metallica dei depositi, si
dichiarò che i biglietti emessi dalla banca avrebbero avuto corso forzoso per il pagamento
delle imposte e l’estinzione dei debiti, e si provò a limitare le anticipazioni e i prestiti al
115 Proprio in occasione della celebrazione del terzo centenario della Banca di Svezia nel 1968, si dotò un fondo per
concedere a partire da allora un Premio Nobel per l’Economia ogni anno.
116 Così, per esempio, nel 1640, Carlo I, copiando la politica seguita in Spagna un secolo prima dal suo omonimo
l’imperatore Carlo V, confiscò l’oro e gli oggetti preziosi che erano stati depositati in custodia nella Torre di Londra a fini
di salvaguardia, distruggendo così completamente la reputazione della casa di coniazione come un luogo sicuro di
custodia. E trentadue anni dopo, Carlo II venne meno nuovamente ai suoi obblighi, facendo in modo che la finanza reale
sospendesse i pagamenti causando il fallimento di molte banche private che avevano effettuato prestiti alla finanza
pubblica o che avevano comprato direttamente titoli della stessa a carico dei depositi che avevano ricevuto a vista. Si
confronti Charles P. Kindleberger, Historia financiera de Europa, op. cit., pp. 73-74, e a p. 74-75 dell’edizione italiana.
117 Nel 1720 la Compagnia del Mare del Sud concepì un piano ambizioso per farsi carico del debito pubblico britannico
pagando una somma per esso. Questa compagnia, che era sorta dal partito conservatore, come la Banca d’Inghilterra,
aveva l’obiettivo di aiutare a finanziare la guerra, in cambio di ciò il governo concesse privilegi a determinate
corporazioni. L’autentico fine dei promotori della Compagnia del Mare del Sud fu speculare al rialzo con le azioni della
compagnia, giungendo a consentire il pagamento dei nuovi titoli per mezzo del debito pubblico. Il ruolo che svolse la
Banca d’Inghilterra nel corso dell’anno 1720 consistette nel concedere prestiti sulle sue proprie azioni per facilitarne
l’acquisizione, come aveva fatto la Compagnia del Mare del Sud. Si inizia così un processo inflazionistico nel quale il
prezzo delle azioni della compagnia e della banca si moltiplicarono, dando luogo a tremende plusvalenze e guadagni dei
quali approfittarono gli speculatori, tra i quali si trovavano molti consiglieri della Società del Mare del Sud. Parte dei
profitti vennero investiti in terre, il cui prezzo aumentò anche considerevolmente. Tutta questa euforia speculativa e
inflattiva si vide bruscamente interrotta nell’estate del 1720, giusto quando anche a Parigi cominciava a declinare la
trama speculativa organizzata da John Law. Iniziata la caduta dei valori, fu praticamente impossibile contenerla, e così i
prezzi delle azioni della Compagnia dei Mari del Sud calarono da un valore di 775 in settembre a 170 a metà di ottobre,
scendendo le azioni della Banca d’Inghilterra da un valore di 225 a 135 soltanto nel giro di un mese. Come reazione,
passò in parlamento la Bubble Act, che a partire da allora stabilì severi ostacoli alla costituzione di società per azioni e il
problema finanziario riuscì soltanto ad attenuarsi, attraverso negoziazioni molto laboriose, nel 1722, quando venne
approvato dal Parlamento un patto tra la Banca e la Compagnia dei Mari del Sud per il quale il primo acquistò quattro
milioni di lire del capitale della seconda, mediante il pagamento di una rendita del cinque per cento annuale garantita
dal Tesoro.
38
governo118. A partire da questa data, siamo già agli albori del sistema bancario moderno,
tutto basato su un coefficiente di riserva frazionaria e sull’esistenza di una banca centrale
come prestatrice di ultima istanza. Torneremo nel capitolo VIII a studiare a fondo perché
sorgano le banche centrali, il compito che eseguono, l’impossibilità teorica che possano
portarlo a termine, così come la polemica tra banca centrale e banca libera, e l’influenza
che la stessa ebbe nello sviluppo dottrinale riguardante la teoria monetaria, bancaria e dei
cicli economici. Ora, all’interno del nostro studio sulla violazione storica del principio di
custodia nel contratto di deposito irregolare di moneta, ci resta solo da fare un rapido
riferimento allo sviluppo del sistema bancario e della carta-moneta nella Francia del secolo
XVIII.
La storia della moneta e della banca nella Francia del secolo XVIII è indissolubilmente
unita al “sistema” che lo scozzese John Law disegnò e mise in funzione in quel paese per
convincere il reggente Filippo d’Orleans che la banca ideale era quella che faceva uso del
denaro che in essa veniva depositato, posto che in questo modo si incrementava la
quantità di moneta in circolazione e si “stimolava” lo sviluppo dell’economia. Come
vediamo, la creazione del sistema di Law e, in generale, delle diverse misure interventiste
in economia, ha la sua origine in tre cause distinte, ma complementari. In primo luogo,
l’inadempimento dei principi tradizionali del diritto e della morale, e in questo caso di
quel principio secondo il quale nel contratto di deposito irregolare di moneta è
imprescindibile mantenere in ogni momento la custodia del 100 per cento dello stesso. In
secondo luogo, l’errore nell’analisi teorica che sembra giustificare l’inadempimento dei
principi giuridici al fine di conseguire obiettivi apparentemente benefici in modo rapido. E
in terzo luogo, il fatto che, come conseguenza delle riforme proposte, ci siano sempre
agenti specifici che si rendano conto che possono ottenere grandi benefici dalle stesse.
Queste furono le tre cause combinate che permisero che un arbitrista come Law potesse
mettere in funzione il suo “sistema bancario” nella prima decade del secolo XVIII in
Francia. In effetti, la banca, dopo aver guadagnato la fiducia del pubblico, iniziò a emettere
biglietti in quantità molto superiore a quella dei depositi che deteneva e a concedere
crediti a carico degli stessi. La quantità di biglietti in circolazione aumentò molto
rapidamente e si produsse, come è logico, un importante boom artificiale nell’economia.
Nel 1718 la banca arrivò ad avere carattere statale, trasformandosi in banca regia, e
incrementò ancora di più l’emissione di crediti e di biglietti, la quale ebbe una speciale
incidenza speculativa nel mercato borsistico in generale, e in particolare in relazione alle
azioni della Compagnia Commerciale d’Occidente che, conosciuta con il nome di
Compagnia del Mississippi, voleva sviluppare il commercio e la colonizzazione in questa
colonia francese in America. Nel 1720 divenne manifesto che la bolla finanziaria che si era
organizzata era tremenda. Law fece disperatamente tutti i tentativi possibili per mantenere
il prezzo delle azioni della società del Mississippi e il valore dei biglietti della sua banca: la
118 In occasione di questi fatti, furono molti i teorici che, specialmente in America, misero in evidenza la grande
minaccia che per la libertà individuale implicava l’implicita o esplicita alleanza tra banchieri e governi, e che si
materializzava nella sistematica e continua concessione di privilegi affinché le banche potessero adempiere i loro
obblighi legali, sospendendo il pagamento in moneta metallica dei depositi. Così, per esempio, John Taylor, senatore
americano della seconda metà del secolo XVIII, qualificò questa pratica di vera e propria frode, affermando che «under
our mild policy the banks’ crimes may possibly be numbered, but no figures can record their punishments, because they
are never punished». Cfr. John Taylor, Construction Construed and Constitutions Vindicated, Shepherd & Polland,
Richmond, Virginia, 1820, rieditato da Da Capa Press, Nueva York 1970, pp. 182-183. Ed anche, e soprattutto questo
tema, è molto interessante l’articolo di James P. Philbin intitolato «An Austrian Perspective on Some Leading Jacksonian
Monetary Theorists», pubblicato in The Journal of Libertarian Studies: An Interdisciplinary Review, vol. X, n.º 1, autunno
1991, pp. 83-95, e specialmente la p. 89. Un magnifico riassunto dell’origine della banca con riserva frazionaria prima
della fondazione degli Stati Uniti lo dobbiamo a Murray N. Rothbard, «Inflation and the Creation of Paper Money», cap.
26 de Conceived in Liberty, Volume II: «Salutary Neglect»: The American Colonies in the First Half of the 18th Century,
Arlington House, New York 1975, pp. 123-140.
39
banca e la compagnia commerciale vennero fuse, le azioni della compagnia commerciale
vennero dichiarate moneta a corso forzoso, le monete metalliche persero parte del loro
peso per cercare di ripristinare la loro equivalenza con i biglietti, etc. Malgrado ciò, tutte le
misure prese furono inutili e la piramide inflazionistica crollò come un castello di carte,
provocando la rovina non solo della banca, ma anche di molti francesi che avevano avuto
fiducia nelle azioni della compagnia commerciale. Le perdite furono copiose e la
sofferenza che crearono tanto grande che per più di cent’anni in Francia si considerò di
cattivo gusto persino pronunciare la parola “banca”, la quale arrivò a essere utilizzata
come sinonimo del termine “frode”119. I danni dell’inflazione avrebbero devastato di
nuovo la Francia poche decadi dopo, con l’avvento del grave disordine monetario del
periodo rivoluzionario e l’emissione incontrollata di assegnati che durante lo stesso si
verificò. Tutti questi fenomeni hanno profondamente inciso sulla memoria collettiva dei
francesi, che ancora oggi sono molto coscienti dei gravi pericoli che genera l’inflazione di
carta moneta e mantengono la consuetudine familiare di tesoreggiare un’apprezzabile
quantità d’oro monetato o in lingotti (di fatto, si può stimare che la Francia, assieme
all’India, è uno dei paesi nei quali i privati mantengono uno fra i più importanti stock
d’oro).
Nonostante il precedente, e nonostante il suo disgraziato esperimento bancario, John Law
apportò alcuni contributi nel campo della teoria monetaria, e anche se non possiamo
accettare le sue tesi inflazionistiche e protokeynesiane, bisogna riconoscere, seguendo Carl
Menger, che Law fu il primo ad enunciare una teoria corretta sull’origine evolutiva e
spontanea del denaro.
È curioso segnalare come tre dei più significativi teorici monetari del secolo XVIII e dell’inizio del
XIX, John Law, Richard Cantillon120 ed Henry Thornton, furono banchieri. Tutti e tre fallirono121.
119 Una descrizione dettagliata del sonoro fracasso del sistema di Law in Francia ad opera di un teorico che visse a
contatto con gli avvenimenti è quella che può leggersi in Ferdinando Galiani, Della moneta, op. cit., pp. 329-334; e anche i
capitoli XXIII-XXXV del volume II dell’opera di Sir James Steuart, An Enquiry into the Principles of Political Oeconomy, che
già abbiamo citato (pp. 235-291). Un’esposizione molto istruttiva e teoricamente fondata del sistema finanziario,
monetario e bancario in Francia durante il secolo XVIII si trova nell’articolo di F.A. Hayek, «First Paper Money in
Eighteenth Century France», pubblicato per la prima volta come capitolo X nel libro The Trend of Economic Thinking:
Essays on Political Economists and Economic History, W.W. Bartley III e Stephen Kresge (eds.), vol. III de The Collected Works
of F.A. Hayek, Routledge, Londra e New York 1991, pp. 155-176; trad. spagnola: La tendencia del pensamiento económico,
Unión Editorial, Madrid 1996. La miglior biografia di John Law è quella di Antoin E. Murphy, John Law: Economic Theorist
and Policy Maker, Clarendon Press, Oxford 1997.
120 Richard de Cantillon fu il primo ad affermare che la pratica bancaria potrebbe condursi a termine con «sicurezza»
mantenendo un coefficiente di cassa di un 10 per cento soltanto: «Dans ce premier exemple la caisse d’un Banquier ne
fait que la dixième partie de son commerce». Si confronti la p. 400 dell’edizione originale dell’ Essai sur la nature du
commerce en général, pubblicato (anonimo e falsamente) a Londra, Fletcher Gyles en Holborn, 1755. È incredibile che
Murray N. Rothbard non menzioni questo punto nel suo brillantissimo studio su Cantillon. Si confronti An Austrian
Perspective on the History of Economic Thought, vol. I: Economic Thought before Adam Smith, op. cit., pp. 345-362 (pp. 385-404
dell’edizione spagnola del 1999, op. cit).
121 È comunque certo che la banca di Thornton fallì una volta fallito il suo fondatore, nel dicembre del 1825. Si
confrontino le pp. 34-36 dell’«Introduzione» di F.A. Hayek all’edizione dell’opera di Henry Thornton An Inquiry into the
Nature and Effects of the Paper Credit of Great Britain, originariamente pubblicata nel 1802 e rieditata da Augustus M.
Kelley, Fairfield 1978. A.E. Murphy segnala, inoltre, che Law e Cantillon condividono il dubbio «merito» di essere gli
unici economisti che, assieme ad Antoine de Montchrétien, furono accusati di assassinio e di ogni genere di altri misfatti.
Si confronti A.E. Murphy, Richard Cantillon: Entrepreneur and Economist, Clarendon Press, Oxford, 1986, p. 237. Il carattere
religioso e puritano di Thornton gli evitò, almeno, di essere accusato di queste altre atrocità.
122 Si veda F.A. Hayek, Richard Cantillon (1680-1734), cap. XIII de The Trend of Economic Thinking, op. cit., pp. 245-293, e
specialmente la p. 284. La traduzione in italiano di questa citazione è la seguente: «Il suo punto di vista era, come più
tardi spiegò, che le azioni che gli furono consegnate, posto che i loro numeri non erano stati registrati, non costituivano
un deposito autentico, ma piuttosto - come si direbbe oggigiorno - costituivano un deposito irregolare di modo che
nessuno dei suoi clienti aveva il diritto di reclamare titoli specifici. Di fatto, la società ottenne profitti straordinari in
questo modo, poiché che poteva ricomprare a prezzi ridotti le azioni vendute a prezzi elevati, e nel frattempo il capitale,
sul quale si incassavano interessi elevati, non diminuì affatto, essendo risparmiato e investito in sterline. Quando
Cantillon, che aveva compiuto parzialmente queste anticipazioni a suo nome, chiese la restituzione dei prestiti da parte
degli speculatori, che erano incorsi in forti perdite, e alla fine li portò davanti ai tribunali, i debitori esigettero che i
profitti ottenuti dalle sue azioni da Cantillon e dalla società si utilizzassero per compensare i loro debiti. A loro volta
40
Solamente Cantillon ne uscì relativamente bene, non solo per essersi saputo ritirare in tempo dalle
sue arrischiate speculazioni, ma anche per i grandi profitti che ottenne in maniera fraudolenta
violando l’obbligo di custodia delle attività dei suoi clienti.
In effetti, è dimostrato che Cantillon violò il contratto di deposito irregolare non di moneta, bensì di
titoli della Società del Mississippi che aveva fondato John Law, organizzando la seguente attività
fraudolenta: concesse prestiti rilevanti affinché i suoi clienti comprassero azioni della detta società,
a condizione che le lasciassero depositate nella banca di Cantillon come garanzia collaterale in
forma di deposito irregolare, ossia, di titoli fungibili e indistinguibili. In seguito Cantillon, senza
conoscenza da parte dei suoi clienti, si appropriò indebitamente delle azioni depositate, vendendole
quando pensò che avessero un prezzo elevato sul mercato, appropriandosi del ricavato della vendita.
Una volta che le azioni persero praticamente tutto il loro valore, Cantillon le ricomprò per una
frazione del suo antico prezzo e restituì il deposito, ottenendo un ragguardevole guadagno. Infine,
riscosse i prestiti che originariamente aveva dato ai suoi clienti, i quali non furono capaci di
restituirli, dato che la garanzia collaterale che avevano in banca non valeva praticamente niente.
Queste operazioni fraudolente spiegarono perché si intrapresero molteplici cause penali e azioni
civili contro Cantillon che, oltre ad essere detenuto e brevemente incarcerato, dovette abbandonare
precipitosamente la Francia e rifugiarsi in Inghilterra.
L’argomento di cui si valse Cantillon nella sua difesa era quello tanto utilizzato nel corso del Medio
Evo da quei trattatisti che si sono sempre intestarditi a confondere il deposito irregolare con il
prestito. In effetti, Cantillon cercò di difendersi dicendo che le azioni presso di lui depositate come
beni fungibili senza essere state numerate in realtà non costituivano un vero e proprio prestito, ma
un’operazione di credito che trasferiva la completa proprietà e disponibilità delle stesse a favore del
banchiere. Perciò, Cantillon si considerava perfettamente “legittimato” a effettuare il tipo di
operazioni che fece. Noi sappiamo, ciononostante, che l’argomento giuridico di Cantillon non ha
fondamento e che, anche quando il deposito irregolare di titoli si fece considerandoli beni fungibili,
l’obbligo di custodia e possesso del 100 per cento degli stessi in ogni momento permaneva, per cui
quando vendette i titoli a scapito dei suoi clienti, commise un evidente atto criminale di
appropriazione indebita. F. A. Hayek spiega come Cantillon tentò di giustificare questa operazione
fraudolenta: «his point of view was, as he later explained, that the shares given to him, since
their numbers had not been registered, were not a genuine deposit, but rather —as one
would say today— a block deposit so that none of his customers had claim to specific
securities. The firm actually made an extraordinary profit in this way, since it could buy
back at reduced prices the shares sold at high prices, and meanwhile the capital, for which
they were charging high interest, lost nothing at all but rather was saved and invested in
pounds. When Cantillon, who had partially made these advances in his own name, asked
for repayments of the loans from the speculators, who had suffered great losses, and
finally took them to court, the latter demanded that the profits obtained by Cantillon and
the firm from their shares be credited against these advances. They in turn took Cantillon
to court in London and Paris, charging fraud and usury. By presenting to the courts
correspondence between Cantillon and the firm, they averred that the entire transaction
was carried out under Cantillon’s immediate direction and that he therefore bore personal
responsibility»122.
Nel capitolo seguente avremo l’opportunità di spiegare come la violazione del deposito
irregolare di moneta e la violazione del deposito irregolare di valori sono ugualmente
viziate dal punto di vista giuridico e danno luogo a effetti economici e sociali molto
perniciosi e simili, come quando si consumò, già nel nostro secolo, il fallimento della
Banca di Barcellona e di altre banche catalane che praticavano in forma sistematica
portarono Cantillon davanti ai tribunali a Londra e a Parigi, accusandolo di frode e usura. Presentando davanti ai
tribunali la corrispondenza tra Cantillon e la società, affermarono che tutta l’operazione era stata condotta sotto la
direzione diretta di Cantillon e che, pertanto, egli era personalmente responsabile».
41
l’operazione di deposito irregolare di titoli senza mantenere in custodia il 100 per cento
degli stessi123, effettuando ogni tipo di speculazioni a proprio beneficio e a scapito dei loro
titolari, in modo identico a quello attuato da Cantillon due secoli prima, come già abbiamo
visto. Richard Cantillon morì nella sua casa di Londra nel 1734 assassinato violentemente,
dopo oltre dodici anni di contenziosi, due arresti e la costante minaccia di andare in
carcere. Anche se la versione ufficiale è che fu assassinato e il suo corpo bruciato fino a
renderlo irriconoscibile da un ex cuoco che lo uccise per derubarlo, è anche possibile
l’ipotesi che il suo assassinio fosse stato istigato da qualcuno dei suoi molti creditori, e
perfino, come suggerisce il suo più recente biografo, A. E. Murphy, che sia stata tutta una
montatura proprio di Cantillon per togliersi di mezzo ed evitare così ulteriori anni di
cause e liti124.
123 Sull’appropriazione indebita nel contrato di deposito irregolare di titoli tale e quale la effettuò Cantillon e dopo la
praticarono i banchieri catalani fino al principio del secolo XX, bisogna leggersi il libro La cuenta corriente de efectos o
valores de un sector de la banca catalana: su repercusión en el crédito y en la economía, su calificación jurídica en el ámbito del
derecho penal, civil y mercantil positivos españoles según los dictámenes emitidos por los letrados señores Rodríguez Sastre,
Garrigues, Sánchez Román, Goicoechea, Miñana y Clemente de Diego, seguidos de un estudio sobre la cuenta de efectos y el mercado
libre de valores de Barcelona por D. Agustín Peláez, Síndico Presidente de la Bolsa de Madrid, pubblicato a Madrid nell’anno
1936 dalla tipografia Delgado Sáez.
124
Antoin E. Murphy, Richard Cantillon: Entrepreneur and Economist, Clarendon Press, Oxford 1986, pp. 209 y 291-297.
Murphy presenta in appoggio di quest’ultima tesi i seguenti fatti: 1) che Cantillon liquidò gran parte della sua fortuna
giusto il giorno prima dell’attentato; 2) che il cadavere fu bruciato fino a renderlo irriconoscibile; 3) l’incomprensibile e
deprecabile comportamento dei suoi familiari dopo l’attentato; e 4) lo strano comportamento dell’incolpato, che non
coincise mai con il modo di fare del tipico assassino.
42
CAPITOLO III
Nel presente capitolo studieremo criticamente i diversi tentativi della dottrina per giustificare
giuridicamente l’esercizio dell’attività bancaria utilizzando un coefficiente di riserva frazionaria. Ossia,
vedremo quali sono gli argomenti proposti per sostenere giuridicamente un contratto di deposito
irregolare di moneta nel quale il depositario utilizzare a proprio beneficio il denaro presso di lui
depositato a vista. Analizzeremo due grandi tipologie di giustificazione, alla luce della dottrina
giuridica esposta nel capitolo I e dell’analisi economica che svilupperemo nei prossimi capitoli.
1
INTRODUZIONE
Le dottrine giuridiche che hanno tentato di giustificare l’esercizio della banca basata su un coefficiente
di riserva frazionaria si sono sviluppate trascinate dagli eventi. Vale a dire, non si fondano su principi
giuridici preesistenti in virtù dei quali si erano compiuti determinati atti giuridici. Tutto al contrario,
come abbiamo visto nel capitolo precedente, la pratica bancaria si è venuta sviluppando contro principi
generali del diritto molto facili da intendere e come conseguenza di circostanze specifiche che hanno
favorito e reso possibile la loro violazione (avarizia degli uomini, difficoltà di controllo, necessità
finanziarie dei governi, intervento sistematico delle autorità e confusione creata, attraverso il depositum
confessatum, dalla proibizione canonica dell’interesse). Come è logico, l’esercizio di una pratica così
generalizzata senza fondamento giuridico incitò presto banchieri e teorici a cercare di trovare una
giustificazione giuridica adeguata per la pratica stessa. Questo impulso, inoltre, si vide rafforzato dal
fatto che, in quasi tutte le occasioni, finirono per essere il governo o l’autorità pubblica i primi
beneficiari delle pratiche bancarie fraudolente, perciò non è da rimpiangere il fatto che, data la
tradizionale simbiosi esistente tra il potere politico e l’intellighenzia1, questa si vedesse stimolata dal
primo a cercare di trovare un appoggio giuridico alle pratiche che il potere politico consentiva e
fomentava.
E il fatto di incontrare un fondamento giuridico adeguato era essenziale per la sopravvivenza di tutto il
groviglio di interessi costituiti generato dalla banca con riserva frazionaria. A qualsiasi persona
mediamente istruita risulta evidente che queste pratiche dovrebbero giustificarsi in qualcosa di più
fondato dell’esistenza di una semplice situazione di fatto. Non basta rendersi conto e affermare, come
fa Shepard B. Clough, che «gli orefici arrivarono a prestare, perfino, la moneta che era stata loro
consegnata per essere custodita, partendo dalla teoria e dall’esperienza secondo cui dovevano disporre
in ogni momento delle quantità con le quali soddisfare le domande potenziali o correnti dei loro
depositanti. Queste consuetudini li portarono, per lo meno nel corso del secolo XVII, a estendere
“promesse di pagamento”, ossia, “biglietti di orefice” che, come i biglietti di banca attuali, circolavano
di mano in mano. Queste “promesse di pagamento”, che veinivano soddisfatte mettendo mano ai
depositi dei clienti, giunsero in realtà a sorpassare la somma di moneta depositata. Con questo si creò il
credito per emissione di carta, una scoperta di alta trascendenza»2. E questo perché, per quanto
“trascendentale” si qualifichi la “scoperta” che è possibilie utilizzare in maniera fraudolenta il denaro
1 Cfr. Bertrand de Jouvenel, «Gli intellettuali europei e il capitalismo», in Friedrich A. Hayek (ed.), Il capitalismo e gli storici, 2.ª ed.,
Bonacci Editore, Roma 1991, pp. 81-105.
2 Shepard B. Clough, Lo sviluppo economico della civlità occidentale, Edizioni Riunite, Roma 1970, p. 127 (i corsivi sono miei).
dei depositanti o emettere certificati di deposito in quantità superiore a quanto realmente depositato, è
chiaro che queste situazioni di fatto condividono il medesimo requisito fattuale che si ha nel resto degli
atti delittuosi di appropriazione indebita che da sempre sono stati oggetto di analisi dottrinale da parte
degli specialisti di diritto penale. È tanto evidente, pertanto, l’identità tra alcuni presupposti e altri, che
la dottrina non poteva rimanere impassibile di fronte all’esistenza di una simile irregolarità giuridica
nell’ambito della pratica economica.
Perciò, non sono da rimpiangere i grandi sforzi realizzati per tentare di giustificare ciò che sembra
essere completamente ingiustificabile. Chissà, che dal punto di vista dei principi generali del diritto sia
legittima l’appropriazione indebita dei fondi depositati in custodia e l’emissione di certificati di
deposito in quantità superiore al denaro realmente depositato. Malgrado ciò, ha avuto molta importanza
per gli interessati (fondamentalmente, banchieri e governi) trovare un’adeguata giustificazione che
fosse più che una semplice soluzione volontaristica consistente, puramente e ingenuamente, nel
dichiarare legale una pratica viziosa e delittuosa (che è, in ultima istanza, quello che si è finito per fare,
nonostante tutte le apparenze di costruzioni dottrinali), che molti giuristi non hanno cessato fino ad
oggi nel loro impegno di cercare di vestire con un abito di responsabilità giuridica ciò che fino ad ora si
è andato praticando.
Classificheremo in due grandi gruppi i tentativi di giustificazione dottrinale del contratto di deposito
iregolare con un coefficiente di riserva frazionaria. Il primo gruppo è costituito dall’insieme di dottrine
che ha cercato di risolvere il problema identificando il deposito irregolare con il contratto di prestito o
di mutuo. Dopo avere analizzato in dettaglio questo gruppo di dottrine, arriveremo alla conclusione
che, dal punto di vista giuridico, tale identificazione è impossibile. Il secondo gruppo, che è costituito
dagli sviluppi dottrinali più moderni, parte dal riconoscimento che esistono differenze essenziali tra il
prestito e il contratto di deposito irregolare, e ha concentrato i suoi sforzi sulla costruzione giuridica di
un nuovo concetto di “disponibilità”, secondo il quale bisognerebbe intendere tale concetto in una
maniera “permissiva”, nel senso di esigere soltanto che gli investimenti del banchiere si realizzino in
una forma “prudente” e sempre d’accordo con le norme amministrative della legislazione bancaria.
Dopo avere studiato in dettaglio questo secondo gruppo di dottrine, arriveremo alla conclusione che, in
ultima istanza, presuppongono un ritorno al tentativo fallito di giustificare l’istituzione equiparandola al
mutuo o al prestito, per cui soffrono degli stessi vizi e delle stesse contraddizioni giuridiche che
andremo a esporre in relazione al primo. Inoltre, nel capitolo seguente spiegheremo perché l’essenza
dottrinale della nuova interpretazione del concetto di disponibilità (basata sull’applicazione della
“legge dei grandi numeri”) è inammissibile dal punto di vista della teoria economica.
La nostra conclusione, pertanto, è che i tentativi realizzati fino ad oggi per giustificare giuridicamente
la pratica bancaria con riserva frazionaria in rapporto ai depositi a vista hanno fallito. Ciò spiega la
costante ambiguità dottrinale che si mantiene in relazione a contratti bancari di questo stile, il fatto che
si cerchi di evitare con tutti i mezzi una trattazione chiara ed esplicita riguardo agli stessi, la mancanza
generalizzata di trasparenza, e in ultima istanza, dato che è impossibile dal punto di vista economico
che l’istituzione di per sé sola possa sussistere, che la si sia dotata dell’apoggio di una banca centrale di
emissione come pure di norme amministrative e della liquidità che serve in ogni momento affinché
tutta ll’intelaiatura non venga giù, Nel capitolo VIII, dedicato alla banca centrale, analizzeremo
teoricamente come la nazionalizzazione della moneta e la legislazione e il controllo bancario emanati
dalla banca centrale si siano mostrati incapaci di mantenere un sistema finanziario stabile, che eviti i
cicli economici e prevenga le crisi bancarie, per cui, in ultima istanza, si può concludere che anche il
sistema di banca con riserva frazionaria, ancorché appoggiato e protetto da una banca centrale, ha
fallito.
Alla fine di questo capitolo analizzeremo una serie di figure contrattuali che si sono sviluppate nella
pratica finanziaria, alcune di esse molto simili a quelle che vanno esercitando i banchieri riguardo al
contratto di deposito. In concreto, studieremo le differenti operazioni finanziarie con “patto di
ricompra”, e metteremo in evidenza come in queste si occulti, in frode al diritto, un vero contratto di
deposito, se il patto garantisce il pagamento di un prezzo preventivamente stabilito, al margine di quale
sia il prezzo nel corrispondente mercato secondario nel momento in cui si eserciti il patto. Da ultimo,
studieremo quali sono le profonde ed essenziali differenze che esistono tra le operazioni finanziarie
relative alla banca e all’istituzione dell’assicurazione sulla vita. E l’assicurazione sulla vita appare
come una formula perfezionata di vero risparmio, nella quale si scambiano beni presenti contro beni
futuri, con alcune determinate peculiarità che la rendono particolarmente attrattiva, ma che in nessun
caso presuppongono l’appropriazione di depositi a vista, la generazione di crediti, né l’emissione di
certificati senza la corrispondente copertura. Allo stesso modo si analizzerà l’effetto corruttore che
sull’istituzione assicuratrice sta avendo la recente tendenza a degradare e a confondere, soprattutto a
seguito di istanze della legislazione governativa, le tradizionali frontiere giuridiche e tecniche che
esistono in entrambe le tipologie di istituzioni.
2
L’IMPOSSIBILE IDENTIFICAZIONE DEL DEPOSITO IRREGOLARE
CON IL CONTRATTO DI PRESTITO O DI MUTUO
3 Ricordiamo che, nei contratti di deposito irregolare di moneta, perché siano contratti di deposito, si esercita l’actio depositi directa
sviluppata dal diritto romano e in virtù della quale spetta al depositante essere l’arbitro per fissare, in qualsiasi momento, quando deve
efettuare la restituzione del deposito realizzato. Questa disponibilità è, pertanto, a tal punto manifesta, che arriva a equipararsi al puro
diritto di credito del depositante con il suo dominio sulla moneta depositata (dato che esiste una piena e inmediata disponibilità sul
tantundem di colui che depositò).
deposito e, pertanto, la legittimità della riscossione degli interessi di mora, non ometteva di segnalare
che tale deposito equivaleva, in ultima istanza, a un prestito, in forza del quale era permesso l’uso e il
consumo della moneta sotto forma di investimenti da parte del banchiere. E, per questi autori, non si
trattava solo di giustificare la riscossione di un interesse, ma di dovere anche legittimare un’istituzione
che rendesse possibili gli stessi atti di investimento o di scambio di beni presenti contro beni futuri che,
tradizionalmente e per sua essenza, rendevano possibile il contratto di prestito e che tanto necessari
erano per l’industria e il commercio. Questa fu la posizione mantenuta dalla maggioranza dei giuristi
glossatori nel corso del medioevo e anche, come abbiamo visto nel capitolo precedente, da alcuni
membri della Scuola di Salamanca come Luis de Molina, per il quale, il contratto di deposito irregolare
di moneta non è che un “prestito instabile” che trasferisce la proprietà (come già sappiamo che è
ammissibile) e la piena disponibilità (come sappiamo essere impossibile e contrario all’essenza stessa
del deposito) del denaro in favore del banchiere depositario4.
Come già abbiamo visto, anche il banchiere ed economista irlandese Richard Cantillon, nelle cause
civili e penali nelle quali si vide invischiato per essersi appropriato indebitamente dei titoli che gli
erano stati depositati come beni fungibili in un contratto di deposito irregolare, nel mezzo della bolla
speculativa creata in Francia dal sistema di John Law, cercò di difendersi con l’unica giustificazione
dottrinale fino ad allora sviluppata in favore della sua posizione: che essendo il contratto di deposito
“irregolare”, ossia, considerando i titoli come beni fungibili, esisteva una piena trasmissione tanto della
proprietà, quanto della disponiblità della cosa, per cui ben poteva egli appropriarsi dei titoli, venderli e
speculare con essi in borsa senza commettere nessun delitto né arrecare alcun pregiudizio ai suoi
depositanti5.
L’argomentazione giuridica che utilizza la difesa di Richard Cantillon è la stessa che si era sviluppata
dottrinalmente per il deposito irregolare di moneta (e non il deposito irregolare di titoli). Perciò, non c’è
alcun dubbio che se si considerava adeguata e giustificata dal punto di vista giuridico l’identificazione
tra il contratto di deposito di moneta e quello di mutuo, lo stesso doveva considerarsi, mutatis
mutandis, per il resto dei depositi di beni fungibili e, in concreto, per i depositi di titoli come beni
indistinguibili. Quindi, c’è da porre in risalto che tutta l’analisi dottrinale che si può realizzare contro la
giuridicità del deposito irregolare di titoli traslativo della piena proprietà e della disponibilità degli
stessi costituisce anche, in ultima istanza, una poderosissima argomentazione contro il deposito
irregolare di moneta con riserva frazionaria. Questo fatto è stato constatato dal grande mercantilista
spagnolo Joaqu^n Garrigues, per il quale “la conseguenza del ragionamento condotto fin qui possiamo
esprimerla affermando che l’intenzione del cliente, quando consegna i suoi titoli alla banca, è
contrattare un deposito bancario, ma, immediatamente dopo aver fatto questa affermazione, sorge
davanti a noi la figura di un altro contratto con finalità economica simile, nel quale c’è anche la
consegna alla banca di una cosa fungibile (moneta) e il servizio di cassa da parte della banca. Ecco -
diranno i difensori del conto di effetti - un altro contratto sui generis che non ha denominazione di
prestito né di deposito nei documenti bancari e che sortisce i medesimi affetti giuridici del conto
corrente di titoli; è, cioè, il passaggio della proprietà alla banca e la restituzione del tantundem da parte
4 Si confronti Luis de Molina, Tratado sobre los cambios, edizione e introduzione di Francisco Gómez Camacho, Istituto di Studi Fiscali,
Madrid 1990, Disputa 408, 1022 d., p. 138. La stessa opinione di Molina condividono, come abbiamo visto, Juan de Lugo, e in molto
minor misura Domingo de Soto. Il resto dei membri della Scuola di Salamanca, e in special modo il dottor Saravia de la Calle, da bravi e
profondi giuristi fortemente radicati nella tradizione romana, nonostante le pressioni a cui si videro sottomessi e la pratica che
osservavano, furono contrari all’esercizio della banca con una riserva frazionaria.
5 Cfr. F. A. Hayek, «Richard Cantillon (1680-1734)», in The Trend of Economic Thinking: Essays on Political Economists and Economic
History, in The Collected Works of F.A. Hayek, vol. III, op. cit., p. 159; anche il già classico articolo di Henry Higgs, «Richard
Cantillon», in The Economic Journal, vol. I, giugno 1891, pp. 276-284. Y Antoin E. Murphy, Richard Cantillon: Entrepreneur and
Economist, Clarendon Press, Oxford 1986.
di questa”6. Nonostante la forzata e poco convincente argomentazione di Garrigues per tentare di
giustificare che entrambi i depositi sono distinti, chiunque si rende conto che ambedue i contratti di
deposito irregolare e di beni fungibili (siano essi di moneta o di titoli) sono nella loro essenza identici,
per cui se si accetta per uno (quello di moneta) la totale trasmissione della disponibilità della cosa, si
deve accettare anche per l’altro, e perciò non è possibile negare la legittimità giuridica di uno (quello di
titoli), senza negarla all’altro (quello di moneta)7. Possiamo concludere, pertanto, che gli argomenti
giuridici utilizzati da Cantillon in sua difesa procedono dalla costruzione dottrinale che era stata
elaborata in relazione al contratto di deposito irregolare di moneta e, considerandosi corretti, essere
ugualmente legittimati tanto l’evidente truffa che Cantillon operò verso i suoi clienti, quanto
l’accumulo di comportamenti irregolari e fraudolenti posteriormente messi in atto in occasione dei
contratti di deposito irregolare di titoli nel resto dei paesi, e concretamente in Spagna dalla banca
catalana fin ben oltre lo stesso secolo XX, il cui carattere fraudolento e delittuoso è stato unanimemente
e correttamente analizzato dalla dottrina spagnola8.
6 Si confrontino in tal senso le pp. 194 e ss. del «Dictamen de Joaquín Garrigues», incluso nel libro La cuenta corriente de efectos o
valores de un sector de la banca catalana y el mercado libre de valores de Barcelona, opera già citata, pp. 159-209. Molti degli
argomenti inclusi in questo notevole libro contro la tesi che si trasmette la piena disponibilità nel deposito irregolare di titoli come beni
fungibili sono, pertanto, direttamente applicabili anche alla critica della medesima dottrina in relazione al deposito irregolare di moneta
come bene fungibile e saranno tirati in ballo nel nostro studio sempre che sia conveniente.
7 Altrimenti si cadrebbe in una contraddizione logica inammissibile che è, tuttavia, mantenuta da Florencio Oscáriz Marco, per il quale i
depositi sfusi non constituiscono un deposito irregolare «perché non c’è facoltà di usare e tantomeno di disporre, ma solo di mescolare»,
mentre nei depositi dell’altro bene fungibile (la moneta) misteriosamente si considera che si trasferisce la facoltà di uso e disposizione,
convertendosi in un «prestito». A questo errore concettuale, Oscáriz aggiunge un errore terminologico, poiché il «presunto singolare» di
depositi sfusi che analizza commentando la Sentenza del Tribunale Supremo sul deposito d’olio effettuato da alcuni venditori di olive
(STS de 2-7-1948) risponde al caso più tipico di deposito di bene fungibile o irregolare che si possa concepire. Si confronti Florencio
Oscáriz Marco, El contrato de depósito: estudio de la obligación de guarda, op. cit., pp. 110-112.
8 Si confronti La cuenta corriente de efectos o valores de un sector de la banca catalana y el mercado libre de valores de Barcelona, op.
cit.
9 Questa corrente giurisprudenziale contrasta con quella corretta che si formó dichiarando fraudolenta l’attività dei depositari dei grani
americani che nella decade degli anni Sessanta del secolo XIX si appropiarono di parte dei depositi di grano che custodivano per speculare
con essi nel mercato di Chicago. Dinanzi a questo fatto così sconcertante, Rothbard si domanda: «why did grain warehouse law, where
the conditions —of depositing fungible goods— are exactly the same... develop in precisely the opposite direction? ... Could it be that the
bankers conducted a more effective lobbying operation than did the grain men?». Si confronti Murray N. Rothbard, The Case Against the
Fed, Ludwig von Mises Institute, Auburn, Alabama, 1994, p. 43. La stessa corretta dottrina giurisprudenziale si è prodotta in Spagna in
relazione ai depositi sfusi d’olio nei frantoio. (Si veda, nonostante l’errore terminologico che contiene e che già abbiamo commentato
nella nota 7, la Sentenza del Tribunale Supremo del 2 luglio 1948).
with it as he pleases. He is guilty of no breach of trust in employing it. He is not answerable to the
principal if he puts it into jeopardy, if he engages in a haphazardous speculation; he is not bound to
keep it or deal with it as the property of his principal, but he is, of course, answerable for the amount,
because he has contracted, having received that money, to repay to the principal, when demanded, a
sum equivalent to that paid into his hands»10. Con questo tipo di sentenze non c’è da stupirsi che
Richard Cantillon fuggisse dalla Francia verso l’Inghilterra, dove la pratica finanziaria era molto più
permissiva e, come abbiamo visto, le decisioni giurisprudenziali terminavano seguendo una tesi
identica alla sua linea argomentativa di difesa. Al contrario, nell’Europa continentale, aveva ancora
grande influenza la tradizione giuridica romana, che aveva fondato la natura del deposito irregolare di
moneta in modo impeccabile, basandola sull’obbligazione di custodia e sull’illegittimità
dell’appropriazione da parte delle banche dei fondi in esse depositati. È comprensibile, pertanto, il
timore di Richard Cantillon, che fuggì dall’Europa continentale negli anni in cui ancora operava con
tutto il suo prestigio la Banca di Amsterdam con un coefficiente di riserva del 100 per cento, e si
cominciava a ricostruire la figura del deposito irregolare di moneta a partire dalle sue radici giuridiche
classiche (che delegittimavano l’esercizio bancario con riserva frazionaria). Inoltre, già era stato posto
in evidenza il fallimento di tutti i sistemi bancari basati sulla riserva frazionaria (fallimento sistematico
delle banche europee del basso Medioevo, delle banche di Siviglia e Italia dei secoli XVI e XVII e del
sistema di Law nella Francia del secolo XVIII), con i giudici che dettavano regolarmente sentenze
contrarie all’appropriazione da parte dei banchieri dei fondi presso di loro depositati (e che, come già
sappiamo, si estendono perfino ben dentro al secolo XX, tanto in Francia quanto nella stessa Spagna).
È necessario mettere in risalto che, almeno in rapporto all’istituzione di cui ora ci occupiamo, il sistema
della common law anglosassone ha dimostrato di essere una garanzia meno efficace per la difesa del
diritto di proprietà e il corretto ordine della cooperazione sociale di quella costituita dal sistema
giuridico continentale europeo. Ciò significa, non che il sistema continentale nella sua ultima versione
kelseniana e positivista sia superiore alla common law, ma che questa è stata spesso inferiore al diritto
romano, se si intende questo come sistema consuetudinario ed evolutivo stimolato da un’analisi logica,
esegetica e dottrinale dei giuristi della scuola classica romana. O, detto in altro modo, che il sistema
della common law anglosassone dà troppa importanza al carattere vincolante delle opinioni strettamente
giurisprudenziali che, in molte occasioni, si vedono influenzate più dalle circostanze particolari del
caso che stanno giudicando e dall’apparente pratica del traffico mercantile che credono di osservare,
che dalle analisi valutate di tipo logico ed esegetico che è necessario effettuare a partire dai principi
giuridici essenziali. Insomma, il diritto anglosassone è un diritto eccessivamente giurisprudenziale,
mentre il diritto continentale, nella sua versione del diritto romano, è un diritto misto giurisprudenziale
e dottrinale.
10 Si confronti la nota di p. 73 del libro de E.T. Powell, Evolution of Money Markets, Cass, Londra 1966, cosí come i commentari a questa
sentenza realizzati da Mark Skousen nel suo The Economics of a Pure Gold Standard, Praxeology Press, The Ludwig von Mises Institute,
Auburn University, Alabama, 1977, pp. 22-24. La traduzione in italiano di questo paragrafo della sentenza di Lord Cottenham potrebbe
essere la seguente: «Il denaro collocato in custodia presso un banchiere è, a tutti gli effetti e propositi, il denaro del banchiere, con il quale
può fare ciò che vuole. Cosí, egli non è colpevole di rompere nessuna obbligazione di custodia se lo impiega. Non risponde nemmeno
davanti al depositante se lo mette in pericolo o se lo coinvolge in speculazioni pericolose; egli non è obbligato a custodirlo o a trattarlo
come se fosse proprietà del depositante, però risponde, indubbiamente, per la quantità, perché si è obbligato in un contratto, una volta che
ha ricevuto il denaro, a restituire al depositante quando lo chieda o pretenda una somma equivalente a quella che originariamente gli
consegnò». Precedenti di questa decisione di Lord Cottenham furono la sentenza di Sir William Grant del 1811 nel caso Carr versus Carr,
cosí come quella emessa cinque anni dopo nel caso Devaynes versus Noble. Cfr. J. Milnes Holden, The Law and Practice of Banking, vol.
I, Banker and Customer, Pitman Publishing, Londra 1970 pp. 31-32 e 52-55.
L’identificazione tra il contratto di deposito irregolare di moneta e il contratto di prestito la si è voluta
mantenere anche per un settore della dottrina spagnola che, basandosi su alcuni articoli dei Codici
Civile e Mercantile, considera che il deposito irregolare non è ammesso come figura separata nella
nostra legislazione e che, pertanto, non è che un semplice contatto di prestito o di mutuo. Tuttavia,
neanche dal punto di vista del diritto positivo spagnolo, l’identificazione tra il contratto di deposito
irregolare e il contratto di prestito è sicura. Al contrario, tale identificazione è molto dubbia e vacillante
e, di fatto, gran parte della dottrina spagnola moderna ha concluso, in consonanza con la costruzione
classica, che perfino dal punto di vista dell’attuale diritto positivo spagnolo, una cosa è il contratto di
prestito e un’altra ben distinta è il contratto di deposito irregolare.
È l’articolo 1768 del Codice Civile quello che spesso si è utilizzato per giustificare l’identità tra
ambedue le tipologie di contratto. Questo articolo dice che «quando il depositario ha il permesso di
servirsi o di usare la cosa depositata, il contratto perde il concetto di deposito e si converte in prestito o
comodato. Il permesso non si presuppne, dovendo essere provata la sua esistenza». D’accordo con
questo articolo, se l’uso si intendesse nel nel suo senso più generale o permissivo, nel supporre ogni
contratto di deposito irregolare un trasferimento della proprietà della cosa in individuo e, pertanto,
dell’«uso» indistinguibile nella maniplazione della cosa fungibile, allora, ipso facto, il contratto di
deposito irregolare verrebbe sempre convertito in un prestito o mutuo. Anche se più tardi vedremo in
dettaglio i differenti casi che possono considerarsi di «trasferimento dell’uso», ora dobbiamo soltanto
anticipare che, come già abbiamo studiato nel capitolo I, una cosa è il trasferimento della proprietà e
dell’uso inteso nel suo senso generico, e altra cosa ben distinta è se mantenere o no la piena
disponibilità del tantundem a favore del depositante. Nella misura in cui il contenuto dell’articolo 1768
pretende soltanto di distinguere se si mantiene o no in ogni momento il tantundem a disposizione del
suo depositante, all’interno del diritto positivo spagnolo sarebbe perfettamete possibile ammettere
l’esistenza di un contratto di deposito irregolare radicalmente distinto dal contratto di prestito. Inoltre,
però, lo stesso Codice Civile, nel suo articolo 1770, sembra dare adito a questa seconda interpretazione.
In effetti, questo articolo stabilisce che «la cosa depositata sarà restituita con tutti i suoi prodotti e
accessioni. Essendo il deposito in moneta, si applicherà al depositario quanto disposto rispetto al
mandatario nell’articolo 1.724». Cioè, sembra sia accolto dallo stesso Codice Civile l’esistenza di un
deposito di moneta che non sia un prestito, come ben evidenziano José Luis Albácar e Jaime Santos
Briz, «davanti a questa disparità - forse antinomia - di disposizioni legali, quella che ben poteva
meritare l’aggettivo di classica, e quella moderna, è da segnalare che oggi pare prevalere quella di
coloro che ritengono che le figure del mutuo e del deposito irregolare siano distinte, al punto che non
mancano coloro i quali a tali effetti considerano che in detti casi ci troviamo davanti a un’ipotesi del
genere deposito, una figura atipica e complessa, quella del deposito irregolare»11.
Il trattamento che il deposito irregolare di moneta riceve nel nostro Codice di Commercio potrebbe
sembrare anche contraddittorio e si presta a entrambe le interpretazioni. In effetti, nell’articolo 309 si
stabilisce che «sempre che, con l’assenso del depositante, disponga il depositario delle cose che furono
oggetto di deposito, sia per sé o le sue attività, sia per operazioni da quello affidategli, cesseranno i
diritti e le obbligazioni proprie del depositante e del depositario, e si osserveranno le regole e le
disposizioni applicabili al prestito mercantile, alla commissione o al contratto che in sostituzione del
deposito si siano celebrate». Sembra, pertanto, che esista un certo parallelismo tra l’articolo 309 del
Codice di Commercio e il 1768 del Codice Civile. Tuttavia, nell’articolo 307 del Codice di
Commercio, che regola i depositi in numerario, si dice che «qualora i depositi di numerario si
11 José Luis Albácar López e Jaime Santos Briz, Código Civil: doctrina y jurisprudencia, Editorial Trivium, Madrid 1991, tomo VI, p.
1770. Anche la compilazione civile di Navarra, alla fine del suo titolo XII, fa riferimento al deposito irregolare nella sua legge 554 nel
seguente modo: «Quando nel deposito di cosa fungibile si ordina al depositario, espressamente o tacitamente, facoltà di disposizione, si
applicherá quanto disposto per il prestito di denaro nelle leggi 532, 534 e 535». Vediamo che in questo caso si ripete quasi letteralmente il
contenuto dell’articolo 1.768 del Codice Civile.
costituiscano senza specificazione di monete o senza che siano chiusi o sigillati, il depositario
risponderá della loro conservazione e dei loro rischi nei termini stabiliti dal paragrafo secondo
dell’articolo 306». E il paragrafo secondo dell’articolo 306 dice che «nella conservazione del deposito
risponderá il depositario delle diminuzioni, dei danni e dei pregiudizi che le cose depositate dovessero
soffrire per sua malizia o negligenza, e anche di quelli che provengano dalla natura o dal vizio delle
cose, se in questi casi non fece da parte sua quanto necessario per evitarli o rimediarli, dando avviso di
ciò anche al depositante, immediatamente dopo che si siano manifestati» (i corsivi sono miei).
Vediamo, pertanto, che come risultato della combinazione dell’ultimo paragrafo dell’articolo 307 con il
secondo paragrafo dell’articolo 306, nello stesso Codice di Commercio si accettava pienamente la
figura del contratto di deposito irregolare di moneta, stabilendosi un’obbligazione chiarissima di
custodia e di tutela a favore del depositante e a carico del depositario, fino al punto che, nel caso in cui
si fosse prodotto un danno, diminuzione o vizio al proprio denaro fungibile depositato, ci sarebbe stato
da avvisare immediatamente il depositante. Malgrado ciò, il Codice di Commercio include un ius
privilegii a favore dei banchieri, che dà certificato di natura giuridica all’appropriazione dei fondi che
vengano depositati nelle loro mani, quando nell’articolo 310 stabilisce che «nonostante quanto disposto
negli articoli precedenti, i depositi verificatisi nelle Banche, nei magazzini generali, nelle società di
credito o in qualsivoglia compagnia, saranno retti in primo luogo dagli Statuti delle medesime, in
secondo dalle prescrizioni di questo Codice, e per ultimo dalle regole del diritto comune che sono
applicabili a tutti i depositi». La natura di privilegio «odioso» a favore dei banchieri e di altre società
similari è chiarissima, poiché perfino dal punto di vista del diritto positivo spagnolo si potrebbe
considerare che, in accordo con il già citato articolo 306 del Codice di Commercio, qualsiasi persona
che non fosse banchiere o simile e che usasse il denaro consegnatole in deposito irregolare
commetterebbe una violazione dell’obbligo di custodia e tutela e, pertanto, un reato di appropriazione
indebita, cosa che, come eccezione, già non si considererà accaduta in relazione ai banchieri, se negli
Statuti corrispondenti si stabilisce la possibilità di utilizzare ed appropriarsi dei fondi dei depositanti
per le proprie attività. Nonostante il contenuto di questo articolo 310 del Codice di Commercio, come
in generale il la redazione degli statuti e dei contratti bancari non sia per nulla chiara, ma, al contrario, è
solita essere in questo punto ambigua e confusa12, si spiega che, nell’interpretazione giurisprudenziale
12
È curioso osservare come le banche spagnole, nelle condizioni generali dei suoi differenti contratti di conto corrente, evitino
l’utilizzazione del termine «deposito», poiché temono le conseguenze giuridiche di una tale tipologia di contratto (specialmente che si
consideri che si approprino indebitamente dei fondi che in essi si depositano). Non utilizzano neppure la qualifica di «prestito» o
«credito», perché benché giuridicamente si trovino coperti se si qualifica come prestito il deposito irregolare di moneta che in essi
effettuano i propri clienti, è evidente che dal punto di vista commerciale perderebbe moltissima forza la ricezione di passivi in forma di
depositi se il pubblico in generale iniziasse a essere cosciente che ciò che in realtà fa quando apre un conto corrente è concedere un
prestito alla banca e non effettuare un deposito. I banchieri preferiscono, pertanto, mantenere l’attuale ambiguità e confusione, poiché
dall’attuale situazione di poca chiarezza contrattuale ne escono, senza dubbio alcuno, guadagnando, finché conservino il privilegio di
poter utilizzare un coefficiente di riserva frazionaria e sono appoggiate dalla banca centrale qualora abbiano difficoltà di liquidità.
Tuttavia, a volte gli stessi banchieri si tradiscono nella qualifica giuridica delle operazioni che realizzano, e così, per esempio, la
condizione generale sesta del Banco Bilbao-Vizcaya stabilita per la negoziazione di effetti dice che: «Qualunque sia la diversità dei conti
e delle operazioni del cedente, contante, titoli, avalli, garanzie o altra specie di documento in cui siano rappresentati, così come il concetto
con cui in queste figure ... la Banca rimane autorizzata a compensarle con i crediti che per qualunque titolo, incluso quello di deposito di
ogni specie e qualità, optino per contrarre ... la presente condizione sarà applicabile perfino alle operazioni e ai crediti che il cedente
ostenta contro la Banca con precedenza rispetto alla presente negoziazione». E in relazione alla definizione del deposito a vista
materializzato nei denominati «libretti di risparmio», così come il Banco Bilbao-Vizcaya li classificava come «il titolo giustificativo del
suo credito rappresentativo del diritto che consente al titolare di sollecitare e ottenere il reintegro, totale o parziale, del saldo a suo
favore», il Banco Hispano-Americano andava ancora più lontano, stabilendo che il libretto «costituisce il titolo nominativo e non
trasferibile della sua proprietà». Vediamo come, in quest’ultimo caso, la banca, senza rendersene conto, qualifica come relazione di
dominio quella del contratto di deposito, la qual cosa, detto per inciso, è molto più vicina alla realtà giuridica dell’istituzione, dato il
mantenimento continuo della disponibilità a favore del depositante, che della stessa considerazione come un semplice diritto di credito
sulla somma di denaro depositata. Si veda in tal senso Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., pp. 368-379, note a piè di pagina
31 e 36. Nonostante tutto, Garrigues segnala che la banca privata non concede sostanzialità al contratto di deposito di moneta, ma è solita
chiamare conti correnti i depositi a vista, come si deduce dall’esame dei formulari di consegna dei fondi e dalle condizioni generali per il
funzionamento del conto, dagli estratti, dalla comunicazione dei saldi, etc. Inoltre, questa resistenza a parlare di «deposito di moneta» si
del diritto positivo spagnolo, siano state pronunciate sentenze fino a ben dentro al secolo XX (come,
per esempio, quella del 21 giugno 1928 del Tribunale Supremo spagnolo e altre, già citate nel capitolo
1 di questo libro) che hanno sostenuto la tesi secondo cui, in accordo con la legge positiva spagnola, è
obbligo dei banchieri mantenere sempre a disposizione dei depositanti l’intero importo di quanto
depositarono (tantundem), ossia, un coefficiente di cassa del 100 per cento.
Infine, dobbiamo menzionare gli articoli 7 e 8 degli Statuti della Banca di Spagna relativi ai depositi.
L’articolo 7 stabilisce nei suoi primi due paragrafi che le «filiali a ciò autorizzate potranno ricevere in
deposito monete aventi corso legale nella nazione o biglietti della medesima banca». E l’articolo 8 dice
che «la responsabilità della banca come depositaria consisterà nel consegnare la medesima quantità in
numerario nazionale equivalente ai depositi in contanti». L’articolo 10 relativo ai conti correnti ha più o
meno lo stesso contenuto: «la banca potrà aprire e amministrare conti correnti in contanti o in valori
mobiliari per conto di persone naturali o giuridiche e compagnie o enti debitamente rappresentati la cui
richiesta non crei inconvenienti per l’opinione riservata dell’istituto. I conti ordinari in contanti
potranno ricevere moneta metallica e biglietti aventi corso legale, assegni bancari e ulteriori documenti
a carico di altri conti correnti ... per ogni classe di conto corrente la banca fornirà i libretti degli assegni
di cui il titolare abbia bisogno; e attraverso gli assegni bancari, debitamente autorizzati, pagherà le
quantità e consegnerà i titoli a cura dei rispettivi saldi. Ai conti correnti in contanti, saranno assimilabili
anche gli assegni al portatore, all’ordine, nominativi e barrati». Come si vede, in questi articoli degli
Statuti della Banca di Spagna e in generale in quelli del resto delle banche, si regola soltanto il
funzionamento del conto di deposito irregolare di moneta e del conto corrente nei confronti del
depositante, però sussiste sempre la confusione e l’ambiguità rispetto all’ipotesi per cui tale moneta si
trovi continuamente custodita a vista da parte della banca o se si autorizzi espressamente, da parte del
depositante, il banchiere depositario affinché si appropri di essa convertendola in proprie attività.
Bisogna ricorrere all’articolo 180 del Codice di Commercio per vedere quale fosse il vero senso
originale della legislazione mercantile spagnola a riguardo. In effetti, l’articolo 180 stabilisce che «le
Banche conserveranno in moneta metallica nelle loro Casse la quarta parte, quanto meno, dell’importo
dei depositi e dei conti correnti in moneta metallica e dei biglietti in circolazione». Con questo
coefficiente, che è stato utilizzato come strumento tradizionale di politica monetaria da parte della
banca centrale spagnola, e la cui ridotta percentuale è attualmente fissata in un 2 per cento, si culmina il
ius privilegium a favore della banca, unica istituzione espressamente autorizzata dal diritto positivo
spagnolo a violare gli obblighi di custodia del contratto di deposito irregolare di moneta, permettendole
di appropriarsi a proprio beneficio del denaro dei propri depositanti per i suoi investimenti e i suoi
affari privati. Benché la regolamentazione del coefficiente di riserva sia l’unica disposizione che fa sì
che i banchieri non siano dei delinquenti dal punto di vista del diritto positivo vigente in Spagna, ciò
non rimedia di una virgola l’assenza di giustificazione giuridica del contratto di deposito bancario tale e
quale lo stesso è praticato né, come è logico, gli effetti economici negativi che ha sul corpo sociale la
violazione dei principi tradizionali del diritto di proprietà in relazione al deposito irregolare di moneta,
e che studieremo in dettaglio nei capitoli IV e seguenti (distorsione della struttura produttiva,
generazione di fasi successive e ricorrenti di boom e recessione economica, riparo da un cattivo
investimento generalizzato, generazione di disoccupazione di massa, e mantenimento di un sistema
finanziario privilegiato incapace di garantire uno sviluppo economico libero da convulsioni).
comprova perfino nei bilanci delle banche che non menzionano mai questa voce, ma nella corrispondente colonna del passivo la
incorporano sotto il titolo di «Creditori», con il sottotitolo di «Conti correnti a vista», nei quali si materializzano contabilmente depositi
irregolari di moneta. Pertanto, dal punto di vista giuridico e contrattuale, le banche, con il consenso delle autorità finanziarie, si adoperano
e tendono a occultare la vera natura giuridica dell’attività che sviluppano, specialmente di fronte a terzi e clienti.
Critica dell’identificazione tra il contratto di deposito irregolare di moneta e il contratto di
prestito o mutuo
Anche se l’identificazione dottrinale tra i depositi irregolari e i contratti di prestito o mutuo di moneta
giunge come anello al dito per giustificare l’attività bancaria con riserva frazionaria, la stessa è
talmente grossolana che non è stata accettata dai mercantilisti di maggior prestigio. Così, Joaquìn
Garrigues, benché sembri voler difendere, senza aggiungere altro, la dottrina dell’identificazione, si
rende conto, in ultima istanza, che la stessa non è giustificabile, e conclude che, nonostante le possibili
argomentazioni di diritto positivo (articolo 1.768 del Codice Civile e 309 del Codice di Commercio già
menzionati), che potrebbero giustificare l’identificazione tra il contratto di prestito o mutuo e quello di
deposito irregolare, «persistono alcune ragioni che inducono a continuare a considerare il contratto
come deposito e non come prestito (per esempio, la libera disponibilità a favore del depositante,
l’essere questo colui che prende l’iniziativa del contratto, la modicità dell’interesse, etc.)»13.
Curiosamente, Joaquìn Garrigues non sviluppa dettagliatamente le ragioni che menziona soltanto di
passaggio e procede direttamente a tentare di costruire la teoria basata sulla reinterpretazione del
concetto di disponibilità che studieremo nel paragrafo seguente. Tuttavia, e per quanto già sappiamo
dal capitolo 1 di questo libro, sarebbe stato molto interessante conoscere ciò che Garrigues avrebbe
potuto e dovuto dire in relazione agli argomenti contro l’identificazione di entrambi i contratti, e che
andremo a commentare più dettagliatamente qui di seguito14.
L’argomento più importante e definitivo in favore della distinzione tra il contratto di deposito irregolare
e il contratto di prestito o mutuo è radicata nella differenza essenziale che esiste in ciò che rispetta la
causa o motivazione di ambedue i contratti. Si tratta di una ragione fondamentale di tipo giuridico
(relazionata con la denominata causa15 dei contratti) che si trova, a sua volta, intimamente radicata nel
13
Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., p. 363 (i corsivi sono miei).
14
Stupisce la fretta del massimo esponente dei trattatisti spagnoli di diritto mercantile nel cercare di giustificare l’attività bancaria con un
coefficiente di riserva frazionaria mantenendo il concetto del contratto di deposito irregolare mediante, come poi vedremo, l’artificio di
ridefinire il concetto di disponibilità, senza mettersi preventivamente a studiare in ogni dettaglio gli argomenti che rendono impossibile
l’identificazione tra il contratto di deposito irregolare e il contratto di prestito. È come se Garrigues, in ultima instanza, fosse cosciente del
fatto che la ridefinizione che va a proporre presuppone implicitamente il mantenimento dell’identità tra il deposito e il contratto di prestito
(almeno dal punto di vista di colui che lo riceve, cioè, del banchiere), per il quale non gli interessa argomentare in ogni dettaglio contro
l’identificazione tra il deposito e il prestito, poiché esso si ritorcerebbe come un boomerang contro la dottrina che poi proporrà. Questa
posizione è, d’altro canto, molto comprensibile in un trattatista tanto prestigioso che contava tra i suoi principali clienti le banche e i
banchieri del paese e che considererebbe minuziosamente il rischio di mettere in pericolo il suo prestigio e il suo buon nome accademico
mettendo in dubbio la legittimità di un’istituzione tanto poderosa, radicata nella pratica e appoggiata dalle pubbliche autorità come quella
del negozio bancario basato su un coefficiente frazionario di riserva. Inoltre, durante gli anni in cui Garrigues esercitó la sua attività
dottrinale, poté soltanto contare sull’appoggio della teoria economica che, persa nel marasma delle dottrine keynesiane (si veda la nota
20) giustificava qualsiasi sistema, per quanto sbrigativo fosse, di espansione creditizia, poiché si considerava erroneamente che esso
avrebbe portato beneficio allo sviluppo dell’«attività economica». Durante questi anni di deserto dottrinale dal punto di vista della teoria
economica, l’unica difesa che rimaneva ai processi di interazione sociale di fronte alla pratica bancaria sarebbe stata il mantenimento
dogmatico dei principi basilari del deposito irregolare che, ciò nonostante, ricevettero un sostegno molto debole dal settore maggioritario
della dottrina e furono presto abbandonati. Nonostante tutte queste circostanze avverse, dalla lettura del trattato di Garrigues e degli altri
che si dedicano al medesimo tema, continua a dedursi l’impressione inconfondibile secondo cui, nel cercare di giustificare
l’ingiustificabile, si effettuano i ragionamenti e gli equilibirismi giuridici più forzati per cercare di dare un abito di apparenza giuridica a
un’attività che non risulta essere che un grossolano privilegio antigiuridico promulgato dal governo.
15
Si Ricordi, per esempio, il trattamento giuridico sulla causa dei contratti incluso in Jean Dabin, La teoría de la causa, op. cit.
16
Per Antonio Gullón, «l’equiparazione tra deposito irregolare e mutuo non cessa di essere un artificio che lotta con l’autentica volontà
delle parti. Il depositante della moneta, per esempio, non pensa di concedere un prestito al depositario. Vuole, come nel deposito regolare,
la custodia della cosa e avere in ogni momento la disponibilità della stessa. Esattamente con il deposito irregolare consegue meglio questi
fini che con il regolare, perché in questo è soggetto alla perdita per caso fortuito, che sopporterà lui stesso e non il depositario, mentre
distinto motivo soggettivo16 per il quale le parti decidono di effettuare l’uno o l’altro contratto. Esiste,
pertanto, una perfetta simbiosi tra la concezione soggettivista sulla quale si fonda la moderna teoria
economica17 e il punto di vista giuridico che attende, soprattutto, ai differenti fini soggettivi e oggettivi
delle parti per effettuare l’uno o l’altro tipo di contratti.
Nel capitolo I abbiamo studiato le essenziali e irriducibili differenze che esistono tra il contratto di
deposito irregolare di moneta e il contratto di prestito o mutuo, sempre di moneta. Quindi, tutte queste
differenze si potranno ricondurre, in ultima istanza, alla differente causa o motivazione di ambedue i
contratti. Ed è così che, come nel contratto di prestito si scambiano sempre beni presenti, la cui
disponibilità viene perduta dal prestatore, contro beni futuri che deve consegnare il mutuatario assieme
a una differenza sotto forma di interesse, precisamente in pagamento per la perdita inesorabile della
disponibilità dei beni presenti quando questi vengono trasferiti dal mutuante al mutuatario, nel caso del
deposito irregolare di moneta l’obiettivo o causa del contratto è radicalmente distinto. Qui non si
scambiano più beni presenti contro beni futuri, né esiste il benché minimo desiderio di perdere
l’immediata disponibilità della cosa che si deposita da parte del depositante. Questo determina che
l’elemento essenziale nel contratto di deposito irregolare non sia, come nel contratto di prestito, il
trasferimento della disponibilità, ma, al contrario, la custodia o la tutela del tantundem, che costituisce
la causa giuridica o motivazione basilare essenziale che porta il depositante a contrattare. Perciò, non
esiste scadenza, ma i soldi si depositano «a vista», cioè, con la possibilità di ritirarli in qualsiasi
momento. Se si indicasse al depositante che il suo contratto è un prestito alla banca e che, pertanto,
perde la disponibilità della cosa, in nessun modo procederebbe a stipulare il contratto come se fosse un
deposito, e molto probabilmente opterebbe per mantenere il denaro in suo potere. Non esiste, pertanto,
il benché minimo dubbio che la causa o motivazione giuridica di ambedue i contratti sia radicalmente
distinta, e che pretendere di mescolarli è tanto impossibile quanto mescolare l’olio con l’acqua, data
l’essenziale differenza che esiste tra l’uno e l’altro.
I teorici che pretendono di identificare il contratto di deposito irregolare con il contratto di prestito non
si rendono conto che con la loro posizione dottrinale stanno ignorando la vera causa o motivo che porta
i contraenti a contrattare. E per quanto facciano dimostrazioni più o meno superficiali sull’identità di
ambedue i contratti, in ultima istanza sbattono sempre inesorabilmente contro uno stesso muro
giuridico: l’essenziale e radicale differenza nella causa giuridica che motiva l’uno o l’altro contratto.
Perciò, il massimo a cui possono arrivare è porre in evidenza che l’una e l’altra parte dei partecipanti al
contratto di deposito bancario di moneta pensano di effettuare contratti «distinti». Ossia, che i
depositanti consegnano moneta come se fosse un deposito; e i banchieri lo ricevono come se fosse un
contratto di prestito. Tuttavia, che tipo di contratto è questo nel quale ognuna delle facce della stessa
medaglia ha una causa giuridica essenzialmente distinta? O, espresso in altro modo: come è possibile
che attraverso il medesimo contratto ognuna delle parti simultaneamente pretenda di mantenere la
disponibilità sulla stessa quantità18? Perché è evidente che i depositanti consegnano il loro denaro con il
nell’irregolare questi è un debitore di genere, che come tale mai appare» (i corsivi sono miei). Citato da José Luis Lacruz Berdejo,
Elementos de derecho civil, volume II, José María Bosch Editor, 3.ª edizione, Barcellona 1995, p. 270.
17
Questa concezione soggettivista è la base della logica dell’azione sulla quale si costruisce, in accordo con la Scuola Austriaca di
Economia fondata da Carl Menger, tutto l’edificio della teoria economica. Si veda in tal senso il mio articolo «Génesis, esencia y
evolución de la Escuela Austriaca de Economía», pubblicato in Jesús Huerta de Soto, Estudios de economía política, Unión Editorial,
Madrid 1994, pp. 17-55.
18
Francisco Belda, seguendo Luis de Molina e Juan de Lugo, crede di risolvere questa contraddizione con l‘ovvia e superficiale
affermazione che «ognuno dei due ha perfettamente diritto a considerare l’operazione secondo l’aspetto che a lui più conviene», senza
rendersi conto che, esistendo un’essenziale differenza e contraddizione tra la causa che porta ogni parte a contrattare, il problema è ben
distinto: non si tratta del fatto che ognuno consideri il contratto come più gli convenga, ma il compimento dell’oggetto o della causa di
uno (l’investimento dei fondi da parte del banchiere) rende impossibile il compimento effettivo dell’oggetto o della causa dell’altro (la
desiderio di mantenere la piena disponibilità sulla cosa consegnata (deposito di moneta «a vista»)19,
mentre la banca accetta il deposito non con il fine di conservare in custodia il 100 per cento del
tantundem in ogni momento, ma di utilizzare la maggior parte di ciò che riceve in deposito nei suoi
prestiti e nelle sue proprie attività. Questo fenomeno della «doppia disponibilità» non ha potuto
mancare di essere evidenziato proprio da Joaquìn Garrigues, al quale, come è logico, ciò produce un
notevole fastidio e disorientamento giuridico20. In effetti, secondo Garrigues, la più marcata
caratteristica del deposito bancario di moneta nella sua versione attuale (che non esige il 100 per cento
di coefficiente di cassa) consiste, esattamente, nel dato secondo cui esiste simultaneamente una doppia
disponibilità: a favore della banca e a favore del cliente. E aggiunge che «è precisamente a causa di
questa doppia disponibilità per la quale è difficile la configurazione giuridica del contratto, perché la
disponibilità a favore del depositante, che è caratteristica del deposito, mal si armonizza con la
disponibilità a favore della banca»21. Io direi ancor meglio che non è che sia difficile la configurazione
giuridica del contratto, ma che la stessa è giuridicamente impossibile, data la radicale differenza in
quanto alla causa o alla motivazione che esiste tra l’uno e l’altro tipo di negozio giuridico. Perciò, più
che «mal armonizzare» una disponibilità con l’altra, ciò che accade è che le stesse si escludano
mutuamente in modo essenziale22. Questo disorientamento di Joaquìn Garrigues si fa sempre più palese
quando in una nota a piè di pagina23 cita le sentenze del tribunale di Parigi che abbiamo studiato nel
capitolo I e che difendono l’obbligo rigoroso di custodia e il coefficiente di cassa del 100 per cento per
le banche e che Garrigues qualifica come «affermazioni sorprendenti». Quello che è invece
sorprendente è che Garrigues non si renda conto che proprio la sua analisi conduce, inevitabilmente,
custodia, tutela e continua disponibilità di moneta). Si veda Francisco Belda, S.J., «Ética de la creación de créditos según la doctrina de
Molina, Lesio y Lugo», Pensamiento, op. cit., pp. 64 e 87. Si veda ugualmente Florencio Oscáriz Marco, El contrato de depósito: estudio
de la obligación de guarda, op. cit. nota 83, p.48.
19
Il fatto che a volte i depositanti percepiscano un interesse, non pregiudica per niente la causa essenziale del deposito (tutela o custodia
di moneta). È che «a nessuno risulta amaro un dolce», per il quale il depositante ingenuo al quale si offre un interesse lo accetterà
immediatamente se la sua fiducia nel banchiere si mantiene. Ma se ci troviamo davanti a un vero deposito, il depositante darà luogo al
contratto perfino nel caso in cui non percepisca interesse e non debba, per contro, sostenere le spese di custodia, senza che questo fatto
fondamentale sia alterato dalla percezione contra naturam di un interesse da parte dei depositanti, e che indica soltanto che i banchieri
stanno facendo un uso indebito del denaro che è stato presso di essi depositato.
20
È curioso mettere in risalto come l’unico fondamento di teoria economica che mette insieme Garrigues nei suoi Contratos bancarios è
precisamente il Treatise on Money di Keynes, al quale fa riferimento espressamente almeno due volte nel testo principale (pp. 357 e 358)
e nelle due note a piè di pagina (pp. 352 e 357, note numero 1 e 11, rispettivamente). Con questo fondamento teorico non c’è da
meravigliarsi per il disorientamento che si osserva in tutto il trattamento che Garrigues dà alla figura del deposito irregolare, poiché è
come se la sua fine intuizione giuridica fosse da un lato (quello adeguato e corretto) e quello che legge nel Trattato di Keynes lo portasse a
un altro lato radicalmente distinto.
21 Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., p. 367, (il corsivo è mio). È sorprendente che Garrigues non si sia reso conto che, in
termini economici, la doppia disponibilità significa che «it becomes possible to create a fictitious supply of a commodity, that is, to make
people believe that a supply exists which does not exist». Si veda William Stanley Jevons, Money and the Mechanism of Exchange, D.
Appleton & Co., New York 1875 e Kegan Paul, Londra 1905, p. 210. Secondo la mia opinione, che si faccia credere al pubblico che
esiste uno stock di bene fungibile che in realtà non esiste è la prova definitiva dell’illegittimità di tutto il deposito irregolare (cioè, di beni
fungibili) nel quale si ammette il mantenimento di un coefficiente di riserva frazionaria (cioè, inferiore al 100 per cento).
22
Garrigues, con la sua abituale facilità di espressione dialettica, conclude che in questo contratto «la banca dispone della moneta come
se fosse sua, e il cliente dispone della moneta nonostante non sia sua». La soluzione di questo apparente paradosso è assai semplice,
perché benché il cliente abbia cessato di essere proprietario del denaro, conserva il diritto a esigere la tutela o la custodia del tantundem in
ogni momento dal banchiere, ossia, un coefficiente di cassa del 100 per cento, in accordo con l’ontologica ed essenziale natura giuridica
del contratto di deposito irregolare di moneta già spiegata nel capitolo I. Si confronti Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., p.
368.
23
Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., nota 31 al piè delle pp. 367-368.
alla conclusione che ambedue i contratti sono distinti e che non è possibile, pertanto, identificare in
forma alcuna il contratto di deposito irregolare con quello di prestito. Leggendo il trattamento che
Garrigues riserva ai contratti di deposito bancario di moneta, non può uno mancare di farsi
l’impressione che proprio Garrigues abbia una certa qual «cattiva coscienza», per il fatto di effettuare
un’analisi giuridica in modo tanto forzato al fine di cercare di giustificare l’ingiustificabile; cioè, la
supposta esistenza di un contratto di deposito irregolare di moneta che giuridicamente, e in accordo con
i principi e la logica del diritto, permetta la libera disponibilità da parte del banchiere depositario, ossia,
l’esercizio dell’attività bancaria con un coefficiente di riserva frazionaria.
Non sembra neppure che si possa accettare l’argomento che, in accordo con quanto stabilito
nell’articolo 1768 del Codice Civile, esiste una specie di «accordo tacito» o implicito nei contratti di
deposito irregolare in virtù del quale i depositanti autorizzano il banchiere depositario a utilizzare il
denaro che depositano presso di lui. Principalmente, perché l’articolo 1768 parla di «servirsi o far uso
della cosa depositata», e già sappiamo che non è la facoltà d’uso che fa sì che il contratto di deposito di
moneta sia un contratto di deposito irregolare, ma che questo sorge a patto che ciò che si deposita sia
una cosa fungibile, che proprio per sua natura non può essere individualizzata, e per la quale si può
considerare che si produca un certo trasferimento della proprietà e, pertanto, della facoltà d’uso a
favore del depositario. Tuttavia, già vediamo che questo trasferimento della proprietà e della facoltà
deve intendersi in un senso semplicemente generico. Se non si può seguire la pista delle unità
individuali consegnate, senza dubbio alcuno si può considerare che si trasmettono la proprietà e la
facoltà d’uso di queste cose specifiche; però ciò è, come è logico, perfettamente compatibile con
l’esigenza di mantenere in ogni momento il 100 per cento del coefficiente di cassa, ossia, la custodia o
la tutela del tantundem a disposizione del depositante, e che costituisce l’obbligazione essenziale del
banchiere depositario sulla quale si fonda la causa essenziale del contratto di deposito. Cioè, il
trasferimento della facoltà d’uso non è ciò che determina la natura tipica ed essenziale del contratto di
deposito irregolare, bensì la fungibilità di ciò che si deposita e l’obiettivo per il quale si realizza il
contratto. Può essere trasferita la facoltà d’uso ma ci troveremmo davanti a un deposito irregolare, e di
fatto questo è ciò che accade, per esempio, nel contratto di mutuo o prestito che ha, come già sappiamo,
una causa o motivazione giuridica radicalmente distinta (non soltanto il trasferimento della proprietà e
dell’uso, ma anche quello della disponibilità della cosa, che simultaneamente perde il prestatore).
Pertanto, e seguendo Coppa-Zuccari, ricorrere a una supposta autorizzazione (espressa o tacita) del
depositante per convertire il contratto di deposito irregolare in un prestito o mutuo è allo stesso tempo
superfluo e inesatto. Superfluo nella misura in cui ogni contratto di deposito irregolare presuppone,
proprio per sua natura, il trasferimento della proprietà e della facoltà di usare la cosa (compatibile,
come è logico, con l’obbligo essenziale di mantenere in cassa un coefficiente del 100 per cento del
tantundem). E inesatto, poiché anche se trasferisce la facoltà di usare la cosa, questo non modifica di
virgola una virgola la causa originaria del contratto, che non è altro che quella della tutela o custodia
del tantundem consegnato24. Di fatto, sono tre le possibilità logiche che bisogna concepire in merito
24
Pasquale Coppa-Zuccari, Il deposito irregolare, op. cit., p. 132.
25
Cfr. Francisco Hernández-Tejero Jorge, Lecciones de derecho romano, op. cit., pp. 107-108. Lo stesso Hernández-Tejero pone il
seguente esempio che è perfettamente applicabile al caso che ci riguarda: «se una persona consegna a un’altra una cosa in qualità di
deposito e colui che la riceve crede che si tratti di un mutuo o prestito, non ci sarà né deposito né mutuo».
26
E tutto questo senza che sia necessario argomentare che il permesso o l’autorizzazione per utilizzare la cosa non si presuppone, ma
deve dimostrarsi che esiste in ogni caso. Pare difficile che, nella maggior parte dei contratti di deposito a vista che realizzano i contraenti
privati, tale dimostrazione potrebbe essere portata a termine.
alla supposta autorizzazione, espressa o tacita, di usare la cosa. Analizziamole in dettaglio ad una ad
una.
In primo luogo, occorre considerare che l’immensa maggioranza dei depositanti non è cosciente del
fatto che quando effettua il deposito del proprio denaro in una banca, sta simultaneamente autorizzando
la banca ad usare, a proprio beneficio e per le sue attività private, il denaro che in essa deposita.
Possiamo affermare con sicurezza che l’immensa maggioranza dei depositanti, quando effettua un
deposito a vista, lo fa considerando, in buona fede, che di fatto sta facendo ciò che davvero effettua: un
contratto di deposito irregolare il cui obiettivo essenziale è trasferire la tutela o custodia del suo denaro
al banchiere. Simultaneamente, in tutti i casi il banchiere riceve il denaro come se fosse un prestito o un
mutuo, cioè, considerando che la disponibilità della cosa si trasferisce integralmente e che, pertanto,
può usarla nelle sue attività private. È evidente che non c’è coincidenza nella causa o motivazione del
negozio effettuato da ognuna delle parti che contrattano: una contratta considerando che è un deposito e
in base a questo consegna il denaro, e l’altra lo riceve come se fosse un prestito o mutuo e in base a
questo, quindi, lo investe. Siamo, pertanto, davanti a un evidente caso di error in negotio, che è quello
che ricade sulla natura del negozio e che produce la sua nullità assoluta25. Forse a molti potrebbe
sembrare estrema o sproporzionata questa conclusione, ma sembra difficile concludere qualcosa di
distinto basandosi sui ragionamenti e sui principi giuridici inerenti ai contratti che stiamo
analizzando26.
Supponiamo allora, in secondo luogo, che un determinato gruppo di clienti delle banche (o perfino,
ammettiamo, a fini dialettici, che tutti loro) concludano il contratto di deposito essendo coscienti e
accettando pienamente che una parte importante del denaro che depositano sarà utilizzata dalle banche
sotto forma di investimenti, prestiti, ecc.,. Orbene, questa consapevolezza e questa supposta
autorizzazione non diminuiscono in alcun modo l’obiettivo o causa essenziale del contratto per questo
secondo gruppo di clienti, che continua a essere quello di consegnare il proprio denaro in tutela o in
custodia, cioè, di concludere un contratto di deposito irregolare di moneta.
Dunque, in questo secondo caso, dobbiamo considerare dal punto di vista tecnico e giuridico
impossibile il contratto che pensano di aver concluso questi depositanti. Ed è così perché nell’accettare
la disponibilità a favore del banchiere, i depositanti stanno perdendo la disponibilità a proprio favore,
che è esattamente la causa o fine essenziale del contratto. Per di più, nel capitolo V la teoria economica
ci mostrerà come sia impossibile che mediante l’ingente sottoscrizione di contratti e la «legge dei
grandi numeri» si assicuri che, utilizzando un coefficiente di riserva frazionaria, in pratica tutti gli
interessati nel conseguire la consegna integrale dei loro depositi possano veder soddisfatti i propri
desideri. Non possiamo allora avanzare dettagliatamente la nostra tesi, che si basa sul riconoscimento
del fatto che il sistema bancario attuale genera crediti senza l’appoggio di un risparmio effettivo che
favoriscono il cattivo investimento delle risorse e danno luogo ad attività imprenditoriali investite per
errore, che sono prive di valore o hanno un valore ridotto e non sono, pertanto, capaci di mantenere in
equilibrio nei bilanci bancari i corrispondenti conti di deposito, per la qual cosa tende a prodursi in
forma ricorrente l’insolvenza delle banche e, in concreto, l’impossibilità di queste a far fronte ai propri
impegni (a meno che non ricevano l’appoggio esterno della banca centrale).
Inoltre, ammettendo a fini dialettici che si possa applicare la «legge dei grandi numeri» nella pratica
bancaria, è evidente che il contratto di deposito con riserva frazionaria passerebbe a essere un contratto
aleatorio27, nel quale il compimento della prestazione da parte della banca sarebbe, in ogni caso, un
27
Sui contratti aleatori, si può vedere Manuel Albaladejo, Derecho civil II, Derecho de obligaciones, vol. I, La obligación y el contrato
en general, op. cit., pp. 350-352. È esatto mettere in risalto che la natura aleatoria di un contratto di deposito irregolare di moneta con
riserva frazionaria e nel quale si compia la «legge dei grandi numeri» (cosa, per certo, impossibile) è soltanto un argomento di carattere
secondario e sussidiario di fronte al resto dei ragionamenti che stiamo dando contro tale contratto.
evento incerto, che dipenderebbe dalle circostanze particolari che si avessero in ogni caso concreto.
L’aleatorietà del contratto ha la sua origine, esattamente, nel considerare che c’è una determinata
possibilità che una proporzione di depositanti superiore al coefficiente di cassa conservato vadano in
banca, pretendano di ritirare i loro depositi e, pertanto, si vedano frustrati in tale intento, di modo che i
primi che arrivino possano ritirare i propri depositi e, a partire da un determinato numero, i successivi
no. Non sembra che sia l’obiettivo dei depositanti, neanche in questa seconda ipotesi, quella di
realizzare un contratto aleatorio sottoposto al caso che abbiamo or ora descritto. Perciò, è più logico
concludere che, in questo secondo caso, o non esiste contratto, posto che il suo oggetto è impossibile (è
impossibile far sì che in tutte le circostanze il banchiere depositario faccia fronte ai propri debiti se non
mantiene un coefficiente di cassa del 100 per cento), o la supposta autorizzazione data dai depositanti è
priva di effettività giuridica, poiché la causa essenziale del contratto continua a essere quella della
tutela della cosa, e questa esige, ineludibilmente e obbligatoriamente, la custodia del 100 per cento del
tantundem28.
Il fatto è che esiste una naturale incompatibilità tra il contratto di deposito irregolare legittimamente
costituito avente come causa la custodia o la tutela di ciò che si deposita, e l’autorizzazione affinché i
depositari utilizzino a proprio beneficio la moneta che ricevono. Questi, i banchieri, ricevono fondi che
si obbligano a consegnare non appena glielo chiedano i loro correntisti, ma, una volta ricevuti,
effettuano investimenti, concedono prestiti e danno vita ad attività che li immobilizzano e in diverse
circostanze impediscono, di fatto, la loro immediata restituzione. Poco importa, pertanto, la supposta
autorizzazione, espressa o tacita, affinché si porti a termine tale utilizzo da parte dei banchieri, se
continua a mantenersi intatta la causa essenziale del contratto, che è il deposito di moneta per la sua
custodia. In questo caso, la supposta autorizzazione sarebbe irrilevante, perché è incompatibile con
l’oggetto del contratto e, pertanto, del tutto nulla e priva di efficacia dal punto di vista giuridico, come
qualunque contratto nel quale una delle parti autorizzi l’altra affinché la inganni, o accetti per iscritto
l’autoinganno a proprio pregiudizio. E, come ha adeguatamente evidenziato il gran civilista spagnolo
Felipe Clemente de Diego, un contratto di deposito irregolare nel quale si accetti che il depositario
possa avere un coefficiente di riserva frazionaria e, pertanto, possa utilizzare a proprio beneficio per le
sue attività particolari parte dei fondi ricevuti in deposito, non è altro che un aborto giuridico,
essenzialmente in contraddizione con i principi universali del diritto. Per Felipe Clemente de Diego è
fuori di dubbio che questo contratto «ha l’inconveniente di condurci alla scoperta di un mostro che, per
il fatto di esserlo, mancherà di procedibilità in Diritto, come le creature che vengono generate con
deviazioni essenziali dalla natura umana (mostri prodigi), alle quali il Diritto romano non riconosceva
personalità giuridica, il cui senso attenuato ispira il Codice Civile spagnolo a dichiarare nell’articolo
30: ‘ai fini degli effetti civili, si reputerà nato solo il feto che abbia figura umana ....’. Ed è ciò che a
ogni essere corrisponde una propria natura, tutta sua, e quando questa non si trova in lui, ma si estrae
dagli altri esseri con i quali sta in più o meno prossima relazione di somiglianza, sembra solo che quella
sua natura fugga e svanisca da esso e cessi di investirlo, riducendolo a essere un ibrido, mostruoso, ai
confini del non essere»29. Dunque, sembra impossibile esprimere in modo migliore e con meno parole
28
Ricordiamo la condanna di Saravia de la Calle ai depositanti che trattavano con le banche sapendo che avrebbero utilizzato la loro
moneta in attività personali. Cfr. le pp. 73-74 del Capotolo II.
29
«Opinione del signor de Diego (Felipe Clemente)», ne La cuenta corriente de efectos o valores de un sector della banca catalana y el
mercado libre de valores de Barcelona, op. cit, pp. 370-371. È certo che Felipe Clemente de Diego pronuncia queste parole come risposta
all’argomento dei banchieri che volevano difendere la validità del contratto di deposito irregolare di titoli con un coefficiente di riserva
frazionaria e nel quale si permettesse, come nel contratto di deposito irregolare di moneta, la piena disponibilità di quanto depositato a
favore del banchiere depositario. Ma come già abbiamo indicato altrove, gli argomenti a favore o contro l’una e l’altra istituzione sono
identici, posto che in entrambi i casi ci troviamo davanti un contratto di deposito irregolare di beni fungibili, la cui natura giuridica, causa,
oggetto e circostanze sono le stesse. Anche Pasquale Coppa-Zuccari mette in risalto la natura contraddittoria del contratto di deposito
l’essenziale incompatibilità e la contraddizione logica irriducibile che esiste tra il contratto di deposito
irregolare di moneta e il contratto di prestito. Perciò Clemente de Diego conclude criticando l’«animo
di convertire questa opposizione radicale (tra il contratto di deposito irregolare e quello di prestito) in
un’unità che formasse un nuovo contratto, che non sarebbe né l’uno né l’altro e sarebbe, invece, i due
allo stesso tempo; cosa impossibile, per incompatibilità inconciliabile dei suoi termini». E ciò che non
può essere, non può essere e, pertanto, è ontologicamente impossibile.
Come commento finale a questa seconda possibilità, dobbiamo indicare che la contraddizione è a tal
punto evidente che i banchieri, nei contratti, nelle condizioni generali e nei formulari delle operazioni
che effettuano, non vogliono mai esplicitare esattamente qual è la natura del contratto,
dell’obbligazione di custodia o tutela che acquisiscono, e se hanno ricevuto o meno autorizzazione da
parte del depositante perché investano a proprio profitto i fondi ricevuti in deposito. Tutto si esprime in
modo vago e confuso, per cui occorre annotare, senza cadere per questo nell’imprudenza, che manca il
completo e perfetto consenso dei depositanti, perché il contratto, per la sua ambiguità, complessità e
oscurità, pone senza dubbio alcuno una barriera di nebbia davanti al cliente, che in buona fede pensa
che quello che sta concludendo sia un vero contratto di deposito. E se il valore e l’efficacia della
tradizione o della consegna di una cosa dipendono dall’atto o dal titolo con il quale la stessa si realizza,
è evidente l’importanza che venga ben puntualizzato e determinato con il suo nome in che cosa consiste
l’atto o il contratto, ben regolato nelle sue condizioni, e ben conosciute da entrambe le parti le
conseguenze che in diritto si producano. Non chiarire tutti questi aspetti, o puntualizzarli in maniera
incompleta, presuppone un’evidente ambiguità mantenuta dai banchieri, le cui possibili conseguenze
giuridiche sfavorevoli dovrebbero ricadere su di loro, e non sulla controparte contrattuale che concluse
il contratto in buona fede pensando che la sua intenzione essenziale o causa fosse quella di semplice
custodia o tutela del denaro depositato.
Da ultimo, e in terzo luogo, occorre considerare che, se questo è il vero desiderio dei depositanti, questi
modifichino la loro intenzione originaria nell’effettuare il deposito e cambino il contratto, che al
principio era di deposito irregolare di moneta, in un contratto di mutuo o prestito nel quale consentano
la perdita della disponibilità della cosa e il suo trasferimento al banchiere per un periodo determinato e
in cambio di un interesse. Si produrrebbe, allora, una vera novazione del contratto, che da deposito
irregolare passerebbe a essere un prestito, novazione che sarebbe assoggettata alle disposizioni generali
del diritto su questo tipo di modifiche contrattuali. Si tratta di una possibilità giuridica pienamente
legittima, ma che, in pratica, è assai poco utlizzata. Inoltre, paradossalmente, quando si producono
novazioni nella pratica bancaria, sono solite essere in senso contrario. Cioè, quel che originariamente
era, senza dubbio alcuno, un contratto di mutuo o prestito, anche se si fosse denominato deposito «a
scadenza», per implicare la vera trasmissione della disponibilità della cosa al banchiere nel corso di un
periodo o di un tempo determinato, in molte occasioni della pratica bancaria, e attraverso la
corrispondente novazione, si converte in un contratto di deposito irregolare. Questo è quel che succede
quando per iscritto, o verbalmente, i banchieri, e con il desiderio di mantenere e di attarre una maggior
ricezione di passività, offrono sotto voce o pubblicamente la possibilità che il titolare del conto «a
scadenza» possa ritirare il suo importo in qualsiasi momento con nessuna o con una molto piccola
penalità finanziaria. Stimiamo che, nella misura in cui questi depositi «a scadenza» (che
apparentemente sono mutui o prestiti) siano stati contrattati dai loro titolari con il fine soggettivo e
prioritario di dare in custodia il deposito, ci troveremmo davanti a un chiaro caso di deposito irregolare
di moneta, indipendentemente da quale sia la sua veste formale. E nella misura in cui la causa o
motivazione essenziale del contratto sia quella di effettuare una collocazione di beni presenti in cambio
di beni futuri mediante la percezione di un interesse, ci troveremmo davanti a un vero contratto di
bancario di moneta che, così come è stata «legalizzata» dai governi, non è né un deposito né un prestito, «La natura giuridica del deposito
bancario», Archivio giuridico «Filippo Serafini», vol. IX (nuova serie), Modena 1902, pp. 441-472.
«deposito» a scadenza che, dal punto di vista giuridico, è indiscutibilmente un mutuo o prestito capace
di “novarsi” o convertirsi in un deposito irregolare di moneta in virtù di un espresso accordo posteriore
delle parti30.
Insomma, da qualsiasi punto si guardi, non è il caso di identificare il contratto di deposito irregolare di
moneta con il contratto di mutuo o prestito. Entrambi sono essenzialmente incompatibili e l’esistenza
dell’operazione bancaria del deposito a vista con riserva frazionaria si deve solo spiegare, nonostante il
suo carattere di «mostro» o «aborto giuridico», nella misura in cui è stata prima consentita e dopo
deliberatamente legalizzata dal potere politico31. Tuttavia, il fatto che nella pratica delle relazioni tra gli
esseri umani si utilizzi una figura giuridica secondo Clemente de Diego tanto «mostruosa» non può
cessare di avere conseguenze economiche e sociali negative. Nei prossimi capitoli spiegheremo perché
la banca con riserva frazionaria è responsabile delle crisi e delle recessioni che con carattere ricorrente
colpiscono il sistema economico, essendo questo un argomento addizionale contro la legittmità del
deposito bancario, perfino qualora intervenisse un perfetto accordo tra le parti. Ciò spiega, inoltre, che
è impossibile garantire in ogni momento la restituzione di questi depositi senza che si crei tutta una
superstruttura organizzativa di carattere pubblico, denominata banca centrale, che una volta che ha
monopolizzato l’emissione di carta-moneta e stabilito il suo corso forzoso, garantisca la creazione di
tutta la liquidità necessaria per far fronte alle necessità esatte di tesoreria che possano avere le banche
private. Nel capitolo VIII studieremo come tutto ciò ha generato l’apparizione di una politica monetaria
centralizzata che, per le stesse ragioni che spiegano l’impossibilità teorica di coordinare la società
attraverso mandati coattivi (socialismo e interventismo), è condannata, in ultima istanza, al fallimento.
In effetti, le banche centrali e la politica monetaria dei governi sono le principali responsabili
dell’inflazione cronica che, con differenze di grado, colpisce le economie occidentali, così come delle
fasi successive e ricorrenti di boom artificiali e recessioni economiche che provocano tanti turbamenti
sociali. Ma non anticipiamo gli eventi e proseguiamo con la nostra analisi giuridica.
3
UN’USCITA A VUOTO: LA RIDEFINIZIONE
DEL CONCETTO DI DISPONIBILITÀ
Il convincimento da parte del settore più qualificato della dottrina secondo cui è impossibile far
coesistere due contratti a tal punto incompatibili tra loro come il contratto di deposito irregolare di
moneta e il contratto di prestito, così come il fatto per cui quantitativamente la maggior parte dei
contratti sui quali si fonda il negozio bancario attuale sono soliti essere depositi a vista e, pertanto,
contratti di deposito irregolare di moneta, tentativo hanno portato al tentativo di elaborare costruzioni
giuridiche alternative che permettessero di rendere compatibile l’esistenza del contratto di deposito
irregolare con l’esercizio da parte della banca della sua attività «tradizionale», cioè, con un coefficiente
di riserva frazionaria. Si è preteso di trovare la soluzione di questa contraddizione «ridefinendo» il
concetto di disponibilità. In effetti, per un settore della dottrina, la disponibilità non deve intendersi nel
suo senso stretto (coefficiente di cassa del 100%, o costante custodia e tutela del tantundem a
30
Non condividiamo la dottrina che considera che, dal punto di vista giuridico, i «depositi» a scadenza non sono contratti di prestito o
mutuo, poiché tanto nella loro essenza economica quanto in quella giuridica, riuniscono tutti i requisiti essenziali che vedemmo per il
prestito o per il mutuo nel capitolo I. Tra i trattatisti che tentano di giustificare il fatto che i «depositi» a scadenza non sono prestiti o
mutui spicca José Luis García-Pita y Lastres nel suo lavoro su «I depositi bancari di moneta e la sua documentazione», op. cit., e
specialmente le pp. 991 e ss., i cui argomenti su questo tema concreto non ci sembrano molto convincenti.
31
Cioè, la banca con riserva frazionaria va contro i principi tradizionali del diritto e si mantiene solo come risultato di un atto coattivo di
intervento raccolto in un mandato o legislazione privilegiata di natura amministrativa, della quale non possono approfittarsi altri agenti
economici, e che espressamente dichiara che è legale che i banchieri mantengano un coefficiente di riserva frazionaria (art. 180 del
Codice di Commercio).
disposizione del depositante), ma in un senso «lato», come la solvibilità «generica» della banca per far
fronte ai propri impegni, l’uso «prudente» in investimenti che eviti speculazioni sfortunate e le loro
corrispondenti perdite, il mantenimento di alcuni coefficienti di liquidità e di investimenti adeguati e,
insomma, il compimento di tutta una meticolosa legislazione amministrativa di carattere bancario che,
assieme al supposto funzionamento della «legge dei grandi numeri» in merito all’apertura e al ritiro dei
depositi a vista, possa garantire, in ultima istanza, un perfetto espletamento degli impegni assunti
riguardo alla restituzione, in qualsiasi momento, del denaro dei depositanti.
Così, per Garrigues, nel deposito bancario, l’obbligo di disponibilità «si trasforma in un obbligo di
diligenza consistente nell’impiego prudente e scrupoloso delle quantità ricevute, perché restino sempre
a disposizione per restituirle al cliente»32. Aggiunge Garrigues, seguendo Lalumia, che il depositario
non sarebbe «obbligato a mantenere in suo possesso il tantundem della somma depositata, ma
esclusivamente a impegarla in maniera prudente e liquida per essere sempre nella condizione di
restituirla qualora gli fosse richiesta»33. In modo che la banca adempirebbe conservando nelle sue casse
moneta sufficiente per soddisfare le «probabili» domande dei suoi clienti, dal che Garrigues deduce che
«l’elemento della custodia viene a essere sostituito nel deposito bancario dall’elemento tecnico del
calcolo delle probabilità rispetto ai ritiri dei depositi. Questo calcolo delle probabilità riposa a sua volta
sul carattere di operazioni di massa che hanno i depositi bancari»34.
È quantomai significativo che proprio Garrigues riconosca che tutta questa dottrina «si senta obbligata
a sostituire il concetto tradizionale di custodia con un concetto ad hoc, la cui solidità è parecchio
dubbia»35. E ha ragione Garrigues quando considera «forzata» questa reinterpretazione del concetto di
disponibilità che ha compiuto la dottrina (benché egli, in ultima istanza, finisca per accettarla). In
effetti, è insostenibile difendere la tesi secondo cui nel contratto di deposito irregolare non c’è altro
obbligo di custodia che quello consistente nel fare un uso «prudente» delle risorse, in modo che si
mantenga sempre la solvibilità necessaria per pagare. L’uso prudente delle risorse è un principio che
deve mantenersi in ogni azione umana e, in particolare, in ogni contratto di prestito (non di deposito)
nel quale si utlizzino risorse che devono essere restituite una volta trascorso un periodo determinato, se
si vuole adempiere a tale obbligo (senso del termine solvibilità)36. Ma nel contratto di deposito
irregolare, come già sappiamo, la causa è distinta da quella del contratto di prestito e si esige qualcosa
di sensibilmente differente: la custodia o tutela della cosa in ogni momento. Di modo che se i
32
Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., p. 375.
33
Ibidem, p. 365.
34
Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., p. 367. La stessa tesi è difesa da José Luis García-Pita y Lastres nel suo lavoro su «I
depositi bancari di moneta e la sua documentazione», op. cit., dove conclude che «cosí come stanno le cose, in luogo di contemplare la
‘disponibilità’ come simplice diritto a reclamare l’immediata restituzione, dovremo considerarla come insieme di comportamenti e attività
economico-finanziarie tendenti a rendere possibile che si possa efettuare la restituzione» (p. 990); e anche nel suo lavoro «Depositi
bancari e protezione del depositante», in Contratos bancarios, op. cit., pp. 119-266. Nello stesso senso si pone Eduardo María Valpuesta
Gastaminza, secondo il quale «la banca non è obbligata a conservare il bene depositato, ma il livello di custodia si converte piuttosto in un
obbligo di amministrazione prudente dei suoi mezzi, propri e altrui, e della disponibilità di questi che d’altra parte si assicura mediante
norme amministrative coattive (livello di rischi assumibili, coefficiente di cassa, etc.)». Cfr. «Depositi bancari di moneta: libretti di
risparmio» in Contratos bancarios, Enrique de la Torre Saavedra, Rafael García Villaverde e Rafael Bonardell Lenzano (eds.), Editrice
Civitas, Madrid 1992, pp. 122-123. In Italia, recentemente, la stessa dottrina è stata sostenuta da Angela Principe nella sua opera La
responsabilità della banca nei contratti di custodia, Editore Giuffrè, Milán 1983. Infine, merita di essere sottolineata la trattazione
ponderata e attualizzata di Pedro Luis Serrera Contreras, El contrato de depósito mercantil, Marcial Pons, Madrid 2001, specialmente pp.
120-147.
35
Joaquín Garrigues, Contratos bancarios, op. cit., p. 365.
36
E ciò senza che sia necessario argomentare che il criterio standard di «prudenza» non sia applicabile al caso di cui ci occupiamo: una
banca poco «prudente» può avere successo nelle sue speculazioni e conservare la sua solvibilità. E viceversa, un banchere molto
«prudente» può vedersi molto colpito dalla crisi di fiducia sistematica che inesorabilmente compare sempre dopo il boom artificiale che,
appunto, genera il sistema di attività bancaria esercitata con una riserva frazionaria. A poco vale, pertanto, la prudenza se si viola l’unica
condizione che possa garantire l’adempimento degli obblighi della banca in ogni momento (coefficiente di cassa del 100%).
depositanti vanno a ritirare i loro depositi e la banca non ha liquidità, indipendipentemente dal fatto che
in ultima istanza sia solvibile e, una volta dismessi i suoi investimenti, possa riuscire a pagare, è chiaro
che si violenta l’obbligazione essenziale del contratto di deposito, poiché si forzano alcuni contraenti (i
depositanti) che conclusero il contratto pensando all’obiettivo essenziale della custodia e tutela e alla
disponibilità immediata, a convertirsi in altra cosa radicalmente distinta, ossia in prestatori forzosi, che
perdono l’immediata disponibilità del bene, trovandosi obbligati contro la propria volontà ad aspettare
un lasso di tempo prolungato fino a che si liquidi più o meno ordinatamente la banca e possano arrivare
a incassare.
Se i concetti di solvibilità e uso prudente delle risorse non sono sufficienti per modificare il contenuto
essenziale della disponibilità nel contratto di deposito irregolare, è almeno possibile pensare che il
problema potrebbe risolversi mediante il calcolo delle probabilità e la «legge dei grandi numeri» alla
quale Garrigues fa riferimento. Tuttavia, abbiamo già argomentato in precedenza che, ancorquando
esistesse una regolarità statistica in grado di rendere possibile il calcolo delle probabilità in questo
campo (il che non è certamente il caso, come mostreremo nei prossimi capitoli), in ogni caso, il
contratto cesserebbe di essere di deposito per convertirsi in un contratto aleatorio nel quale la
possibilità di ottenere la restituzione immediata di quanto depositato dipenderebbe dalla maggiore o
minore probabilità che un numero sufficiente di depositanti vadano simultaneamente a ritirare i propri
depositi in una banca determinata.
In ogni caso, nel capitolo V argomenteremo che non è possibile applicare il calcolo delle probabilità
agli atti umani in generale, e in particolare a quelli relazionati al deposito irregolare. Ciò è così perché
la stessa istituzione, giuridicamente contraddittoria, del deposito irregolare, senza obbligo di custodia,
cioè, con riserva frazionaria a favore della banca, genera di per sé processi economici che fanno sì che i
prestiti e gli investimenti che effettuano le banche con i depositi che creano o di cui si appropriano,
tendono a essere sbagliati in maniera generalizzata, perché in ultima istanza si finanziano con
un’espansione del credito senza previo aumento di risparmio reale. Ciò ineludibilmente dà luogo alla
comparsa delle crisi economiche e alla diminuzione della solvibilità delle banche e della fiducia dei
depositanti nelle banche stesse, con il conseguente ritiro di massa dei depositi. Tutti i teorici
dell’assicurazione sanno che non sono tecnicamente augurabili, per ragioni di «rischio morale» (moral
hazard), le conseguenze di un evento non del tutto indipendente dall’esistenza della propria
assicurazione. Orbene, nei prossimi capitoli mostreremo che proprio il sistema bancario a riserva
frazionaria (cioè basato su un deposito irregolare di moneta nel quale non si mantenga in cassa il 100%
del tantundem a favore dei depositanti) genera endogenamente e in modo inevitabile e ricorrente
recessioni economiche che, regolarmente, danno luogo alla necessità di liquidare progetti di
investimento, di restituire prestiti e di ritirare depositi in maniera massiccia. Pertanto, il sistema basato
sul deposito irregolare con riserva frazionaria, questa istituzione che Clemente de Diego qualificava
come «aborto» o «mostro giuridico», si fa ineludibile, e questo è uno dei principali apporti dell’analisi
economica a questo campo del diritto, ossia che i banchieri finiscano per essere insolventi e non
possano far fronte all’impegno di restituire i depositi che vengano loro domandati, neanche nel caso in
cui conservino un coefficiente di cassa sufficientemente elevato. Questa, e non altra, è la ragione per la
quale le banche private che non adempivano all’obbligo di custodia del 100 per cento finirono nella
loro stragrande maggioranza per fallire fino a che esigerono e riuscirono a ottenere la creazione di una
banca centrale37 come prestatore di ultima istanza disposto a concedere loro tutta la liquidità necessaria
37
Rothbard descrive il ruolo di protagonisti che i banchieri privati, e specialmente J.P. Morgan, ebbero nella creazione della Riserva
Federale Americana e che spiega nella forma seguente: «J.P. Morgan’s fondness for a central bank was heightened by the memory of the
fact that the bank of which his father Junius was junior partner —the London firm of George Peabody and Company— was saved from
bankruptcy in the Panic of 1857 by an emergency credit from the Bank of England. The elder Morgan took over the firm upon Peabody’s
retirement, and its name changed to J. S. Morgan and Company». Murray N. Rothbard, The Case Against the Fed, op. cit., pp. 90-106, e
in particolare la nota 22 della p. 93.
nei momenti successivi di difficoltà che proprio l’instabilità del sistema di riserva frazionaria
regolarmente genera.
Perciò, la ridefinizione del concetto di disponibilità è un salto nel vuoto. Da un lato lascia inalterato il
fatto che i banchieri continuano a ricevere i depositi come se fossero prestiti, e pertanto a disporre degli
stessi per i loro investimenti e le loro attività particolari, mentre i depositianti continuano a effettuare i
depositi con l’intenzione essenziale di trasferire la tutela o custodia mantenendo la piena disponibilità
del proprio denaro. Cioè, la contraddizione di logica giuridica rimane inalterata benché si pretenda
ridefinire in modo forzato il concetto di disponibilità. In secondo luogo, dal punto di vista rigoroso del
diritto privato e in accordo con gli insegnamenti della teoria economica, la generica direttrice di uso
«prudente» delle risorse e di applicazione di «calcolo delle probabilità», non solo non è sufficiente per
garantire in tutte le circostanze che con un coefficiente di riserva frazionaria si possano effettuare tutte
le restituzioni che si sollecitino alla banca, ma, per di più, genera inevitabilmente un processo per il
quale si finisce per produrre forzosamente la perdita di fiducia nelle istituzioni bancarie e il ritiro
massiccio e straordinario dei depositi almeno ogni certo numero di anni. Conferma definitiva di tutto
quanto detto prima è che l’istituzione bancaria non è potuta sopravvivere con un coefficiente di riserva
frazionaria (cioè non adempiendo l’obbligo rigoroso di custodia) senza l’esistenza di una banca
pubblica centrale che, stabilendo norme di corso forzoso e l’obbligatorietà dell’accettazione di carta-
moneta, potesse creare dal nulla la liquidità necessaria nei momenti di difficoltà. E che solo
un’istituzione giuridicamente legittima può mantenersi nel mercato senza la necessità di privilegi né di
appoggi amministrativi da parte dello Stato, ma unicamente ed esclusivamente grazie alla volontaria
utilizzazione dei suoi servizi per i cittadini effettuata nell’ambito delle norme astratte del diritto civile.
Resta da commentare la ridefinizione della disponibilità intesa come l’adempimento da parte delle
banche private di tutta la trama di legislazione amministrativa di natura bancaria in cambio del
beneficio dell’appoggio della banca centrale come prestatore di ultima istanza. Tuttavia, anche questa
esigenza è artificiale, e trasferisce la problematica dell’impossibilità di definire giuridicamente un
contratto di deposito bancario con riserva frazionaria dall’orbita giuridica privata (dove è impossibile
far coesistere ambedue le cose) all’orbita pubblica, cioè al campo del diritto amministrativo e del puro
mandato volontarista attraverso il quale il potere politico può far diventare legale qualsiasi istituzione,
per quanto mostruosa appaia giuridicamente. Curioso e paradossale è che tutto il sistema finanziario si
faccia dipendere dalla supervisione stessa dello Stato (che storicamente è stato il primo beneficiario dei
profitti ottenuti dall’inadempimento dell’obbligo di custodia nei contratti di deposito di moneta),
poiché come ha evidenziato F. A. Hayek, «la storia dell’amminsitrazione della moneta da parte del
governi si è dimostrata di gran lunga più immorale di quella che si sarebbe avuta con agenzie private
che offrissero tipologie distinte di moneta possibilmente in concorrenza»38. Con ciò, Hayek vuole dire
che, benché sembri che il groviglio bancario attuale possa sostenersi nonostante la sua inconsistenza
giuridica, grazie all’appoggio dello Stato e di un’istituzione bancaria ufficiale che genera la liquidità
necessaria per farla giungere alle banche in difficoltà (in cambio dell’attuazione di un pasticcio di
legislazione amministrativa, costituita da innumerevoli ordini e circolari ad hoc e molto poco
trasparenti), non è possibile evitare, in ultima istanza, le ineludibili conseguenze nagative che per la
cooperazione sociale ha il fatto che si violino i principi tradizionali del diritto di proprietà. Così, per
esempio, si potrà «garantire», almeno nominalmente, per la via indicata, la restituzione dei depositi
(benché si mantenga un coeffciente di riserva frazionaria se è la banca centrale a dare il sostegno
corrispondente). Ma quello che non si potrà garantire è che il potere d’acquisto delle unità monetarie
non soffra grandi variazioni rispetto a ciò che in origine fu depositato. Di fatto, ciò che è andato
38
F.A. Hayek, La fatal arrogancia: los errores del socialismo, Unión Editorial, Madrid 1990, p. 169. Ed. it. La presunzione fatale: gli
errori del socialismo, Rusconi, Milano, 1996, p. 174.
accadendo da quando si sono formati i sistemi monetari moderni è che ogni anno e con piccole
differenze di grado, si è verificata un’importante inflazione cronica, che ha diminuito in grande misura
il potere d’acquisto dell’unità monetaria che veniva restituita ai depositanti. E tutto questo senza che
occorra qui menzionare gli effetti di scoordinamento sociale intratemporale e intertemporale che
l’attuale sistema finanziario, basato sul coefficiente di riserva frazionaria per la banca privata e nella
direzione della politica monetaria da parte di una banca centrale, ha sulle economie moderne. Questi
consistono nella ripetizione di fasi successive di boom artificiale e recessione economica con alte punte
di disoccupazione, che tanto danno arrecano allo sviluppo armonioso e stabile delle nostre società.
Vediamo, pertanto, come negli ambiti bancario e monetario torni a manifestarsi questa idea seminale di
Hayek in accordo con la quale, ogni qualvolta si violi una regola tradizionale di condotta, sia attraverso
la coazione istituzionale diretta del governo, sia mediante la concessione da parte di questo di privilegi
speciali a certe persone o entità, o tramite una combinazione di ambedue i fatti (come accade nel caso
del deposito irregolare di moneta con riserva frazionaria), sempre, prima o dopo, dovranno manifestarsi
inesorabili le conseguenze nocive e non desiderate con grave pregiudizio del processo sociale
spontaneo di cooperazione. La norma tradizionale di condotta che si viola nel caso di negozio bancario
è, come abbiamo visto in dettaglio in questi primi tre capitoli, il principio generale del diritto secondo il
quale, nel contratto di deposito irregolare di moneta, la custodia, che è la causa o elemento essenziale
in ogni deposito, deve materializzarsi nell’esigenza che, in ogni momento, si conservi una riserva del
100 per cento della moneta fungibile ricevuta in deposito, in modo che tutti gli atti di disposizione di
tale moneta, e in concreto la concessione di crediti a carico dello stesso, presuppongono una violazione
di tale principio e, in sostanza, un atto illegittimo di appropriazione indebita. Lungo la storia, i
banchieri iniziarono presto a essere tentati di violare la menzionata norma tradizionale di condotta,
come abbiamo visto con diversi esempi nel capitolo II, usando a proprio beneficio la moneta dei propri
depositanti. Ciò accadde, in alcuni momenti iniziali, in maniera vergognosa e segreta, poiché si aveva
anche da parte dei banchieri la coscienza di una cattiva condotta; e solo in seguito i banchieri riescono a
ottenere che la violazione del principio tradizionale del diritto avvenga in maniera aperta e legale,
quando ottengono dal governo il privilegio di utilizzare a proprio beneficio il denaro dei depositanti
(generalmente sotto forma di crediti, molte volte concessi in un primo momento al governo stesso). Lo
strumento giuridico del privilegio è grossolano e si è soliti porlo in atto mediante una semplice
disposizione amministrativa che autorizza, soltanto i banchieri, a mantenere un ridotto coefficiente di
cassa.
In questo modo nascono il rapporto di complicità e la coalizione di interessi esistente tra governi e
banche, che già è diventata tradizionale e che spiega le relazioni di intima «comprensione» e
«cooperazione» che esistono tra ambedue le tipologie di istituzioni e che fino a oggigiorno si sono
rilevate con piccole differenze di sfumature in tutti i paesi occidentali e in quasi tutte le circostanze. E
fu così che i banchieri e il governo si resero subito conto che nel deposito l’inadempimento dei principi
tradizionali del diritto dava luogo a un’attività finanziaria per essi altamente lucrativa, ma che esigeva
l’esistenza di un prestatore di ultima istanza, o banca centrale, che adeguasse la necessaria liquidità nei
momenti di difficoltà, che l’esperienza dimostrava che, presto o tardi, sempre si ripetevano. Le
conseguenze sociali negative di questo privilegio concesso ai banchieri (ma a nessun altro individuo o
entità) non furono, tuttavia, pienamente comprese fino a che la teoria monetaria e del capitale
progredirono sufficientemente nell’ambito della scienza economica, e furono in grado di spiegare la
comparsa ricorrente dei cicli economici. In particolare, come vedremo nei prossimi capitoli, i teorici
della Scuola Austriaca di Economia hanno sottolineato che impegnarsi a perseguire l’obiettivo
teoricamente contraddittorio (dal punto di vista giuridico-contrattuale e tecnico-economico) di offrire
un contratto costituito da elementi essenzialmente incompatibili tra di loro, che cerca simultaneamente
di combinare i vantaggi dei contratti di prestito o mutuo (e in special modo quella che consiste nella
possibilità di ottenere interesse dai «depositi» effettuati) con quelli del contratto tradizionale di
deposito irregolare di moneta (che per definizione deve permettere il suo ritiro al valore nominale in
qualsiasi momento), presto o tardi, ma sempre in maniera ineludibile, deve produrre alcuni inevitabili
aggiustamenti spontanei, sotto forma, in un primo momento, di espansioni dell’offerta monetaria
(materializzate nella creazione di crediti che non corrispondono a un incremento effettivo del risparmio
volontario), origine dell’inflazione, cattiva allocazione generalizzata delle risorse produttive scarse
della società a livello microeconomico e, infine, recessione, liquidazione degli errori indotti
dall’espansione creditizia sulla struttura produttiva, e disoccupazione di massa. Dedicheremo i prossimi
due capitoli a studiare in dettaglio tutte queste problematiche dal punto di vista della teoria economica.
Tuttavia, e prima di pasare alle stesse, è necessario completare il nostro studio giuridico analizzando
altre istituzioni giuridiche che sono in relazione con i depositi bancari.
Per concludere questo paragrafo, ricapitoliamo nella seguente tabella sette distinte possibilità di
classificazione giuridica del contratto di deposito bancario dal punto di vista della logica immanente
all’istituzione (e non, come è naturale, dal punto di vista del diritto positivo, che può dare valenza
legale a qualsiasi cosa).
TABELLA III-1
SETTE POSSIBILITÀ DI CLASSIFICAZIONE GIURIDICA DEL CONTRATTO
DI DEPOSITO BANCARIO CON RISERVA FRAZIONARIA
4
IL DEPOSITO IRREGOLARE DI MONETA, LE OPERAZIONI CON PATTO
DI RICOMPRA E I CONTRATTI DI ASSICURAZIONE SULLA VITA
L’analisi che abbiamo sviluppato in questi tre capitoli sulla natura giuridica del contratto di deposito
irregolare ha, tra l’altro, la virtù di costituire guida sicura in grado di aiutare a identificare, nella ricca e
dinamica varietà che si ha nel traffico giuridico del mondo reale, quando ci troviamo davanti a veri
contratti di prestito, di deposito irregolare nei quali si adempie all’obbligo di custodia, o davanti a
contratti di natura contraddittoria, e perfino fraudolenta. Questa guida è importante, poiché l’ingegno
umano non conosce limiti nel momento di tentare di accostarsi ai principi tradizionali del diritto a
proprio beneficio e in frode e pregiudizio altrui. E questo pericolo è particolarmente grave quando i
principi giuridici non sono adeguatamente definiti né difesi dall’autorità pubblica, soprattutto in un
campo che, come quello finanziario, è molto astratto e difficile da comprendere per la maggior parte
dei cittadini.
Qualora si osservi che, come nel deposito di moneta, si pretende di offrire la propria disponibilità
immediata al fine di facilitare la sua captazione39 per utilizzarlo in investimenti, attività, etc., dovremo
metterci in guardia con indipendenza da quale sia la forma giuridica mediante la quale si struttura
l’operazione. Così, per esempio, possiamo menzionare certi contratti con patto di ricompra, nei quali
una delle parti si impegna a ricomprare dall’altra, in qualsiasi momento che le sia da questa seconda
sollecitata, il titolo, diritto o attivo finanziario di cui si tratta, a un prezzo prefissato almeno uguale a
quello che originariamente si concordò per il titolo. In questi casi, si pretende, in frode alla legge, di
occultare un vero contratto di deposito irregolare di moneta, nel quale una delle parti contraenti ha
come obiettivo essenziale quello di garantirsi la disponibilità immediata della cosa, e l’obiettivo o
causa dell’altra, quello già conosciuto e contraddittorio di raggruppare alcune risorse monetarie per
investirle in diverse attività. Ci troviamo, insomma, davanti a operazioni in molti casi perfino
fraudolente, nelle quali il «captatore» professionale di risorse intende stimolare i suoi «clienti» affinché
gli consegnino le loro disponibilità finanziarie, in modo facile e poco compromettente, in cambio della
promessa essenziale di non perdere la disponibilità del loro denaro e di restituirglielo quando lo
desiderino (utilizzando il già citato «patto di ricompra»).
Noi ci accostiamo a questa figura anche quando, come accade di frequente nella pratica in maniera più
o meno esplicita, un’istituzione (per esempio, una banca) in modo sistematico si dedica a mantenere o
«curare» il valore delle proprie azioni in borsa, compiendo una serie di operazioni finanziarie che
inviano il messaggio al mercato che esiste un acquisto «garantito» per i titoli a livelli di prezzi
determinati. Se è così, e nella misura in cui il pubblico in generale soggettivamente lo crede, ci
troveremo di nuovo davanti a un’operazione nella quale, in ultima istanza, un contratto di deposito
irregolare di moneta si realizza attraverso l’investimento in titoli, valori o azioni la cui liquidità nel
mercato è implicitamente «garantita» in ogni momento da un’istituzione che ispira fiducia40. Non c’è
da sorprendersi, pertanto, che molte crisi bancarie abbiano avuto la loro origine, più che in un ritiro in
massa dei depositi, nella vendita in massa di azioni della banca in questione, che si supponeva
costituissero un rifugio della moneta con una disponibilità immediata quasi garantita. Quando si
comincia a dubitare della solvibilità della banca, i titoli rappresentativi della sua proprietà sono i primi
a essere venduti in maniera massiccia, il che rende impossibile che la banca continui ad adempiere al
proprio obbligo implicito di sostenere il valore dei titoli in Borsa. Queste vendite massicce hanno la
39
Il fatto che si «garantisca» in molte operazioni «irregolari» la continua disponibilità ha come fine convincere il cliente che non è
necessario rinunci alla stessa né compia il sacrificio che esige il risparmio, la qual cosa facilita enormemente la captazione di fondi,
specialmente tra ingenui che sono tentati, come in ogni inganno o raggiro, con la possibilità di ottenere alti rendimenti senza sacrificio né
rischio alcuno.
40
Portando il ragionamento alle sue estreme conseguenze, si potrebbe considerare che tutto il mercato borsistico farebbe uso di veri
depositi se lo Stato garantisse in ogni momento la generazione della liquidità necessaria per mantenere gli indici dei prezzi di borsa,
obiettivo e politica che, almeno puntualmente, in molte circostanze di crisi borsistiche i governi e le banche centrali si sono impegnate,
per ragioni di immagine politica, a mantenere.
loro origine, almeno fino a ora, nell’appoggio indiscriminato delle banche centrali la cui fornitura di
liquidità alle banche private in periodi di difficoltà non si è estesa fino al punto di permettere di
mantenere continuamente la quotazione dei valori di Borsa, e nelle ultime crisi bancarie spagnole e
degli altri paesi, si è evidenziato come, in ultima istanza, gli unici «depositanti» che abbiano subito
perdite sono stati gli stessi azionisti.
Esistono molti altri casi «di frontiera» che qui si potrebbero menzionare. Così, per esempio, quello
delle società finanziarie o di portafoglio, che per invogliare alla sottoscrizione dei propri titoli, si
«impegnano» al riacquisto degli stessi al prezzo originale quando i loro titolari lo desiderino, e in
generale tutte le operazioni con patto di ricompra nelle quali il prezzo del riacquisto è già prefissato, e
non sia il prezzo che si consegue nel momento in cui si tenta di vendere nel corrispondente mercato
secondario41. Corrisponderà, pertanto, al giudizio analitico del giurista e dell’economista studiare
l’operazione economico-finanziaria di cui stiamo trattando, e alla luce dei principi giuridici studiati in
questi primi tre capitoli e delle implicazioni economiche che vedremo nei seguenti, decidere
esattamente davanti a quale tipo di operazione reale ci troviamo e quali sono, pertanto, la sua vera
natura e le sue conseguenze42. Quest’analisi, inoltre, raggiungerebbe una rilevanza fondamentale se un
giorno, nel futuro, arrivasse a privatizzarsi completamente l’attuale sistema finanziario sul monopolio
di una banca centrale pubblica e si stabilisse un sistema di banca libera sottomesso ai principi generali
del diritto. In questo caso, l’attuale groviglio di norme amministrative sulla banca finirebbe per essere
sostituita da alcune semplici ed elementari disposizioni incluse nei Codici Civile, Mercantile e Penale,
che avrebbero come obiettivo primordiale quello di garantire il mantenimento del principio rigoroso di
ciustodia (coefficiente di cassa del 100 per cento) in relazione, non soltanto ai contratti di deposito
irregolare di moneta a vista, ma anche rispetto a qualsiasi altra operazione economico-finanziaria, nella
quale i suoi partecipanti avessero come motivazione essenziale quella della custodia e della tutela dei
propri depositi. In queste per ora utopiche circostanze, grande interesse avrà l’analisi che stiamo qui
proponendo affinchè giudici e giuristi possano orientarsi nell’ambito della complessissima e ricca
varietà di contratti e operazioni che continuamente nascono nella realtà economico-finanziaria,
41
Altro caso di veri e propri depositi simulati è quello delle cessioni temporali con patto di ricompra a vista, che si svolgono come un
prestito del cliente all’entità bancaria con la garanzia di alcuni valori, normalmente debito pubblico, per il caso di inadempimento del
prestatario, che produce un tasso di interesse patteggiato fino a una data determinata e che è rimborsabile a semplice richiesta del
«prestatore» con precedenza a detta data. Nel caso in cui si eserciti detta opzione di estinzione anticipata, la quantità affidata dal cliente si
capitalizza al tasso di interesse patteggiato fino alla data in cui si eserciti la detta opzione, al fine di calcolare il montante risultante dalla
liquidazione. L’operazione per il cliente è identica a un prestito di garanzia di valori combinato con l’acquisizione di un’opzione
americana. Un’opzione è un contratto che dà il diritto, e non l’obbligo, di comprare o vendere a una certa data o fino a una certa data una
determinata quantità di un’attività. Se il diritto è di acquisto, l’opzione se chiama Call e se è di vendita Put; se il diritto è fino a una certa
data l’opzione si aggettiva come «americana» e se è fino a una certa altra come «europea». L’acquirente del diritto compensa la sua
contraparte del diritto ceduto mediante un premio nel momento di officiare il contratto. Il cliente del contratto che abbiamo menzionato
eserciterà la sua opzione solo se i tassi di interesse ai quali si remunerano i depositi con un termine uguale alla scadenza rimanente del suo
superano i tassi che patteggiò in quel momento. Non eserciterá l’opzione sa i tassi ribasseranno anche quando occorra liquidità, posto che
normalmente potrá indebitarsi consegnando come garanzia il debito a un tasso minore, nel periodo rimanente. Alcuni enti offrono perfino
questi contratti assieme al servizio di cassa tipico dei conti correnti. Cosí, il cliente può emettere assegni o accusare ricevute dei suoi saldi.
Inoltre, la banca utilizza il contratto come un modo di speculare in titoli, giacché glieli finanzia il pubblico e i risultati della speculazione
vanno a suo favore. Sono grato al mio amico Prof. Rubén Manso per i dettagli che mi ha fornito su questa operazione.
42
Si solleva anche l’interesante questione di come determinare nella pratica a partire da quale momento i prestiti a scadenza molto breve
si convertono in depositi. Anche se la regola generale è chiara (deve prevalere l’intenzione soggettiva delle parti, e scaduto ogni prestito si
converte in un deposito che esige un coefficiente di cassa del 100 per cento fino a che non viene ritirato), agli effetti pratici in molte
occasioni sará necessario limitare una frontiera temporale (un mese?, una settimana?, un giorno?) al di sotto della quale i prestiti concessi
alla banca dovranno essere reputati come veri e propri depositi. In quanto ai cosiddetti mezzi secondari di scambio, che non sono moneta
ma possono essere liquidati molto facilmente e che si comprano con un premio addizionale sul mercato, bisogna consultare Ludwig von
Mises, Human Action, op. cit., pp. 464-467.
rendendo possibile identificare in quali casi dette operazioni sarebbero o meno sanzionate come nulle
e/o criminali dalle disposizioni generali di ordine civile o penale43.
In ogni caso, e come avremo l’opportunità di ampliare il discorso più avanti, dobbiamo rifuggire da una
tendenza interessatamente disfattista spesso ripetuta nell’ambiente finanziario. Questa consiste nel
pensare che l’ingegno umano arrivi a essere capace di trovare formule ogni volta più sofisticate e
originali per ovviare fraudolentemente ai principi universali del diritto, per cui sarà impossibile che
nella pratica gli stessi si osservino e si difendano. E dobbiamo rifuggire da questa posizione disfattista,
poiché la proliferazione di modi ingegnosi di violare tali principi ha la sua origine, precisamente, in
quegli stessi principi che fino ad ora sono stati definiti e difesi in maniera anche troppo confusa,
ambigua e contraddittoria da parte dei poteri pubblici, di modo che non esiste una consapevolezza
generalizzata in merito all’importanza della loro realizzazione. Tutto al contrario, le concezioni e i
valori cittadini si sono andati corrompendo, fino al punto di considerare che i contratti di deposito
irregolare con riserva frazionaria sono legittimi. Se i principi giuridici generali tornassero a essere
intesi e rispettati il numero di condotte irregolari si vedrebbe molto diminuito (specialmente se i poteri
pubblici si cureranno, per di più, di controllare e difendere in maniera effettiva i corrispondenti diritti di
proprietà). Dall’altro lato, il fatto constatato che l’ingegno umano cerca continuamente nuovi modi di
delinquere e defraudare gli altri, non diminuisce minimamente la trascendentale importanza che ha il
disporre di principi chiari che servano da guida ai cittadini e orientino le autorità nella loro
irrinunciabile attività di definizione e difesa del diritto di proprietà.
Il contratto di assicurazione sulla vita è il tipico esempio di un’istituzione giuridica di antico lignaggio,
molto ben elaborata in quanto alla propria essenza e al proprio contenuto giuridico, e perfettamente
fondata su una pratica attuariale, economica e finanziaria che, però, si è preteso di utilizzarle, in tempi
recenti, per istruire operazioni assai prossime al deposito irregolare di moneta con coefficiente di
riserva frazionaria ; tutto ciò con grave pregiudizio dell’evoluzione e della tradizionale solvibilità
dell’istituzione dell’assicurazione sulla vita, e in frode ai supposti «depositanti-assicurati» danneggiati.
In effetti, innanzi tutto, c’è prima da comprendere che il contratto di assicurazione sulla vita ha a che
fare con il contratto di deposito irregolare di moneta. L’assicurazione sulla vita è un contratto
aleatorio, per il quale una delle parti, l’appaltante, o prenditore dell’assicurazione, si impegna a pagare
il premio o prezzo dell’operazione, in cambio del quale l’altra parte o compagnia assicuratrice si
impegna a pagare alcune determinate prestazioni in caso di fallimento o sopravvivenza dell’assicurato
entro una scadenza predeterminata nel contratto. C’è, pertanto, una perdita piena della disponibilità dei
premi che paga l’assicurato44, disponibilità che si trasferisce integralmente all’assicuratore, per cui in
ogni assicurazione sulla vita si produce uno scambio tra beni presenti e certi in cambio di beni futuri e
incerti (dato che la percezione degli stessi dipende da un fatto aleatorio, come possono essere il
fallimento o la sopravvivenza dell’assicurato). Il contratto di assicurazione sulla vita è, pertanto,
equiparabile a un’operazione di risparmio (nella quale si rinuncia alla proprietà e alla disponibilità di
beni presenti in cambio della proprietà e della disponibilità di beni futuri), ma di risparmio
43
Nel modello che proponiamo, e che studieremo con maggior dettaglio nell’ultimo captolo di questo libro, scomparirebbe il controllo
della banca centrale e dei suoi funzionari nel campo finanziario, essendo sostituito da quello del giudice, che recupererebbe cosí il suo
massimo prestigio e protagonismo al momento di applicare i principi generali del diritto finanche nell’area finanziaria.
44
Questo fa sì che la vendita di assicurazioni sulla vita, per il fatto diimplicare una disciplina del risparmio nel corso di molti anni, sia
molto più difficile di quella di altri prodotti finanziari che si vendono con la garanzia di conservare a favore del cliente la disponibilità del
suo denaro in ogni momento (depositi). Per questa ragione le assicurazioni sulla vita si vendono mediante una costosa struttura di reti
commerciali di agenti, mentre il pubblico accorre da solo e motu proprio a collocare i propri depositi nelle banche. Le compagnie di
assicurazione sulla vita promuovono e danno impulso al risparmio volontario a lunga scadenza, mentre le banche creano dal nulla crediti e
depositi senza la necessità che nessuno si sia visto obbligato a fare preventivamente sacrifici risparmiandoli.
perfezionato, poiché permette di recuperare un importante capitale dal primo momento in cui entra in
vigore il contratto, se si produce l’evento aleatorio previsto (per esempio, il fallimento dell’assicurato).
E avviene che questo capitale che si riscuote in caso di fallimento potrebbe essere accumulato solo
mediante qualunque procedimento alternativo di risparmio tradizionale (operazioni tradizionali di
mutuo o prestito) dopo un periodo molto prolungato di molti anni. Cioè, grazie ai contratti di
assicurazione sulla vita, il calcolo delle probabilità messo in relazione con le tabelle di mortalità e
sopravvivenza, e il principio di mutualismo o ripartizione delle perdite o dei sinistri tra tutti gli
assicurati su cui si basa l’istituzione, è possibile disporre dal primo momento, nel caso che accada il
fatto causale, di un importante capitale che solo dopo molti anni si è potuto accumulare mediante altri
procedimenti.
L’assicurazione sulla vita, inoltre, è un contratto a lunga scadenza, che incorpora componenti complessi
di tipo finanziario e attuariale e che esige un investimento prudente di importanti risorse la cui
disponibilità si trasferisce a entità professionali (compagnie e mutue di assicurazioni sulla vita) che
devono costituire e investire le riserve matematicamente calcolate come necessarie per poter far fronte
al pagamento futuro degli impegni acquisiti. Queste riserve si definiscono «matematiche», perché in
funzione del calcolo della probabilità rispetto ai fallimenti e alle sopravvivenze previste nelle tabelle di
mortalità (che sono state eleborate con un elevato grado di affidabilità e costanza per la maggior parte
delle popolazioni occidentali), è possibile calcolare, con una probabilità di errore piccola quanto si
vuole, l’importo delle riserve che è necessario coprire per far fronte a tutte le prestazioni garantite.
Dopo vedremo le radicali differenze che dal punto di vista economico-finanziario esistono tra
l’assicurazione sulla vita e il contratto di deposito irregolare con riserva frazionaria che, al contrario di
quanto accade con l’assicurazione sulla vita, non permette l’applicazione del calcolo delle probabilità
in quanto non esiste una completa indipendenza tra l’esistenza dell’istituzione (banca con riserva
frazionaria) e la ripetizione di fenomeni ricorrenti di ritiro in massa dei depositi.
Una complessità addizionale sorge perché, in relazione ad alcune modalità di assicurazioni sulla vita,
esiste il diritto al riscatto dell’operazione. Questo consiste nel fatto che gli assicurati possono
rescindere il contratto ottenendo in contanti il valore matematico di liquidazione della propria
assicurazione. Alcuni trattatisti hanno sostenuto la tesi secondo cui, nelle modalità che contemplano il
diritto al riscatto, ci troviamo in una situazione molto somigliante a quella del contratto di deposito
irregolare di moneta con riserva frazionaria45. Contro quest’opinione, si deve argomentare che ciò che
designa o meno un’operazione scoperta di deposito irregolare dipenderà, in ultima analisi, da quale sia
la vera motivazione, intenzione o causa soggettiva del contratto realizzato. Se, come accade di solito in
relazione ai contratti tradizionali di assicurazioni sulla vita, l’appaltante effettua l’operazione con
l’intento di arrivare alla fine della scadenza della stessa, e non è cosciente del fatto che ha del denaro
depositato a vista del quale può fare uso in qualsiasi momento mediante la corrispondente clausola di
riscatto, allora è chiaro che non staremo davanti a un contratto di deposito irregolare, ma davanti a un
semplice contratto di assicurazione sulla vita tradizionale. E questa tipologia di contratto si vende con
l’idea che il riscatto è una soluzione «estrema» della quale si deve fare uso in circostanze di massima
necessità della famiglia che non permettono, in alcun modo, di continuare con il pagamento di
un’operazione che è a tal punto necessaria per la tranquillità di tutti i membri dell’unità familiare46.
45
Murray N. Rothbard, «Austrian Definitions of the Supply of Money», en New Directions in Austrian Economics, Louis M. Spadaro
(ed.), Sheed, Andrews & McMeel, Kansas City 1978, pp. 143-156, e in special modo le pp. 150-151. La posizione di Rothbard è, ciò
nonostante, pienamente giustificata in relazione a tutte le nuove operazioni di «assicurazioni sulla vita» che sono state concepite per
simulare un contratto di deposito.
46
Inoltre, l’esercizio del riscatto tradizionalmente comporta un’importante penalizzazione finanziaria per l’assicurato, che risulta dalla
necessità di ammortizzare le elevate spese iniziali di acquisizione in cui incorre la compagnía durante il primo anno dalla contrattazione
dell’assicurazione. La tendenza a diminuire queste penalizzazioni è un chiaro indizio del fatto che l’operazione abbandona l’orbita
dell’assicurazione sulla vita tradizionale e si trasferisce a quella del deposito bancario simulato.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che, soprattutto nei tempi più recenti, si è osservata una pressione
continua da parte delle banche e delle altre istituzioni finanziarie per far sparire, cancellare e
confondere le frontiere e le differenze essenziali che tradizionalmente erano soliti separare il contratto
di assicurazione sulla vita dai contratti bancari di deposito47.
Così, han cominciato ad apparire sul mercato vere e proprie operazioni di deposito di moneta travestite
da assicurazioni sulla vita. In queste operazioni il principale argomento di vendita esposto ai clienti è
quello secondo cui determinano l’impegno in un’operazione di risparmio e previsione a lungo termine
pagabile in modo frazionario, poiché i fondi consegnati alla compagnia assicuratrice potranno essere
ritirati in qualsiasi momento senza penalità, né costo alcuno (e perfino con il proprio interesse
corrispondente). Questa tipologia di operazioni è stata travestita da assicurazione sulla vita con la
finalità, tra le altre, di ottenere i tradizionali vantaggi fiscali che i poteri pubblici sono andati
concedendo in quasi tutti i paesi sviluppati all’istituzione assicurativa per l’effetto assai benefico che
l’istituzione stessa ha come stimolatrice della previdenza e del risparmio volontari di ampi strati della
popolazione e, perciò, sulla crescita e lo sviluppo economico sostenuto e non inflazionistico del paese.
Sono state gestite, così, in maniera massiccia, operazioni di «assicurazioni sulla vita» che non erano
tali, ma erano semplicemente depositi camuffati che il pubblico, senza alcuno sforzo, veniva stimolato
a effettuare pensando che in qualsiasi momento potessero essere ritirati senza penalizzazione se
avessero avuto bisogno del proprio denaro o semplicemente desideravano trasferirlo presso un’altra
istituzione finanziaria. La confusione che ciò ha creato è stata molto grande. E in tal modo, per
esempio, sono state incluse nelle statistiche ufficiali dei premi di assicurazioni sulla vita cifre
corrispondenti a operazioni estranee all’istituzione e che nulla avevano a che vedere con essa (i depositi
bancari), diventando vaghe e disprezzate, nella gran confusione vissuta nel mercato, le operazioni
tradizionali di assicurazione sulla vita48.
Fortunatamente, sembra che le acque stiano tornando al proprio alveo, e che tanto gli assicuratori
privati tradizionali quanto le autorità pubbliche stiano cominciando a rendersi conto che non c’è niente
di peggio per l’istituzione dell’assicurazione sulla vita che stimolare la sparizione delle frontiere che
esistono tra questa e i depositi bancari. E si inizia a riconoscere che, dalla confusione tra l’una e l’altra
istituzione, tutti hanno avuto da perdere: l’istituzione tradizionale dell’assicurazione sulla vita, che ha
perso gran parte dei vantaggi di incentivo fiscale che sfruttava e si è vista crescentemente intervenuta e
controllata dalla banca centrale e dalle autorità monetarie di ogni paese; i clienti, che hanno sottoscritto
assicurazioni sulla vita pensando che fossero come depositi bancari e viceversa; le banche che, in molte
47
Come vedremo alla fine del capitolo VII, John Maynard Keynes giocò un ruolo personale da protagonista in questa corruzione dei
principi tradizionali dell’istituzione dell’assicurazione sulla vita durante gli anni (1921-1938) in cui lavorò come presidente della National
Mutual Life Assurance Society, importante impresa inglese di assicurazioni sulla vita. Durante la sua presidenza, non solo promosse una
politica «attiva» di investimenti molto orientata, contraria alla pratica tradizionale, verso la rendita variabile, ma oltre a ciò difese criteri
non ortodossi di valutazione delle attività (a prezzi di mercato) e perfino la distribuzione di utili agli assicurati sotto forma di buoni a
carico di supposti «guadagni» borsistici non realizzati. Tutte queste tipiche aggressioni di Keynes contro i principi tradizionali del settore
misero in gravi difficoltà la sua compagnía quando si produsse il crash borsistico del 1929 e arrivó la Grande Depressione, di modo che i
suoi compagni del consiglio cominciarono a mettere in discussione la sua strategia e le sue decisioni, provocando dissapori tra di loro, che
terminarono con le dimissioni di Keynes nel 1938, secondo lui perché non credeva che «it lies in my power to cure the faults of the
management and I am reluctant to continue to take responsibility for them». Cfr. John Maynard Keynes, Collected Writings, volumen XII,
Macmillan, Londra 1983, pp. 47 e 114-254. E ugualmente Nicholas Davenport, «Keynes in the City», in Essays on John Maynard
Keynes, Milo Keynes (ed.), Cambridge University Press, Cambridge 1975, pp. 224-225.
48
Insomma, si è prodotto un miraggo, nel quale le crescite apparentemente esorbitanti nelle vendite da assicurazioni sulla vita non erano
tali, posto che in realtà corrispondevano a operazioni radicalmente distinte ed estranee all’istituzione, come quella del deposito bancario
con riserva frazionaria; dette cifre perdono, pertanto, completamente la loro spettacolarità se, invece di essere paragonate con le cifre
dell’assicurazione sulla vita tradizionale (molto più modeste per il fatto di supporre un sacrificio e un impegno a lunga scadenza di
risparmio e previdenza per la famiglia), si confrontano con l’importo globale dei depositi bancari di ogni paese (nel cui caso restano
ridotte a una frazione non molto significativa). La considerazione nell’ambito delle statistiche settoriali unicamente ed esclusivamente di
ciò che sono i contratti di assicurazione sulla vita davvero fa sì che le cose tornino al loro vero percorso e alla loro vera proporzione, e che
vada scomparendo un miraggio nel quale tutti (e l’Amministrazione in primo luogo) illusoriamente pretendevano di vivere.
CAPITOLO IV
In questo e nei prossimi cinque capitoli ci proponiamo di analizzare, dal punto di vista della teoria
economica, quali sono le conseguenze economiche della mancata osservanza dei principi generali del
diritto nel contratto di deposito irregolare, che già abbiamo studiato dal punto di vista giuridico e
storico nei tre capitoli precedenti. In concreto, esporremo il processo mediante il quale le banche
creano dal nulla crediti e depositi, e le distinte implicazioni che questo ha sulla cooperazione sociale.
La più importante delle conseguenze del processo di creazione di crediti da parte della banca è che,
nella misura in cui questi si effettuano senza la corrispondente base di risparmio volontario, si
scatenano, inevitabilmente, effetti distorsivi sulla struttura produttiva reale che danno luogo in maniera
ricorrente all’apparizione di crisi e recessioni economiche. Dopo aver studiato la teoria del credito
circolante dei cicli economici, passeremo ad analizzare, in una prospettiva critica, le teorie
macroeconomiche monetarista e keynesiana, così come a effettuare un breve ripasso storico della serie
ricorrente di crisi economiche che hanno colpito il mondo occidentale. Per ultimo, termineremo il libro
con due capitoli finali, uno dedicato alla teoria della banca centrale e della banca libera, e l’altro ad
analizzare la proposta di stabilire un coefficiente di cassa del 100% per la banca.
1
INTRODUZIONE
Lo sviluppo della teoria economica in relazione alla moneta, alla banca e ai cicli economici si è
prodotto in tempi relativamente recenti nella storia del pensiero economico. Le conoscenze economiche
che andiamo a esporremo sono sorte, pertanto, con un gran ritardo temporale rispetto ai fatti
economici che hanno voluto spiegare (sviluppo della banca con riserva frazionaria e apparizione
ricorrente dei cicli economici di boom e recessione) e della loro corrispondente raffigurazione
giuridica. E gli studi intorno ai principi giuridici, l’analisi delle lacune e delle contraddizioni rilevate
negli stessi, la ricerca e la decontaminazione dai suoi vizi logici, ecc., si sono verificati storicamente
molto più anticamente e possono essere fatti risalire, come già abbiamo visto nei capitoli precedenti,
fino alla dottrina giuridica classica romana. In ogni caso, e seguendo la teoria evolutiva delle istituzioni
(giuridiche, linguistiche ed economiche), secondo la quale queste si formano lungo un processo storico
dilatato e incorporano un enorme volume di informazione, conoscenze ed esperienze, non c’è da
sorprendersi che le conclusioni che trarremo dalla nostra analisi economica del contratto di deposito
bancario di moneta, tale e quale si sviluppa oggigiorno, coincidano con e rispecchino in grande misura i
contenuti previsionali che in maniera più intuitiva già si potevano trarre dal punto di vista strettamente
giuridico nei capitoli precedenti.
La nostra analisi sull’attività bancaria rimarrà circoscritta allo studio del contratto di deposito di
moneta, che nella pratica delle banche si estende tanto ai denominati conti correnti a vista, quanto ai
conti di risparmio e ai depositi a scadenza, sempre e quando in questi ultimi due si permetta de facto il
ritiro del proprio saldo da parte del cliente in qualsiasi momento. Non costituiscono, pertanto, oggetto
del nostro studio le molteplici attività che nella vita moderna le banche private sviluppano e che non si
riferiscono per niente al contratto di deposito irregolare di moneta. Così, per esempio, le banche
moderne offrono un servizio di contabilità e cassa ai propri clienti. Si dedicano anche al cambio delle
divise, seguendo una tradizione di cambiavalute che si fa risalire storicamente ai periodi più antichi nei
quali nacquero le prime unità monetarie. Le banche accettano ugualmente depositi di titoli e si
occupano, per conto dei propri clienti, di incassare le corrispondenti cedole di dividendi e interesse
1
quando gli stessi vengono pagati dagli enti emittenti dei titoli, informando i propri clienti di aumenti
del capitale, assemblee generali, etc., di queste società. Intervengono anche in operazioni di
compravendita di titoli per conto dei propri clienti, attraverso le proprie società intermediatrici, e
forniscono un servizio di cassette di sicurezza nelle loro filiali. Inoltre, le banche si comportano come
veri e propri intermediari finanziari in molte operazioni nelle quali ricevono i prestiti dei propri clienti
(cioè, quando questi sono consci di effettuare un prestito alla banca con una gamma diversificata di
strumenti in qualità di obbligazionisti, possessori di certificati o titolari di veri «depositi» a scadenza),
prestando a loro volta i fondi ricevuti in prestito a terzi, e ottenendo un beneficio dal differenziale di
interesse tra quello che riscuotono dai prestiti che concedono e quello che si sono obbligate a pagare ai
clienti che originariamente prestarono ad esse. Nessuna di queste operazioni si riferisce al contratto di
deposito bancario di moneta che studieremo in dettaglio nei paragrafi seguenti e costituisce, senza
dubbio alcuno, e come vedremo, l’operazione più significativa, quantitativamente e qualitativamente,
che la banca effettua oggigiorno, e quella che ha maggiori ripercussioni dal punto di vista economico e
sociale.
Già abbiamo indicato prima che l’analisi economica del contratto bancario di deposito di moneta è un’
altra figura di quella grande intuizione hayekiana secondo la quale, sempre che, mediante l’esercizio
sistematico della coazione dello Stato, o mediante la concessione da parte di questo di vantaggi o
privilegi a determinati gruppi o persone, si violenta qualche principio universale del diritto, in un modo
o in un altro si finisce per produrre conseguenze gravi e negative nel processo spontaneo di
cooperazione sociale. Questa idea, che andò raffinandosi mentre si sviluppò la teoria dell’impossibilità
del socialismo, si è generalizzata e, dopo essere stata applicata nell’ambito ristretto dei cosiddetti
sistemi di socialismo reale, lo è stata anche in tutte quelle aree o settori delle economie miste
occidentali nelle quali predomina la coercizione sistematica governativa o la concessione «odiosa» di
privilegi.
Benché l’analisi economica dell’interventismo appaia più evidente in relazione alle misure coercitive
dello Stato, non cessa di essere meno chiara e decisa in relazione a quelle aree nelle quali non si
osservano i principi tradizionali del diritto mediante la concessione di favori o privilegi a determinati
gruppi di interesse. Due sono le aree più importanti nelle quali si produce questo fenomeno nelle
economie moderne. La prima è quella costituita dalla cosiddetta legislazione sul lavoro, che regola
minuziosamente i contratti di lavoro e le relazioni tra gli agenti che intervengono nel mercato del
lavoro. Questa legislazione si traduce, non solo in misure coercitive (che impediscono che le parti
pattuiscano come ritengono più conveniente i differenti aspetti del contratto di lavoro), ma per di più
concedono importanti privilegi a gruppi di interesse ai quali, in molti aspetti, si permette di agire al
margine dei principi tradizionali del diritto (come succede, ad esempio, con i sindacati). La seconda
area nella quale sono preponderanti tanto la concessione di privilegi, quanto la coercizione
istituzionale, è quella monetaria, bancaria e, in generale, finanziaria, ed è quella che costituisce
l’oggetto essenziale di studio del presente libro. Benché ambedue i campi siano molto importanti e,
pertanto, il loro studio e la loro analisi teorica sia ugualmente urgente al fine di gettare le basi e dare
impulso alle necessarie riforme di liberalizzazione, appare chiaro che l’analisi teorica della coercizione
istituzionale e della concessione di privilegi nell’ambito del lavoro è al confronto meno complesso,
perciò la sua conoscenza si è estesa con maggior rapidità e profondità ai differenti strati sociali
essendosi raggiunto un significativo livello di sviluppo teorico e perfino un consenso sociale sulla
necessità e sulla direzione delle riforme. Al contrario, l’ambito della teoria della moneta, del credito
bancario e dei mercati finanziari continua a costituire una sfida teorica di grande importanza e un
mistero per la maggior parte dei cittadini. E avviene che le relazioni sociali nelle quali, direttamente o
indirettamente, si vede implicata la moneta sono, con grande differenza, le più astratte e difficili da
comprendere, così che la conoscenza sociale generata dalle stesse è la più vasta, complessa e
inafferrabile. Questo fa sì che che la coercizione sistematica esercitata dai governi e dalle banche
2
centrali in questo campo sia, di gran lunga, la più dannosa e pregiudiziale1. Inoltre, questo ritardo
intellettuale della teoria monetaria e bancaria non cessa di aver gravi effetti sull’evoluzione
dell’economia mondiale, come lo prova il fatto che, nonostante i progressi teorici e gli sforzi realizzati
dai governi, le economie moderne non siano riuscite ancora a sbarazzarsi delle fasi di boom e
recessione. E ancora, sono passati pochi anni da quando, nonostante tutti i sacrifici che si effettuarono
per risanare le economie occidentali dopo la crisi degli anni Settanta del secolo XX, immancabilmente
si cadde di nuovo negli stessi errori di mancanza di controllo finanziario, bancario e monetario, il che
fece sì che in maniera ineludibile si manifestasse, agli inizi degli anni Novanta, una nuova recessione
economica mondiale di considerevole gravità, dalla quale il mondo economico occidentale è riuscito a
tirarsi fuori solo recentemente2. E ancora, più recentemente (novembre 1997) una grave crisi
finanziaria devastò i principali mercati asiatici, minacciando di estendersi al resto del mondo, essendo
entrate in recessione le principali economie del mondo nel 2001.
L’analisi economica del diritto e delle regolamentazioni giuridiche ha come finaltà quella di studiare in
maniera dettagliata il ruolo, l’influenza e gli effetti che le stesse hanno sui processi spontanei di
interazione sociale. La nostra analisi economica del contratto di deposito bancario di moneta renderà
possibile comprendere gli effetti del contratto di deposito irregolare di moneta sottoposto ai principi
tradizionali del diritto (ossia, con un coefficiente di cassa del 100 per cento), e per contrasto, le
conseguenze deleterie, inizialmente non previste e fino ad ora passate del tutto inavvertite, del fatto
che, in violazione di tali principi, si sia consentito ai banchieri di disporre a proprio beneficio della
moneta presso di loro depositata a vista. Spiegheremo, quindi, adesso come il fatto che i banchieri
dispongano della moneta presso di loro depositata a vista abbia come primo effetto importante quello
che le banche siano in grado di creare dal nulla depositi (ossia, moneta sotto forma di depositi bancari)
e, come collaterale di questi depositi, crediti (sotto forma di capacità di pagamento affidata ai
mutuatari, siano essi imprenditori o consumatori) che, malgrado ciò, non hanno la loro origine in
nessuna generazione di risparmio volontario da parte degli agenti sociali. In questo capitolo ci
limiteremo a dimostrare questa affermazione e alcune delle sue implicazioni, lasciando per i capitoli
successivi lo studio degli effetti economici dell’espansione creditizia, cioè l’analisi delle crisi e delle
recessioni economiche.
Per seguire un parallelismo con i primi capitoli di questo lavoro, cominceremo dallo studio degli effetti
che si producono dal punto di vista contabile ed economico nel caso del contratto di prestito o mutuo.
1
«Il mondo della moneta e del credito (assieme al suo linguaggio e alla sua morale) è uno degli ordini spontanei che più
resistono all’analisi investigativa. E ciò fino al punto in cui, anche oggi, continuano a essere grandi le differenze che
separano gli specialisti... I processi selettivi hanno interferito in questo campo molto di più che in qualsiasi altro: la
selezione evolutiva è stata totalmente impedita dal monopolio dei governi che rende la sperimentazione concorrenziale
impossibile ... La storia dell’amministrazione della moneta da parte del governo è stata un incessante esempio di frode e
delusione. A questo proposito i governi si sono mostrati molto più immorali di qualsiasi istituzione privata che abbia potuto
moneta concorrenziale». Cfr. F.A. Hayek, La fatal arrogancia: los errores del socialismo, op. cit., pp. 167 e 169. Ed
italiana, La presunzione fatale: gli errori del socialismo, Ed. Rusconi, Milano, 1997, pp. 172-174.
2
È curioso, inoltre, che le sciagure monetarie e finanziarie che causarono questa crisi abbiano avuto la loro origine
principalmente nelle politiche applicate dalle Amministrazioni apparentemente neoliberali degli Stati Uniti e del Regno
Unito nella seconda parte degli anni ottanta. Cosí, per esempio, Margaret Thatcher ha riconosciuto che dove sorse il
principale problema economico del suo mandato «fu nel settore della domanda quando moneta e credito si espansero con
troppa rapidità e incrementarono vertiginosamente i prezzi dei beni». Cfr. Margaret Thatcher, Gli anni di Downing Street,
Ed. Sperling & Kupfer, Miano 1993, pp. 565-566. Il Regno Unito, d’altra parte, non fece che seguire lo stesso processo di
deregolamentazione monetaria e creditizia che in precedenza si era iniziato negli Stati Uniti a partire dalla seconda
Amministrazione Reagan. Questi fatti illustrano ancor di più, se possibile, l’importanza che ha il fare avanzare la teoría per
evitare che, perfino all’interno del campo liberale, altri leader polítici cadano in futuro negli stessi errori di Reagan e
Thatcher, e siano cosí in grado di identificare chiaramente quale sia il sistema monetario e bancario adatto a una società
libera (sistema che, come è evidente, molti liberali non hanno ancora per niente chiaro).
3
In questo modo, e per contrasto, saremo in grado di intendere meglio gli effetti economici che si
producono nel contratto, essenzialmente distinto, di deposito bancario di moneta.
2
L’ATTIVITÀ BANCARIA DI VERA INTERMEDIAZIONE
NEL CONTRATTO DI PRESTITO
Supponiamo, per prima cosa, che un banchiere percepisca da uno dei suoi clienti un prestito di un
milione di unità monetarie (u.m.). Considereremo che si tratta di un vero e proprio contratto giuridico
di prestito, in forza del quale il cliente si spoglia della disponibilità di un milione di unità monetarie
sotto forma di beni presenti che avrebbe potuto consumare, e ai quali rinuncia per un periodo di tempo
o scadenza (elemento essenziale del contratto) che ipotizzeemo che sia di un anno. In cambio di questa
consegna di beni presenti il banchiere si impegna a restituire, trascorso un anno, una quantità superiore
a quella che inizialmente ha ricevuto. Supponendo che il tasso di interesse pattuito sia del 10 per cento,
il banchiere dovrà restituire, trascorso un anno, un milione e centomila unità monetarie. La
registrazione contabile che si ha quando si effettua il prestito è la seguente:
Banca A
Dal punto di vista economico, è chiaro che in questo contratto c’è un semplice scambio di beni presenti
la cui disponibilità si trasferisce dal prestatore alla banca, in cambio di beni futuri che la banca A si
impegna a consegnare, entro un anno, al prestatario. Non si produce, pertanto, alcun effetto dal punto
di vista monetario. Semplicemente, succede che un numero determinato di unità monetarie, che erano a
disposizione del prestatore, cessano di essere a disposizione di questi e passano a disposizione della
banca (per un periodo determinato di tempo). Si è prodotto, pertanto, un semplice trasferimento di un
milione da una persona a un’altra, ma non si verifica in alcun modo nessuna variazione, come
conseguenza di questo trasferimento, nel numero totale di unità monetarie preesistenti.
La registrazione (1) può essere interpretata come la registrazione effettuata nel libro Giornale il giorno
in cui si formalizza il contratto e si consegna il milione di u.m. da parte del prestatore alla banca.
Oppure, può essere considerata come lo stato del Bilancio patrimoniale della banca A formalizzato
immediatamente dopo aver effettuato l’operazione e che registra nel lato sinistro (Attività del bilancio)
un milione di u.m. in cassa e nel lato destro (Passività del bilancio), il debito di un milione di u.m.
contratto con il prestatore.
Ipotizzeremo, ugualmente, che la banca A effettui questa operazione perché patteggerà, a sua volta, il
prestito di un milione di u.m. a un’impresa Z che ne ha bisogno urgentemente per finanziare le proprie
operazioni e che è disposta a pagare un 15% di interesse l’anno per ottenere dalla banca A il prestito di
un milione di u.m3.
3
Si sarebbe potuto considerare, ugualmente, che la banca A utilizzasse questo denaro sotto forma di prestiti al consumo, o
per realizzare prestiti a breve termine al commercio, come è il caso dello sconto di cambiali a tre, sei, nove e dodici mesi
dalla scadenza. Agli effetti della nostra analisi, la considerazione di qualsiasi di questi usi è irrilevante.
4
In tal modo, una volta che la banca A presta a sua volta il denaro all’impresa Z, si produrrà la seguente
registrazione nel libro giornale della banca A, nel quale si elenca l’uscita di cassa per l’importo di un
milione di u.m. e la sostituzione di tale attività per il rilevamento del debito dell’impresa Z a favore
della banca.
La registrazione è:
Banca A
È chiaro che, in questo caso, la banca A ha agito come un vero intermediario finanziario, nel rendersi
conto e approfittare dell’esistenza di un’opportunità imprenditoriale di profitto.4 In effetti, la banca si è
resa conto che esisteva un’opportunità di guadagno, dato che in un luogo determinato del mercato c’era
un prestatore disposto a prestarle moneta al 10 per cento di interesse, e in un altro un’impresa Z
disposta ad accettare un prestito di moneta al 15 per cento di interesse, ossia con un differenziale di
profitto di un 5 per cento. La banca, pertanto, fa da intermediaria tra il prestatore iniziale e l’impresa Z
e la sua funzione sociale consiste, esattamente, nell’essersi resa conto della disarticolazione o del
mancato coordinamento esistenti (il prestatore iniziale desiderava prestare il proprio denaro ma non
trovava nessuna persona solvibile disposta a riceverlo, mentre all’impresa Z occorreva con urgenza
ottenere il prestito di un milione di u.m., senza sapere dove trovare il prestatore adeguato). La banca,
ottenendo il prestito di un milione di u.m. da uno e concedendolo all’altro, soddisfa le necessità
soggettive di entrambi e, oltre tutto, consegue un profitto imprenditoriale puro sotto forma di
diferenziale di un 5 per cento di interesse.
In effetti, trascorso un anno, l’impresa Z restituirà il milione di unità monetarie alla banca A, assieme al
15 per cento di interesse pattuito. Le registrazioni sono le seguenti:
Banca A
4
Sull’essenza della funzione imprenditoriale consistente nella scoperta e nello sfruttamento di oportunità di guadagno o di
profitto e i profitti imprenditoriali puri ai quali la stessa dà luogo, si può consultare il capitolo II di Jesús Huerta de Soto,
Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 41-86.
5
Poco dopo, la banca A, a sua volta, deve adempiere al contratto inizialmente pattuito con il prestatore
originario, restituendogli il milione di unità monetarie che si era impegnata a pagare trascorso un anno,
assieme a un 10 per cento di interesse. Le registrazioni saranno le seguenti:
Banca A
Cioè, la banca restituisce il prestito, vede uscire dalla sua cassa un milione di unità monetarie che
preventivamente aveva ricevuto dall’impresa Z e, ugualmente, a questo milione di unità monetarie
aggiunge, a carico della cassa, 100.000 u.m., che paga al prestatore originario a titolo di interesse
pattuito, e che nel conto profitti e perdite implica un aggravio sotto forma di costi per pagamento di
interessi nel corso dell’esercizio.
Dopo queste registrazioni, al termine dell’esercizio, il conto profitti e perdite della banca sarà il
seguente:
(5) Banca A
Profitti e Perdite
(nel corso dell’ esercizio)
(6) Banca A
6
Stato patrimoniale
(a fine esercizio)
Attività Passività
Cassa 50.000 Patrimonio netto 50.000
(utile d’ esercizio)
Nel bilancio patrimoniale, proprio a fine esercizio, si osserva come nelle Attività della banca
rimangano disponibili 50000 u.m., che corrispondono al profitto dell’esercizio trascorso da includere
nel corrispondente conto di patrimonio netto (capitale o riserve) del Passivo.
Concludendo, in relazione all’attività della banca che abbiamo appena descritto in termini contabili, e
che si basa sull’avere ricevuto e concesso un prestito o mutuo, possiamo segnalare che: primo, il
prestatore originario rinunciò per un anno alla disponibilità di beni presenti per un importo di un
milione di u.m.; secondo, questa disponibilità venne trasferita esattamente per tale periodo alla banca
A; terzo, la banca A scoprì un’opportunità di guadagno, poiché conosceva l’esistenza di un prestatario,
l’impresa Z, che era disposta a pagare un tasso di interesse superiore a quello a cui si era impegnata la
banca; quarto, la banca effettuò un prestito all’impresa Z rinunciando, a sua volta, alla disponibilità di
un milione di u.m. per un anno; quinto, l’impresa Z ottenne la disponibilità di un milione di u.m. per un
anno per espandere le sue attività; sesto, pertanto, per il periodo di un anno, il numero di u.m. non
variò, ma passò semplicemente dal prestatore originario all’impresa Z attraverso l’intermediario - la
banca A - ; settimo, l’impresa Z, nel suo processo imprenditoriale ottenne a sua volta ricavi
imprenditoriali che le permisero di far fronte al pagamento di centocinquanta mila u.m. a titolo di
interessi (queste centocinquanta mila u.m. non comportano alcuna creazione di moneta, ma si
ottengono semplicemente dall’impresa Z come risultato delle sue attività di compravendita); ottavo,
l’impresa Z, trascorso un anno, restituì un milione di u.m. alla banca A, e la banca A, a sua volta, lo
restituì al prestatore originario assieme a centomila u.m. di interessi; nono, come conseguenza di tutto
ciò, la banca A ha ottenuto un profitto imprenditoriale di cinquanta mila u.m. (differenza tra l’interesse
che pagò al prestatore originario e quello che ricevette dall’impresa Z), profitto imprenditoriale puro,
risultato della sua legittima attività imprenditoriale di intermediazione.
Come è logico, la banca A avrebbe potuto sbagliarsi nella sua selezione dell’impresa Z, sia in quanto al
rischio che assumeva con la stessa, sia in quanto alla sua sistemazione intorno alla capacità di quella
per restituire il prestito ricevuto e pagare gli interessi. Il successo dell’attività della banca in questo
caso esige, pertanto, non solo che si accerti imprenditorialmente il buon fine dell’operazione, ma,
anche, che la sua obbligazione (restituire il milione di u.m. e un 10 per cento di interessi al prestatore
originario) scada posteriormente alla restituzione del prestito alla banca, e il pagamento alla stessa del
15% di interesse, da parte dell’impresa Z. In questo modo la banca può mantenere la sua solvibilità ed
evitare qualsiasi incidente. Tuttavia, le banche, come qualsiasi altro imprenditore, sono sottomesse al
possibile errore imprenditoriale. Può accadere che, per esempio, l’impresa Z non sia in grado di
restituire in tempo alla banca l’importo pattuito, o perfino che sospenda i pagamenti o fallisca, il che
renderebbe insolvente la banca A, che non potrebbe restituire a sua volta il prestito al prestatore
originario. Tuttavia, questo rischio non è distinto da quello assunto in qualsiasi altra attività
imprenditoriale del mercato e può essere facilmente diminuito mediante l’esercizio di un’attività
imprenditoriale, da parte della banca, prudente e ponderata. Inoltre, finché dura l’operazione (nel corso
dell’esercizio) la banca mantiene la sua piena solvibilità e non ha problema alcuno di liquidità, posto
7
che non ha l’obbligo di rendere effettivo nessun importo finché non scade il suo contratto di prestito
con il prestatore originario5.
3
L’ATTIVITÀ DELLA BANCA IN UN CONTRATTO
DI DEPOSITO BANCARIO DI MONETA
I fatti economici e la contabilizzazione degli stessi a cui dà luogo un contratto di deposito bancario di
moneta sono del tutto distinti da quelli che abbiamo studiato nel paragrafo precedente, relativo al
prestito o mutuo (analizzato in primo luogo con la precisa finalità di illustrare meglio, per contrasto, le
differenze essenziali che esistono tra l’uno e l’altro contratto).
Per cominciare, inizieremo col segnalare che, quando si effettua un deposito regolare (o chiuso), per
esempio, di un numero determinato di unità monetarie perfettamente identificate individualmente, non
è necessario che la persona che lo riceve contabilizzi nulla nelle sue Attività, né nelle sue Passività,
posto che non si produce nessun trasferimento di proprietà. Tuttavia, come già vedemmo osservando
l’essenza giuridica del contratto di deposito irregolare (o aperto), ipotizzando un deposito di beni
fungibili, nel quale non è possibile distinguere individualmente le unità depositate, così che si produce
un certo trasferimento di «proprietà», nel senso stretto che il depositario resta obbligato a restituire, non
le stesse unità che ricevette (il che è impossibile, data la difficoltà di identificare specificamente le
unità di beni fungibili ricevute), ma una quantità e una qualità equivalente a quella ricevuta (il
cosiddetto tantundem). Tuttavia, benché si verifichi un trasferimento della proprietà, non esiste un
trasferimento della disponibilità a favore del depositario, poiché questo, nel contratto di deposito
irregolare si obbliga alla tutela e custodia continua del tantundem di quanto ricevuto, per cui si obbliga
a mantenere sempre a disposizione del depositante un numero e una qualità di unità uguali a quelli
originariamente ricevuti (benché non coincida individualmente e specificamente con essi). Pertanto,
l’unica giustificazione che esiste affinché il depositario metta nella sua contabilità il contratto di
deposito si radica, esattamente, nel trasferimento della proprietà che presuppone il contratto di deposito
irregolare; sebbene ci sarebbe da segnalare che, dato lo scarsissimo contenuto di questo trasferimento
di proprietà (che non equivale ad alcuna trasmissione della disponibilità), la contabilizzazione, al
massimo, dovrebbe effettuarsi mediante semplici «conti d’ordine» e a fini meramente informativi.
Supponiamo, pertanto, di trovarci agli albori dello sviluppo della banca con riserva frazionaria, e che
un depositante qualsiasi, il signor X, decida di depositare nella banca A un milione di u.m. (o, se si
preferisce, che qualsiasi persona di oggigiorno decida di aprire un conto corrente in una banca
depositando un milione di u.m.). si tratta in questo secondo caso di un vero contratto di deposito,
sebbene irregolare, dato il carattere fungibile della moneta. Cioè, la causa o motivazione essenziale del
contratto di deposito è il desiderio che ha il depositante X che la banca A gli tuteli o custodisca il
milione di u.m. in qualunque momento lo desideri e per qualsiasi finalità che sorga. Dal punto di vista
economico, per la persona X, il milione di u.m. è a sua piena disposizione in qualunque momento e fa
parte, pertanto, dei suoi saldi di tesoreria; ossia, che nonostante siano state depositate nella banca A,
sono unità monetarie che, dal punto di vista soggettivo, ha a sua disposizione in qualunque momento la
5
Murray N. Rothbard, riferendosi all’attività delle banche come veri intermediari tra prestatori originari e prestatari finali,
dice che «the bank is expert on where its loans should be made and to whom, and reaps the reward of this service. Note that
there has still been no inflationary action by the loan bank. No matter how large it grows, it is still only tapping savings
from the existing money stock and lending that money to others. If the bank makes unsound loans and goes bankrupt, then,
as in any kind of insolvency, its shareholders and creditors will suffer losses. This sort of bankruptcy is little different from
banks, finance companies, and money-lenders are just some of the institutions that have engaged in loan banking». Murray
N. Rothbard, The Mystery of Banking, Richardson & Snyder, New York 1983, pp. 84-85.
8
persona X come se stessero nel proprio borsellino. La registrazione effettuata in conseguenza del
contratto di deposito irregolare è il seguente:
Banca A
Vediamo che, anche se la banca A è legittimata a effettuare questa registrazione contabile poiché si
trasferisce la proprietà delle unità monetarie e queste sono entrate in forma impercettibile nella sua
cassa, le registrazioni di riferimento dovrebbero riguardare dei semplici conti d’ordine o prospetti
informativi, perché di fatto, benché la banca abbia ricevuto la proprietà delle unità monetarie, non l’ha
ricevuta piena, ma completamente ristretta, nel senso che la piena disponibilità delle unità monetarie
continua a conservarla il depositante X.
A margine dell’osservazione precedente, fino ad ora non si è prodotto niente di eccezionale dal punto
di vista economico e contabile. Una persona, X, ha effettuato un deposito irregolare di moneta nella
banca A. In conseguenza di questo contratto, fino ad ora non si è prodotta alcuna modificazione nella
quantità di moneta esistente e questa continua a essere un milione di unità monetarie a disposizione
della persona X, le quali, per convenienza di questa, vengono versate nella banca A. Forse la
convenienza ha la sua origine nel desiderio da parte di X di custodire meglio il proprio denaro evitando
i pericoli che lo minacciano nel suo domicilio (furti e perdite), così come quello di ottenere un servizio
di cassa e di pagamenti da parte della banca, di modo che la persona X eviti di dover portare della
moneta nel borsellino e possa pagare semplicemente scrivendo una cifra su un assegno e dando
istruzioni alla banca affinché, alla fine di ogni mese, le invii un estratto di tutte le operazioni effettuate.
Queste attività della banca sono, tutte quante, servizi di grande valore, che giustificano il fatto che la
persona X si sia decisa a depositare il proprio denaro nella banca A. Essendo, per di più, pienamente
giustificata la banca A per incassare questi servizi dal depositante X. Supponiamo che il prezzo pattuito
per i servizi sia del 3 per cento l’anno della quantità depositata (potrebbe essere un importo a prezzo
convenuto, senza connessione con la cifra depositata, ma a effetti illustrativi ipotizzeremo che il costo
dei servizi gravi sull’importo globale considerato), con cui la banca può far fronte ai costi operativi per
prestare questi servizi, e ottenere anche un piccolo margine di profitto. Se supponiamo che i costi
operativi siano equivalenti a un 2 per cento della quantità depositata, il profitto che otterrà la banca sarà
dell’1 per cento l’anno, ossia dieci mila u.m. Supponendo che il cliente, il Sig. X paghi in contanti il
costo annuale dei servizi, che sale a trenta mila u.m., le registrazioni che si produrrebbero come
conseguenza della prestazione dei servizi menzionati sarebbero le seguenti:
Banca A
9
(8) dare avere
E il conto profitti e perdite e il bilancio patrimoniale della banca A alla fine dell’esercizio saranno i
seguenti:
(9) Banca A
Profitti e perdite
(nel corso dell’esercizio)
Bilancio patrimoniale
(a fine esercizio)
Attività Passività
Cassa 1.010.000 Patrimonio netto
(utile d’esercizio) 10.000
Come si vede, fino ad ora non si è prodotto nulla di strano o di sorprendente in quanto ai fatti
economici e alla contabilizzazione derivata dal contratto di deposito irregolare di moneta. La banca ha
ottenuto un piccolo profitto legittimo, derivato dalla sua attività di prestatrice di servizi che sono
valutati dal proprio cliente in trentamila unità monetarie. Ugualmente, non si è prodotta nessuna
modificazione nella quantità di moneta e si è incrementata solamente la cassa della banca dopo tutte le
transazioni, di diecimila unità monetarie di profitto imprenditoriale puro ottenuto prestando servizi al
cliente, e ottenendo per essi un prezzo (trentamila u.m.) superiore al costo operativo per fornirglieli
(ventimila u.m.).
10
Infine, occorre tener conto che, poiché il depositante ritiene che la moneta depositata nella banca A l’ha
a sua disposzione in qualsiasi momento, cioè come o addirittura meglio che se lo avesse nel proprio
borsellino o custodito in casa, non è giusto che pretenda alcuna compensazione addizionale, come
sarebbe giusto nel caso del contratto radicalmente differente di prestito, col quale si obbligava a
rinunciare alla disponibilità di un milione di u.m. di beni presenti (cioè, a prestare) e a consegnare tale
disponibilità al prestatario in cambio dell’ottenimento degli interessi corrispondenti assieme alla
restituzione del capitale principale un anno più tardi6.
4
EFFETTI DELLA DISPOSIZIONE DA PARTE DEL BANCHIERE DEI DEPOSITI A
VISTA: IL CASO DELLA BANCA ISOLATA
Tuttavia, e come abbiamo visto nel capitolo II, i banchieri sono subito tentati di violare la norma
tradizionale di condotta, che esige, nel deposito irregolare di moneta, di mantenere continuamente la
disponibilità del tantundem a favore del depositante, e finiscono per usare a loro profitto almeno parte
del denaro depositato a vista presso di loro. Abbiamo già riassunto nel capitolo III quali sono i
commenti che Saravia de la Calle fa riguardo a questa umana tentazione. Adesso ci interessa mettere in
risalto che la tentazione è enorme, e di fatto quasi insopportabile, dato l’aspetto molto lucrativo della
stessa. Questa disposizione del denaro dei depositanti venne condotta, in un primo momento, in modo
vergognoso e segreto, come abbiamo visto che accadde nei diversi casi storici di banca che abbiamo
analizzato nel capitolo II quando si aveva da parte dei banchieri la coscienza, evidentemente, che si
stavano comportando male. Solo posteriormente, e dopo molti secoli e vicissitudini, i banchieri
ottengono che la violazione del principio tradizionale del diritto si effettui in maniera aperta e legale,
avendo ottenuto felicemente dal governo il privilegio necessario per uitilizzare il denaro dei propri
depositanti (generalmente nella forma di crediti molte volte concessi in un primo momento al proprio
governo)7. In seguito vedremo come si contabilizza l’appropriazione da parte del banchiere dei depositi
6 Vediamo come lo spiega Ludwig von Mises con le sue parole: «Therefore the claim obtained in exchange for the sum of
money is equally valuable to him whether he converts it sooner or later, or even not at all; and because of this it is possible
for him, without damaging his economic interests, to acquire such claims in return for the surrender of money without
demanding compensation for any difference in value arising from the difference in time between payment and repayment,
such, of course, as does not in fact exist» (I corsivi sono miei). Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op.
cit., p. 301.
7 Stephen Horwitz afferma che storicamente l’atto originale di appropriazione indebita da parte dei banchieri della moneta
dei loro depositanti fu «an act of true entrepreneurship as the imaginative powers of individual bankers recognized the gains
to be made through financial intermediation». Questa affermazione, per le ragioni addotte nel testo principale, ci sembra
pericolosamente erronea. Da un lato, come si vedrá nel testo, nel caso dell’appropriazione dei depositi a vista non c’è
intermediazione finanziaria, bensì una grossolana creazione dal nulla di nuovi depositi. E in quanto al supposto «meritorio»
atto di «creatività imprenditoriale», non vediamo che lo stesso possa, in alcun modo, differenziarsi dalla «imprenditorialità
creativa» di qualsiasi altro atto criminale, grazie alla quale il criminale si rende «imprenditorialmente conto» che riesce a
guadagnare truffando gli altri o procurandosi con la forza la proprietà altrui. Cfr. Stephen Horwitz, Monetary Evolution,
Free Banking, and Economic Order, Westview Press, Oxford y San Francisco 1992, p. 117. E anche Gerald P. O’Driscoll,
«An Evolutionary Approach to Banking and Money», cap. 6 de Hayek, Co-ordination and Evolution: His Legacy in
Philosophy, Politics, Economics and the History of Ideas, Jack Birner y Rudy van Zijp (eds.), Routledge, Londra 1994, pp.
126-137. Murray N. Rothbard aveva forse criticato con maggior chiarezza e decisione di nessun altro l’idea di Horwitz
quando dice che «all men are subject to the temptation to commit theft or fraud ... Short of this thievery, the warehouseman
is subject to a more subtle form of the same temptation: to steal or ‘borrow’ the valuables ‘temporarily’ and to profit by
speculation or whatever, returning the valuables before they are redeemed so that no one will be the wiser. This form of
theft is known as embezzlement, which the dictionary defines as ‘appropriating fraudulently to one’s own use, as money or
property entrusted to one’s care’». Murray N. Rothbard, The Mystery of Banking, ob. cit., p. 90. In quanto alla
11
a vista, cominciando prima con l’analisi del caso della banca individuale, e lasciando per dopo lo studio
del sistema bancario nel suo insieme.
Tradizionalmente sono andati formandosi due sistemi di contabilizzazione del fenomeno di cui ci
occupiamo: quello europeo-continentale e quello anglosassone. La contabilizzazione attraverso il
sistema europeo-continentale si basa sulla finzione di considerare che il deposito irregolare sia, per il
depositante, un vero e proprio contratto di deposito, mentre, per il banchiere, è un contratto di mutuo o
prestito. In questo caso, il Sr. X deposita un milione di u.m. «a vista» nella banca A, e la banca A
riceve il denaro non come un deposito, ma come un prestito del quale può liberamente disporre,
considerando che il depositante non giunge ad avere conoscenza di questo, né a interessarsene. Inoltre,
la banca ritiene che, mantenendo in cassa soltanto una parte dei depositi come riserva di sicurezza, sarà
in grado di far fronte ai ritiri che effettueranno i propri depositanti; soprattutto se, come l’esperienza
sembra evidenziare, in circostanze normali, e data la fiducia che nel corso degli anni si è venuta a
guadagnare per custodire e vigilare sui depositi dei propri clienti, è assai raro che si effettuino domande
da parte di questi per un importo superiore al menzionato margine di sicurezza o al coefficiente di
riserva, e se accade, inoltre, che il banchiere consideri che, per esempio, un 10 per cento di riserva di
sicurezza (denominata anche «coefficiente di cassa» o incasso) è sufficiente per far fronte ai possibili
ritiri di depositi, gli rimarrebbe disponibile il 90 per cento restante dei depositi a vista, ossia novecento
mila u.m., per usarli a proprio beneficio. Questo fatto economico verrebbe rappresentato, secondo il
sistema contabile europeo, nella maniera seguente:8
Fondamentalmente, quando ha luogo il deposito a vista, si affettua una registrazione identica a quella
vista al punto (7), con la differenza che in questo caso non si considera come conto d’ordine.
Banca A
Una volta che la banca soccombe alla tentazione di appropriarsi della maggior parte del tantundem che
dovrebbe mantenere in cassa a disposizione del depositante, la regisrazione che si effettua è quella che
vediamo di seguito:
Banca A
classificazione giuridica come delitto di appropriazione indebita del fatto descritto, si può consultare quanto da noi già detto
in merito ad esso nel capitolo I.
8
La descrizione dei distinti sistemi contabili, inglese e continentale-europeo, e come, in ultima istanza, danno luogo a
identici risultati economici, si può vedere in F.A. Hayek, Monetary Theory and the Trade Cycle, (1933), Augustus M.
Kelley, Clifton, New Jersey, 1975, pp. 154 e ss. Esiste una buona traduzione di questo importante libro di Hayek che fu
realizzata e di cui venne fatta l’introduzione da Luis Olariaga con il titolo di La teoría monetaria y el ciclo económico,
Espasa Calpe, Madrid 1936. Luis Olariaga giudica Hayek, che allora aveva 35 anni, come «uno dei più acuti cervelli della
scienza economica contemporanea e forse quello che più profondamente apre oggi cammini originali nel problema dei cicli
» (op. cit., p. 36). I riferimenti ai differenti sistemi contabili bancari europei e anglosassoni possono vedersi nelle pp. 127 e
ss. della menzionata edizione spagnola.
12
(11) dare avere
Orbene, nel momento in cui si produce l’appropriazione di moneta da parte del banchiere e lo si presta
a Z, si verifica un fatto economico di fondamentale importanza. Ossia, che in questo momento si è
prodotta una creazione ex nihilo, ossia, dal nulla, di novecentomila u.m. In effetti, si deve ricordare che
il motivo essenziale per cui la persona X effettuò il suo deposito a vista per un importo di un milione di
u.m. era quello della tutela o la custodia, e che dal punto di vista soggettivo di X, questa persona
ritiene, con ogni ragione, di conservare l’assoluta disponibilità della propria moneta, in forma uguale o
perfino migliore che se lo continuasse ad avere nel proprio borsellino. Cioè, a tutti gli effetti, la persona
X continua a conservare un milione di u.m. di tesoreria come se stessero «in suo potere», posto che, in
base al contratto formulato, beneficia di un’assoluta disponibilità delle stesse. Non esiste, dal punto di
vista economico, dubbio alcuno che il milone di u.m. che X ha depositato nella banca A continui a far
parte dei saldi di tesoreria di X. E, tuttavia, contemporaneamente, quando la banca si appropria di
novecentomila u.m. dai depositi e li presta a Z, ha generato dal nulla una nuova capacità d’acquisto che
trasferisce a favore di Z, che ottiene il prestito e riceve novecentomila u.m. È evidente che Z,
soggettivamente e realmente, a partire da quel momento beneficia della disponibilità di novecentomila
u.m., e che ad essa vengono trasferite dette unità monetarie delle quali ha piena disponibilità9.
Vediamo, pertanto, che nel mercato si è prodotto un incremento della quantità di moneta in
circolazione, posto che due agenti economici distinti considerano simultaneamente, con ogni ragione,
uno che ha a propria disposizione un milione di u.m., e l’altro che ha a propria disposizione
novecentomila u.m. Cioè, a differenza di quello che avveniva in relazione al contratto di prestito o di
mutuo che abbiamo analizzato in precedenza, come conseguenza dell’appropriazione della banca di
novecentomila unità di quelle che erano state depositate a vista, si è prodotto un incremento dei saldi
di tesoreria esistenti nel mercato pari a novecentomila u.m.
Interessa ora analizzare dove si trova materializzata la moneta che esiste nel mercato a partire dal
momento dell’appropriazione del deposito. È chiaro che nel mercato il numero di unità monetarie è
cresciuto fino a un milione e novecentomila, sebbene sia certo che la sua materializzazione sia diversa.
Ci sono un milione e novecentomila u.m. perché diversi agenti economici ritengono soggettivamente di
avere a propria disposizione un milione e novecento mila u.m. da scambiare sul mercato, e già
sappiamo che la moneta è un mezzo di scambio generalmente accettato in ogni sua componente.
Tuttavia, la materializzazione di questa moneta è assai differente a seconda che consideriamo il caso di
colui che riceve il prestito (Z), o quello di colui che ha effettuato i depositi (X). In effetti, Z dispone di
novecentomila unità fisiche di moneta (per esempio, sotto forma di moneta merce o di carta-moneta o
moneta a corso forzoso), mentre il depositante X ha un conto corrente di deposito per un importo di un
milione di u.m. Considerando che la banca ha conservato come riserva di sicurezza o coefficiente di
cassa, nella propria cassaforte, centomila u.m., la differenza fino a un milione e novecentomila u.m
9
La moneta è l’unico asset perfettamente liquido. La mancata osservanza da parte della banca di un coefficiente di cassa del
100 per cento nei depositi a vista dà luogo al fatto economico fondamentale per cui due persone (depositante originario e
prestatario) pensano di disporre simultaneamente del medesimo importo perfettamente líquido di 900.000 u.m.
L’impossibilità logica che si ha in una situazione nella quale due persone si considerino nello stesso momento proprietari (o
che dispongono pienamente) dello stesso bene perfettamente liquido (moneta), è l’argomento economico fondamentale che
spiega l’impossibilità giuridica del contratto di deposito irregolare di moneta con un coefficiente frazionario di riserva, cosí
come il fatto che quando questo «aborto giuridico» (nella terminologia di Clemente de Diego) è imposto coattivamente
dallo Stato (sotto forma di ius privilegium a favore della banca), lo stesso presuppone economicamente la creazione di
nuova moneta (per un importo di 900.000 u.m.).
13
(1.900.000 u.m. del totale dell’offerta monetaria meno 900.000 u.m. fisiche che ha Z a sua disposizione
e 100.000 u.m. fisiche che ha la banca nella sua cassa, sono uguali a 900.000 u.m. che non si trovano
fisicamente materializzate in nessuno luogo) è costituita da una moneta che è stata creata dal nulla dalla
banca e che, mancando della corrispondente copertura ed esistendo grazie alla fiducia che il depositante
X ha nella banca A, denomineremo mezzo fiduciario. È necessario insistere sul fatto che i depositi a
vista sono, a tutti gli effetti, come le unità fisiche, ossia, che sono sostituti monetari perfetti. Il
depositante può utilizzarli per effettuare pagamenti in qualsiasi momento mediante l’emissione del
corrispondente assegno nel quale scrive la cifra che desidera pagare e dà ordine alla banca di effettuare
il pagamento. Bene, quella parte dei sostituti monetari perfetti che sono i depositi bancari a vista, che
non si trovano completamente coperti da unità monetarie fisiche nella cassa della banca, ossia le
900.000 u.m. di depositi del nostro esempio prive di copertura nella banca, sono denominati mezzi
fiduciari10.
I depositi a vista che si trovano coperti dalla corrispondente riserva di cassa nella banca (nel nostro
esempio un importo di centomila u.m.), sono denominati anche depositi primari, mentre quella parte
dei depositi a vista quella parte di depositi a vista che manca di copertura nella riserva della banca e che
sono mezzi fiduciari, viene denominata anche depositi secondari o depositi derivati11.
10
«Quando le riserve tenute dal debitore a fronte dei sostituti monetari da lui stesso emessi sono di quantità inferiore al
valore totale di tali sostituti, definiamo mezzi fiduciari (fiduciary media) l’ammontare di sostituti eccedenti la quantità delle
riserve». Ludwig von Mises, La acción humana: tratado de economía, Unión Editorial, Madrid, 7.ª edición, op. cit., p. 519.
Mises chiarisce che, in generale, di fronte a un determinato sostituto monetario, non è possibile pronunziarsi se il medesimo
sia o meno un mezzo fiduciario. E, quando emettiamo un assegno, non sappiamo (perché la banca non ci informa
direttamente) quale parte dell’importo dello stesso si trova coperta da unità monetarie físiche, per cui, dal punto di vista
economico, non conosciamo quale parte della moneta che stiamo pagando è mezzo fiduciario e quale parte corrisponde a
unità monetarie fisiche.
11
Questa è la terminologia che più si è generalizzata grazie alla ormai classica opera di Chester Arthur Phillips, secondo il
quale «a primary deposit is one growing out of the lodgement of cash or its equivalent and not out of credit extended by the
bank in question ... derivative deposits have their origins in loans extended to depositors ... they arise directly from a loan,
or are accumulated by a borrower in anticipation of the repayment of a loan». Cfr. Bank Credit: A Study of the Principles
and Factors Underlying Advances Made by Banks to Borrowers, The Macmillan Company, Nueva York 1920 e 1931, pp.
34 e 40. Dobbiamo, ciò nonostante, criticare Phillips per aver definito i «depositi derivati» in funzione del fatto che la loro
origine si trova nella concessione di un credito, poiché, benché questo sia il più comune, il deposito derivato nasce dal
momento stesso in cui la banca dispone, sia per la concessione dei crediti o per qualsiasi altra finalità, di una parte dei
depositi ricevuti, che in tal modo si convertono ipso facto in mezzi fiduciari o depositi derivati. Cfr. in questo senso Richard
H. Timberlake, «A Reassessment of C.A. Phillips’ Theory of Bank Credit», History of Political Economy, 20:2, 1988, pp.
299-308, dove si critica Phillips anche perché non si rende conto del fatto che il deposito derivato nasce nel momento stesso
in cui la banca utilizza una parte della moneta ricevuta sotto forma di depositi a proprio beneficio (sotto forma di prestito o
di qualsiasi altro uso particolare). Phillips, al contrario, considerava i depositi originari tutti quanti primari, e che i depositi
derivati si avevano solo quando la moneta prestata finiva per estendersi lungo il sistema bancario attraverso il processo
espansivo che studieremo più avanti. Timberlake si sorprende che siano molto pochi i testi di economía che riconoscono il
fatto che nel momento stesso in cui la banca si appropria di una parte dei depositi a vista, in quello stesso momento, si crea
moneta bancaria. Tuttavia, Samuelson, nel suo conosciuto trattato di economia (Economía, Paul A. Samuelson and William
D. Nordhaus, 14.ª edizione, McGraw-Hill, Madrid 1993, pp. 616-617) riconosce perfettamente questa realtà e, in un
esempio numerico molto simile al nostro, conclude che «la banca ha creato moneta. Come? Ha aggiunto alle mille unità
monetarie iniziali di depositi mostrati nel lato destro della tabella, novecento unità monetarie di depositi a vista in un altro
conto (cioè, il conto corrente della persona che ricevette le novecento unità monetarie). Cosí, perciò, adesso la quantità
totale di offerta monetaria è di millenovecento unità monetarie. L’attività della banca ha creato novecento unità monetarie
di nuova moneta» (i corsivi sono miei). Tra noi, ha esposto la teoria dei depositi primari e derivati, seguendo da vicino C.A.
Phillips e commettendo, pertanto, il suo stesso errore, Luis A. Rojo Duque, nella sua Teoría económica III: Apuntes
basados en las explicaciones de clase, Curso 70-71, editati dall’Autore, Madrid 1973, pp. 9-10. Prima di Rojo, aveva
spiegato il processo della «creazione di moneta mediante il credito» Luis Olariaga nella sua opera El dinero, vol. II,
Organización monetaria y bancaria, Moneda y Crédito, Madrid 1954, pp. 49-53. Olariaga arriva alla conclusione che
«senza dubbio è molto più pericolosa la pratica di creare moneta da parte delle Banche di deposito rispetto a quella di
14
Una volta violato il principio del diritto secondo cui nessuno può appropriarsi di ciò che è stato
depositato in custodia, omettendo di mantenere il 100 per cento del tantundem, è naturale che le banche
abbiano tentato di giustificare la loro attività e cerchino di difendersi argomentando che in realtà hanno
ricevuto la moneta come se si trattasse di un prestito. In effetti, se la banca ritiene che la moneta
ricevuta sia un prestito, non c’è niente di male nel suo comportamento e si limiterebbe, dal punto di
vista economico e contabile che abbiamo descritto nel paragrafo precedente, alla legittima e necessaria
attività bancaria di intermediazione tra prestatori e prestatari. Tuttavia, sorge ancora una differenza
essenziale, poiché la moneta è stato consegnata alla banca non in virtù di un contratto di prestito, ma
attraverso un contratto di deposito. Cioè, quando venne effettuata l’operazione di deposito da parte
della persona X, non esisteva la benché minima intenzione di disfarsi della disponibilità di beni presenti
in cambio di una cifra leggermente superiore (della quantità degli interessi) di beni futuri, ma, al
contrario, il suo unico desiderio era quello di migliorare la tutela e la custodia del proprio denaro,
assieme alla ricezione di altri servizi accessori (di cassa e contabilità), ma mantenendo inalterata in
ogni momento la perfetta e piena disponibilità o liquidità del tantundem a proprio favore. Proprio
perché non c’è uno scambio di beni presenti contro beni futuri, ci troviamo davanti a un fatto
economico radicalmente distinto a causa del quale, quando la banca presta a sua volta il 90 per cento
della moneta che ha in cassa, si generano dal nulla novecentomila u.m. di mezzi fiduciari o depositi
derivati.
Dall’altro lato, da oggi stesso si deve intendere chiaramente che se la disposizione del denaro da parte
della banca avviene, come abbiamo supposto nel nostro esempio e come avviene di solito, sotto forma
di un prestito concesso a Z, tale prestito o credito presuppone sì una concessione di beni presenti in
cambio di beni futuri che, tuttavia, non si trova coperta in nessuna parte del mercato da un preventivo
e necessario aumento di risparmio volontario di novecentomila u.m. In effetti, la banca crea dal nulla
moneta che presta sotto forma di beni presenti a Z, senza che nessuno si sia visto obbligato a
risparmiare preventivamente questa stessa cifra, posto che il depositante originario X continua a
pensare soggettivamente che ha a sua disposizione il milione integro di u.m.; e allo stesso tempo, il
prestatario Z riceve per i suoi investimenti 900.000 u.m di nuova liquidità che nessuno preventivamente
ha risparmiato. Cioè, due persone distinte ritengono di disporre perfettamente e simultaneamente della
stessa liquidità di 900.000 u.m. corrispondente alla parte del milione di u.m. depositata nella banca e
messa a disposizione da quest’ultima sotto forma di prestito a Z (deposito derivato). Si vede ora
chiaramente che la banca crea una liquidità che prima non esisteva, e che viene investita senza che ci
sia precedentemente stato alcun risparmio. Questo fenomeno possiede un’importanza economica
fondamentale che sarà studiata in ogni dettaglio nei prossimi capitoli e, secondo ciò che vedremo, è la
principale causa dell’apparizione ricorrente di crisi e recessioni economiche.
Una volta effettuato il prestito dalla banca a carico dei suoi depositi a vista, il suo bilancio patrimoniale
rimane come segue:
distribuire le disponibilità dei propri clienti, perché queste non dipendono dalla volontà delle banche e sono molto limitate,
mentre la creazione di moneta rimane a loro arbitrio ed ha come limite solo una percentuale minima di riserva di moneta
effettiva. Perciò i rischi seri di inflazione provengono dalla creazione di moneta, direttamente dalle banche di deposito o
indirettamente dalle Banche centrali a richiesta delle prime o, ciò che è più grave, dall’imposizione della politica finanziaria
dei governi» (p. 53).
15
(12) Banca A
Bilancio Patrimoniale
(a fine esercizio)
Attività Passività
Cassa 100.000 Deposito a vista 1.000.000
È chiaro che il banchiere tenderà a ingannare sé stesso, pensando che il denaro dei suoi depositanti lo
abbia ricevuto come se fosse un prestito; e tra l’altro non gli passerà mai per la testa di pensare che,
concedendo il prestito all’impresa Z, abbia creato dal nulla novecentomila u.m., né tantomeno che
abbia concesso un prestito che non si trova preventivamente coperto da un aumento del risaparmio
effettivo realizzato da qualcuno. Inoltre, il banchiere penserà che con la riserva detenuta in cassa di
centomila u.m., risultato della sua decisione di mantenere un coefficiente di cassa o di sicurezza del 10
per cento, sia più che sufficiente, secondo la sua «esperienza», per far fronte ai ritiri normali12 di
depositi da parte dei propri clienti, una volta tenuto conto della naturale compensazione che si produce
tra i ritiri e le aperture dei nuovi depositi. Tutta la trama si rende possibile grazie alla fiducia che i
clienti hanno nel fatto che la banca farà fronte ai suoi impegni futuri, fiducia che la banca avrà dovuto
guadagnarsi attraverso l’esercizio, nel corso di un lungo periodo di tempo, dell’attività di tutela e
custodia di moneta, in modo impeccabile e senza incorrere in alcuna appropriazione indebita13. Si può
pensare che un banchiere non conosca la teoria economica e che, pertanto sorvoli sui fatti economici
fondamentali che abbiamo appena spiegato. Più difficilmente scusabile è il fatto che non adempia ai
principi tradizionali del diritto quando si appropria indebitamente dei depositi e che, in assenza di una
teoria esplicativa dei processi sociali implicati, costituiscono l’unica guida sicura di attuazione in grado
di evitare gravi danni. Ciò nonostante, crediamo che qualsiasi persona intelligente, sia o no banchiere,
dovrebbe essere in grado di rendersi conto di alcuni indizi che potrebbero metterla sulla pista di ciò che
sta veramente succedendo. Perché è necessario per il banchiere mantenere un coefficiente di cassa?
Non si rende conto che in quelle operazioni in cui interviene come vero intermediario tra prestatori e
prestatari non occorre che mantenga alcun coefficiente? Non comprende che, come ha indicato Röpke,
la sua banca è un’istituzione che, per regola generale, «necessita di fare meno di ciò che promette, e
vive promettendo con regolarità più di quanto realmente possa fare»?14 Infine, si tratta semplicemente
di indizi che, d’altro lato, è comprensibile che qualunque persona pratica possa interpretare in maniera
più varia. Ma proprio per questo esistono i principi giuridici, che sono un «pilota automatico» del
comportamento che rende possibile la cooperazione tra gli esseri umani, benché per il loro carattere
astratto non siamo in grado di identificare chiaramente il ruolo che gli stessi svolgono nei processi di
interazione sociale. In ogni caso, e come indica bene Mises, finché si mantiene la fiducia nella banca,
questa potrà continuare a disporre della maggior parte dei depositi dei propri clienti, senza che questi
siano coscienti che la banca manchi della liquidità necessaria a far fronte a tutti i suoi impegni. È come
12
Tuttavia, dimostreremo più avanti che proprio il sistema di banca con riserva frazionaria genera regolarmente ritiri
anormali (massicci) di depositi ai quali non si può far fronte con un coefficiente di riserva frazionaria.
13
Ci riferiamo, come è evidente, alle differenti fasi storiche che abbiamo studiato nel capitolo II, e nelle quali nasce la
banca con riserva frazionaria (senza nemmeno l’esistenza di una banca centrale).
14
Wilhelm Röpke, La teoría de la economía, 4.ª edición, Unión Editorial, Madrid 1989, pp. 92-94.
16
se la banca avesse ottenuto una fonte permamente di finanziamento per un importo uguale alla nuova
moneta che crea, e che si manterrà in forma indefinita nel futuro finché duri la fiducia del pubblico
nella sua capcità di far fronte a tutti suoi obblighi. E infatti, finché si verifichino queste circostanze, la
banche potrà anche utilizzare la nuova liquidità che crea dal nulla in spese di puro consumo, o per
qualsiasi altra finalità distinta dalla concessione di prestiti. Il fatto è che la capacità di creare moneta dal
nulla genera una ricchezza (con pregiudizio diluito su una molteplicità di terzi ai quali non è possibile
identificare e che difficilmente arriveranno a rendersi conto del danno sofferto e chi ne è il
responsabile) della quale il banchiere può appropriarsi senza ulteriori preoccupazioni, finché si
mantiene la fiducia nella sua buona condotta15.
Benché il banchiere privato non sia molto spesso cosciente dell’enorme profitto che per lui comporta la
sua capacità di generare nuova moneta a partire dal nulla quando utilizza sotto forma di prestiti i
depositi ricevuti, e ingenuamente pensa di limitarsi a prestare parte di ciò che gli venne consegnato, è
certo che, come vedremo più avanti studiando gli effetti della banca con riserva frazionaria a livello di
tutto il sistema bancario, di fatto la parte più significativa dei suoi profitti deriva da un processo
generale nel quale egli si vede immerso e le cui implicazioni non comprende completamente. Ciò che
certamente capisce alla perfezione è che, come conseguenza dell’utilizzazione sotto forma di prestiti
della maggior parte dei depositi, ottiene un profitto che è molto superiore a quello che avrebbe
conseguito comportandosi legittimamente come un mero intermediario tra prestatori e prestatari –
registrazioni da (1) a (6) – o come un mero fornitore di servizi di contabilità e cassa a favore dei propri
clienti - registrazioni (8) e (9) - . In effetti, la concessione del prestito a Z gli consente di ottenere un
interesse, seguendo il nostro esempio, del 15 per cento della quantità prestata. Cioè, di cento
trentacinque mila u.m.. la registrazione sarebbe la seguente:
Banca A
Supponendo che la banca effettui i servizi di cassa che abbiamo descritto in precedenza, il cui costo
operativo era di venti mila unità monetarie, può, grazie ai ricavi da interessi percepiti, fornire perfino
15
Il processo di creazione di crediti, e pertanto di trasferimento di ricchezza ai banchieri, verrà dettagliatamente studiato
quando si analizzeranno gli effetti che, dal punto di vista di tutto il sistema bancario, ha l’esercizio dell’attività bancaria con
riserva frazionaria. Per quanto riguarda il fatto che non è necessario che l’importo dei mezzi fiduciari sia concesso sotto
forma di crediti (benché nella pratica sia siempre, o quasi siempre, cosí) è un fatto che già pose in evidenza Ludwig von
Mises, secondo il quale «it is known that some deposit banks sometimes open deposit accounts without a money cover not
only for the purpose of granting loans, but also for the purpose of directly procuring resources for production on their own
behalf. More than one of the modern credit and commercial banks has invested a part of its capital in this manner ... the
issuer of fiduciary media may, however, regard the value of the fiduciary media put into circulation as an addition to his
income or capital. If he does this he will not take the trouble to cover the increase in his obligations due to the issue by
setting aside a special credit fund out of his capital. He will pocket the profits of the issue, which in the case of token
coinage is called seigniorage, as composedly as any other sort of income.». Ludwig von Mises, The Theory of Money and
Credit, op. cit., p. 312 (i corsivi sono miei). Non c’è da stupirsi, in vista di queste considerazioni, che siano, in generale, le
istituzioni bancarie quelle che mostrano al pubblico edifici più spettacolari e lussuosi, un importo più sproporzionato di
spese in succursali, impiegati, etc., né molto meno che i governi siano stati i primi ad avere utlizzato a proprio beneficio del
gran potere di generare moneta da parte delle banche.
17
«gratis» ai suoi clienti i servizi di cassa e contabilità che sono propri del conto corrente. La
registrazione derivata dai costi operativi sarà la seguente:
Banca A
Vediamo, pertanto, come, nonostante la banca sia completamente legittimata a continuare a percepire le
trentamila u.m. (3 per cento sui depositi) a titolo di prezzo per la gestione dei servizi, benché non li
riscuota dai suoi depositanti, con il desiderio di attrarre più depositi e l’obiettivo più o meno occulto di
disporre degli stessi sotto forma di prestiti, continua a ottenere un profitto molto grande, uguale alle
centotrentacinquemila u.m. che percepisce di interessi, meno le ventimila u.m. di costi operativi. E le
centoquindicimila u.m. di profitto sono più del doppio dei legittimi profitti che aveva ottenuto la banca
come vera e propria intermediaria finanziaria tra prestatori e prestatari, e più di dieci volte quello che
ottenne prestando servizi di cassa e contabilità ai suoi clienti16. Il conto profitti e perdite della banca
rimarrà, pertanto, come si indica di seguito.
(15) Banca A
Profitti e perdite
(durante l’esercizio)
E il bilancio patrimoniale della banca, dopo aver effettuato tutte le operazioni, rimarrà come si indica in
(16):
(16) Banca A
Bilancio Patrimoniale
(a fine esercizio)
Attività Passività
Cassa 215.000 Patrimonio netto
(utile d’esercizio) 115.000
Prestiti concessi 900.000
Deposito a vista 1.000.000
16
Si veda la nota 25.
18
Totale Attività 1.115.000 Totale Passività 1.115.000
La pratica bancaria inglese ha avuto meno riguardi e scrupoli al momento di ordinare contabilmente la
vera realtà della creazione dal nulla di mezzi fiduciari. In effetti, come ci dice Hayek, «English banking
practice credits the account of the customer with the amount borrowed before the latter is actually
utilized»17.
Secondo la pratica contabile anglosassone, quando un cliente deposita in una banca un deposito a vista
di un milione di u.m. si effettua, in primo luogo, una registrazione identica a quella che già abbiamo
visto per la pratica continental-europea:
Banca A
La differenza nella pratica anglosassone è radicata nella registrazione che si effettua quando la banca
decide di utilizzare a proprio beneficio le novecentomila u.m. che mantiene in cassa oltre il suo
coefficiente di sicurezza, concedendo un prestito a Z. Secondo la pratica anglosassone, si effettua una
registrazione dalla quale si riconosce nell’Attività il prestito concesso e, simultaneamente, si apre nelle
Passività un conto corrente a favore del prestatore per l’importo del prestito (novecentomila u.m.).
Questa registrazione è la seguente:
Banca A
Vediamo, pertanto, come la pratica inglese è, in questo senso, molto più trasparente e conforme alla
realtà dei fatti economici di quella europeo-continentale, poiché riconosce contabilmente la piena realtà
economica della creazione ex nihilo di novecentomila u.m. come conseguenza della concessione del
prestito a Z a carico dei depositi a vista effettuati dai clienti nella banca. In effetti, una volta concesso il
prestito, il bilancio patrimoniale della banca sarà come segue:
(19) Banca A
Stato patrimoniale
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Depositi a vista 1.900.000
17
F.A. Hayek, Monetary Theory and the Trade Cycle, op. cit., p. 154. La traduzione che fa Luis Olariaga di questa
citazione è la seguente: «La pratica bancaria inglese accredita nel conto del cliente la quantità prestata prima che questa sia
utilizzata. Al fine della nostra ipotesi, è comparativamente facile vigilare il processo di incremento dei mezzi di circolazione
e, di conseguenza, non si presta a discussioni». La teoría monetaria y el ciclo económico, op. cit., p. 128.
19
Prestiti 900.000
Totale Attività 1.900.000 Totale Passività 1.900.000
In questo bilancio patrimoniale si evidenzia, secondo la pratica inglese, come, nel momento in cui la
banca concede novecentomila u.m. di prestito, essa generi simultaneamente dal nulla depositi per
l’importo di novecentomila u.m. Cioè, si effettua l’apertura nella propria banca di una disponibilità a
favore del prestatario fino a novecentomila u.m., che aumenta il saldo dei depositi a vista fino a un
milione e novecentomila, dei quali un milione corrisponderebbe a unità monetarie fisiche, cioè, a
depositi primari, e novecentomila a mezzi fiduciari creati dal nulla, cioè, a depositi derivati o secondari.
Ammettendo di nuovo, a fini dialettici, che il banchiere abbia ricevuto il denaro presso di lui depositato
a vista come un prestito, è chiaro che, perché questo abbia la sua origine in un contratto di deposito
irregolare di moneta, nel quale per definizione non si stabilisce scadenza per la sua restituzione (in
quanto è «a vista»), il menzionato «prestito» sarebbe un prestito senza scadenza; e dato che, in
circostanze normali e se i depositanti hanno fiducia nella banca, il banchiere pensa a ragione che i
depositanti ritireranno solo una piccola frazione dei loro depositi, gli è possibile considerare che il
supposto «prestito» ricevuto dai depositanti, benché sia «a vista», in ultima istanza è privo di scadenza
e, pertanto, è un «prestito» che il banchiere con fondato motivo pensa che non dovrà mai restituire. È
chiaro che se si riceve un prestito credendo che non lo si dovrà mai restituire (e nella maggior parte dei
casi non c’è neppure da pagare gli interessi per esso, sebbene ciò non sia essenziale per il nostro
argomento), più che a un prestito, ci troviamo de facto davanti a un regalo che il banchiere si concede a
carico dei fondi dei suoi depositanti. Ciò significa che benché agli effetti contabili si riconosca un
debito (parallelamente al credito concesso) sotto forma di «depositi a vista» (derivati o secondari e per
un importo di 900.000 u.m.), nella pratica, e in circostanze normali, ciò che la banca ottiene è creare dal
nulla una fonte permanente di finanziamento, che ritiene di non dover restituire mai e della quale,
pertanto, in ultima istanza, e nonostante tutte le apparenze contabili, finisce per appropriarsi e
considerare come sua. Insomma, le banche ammassano ingentissimi patrimoni come base per creare
mezzi di pagamento con pregiudizio verso terzi, sebbene sia certo che il pregiudizio si materializzi in
maniera molto dispersa e diluita, sotto forma di una graduale perdita relativa di potere d’acquisto
dell’unità monetaria che si produce continuamente, come conseguenza della creazione a partire dal
nulla di mezzi di pagamento da parte del sistema bancario. Questo trasferimento continuo di ricchezza
ai banchieri si mantiene in forma regolare finché il negozio bancario si sviluppa con normalità e le
attività vanno accumulandosi nei loro bilanci sotto forma di crediti e investimenti coperti dai
corrispondenti depositi che i banchieri creano dal nulla. Il pieno riconoscimento dell’esistenza di questa
fonte permanente di finanziamento e degli ingentissimi volumi di ricchezza accumulati dalle banche a
costo del resto della cittadinanza e che mantengono nei propri bilanci, mascherati sotto forma di
investimenti attivi coperti da «depositi», sarà di grande importanza nell’ultimo capitolo di questo libro
quando proporremo un modello di transizione e di riforma dell’attuale sistema bancario. E questa
ricchezza, anche se de facto la utilizzano solo le banche e i governi, e benché economicamente e
contabilmente sia di proprietà dei supposti depositanti, considerando questi loro depositi come sostituti
monetari perfetti, in realtà non appartiene a nessuno, per cui si trova disponibile, come vedremo
studiando il processo di transizione e di riforma bancaria, per favorire importanti finalità di interesse
pubblico e sociale (come, per esempio, l’eliminazione del saldo esistente del debito pubblico, o perfino
il finanziamento di un processo di riforma della Sicurezza Sociale consistente nel passaggio da un
sistema pubblico a ripartizione a un sistema privato di capitalizzazione).
Continuando con il nostro esempio, quando il prestatario Z inizia a disporre gradualmente della sua
moneta girando assegni a carico del conto che ha aperto, la situazione contabile secondo la pratica
bancaria anglosassone andrà assomigliando sempre più a quella registrata dalla pratica bancaria
continentale. In effetti, supponiamo che il prestatario disponga del proprio prestito in due momenti
20
distinti e successivi. Nel primo (t1) ritira cinquecentomila u.m e nel secondo (t2) quattrocentomila u.m.
Le registrazioni corrispondenti saranno le seguenti:
Banca A (t1)
Banca A (t2)
Avendo disposto il prestatario integramente del prestito concessogli, il bilancio della banca passerà a
essere quello che si descrive di seguito:
(22) Banca A
Stato patrimoniale
Attività Passività
Cassa 100.000 Depositi a vista 1.000.000
Prestiti 900.000
Totale Attività 1.000.000 Totale Passività 1.000.000
Come si osserverà, questo bilancio coincide ed è identico al bilancio (12), a cui siamo giunti mediante
la pratica contabile europeo-continentale e in esso esistono un milione di u.m. depositate a vista dai
clienti, coperte da centomila u.m. in cassa (coefficiente di cassa o incasso) e le novecentomila di
prestiti concessi a Z. Pertanto, una volta che il prestatario ha disposto integralmente del suo prestito, il
risultato contabile di ambedue i sistemi è identico, esistendo nel mercato 1.900.000 u.m.,
novecentomila u.m. di mezzi fiduciari corrispondente, esattamente, alla parte dei depositi a vista non
coperta da saldi di cassa nella banca (un milione meno centomila u.m.); e un milione di u.m. físiche
(centomila nella cassa della banca e novecentomila che sono state consegnate al prestatario Z e che
questi ha già utilizzato per i suoi fini personali)18.
18
La pratica bancaria anglosassone ha finito per essere adottata anche in Spagna come si deduce, tra l’altro, dal libro di
Pedro Pedraja García, Contabilidad y análisis de balances de la banca, vol. I, Principios generales y contabilización de
operaciones, pubblicato dal Centro di Formazione della Banca di Spagna, Madrid 1992, e specialmente le pp. 116 e 209. È
necessario segnalare che nel secondo bilancio che Pedraja raccoglie nella p. 116 esiste un errore, posto che considera come
deposito primario mille u.m. e come deposito derivato cento u.m., quando già sappiamo che il deposito primario è quello
che poggia su saldi di tesoreria, essendo il deposito derivato quello costituito dalla moneta o dai mezzi fiduciari creati dalla
21
banca, per cui l’esempio di Pedraja sarebbe corretto se come deposito primario rimanessero duecento u.m. (le uniche
coperte) e come deposito derivato novecento u.m. E, come in maniera molto azzeccata mise in evidenza Timberlake
nell’articolo citato nella nota 11 precedente, il carattere «primario» dei depositi non viene determinato dall’origine
(sconosciuta) degli stessi, ma dal fatto che si trovino o meno in ultima intanza supportati dal coefficiente di cassa, ossia, dal
fatto che siano o meno moneta fiduciaria. In quanto alle registrazioni concrete che, in accordo con il Piano Generale di
Contabilità per gli istituti creditizi che era in vigore in Spagna, dovranno essere effettuate in relazione alle operazioni citate
nel testo principale, seguendo Pedro Silvestre Pérez (Contabilidad de cajas de ahorro, Centro di Formazione della Banca di
Spagna, Madrid 1982; Cfr., tra l’altro, le pp. 248 e 291-292), dovrebbero essere le seguenti:
Banca A
L’unica osservazione degna di essere segnalata è quella secondo cui, secondo Silvestre Pérez, la registrazione della
concessione di credito e dell’apertura del corrispondente conto corrente sarebbe, a differenza di ciò che già suggerisce Pedro
Pedraja García per la banca, un mero conto d’ordine, che non andrebbe incluso nel bilancio principale della banca. In questo
senso, l’obsoleta soluzione di Silvestre Pérez sembra trovarsi a metà tra il sistema di contabilizzazione europeo-continentale
e il sistema anglosassone, che è quello che già è recepito pienamente nell’opera più recente di Pedraja García. Da parte sua,
il mio alunno, l’ispettore della Banca di Spagna Luis Alfonso López García, mi confema che l’attuale pratica nel nostro
paese è qualla di contabilizzare le operazioni secondo il sistema anglosassone nel seguente modo:
Quando si concede il prestito:
Banca A
Il conto di «Prestito» è quello di «Crediti ad altri settori residenti» e fa parte del paragrafo 4 del «Bilancio riservato», o
piuttosto quello di «Crediti verso clienti», che fa parte del paragrafo 4 del «Bilancio pubblico». Riguardo al conto «Conti
correnti», fa parte della rubrica 4.1 del «Bilancio riservato» («Conti correnti»), o del titolo 2.1.1. del «Bilancio pubblico»
(«Depositi a risparmio a vista»).
Quando si produce la disposizione del prestito da parte del cliente mediante la compensazione di assegni di altra entità, la
registrazione sarà:
Banca A
Essendo il titolo «Conto corrente» il 2.1 e «Camera di compensazione» il 2.2 del «Bilancio pubblico».
22
Il vantaggio principale del sistema di contabilizzazione anglosassone è quello che evidenzia, come già
sottolineò Herbert J. Davenport nel 1913, che le banche «do not lend their deposits, but rather, by their
own extensions of credit, create the deposits»19. Cioè, che le banche non sono intermediari finanziari
quando sviluppano l’attività di prestito a carico dei depositi a vista, poiché non agiscono da
intermediari tra prestatori e prestatari, ma concedono semplicemente prestiti a carico dei depositi che
creano dal nulla (mezzi fiduciari) e che, pertanto, non sono stati loro consegnati preventivamente da
nessun terzo come depositi in unità monetarie fisiche. E neanche nella contabilizzazione secondo il
sistema continental-europeo le banche esercitano un’attività di intermediari finanziari, poiché i veri
depositanti originari consegnano il loro denaro con finalità di tutela e di custodia, e non come un
prestito che concedono alla banca. Inoltre, già abbiamo evidenziato che le banche, riducendo a una
frazione le unità monetarie che custodiscono in cassa (coefficiente di cassa), creano mezzi fiduciari in
relazione a tutto l’importo dei loro depositi privi di copertura monetaria, con cui attraverso un’analisi
un po’ più astratta, si giunge all’identica conclusione a cui si giunge attraverso il sistema contabile
anglosassone: vale a dire, che più che intermediari del credito, le banche sono creatori di crediti e
depositi, o di mezzi fiduciari. Ciò nonostante, in base al criterio di contabilizzazione anglosassone, il
processo è molto più grafico e facile da intendere, poiché non è necessario fare nessun esercizio
intellettuale astratto, dato che da un principio si riassume contabilmente la realtà che la banca crea dal
nulla depositi a carico dei quali concede prestiti.
Orbene, dal punto di vista della teoria economica, il principale inconveniente di ambedue i sistemi di
contabilizzazione è che registrano un volume di creazione di depositi e di concessione di crediti che è
molto inferiore a quello che realmente si produce, ossia una frazione soltanto del volume totale dei
depositi e dei crediti che le banche congiuntamente possono arrivare a creare. La dimostrazione di
questo fatto così importante sarà evidente solo quando, dal punto di vista di tutto il sistema bancario,
gli effetti che ha l’esercizio dell’attività bancaria con riserva frazionaria. Tuttavia, prima di affrontare
19
Herbert J. Davenport, The Economics of Enterprise (1913), Augustus M. Kelley, Reprints of Economic Classics, New
York 1968, p. 263. Questa citazione di Davenport potrebbe tradursi in italiano nella forma seguente: «Le banche non
prestano i loro depositi, piuttosto, mediante la loro estensione del credito, creano i depositi». E quattordici anni dopo, W.F.
Crick manifesterà la stessa idea in un suo articolo «The Genesis of Bank Deposits», Economica, giugno del 1927, pp. 191-
202. Il fatto che le banche, più che intermediatori tra prestatori e prestatari, siano per la maggior parte creatori di crediti e
depositi, non è compreso dalla maggioranza del pubblico e neppure da saggisti molto distinti come Joaquín Garrigues, che
nel suo Contratos bancarios (op. cit., pp. 31-32 e 355) continua a ostinarsi a dire che la banca è, prima di tutto, un
intermediario del credito che «dà a credito il denaro che riceve a credito» (p. 355) e anche che le banche «danno a credito
quello stesso denaro che ricevettero a credito. Sono intermediari del credito, ossia negozianti che mediano tra coloro che
necessitano di denaro per le proprie attività e coloro che desiderano collocare il loro denaro in modo fruttifero. Le banche,
tuttavia, possono agire in una maniera doppia: o come puri intermediari, avvicinandosi ai contraenti (mediazione nel credito
diretto), oppure realizzando una doppia operazione che consiste nel prendere denaro a credito per darlo dopo a credito
(mediazione nel credito indiretto)» (p. 32). Come vediamo, Garrigues non si rende conto che, riguardo a ciò che concerne
l’attività bancaria quantitativamente e qualitativamente più significante, quella che si riferisce alla ricezione dei depositi con
riserva frazionaria, quello che fanno le banche è concedere crediti dal nulla che poggiano su depositi anch’essi creati dal
nulla e, pertanto, più che intermediari del credito, sono creatori dal nulla di credito. Garrigues segue anche la finzione
popolare secondo la quale, «dal punto di vista economico», il profitto della banca consiste nella «differenza esistente tra
l’interesse che paga nell’operazione passiva e l’interesse che incassa nell’operazione attiva» (p. 31). Come sappiamo, il
profitto principale della banca, benché in apparenza provenga da un differenziale di interesse, nella pratica e
sostanzialmente, proviene dalla creazione a partire dal nulla di mezzi di pagamento, i quali le forniscono una fonte di
finanziamento permanente, della quale si appropriano a proprio beneficio, e sulla quale, con carattere addizionale,
percepiscono interessi. Insomma, i banchieri creano dal nulla moneta, la prestano, ed esigono che sia loro restituita con gli
interessi.
23
questa indagine, occorre evidenziare i limiti alla creazione di depositi e alla concessione di crediti da
parte di una banca isolata, individualmente considerata.
Di seguito studiaremo, dal punto di vista di una banca isolata, qual è il limite alla sua capacità di
creazione di crediti e di espansione dei depositi a partire dal nulla. Perciò terremo conto delle variabili
che definiremo di seguito:
Sia:
Orbene, sulla base delle definizioni date, è chiaro che le riserve che escono dalla banca, d1, saranno
uguali ai crediti concessi per la percentuale degli stessi che è disposta dai prestatari, cioè:
[1] d1 = (1 - k)x
E se consideriamo, d’altro lato, che la moneta che esce dalla banca d1 è uguale a quella che
originariamente presso di essa si depositó d meno quella che come minimo deve rimanere come riserva
sulla base dell’esperienza, e che sarà uguale a cd, in relazione alla moneta che originariamente fu
depositata nella banca, più ckx, in relazione a quella parte dei prestiti mediamente non disposta, allora
avremmo:
(1 - k) x = d - (cd + ckx)
(1 - k) x = d - cd - ckx
(1 - k) x + ckx = d - cd
x (1 - k + ck) = d (1-c)
24
Per cui giungeremmo, in ultima istanza, alla formula che l’espansione creditizia massima x che può
effettuare a partire dal nulla la banca isolata sarebbe:20
o, se si preferisce:
[3]
Come si vede nella formula [3], il coefficiente di cassa c e la percentuale k in cui, in media, non si
dispone dei prestiti, colpiscono la capacità di creare crediti e depositi della banca isolata in senso
contrario. Nel senso che x sarà tanto maggiore quanto più piccolo sarà c e più grande sarà k. La logica
economica della formula [3] è, pertanto, molto chiara: man mano che la banca ritiene di dover
mantenere in cassa un maggior coefficiente di riserva, è evidente che potrà concedere meno prestiti; al
contrario, a parità di incasso o di coefficiente di riserva, man mano che la banca ritiene che, in media,
meno i prestatari disporranno dei propri prestiti, più moneta essa avrà a propria disposizione per
espandere i prestiti.
Fin qui, abbiamo supposto che k sia la percentuale nella quale, in media, i prestatori non utilizzano i
loro prestiti. Tuttavia, secondo C.A. Phillips21, si possono equiparare a k altri fenomeni che hanno, in
ultima istanza, lo stesso effetto. Così, k può cogliere, per esempio, l’effetto derivato dal fatto che
esistono poche banche sul mercato e che, pertanto, la possibilità che il prestatario effettui pagamenti a
clienti della banca è grande. Se è così, quella parte di coloro che ricevono moneta dal prestatario che
sono clienti della stessa banca, si suppone che utilizzeranno gli assegni ricevuti dal prestatario per
depositarli nei propri conti della stessa banca, la quale eviterà che da essa esca moneta. Questo
fenomeno ha, in ultima istanza, un effetto identico a quello che produce un aumento nella proporzione
media dei prestiti non disposta da parte dei prestatari. Perciò, quante meno banche esistono sul mercato,
tanto più grande sarà k, minore sarà l’uscita di moneta dalla banca che si produrrà e, pertanto, maggiore
20
È importante ricordare come Ludwig von Mises, nei suoi importanti trattati di teoria monetaria, creditizia e sul ciclo
economico, tutti quanti incentrati sull’analisi degli effetti perturbatori che ha la creazione di crediti senza la copertura di un
aumento del risparmio effettivo, attraverso la generazione di depositi o mezzi fiduciari da parte del sistema bancario con
riserva frazionaria, ha sempre rinunciato, tuttavia, a fondare la sua analisi sullo studio del moltiplicatore di espansione
creditizia che abbiamo appena desunto dal testo. Questo fatto è molto comprensibile, tenendo in conto, in generale,
l’avversione del grande economista austriaco all’uso della matematica in economia e, in particolare, all’applicazione di
concetti che, come quello del moltiplicatore bancario, possono venire giustamente tacciati di essere «meccanicisti» e, in
molte occasioni, di essere inesatti e perfino ingannevoli specialmente per il fatto che non considerano la costante creatività
umana e l’evoluzione del tempo soggettivo. Inoltre, dal punto di vista rigoroso della teoria economica, non è necessario lo
sviluppo matematico del moltiplicatore per comprendere l’idea essenziale del processo di espansione creditizia e dei
depositi, e come questo genera inesorablmente le crisi e le recessioni economiche (che era l’obiettivo teorico essenziale di
Ludwig von Mises). Tuttavia, ai nostri effetti, l’utilizzazione del moltiplicatore bancario ha la virtù di rendere più facile e
illustrativa la spiegazione del processo di espansione successiva di depositi e prestiti, per cui, dal punto di vista didattico,
rafforza l’argomentazione teorica. Il primo a utilizzare il moltiplicatore bancario in un’analisi teorica dedicata allo studio
delle crisi economiche fu Herbert J. Davenport nel suo The Economics of Enterprise, opera già citata e specialmente nel suo
capitolo 17, pp. 254-331. Tuttavia, spetta a F.A. Hayek il merito di aver incorporato la teoria del moltiplicatore bancario
dell’espansione creditizia nell’analisi della teoria austriaca del ciclo economico (Monetary Theory and the Trade Cycle, op.
cit., pp. 152 e ss; pp. 126 e ss. dell’edizione spagnola di Luis Olariaga del 1936). Si veda ugualmente la nota 28 nella quale
Marshall, già nel 1887, descrive con grande precisione come arrivare alla versione più simplificata della formula del
moltiplicatore bancario.
21
C.A. Phillips, Bank Credit, op. cit., pp. 57-59.
25
sarà la sua capacità di espandere i crediti. E proprio il desiderio di stimolare la crescita di k è una delle
ragioni più importanti che si trovano dietro la tendenza verso la concentrazione delle banche che da
sempre è stata osservata nei sistemi bancari con riserva frazionaria22. In effetti, quanto più le banche
sono concentrate e detengono una quota individualmente maggiore di mercato, tanto maggiore sarà la
possibilità che i cittadini che ricevono mezzi fiduciari di pagamento siano i loro stessi clienti, per cui
sia k sia la corrispondente capacità di creare crediti e depositi dal nulla saranno più elevate, e il
conseguente profitto che ciò produce sarà molto maggiore. Aumenta il valore di k anche il fatto che si
effettuino depositi di moneta in altre banche che procedano, per loro conto, a espandere i propri crediti
e i cui prestatari finiscano per depositare una parte significativa della nuova moneta che ricevono nella
banca che stiamo considerando. Questo fenomeno dà luogo anche a un incremento nelle sue riserve di
moneta e, pertanto, nella sua capacità di espansione creditizia.
Supponendo, per esempio, che l’incasso o il coefficiente di cassa c sia di un 10 per cento, e che il
coefficiente di non disponibilità k (che raccoglie anche, come abbiamo visto, gli effetti derivati dalla
maggior clientela della banca e altri ancora) sia del 20 per cento; e supponendo ugualmente che i
depositi originariamente effettuati nella banca d siano di un milione di u.m., allora, sostituendo questi
valori nella formula [3], avremo:
[4]
Vediamo, pertanto, che la banca in cui si sono effettuati depositi a vista per l’importo di un milione di
u.m., avendo un coefficiente di riserva del 10 per cento e un k dello 0,20, potrà concedere prestiti, non
per un importo di 900.000 u.m. come supponemmo precedentemente a fini illustrativi nelle
registrazioni (18) e seguenti, ma per un importo sensibilmente maggiore di 1.097.560 u.m., e che
presuppone una capacità di espansione del credito e di generazione dal nulla di depositi, perfino per la
banca isolata, un 22 per cento più elevata di quella che dall’inizio abbiamo considerato nelle
registrazioni (18) e seguenti23. Pertanto, dobbiamo modificare le registrazioni contabili che prima
22
Esistono, inoltre, altre forze che spiegano il processo di concentrazione bancaria. Tutte quante hanno la loro origine nel
tentativo da parte delle banche di far fronte alle conseguenze negative che per esse ha il fatto di aver violato i principi
essenziali del contratto di deposito irregolare di moneta per mezzo del relativo privilegio statale. Cosí, possiamo menzionare
il vantaggio che presuppone accumulare in maniera centralizzata il coefficiente di cassa disponibile per far fronte al ritiro
dei depositi in qualsiasi luogo geografico nel quale lo stesso si verifichi per valori sopra la media, vantaggio che si perde nel
caso in cui esistano molte banche, ognuna delle quali si vedrà perciò costretta a mantenere un incasso indipendente e
relativamente più elevato. Anche le autorità pubbliche esercitano pressioni per accelerare la concentrazione, poiché si fanno
l’illusione che con ciò sarà per loro più facile la gestione della politica monetaria e il controllo dell’attività bancaria. Per
ultimo, analizzeremo più avanti il continuo desiderio delle banche per incrementare il volume dei loro deposiiti giacché,
come abbiamo visto nella formula, il suo importo è la base sulla quale poggia l’espansione moltiplicata dei crediti e dei
depositi che generano dal nulla e che tanti benefici arrecano loro. Sul fenomeno della concentrazione bancaria si può vedere
C. Bresciani-Turroni, Curso de economía política, vol. II, Problemas de economía política, Fondo de Cultura Económica,
México 1961, pp. 144-145. In ogni caso, è importante constatare che il processo di concentrazione è il risultato
dell’interventismo dello Stato nel campo finanziario e bancario, cosí come del privilegio concesso alle banche affinché
possano operare, contro i principi tradizionali del diritto, con una riserva frazionaria dei depositi a vista dei loro clienti. In
un’economia di libero mercato, sottomessa al diritto e non controllata, tale tendenza verso la concentrazione sparirebbe, la
dimensione delle banche praticamente sarebbe priva di importanza e il loro numero tenderebbe a essere molto elevato.
23
Benché, dal punto di vista della banca individuale, è come se si prestasse una parte dei propri depositi, è chiaro che
perfino dal punto di vista della banca isolata si creano dal nulla crediti per un importo superiore ai depositi originari. Questo
evidenzia che, come poi vedremo in relazione a tutto il sistema bancario, i depositi, più che avere la loro origine nei
depositanti, nascono principalmente come collaterali dei prestiti che le banche creano dal nulla. C.A. Phillips esprime questa
realtà affermando che «it follows that for the banking system, deposits are chiefly the offspring of loans». Si veda C.A.
Phillips, Bank Credit, op. cit., p. 64, e anche la citazione di Taussig nella nota 62 del capitolo V.
26
abbiamo spiegato, registrando ora il fatto economico che, seguendo il sistema di contabilità
anglosassone e supponendo c = 0,1 e k = 0,2, la banca potrà espandere il credito di 1.097.560 u.m.,
invece delle 900.000 u.m. prima considerate (cioè, un 22 per cento in più). Le registrazioni nel libro-
giornale della contabilità e il corrispondente bilancio patrimoniale, invece di essere quelli segnalati in
(18) e (19), saranno i seguenti:
Banca A
24
La contabilizzazione secondo l’antico sistema continental-europeo è più complessa, ma si può arrivare al medesimo
bilancio [28] supponendo che k = 0,2 significhi, non la percentuale di ciò che non si ha a disposizione (che in questo
sistema, come già sappiamo, non si contabilizza), ma la proporzione del pubblico che è cliente della banca e, pertanto,
tornerá a versare nella stessa banca i propri depositi. In questo caso, le registrazioni sarebbero:
Banca A
Banca A
dare avere
Orbene, supponendo che un 20 per cento delle novecento mila u.m. che uscirono di cassa tornino di nuovo alla banca e cosí
successivamente, le registrazioni saranno:
27
Banca A
Banca A
Banca A
Dove successivamente si è supposto che, di ogni prestito concesso, un 20 per cento tornasse in cassa, perché tale era la
proporzione dei clienti della banca tra i percettori ultimi della corrispondentemoneta.
Pertanto, il bilancio patrimoniale secondo il sistema continentale sarebbe:
(31) Banca A
(contabilizzato secondo il sistema continentale)
C = 0,1k = 0,2
Attività Passività
Cassa 121.824 Depositi a vista 1.218.232
Prestiti 1.096.408
Totale Attività 1.218.232 Totale Passività 1.128.232
Cifre che in pratica coincidono con quelle del bilancio (28), e che se non sono identiche ciò si deve al fatto che, nel nostro
esempio, abbiamo mantenuto la serie dei prestiti-depositi nella terza iterazione. Man mano che consideravamo altri prestiti e
depositi successivi, siamo andati approssimando fino a rendere identiche le cifre del bilancio (31) con quelle del bilancio
(28).
28
878.048 Depositi a vista a Cassa 878.048
(80% di 1.097.560)
(28) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0,2
Attività Passività
Cassa 121.952 Depositi a vista 1.219.512
Prestiti 1.097.560
Totale Attività 1.219.512 Totale Passività 1.219.512
Considereremo, ora, come caso particolare all’interno di quello della banca isolata, quello della banca
piccola o «lillipuziana», ossia, quello di quella in cui k = 0, ciò che significa che i prestatari
dispongono integralmente e con carattere immediato dell’importo dei prestiti che la banca piccola
concede loro, senza che coloro ai quali i prestatari pagano denaro siano nemmeno clienti di questa
banca. Se k = 0, sostituendo questo valore nella formula [3], arriviamo alla formula [5]:
[5] x = d (1 - c)
Questo è, esattamente, l’importo di creazione ex nihilo dei depositi o mezzi fiduciari che registrammo
nelle scritture (11) e (18) precedenti. Tuttavia, abbiamo visto nel paragrafo precedente che, nella
pratica, e per quanto di poco k sia > 0, la creazione di mezzi fiduciari da parte di una banca isolata, sia
attraverso il sistema continentale sia attraverso quello anglosassone, potrà essere sensibilmente
superiore (se k = 0,2, un 22 per cento più alto, 1.097.560 u.m. di fronte alle 900.000 u.m. del nostro
esempio originale) e superare perfino l’importo dei depositi originariamente effettuati nella banca
isolata.
Si capisce allora perché le banche competono tanto intensamente per conseguire il massimo importo di
depositi e il massimo numero di clienti. In quanto ai depositi, perché, secondo ciò che abbiamo visto, la
banca è in grado di espandere il credito per un importo superiore perfino al volume degli stessi depositi,
per cui quanto maggiori sono i depositi che ottiene, tanto maggiore sarà il volume dell’espansione del
credito. In quanto ai clienti, quanti più ne conquisterà, tanto maggiore sarà k e, pertanto, anche la sua
capacità di espansione dei crediti e di generazione dei depositi sarà più grande. Ciò che è importante
29
tener in conto qui è che la banca è tecnicamente incapace di distinguere se la sua politica di crescita si
effettua ampliando il suo ambito di attuazione a scapito delle altre banche, o se tale politica, in ultima
istanza, dà luogo a un aumento generalizzato dell’espansione creditizia di tutto il sistema bancario, o se
accadono entrambe le cose in una volta. E la banca, di per sé, espande il credito e i depositi, e per di più
partecipa anche ad alcuni processi nei quali l’espansione di crediti e depositi attraverso il sistema
bancario è ancor maggiore. D’altro lato, prova a far sì che in tale processo la parte proporzionale del
suo ambito di attuazione sia in termini relativi sempre più importante, il che dà costantemente nuovi e
ulteriori stimoli all’espansione creditizia, tanto dal punto di vista della banca individuale, quanto dal
punto di vista del sistema bancario nel suo complesso. In ogni caso, il fattore k è un elemento
essenziale nel momento di determinare la capacità di ottenere profitti da parte della banca. La
concorrenza tra le banche fa sì che il fattore k sia significativamente inferiore a 1. Ma ogni banca prova
a far sì che il suo fattore k sia sempre maggiore, sfruttando le diverse opportunità che sorgono (in
quanto a estensione geografica, capacità di eliminare o assorbire i propri concorrenti e sviluppo di
vantaggi competitivi) affinché k sia sempre più alto25. Anche se un fattore k = 1 è impossibile per una
banca individuale (salvo, come poi vedremo, nel caso di una banca monopolista), è vero che fattori k
significativamente superiori a 0 sono molto probabili, e che, in quasi tutte le circostanze, le banche
faranno il massimo sforzo per stimolare l’aumento di k (il che spiega, tra gli altri fenomeni, la continua
pressione a cui le banche vengono sottoposte per concentrarsi e fondersi con altre banche).
Di seguito riassumiamo in una tabella, e a fini illustrativi, le differenti combinazioni di coefficienti di
cassa c, e di stime di non disposizione o di clientela nella medesima banca k, che permettono a una
banca isolata di duplicare, da sé, l’offerta monetaria (cioè, che sostituendo i suoi valori nella formula
[3] danno luogo a una x uguale a d).
(per x=d=1)
25
Le banche giungono perfino a pagare un interesse ai loro correntisti, per mantenere e attrarre nuovi depositi, per cui, in
ultima istanza, vengono ridotti gli importanti margini che descrivemmo nel conto (15). Ciò non danneggia l’argomento
essenziale della nostra analisi, né tantomeno la capacità delle banche di creare depositi, che è la loro fonte principale di
profitti. Come dice Mises, in questo processo di competenza, «some banks have gone too far and endangered their
solvency». Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 464.
30
L’espansione del credito e la creazione dal nulla dei depositi nel caso della banca unica
monopolista
Supponendo ora che k = 1, cioè, di trovarci davanti a un'unica banca monopolista nella quale i
prestatari si vedono obbligati, visto che non esiste un’altra banca, a mantenere integralmente sotto
forma di depositi i prestiti concessi, o anche nella circostanza in cui tutti coloro che alla fine della
catena ricevono denaro dai prestatari della banca siano clienti anche di quella stessa banca. Allora,
sostituendo il valore di k = 1 nella formula [3], questa avrebbe il valore di:
[6]
Cioè, proseguendo con il nostro esempio nel quale d = 1.000.000 u.m. e c = 0,1, resterebbe:
[7]
Cioè, in questo caso la banca potrebbe arrivare a creare, di per sé e dal nulla, crediti e depositi, o mezzi
fiduciari per un importo di nove milioni di u.m., per cui arriverà a moltiplicare per 10 l’offerta
monetaria totale (un milione di u.m. originariamente depositate, più nove milioni di u.m. sotto forma di
mezzi fiduciari o depositi creati dal nulla per coprire i crediti che la banca ha concesso).
Seguendo Bresciani Turroni26, e supponendo che tutte le operazioni di pagamento si effettuino tra
clienti della medesima banca (essendo questa monopolista, o perché la situazione rispecchi questa
circostanza), dimostreremo adesso come si arrivi contabilmente allo stesso risultato.
Perciò, seguiremo il sistema di contabilizzazione tradizionale del continente europeo (non
l’anglosassone) nel quale tutti i pagamenti si effettuano per cassa. Allora, il giornale delle operazioni
nei momenti t1, t2, t3, . . . t9, etc., sarà quello che si segnala di seguito, nel quale si vede come la banca
vada concedendo a tutti i propri clienti prestiti per un importo uguale al novanta per cento dei fondi che
26
Bresciani-Turroni, Curso de economía, vol. II, Problemas de economía política, op. cit., pp.133-138.
31
successivamente mantiene in cassa; i clienti ritirano l’importo integro del prestito, ma come clienti
della propria banca (o non esiste che questa banca nella società) tornano a depositare, in ultima istanza,
la moneta ricevuta nella propria banca, moneta con la quale quest’ultima può, a sua volta, tornare a
concedere nuovi prestiti e a generare nuovi depositi, e così successivamente, come si indica di seguito:
Banca A
(giornale delle operazioni di esercizio)
Allora supponiamo che U ritiri integralmente l’importo del prestito concessogli, paghi il suo creditore
A; e siccome A, secondo ciò che supponiamo, è anche cliente della banca, deposita le novecento mila
u.m. che riceve, e così si produce la scrittura seguente, che è:
Di nuovo supponiamo che il prestatario V ritiri la sua moneta e paghi il creditore B, che essendo anche
cliente della banca, lo deposita nella stessa, e cosí successivamente, si producono le scritture seguenti:
E cosí successivamente, fino a che alla fine dell’anno i depositi totali della banca sarebbero:
32
[8] 1.000.000 + 1.000.000 x 0,9 + 1.000.000 x 0,92 + 1.000.000 x 0,93 + 1.000.000 x 0,94 + ... = 1.000.000
(1+ 0,9 + 0,92 + 0,93 + 0,94 + ... )
Si osserva che la precedente espressione non è che la somma dei termini di una serie che cresce in
progressione geometrica con una ragione di 0,927.
Ossia, nel nostro esempio, r = 0,9 e a = 1.000.000 de u.m., per cui la somma dei termini sarà uguale a:
E se teniamo conto che abbiamo chiamato d il milione di u.m. originariamente depositate, e che r = 1 -
c, ossia, r = 1 – 0,1 = 0,9, è chiaro che la somma di tutti i depositi della banca (originari e secondari)
sarà:
[14]
Pertanto, il volume totale dei depositi di una banca monopolista (o di una banca in cui si presenti la
circostanza che in ultima istanza tutti coloro che ricevono denaro dai suoi prestatari sono anche suoi
clienti) sarebbe uguale al valore dei depositi originariamente effettuati d diviso per il coefficiente di
cassa c.
La formula [14] è la versione più semplificata del cosiddetto moltiplicatore bancario, è identica alla
formula [27], che dà il medesimo risultato in un sistema bancario di molteplici piccole banche, e che
pare fu intuita da Alfred Marshall già nel 188728.
27
Ricordiamo che la somma di una serie della forma:
[9] Sn = a + ar + ar2... + arn-1; se si moltiplica per la propria ragione r, è:
[10] rSn = ar + ar2.+ar3.. + arn-1+ arn ; se sottraiamo [10] da [9], allora rimarrebbe:
Sn - rSn = a – arn; e portando a fattore comune in entrambi i membri:
Sn(1 - r) = a(1 – rn); quindi separando Sn:
e il , se |r|<1
[12] ; se |r|<1
Il problema della somma di serie con ragione inferiore all’unità fu prospettato, per la prima volta, dal sofista greco Zenone,
nel secolo V A.C., e in relazione al noto problema «se l’atleta Achille potesse o meno raggiungere la tartaruga», problema
che tuttavia non si potè risolvere soddisfacentemente, in quanto Zenone non si rese conto che le serie di ragione inferiore
all’unità avevano una somma convergente (e non divergente come egli credeva). Cfr. The Concise Encyclopedia of
Mathematics, W. Gellert, H. Kustner, M. Hellwich y H. Kastner (eds.), Van Nostrand, New York 1975, p. 388.
28
Marshall descrive cosí il procedimento per giungere a questa formula: «I should consider what part of its deposits a bank
could lend, and then I should consider what part of its loans would be redeposited with it and with other banks and, vice
versa, what part of the loans made by other banks would be received by it as deposits. Thus I should get a geometrical
progression; the effect being that if each bank could lend two-thirds of its deposits, the total amount of loaning power got by
33
Se adesso vogliamo calcolare l’espansione creditizia netta creata dal nulla dalla banca (o, ciò che è lo
stesso, i depositi o mezzi fiduciari generati ex nihilo per renderla possibile), questa verrà data da:
[15]
In effetti, per un d = 1.000.000 di u.m. e un c = 0,1, nel caso della banca monopolista, l’espansione
creditizia netta sarebbe uguale a:
[17]
Pertanto, il bilancio patrimoniale della banca A monopolista risulterà, in ultima istanza, nel modo
seguente:
(28) Banca A
(monopolista)
Stato patrimoniale
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Depositi a vista
the banks would amount to three times what it otherwise would be. If it could lend four-fifths, it will then be five times; and
so on. The question how large a part of its deposits a bank can lend depends in a great measure on the extent on which the
different banks directly or indirectly pool their reserves. But this reasoning, I think, has never been worked out in public,
and it is very complex». Alfred Marshall, «Memoranda and Evidence Before the Gold and Silver Commission», 19 di
dicembre del 1887, nell’Official Papers by Alfred Marshall, Royal Economic Society, Macmillan & Co., Londra 1926, p.
37.
34
Vediamo come, con soltanto un milione di u.m. in depositi originari che si custodiscono in cassa, la
banca A monopolista ha espanso il credito concedendo nove milioni di u.m. in prestiti, e creato dal
nulla nove milioni di u.m. di nuovi depositi o mezzi fiduciari per coprirli29.
5
L’ESPANSIONE CREDITIZIA E LA CREAZIONE DI NUOVI DEPOSITI
DA PARTE DI TUTTO IL SISTEMA BANCARIO
Essendo, come già abbiamo visto, molto importante la creazione di crediti e depositi fiduciari da parte
di una banca isolata (che può arrivare, normalmente, perfino a duplicare di per sé l’offerta monetaria),
vedremo di seguito come le banche, una congiuntamente all’altra, cioè attraverso il sistema bancario, e
quando operano con una riserva frazionaria, generano dal nulla un volume di depositi e danno luogo a
un’espansione creditizia ancor maggiore e molto simile a quella della banca monopolista che abbiamo
appena studiato. Per dimostrarlo, iniziamo partendo dal caso più generale, ossia, quello di presupporre
un sistema bancario costituito da un gruppo di banche normali, ognuna delle quali mantiene un
coefficiente di cassa c del 10 per cento e ha una percentuale media di non disponibilità dei prestiti (o di
ritorno alla propria banca dei mezzi fiduciari per il fatto che la sua clientela è una parte significativa dei
percettori ultimi del denaro) k del 20 per cento.
In questo caso, supponiamo che nella banca A la persona X depositi un milione di u.m. Bene, secondo
quanto abbiamo già visto, le corrispondenti scritture che la banca effettuerà nel suo giornale sarebbero
le seguenti:
Banca A
29
Altra formula di un certo interesse è quella che riprende l’espansione creditizia massima che può effettuare una banca
isolata in funzione, non della moneta che originariamente è stata depositata nella stessa banca, ma in funzione
dell’eccedenza di riserve r che la banca sfrutta oltre il suo incasso cd. In questo caso, la diminuzione delle riserve derivata
dalla nuova espansione x(1 - k) dovrá essere uguale all’eccedenza delle riserve r meno il coefficiente di cassa
corrispondente alla parte dei crediti di cui non si ha disponibilità k.c.x. Cioè:
[19]
Supponendo che, come nel nostro esempio, si depositino originariamente un millone di u.m., y c = 0,1 y k = 0,2, l’eccesso
di riserve è esattamente r = 900.000 e, pertanto:
[20]
Che, come si osserva, è un risultato identico a quello che ottenemmo nella formula [4].
35
Posteriormente, la banca A potrá creare e concedere prestiti a Z per un importo che viene determinato
dalla formula che già abbiamo visto in [3], dando luogo alla seguente scrittura:
Banca A
E come già sappiamo, quando k = 0,20, si ritireranno dalla cassa l’80 per cento dei prestiti concessi,
dando luogo alla scrittura:
Banca A
Il bilancio patrimoniale della banca A dopo queste scritture sarà come segue:
(37) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0,2
Attività Passività
Cassa 121.952 Depositi a vista 1.219.512
Prestiti 1.097.560
Totale Attività 1.219.512 Totale Passività 1.219.512
E se supponiamo che quando Z ritira il suo deposito paghi la persona Y, che è cliente della banca B, e
lo depositi nella banca B, a sua volta si produrranno tre scritture parallele a quelle che abbiamo appena
evidenziato e le cui cifre si otterranno, ugualmente, utilizzando la formula [3]:
Banca B
36
Essendo il bilancio patrimoniale della banca B, dopo queste operazioni, il seguente:
(39) Banca B
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0,2
Attività Passività
Cassa 107.079 Depositi a vista 1.070.789
Prestiti 963.710
Totale Attività 1.070.789 Totale Passività 1.070.789
Supponendo che V paghi i suoi debiti a U, e questi a sua volta depositi il denaro ricevuto nella sua
banca, la banca C, allora si produrranno, similarmente, le seguenti scritture:
Banca C
(40) dare avere
Effettuandosi quest’ultima scrittura quando R ritira l’80 per cento (k = 0,20) del suo prestito dalla cassa
della banca C per pagare i suoi creditori (per esempio T).
Effettuate queste operazionui, il bilancio della banca C verrebbe ad essere come segue:
(41) Banca C
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0,2
Attività Passività
Cassa 94.021 Depositi a vista 940.206
Prestiti 846.185
Totale Attività 940.206 Totale Passività 940.206
E se il creditore T, una volta incassato il suo debito, lo deposita nella banca della quale è cliente, la
banca D, le scritture che si effettuerebbero sarebbero, in egual maniera, le seguenti:
Banca D
37
(42) dare avere
Essendo quest’ultima scrittura quella che bisogna effettuare nel giornale quando S paga i suoi debitori.
Effettuate le precedenti scritture, il bilancio patrimoniale della banca D diventerà come segue:
(43) Banca D
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0,2
Attività Passività
Cassa 82.555 Depositi a vista 825.547
Prestiti 742.992
Totale Attività 825.547 Totale Passività 825.547
E cosí successivamente, estendendosi la catena di depositi e prestiti lungo tutte le banche del sistema
bancario, di modo che il totale dei depositi creati dal sistema bancario, una volta che si siano esauriti
tutti gli effetti del deposito originale di un milione di u.m., sarebbe la somma della seguente serie:
Dunque nel nostro esempio r sarebbe l’80 per cento (1 - k) della proporzione di depositi di nuova
creazione generati da ogni banca in ogni iterazione e che, secondo ciò che sappiamo dalla formula [3],
è uguale a
Pertanto:
[22]
38
E poiché | r | < 1, applicando le formule [11] e [12]
[23]
[24]
Dove ds1 sono nel nostro esempio i depositi secondari della banca A = 1.219.512 u.m.
E l’espansione creditizia netta x creata da tutto il sistema bancario sarebbe uguale a:
Possiamo riassumere i risultati precedenti nel dettaglio corrispondente a ogni banca membro del
sistema bancario nella tabella IV-1, la cui rappresentazione grafica è raccolta nel grafico IV-1.
TABELLA IV-1
SISTEMA DELLE BANCHE DI DIMENSIONE «NORMALE»
(k = 0,20 y c = 0,1)
39
Nota: si sono arrotondate le ultime 3 cifre
Ipotizzando ora che tutte le banche del sistema siano molto piccole, cioè, che abbiano un k = 0, ed
essendo il loro coefficiente di cassa c = 0,1, le scritture equivalenti al sistema bancario precedente
sarebbero le seguenti:
Prima nella banca A, quando si depositano un milione di u.m. a vista:
Banca A
Una volta che Z detrae novecento mila dalla cassa per pagare Y, il bilancio della banca A diventa:
(45) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0
Attività Passività
Cassa 100.000 Depositi a vista 1.000.000
Prestiti 900.000
Totale Attività 1.000.000 Totale Passività 1.000.000
Se Y, a sua volta, deposita le novecentomila che ha ricevuto da Z nella sua banca, la banca B, che è
anche una banca piccola con un k = 0 e un c = 0,1, le scritture che si produrrebbero sarebbero le
seguenti:
Banca B
40
900.000 Cassa a Depositi a vista 900.000
(47) Banca B
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0
Attività Passività
Cassa 90.000 Depositi a vista 900.000
Prestiti 810.000
Totale Attività 900.000 Totale Passività 900.000
Orbene, se V detrae dalla cassa della sua banca l’importo del prestito per pagare U e U a sua volta lo
deposita nella sua banca, che è la banca C, e che è anche una banca piccola con k = 0 e c = 0,1, le
scritture in C sarebbero:
Banca C
(49) Banca C
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0
Attività Passività
Cassa 81.000 Depositi a vista 810.000
Prestiti 729.000
Totale Attività 810.000 Totale Passività 810.000
41
Quando T paga il suo creditore S e questi lo deposita a sua volta nella sua banca, che ipotizziamo
essere la banca D, anch’essa piccola, con un k = 0 e un c = 0,1, le scritture sarebbero:
Banca D
(51) Banca D
Stato patrimoniale
c = 0,1 y k = 0
Attività Passività
Cassa 72.900 Depositi a vista 729.000
Prestiti 656.100
Totale Attività 729.000 Totale Passività 729.000
E cosí, successivamente, vediamo come il totale dei depositi di un sistema bancario di banche molto
piccole sia la somma di una serie che coincide ed è identica a quella riassunta dalla formula [8] che
elaborammo parlando della banca monopolista:
[26] ;
A sua volta, questa somma è uguale, secondo quanto sappiamo dalla nota 27, a:
Poiché a = d = 1.000.000 di unità monetarie originariamente depositate, il totale dei depositi viene dato
dalla formula:
42
[27]
Essendo questa formula identica a quella del moltiplicatore dei depositi in una banca unica monopolista
[14].
Ricordiamo, a sua volta, che:
[28]
E poiché in questo caso il sistema bancario è di banche piccole e k = 0, sostituendo k con questo valore
nella formula [28], ci risulterà che r = 1 - c = 0.9, come già sappiamo.
Pertanto, il sistema bancario di banche piccole dà luogo, nel suo insieme, a un volume di depositi (dieci
milioni di u.m.) e a una generazione netta di espansione creditizia (nove milioni di u.m.) che sono
identici a quelli che già vedemmo parlando della banca monopolista per la quale k = 1. Possiamo
riassumere questi risultati del sistema bancario di banche piccole come abbiamo fatto nella tabella IV-
2.
Si noti come il sistema bancario di banche piccole non sia che un caso particolare (quando k = 0) del
sistema bancario generale (nel quale k è minore di 1 ma maggiore di 0). Nonostante sia un caso
particolare, il sistema bancario di banche molto piccole (con k = 0) è, per la sua facile comprensione,
quello utilizzato generalmente nei libri di testo per spiegare la creazione di moneta bancaria da parte
del sistema finanziario30.
TABELLA IV-2
SISTEMA DI PICCOLE BANCHE
(k = 0 y c = 0,1)
30
Cosí, si veda tra gli spagnoli, Juan Torres López, Introducción a la economía política, Editorial Cívitas, Madrid 1992, pp.
236-239; e José Casas Pardo, Curso de economía, 5.ª edizione, Madrid 1985, pp. 864-866.
43
Totali del sistema
bancario d = 1.000.000 x = d (1-c) = 9.000.000 d = 10.000.000
c c
Da parte sua, il sistema di banca unica monopolista è anch’esso un caso particolare (quando k = 1), del
caso più generale dell’espansione di depositi e crediti che genera una banca isolata. Concludendo,
esistono due casi particolari che danno luogo a risultati identici in quanto a volume di depositi (dieci
milioni) e generazione di nuovi crediti (nove milioni di u.m.). Il primo caso particolare è quello del
sistema bancario costituito da banche tutte quante minuscole, ognuna delle quali ha pertanto un
coefficiente k = 0. Il secondo caso particolare, che dà luogo al medesimo risultato, è quello della banca
isolata, quando il suo coefficiente k = 1. Data la facile comprensione di ambedue i casi, questi sono
quelli generalmente utilizzati per spiegare nei libri di testo la generazione dei crediti e il volume dei
depositi creati dalla banca, preferendosi, a seconda del testo che si adopera, fare riferimento al sistema
bancario di banche piccole, oppure alla banca unica monopolista (o quella secondo cui, in ultima
istanza, i percettori ultimi dei prestiti sono anche clienti della propria banca)31.
6
ALCUNE COMPLESSITÀ ADDIZIONALI
L’espansione iniziata simultaneamente da tutte le banche
I processi di espansione creditizia corrispondenti al sistema bancario che abbiamo spiegato sono stati
studiati, forzatamente, in maniera semplificata. Perciò è necessario fare ora alcune distinzioni e
considerazioni di carattere complementare. La prima di queste si riferisce al fatto che il processo di
espansione descritto ha avuto la sua origine unicamente ed esclusivamente nell’incremento di moneta
depositata nella banca originaria (nel nostro esempio, d era un milione di u.m. depositate nella banca
A). Tuttavia, tanto storicamente, a mano a mano che si sviluppò la banca, quanto nel momento attuale,
ogni processo di espansione creditizia si caratterizza per il fatto che nuova moneta arriva al sistema
bancario non attraverso una sola banca, ma da una molteplicità di esse (se non, in maggiore o minor
misura, attraverso tutte loro). Questo significa, come sottolinea Richard G. Lipsey32, che l’espansione
creditizia descritta, che è stata creata dal nulla attraverso la creazione dei depositi bancari necessari (e
che nel nostro esempio, con un coefficiente di cassa del 10 per cento, dava luogo in ultima istanza a
una creazione di crediti per un importo di nove milioni di u.m., cioè, nove volte superiore al deposito
originariamente creato, pertanto, moltiplicando per dieci l’offerta monetaria totale), si riprodurrà tante
volte quante un milione di u.m. si depositano in banche distinte, per cui il processo generalizzato di
31
Questo è il sistema che preferisce seguire Bresciani-Turroni nel suo Corso di economia politica, vol. II, opera già citata,
pp. 133-138.
32
Richard G. Lipsey, Introducción a la economía positiva, Editorial Vicens-Vives, Barcelona 1973, pp. 657-658.
33
Murray N. Rothbard, The Mystery of Banking, op. cit., cap. VIII, pp. 111-124.
44
espansione è, nella pratica, molto maggiore e qualitativamente più complesso, poiché ha la sua origine
simultaneamente in molte banche e in molti depositi. La conclusione principale di questa
considerazione è che se tutte le banche simultaneamente ricevono nuovi depositi di moneta, allora
potranno espandere il credito senza essere costrette a diminuire le riserve di tesoreria in cassa, posto
che, sebbene concedano prestiti che possono dar luogo a un ritiro o a una disposizione di tesoreria (tale
e quale abbiamo supposto nelle scritture contabili effettuate fino ad ora), simultaneamente ricevono in
deposito parte dei prestiti che a loro volta concedono alle altre banche, per cui, in pratica, non
dovranno prodursi diminuzioni significative nell’importo delle riserve di ognuna delle banche, le quali,
mantenendo le riserve praticamente intatte, potranno effettuare prestiti e pertanto creare depositi
senza maggiori pericoli.
Questo è l’argomento teorico che ha portato diversi autori, e tra questi Murray N. Rothbard33, a fare la
sua esposizione sul processo di espansione creditizia del sistema bancario, considerando che la banca
isolata non perde riserve quando concede i nuovi presiti, ma, mantenendo il volume delle proprie
riserve intatte, fa il possibile per concedere nuovi crediti per un multiplo che viene determinato al
contrario del coefficiente di cassa. L’argomento per esporre in questa maniera il moltiplicatore
bancario, perfino dal punto di vista di una banca isolata, è che la banca si adopererà per non diminuire
la propria riserva nel processo di concessione dei prestiti (rimanendo con centomila u.m. e prestandone
novecento mila), ma sarà molto meglio per essa mantenere un coefficiente concedendo un volume
molto maggiore di prestiti e custodendo in cassa inalterate le riserve iniziali di moneta (cioè,
mantenendo in cassa un milione di u.m. e creando dal nulla e concedendo nove milioni di nuovi
prestiti). In pratica, il mantenimento del livello di cassa potrà essere assicurato se accadrà che il
processo di espansione creditizia si realizza simultaneamente attraverso tutte le banche, posto che la
cassa che uno perde per i prestiti concessi, tenderà a vedersi compensata dai nuovi depositi che riceve
come risultato dei prestiti concessi dalle altre banche.
La presentazione del processo di espansione in questa maniera di solito non viene compresa facilmente
dai non specialisti in materia, e nemmeno dagli esperti pratici del settore bancario, che sono abituati a
considerare la loro come un’«attività» di mera intermediazione tra depositanti e prestatari. Tuttavia,
una dimostrazione molto sensata del fatto che l’approccio di Rothbard e altri è del tutto corretto si basa
sul fatto che, ai nostri fini, è irrilevante considerare, sia il caso che abbiamo studiato fino ad ora (un
deposito originario nella banca A di un milione di u.m. che si estende lungo tutto il sistema bancario),
sia il caso di un sistema bancario costituito da dieci banche, in ognuna delle quali si depositano
simultaneamente centomila u.m. (cioè, un totale di un milione di u.m. diviso tra dieci banche). In
questo secondo caso ogni banca manterrà una cassa di centomila u.m. che non vedrà diminuire e che
renderà possibile a ogni banca espandere i propri crediti e creare dal nulla nuovi mezzi fiduciari per un
importo di novecento mila u.m. E ogni banca può mantenere una cassa inalterata di centomila u.m. se
le possibili diminuzioni che sperimenti nei propri incassi come conseguenza dei prestiti che conceda si
compensano con i nuovi depositi che provengano dai prestiti concessi da altre banche. Pertanto, se
l’espansione avviene simultaneamente per tutte le banche, ogni banca può mantenere inalterate le
proprie riserve di cassa, e creare dal nulla, con un coefficiente di cassa di 0,1, fino a nove volte i propri
depositi iniziali sotto forma di crediti coperti da nuovi mezzi fiduciari. Vediamo gli effetti contabili di
questo processo di espansione simultanea. Supponiamo che esistano dieci banche, ognuna delle quali
riceve un milione di u.m. di nuovi depositi originari di moneta. Consideriamo che tutte quante hanno la
stessa dimensione, un coefficiente di cassa c del 10 per cento e, per semplificare, che k = 0.
Supponiamo, inoltre, che ogni banca abbia una quota di mercato del 10 per cento (cioè, che ogni banca
disponga del 10 per cento di tutti i clienti del mercato nel quale opera, clienti che si trovano, quindi,
distribuiti aleatoriamente). Se ognuna di queste banche inizia a espandere simultaneamente il credito
45
secondo il processo descritto nelle scritture (44) e seguenti, è chiaro che una qualsiasi di esse, per
esempio la banca A, finirà per ricevere presto o tardi depositi provenienti dai crediti concessi dal resto
delle banche, secondo lo schema della tabella IV-2, per cui le sue scritture nel giornale delle operazioni
nel corso dell’esercizio, se tutte le banche espandono il credito simultaneamente, saranno le seguenti:
Banca A
Questa uscita di cassa si compenserebbe con il deposito a vista che riceverebbe da qualche cliente che
fu percettore di un credito proveniente, per esempio, dalla banca B, e allora la scrittura sarebbe:
Banca A
Di nuovo la banca A finirebbe per ricevere le 810.000 u.m. che le sono uscite di cassa, sotto forma di
un deposito proveniente da crediti concessi, per esempio, dalla banca C, e le scritture sarebbero:
Banca A
46
cliente della banca C 810.000
E così successivamente, proseguendo con i depositi indirettamente ricevuti dai clienti che hanno
ottenuto prestiti dalle banche D, E, F, G, H, I e J, secondo un processo nel quale abbiamo abbastanza
semplificato, poiché in realtà, ciò che riceve la banca è, in media, un 10 per cento dei dieci prestiti di
novecentomila u.m. che nella prima iterazione concede ogni banca del sistema, un 10 per cento dei
dieci prestiti di ottocentodiecimila u.m. che nella seconda iterazione concede ogni banca nel sistema,
un 10 per cento dei dieci prestiti di settecentoventinovemila u.m. che nella terza iterazione concede
ogni banca nel sistema, e così via.
Quindi, se esistono dieci banche, ognuna delle quali riceve un milione di u.m. di depositi originari, ed
espande il credito simultaneamente, il bilancio di una qualsiasi delle banche, per esempio, il bilancio
della A, diventerebbe come segue:
(55) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0’1 y k = 0
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Depositi a vista
(primari) 1.000.000
Vediamo, pertanto, che il bilancio di ognuna delle banche coinciderà con il bilancio che descrivemmo
in precedenza nel caso in cui k = 1 (banca monopolista o nella quale tutti i percettori ultimi della
moneta erano clienti della stessa banca), poiché sebbene in questo caso non esista un monopolio, in
ultima istanza la cassa che in primo luogo perde la banca, espandendo il suo credito è compensata dai
depositi che riceve provenienti dai crediti che sono espansi dal resto delle altre banche.
Dal bilancio (55) si deduce che alla banca non occorre ridurre il proprio saldo di tesoreria in cassa
quando espande il proprio credito ma, se il resto dei suoi colleghi espandono il credito
simultaneamente, può mantenere inalterato il suo livello di riserve di cassa e procedere direttamente a
concedere un mutiplo di tali riserve sotto forma di prestiti (nel nostro caso, a fronte di un milione di
riserve che si mantengono in cassa, si creano dal nulla nove milioni di prestiti coperti da nove miloni di
depositi secondari). Perciò, la presentazione del processo realizzata da Rothbard è corretta, perfino
considerando il caso di una banca isolata, se anche il resto delle banche del sistema riceve depositi
originari (cioè, una quota percentuale della nuova moneta che si crea nel sistema) e tutte espandono il
loro credito simultaneamente. La tesoreria che ogni banca teoricamente perderebbe prestando, la
compensa con i depositi che riceve provenienti dai prestiti espansi dai suoi colleghi, per cui ogni banca,
47
di per sé, può espandere il proprio credito per nove milioni di u.m. Così facendo, l’espansione totale del
sistema sarà di novanta milioni di u.m. e i depositi totali, od offerta monetaria, di cento milioni di u.m.
Si possono ottenere risultati numerici identici a quelli elencati nella tabella IV-2 semplicemente
supponendo che il deposito originario di un milione di u.m. inizialmente effettuato nella banca A, si
divida in parti uguali con frazioni di 100.000 u.m. cada una nelle dieci banche del sistema, con cui
queste centomila u.m. rimarranno inalterate nella cassa di ogni banca, che potrà espandere il proprio
credito per novecentomila u.m., con la totalità del sistema bancario che genera nove milioni di u.m. di
nuovi prestiti, e un totale di depositi, tra primari e secondari, di dieci milioni di u.m.
È evidente che quest’ultimo presupposto, con il quale chiudiamo la nostra analisi contabile
sull’espansione di crediti e depositi da parte di banche isolate e sistemi bancari, è il più realistico. Nel
sistema monetario attuale l’incremento dell’offerta monetaria è filtrata da tutto il sistema e giunge
praticamente a tutte le banche, il che permette loro di espandere il proprio credito in maniera
simultanea e in conformità ai processi visti. Ugualmente, nel processo storico di nascita della banca
esistono chiari indizi che le banche non nacquero mai da sole, ma in gruppi, di modo che perfino
Saravia de la Calle menziona che si istituivano già raggruppate, conferendo «garanti che le
garantiscano, fidandosi l’una dell’altra»34. Ciò significa che, già all’epoca delle fiere castigliane del
secolo XVI, i banchieri erano coscienti dell’intima relazione e della forte comunità di interessi in
merito al destino delle proprie attività che esisteva tra loro, così come del fatto che dovevano
appoggiarsi reciprocamente.
E in relazione a uno standard aureo la cui offerta monetaria fosse basata sulla scoperta di nuove miniere
d’oro e sull’evoluzione delle tecniche della sua estrazione si poteva considerare che, in caso di nuove e
importanti scoperte, la nuova moneta sarebbe arrivata prima soltanto ad alcune banche determinate, e
da lì si sarebbe estesa al resto del sistema bancario, non producendo un’espansione simultanea bensì un
processo graduale di trasmissione della moneta attraverso tutto il sistema.
Possiamo, pertanto, concludere che, se esistono molte banche e molti nuovi depositi di modo che
ognuna delle banche espanda il proprio credito simultaneamente secondo i processi visti, allora sì che si
può affermare che, perfino dal punto di vista di una banca isolata, questa è in grado di mantenere
inalterato il suo livello di riserve e di espandere da sé soltanto un multiplo di tale livello, che viene dato
inversamente al coefficiente di cassa (essendo k = 0)35. Si rende così evidente che i depositi non sono
che una mera copertura contabile della ricchezza di cui si appropriano le banche quando espandono il
proprio credito e, benché dal punto di vista contabile (ma non giuridico) la titolarità formale di questi
crediti sia dei titolari dei depositi, dato che in circostanze normali questi considerano che i loro depositi
sono moneta (sostituti monetari perfetti) che utilizzano per le proprie transazioni senza necessità di
ritirarli mai in unità monetarie fisiche, è chiaro che, de facto, le attività generate dal sistema bancario
«non sono nulla» (benché possa considerarsi che in grande misura siano anche degli azionisti, degli
34
Doctor Saravia de la Calle, Instrucción de mercaderes, op. cit., p. 180.
35
Dandosi queste condizioni, che sono le più reali nel mercato, perderebbe virtualità l’affermazione di C.A. Phillips,
secondo il quale (Credit Banking, op. cit., p. 64) «it follows for the banking system that deposits are chiefly the offspring of
loans. For an individual bank, loans are the offspring of deposits». È questa seconda affermazione quella che non è corretta
nelle circostanze più reali, posto che, esistendo molte banche con molti depositi originari ed espandendo tutte quante il
credito simultaneamente, anche in ogni banca isolata i depositi sono un risultato dell’espansione creditizia che ognuna
realizza all’unisono. Lasciamo per il capitolo VIII lo studio della possibilità certa (negata da Selgin) che si produca, perfino
in un regime di banca libera, un’espansione creditizia simultaneamente iniziata da tutte le banche, benché non aumenti il
volume dei depositi primari in tutte quante (cioè, attraverso una diminuzione generalizzata del loro incasso o coefficiente di
cassa). Nello stesso capitolo, seguendo Mises, spieghiamo anche come, in un regime di banca libera, una banca non possa
espandere il proprio credito in forma isolata diminuendo il proprio incasso al di sotto del livello di prudenza, senza mettere
in pericolo la propria solvibilità. Entrambi i fenomeni spiegano la tendenza irresistibile dei banchieri a mettersi d’accordo e
orchestrare in forma congiunta (abitualmente attraverso la banca centrale) il ritmo generale di espansione creditizia.
48
amministratori e dei gerenti delle banche, che sono quelli che, de facto, approfittano di molti dei
vantaggi economici di tale ricchezza, con il vantaggio addizionale che non appaiono come proprietari
della stessa, poiché in apparenza i libri contabili segnalano i depositanti come titolari).
Cioè, in circostanze normali, i depositi nascono a partire dai crediti e non sono che il collaterale
contabile di una ricchezza accumulata dalle banche che si mantiene indefinitamente in loro potere. Più
avanti, quando parleremo dei biglietti di banca, e nell’ultimo capitolo di questo libro, quando
studieremo il processo di transizione e di riforma bancaria che proponiamo, avremo l’opportunità di
tornare a fare una serie di considerazioni complementari su questo fatto economico così fondamentale.
Altra complicazione che possiamo considerare deriva dal fatto che in realtà, in ogni processo di
concessione di prestiti e di creazione e disposizione di depositi, si «filtra» fuori dal sistema bancario
una determinata percentuale di mezzi di pagamento che passa sotto la custodia dei privati, che la
conservano a loro disposizione e non desiderano depositarla nelle banche. Quindi, quanto maggiore è la
percentuale di moneta che in ogni iterazione si «filtra» fisicamente nel borsellino dei privati e non torna
al sistema bancario, tanto minore sarà la capacità espansiva di generazione di nuovi crediti da parte del
sistema bancario stesso.
Presupponendo un sistema bancario di banche piccole (nel quale k = 0) e con un coefficiente di cassa c
= 0,1, se denominiamo f il coefficiente o proporzione dei mezzi di pagamento che filtra fuori dal
sistema bancario, ciò implicherebbe che, ipotizzando un f = 0,15, una volta che la banca A avesse
prestato novecentomila u.m., tornerebbero al sistema bancario solo (1 - f)900.000 = (1 – 0,15)900.000
= 0,85 x 900.000 = 765.000 u.m., e così via. Pertanto, per il sistema di banche piccole e considerando k
= 0, c = 0,1, e f = 0,15, potremmo utilizzare le seguenti formule:
Se denominiamo DN i depositi totali netti che sono costituiti dai depositi lordi DB meno l’importo totale
della moneta filtrata fuori dal sisema bancario F, avremmo che:
[29] DN = DB - F
D’altro lato, l’importo totale della moneta che viene filtrata fuori dal sistema bancario sarà, come è
logico, f volte l’importo totale dei depositi lordi DB, essendo f il coefficiente o la percentuale di
moneta che viene filtrata fuori dal sistema bancario. Cioè:
[30] F = fDB
A sua volta, la moneta inizialmente depositata sarà uguale all’importo dei depositi netti per il
corrispondente coefficiente di cassa più il totale della moneta filtrata fuori dal sistema. Cioè:
[31] d = DN .c + F
Sostituendo in questa formula il valore dei depositi netti DN con il valore che questo ha nella formula
[29] e F con il suo valore in [30], avremmo:
49
[34] d = (c - c f + f ) DB
Per cui:
[35]
Come DN= DB (1 - f)
[36]
E questa sarebbe la formula dei depositi netti creati dal sistema. L’espansione creditizia creata dal
sistema con filtraggio di moneta fuori dallo stesso sarebbe uguale a:
[37]
Se consideriamo f = 0 nelle formule precedenti, ci troveremo nei casi di espansione dei crediti e del
volume totale dei depositi che abbiamo studiato fino ad ora, cioè:
[38]
[39]
Vediamo ora per quanto resta limitata l’espansione creditizia se d = 1.000.000 di u.m., c = 0,1, come
fino ad ora, ed esistendo una percentuale f di filtraggio di moneta fuori dal sistema bancario del 15 per
cento (f = 0,15).
[40]
Vediamo, pertanto, che i depositi globali del sistema bancario con un coefficiente di filtraggio fuori
dallo stesso del 15 per cento saranno 3.617.021, invece dei dieci milioni che si producevano nel caso in
cui f = 0.
E in quanto alla generazione di espansione creditizia netta, questa sarebbe x = 3.617.021 - 1.000.000 =
2.617.021, invece dei nove milioni che si producevano senza filtraggio. Pertanto, esistendo una
50
percentuale di filtraggio superiore a 0, si diminuisce sensibilmente la capacità del sistema bancario di
creare prestiti e generare depositi a partire dal nulla36.
Altra complicazione addizionale che ha un effetto molto somigliante a quello studiato nel paragrafo
precedente è quella che deriva dal fatto che le banche mantengano riserve superiori a quelle necessarie.
Questo è solito accadere in determinate fasi del ciclo economico nelle quali le banche sviluppano un
comportamento relativamente più prudente, si vedono costrette a incrementare le proprie riserve di
fronte alla difficoltà di trovare un numero sufficiente di prestatari solvibili disposti a chiedere prestiti, o
ambedue le cose in una volta. Così succede, per esempio, nelle fasi di recessione economica che
seguono l’espansione creditizia. In ogni caso, il mantenimento di riserve superiori a quelle necessarie
riduce, alla stessa maniera dell’esistenza del coefficiente f di filtraggio di moneta fuori dal sistema
bancario, la capacità di espansione creditizia del sistema37.
36
Ho preso lo sviluppo di queste formule dal libro di Armen A. Alchian y William R. Allen, University Economics,
Wadsworth Publishing, Belmont, California, 1964, pp. 675-676. Se, come si ascolta ogni volta con maggior insistenza, il
coefficiente di cassa legale si riducesse a zero, il totale dei depositi netti dei filtraggi Dn sarebbe:
x=Dn−d=4.666.667u.m.
Pertanto, occorre concludere che, se non esistesse il filtraggio dei mezzi di pagamento fuori dal sistema (f = 0), e le autorità
bancarie eliminassero il coefficiente di cassa (c=0), queste potrebbero stimolare, senza limite, il volume di espansione
creditizia che volessero, essendo:
(Questa espansione genererebbe in forma aggravata tutti gli effetti di distorsione sulla struttura produttiva reale che
studieremo nel capitolo V).
37
Come illustrazione dell’importanza che possano avere gli effetti menzionati nel testo al momento di diminuire il
moltiplicatore di espansione bancaria, è necessario mettere in risalto che, per esempio, in Spagna, da un totale di circa 50
miliardi di offerta monetaria (includendo quello effettivo nelle mani del pubblico, i depositi a vista, i depositi di risparmio e
i depositi a scadenza che, nonostante il loro nome, nel caso del sistema bancario spagnolo, nella loro maggioranza sono veri
e propri depositi a vista, poiché possono essere ritirati senza penalità o con penalità molto ridotte in qualsiasi momento da
parte dei rispettivi titolari), soltanto intorno a 6,6 miliardi è moneta effettivamente nelle mani del pubblico. Questo significa
che poco più del 13,2 per cento del totale è costituito da moneta effettiva nelle mani del pubblico, per cui il moltiplicatore di
espansione bancaria in Spagna sarebbe superiore di 7,5 volte (il che equivarrebbe a un coefficiente di cassa del 13,2 per
cento). Come il coefficiente di cassa attualmente in vigore in Spagna è di un 2 per cento (Circolante monetario della Banca
di Spagna 1/1996, dell’11 di ottobre), la differenza fino al 13,2 per cento si deve esattamente all’effetto del coefficiente f di
filtraggio di moneta nelle mani del pubblico, forse aggravato dalla passata congiuntura di recessione economica, che ha
incrementato il volume dei depositi e di tesoreria a disposizione delle banche e diminuito momentaneamente la loro
possibilità di incrementare il processo espansivo di creazione di crediti. Per questo commento abbiamo utilizzato i dati
51
Coefficienti di cassa distinti secondo la tipologia di depositi
Infine, un’altra complicazione che si potrebbe considerare deriva dal fatto che in molti paesi esiste un
coefficiente di cassa distinto per i depositi a vista e per i depositi a scadenza, anche se questi ultimi,
come abbiamo già visto, molte volte sono in pratica veri e propri depositi a vista. Benché si possano
rielaborare tutte le formule che abbiamo considerato finora discriminando tra l’una e l’altra tipologia di
depositi, il grado di complessità che si introduce nell’analisi non compensa il piccolo valore aggiunto
che si potrebbe ottenere dello stesso, per cui abbiamo optato per non esporlo qui38.
7
L’IDENTITÀ ESISTENTE TRA LA CREAZIONE DI DEPOSITI
E L’EMISSIONE DI BIGLIETTI DI BANCA SENZA COPERTURA
Non è l’obiettivo di questo libro l’analisi economica dell’emissione di biglietti di banca senza
copertura, operazione che storicamente sorse dall’attività bancaria molto dopo la scoperta della banca
con riserva frazionaria39. Tuttavia, è interessante ora studiare un po’ più dettagliatamete gli aspetti
contabili e giuridici dell’emissione di biglietti di banca senza copertura, poiché, come dimostreremo, ha
effetti che sono identici a quelli che si producono nella creazione di crediti e depositi a partire dal
nulla da parte delle banche.
Ipotizziamo la fase iniziale della nascita della banca, nella quale questa agiva come una vera
depositaria della moneta attraverso un contratto di deposito irregolare. Finché si osservavano i principi
generali del diritto visti nei capitoli I, II e III, la banca riceveva nella sua cassa le unità monetarie
(generalmente oro, o quasiasi altra moneta merce) e consegnava certificati di deposito, ricevute o
biglietti di banca al portatore per l’intero importo delle quantità consegnate. La scrittura nel giornale
della banca che adempiva correttamente ai suoi impegni sarà la seguente:
previsionali di giugno pubblicati nell’agosto del 1994 nel Boletín Estadístico del Banco de España, e che mi ha facilitato
con gran gentilezza Luis Alfonso López García, ispettore della Banca di Spagna.
38
Si può vedere, ciò nonostante, lo sviluppo delle formule che raccolgono questa complicazione nel libro di Laurence S.
Ritter e William L. Silber, Principles of Money, Banking and Financial Markets, 3.ª edizione revisionata e ampliata, Basic
Books, New York 1980, pp 44-46. Altri lavori nei quali si sviluppa dettagliatamente la teoria del moltiplicatore bancario
sono quelli di John D. Boorman y Thomas M. Havrilesky, Money Supply, Money Demand and Macroeconomic Models,
Allyn & Bacon, Boston 1972, specialmente le pp. 10-41; Dorothy M. Nichols, Modern Money Mechanics: A Workbook on
Deposits, Currency and Bank Reserves, pubblicato dalla Federal Reserve Bank of Chicago, pp. 29-31; ed è interessante
anche il libro di Phillip Cagan, Determinance and Effects of Changes in the Stock of Money, 1875-1960, Columbia
University Press, New York 1965. Assieme a noi, ha lavorado in extenso sul tema dei moltiplicatori e dei coefficienti di
cassa bancari José Miguel Andreu García. Si vedano, per esempio, i suoi articoli «Intorno alla neutralità del coefficiente di
cassa: il caso spagnolo», in Revista de Economía, n.º 9, e «Il coefficiente di cassa ottimo e i suoi possibili vincoli con il
deficit pubblico», Boletín Económico de Información Comercial Española, dal 29 di giugno al 5 di luglio del 1987, pp.
2425 e ss.
39
A.P. Usher, The Early History of Deposit Banking in Mediterranean Europe, op. cit., pp. 9 e 192.
52
Banca A
Tuttavia, se la banca depositaria rispetta in un periodo prolungato di tempo i suoi impegni e la gente ha
pienamente fiducia in essa, è sicuro che il pubblico gradualmente inizierà a utilizzare i biglietti di banca
(o ricevute o certificati di deposito che la banca emise in cambio delle unità monetarie depositate) come
se fossero le proprie unità monetarie (sostituti monetari perfetti nella terminologia di Mises). Poiché la
moneta è un bene presente che gli esseri umani domandano e utilizzano con l’intenzione di usarla come
mezzo di scambio e non per consumo proprio, può manifestarsi indefinitamente la situazione per cui, se
i depositanti hanno fiducia nella banca, utilizzeranno i biglietti ricevuti (senza aver necessità di andare
in banca a ritirare le unità monetarie che originariamente depositarono nello stesso). Quindi, quando si
presenta questa situazione, è possibie che la banca inizi a essere tentata di emettere un numero di
certificati di deposito in volume superiore a quello delle unità monetarie che realmente erano state
presso di essa depositate.
È evidente che se la banca cede a questa tentazione, viola alcuni principi uinversali del diritto,
incorrendo nei delitti non soltanto di falsificazione di documento (per avere emesso un certificato falso
non coperto dal corrispondente deposito), ma anche di truffa, per aver consegnato come mezzo di
pagamento qualcosa che in realtà manca totalmente di copertura40. Tuttavia, se la banca gode di fiducia
sufficiente e sa per esperienza che con un coefficiente di cassa c = 0,1 può normalmente far fronte ai
suoi impegni correnti, potrà emettere fino a nove volte di più nuovi certificati falsi di deposito o
biglietti di banca, e con questo la scrittura che effettuerà nel suo giornale sarà:
Banca A
Abbiamo supposto che la banca utilizzi i biglietti falsificati per effettuare prestiti, ma potrebbe anche
averli destinati a qualsiasi altro fine, come per esempio, per comprare qualche altra attività (per
esempio, immobili sontuosi) o, semplicemente, per spese insostenibili. In ogni caso, supponendo che
destini quei biglietti alla concessione di prestiti, il bilancio della banca diventerebbe come segue:
40
«He who has made a special promise to give definite parcels of goods in return for particular individual papers, cannot
issue any such promissory papers without holding corresponding goods. If he does so, he will be continually liable to be
convicted of fraud or default by the presentation of a particular document». William Stanley Jevons, Money and the
Mechanism of Exchange, D. Appleton & Co., New York 1875, e Kegan Paul, Londres 1905, p. 209.
53
(58) Banca A
Bilancio Patrimoniale
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Biglietti di banca 10.000.000
Prestiti 9.000.000
Totale Attività 10.000.000 Totale Passività 10.000.000
Se c’è fiducia nella banca, i prestatari accetteranno di ricevere i propri prestiti in biglietti, e questi
passeranno da una mano all’altra coma se fossero moneta. In queste circostanze, la banca potrá perfino,
e con molta fondatezza, arrivare a considerare che tali biglietti non saranno mai restituiti alla banca per
ritirare la moneta originariamente depositata. Nel momento in cui ciò avviene, il corrispondente fatto
economico potrà tradursi nel riconoscimento contabile per cui i nove milioni di biglietti falsi messi in
circolazione dalla banca sono, in ultima istanza, un profitto dell’esercizio, del quale può appropriarsi
senza timore alcuno il banchiere. In questo caso le scritture saranno le seguenti:
Banca A
In quest’ultimo caso si riconosce contabilmente la situazione economica per cui il banchiere è sicuro
che, per il fatto che circolano i suoi biglietti come moneta, non dovrà mai far fronte alla restituzione del
loro importo. In questo caso, il bilancio della banca diventerà come segue:
(60) Banca A
Bilancio Patrimoniale
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Biglietti di banca 1.000.000
54
In questo bilancio si è riconosciuto contabilmente il fatto che, acquistando i biglietti di banca la natura
di unità monetarie, gli stessi non saranno mai restituiti alla banca per ritirare la moneta, posto che
passano già di mano in mano e sono considerati di per sé come moneta. Solamente si riconosce nelle
passività 1.000.000 di biglietti emessi, poiché si sa che un 10 per cento è sufficiente per far fronte alle
normali domande di conversione. Pertanto, quest’ultimo bilancio presuppone il riconoscimento
contabile della truffa realizzata dalla banca nell’emettere biglietti per un importo superiore alla moneta
depositata. Nonostante i banchieri non abbiano contabilizzato in passato l’emissione di biglietti senza
copertura in questa forma, poiché sarebbe stata resa completamente trasparente la frode commessa con
grave pregiudizio degli interessi dei terzi (che videro diminuita la capacità acquisitiva delle proprie
unità monetarie come conseguenza dell’incremento dell’offerta e questo senza considerare gli effetti di
crisi e recessioni economiche che studieremo più avanti), è evidente che, tuttavia, quest’ultimo bilancio
è più onesto, nel senso che almeno evidenzia la manovra effettuata e che l’emissione di biglietti senza
copertura è una fonte di finanziamento permanente che permette l’appropriazione di un volume molto
importante di ricchezza da parte dei banchieri.
Non sarà sfuggito all’attenzione del lettore il fatto che le precedenti scritture e i precedenti bilanci (56),
(57) e (58) sono identici a quelli che abbiamo già visto in precedenza per i depositi. E che la natura e
gli effetti economici dei biglietti di banca e dei depositi secondari sono identici. In realtà costituiscono
la medesima operazione e danno luogo agli stessi effetti economici e contabili. Entrambi generano a
favore delle banche importanti volumi di attività, che vengono sottratti gradualmente e in forma diluita
da tutti gli agenti economici che agiscono sul mercato attraverso un processo che non sono in grado di
comprendere né di identificare, e nel quale le banche ottengono i loro attivi a scapito di piccole
diminuzioni che si producono nella capacità acquisitiva delle unità monetarie di tutti gli agenti che
nella società le utilizzano. L’espansione creditizia si alimenta con la creazione di nuovi depositi o
biglietti che, convertendosi in moneta, dal punto di vista soggettivo del pubblico mai, in circostanze
normali, vengono ritirati. Le banche si appropriano, così, di un importante volume di ricchezza che, dal
punto di vista contabile, mantiene la copertura con depositi o biglietti che permettono alle banche di
camuffare il fatto che economicamente sono loro gli unici beneficiari che de facto approfittano della
completa proprietà, in termini economici, degli attivi menzionati. Hanno ottenuto, pertanto, una fonte
permanente di finanziamento che, in principio, non verrà loro reclamata, o, come già spiegammo in
precedenza, un «prestito» che mai sarà loro reclamato (il che, in ultima istanza, equivale a un vero e
proprio «regalo»). Dal punto di vista economico, sono i banchieri quelli che approfittano di tante
straordinarie circostanze, assieme al resto degli agenti economici che sono in relazione con le banche le
quali, disponendo dell’enorme potere di creare moneta, espandono continuamente le loro attività, i loro
uffici, i loro impiegati, ecc. E per di più sono riusciti a mantenere la loro attività relativamente occulta
alla generalità del pubblico, esperto o non esperto in economia, coprendo i crediti che creano dal nulla
con conti delle passività che non coicidono con quelli del patrimonio proprio (conti di deposito o di
biglietti di banca). Insomma, si è «scoperta» la pietra filosofale tanto cercata nel Medioevo per creare
nuove unità monetarie dal nulla, generando ricchezza camuffata con pregiudizio e frode di terzi, la cui
titolarità contabile è formalmente dei depositanti, ma che, in pratica e in ultima istanza, non è di
nessuno (sebbene, economicamente, la proprietà sia proprio dei banchieri). Come già abbiamo indicato,
il riconoscimento di questa realtà sarà molto importante quando, più avanti, nell’ultimo capitolo di
questo libro, proporremo un sistema di transizione e di riforma del sistema bancario, poiché la
ricchezza gradualmente accumulata dalle banche possa essere e sia restituita alla cittadinanza, essendo
disponibile, attraverso un processo di privatizzazione, per differenti obiettivi di grande importanza
sociale (cioè, per esempio, aiutare la cancellazione del debito pubblico, o la transizione a un sistema
privato di Sicurezza Sociale a capitalizzazione).
L’identità tra l’emissione di biglietti senza copertura e l’espansione creditizia coperta con depositi
secondari creati dal nulla che abbiamo studiato precedentemente in dettaglio, può ora essere compresa
55
in tutta la sua totale pienezza. In effetti, tutti i ragionamenti effettuati nelle pagine precedenti possono
ripetersi, mutatis mutandis, sostituendo ogni volta che utilizziamo l’espressione «depositi a vista» con
quella «biglietti di banca». Così, senza necessità di ripetere tutto quanto detto finora, possiamo
brevemente considerare le seguenti scritture. Per esempio, le scritture di concessione di prestiti a carico
dell’emissione di biglietti saranno le seguenti:
Banca A
In questo caso si vede come i prestiti siano concessi dal nulla semplicemente emettendo biglietti «falsi»
che sono consegnati ai prestatari. Nel peggiore dei casi, che consiste nel fatto che questi prestatari
ripresentino di nuovo i biglietti ricevuti alla banca per ritirare unità monetarie dalla cassa, il bilancio
diventerà come segue:
(62) Banca A
Bilancio Patrimoniale
Attività Passività
Cassa 100.000 Biglietti di banca 1.000.000
Prestiti 900.000
Totale Attività 1.000.000 Totale Passività 1.000.000
Orbene, supponendo che questo moneta sia ricevuta dai prestatari da parte di altre persone, e che in
ultima istanza queste la portino a un’altra banca, per esempio, la banca «B», che emette anch’essa
biglietti senza copertura, le scritture che effettuerà «B» saranno, ugualmente, le seguenti:
Banca B
56
Con la quale il bilancio della banca B diventerebbe come segue:
(64) Banca B
Bilancio Patrimoniale
Attività Passività
Cassa 90.000 Biglietti di banca 900.000
Prestiti 810.000
Totale Attività 900.000 Totale passività 900.000
E cosí successivamente, lungo tutto il sistema, di modo che se ipotizziamo un coefficiente di cassa c
per i biglietti di banca di 0,1 e che k = 0, già sappiamo che il sistema sarà in grado di creare dal nulla:
[41]
di unità monetarie sotto forma di biglietti che sono privi della corrispondente copertura di moneta
originaria (oro, o qualsiasi altro tipo di moneta merce).
Al medesimo risultato saremmo giunti nel caso di una banca monopolista con un coefficiente di cassa c
= 0,1 y k = 1, banca nella quale tutti ripongono fiducia e della quale tutti sono clienti, posto che già
vediamo che l’espansione creditizia x che si aveva in questo caso è:
[42]
ed essendo k = 1, x rimarrebbe uguale a d (1 - c)/c di biglietti creati dal nulla. E supponendo che
l’emissione di biglietti sia effettuata simultaneamente da tutte le banche e che l’arrivo di nuove unità
monetarie originarie avvenga ugualmete in tutte le banche, allora si produrrebbe la possibilità, già vista
in relazione ai depositi, che una sola banca, mantenendo inalterate le proprie riserve di cassa, generi un
multiplo uguale a d (1 - c)/c di biglietti di banca, secondo le seguenti scritture:
Banca A
E nella stessa maniera potremmo riprodurre tutte le scritture contabili viste nel caso più generale nel
quale k era superiore a 0 (nel nostro esempio, k = 0,20) e mantenendo il coefficiente di cassa del 10 per
57
cento, nel cui caso, per ogni milione di u.m. che ricevesse la banca, questa potrebbe creare dal nulla
nuovi biglietti per un importo uguale a:
cioè, per un importo di 1.097.560 u.m. sotto forma di biglietti senza copertura. E così via potremmo
ripetere tutti i risultati ai quali giungiamo in relazione con i depositi bancari, ma considerando ora i
biglietti di banca, il che dimostra che non esiste alcuna differenza economica tra l’emissione di biglietti
senza copertura e l’espansione ex nihilo di credito bancario coperta con depositi generati dal nulla.
L’unica differenza che esiste è di tipo giuridico, poiché, in accordo ai principi universali del diritto, nel
caso dell’emissione di biglietti senza copertura si produce, come già abbiamo visto, una falsificazione
di documento e un reato di truffa, mentre nel caso del contratto di deposito bancario di moneta c’è
soltanto un’appropriazione indebita.
D’altro lato, esistono anche differenze in merito alla materializzazione dell’operazione. I biglietti si
trovano materializzati in titoli al portatore e ognuno di essi raccoglie una cifra prefissata, di modo che
è possibile il suo trasferimento da una mano all’altra senza che la banca debba effettuare nessuna
scrittura contabile nei suoi libri (con ciò si diminuiscono i costi delle transazioni bancarie). I depositi, al
contrario, hanno il vantaggio di permettere di scrivere esattamente la loro cifra su un assegno, senza la
necessità di dover consegnare un numero fisso di biglietti di importo predeterminato, sebbene abbiano
l’inconveniente che la banca deve seguire il percorso delle transazioni effettuate, annotandole nei suoi
libri.
Ma a parte queste differenze giuridiche e di materializzazione, dal punto di vista economico ambedue
le operazioni hanno contenuto ed effetti identici. È solo necessario anticipare qui che nel processo
storico di sviluppo della teoria monetaria, in un primo momento si riuscì solo a rilevare l’immoralità e
il grave danno che generava la creazione di biglietti senza copertura, senza che i teorici al’inizio si
rendessero conto, né fossero in grado di reagire davanti al fatto che la creazione espansiva di crediti
coperti con depositi creati dal nulla avesse esattamente i medesimi effetti. Ciò spiega perché nella
Legge di Peel del 19 di luglio del 1844, che costituice la base di tutti i sistemi bancari moderni, si
proibisse il primo tipo di operazione (l’emissione di biglietti senza copertura), ma fallisse
categoricamente nei suoi obiettivi di stabilità monetaria e di adeguata definizione e difesa dei diritti di
proprietà dei cittadini che si rapportano con l’attività bancaria. I legislatori non si rendevano conto che i
depositi bancari con riserva frazionaria avevano esattamente la stessa natura e gli stessi effetti
economici dell’emissione di biglietti senza copertura, per cui la legge è passata senza proibire l’attività
bancaria con riserva frazionaria, così che continuò la secolare attività di «emissione» di depositi senza
copertura (depositi secondari). Perciò, anche se storicamente apparvero prima i depositi secondari,
essendo questi molto difficili da comprendere, si proibirono soltanto, e molto tardivamente, le
operazoni di emissione di biglietti senza copertura, essendo stata mantenuta fino ad oggi la legalità del
contratto bancario di deposito di moneta con riserva frazionaria, quando di fatto questo ha esattamente
lo stesso contenuto economico e produce gli stessi perniciosi effetti dell’emissione di biglietti di banca
senza copertura che venne proibita nel 1844 dalla Legge di Peel41.
41
Come vedremo più dettagliatamente nel capitolo VIII (pp. 470 e ss, e 486 e ss), il primo teorico a rendersi conto che i
depositi bancari erano moneta e che l’esercizio dell’attività bancaria con riserva frazionaria incrementa l’offerta monetaria,
fu lo scolastico spagnolo Luis de Molina, Tratado sobre los cambios, edizione e introduzione di Francisco Gómez
Camacho, Istituto di Studi Fiscali, Madrid 1991 (la prima edizione fu pubblicata a Cuenca nel 1597), si veda specialmente
la Disputa 409, pp. 145-156, e in special modo la p. 147. Tuttavia, Luis de Molina non fu in grado di rendersi conto
dell’identità esistente tra l’emissione di depositi e dei biglietti senza copertura, poiché nella sua epoca le banche non
58
8
IL PROCESSO DI CONTRAZIONE CREDITIZIA
Uno dei grandi problemi del processo di espansione creditizia e di creazione a partire dal nulla di
depositi a cui dà luogo il contratto di deposito bancario con riserva frazionaria è che, nella stessa
maniera in cui si scatenano forze ineludibili che riversano gli effetti sull’economia reale
dall’espansione creditizia, si generano forze che portano a un effetto parallelo di contrazione creditizia.
Questa contrazione si verifica ogni volta che si producono alcuni dei seguenti fatti: a) una diminuzione
dei depositi originari; b) un incremento del desiderio da parte del pubblico di mantenere unità
monetarie fuori dal sistema bancario (cioè, un incremento del coefficiente f); c) un aumento nella
«prudenza» delle banche, che le porta a incrementare il proprio coefficiente di riserva c, al fine di poter
far fronte ai maggiori ritiri di moneta che mediamente possono effettuare i propri clienti; d) un brusco
aumento nella restituzione dei prestiti non compensato da incremento nella concessione degli stessi; e
e) che aumentino i prestiti che non possano essere restituiti alle banche e il fatto che queste ultime
debbano sopportare un volume molto maggiore di morosi.
È chiaro , in primo luogo, che se si ritira da una banca un determinato importo di depositi originari (per
esempio, il milione di u.m. che abbiamo considerato nelle nostre illustrazioni), si eliminerà,
riversandosi a catena, tutta la creazione di crediti e depositi che abbiamo descritto nei differenti casi e
processi precedenti, producendosi una diminuzione di crediti e depositi. Nel nostro esempio,
avevano ancora cominciato a sfruttare la possibilità di emettere biglietti. Si dovrà aspettare fino al 1797 perché Henry
Thornton faccia riferimento, per la prima volta, all’identità tra biglietti e depositi (si veda la sua Risposta data il 30 di marzo
del 1797 nella Evidence given before the Lords’ Committee of Secrecy appointed to inquire into the courses in which
produced the Order of Council of the 27th February 1797, riprodotta An Inquiry into the Nature and Effects of the Paper
Credit of Great Britain, F.A. Hayek (ed.), Augustus M. Kelley, Fairfield 1978, p. 303); e pochi anni dopo, alla stessa
conclusione giungeranno Walter Boyd, James Pennington e il Senatore dello Stato della Pennsylvania Condy Raguet, per il
quale i depositi e i biglietti formavano, ugualmente, parte dell’offerta monetaria, e si doveva ritirare la licenza per operare a
tutte le banche che non pagassero immediatamente e a vista in moneta metallica la quantità che presso di esse si ritirasse o i
biglietti o i depositi che avessero emesso (si veda il Report on Bank Charters de Condy Raguet, incluso nel Journal of the
Senate, 1820-1921, Pennsylvania Legislature, pp. 252-268, e il commento al riguardo di Murray N. Rothbard incluso nel
suo The Panic of 1819: Reactions and Policies, Columbia University Press, New York e Londra 1962, p. 148). Non cessa di
risultare molto significativo il fatto che fossero proprio i teorici della Banking School i primi che correttamente insistettero
nel fatto che era alquanto paradossale che si pretendesse di porre limiti all’emissione di biglietti senza copertura e che,
tuttavia, non si difendesse la stessa misura in relazione ai depositi, quando gli uni e gli altri, biglietti e depositi, avevano
esattamente la stessa natura economica. Si veda, per esempio, il libro di James Wilson, Capital, Currency and Banking,
pubblicato dall’Economist, Londra 1847, p. 282; cosí come i commenti che realizza Vera C. Smith nel suo The Rationale of
Central Banking and the Free Banking Alternative, Liberty Press, Indianapolis 1990, p. 89, tradotto in spagnolo e
pubblicato da Unión Editorial/Edizioni Aosta, Madrid 1993, con il titolo di Fundamentos de la banca central y de la
libertad bancaria; la citazione più interessante di Vera Smith si trova nella p. 121 dell’edizione spagnola, dove Smith
conclude, riferendosi a Wilson e al grave errore della Currency School, che non fu in grado di notare l’identità economica
esistente tra biglietti e depositi, affermando che «la ragione che dava la scuola monetaria era che i biglietti incrementavano
la circolazione e i depositi no. Questo argomento non era accettabile per Wilson, che, come membro della Scuola Bancaria,
negava che gli uni e gli altri incrementassero la circolazione, mentre la convertibilità si manteneva con rigore, e segnalava
che le differenze tra biglietti e depositi che si adducevano non erano valide. Allora si negava ancora in molti circoli che i
depositi formassero parte della circolazione, cosa che non fu ammessa fino ai tempi di MacLeod». È da notare che la
contraddizione che segnala Wilson è pienamente giustificata, poiché data l’identità economica tra biglietti e depositi, gli
argomenti a favore del controllo dell’emissione degli uni senza copertura sono direttamente applicabili, mutatis mutandis,
agli altri. Inoltre, questa contraddizione è identica a quella che quasi un secolo dopo manifesteranno i difensori del contratto
di deposito irregolare di titoli fruttiferi con disponibilità degli stessi da parte della banca, nel caso della pratica bancaria
barcellonese degli inizi del secolo XX, quando tale pratica fu interdetta e duramente condannata, posto che, come ben
argomentarono i difensori della stessa, le ragioni utilizzate contro tale pratica si sarebbero dovute applicare anche ai depositi
bancari di moneta con riserva frazionaria (ci si ricordi delle considerazioni che facemmo a riguardo nel capitolo III).
59
supponendo che c = 0,1 y k = f = 0, la diminuzione nei crediti e nei depositi sarà di nove milioni di
u.m., con la quale si verificherà una significativa contrazione dell’offerta monetaria che in termini
relativi, andrebbe ad essere una decima parte di quella che era in precedenza. Si crea, pertanto, un’acuta
deflazione, o diminuzione della quantità di moneta in circolazione, che farà abbassare i prezzi di beni e
servizi e che, a breve e medio termine, aggraverà ancor di più gli effetti depressivi che, secondo quanto
vedremo nei prossimi capitoli, in ultima istanza genera nel mercato ogni processo di espansione.
Gli stessi effetti ha, in secondo luogo, il fatto che la gente vorrebbe mantenere un maggior volume di
moneta fuori dal sistema bancario. Questo cambiamento determinerà un incremento di f e, come già
abbiamo visto in precedenza, darà luogo a una diminuzione della capacità di espansione creditizia delle
banche, il che produce anche effetti di contrazione e deflazione monetaria. Ugualmente e in terzo
luogo, se le banche decidono di aumentare il proprio coefficiente di cassa ed essere più «prudenti», si
produce lo stesso effetto di contrazione. In quanto alla restituzione dei prestiti, in quarto luogo, questa
genera effetti ugualmente deflattivi (se non si concedono nuovi prestiti che almeno compensino i
precedenti che si vanno restituendo). Vediamo questo caso con maggior dettaglio ipotizzando una
banca con c = 0,1, k = 0 y f = 0, alla quale i suoi prestatari restituiscano i prestiti. Le scritture e il
bilancio della banca quando si concedono i prestiti sono:
Banca A
(67) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0,1, k = 0 y f = 0
Attività Passività
Cassa 100.000 Depositi a vista 1.000.000
Prestiti 900.000
Totale Attività 1.000.000 Totale Passività 1.000.000
E già abbiamo visto come attraverso il sistema bancario si creavano prestiti e depositi nuovi per un
importo di nove milioni di u.m. Perciò, quando si restituisce il prestito da parte del prestatario, si
scompongono le due ultime scritture nel modo seguente:
Banca A
60
900.000 Cassa a Depositi a vista 900.000
(67) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0,1, k = 0 y f = 0
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Depositi a vista 1.000.000
Economicamente ciò significa che dal punto di vista della banca individuale si è prodotta una
diminuzione dell’offerta monetaria di novecentomila u.m.: questa è passata da un milione e
novecentomila u.m. che aveva quando fu concesso il prestito (un milione sotto forma di depositi e
novecentomila sotto forma di moneta consegnata ai prestatari) a un milione di u.m., che sono le uniche
che restano una volta che il prestito viene restituito. Dal punto di vista della banca isolata, la
contrazione dell’offerta monetaria è, pertanto, evidente.
Quindi, considerando l’ipotesi che tutte le banche espandano il credito e ricevano depositi originari
simultaneamente, abbiamo già visto che ogni banca potrà mantenere costanti le sue riserve di cassa e
concedere un multiplo di tali riserve sotto forma di prestiti, con i quali il bilancio di qualunque banca,
per esempio la banca A, diventava come quello che si riassume di seguito:
(70) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0,1, k = 0 y f = 0
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Depositi a vista 10.000.000
Prestiti 9.000.000
Totale Attività 10.000.000 Totale Passività 10.000.000
Se tutti i prestatori della banca restituiscono il loro prestito, il bilancio della banca diventerebbe:
(71) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0,1, k = 0 y f = 0
61
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Depositi a vista 1.000.000
Dove si rende evidente che l’importo di diminuzione dell’offerta monetaria o di contrazione creditizia è
stato di nove milioni di u.m.; diminuzione identica a quella che sperimenterebbe il sistema bancario
come risultato della restituzione accumulata di prestiti in banche isolate, in accordo con quanto visto
nelle scritture (68) e (69), attraverso un processo identico ma inverso a quello riassunto nella
precedente tabella IV-2.
E, per ultimo, e in quinto luogo, se i prestiti perdono il loro valore, perché l’attività economica alla
quale furono dedicati fallisce, questo fatto deve essere registrato come una perdita nel bilancio della
banca corrispondente, attraverso la seguente scrittura:
Banca A
(73) Banca A
Stato patrimoniale
c = 0,1, k = 0 y f = 0
Attività Passività
Cassa 1.000.000 Depositi a vista 10.000.000
Prestiti 9.000.000
Totale Attività 10.000.000 Totale Passività 10.000.000
Paragonando questo bilancio con quello (71) precedente, vediamo che le riserve di cassa sono le stesse,
ma con la differenza molto significativa che nelle passività esistono dieci milioni di u.m. sotto forma di
depositi di fronte al milione che esisteva prima. Cioè, che la banca, si trova in una situazione di
bancarotta tecnica. Tuttavia, finché i depositanti continuano ad aver fiducia nella banca non si produrrà
una diminuzione o contrazione dell’offerta monetaria; di più, i banchieri potranno perfino considerare
che i 9.000.000 di depositi secondari che crearono dal nulla, poiché nessuno li va a reclamare, sono un
62
profitto di esercizio che compensa i 9.000.000 di u.m. di morosità42, lasciando il proprio bilancio
uguale a quello che abbiamo mostrato in (71). Tuttavia, è evidente che, dal punto di vista deflattivo,
questa situazione è ancora più pericolosa di quella derivante dalla restituzione di un prestito: le banche,
prima di arrivarci, restringeranno significativamente la concessione di nuovi crediti (essendo molto più
rigorose nei loro criteri di concessione), e con questo il processo deflattivo si aggraverà; e, se con tutto
questo non riescono a evitare le morosità e il rischio di bancarotta, saranno a un passo dal punto in cui i
depositanti perderanno la fiducia nella banca così da farle sospendere i pagamenti e/o falllire, e con ciò
perfino il milione di u.m. originariamente depositato in cassa verrà ritirato, essendoci il pericolo di
sparizione a cascata di tutto il sistema bancario una volta caduta la fiducia in esso del pubblico.
In circostanze normali, gli effetti di contrazione o deflazione appena visti non si producono, poiché
anche se si restituisce un prestito in una banca, il suo importo è compensato dalla concessione di un
altro prestito in un’altra banca, e perfino all’interno della stessa banca si tenta sempre di sostituire il
prestito restituito con un altro nuovo. E per quanto riguarda la morosità, in circostanze normali può
essere calcolata come un costo operativo supplementare della banca. Il gravissimo problema che
solleva la contrazione creditizia è che, come studieremo con ogni dettaglio nei capitoli seguenti, il
processo peculiare di espansione creditizia basato sulla riserva frazionaria porta ineludibilmente alla
concessione di prestiti senza una base di risparmio volontario, il che genera un processo di mancato
coordinamento intertemporale, che è frutto dell’informazione distorta che il sistema bancario invia agli
imprenditori che ricevono i crediti generati dal nulla dal sistema bancario stesso. Gli imprenditori si
lanciano così nella realizzazione di progetti di investimento come se il risparmio reale della società
fosse incrementato, quando invece questa cosa non è accaduta, avendo avuto inizio un «boom» o
un’espansione artificiale che, attraverso il processo che analizzeremo in dettaglio più avanti,
inesorabilmente dà luogo a un inevitabile riaggiustamento sotto forma di crisi e recessione economica.
In questo, sinteticamente, consistono gli effetti negativi che, sull’economia reale, ha il fenomeno
finanziario di espansione creditizia svoltosi mediante l’emissione di mezzi fiduciari (depositi).
La crisi e la recessione economica mettono in evidenza che un numero molto importante di progetti di
investimento finanziati a carico di nuovi crediti creati dalla banca non sono redditizi in quanto non
corrispondono ai veri desideri dei consumatori. Si produce così il fallimento e la scomparsa di molti
progetti di investimento che finisce per colpire profondamente il sistema bancario. Questa influenza
negativa sul sistema bancario si verifica sotto forma di restituzione generalizzata di prestiti da parte di
molti imprenditori che affrontano le rispettive perdite e, demoralizzati, procedono alla liquidazione dei
progetti di investimento erroneamente intrapresi (con gli effetti di contrazione creditizia e deflazione
già visti); così come di morosità molto incrementata e atipica nei prestiti (con gli effetti già commentati
che tutto ciò ha sulla solvibilità delle banche). Tutto questo porta al fatto che, nello stesso modo in cui
si espanse l’offerta monetaria attraverso il moltiplicatore bancario, l’espansione economica artificiale
prodotta dalla creazione dal nulla di crediti dia luogo in ultima istanza a una contrazione endogena
inevitabile che, sotto forma di restituzione generalizzata di prestiti e di incremento di morosità, fa sì che
l’offerta monetaria tenda apprezzabilmente a diminuire. Pertanto, il sistema bancario con riserva
frazionaria genera un’offerta monetaria enormemente elastica che con la stessa facilità con cui si
«tende», poi si vede costretta a «restringersi», con i conseguenti effetti sull’attività economica, che in
maniera ricorrente si trova strattonata per fasi successive di boom e recessione. Questa attività
economica «maniaco-depressiva», con tutti i profondi e dolorosi costi sociali che comporta, è, senza
42
È curioso osservare come nelle differenti crisi bancarie i banchieri colpiti protestano sempre sostenendo che possono
continuare a funzionare senza alcun problema e ristabilire rapidamente la loro «solvibilità», non appena qualcuno (lo Stato o
la banca centrale) li aiuti a recuperare la fiducia dei propri clienti.
63
dubbio, il più grave e pregiudizievole effetto che sulla società ha l’attuale sistema bancario che si è
costituito, violando i principi universali del diritto, sulla base di un coefficiente di riserva frazionaria.
Insomma, le difficoltà economiche dei clienti delle banche che, come vedremo, sono una delle
conseguenze inesorabili che produce in ultima istanza tutta l’espansione creditizia, fanno sì che un
importante volume dei crediti concessi risulti inesigibile, il che aggrava e affonda ancor di più il
processo di contrazione creditizia (l’inverso di quello di espansione) che stiamo commentando in
questo paragrafo. Di fatto, si può arrivare perfino, come già abbiamo visto nel nostro esempio
contabile, al fallimento totale della propria banca, nel cui caso i biglietti che la stessa aveva emesso, o i
depositi che aveva generato (e già sappiamo che gli uni e gli altri, dal punto di vista economico, hanno
identica natura) perderebbero integralmente il loro valore, e con questo la contrazione monetaria
sarebbe ancora più grave (invece dei nove milioni di u.m. di cui diminuirebbe l’offerta monetaria nel
caso del prestito restituito, l’offerta monetaria diminuirebbe integralmente per dieci milioni di u.m.,
ossia, includendo il milione di depositi primari che era rimasto nella banca). Inoltre, basta che qualche
banca abbia problemi di solvibilità perché, con gran facilità, il timore si estenda tra la clientela del resto
delle banche, così da produrre un effetto a catena di sospensioni di pagamento e di tragiche
conseguenze economiche e finanziarie.
È necessario comunque segnalare che, anche se si mantiene la fiducia nelle banche (nonostante la loro
situazione di insolvenza) o, benché una banca centrale creata ad hoc per far fronte a queste situazioni
conceda senza limite la liquidità necessaria perché tutti i depositanti considerino i propri depositi
perfettamente assicurati, la morosità o l’impossibilità di riscuotere i prestiti dà inizio a un processo di
contrazione creditizia che, in modo spontaneo, si mette in moto quando questi sono restituiti e non
possono essere sostituiti allo stesso ritmo da altri prestiti. Questo fenomeno, che è tipico delle fasi di
recessione, si caratterizza perché la morosità fa sì che, da un lato, le banche siano più caute al momento
di concedere prestiti, per cui l’effetto della naturale inappetenza per chiedere prestiti al pubblico
demoralizzato si rafforza con la maggior prudenza e severità delle banche al momento di concederli.
Inoltre, come le banche vedono diminuita la loro redditività e il valore delle loro attività, in
conseguenza dei crediti inesigibili, si adopereranno per essere più prudenti e incrementare, a parità di
circostanze, i loro saldi i tesoreria, aumentando il corrispondente coefficiente di cassa, il quale avrà un
effetto restrittivo ancor maggiore. Infine, i fallimenti imprenditoriali e la frustrazione derivata
dall’impossibilità di adempiere agli impegni assunti in relazione alle banche incrementerà ancor di più
la demoralizzazione degli agenti economici e la loro determinazione a non intraprendere nuovi progetti
di investimenti finanziati per mezzo di crediti bancari. Di più, molte imprese finiscono per rendersi
conto che si lasciarono trasportare da un ottimismo ingiustificato nelle fasi di espansione, in gran parte
per colpa delle eccessive facilitazioni creditizie che inizialmente concessero loro i banchieri, e
imputano ora con ragione a tali facilitazioni l’essere stati indotti all’errore in molti progetti di
investimento che non erano fattibili43, per cui fanno propositi di ammenda per non incorrere negli stessi
errori in futuro (che tale proposito di ammenda sia o meno duraturo e che gli imprenditori possano, in
ultima istanza, tener conto delle esperienze negative della fase recessiva, è un problema distinto che
analizzeremo in altro luogo).
43
Questo grave pregiudizio provocato dai banchieri a quella parte dei loro clienti che vengono incitati a «beneficiare» dei
prestiti di nuova concessione e a mettersi in affari che esigono finanziamento bancario, dovrebbe in teoria poter essere
discusso in processi giudiziari nei quali si domandasse alle banche il corrispondente indennizzo per i danni e i pregiudizi in
tal modo provocati ai loro mutuatari. Il fatto che fino ad ora queste domande non siano state poste si deve al fatto che la
teoria economica non permetteva di identificare chiaramente l’origine e la natura del danno causato. Tuttavia, oggi il
progresso teorico consente già la sua utilizzazione pratica nei tribunali, in forma del tutto simile e analoga all’utilizzazione,
per esempio, dei progressi della biología per facilitare dichiarazioni giudiziarie di paternità che pochi anni fa non erano
possibili.
64
In ogni caso, abbiamo visto che, con la stessa facilità con cui espande il credito e l’offerta monetaria, il
sistema bancario basato su una riserva frazionaria può contrarsi e ridurre in un volume molto
importante l’offerta monetaria. Cioè, genera un sistema elastico ed enormemente fragile, assoggettato
alla possibilità di grandi sbandate, che è molto difficile, se non impossibile, attutire o eliminare. Questo
sistema monetario e bancario contrasta con sistemi monetari rigidi (per esempio, quello del gold-
standard classico con un sistema bancario con coefficiente di cassa del 100 per cento), che non
permettono espansoni sproporzionate dell’offerta monetaria (la produzione mondiale di oro è andata
crescendo negli ultimi secoli da un 1 a un 2 per cento l’anno), e possiedono inoltre il vantaggio che, per
essere rigidi (l’oro è indistruttibile e lo stock mondiale storicamente acumulato dallo stesso è molto
rigido), non permettono nessuna diminuzione brusca né, pertanto, contrazioni creditizie né monetarie
che colpiscano pregiudizialmente l’economia, in contrasto con ciò che accade oggigiorno per colpa del
vigente sistema bancario44.
44
Nell’ultimo capitolo di questo libro analizzeremo in dettaglio i vantaggi comparativi del tallone aureo classico basato su
un sistema bancario sottoposto al diritto, cioè, con un coefficiente di cassa del 100 per cento.
65
occasioni, hanno ricevuto ricorsi provenienti da veri depositi (travestiti da assicurazioni sulla vita) che
hanno poi preteso di investire a lungo termine, a pregiudizio della loro solvibilità; e per ultimo, le
autorità pubbliche di controllo, che hanno visto come l’istituzione dell’assicurazione sulla vita
scappava loro dalle mani, diventando molto vaga e venendo in grande misura inglobata da un’altra
(quella bancaria) che le era estranea, e il cui fondamento giuridico ed economico, come abbiamo visto,
lascia molto a desiderare.
CAPITOLO 5
Nel capitolo precedente abbiamo spiegato come il contratto bancario di deposito di moneta con
riserva frazionaria dia luogo alla creazione di nuova moneta (depositi) e alla sua iniezione nel
sistema economico sotto forma di concessioni di nuovi crediti che non si trovano coperti da un
aumento naturale di risparmio volontario. In questo capitolo studieremo gli effetti che sul sistema
economico ha la concessione da parte della banca di nuovi crediti (espansione creditizia) senza
copertura di risparmio volontario. Analizzeremo le distorsioni che il processo espansivo genera,
sotto forma di errori di investimento, contrazioni creditizie, crisi bancarie, e, in ultima istanza,
disoccupazione e recessioni economiche. L’analisi di questi effetti esige di portare a termine, in
modo preventivo, uno studio dettagliato della teoria del capitale e della struttura produttiva in
un’economia reale, la cui corretta comprensione è imprescindibile per comprendere i processi
spontanei che si scatenano sul mercato come reazione alla concessione bancaria di crediti che non
originino da un aumento precedente di risparmio volontario. La nostra analisi metterà ugualmente in
evidenza come la figura giuridica che stiamo studiando (il contratto di deposito bancario di moneta
con riserva frazionaria) causi gravi pregiudizi a un grande numero di agenti economici (e, in
generale, a tutta la società), nella misura in cui è la principale responsabile dell’apparizione
ricorrente delle recessioni economiche. Inoltre, mostreremo come l’espansione creditizia,
provocando le crisi bancarie ed economiche, renda inapplicabile per la banca «la legge dei grandi
numeri» e, pertanto, l’assicurazione tecnica delle sue operazioni, la qualcosa ha una grande
importanza nello spiegare l’inevitabile nascita della banca centrale come prestatore di ultima
istanza, la cui analisi dettagliata sarà oggetto di studio in un capitolo seguente. Cominceremo
spiegando i processi che sorgono spontaneamente nel sistema economico quando la nuova
concessone di crediti ha la propria origine in un incremento volontario di risparmio reale della
società, per poi, per contrasto e paragone, comprendere che cosa succeda quando i crediti sono
creati dal nulla dalla banca attraverso un processo di espansione creditizia.
1
PRINCIPI ESSENZIALI DELLE TEORIA DEL CAPITALE
1
Nel presente paragrafo stabiliremo i principi essenziali della teoria del capitale che sono necessari
per comprendere gli effetti che l’espansione creditizia ha sul sistema economico1. Cominceremo
studiando la concezione soggettivista dell’azione umana intesa come un insieme di stadi produttivi
diretti al conseguimento di un fine.
In principio, si può definire l’azione umana2 come ogni comportamento o condotta deliberati.
L’uomo, agendo, pretende di conseguire determinati fini che avrà scoperto essere importanti per lui.
Si definisce valore l’apprezzamento soggettivo, psichicamente più o meno intenso, che l’attore dà al
suo fine. Mezzo è tutto ciò che l’attore soggettivamente considera adeguato per conseguire un fine.
Chiamiamo utilità l’apprezzamento soggettivo che l’attore dà al mezzo in funzione del valore del
fine che egli pensa che quel mezzo gli permetterà di ottenere. I mezzi, per definizione, devono
essere scarsi, posto che se non fossero considerati scarsi dall’attore rispetto ai fini che pretende di
conseguire, non sarebbero neppure tenuti in considerazione al momento di agire. Fini e mezzi non
sono «dati», ma, al contrario, sono il risultato dell’essenziale attività imprenditoriale dell’essere
umano, che consiste precisamente nel creare, scoprire, o, semplicemente, rendersi conto di quali
siano i fini e i mezzi rilevanti per l’attore in ogni circostanza della sua vita. Una volta che l’attore
crede di aver scoperto quali siano i fini che vale la pena perseguire, si fa un’idea dei mezzi che
crede si trovino alla sua portata per ottenerli, e incorpora gli uni e gli altri, quasi sempre in forma
tacita, in un piano di attuazione, che decide di intraprendere e mettere in pratica come risultato di un
atto di volontà.
Il piano è, pertanto, la rappresentazione mentale di carattere prospettico che l’attore si fa sulle
distinte fasi, elementi e possibili circostanze che possano essere messe in relazione con la sua
azione. Il piano è una disposizione personale dell’informazione pratica che possiede e va scoprendo
l’attore entro il contesto di ogni azione. Inoltre, si può affermare che ogni azione implica, man
mano che si va generando nuova informazione da parte dell’attore, un processo continuo di
pianificazione individuale o personale nel quale l’attore sta continuamente concependo,
1
La teoria del capitale che esporremo è la chiave per comprendere in che maniera l’espansione creditizia della banca distorca la
struttura produttiva reale dell’economia. Di fatto, i critici della teoria austriaca o del credito circolante del ciclo economico che
presentiamo in questo capitolo generalmente sbagliano, perché non tengono conto della teoria del capitale. Questo è il caso, per
esempio, di Hans-Michael Trautwein e delle sue due opere: «Money, Equilibrium, and the Business Cycle: Hayek’s Wicksellian
Dichotomy », History of Political Economy, vol. 28, n.º 1, primavera del 1996, pp. 27-55, e «Hayek’s Double Failure in Business
Cycle Theory: A Note», cap. 4 di Money and Business Cycles: The Economics of F.A. Hayek, M. Colonna e H. Hagemann (eds.),
Edward Elgar, Aldershot 1994, vol. I, pp. 74-81.
2
Sui concetti di azione umana, piano di attuazione, la concezione soggettiva del tempo, e l’azione intesa come un insieme di stadi
successivi, si può consultare Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 43 e ss.
2
revisionando e modificando i suoi piani via via che scopre e crea nuova informazione soggettiva in
merito ai fini che si propone e ai mezzi che crede si trovino alla sua portata per conseguirli3.
Ogni azione umana viene diretta verso l’ottenimento di un fine, o bene di consumo, che possiamo
definire come quello che soggettivamente soddisfa in maniera diretta le necessità dell’essere umano
attore. Tradizionalmente vengono definiti beni economici di prim’ordine quei beni di consumo che
costituiscono, nel contesto soggettivo e specifico di ogni azione, il fine che l’attore cerca di ottenere
con l’azione stessa4. Per conseguire questi fini, beni di consumo o beni economici di prim‘ordine, è
necessario essere passati preventivamente da una serie di stadi intermedi, che possiamo chiamare
«beni economici di ordine superiore» (secondo, terzo, quarto e così via), essendo l’ordine di ogni
stadio più elevato, quanto più lontana si trova la stessa dal bene finale di consumo.
Inoltre, l’azione umana si sviluppa sempre nel tempo, ma un tempo non inteso in un senso
determinista o newtoniano, cioè meramente fisico o analogico, ma secondo una concezione
soggettiva, ossia, tale e quale il tempo è soggettivamente sentito e sperimentato dall’attore entro il
contesto della propria azione. Secondo questa concezione soggettivista del tempo, l’attore sente e
sperimenta il suo trascorso esattamente man mano che agisce, cioè, man mano che si rende conto di
nuovi fini e mezzi, progettando piani di attuazione e culminando le distinte fasi che costituiscono
ogni azione.
Nella mente di tutti gli esseri umani si produce, quando agiscono, una specie di fusione tra le
esperienze del passato raccolte nella propria memoria e la sua proiezione simultanea e creativa
verso il futuro sotto forma di immagini e aspettative che si riferiscono alle distinte fasi che
costituiscono il processo d’azione che si svilupperà in futuro. Un futuro che non si trova mai
determinato a priori, ma si va immaginando, creando e facendo passo dopo passo dall’attore.
3
Lo sviluppo di una Scienza Economica sempre basata sull’essere umano inteso come attore creativo e protagonista di tutti i processi
ed eventi sociali (concezione soggettivista) è, senza dubbio alcuno, l’apporto più importante e caratteristica della Scuola Austriaca di
Economia, che ebbe la sua origine con Carl Menger. In effetti, Menger considerò imprescindibile abbandonare lo sterile oggettivismo
della scuola classica anglosassone ossessionata dalla supposta esistenza de enti esterni di carattere oggettivo (classi sociali, aggregati,
fattori materiali di produzione, etc.), dovendo invece l’elemento scientifico dell’economia situarsi, al contrario, sempre nella
prospettiva soggettivista dell’essere umano che attua, in modo che detta prospettiva influisca inevitabilmente e in maniera
determinante, sul modo di elaborare tutte le teorie economiche, sul loro contenuto scientifico e sulle sue conclusioni e risultati pratici.
Si veda in tal senso Jesús Huerta de Soto, «Génesis, esencia y evolución de la Escuela Austriaca de Economía», in Estudios de
economía política, op. cit., cap. I, pp. 17-55.
4
Questa classificazione e questa terminologia hanno la loro origine in Carl Menger, la cui «teoria sui beni economici di distinto
ordine» non è che una delle più importanti conseguenze logiche della sua concezione soggettivista dell’economia. Carl Menger,
Grundsätze der Volkswirthschaftslehre, ed. Wilhelm Braumüller, Vienna 1871. Esiste una traduzione in spagnolo di Marciano
Villanueva, pubblicata da Unión Editorial (1983) con il titolo di Principios de economía política; 2.ª ed., con un’importante
Presentazione di Karl Milford, Unión Editorial, Madrid 1998. Si vedano specialmente le pp. 108-11 di questa 2.ª edizione. Esiste,
inoltre, una traduzione in italiano di Giampiero Franco, UTET (1976) con il titolo di Principi di economia politica. L’espressione che
utilizza Menger per riferirsi ai beni di consumo o di primo ordine è quella di «Güter der ersten Ordnung» (p. 8 dell’edizione originale
tedesca).
3
Perciò, il futuro è sempre incerto, nel senso che ancora non è stato scritto, e l’attore ha di esso solo
certe idee, immagini o aspettative che spera di far diventare realtà mediante la culminazione delle
fasi che ha immaginato costituiscano il suo processo personale di azione. Inoltre, il futuro è aperto a
tutte le possibilità creative dell’uomo, e l’attore può continuamente modificare tanto i fini che
persegue, quanto variare, riordinare e revisionare le fasi dei processi d’azione nei quali si vede
implicato.
Il tempo è, pertanto, una categoria della Scienza Economica inseparabile dal concetto di azione
umana. Non è possibile concepire un’azione che non si effettui nel tempo, che non duri nel tempo.
Nello stesso modo, l’attore sente esattamente il trascorrere del tempo man mano che attua e culmina
le distinte fasi del suo processo d’azione. L’azione umana, che pretende sempre di conseguire od
ottenere un obiettivo o eliminare un malessere, ineludibilmente, dura nel tempo, nel senso che esige
la realizzazione e la culminazione di una serie di fasi successive. Pertanto, si può concludere che ciò
che separa l’attore dal conseguimento dei propri fini è un periodo di tempo inteso come la serie
successiva di fasi che costituiscono il suo processo d’azione5.
Dal punto di vista prospettico e soggettivo dell’attore, si può affermare che esiste sempre una
tendenza al fatto che all’aumentare del periodo di tempo che comporta un’azione (cioè il numero e
le fasi successive che la costituiscono), il risultato dell’azione o del fine a cui si protende con la
stessa acquisisce un maggior valore. Questo maggior valore soggettivo delle azioni, man mano che
le stesse incorporano una serie sempre più numerosa e complessa6 di fasi che implicano un periodo
di tempo più prolungato, si può conseguire in due modi: o rendendo possibile che l’attore ottenga
risultati che per lui hanno un valore soggettivamente più alto e che non potranno essere perseguiti
con azioni umane di durata più breve; o permettendo di ottenere una quantità di risultati più
numerosa di quella che potrebbe ottenere con processi d’azione temporalmente più brevi. La
dimostrazione logica di questa legge economica, secondo la quale i processi d’azione umana
tendono a ottenere fini di maggior valore man mano che la loro durata temporale aumenta, è facile
da comprendere. In effetti, se non fosse così, cioè se non avessero maggior valore i risultati delle
azioni che durano più tempo, queste non verrebbero intraprese in forma alcuna dall’attore. Cioè,
quello che separa l’attore dal fine che pretende di ottenere è esattamente una determinata durata di
5
Sulla concezione soggettiva, sperimentale e dinamica del tempo, come unica applicabile all’azione umana nella Scienza
Economica, si deve consultare il cap. IV dell’opera di Gerald P. O’Driscoll e Mario J. Rizzo, The Economics of Time and Ignorance,
Basil Blackwell, Oxford 1985, pp. 52-70. Esiste una traduzione italiana di Emma Galli dal titolo L’economia del tempo e
dell’ignoranza, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz), 2002, pp. 133-159.
6
Come bene ha stabilito Ludwig M. Lachmann, lo sviluppo economico implica non solo un incremento del numero di stadi
produttivi, ma anche un aumento nella complessità di ognuna di essi, pertanto, un cambiamento nella loro composizione. Ludwig M.
Lachmann, Capital and its Structure, Sheed, Andrews & McMeel, Kansas City 1978, p. 83. Si veda, inoltre, Peter Lewin, «Capital in
Disequilibrium: A Reexamination of the Capital Theory of Ludwig M. Lachmann», History of Political Economy, vol. 29, nº 3,
autunno del 1997, pp. 523-548; e Roger W. Garrison, Time and Money: The Macroeconomics of Capital Structure, Routledge,
Londra e New York 2001, pp. 25-26.
4
tempo (inteso come l’insieme di fasi nel suo processo d’azione), per cui è evidente che l’essere
umano, a parità di circostanze, pretenderà sempre di ottenere i suoi fini quanto prima, e sarà
disposto a posporre nel tempo il conseguimento degli stessi, soltanto se considera soggettivamente
che con ciò riuscirà a conseguire fini di maggior valore7.
Quasi senza rendercene conto, ci siamo addentrati nel paragrafo antecedente alla categoria logica
della preferenza temporale, che stabilisce che, ceteris paribus, l’attore preferisce soddisfare le sue
necessità o raggiungere i suoi obiettivi quanto prima. O, espresso in altro modo, che tra due
obiettivi di identico valore dal punto di vista soggettivo dell’attore, questi preferirà sempre
quell’obiettivo che si trovi più prossimamente disponibile nel tempo. O, ancor più brevemente, che,
a parità di circostanze, i «beni presenti» si preferiscono sempre ai «beni futuri». Questa legge della
preferenza temporale non è che un altro modo di esprimere il principio essenziale secondo il quale
ogni attore, nel processo riguardante la sua azione, cerca di perseguire i fini della stessa quanto
prima, separando dai suoi fini una serie di fasi intermedie che implicano un periodo determinato di
tempo. La preferenza temporale non è, pertanto, una categoria psicologica o fisiologica, ma
un’esigenza della struttura logica dell’azione che si trova inserita nella mente di ogni essere umano.
Cioè, l’azione umana è orientata a determinati obiettivi e seleziona i mezzi per ottenerli. L’obiettivo
è quello che si cerca di ottenere o la meta di ogni azione. E nell’azione ciò che ci separa dalla meta
è il tempo, di modo che quanto più vicino a questa meta temporalmente si trova l’attore, più vicini
saranno da raggiungere gli obiettivi che per lui hanno valore. La legge tendenziale espressa sopra,
seguendo la quale si intraprendono azioni più durature da parte degli attori, poiché attraverso esse
stesse gli attori sperano di conseguire obiettivi di maggior valore, e la legge di preferenza temporale
che abbiamo appena enunciato, secondo la quale, a parità di circostanze, si preferiscono sempre i
beni più prossimi nel tempo, non sono che due modi distinti di esprimere una medesima realtà8.
Pertanto, non è possibile concepire azione umana senza considerare il principio della preferenza
temporale. Un mondo senza preferenza temporale sarebbe assurdo e inconcepibile: implicherebbe la
7
Come bene espresso da José Castañeda: «Quanti più mezzi ausiliari si introducono nel processo di produzione, più lungo si fa
questo e, in generale, si ritiene che risulti più produttivo. È chiaro che possono esistere processi più indiretti, ossia, più lunghi o con
maggior circolazione, che non siano più produttivi, ma questi non si prendono in considerazione, perché non vengono applicati, e
l’introduzione di un processo di maggior durata si effettua solo quando eleva il rendimento». José Castañeda Chornet, Lecciones de
teoría económica, Editorial Aguilar, Madrid 1972, p. 385.
8
La legge della preferenza temporale può essere fatta risalire fino a San Tommaso d’Aquino, e già fu espressamente enunciata nel
1285 da uno dei suoi più brillanti discepoli, Giles Lessines, per il quale «res futurae per tempora non sunt tantae existimationis, sicut
eadem collectae in instanti nec tantam utilitatem inferunt possidentibus, propter quod oportet quod sint minoris existimationis
secundum iustitiam», cioè, che «i beni futuri non si valutano tanto altamente come gli stessi beni disponibili in un momento
immediato del tempo, né permettono di raggiungere la stessa utilità ai loro proprietari, per cui si deve ritenere che abbiano un valore
più ridotto in accordo con la giustizia» (Aegidius Lessines, De usuris in communi et de usurarum contractibus, opusculum LXVI,
1285, p. 426; citato da Bernard W. Dempsey, Interest and Usury, American Council of Public Affairs, Washington D.C. 1943, nota
31 della p. 214). Questa idea fu successivamente raccolta da San Bernardino da Siena, Conrad Summenhart e Martín Azpilcueta nel
1431, 1499 e 1556, rispettivamente (si veda Murray N. Rothbard, An Austrian Perspective on the History of Economic Thought, vol.
I, Economic Thought before Adam Smith, op. cit., pp. 85, 92, 106-107 e 399-400; edizione spagnola del 1999, op. cit.). Dopo
svilupparono le loro implicazioni nell’ambito della teoria economica Turgot, Rae, Böhm-Bawerk, Jevons, Wicksell, Fisher e,
soprattutto, Frank Albert Fetter e Ludwig von Mises.
5
preferenza del futuro al presente, rimandando gli obiettivi giusto prima di perseguirli, con il che non
si conseguirà mai alcun fine e l’azione umana sarebbe priva di senso9.
Possiamo definire beni di capitale gli stadi intermedi di ogni processo di azione, soggettivamente
considerati come tali dall’attore. O, se si preferisce, bene di capitale sarà ognuno degli stadi
intermedi, soggettivamente considerato come tale, nei quali si plasma o si materializza ogni
processo produttivo intrapreso dall’attore. La nostra definizione di beni di capitale si trova, pertanto,
pienamente incastonata entro la concezione soggettivistica dell’economia che abbiamo presentato
sopra. Ciò che dota di natura economica un bene di capitale non è la sua entità fisica, ma il fatto che
alcuni attori considerino che all’interno del loro processo d’azione questo viene utile per
raggiungere o culminare uno stadio dello stesso. Pertanto, i beni di capitale, tali e quali li abbiamo
definiti, non sono che gli stadi intermedi per i quali l’attore crede che sia necessario che il tempo
passi prima di conseguire il fine della propria azione. I beni di capitale debbono sempre essere
concepiti in un contesto teleologico, nel quale il fine perseguito e la prospettiva soggettiva
dell’attore in relazione con gli stadi necessari per conseguirlo sono i suoi elementi essenziali
definitori10.
I beni di capitale sono, pertanto, i «beni economici di ordine superiore», o fattori di produzione che
si incarnano soggettivamente in ognuno degli stadi intermedi di un processo concreto d’azione.
Inoltre, i beni di capitale appaiono come la congiunzione accumulata di tre elementi essenziali:
risorse naturali, lavoro e tempo, tutti questi combinati lungo un processo d’azione imprenditoriale
creato e intrapreso dall’essere umano11.
9
In un mondo senza preferenza temporale non si consumerebbe mai, ma tutto si risparmierebbe e, pertanto, l’essere umano
morirebbe di inanità e la civiltà sparirebbe. Le «eccezioni» che si sono volute opporre alla legge della preferenza temporale sono
soltanto apparenti e, in tutti i casi, nascono dal non considerare il condizionante di ceteris paribus che è inseparabile della stessa. Di
modo che basta soltanto un dettagliato esame del supposto «contro-esempio» in questione, per rendersi immediatamente conto che
non esiste assoluta eguaglianza di circostanze nei casi proposti come confutazioni della preferenza temporale. Così succede, per
esempio, in relazione ai beni che non possono essere simultaneamente sfruttati, o con quelli nei quali, anche esistendo un’apparente
identità in quanto alla propria presenza fisica, non sono uguali dal punto di vista soggettivo dell’attore (come è il caso del gelato che
si preferisce consumare in estate, invece di consumarlo in un prossimo inverno). Sulla teoria della preferenza temporale si deve
consultare Ludwig von Mises, La acción humana: tratado de economía, op. cit., 7.ª edición, pp. 578-585, in italiano L’azione
umana: trattato di economia, op. cit. pp. 462-467.
10
«The principal point to be emphasized is that capital goods, thus defined, are distinguished in that they fall neatly into place in a
teleological framework. They are the interim goals aimed at in earlier plans; they are the means toward the attainment of still further
ends envisaged by the earlier plans. It is here maintained that the perception of this aspect of tangible things now available provides
the key to the unravelling of the problems generally attempted to be elucidated by capital theory». Israel M. Kirzner, An Essay on
Capital, Augustus M. Kelley, New York 1966, p. 38; riprodotto da Israel M. Kirzner, Essays on Capital and Interest: An Austrian
Perspective, Edward Elgar, Aldershot, Inghilterra, 1996, pp. 13-122.
11
Questo spiega perché tradizionalmente si sia affermato che sono tre i fattori della produzione: le risorse della natura, il fattore
lavoro, e i beni capitali o beni economici di ordine superiore. Questi fattori o risorse sono imprenditorialmente creati e combinati
dall’attore in ogni processo d’azione o di produzione che, via via che culmina, dà luogo nel mercato a quattro tipologie distinte di
entrate: i profitti imprenditoriali puri, risultato della creatività e della perspicacia imprenditoriale dell’attore; i redditi delle risorse
6
La condicio sine qua non per produrre beni di capitale è il risparmio, inteso come la rinuncia al
consumo immediato. In effetti, l’attore potrà raggiungere successivi stadi intermedi di un processo
d’azione sempre più lontane nel tempo soltanto se, preventivamente, ha rinunciato a intraprendere
azioni con un risultato temporale più vicino, ossia se ha rinunciato al conseguimento di fini che
soddisfino immediatamente necessità umane e che temporalmente siano immediate (consumo). Al
fine di illustrare questo aspetto fondamentale, spiegheremo in primo luogo, seguendo Böhm-
Bawerk, il processo di risparmio e investimento in beni di capitali che effettua isolatamente un
attore individuale, per esempio Robinson Crusoe nella sua isola12.
Supponiamo che Robinson Crusoe sia appena arrivato sull’isola e che, come unico mezzo di
sussistenza, si dedichi alla raccolta delle more, che raccoglie dagli alberi direttamente a mano.
Dedicando tutti i suoi sforzi giornalieri alla raccolta delle more, raccoglie frutti in quantità tale da
poter sopravvivere e persino prenderne qualcuna in più di quelle strettamente necessarie per
sopravvivere ogni giorno. Dopo varie settimane a questo regime, Robinson Crusoe scopre
imprenditorialmente che se si facesse una pertica di legno lunga vari metri potrebbe arrivare più in
alto e più lontano, colpire gli alberi con forza e ottenere un raccolto di more di cui ha bisogno con
molta più rapidità. L’unico problema è che calcola che nel cercare l’albero da cui possa ottenere la
pertica e in seguito prepararla, levandole i rami, le foglie e le imperfezioni, può impiegare cinque
giorni completi, durante i quali dovrà forzatamente interrompere la raccolta delle more. È
necessario, quindi, se vuole procedere a elaborare la pertica, che per un certo numero di giorni
riduca un po’ il suo consumo di more, lasciando da parte il rimanente in una cesta, fino a che
disponga di una quantità sufficiente per permettergli di sopravvivere durante i cinque giorni che
prevede duri il processo di produzione della pertica di legno. Dopo aver pianificato la sua azione,
Robinson Crusoe decide di intraprenderla, per cui, in via preventiva, deve, pertanto, risparmiare
una parte delle more che raccoglie a mano ogni giorno, riducendo in tal modo l’importo del suo
consumo. È chiaro che questo presuppone un sacrificio ineludibile per Robinson Crusoe, che però
pensa che lo stesso lo ricompensi in abbondanza in relazione all’agognata meta che intende
della natura, in funzione della capacità produttiva delle stesse; i redditi del fattore lavoro o dei salari; e, infine, il reddito guadagnato
dai servizi dei beni di capitale. Benché tutti i beni di capitale siano, in ultima istanza, combinazioni di risorse della natura e del
lavoro, incorporano, anche, il necessario ingegno imprenditoriale per concepirli e generarli e il fattore tempo necessario per portarli a
compimento. Infine, è necessario segnalare che, dal punto di vista economico, non è possibile distinguere tra i beni di capitale e le
risorse della natura prestando attenzione esclusivamente alla loro distinta materializzazione fisica. Solamente un criterio strettamente
economico, com’è quello della permanenza inalterata del bene volta al conseguimento dei fini senza necessità di esigere nessun tipo
di attuazione successiva da parte dell’attore, permette di distinguere perfettamente dal punto di vista economico il fattore terra (o
risorsa della natura) che sempre beneficia della qualità di permanenza, dai beni capitali che, in senso stretto, non sono permanenti, ma
si consumano o vanno persi lungo il processo produttivo, per cui è necessario far fronte al loro processo di deprezzamento. Perciò,
Hayek ha affermato che, nonostante le apparenze, «permanent improvements in land is land». F.A. Hayek, The Pure Theory of
Capital (1941), Routledge & Kegan Paul, Londra 1976, p. 57. Cfr. inoltre quello che è indicato nella p. 238 e nella n. 30.
12
Questo è l’esempio classico di Eugen von Böhm-Bawerk, Kapital und Kapitalzins: Positive Theorie des Kapitales, Verlag der
Wagner’schen Universitäts-Buchhandlung, Innsbruck 1889, pp. 107-135. Questo secondo volume dell’opera di Böhm-Bawerk è stato
pubblicato in spagnolo da Edizioni Aosta nel 1998, e in italiano da UTET nel 1957. In inglese si trova tradotto da Hans F. Sennholz
con il titolo di Capital and Interest: Positive Theory of Capital, Libertarian Press, South Holland, Illinois, 1959, pp. 102-118.
7
conquistare. E così per alcune settimane decide di ridurre il suo consumo (cioè, risparmiare)
accumulando more nella cesta fino a ottenerne un numero che calcola essere sufficiente per farlo
sopravvivere mentre fabbrica la pertica.
Con questo esempio si illustra come ogni processo di investimento in beni di capitale esiga in via
preventiva il risparmio, cioè, la riduzione del consumo sotto il livello potenziale, per portare a
termine il processo13. Quando Robinson Crusoe detiene già sufficienti more risparmiate, allora, per
cinque giorni, si dedica a cercare il ramo da cui estrarrà la pertica di legno, a sradicarla e a
perfezionarla. Come si alimenta durante i cinque giorni che dura il processo produttivo di
elaborazione della pertica, e che per forza lo mantiene lontano dalla raccolta giornaliera di more?
Semplicemente, con le more che aveva accumulato nel cesto durante le settimane precedenti nei
quali risparmiò, sentendo un po’ di più la fame, la parte necessaria della sua produzione a mano di
more. In questo modo, e se i calcoli di Robinson Crusoe sono stati corretti, trascorsi i cinque giorni
avrà a sua disposizione la pertica (bene di capitale) che non è se non uno stadio intermedio che
temporalmente è più lontano (cinque giorni di risparmio) dai processi di produzione immediata di
more che fino ad allora era venuto intraprendendo Robinson Crusoe. Una volta che la pertica è
terminata, Robinson Crusoe può raggiungere luoghi che con le mani erano inaccessibili e colpire
fortemente gli alberi, moltiplicando in questo modo per dieci la produzione di more, con cui, a
partire da allora e grazie alla sua pertica, nella decima parte di un giorno raccoglie le more
necessarie per mantenersi, potendo dedicare il resto del tempo all’ozio o al conseguimento di fini
ulteriori che per lui hanno molto più valore (come costruirsi una capanna o pensare di cacciare gli
animali per variare la sua alimentazione e vestirsi).
È chiaro che il processo di produzione di questo esempio di Robinson Crusoe, come qualsiasi altro,
è il risultato di un atto imprenditoriale per cui l’attore si rende conto che riesce a guadagnare, cioè,
che ottiene fini per lui di maggior valore, intraprendendo processi d’azione che esigono un periodo
di tempo più lungo (che incorporano un numero superiore di stadi). I processi d’azione o di
produzione si traducono, quindi, in beni di capitale, che non sono altro che beni economici
intermedi in un processo d’azione il cui fine ancora non è stato raggiunto. L’attore è soltanto
disposto a sacrificare il proprio consumo immediato (cioè, a risparmiare) se pensa che con ciò
conseguirà fini di valore superiore (in questo caso, una produzione dieci volte superiore di more
13
Si deve intendere che ogni risparmio si materializza sempre in beni di capitale, anche se all’inizio questi sono soltanto costituiti
dai beni di consumo (nel nostro esempio le «more») che rimangono senza essere vendute (o consumate). Posteriormente e in maniera
graduale, alcuni beni di capitale (le more) sono sostituiti da altri (la pertica di legno), via via che i lavoratori (Robinson Crusoe)
mescolano il loro lavoro con le risorse naturali attraverso un processo che richiede tempo e che gli esseri umani possono superare
grazie al sostegno fornito dai beni di consumo invenduti (le more risparmiate). Perciò il risparmio si materializza prima in un bene di
capitale (i beni di consumo invenduti che permangono in stock) che gradualmente si consuma ed è sostituito da un altro bene di
capitale (la pertica di legno). Si veda, specialmente, Richard von Strigl, Capital and Production, Mises Institute, Auburn, Alabama,
2000, pp. 27 e 62.
8
rispetto a quella conseguita raccogliendole a mano). Inoltre, Robinson Crusoe deve cercare di
coordinare nella miglior maniera possibile il suo comportamento in relazione al suo prevedibile
comportamento futuro. Così, in concreto, deve evitare di intraprendere processi d’azione
eccessivamente lunghi in relazione al risparmio che ha intrapreso, poiché sarebbe tragico che a metà
del cammino di un processo di elaborazione di un bene di capitale si trovasse senza more (cioè,
consumasse quanto risparmiato) senza aver raggiunto il fine proposto. Parimenti deve evitare di
risparmiare eccessivamente in relazione alle necessità di investimento che avrà in seguito, posto che
con ciò sacrifica senza necessità il suo consumo immediato. È esattamente la stima soggettiva della
sua preferenza temporale ciò che permette a Robinson Crusoe di coordinare o aggiustare
adeguatamente il suo comportamento presente in relazione alle sue necessità e ai suoi
comportamenti futuri. Il fatto che la sua preferenza temporale non sia assoluta fa sì che egli possa
sacrificare parte del suo consumo presente per alcuni giorni con la speranza di rendere possibile con
ciò la produzione della pertica. Il fatto che la sua preferenza temporale non sia nulla, spiega perché
dedichi il proprio sforzo soltanto a un bene di capitale che può ottenere in un periodo limitato di
tempo e a costo di un sacrificio e di un risparmio realizzati in un numero non molto elevato di
giorni. Se la sua preferenza temporale fosse nulla, niente eviterebbe che Robinson Crusoe dedicasse
tutto il suo sforzo a costruirsi direttamente una capanna (il che, per esempio, richiederebbe come
minimo un mese), cosa che non potrebbe fare senza aver potuto risparmiare una gran quantità di
more, per cui, o morirà di inedia, o tale progetto, totalmente sproporzionato in rapporto al risparmio
che poteva realizzare, resterebbe subito interrotto e non potrebbe concludersi. In ogni caso, è
necessario rendersi conto che le risorse reali risparmiate (le more nella cesta) sono proprio quelle
che permettono a Robinson Crusoe di sostentarsi durante il periodo di tempo che egli dedica a
elaborare il bene di capitale, mantenendosi distante dalla raccolta diretta delle more. E benché non
vi sia dubbio alcuno che un Robinson Crusoe dotato della sua pertica di legno sia molto più
produttivo nel raccogliere le more, invece di coglierle con le sue mani nude, non c’è nemmeno
dubbio alcuno che il processo di produzione di more utilizzando la pertica è chiaramente più
prolungato dal punto di vista temporale (incorpora un numero superiore di stadi) rispetto al processo
produttivo che consiste nella raccolta a mano delle more. I processi produttivi tendono a farsi più
lunghi e duraturi (cioè a incorporare una complessità e un numero maggiore di stadi) come
conseguenza del risparmio e dell’attività imprenditoriale dell’essere umano, e più lunghi e duraturi
questi si fanno, più tendono a essere produttivi.
Pertanto, in un’economia moderna, nella quale esistono molteplici agenti economici che sviluppano
simultaneamente diverse funzioni, definiremo capitalista quell’agente economico la cui funzione
consiste esattamente nel risparmiare, cioè, nel consumare meno di ciò che crea e produce, mettendo
9
a disposizione dei lavoratori, finché dura il processo produttivo nel quale gli stessi intervengono, le
risorse di cui questi hanno bisogno per mantenersi (così come Robinson Crusoe fece come
capitalista risparmiando le more che gli permisero, poi, di mantenersi mentre produceva la sua
pertica di legno). Pertanto, il capitalista, risparmiando, libera risorse (beni di consumo) grazie alle
quali si possono mantenere quei lavoratori che si dedicano agli stadi produttivi più lontani dal
consumo finale, cioè, la produzione dei beni di capitale.
A differenza di quanto accadeva con Robinson Crusoe, la struttura dei processi produttivi di
un’economia moderna è complicatissima e, dal punto di vista temporale, enormemente prolungata.
È costituita da una moltitudine di stadi, tutti quanti interrelati tra loro e divisi in molteplici
sottoprocessi che si sviluppano negli innumerevoli progetti d’azione che sono continuamente
intrapresi dagli esseri umani.
Così, per esempio, il processo di produzione di un’automobile si può considerare costituito da
centinaia e perfino migliaia di stadi produttivi che esigono un periodo di tempo molto prolungato
(perfino di vari anni), dal momento in cui, per esempio, si inizia il progetto del veicolo (stadio
molto lontana dal consumo finale) passando per l’ordine ai fornitori dei corrispondenti materiali, le
differenti linee di montaggio, l’ordine dei diversi pezzi del motore e di tutti i suoi accessori, e così
via, fino a giungere agli stadi più vicini al consumo, come possono essere quelle del trasporto e
della distribuzione ai concessionari, lo sviluppo di campagne pubblicitarie e l’esposizione e la
vendita al pubblico. Così, anche se visitando una fabbrica vediamo uscire un veicolo terminato da
un minuto, non dobbiamo lasciarci ingannare pensando che il processo di produzione di ogni
macchina è di un minuto, ma dobbiamo essere coscienti che ogni automobile ha avuto bisogno di un
processo di produzione di vari anni, lungo una serie di molteplici stadi, da cui si concepì e si
progettò il modello fino al momento in cui la macchina si consegnò al suo orgoglioso proprietario
come bene di consumo. Dall’altro lato, nelle società moderne c’è una tendenza alla specializzazione
degli esseri umani in distinti stadi del processo produttivo. Ed esiste una crescente divisione del
lavoro (o, detto meglio, della conoscenza) tanto dal punto di vista orizzontale quanto da quello
verticale, che dà luogo a una costante divisione e suddivisione degli stadi del processo di
produzione man mano che la divisione della conoscenza si estende e si approfondisce. In ognuna di
questi stadi tendono a specializzarsi imprese e agenti economici concreti. E inoltre, il processo non
soltanto può analizzarsi diacronicamente, ma, sincronicamente, in ogni momento ognuna degli stadi
convive con quello restante e così, simultaneamente, esistono persone dedicate a progettare veicoli
(quelli che saranno disponibili per il pubblico entro dieci anni), altri contemporaneamente si
dedicano a ordinare ai fornitori i materiali, come altri ancora si dedicano a loro volta alla catena di
10
montaggio, e altri, infine, anch’essi simultaneamente, si dedicano, oramai molto vicino al consumo
finale, al campo commerciale stimolando la vendita dei veicoli già prodotti14.
È chiaro, pertanto, che, come la differenza tra il Robinson Crusoe «ricco» con la pertica e il
Robinson Crusoe «povero» senza di essa è radicata nel fatto che il primo disponeva di un bene di
capitale che aveva ottenuto grazie a un risparmio precedente, la differenza essenziale tra le società
ricche e le società povere non si radica nel fatto che le prime dedichino più sforzo al lavoro,
nemmeno nel fatto che dispongano di maggiori conoscenze dal punto di vista tecnologico, ma
fondamentalmente nel fatto che le nazioni ricche possiedono una maggior rete di beni di capitale
imprenditorialmente ben investiti, sotto forma di macchinari, attrezzature, computer, immobili,
prodotti semilavorati, ecc., che si è resa possibile grazie al risparmio precedente dei suoi cittadini.
O, detto in altro modo, che le società comparativamente più ricche lo sono perché hanno più tempo
accumulato in forma di beni di capitale, il che permette loro di trovarsi temporalmente più vicine al
conseguimento di fini di un valore molto superiore. E non c’è dubbio che l’operaio nordamericano
percepisca un salario molto superiore all’operaio indiano, ma questo si deve fondamentalmente al
fatto che il primo ha a sua disposizione e utilizza un numero e una qualità molto superiore di beni di
capitale (sotto forma di trattori, computer, macchinari, ecc.) dell’operaio indiano. O, espresso in
altro modo, i processi produttivi quanto più sono lunghi, come abbiamo visto, tanto più tendono a
essere produttivi. Il trattore moderno è molto più produttivo dell’aratro romano nell’arare la terra.
Tuttavia, il trattore è un bene di captale la cui produzione esige un insieme di stadi molto più
numeroso, complesso e prolungato del numero di stadi che esige la produzione dell’aratro romano.
I beni di capitale della complessissima rete che costituisce la struttura produttiva reale di
un’economia moderna non sono perpetui, ma sono sempre transitori, nel senso che si eliminano o si
consumano fisicamente lungo il processo produttivo, o piuttosto diventano obsoleti. Cioè, la perdita
dell’impianto capitale non è solo di carattere fisico, ma anche tecnologico ed economico
(obsolescenza). È necessario, pertanto, conservare o mantenere i beni di capitale (nel caso di
Robinson Crusoe, mantenere la sua pertica e curarla dal logorio). Perciò occorre riparare i beni di
capitale esistenti e, ciò che è ancora più importante, continuare costantemente a produrre nuovi beni
di capitale in grado di sostituire i vecchi che si stanno consumando. Si definisce deprezzamento il
logorio al quale vanno sottoposti i beni di capitale nel processo produttivo, così che è necessario
14
Mark Skousen, nella sua opera The Structure of Production (New York University Press, Londra e New York 1990), riproduce
uno schema semplificato degli stadi del processo produttivo dell’industria tessile e del settore del petrolio degli Stati Uniti (pp. 168-
169), illustrando in dettaglio la complessità, gran numero di stadi e molto prolungata durata temporale che ambedue i processi
produttivi comportano. Una descrizione semplificata mediante questo tipo di organigrammi può effettuarsi, allo stesso modo, in
relazione a qualunque altro settore o industria. Skousen, a sua volta, prende gli organigrammi delle industrie menzionate dal libro di
Alderfer, E.B. e Michel, H.E., Economics of American Industry, McGraw-Hill, New York, 3.ª edizione 1957.
.
.
11
predisporre con carattere minimo un determinato volume di risparmio se si vuole far fronte al
deprezzamento producendo i beni di capitale necessari per sostituire quelli già ammortizzati o
logori. Solo in tal modo si può mantenere intatta la capacità produttiva dell’attore. E se si desidera
aumentare ancor di più il numero degli stadi, allargare i processi e renderli più produttivi, sarà
necessario che si accumuli risparmio per un importo superiore perfino al minimo necessario per far
fronte alla ristretta quota di ammortamento, come espressione contabile del deprezzamento dei
beni di capitale. Il risparmio sarà possibile solo diminuendo il consumo in rapporto alla produzione
effettuata, il che significa, per una produzione costante, una diminuzione del consumo effettivo,
mentre in relazione a una produzione che va incrementandosi, sarà possibile risparmiare
accumulando beni di capitale mantenendo volumi relativamente costanti di consumo (sebbene è
certo che anche questo caso esige la rinuncia, come in ogni risparmio, a volumi crescenti di
consumo potenziale che permetterà una produzione sempre più elevata).
Dal punto di vista temporale, in ogni processo produttivo inteso come una serie successiva di stadi o
beni di capitale, è possibile distinguere quegli stadi che sono relativamente più vicini al bene finale
di consumo da quelle altre che si trovano più lontani dallo stesso. Come regola generale, si può
affermare che i beni di capitale sono difficilmente riconvertibili e che, quanto più vicini sono alla
stadio finale del consumo, più difficilmente sono riconvertibili. Tuttavia, il fatto che siano
difficilmente riconvertibili non vuol dire che l’attore, nel suo processo d’azione, non si trovi spesso
nella posizione di dover modificare gli obiettivi della sua azione e, di conseguenza, di revisionare e
riadattare gli stadi che ha già culminato (cioè, di riconvertire i suoi beni di capitale nella misura in
cui è possibile). In ogni caso, quando cambiano le circostanze, o l’attore cambia opinione o
modifica il fine della sua azione, può essere che i beni di capitale che ha elaborato fino a quel
momento o divengono del tutto inservibili, o possono essere utilizzati soltanto dopo una costosa
riconversione; è anche possibile che vengano utilizzati, ma in modo tale che, se si fosse saputo in
anticipo che avrebbero finito per essere adattati a un processo di produzione differente, sarebbero
stati elaborati in modo diverso. Infine, in molto poche occasioni il beni di capitale è tanto lontano
dal consumo, o le circostanze sono tali, che è perfettamente utilizzabile tanto in un progetto quanto
in un altro.
Si comprende ora l’influsso del tempo passato sull’azione. L’azione, tale e quale l’abbiamo definita,
è sempre prospettiva, mai retrospettiva. E i beni di capitale sono considerati tali dall’attore sempre
in funzione della progettata azione futura, non in funzione della sua entità materiale, né di vecchi
progetti d’azione15. Orbene, il passato, senza dubbio alcuno, influisce sull’azione futura, nella
15
Per questa ragione Hayek è alquanto critico nei confronti della definizione tradizionale di bene di capitale come bene di
produzione prodotto dall’uomo e che considera «a remnant of the cost of production theories of value, of the old views which sought
12
misura in cui determina le circostanze di partenza dal presente. Gli esseri umani commettono
innumerevoli errori imprenditoriali al momento di concepire, intraprendere e culminare le proprie
azioni e, come conseguenza di essi, partono per le loro azioni ulteriori da circostanze presenti che,
se fossero state conosciute in anticipo, essi ebbero avranno cercato di rendere differenti. Tuttavia,
una volta che gli eventi si sono evoluti in una determinata maniera, l’essere umano cerca sempre di
ottenere il miglior risultato possibile dalle sue circostanze presenti di fronte al conseguimento degli
obiettivi che intende raggiungere nel futuro. Inoltre, è necessario tener conto che, sebbene i beni di
capitale siano difficilmente riconvertibili, tuttavia, dal punto di vista istituzionale, gli investitori
riescono a dotarli di un’importante «mobilità» grazie alle istituzioni giuridiche del diritto di
proprietà e del diritto dei contratti che regolano le differenti forme di trasferimento di detti beni. Di
modo che la struttura produttiva (complessissima e molto prolungata) permette una costante
mobilità di investitori, che si rende possibile grazie allo scambio e alla compravendita di beni di
capitale sul mercato16.
Siamo ora in condizioni di introdurre il concetto di capitale, che è distinto, dal punto di vista
economico, da quello di «beni di capitale». In effetti, definiremo il concetto di capitale come il
valore a prezzi di mercato dei beni di capitale, valore che è stimato dagli attori individuali che
comprano e vendono beni di capitale in un mercato libero17. Vediamo, pertanto, che quello di
capitale è semplicemente un concetto astratto o uno strumento di calcolo economico; cioè, una
stima o un giudizio soggettivo sul valore di mercato che gli imprenditori credono che avranno i beni
di capitale, e in funzione del quale costantemente li comprano e li vendono, cercando di conseguire
in ogni transazione profitti imprenditoriali. Per questo, in un’economia socialista nella quale non
esistono mercati liberi né prezzi di mercato, benché si possa considerare che esistano beni di
capitale, non si può pensare che esista capitale: questo esige, in ogni caso, un mercato e prezzi
liberamente determinati dagli agenti economici che intervengono nel mercato stesso. Se non fosse
per i prezzi di mercato e la stima soggettiva del valore capitale dei beni che integrano gli stadi
the explanation of the economic attributes of a thing in the forces embodied in it... Bygones are bygones in the theory of capital no
less than elsewhere in economics. And the use of concepts which see the significance of a good in past expenditure on it can only be
misleading». F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 89. Conclude Hayek che «For the problems connected with the
demand for capital, the possibility of producing new equipment is fundamental. And all the time concepts used in the theory of
capital, particularly those of the various investment periods, refer to prospective periods, and are always ‘forward-looking’ and never
‘backward-looking’». Ibidem, p. 90.
16
Un imprenditore demoralizzato che desideri abbandonare il suo negozio e instaurarsi in un altro luogo può praticare sul mercato
una mobilità constante ed effettiva: grazie ai contratti giuridici potrà mettere in vendita il suo negozio, liquidarlo e utilizzare la sua
nuova liquidità per acquisire un’altra impresa. In questo modo pratica una mobilità reale ed effettiva molto superiore a quella
esclusivamente fisica o tecnica del bene di capitale (e che, come abbiamo visto, è di solito abbastanza ridotta).
17
Ciò nonostante, in diverse occasioni, ci vedremo costretti a utilizzare il termine capitale, in un senso meno stretto, per riferirci
all’insieme di beni di capitale che costituiscono la struttura produttiva. Questo significato poco preciso del termine capitale è
utilizzato, tra gli altri, da F.A. Hayek en The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 54; e anche da Ludwig M. Lachmann en Capital and
its Structure, op. cit, nella cui pagina 11 si definisce il capitale come «the heterogeneous stock of material resources».
13
intermedi dei processi produttivi, in una società moderna sarebbe impossibile stimare o calcolare18
se il valore finale dei beni che si intende produrre con i beni di captale compensi o meno il costo in
cui si incorre nei processi produttivi, non essendo neppure possibile assegnare in maniera
coordinata gli sforzi degli esseri umani che intervengono nei differenti processi d’azione.
In un altro contesto ho cercato di dimostrare19 che tutta le coercizione sistematica sul libero
esercizio della funzione imprenditoriale impedisce che gli esseri umani scoprano l’informazione di
cui necessitano ai fini delle azioni che perseguono, così come che, in maniera spontanea,
trasmettano detta informazione e coordinino i loro comportamenti, in funzione delle necessità degli
altri. Ciò significa che l’intervento coercitivo che è proprio dell’essenza del socialismo,
dell’interventismo dello Stato nell’economia, o della concessione di privilegi a determinati gruppi
contro i principi tradizionali del diritto, in maggiore o minor misura rende impossibile l’esercizio
dell’imprenditorialità e, pertanto, l’azione coordinata degli esseri umani, tendendo a generare
scompensi sistematici nel contesto sociale. Il mancato coordinamento sistematico può essere
intratemporale o, come accade nel caso delle azioni umane relative alle distinti stadi dei processi di
produzione o beni di capitale, intertemporale, di modo che gli esseri umani che non possono agire
liberamente tendono a disarticolare i loro comportamenti presenti in relazione ai loro
comportamenti e alle loro necessità future.
Il coordinamento intertemporale, come abbiamo già visto nel processo di produzione isolato di
Robinson Crusoe, è essenziale in relazione a tutta l’azione umana che comporta tempo e in special
modo a quelle che si riferiscono ai beni di capitale; da qui la grande importanza che ha il permettere
il libero esercizio della funzione imprenditoriale in questo campo. In questo modo gli imprenditori
scoprono continuamente sul mercato opportunità di guadagno, credendo di vedere nuove
combinazioni di beni di capitale che si trovano sottovalutate in relazione alla stima del prezzo di
mercato che ritengono di poter ottenere in futuro per i beni di consumo che produrranno. Si tratta,
insomma, di un processo di costante «ricombinazione», di produzione di nuove tipologie, e di
compravendita di beni di capitale, che genera una struttura produttiva dinamica e molto complessa,
e che tende sempre a espandersi orizzontalmente e verticalmente20. Senza libertà di esercitare la
funzione imprenditoriale, né mercati liberi per i beni di capitale e per la moneta, non è possibile
effettuare il necessario calcolo economico sull’estensione orizzontale e verticale dei differenti stadi
18
Questo è precisamente l’argomento essenziale di Mises sull’impossibilità del calcolo economico in un’economia socialista. Si
veda in questo senso Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., cap. III a VII.
19
Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., cap. II e III, pp. 41-155.
20
Questa è la terminologia utilizzata, per esempio, da Knut Wicksell nelle sue Lectures on Political Economy, vol. I, Routledge &
Kegan Paul, Londra 1951, p. 164, dove Wicksell fa espressamente riferimento a una «dimensione-orizzontale» e a una «dimensione-
verticale» della struttura dei beni di capitale. Esiste una traduzione spagnola di Francisco Sánchez Ramos, pubblicata in un solo
volume, con il titolo de Lecciones de economía política, M. Aguilar, Madrid 1947, p. 148. Esiste una traduzione italiana in un solo
volume, con il titolo di Lezioni di economia politica, UTET, Torino 1950, p. 168.
14
del processo produttivo, ciò che produce un comportamento generalmente privo di coordinamento
che disarticola la società e impedisce il suo sviluppo armonioso. Nei processi imprenditoriali di
coordinamento intertemporale ha un ruolo da protagonista un importante prezzo di mercato: ossia,
quello dei beni presenti in rapporto ai beni futuri, più comunemente detto tasso di interesse, che
regola la reazione tra consumo, risparmio e investimento nelle società moderne, e che studieremo in
dettaglio nel paragrafo seguente.
Il tasso di interesse
Come già abbiamo visto, l’essere umano, nella sua scala valoriale, valuta sempre di più, a parità di
circostanze, i beni presenti rispetto ai beni futuri. Tuttavia, l’intensità relativa di detta differenza di
valutazione soggettiva varia molto da un essere umano all’altro, e per uno stesso essere umano varia
anche molto lungo la sua vita in funzione del cambiamento delle proprie distinte circostanze. Così,
ci sono persone con un’alta preferenza temporale, che valutano molto il presente in relazione al
futuro e, pertanto, sono soltanto disposte a sacrificare il conseguimento immediato dei loro fini se
pensano o si aspettano di ottenere in futuro valori soggettivi molto elevati. Altre persone hanno una
preferenza temporale molto più ridotta e, anche se continuano a valutare maggiormente i beni
presenti rispetto a quelli futuri, sono molto predisposte a rinunciare al conseguimento immediato di
fini in cambio di valori non molto più elevati disponibili il giorno dopo. Questa differente intensità
psichica della valutazione soggettiva dei beni presenti in relazione ai beni futuri raccolta nella scala
valutativa di ogni essere umano attore, dà luogo al fatto che in un mercato nel quale esistono molti
agenti economici, ognuno dei quali dotato di una distinta e variabile preferenza temporale, sorgano
molteplici opportunità per realizzare scambi mutualmente benefici.
Così, quelle persone che abbiano una bassa preferenza temporale saranno disposte a rinunciare a
beni presenti in cambio del conseguimento di beni futuri con un valore non molto maggiore, ed
effettueranno scambi consegnando i loro beni presenti ad altri che hanno una preferenza temporale
più alta e, pertanto, valutano con maggiore intensità il presente rispetto al futuro. L’impeto e la
perspicacia propri della funzione imprenditoriale fanno sì che nella società tenda a determinarsi un
prezzo di mercato dei beni presenti in rapporto ai beni futuri. Quindi, definiremo tasso di interesse
il prezzo di mercato dei beni presenti in funzione dei beni futuri. Dato che nel mercato molte azioni
si portano a termine utilizzando moneta come mezzo di scambio generalmente accettato, il tasso di
interesse viene stabilito come il prezzo che si deve pagare per ottenere un numero determinato di
unità monetarie con carattere immediato, sotto forma del numero di unità da restituire in cambio,
trascorsa la scadenza o il periodo prefissato di tempo. In generale, e per ragioni consuetudinarie,
15
questo prezzo si stabilisce in termini di tanto per cento all’anno. Così, per esempio, se si parla del
fatto che il tasso di interesse è del 9%, si vuole indicare che le transazioni sul mercato si effettuano
in modo tale che è possibile ottenere oggi 100 unità monetarie immediatamente (bene presente) in
cambio ella consegna di 109 unità monetarie entro un anno (bene futuro)21.
Il tasso di interesse, pertanto, è il prezzo determinato in un mercato nel quale gli offerenti e i
venditori di beni presenti sono, esattamente, i risparmiatori, cioè, tutti quelli relativamente più
disposti a rinunciare al consumo immediato in cambio dell’ottenimento di un maggior valore di beni
in futuro. Compratori o domandanti di beni presenti sono tutti quelli che consumano beni e servizi
immediati (siano essi lavoratori, proprietari di risorse naturali, di beni di capitale o di qualsiasi altra
combinazione di essi). E il mercato dei beni presenti e dei beni futuri nel quale si determina il
prezzo che abbiamo denominato tasso di interesse è costituito da tutta la struttura produttiva della
società, nella quale i risparmiatori o capitalisti rinunciano al consumo immediato e offrono beni
presenti ai proprietari dei fattori originari di produzione (lavoratori e proprietari delle risorse
naturali) e ai proprietari dei beni di capitale in cambio dell’acquisizione della proprietà integra di un
valore ipoteticamente maggiore di beni di consumo una volta che la produzione degli stessi si sia
terminata in futuro. Eliminando l’effetto positivo (o negativo) dei profitti (o perdite) imprenditoriali
puri, questa differenza di valore tende a coincidere esattamente con il tasso di interesse.
Dal punto di vista giuridico gli scambi tra beni presenti e beni futuri può modellarsi in una forma
molto varia. Così, in una cooperativa, sono proprio i lavoratori quelli che agiscono,
simultaneamente, come lavoratori e capitalisti, aspettando che finisca tutto il processo produttivo
per acquisire la proprietà del bene finale e fare proprio l’intero valore dello stesso. Tuttavia, nella
maggior parte delle occasioni, i lavoratori non sono disposti ad aspettare che il processo produttivo
giunga a termine né ad assumersi rischi e incertezze, per cui, invece di costituire cooperative,
preferiscono vendere i servizi della loro forza produttiva in cambio dell’ottenimento immediato di
21
Di fatto, il tasso di interesse può essere interpretato in due modi distinti. Sia come una ratio di prezzi di oggi (uno corrispondente
al bene disponibile oggi e l’altro al medesimo bene disponibile domani); sia come il prezzo dei beni presenti in funzione di quelli
futuri. Per entrambe le vie si arriva al medesimo risultato. La prima è quella utilizzata da Ludwig von Mises, per il quale il tasso di
interesse «is a ratio of commodity prices, not a price in itself» (Human Action, op cit., p. 526). La seconda è quella che, seguendo
Murray N. Rothbard, ho preferito utilizzare nel testo. Un’analisi dettagliata di come si formi il tasso di interesse come prezzo di
mercato dei beni presenti in funzione dei beni futuri può trovarsi, tra gli altri studi, nell’opera di Murray N. Rothbard Man, Economy,
and State: A Treatise on Economic Principles, Ludwig von Mises Institute, Auburn University, 3.ª edizione, 1993, cap. V-VI, pp.
273-387. In ogni caso, il tasso di interesse si determina nella stessa maniera di qualunque altro prezzo di mercato. L’unica differenza
si basa sul fatto che invece di fissare il prezzo di ogni bene o servizio in termini di unità monetarie, nella determinazione
dell’interesse ci fissiamo sulla compravendita di beni presenti in cambio di beni futuri, materializzati l’uno e l’altro in unità
monetarie. Benché noi difendiamo il fatto che l’interesse venga determinato unicamente ed esclusivamente dalla preferenza
temporale, cioè, dalle valutazioni soggettive di utilità relazionate con la preferenza temporale, il fatto che si accetti un’altra teoria
(per esempio, quella secondo cui l’interesse viene determinato in maggiore o minore misura dalla produttività marginale del capitale)
non riguarda l’argomento essenziale di questo libro rispetto agli effetti distorsivi della creazione espansiva di crediti da parte della
banca sulla struttura produttiva. Si veda, in questo stesso senso, Charles E. Wainhouse secondo il quale: «Hayek establishes that his
monetary theory of economic fluctuations is consistent with any of the 'modern interest theories' and need not be based on any
particular one. The key is the monetary causes of deviations of the current from the equilibrium rate of interest.» «Empirical
Evidence for Hayek’s Theory of Economic Fluctuations», cap. II de Money in Crisis: The Federal Reserve, the Economy and
Monetary Reform, Barry N. Siegel (ed.), Pacific Institute for Public Policy Research, San Francisco 1984, p. 40.
16
beni presenti, concordando un contratto (denominato «contratto di lavoro per conto altrui») in
funzione del quale quello che anticipa loro i beni presenti (il capitalista, risparmiatore e offerente di
beni presenti) si impossessa dell’intera proprietà del bene finale una volta che lo stesso sia stato
prodotto. Parimenti, sono possibili combinazioni tra queste due tipologie distinte di contratto. Non
è questo il luogo adeguato per analizzare le distinte raffigurazioni giuridiche nelle quali in una
società moderna si materializza lo scambio tra beni presenti e beni futuri, e tra l’altro queste non
riguardano l’argomento essenziale di questo libro, benché, senza dubbio alcuno, possiedano grande
interesse dal punto di vista teorico e pratico.
È importante mettere in risalto che il cosiddetto mercato dei crediti nel quale si possono ottenere
prestiti pagando il corrispondente tasso di interesse è soltanto una parte, relativamente non molto
importante, del mercato generale nel quale si scambiano beni presenti contro beni futuri e che, come
già abbiamo detto, è costituito da tutta la struttura produttiva della società nella quale i proprietari
dei fattori originari di produzione e dei beni di capitale agiscono come richiedenti di beni presenti, e
i risparmiatori come offerenti degli stessi. Pertanto, il mercato dei prestiti a breve22, medio e lungo
termine è soltanto un sottoinsieme di questo mercato molto più ampio nel quale si scambiano beni
presenti contro beni futuri e rispetto al quale ha un mero ruolo sussidiario e dipendente, e tutto ciò
nonostante che, dal punto di vista popolare il mercato creditizio sia il più visibile ed evidente. E
sarebbe possibile, perfettamente, concepire una società nella quale non esistesse un mercato
creditizio e, tuttavia, tutti gli agenti economici investirebbero direttamente i loro risparmi nella
produzione (con l’autofinanziamento effettuato attraverso società personali, anonime o
cooperative). Anche se in questo caso non si determinerebbe nessun interesse nell’inesistente
mercato creditizio, continuerebbe a formarsi un tasso di interesse che verrebbe determinato dal
rapporto in base al quale si scambierebbero beni presenti contro beni futuri tra i differenti stadi
temporali dei processi produttivi. In queste circostanze, il tasso di interesse verrebbe determinato
dal «tasso di profitto» al quale tenderebbero a eguagliarsi, per unità di valore e periodo di tempo, i
profitti contabili di ogni stadio del processo produttivo. E benché questo tasso di interesse non sia
direttamente osservabile sul mercato, e incorpori in ogni impresa e processo di produzione specifico
componenti estranei (come la parte di profitti o perdite imprenditoriali pure e il premio per il
rischio), sarebbe il tasso di profitto a cui tenderebbero i differenti stadi di tutto il sistema
economico, grazie al tipico processo imprenditoriale di compensazione dei profitti contabili tra
22
Il volgarmente detto «mercato monetario» non è che un mercato di crediti a breve termine. Il vero mercato monetario è costituito
da tutto il mercato in cui si scambiano beni e servizi contro unità monetarie e nel quale simultaneamente si determinano il prezzo o
potere d’acquisto della moneta, e i prezzi in termini monetari di ogni bene o servizio. Perciò Marshall induce a gravi errori quando
afferma che «The ‘money market’ is the market for command over money: ‘the value of money’ in it at any time is the rate of
discount, or of interest for short period loans charged in it». Alfred Marshall, Money Credit and Commerce, Macmillan, Londra
1924, p. 14. Mises chiarisce perfettamente questa confusione terminologica di Marshall nella sua Human Action, op. cit., p. 403.
17
l’uno e l’altro stadio dei processi produttivi, se non si producessero altri cambiamenti e si
esaurissero tutte le possibilità di creatività e di profitto imprenditoriale23.
Nel mondo esterno, gli unici importi direttamente osservabili sono quelli che potremmo definire
tasso di interesse lordo o di mercato (che coincide con il tasso di interesse del mercato creditizio) e
i profitti contabili lordi dell’attività produttiva. Il primo è costituito dal tasso di interesse tale e
quale l’abbiamo definito (a volte l’abbiamo anche definito tasso di interesse originario o naturale),
più il premio di rischio che corrisponderebbe all’operazione in questione, più o meno un premio per
l’inflazione o la deflazione attesa, cioè, per la diminuzione o l‘incremento atteso nel potere
d’acquisto dell’unità monetaria nella quale si effettuano e si calcolano le transazioni tra beni
presenti e beni futuri.
In secondo luogo, sono direttamente osservabili nel mercato anche i profitti contabili puri che si
ottengono nell’attività produttiva specifica all’interno di ciascuno stadio del processo di produzione
e che tendono a eguagliarsi al tasso di interesse lordo o di mercato, così come lo abbiamo definito
nel paragrafo precedente, più o meno i profitti o le perdite imprenditoriali puri24. Poiché in ogni
mercato c’è una tendenza a che i profitti e le perdite imprenditoriali spariscano, risultato proprio
della concorrenza tra imprenditori, esiste, pertanto, una tendenza a che i profitti contabili di ogni
attività produttiva per periodo di tempo tendano a eguagliarsi al tasso di interesse lordo di mercato.
Effettivamente, nei profitti contabili riportati da ogni impresa in relazione all’esercizio economico,
si può considerare che esista una componente implicita di tasso di interesse, in relazione alle risorse
risparmiate e investite dai capitalisti proprietari dell’impresa; componente implicita che, assieme
alla componente di rischio e ai profitti o alle perdite imprenditoriali che si producono come risultato
dell’attività puramente imprenditoriale del negozio, danno luogo ai profitti contabili. Da questo
punto di vista, è possibile che un’impresa, benché abbia riportato profitti contabili, in realtà sia
incorsa in perdite imprenditoriali, se questi profitti contabili non raggiungono l’importo necessario
per superare la componente implicita del tasso di interesse lordo di mercato applicato sulle risorse
investite dai capitalisti nella loro attività nel corso dell’esercizio economico.
In ogni caso, e indipendentemente da come si manifesta, ciò che è più importante è tener conto che
l’interesse, come prezzo di mercato o tasso sociale di preferenza temporale, gioca un ruolo chiave al
23
Perciò, stricto sensu, il concetto di «tasso di profitto» non ha senso nella vita reale e lo abbiamo introdotto solo a fini illustrativi e
per facilitare la comprensione della nostra teoria del ciclo. Come ben dice Mises: «it becomes evident that it is absurd to speak of a
‘rate of profit’ or a ‘normal rate of profit’ or an ‘average rate of profit’... There is nothing ‘normal’ in profits and there can never be
an ‘equilibrium’ with regard to them». Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 297.
24
Di fatto, il tasso di interesse al quale si pattuiscono i prestiti sul mercato creditizio include anche una componente imprenditoriale
che non abbiamo menzionato nel testo. Questa è derivata dall’incertezza non assicurabile (che non è «rischio») relativa alla
possibilità che si producano scambi sistematici nel tasso sociale di preferenza temporale e altre perturbazioni non assicurabili proprie
del ciclo economico: «The granting of credit is necessarily always an entrepreneurial speculation which can possibly result in failure
and the loss of a part of the total amount lent. Every interest stipulated and paid in loans includes not only originary interest but also
entrepreneurial profit». Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 536.
18
momento di coordinare il comportamento di consumatori, risparmiatori e produttori in una società
moderna. E, allo stesso modo in cui era essenziale che Robinson Crusoe attuasse in maniera
coordinata e non dedicasse al conseguimento di fini futuri uno sforzo sproporzionato in relazione
alla sua disponibilità di beni presenti risparmiati, lo stesso problema di coordinamento
intertemporale si pone continuamente nelle nostre società.
In un’economia moderna, la sintonia tra i comportamenti presenti e futuri si rende possibile
esattamente grazie alla capacità esercitata dalla funzione imprenditoriale nel mercato in cui si
scambiano beni presenti contro beni futuri e nel quale si fissa, come prezzo di mercato degli uni in
funzione degli altri, il tasso di interesse. In questo modo, quanto maggiore è il risparmio, cioè,
quanti più beni presenti si vendono e offrono, a parità di circostanze, più basso sarà il suo prezzo in
beni futuri e, pertanto, più ridotto sarà il tasso di interesse di mercato; questo indicherà agli
imprenditori che esiste una maggior disponibilità di beni presenti per aumentare la durata e la
complessità degli stadi del processo, rendendoli, valga la ripetizione, più produttivi. Al contrario,
quanto minore è il risparmio, cioè, a parità di circostanze, quanto meno sono disposti gli agenti
economici a rinunciare al consumo immediato di beni presenti, più alto sarà il tasso di interesse di
mercato. Pertanto, un tasso di interesse di mercato alto indica che il risparmio è scarso in termini
relativi, e ciò è un segnale imprescindibile di cui devono tener conto gli imprenditori, per non
allargare indebitamente i distinti stadi del processo produttivo, generando mancati coordinamenti e
scombussolamenti molto pericolosi per lo sviluppo sostenuto25, sano e armonioso della società.
Insomma, il tasso di interesse indica agli imprenditori quali nuovi stadi produttivi o progetti di
investimento possano e debbano intraprendere e quali no, per mantenere coordinati, nella misura di
ciò che è umanamente possibile, i comportamenti di risparmiatori, consumatori e investitori,
evitando che i distinti stadi produttivi, o si rivelino troppo brevi, o si allarghino indebitamente.
Da ultimo, c’è da mettere in risalto che il tasso di interesse di mercato tende a eguagliarsi lungo
tutto il mercato di tempo o struttura produttiva della società, non solo intratemporalmente, cioè, da
una zona all’altra del mercato, ma anche intertemporalmente, cioè da uno stadio produttivo più
vicino al consumo ad altri stadi produttivi più lontani da esso. In effetti, se il tasso di interesse che si
può ottenere per anticipare beni presenti in alcuni stadi (per esempio, le più vicina al consumo) è
superiore a quello che si può ottenere in altri stadi (per esempio, i più lontani dal consumo), allora la
propria forza imprenditoriale mossa dall’animo di ottenere profitti porterà a disinvestire in quelle
nelle quali il tasso di interesse o tasso di profitto sia relativamente più basso, e a investire in quelle
altre nelle quali il tasso di interesse o il tasso di profitto sperato sia più alto.
25
Dopo la prima edizione di questo libro ho visto che Roger Garrison sviluppa la medesima idea nel suo nuovo libro Time and
Money: The Macroeconomics of Capital Structure, Routledge, Londres 2001, pp. 33-34 (edizione spagnola, Unión Editorial, Madrid
2005).
19
La struttura produttiva
26
Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit. (trad. spagnola: La teoría del dinero y del crédito, Unión Editorial,
Madrid 1997, trad. italiana: La teoria della moneta e dei mezzi di circolazione, ESI, Napoli 1999) e anche Human Action: A Treatise
on Economics, op. cit. (trad. spagnola: La acción humana: tratado de economía, 7.ª ed., Unión Editorial, Madrid 2004, trad. italiana:
L’azione umana: trattato di economia, UTET, Torino 1959).
27
Il primo teorico a proporre una rappresentazione di base uguale a quella che abbiamo presentato nel Grafico V-1 fu William
Stanley Jevons nel suo The Theory of Political Economy, la cui prima edizione si pubblicò nel 1871. Io ho utilizzato una ristampa
della 5.ª edizione dovuta a Kelley and Millman, pubblicata nel 1957 a New York e in cui a pagina 230 si raccoglie un diagramma
che, secondo Jevons, nel suo «line ox indicates the duration of investment and the height attained at any point, i, is the amount of
capital invested». Di seguito, nel 1889, sarà Eugen von Böhm-Bawerk che più a fondo si porrà il problema teorico della struttura di
stadi successivi di beni di capitale e della loro rappresentazione grafica, proponendo di effettuarla mediante l’utilizzazione di un
numero successivo di circoli concentrici annuali (l’espressione utilizzata da Böhm-Bawerk è koncentrischer Jahresringe) ognuno dei
quali rappresenta uno stadio produttivo e che si sovrappongono più ampliamente l’uno con l’altro. Questa rappresentazione grafica e
la spiegazione della stessa ad opera di Böhm-Bawerk si può consultare nelle pp. 114-115 del suo Kapital und Kapitalzins, vol. II,
Positive Theorie des Kapitales, op. cit.; le pagine corrispondenti dell’edizione inglese di Capital and Interest sono le 106-107 del
volume II. Il problema più importante con la rappresentazione grafica che proponeva Böhm-Bawerk è che rappresentava solo in un
modo molto goffo il corso del tempo, per cui si aveva la mancanza di una seconda dimensione (quella verticale). Böhm-Bawerk
avrebbe potuto ovviare facilmente a questa difficoltà sostituendo i suoi «anelli concentrici» con la rappresentazione di una serie di
volumi circolari posti successivamente uno sopra l’altro e aventi, i più elevati, una base sempre più piccola (cioè, come se si trattasse
di «formaggi della Mancia» uno posto sopra l’altro con i superiori sempre più piccoli). Questa difficoltà è risolta successivamente nel
1931 nella prima edizione del già classico libro di F.A. Hayek Prices and Production (1.ª edizione con «Foreword» di Lionel
Robbins, Routledge, Londra 1931; 2.ª edizione, revisionata e ampliata nel 1935; pp. 36 della prima edizione e 39 della seconda; a
partire da adesso, e salvo che si indichi altra cosa, tutte le citazioni di questo libro saranno nella sua seconda edizione; infine occorre
indicare che, grazie a José Antonio de Aguirre, recentemente è stata pubblicata nel nostro paese una traduzione di questo importante
libro dovuta a Carlos Rodríguez Braun: Precios y producción: Una explicación de las crisis de las economías capitalistas, con una
Introduzione di José Luis Feito, Unión Editorial e Edizioni Aosta, Madrid 1996, pp. 36 e ss). In questo libro si effettua già una
rappresentazione molto simile a quella che noi abbiamo proposto nel Grafico V-1. Questo tipo di rappresentazione torna a essere
utilizzata da Hayek nel 1941 (ma ora in termini continui) nel suo The Pure Theory of Capital, già citata (si veda, per esempio, la p.
109, 95 nell’edizione spagnola del 1946). Inoltre, nel 1941, Hayek sviluppa anche una rappresentazione grafica prospettica dei
differenti stadi del processo produttivo in un grafico tridimensionale e nel quale, quello che guadagna in esattezza, precisione ed
eleganza, si perde in capacità di comprensione (p. 117 dell’edizione inglese del 1941 e 102 di quella spagnola del 1946). Nel 1962,
Murray N. Rothbard (Man, Economy and State: A Treatise on Economic Principles, op. cit., cap. VI-VII) propone una
rappresentazione simile, e in molti aspetti più fortunata, proprio quella di Hayek, e che è seguita molto da vicino da Mark Skousen
nella sua notevole The Structure of Production, New York University Press, New York 1990. In lingua spagnola introduce per la
prima volta la rappresentazione grafica degli stadi della struttura produttiva dopo già quasi vent’anni nel mio articolo «La teoria
austriaca del ciclo economico», pubblicato originariamente in Moneda y crédito, n.º 152, marzo del 1980, pp. 37-55 (rieditato nei
miei Estudios de economía política, op. cit., cap. XIII, pp. 160-176). Benché potessero anche interpretarsi come una rappresentazione
della struttura produttiva, abbiamo lasciato deliberatamente fuori de questo breve boschetto della storia della rappresentazione grafica
degli stadi del processo produttivo i grafici triangolari proposti da Knut Wicksell, Lectures on Political Economy, Routledge, Londra
1951, vol. I, p. 159 (p. 143 dell’edizione spagnola di Francisco Sánchez Ramos, Aguilar, Madrid 1947). Si veda, infine, M.A. Alonso
20
GRAFICO V-1 P. 234
Gli stadi della struttura produttiva che raccogliamo nel Grafico V-1 non rappresentano la
produzione di beni di capitale e di beni di consumo in termini fisici, ma il loro valore in unità
monetarie. Alla sinistra del grafico indichiamo l’ipotesi secondo cui la struttura produttiva è
costituita da cinque stadi il cui «numero d’ordine», seguendo il contributo classico di Menger,
consideriamo che si incrementi via via che si allontanano dallo stadio finale del consumo. Così, il
prima stadio è costituito da «beni economici di primo ordine» o beni di consumo che, nel nostro
grafico, si scambiano per un valore di cento unità monetarie. Il secondo stadio è costituito da «beni
economici di secondo ordine» o beni di capitale più vicini al consumo. E così via con gli stadi terzo,
quarto e quinto, che è lo stadio più lontano dal consumo. Al fine di semplificare, abbiamo
considerato che ogni stadio esige un periodo di tempo di un anno di durata, per cui il processo
produttivo del nostro Grafico V-1 durerebbe cinque anni dal suo inizio nel quinto stadio (quello più
lontano dal consumo) fino ad arrivare ai beni finali di consumo nel primo stadio. Perciò, la
rappresentazione schematica che abbiamo realizzato non solo può considerarsi dal punto di vista
diacronico, come l’insieme di stadi produttivi per cui è necessario passare fino ad arrivare al bene
finale di consumo dopo cinque anni, ma anche sincronicamente, come una «fotografia» degli stadi
che, in maniera simultanea, si stanno producendo in uno stesso esercizio economico. Come indica
bene Böhm-Bawerk, questa seconda interpretazione del grafico come una rappresentazione
sincronizzata del processo produttivo è di una natura molto somigliante alle piramidi di età che si
elaborano con i dati del censo di popolazione, e che non sono che corti trasversali della popolazione
reale classificata per età, che possono anche interpretarsi diacronicamente come l’evoluzione del
numero di persone che riescono a rimanere vive a ogni età (tavola di mortalità)28.
Le frecce del nostro schema rappresentano i flussi di reddito monetario che in ogni stadio del
processo produttivo affiorano fino ai proprietari dei fattori originari (lavoro e risorse della natura)
sotto forma di salari e rendite, e verso i proprietari dei beni di capitale (capitalisti e risparmiatori)
sotto forma di interesse (o profitto contabile). In effetti, iniziando dal primo stadio i consumatori
spendono nel nostro esempio cento unità monetarie (u.m.) nell’acquisizione di beni di consumo, che
passano a essere proprietà dei capitalisti proprietari delle industrie dei beni di consumo. Questi
Neira, «Hayekian Triangle», en An Eponymous Dictionary of Economics: A Guide of Laws and Theorems Named after Economists,
J. Segura e C. Rodríguez Braun (eds.), Edward Elgar, Cheltenham, Inghilterra 2004.
28
«The inventory of capital constitutes, so to speak, a cross section of the many processes of production which are of varying length
and which began at different times. It therefore cuts across them at very widely differing stages of development. We might compare
it to the census which is a cross section through the paths of human life and which encounters and which arrests the individual
members of society at widely varying ages and stages.» Eugen von Böhm-Bawerk, Capital and Interest: Positive Theory of Capital,
op. cit., p. 106. Il testo in tedesco di questa citazione si trova nella p. 115 della già citata edizione originale di questa opera.
21
capitalisti, un anno prima, avevano anticipato il pagamento, a carico del loro risparmio, di 80 u.m.
corrispondenti ai servizi dei beni di capitale fisso e al pagamento dei beni di capitale circolante
prodotti nel stadio precedente (il «secondo») del processo produttivo da altri capitalisti; pagando
anche dieci u.m. ai proprietari dei fattori originari di produzione (lavoro e risorse della natura) che
direttamente contrattarono nell’ultimo stadio di produzione dei beni di consumo (questo pagamento
ai fattori originali è rappresentato in questo grafico dalla freccia verticale che va dalla destra
dell’ultimo scalone di cento unità monetarie al corrispondente riquadro superiore destro di dieci
unità monetarie). Come i capitalisti dello stadio dei beni di consumo anticiparono ottanta unità
monetarie ai proprietari dei beni di capitale del secondo stadio e dieci unità monetarie ai lavoratori e
ai proprietari delle risorse naturali, cioè, un totale di novanta unità monetarie, quando è trascorso il
periodo di un anno e vendono i beni di consumo per cento unità, ottengono un profitto contabile o
un interesse derivato dall’aver anticipato un anno prima, e con il proprio risparmio, novanta unità
monetarie. Questa differenza tra il totale di ciò che anticiparono, novanta unità monetarie (che
potevano aver consumato e, ciò nonostante, hanno risparmiato e dedicato all’investimento), e quello
che ricevono trascorso un anno, cento unità monetarie, equivale a un tasso di interesse approssimato
dell’11 per cento annuale (10:90 = 0,11) che, dal punto di vista contabile, appare come il profitto
del conto profitti e perdite dell’attività imprenditoriale dei capitalisti dello stadio dei beni di
consumo (rappresentato dal riquadro nell’angolo inferiore destro del nostro Grafico V-1).
Allo stesso modo si può ragionare in relazione al resto degli stadi. Così, per esempio, i capitalisti
proprietari dei beni di produzione del terzo stadio, all’inizio del periodo anticipano quaranta unità
monetarie in pagamento dei beni di capitale prodotti nel quarto stadio, e anche quattordici unità
monetarie ai fattori originari di produzione (lavoro e risorse naturali). In cambio delle
cinquantaquattro unità monetarie che hanno anticipato, i capitalisti si impossessano della proprietà
del prodotto che, una volta terminato, vendono per sessanta unità monetarie ai capitalisti del
secondo stadio lucrando un differenziale di sei unità monetarie, che è il loro profitto contabile o
interesse, anche prossimo all’11 per cento. E così via con ogni stadio.
Raccogliamo nella parte superiore del nostro grafico gli importi che i capitalisti avanzano in ogni
stadio ai fattori originari di produzione (lavoratori e proprietari delle risorse naturali) e che
sommano un totale di settanta unità monetarie (18 + 16 + 14 + 12 + 10 = 70 u.m.). Nella parte
destra si indicano, in una colonna, gli importi monetari dei profitti contabili derivati da ogni stadio e
che riassumono la differenza contabile tra le unità monetarie che anticiparono i capitalisti di ogni
stadio e che ricevono dalla vendita del loro prodotto nello stadio seguente. Questo profitto contabile
tende a coincidere, come già sappiamo, con l’interesse derivato dall’importo che i capitalisti di ogni
stadio risparmiarono e anticiparono tanto ai capitalisti degli stadi precedenti come ai proprietari dei
22
fattori originari di produzione. Il totale delle differenze contabili tra entrate e uscite di ogni stadio
assomma a trenta unità monetarie, che aggiunte alle settanta che percepiscono i fattori originari di
produzione, danno un totale di cento unità monetare di reddito netto, e che coincide, esattamente,
con l’importo che durante il periodo si spende in beni di consumo finali.
Considerazioni complementari
Dobbiamo ora effettuare una serie di importanti considerazioni complementari sulla nostra
rappresentazione schematica degli stadi del processo produttivo:
1) L’arbitraria selezione del periodo temporale di ogni stadio. – In primo luogo, è necessario
segnalare che la scelta di un periodo di durata temporale di un anno per ogni stadio è puramente
arbitraria, in quanto avremmo potuto scegliere qualsiasi altro periodo temporale. Se si è optato per
l’anno è perché questo è l’esercizio economico abitualmente più utilizzato, dal punto di vista
contabile e imprenditoriale, il che facilita la comprensione dello schema illustrativo di stadi
produttivi che abbiamo proposto.
2) La non utilizzazione dell’erroneo concetto di «periodo medio di produzione». – In secondo
luogo, dobbiamo segnalare che il fatto che, nel nostro esempio, il processo produttivo abbia una
durata di cinque anni è anch’esso puramente arbitrario. I processi produttivi moderni sono molto
complessi, variando molto, in quanto al numero di stadi e alla loro durata, da un settore o impresa a
un altro. In ogni caso, dobbiamo mettere in risalto che né è necessario né ha senso che ci riferiamo a
un «periodo medio di produzione», poiché dipenderà dal processo produttivo concreto il fatto che
consideriamo quale sia la durata stimata a priori dello stesso. Già sappiamo che i beni di capitale
non sono che le stadi intermedi del processo di produzione intrapreso da un imprenditore che, dal
punto di vista soggettivo, ha sempre un inizio, cioè quel momento nel quale per la prima volta
concepisce che un fine determinato meriti la pena di essere perseguito, e un insieme specifico di
stadi intermedi che immagina a priori e poi tenta di sviluppare e culminare, man mano che agisce.
Perciò, la nostra analisi non utilizza il concetto di «periodo medio di produzione» e, pertanto, è
immune alle critiche che sono state effettuate allo stesso29. In effetti, ogni periodo di produzione ha
un’origine determinata e non lo si può far risalire indietro nel tempo indefinitamente, ma si arresta
giustamente in quel momento nel quale un imprenditore determinato intraprese il perseguimento di
29
John B. Clark, «The Génesis of Capital», Yale Review, n.º 2, novembre del 1893, pp. 302-315; e «Concerning the Nature of
Capital: A Reply», Quarterly Journal of Economics, maggio del 1907. Frank H. Knight, «Capitalist Production, Time and the Rate of
Return», in Economic Essays in Honour of Gustav Cassel, George Allen & Unwin, Londra 1933.
23
un fine che costituisce lo stadio finale immaginario del processo30. Pertanto, il primo stadio della
produzione comincia esattamente in quel momento nel quale l’imprenditore concepisce lo stadio
finale del processo (sotto forma di bene di consumo o bene di capitale). Per fissare l’inizio di questo
stadio è completamente irrilevante che si utilizzino beni di capitale o fattori di produzione che già si
trovavano prodotti in precedenza ma che nessuno prima aveva concepito che avrebbero finito per
essere utilizzati nel processo produttivo in questione. Inoltre, il fatto che non sia necessario risalire
indefinitamente indietro nel tempo quando si concepisce l’insieme di stadi del processo produttivo
si deve al fatto che tutti i beni di capitale che sono stati prodotti, ma non ancora utilizzati in
qualsiasi intervallo di tempo per un fine concreto, si convertono, in ultima istanza, come a dire, in
una risorsa «originaria» in più, somigliante in questo aspetto al resto delle risorse della natura che
percepiscono rendita, ma che sono considerate dall’attore come una circostanza di partenza
piuttosto che un suo corso d’azione31. Insomma, ogni processo di produzione è sempre prospettico,
ha un inizio determinato e un fine previsto, e la sua durata varia secondo il processo produttivo in
cui è coinvolto, ma non è mai infinito, né indeterminato. Pertanto, è privo di ogni senso il calcolo
con carattere retrospettivo di supposti e fantasmagorici periodi medi di produzione.
3) Beni di capitale fisso e beni di capitale circolante. – Altra osservazione di interesse in
relazione alla nostra rappresentazione degli stadi produttivi è che nella stessa si possono considerare
inglobati non solo i cosiddetti beni di capitale fisso, ma anche i beni di capitale circolante e i beni di
consumo duraturo. Dal punto di vista prospettico dell’essere umano attore, è irrilevante la
distinzione tra beni di capitale fisso e beni di capitale circolante, poiché questa in grande misura si
basa sulle caratteristiche fisiche dei beni in questione e, soprattutto, sul fatto che si considera che gli
stessi siano o meno «finiti». In effetti, si considera che i beni di capitale fisso, quando partecipano al
processo produttivo sono già «finiti», mentre i beni di capitale circolante sono semilavorati o in un
processo «intermedio» della produzione. Tuttavia, dalla concezione soggettivista del processo di
produzione diretto al consumo, tanto i beni di capitale fisso quanto i beni di capitale circolante
sono stadi intermedi di un processo d’azione che culmina solo quando il bene di consumo finale
soddisfa il desiderio dei consumatori, per cui, dal punto di vista economico, non ha senso la
distinzione tra l’uno e l’altro.
30
Ludwig von Mises molto chiaramente afferma che «The length of time expended in the past for the production of capital goods
available today does not count at all. These capital goods are valued only with regard to their usefulness for future satisfaction. The
‘average period of production’ is an empty concept.» Ludwig von Mises, Human Action: A Treatise on Economics, op. cit., p. 489. E
nello stesso senso si manifesta Murray N. Rothbard nel suo Man, Economy and State, op. cit., pp. 412-413.
31
Murray N. Rothbard, con la sua naturale perspicacia, aggiunge che «land that has been irrigated through canals or altered by the
chopping down of forests has become a present, permanent given. Because it is a present given, not worn out in the process of
production, and not needing to be replaced, it becomes a land factor under our definition», concludendo Rothbard che una volta che
«the permanent are separated from the non-permanent alterations, we see that the structure of production no longer stretches back
infinitely in time, but comes to a close within a relatively brief span of time.» Cfr. Man, Economy and State, op. cit., p. 414 (i corsivi
sono miei).
24
Lo stesso può dirsi in relazione alle «rimanenze di magazzino» o agli stocks di beni intermedi che si
conservano in magazzino in ognuno degli stadi produttivi. Questi stocks che si ritiene formino parte
del capitale circolante, sono uno dei componenti più importati del valore di ognuno degli stadi del
processo produttivo. Inoltre si è evidenziato che, man mano che l’economia si sviluppa e avanza,
questi stocks acquisiscono un’importanza maggiore nel permettere che le differenti imprese
minimizzino i rischi, sempre latenti, che si producano scarsità o «colli di bottiglia» inaspettati che
dilatano i periodi di consegna, e rendono possibile che i clienti a tutti i livelli (non solo al livello del
consumo, ma anche dei beni intermedi) dispongono di una crescente varietà di prodotti tra i quali
scegliere e poter acquisire con carattere immediato. Perciò, una delle manifestazioni di allargamento
dei processi produttivi consiste, esattamente, nel costante aumento degli inventari o stocks di beni
intermedi.
4) Il ruolo dei beni di consumo duraturi. – i beni di consumo duraturi permettono la
soddisfazione di necessità umane nel corso di un periodo di tempo molto prolungato. Perciò, si deve
ritenere che occupino simultaneamente diverse posizioni: una nella stadio finale del consumo e le
altre in una varietà di stadi precedenti allo stesso, in funzione della sua durata. In ogni caso, ai nostri
fini è irrilevante che sia proprio il consumatore colui che debba aspettare nel corso di un
determinato numero di anni o di stadi fino a che possa approfittare degli ultimi servizi che sia in
grado di fornire il suo bene di consumo duraturo. Solamente quando si approfitta direttamente di
questi servizi si considera che ci troviamo nell’ultimo stadio del nostro grafico corrispondente al
consumo, mentre gli anni nei quali il proprietario cura e mantiene il suo bene di consumo duraturo
perché continui a fornirgli servizi di consumo nel futuro, corrisponderanno agli stadi sovrapposti
secondo, terzo, quarto e così via sempre più lontani dal consumo32. Pertanto, una delle
manifestazioni dell’allargamento dei processi produttivi e dell’incremento dei loro stadi consiste,
esattamente, nella produzione di un numero più elevato di beni di consumo duraturo con una qualità
e un periodo di durata sempre maggiore33.
32
Come ha spiegato F.A.Hayek, «the different instalments of future services which such goods are expected to render will in that
case have to be imagined to belong to different ‘stages’ of production corresponding to the time interval which will elapse before
these services mature». Cfr. Prices and Production, op. cit., p. 40, nota a piè di pagina 2. L’identità in questo senso tra i beni di
consumo duraturo e i beni capitali, già è stata evidenziata in precedenza da Eugen von Böhm-Bawerk, per il quale, «the value of the
remoter instalments of the renditions of service is subject to the same fate as is the value of future goods». Capital and Interest:
Positive Theory of Capital, op. cit., pp. 325-337, e in speciale la p. 337. Nell’edizione tedesca si deve consultare il capitolo dedicato a
«Der Zins aus ausdauernden Gütern», nelle pp. 361-382 dell’edizione del 1889 già citata. Böhm-Bawerk esprime in tedesco questo
principio nella forma seguente: «In Folge davon verfällt der Werth der entlegeneren Nutzleistungsraten demselben Schicksale, wie
der Werth künftiger Güter.» Cfr. Kapital und Kapitalzins, vol. II, Positive Theorie des Kapitales, op. cit., p. 365. Tra gli spagnoli,
forse è stato José Castañeda Chornet quello che meglio ha compreso questa idea essenziale affermando che «i beni di consumo
duraturo, generatori di un flusso di servizi di consumo nel tempo, si possono considerare inclusi nel capitale fisso di un’economia. In
senso stretto, costituiscono capitale fisso consuntivo, non produttivo. In questo modo il capitale, in senso ampio, è formato dal
capitale produttivo o propriamente detto, e anche dal capitale consuntivo o d’uso». José Castañeda, Lecciones de teoría económica,
op. cit., p. 686.
33
Roger W. Garrison ha esposto, con carattere addizionale, l’argomento secondo cui tutti quei beni di consumo in relazione ai quali
esiste un mercato di seconda mano devono qualificarsi, dal punto di vista economico, come beni di investimento; in effetti, i beni di
25
5) La tendenza verso l’uguaglianza del tasso di profitto contabile o interesse di ogni stadio. –
Altro aspetto essenziale sul quale ora dobbiamo insistere è che esiste sul mercato una tendenza,
mossa dalla forza dell’imprenditorialità, verso il tasso di profitto di tutte le attività economiche.
Questo accade non solo orizzontalmente, all’interno di ogni stadio della produzione, ma anche
verticalmente, cioè, tra uno stadio e l’altro. In effetti, se esistono disparità nei profitti, gli
imprenditori dedicheranno il loro sforzo, la loro capacità creativa e investimento a quelle attività
nelle quali si ottengano profitti relativi più elevati, ritirandoli da quelle altre nelle quali i profitti
siano più ridotti. Ciò che ora ci interessa far vedere è che, nel nostro esempio nel Grafico V-1, il
tasso di profitto contabile, o differenza relativa tra le entrate e le uscite verificatesi, in ognuno degli
stadi, è la stessa, approssimativamente intorno all’11 per cento annuale. Se così non fosse, cioè, se
in alcuni stadi il tasso di profitto contabile o di interesse fosse più elevato, allora si produrrebbe un
disinvestimento e un ritiro di risorse produttive degli stadi che hanno minori tassi di profitto e ci si
dirigerebbe verso quelle che avessero hanno un tasso di profitto contabile più elevato. E così fino a
che la maggior domanda di beni di capitale e fattori originali dello stadio ricevente aumentasse i
suoi costi o le sue spese nei fattori stessi, e la maggior affluenza di beni finali dallo stadio in
questione tenderebbe a ridurre i loro prezzi, finché il differenziale tra entrate e costi si ridurrebbe,
dando luogo a un tasso di profitto uguale a quello esistente negli altri stadi produttivi. Questo
ragionamento microeconomico è un elemento essenziale per comprendere le modifiche di
dimensione e durata degli stadi produttivi che studieremo più avanti.
6) L’investimento e il risparmio in termini lordi e netti. – Anche se, nel nostro esempio grafico,
la totalità del reddito netto che percepiscono i fattori originari e i capitalisti sotto forma di profitto o
interesse, cioè, 100 unità monetarie, coincide esattamente con l’importo che si spende durante il
periodo in beni di consumo (per cui il risparmio netto è nullo), esiste, tuttavia, un importante
volume lordo di risparmio e investimento. In effetti, il risparmio e l’investimento, in termini lordi,
sono raccolti nella tabella V-1, che indica, per ognuno degli stadi, e nella parte sinistra della tabella,
l’offerta di beni presenti che effettuano i risparmiatori in cambio dell’ottenimento di beni futuri.
Nella parte destra si trova la corrispondente domanda di beni presenti che effettuano gli offerenti di
beni futuri, fondamentalmente i proprietari dei fattori originari di produzione (lavoro e risorse della
natura) e i capitalisti degli stadi precedenti. Si osserva nella tabella che il risparmio, o tabella dei
beni presenti, è di duecentosettanta unità monetarie; risparmio lordo globale che si effettua nel
consumo qualificato come «duraturo» occupano simultaneamente un luogo in stadi successivi del processo produttivo, anche se
giuridicamente sono proprietà dei «consumatori», poiché questi li curano, li conservano e li mantengono nella loro capacità
produttiva per fornire servizi diretti di consumo lungo un periodo dilatato di anni. Roger Garrison, «The Austrian-Neoclassical
Relation: A Study in Monetary Dynamics», Tesi Dottorale presentata all’Università della Virginia, 1981, p. 45. Cfr., inoltre, Roger
Garrison, Time and Money: The Macroeconomics of Capital Structure, op. cit., pp. 47-48 (edizione spagnola di Unión Editorial,
Madrid 2005).
26
sistema economico, e che è 2,7 volte superiore all’importo che si spende durante l’anno in beni di
consumo. Questo risparmio lordo è identico all’investimento lordo dell’esercizio sotto forma di
spese che effettuano i capitalisti in risorse naturali, servizi del fattore lavoro, e beni di capitale
provenienti da stadi precedenti del processo produttivo34.
34
Tavole come quella raccolta nella Tabella V-1 e che commentiamo nel testo, furono già realizzate con il medesimo obiettivo da
Eugen von Böhm-Bawerk (Capital and Interest, op. cit., pp. 108-109, dove nel 1889 raccolse per la prima volta per ogni stadio della
produzione il valore in «numero di anni di lavoro» dei prodotti dello stadio corrispondente). In seguito, nel 1929, lo stesso compito fu
trattato con più esattezza da F.A. Hayek nel suo articolo «Gibt es einen ‘Widersinn des Sparens’?» (Zeitschrift Für
Nationalökonomie, Bd. I, Heft III, 1929) e che fu tradotto con il titolo di «The ‘Paradox’ of Saving» e pubblicato in inglese in
Economica (maggio del 1931) e dopo incluso come appendice al libro Profits, Interest and Investment and Other Essays on the
Theory of Industrial Fluctuations, 1ª edizione da George Routledge & Sons, Londra 1939, e rieditado da Augustus M. Kelley, Clifton
1975, pp. 199-263, e specialmente le pp. 229-231. Precisamente, e come riconosce proprio Hayek, fu il desiderio di semplificare la
«goffa» esposizione di queste tavole ciò che lo portò a introdurre lo schema grafico di stadi della produzione che abbiamo presentato
nel Grafico V-1 (Cfr. Prices and Production, op. cit., p. 38, nota 1).
27
durante qualsiasi periodo di tempo non è nemmeno lontanamente superiore alla quantità di moneta
che si spende durante questo stesso periodo in beni e servizi di consumo. Ed è curioso segnalare che
perfino menti brillanti come quella di Adam Smith sbagliarono deplorevolmente al momento di
rilevare questo fatto economico fondamentale. In effetti, per Adam Smith «the value of the goods
circulated between the different dealers, never can exceed the value of those circulated between the
dealers and consumers; whatever is bought by the dealers, being ultimately destined to be sold to
the consumers»35.
35
Adam Smith, The Wealth of Nations, Libro II, Cap. II, p. 390 del vol. I dell’edizione originale del 1776 già citata (p. 306
dell’edizione di E. Cannan di Modern Library, New York 1937 e 1965; e p. 322 del vol. I della Glasgow Edition, di Oxford
University Press, Oxford 1976). Come ben indica F.A. Hayek (Prices and Production, op. cit., p. 47), è importante notare che
l’autorità di Adam Smith in relazione a questo tema ha indotto all’errore molti autori, e così, per esempio, il suo argomento è stato
utilizzato per giustificare le erronee dottrine della banking school, tra gli altri, da Thomas Tooke nella sua opera An Inquiry into the
Currency Principle, 2.ª edizione, Longmans, Londra 1844, p. 71. La citazione del testo principale di Adam Smith è stata tradotta da
Carlos Rodríguez Braun nella seguente maniera: «Il valore dei beni che circolano tra commercianti non può mai superare il valore di
quelli che lo sono tra i commercianti e i consumatori, perché tutto ciò che comprano i commercianti è destinato in ultima istanza a
essere venduto ai consumatori». La riqueza de las naciones, edizione di Carlos Rodríguez Braun, Alianza Editorial, Madrid 1994, p.
414, in italiano La ricchezza delle nazioni, UTET, Torino 1950, p. 290-291.
28
TABELLA V-2
REDDITO LORDO E REDDITO NETTO DELL’ESERCIZIO
100 u.m. di consumo finale + 270 u.m. di Offerta totale di beni presenti
(Risparmio o Investimento lordi in dettaglio della Tabella V-1)
29
CONCLUSIONE: Il Reddito Lordo dell’Esercizio è uguale a 3,7 volte il Reddito Netto
Il valore del reddito lordo, così come l’abbiamo definito e calcolato, e la sua distribuzione tra le
distinti stadi del processo produttivo, è di un’importanza capitale per un’adeguata comprensione del
processo economico che si forma nella società. In effetti, la struttura degli stadi dei beni di capitale
e il suo valore in unità monetarie non è una dimensione che una volta raggiunta si possa mantenere
automaticamente e indefinitamente al margine delle decisioni umane di carattere imprenditoriale
che in forma deliberata devono optare continuamente per aumentare, mantenere o ridurre gli stadi
produttivi intrapresi nel passato. Cioè, che una determinata struttura di stadi produttivi permanga
uguale o cambi, allargandosi o restringendosi, dipende dal fatto che gli imprenditori di ogni stadio
soggettivamente decidono che è profittevole reinvestire la stessa proporzione dei redditi monetari
che venivano ricevendo o che, al contrario, pensano che è per loro molto profittevole modificare
tale proporzione, aumentandola o diminuendola. Nelle parole di Hayek: «The money stream which
the entrepreneur representing any stage of production receives at any given moment is always
composed of net income which he may use for consumption without disturbing the existing method
of production, and of parts which he must continuously re-invest. But it depends entirely upon him
whether he re-distributes his total money receipts in the same proportions as before. And the main
factor influencing his decisions will be the magnitude of the profits he hopes to derive from the
production of his particular intermediate product»36. Non esiste, pertanto, alcuna legge naturale che
forzi gli imprenditori a reinvestire il loro reddito nella medesima proporzione nella quale stavano
investendo in beni di capitale, ma tale proporzione dipenderà dalle circostanze specifiche di ogni
momento e, in particolare, dalle loro aspettative intorno al profitto che si aspettano di ottenere in
ogni stadio del processo produttivo. Ciò significa che, dal punto di vista analitico, ha una grande
importanza fissarsi nell’evoluzione delle quantità lorde di reddito riassunte nel nostro diagramma, e
36
F.A. Hayek, Prices and Production, op. cit., p. 49. La traduzione di questo importante paragrafo, può essere la seguente: «Il flusso
monetario che ogni imprenditore appartenente a qualsiasi stadio del processo produttivo riceve in un periodo dato si compone sempre
del reddito netto che può usare per il consumo senza intaccare l’esistente struttura produttiva, e dell’altra parte che continuamente
deve reinvestire. Tuttavia, dipende interamente da lui se redistribuirà il suo reddito monetario totale nelle stesse proporzioni di prima.
Il principale fattore che influisce nelle sue decisioni sarà la dimensione dei profitti che spera di ottenere dalla produzione del proprio
prodotto intermedio o bene di capitale privato». È precisamente questa la ragione per cui manca di senso la concezione del capitale
come un fondo omogeneo che si auto-riproduce da solo, definita da J.B. Clark e F.H. Knight, e che è la base teorica (assieme alla
concezione dell’equilibrio generale) del trito e ritrito modello del «flusso circolare del reddito» presentato in quasi tutti i libri di testo
di economia, nonostante che induca all’errore, non recependo la struttura temporale per stadi del processo produttivo del nostro
Grafico V-1 (si veda anche la prossima nota 39).
30
non concentrarsi esclusivamente, come è abituale, sui suoi importi netti. Così, vediamo che con un
risparmio netto uguale a zero si mantiene tuttavia una struttura produttiva con un risparmio e un
investimento lordi molto cospicui, varie volte superiore perfino a quello che si spende in beni e
servizi di consumo nel corso di ogni periodo produttivo. Pertanto, ciò che è veramente importante è
studiare quel che accade con il risparmio e l’investimento lordo, cioè, con il valore aggregato in
termini monetari degli stadi dei beni intermedi precedenti al consumo finale, importo che resta
occulto se ci concentriamo esclusivamente nello studio dell’evoluzione delle dimensioni contabili in
termini netti.
È precisamente per questa ragione che dobbiamo essere particolarmente critici delle tradizionali
dimensioni della contabilità nazionale. Così, per esempio, la tradizionale definizione di «Prodotto
Nazionale Lordo» (PNL), nonostante porti l’appellativo di «lordo», non riflette in alcun modo il
vero reddito lordo che viene speso lungo l’esercizio di tutta la struttura produttiva. Da un lato, le
cifre del PNL occultano l’esistenza di differenti stadi nel processo produttivo. Dall’altro, e questo è
ancor più grave e significativo, il Prodotto Nazionale Lordo, nonostante si qualifichi come «lordo»,
non raccoglie la spesa lorda monetaria totale che si produce in tutte gli stadi o settori produttivi
dell’economia, poiché nel suo computo si tiene solo conto della produzione di beni e servizi
consegnati ai loro utenti finali. In effetti, basandosi su uno stretto criterio contabile di valore
aggiunto che è lontano dalle realtà fondamentali dell’economia, aggrega solo il valore dei beni e dei
servizi di consumo e dei beni di capitale finali che sono finiti nell’esercizio, ma si include il resto
dei prodotti intermedi che formano parte degli stadi del processo produttivo e che passano da uno
stadio all’altro lungo l’esercizio economico37.
Pertanto, solo una piccola proporzione del totale dei beni di capitale si trova inclusa nelle cifre del
Prodotto Nazionale Lordo. In effetti, il PNL incorpora il valore delle vendite dei beni di capitale
37
Così, e come indica, per esempio, Ramón Tamames, il Prodotto Nazionale Lordo a prezzi di mercato «può definirsi come la
somma del valore di tutti i beni e servizi finali prodotti in una nazione in un anno... Parliamo di beni e servizi finali perché si
escludono quelli di carattere intermedio per evitare il doppio computo di uno stesso valore». Fundamentos de estructura económica,
Alianza Universidad, 10.ª edizione revisionata, Madrid 1992, p. 304. Ugualmente, si può consultare il recente libro di Enrique Viaña
Remis, Lecciones de contabilidad nacional, Editorial Cívitas, Madrid 1993, nel quale si afferma che «la distinzione tra inputs
intermedi e deprezzamento ha dato luogo alla convenzione che i primi sono esclusi dal, e la seconda inclusa nel, valore aggiunto.
Così si distingue tra valore aggiunto lordo che include il deprezzamento e valore aggiunto netto che la esclude. Di conseguenza, tanto
il prodotto quanto il reddito possono essere lordi o netti, secondo che includano o escludano il deprezzamento» (p. 39). Come si vede,
l’aggettivo «lordo» si aggiunge a una cifra che continua a essere netta, posto che esclude tutto il valore degli inputs intermedi. Non
sempre i libri di testo dedicati alla contabilità nazionale hanno ignorato la fondamentale importanza dei prodotti intermedi, e così,
nell’opera classica Estructura de la economía: introducción al estudio del ingreso nacional, di J.R. Hicks e A.G. Hart (versione
spagnola di R.A. Fúñiga T., pubblicata dal Fondo de Cultura Económica, México 1966), si fa un riferimento esplicito alla grande
importanza che la dimensione temporale ha in tutto il processo di produzione di beni di consumo (l’esempio concreto che si utilizza è
quello della produzione di un filone di pane), spiegando dettagliatamente i differenti stadi di prodotti intermedi che sono necessarie
per arrivare al bene finale di consumo. Hicks e Hart concludono (pp. 35-36) che «i prodotti che risultano da questi primi stadi sono
prodotti utili ma non direttamente utili per soddisfare le necessità dei consumatori. La sua utilità deve trovarsi nel suo impiego negli
stadi successivi, al termine dei quali nascerà un prodotto direttamente sollecitato dai consumatori... Un bene di produzione può essere
terminato tecnicamente nel senso che si è conclusa l’operazione particolare necessaria per produrlo, o può non essere tecnicamente
terminato, ma ancora in lavorazione, per ciò che concerne il proprio stadio. In qualsiasi caso, è un bene di produzione, perché furono
necessarie tre stadi prima che il risultato di tutto il processo passasse nelle mani del consumatore. Il fine di tutto il processo totale
sono i beni di consumo; quelli di produzione sono meri stadi nel cammino che conduce ai primi» (i corsivi sono miei).
31
fisso e durevole, come gli immobili, i veicoli industriali, i macchinari, le attrezzature, i computer,
ecc. che si finiscono e si vendono ai loro utenti finali nel corso dell’esercizio, essendo considerati,
pertanto, come beni finali. Però non include, in alcun modo, il valore dei beni di capitale circolante,
i prodotti intermedi non durevoli, né i beni di capitale ancora non terminati o che già terminati
passano da uno stadio all’altro lungo il processo produttivo, e che, come è ovvio, sono distinti dai
beni intermedi che, durante lo stesso periodo, si incorporano in ogni bene finale (per esempio, il
carburatore «bene intermedio» non è lo stesso carburatore già montato nel veicolo «bene finale»).
Cioè, il Prodotto Nazionale Lordo tiene soltanto in conto il capitale fisso o durevole terminato, ma
non il capitale circolante, effettuandosi contabilmente una distinzione tra ambedue che, dal punto di
vista economico, manca di senso. Per contro, le nostre cifre di reddito sociale lordo della Tabella
V-2 incorporano la produzione lorda di tutti i beni di capitale, terminati o meno, durevoli o
circolanti, così come di tutti i beni e servizi di consumo prodotti durante l’esercizio economico.
Insomma, il Prodotto Nazionale Lordo è una cifra aggregata di valori aggiunti che esclude la parte
più importante dei beni intermedi. L’unica ragione che danno i teorici della contabilità nazionale
per utilizzare questa cifra è che con questo criterio evitano il problema della «doppia
contabilizzazione». Ma dal punto di vista della teoria economica, questo argomento si basa su una
stretta concezione contabile ed è molto pericoloso, poiché elimina dal computo l’enorme volume di
sforzo imprenditoriale che ogni anno si dedica alla produzione di beni intermedi, che costituisce la
parte più importante dell’attività economica e che, ciò nonostante e in accordo con le cifre del
Prodotto Nazionale Lordo, si ritiene che non valga la pena in alcun modo valutare. Affinché noi ci
facciamo un’idea in termini quantitativi delle dimensioni implicate, possiamo indicare che il
Reddito Sociale Lordo, calcolato secondo il nostro criterio, di un paese avanzato come gli Stati
Uniti supera di circa due volte l’importo delle cifre ufficiali del suo Prodotto Nazionale Lordo38.
Le cifre tradizionali della contabilità nazionale tendono, pertanto, a eliminare con un solo colpo
l’importanza protagonistica che gli stadi intermedi hanno nel processo produttivo e, in concreto, il
fatto incontestabile che il suo mantenimento non è garantito, ma risulta da una serie continua e
contingente di decisioni concrete di carattere imprenditoriale che dipendono dai profitti contabili
38
Mark Skousen, nel suo The Structure of Production, op. cit., pp. 191-192, propone l’introduzione di un nuovo conto nella
contabilità nazionale che si denominerebbe «gross national output», e che corrisponde al nostro Reddito Sociale Lordo. In relazione
al Reddito Sociale Lordo, o «gross national output», che potrà calcolarsi per gli Stati Uniti, Skousen conclude nel modo seguente:
«First, Gross National Output (GNO) was nearly double Gross National Product (GNP), thus indicating the degree to which GNP
underestimates total spending in the economy. Second, consumption represents only 34 percent of total national output, far less than
what GNP figures suggest (66 percent); Third, business outlays, including intermediate inputs and gross private investment, is the
largest sector of the economy, 56 percent larger than the consumer-goods industry. GNP figures suggest that the capital-goods
industry represents a minuscule 14 percent of the economy.» Tutte queste cifre si riferiscono ai dati della contabilità nazionale degli
Stati Uniti per il 1982. Come poi vedremo parlando del ciclo economico, le cifre tradizionali del Prodotto Nazionale Lordo hanno il
gravissimo difetto teorico di occultare le importanti oscillazioni che, lungo il ciclo, si producono negli stadi intermedi del processo
produttivo, e che, al contrario, saranno riassunte integralmente dalla cifra del Reddito Sociale Lordo. Cfr., ugualmente, i dati che per
il 1986 diamo alla fine della nota 20 del capitolo VI. Infine, sembra che il «Commerce Department's Bureau of Economic Analysis»
abbia perfino iniziato a pubblicare una serie del Reddito Sociale Lordo con il nome di «Gross Output».
32
attesi e dal tasso sociale di preferenza temporale o tasso di interesse. L’utilizzazione del Prodotto
Nazionale Lordo comporta quasi indefettibilmente l’impressione che la produzione sia istantanea e
non esiga tempo, cioè, che non esistano stadi intermedi del processo produttivo, e che la preferenza
temporale sia priva di rilevanza al momento di determinare il tasso di interesse. Insomma, le
dimensioni di reddito nazionale eliminano totalmente la parte più significativa e importante del
processo produttivo, e inoltre la eliminano in maniera camuffata, poiché, paradossalmente e
nonostante che incorpori nella sua denominazione l’aggettivo «lordo», fa sì che alla maggioranza di
esperti e non esperti nella materia passi inosservata la parte più importante della struttura produttiva
di ogni paese39.
Se si modificassero i conti della contabilità nazionale e si facessero veramente «lordi», includendo
pertanto tutti i prodotti intermedi, si potrebbe allora seguire la pista della proporzione che
rappresenta la quantità che viene spesa ogni anno in beni e servizi di consumo con quella che viene
spesa in tutte le stadi intermedi. Questa proporzione viene determinata, in ultima istanza, dal tasso
di preferenza temporale, che stabilisce la proporzione che esiste tra il risparmio o l’investimento
lordo, e il consumo. È chiaro che man mano che la preferenza temporale diventa più ridotta e,
pertanto, si genera più risparmio nella società, maggiore sarà la proporzione che rappresentano il
risparmio e l’investimento lordo in relazione al consumo finale. Al contrario, un’elevata preferenza
temporale significa che i tassi di interesse saranno alti, e che la proporzione tra il risparmio o
l’investimento lordo e il consumo diminuirà. Un adeguato coordinamento intertemporale delle
decisioni degli agenti economici in una società moderna esige che questo processo di adattamento
della struttura produttiva ai distinti tassi sociali di preferenza temporale si effettui in maniera rapida
ed efficiente, il che è garantito, come già abbiamo detto, proprio grazie allo spirito imprenditoriale
di ricerca di profitti, che tende a eguagliarli tra uno stadio e l’altro. Se si desidera ottenere una
misura statistica che, invece di occultare, nella misura del possibile getti luce su questo importante
processo di coordinamento intertemporale, è necessario sostituire l’attuale computo del Prodotto
39
Come indica Murray N. Rothbard, il carattere netto che ha il Prodotto Nazionale Lordo porta, indefettibilmente, a considerare il
capitale come un fondo perpetuo, che si auto-riproduce da solo senza necessità di decisioni specifiche da parte degli imprenditori.
Questa è la dottrina «mitologica» che fu difesa da J.B. Clark e Frank H. Knight, e che costituisce la base concettuale dell’attuale
sistema di contabilità nazionale, che, pertanto, non è che la rappresentazione statistica e contabile dell’erronea concettualizzazione
della teoria del capitale dovuta a questi due autori. E conclude Rothbard: «to maintain this doctrine it is necessary to deny the stage
analysis of production and, indeed, to deny the very influence of time in production» (Murray N. Rothbard, Man, Economy and State,
op. cit., p. 343). Inoltre, l’attuale metodo di calcolo del Prodotto Nazionale Lordo esagera enormemente l’importanza che il consumo
ha nell’economia, portando all’erronea impressione che la parte più importante del prodotto nazionale si materializza in beni e servizi
di consumo, invece di materializzarsi in beni di investimento. Questo spiega inoltre che la maggioranza degli agenti implicati,
economisti, politici, giornalisti e funzionari, hanno un’idea distorta di come funzioni l’economia e che, pensando che il settore del
consumo finale sia il più importante della stessa, concludono che la miglior maniera di sviluppare economicamente un paese è
stimolando il consumo e non l’investimento. Su questo aspetto si deve consultare a F.A. Hayek, Prices and Production, op. cit., pp.
47-49, specialmente la nota 2 della p. 48, Mark Skousen, The Structure of Production, op. cit., p. 190, e George Reisman, «The
Value of 'Final Products' Counts Only Itself», The American Journal of Economics and Sociology, vol. 63, n.º 3, Julio 2004, pp. 609-
625, e Capitalism, Jameson Books, Ottawa, Illinois 1996, pp. 674 e ss.
33
Nazionale Lordo con un altro che risponda al Reddito Sociale Lordo, così come qui l’abbiamo
definita40.
2
EFFETTO SULLA STRUTTURA PRODUTTIVA DELL’INCREMENTO DEL CREDITO
FINANZIATO A CARICO DI UN AUMENTO PRECEDENTE DEL RISPARMIO
VOLONTARIO
Nel presente paragrafo studieremo in dettaglio che cosa succede nella struttura produttiva quando,
per qualsiasi motivo, gli agenti economici diminuiscono il loro tasso di preferenza temporale, cioè
quando decidono di incrementare il proprio risparmio e la propria offerta di beni presenti. Questo
può verificarsi in qualsiasi delle seguenti forme:
In primo luogo, è possibile che i capitalisti dei distinti stadi della struttura produttiva decidano, a
partire da un determinato momento, di modificare la proporzione nella quale venivano reinvestite le
entrate derivate dalla propria attività produttiva. Cioè, come già sappiamo, non c’è nulla che
garantisca che la proporzione in cui i capitalisti di uno stadio produttivo tornino a investire le
entrate che ricevono dalla stessa, sotto forma d’acquisto di beni di capitale di stadi precedenti e di
contrattazione di mano d’opera e risorse della natura, si mantenga invariabile da un periodo
all’altro. Può certamente accadere che, al contrario, i capitalisti decidano di incrementare la loro
offerta di beni presenti. Ossia, decidano di investire una proporzione maggiore dei ricavi che
percepiscono periodicamente nel reinvestimento sotto forma di acquisizione di servizi di beni di
capitale e di fattori originari (lavoro e risorse della natura). Se è così, vedranno, a breve termine,
diminuire il loro margine contabile di profitti, il che equivale, come già sappiamo, a una tendenza
alla diminuzione nel tasso di interesse di mercato. Il margine dei profitti diminuisce come risultato
del fatto che i costi monetari aumentano in relazione ai ricavi. E i capitalisti sono disposti ad
assumere temporalmente questa diminuzione nei profitti contabili, poiché sperano con ciò di
40
Le tavole input-output in parte ovviano alle insufficienze della contabilità nazionale tradizionale, poiché permettono di calcolare
l’importo corrispondente a tutti i prodotti intermedi. Tuttavia, benché l’analisi input-output si muova nella direzione corretta, ha
anche limitazioni molto importanti. In concreto, raccoglie soltanto due dimensioni, nel senso che relaziona i differenti settori
industriali con i fattori di produzione che direttamente si utilizzano negli stessi, ma non con i fattori di produzione che utilizzano ma
che corrispondono a stadi più lontani. Cioè, l’analisi input-output non raccoglie l’insieme successivo di stadi intermedi fino a
raggiungere qualsiasi stadio o bene intermedio o il bene finale di consumo, ma aggrega soltanto o relaziona ogni settore con il suo
fornitore diretto. Inoltre, le tavole input-output, per il loro grande costo e complessità, si elaborano solo ogni certo numero di anni
(negli Stati Uniti ogni quinquennio), per cui il valore delle sue statistiche per calcolare il Reddito Sociale Lordo di ogni esercizio è
molto piccolo. Cfr. Mark Skousen, The Structure of Production, op. cit., pp. 4-5.
34
conseguire, in un futuro più o meno lontano, profitti totali maggiori di quelli che avrebbero ottenuto
dal non aver modificato il loro comportamento41. Dato che il mercato nel quale si scambiano beni
presenti contro beni futuri è esattamente costituito, come già sappiamo, da tutta la struttura di stadi
produttivi della società, questo processo di incremento del risparmio e della sua materializzazione in
nuovi investimenti, costituisce, con grande differenza, l’ambito più importante nel quale si produce
l’incremento del risparmio e dell’investimento della società.
In secondo luogo, è possibile che i proprietari dei fattori originari di produzione (lavoratori e
proprietari delle risorse della natura) decidano di non consumare, come stavano facendo, l’importo
integro del il Reddito reddito netto sociale che percepiscono (e che nel nostro esempio del Grafico V-
1 era di settanta unità monetarie), ma, a partire da un determinato momento, decidano di ridurre il
loro consumo, investendo le unità monetarie che non dedicano più all’acquisto di beni e servizi di
consumo finale, negli stadi produttivi che decidano di intraprendere direttamente come capitalisti
(includendo in questa categoria i membri di società cooperative). Benché sia possibile che questo
procedimento si verifichi nel mercato, tuttavia la sua importanza quantitativa non è solita essere
molto grande nella vita reale.
E in terzo luogo, è possibile che, non solo i proprietari dei fattori originari di produzione (lavoratori
e risorse della natura), ma anche i capitalisti nella misura in cui percepiscono un reddito netto sotto
forma di profitti contabili o interesse di mercato, decidano, a partire da un determinato momento, di
non consumare integralmente l’importo dei loro ricavi, ma di dedicare una parte dello stesso a
prestarlo ai capitalisti dei distinti stadi del processo produttivo perché intraprendano un
ampliamento delle loro attività, contrattando più beni di capitale di stadi precedenti e un volume più
elevato di fattori originari. Questo terzo procedimento è quello che si instaura attraverso il mercato
dei crediti che, come già abbiamo indicato, e pur essendo il più visibile e appariscente nella vita
economica reale, ha un’importanza secondaria e un ruolo sussidiario rispetto al mercato più
generale nel quale si comprano e vendono beni presenti in cambio di beni futuri, sotto forma di
autofinanziamento o reinvestimento di beni presenti che effettuano direttamente i capitalisti nei loro
stadi produttivi (primo e secondo procedimenti di risparmio-investimento visti con anticipo).
Questo sistema di risparmio, essendo ancora importante, è solito avere una dimensione secondaria
rispetto a quella dei due primi procedimenti di aumento del risparmio che abbiamo descritto sopra,
sebbene si debba riconoscere che la comunicabilità dei flussi di risparmio e investimento tra l’uno e
41
Come è logico, l’aumento sperato dei profitti è in termini assoluti e non relativi. In effetti, profitti che rappresentino, per esempio,
il 10 per cento di 100 u.m. (10 u.m.) sono molto inferiori ai profitti che rappresentano l’8 per cento di 150 u.m. (12 u.m.). Anche se il
tasso di interesse o tasso di profitto contabile diminuisce, esattamente come risultato della minore preferenza temporale che genera
un aumento del risparmio e dell’investimento, i profitti contabili in termini assoluti crescono di un 20 per cento,cioè, da 10 a 12 u.m.
Questo è quello che suole accadere negli stadi più lontani dal consumo durante il processo che stiamo considerando. Rispetto agli
stadi più vicini al consumo, si deve ricordare che, come si indica nel testo principale, il paragone si effettua non con i profitti passati,
ma con quelli che si stima che si sarebbero ottenuti dal non modificare la strategia di investimento imprenditoriale.
35
l’altro procedimento è molto grande, e di fatto entrambi i settori del «mercato del tempo» - il
generale della struttura produttiva e il particolare del mercato dei crediti - si comportano come se
fossero vasi comunicanti.
In relazione a uno qualsiasi di questi tre procedimenti di aumento del risparmio, dal punto di vista
economico si produce sempre lo stesso fatto, ossia: un incremento nell’offerta di beni presenti da
parte dei risparmiatori, che trasferiscono tali beni presenti ai proprietari delle risorse originarie e dei
fattori materiali di produzione (beni di capitale) provenienti da stadi produttivi anteriori. In
concreto, e in relazione con il terzo procedimento visto, le scritture contabili che si
verificherebbero, seguendo lo stesso esempio contabile che esponemmo nel capitolo IV, sarebbero
le seguenti:
In primo luogo, si annoterebbe una scrittura nel giornale di colui che risparmiasse e prestasse le sue
risorse offrendo beni presenti, e che avverrebbe nel modo seguente:
Come si vede, questa scrittura è l’espressione contabile del fatto che il risparmiatore offre un
milione di unità monetarie di beni presenti, alle quali rinuncia perdendo totalmente la disponibilità
sulle stesse, e trasferendola a un terzo, diciamo, per esempio, l’imprenditore di un determinato
stadio produttivo, che riceve le unità monetarie sotto forma di prestito, e nel cui libro contabile si
annoterà la seguente scrittura:
Questi beni presenti che riceve l’imprenditore da un determinato stadio del processo produttivo
saranno dedicati per questo ad acquisire: (1) beni di capitale degli stadi produttivi precedenti; (2)
servizi del fattore lavoro; (3) risorse della natura. Grazie a questo terzo procedimento, i
36
risparmiatori che non desiderino implicarsi direttamente nell’attività di una qualsiasi degli stadi
produttivi, possono risparmiare e investire attraverso il mercato dei crediti concordando un contratto
di prestito, e producendosi un effetto che, indirettamente, in ultima istanza, è identico a quello già
visto nei due primi procedimenti di incremento volontario del risparmio.
Qualcuno potrebbe argomentare che, in certe occasioni, i prestiti non si concedono agli imprenditori
degli stadi produttivi, cioè, per l’allargamento dei processi produttivi sotto forma di investimento,
ma si effettuano sotto forma di prestiti al consumo dello stadio finale. In relazione con questo
aspetto, dobbiamo indicare, prima di tutto, che i due primi procedimenti di incremento del risparmio
già descritti escludono, per la loro propria natura, che le risorse risparmiate si dedichino al
consumo. Solamente attraverso il mercato dei crediti, che, come già sappiamo, ha un’importanza
secondaria e un ruolo sussidiario rispetto al mercato totale nel quale si offrono e comprano beni
presenti in cambio di beni futuri, è possibile concepire il prestito al consumo. In secondo luogo, il
prestito al consumo si realizza nella maggior parte dei casi per finanziare l’acquisizione di beni di
consumo durevole che, come già abbiamo studiato in paragrafi precedenti42, sono equiparabili, in
ultima istanza, a beni di capitale che si mantengono lungo un numero successivo di stadi produttivi
finché dura la capacità del bene di consumo durevole per fornire servizi al suo proprietario. In
queste circostanze, che non sono nemmeno lontanamente le più comuni in relazione al credito al
consumatore, i suoi effetti economici, in quanto allo stimolo all’investimento e all’allargamento
degli stadi produttivi, sono identici e indistinguibili da quelli che ha qualunque altro incremento del
risparmio direttamente investito in beni di investimento di qualsiasi stadio della struttura produttiva.
Pertanto, solamente un ipotetico credito al consumo destinato a finanziare la spesa corrente in beni
di consumo non durevoli di un’economia domestica avrà l’effetto di aumentare in maniera
immediata e direttamente il consumo corrente finale. Tuttavia, e a parte che si possa considerare di
molto poca importanza il credito destinato al consumo corrente finale, se si verifica sul mercato è
perché esiste nello stesso una certa domanda latente di credito da parte dei consumatori che, data la
comunicabilità che esiste tra tutti i settori del mercato dei beni presenti e futuri, una volta
soddisfatta questa domanda residuale di credito al consumo corrente, si libera la maggior parte delle
risorse reali risparmiate per essere investite negli stadi produttivi più lontani dal consumo.
42
Cfr. le pagine 239-240 e le note 32 e 33 precedenti.
37
Effetti del risparmio volontario sulla struttura produttiva
Ora spiegheremo in che maniera il sistema dei prezzi e la capacità coordinatrice della funzione
imprenditoriale di un mercato libero spontaneamente facciano sì che la diminuzione nel tasso
sociale di preferenza temporale, e il corrispondente incremento del risparmio che questa genera, si
materializzi in una modifica della struttura di stadi produttivi della società, che tende a farsi più
complessa e durevole, e come conseguenza di ciò, e alla lunga, sensibilmente più produttiva. Si
tratta, insomma, di spiegare uno dei processi coordinatori di maggior trascendenza che si danno in
tutta l’economia. Deplorevolmente, e come risultato dell’influenza delle teorie economiche
monetarista e keynesiana (che avremo l‘opportunità di studiare criticamente nel capitolo VII),
questo processo è stato, durante almeno due generazioni di economisti, quasi completamente
ignorato nella generalità dei libri di testo e dei programmi di studio di economia, quello che ha fatto
sì che la maggioranza degli economisti di oggigiorno non conoscano il funzionamento di uno dei
processi di coordinamento più importanti che ci sono in tutta l’economia di mercato43. Ai fini
analitici partiamo considerando una situazione estrema che, tuttavia, viene a esserci molto utile per
illustrare graficamente e comprendere meglio i processi implicati. Questa consiste nel supporre che
di colpo gli agenti economici decidano di risparmiare un 25 per cento del loro reddito netto. Cioè,
partendo dall’esempio grafico e numerico del paragrafo precedente, nel quale supponevamo che
cento unità monetarie costituissero il reddito netto, corrispondente ai fattori originari di produzione
e all’interesse che percepivano i capitalisti, e che venivano spesi interamente in beni di consumo,
ora considereremo che, come conseguenza di una diminuzione nella preferenza temporale, gli
agenti economici decidano di rinunciare a un 25 per cento, cioè, a una quarta parte, del consumo
che stavano effettuando, risparmiando il resto e offrendo il corrispondente eccesso di beni presenti
ai loro richiedenti potenziali. Una volta che si produca questo aumento del risparmio volontario, si
verificano tutti in una volta tre effetti che, per la loro grande importanza, studieremo separatamente
in seguito44.
43
Come alunno di economia durante la seconda metà degli anni settanta del secolo XX, potei constatare che in nessuno dei corsi di
Teoria Economica mi si indicò in che modo l’incremento del risparmio colpisse la struttura produttiva, e mi si spiegò solamente il
modello keynesiano del «paradosso del risparmio» che, com’è conosciuto, condanna prima facie la crescita di risparmio a livello
sociale, per diminuire la domanda effettiva. Anche se è certo che Keynes non si riferì espressamente alla tesi del «paradosso del
risparmio», non lo è meno che questa sorge da portare fino alle sue ultime conseguenze «logiche» i principi economici da lui
enunciati: «If governments should increase their spending during recessions, why should not households? If there were no principles
of ‘sound finance’ for public finance, from where would such principles come for family finance? Eat, drink and be merry, for in the
long-run are all dead.» Clifford F. Thies, «The Paradox of Thrift: RIP», Cato Journal, vol. 16, n.º 1 (Primavera-estate 1996), p. 125.
Cfr., inoltre, quello che diremo sul trattamento di questo tema nel libro di testo di Samuelson nella prossima nota 57.
44
A seguire Turgot, il primo a esporre e risolvere questo problema, anche solo in maniera rudimentale, ma già con tutti gli elementi
essenziali di una spiegazione definitiva, fu il grande Eugen von Böhm-Bawerk nel vol. II della sua opera omnia Capital e Interés,
pubblicato nel 1889 (Kapital und Kapitalzins: Positive Theorie des Kapitales, op. cit., anno 1889, p. 124-125; traduzione spagnola di
Edizioni Aosta, Madrid 1998). Per la sua importanza, riprodurremo di seguito il testo dell’edizione inglese di Capital and Interest
nella quale Böhm-Bawerk espone il problema che presuppone la crescita del risparmio volontario in un’economia di mercato e le
38
Primo: l’effetto derivato dalla disparità di profitti che sorge tra i distinti stadi produttivi
Se si produce un aumento nel risparmio della società di una quarta parte del reddito netto, è
evidente che la domanda monetaria totale di beni di consumo si ridurrà nella medesima
proporzione. Nel Grafico V-2 illustriamo l’effetto che questo ha sullo stadio finale del consumo e
sui profitti contabili delle imprese dedicati a questo stadio.
Como si vede nel Grafico V-2, prima dell’aumento del risparmio, si consumavano cento unità
monetarie di reddito netto in imprese impegnate a vendere beni di consumo finale che,
preventivamente, erano incorse in un totale di spese di novanta unità monetarie, ottanta unità
corrispondenti all’acquisizione di beni di capitale dallo stadio immediatamente precedente, e dieci
unità monetarie pagate ai fattori originari contrattati nell’ultimo stadio (lavoratori e risorse della
natura). Questo determinava un profitto contabile di dieci unità monetarie, equivalente a un tasso di
interesse prossimo all’11 per cento, che, come vedemmo nel paragrafo precedente, era il tasso di
interesse di mercato al quale tendevano a eguagliarsi i profitti contabili di tutte gli stadi produttivi,
sia di quelli più vicini sia di quelli più lontani dal consumo finale.
Perciò, supponendo ora un incremento del risparmio in un 25 per cento del reddito netto, la
situazione dello stadio finale del consumo è quella che si descrive nel Grafico V-2 in relazione al
momento t + 1. A partire da questo momento, subito dopo essersi prodotto l’incremento del
risparmio, si osserva come la domanda monetaria di beni di consumo finale si riduca, in ogni
periodo di tempo, di cento settantacinque unità monetarie. Questa diminuzione dei ricavi monetari
forze che portano nella stessa a un allargamento della struttura produttiva: supponiamo, dice Böhm-Bawerk, che «each individual
consumes, on the average, only threequarters of his income and saves the other quarter, then obviously there will be a falling off in
the desire to buy consumption goods and in the demand for them. Only three-quarters as great a quantity of consumption goods as in
the preceding case will become the subject of demand and of sale. If the entrepreneurs were nevertheless to continue for a time to
follow the previous disposition of production and go on bringing consumption goods to the market at a rate of a full 10 million labor-
years annually, the oversupply would soon depress the prices of those goods, render them unprofitable and hence induce the
entrepreneurs to adjust their production to the changed demand. They will see to it that in one year only the product of 7.5 million
labor-years is converted into consumption goods, be it through maturation of the first annual ring or be it through additional present
production. The remaining 2.5 million labor-years left over from the current annual allotment can be used for increasing capital. And
it will be so used. ... In this way it is added to the nation’s productive credit, increases the producer’s purchasing power for productive
purposes, and so becomes the cause of an increase in the demand for production goods, which is to say intermediate products. And
that demand is, in the last analysis, what induces the managers of business enterprises to invest available productive forces in desired
intermediate product ... If individuals do save, then the change in demand, once more through the agency of price, forces the
entrepreneurs into a changed disposition of productive forces. In that case fewer productive powers are enlisted during the course of
the year for the service of the present as consumption goods, and there is a correspondingly greater quantity of productive forces tied
up in the transitional stage of intermediate products. In other words, there is an increase in capital, which redounds to the benefit of
an enhanced enjoyment of consumption goods in the future.» Eugen von Böhm-Bawerk, Capital and Interest, vol. II: Positive Theory
of Capital, op. cit., pp. 112-113 (i corsivi sono miei).
39
che sperimentano le imprese impegnate nello stadio finale del processo produttivo non si vede,
tuttavia, accompagnata immediatamente da una diminuzione delle spese. Tutt‘al contrario, queste
imprese registrano nella loro contabilità alcune spese, invariabili, di novanta unità monetarie
corrispondenti, allo stesso modo in cui nel caso precedente, a ottanta unità spese in beni di capitale
nello stadio precedente (macchinari, fornitori, prodotti intermedi, etc.) e dieci unità monetarie spese
per pagare i fattori originari di produzione (lavoro e risorse della natura). Come conseguenza
dell’aumento del risparmio si produce, pertanto, una perdita contabile nelle imprese impegnate
nello stadio finale del consumo di quindici unità monetarie, che si converte in venticinque se
teniamo in conto il costo di opportunità derivato dal fatto che gli imprenditori non solo soffrono la
menzionata perdita contabile, ma cessano di guadagnare anche le dieci unità monetarie che
percepiscono come interesse i capitali che sono investiti in altri stadi produttivi. Possiamo, pertanto,
concludere che tutto l’incremento del risparmio genera importanti perdite relative o diminuzioni
dei profitti contabili nelle imprese che esercitano la loro attività più vicino al consumo finale.
Tuttavia, è ora necessario ricordare come il settore del consumo fosse soltanto una parte
relativamente piccola della struttura produttiva totale della società e che l’importo di unità
monetarie spese nel consumo finale era soltanto una frazione del reddito lordo sociale speso in tutti
gli stadi del processo produttivo. Così, il fatto che si producano perdite contabili nella stadio finale
non riguarda, nell’immediato, gli stadi precedenti al consumo, che continuano a sperimentare una
differenza positiva tra i loro ricavi e i loro costi pari a quella di cui beneficiavano precedentemente
all’aumento del risparmio. Solamente dopo un periodo dilatato di tempo l’effetto depressivo
dell’aumento del risparmio sullo stadio finale dei beni di consumo comincerà a sentirsi negli stadi
più vicini a esso, facendosi più debole questa influenza negativa via via che ci «eleviamo» a stadi
produttivi più lontani in termini relativi dal consumo finale. In ogni caso, la situazione dei profitti
contabili degli stadi più lontani dal consumo tenderà a permanere inalterata, così come l’abbiamo
riassunta in relazione al quinto stadio nel momento t nel Grafico V-2, dove osserviamo che questo
stadio continua a mantenere un profitto contabile dell’11 per cento, risultato di un totale di ricavi di
venti unità monetarie, di fronte a un totale di spese di diciotto unità monetarie. È evidente, pertanto,
che l’incremento del risparmio dà luogo alla nascita di una gran disparità tra i profitti contabili
ottenuti dalle imprese impegnate nel primo stadio dei beni di consumo e i profitti che raggiungono
quelle imprese che esercitano la loro attività negli stadi più lontani dal consumo finale (nel nostro
esempio, il quinto stadio della struttura produttiva). Il settore dei beni di consumo sperimenta una
perdita contabile come conseguenza dell’incremento del risparmio, mentre le industrie dello stadio
quinto, più lontane dal consumo, continuano a beneficiare di profitti prossimi all’11 per cento del
capitale investito.
40
Questa disparità di profitti agisce come segnale indicatore e come incentivo affinché gli
imprenditori restringano i loro investimenti negli stadi prossimi al consumo, e li dedichino ad altri
stadi nei quali ancora si ottengono profitti relativamente più elevati, e che sono, date le circostanze,
i più lontani dal consumo finale. Pertanto, gli imprenditori tenderanno a ritirare una parte della
domanda di risorse produttive, sotto forma di beni di capitale e di fattori originari di produzione,
che prima effettuavano nello stadio finale del consumo e in quelli più vicini ad esso, e la
trasferiscono verso gli stadi più lontani dal consumo, dove scoprono che si può ancora ottenere, in
termini comparativi, una redditività molto maggiore. Il fatto che investano o domandino più risorse
produttive negli stadi più lontani dal consumo fa sì che si produca l’effetto che abbiamo registrato al
momento t + 1 nella stadio quinto del Grafico V-2. In effetti, gli imprenditori del quinto stadio
incorrono in un maggiore volume di spese sotto forma di investimento in fattori originari e risorse
produttive che passano, quasi duplicandosi, da diciotto a 31,71 unità monetarie (21,5 sotto forma di
acquisto di servizi produttivi di beni di capitale e 10,21 sotto forma di acquisizione di servizi del
fattore lavoro e di risorse della natura)45. Risulta così un aumento nella produzione di beni del
quinto stadio che, in termini monetari, sale da venti a 32,25, con cui si produce un profitto contabile
di 0,54 unità monetarie, che sebbene in termini percentuali sia inferiore a quello che si
conseguirebbe in precedenza (da un 1,70 per cento di fronte all’11 per cento precedente), in termini
comparativi è un profitto molto superiore a quello che ottengono le industrie di beni di consumo
finali (che, come vedemmo, stanno incorrendo in perdite assolute di 15 unità monetarie).
In conclusione, vediamo che la crescita del risparmio dà luogo a una disparità tra i tassi di profitto
dei distinti stadi della struttura produttiva, che porta gli imprenditori a diminuire la produzione
immediata di beni di consumo e a incrementarla negli stadi più lontani dal consumo stesso. Tende a
prodursi, in questa maniera, un allargamento temporale dei processi produttivi fino a che il nuovo
tasso di preferenza temporale della società o tasso di interesse, ora sensibilmente più ridotto per
essere aumentato di molto il risparmio, si estende, sotto forma di differenziali tra ricavi e costi
contabili in ogni stadio, in modo uguale e lungo tutta la struttura produttiva46.
È necessario segnalare che gli imprenditori del quinto stadio sono stati capaci di incrementare la
loro offerta di beni presenti da diciotto unità nel momento t, a 31,71 unità nel momento t + 1, grazie
al maggior risparmio e alla maggior offerta di beni presenti che si sono prodotti nella società, e che
finanziano, in parte, con un incremento del proprio risparmio, cioè, investendo una parte di ciò che
45
Questi importi corrispondono all’esempio numerico riportato nel Grafico V-3 della p. 266.
46
Ciò vuol dire, pertanto, che i benefici contabili dell’ultimo stadio dedicato al consumo eventualmente tenderanno a essere
recuperati. Questo recupero si verificherà piuttosto che da un aumento dei vantaggi, da una diminuzione dei costi più che
proporzionale rispetto alla diminuzione dei vantaggi frutto dell’incremento del risparmio. La diminuzione dei costi si produce per la
doppia via della minore contrattazione dei servizi dei fattori originari di produzione e dalla diminuzione nel prezzo unitario dei beni
di capitale acquisiti nello stadio precedente, sensibilmente più a buon mercato una volta che culminino i nuovi progetti di
investimento, più produttivi e a più alta intensità di capitale.
41
prima percepivano sotto forma di interesse e consumavano, e in parte ricevendo nuovo risparmio
dal mercato creditizio sotto forma di prestiti che si trovano interamente coperti da un aumento
precedente del risparmio volontario. Cioè, l’incremento dell’investimento nel quinto stadio si
materializza attraverso uno qualsiasi dei tre procedimenti che già esponemmo nel paragrafo
precedente.
Inoltre, occorre segnalare che l’incremento che normalmente si produrrebbe nei prezzi dei fattori di
produzione (beni di capitale, fattore lavoro e risorse della natura) come conseguenza della sua
maggior domanda nel quinto stadio non dovrebbe verificarsi (salvo nel caso dei fattori di
produzione più specifici). In effetti, ogni aumento della domanda di fattori produttivi negli stadi più
lontani dal consumo si neutralizza o si compensa nella sua maggior parte, o perfino totalmente,
grazie al parallelo incremento nell’offerta di tali risorse produttive, che si verifica quando le stesse
vengono gradualmente liberate dagli stadi più vicini al consumo, che stanno conseguendo
importanti perdite contabili e si vedono, pertanto, costrette a restringere le loro spese di
investimento in tali fattori. Da qui la grande importanza che, per il coordinamento imprenditoriale
tra gli stadi della struttura produttiva di una società immersa in un processo di aumento del
risparmio e della crescita economica, ha il fatto che i corrispondenti mercati dei fattori di
produzione e in special modo di quelli originari (lavoro e risorse della natura) siano molto flessibili,
permettendo con un minimo di costo economico e sociale il loro trapasso graduale da alcuni stadi di
produzione ad altri. Infine, è anche necessario comprendere che la diminuzione dell’investimento
nel settore di beni di consumo, che tende a essere provocata dalle perdite contabili a cui dà luogo
l’aumento del risparmio volontario, spiega che comincia a prodursi un certo rallentamento
nell’arrivo al mercato di nuovi beni di consumo (indipendente dall’aumento negli stocks degli
stessi). Questo rallentamento continuerà durante il periodo di tempo che è necessario fino a che
comincia a giungere al mercato la quantità significativamente maggiore di beni di consumo che ha
la propria origine nell’indubitabile maggior produttività che deriva dall’aumento della complessità e
dall’allargamento del numero di stadi del processo produttivo. Si potrebbe pensare che questa
diminuzione temporale nell’offerta di beni di consumo potesse dar luogo, ceteris paribus, a un
incremento nel prezzo degli stessi. Tuttavia, questo aumento dei prezzi non giunge a materializzarsi,
esattamente perché tale diminuzione nell’offerta si vede più che compensata dall’entrata per la
diminuzione parallela nella domanda di beni di consumo, che ha la sua origine nell’aumento
precedente del risparmio volontario che dal principio stiamo supponendo che si sia verificato.
Ricapitolando, l’incremento del risparmio volontario si investe nella struttura produttiva, sia sotto
forma di investimenti diretti, sia attraverso crediti concessi agli imprenditori degli stadi produttivi
relativamente più lontani dal consumo, crediti che hanno una copertura di risparmio volontario
42
reale, e che si dirigono a incrementare la domanda monetaria dei fattori originari e dei beni di
capitale impiegati in detti stadi. Dato che i processi di produzione, come abbiamo visto all’inizio di
questo capitolo, tendono a farsi più produttivi man mano che incorporano un maggior numero e una
maggior complessità di stadi più lontani dal consumo, questa struttura con più alta intensità di
capitale terminerà generando un importante incremento nella produzione finale di beni di consumo,
una volta che i corrispondenti processi nuovamente intrapresi culminino e giungano temporalmente
alla loro fine. Perciò la crescita del risparmio, assieme al libero esercizio della funzione
imprenditoriale, è la condizione necessaria e il motore che dà impulso a ogni processo di sviluppo
economico.
Secondo: l’effetto della diminuzione del tasso di interesse sul prezzo di mercato dei beni di
capitale
L’incremento del risparmio volontario, cioè, dell’offerta di beni presenti, a parità di circostanze, dà
luogo, come già abbiamo indicato, a una diminuzione nel tasso di interesse di mercato. Come già
sappiamo, questo tasso di interesse tende a modellarsi nella differenza contabile tra ricavi e costi dei
distinti stadi produttivi e si rende anche visibile nel tasso di interesse al quale si contrattano i prestiti
sul mercato dei crediti. Perciò, occorre segnalare che la diminuzione del tasso di interesse al quale
dà luogo ogni incremento del risparmio volontario ha un importante effetto sul valore dei beni di
capitale, e in special modo sopra tutti quelli che sono utilizzati negli stadi relativamente più lontani
dal consumo finale e che hanno una durata e danno un contributo maggiore al processo produttivo.
Ipotizziamo un bene di capitale di lunga durata come, per esempio, l’immobile di un’impresa,
un’installazione industriale, una barca o un’aeronave entrambe dedite al trasporto, un altoforno, un
computer o un apparato di comunicazione di alta tecnologia, etc., che è stato prodotto e fornisce i
suoi servizi in distinti stadi della struttura produttiva, tutti quanti relativamente lontani dal consumo.
Quindi, il valore di mercato di questo bene di capitale tende a eguagliarsi con il valore scontato dal
tasso di interesse futuro corrente delle sue rendite attese, valore scontato che aumenta via via che il
tasso di interesse diventa più basso. Così, e affinché ci facciamo un’idea, una diminuzione nel tasso
di interesse, motivata da un aumento del risparmio, dall’11 al 5 per cento, dà luogo al fatto che il
valore attuale di un bene di capitale di durata molto lunga sarà più che doppio (il valore attuale di
una rendita unitaria perpetua all’11 per cento di interesse è 1/0,11 = 9,09; e il valore attuale di una
rendita perpetua al 5 per cento di interesse è uguale a 1/0,05 = 20). E se il bene capitale dura, per
43
esempio, vent’anni, una diminuzione nel tasso di interesse dall’11 al 5 per cento dà luogo a un
aumento nel valore di mercato o capitalizzato del bene di un 56 per cento47.
Perciò, se la gente inizia a valutare meno in termini relativi i beni presenti, allora il prezzo di
mercato dei beni di capitale e dei beni di consumo durevoli tenderà a incrementarsi; e tenderà a
incrementarsi di più via via che la sua durata è maggiore, cioè, man mano che partecipano in un
numero maggiore di stadi del processo produttivo e questi si trovano più lontano dal consumo. Così,
i beni di capitale, che già si utilizzavano e sperimentano un sensibile aumento nel loro prezzo come
conseguenza della diminuzione del tasso di interesse, saranno prodotti in maggior quantità, il che
darà luogo a un ampliamento orizzontale nella struttura di beni di capitale (cioè, a un aumento nella
produzione dei beni di capitale già esistenti). Simultaneamente, la diminuzione del tasso di interesse
evidenzierà che molti processi produttivi o beni di capitale che fino ad allora non si consideravano
profittevoli cominciano a esserlo e, pertanto, gli imprenditori inizieranno a intraprenderli. In effetti,
molte innovazioni tecnologiche e nuovi progetti non erano intrapresi dagli imprenditori, stimando
questi che il loro costo sarebbe stato superiore al loro valore di mercato (che tende a eguagliarsi al
valore scontato del tasso di interesse dei rendimenti futuri di ogni bene di capitale). Tuttavia, al
ridursi del tasso di interesse, quei progetti di allargamento della struttura produttiva, con nuove e
più moderni stadi più lontani dal consumo, cominciano ad avere un valore di mercato più alto, che
può arrivare perfino a essere superiore al suo costo di produzione, per cui interessa iniziare a
intraprenderli. Pertanto, il secondo effetto della diminuzione del tasso di interesse derivata da un
aumento del risparmio volontario è quello dell’approfondimento nella struttura dei beni di
investimento, sotto forma di un allargamento verticale con nuovi stadi di beni di capitale, che prima
non esistevano, sempre più lontani del consumo48.
L’uno e l’altro caso (ampliamento e approfondimento della struttura dei beni di capitale) si
producono come conseguenza della capacità creativa e coordinatrice della funzione imprenditoriale,
che è in grado di rendersi conto del fatto che sorgono opportunità di guadagno all’apparire di un
margine potenziale di profitti sotto forma di differenza tra il prezzo di mercato dei beni di capitale
(determinato dal valore scontato della sua rendita futura attesa che, all’abbassarsi del tasso di
47
La formula è , che corrisponde al valore attuale, in regime di capitalizzazione composta al
tasso unitario i, di una rendita immediata temporale post-pagabile di n periodi, quando il periodo di capitalizzazione coincide con
quello della rendita. Come si osserva, man mano che il periodo n diventa maggiore, e tende a farsi infinito, il valore della rendita
tenderà a essere uguale a 1/i che, come regola mnemotecnica, nella pratica è applicabile in tutti quei casi di beni di capitale di durata
molto lunga (e, per la sua permanenza, nel fattore terra). Cfr. Lorenzo Gil Peláez, Tablas financieras, estadísticas y actuariales, 6.ª
edizione corretta e ampliata, Editorial Dossat, Madrid 1977, pp. 205-237.
48
Occorre tenere conto che le innovazioni tecnologiche che aumentano la produttività (sotto forma di una maggior quantità e/o
qualità di beni e servizi) diminuendo la lunghezza dei processi produttivi, si introdurranno in ogni caso, indipendentemente dal fatto
che aumenti il risparmio netto della società. Ciò che lo rende possibile è l’introduzione di nuove tecnologie che marginalmente non si
possono applicare per mancanza di risorse.
44
interesse, si eleva sensibilmente) e il costo necessario per produrli (costo che permane inalterato, o
che perfino diminuisce, data la maggiore offerta nel mercato dei fattori originari di produzione
provenienti dallo stadio di consumo finale, che per cominciare si contrae all’aumentare del
risparmio).
Si comprende ora come questo secondo effetto produca anche un allargamento della struttura dei
beni di capitale, come ugualmente accadeva in relazione al primo effetto che abbiamo studiato
prima.
La fluttuazione nel valore dei beni di capitale, che è il risultato delle variazioni del risparmio e del
tasso di interesse, tende a trasferirsi, ugualmente, ai titoli rappresentativi degli stessi e, pertanto, ai
mercati secondari in cui questi si scambiano e si negoziano. Così, un incremento del risparmio
volontario, che induce una diminuzione nel tasso di interesse, farà salire in maggior misura il prezzo
delle azioni delle imprese degli stadi di beni di capitale più lontani del consumo e, in generale, di
tutti i titoli rappresentativi di beni di capitale. Solamente i titoli rappresentativi della proprietà delle
imprese più vicine al consumo vedranno temporalmente abbassarsi, in termini relativi, le loro
quotazioni, come conseguenza dell’immediato impatto negativo che ha la diminuzione nella
domanda di beni di consumo generata dall’aumento del risparmio. Vediamo così come, contro
l’opinione più popolare, e in assenza di altre distorsioni di tipo monetario che qui non abbiamo
ancora supposto che si producano, la Borsa non ha motivo di riflettere principalmente i profitti delle
imprese. Al contrario, i profitti contabili delle imprese dei distinti stadi tendono a eguagliarsi con il
tasso di interesse, per cui è in un contesto di risparmio elevato, e bassi profitti relativi, cioè, con un
tasso di interesse ridotto, dove si produrrà una maggior crescita del valore in Borsa dei titoli
rappresentativi dei beni di capitale, essendo più elevato il prezzo borsistico dei titoli man mano che
i corrispondenti beni di capitale si trovano più lontano dal consumo finale49. Al contrario, una
crescita dei profitti contabili relativi lungo tutta la struttura produttiva, e pertanto del tasso di
interesse di mercato, darà luogo, a parità di circostanze, a una diminuzione nel valore dei titoli e,
pertanto, a una caduta del loro valore in Borsa. Si spiegano così, dal punto di vista teorico, molte
reazioni generali della Borsa che il volgo, e anche molti esperti in economia, non sono in grado di
comprendere, applicando unicamente ed esclusivamente l’ingenua teoria secondo cui la Borsa deve
essere soltanto un automatico e fedele riflesso del livello raggiunto per fasi dai profitti contabili
49
Il tetto nelle quotazioni si raggiungerà quando si esaurirà l’effetto della riduzione del tasso di interesse e verrà compensato dal
maggior numero e volume di emissioni nel mercato primario di azioni e obbligazioni, che farà sì che il prezzo di mercato per titolo
tenda a stabilizzarsi a un livello più ridotto. Nel prossimo capitolo vedremo come tutta l’euforia borsistica continuata e, in generale,
tutto l’aumento sostenuto e costante degli indici borsistici, lungi dal manifestare una buona situazione economica soggiacente, risulti
da un processo inflazionistico di espansione creditizia che presto o tardi darà luogo a una crisi borsistica e a una recessione
economica.
45
indiscriminati di tutte le imprese del processo produttivo, e senza tenere conto per nulla
dell’evoluzione del tasso sociale di preferenza temporale.
Un effetto di grande rilevanza che ha ogni incremento del risparmio volontario è quello che esso
produce, da subito, sul livello dei salari reali. Se osserviamo di nuovo nel nostro esempio del
Grafico V-2 come la domanda monetaria di beni di consumo, in conseguenza dell’incremento del
risparmio, si riduca in una quarta parte (da cento unità monetarie a settantacinque), comprenderemo
facilmente perché, in generale, quando si produce un aumento del risparmio, i prezzi dei beni di
consumo finale tendano a sperimentare una riduzione50. E se, come è solito accadere, per
cominciare si mantengono costanti in termini nominali i salari o redditi del fattore originario lavoro,
al diminuire del prezzo dei beni di consumo finale si produrrà un aumento nel salario reale dei
lavoratori impiegati in tutti gli stadi della struttura produttiva. Questi, con i medesimi redditi
monetari in termini nominali, potranno acquisire, ai nuovi prezzi più ridotti dei beni di consumo,
una quantità e una qualità maggiore di beni e servizi finali di consumo.
Questo aumento dei salari reali che risulta dall’incremento del risparmio volontario fa sì che, in
termini relativi, sia interessante, per gli imprenditori di tutti gli stadi del processo produttivo,
sostituire mano d’opera con beni di capitale. O, espresso in altro modo, l’incremento del risparmio
volontario, conducendo all’aumento dei salari reali, stabilisce una tendenza in tutto il sistema
economico che porta ad allargare gli stadi della struttura produttiva, rendendoli più intensivi di
capitale. Si tratta del fatto che ora è più interessante per gli imprenditori utilizzare, in termini
relativi, più beni di capitale che mano d’opera, il che costituisce un terzo e poderoso effetto
addizionale tendente all’allargamento degli stadi della struttura produttiva che si aggiunge e si
sovrappone ai due effetti enunciati in precedenza.
Il primo, nel riferirsi esplicitamente a questo terzo effetto che abbiamo or ora commentato, fu David
Ricardo nei suoi Principi di economia politica e tassazione, la cui prima edizione si pubblicò nel
1817 e dove Ricardo conclude che «every rise of wages, therefore, or, which is the same thing,
every fall of profits, would lower the relative value of those commodities which were produced with
a capital of a durable nature, and would proportionally elevate those which were produced with
50
Come indica Hayek, questa riduzione può impiegare qualche tempo, dipendendo dalla rigidità di ogni mercato e, in ogni caso, sarà
meno che proporzionale rispetto alla diminuzione della domanda che comporta il risparmio, poiché se così non fosse, ciò non
implicherebbe nessun sacrificio effettivo e non resterebbe che vendere gli stocks di beni di consumo che sono necessari per
mantenere gli agenti economici finché culminano i processi con più alta intensità di capitale. Cfr. F.A. Hayek, «Reflections on the
Pure Theory of Money of Mr. J.M. Keynes (continued)», Economica, vol. 12, nº 35, Febbraio del 1932, pp. 22-44, rieditato in Contra
Keynes y Cambridge: Ensayos, correspondencia, vol. IX di Obras Completas de F.A. Hayek, Unión Editorial, Madrid 1996, pp. 201-
202.
46
capital more perishable. A fall of wages would have precisely the contrary effect»51. E nella famosa
appendice «Sul macchinario», che fu aggiunta nella terza edizione del 1821, Ricardo conclude che
«machinery and labour are in constant competition, and the former can frequently not be employed
until labour rises»52.
La stessa idea fu dopo recuperata e profusamente utilizzata da F.A. Hayek a partire dal 1939 nei
suoi lavori sui cicli economici, e noi, per la prima volta, la utilizziamo qui per spiegare gli effetti
che ha l’aumento del risparmio volontario sulla struttura produttiva, e per snaturare le teorie che si
sono elaborate sul cosiddetto «paradosso del risparmio» e i suoi supposti effetti negativi sulla
domanda effettiva. Hayek spiega in modo molto conciso l’«Effetto Ricardo» dicendo che «with
high real wages and a low rate of profit investment will take highly capitalistic forms: entrepreneurs
will try to meet the high costs of labour by introducing very labour-saving machinery— the kind of
machinery which it will be profitable to use only at a very low rate of profit and interest»53.
51
Cfr., David Ricardo, On the Principles of Political Economy and Taxation, vol. I di The Works and Correspondence of David
Ricardo, Piero Sraffa y M.H. Dobb (eds.), Cambridge University Press, Cambridge 1982, pp. 39-40. La traduzione in spagnolo di
questa citazione potrebbe essere: «cada aumento de los salarios o, lo que es lo mismo, cada reducción de los beneficios, menguaría el
valor relativo de los bienes producidos con un capital de índole durable, y elevaría proporcionalmente los producidos con capital más
perecedero. Una reducción de salarios ocasionaría exactamente el efecto contrario.» David Ricardo, Principios de economía política
y tributación, tradotti da J. Broc, N. Wolff y J. Estrada, Fondo de Cultura Económica, México 1973, p. 30. Esiste una traduzione,
molto migliore, dovuta a Valentín Andrés Álvarez, David Ricardo, Principios de economía política y tributación, Seminarios y
Ediciones, S.A., Madrid 1973, p. 42. Per ultimo, è appena stata pubblicata un’altra edizione, tradotta da Paloma de la Nuez e Carlos
Rodríguez Braun, con uno studio preliminare di John Reeder, David Ricardo, Principios de economía política y tributación,
Ediciones Pirámide, Madrid 2003. Mentre la traduzione in italiano potrebbe essere: «ogni aumento dei salari o, ciò che è lo stesso,
ogni diminuzione dei profitti, ridurrebbe il valore relativo dei beni prodotti con un capitale di natura durevole, e aumenterebbe
proporzionalmente i prodotti con capitale più deperibile. Una riduzione dei salari avrebbe esattamente l’effetto contrario». David
Ricardo, Principi di economia politica e delle imposte, tradotti da P.L. Porta UTET 1986, p. 194.
52
Cfr. David Ricardo, On the Principles of Political Economy and Taxation, op. cit., p. 395. La traduzione in spagnolo è: «La
maquinaria y la mano de obra están en competencia constante, y la primera puede frecuentemente no ser empleada hasta que suba la
mano de obra». David Ricardo, Principios de economía política y tributación, op. cit., p. 294 (p. 330 dell’edizione citata da Valentín
Andrés Alvarez). La traduzione in italiano è: «Il macchinario e la mano d’opera sono in costante concorrenza, e il primo può spesso
non essere impiegato fino a che la mano d’opera non rincari». David Ricardo, Principi di economia politica e dell’imposta, op. cit.
p.522.
53
Si veda F.A. Hayek, ‘Profits, Interest and Investment’ and Other Essays on the Theory of Industrial Fluctuations, Routledge,
Londra 1939 y Augustus M. Kelley, Clifton 1975, p. 39. La citazione del testo può tradursi nella maniera seguente: «Con alti salari
reali e con un ridotto tasso di profitto l’investimento si materializza in forme molto intensive di capitale: gli imprenditori tenteranno
di far fronte agli alti costi del fattore lavoro introducendo nuovo capitale immobilizzato che permetta loro di contrattare meno fattore
lavoro - la tipologia di macchinari che è profittevole usare solamente quando esiste un tasso molto ridotto di profitto e di interesse».
Poco dopo, nel 1941, F.A. Hayek en passant menziona questo effetto senza citare espressamente Ricardo in relazione agli effetti
dell’incremento del risparmio volontario sulla struttura produttiva. Si tratta dell’unica applicazione diretta che conosco dell’«Effetto
Ricardo» all’analisi delle conseguenze dell’aumento del risparmio volontario, e non al ruolo che ha questo effetto nei distinte stadi
del ciclo economico, e che è quello che in maniera predominante fino ad ora ha preoccupato i teorici. La citazione in questione si
trova nella p. 293 di The Pure Theory of Capital, pubblicata da Macmillan, Londra 1941, e rieditata successive volte dopo (noi
lavoriamo con la riedizione di Routledge del 1976) e dice così: «The fall in the rate of interest may drive up the price of labour to
such an extent as to enforce an extensive subsitution of machinery for labour.» In seguito Hayek tornò sul particolare in un suo
articolo «The Ricardo Effect», publicado en Economica, vol. 34, n.º 9, maggio del 1942, pp. 127-152, rieditato come capitolo XI di
Individualism and Economic Order, The University of Chicago Press, Chicago 1948, pp. 220-254. E di nuovo trenta anni dopo in un
suo articolo «Three Elucidations of the Ricardo Effect», pubblicato nel Journal of Political Economy, vol. 77, n.º 2, 1979, e rieditato
come capitolo XI del libro New Studies in Philosophy, Politics, Economics and the History of Ideas, Routledge & Kegan Paul,
Londra 1978, pp. 165-178. Recentemente Mark Blaug ha riconosciuto che la sua critica dell’«Effetto Ricardo» inclusa nella sua
opera Economic Theory in Retrospect (Cambridge University Press, Cambridge 1978, pp. 571-577) si basava su un errore di
interpretazione rispetto al carattere ipoteticamente estatico dell’analisi hayekiana. Si veda l’articolo di Mark Blaug titolato «Hayek
Revisited», pubblicato in Critical Review, vol 7, n.º 1, inverno del 1993, pp. 51-60, e specialmente la nota 5 delle pp. 59-60. Blaug
riconosce che si rese conto del suo errore grazie all’articolo di Laurence S. Moss e Karen I. Vaughn, «Hayek’s Ricardo Effect: A
Second Look», History of Political Economy, 18, n.º 4, inverno del 1986, pp. 545-565. Da parte sua, Ludwig von Mises (Human
Action, op. cit., pp. 773-777) ha criticato l’utilizzazione dell’Effetto Ricardo per giustificare un incremento forzato dei salari per via
47
L’«Effetto Ricardo» è, quindi, una terza ragione di natura microeconomica che spiega perché gli
imprenditori reagiscano davanti a un aumento del risparmio volontario incrementando la loro
domanda di beni di capitale e investendo in nuovi stadi più lontani dal consumo finale. È importante
non dimenticare che tutto l’incremento del risparmio volontario e dell’investimento genera sempre
da subito una riduzione nella produzione di nuovi beni e servizi di consumo in relazione con il
potenziale massimo che a breve termine si potrà raggiungere se non si detraessero fattori produttivi
dagli stadi più vicini al consumo finale. Questa riduzione compie la funzione di liberare i fattori
produttivi che sono necessari per allargare gli stadi di beni di capitale più lontani dal consumo54.
Inoltre, i beni e servizi di consumo che rimangono invenduti come conseguenza dell’aumento del
risparmio volontario giocano un ruolo molto somigliante a quello che aveva l’accumulazione di
more nel nostro esempio di Robinson Crusoe, e che permisero di sostentarlo durante il numero di
giorni che richiese la produzione del suo bene di capitale (la pertica di legno), periodo di tempo
durante il quale non poté dedicarsi a raccogliere more «a mano». In un’economia moderna, i beni e
servizi di consumo che rimangono invenduti quando il risparmio aumenta, giocano l’importante
ruolo di rendere possibile il mantenimento dei diversi agenti economici (lavoratori, proprietari delle
risorse della natura e capitalisti) nei periodi di tempo seguenti nei quali, come conseguenza
dell’appena iniziato allargamento della struttura produttiva, forzatamente si deve produrre un
rallentamento nell’arrivo di nuovi beni e servizi di consumo al mercato. Questo «rallentamento»
dovrà durare finché non possano culminare e termino tutti i nuovi processi a maggiore intensità di
capitale che sono stati cominciati. Se non fosse per questi beni e servizi di consumo invenduti
grazie al risparmio, la diminuzione temporale nell’offerta di nuovi beni di consumo che fluiscono al
mercato darebbe luogo a una crescita importante dei suoi prezzi e all’apparizione di difficoltà nel
loro approvvigionamento55.
sindacale o governativa, con il desiderio di aumentare l’investimento in beni immobili, giungendo alla conclusione che tale politica
produrrebbe solo disoccupazione e una cattiva allocazione delle risorse nella struttura produttiva, in quanto non ha la sua origine in
un aumento del risparmio volontario della società, ma nella semplice imposizione coattiva di salari artificialmente alti. Nello stesso
senso si colloca Murray N. Rothbard in Man, Economy and State, op. cit., pp. 631-632. E anche F.A. Hayek in The Pure Theory of
Capital (op. cit., p. 347), dove conclude che una crescita dei salari coattivamente imposta dà luogo, non solo a un aumento della
disoccupazione e a una diminuzione del risparmio, ma anche a un consumo generalizzato del capitale che si combina con un
allargamento e un restringimento artificiale degli stadi della struttura produttiva.
54
Cfr. F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 256.
55
Proprio dalle parole di Hayek: «All that happens is that at the earlier date the savers consume less than they obtain from current
production and at the later date (when current production of consumers’ goods has decreased and additional capital goods are turned
out) they are able to consume more consumers’ goods than they get from current production». F.A. Hayek, The Pure Theory of
Capital, op. cit., p. 275. Si ricordi, inoltre, il contenuto della nota 13 sopra.
48
Come conseguenza della combinazione dei tre effetti che abbiamo appena studiato e che vengono
stimolati dal processo imprenditoriale di ricerca dei profitti, tenderà a prodursi una nuova struttura
di stadi di beni di capitale più «stretta» e più «allargata». Inoltre, il differenziale tra ricavi e costi di
ogni stadio, che costituisce il profitto contabile o tasso di interesse, tenderà a eguagliarsi lungo tutti
gli stadi della nuova struttura produttiva a un livello più ridotto (come naturalmente corrisponde a
un maggior volume di risparmio e a un tasso sociale di preferenza temporale più basso). La struttura
produttiva avrà, pertanto, una forma molto somigliante a quella a cui ricorriamo nel Grafico V-3.
Nel Grafico V-3 vediamo come il consumo finale si sia ridotto a settantacinque unità monetarie.
Questa riduzione ha colpito anche il valore del prodotto del secondo stadio, che è quello superiore o
precedente più vicino al consumo, e che è diminuito da ottanta unità monetarie nel Grafico V-1 a
64,25 u.m. nel Grafico V-3. E si produce anche una riduzione nel terzo stadio, sebbene ora già
proporzionalmente minore, da sessanta a 53,5 unità monetarie. Tuttavia, a partire dal quarto stadio e
dai successivi più lontani dal consumo, la domanda delle stesse in termini monetari è aumentata.
Prima leggermente, nel quarto stadio, da 40 a 42,75 u.m., e poi in maniera proporzionalmente molto
maggiore nel quinto stadio, che cresce da 20 a 32,25 unità monetarie, come vediamo nel Grafico V-
2. Inoltre, appaiono due nuovi stadi nella parte più lontana dal consumo, il sesto e settimo stadio,
che prima non esistevano.
Dopo che sono stati prodotti tutti gli aggiustamenti necessari, il tasso di profitto dei differenti stadi
tende a eguagliarsi a un livello sensibilmente più basso di quello del Grafico V-1. Questo fenomeno
è conseguenza dell’incremento del fatto che il risparmio volontario genera un tasso di interesse di
mercato più ridotto verso il quale tende il tasso di profitto contabile di ogni stadio (nel nostro
esempio, prossimo all’1,70 per cento annuale). In quanto al reddito netto che ricevono i fattori
originari di produzione (lavoro e risorse della natura) e il tasso di interesse o differenziale netto che
percepiscono i capitalisti di ogni stadio, resta stabilita in settantacinque unità monetarie, e coincide
con il reddito monetario che si spende in beni e servizi di consumo. È necessario mettere in risalto
che benché si spendano in beni e servizi di consumo solo settantacinque unità monetarie, cioè,
venticinque unità meno che nel Grafico V-1, una volta che si siano culminati tutti i nuovi processi
produttivi, aumenterà molto in termini reali la produzione di nuovi beni e servizi di consumo finali.
Questo è così perché i processi produttivi, man mano che si fanno con più alta intensità di capitale,
tendono a farsi anche, valga la ripetizione, più produttivi. E come una maggior produzione in
termini reali di beni e servizi di consumo può solo essere venduta in cambio di un numero totale di
49
unità monetarie inferiore (nel nostro esempio 75), nel caso in cui il prezzo unitario dei nuovi beni e
servizi che arrivano al mercato diminuisca molto significativamente, si verifica un incremento in
termini reali molto importante dei redditi dei fattori originari di produzione, e in concreto dei salari
e del livello di vita dei lavoratori.
Nelle Tabelle V-3 e V-4 riassumiamo tanto l’offerta e la domanda di beni presenti, quanto la
composizione del reddito sociale lordo dell’esercizio una volta che si sono prodotti tutti gli
aggiustamenti provocati dall’incremento del risparmio volontario. Come vediamo, l’offerta e la
domanda di beni presenti rimane stabilita in 295 unità monetarie, cioè, venticinque unità monetarie
in più che nel caso della Tabella V-1, poiché il risparmio e l’investimento lordi crescono,
precisamente, nel risparmio netto addizionale di venticinque unità monetarie che con carattere
volontario si produsse rispetto al caso precedente del Grafico V-1. Tuttavia, e come si osserva nella
Tabella V-4, il Reddito Sociale Lordo dell’esercizio permane inalterato in 370 unità monetarie,
delle quali 75 u.m. corrispondono alla domanda finale di beni di consumo e 295 u.m. all’offerta
totale di beni presenti. Cioè, benché il Reddito Sociale Lordo in termini monetari sia identico a
quello del caso precedente, si distribuisce ora in una maniera radicalmente diversa: ossia, lungo
una struttura produttiva più stretta e allargata, cioè, a maggiore intensità di capitale e con un numero
di stadi maggiore.
La diversa distribuzione dello stesso Reddito Sociale Lordo in termini monetari nell’una e nell’altra
struttura produttiva può apprezzarsi meglio nel Grafico V-4.
50
TABELLA V-4
REDDITO LORDO E REDDITO NETTO DELL’ESERCIZIO
75 u.m. di consumo finale + 295 u.m. di offerta totale di beni presenti (Risparmio e
Investimento lordi in dettaglio della Tabella V-3)
51
Proveniente dalla 7ª stadio: 10,59
In questo Grafico V-4 si visualizza l’impatto, sulla struttura produttiva, dell’incremento del
risparmio netto volontario in 25 unità monetarie, che risulta semplicemente dal sovrapporre il
Grafico V-1 (in tratto grosso) sul Grafico V-3 (che va in tratto ombreggiato). Si constata così che,
come conseguenza dell’aumento volontario del risparmio, si producono i seguenti effetti:
Primo: un approfondimento nella struttura dei beni di capitale, che si manifesta nell’«allargamento»
verticale della struttura produttiva con nuovi stadi (nel nostro esempio, gli stadi sesto e settimo che
prima non esistevano).
Secondo: un restringimento nella struttura dei beni di capitale, che si materializza nell’ampliamento
degli stadi già esistenti (come succede negli stadi quarto o e quinto).
Terzo: un restringimento relativo negli stadi dei beni di capitale più vicini al consumo.
E quarto, e in relazione allo stadio finale di beni e servizi di consumo, si produce, in un primo
momento, una diminuzione del consumo in termini monetari, dovuta all’incremento del risparmio
volontario. Tuttavia, quando si culmina l’allargamento della struttura produttiva, si verifica, come
già abbiamo spiegato, un grande aumento reale nella produzione di beni e servizi di consumo che,
dovendosi vendere a una domanda monetaria più ridotta, dà luogo, per la combinazione di questi
due effetti diretti nello stesso senso, a una diminuzione molto significativa dei prezzi di mercato dei
beni di consumo che, in ultima istanza, rende possibile un’importante crescita in termini reali dei
salari e, in generale, di tutte i redditi dei fattori originari di produzione56.
56
Le precedenti considerazioni evidenziano di nuovo fino a che punto le statistiche tradizionali del reddito nazionale e le misure
della loro crescita siano teoricamente insufficienti. Già abbiamo indicato che il reddito nazionale omette il reddito lordo sociale e
tende a esagerare l’importanza del consumo a detrimento degli stadi intermedi del processo produttivo. Adesso possiamo aggiungere
che le misurazioni statistiche della crescita economica e dell’evoluzione dell’indice dei prezzi si trovano ugualmente distorti
dall’essere basate fondamentalmente sullo stadio finale del consumo. Così, è facile rendersi conto di come, negli stadi iniziali del
processo che inizia quando aumenta il risparmio volontario, si arrivi a raccogliere statisticamente una diminuzione nella crescita
economica. In effetti, di fatto accade che in molte occasioni i beni finali di consumo e di investimento da subito diminuiscono, senza
che le statistiche della contabilità nazionale raccolgano il parallelo incremento dell’investimento negli stadi più lontani dal consumo,
52
Insomma, osserviamo che, anche se non si è prodotta diminuzione alcuna nell’offerta monetaria (e
in questo senso, non si è prodotto, in termini stretti, nessun fenomeno esterno di deflazione), e
nemmeno si è verificato un incremento nella domanda di moneta, supponendo pertanto l’una e
l’altro costanti, si produce una discesa generale nel prezzo di beni e servizi di consumo che ha la
sua origine, unicamente ed esclusivamente, nell’aumento del risparmio e nell’incremento della
produttività che dà luogo a una struttura produttiva a maggiore intensità di capitale. Tutto ciò
provoca, inoltre, un’importante crescita dei salari in termini reali, poiché, anche se nominalmente
mantengono il loro valore, o perfino si riducono di qualcosa, permettono di acquisire una quantità e
una qualità crescente di beni e servizi di consumo: la diminuzione nel prezzo di questi beni è
proporzionalmente molto maggiore di quella che può prodursi in relazione con i salari. Questo è,
insomma, il processo di crescita e sviluppo economico più sano e sostenuto che è possibile
concepire, cioè, con meno sconvolgimenti, tensioni e conflitti dal punto di vista economico e
sociale, e che storicamente si è verificato in diverse occasioni, così come hanno evidenziato gli
studi più risolutivi57.
la creazione di nuovi stadi, né molto meno l’aumento dell’investimento in prodotti intermedi non finali, stocks e inventari di capitale
circolante. Inoltre, l‘indice dei prezzi al consumo sperimenterà una diminuzione, poiché raccoglie unicamente l’effetto della minore
domanda monetaria negli stadi dei beni di consumo, senza che si raccolga adeguatamente in un indice la crescita dei prezzi negli
stadi più lontani dal consumo. Tutto questo porta al fatto che l’interpretazione popolare di questi fatti economici avanzata dai
differenti agenti (politici, giornalisti, leader sindacali e imprenditoriali) sulla base di queste misure statistiche della contabilità
nazionale sia molte volte erronea. F.A. Hayek, nell’ultima parte del suo articolo su «The Ricardo Effect» (Individualism and
Economic Order, op. cit., pp. 251-254), descrive in dettaglio le enormi difficoltà statistiche esistenti per raccogliere per mezzo della
Contabilità Nazionale gli effetti che sulla struttura produttiva ha un incremento del risparmio volontario e, in concreto, l’influenza
dell’«Effetto Ricardo» in questo caso. Più recentemente, e nel suo discorso di ricezione del Premio Nobel, F.A. Hayek ci mise
ugualmente in guardia contro la consuetudine molto estesa di accettare come certe teorie false per il mero fatto che, apparentemente,
si trovava un riscontro empirico per le stesse, rifiutando, e perfino ignorando, le spiegazioni teoriche corrette per il semplice fatto di
essere molto difficile, dal punto di vista tecnico, ricompilare l’informazione statistica necessaria per confermarle. Questo è
precisamente ciò che accade nel campo dell’applicazione della Contabilità Nazionale al processo di estensione e approfondimento
degli stadi della struttura produttiva più lontani dal consumo, che nasce sempre in conseguenza di un incremento del risparmio
volontario. Cfr. «The Pretence of Knowledge», Nobel Memorial Lecture, pronunciato l’11 di novembre del 1974 e rieditato in The
American Economic Review, dicembre del 1989, pp. 3-7.
57
Così, tra gli altri, Milton Friedman e Anna J. Schwartz, riferendosi al periodo dal 1865 al 1879 negli Stati Uniti, nel quale
praticamente non si produsse un incremento nell’offerta di moneta, concludono che: «The price level fell to half its initial level in the
course of less than fifteen years and, at the same time, economic growth proceeded at a rapid rate ... Their coincidence casts serious
doubts on the validity of the now widely held view that secular price deflation and rapid economic growth are incompatible». Milton
Friedman y Anna J. Schwartz, A Monetary History of the United States 1867-1960, Princeton University Press, Princeton 1971, p.
15, e anche l’importante tabella statistica della p. 30. E Alfred Marshall, riferendosi al periodo 1875-1885 in Inghilterra affermò che
«It is doubtful whether the last ten years, which are regarded as years of depression, but in which there have been few violent
movements of prices, have not, on the whole, conduced more to solid progress and true happiness than the alternations of feverish
activity and painful retrogression which have characterised every preceding decade of this century. In fact, I regard violent
fluctuations of prices as a much greater evil than a gradual fall of prices.» Alfred Marshall, Official Papers, Macmillan, Londra
1926, p. 9 (i corsivi sono miei). Infine, si deve consultare George A. Selgin, Less Than Zero: The Case for a Falling Price Level in a
Growing Economy, Institute of Economic Affairs (I.E.A.), Londra 1997.
58
L’essenza dell’argomento contro la tesi che il risparmio pregiudica lo sviluppo economico e che è necessario stimolare il consumo
per dare impulso alla crescita, fu esposto in maniera molto brillante e sintetica da Hayek nel 1932 quando evidenziò che è una
contraddizione logica pensare che l’aumento del consumo si materializzi in un incremento dell’investimento, poiché questa può solo
essere aumentata grazie a un incremento del risparmio che deve sempre andare a detrimento del consumo. Vediamo come lo spiega
proprio con le sue parole: «Money spent today on consumption goods does not immediately increase the purchasing power of those
who produce for the future; in fact, it actually competes with their demand and their purchasing power is determined not by current
53
La Nostra analisi ci ha anche permesso di trovare soluzione ai problemi posti dall’ipotetico dilemma
o paradosso del risparmio o della frugalità, in virtù del quale, benché il risparmio individuale sia
qualcosa di positivo nel senso che permette di incrementare il reddito, socialmente, al diminuire
della domanda aggregata di beni di consumo, finirà per colpire negativamente l’investimento e la
produzione59. Noi, al contrario, abbiamo dato gli argomenti teorici in forza dei quali questa
interpretazione basata sul vecchio mito del sotto consumo è erronea. In effetti, abbiamo dimostrato
come, con lo stesso reddito sociale lordo e anche se diminuisce la domanda monetaria di beni di
consumo, la società cresce e si sviluppa incrementando i salari reali. Abbiamo anche dimostrato
come, in assenza di interventi statali e di incrementi dell’offerta monetaria, esista una forza
poderosissima nel mercato che, stimolata dal desiderio di lucro dell’imprenditorialità, fa sì che la
struttura produttiva si allarghi e diventi sempre più complessa. Insomma, nonostante la diminuzione
relativa che inizialmente si produce nella domanda di beni di consumo come conseguenza del
but by past prices of consumer goods. This is so because the alternative always exists of investing the available productive resources
for a longer or a shorter period of time. All those who tacitly assume that the demand for capital goods changes in proportion to the
demand for consumer goods ignore the fact that it is impossible to consume more and yet simultaneously to defer consumption with
the aim of increasing the stock of intermediate products.» F.A. Hayek, «Capital Consumption», traduzione in inglese dell’articolo
precedentemente pubblicato con il titolo tedesco di «Kapitalaufzehrung», en el Weltwirtschaftliches Archiv, n.º 36, II, 1932, pp. 86-
108, la cui edizione inglese appare come il capitolo VI en Money, Capital and Fluctuations: Early Essays, The Univesity of Chicago
Press, Chicago 1984, pp. 141-142 (i corsivi sono miei). Proprio Hayek ci ricorda che questo principio tanto elementare venne già
enunciato da John Stuart Mill che, nella sua quarta proposizione relativa al capitale, stabiliva che: «demand for commodities is not
demand for labour», sebbene indichi che Stuart Mill non poté giustificare adeguatamente questo principio, che acquisirà il suo pieno
certificato di natura teorica soltanto con lo sviluppo della teoria del capitale da parte di Böhm-Bawerk e della teoria del ciclo da parte
di Mises e proprio di Hayek (Cfr. John Stuart Mill, Principles of Political Economy, Augustus M. Kelley, Fairfield, New Jersey
1976, Libro I, cap. V, n.º 9, pp. 79-88). La comprensione di questa idea tanto semplice è, per Hayek, il vero «test» di tutti gli
economisti: «More than ever it seems to me to be true that the complete apprehension of the doctrine that ‘demand of commodities is
not demand for labor’ is ‘the best test of an economist’.» F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, edizione del 1976, op. cit., p. 439
(p. 388 dell’edizione spagnola del 1946). Si tratta insomma di comprendere che è perfettamente possibile che un imprenditore di beni
di consumo guadagni denaro anche se le sue vendite non crescono o perfino diminuiscono se riduce i suoi costi sostituendo mano
d’opera con capitale immobilizzato (il cui maggior investimento genera posti di lavoro in altri stadi e rende più intensiva di capitale
la struttura produttiva della società).
59
Spetta a F.A. Hayek l’onore di essere stato il primo ad aver demolito teoricamente il supposto «paradosso del risparmio» già
nell’anno 1929, nel suo articolo «Gibt es einen ‘Widersinn des Sparens’?» (Zeitschrift für Nationalökonomie, Bd. I, Heft III, 1929),
tradotto in inglese con il titolo di «The ‘Paradox’ of Saving», Económica, maggio del 1931, e rieditato in Profits, Interest and
Investment, op. cit., pp. 199-263. In Italia mantenne una posizione molto simile a quella di Hayek il grande Augusto Graziani nel suo
articolo «Sofismi sul risparmio», pubblicato originariamente nella Rivista Bancaria, dicembre del 1932, e poi rieditato nei suoi Studi
di Critica Economica, Società Anonima Editrice Dante Alighieri, Milano 1935, pp. 253-263. È curioso mettere in risalto come un
autore del prestigio di Samuelson abbia continuato a difendere i vecchi miti della teoria del sottoconsumo che costituiscono la base
del paradosso o dilemma del risparmio o della frugalità nelle differenti edizioni del suo popolare libro di testo, appoggiandosi, come
è logico, sui sofismi della teoria keynesiana che avremo l’opportunità di commentare nel capitolo VII. Solamente nella tredicesima
edizione, la dottrina del «paradosso del risparmio» venne a essere considerata come materia opzionale, essendo scomparso il
corrispondente paradigma giustificativo (Paul A. Samuelson y William N. Nordhaus, Economics, 13.ª edizione, McGraw-Hill, New
York 1989, pp. 183-185). Dopo, nella quattordicesima edizione (McGraw-Hill, New York 1992), tutti i riferimenti al «dilemma della
frugalità» sono prudentemente e silenziosamente eliminati. Anche se, per disgrazia, di nuovo sono state incluse nella quindicesima
edizione (McGraw-Hill, New York 1995, pp. 455-457). Si confronti inoltre Mark Skousen «The Perseverance of Paul Samuelson’s
Economics», Journal of Economic Perspectives, vol. II, n.º 2, primavera del 1997, pp. 137-152. Il principale errore della teoria del
paradosso del risparmio consiste nell’ignorare i principi basilari della teoria del capitale e nel non concepire la struttura produttiva
come costituita da una serie di stadi successivi, supponendo implicitamente che esistano soltanto due stadi, quello della domanda
finale aggregata di consumo e quello costituito da un insieme unico di stadi intermedi di investimento, di modo che, nel modello
semplificato di «flusso circolare del reddito» che si considerano, l’effetto sul consumo dell’aumento del risparmio si suppone che si
trasmetta immediatamente e automaticamente a tutto l’investimento. Cfr., in questo senso, Mark Skousen, The Structure of
Production, op. cit., pp. 244-259.
54
maggior risparmio, la produttività del sistema economico si incrementa e con essa la produzione
finale di beni e servizi di consumo e i salari reali60.
Il ragionamento che abbiamo svolto fino ad ora si può invertire, mutatis mutandis, per spiegare gli
effetti che avrà una diminuzione del risparmio volontario nella società. Partendo da una struttura
produttiva come quella riflessa nel Grafico V-3, se la società nel suo insieme decide di risparmiare
meno, si produrrà un incremento, per esempio di venticinque unità monetarie, nella domanda
monetaria di beni e servizi di consumo che farà sì che questa cresca da settantacinque a cento unità
monetarie. Tenderà così a prodursi una crescita molto grande nelle industrie e nelle imprese degli
stadi più vicini al consumo e, pertanto, un aumento dei loro profitti contabili. Benché questo abbia,
apparentemente, gli effetti di un boom sul consumo, alla lunga dà luogo al fatto che si produce un
«appiattimento» nella struttura produttiva, poiché si ritireranno risorse produttive dagli stadi più
lontani dal consumo per trasferirle verso quelli più vicini. In effetti, i maggiori profitti contabili
degli stadi vicini al consumo finale deprimeranno in termini relativi la produzione di quelli più
lontani, con il che tende a prodursi un minore investimento in essi. Inoltre, il calo del risparmio fa sì
che il tasso di interesse di mercato si elevi e che si riduca il corrispondente valore attuale dei beni di
capitale durevoli, con la conseguenza che si tenderà anche a investire meno in essi. Infine,
60
Murray N. Rothbard (Man, Economy and State, pp. 476-479) ha evidenziato che, come conseguenza dell’allargamento della
struttura produttiva che abbiamo analizzato e che risulta dall’aumento del risparmio volontario, a priori non può determinarsi se si
produce o meno un incremento nel reddito che arriva ai capitalisti sotto forma di interesse. Nel nostro esempio grafico, questa cosa,
per esempio, non avviene in termini monetari e probabilmente nemmeno in termini reali. Questo si deve al fatto che, anche se il
risparmio e l’investimento lordo crescono, non possiamo sapere, con il solo aiuto della teoria economica, se il valore del reddito
derivato dall’interesse cadrà, aumenterà o permarrà uguale, essendo una qualunque di queste alternative quella possibile.
Ugualmente, è indeterminato ciò che accadrà con il reddito monetario dei fattori originari di produzione. Nel nostro esempio si
mantiene inalterata, il che dà luogo a un incremento molto grande della suo reddito reale quando cade il prezzo dei beni di consumo.
Tuttavia, è anche possibile che il reddito dei fattori originari in termini monetari si riduca, benché sempre meno della riduzione che
sperimentano i prezzi di beni e servizi di consumo. È chiaro che, anche se oggigiorno ci costa lavoro concepire un’economia in
rapido sviluppo economico e nella quale il reddito monetario dei fattori, e in concreto del lavoro, si riduce, ciò è perfettamente
possibile se il prezzo dei beni e dei servizi finali di consumo diminuisce a un ritmo ancora più rapido. Inoltre, Rothbard illustra
matematicamente questo argomento mediante la seguente formula: se il prezzo del servizio di qualsiasi fattore è uguale a
, dove MPP è il valore della sua produttività marginale fisica e P il prezzo monetario che si spera di ottenere per i beni e
i servizi di consumo che si producano con tale fattore, essendo d il tasso di interesse al quale si sconta il valore della produttività
marginale (d = 1 + i); il prezzo reale del fattore sarà uguale a , posto che il valore scontato della produttività marginale
deve dividersi a sua volta per i prezzi monetari di beni e servizi di consumo per trovare il valore reale o il reddito reale del prezzo del
fattore. P e P si cancellano nel numeratore e nel denominatore, con ciò il prezzo reale del fattore sarà approssimativamente uguale a
, cioè, alla produttività marginale fisica divisa per il tasso di interesse. Pertanto, man mano che il tasso di interesse si riduca
al crescere del risparmio, il valore reale dei fattori originari di produzione (reddito del lavoro e delle risorse della natura) tenderà a
incrementarsi. Anche se l’esempio di Rothbard soffre dei tipici difetti che ha sempre l’analisi matematica in economia
(rappresentazione mediante simboli di quantità eterogenee, con le quali erroneamente si suppone che si possa operare), almeno serve
come un diagramma che sotto forma semplificata illustra il ragionamento economico sottostante.
55
l’«Effetto Ricardo» agisce in senso contrario: una crescita dei prezzi di beni e servizi di consumo
presuppone un’immediata diminuzione dei salari reali e dei restanti redditi dei fattori originari, il
che incentiva la sostituzione di capitale immobilizzato con mano d’opera, ora relativamente più a
buon mercato.
Il risultato combinato di tutti questi effetti è un appiattimento della struttura produttiva, che passa a
essere come quella descritta nel Grafico V-1, e nella quale, anche se in termini monetari c’è una
domanda di beni e servizi di consumo superiore, in termini reali si è prodotto un impoverimento
generalizzato della società. In effetti, la struttura produttiva con minore intensità di capitale farà sì
che arrivino meno beni e servizi di consumo allo stadio finale che, tuttavia, sperimenta
un’importante crescita nella sua domanda monetaria. Si produce, pertanto, una diminuzione nella
produzione di beni e servizi di consumo e un’importante crescita nel prezzo degli stessi che è un
risultato combinato dei due effetti precedenti. E conseguenza di tutto ciò è un impoverimento
generalizzato della società, e in concreto dei lavoratori, che vedono come i loro salari diminuiscano
in termini reali, poiché, anche se in termini monetari permangono costanti o arrivano perfino a
crescere, restano comunque sempre dietro la crescita sperimentata nel prezzo monetario di beni e
servizi di consumo.
Secondo John Hicks, fu Boccaccio quello che, in un curioso passaggio dell’Introduzione al
Decamerone, scritto approssimativamente verso l’anno 1360, descrisse per la prima volta, e in
termini abbastanza precisi, un processo molto somigliante a quello che abbiamo appena analizzato,
quando raccontò l’impatto che sui cittadini di Firenze ebbe la Grande Peste del secolo XIV. In
effetti, l’epidemia generò la sensazione che la speranza di vita si andasse riducendo drasticamente,
per cui imprenditori e lavoratori, invece di risparmiare e «allungare» gli stadi del loro processo
produttivo lavorando le loro terre e il loro bestiame, si dedicarono a incrementare il consumo
presente61. Dopo questo commento di Boccaccio, il primo economista che seriamente analizza gli
effetti della diminuzione del risparmio e del declino economico a cui la stessa dà luogo è Böhm-
Bawerk nella sua opera Capital and Interest62, dove spiega in ogni dettaglio che, se gli individui in
generale decidono di consumare di più e risparmiare di meno, si produce un fenomeno di consumo
dello stock di beni di capitale che, in ultima istanza, diminuisce la capacità produttiva e la
61
Proprio nelle parole di John Hicks: «Boccaccio is describing the impact on people’s minds of the Great Plague at Florence, the
expectation that they had not long to live. ‘Instead of furthering the future products of their cattle and their land and their own past
labour, they devoted all their attention to the consumption of present goods’.» E John Hicks si domanda: «Why does Boccaccio write
like Böhm-Bawerk? The reason is surely that he was trained as a merchant.» John Hicks, Capital and Time: A Neo-Austrian Theory,
Clarendon Press, Oxford 1973, pp. 12-13.
62
Eugen von Böhm-Bawerk, Capital and Interest, Volume II, The Positive Theory of Capital, op. cit., pp. 113-114. Dopo questa
analisi, Böhm-Bawerk giunge alla conclusione che il risparmio è la condizione precedente indispensabile per la formazione del
capitale. Proprio nelle parole di Böhm-Bawerk: «Dass Ersparung eine unentbehrliche Bedingung der Kapitalbildung ist» (Eugen von
Böhm-Bawerk, edizione tedesca, op. cit., p. 134).
56
produzione di beni e servizi di consumo, dando luogo a un impoverimento generalizzato della
società63.
3
EFFETTI DELL’ESPANSIONE CREDITIZIA BANCARIA NON COPERTA
DA UN AUMENTO DEL RISPARMIO: LA TEORIA AUSTRIACA
O DEL CREDITO CIRCOLANTE DEL CICLO ECONOMICO
Studieremo in questo paragrafo gli effetti che ha sulla struttura produttiva la creazione di crediti da
parte delle banche senza copertura di un aumento precedente del risparmio volontario. Si tratta,
pertanto, di un caso radicalmente distinto da quello studiato nel paragrafo precedente, nel quale la
concessione di crediti veniva pienamente coperta dal corrispondente aumento del risparmio
volontario. Ora, e in consonanza con il processo di espansione di crediti a cui dà luogo il negozio
bancario esercitato con un coefficiente di riserva frazionaria che abbiamo studiato in dettaglio nel
capitolo IV, la creazione di credito da parte di una banca darà luogo a una scrittura contabile che
nella sua versione più elementare avrà, come già sappiamo, la seguente struttura:
Queste scritture contabili, identiche a quelle numero (17) e (18) del capitolo IV, riassumono, in una
maniera semplificata e sintetica, il fatto incontestabile che la banca è in grado di generare dal nulla
nuove unità monetarie sotto forma di depositi o mezzi fiduciari che sono concessi al pubblico come
63
Fritz Machlup ha illustrato molto chiaramente l’errore dei teorici del paradosso o dilemma del risparmio con il caso storico
concreto dell’economia austriaca successiva alla Prima Guerra Mondiale, nella quale si fece tutto il possibile per fomentare il
consumo e, nonostante questo, il paese si impoverì enormemente, concludendo ironicamente che: «Austria had most impressive
records in five lines: she increased public expenditures, she increased wages, she increased social benefits, she increased bank
credits, she increased consumption. After all these achievements she was on the verge of ruin.» Fritz Machlup, «The Consumption of
Capital in Austria», Review of Economic Statistics, 17(1), anno 1935, pp. 13-19. Processi simili di impoverimento furono quelli
sperimentati nell’Argentina del generale Perón, o in Portogallo dopo la «Rivoluzione dei Garofani». In Spagna ha studiato il ruolo
necessario del risparmio e dell’etica individuale della frugalità per la crescita economica Francisco Cabrillo nel suo articolo «Los
economistas y la ética del ahorro», Papeles de economía española, n.º 47, 1991, pp. 173-178.
57
presiti o crediti senza che, preventivamente, questo abbia deciso di incrementare il suo volume di
risparmio64. In seguito studieremo gli effetti che questo fatto importante ha sui processi di
coordinamento e interazione economica che si svolgono nella società.
La creazione di moneta da parte del sistema bancario e la sua materializzazione sotto forma di
crediti ha effetti reali sulla struttura produttiva dell’economia, che è necessario distinguere molto
chiaramente da quelli che abbiamo studiato nel paragrafo precedente in relazione ai crediti concessi
con copertura di risparmio. In concreto, la generazione di crediti a partire dal nulla (cioè, senza
aumento di risparmio) incrementa l’offerta di credito al sistema economico e, in special modo, alle
differenti stadi di beni di capitale della struttura produttiva. Da questo punto di vista, la maggior
offerta di crediti che risulta dall’espansione creditizia bancaria avrà, in un primo momento, un
effetto molto simile a quello che generava il flusso di nuovi crediti provenienti dal risparmio che fu
analizzato in dettaglio nel paragrafo precedente: tende a produrre un ampliamento e un
allungamento degli stadi della struttura produttiva.
L’«ampliamento» dei differenti stadi è facile da comprendere, poiché i crediti vengono concessi
fondamentalmente ai processi produttivi che costituiscono ognuno di essi. Ugualmente, nel caso del
credito concesso per il finanziamento di beni di consumo durevole, l’effetto è anche quello di
produrre un ampliamento e un allungamento della struttura produttiva, poiché, come già abbiamo
indicato in precedenza, i beni di consumo durevole sono economicamente assimilabili ai beni di
capitale lungo tutto il periodo di tempo durante il quale possono continuare a prestare i loro servizi.
Pertanto, perfino nel caso della concessione di prestiti al consumo (sotto forma di finanziamento di
beni di consumo durevole), la maggior affluenza di crediti tenderà a incrementare tanto la quantità
quanto la qualità di tale tipo di beni.
L’«allungamento» della struttura produttiva ha la sua origine nel fatto che solo le banche sono in
grado di introdurre nel sistema economico nuova moneta che creano dal nulla e concedono sotto
forma di crediti, riducendo temporalmente e in maniera artificiale il tasso di interesse del mercato
creditizio, così come ammorbidendo e facilitando il resto delle condizioni economiche e contrattuali
che esigono dai loro clienti al momento di erogare loro i prestiti. Questa riduzione del tasso di
interesse del mercato creditizio non deve materializzarsi sempre in una diminuzione in termini
assoluti, ma basta che la stessa si verifichi almeno in termini relativi, cioè, in relazione al tasso di
64
«So far as deposits are created by the banks ... money means are created, and the command of capital is supplied, without cost or
sacrifice on the part of the saver». F.W. Taussig, Principles of Economics, 3.ª edizione, Macmillan, New York 1939, vol. I, p. 357.
58
interesse che sarebbe prevalso sul mercato se non si fosse verificata l’espansione creditizia65. Perciò
è compatibile perfino con il fatto che il tasso di interesse salga in termini assoluti, purché meno di
quanto si sarebbe elevato in un contesto senza espansione creditizia (per esempio, se si verifica la
stessa in mezzo a una generalizzata diminuzione nel potere d’acquisito della moneta); o con il fatto
che, ribassandosi, il tasso di interesse si riduca ancora di più di quello che si sarebbe abbassato se
non si fosse prodotta l’espansione creditizia (per esempio, in un processo nel quale, al contrario, la
capacità acquisitiva della moneta sta aumentando). Pertanto, la riduzione del tasso di interesse alla
quale ci stiamo riferendo è una realtà che ci spiega la teoria e che si dovrà interpretare storicamente
tenendo conto delle circostanze particolari di ogni caso.
La riduzione, in termini relativi, del tasso di interesse che genera l’espansione creditizia dà luogo a
un incremento nel valore attuale dei beni di capitale, poiché il flusso atteso dei suoi rendimenti sale
di valore al momento dello sconto utilizzando un tasso di interesse di mercato più basso.
Ugualmente, la riduzione del tasso di interesse fa sì che appaiano come profittevoli progetti di
investimento che fino a quel momento non lo erano, dando luogo alla comparsa di nuovi stadi più
lontani dal consumo, cioè, con più alta intensità di capitale, in maniera molto simile a come
vedemmo accadere quando si incrementava in modo effettivo il risparmio volontario della società.
Tuttavia, dobbiamo mettere in risalto che, anche se gli effetti iniziali sono molto somiglianti a quelli
già studiati nel caso dell’aumento del risparmio volontario, qui l’allungamento e l’ampliamento66
degli stadi produttive si verifica, unicamente ed esclusivamente, come conseguenza delle maggiori
facilità creditizie che la banca concede a tassi di interesse relativamente più bassi, ma senza che si
sia prodotto in via preventiva alcun incremento del risparmio volontario. Dobbiamo ricordare, poi,
che l’allungamento sostenuto dalla struttura produttiva è possibile solo se preventivamente è stato
prodotto il necessario risparmio sotto forma di una diminuzione della domanda finale di beni di
consumo che renda possibile il mantenimento dei differenti agenti produttivi, a carico dei beni e dei
servizi di consumo che rimangono invenduti, mentre si culminano i nuovi processi intrapresi e il
65
«It does not matter whether this drop in the gross market rate expresses itself in an arithmetical drop in the percentage stipulated in
the loan contracts. It could happen that the nominal interest rates remain unchanged and that the expansion manifest itself in the fact
that at these rates loans are negotiated which would not have been made before on account of the height of the entrepreneurial
component to be included. Such an outcome too amounts to a drop in gross market rates and brings about the same consequences».
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 552.
66
«When under the conditions of credit expansion the whole amount of the additional money substitutes is lent to business,
production is expanded. The entrepreneurs embark either upon lateral expansion of production (viz., the expansion of production
without lengthening the period of production in the individual industry) or upon longitudinal expansion (viz., the lengthening of the
period of production). In either case, the additional plants require the investment of additional factors of production. But the amount
of capital goods available for investment has not increased. Neither does credit expansion bring about a tendency toward a restriction
of consumption.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 556.
59
risultato più produttivo di questi comincia a raggiungere il mercato sotto forma di beni di
consumo67.
Gli imprenditori, insomma, si decidono a intraprendere nuovi progetti di investimento, ampliando e
allungando gli stadi dei beni di capitale della struttura produttiva, cioè, agendo come se il risparmio
della società si fosse incrementato, quando di fatto tale cosa non è avvenuta. Ciò significa che, così
come nel caso dell’aumento del risparmio volontario, analizzato nel paragrafo precedente, tendeva a
prodursi un coordinamento tra i comportamenti individuali dei differenti agenti economici,
rendendosi compatibili tra loro, di modo che le risorse reali che non si consumavano più e che e che
si risparmiavano permettevano il mantenimento e l’allargamento della struttura produttiva. Ora il
fatto che gli imprenditori, rispondendo alla concessione di nuovi prestiti sotto forma di espansione
creditizia, si comportano come se il risparmio fosse aumentato, dà impulso a un processo di
scombussolamento o mancato coordinamento nel comportamento dei differenti agenti economici. In
effetti, gli imprenditori si lanciano a investire e ad allungare lateralmente e longitudinalmente la
struttura produttiva reale senza che gli agenti economici abbiano deciso di aumentare il loro
risparmio del volume necessario per finanziare i nuovi investimenti. Si tratta, insomma, di un
esempio tipico di induzione a un errore massiccio di calcolo economico o di stima sul quale gli
imprenditori finiranno per fondare il risultato dei loro differenti corsi d’azione. Questo errore di
calcolo economico ha la sua origine nel fatto che uno degli indicatori essenziali di cui hanno tenuto
conto gli imprenditori al momento di agire, il tasso di interesse (e le maggiori o minori facilitazioni
del mercato creditizio), è temporalmente manipolato e artificialmente ridotto dalle banche nel
processo di espansione creditizia che intraprendono68. Con parole di Ludwig von Mises, «il ribasso
dell’interesse viene a falsare il calcolo imprenditoriale. Nonostante non ci sia una maggior quantità
di beni di capitale disponibili, si includono nei calcoli parametri che saranno conformi solo nel
presupposto di aver aumentato le formazioni di beni di capitale. Il risultato, di conseguenza, induce
all’errore. I calcoli fanno sì che sembrino profittevoli e praticabili attività che non lo sarebbero se il
tasso di interesse non fosse stato ribassato artificialmente mediante l’espansione creditizia. Gli
67
«A lengthening of the period of production is only practicable, however, either when the means of subsistence have increased
sufficiently to support the laborers and entrepreneurs during the longer period or when the wants of producers have decreased
sufficiently to enable them to make the same means of subsistence do for the longer period». Ludwig von Mises, The Theory of
Money and Credit, op. cit., p. 400.
68
Altrove ho spiegato teoricamente perché l’esercizio sistematico della coercizione e la manipolazione degli indicatori del mercato,
risultato dell’intervento governativo o della concessione di privilegi da parte del governo a gruppi di interesse (sindacati, banche,
ecc.), impediscano che si crei e si scopra l’informazione necessaria per coordinare la società, così che si generano in maniera
sistematica gravi scombussolamenti e mancati coordinamenti sociali. Cfr. Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y
función empresarial, op. cit., cap. II e III.
60
imprenditori si imbarcano nella realizzazione di tali progetti. L’attività commerciale viene
stimolata. Comincia un periodo di auge o espansione (boom)»69.
Il mancato coordinamento si manifesta, prima di tutto, nell’inizio di un periodo di grande
ottimismo, esagerato e sproporzionato, che ha la sua ragione nel fatto che gli agenti economici si
sentono capaci di ampliare la struttura produttiva senza vedersi costretti parallelamente a sacrificarsi
riducendo il loro consumo per generare risparmio. Nel paragrafo precedente abbiamo visto come
l’allargamento della struttura produttiva si rendesse possibile esattamente grazie al sacrificio
precedente che esigeva ogni incremento del risparmio. Ora osserviamo come gli imprenditori si
lancino ad ampliare e ad allungare gli stadi dei processi produttivi senza che tale risparmio
precedente si sia verificato. Il mancato coordinamento non può essere più palese né l’eccesso
iniziale di ottimismo più giustificato, poiché è come se fosse possibile intraprendere processi di
produzione più lunghi senza nessun sacrificio né accumulazione preventiva di capitale. Insomma,
va generandosi un equivoco massiccio da parte degli imprenditori, che assumono e iniziano processi
produttivi che considerano profittevoli, quando in realtà non lo sono. Questo equivoco alimenta un
generalizzato ottimismo, basato sulla credenza che è possibile ampliare e allargare gli stadi dei
processi produttivi senza che nessuno si sia visto costretto a risparmiare. Il mancato coordinamento
intertemporale si ingrandisce sempre di più: alcuni, gli imprenditori, investono come se il risparmio
della società non smettesse di crescere; altri, i consumatori, continuano a consumare a un ritmo
inalterato e non si preoccupano di incrementare il loro risparmio70.
Al fine di illustrare l’effetto iniziale che l’espansione creditizia ha sulla struttura produttiva reale,
presenteremo, seguendo lo stesso sistema utilizzato nel paragrafo precedente, una serie di schemi
che rappresentano in maniera grafica l’impatto sulla struttura produttiva dell’espansione creditizia.
È necessario avvertire, tuttavia, che è praticamente impossibile rappresentare in forma grafica i
complessi effetti che si producono sul mercato quando l’espansione creditizia dà luogo al processo
generalizzato di mancato coordinamento che stiamo descrivendo. Pertanto, occorre essere molto
cauti rispetto all’apprezzamento degli schemi grafici che presenteremo, dando loro unicamente ed
esclusivamente il valore di illustrare e facilitare la comprensione dell’argomento economico
69
Ludwig von Mises, La acción humana, op. cit., p. 656. Poiché tutti i risparmi si traducono o si materializzano sempre in beni di
capitale, anche se da subito questi sono semplicemente i beni di consumo che all’aumentare del risparmio restano invenduti,
l’espressione di Mises è pienamente corretta. Si ricordi il contenuto delle note 13 e 55 sopra.
70
Lionel Robbins, nella sua opera The Great Depression, The Macmillan Company, New York 1934, elenca le seguenti dieci
caratteristiche tipiche di ogni processo di boom:prima, il tasso di interesse si riduce in termini relativi; seconda, i tassi di interesse a
breve termine cominciano a cadere; terza, i tassi di interesse a lungo termine si riducono anch’essi; quarta, la quotazione delle
obbligazioni si eleva; quinta, si incrementa la velocità di circolazione della moneta; sesta, salgono le azioni in borsa; settima, il
valore degli immobili comincia a crescere a ritmo accelerato; ottava, si produce un boom industriale e sorge una gran quantità di
emissioni di titoli sul mercato primario; nona, il prezzo delle risorse naturali e dei beni intermedi cresce; e, per ultimo, in decimo
luogo, il mercato dei titoli sperimenta una crescita esorbitante che si basa sull’aspettativa di un aumento ininterrotto dei profitti
imprenditoriali (pp. 39-42). Roger Garrison interpreta tutti questi fenomeni come un trasferimento verso l’esterno non sostenibile
nella curva delle possibilità massime di produzione. Cfr. Time and Money: The Macroeconomics of Capital Structure, op. cit., pp.
67-76.
61
essenziale. E risulta praticamente impossibile rappresentare in grafici tutto ciò che non siano
situazioni strettamente statiche, per il fatto che quelli inevitabilmente occultano i processi dinamici
che si producono tra l’una e l’altra. Tuttavia, fatta questa avvertenza, la rappresentazione grafica
degli stadi della struttura produttiva che proponiamo può, senza dubbio alcuno, aiutare a illustrare
l’argomento teorico essenziale e facilitare molto la sua comprensione71.
Nel Grafico V-5 viene rappresentato, in maniera semplificata, l’effetto che ha sulla struttura degli
stadi produttivi l’espansione creditizia prodotta dal sistema bancario senza che si sia prodotto il
necessario aumento di risparmio della società. Vediamo, paragonandolo con il Grafico V-1 di
questo medesimo capitolo, che il consumo finale permane inalterato in cento unità monetarie, in
consonanza con il nostro presupposto che non si sia prodotto alcun aumento del risparmio netto.
Tuttavia, c’è una creazione di nuova moneta (depositi o mezzi fiduciari) che entra nel sistema sotto
forma di espansione creditizia, e che si colloca nello stesso mediante la riduzione, in termini
relativi, del tasso di interesse (accompagnata dal tipico ammorbidimento nelle condizioni
contrattuali e di concessione dei crediti), necessaria affinché gli agenti economici si decidano ad
accettare di prendere a prestito i nuovi crediti creati. Perciò vediamo come il tasso di profitto dei
differenti stadi produttivi, che come già sappiamo tende a coincidere con il tasso di interesse che si
ottiene per anticipare beni presenti in cambio di beni futuri in ognuno di essi, allora si riduce dall’11
per cento del nostro esempio del Grafico V-1, a poco più del 4 per cento annuale. Inoltre, i nuovi
crediti consentono che gli imprenditori di ogni stadio produttivo siano disposti a pagare di più ai
corrispondenti fattori originari di produzione, così come ai beni di capitale provenienti dagli stadi
precedenti e da quelli che forniscono i loro corrispondenti processi produttivi. Nella Tabella V-5
abbiamo rappresentato l’offerta e la domanda di beni presenti che si produce quando sorge
l’espansione creditizia bancaria non coperta da risparmio. Si osserva come l’offerta di beni presenti
si incrementi dalle duecentosettanta unità monetarie del nostro esempio della Tabella V-1 a
qualcosa di più di trecentottanta unità monetarie, che a loro volta sono composte dalle stesse
duecento settanta unità monetarie dell’esempio del paragrafo precedente e che avevano la loro
71
Vogliamo, con questa avvertenza, evitare l’errore nel quale potrebbero cadere tutti quelli che pretendessero di dare
un’interpretazione strettamente teorica dei nostri grafici, come accadde a Nicholas Kaldor nella sua analisi critica della teoria di
Hayek, così come recentemente hanno sottolineato Laurence S. Moss e Karen I. Vaughn, per i quali «the problem is not to learn
about adjustments by comparing states of equilibrium but rather to ask if the conditions remaining at T1 make the transition to T2 at
all possible. Kaldor’s approach indeed assumed away the very problem that Hayek’s theory was designed to analyze, the problem of
the transition an economy undergoes in moving from one coordinated capital structure to another.» Si confronti il suo articolo
«Hayek’s Ricardo Effect: A Second Look», in History of Political Economy, n.º 18:4, anno 1986, p. 564. Gli articoli nei quali Kaldor
criticava Hayek furono «Capital Intensity and the Trade Cycle», Economica, febbraio del 1939, pp. 40-66; e anche «Professor Hayek
and the Concertina Effect», Economica, novembre del 1942, pp. 359-382. Curiosamente, Kaldor aveva tradotto dal tedesco
all’inglese l’opera di Hayek Monetary Theory and the Trade Cycle, pubblicata per la prima volta nel 1933 (Routledge, Londra).
Recentemente Rudy van Zijp ha segnalato che le critiche di Kaldor e altri all’«Effetto Ricardo» hayekiano derivavano dal fatto che
partivano da un’ipotetica situazione di equilibrio generale che non ammetteva l’analisi dinamica del mancato coordinamento
intertemporale che induce nel mercato tutta l’espansione creditizia. Cfr.e Rudy van Zijp, Austrian and New Classical Business Cycle
Theory, Edward Elgar, Aldershot, Inghilterra 1994, pp. 51-53.
62
origine nelle risorse reali risparmiate, più altre centotredici unità monetarie che sono state create
dall’espansione creditizia delle banche senza copertura di risparmio alcuno. Pertanto, l’espansione
creditizia ha l’effetto di incrementare artificialmente l’offerta di beni presenti, che sono domandati a
tassi di interesse più ridotti dai proprietari dei fattori originari di produzione e dai capitalisti degli
stadi precedenti più lontani dal consumo. Inoltre, si constata nella Tabella V-5 che il reddito lordo
dell’esercizio è di più di quattrocentottantatré unità monetarie, centotredici unità più del reddito
lordo dell’esercizio prima dell’espansione creditizia rappresentata nella Tabella V-2
Nel Grafico V-6 rappresentiamo in maniera semplificata l’effetto che ha l’aumento dell’ espansione
creditizia da parte delle banche (non coperta da un aumento precedente del risparmio volontario)
sulla struttura produttiva. Questo effetto si materializza, nel nostro esempio, nell’allargamento della
struttura produttiva mediante la comparsa di due nuovi stadi, il sesto e il settimo, che prima
dell’espansione creditizia non esistevano e che sono ora i più lontani dal consumo finale.
Ugualmente, si produce un ampliamento degli stadi produttivi preesistenti (dalla seconda alla
quinta). La somma delle unità monetarie che costituiscono la domanda monetaria di ogni nuovo
ampliamento e allungamento di stadi produttiv, e che è rappresentata nel grafico dalla zona
ombreggiata, totalizza, precisamente, le 113,75 u.m. che costituiscono l’incremento di reddito
monetario lordo dell’esercizio e che ha la sua origine, esclusivamente, nella creazione di nuova
moneta sotto forma di espansione creditizia da parte delle banche.
Tuttavia, non ci dobbiamo lasciare ingannare dal contenuto del nostro Grafico V-5, poiché la nuova
struttura di stadi produttivi che nello stesso rappresentiamo si basa su un generalizzato mancato
coordinamento intertemporale, che ha la sua origine nell’errore imprenditoriale massivo indotto
dalla comparsa con carattere esterno di un importante volume di nuovi crediti che sono concessi a
tassi di interesse artificialmente ridotti senza l’esistenza di copertura di risparmio precedente reale.
Questa anomala situazione di mancato coordinamento non potrà mantenersi e nel paragrafo
seguente spiegheremo in dettaglio in che cosa consiste la reazione che in modo inesorabile si
produce nel mercato come conseguenza dell’espansione creditizia. Cioè, spiegheremo quali sono le
63
ragioni di teoria microeconomica pura che vanno a mettere un limite e a far ritornare il mancato
coordinamento «macroeconomico» che abbiamo mostrato.
Studieremo, pertanto, le ragioni per le quali si va a riformare completamente il processo di mancato
coordinamento intertemporale che l’espansione creditizia inizialmente ha causato. E tutta
l’aggressione al processo sociale, sotto forma di interventismo, coercizione sistematica,
manipolazione dei suoi indicatori essenziali (come è il prezzo dei beni presenti in funzione dei beni
futuri o tasso di interesse di mercato) o concessione di privilegi contro i principi tradizionali del
diritto, dà luogo, in maniera spontanea, a processi di interazione sociale che, mossi precisamente
dalla capacità coordinatrice della funzione imprenditoriale, tendono a fermare e a replicare i
mancati coordinamenti e gli errori commessi. Spetta a Ludwig von Mises il grande merito di essere
stato il primo a sottolineare, già nel 1912, che l’espansione creditizia dà luogo a effetti di boom e
ottimismo che, forzatamente, presto o tardi finiscono per tornare indietro. Vediamo come lo
espresse proprio con le sue parole: «L’aumento dell’attività produttiva che segue alla politica delle
banche di concedere prestiti a un tasso inferiore a quello naturale fa sì che i prezzi dei beni di
produzione si elevino, mentre quelli dei beni di consumo, benché salgano sempre, lo fanno in un
grado più moderato, ossia, quello sperimentato dai salari. In questo modo si rafforza la tendenza alla
caduta nel tasso di interesse dei prestiti originati dalla politica bancaria. Ma ha subito luogo un
movimento opposto: i prezzi dei beni di consumo si elevano, quelli dei beni di produzione
discendono. Questo è ciò che accade, il tasso di interesse dei prestiti si eleva nuovamente,
approssimandosi al tasso naturale»72. Benché, come avremo l’opportunità di studiare più avanti,
prima di Mises diversi trattatisti della Scuola di Salamanca (Saravia de la Calle) e altri del secolo
XIX (Henry Thornton, Condy Raguet, Geyer, etc.), principalmente della cosiddetta Scuola
Monetaria o Currency School già intuirono che i booms generati dall’espansione creditizia in ultima
istanza si avvitavano in maniera spontanea dando luogo a crisi economiche, tuttavia fu Mises il
72
Ludwig von Mises, Teoría del dinero y del crédito, Unión Editorial, Madrid 1997, p. 335 (i corsivi sono miei). Le due ultime frasi
sono così importanti che merita la pena riassumere come espresse l’idea essenziale Ludwig von Mises nella sua edizione originale
tedesca: «Aber bald setzt eine rückläufige Bewegung ein: Die Preise der Konsumgüter steigen, die der Produktivgüter sinken, das
heibt der Darlehenszinsfub steigt wieder, er nähert sich wieder dem Satze des natürlichen Kapitalzinses.» Ludwig von Mises, Theorie
des Geldes und der Umlaufsmittel, Duncker & Humblot, 2.ª edizione tedesca, Munich e Leipzig 1924, p. 372. Occorre segnalare che
Mises, molto influenzato dalla dottrina dell’«interesse naturale» di Wicksell, articola la sua teoria in base alle disparità che si
verificano lungo il ciclo tra l’«interesse naturale» e l’«interesse lordo del mercato creditizio» (o «monetario»), temporalmente ridotto
dalla banca nel suo processo di espansione creditizia. Anche se l’analisi di Mises ci pare impeccabile, noi abbiamo preferito esporre
la teoria del ciclo basandoci direttamente sugli effetti dell’espansione creditizia sulla struttura produttiva, sottraendo qualcosa al
protagonismo dell’analisi misesiana sulle disparità tra l’«interesse naturale» e quello «monetario». Il principale lavoro di Knut
Wicksell è, ai nostri fini, Geldzins und Güterpreise: Eine Studie über die den Tauschwert des Geldes bestimmenden Urchachen,
Verlag von Gustav Fischer, Jena 1898, tradotto in inglese da R.F. Kahn con il titolo di Interest and Prices: A Study of the Causes
Regulating the Value of Money, Macmillan, Londra 1936 e Augustus M. Kelley, New York 1965. L’analisi di Wicksell è, ciò
nonostante, molto inferiore a quella di Mises, specialmente perché si appoggia quasi esclusivamente sull’evoluzione del livello
generale dei prezzi, più che sulle variazioni dei prezzi relativi nella struttura dei beni capitali, che è il cuore essenziale della nostra
teoria. Mises ricapitolò e completò la sua teoria del ciclo in Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik, Gustav Fischer, Jena 1928
(trad. inglese di Bettina Bien Greaves, «Monetary Stabilization and Cyclical Policy», On the Manipulation of Money and Credit,
Freemarket Books, Dobbs Ferry, New York 1978).
64
primo ad articolare e a spiegare correttamente le ragioni di teoria economica per le quali questo
necessariamente è così. Ciò nonostante il fondamentale apporto iniziale di Mises, dovrà aspettare
fino ai lavori del suo più brillante alunno, F.A. Hayek73, per disporre di un’analisi già
completamente articolata dei differenti effetti economici che integrano la reazione del mercato
davanti all’espansione creditizia e che passiamo a studiare in dettaglio nel paragrafo seguente74.
73
I lavori più importanti di Hayek sono: Geldtheorie und Konjunkturtheorie, Beitrage zur Konjuntkturforschung, herausgegeben
vom Österreischisches Institut für Konjunkturforschung, n.º 1, Vienna 1929, tradotto dall’inglese da N. Kaldor e pubblicato con il
titolo di Monetary Theory and the Trade Cycle, Routledge, Londra 1933, e Augustus M. Kelley, New Jersey, 1975; Prices and
Production, op. cit., la cui 1.ª edizione apparve nel 1931 e la seconda, revisionata e ampliata, nel 1935, venendo in seguito rieditata
più di dieci volte in Inghilterra e negli Stati Uniti (Augustus M. Kelley); Profits, Interest and Investment, Routledge, Londra 1939, e
Augustus M. Kelley, New Jersey, 1969 e 1975; la serie di saggi pubblicata nell’opera Money, Capital and Fluctuations: Early
Essays, edita da Roy McCloughry, University of Chicago Press, Chicago 1984; e, per ultimo, The Pure Theory of Capital,
Macmillan, Londra 1941 e quattro edizioni posteriori di Routledge. Proprio Hayek, in un’«Appendice» inclusa in Prices and
Production (pp. 101-104) riassume i precedenti della teoria austriaca o del credito circolante del ciclo economico, e che si rifà
proprio a Ricardo (enunciatore dell’effetto che Hayek battezzò con il nome di «Effetto Ricardo»), Condy Raguet, James Wilson e
Bonamy Price, in Inghilterra e Stati Uniti; J.G. Courcelle-Seneuil, V. Bonnet e Yves Guyot in Francia; e in lingua tedesca,
curiosamente idee molto somiglianti a quelle dei teorici della Scuola Austriaca possono trovarsi negli scritti di Karl Marx, e
sopratutto, in quelli di Mijail Tugan-Baranovsky (si veda il suo articolo «Crisi Economiche e Produzione Capitalista», incluso in
Lecturas de economía política, Francisco Cabrillo (ed.), Minerva Ediciones, Madrid 1991, pp. 191-210) e, certamente, in E. von
Böhm-Bawerk (Capital and Interest, vol. II, Positive Theory of Capital, ob. cit., pp. 316 y ss.). In seguito, già coetanei con Hayek,
lavorarono sulla stessa linea Richard von Strigl, nel suo Kapital und Produktion, pubblicato da Philosophia Verlag, Monaco e Vienna
1934 e 1982; Bresciani-Turroni in Italia, Le Vicende del Marco Tedesco, Università Bocconi, Milano 1931; Gottfried Haberler,
«Money and the Business Cycle», pubblicato nel 1932 e rieditato in The Austrian Theory of the Trade Cycle and Other Essays, The
Ludwig von Mises Institute, Washington D.C. 1978, pp. 7-20; Fritz Machlup, The Stock market, Credit and Capital Formation,
originariamente pubblicato in tedesco nel 1931 e rieditato in inglese, William Hodge, Londra 1940. Nel mondo anglosassone si
devono segnalare i lavori di H.J. Davenport, The Economics of Enterprise, op. cit., cap. XIII; Frederick Benham, British Monetary
Policy, P.S. King & Shaw, Londra 1932; H.F. Fraser, Great Britain and the Gold Standard, Macmillan, Londra 1933; T.E. Gregory,
Gold, Unemployment and Capitalism, P.S. King & Shaw, Londra 1933; E.F.M. Durbin, Purchasing Power and Trade Depression: A
Critique of Under-Consumption Theories, Jonathan Cape, Londra e Toronto 1933, e The Problem of Credit Policy, Chapman & Hall,
Londra 1935; M.A. Abrams, Money in a Changing Civilisation, John Lain, Londra 1934; e C.A. Philips, T.F. McManus y R.W.
Nelson, Banking and the Business Cycle, Arno Press, New York 1937. E anche negli Stati Uniti, Frank Albert Fetter, specialmente
nel suo articolo «Interest Theory and Price Movements», American Economic Review, vol. XVII, n.º 1, 1926, pp. 72 e ss., incluso in
Capital, Interest and Rent, M.N. Rothbard (ed.), Sheed, Andrews and McMeel, Kansas City 1977.
74
È necessario ricordare che nel 1974 l’Accademia Svedese assegnò a F.A. Hayek il Premio Nobel per l’Economia proprio per il
suo «pioneering work in the theory of money and economic fluctuations». Si vedano William J. Zahka, The Nobel Prize Economics
Lectures, Avebury, Aldershot, Inghilterra, 1992, pp. 19 e 25-28. In spagnolo non è molta la bibliografia che tratta la teoria austriaca
del ciclo economico benché si possa risalire all’articolo di Mises pubblicato dalla Revista de Occidente nell’anno 1932 («La causa
delle crisi economiche», Revista de Occidente, numero di febbraio del 1932), così come la traduzione di Luis Olariaga de La teoría
monetaria y el ciclo económico di F.A. Hayek, pubblicata da Espasa-Calpe nel 1936. L’edizione di Olariaga di questo libro di Hayek
incorpora come Appendice una traduzione in spagnolo (titolata «Previsiones de Precios, Perturbaciones Monetarias e Inversiones
Fracasadas») dell’originale in inglese su «Price Expectations, Monetary Disturbances and Malinvestments», che compare come cap.
IV dell’opera Profits, Interest and Investment, e che è, senza dubbi, uno degli articoli nei quali Hayek più chiaramente espone la sua
teoria del ciclo economico (felicemente incluso nella traduzione spagnola di Prezzi e produzione pubblicata nel 1996). Anche nel
fatidico anno di inizio della Guerra Civile spagnola venne pubblicata la prima traduzione in lingua spagnola da Antonio Riaño della
Teoria della moneta e del credito di Ludwig von Mises (Editorial Aguilar, Madrid 1936). Non c’è da stupirsi, pertanto, che l’evento
bellico facesse sì che l’impatto di queste opere in Spagna fosse molto ridotto. Dopo la guerra civile, spicca il riassunto della teoria
austriaca del ciclo che da Richard von Strigl nel suo Curso medio de economía, tradotto in spagnolo da M. Sánchez Sarto e
pubblicato dal Fondo de Cultura Económica, México 1941. Nel 1947 fa la sua comparsa il libro di Emilio de Figueroa, Teoría de los
ciclos económicos (CSIC, Madrid 1947), nel cui Tomo II si espongono in forma comparata le teorie dei cicli di Hayek e Keynes (pp.
44-63). Al Fondo de Cultura Económica dobbiamo anche la traduzione del libro di J.A. Estey, Tratado sobre los ciclos económicos
(Fondo de Cultura Económica, México 1948), in cui cap. XIII si spiega in ogni dettaglio il contenuto della teoria austriaca. E non si
traducono più in spagnolo opere su questo tema se non quella di Gottfried Haberler, Prosperidad y depresión: análisis teórico de los
movimientos cíclicos, dovuta a Gabriel Franco e Javier Márquez, pubblicata dal Fondo de Cultura Económica nel 1942, e che dedica
il suo cap. III alla teoria del credito circolante della Scuola Austriaca; quella di F.A. Hayek, La teoría pura del capital, pubblicata da
Aguilar nel 1946; e quella di Ludwig von Mises, La acción humana: tratado de economía, la cui 1.ª edizione fu pubblicata nel 1960
dalla Fondazione Ignacio Villalonga. Dopo questi libri, in spagnolo è possibile solo menzionare il mio articolo su «La teoria austriaca
del ciclo economico», pubblicato nel n.º 152 (marzo 1980) di Moneda y Crédito, e nel quale si raccoglie un’ampia bibliografia su
questo tema; e anche la serie di saggi di F.A. Hayek pubblicata con il titolo ¿Inflación o Pleno Empleo?, Unión Editorial, Madrid
1976. Per ultimo, nel 1996 apparve la traduzione in spagnolo di Carlos Rodríguez Braun di Precios y producción, pubblicata da
Edizioni Aosta e Unión Editorial. Di questo libro esiste una traduzione in italiano di Marina Colonna: Prezzi e produzione: Una
spiegazione delle crisi delle economie capitalistiche, con un’Introduzione della stessa Marina Colonna, ESI, Napoli 1988.
65
La reazione spontanea del mercato davanti all’espansione creditizia
Studieremo ora le ragioni di natura microeconomica che porranno fine al processo di ottimismo
esagerato e di espansione economica artificiale che risultano dalla concessione di crediti bancari
senza la copertura dell’aumento precedente di risparmio volontario. In questa maniera saremo
pienamente in grado di far risalire fenomeni tipicamente macroeconomici (boom, crisi economica,
depressione e disoccupazione) alle loro radici e alle loro cause fondamentali di natura
microeconomica. In seguito studieremo a uno a uno i sei effetti microeconomici che spiegano
l’inversione del processo di boom che risulta da tutta l’espansione creditizia:
1.º La salita del prezzo che occorre pagare per i fattori originari di produzione. - Il primo
effetto che temporalmente si fa sentire come conseguenza dell’espansione creditizia è quello della
crescita nel prezzo relativo dei fattori originari della produzione (lavoro e risorse della natura).
Questa salita del prezzo dei fattori ha la sua ragion d’essere in due cause distinte che si rafforzano
mutualmente. Da un lato, la maggior domanda monetaria di risorse originarie ad opera dei
capitalisti dei differenti stadi del processo produttivo, e che si rende possibile grazie ai nuovi crediti
che concede loro il sistema bancario. Dal lato dell’offerta, occorre tener conto che, essendosi
prodotta l’espansione creditizia senza la copertura di un aumento precedente del risparmio, non si
liberano fattori originari di produzione degli stadi più vicini al consumo, così come accadeva nel
processo iniziato da un incremento reale del risparmio volontario che abbiamo studiato in
precedenza. Pertanto, come risultato dell’incremento della domanda dei fattori originari di
produzione negli stadi più lontani dal consumo, senza che la stessa sia accompagnata da un aumento
dell’offerta, è inevitabile che gradualmente si finisca per produrre una progressiva salita nel prezzo
di mercato dei fattori produttivi. Questa salita, in ultima istanza, tende ad accelerarsi proprio come
risultato della concorrenza tra gli imprenditori dei differenti stadi del processo produttivo che, con il
desiderio de attrarre risorse originarie verso i loro progetti, sono disposti a pagare prezzi sempre più
alti per detti fattori, prezzi che possono offrire grazie alla nuova liquidità che hanno appena ricevuto
dalla banca sotto forma di crediti e che questa ha creato dal nulla. Questa salita nel prezzo dei fattori
originari di produzione fa sì che il costo dei nuovi progetti di investimento che si sono appena
iniziati cominci a deviare al rialzo rispetto a quanto originariamente presupposto. Tuttavia, questo
effetto, di per sé, non è ancora sufficiente per sopprimere la ondata di ottimismo, e gli imprenditori,
66
che ancora si sentono sicuri e sostenuti dalla banca, senza alcun timore, sono soliti andare avanti
con i loro progetti di investimento75.
2.º Susseguente salita nel prezzo dei beni di consumo. - Dopo un periodo di tempo più o
meno lungo, e in maniera graduale, inizia a sperimentarsi una crescita nel prezzo dei beni di
consumo, mentre il prezzo dei servizi dei fattori originari di produzione non aumenta tanto in fretta
(o, se si preferisce, decresce in termini relativi). La ragione di questo fenomeno si deve all’effetto
combinato delle tre cause seguenti:
75
Nel paragrafo 11 del prossimo Capitolo VI vedremo come la nostra analisi non si modifica sostanzialmente, perfino nel caso in
cui esista un importante volume precedente di fattori produttivi non impiegati.
67
finale. Perciò, l’effetto dell’incremento del reddito dei fattori originari di produzione e,
pertanto, della domanda monetaria sui beni di consumo, combinata con l’effetto del
rallentamento o della diminuzione a breve termine dell’arrivo di nuovi beni di consumo sul
mercato, spiega perché i prezzi dei beni e dei servizi di consumo finiscono, in ultima istanza,
per crescere più che proporzionalmente, cioè, più in fretta dell’aumento del reddito dei
fattori originari di produzione.
c) In terzo luogo, è necessario menzionare l’effetto dell’incremento nella domanda monetaria
di beni di consumo che ha la sua origine nell’apparizione di profitti imprenditoriali
artificiali come risultato del processo di espansione creditizia. La creazione di crediti da
parte della banca presuppone, in ultima istanza, un aumento nell’offerta monetaria e un
incremento nel prezzo dei fattori di produzione e dei beni di consumo che finisce per
distorcere il calcolo imprenditoriale di costi e ricavi. In effetti, gli imprenditori tendono a
calcolare i loro costi in funzione del costo storico e della capacità acquisitiva che avevano le
unità monetarie quando il processo inflazionistico ancora non era iniziato. Tuttavia,
computano i loro ricavi sulla base di redditi le cui unità monetarie hanno un potere
d’acquisto molto ridotto. Tutto questo fa sì che sorgano importanti profitti puramente fittizi,
il che produce un’illusione di bonaccia imprenditoriale che è priva di base, e spiega che gli
imprenditori cominciano a consumare profitti che in realtà non si sono prodotti, il che
incrementa ancor di più la pressione della domanda monetaria sui beni di consumo finale76.
È importante mettere in risalto l’effetto dell’incremento, più che proporzionale, nel prezzo dei beni
di consumo, in relazione all’aumento che si sperimenta nel prezzo dei fattori originari di
produzione. Questo è il fenomeno che storicamente è passato più inosservato a molti trattatisti che,
non comprendendo bene la teoria del capitale, non hanno incorporato nella loro analisi il fatto che,
dedicandosi più risorse produttive a processi più lontani dal consumo che solo dopo un periodo di
tempo prolungato cominciano a produrre i loro risultati, si genera un effetto di diminuzione del
tempo d’arrivo di nuovi beni di consumo all’ultimo stadio del processo produttivo. Inoltre, questo
effetto è uno dei fenomeni differenziali più importanti che esistono tra il processo di incremento nel
risparmio volontario che abbiamo studiato in precedenza (che, per definizione, dava luogo a un
76
«The additional demand on the part of the expanding entrepreneurs tends to raise the prices of producers’ goods and wage rates.
With the rise in wage rates, the prices of consumers’ goods rise too. Besides, the entrepreneurs are contributing a share to the rise in
the prices of consumers’ goods as they too, deluded by de illusory gains which their business accounts show, are ready to consume
more. The general upstream in prices spreads optimism. If only the prices of producers’ goods had risen and those of consumers’
goods had not been affected, the entrepreneurs would have become embarrassed. They would have had doubts concerning the
soundness of their plans, as the rise in costs of production would have upset their calculations. But they are reassured by the fact that
the demand for consumers’ goods is intensified and makes it possible to expand sales in spite of rising prices. Thus they are confident
that production will pay, notwithstanding the higher costs it involves. They are resolved to go on.» Ludwig von Mises, Human
Action, op. cit., p. 553.
68
aumento degli stocks dei beni di consumo che restavano invenduti e che rendeva possibile il
sostentamento dei proprietari di risorse originarie di produzione mentre si culminavano i nuovi
processi produttivi), e il caso che ora stiamo analizzando nel quale l’allargamento dei processi
produttivi si finanzia a carico di crediti creati dal nulla dalla banca. Non esistendo quindi un
aumento precedente del risparmio e, pertanto, non essendo liberati beni e servizi di consumo per
rendere possibile il mantenimento della società mentre si culmina l’allargamento degli stadi
produttivi e il trasferimento dei fattori originari dalle stadi più vicini al consumo alle più lontane,
tende a incrementarsi inevitabilmente il prezzo relativo dei beni di consumo77.
3° Grande aumento relativo nei profitti contabili delle imprese degli stadi più vicini al
consumo finale.- L’aumento, che abbiamo spiegato, nel prezzo dei beni di consumo a un ritmo più
che proporzionale all’incremento del prezzo dei fattori originari di produzione fa sì che i profitti
contabili delle imprese che sviluppano le loro attività negli stadi più lontani dal consumo crescano,
in termini relativi, rispetto ai profitti contabili delle imprese che sviluppano la loro attività negli
stadi più lontani dal consumo. In effetti, negli stadi più vicini al consumo si osserva come il prezzo
relativo dei beni o dei servizi che si vendono si incrementi a un ritmo molto rapido, mentre i costi,
benché pressati verso l’alto, non crescono a un ritmo tanto elevato, il che fa sì che il differenziale o
profitto contabile tra ricavi e costi vada aumentando negli stadi finali. Per contro, negli stadi più
lontani dal consumo, il prezzo dei beni intermedi che si producono in ogni stadio non sperimenta
una variazione molto significativa, mentre il costo originario dei fattori di produzione impiegati in
ogni stadio sperimenta un aumento continuato, risultato della maggior domanda monetaria degli
stessi che ha la sua origine diretta nell’espansione creditizia. Questo fa sì che il profitto delle
imprese dedicato agli stadi più lontani dal consumo tenda a diminuire, come risultato contabile di
un aumento dei costi più rapido del corrispondente aumento dei ricavi. La conseguenza combinata
di ambedue gli effetti è che comincia a evidenziarsi lungo tutta la struttura produttiva che i profitti
contabili negli stadi più vicini al consumo sono più elevati in termini relativi dei profitti contabili
negli stadi più lontani dal consumo stesso. Ciò dà inizio a un movimento spontaneo degli
imprenditori per riconsiderare i loro investimenti, e persino a dubitarne, e a reimpostare gli
investimenti iniziali delle loro risorse ritirandoli dai progetti con più alta intensità di capitale iniziati
non da molto, per portarli di nuovo negli stadi più vicini al consumo78.
77
In maniera molto concisa spiega Hayek: «For a time, consumption may even go on at an unchanged rate after the more
roundabout processes have actually started, because the goods which have already advanced to the lower stages of production, being
of a highly specific character, will continue to come forward for some little time. But this cannot go on. When the reduced output
from the stages of production, from which producers’ goods have been withdrawn for use in higher stages, has matured into
consumers’ goods, a scarcity of consumers’ goods will make itself felt, and the prices of those goods will rise.» F.A. Hayek, Prices
and Production, op. cit., p. 88.
78
«Sooner or later, then, the increase in the demand for consumers’ goods will lead to an increase of their prices and of the profits
made on the production of consumers’ goods. But once prices begin to rise, the additional demand for funds will no longer be
69
4° «Effetto Ricardo». – Inoltre, l’aumento più che proporzionale nel prezzo dei beni di
consumo rispetto alla crescita nei redditi dei fattori originari di produzione fa sì che, in termini
relativi, i redditi reali di questi fattori e, in concreto, i salari del lavoro, inizino ad abbassarsi. Questa
riduzione in termini reali dei salari mette in funzionamento l’«Effetto Ricardo», che già spiegammo
in dettaglio, ma che adesso agisce in senso contrario a quello che vedemmo che aveva quando si
produceva un incremento reale del risparmio volontario. In effetti, così come nel caso del risparmio
volontario la diminuzione temporale nella domanda di beni di consumo dava luogo a un aumento in
termini reali dei salari che tendeva a stimolare la sostituzione dei lavoratori con macchinari e,
pertanto, ad allungare gli stadi produttivi, allontanandoli dal consumo e rendendoli a più alta
intensità di capitale, adesso l’effetto che si sperimenta è esattamente il contrario: la crescita più che
proporzionale nel prezzo dei beni di consumo rispetto all’aumento dei redditi dei fattori di
produzione fa sì che, in termini reali, questi, e in concreto i salari, diminuiscano, e con questo gli
imprenditori hanno un potente incentivo economico per sostituire, in virtù dell’«Effetto Ricardo»,
macchinari e capitale immobilizzato con lavoratori. Si produce così una diminuzione in termini
relativi della domanda di beni di capitale e di prodotti intermedi degli stadi più lontani dal consumo,
il che va ad aggravare ancor di più il problema latente della diminuzione dei profitti contabili (e
perfino delle perdite) che già iniziò a farsi sentire negli stadi più vicini al consumo e che
menzionammo nel numero precedente79.
Insomma, l’«Effetto Ricardo»80 agisce in questo caso in un senso contrario a come agiva nel caso
dell’aumento del risparmio volontario. Allora vedemmo che un aumento del risparmio dava luogo a
confined to the purposes of new additional investment intended to satisfy the new demand. At first —and this is a point of
importance which is often overlooked— only the prices of consumers’ goods, and of such other goods as can rapidly be turned into
consumers’ goods, will rise, and consequently profits also will increase only in the late stages of production ... The prices of
consumers’ goods would always keep a step ahead of the prices of factors. That is, so long as any part of the additional income thus
created is spent on consumers’ goods (i.e. unless all of it is saved), the prices of consumers’ goods must rise permanently in relation
to those of the various kinds of input. And this, as will by now be evident, cannot be lastingly without effect on the relative prices of
the various kinds of input and on the methods of production that will appear profitable». F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op.
cit., pp. 377-378 (i corsivi sono miei). Dobbiamo aggiungere che in un contesto di aumento della produttività non si osserverà un
incremento dei prezzi (unitari) dei beni di consumo, ma se un grande aumento nell’importo (monetario) delle vendite e dei profitti
globali delle imprese più vicine al consumo.
79
Inoltre, l’Effetto Ricardo non è che una manifestazione del fatto che i nuovi progetti di investimento maturano in un futuro troppo
distante, tenendo conto delle circostanze reali del mercato, per cui non potranno essere portati a termine per mancanza di redditività.
Com’è logico, il fatto che per via sindacale e coercitiva si ottenga una crescita dei salari a un ritmo pari a quello dell’aumento del
prezzo dei beni di consumo, in nulla pregiudica il nostro argomento, poiché continueranno a esercitare il loro effetto le altre cinque
ragioni che menzioniamo nel testo; e finanche lo stesso «Effetto Ricardo», posto che sempre, almeno in termini relativi, il prezzo dei
fattori di produzione impiegati negli stadi più vicini al consumo sarà più ridotto di quello delle risorse impiegate negli stadi più
lontani, così che l’«Effetto Ricardo», che si basa su un confronto relativo di costi, continuerà a operare (gli stadi più vicini al
consumo continueranno a contrattare in termini relativi più mano d’opera che capitale immobilizzato). Gli incrementi coercitivi dei
redditi dei fattori originari otterranno soltanto, in ultima istanza, che si produca un’importante crescita nel volume di disoccupazione
involontaria degli stessi, aggravato specialmente negli stadi più lontani dal consumo.
80
La prima volta che Hayek fece riferimento espressamente all’«Effetto Ricardo» per spiegare il processo di inversione degli effetti
iniziali dell’espansione creditizia, fu nel suo saggio «Profits, Interest and Investment», incluso nelle pp. 3-71 del libro con lo stesso
titolo che pubblicò nel 1939 (Routledge, Londra 1939). In concreto, possiamo leggere una descrizione molto concisa dell’«Effetto
Ricardo» nella p. 13 di questo saggio, nella quale Hayek ci dice che: «It is here that the ‘Ricardo Effect’ comes into action and
70
una diminuzione a breve termine nella domanda e nel prezzo dei beni di consumo e, pertanto, a un
incremento dei salari in termini reali che dava impulso alla sostituzione di lavoratori con
macchinario, e all’aumento della domanda di beni immobili e a un allargamento degli stadi
produttivi. Ora vediamo che l’incremento, più che proporzionale, del prezzo dei beni di consumo
provoca una diminuzione in termini reali dei salari che fa sì che gli imprenditori sostituiscano
macchinari con lavoratori, il che pregiudica la domanda di beni immobili e fa sì che i profitti delle
imprese degli stadi lontani dal consumo decrescano ancora di più81.
5° Incremento dei tassi di interesse dei crediti a un livello, perfino superiore, a quello che
avevano prima dell’espansione creditizia. – L’ultimo effetto che si verifica temporalmente è
l’aumento dei tassi di interesse del mercato creditizio. Questa crescita si produce, presto o tardi,
quando il ritmo dell’espansione creditizia, non coperta da risparmio reale, cessa di aumentare. In
questo caso, il tasso di interesse tenderà a ritornare ai livelli più elevati che aveva prima dell’inizio
dell’espansione creditizia. In effetti, se il tasso di interesse prima dell’espansione creditizia era
intorno al 10 per cento, e i nuovi crediti creati dal nulla dal sistema bancario si collocano nei settori
produttivi via riduzione del tasso di interesse, per esempio, al 4 per cento e facilitando il resto dei
requisiti «periferici» nella concessione dei crediti (garanzie contrattuali, ecc.) è chiaro che qualora
l’espansione creditizia si arresti, se, come stiamo supponendo, non si produce un aumento del
risparmio volontario, i tassi di interesse torneranno a salire al loro livello precedente (cioè, nel
nostro esempio saliranno dal 4 al 10 per cento). E saliranno perfino oltre il livello precedente che
avevano prima dell’espansione creditizia (cioè, si eleveranno oltre la percentuale originaria del 10
per cento) come conseguenza dell’effetto combinato dei due seguenti fenomeni:
becomes of decisive importance. The rise in the prices of consumers’ goods and the consequent fall in real wages means a rise in the
rate of profit in the consumers’ goods industries, but, as we have seen, a very different rise in the time rates of profit that can now be
earned on more direct labour and on the investment of additional capital in machinery. A much higher rate of profit will now be
obtainable on money spent on labour than on money invested in machinery. The effect of this rise in the rate of profit in the
consumers’ goods industries will be twofold. On the one hand it will cause a tendency to use more labour with the existing
machinery, by working over time and double shifts, by using outworn and obsolete machinery, etc., etc. On the other hand, in so far
as new machinery is being installed, either by way of replacement or in order to increase capacity, this, so long as real wages remain
low compared with the marginal productivity of labour, will be of a less expensive, less labour-saving or less durable type.» Il
funzionamento dell’«Effetto Ricardo» negli stadi più espansivi del boom può vedersi anche, oltre che nel lavoro menzionato,
nell’articolo «The Ricardo Effect» pubblicato in Economica nel 1942 (IX, n.º 34, pp. 127-152), e anche nel già citato «Three
Elucidations of the Ricardo Effect», pubblicato nel Journal of Political Economy, vol. 7-7, n.º 2, anno 1969. Sono interessanti in
questo senso anche i lavori di Laurence S. Moss y Karen I. Vaughn, «Hayek’s Ricardo Effect: A Second Look» (History of Political
Economy, n.º 18:4, anno 1986, pp. 545-565), G.P. O’Driscoll, «The Specialization Gap and the Ricardo Effect: Comment on
Ferguson», pubblicato in History of Political Economy, vol. 7, estate del 1975, pp. 261-269, e J. Huerta de Soto, «Ricardo Effect», in
An Eponymous Dictionary of Economics: A Guide to Laws and Theorems Named After Economists, J. Segura y C. Rodríguez Braun
(eds.), Edward Elgar, Cheltenham, Inghilterra 2004.
81
O come spiega Mises: «With further progress of the expansionist movement the rise in the prices of consumers’ goods will
outstrip the rise in the prices of producers’ goods. The rise in wages and salaries and the additional gains of the capitalists,
entrepreneurs, and farmers, although a great part of them is merely apparent, intensify the demand for consumers’ goods... At any
rate, it is certain that the intensified demand for consumers’ goods affects the market at a time when the additional investments are
not yet in a position to turn out their products. The gulf between the prices of present goods and those of future goods widens again.
A tendency toward a rise in the rate of originary interest is substituted for the tendency toward the opposite which may have come
into operation at the earlier stages of the expansion.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 558.
71
a) Da un lato, l’espansione creditizia e l’incremento dell’offerta monetaria che la stessa
presuppone tenderanno, ceteris paribus, a incrementare i prezzi dei beni di consumo, cioè,
a diminuire il potere d’acquisto dell’unità monetaria. Perciò, se i prestatori vogliono
chiedere in termini reali gli stessi tassi di interesse, dovranno aggiungere una componente
per l’inflazione o, se si preferisce, per la diminuzione prevista del potere d’acquisto
dell’unità monetaria, al tasso di interesse precedente all’inizio del processo di espansione
creditizia82.
b) Inoltre, esiste un’importante ragione addizionale perché i tassi di interesse tornino, non
solo al loro importo precedente, ma a un livello persino superiore. E gli imprenditori che
hanno intrapreso l’allungamento dei processi produttivi, nonostante il fatto che i tassi di
interesse siano saliti, e nella misura in cui abbiano già impegnato importanti risorse nei
nuovi progetti di investimento, saranno disposti a pagare tassi di interesse molto alti, a
patto che si forniscano loro i fondi necessari per poter culminare i progetti che per errore
hanno intrapreso. Questo è un importante aspetto che fino a che non fu studiato in
dettaglio da Hayek nel 1937 era passato completamente inosservato83. Hayek dimostrò che
il processo di investimento in beni di capitale genera una domanda autonoma di ulteriori
beni di capitale, esattamente di quelli che hanno un carattere complementare rispetto a
quelli già prodotti. Inoltre, questo fenomeno durerà finché si mantengano le aspettative
secondo cui i processi di produzione si potranno terminare, per cui gli imprenditori si
lanceranno a domandare nuovi crediti, non importa quale sia il costo degli stessi, prima di
vedersi costretti a riconoscere il loro fallimento e ad abbandonare definitivamente i loro
progetti di investimento nei quali hanno messo a repentaglio il loro prestigio e volumi
molto importanti di risorse. Come conseguenza di tutto ciò, la crescita del tasso di
interesse nel mercato creditizio che si sperimenta alla fine del boom non si deve soltanto a
fenomeni monetari, come in precedenza Hayek aveva pensato, ma anche a fattori reali che
82
Inoltre, il premio di rischio inizia a crescere man mano che sorgono dubbi sulla percorribilità dei distinti progetti di investimento.
Ludwig von Mises, da parte sua, già nel 1928 scrisse: «The banks can no longer make additional loans at the same interest rates. As a
result, they must raise the loan rate once more for two reasons. In the first place, the appearance of the positive price premium forces
them to pay higher interest for outside funds which they borrow. Then, also they must discriminate among the many applicants for
credit. Not all enterprises can afford this increased interest rate. Those which cannot run into difficulties.» Cfr. On the Manipulation
of Money and Credit, Freemarket Books, New York 1978, p. 127. Questa è la traduzione in inglese che dobbiamo a Bettina Bien
Greaves del libro pubblicato nel 1928 da Ludwig von Mises con il titolo di Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik, Gustav
Fischer, Jena 1928. La citazione che abbiamo appena fatto in inglese si trova nelle pp. 51-52 di questa edizione tedesca che incorpora
in maniera dettagliata tutta la teoria di Mises sul ciclo economico e che si pubblicò in precedenza a Prices and Production, e
all’edizione tedesca de La teoría monetaria y el ciclo económico di Hayek (1929). È curioso che Hayek quasi mai citi questa
importante opera, nella quale Mises elabora e approfondisce la teoria del ciclo che ebbe solo l’opportunità di abbozzare nella sua
Teoría del dinero y del crédito pubblicata 16 anni prima. Forse questa dimenticanza di Hayek è deliberata e ha la sua origine nel
desiderio di far vedere alla comunità scientifica che le prime cose da approfondire nella teoria misesiana furono le sue opere su La
teoría monetaria y el ciclo económico y Precios y producción, (in italiano La teoria monetaria e il ciclo economico e Prezzi e
produzione), sorvolando così sul trattamento già molto completo dato al tema da Mises nel 1928.
83
Cfr. F.A. Hayek, «Investment that raises the Demand for Capital», pubblicato in The Review of Economics and Statistics, vol.
XIX, n.º 4, novembre del 1937 e ripreso in Profits, Interest and Investment, op. cit., pp. 73-82.
72
toccano la domanda di nuovi crediti84. Insomma, gli imprenditori impegnati a completare i
nuovi stadi con più alta intensità di capitale che hanno intrapreso, e che cominciano a
vedere il pericolo, ricorrono alle banche domandando dosi addizionali di crediti, e
offrendo un interesse per gli stessi sempre più elevato, di modo che cominciano una
«guerra a morte» per ottenere risorse addizionali85.
6° L’apparizione di perdite contabili nelle imprese negli stadi relativamente più lontani dal
consumo: l’inevitabile arrivo della crisi. – Il risultato combinato dei cinque effetti precedenti
determina che, presto o tardi, comincino ad apparire importanti perdite contabili nelle imprese che
sviluppano la loro attività negli stadi relativamente più lontani dal consumo. Queste perdite
contabili, messe a paragone con i profitti che si ottengono negli stadi più vicini al consumo,
evidenziano perfino inequivocabilmente i gravi errori imprenditoriali commessi, così come la
necessità imperiosa di riconvertirsi, procedendo al blocco e in seguito alla liquidazione dei progetti
di investimento erroneamente intrapresi, ritirando risorse produttive dagli stadi più lontani dal
consumo per trasferirle di nuovo a quelle più vicini allo stesso.
Insomma, gli imprenditori cominciano a rendersi conto che è necessario effettuare un massiccio
riassestamento nella struttura produttiva. Cioè, una riconversione o una «ristrutturazione» in virtù
della quale si ritirano dai progetti che intrapresero negli stadi delle industrie di beni di capitale e che
84
Proprio Hayek, riferendosi alla salita dei tassi di interesse nello stadio finale del boom, afferma che: «The most important cause
practically of such false expectations probably is a temporary increase in the supply of such funds through credit expansion at a rate
which cannot be maintained. In this case, the increased quantity of current investment will induce people to expect investment to
continue at a similar rate for some time, and in consequence to invest now in a form which requires for its successful completion
further investment at a similar rate... And the greater the amount of investment which has already been made compared with that
which is still required to utilize the equipment already in existence, the greater will be the rate of interest which can advantageously
be borne in raising capital for these investments completing the chain». F.A. Hayek, «Investment that raises the Demand for Capital»,
op. cit., pp. 76 e 80. Mises ci chiarisce che il boom si arresta esattamente quando gli imprenditori iniziano ad avere difficoltà a
ottenere il crescente finanziamento di cui necessitano per i loro progetti d’investimento: «The entrepreneurs cannot procure the funds
they need for the further conduct of their ventures. The gross market rate of interest rises because the increased demand for loans is
not counterpoised by a corresponding increase in the quantity of money available for lending». Ludwig von Mises, Human Action,
op. cit., p. 554.
85
«Entrepreneurs determined to complete their endangered long-term capital projects turn to the banks for more bank credit, and a
tug-of-war begins. Producers seek new bank loans, the banking system accommodates the new loan demand by creating new money,
product prices rise ahead of wage costs. In each market period the process repeats itself, with product prices always rising ahead of
wages.» Laurence S. Moss e Karen I. Vaughn, «Hayek’s Ricardo Effect: A Second Look», op. cit., p. 554. Mises, da parte sua, spiega
il processo ne La azione umana nel modo seguente: «This tendency toward a rise in the rate of originary interest and the emergence
of a positive price premium explain some characteristics of the boom. The banks are faced with an increased demand for loans and
advances on the part of business. The entrepreneurs are prepared to borrow money at higher gross rates of interest. They go on
borrowing in spite of the fact that banks charge more interest. Arithmetically, the gross rates of interest are rising above their height
on the eve of the expansion. Nonetheless, they lag catalactically behind the height at which they would cover originary interest plus
entrepreneurial component and price premium. The banks believe that they have done all that is needed to stop ‘unsound’ speculation
when they lend on more onerous terms. They think that those critics who blame them for fanning the flames of the boom-frenzy of
the market are wrong. They fail to see that in injecting more and more fiduciary media into the market they are in fact kindling the
boom. It is the continuous increase in the supply of the fiduciary media that produces, feeds, and accelerates the boom. The state of
the gross market rates of interest is only an outgrowth of this increase. If one wants to know whether or not there is credit expansion,
one must look at the state of the supply of fiduciary media, not at the arithmetical state of the interest rates.» Ludwig von Mises,
Human Action, op. cit., p. 558-559.
73
non poterono culminare con successo, trasferendo quel che è rimasto delle loro risorse verso le
industrie più vicine al consumo. Occorre liquidare i progetti di investimento che ora è evidente che
non sono profittevoli e trasferire in maniera massiccia le corrispondenti risorse produttive, e in
concreto la mano d’opera, verso gli stadi più vicini al consumo. È arrivata, pertanto, la crisi e la
depressione economica, fondamentalmente per mancanza di risorse reali risparmiate per
completare alcuni progetti di investimento che, secondo quanto si è evidenziato, erano
eccessivamente ambiziosi. La crisi si manifesta in un eccesso di investimento negli stadi più lontani
dal consumo, cioè, nelle industrie dei beni di capitale (altiforni, cantieri navali, costruzioni,
comunicazioni, nuove tecnologie, ecc.), così come nel resto degli stadi che restrinsero la loro
struttura di beni di capitale; e si manifesta anche da una parallela scarsità relativa di investimento
nelle industrie più vicine al consumo. Il risultato combinato di entrambi gli errori è che si è portato
a termine un generalizzato cattivo investimento delle risorse produttive, cioè, un investimento con
stile, qualità, quantità e distribuzione geografica e imprenditoriale propri di una situazione nella
quale il risparmio volontario è molto maggiore di quello che realmente è stato prodotto. Insomma,
si è investito in forma e quantità indebite nei luoghi erronei della struttura produttiva, perché gli
imprenditori pensavano, ingannati dall’espansione creditizia della banca, che il risparmio della
società fosse molto maggiore. Gli agenti economici si sono dedicati ad allargare gli stadi con più
alta intensità di capitale, con la speranza che, una volta che i nuovi processi di investimento si
fossero culminati temporalmente, si sarebbe incrementata in maniera molto significativa l’affluenza
finale di beni e servizi di consumo. Tuttavia, il processo di allungamento della struttura produttiva
esige un periodo di tempo molto prolungato fino a che la società possa arrivare a beneficiare del
corrispondente aumento nella produzione di beni e servizi di consumo. E gli agenti economici non
sono disposti ad aspettare questi periodi di tempo più prolungati, ma, agendo, manifestano le loro
preferenze domandando i beni e i servizi di consumo ora, cioè, molto ma molto prima di quanto
sarebbe necessario per culminare l’allargamento intrapreso nella struttura produttiva86.
Il risparmio della società si può investire bene o male. L’espansione creditizia creata a partire dal
nulla dal sistema bancario fa sì che gli imprenditori agiscano come se il risparmio della società fosse
aumentato molto, esattamente del volume in cui la banca ha creato nuovi crediti o mezzi fiduciari. I
processi microeconomici che abbiamo analizzato nei punti precedenti fanno sì che, in maniera
86
Con parole dello stesso F.A. Hayek: «The crux of the whole capital problem is that while it is almost always possible to postpone
the use of things now ready or almost ready for consumption, it is in many cases impossible to anticipate returns which were intended
to become available at a later date. The consequence is that, while a relative deficiency in the demand for consumers’ goods
compared with supply will cause only comparatively minor losses, a relative excess of this demand is apt to have much more serious
effects. It will make it altogether impossible to use some resources which are destined to give a consumable return only in the more
distant future but will do so only in collaboration with other resources which are now more profitably used to provide consumables
for the more immediate future». F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, pp. 345-346.
74
spontanea e ineludibile, si sottolinei l’errore commesso. Questo ha la sua origine nel fatto che gli
agenti economici per molto tempo credettero che il risparmio disponibile fosse molto maggiore di
quanto fosse in realtà. Questa situazione è molto simile a quella in cui si troverebbe il nostro
Robinson Crusoe del paragrafo 1 se, avendo risparmiato un cestino di more, che gli consentisse di
elaborare un bene di capitale durante un periodo massimo di cinque giorni senza doversi dedicare
alla raccolta elle stesse, per un errore di calcolo87, pensasse che con quel risparmio potrebbe
intraprendere la costruzione della sua capanna, consumando le more del cestino dopo aver dedicato
i cinque giorni semplicemente a scavare le fondamenta e all’accaparramento dei materiali, senza
essere in grado pertanto di culminare il suo illusorio progetto di investimento. O, seguendo
l’esempio di Mises, l’errore commesso generalmente è molto simile a quello in cui incorse un
costruttore che, equivocando in quanto alla quantità dei materiali a sua disposizione, li esaurì
completamente nella costruzione delle fondamenta, vedendosi costretto a lasciare incompiuto
l’immobile88. Come bene indica Hayek, si tratta pertanto di una crisi da eccesso di consumo o, se si
preferisce, da scarsità di risparmio, che si è evidenziato non essere sufficiente per completare gli
investimenti a più alta intensità di capitale che si iniziarono per errore. La situazione sarà simile a
quella degli abitanti immaginari di un’isola perduta che, avendo intrapreso la costruzione di
un’enorme macchina capace di coprire completamente le necessità della popolazione, avesse
esaurito tutti i suoi risparmi e i suoi capitali prima di terminarla e non avessero più alcun rimedio se
non quello di abbandonare temporaneamente la sua costruzione, dedicandosi di nuovo con tutta la
loro energia a cercare l’alimento giornaliero a un livello di mera sussistenza, cioè, senza far conto
perciò su nessun capitale immobilizzato89. Come risultato di tutto questo, numerose fabbriche
chiudono, specialmente negli stadi più lontani dal consumo, si bloccano grandi quantità di progetti
di investimento intrapresi per errore e molti lavoratori sono licenziati. Inoltre, lungo tutta la società
il pessimismo diviene generale, e l’idea che si è entrati in un’inspiegabile crisi economica, appena
87
È precisamente questo il motivo per il quale in un altro sito ho argomentato che il ciclo economico è un caso particolare degli
errori di calcolo economico a cui dà luogo l’interventismo dello Stato in economia (in questo caso nel campo monetario e creditizio).
Cfr. Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 111 e ss. Cioè, si può considerare che
tutto il contenuto di questo libro non è che l’applicazione al caso particolare del settore creditizio e finanziario del teorema
dell’impossibilità del calcolo economico socialista.
88
«The whole entrepreneurial class is, as it were, in the position of a master-builder whose task it is to erect a building out of a
limited supply of building materials. If this man overestimates the quantity of the available supply, he drafts a plan for the execution
of which the means at his disposal are not sufficient. He oversizes the groundwork and the foundations and only discovers later in the
progress of the construction that he lacks the material needed for the completion of the structure. It is obvious that our
masterbuilder’s fault was not overinvestment, but an inappropriate employment of the means at his disposal.» Ludwig von Mises,
Human Action, op. cit., p. 560.
89
Cfr. Jesús Huerta de Soto, «La teoría austriaca del ciclo económico», in Estudios de economía política, Unión Editorial, Madrid
1994, cap. 13, p. 175. Hayek pone questo esempio con le seguenti parole: «The situation would be similar to that of a people of an
isolated island, if, after having partially constructed an enormous machine which was to provide them with all necessities, they found
out that they had exhausted all their savings and available free capital before the new machine could turn out its product. They would
then have no choice but to abandon temporarily the work on the new process and to devote all their labour to producing their daily
food without any capital.» F.A. Hayek, Prices and Production, op. cit., p. 94.
75
poco tempo dopo che si arrivasse a credere che il boom e l’ottimismo, lungi dall’aver raggiunto il
loro zenit, avrebbero avuto una durata illimitata, demoralizza perfino quelli che abitualmente
godono di una maggior presenza d’animo90.
Nel Grafico V-7 rappresentiamo come rimane la struttura produttiva dopo che la crisi e la
recessione economica indotte dall’espansione creditizia (non coperta dall’aumento precedente di
risparmio volontario) si sono evidenziate e sono stati effettuati i riaggiustamenti necessari. Come si
vede, si tratta di una struttura produttiva molto appiattita, nella quale esistono solo cinque stadi,
essendo scomparse i due stadi più lontani dal consumo che, in un primo momento, e così come
vedemmo nei grafici V-5 e V-6, l’espansione creditizia ne aveva erroneamente reso possibile
l’impresa. Inoltre, vediamo nella Tabella V-6 come, anche se il reddito lordo dell’esercizio è
identica a quella segnalata nella Tabella V-5 (483,7 unità monetarie), la distribuzione tra la parte
della stessa che viene dedicata alla domanda diretta di beni e servizi di consumo finale e alla
domanda di beni intermedi di produzione si sia modificata in favore della prima. In effetti, ora ci
sono centotrentadue unità monetarie di domanda monetaria di beni di consumo, un terzo superiore
alle cento unità di domanda monetaria che esistevano nell’esempio del Grafico V-5 e della Tabella
V-5. Mentre la domanda monetaria globale di beni intermedi di produzione è scesa passando da
trecentottantatré a trecentocinquantuno unità monetarie. Insomma, c’è una struttura più «appiattita»
che, per essere con minore intensità di capitale, dà luogo a una minore produzione di beni e servizi
di consumo che, tuttavia, riceve una domanda monetaria più elevata. Tutto questo genera un forte
incremento nel prezzo di beni e servizi di consumo, e un impoverimento generalizzato della società.
Questo è evidenziato dalla discesa, in termini reali, del prezzo dei differenti fattori produttivi che,
benché abbiano nominalmente visto di molto aumentate i loro redditi monetari, crescendo ancor più
90
«The entrepreneurs must restrict their activities because they lack the funds for their continuation on the exaggerated scale. Prices
drop suddenly because these distressed firms try to obtain cash by throwing inventories on the market dirt cheap. Factories are
closed, the continuation of construction projects in progress is halted, workers are discharged. As on the one hand many firms badly
need money in order to avoid bankruptcy, and on the other hand no firm any longer enjoys confidence, the entrepreneurial
component in the gross market rate of interest jumps to an excessive height.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 562.
Mark Skousen, da parte sua, segnala che nello stadio recessivo si producono i seguenti effetti sul prezzo dei prodotti dei differenti
stadi: primo, le diminuzioni maggiori nei prezzi e nell’impiego normalmente avvengono nelle imprese che si dedicano alle attività
più lontane dal consumo. In secondo luogo, cadono anche i prezzi dei prodotti degli stadi intermedi, sebbene in minor proporzione. In
terzo luogo, il prezzo dei mercati tutt’al più si riduce, anche se proporzionalmente in minor quantità; e in quarto e ultimo luogo,
anche il prezzo dei beni di consumo tende a cadere, sebbene in una proporzione molto più piccola di quella che si produce nel resto
dei beni che abbiamo commentato. Inoltre, è possibile perfino che il prezzo dei beni di consumo, invece di cadere, salga, se ci
troviamo in un contesto di recessione inflazionistica. Cfr. Mark Skousen, The Structure of Production, op. cit., p. 304.
76
in fretta il prezzo dei beni di consumo vanno sensibilmente perdendo in termini reali. Inoltre,
osserviamo come il tasso di interesse, o tasso di profitto contabile a cui tende ogni stadio, si sia
incrementato oltre il 13,5 per cento, cioè, a un livello perfino superiore a quello che esisteva nel
mercato creditizio prima dell’espansione creditizia (dell’11 per cento annuo), e raccoglie gli effetti
del premio per la diminuzione del potere d’acquisto della moneta, della maggior concorrenza
esistente tra gli imprenditori per correre alla disperata ricerca di nuovi prestiti, e dell’incremento
nelle componenti di rischio e incertezza imprenditoriale del tasso di interesse che si produce in ogni
situazione dove si diffonde il pessimismo e la sfiducia economica.
È importante mettere in risalto che la struttura produttiva che rimane dopo che si sia prodotto il
necessario riaggiustamento, e che abbiamo voluto illustrare con il Grafico V-7, non può continuare
a essere uguale a quella che aveva prima dell’espansione creditizia. Questo è così perché le
circostanze sono cambiate notevolmente. Da un lato, irrimediabilmente, si sono prodotte importanti
perdite di capitale, nella misura in cui le risorse scarse della società in molte occasioni si sono
materializzate in investimenti che non si possono riconvertire e che, pertanto, sono prive di valore
economico. Ciò fa sì che si verifichi un impoverimento generalizzato della società che si manifesta
in una diminuzione del bene di capitale pro capite, per cui diminuirà la produttività del lavoro, e i
salari, coerentemente, dovranno ridursi ancor di più in termini reali. Inoltre, si è prodotta una
redistribuzione del reddito tra i distinti fattori della produzione, così come una ristrutturazione di
tutti quei processi di investimento che, intrapresi per errore, tuttavia conservano ancora qualche uso
e qualche valore economico. Tutte queste nuove circostanze determinano che la struttura produttiva
sia qualitativamente molto diversa e quantitativamente molto più appiattita, e impoverita, di quella
che esisteva prima che iniziasse dalle banche l’espansione creditizia91.
91
Fritz Machlup ha studiato in dettaglio le cause che provocano l’appiattimento della struttura produttiva e perché dopo il
riaggiustamento sia diversa e più povera di quella che esisteva prima dell’espansione creditizia: «(1) Many capital goods are specific,
i.e., not capable of being used for other purposes than those they were originally planned for; major losses follow then from the
change in production structure. (2) Capital values in general —i.e., anticipated values of the future income— are reduced by higher
rates of capitalization; the owners of capital goods and property rights experience, therefore, serious losses. (3) The specific capital
goods serviceable as ‘complementary’ equipment for those lines of production which would correspond to the consumers’ demand
are probably not ready; employment in these lines is, therefore, smaller than it could be otherwise. (4) Marginal-value productivity of
labour in shortened investment periods is lower, wage rates are, therefore, depressed. (5) Under inflexible wage rates unemployment
ensues from the decreased demand prices for labour». Cfr. Fritz Machlup, «Professor Knight and the ‘Period of Production’»,
Journal of Political Economy, ottobre del 1935, n.º 5, vol. 43, p. 623. Ludwig von Mises è, forse, ancor più tassativo rispetto alla
possibilità che la nuova struttura produttiva sia simile a quella che esisteva prima dell’espansione creditizia, quando afferma che:
«These data, however, are no longer identical with those that prevailed on the eve of the expansionist process. A good many things
have changed. Forced saving and, to an even greater extent, regular voluntary saving may have provided new capital goods which
were not totally squandered through malinvestment and overconsumption as induced by the boom. Changes in the wealth and income
of various individuals and groups of individuals have been brought about by the unevenness inherent in every inflationary movement.
Apart from any causal relation to the credit expansion, population may have changed with regard to figures and the characteristics of
the individuals comprising them; technological knowledge may have advanced, demand for certain goods may have been altered.
The final state to the establishment of which the market tends is no longer the same toward which it tended before the disturbances
created by the credit expansion.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 563.
77
Riassumendo, abbiamo spiegato i fondamenti microeconomici del movimento contrario di carattere
spontaneo che tende a prodursi nel mercato, sempre che si verifichi un’espansione creditizia non
coperta da un aumento precedente del risparmio volontario, e che dà luogo ai cicli successivi di
auge e depressione che con carattere regolare vengono sperimentando le economie occidentali già
da quasi due secoli (e perfino da molto prima, come abbiamo visto nel capitolo II). Abbiamo anche
evidenziato che non esiste nessuna possibilità teorica che un incremento espansivo dei crediti da
parte del settore bancario, che non sia coperto dal corrispondente aumento precedente del
risparmio volontario, permetta di ridurre i necessari sacrifici che ogni processo di crescita
economica esige, e stimolare e accelerare lo stesso, senza che i cittadini volontariamente decidano
di sacrificarsi e di risparmiare92. Essendo queste conclusioni di grande importanza, ci occuperemo
tuttavia nel paragrafo seguente dell’analisi degli effetti specifici che le stesse hanno sul settore
bancario e, in concreto, in quale modo spieghino che questo non possa funzionare in modo
autonomo (cioè senza l’esistenza di una banca centrale) utilizzando un coefficiente di riserva
frazionaria. In questo modo, culmineremo l’analisi teorica che ci proponemmo nel capitolo III,
ossia: dimostrare teoricamente che era impossibile che mediante il coefficiente frazionario di riserva
il sistema bancario potesse auto-assicurarsi contro la sospensione dei pagamenti e i fallimenti,
poiché ciò che si supponeva sicuro (il coefficiente di riserva frazionaria) è esattamente ciò che
mette in funzionamento un processo di espansione creditizia, boom, crisi e recessione economica
che ineludibilmente finisce sempre per pregiudicare la solvibilità e la capacità di pagamento delle
banche.
4
LA BANCA, IL COEFICIENTE DI RISERVA FRAZIONARIA
92
Nelle parole rotonde di Laurence S. Moss e Karen I. Vaughn: «Any real growth in the capital stock takes time and requires
voluntary net savings. There is no way for an expansion of the money supply in the form of bank credit to short-circuit the process of
economic growth.» «Hayek’s Ricardo Effect: A Second Look», op. cit., p. 555 (i corsivi sono miei). Forse l’articolo nel quale in
maniera più sintetica e chiara Hayek spiega tutto questo processo e il suo lavoro «Price Expectations, Monetary Disturbances and
Malinvestment», pubblicato nel 1933 e incluso nel suo Profits, Interest and Investment, op. cit., p. 135-156. Fortunatamente questo
chiarissimo articolo di Hayek fu incluso da Luis Olariaga come Appendice all’edizione del 1936 pubblicata da Espasa-Calpe de La
teoría monetaria y el ciclo económico (op. cit., pp. 191-202) e che Olariaga tradusse in castigliano con il non molto fortunato titolo di
«Previsiones de precios, perturbaciones monetarias e inversiones fracasadas» (rieditato come Appendice alla recente edizione
spagnola di Prezzi e produzione, op. cit., pp. 145-159). Su questa stessa linea è anche necessario menzionare i lavori di Roger W.
Garrison, illustrando graficamente la teoria austriaca del capitale e dei cicli e paragonandola con le esposizioni grafiche più usuali
utilizzate nei libri di testo di macroeconomia per esporre i modelli classico e keynesiano, e in special modo «Austrian
Macroeconomics: A Diagrammatical Exposition», originariamente pubblicato alle pp. 167-201 del libro New Directions in Austrian
Economics, Louis M. Spadaro (ed.), Sheed Andrews & McMeel, Kansas City 1978 (questo lavoro è stato in seguito rieditato come
monografia indipendente all’Institute for Humane Studies nel anno 1978 e ampliato e generalizzato nel suo libro Time and Money,
op. cit.), e il lavoro di Ludwig M. Lachmann «A Reconsideration of the Austrian Theory of Industrial Fluctuations», originariamente
pubblicato in Economica, n.º 7, maggio del 1940, e incluso nelle pp. 267-284 del libro Capital, Expectations and the Market Process:
Essays on the Theory of the Market Economy, Ludwig M. Lachmann, Sheed, Andrews & McMeel, Kansas City 1977. Infine, si può
consultare la descrizione di tutto il processo che in maniera sintetica faccio nel mio articolo «La teoria austriaca del ciclo
economico», opera già citata.
78
E LA LEGGE DEI GRANDI NUMERI
L’analisi che abbiamo fatto fin qui ci permette di chiederci se sia possibile, come ha sostenuto la
dottrina, applicare la legge dei grandi numeri per assicurare l’esercizio della banca con un
coefficiente di riserva frazionaria. Si tratta, in ultima istanza, di rispondere all’argomento secondo
cui le banche, in virtù della legge dei grandi numeri, necessitano di disporre sotto forma di riserva
di cassa di una frazione soltanto della moneta presso di loro depositata in contanti per far fronte alle
domande di liquidità che ricevono dai loro clienti. Questo è l’argomento che costituisce il cuore
delle dottrine giuridiche che tentano di giustificare il contratto bancario di deposito irregolare di
moneta con riserva frazionaria e che già studiammo criticamente nel capitolo III.
Il riferimento in questo ambito alla legge dei grandi numeri equivale a pretendere di applicare i
principi della tecnica assicuratrice per coprire il rischio di ritiro dei depositi, rischio che si considera
a priori potersi quantificare e che, pertanto, è perfettamente assicurabile. Tuttavia, questa credenza
è teoricamente erronea e si basa, come vedremo, su una concezione equivoca della natura dei
fenomeni di cui ci occupiamo. In effetti, i fenomeni relazionati con l’attività bancaria, lungi da
riferirsi alla classe dei fenomeni che corrispondono al mondo naturale, e il cui rischio è assicurabile,
si riferiscono ai fenomeni che si trovano dentro l’orbita dell’azione umana, immersi pertanto in una
situazione di incertezza (non di rischio), che non è, proprio per la sua natura, tecnicamente
assicurabile.
E nel campo dell’azione umana il futuro è sempre incerto, nel senso che deve ancora accadere e che
gli attori che si accingono a esserne i protagonisti hanno di esso solo certe idee, immagini o
aspettative che sperano di trasformare in realtà mediante la propria azione personale e l’interazione
con altri attori. Inoltre, il futuro è aperto a tutte le possibilità creative dell’uomo, per cui ogni attore
si raffronta a esso con un’incertezza inestirpabile, che potrà diminuire grazie ai comportamenti
regolari propri e altrui (istituzioni) e se agisce ed esercita bene la funzione imprenditoriale, ma che
non sarà in grado di eliminare totalmente93. Il carattere aperto e inestirpabile dell’incertezza di cui
parliamo fa sì che non siano applicabili al campo dell’interazione umana le nozioni tradizionali
della probabilità oggettiva e soggettiva, né tantomeno la concezione bayesiana sviluppata intorno a
quest’ultima. E il Teorema di Bayes richiede una struttura stocastica sottostante di carattere stabile
che è incompatibile con la capacità creativa dell’essere umano94. Questo è così non solo perché non
93
Si confronti in questo senso Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 46-47.
94
«The Bayesian approach rules out the possibility of surprise». J.D. Hey, Economics in Disequilibrium, New York University
Press, New York 1981, p. 99. E nello stesso senso, Emiel F.M. Wubben, nel suo articolo «Austrian Economics and Uncertainty»,
manoscritto presentato alla First European Conference on Austrian Economics (Maastricht, aprile del 1992, p. 13), afferma che: «the
conclusion to be drawn is the impossibility of talking about subjective probabilities that tend to objective probabilities. The
dimensions are not on the same footing but cover different levels of knowledge».
79
si conoscono nemmeno tutte le alternative o tutti i casi possibili, ma perché, tra l’altro, solo l’attore
possiede determinate credenze o convinzioni soggettive – denominate da Mises probabilità casuali
o eventi unici95 – che man mano che si modificano o si ampliano, tendono a variare a sorpresa, cioè,
in forma radicale e non convergente, tutta la sua mappa di credenze e conoscenze. In questo modo
l’attore scopre di continuo situazioni completamente nuove che prima nemmeno era stato in grado
di intuire.
Questa concezione dell’incertezza, corrispondente ai fenomeni propri dell’azione umana e pertanto
dell’economia, è radicalmente distinta dal concetto di rischio che si trova nel mondo della fisica e
della scienza naturale, e può riassumersi nella seguente Tabella V-7:
TABELLA V-7
95
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., pp. 110-118.
80
la probabilità di classe, non appe- novo tutta la mappa di credenze e
na appare nuova informazione. aspettative (concetto di sorpresa).
È evidente che i fenomeni relativi al ritiro più o meno massiccio e imprevisto dei depositi da una
banca da parte dei propri clienti corrispondono all’ambito proprio dell’azione umana, e si trovano
immersi in una situazione di incertezza che, proprio per sua natura, non è tecnicamente assicurabile.
La ragione tecnico-economica dell’impossibilità di assicurare l’incertezza si radica,
fondamentalmente, nel fatto che proprio l’azione umana provoca o crea gli eventi che si pretende
di assicurare. Cioè, i fenomeni di ritiro dei depositi si vedono inesorabilmente colpiti e influenzati
proprio dall’esistenza dell’«assicurazione» (coefficiente di riserva frazionaria ipoteticamente
stabilito in funzione della legge dei grandi numeri e dall’esperienza dei banchieri) e
dall’accadimento del fenomeno (crisi e panico bancario che danno luogo al ritiro massiccio dei
depositi) che si pretende appunto assicurare96.
96
Ci stiamo riferendo, insomma, al fenomeno di moral hazard o rischio morale, che già fu analizzato in termini teorici da M.V.
Pauly («The Economics of Moral Hazard», American Economic Review, vol. 58, 1968, pp. 531-537). In questo stesso senso è
possibile rimarcare il lavoro di Kenneth J. Arrow, «The Economics of Moral Hazard: Further Comments», pubblicato
originariamente in American Economic Review, vol. 58, 1968, pp. 537-53, dove Arrow continua le indagini su questo fenomeno che
iniziò nel suo articolo del 1963 su «Uncertainty in the Welfare Economics of Medical Care», American Economic Review, vol. 53,
1963, pp. 941-973. Per Arrow, il rischio morale sembra sempre che «the insurance policy might itself change incentives and
therefore the probabilities upon which the insurance company has relied». Questi due articoli di Arrow sono stati inclusi nel suo libro
Essays in the Theory of Risk-Bearing, North Holland Publishing Company, Amsterdam, Londra e New York 1974, pp. 177-222, e in
81
La dimostrazione dettagliata dell’intima connessione che esiste tra l’intento di applicare la legge dei
grandi numeri mantenendo un coefficiente di riserva frazionaria e il fatto che questa
«assicurazione» inevitabilmente genera e fomenta processi di ritiro massiccio di depositi è semplice
e si è resa possibile grazie allo sviluppo della teoria austriaca o del credito circolante del ciclo
economico che abbiamo esposto in questo capitolo. In effetti, l’attività bancaria con riserva
frazionaria permette la concessione massiccia di crediti non coperti dall’aumento precedente di
risparmio (espansione creditizia) e dà luogo, come già abbiamo visto, in un primo momento, a un
ampliamento e a un allungamento artificiale della struttura produttiva (che illustriamo nella parte
ombreggiata del Grafico V-6). Tuttavia, presto o tardi, e per le ragioni microeconomiche che in
dettaglio abbiamo analizzato nel precedente capitolo, si mettono inesorabilmente in funzione
processi sociali che tendono a far ricomparire gli errori imprenditoriali commessi, tornando a una
struttura produttiva come quella che abbiamo illustrato nel Grafico V-7. In esso, non solo
spariscono completamente i nuovi stadi con i quali si era tentato di allargare la struttura produttiva
(stadi sesto e settimo del Grafico V-6), ma si liquidano anche gli «ampliamenti» degli stadi dal
secondo al quinto, producendosi un impoverimento generale della società, causato dal cattivo
investimento delle sue scarse risorse reali risparmiate. Conseguenza di tutto ciò è che un numero
molto importante di percettori dei prestiti provenienti dall’espansione creditizia non è, in ultima
istanza, in grado di restituirli e tali percettori si convertono in morosi, così che si inizia un processo
nel quale si moltiplicano, e di molto, sia le sospensioni di pagamento che i fallimenti. La morosità,
pertanto, va a colpire una quota molto importante dei prestiti concessi dalle banche. E il valore di
mercato dei progetti di investimento iniziati per errore, una volta che arriva la crisi e si evidenzia
che non si dovevano intraprendere, si riduce a una frazione di quanto valeva in principio, se non
sparisce del tutto.
Questa diminuzione generalizzata nel valore dei beni di capitale si trasferisce alle attività delle
banche in un volume che può essere illustrato graficamente proprio con l’importo dei prestiti
corrispondenti
alla zona ombreggiata del Grafico V-6, che rappresenta, in termini monetari, l’errato allungamento
e ampliamento della struttura produttiva che si tentò di realizzare negli stadi espansivi del ciclo
economico grazie al finanziamento facile e a buon mercato dei crediti concessi dalla banca (senza
nessuna copertura di aumento precedente del risparmio volontario). Nella stessa misura in cui si
evidenziano gli errori commessi e si abbandonano, si liquidano o si ristrutturano gli
special modo le pp. 202-204. Infine, è necessario consultare tanto il capitolo VII dedicato ai rischi non assicurabili del notevole libro
di Karl H. Borch, Economics of Insurance, North Holland, Amsterdam e New York 1990, e in special modo le pp. 317 e 325-330;
come anche il lavoro di J.E. Stiglitz «Risk, Incentives and Insurance: The Pure Theory of Moral Hazard», pubblicato in The Geneva
Papers on Risk and Insurance, n.º 26, anno 1983, pp. 4-33.
82
«allungamenti» e i «ampliamenti» della struttura produttiva, si produce una diminuzione nel valore
delle attività di tutto il sistema bancario. Inoltre, questa diminuzione nel valore delle attività del
sistema bancario va gradualmente accompagnata dal processo di contrazione creditizia che già
analizzammo contabilmente alla fine del capitolo IV e che tende ad aggravare ancor di più gli effetti
negativi della recessione sulle attività del sistema bancario. Effettivamente, quegli imprenditori che
riescono a salvare le proprie imprese dalla sospensione dei pagamenti e dai fallimenti ristrutturano i
processi di investimento intrapresi, bloccandoli, liquidandoli e accumulando la liquidità necessaria
per restituire i prestiti che ottennero dalla banca. Inoltre, il pessimismo e la demoralizzazione degli
agenti economici97 fa sì che la richiesta e la concessione di nuovi crediti non possa compensare il
ritmo al quale questi si liquidano o si restituiscono. Tutto ciò genera una grande contrazione
creditizia.
La conclusione è, pertanto, che la depressione economica a cui dà luogo l’espansione creditizia
provoca una diminuzione generalizzata nel valore delle attività contabili del sistema bancario,
proprio in un momento nel quale vengono meno l’ottimismo e la fiducia dei depositanti. Cioè, il
valore dei prestiti e delle altre attività della banca diminuisce per colpa della recessione e della
morosità, mentre il suo collaterale nelle passività, i depositi ora a disposizione di terzi, permane
inalterato. Contabilmente, la situazione patrimoniale di molte banche si fa molto problematica e
difficile, e cominciano ad annunciarsi sospensioni di pagamenti e fallimenti bancari. Come è logico,
da un punto di vista teorico, non si può determinare a priori quali banche concrete si vedranno, in
termini relativi, più colpite. Ma ciò che si può prevedere con sicurezza è che quelle marginalmente
meno solvibili avranno grossi problemi di liquidità e si vedranno soggette alla sospensione dei
pagamenti e perfino al fallimento. Questa situazione può creare molto facilmente una crisi
generalizzata di fiducia in tutto il sistema bancario che farà sì che i cittadini privati corrano
massicciamente a ritirare i loro depositi, e non solo dalle banche con maggiori difficoltà in termini
relativi, ma, e per un fenomeno di contagio, da tutte le altre. E tutte le banche che operano con
riserva frazionaria sono endemicamente insolventi, essendo soltanto di grado, e relativamente
piccole, le differenze che esistono tra l’una e l’altra. È, pertanto, inevitabile che si produca
un’importante contrazione creditizia e finanziaria, che storicamente si è ripetuta in numerose
occasioni da che esistono banche che operano con riserva frazionaria, come già vedemmo quando
studiammo la crisi economica prodotta dalla banca a Firenze nel secolo XIV. In ogni caso, è stato
dimostrato che il sistema di riserva frazionaria mette in funzionamento in maniera endogena
processi che rendono impossibile l’assicurazione della banca mediante l’applicazione della legge
97
«The boom produces impoverishment. But still more disastrous are its moral ravages. It makes people despondent and dispirited.
The more optimistic they were under the illusory prosperity of the boom, the greater is their despair and their feeling of frustration».
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 576.
83
dei grandi numeri, provocando crisi sistematiche nel sistema bancario che, presto o tardi, creano
difficoltà insostenibili nello stesso. Sparisce così uno degli argomenti più logori per giustificare
tecnicamente l’esistenza di un contratto che, come il deposito bancario di moneta con riserva
frazionaria, possiede, come già vedemmo nel capitolo III, una natura giuridica inammissibile,
poiché ha la sua origine unicamente ed esclusivamente nella concessione di un privilegio da parte
dei poteri pubblici alle banche private.
Si potrebbe pensare erroneamente che l’importante morosità bancaria e la distruzione generalizzata
di valori nell’attivo dei bilanci delle banche che si producono in una crisi economica potessero
compensarsi, senza nessun problema dal punto di vista contabile, con la corrispondente
eliminazione dei depositi che equilibrano detti prestiti nel passivo. Non invano abbiamo dimostrato
nel capitolo IV che la banca crea i depositi nel processo di espansione creditizia. Tuttavia, dal punto
di vista economico questo argomento non è valido. La creazione da parte delle banche di offerta
monetaria in forma di depositi, pur se è certo che in un primo momento si effettua congiuntamente
alla creazione di crediti e si concedono gli uni e gli altri ai medesimi attori, non è meno certo che
chi riceve i prestiti si disfi immediatamente delle unità monetarie ricevute in forma di depositi,
pagando con le stesse unità monetarie i fattori originari di produzione e i propri fornitori. In questo
modo, i percettori diretti conservano un debito con la banca per l’importo dei prestiti, ma i depositi
cambiano subito titolari. È qui dove si radica, esattamente, l’endemica insolvenza delle banche che
mette in pericolo la loro sopravvivenza durante i periodi di crisi economica acuta. In effetti, gli
imprenditori titolari dei prestiti commettono in modo generalizzato errori imprenditoriali che nella
crisi vengono evidenziati, sotto forma di processi di investimento in beni di capitale nei quali si
materializzano i prestiti che, o sono totalmente privi di valore, o si vedono diminuiti in una
proporzione considerevole, il che genera una consistente morosità e la perdita di valore di gran parte
degli attivi della banca. Tuttavia, parallelamente, i titolari dei depositi, che già sono altri,
continuano a mantenere intatto il loro titolo nei confronti delle banche che originariamente
iniziarono l’espansione creditizia, per cui il passivo di queste non può eliminarsi allo stesso ritmo
della diminuzione di valori nell’attivo. Il risultato è uno scombussolamento contabile che porta alla
sospensione dei pagamenti e al fallimento delle istituzioni bancarie marginalmente meno solvibili.
Se il pessimismo e la mancanza di fiducia si generalizzano, la situazione di insolvenza può arrivare
a colpire tutte le banche, producendosi così il terribile fallimento del sistema bancario e del sistema
monetario basato sulla banca con un coefficiente di riserva frazionaria. Questa endemica instabilità
del sistema bancario basato sulla riserva frazionaria è quella che rende inevitabile la presenza di una
banca centrale come prestatore di ultima istanza, allo stesso modo in cui il sistema di completa
84
libertà bancaria esigerebbe per un suo corretto funzionamento il ritorno ai principi tradizionali del
diritto e, pertanto, il mantenimento di un coefficiente di cassa del 100 per cento.
Orbene, se l’utilizzazione di un contratto di deposito bancario di moneta, non adempiendo
all’obbligo di mantenere un coefficiente di cassa del 100 per cento può perfino finire con la rovina
del sistema bancario (e di molti dei suoi clienti), come è possibile che i banchieri storicamente si
vadano impegnando in questo modo di agire? I motivi e le circostanze che nella storia hanno dato
luogo al contratto di deposito bancario con riserva frazionaria sono stati studiati nei primi tre
capitoli di questo libro. Lì vedemmo come questo contratto ebbe le sue origini nella concessione di
un privilegio da parte dei governi ai banchieri affinché potessero utilizzare a loro profitto il denaro
dei propri depositanti, la maggior parte delle volte sotto forma di crediti concessi al proprio
erogatore del privilegio, ossia, il governo o lo Stato, sempre assillato da pressioni di carattere
finanziario. Se i governi, adempiendo alla loro funzione essenziale, avessero definito e difeso
adeguatamente i corrispondenti diritti di proprietà dei depositanti, una tanto anomala istituzione non
sarebbe mai sorta.
Ora, con carattere addizionale, possiamo proporre alcune spiegazioni complementari sulla nascita
del contratto di deposito bancario di moneta con riserva frazionaria. Così, è possibile menzionare la
grande difficoltà teorica che, dato il carattere astratto e difficile dei processi sociali relazionati con il
credito e la moneta, fa sì che pochissimi cittadini, nemmeno i più coinvolti in tali processi, siano
stati capaci di analizzare e comprendere gli effetti che, in ultima istanza, crea l’espansione
creditizia. Del tutto all’opposto, generalmente lungo la storia, sono sempre state in maggioranza le
voci che hanno considerato positivi gli effetti dell’espansione creditizia sull’economia, fissandosi
unicamente ed esclusivamente sui risultati più visibili e a breve scadenza di essa (ondate di
ottimismo, boom economico). Ma cosa possiamo dire proprio dei banchieri che hanno sperimentato
lungo la storia numerose crisi e panici bancari che in maniera ripetitiva hanno messo in grave
pericolo e perfino posto fine alla loro attività? E, dato che i banchieri hanno sofferto sulla propria
carne le conseguenze di aver esercitato la loro attività con un coefficiente di riserva frazionaria, si
potrà pensare che è proprio nel loro interesse modificare la loro attività adattandola ai principi
tradizionali del diritto (cioè, utilizzando un coefficiente di cassa del 100 per cento). Questa è
un’idea che perfino Ludwig von Mises, in un primo momento, mantenne98 e che tuttavia non è
98
Ludwig von Mises già nel 1928 confessava che «I could not understand why the banks didn’t learn from experience. I thought
they would certainly persist in a policy of caution and restraint, if they were not led by outside circumstances to abandon it. Only
later did I become convinced that it was useless to look to an outside stimulus for the change in the conduct of the banks. Only later
did I also become convinced that fluctuations in general business conditions were completely dependent on the relationship of the
quantity of fiduciary media in circulation to demand ... We can readily understand that the banks issuing fiduciary media, in order to
improve their chances for profit, may be ready to expand the volume of credit granted and the number of notes issued. What calls for
a special explanation is why attempts are made again and again to improve general economic conditions by the expansion of
circulation credit in spite of the spectacular failure of such efforts in the past. The answer must run as follows: According to the
85
giustificata né dall’esperienza storica, in quanto le banche sono ricadute sempre nella riserva
frazionaria (nonostante i gravi rischi in cui incorrono), né per l’analisi teorica. In effetti, anche
ammesso che i banchieri siano coscienti che lo sviluppo della loro attività, utilizzando una riserva
frazionaria, è alla lunga condannato al fallimento, è certo che la possibilità di creare moneta dal
nulla, che è il presupposto di tutta l’espansione creditizia, genera profitti a tal punto esorbitanti che
si fa insopportabile la tentazione di ricadere di nuovo nella riserva frazionaria. Inoltre, dal punto di
vista del banchiere individuale, non esiste l’assoluta sicurezza che la sua banca sarà una di quelle
marginali che finiranno per soffrire una sospensione dei pagamenti o un fallimento, poiché è sempre
possibile farsi l’illusione di potersi ritirare in tempo dal processo prima che abbia inizio la crisi,
domandando la restituzione dei prestiti ed evitando le morosità. Si mette così in funzionamento un
tipico processo di tragedia dei beni pubblici, che studieremo più dettagliatamente nel capitolo VIII
e che, come è risaputo, sorge sempre, come nel caso di cui ci occupiamo, ogni volta che non si
definiscono o non si difendono adeguatamente i diritti di proprietà dei terzi. Tutto ciò spiega che
nasca una tentazione insopportabile da parte delle banche per espandere il loro credito prima degli
altri, approfittando interamente dei profitti di tale espansione e facendo ricadere sul resto delle
banche e, in generale, su tutto il sistema economico in maniera diluita e differita nel tempo, le
conseguenze molto perniciose della sua espansione creditizia99.
Per ultimo, l’impossibilità teorica di assicurare il rischio di ritiro dei depositi mediante il
mantenimento di un coefficiente di riserva frazionaria spiega anche perché, come vedremo nel
capitolo VIII, siano stati proprio i banchieri i difensori e i protettori dell’esistenza di una banca
centrale che, come prestatore di ultima istanza, potesse garantire loro la sopravvivenza negli stadi di
angoscia che l’esperienza mostrava che, una volta o l’altra, sorgevano in maniera ricorrente100. Da
prevailing ideology of businessman and economist-politician, the reduction of the interest rate is considered an essential goal of
economic policy. Moreover, the expansion of circulation credit is assumed to be the appropriate means to achieve this goal.»
«Monetary Stabilization and Cyclical Policy», incluso nel libro On the Manipulation of Money and Credit, Freemarket Books, New
York 1978, pp. 135-136. Questo lavoro è la traduzione in inglese dell’importante libro pubblicato da Mises nel 1928 con il titolo di
Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik, Gustav Fischer, Jena 1928.
99
La prima volta che ebbi l’opportunità di difendere la tesi che dovevo applicare all’attività bancaria, ossia la teoria della «tragedia
dei beni pubblici», fu nella Riunione Regionale della Mont-Pèlerin Society che ebbe luogo a Río de Janeiro dal 5 all’8 di settembre
del 1993 e in cui spiegai l’applicazione del tipico processo di «tragedia dei beni pubblici» applicato all’attività bancaria come
qualcosa di evidente, giacché tutto il processo espansivo ha la sua origine, come già abbiamo visto, in un privilegio contro il diritto di
proprietà, poiché ogni banca internalizza tutti i profitti dovuti all’espansione del proprio credito, facendo ricadere i corrispondenti
costi in forma diluita tra il resto delle banche e in tutto il sistema economico. Inoltre, e come vedremo nel capitolo VIII, un
meccanismo di compensazione interbancaria dentro un sistema di banca libera può porre un limite a iniziative individuali e isolate di
espansione, ma è inservibile se tutti, in maggior o minor misura, e mossi dall’animo del lucro in un tipico processo di «tragedia dei
beni pubblici», si lasciano trasportare dall’«ottimismo» nella concessione di crediti. Si veda in questo senso la mia «Introduzione
Critica all’Edizione spagnola» all’opera di Vera C. Smith Fundamentos de la banca central y de la libertad bancaria, Unión
Editorial/Edizioni Aosta, Madrid 1993, nota 16 a piè della p. 38.
100
Si potrà tirare in ballo tutta l’analisi della «Scuola della Public Choice» per spiegare come le banche, in quanto poderoso gruppo
di interesse, si siano mobilitate per mantenere il loro privilegio, dargli fondamento giuridico e ottenere l’appoggio governativo che è
sempre stato necessario. Perciò non c’è da stupirsi che autori come Rothbard concludano che «bankers are inherently inclined toward
statism». Murray N. Rothbard, Wall Street, Banks, and American Foreign Policy, Center for Libertarian Studies, Burlingame,
California 1995, p. 1. Dobbiamo anche fare riferimento a tutta la letteratura apparsa nell’ambito dell’economia finanziaria sugli
effetti economici dei contratti dei depositi a vista e che manca di ipotizzare l’esistenza di una banca centrale, concentrarsi nell’analisi
86
Capitolo VI
Considerazioni complementari sulla teoria del ciclo economico
In questo capitolo effettueremo una serie di considerazioni addizionali che chiariscono differenti
casi relativi alla teoria del credito circolatorio del ciclo economico, e che pretendono, da un lato, di
completare, nella misura del possibile, l’analisi effettuata e, dall’altro, delucidare diverse questioni
periferiche di grande interesse teorico e pratico. La parte finale del capitolo è dedicata a ripassare
l’evidenza empirica e dare sostegno alla teoria esposta nei capitoli anteriori.
1) Perché la cresi non si verifica quando i nuovi investimenti sono finanziati da risparmio
reale (e non da espansione creditizia)
La crisi economica, e la conseguente recessione, non sorgono se l’allungamento degli stadi della
struttura produttiva che abbiamo studiato nel capitolo precedente si verificano come risultato di un
precedente aumento del risparmio volontario, e non come conseguenza di una espansione creditizia
iniziata dalla banca senza alcuna copertura di un aumento del risparmio reale. Infatti, se il processo
inizia in conseguenza di aumento sostenuto del risparmio volontario, non si produce nessuno dei sei
effetti microeconomici che sorgono spontaneamente come reazione all’espansione creditizia,
invertendo gli effetti del boom artificiale che essa inizialmente genera. Infatti, in tal caso, non si
verifica un aumento del prezzo dei fattori originari di produzione. Al contrario, se i crediti hanno la
loro origine in un aumento del risparmio reale, la diminuzione relativa del consumo immediato che
questo sempre implica, libera, nel mercato dei fattori originari di produzione, un volume importante
di risorse produttive, che diventano disponibili per essere domandate negli stadi più lontani dal
consumo senza necessità di dover pagare per essi prezzi molto alti. Si ricordi che se, nel caso
dell’espansione creditizia, i prezzi salivano, era, esattamente, perché essa non aveva la sua origine
in un precedente aumento del risparmio, per cui non si liberavano negli stadi vicini al consumo
risorse originarie di produzione e l’unico modo che gli imprenditori degli stadi più intensivi di
capitale avevano di conseguirle era offrendo loro remunerazioni relativamente più alte.
Se l’allungamento della struttura produttiva ha la sua origine in un aumento del risparmio
volontario, non si produce nemmeno un aumento del prezzo dei beni di consumo più che
proporzionale a quello corrispondente ai fattori di produzione, ma al contrario, al principio tende a
prodursi una diminuzione sostenuta del prezzo di tali beni. Infatti, l’aumento del risparmio implica
sempre che nel breve periodo non si consumi più una determinata quantità di tali beni. Perciò, non
si verificherà un aumento relativo nei profitti contabili delle industrie più vicine al consumo, e
nemmeno una diminuzione dei profitti o anche una perdita contabile negli stadi più lontani dal
consumo, per cui non produrrà l’inversione del processo e non c’è alcun motivo per cui debba
verificarsi una crisi. Inoltre, l’«Effetto Ricardo» gioca il suo ruolo, come abbiamo visto nel capitolo
V, rendendo più conveniente la sostituzione di manodopera con equipaggiamento di capitale, in
quanto i salari aumentano in termini reali in conseguenza della diminuzione relativa del prezzo dei
beni di consumo che l’aumento del risparmio tende a provocare. E per quanto riguarda i tassi di
interesse di mercato, questi non aumentano, ma al contrario, tendono a ridursi in modo permanente,
rappresentando così il nuovo tasso di preferenza intertemporale della società, ora più ridotto come
risultato dell’aumento della propensione al risparmio. Inoltre, incorporandosi qualche componente
con la modifica del potere d’acquisto della moneta, nel caso dell’aumento del risparmio volontario
il tasso di interesse di mercato aggiungerebbe una componente negativa, in quanto la tendenza,
come abbiamo già visto, è verso la diminuzione del prezzo dei beni di consumo (tanto nel breve
come nel lungo periodo), per cui il potere d’acquisto della moneta tenderà ad aumentare, e questo
fatto spingerà ancor di più affinché si riducano in termini nominali i tassi di interesse. Inoltre,
siccome la crescita economica basata sul risparmio volontario è sana e sostenuta, le componenti di
rischio e imprenditoriale implicite nel tasso di interesse tenderanno ugualmente a ridursi.
1
Le precedenti considerazioni ci confermano che la depressione sorge per mancanza del risparmio
volontario necessario a mantenere una struttura produttiva troppo intensiva di capitale, e che ha
inizio per colpa dell’espansione creditizia che intraprende il sistema bancario senza il sostegno
corrispondente degli agenti economici, che, in generale, non desiderano aumentare il loro risparmio
volontario. Forse sono stati Moss e Vaughn coloro che in modo più sintetico hanno espresso la
conclusione di tutta l’analisi teorica di questo processo, e che altra non è che «any real growth in the
capital stock takes time and requires voluntary net savings. There is no way for the expansion of the
money supply in the form of bank credit to short-circuit the process of economic growth.»1
L’arrivo della depressione può essere ritardato qualora si concedano in modo addizionale, e ad un
ritmo progressivamente crescente, nuovi crediti senza copertura del risparmio reale. Cioè, se si
aumenta il ritmo di espansione creditizia a una velocità tale da non poter essere completamente
anticipato dagli agenti economici. Il procedimento consiste nella concessione di quantità aggiuntive
di credito bancario alle imprese che hanno intrapreso nuovi progetti di investimento, allargato e
allungato gli stadi del processo produttivo, che consentono di posporre lo scatenamento temporale
dei sei effetti che, in modo spontaneo, tendono sempre a invertire nel mercato le conseguenze
iniziali di ogni espansione creditizia. Tuttavia, sebbene sia possibile ritardare l’arrivo della
depressione mediante questo procedimento, e farlo anche per periodi relativamente prolungati di
tempo2, questa strategia è condannata inevitabilmente al fallimento, e ha il grave costo aggiuntivo di
far sì che, quando la recessione arrivi, questa sia molto più dolorosa, duratura e profonda3.
Orbene, affinché questa strategia di posporre nel tempo l’arrivo delle crisi mediante la concessione
addizionale di crediti abbia successo, è necessario che l’espansione creditizia sia portata a termine
in modo progressivamente accelerato. Questo principio era già stato posto in evidenza da Hayek nel
1934 quando affermò che «in order to bring about constant additions to capital, [credit] would have
1
Cioè, in italiano, che: «ogni aumento reale dello stock di capitale esige del tempo e richiede un aumento del risparmio
volontario netto. Di modo che non esiste alcuna possibilità che un’espansione dell’offerta monetaria sotto forma di
crediti bancari possa convertirsi in una scorciatoia che permetta di accelerare il processo di crescita economica.»
Laurence S. Moss e Karen I. Vaughn, «Hayek’s Ricardo Effect: A Second Look», op. cit., p. 535.
2
Lo stesso Hayek, commentando l’avvento della crisi economica alla fine degli anni Settanta del XX secolo,
riconosceva che «my expectation was that the inflationary boom would last five or six years, as the historical ones had
done, forgetting that then their termination was due to the gold standard. If you had no gold standard —if you could
continue inflating for much longer— it was very difficult to predict how long it would last. Of course, it has lasted very
much longer than I expected. The end result was the same.» Hayek si riferisce al processo inflazionistico degli anni
Sessanta e Settanta diffuso in tutto il mondo e aggravato da circostanze storiche che, come la guerra in Vietnam e altre,
alimentarono quasi illimitatamente l’espansione creditizia a livello mondiale, mettendo in moto un processo che in
seguito avrebbe dato luogo alla grave depressione con inflazione e alto volume di disoccupazione della fine degli anni
Settanta e primi anni Ottanta. Si veda Hayek on Hayek: An Autobiographical Dialogue, Stephen Kresge e Leif Wenar
(ed.), Routledge, Londra 1994, p. 145 (edizione spagnola: Hayek sobre Hayek: Un diálogo autobiográfico, in Obras
Completas, vol.I, Unión Editorial, Madrid 1997, p.140; edizione italiana: Hayek su Hayek: L’autobiografia del più
grande pensatore liberale del Novecento, Ponte delle Grazie 1994, p.198).
3
Murray N. Rothbard analizza la possibilità di ritardare l’arrivo della depressione nei seguenti termini: «Why do
booms, historically, continue for several years? What delays the reversion process? The answer is that as the boom
begins to peter out from an injection of credit expansion, the banks inject a further dose. In short, the only way to avert
the onset of the depression-adjustment process is to continue inflating money and credit. For only continual doses of
new money on the credit market will keep the boom going and the new stages profitable. Furthermore, only ever
increasing doses can step up the boom, can lower interest rates further, and expand the production structure, for as the
prices rise, more and more money will be needed to perform the same amount of work ... But it is clear that prolonging
the boom by ever larger doses of credit expansion will have only one result: to make the inevitably ensuing depression
longer and more grueling.» Murray N. Rothbard, Man, Economy, and State, op. cit., pp. 861-862.
2
to increase... at a constantly increasing rate»4. La necessità di questo aumento progressivamente
crescente del tasso di espansione creditizia ha la sua ragion d’essere nel fatto che questa, in ogni
periodo di tempo, deve essere superiore all’aumento che si verifichi nel prezzo dei beni di consumo
in conseguenza della maggiore domanda monetaria che fluisca verso di essi all’aumentare del
reddito nominale dei fattori originali di produzione. Perciò, dato che il nuovo reddito dei fattori
originari di produzione procede direttamente dall’espansione creditizia, è necessario che questa
aumenti in modo progressivo con il fine che il prezzo dei fattori di produzione stia sempre davanti
al prezzo dei beni di consumo. Nel momento in cui ciò non si verificasse, si scatenerebbero
spontaneamente i sei processi microeconomici che invertono la struttura produttiva rendendola più
corta e appiattita, scoppiando in modo irremissibile la crisi e la depressione economica.
In ogni caso, gli aumenti delle espansioni creditizie devono effettuarsi ad un ritmo tale che non
possano essere adeguatamente e correttamente previsti dagli agenti economici, in quanto se questi
sono in grado di anticiparli correttamente, si scatenerebbero anche i sei effetti di inversione già noti.
Infatti, se aspettative inflazionistiche si generalizzano, subito i prezzi dei beni di consumo
inizieranno a crescere più rapidamente anche dei prezzi dei fattori di produzione, e inoltre si
produrrà un notevole aumento nei tassi di interesse di mercato, anche se l’espansione creditizia
continui a crescere (in quanto le aspettative inflazionistiche e di crescita del tasso di interesse si
trasferiranno immediatamente al loro valore di mercato).
Per tutto ciò, la strategia di accelerare l’espansione creditizia per ritardare la crisi non si può
mantenere indefinatamente e questa presto o tardi si manifesterà a causa di uno dei tre seguenti
motivi, che possono agire come detonatori della crisi e scatenanti la recessione:
(a) Se si arresta o si rallenta il ritmo di crescita dell’espansione creditizia dinanzi al timore da
parte delle banche e delle autorità economiche che si scateni una crisi e l’ulteriore processo
di depressione si aggravi ancor di più nel caso si continui a generare più inflazione. Nel
momento in cui il ritmo di espansione creditizia diminuisca, si arresti, o questa sia
completamente eliminata, si verificheranno i sei processi microeconomici visti che spingono
verso la crisi e il riassestamento della struttura produttiva.
(b) Se si mantiene una crescita dell’espansione creditizia che, tuttavia, non aumenti al ritmo
necessario da impedire in ogni periodo di tempo che si producano gli effetti di inversione. In
tal caso, nonostante la crescita continua dell’offerta monetaria sotto forma di prestiti, si
scateneranno inevitabilmente gli effetti passati in rassegna. Sorgerà così una crisi o
depressione economica che sarà accompagnata da un importante aumento dei prezzi dei beni
di consumo, situazione di inflazione con crisi, depressione, e, pertanto, alte quote di
disoccupazione che, con grande sorpresa per i teorici keynesiani, è stata sperimentata dal
mondo occidentale sia durante la depressione inflazionistica della fine degli anni Settanta
sia, in misura minore, durante la recessione economica degli inizi degli anni Novanta
(entrambe del XX secolo), e che in inglese è stata denominata con l’appellativo calzante di
stagflation (o, in italiano, recessione inflazionistica o «stagflazione»5).
4
F.A. Hayek, Prices and Production, op. cit., p. 150 (p. 192 dell’edizione italiana). In italiano ciò che Hayek dice è:
«con il fine di conseguire incrementi addizionali nel capitale, occorre che l’espansione creditizia si produca a un tasso
di aumento costantemente crescente».
5
Mark Skousen segnala correttamente che, in termini relativi, la recessione inflazionistica è un fenomeno universale, in
quanto in tutte le recessioni il prezzo dei beni di consumo sperimenta in termini relativi un aumento superiore (o
diminuzione inferiore) a quello dei fattori di produzione. Il verificarsi di un aumento generalizzato dei prezzi nominali
dei beni di consumo durante la fase recessiva apparve, per la prima volta, durante la depressione degli anni Settanta, e
poi durante la recessione degli anni Novanta, e ha la sua origine nel fatto che l’espansione creditizia che alimentò
entrambi i processi fu sufficientemente grande nei diversi stadi del ciclo da mantenere e creare aspettative
inflazionistiche nel mercato dei beni e servizi di consumo, anche durante le fasi più profonde della depressione (a parte
i tipici fenomeni attuali di crescita sfrenata della spesa pubblica e del deficit, e dei massicci trasferimenti che
favoriscono la crescita diretta della domanda e, pertanto, dei prezzi dei beni e servizi di consumo). Si veda Mark
Skousen, The Structure of Production, op. cit., pp. 313-315.
3
Hayek mise in evidenza che la velocità crescente alla quale l’aumento del reddito monetario
dei fattori di produzione genera un aumento della domanda di beni e servizi di consumo
limita, in ultima istanza, le possibilità che, mediante ulteriori aumenti dell’espansione
creditizia, si possa ritardare l’inevitabile arrivo della crisi. Infatti, presto o tardi, si
raggiungerà un punto a partire dal quale l’aumento dei prezzi dei beni di consumo
comincerà a precedere lo stesso aumento del reddito monetario dei fattori originari, sebbene
ciò avvenga solo perché inizia a rallentarsi l’arrivo di beni e servizi di consumo in
conseguenza dei «colli di bottiglia» che genera il tentativo di rendere più intensiva di
capitale la struttura produttiva della società. A partire da questo momento il reddito dei
fattori di produzione, e in particolare i salari, inizieranno a ridursi in termini relativi, per cui
sarà nell’interesse degli imprenditori di sostituire macchinari con lavoratori (ora divenuti
relativamente più economici) e l’«Effetto Ricardo» si metterà in azione, mettendo in
difficoltà i progetti di investimento in beni intensivi di capitale che erano stati intrapresi, e
rendendosi così inevitabile l’avvento della recessione6.
(c) Supponiamo, infine, che il sistema bancario in nessun momento diminuisca il ritmo di
crescita dell’espansione creditizia, ma che, al contrario, lo aumenti costantemente in modo
progressivo, con il fine di fare abortire qualsiasi sintomo dello scoppio di una depressione.
Allora, in questo caso, dal momento in cui gli agenti economici inizino a rendersi conto che
il ritmo crescente di inflazione non dovrà arrestarsi, inizierà una fuga generalizzata verso i
valori reali, un aumento esorbitante dei prezzi dei beni e servizi e, infine, il fallimento del
sistema monetario, che si produrrà quando il processo di iperinflazione ponga termine al
potere d’acquisto dell’unità monetaria e gli agenti economici inizino spontaneamente a
utilizzare un altro tipo di moneta. Allora si svilupperanno in tutta la loro violenza i sei effetti
microeconomici di inversione che già conosciamo, insieme ad una depressione economica di
grande ampiezza che, al doloroso riassestamento di una struttura produttiva totalmente
6
Hayek fece ricorso per spiegare questo fenomeno alla seguente analogia: «The question is rather similar to that
whether, by pouring a liquid fast enough into one side of a vessel, we can raise the level at that side above that of the
rest to any extent we desire. How far we shall be able to raise the level of one part above that of the rest will clearly
depend on how fluid or viscid the liquid is; we shall be able to raise it more if the liquid is syrup or glue than if it is
water. But in no case shall we be at liberty to raise the surface in one part of the vessel above the rest to any extent we
like. Just as the viscosity of the liquid determines the extent to which any part of its surface can be raised above the rest,
so the speed at which an increase of incomes leads to an increase in the demand for consumers’ goods limits the extent
to which, by spending more money on the factors of production, we can raise their prices relative to those of the
products.» F.A. Hayek, «The Ricardo Effect», Economica, IX, n. 34, maggio 1942, pp. 127-152. Riprodotto come
capitolo XI di F.A. Hayek, Individualism and Economic Order, The University of Chicago Press, Chicago 1949, p. 241.
Questa analogia è di nuovo ripresa da Hayek nel 1969 nel suo articolo su «Three Elucidations of the Ricardo Effect»,
dove Hayek ribadisce che l’effetto distorsivo sulla struttura produttiva dell’espansione creditizia dovrà continuare
finché si generi da parte della banca nuova moneta e questa entri nel sistema economico attraverso determinati punti ad
un tasso di crescita progressivo. Hayek critica Hicks in quanto questi suppone che lo shock inflazionistico interesserà
«uniformemente» tutta la struttura produttiva e dimostra che se l’espansione creditizia cresce ad un ritmo superiore
all’aumento dei prezzi, questo processo «can evidently go on indefinitely, at least as long as we neglect changes in the
manner in which expectations concerning future prices are formed» e conclude che: «I find it useful to illustrate the
general relationship by an analogy which seems worth stating here, though Sir John [Hicks] (in correspondence) did not
find it helpful. The effect we are discussing is rather similar to that which appears when we pour a viscous liquid, such
as honey, into a vessel. There will, of course, be a tendency for it to spread to an even surface. But if the stream hits the
surface at one point, a little mound will form there from which the additional matter will slowly spread outward. Even
after we have stopped pouring in more, it will take some time until the even surface will be fully restored. It will, of
course, not reach the height which the top of the mound had reached when the inflow stopped. But as long as we pour at
a constant rate, the mound will preserve its height relative to the surrounding pool - providing a very literal illustration
of what I called before a fluid equilibrium.» F.A. Hayek, New Studies in Philosophy, Politics, Economics and the
History of Ideas, Routledge & Kegan Paul, Londra 1978, pp. 171-173 (Di quest’opera esiste una traduzione in italiano
dal titolo Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee, Armando, Roma, 1988). Sull’importante ruolo
svolto dalle aspettative in questo processo si veda Roger Garrison, Time and Money, op. cit., cap. 1-4.
4
distorta, aggiunge il tremendo costo e danno sociale che implica ogni fallimento del sistema
monetario7.
Possiamo adesso chiarire le modifiche che dobbiamo realizzare nella nostra analisi se, come accade
nelle moderne economie, una parte rilevante dell’espansione creditizia che originano le banche
senza copertura di risparmio volontario si materializza sotto forma di crediti al consumo.
Quest’analisi ha un grande interesse teorico e pratico, in quanto alcune volte si è sostenuto che,
nella misura in cui l’espansione creditizia inizialmente ricada sul consumo e non sull’investimento,
non c’è motivo per cui si debbano scatenare gli effetti economici recessivi che abbiamo analizzato.
Tuttavia, questa opinione è erronea per i motivi che esporremo in questa sezione.
In primo luogo, dobbiamo constatare che la maggior parte del credito al consumo è concessa dalle
banche alle economie domestiche per finanziare l’acquisto di beni di consumo durevole. Abbiamo
già chiarito in precedenza che i beni di consumo durevole sono dei veri beni di capitale che
permettono l’erogazione di servizi diretti di consumo lungo un periodo molto dilatato di tempo.
Perciò, la concessione di crediti per finanziare dei beni di consumo durevole, dal punto di vista
economico, è indistinguibile dalla concessione diretta di credito agli stadi più lontani dal consumo
e intensivi di capitale. Infatti, una maggiore facilità nella concessione di credito e una diminuzione
dei tassi di interesse produrranno, fra altri effetti, un aumento della quantità, qualità e durata dei
cosiddetti «beni di consumo durevole» che, al tempo stesso richiederà un allargamento e
allungamento degli stadi produttivi implicati e, in particolare, di quelli più lontani dal consumo.
Il problema, pertanto, si riduce solo a domandarci in che modo sia necessario modificare la nostra
teoria del ciclo economico se una parte significativa dell’espansione creditizia fosse destinata
(contrariamente a ciò che è usuale) a finanziare non beni di consumo durevole, ma il consumo
corrente di ogni esercizio economico (sotto forma di beni e servizi che soddisfino direttamente le
necessità umane e si esauriscano durante il periodo in questione). Quindi, in questo caso, nemmeno
occorre effettuare delle modifiche rilavanti alla nostra analisi. Perché delle due l’una, o l’espansione
creditizia soddisfa una domanda più o meno continua di credito per finanziare il consumo diretto
che già esisteva nel sistema economico, nel cui caso, dato il carattere di «vasi comunicanti» che
hanno i mercanti del credito, la suddetta espansione libererebbe una capacità di concedere prestiti a
favore degli stadi più lontani dal consumo, riproducendosi così i tipici processi espansivi e recessivi
che già conosciamo; oppure, l’impatto dei crediti sul consumo corrente si produce senza che si
liberi nessuna capacità aggiuntiva di concedere crediti agli stadi più lontani dal consumo.
È solo ed esclusivamente in questo secondo caso, che in pratica non ha alcuna rilevanza, che si
produce un effetto diretto sulla domanda monetaria di beni e servizi di consumo. Infatti, l’afflusso
7
Questo processo era già stato studiato da Ludwig von Mises nella sua analisi della iperinflazione tedesca degli anni
1920-1923, concludendo quanto segue: «Suppose the banks still did not want to give up the race. Suppose, in order to
depress the loan rate, they wanted to satisfy the continuously expanding desire for credit by issuing still more
circulation credit. Then they would only hasten the end, the collapse of the entire system of fiduciary media. The
inflation can continue only so long as the conviction persists that it will one day cease. Once people are persuaded that
the inflation will not stop, they turn from the use of this money. They flee then to ‘real values’, foreign money, the
precious metals, and barter.» Ludwig von Mises, «Monetary Stabilization and Cyclical Policy», incluso in On the
Manipulation of Money and Credit, Free Market Books, Nuova York 1978, p. 129. E, in seguito, in L’Azione Umana,
Mises conclude che: «The boom can last only as long as the credit expansion progresses at an ever-accelerated pace.
The boom comes to an end as soon as additional quantities of fiduciary media are no longer thrown upon the loan
market. But it could not last forever even if inflation and credit expansion were to go on endlessly. It would then
encounter the barriers which prevent the boundless expansion of circulation credit. It would lead to the crack-up boom
and breakdown of the whole monetary system.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 555. La trattazione
classica del processo di iperinflazione tedesco è quella di Constantino Bresciani-Turroni, Le vicende del marco tedesco,
Università Bocconi Editrice, Milano 1931, pubblicato in inglese con il titolo The Economics of Inflation: A Study of
Currency Depreciation in Post-War Germany (1937), Augustus M. Kelley, Londra e Nuova York 1968.
5
di nuova moneta fa aumentare immediatamente i prezzi dei beni di consumo e fa sì che
diminuiscano, in termini relativi, i prezzi dei fattori di produzione. Si mette così in moto l’«Effetto
Ricardo», secondo il quale si contrattano, in termini relativi, più lavoratori che sostituiscono
macchinari, con cui inizierà una tendenza verso l’appiattimento della struttura produttiva, senza
che in precedenza si sia prodotto un «boom» espansivo negli stadi più lontani dal consumo.
L’unica modifica, pertanto, da apportare alla nostra analisi è che, se si favorisce direttamente il
consumo mediante l’espansione creditizia, allora diventa evidente che la struttura produttiva
esistente più lontana dal consumo non è più redditizia in termini relativi, per cui si pone in moto una
tendenza alla liquidazione di tali stadi e all’appiattimento generalizzato della struttura produttiva
lungo un processo economico di impoverimento, che è esattamente il contrario di quello che
abbiamo analizzato all’inizio del capitolo V, quando studiammo gli effetti favorevoli allo sviluppo
economico dell’aumento del risparmio volontario (o della diminuzione del consumo immediato di
beni e servizi)8.
In ogni caso, l’espansione creditizia produce sempre gli stessi effetti di cattivo investimento
generalizzato nella struttura produttiva, sia per un allungamento artificiale di essa (nel caso
dell’espansione che riguarda direttamente gli stadi più intensivi di capitale o il finanziamento di
beni di consumo durevole), sia producendo un restringimento della struttura produttiva esistente
(nel caso dell’espansione creditizia che finanzi direttamente il consumo di beni non durevoli)9.
8
Forse è stato Fritz Machlup colui che nel modo più brillante e sintetico ha spiegato questo fenomeno quando scrisse
che «The view that the expansion of credit for financing the production of consumers’ goods will not lead to
disproportionalities of the kind associated with inflation can be disproved by the following argument. Either the
consumers’ goods industries would have borrowed on the money market, or the capital market, in the absence of any
expansion of bank credit, in which case the satisfaction of their demand for funds by means of the credit expansion
obviously implies that there is so much less pressure on the credit market, and that some producers’ goods industry,
which would not otherwise have obtained credit to finance an expansion, will be enabled to do so by this means... Or
the consumers’ goods industries would not have had any incentive to extend production in the absence of the credit
expansion; in this case the fact that they now enter the market for producers’ goods with relatively increased buying
power as against all other industries...may lead to a change in the distribution of productive factors involving a shift
from the stages far from consumption to the stages near to consumption.» Fritz Machlup, The Stock Market, Credit and
Capital Formation, The Macmillan Company, Nuova York 1940, pp. 192-193. F.A.Hayek, da parte sua, in Prices and
Production (op. cit., pp. 60-62 dell’edizione inglese del 1935 e 52-54 dell’edizione italiana del 1988) spiega, seguendo i
suoi schemi triangolari, in che modo dovrà appiattirsi la struttura produttiva divenendo più intensiva di capitale e,
pertanto, meno produttiva e più povera, se si favorisce direttamente il consumo mediante la concessione di crediti per il
finanziamento di beni e servizi di consumo corrente non duraturo.
9
Questo fenomeno, insieme alla necessita di spiegare in modo semplificato il processo di cattivo investimento senza
dover ricorrere ai complessi ragionamenti che esige la teoria del capitale, indusse Hayek, negli anni Settanta, a
modificare leggermente l’esposizione popolare della sua teoria del ciclo. Così, nel suo articolo «L’inflazione, l’impiego
erroneo del fattore lavoro e la disoccupazione», scritto nel 1975 (e incluso nel libro Inflazione o piena occupazione?,
edizione spagnola della Unión Editorial, Madrid 1976, pp. 33-59), espone quanto segue: «La vera spiegazione, sebbene
non comprovabile, della disoccupazione massiccia risiede nella discrepanza fra la distribuzione del fattore lavoro (e di
altri fattori di produzione) nelle industrie (e nelle località) e la distribuzione della domanda dei suoi prodotti. Questa
discrepanza è causata da una distorsione del sistema dei prezzi e salari relativi.» E nell’autobiografia di Hayek
pubblicata di recente possiamo vedere come, negli ultimi anni della sua vita, pensava che i cicli moderni fossero
caratterizzati dal fatto che il cattivo investimento si producesse in modi molto diversi, non solo per l’effetto
dell’espansione creditizia negli stadi più lontani dal consumo, ma anche a causa dello stimolo artificiale al consumo e,
in generale, per ogni spesa pubblica che causasse una variazione della struttura produttiva che, in ultima istanza, non
potesse diventare permanente in quanto non sostenuta dal comportamento dei consumatori, concludendo che: «So much
of the credit expansion has gone to where government directed it that the misdirection may no longer be of an
overinvestment in industrial capital but may take any number of forms. You must really study it separately for each
particular phase and situation... But you get very similar phenomena with all kinds of modifications.» F.A. Hayek,
Hayek on Hayek: An Autobiographical Dialogue, op. cit., p. 146 (p. 199 dell’edizione italiana del 1994).
6
In un senso generale o ampio, dobbiamo comprendere che il «risparmio forzato» sorge ogni volta
che si produce un aumento della quantità di moneta in circolazione o un’espansione del credito
bancario (non coperto da risparmio volontario) che è iniettato nel sistema economico da qualcuna
delle sue particolari fessure. Se la moneta o il credito si distribuiscono ugualmente tra tutti gli agenti
economici, allora non si produrrà nessun effetto «espansivo», salvo quello della diminuzione del
potere d’acquisto delle unità monetarie in proporzione all’aumento della quantità di moneta.
Orbene, se la nuova moneta entra, come sempre accade, da determinati punti concreti del mercato,
allora un numero relativamente piccolo di agenti economici saranno quelli che realmente
riceveranno in primo luogo le nuove unità monetarie. Ciò fa sì che questi agenti economici godano
temporalmente di un maggior potere d’acquisto, in quanto dispongono di un maggior numero di
unità monetarie per comprare beni e servizi a prezzi di mercato che non hanno ancora ricevuto
l’impatto pieno dell’inflazione e che, pertanto, non sono ancor aumentati. Perciò, il processo dà
luogo a una redistribuzione del reddito a favore di quelli che ricevono per primi le nuove iniezioni o
dosi di unità monetarie e a danno del resto dei cittadini, che sperimentano come, con il medesimo
reddito monetario, il prezzo di beni e servizi che acquistano inizi ad aumentare. È in rapporto a
questo secondo gruppo maggioritario di agenti economici che si verifica il «risparmio forzato», in
quanto i loro redditi monetari aumentano a un ritmo più lento dell’aumento dei prezzi, per cui sono
obbligati, a parità di circostanze, a restringere il loro consumo10.
Orbene, che da questo fenomeno di risparmio forzato a cui dà luogo l’iniezione in determinati
luoghi del mercato di più quantità di moneta in circolazione sorga un aumento o una diminuzione
netta del risparmio generale e volontario della società, dipenderà dalle circostanze particolari di
ogni caso storico. Infatti, se coloro che vedono aumentare i loro redditi (coloro che per primi
ricevono la nuova moneta creata) consumino una proporzione di questi superiore a quella che
consumavano quelli che subiscono una diminuzione dei loro redditi reali, allora si produrrà un
effetto di diminuzione globale del risparmio. Bisogna anche considerare che coloro che sono
beneficati hanno un’alta propensione al risparmio, nel cui caso può essere che si produca un effetto
finale positivo su di esso. In ogni caso esistono altre forze che il processo inflazionistico mette in
moto a danno del risparmio: l’inflazione falsifica il calcolo economico generando benefici contabili
di tipo fittizio che, in misura maggiore o minore, saranno consumati. Per tutto ciò, a priori non si
può stabilire teoricamente se il risultato di un aumento della quantità di moneta in circolazione che
arrivi attraverso canali specifici al sistema economico darà luogo a un aumento o diminuzione del
risparmio globale della società11.
10
Il concetto più generale di risparmio forzato coincide, pertanto, con l’espropriazione forzosa alla quale, in modo
diluito, viene sottoposta la maggioranza dei cittadini da parte delle banche e autorità monetarie quando questi decidono
di espandere il credito e la moneta, diminuendo il potere d’acquisto delle unità monetarie che possiedono i privati
rispetto al valore che avrebbero se tale espansione creditizia e monetaria non fosse stata portata a termine. I risultati di
questa spoliazione sociale possono o essere dilapidati completamente in investimenti del tutto sbagliati, oppure
convertirsi in attivi imprenditoriali o di altro tipo, che de facto e in forma diretta o indiretta, iniziano ad essere
controllati dalla banca o dallo Stato. In Spagna, il primo ad analizzare correttamente questo processo inflazionistico di
espropriazione è stato il padre Juan de Mariana nel suo De monetae mutatione pubblicato nel 1609 e nel quale scrisse
che: «se il principe non è il proprietario, ma l’amministratore dei beni dei privati, né per questa via né per altra potrà
prendere parte delle loro imprese, come avviene tutte le volte che si diminuisce la moneta, in quanto si dà loro a un
valore accresciuto ciò che vale meno; e se il principe non si può opporre alla volontà dei suoi vassalli né fare depositi di
merci, non potrà nemmeno farlo per questa via, perché tutto è uno e tutto significa togliere a quelli del popolo i loro
beni per quanto si simuli di dare un valore legale al metallo di ciò che vale in sé stesso, che sono tutte invenzioni
apparenti e dorate, ma tutte vanno a parare alla stessa parte». Juan de Mariana, Tratado y discurso sobre la moneda de
vellón que al presente se labra en Castilla y de algunos desórdenes y abusos, edizione con uno «Studio Introduttivo» di
Lucas Beltrán, pubblicata dall’Instituto de Estudios Fiscales, Ministerio de Economía y Hacienda, Madrid 1987, p. 40 (i
corsivi sono miei).
11
Joseph A. Schumpeter attribuì a Ludwig von Mises l’espressione «indubbiamente felice» di risparmio forzato (in
tedesco è Erzwungenes Sparen o Zwangssparen) nella sua Teoria dello sviluppo economico: una ricerca su profitti,
capitale, credito, interesse e ciclo economico, pubblicato per la prima volta in tedesco nel 1912, e la cui edizione
spagnola si deve a Jesús Prados Arrarte, e fu pubblicata dal “Fondo de Cultura Económica”, Messico 1944 (si veda la
nota 14 a piè di pagina 117). (Di quest’opera di Schumpeter esiste una traduzione in italiano a cura di L. Berti con il
7
In senso stretto, per risparmio forzato si deve intendere l’allungamento (longitudinale) e
l’allargamento (laterale) degli stadi di beni di capitale della struttura produttiva che sono intrapresi
in conseguenza dell’espansione creditizia iniziata dal sistema bancario senza copertura di risparmio
volontario. Come sappiamo, questo processo dà luogo, in un primo momento a un aumento del
reddito monetario dei fattori originari di produzione e, in seguito, a un aumento più che
proporzionale del prezzo dei beni di consumo. Precisamente, la teoria del credito circolatorio del
ciclo economico spiega le ragioni di teoria microeconomica che fanno sì che il tentativo di forzare
una struttura produttiva più intensiva di capitale, senza che ci sia la corrispondente copertura del
risparmio volontario, sia condannato al fallimento e debba invertirsi inesorabilmente dando luogo a
crisi e depressioni economiche
È quasi certo che, in questo processo, si finisca col produrre una redistribuzione tale delle risorse
da modificare, in qualche misura, il tasso globale di risparmio volontario che esisteva prima
dell’inizio dell’espansione creditizia. Tuttavia, salvo che nel corso del processo, in modo
indipendente e volontario, si produca simultaneamente un aumento del risparmio volontario per un
importo almeno uguale al credito di nuova creazione concesso dal nulla dalla banca, non sarà
possibile il mantenimento e il completamento dei nuovi stadi intrapresi più intensivi di capitale, e si
verificheranno i tipici effetti di inversione che abbiamo già studiato in dettaglio, sorgendo con essi
la crisi e la recessione economica. Inoltre, nel processo si sprecano grandi quantità di beni di
capitale e risorse scarse della società, che diventa più povera. Ciò fa sì che, in ultima istanza, la cosa
più probabile è che in generale il risparmio volontario della società, più che crescere tenda a
diminuire. In ogni caso, salvo aumenti in grande quantità, autonomi e imprevisti, del risparmio
volontario, che per ipotesi adesso non consideriamo nell’analisi teorica (che inoltre, è sempre, come
già sappiamo, ceteris paribus), l’espansione creditizia genererà un boom autodistruttivo, che presto
o tardi, dovrà invertirsi sotto forma o depressione economica. Ciò mette in evidenza l’impossibilità
di forzare lo sviluppo economico della società favorendo artificialmente l’investimento,
finanziandolo da principio mediante espansione creditizia, nel caso in cui gli agenti economici non
siano disposti a sostenere volontariamente tale politica aumentando il loro volume di risparmio.
Non è, pertanto, possibile che in modo prolungato l’investimento della società sia superiore al suo
risparmio volontario (la qual cosa sarebbe una definizione alternativa del fenomeno del risparmio
forzato, più in consonanza con l’analisi keynesiana, come indica bene F.A. Hayek12), ma,
indipendentemente da quale sia il volume finale del risparmio e investimento della società (per
forza sempre identici a posteriori), il tentativo di forzare un investimento superiore al risparmio
titolo di Teoria dello sviluppo economico, Etas, Milano 2002). Mises, da parte sua, riconobbe di aver già descritto il
fenomeno nella prima edizione tedesca della sua Teoria della moneta e del credito, anche se ritiene di non aver
utilizzato l’espressione concreta che Schumpeter gli attribuisce. In ogni caso, dobbiamo a Ludwig von Mises un’attenta
analisi del fenomeno del risparmio forzato, così come la dimostrazione teorica dell’impossibilità di predeterminare se,
come risultato dell’aumento della quantità di moneta in circolazione, si produrrà o no un aumento netto del risparmio
volontario. Si veda in questo senso On the Manipulation of Money and Credit, op. cit., pp. 120, 122 y 126-127. E
ugualmente Human Action, op. cit., pp. 148-150. La prima trattazione di Mises si trova in La teoria della moneta e del
credito (The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 386). Sebbene continueremo ad attribuire a Mises la paternità del
termine «risparmio forzato», l’espressione Molto simile di «frugalità forzosa» («forced frugality») era già stata
utilizzata da Jeremías Bentham nel 1804 (si veda l’articolo di F.A. Hayek «A Note on the Development of the Doctrine
of ‘Forced Saving’», pubblicato come cap. VII di Profits, Interest and Investment, op. cit., pp. 183-197). In Spagna, ha
scritto sul risparmio forzato Francisco Cabrillo (si veda il suo articolo «Los economistas y la ética del ahorro», Papeles
de Economía Española, n. 47, 1991, pp. 175-176). Come ha ben messo in evidenza Roger Garrison, esiste una certa
disparità tra il concetto di risparmio forzato di Mises (che equivale al nostro concetto «senso generale») e il concetto di
risparmio forzato utilizzato da Hayek (che denomineremo concetto in «senso stretto»), di modo che «what Mises termed
malinvestment is what Hayek called forced savings». Cfr. Roger Garrison, «Austrian Microeconomics: A
Diagrammatical Exposition», New Directions in Austrian Economics, op. cit., p. 196.
12
Cfr. F.A. Hayek, «A Note on the Development of the Doctrine of ‘Forced Saving’», op. cit., p. 197. Si vedano inoltre
i commenti su Cantillon e Hume nel prossimo Capitolo 8, pp. 478 e ss.
8
ottiene solo un cattivo investimento generalizzato delle risorse risparmiate dal paese e una crisi
economica che finisce sempre con impoverirlo13.
13
Fritz Machlup ha raccolto fino a 34 concetti diversi di «risparmio forzato» nel suo lavoro «Forced or Induced Saving:
An Exploration into its Synonyms and Homonyms», The Review of Economics and Statistics, vol. XXV, n.º 1, febbraio
1943, riedito in Fritz Machlup, Economic Semantics, Transaction Publishers, Londra 1991, pp. 213-240.
14
In principio, come regola pratica, si può affermare che un bene di capitale sarà più difficilmente riconvertibile quanto
più vicino si trovi al bene finale di consumo. Infatti, tutte le azioni umane sono più irreversibili quanto più vicino si
trovino al loro obiettivo finale di consumo: una cosa prodotta per errore sarà una perdita quasi irreversibile, mentre è
relativamente più facile modificare l’uso dato alle mattonelle, nel caso in cui risulti evidente, a suo tempo, che usarle
nella costruzione della casa sia un errore (si veda ciò che abbiamo anteriormente detto alle pp. 224-225).
15
Si conferma così che la teoria del ciclo non è altro che l’applicazione, al caso particolare dell’impatto dell’espansione
creditizia sulla struttura produttiva, della teoria sugli effetti di scoordinamento della costrizione istituzionale esposta nel
mio libro Socialismo, cálculo económico y función empresarial (op. cit., specialmente le pp. 111-118). E a questa stessa
conclusione giunse Ludwig M. Lachmann, quando affermò che il cattivo investimento era «the waste of capital
resources in plans prompted by misleading information», aggiungendo che, sebbene molti beni di capitale si riescano a
terminare, questi «will lack complementary factors in the rest of the economy. Such lack of complementary factors may
well express itself in lack of demand for its services, for instance where these factors would occupy ‘the later stages of
production’. To the untrained observer it is therefore often indistinguishable from ‘lack of effective demand’.» Ludwig
M. Lachmann, Capital and its Structure, op. cit., pp. 66 y 117-118.
9
questi processi non sono vantaggiosi dal punto di vista economico. Insomma, il cattivo investimento
generalizzato si manifesta nel fatto che non si utilizzano molti beni di capitale, che non possono
essere completati molti processi di investimento iniziati, oppure che i beni di capitale prodotti sono
usati in un modo che non era quello originariamente previsto. È stata dilapidata, pertanto, una gran
parte delle risorse scarse della società, per cui questa finisce con l’impoverirsi in modo
generalizzato e vede diminuire in termini relativi il suo livello di vita.
Il fatto che una parte molto importante degli errori commessi si materializzi in beni di capitale già
completati che, tuttavia, non possono essere utilizzati per mancanza dei corrispondenti beni
complementari di capitale o del capitale circolante necessario, è stato interpretato da molti
economisti in senso erroneo. Infatti, molti considerano che questo fenomeno di «capacità oziosa» è
una dimostrazione prima facie che sia necessario aumentare il consumo globale col fine di mettere
in funzione una capacità oziosa che è stata prodotta, ma non ancora utilizzata. Non si rendono conto
che, come indica Hayek16, l’esistenza di «capacità oziosa» in molti processi produttivi (ma
specialmente in quelli più lontani dal consumo, per esempio nelle industrie di costruzione,
telecomunicazioni, alta tecnologia e, in generale, beni di capitale) non prova in alcun senso che
esista un eccesso di risparmio e che il consumo sia insufficiente, anzi al contrario, è un sintomo che
non possiamo utilizzare nella sua totalità il capitale fisso prodotto per errore, perché la domanda
immediata di beni e servizi di consumo è così urgente che non possiamo permetterci il lusso di
produrre o i necessari beni di capitale complementari, oppure il capitale circolante necessario per
sfruttare e mettere in funzione tale capacità oziosa. Insomma, la crisi si produce in conseguenza di
un eccesso relativo di consumo, o, se si preferisce, di una scarsità relativa del risparmio, che non
consente di portare a termine i processi intrapresi, né produrre i beni complementari di capitale né il
capitale circolante che sono necessari per mettere in funzione i processi di investimento e beni di
capitale che, per una o altra circostanza, si siano potuti completare durante il processo espansivo17.
La causa immediata della disoccupazione di massa risiede nel fatto che i mercati del lavoro non
sono flessibili. Infatti, l’intervento dello Stato sul mercato del lavoro e la coazione sindacale, che è
resa possibile dai privilegi di cui godono i sindacati nell’ordinamento giuridico, determina la
fissazione di una serie di disposizioni (di salari minimi, su barriere all’entrata per mantenere i salari
16
Con parole dello stesso Hayek: «The impression that the already existing capital structure would enable us to increase
production almost indefinitely is a deception. Whatever engineers may tell us about the supposed immense unused
capacity of the existing productive machinery, there is in fact no possibility of increasing production to such an extent.
These engineers and also those economists who believe that we have more capital than we need, are deceived by the
fact that many of the existing plant and machinery are adapted to a much greater output than is actually produced. What
they overlook is that durable means of production do not represent all the capital that is needed for an increase of output
and that in order that the existing durable plants could be used to their full capacity it would be necessary to invest a
great amount of other means of production in lengthy processes which would bear fruit only in a comparatively distant
future. The existence of unused capacity is, therefore, by no means a proof that there exists an excess of capital and that
consumption is insufficient: on the contrary, it is a symptom that we are unable to use the fixed plant to the full extent
because the current demand for consumers’ goods is too urgent to permit us to invest current productive services in the
long processes for which (in consequence of ‘misdirections of capital’) the necessary durable equipment is available.»
F.A. Hayek, Prices and Production, op. cit., pp. 95-96 (p. 75 dell’edizione italiana).
17
«After the boom period is over, what is to be done with the malinvestments? The answer depends on their
profitability for further use, i.e., on the degree of error that was committed. Some malinvestments will have to be
abandoned, since their earnings from consumer demand will not even cover the current costs of their operation. Others,
though monuments of failure, will be able to yield a profit over current costs, although it will not pay to replace them as
they wear out. Temporarily working them fulfils the economic principle of always making the best of even a bad
bargain. Because of the malinvestments, however, the boom always leads to general impoverishment, i.e., reduces the
standard of living below what it would have been in the absence of the boom. For the credit expansion has caused the
squandering of scarce resources and scarce capital. Some resources have been completely wasted, and even those
malinvestments that continue in use will satisfy consumers less than would have been the case without the credit
expansion.» Murray N. Rothbard, Man, Economy and State, op. cit., p. 863.
10
artificialmente alti, di regolamentazione molto rigorosa e interventista sulla contrattazione e il
congedo, ecc.) che fanno sì che il mercato del lavoro sia uno dei più rigidi. Inoltre, in conseguenza
dei costi artificiali che genera la legislazione sul lavoro, il valore scontato della produttività
marginale reale del lavoratore tende ad essere in molti casi inferiore ai costi del lavoro totali che ciò
implica per l’imprenditore (sotto forma di salari e altri costi monetari, e anche sotto forma di
rompicapi e costi non monetari). Ciò determina l’apparizione di un volume molto grande di
disoccupazione che interesserà tutti quei lavoratori il cui valore scontato della produttività
marginale attesa sia inferiore al costo che esso implica per gli imprenditori, per cui saranno
congedati o non saranno più contrattati (o entrambe le cose insieme).
Orbene, il fatto che riconosciamo molto chiaramente la precedente causa immediata della
disoccupazione non sminuisce in nulla la realtà che la causa mediata della disoccupazione si
incontri nell’inflazione o, meglio detto, nell’espansione creditizia iniziata dal sistema bancario
senza copertura di risparmio reale, in quanto è quella che, in ultima istanza, dà l’abbrivio affinché
sorga la disoccupazione di massa. Ciò è dovuto al fatto che l’espansione creditizia genera ogni
processo di scoordinamento e cattivo investimento generalizzato che già abbiamo descritto,
assegnando in modo massiccio i fattori originari di produzione a posizioni della struttura produttiva
in cui non dovevano stare, in quanto gli imprenditori li attraggono per allungare e allargare la
struttura di beni di capitale, senza rendersi conto che con ciò stanno commettendo, in modo
generalizzato, un grave errore imprenditoriale. Quando arriva la crisi e si mettono in evidenza gli
errori commessi, è necessario che si producano di nuovo movimenti massicci dei fattori originari di
produzione e di manodopera a partire dagli stadi più lontani dal consumo a quelli più vicini ad esso,
e tutto ciò esige disporre di un mercato del lavoro particolarmente flessibile e libero da ogni tipo di
restrizioni e coazioni sindacali e istituzionali. Perciò, quelle società con un mercato del lavoro più
rigido sperimenteranno un volume di disoccupazione maggiore e per un periodo di tempo più lungo
quando inevitabilmente diverranno evidenti gli errori imprenditoriali indotti nella struttura
produttiva dall’espansione creditizia18.
L’unico modo di lottare contro la disoccupazione consiste, pertanto, nel breve periodo, nel rendere
flessibile il mercato del lavoro in tutti i sensi, e nel medio e lungo termine, nell’evitare che abbia
inizio alcun processo di espansione artificiale che abbia la sua origine nella concessione di crediti
da parte del sistema bancario senza che precedentemente si sia prodotto un aumento del risparmio
volontario nella società.
18
Ci stiamo riferendo alla disoccupazione involontaria (o istituzionale) e non al cosiddetto «tasso naturale di
disoccupazione» (o di disoccupazione volontaria e «catallattica») che in modo così notevole è aumentato nei tempi
moderni come risultato del sussidio generoso di disoccupazione e di altre misure che hanno un forte effetto di
disincentivo sul desiderio dei lavoratori di ricollocarsi sul mercato del lavoro. Cfr. inoltre, F.A. Hayek, ¿Inflación o
pleno empleo?, Unión Editorial, Madrid 1976.
19
Si vedano le precedenti pp. 245-249 e la bibliografia lì citata. Come ha ben messo in evidenza Mark Skousen: «Gross
Domestic Product systematically underestimates the expansionary phase as well as the contraction phase of the business
cycle. For example, in the most recent recession, real GDP declined 1-2 percent in the United States, even though the
recession was quite severe according to other measures (earnings, industrial production, employment) ... A better
indicator of total economic activity is Gross Domestic Output (GDO), a statistic I have developed to measure spending
in all stages of production, including intermediate stages. According to my estimates, GDO declined at least 10-15
percent during the most of the 1990-92 recession.» Cfr. «I like Hayek: How I Use His Model as a Forecasting Tool»,
11
di questo fenomeno risiede nel fatto che, contrariamente a ciò che suggerisce il qualificativo stesso
di lordo che è aggiunto all’espressione «Prodotto Nazionale», il suo importo non è altro che una
misura netta che esclude dal suo computo il valore di tutti i beni di capitale intermedi che alla fine
del periodo di misurazione sono disponibili come inputs per l’esercizio successivo. Di modo che le
cifre del Prodotto Nazionale Lordo esagerano l’importanza del consumo20 sul Reddito Nazionale,
mettendo in terzo luogo, dopo la spesa governativa, la produzione di beni finali di capitale terminati
nel corso del periodo (che sono gli unici contabilizzati, per definizione nelle cifre del PNL), così
che assurdamente non è per nulla computata circa la metà dello sforzo imprenditoriale e produttivo
di tutta la società, che è quello che è dedicato all’elaborazione di prodotti intermedi.
Un indicatore molto più esatto dell’effetto sul mercato e la società dei cicli economici sarebbe il
Reddito Sociale Lordo (RSL) speso in un esercizio, e calcolato nei modi descritti nelle Figure del
capitolo V, cioè, in termini veramente lordi e includendo la totalità della spesa monetaria, non solo
in beni e servizi finali, ma in tutti i prodotti intermedi ottenuti nella totalità degli stadi del processo
produttivo. Con una misurazione di questo tipo si metterebbero in evidenza i veri effetti sulla
struttura produttiva dell’espansione creditizia e della contrazione economica a cui questa, presto o
tardi, sempre dà luogo21.
presentato alla The Mont Pèlerin Society General Meeting, che ebbe luogo a Cannes, Francia, dal 25 al 30 settembre
1994, manoscritto non pubblicato, p.12.
20
In generale, si tende a dare un’importanza esagerata al settore dei beni e servizi di consumo, sia da parte degli
economisti più convenzionali sia da parte dei dirigenti politici e analisti di temi economici. Questo fenomeno ha la sua
ragion d’essere, innanzitutto, nel fatto che, come abbiamo già indicato, la Contabilità Nazionale tende a esagerare
l’importanza del consumo sul reddito totale, in quanto elimina dai suoi computi la maggior parte dei prodotti degli stadi
intermedi del processo produttivo, facendo sì che il consumo appaia come il settore più importante dell’economia,
situato usualmente per le economie moderne tra un 60 e 70 per cento del totale del Reddito Nazionale (quando, invece,
non suole raggiungere un terzo del Reddito Sociale Lordo, cioè, se si calcola in rapporto a quello che si spende in tutti
gli stadi della struttura produttiva). Inoltre, si constata come le dottrine keynesiane continuino ad esercitare un effetto
molto importante sulla metodologia di calcolo della Contabilità Nazionale, così come sui procedimenti statistici usati
per raccogliere l’informazione necessaria per elaborarli. Dal punto di vista keynesiano, è importante esagerare
l’importanza della funzione del consumo come parte integrante della domanda aggregata, il che fa sì che la Contabilità
Nazionale si concentri su questo fenomeno, ignori e non calcoli la parte del Reddito Sociale Lordo che non si inquadra
bene nei modelli keynesiani e non si dia carico di raccogliere l’evoluzione, molto più volatile e difficile da predire del
consumo, dei diversi stadi dediti alla produzione di beni di capitale intermedi. Su questi interessanti aspetti si deve
vedere Mark Skousen, The Structure of Production, op. cit., p. 306. A modo illustrativo e, seguendo uno studio del
Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, intitolato «The Interindustry structure of the United States», pubblicato
nel 1986, un 43,8% del reddito sociale lordo americano (equivalente a 3.297.977 milioni di dollari) erano prodotti
intermedi non raccolti dalle cifre del PIL (equivalente solo a un 56,2% del reddito sociale lordo, cioè, 4.235.116 milioni
di dollari).Cfr. Arthur Middleton Hughes, «The Recession of 1990: An Austrian Explanation», The Review of Austrian
Economics, 10, n. 1 (1997), nota 4, p. 108. Si confrontino questi dati con quelli già forniti per il 1982 alla nota 37 del
capitolo V.
21
F.A. Hayek, nelle ultime pagine del suo articolo del 1942 sull’Effetto Ricardo («The Ricardo Effect», in
Individualism and Economic Order, op. cit., pp. 251-254) studiò in dettaglio come le tradizionali statistiche sull’indice
dei prezzi al consumo tendano ad oscurare e rendere impossibile la descrizione empirica dell’evoluzione del ciclo, in
generale, e del funzionamento dell’Effetto Ricardo durante lo stesso, in particolare. Infatti, le statistiche in uso non
raccolgono l’evoluzione dei prezzi dei diversi stadi del processo produttivo, e nemmeno la relazione che esiste in
ognuno dei suddetti stadi fra il prezzo che si paga ai fattori originari di produzione che intervengono in essi e
l’evoluzione del prezzo dei loro prodotti. Per fortuna di recente sono stati effettuati studi statistici che, in tutti i casi,
hanno confermato l’analisi austriaca, evidenziando, come l’evoluzione del prezzo degli stadi più lontani dal consumo
sia molto più volatile e mutevole di quella del prezzo dei beni di consumo. Così, Mark Skousen, nel suo già citato
articolo, presentato alla Riunione Generale della Società Mont Pèlerin, che ebbe luogo dal 25 al 30 settembre 1994 a
Cannes, mostrò come negli Stati Uniti il prezzo dei beni più lontani dal consumo negli ultimi 15 anni avesse oscillato
fra un +30 per cento di aumento e un -10 per cento di diminuzione, secondo gli anni e le fasi del ciclo; mentre il prezzo
dei prodotti degli stadi intermedi si era evoluto fra un +14 per cento e un -1 per cento, secondo i diversi stadi del ciclo,
essendo l’evoluzione dei prezzi dei beni di consumo fra un +10 per cento e un -2 per cento, secondo i diversi stadi dello
stesso. Questi risultati sono parimenti confermati dall’importante lavoro di V.A. Ramey, «Inventories as Factors of
Production and Economic Fluctuations», American Economic Review, giugno 1989, pp. 338-354.
12
In un altro luogo22 ho esposto una teoria della funzione imprenditoriale molto radicata nella
concezione che di essa hanno sviluppato Ludwig von Mises, Friedrich A. Hayek e Israel M.
Kirzner. L’imprenditore è ogni essere umano attore che eserciti ognuna delle sue azioni con
perspicacia, rimanendo vigile sulle opportunità di profitto soggettive che sorgano nel loro ambiente
e agendo per cercare di approfittare di esse. L’innata capacità imprenditoriale dell’essere umano
non solo crea costantemente nuova informazione quanto ai suoi fini e mezzi, ma inoltre mette in
funzione spontaneamente un processo attraverso cui questa informazione tende a trasmettersi lungo
il corpo sociale, così che si coordinano in modo spontaneo i comportamenti disordinati degli esseri
umani. La capacità coordinatrice della funzione imprenditoriale spiega e favorisce la nascita,
evoluzione e sviluppo coordinato della società e civiltà umane, ogni volta che l’azione
imprenditoriale non sia costretta in modo sistematico (interventismo e socialismo) né sia obbligata a
agire in un contesto in cui non si rispettino le norme tradizionali del diritto, a causa della
concessione di privilegi da parte del governo a determinati gruppi sociali. Quando la funzione
imprenditoriale non può essere inserita in quadro giuridico di principi di diritto materiale e si trova
costretta in modo sistematico, allora non solo non crea più e non trasmette un’importante quantità di
informazione sociale, ma in aggiunta genera informazione corrotta e distorta, e dà luogo a
comportamenti scoordinati e irresponsabili. Da questo punto di vista, si può considerare che la
nostra teoria del ciclo non è che un’applicazione della teoria più generale della funzione
imprenditoriale al caso concreto dello scoordinamento intertemporale (cioè fra diversi periodi di
tempo) a cui dà luogo l’esercizio dell’attività bancaria non soggetta ai principi tradizionali del
diritto e fondata, pertanto, sul privilegio di concedere prestiti senza copertura di un aumento
precedente del risparmio volontario (contratto di deposito bancario di moneta con un coefficiente di
riserva frazionaria). La nostra teoria è stata in grado, pertanto, di spiegare in che modo
l’inadempimento dei principi del diritto produca, come sempre, un grave scoordinamento sociale,
ma adesso in un ambito così completo ed astratto come è quello della moneta e del credito bancario.
Così, grazie alla teoria economica, si son potuti connettere fenomeni giuridici (la concessione di
privilegi in violazione dei principi del diritto) ed economici (crisi e recessioni) che finora si riteneva
che non avessero alcuna relazione fra loro.
Qualcuno si potrebbe chiedere come sia possibile che, una volta sviluppata dagli economisti la
teoria del ciclo che qui abbiamo esposta, gli imprenditori non siano interessati ad essa e non
modifichino i loro comportamenti, nel senso che non accettano i prestiti che ricevono dal settore
bancario né intraprendono progetti di investimento che poi, in molti casi, implicano la loro rovina.
Tuttavia, bisogna riconoscere che gli imprenditori non possono sottrarsi dal partecipare nel processo
generalizzato di scoordinamento a cui dà luogo l’espansione creditizia delle banche, anche nel caso
in cui in termini formali conoscano perfettamente come evolverà il ciclo. Ciò avviene perché
quando all’imprenditore individuale si offre un prestito, questi disconosce se esso abbia o no la sua
origine in un aumento del risparmio volontario della società. E sebbene i loro sospetti possano
ipoteticamente essere orientati nel ritenere che questo sia stato creato dal nulla dalla sua banca, non
vi è motivo per cui debba sottrarsi dal richiedere e utilizzare il prestito per ampliare i suoi progetti
di investimento, nel caso in cui pensi che sarà in grado di ritirarsi da essi prima che si produca
l’inevitabile crisi. Cioè, esiste la possibilità di ottenere importanti benefici imprenditoriali per
quegli imprenditori che, sebbene sappiano che tutto il processo si fondi su un boom artificiale, siano
sufficientemente perspicaci da ritirarsi da esso per tempo, liquidando i loro progetti ed imprese
prima che arrivi la crisi. Quindi, lo stesso spirito imprenditoriale, e la connaturata tendenza al lucro
su cui esso si fonda, rendono ineludibile, che gli imprenditori, sebbene conoscano la teoria del ciclo,
siano esposti a partecipare ad esso. Come è logico, nessuno può prevedere esattamente le coordinate
concrete di tempo e luogo nelle quali si scatena la crisi, e senza dubbio una parte molto importante
degli imprenditori saranno «sorpresi» da essa e inizieranno ad avere gravi difficoltà. Ma ciò non
22
Cfr. Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, opera già citata, cap. II e III.
13
toglie che, a priori, da un punto di vista teorico, non possiamo mai qualificare come «irrazionali»
quegli imprenditori che, anche conoscendo la teoria del ciclo, si lascino condurre dalla nuova
moneta ricevuta, creata dal nulla dal sistema bancario, e che fin da principio genera loro una
notevole capacità addizionale di pagamento, e la possibilità di ottenere notevoli benefici23.
Esiste un altro punto di connessione fra la teoria della funzione imprenditoriale e la teoria del ciclo
economico, che ha a che vedere con la fase di crisi e raggiustamento nella quale si mettono in
evidenza i gravi errori commessi nelle anteriori fasi del ciclo. Infatti, le depressioni economiche
sono i periodi in cui storicamente sono iniziate le maggiori fortune imprenditoriali. La ragione di
questo fenomeno risiede nel fatto che nelle fasi più profonde della recessione esistono una gran
quantità di beni di capitale che sono stati prodotti per errore e il cui prezzo di mercato si riduce a
una frazione di quello che avevano originariamente. Pertanto, quegli imprenditori che abbiano la
perspicacia sufficiente per arrivare a questa fase recessiva del ciclo con liquidità e acquistare, in
modo molto selettivo, quei beni di capitale che hanno praticamente un prezzo quasi nullo, ma che in
seguito, quando ci sia un recupero dell’economia siano di nuovo molto valutati, potranno ottenere
notevoli benefici imprenditoriali. La funzione imprenditoriale, pertanto, gioca un ruolo di
protagonista nel momento di salvare ciò che si può e ottenere il miglior uso possibile secondo le
circostanze di quei beni di capitale prodotti per errore, selezionandoli e conservandoli per quel
futuro più o meno lontano in cui l’economia si sia ripresa e possano, di nuovo, tornare ad essere
utili per la società.
9) La politica di stabilizzazione del livello generale dei prezzi e i suoi effetti stabilizzatori
sul sistema economico
Un problema di grande interesse teorico, e che ha avuto una certa rilevanza pratica nel passato e
sembra che ritorni ad averla nel presente, è se un’espansione creditizia effettuata dal sistema
bancario senza copertura di risparmio reale, che implichi l’aumento giusto dell’offerta monetaria
necessario a mantenere inalterato il potere d’acquisto della moneta (o, se si preferisce, il «livello
generale dei prezzi») dia luogo o no alla produzione di effetti depressivi che stiamo analizzando in
questo capitolo. Questa situazione si porrebbe in quei periodi economici in cui si verificasse un
importante aumento della produttività, in conseguenza dell’introduzione di nuove tecnologie, di
innovazioni imprenditoriali e dell’accumulazione di capitale ben investito da una funzione
imprenditoriale diligente e perspicace24. Come già abbiamo visto, un aumento del risparmio
volontario, senza che si producano crescite artificiali espansive dei crediti bancari, dà luogo ad un
allargamento (laterale) e un allungamento (longitudinale) negli stadi di beni di capitale della
23
È necessario, tuttavia, ricordare qui la seguente acuta osservazione di Mises: «it may be that businessmen will in the
future react to credit expansion in a manner other than they have in the past. It may be that they will avoid using for an
expansion of their operations the easy money available because they will keep in mind the inevitable end of the boom.
Some signs forebode such a change. But it is too early to make definite a statement.» Ludwig von Mises, Human
Action, op. cit., p.797. Ciononostante, per le ragioni date nel testo principale, crediamo che questa premonitoria
esposizione dell’ipotesi delle aspettative razionali realizzata da Mises nel 1949 non sia giustificata, in quanto, sebbene
gli imprenditori conoscano perfettamente la teoria del ciclo e desiderino evitare di rimanere invischiati in essa,
continueranno sempre ad essere tentati dal partecipare ad esso, a causa degli importanti profitti che si possono
conseguire se sono in grado di uscire per tempo dai corrispondenti piani di investimento. Su questo stesso tema, si
veda, inoltre, ciò che diciamo alle pp. 416-421 del prossimo capitolo VII.
24
Questa sembra essere la situazione del boom sperimentato dall’economia nordamericana durante gli ultimi anni del
decennio dei Novanta, nei quali il grande aumento della produttività ha nascosto in larga misura gli effetti negativi
distorsivi della grande espansione monetaria, creditizia e borsistica che si è verificata. Il parallelismo con l’evoluzione
dei fatti economici durante gli anni Venti è grande e, molto probabilmente, il processo sarà interrotto da un’altra grande
recessione, che nuovamente prenderà di sorpresa tutti coloro che si soffermano nella loro analisi sull’evoluzione del
«livello generale dei prezzi» e delle altre grandezze macroeconomiche che nascondono le realtà microeconomiche
sottostanti (sproporzionalità nella struttura reale dell’economia). Alla fine del 1997 (quando scriviamo queste linee), i
primi sintomi di una nuova recessione si sono già appalesati, almeno attraverso le gravi crisi bancarie, borsistiche e
finanziarie, che sono scoppiate nei mercati asiatici. Rispetto all’evoluzione dei fatti economici a partire dal 1998, che
conferma pienamente l’analisi di questo libro, si può vedere la Prefazione alla seconda edizione.
14
struttura produttiva, che possono essere completati senza problemi e, una volta conclusi, producono
un nuovo aumento nella quantità e qualità della produzione finale di beni e servizi di consumo.
Questa accresciuta produzione di beni e servizi di consumo deve essere venduta ad una domanda
monetaria ridotta (precisamente per l’importo dell’aumento del risparmio)il che determina che il
prezzo dei beni e servizi di consumo tenda a diminuire, sempre ad un ritmo più rapido della
possibile riduzione dei redditi nominali dei fattori originari di produzione, il cui reddito in termini
reali aumenta, pertanto, molto significativamente.
Il problema che adesso ci poniamo è se una politica destinata ad aumentare l’offerta monetaria,
mediante l’espansione creditizia o tramite altro procedimento, che abbia come obiettivo di
mantenere inalterato il livello di prezzi di beni e servizi di consumo, faccia sì che si scatenino o no i
processi studiati che portano allo scoordinamento intertemporale fra i diversi agenti economici e, in
ultima istanza, alla crisi e depressione economica. Questa fu, per esempio, la situazione che si pose
nell’economia nordamericana nel corso degli anni Venti, in cui si sperimentò un notevolissimo
aumento della produttività che, tuttavia, non fu accompagnato dalla diminuzione naturale che, in
condizioni normali, si sarebbe prodotta nel prezzo dei beni e servizi di consumo, a causa della
politica espansiva degli Stati Uniti orchestrata dalla Federal Reserve con l’obiettivo di stabilizzare,
impedendo che aumentasse, il potere d’acquisto della moneta25.
Dunque, in questo momento, al lettore non dovrebbe causare alcuna difficoltà comprendere che una
politica di espansione creditizia senza copertura di risparmio reale, è destinata a produrre,
inesorabilmente, tutti i processi che portano allo scoppio della crisi e depressione economica,
sebbene quella sia accompagnata da un aumento parallelo della produttività del sistema e non si
metta in evidenza un aumento dei prezzi nominali dei beni e servizi di consumo. Non sono, infatti,
importanti i movimenti assoluti del livello generale dei prezzi dei beni di consumo, ma come questi
si comportino in termini relativi rispetto al resto dei prezzi dei prodotti intermedi degli stadi più
lontani del consumo e dei fattori originari di produzione. Infatti, nella crisi del 1929, i prezzi relativi
dei beni di consumo (che in termini nominali non aumentarono e anzi si ridussero leggermente)
crebbero molto rispetto ai beni di capitale (che sperimentarono una caduta drammatica in termini
nominali). Inoltre le entrate globali (e, pertanto, i profitti) delle imprese vicine al consumo
continuarono a crescere straordinariamente durante gli anni finali della espansione, come risultato
del grande aumento della loro produttività venduta a prezzi nominali costanti in un contesto di
grande espansione inflazionistica. Di modo che gli effetti tipici dell’inversione (aumento relativo
dei profitti nel consumo e aumento del tasso di interesse) si verificano ugualmente in un ambito di
aumento della produttività, includendo l’«Effetto Ricardo», nella misura in cui sono i maggiori
profitti e vendite nel settore del consumo (più che l’aumento dei prezzi nominali, che allora non si
25
Si vedano, più avanti, le pp. 380 e ss., così come l’analisi dettagliata di questo periodo storico effettuata da Murray N.
Rothbard e nel suo importante libro America’s Great Depression, 3.ª edizione, Sheed & Ward, Kansas City 1975 (Esiste
un’edizione italiana con il titolo La Grande Depressione, Rubbettino 2006, seconda edizione 2008). Ludwig von Mises
(Human Action, op. cit., p. 561) ha indicato da parte sua come i periodi storici in cui si sono prodotte le crisi
economiche siano stati periodi di continuo progresso della produttività, dovuto al fatto che: «the steady advance in the
accumulation of new capital made technological improvement possible. Output per unit of input was increate and
business filled the markets with increasing quantities of cheap goods.» Mises spiega che questo fenomeno tende a
compensare in parte l’effetto di crescita dei prezzi a cui dà luogo un aumento dell’espansione creditizia, e che anche in
determinate circostanze può verificarsi una diminuzione, invece di un aumento, dei prezzi dei beni di consumo,
concludendo che «As a rule, the resultant of the clash of opposite forces was a preponderance of those producing the
rise in prices. But there were some exceptional instances too in which the upward movement of prices was only slight.
The most remarkable example was provided by the American boom of 1926-29.» E in ogni caso Mises si preoccupa di
metterci in guardia contro le politiche di stabilizzazione del livello generale dei prezzi, non solo perché nascondono
l’espansione creditizia in epoca di aumento della produttività, ma inoltre per l’errore teorico in cui esse cadono: «It is a
popular fallacy to believe that perfect money should be neutral and endowed with unchanging purchase power, and that
the goal of monetary policy should be to realize this perfect money. It is easy to understand this idea... against the still
more popular postulates of the inflationists. But it is an excessive reaction, it is in itself confused and contradictory, and
it has worked havoc because it was strengthened by an inveterate error inherent in the thought of many philosophers and
economists.» (Human Action, op.cit., p.418).
15
era prodotto) ciò che mette in evidenza che il costo relativo della manodopera in questo settore si è
ridotto.
In particolare, i lavori teorici realizzati da Hayek, per il suo primo viaggio di studio negli Stati
Uniti negli anni Venti, ebbero come obiettivo l’analisi degli effetti della politica di stabilizzazione
dell’unità monetaria che allora, e sotto gli auspici di Fisher e altri monetaristi, si ritenevano innocui
e molto convenienti per il sistema economico. Hayek dopo aver analizzato la situazione americana,
arriva alla conclusione totalmente opposta, esposta nel suo noto articolo su «Equilibrio
intertemporale dei prezzi e movimenti del valore della moneta», che fu pubblicato nel 192826, nel
quale si dimostra che una politica di stabilizzazione del potere d’acquisto dell’unità monetaria è
incompatibile con la necessaria funzione della moneta nel momento di coordinare le decisioni e
comportamenti degli agenti economici in differenti momenti di tempo. Hayek spiega come,
mantenendosi costante la quantità di moneta in circolazione, un aumento generalizzato della
produttività del sistema economico debba dar luogo a una diminuzione del prezzo dei beni e servizi
di consumo, cioè, del livello generale dei prezzi, se si vuole mantenere l’equilibrio intertemporale
fra le azioni dei diversi agenti economici. Di modo che una politica che eviti una diminuzione del
prezzo di beni e servizi di consumo che abbia origine, insistiamo, non in una diminuzione della
quantità di moneta, ma in un aumento della produttività, genera aspettative quanto al mantenimento
dei prezzi nel futuro che inesorabilmente danno luogo ad un allungamento artificiale della struttura
produttiva che, per forza, deve invertirsi sotto forma di depressione. Sebbene Hayek, nel 1928, non
avesse ancora elaborato i suoi raffinati apporti degli anni Trenta che noi abbiamo considerato nella
nostra analisi e che rendono molto più chiara la comprensione di questo fenomeno, è
particolarmente meritorio che, già in questa data, arrivasse alla seguente conclusione che esponiamo
con le sue stesse parole: «It must be assumed, in sharpest contradiction to the prevailing view, that
it is not a deficiency in the stability of the purchasing power of money that constitutes one of the
most important sources of disturbances of the economy from the side of money. On the contrary, it
is the tendency peculiar to all commodity currencies to stabilize the purchasing power of money
even when the general state of supply is changing, a tendency alien to all the fundamental
determinants of economic activity.»27
26
L’articolo fu pubblicato per la prima volta in tedesco con il titolo «Das intertemporale Gleichgewichtssystem der
Preise und die Bewegungen des ‘Geldwertes’», pubblicato nel Weltwirtschaftliches Archiv, n. 2, anno 1928, pp. 36-76.
Questo articolo non è stato tradotto né pubblicato in inglese fino al 1984 quando fu incluso nel libro Money, Capital and
Fluctuations: Early Essays, Roy McCloughry (ed.), The University of Chicago Press, Chicago 1984, pp. 71-118. Il
titolo in inglese di questo articolo è «Intertemporal Price Equilibrium and Movements in the Value of Money» (tradotto
in spagnolo da José Antonio de Aguirre, con il titolo «El equilibrio intertemporal de los precios y los movimientos en el
valor del dinero», e pubblicato come Appendice II di Friedrich A. Hayek, El nacionalismo monetario y la estabilidad
internacional, Unión Editorial/Ediciones Aosta, Madrid 1996, pp. 126-176). In seguito, nel 1994, fu pubblicata una
seconda traduzione inglese, migliore della prima, dovuta a William Kirby, con il titolo di «The System of Intertemporal
Price Equilibrium and Movements in the ‘Value of Money’», cap. 27 di Classics in Austrian Economics: A sampling in
the History of a Tradition, Israel M. Kirzner (ed.), vol.III (The Age of Mises and Hayek), William Pickering, Londra
1994, pp. 161-198. Prima di questo lavoro, Hayek aveva trattato questo stesso tema nel suo articolo «Die
Währungspolitik der Vereinigten Staaten seit der Überwindung der Krise von 1920», Zeitschrit für Volkswirtschaft und
Sozialpolitik, n.s.5 (1925), vol.1-3, pp. 25-63 e vol. 4-6, pp. 254-317; la parte teorica di questo lavoro è stata pubblicata
in inglese con il titolo di «The monetary Policy of the United States after the Recovery from the 1920 Crisis», in
Money, Capital and Fluctuations: Early Essays, op.cit, pp. 5-32. In questo articolo Hayek critica per la prima volta le
politiche di stabilizzazioni intraprese negli Stati Uniti.
27
F.A. Hayek, «Intertemporal Price Equilibrium and Movements in the Value of Money», op. cit., p. 97. Questa
citazione potrebbe tradursi in italiano nel seguente modo: «Bisogna concludere, in netta contraddizione con il punto di
vista generalmente accettato, che non è una deficienza della stabilità del potere della moneta quella che genera una delle
fonti più importanti di disequilibrio nell’economia da parte della moneta. Al contrario, è la peculiare tendenza dei
diversi sistemi monetari a stabilizzare il potere d’acquisto della moneta anche quando lo stato generale dell’offerta sta
cambiando, il che crea tali disequilibri, tendenza che è estranea a tutte le determinanti fondamentali dell’attività
economica.» Hayek in modo ancor più tassativo conclude che «there is no basis in economic theory for the view that the
quantity of money must be adjusted to changes in the economy if economic equilibrium is to be maintained or —what
signifies the same— if monetary disturbances to the economy are to be prevented.». Ibidem, p. 106.
16
Non desta meraviglia, pertanto, che proprio Hayek e il resto dei teorici della sua scuola nella
seconda metà degli anni Venti, dopo aver analizzato dettagliatamente la politica monetaria
espansiva degli Stati Uniti (che, tuttavia, dato l’aumento della produttività non si trasferì in un
aumento dei prezzi), furono gli unici capaci non solo di interpretare correttamente il carattere in
gran parte artificiale del boom espansivo nordamericano, e del suo concomitante impatto sotto
forma di crescita apparentemente illimitata degli indici della Borsa valori di Nuova York, ma anche
di prevedere, contro corrente e con sorpresa di tutti, l’avvento della Grande Depressione del 192928.
Possiamo, pertanto, concludere con Fritz Machlup che «the creation of new circulating media so as
to keep constant a price level which would otherwise have fallen in response to technical progress,
may have the same unstabilizing effect on the supply of money capital that has been described
before, and thus be liable to lead to a crisis. In spite of their stabilizing effect on the price level, the
emergence of the new circulating media in the form of money capital may cause roundabout
processes of production to be undertaken which cannot in the long run be maintained.»29
Sebbene queste considerazioni potessero apparire in passato di scarsa rilevanza pratica, dato il
cronico aumento del livello generale dei prezzi che sperimentarono le economie occidentali nei
decenni passati, oggi hanno riacquistato la loro importanza, e ci mettono in evidenza che, anche con
una politica di «stabilità» monetaria garantita da parte delle banche centrali, in ambiti di grande
aumento della produttività si produrranno inesorabilmente crisi economiche, nel caso non sia
28
Si veda Mark Skousen, «Who Predicted the 1929 Crash?», incluso in The Meaning of Ludwig von Mises, Jeffrey M.
Herbener (ed.), Kluwer Academic Publishers, Amsterdam 1993, pp. 247-284. Anche Lionel Robbins, nella
«Introduzione» che scrisse per la prima edizione di Prices and Production (Routledge, Londra 1931, p. xii), si riferì
espressamente alla predizione di Mises e Hayek dell’avvento della Grande Depressione. Questa predizione della Grande
Depressione comparve per iscritto in un articolo di Hayek pubblicato nel 1929 nel Monatsberichte des Österreichischen
Instituts für Konjunkturforschung. Più di recente, nel 1975, quando gli venne richiesto al riguardo, rispose quanto segue
(Gold & Silver Newsletter, Monex International, Newport Beach, California, giugno 1975): «I was one of the only ones
to predict what was going to happen. In early 1929, when I made this forecast, I was living in Europe which was then
going through a period of depression. I said that there [would be] no hope of a recovery in Europe until interest rates
fell, and interest rates would not fall until the American boom collapses, which I said was likely to happen within the
next few months. What made me expect this, of course, is one of my main theoretical beliefs, that you cannot
indefinitely maintain an inflationary boom. Such a boom creates all kinds of artificial jobs that might keep going for a
fairly long time but sooner or later must collapse. Also, I was convinced after 1927, when the Federal Reserve made an
attempt to stave off a collapse by credit expansion, the boom had become a typically inflationary one. So in early 1929
there was every sign that the boom was going to break down. I knew by then that the Americans could not prolong this
sort of expansion indefinitely, and as soon as the Federal Reserve was no longer to feed it by more inflation, the thing
would collapse. In addition, you must remember that at the time the Federal Reserve was not only unwilling but was
unable to continue the expansion because the gold standard set a limit to the possible expansion. Under the gold
standard, therefore, an inflationary boom could not last very long.» E tutto questo processo, che era stato così facile da
comprendere e predire da parte degli economisti austriaci, in quanto disponevano già degli strumenti analitici necessari,
si produsse in un contesto in cui il livello generale dei prezzi dei beni di consumo non solo non era aumentato ma aveva
manifestato una tendenza a diminuire leggermente. Infatti, la stabilità del livello generale dei prezzi negli Stati Uniti
degli anni Venti era stata molto grande: da un indice di 93,4 (base 100 nel 1926) nel giugno 1921, passò nel novembre
1925 a un indice di 104,5, che ritornò a cadere a 95,2 nel giugno 1929. Durante questo periodo di 7 anni, tuttavia,
l’offerta monetaria crebbe da 45,3 a 73,2 miliardi di dollari, cioè, più del 61%. Cfr. Murray N. Rothbard, America’s
Great Depression, pp. 88 e 154. Rothbard conclude con il suo solito acume che «The ideal of a stable price level is
relatively innocuous during a price rise when it can aid sound money advocates in trying to check the boom; but it is
highly mischievous when prices are tending to sag, and the stabilizationists call for inflation. And yet, stabilization is
always a more popular rallying cry when prices are falling.» Murray N. Rothbard, op. cit., p. 158 (p. 306 dell’edizione
italiana). Incidentalmente, è necessario mettere in risalto il grande parallelismo esistente tra la situazione descritta da
Hayek e ciò che si sta producendo settanta anni dopo, al momento di scrivere queste linee (1997), per cui è molto
probabile che presto il boom economico e borsistico americano si inverta in una recessione che riguardi tutto il mondo
(e che ha già iniziato a manifestarsi nei mercati asiatici).
29
Fritz Machlup, The Stock Market, Credit and Capital Formation, op. cit., p. 177. La traduzione in italiano di questa
citazione è la seguente: «La creazione di nuovo credito circolatorio per mantenere costante un livello generale dei prezzi
che in altre circostanze sarebbe sceso in conseguenza del progresso tecnico, può avere gli stessi effetti di
destabilizzazione dell’aumento della moneta e del credito descritti in precedenza, e causare così la comparsa di una crisi
economica. Nonostante l’effetto stabilizzatore sul livello generale dei prezzi, la comparsa di nuova moneta sotto forma
di crediti può generare un allungamento nei processi di produzione che nel lungo periodo non potrà essere mantenuto.»
17
impedita ogni espansione creditizia. In tal modo, è molto probabile che, in futuro, queste
considerazioni tornino ad avere grande rilevanza pratica e, in ogni caso, sono di grande importanza,
non solo per comprendere molti cicli economici del passato (e fra questi il più importante fu la
Grande Depressione del 1929), ma inoltre come applicazione delle conclusioni teoriche estratte
dalla nostra analisi30.
10) Come evitare i cicli economici: prevenzione e recupero dalla crisi economica
Da quanto abbiamo detto finora si deduce facilmente che, una volta che le banche abbiano
intrapreso una politica di espansione creditizia, o sia aumentata l’offerta monetaria sotto forma di
concessione di nuovi crediti senza copertura di nuovo risparmio volontario, si scatenano
spontaneamente processi che fanno sì che, presto o tardi, sorga la crisi e la recessione. Pertanto, le
crisi e depressioni economiche non possono essere evitate se in precedenza si produce
un’espansione creditizia. L’unica cosa che si può fare consiste nel prevenire l’inizio del processo
impedendo che si intraprendano politiche di espansione creditizia o di aumento dell’offerta
monetaria sotto forma di concessione da parte delle banche di nuovi crediti. Nel capitolo finale di
questo libro spiegheremo le modifiche istituzionali che è necessario realizzare per immunizzare le
economie moderne dagli stadi successivi di espansione e recessione che esse sperimentano
regolarmente. Queste riforme istituzionali si basano, esattamente, nel fare ritornare il negozio
bancario ai principi tradizionali del diritto che regolano il contratto di deposito irregolare di beni
fungibili e che esigono il mantenimento, in ogni momento, del tantundem, cioè, di un coefficiente di
riserva del 100 per cento. Solo in questo modo si può garantire che il sistema non inizierà
autonomamente l’espansione creditizia senza alcuna copertura di risparmio reale, e che i crediti che
sono concessi, avranno sempre la loro origine in un precedente aumento del risparmio volontario
della società. In questo modo, si inizieranno solo allungamenti della struttura produttiva che, salvo
in circostanze eccezionali, potranno essere completati e mantenuti in essere senza che si produca
30
Gottfried Haberler dimostrò che la caduta del livello generale dei prezzi dovuta a miglioramenti costanti in tutte le
linee della produzione non ha le stesse conseguenze negative di una deflazione monetaria. Si veda, in questo senso, la
sua monografia Der Sinn der Indexzahlen: Eine Untersuchung über den Begriff des Preisniveaus und die Methoden
seiner Messung, Verlag von J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tubinga 1927, pp. 112 e ss. E anche il suo articolo «Monetary
Equilibrium and the Price Level in a Progressive Economy», apparso in Economica, febbraio 1935, pp. 75-81 (questo
articolo è stato riedito in Gottfried Haberler, The Liberal Economic Order, vol. II, Money and Cycles and Related
Things, Anthony Y.C. Koo (ed.), Edward Elgar, Aldershot 1993, pp. 118-125). Gottfried Haberler posteriormente
precisò la sua posizione riguardo alla teoria austriaca del ciclo economico, il che causò l’interpretazione, a nostro avviso
ingiustificata, che l’avesse ritrattata totalmente. La massima concessione di Haberler consistette nell’affermare che i
teorici della Scuola Austriaca non avevano dimostrato in modo rigoroso che la stabilizzazione dei prezzi in
un’economia che cresce dovesse condurre sempre a una crisi economica (cfr. Gottfried Haberler, Prosperidad y
depresión: análisis teórico de los movimientos cíclicos, versione spagnola di Gabriel Franco e Javier Márquez, Fondo
de Cultura Económica, Messico 1942, p. 55; l’edizione originale in inglese e francese era apparsa nel 1937). Inoltre,
Haberler non giustifica il suo mutamento di opinione con nessuna considerazione teorica, ma semplicemente con la
possibilità che nel processo di evoluzione del ciclo si producano, in modo aggiuntivo e imprevisto, altri fenomeni (per
esempio, un aumento del risparmio volontario, ecc.) che tendano a neutralizzare in misura maggiore o minore la
direzione delle forze che l’analisi economica indica. Spetta, pertanto, a Haberler e ai suoi seguaci spiegare in ogni ciclo
concreto quali circostanze specifiche possano avere neutralizzato gli effetti tipici dell’espansione creditizia previsti in
modo generale dagli austriaci e la cui teoria formale non sono riuscite a scalfire di una virgola (si vedano, inoltre, i
nostri commenti alla tesi simile di D. Laidler alle pp.411-412). Un altro autore interessante è L. Albert Hahn, che, nel
suo Economía política y sentido común, Editorial Aguilar, Madrid 1979, si pone il problema se l’incremento della
produttività giustifichi o no una politica di espansione inflazionistica del credito arrivando alla conclusione (pp. 121-
122) che la suddetta politica generatrice di inflazione senza inflazione che, in generale, è considerata totalmente
inoffensiva, può avere effetti molto perturbatori e generare una profonda crisi economica. Per Hahn, l’errore dei teorici
che considerano innocua tale politica è dovuto al fatto che «non considerano che una produttività in aumento procura
profitti agli imprenditori finché i costi non aumentino a loro volta proporzionalmente». Perciò, Murray N. Rothbard
conclude che l’importante non è tanto come evolva il livello generale dei prezzi, ma se attraverso una politica di
espansione creditizia si riduca il tasso di interesse al di sotto di quello che avrebbe avuto in un mercato libero nel quale
tale politica non fosse stata portata a termine (Man, Economy and State, op. cit., pp. 862-863).
18
uno scoordinamento sistematico fra le decisioni imprenditoriali degli investitori e le decisioni del
resto degli agenti economici relative al volume e proporzione dei loro redditi che desiderino
consumare e risparmiare.
Orbene, supponendo che l’espansione creditizia si sia già verificata nel passato, sappiamo che la
crisi economica inevitabilmente arriverà, per quanto si cerchi di ritardare il suo avvento mediante
l’iniezione di nuove dosi di espansione creditizia a un ritmo sempre maggiore. In ogni caso,
l’avvento delle crisi e della recessione bisogna ritenersi che implichi, in ultima istanza, l’inizio del
recupero. Cioè, si deve considerare che la recessione economica implica l’inizio delle fasi di
recupero in quanto è la fase in cui si mettono in evidenza gli errori commessi, si liquidano i progetti
di investimento erroneamente intrapresi e si inizia a trasferire manodopera e il resto delle risorse
produttive verso quei settori e stadi dove i consumatori li valutino maggiormente. Di modo che così
come i postumi dell’ubriacatura sono una manifestazione della salutare reazione dell’organismo di
fronte all’aggressione dell’alcool, con la recessione economica ha inizio un periodo di recupero,
tanto sano e necessario come doloroso, per ritornare ad adattare la struttura produttiva a un’altra più
consona a quella che i consumatori veramente desiderano31.
La recessione arriva quando si rallenta o interrompe l’espansione creditizia e, come conseguenza di
ciò, si liquidano i progetti di investimento erroneamente intrapresi, stringendosi e riducendosi il
numero di stadi della struttura produttiva e congedando i lavoratori e fattori originari di produzione,
che sono impiegati negli stadi più lontani dal consumo dove già non sono più redditizi. Il recupero
si consolida quando gli agenti economici, in generale, e i consumatori, in particolare, decidono di
diminuire in termini relativi il loro consumo, aumentando il loro risparmio per far fronte alla
restituzione dei crediti che ricevessero e anche per affrontare la fase di incertezza e recessione
economica che ha avuto inizio. Ugualmente, dopo il boom e l’inizio del riassestamento si produce
naturalmente una diminuzione del tasso di interesse, che ha la sua origine nella riduzione, e anche
scomparsa, del premio derivato dalle aspettative di diminuzione del potere d’acquisto della moneta,
anche del maggior risparmio relativo a cui la depressione dà luogo. La diminuzione del ritmo
frenetico del consumo di beni e servizi dello stadio finale, insieme all’aumento del risparmio e il
risanamento a tutti i livelli della struttura produttiva, spingono i semi del recupero i cui effetti,
inizialmente, sono raccolti dai mercati borsistici, che sono soliti essere i primi a sperimentare un
certo miglioramento. Inoltre, la crescita in termini reali dei salari che si produce nello stadio di
recupero mette in funzione l’«Effetto Ricardo» e, con ciò, si incoraggia l’investimento negli stadi
più lontani dal consumo, che ritornano di nuovo a contrattare manodopera e risorse produttive. In
questo modo spontaneo termina il recupero, che si potrà consolidare e mantenere indefinitamente
ogni volta che non abbia inizio una nuova fase di espansione creditizia senza copertura di risparmio
reale che, come è usuale, torna di solito a ripetersi, dando luogo alla comparsa ricorrente di nuove
crisi32.
Tuttavia, stabilito che le crisi non possano evitarsi ma solo prevenirsi, quale sarebbe la politica più
adeguata nel caso si sia giunti alla inevitabile crisi o recessione? La risposta è semplice se
prendiamo in considerazione l’origine della crisi e ciò che questa significa: la necessità che la
31
«One point should be stressed: the depression phase is actually the recovery phase...; it is the time when bad
investments are liquidated and mistaken entrepreneurs leave the market - the time when ‘consumer sovereignty’ and the
free market reassert themselves and establish once again an economy that benefits every participant to the maximum
degree. The depression period ends when the free-market equilibrium has been restored and expansionary distortion
eliminated.» Murray N. Rothbard, Man, Economy and State, op. cit., p. 860. Pertanto, anche se nella prossima figura
VI-1 si distinguono le fasi di «depressione» e «ripresa», in accordo con quanto detto nel testo si deve considerare, in
termini esatti, che nella fase di depressione inizia la vera ripresa.
32
Lo studio dettagliato della ripresa con le sue diverse fasi può vedersi alle pp. 38-82 del libro di Hayek Profits,
Interest and Investment, già citato. Così come alle pp. 315-317 del libro di Mark Skousen The Structure of Production,
anche citato, dove Skousen si riferisce all’affermazione di Hayek secondo la quale: «It is a well-known fact that in a
slump the revival of final demand is generally an effect rather than a cause of the revival in the upper reaches of the
stream of production - activities generated by savings seeking investment and by the necessity of making up for
postponed renewals and replacements.» Hayek fece questa giusta osservazione sulla rivista Economist, nell’articolo
pubblicato l’11 giugno 1983 con il titolo «The Keynes Centenary: The Austrian Critic», n. 7293, p. 46.
19
struttura produttiva si riassesti e si converta in un’altra più consona con il vero desiderio di
risparmiare dei consumatori, liquidando i progetti di investimento erroneamente intrapresi e
trasferendo massicciamente i fattori di produzione verso gli stadi e le imprese più vicini al consumo,
che è dove i consumatori richiedono che si trovino. Pertanto, l’unica politica possibile e conveniente
in caso di crisi consiste nel rendere flessibile al massimo l’economia in generale e, in particolare, i
diversi mercati dei fattori produttivi, e soprattutto del fattore lavoro, con il fine che il riassestamento
possa avvenire il più rapidamente ed il meno dolorosamente possibile. Di modo che, secondo che
un’economia sia più rigida e ci sia maggiore intervento statale, il riassestamento sarà più
prolungato e socialmente doloroso, potendosi anche arrivare a mantenere gli errori e la recessione in
modo indefinito, per l’impossibilità istituzionale che gli agenti economici liquidino i loro progetti e
risistemino i loro beni di capitale e fattori di produzione in modo conveniente. Pertanto, la rigidità è
il nemico principale del recupero e tutta la politica destinata a rendere più tenue la crisi e iniziare
e consolidare quanto prima il recupero deve basarsi sull’obiettivo microeconomico di
flessibilizzare e liberalizzare al massimo tutti i mercati di fattori produttivi e, specialmente, il
mercato del lavoro33.
Questa, e non altra, è l’unica misura conveniente nella fase di crisi e recessione economica34,
dovendosi evitare specialmente qualsiasi altra politica che, in modo attivo, e in misura maggiore o
minore, tenda a rendere più difficile o impedire il necessario processo spontaneo di riassestamento.
In particolare, si deve evitare una serie di misure che, nella fase di crisi, dinanzi al suo carattere
socialmente doloroso, diventano sempre molto popolari e acquisiscono un notevole sostegno
politico. Fra le principali misure normalmente proposte e che è necessario evitare, menzioneremo le
seguenti:
a) La concessione di nuovi crediti alle imprese degli stadi più intensivi di capitale, per evitare
che entrino in crisi, sospendano i pagamenti e siano costrette a ristrutturarsi. Come
sappiamo, la concessione di nuovi crediti consente solo di ritardare l’arrivo della crisi a
costo di rendere in seguito molto più grave e difficile il necessario riassestamento. Inoltre, la
concessione sistematica di nuovi crediti per pagare quelli che stanno scadendo, ritarda il
33
Come indica Ludwig M. Lachmann, «what is needed is a policy which promotes the necessary readjustments...
Capital regrouping is thus the necessary corrective for the maladjustment engendered by a strong boom.» Capital and
its Structure, op. cit., pp. 123 y 125.
34
Siamo d’accordo con Murray N. Rothbard quando raccomanda che, una volta giunta la crisi, oltre a flessibilizzare al
massimo l’economia, siano ridotti a tutti i livelli l’ambito e il peso dello Stato sul sistema economico. In questo modo
non solo si favorisce l’esercizio della funzione imprenditoriale per liquidare piani erronei e ridisegnarli adeguatamente,
ma inoltre si favorisce un maggior tasso di risparmio e investimento sociale. Come dice Rothbard, «reducing taxes that
bear most heavily on savings and investment will further lower social time preferences. Furthermore, depression is a
time of economic strain. Any reduction of taxes, or of any regulations interfering with the free-market, will stimulate
healthy economic activity». E conclude: «there is one thing the government can do positively, however: it can
drastically lower its relative role in the economy, slashing its own expenditures and taxes, particularly taxes that
interfere with saving and investment. Reducing its tax-spending level will automatically shift the societal saving-
investment/consumption ratio in favor of saving and investment, thus greatly lowering the time required for returning to
a prosperous economy.» Murray N. Rothbard, America’s Great Depression, op. cit., p. 22 (pp. 103-104 dell’edizione
italiana). Rothbard ci offre inoltre un inventario delle tipiche misure governative che sono altamente controproducenti e
che, in ogni caso, tendono ad allungare la depressione e renderla più dolorosa. Tale inventario è il seguente: «(1)
Prevent or delay liquidation. Lend money to shaky businesses, call on banks to lend further, etc. (2) Inflate further.
Further inflation blocks the necessary fall in prices, thus delaying adjustment and prolonging depression. Further credit
expansion creates more malinvestments, which, in their turn, will have to be liquidated in some later depression. A
government ‘easy-money’ policy prevents the market’s return to the necessary higher interest rates. (3) Keep wage rates
up. Artificial maintenance of wage rates in a depression insures permanent mass unemployment... (4) Keep prices up.
Keeping prices above the free market levels will create unsaleable surpluses, and prevent a return to prosperity. (5)
Stimulate consumption and discourage saving... More saving and less consumption would speed recovery; more
consumption and less saving aggravate the shortage of saved-capital even further... (6) Subsidize unemployment. Any
subsidization of unemployment... will prolong unemployment indefinitely, and delay the shift of workers to the fields
where jobs
are available.» Murray N. Rothbard, America’s Great Depression, op. cit., p. 19.
20
riassestamento tanto necessario (quanto doloroso) degli investimenti erronei, potendo anche,
come è successo in Giappone durante l’ultimo decennio, arrivare a posporre indefinitamente
l’uscita dalla recessione. Si deve evitare, pertanto, ogni politica di ulteriore espansione
creditizia.
b) Sono anche molto dannose le mal denominate politiche di «piena occupazione», dirette a
garantire il mantenimento dei posti di lavoro di tutti i lavoratori. In questo senso, come
molto chiaramente indica Hayek, «all attempts to create full employment with the existing
distribution of labour between industries will come up against the difficulty that with full
employment people will want a larger share of the total output in the form of consumers’
goods that is being produced in that form.35» Pertanto, non esiste alcun modo in cui la
politica governativa di spesa ed espansione creditizia possa avere successo nel momento di
mantenere al loro posto corrente di lavoro tutti i lavoratori, nel caso in cui i redditi che
percepiscono, provenienti dall’espansione creditizia e dall’inflazione creata dal settore
pubblico, sono spesi da questi richiedendo una diversa struttura produttiva, cioè, incapace di
mantenerli al loro posto di lavoro. Ogni politica di mantenimento artificiale di posti di
lavoro finanziata con inflazione o espansione creditizia è autodistruttiva, nella misura in cui
la nuova moneta creata, una volta che giunga alle tasche dei consumatori, è spesa da questi
in un modo tale che non sia possibile rendere redditizi questi stessi posti di lavoro. Pertanto,
l’unica politica del lavoro possibile consiste nel facilitare il congedo e ricollocamento dei
lavoratori facendo sì che i mercati del lavoro siano molto flessibili.
c) Ugualmente si deve evitare ogni politica destinata a restaurare lo status quo degli aggregati
macroeconomici. Come sappiamo, la crisi e la recessione hanno natura microeconomica, per
cui una tala politica sarà condannata al fallimento, nella misura in cui impedisca e renda più
difficile che gli imprenditori rivedano i loro piani, risistemino i loro beni di capitale,
liquidino i loro progetti di investimento, e sanino le loro imprese. Come ben indica Ludwig
M. Lachmann, «any policy designed merely to restore the status quo in terms of
‘macroeconomic’ aggregate magnitudes, such as incomes and employment, is bound to fail.
The state prior to the downturn was based on plans which have failed; hence a policy
calculated to discourage entrepreneurs from revising their plans, but to make them ‘go
ahead’ with the same capital combinations as before, cannot succeed. Even if business men
listen to such counsel they would simply repeat their former experience. What is needed is a
policy which promotes the necessary readjustments.36» Per questo, le politiche monetary
destinate a mantenere ad ogni costo il boom economico dinanzi ai primi sintomi di comparsa
delle crisi (consistenti generalmente, in una caduta del mercato dei valori e dei beni
immobili), sebbene possano avere l’effetto di ritardare l’avvento della recessione, non
potranno evitare che questa arrivi.
d) Allo stesso modo si dee evitare la manipolazione del prezzo dei beni presenti in funzione dei
beni futuri che rappresenta il tasso sociale di preferenza intertemporale o tasso di interesse.
35
F.A. Hayek, Profits, Interest and Investment, op. cit., p. 60. La traduzione in italiano è: «Tutti i tentativi di creare
piena occupazione con la distribuzione esistente del fattore lavoro fra le diverse industrie si scontreranno contro la
difficoltà insolubile consistente nel fatto che con la piena occupazione i lavoratori desidereranno una quantità di beni e
servizi di consumo che sarà molto superiore a quella che potrebbe essere prodotta mediante la struttura produttiva che
dà loro lavoro.» Hayek si riferisce ugualmente al fatto che il tasso di disoccupazione non spiega le differenze esistenti
fra i diversi stadi dei processi produttivi, segnalando che, normalmente nella fase più profonda di crisi, la
disoccupazione può raggiungere anche fino al 25 o 30 per cento dei lavoratori che dedicavano il loro sforzo agli stadi
più lontani dal consumo, riducendosi sensibilmente fino a un 5 o 10 per cento dei lavoratori impiegati negli stadi più
vicini al consumo. Si veda ibidem, nota n. 2 a piè delle pagine 59-60.
36
Ludwig M. Lachmann, Capital and its Structure, op. cit., p. 123. La traduzione è la seguente: «Ogni politica volta a
restaurare semplicemente lo status quo in termini di grandezze macroeconomiche aggregate, come il reddito e
l’occupazione, è condannata al fallimento. Pertanto, una politica volta a scoraggiare gli imprenditori affinché rivedano i
loro piani, facendoli proseguire con le medesime combinazioni di capitale di prima, non può avere successo. Anche se
gli imprenditori ascoltassero simili consigli, essi ripeterebbero semplicemente la precedente esperienza. Ciò di cui si ha
bisogno, pertanto, è una politica che promuova i riassestamenti necessari.»
21
Infatti, nella fase di recupero, il tasso di interesse del mercato creditizio tenderà
spontaneamente a ridursi, data la diminuzione del prezzo dei beni di consumo e l’aumento
del risparmio a cui il risanamento proprio della recessione dà luogo. Tuttavia, una
manipolazione in un senso o nell’altro del tasso di interesse di mercato sarà
controproducente, interessando in modo negativo il processo di liquidazione o generando
nuovi errori imprenditoriali. Di fatto, possiamo concludere con Hayek che ogni politica
tendente a mantenere a un livello fisso i tassi di interesse sarà altamente dannosa per la
stabilità dell’economia, in quanto questi devono evolvere spontaneamente in funzione delle
preferenze reali degli agenti economici rispetto al risparmio e al consumo: «The tendency to
keep the rates of interest stable, and especially to keep them low as long as possible, must
appear as the arch-enemy of stability, causing in the end much greater fluctuations, probably
even of the rate of interest, than are really necessary. Perhaps it should be repeated that this
applies especially to the doctrine, now so widely accepted, that interest rates should be kept
low till ‘full employment’ in general is reached.»37
e) Infine, si deve evitare ogni politica di creazione artificiale di posti di lavoro mediante la
realizzazione di opere pubbliche e altri progetti di investimento finanziati dal governo. È
evidente che, se tali progetti si finanziano a carico di imposte o mediante l’emissione di
debito pubblico, si sottrarranno soltanto ricorsi da quei posti dell’economia dove i
consumatori desiderano che si trovino verso le opere pubbliche finanziate dal governo,
generandosi così una nuova ondata di cattivi investimenti. E se questi lavori e investimenti
sono finanziati mediante la semplice creazione di nuova moneta, si produce anche un cattivo
investimento generalizzato, nella misura in cui, se i lavoratori impiegati mediante questo
procedimento consumano la maggior parte dei loro redditi, allora tendono ad aumentare in
termini relativi il prezzo dei beni di consumo, aggravandosi ancor di più la delicata
situazione in cui si trovano le imprese degli stadi più lontani dal consumo. In ogni caso, è
quasi impossibile che i governi non siano colpiti dalle loro politiche «contro cicliche» di
spesa pubblica da ogni tipo di pressioni politiche che tendano a rendere queste stesse ancor
più inefficienti e dannose, come dimostrano le conclusioni della teoria della Scuola della
Scelta Pubblica. Non esistendo, d’altra parte, nessuna garanzia che quando i governi
compiano la diagnosi della situazione e decidano di prendere le misure ritenute correttive,
non abbiano sbagliato quanto al timing o sequenza dei diversi fenomeni e tendano con le
loro misure ad aggravare i dissesti più che a risolverli38.
11) La teoria del ciclo e le risorse oziose: il loro ruolo negli stadi iniziali del boom
Un argomento teorico che spesso si sente contro la scuola austriaca del ciclo economico è che
questa si basa sull’assunzione del pieno impiego delle risorse, di modo che, se esistono risorse
oziose, non v’è motivo per cui l’espansione creditizia debba dar luogo a un loro cattivo
investimento generalizzato. Tuttavia, questa critica non ha alcun fondamento. Come ha messo bene
in evidenza Ludwig Lachmann, la teoria austriaca del ciclo economico non parte dall’ipotesi di
considerare che esista pieno impiego. Anzi, al contrario, dalle prime analisi della teoria del ciclo,
elaborate da Mises nel 1928, questi partì dal considerare che, in qualsiasi momento, potrebbe
37
F.A. Hayek, Profits, Interest and Investment, op. cit., p. 70. La traduzione in italiano di questa citazione è: «La
tendenza a mantenere il tasso di interesse stabile, specialmente al livello più basso possibile, deve essere considerata
come il massimo nemico della stabilità, e causa in ultima istanza delle fluttuazioni economiche molto maggiori di ciò
che sarebbe realmente necessario. Forse bisognerebbe ribadire che questo principio si applica specialmente alla dottrina,
adesso così pienamente accettata, che i tassi di interesse dovrebbero essere mantenuti bassi finché non sia raggiunta la
piena occupazione.»
38
Si veda, in questo senso, Ludwig von Mises, «The Chimera of Contracyclical Policies», incluso alle pp. 798-800 di
Human Action, op. cit. E anche le opportune considerazioni di Mark Skousen su «The Hidden Drawbacks of Public
Works Projects», incluse alle pp. 337-339 del suo The Structure of Production, op. cit.
22
sempre esistere un volume molto significativo di risorse oziose39. Infatti, fin da principio, Mises
mise in evidenza che il disimpiego delle risorse non solo era compatibile con la teoria che aveva
elaborato, ma che, inoltre, era uno degli elementi essenziali di essa, dato che, nei processi di
mercato in cui gli imprenditori intraprendono piani che implichino la produzione di beni eterogenei
e complementari di capitale, si commettono continuamente errori e si producono «colli di bottiglia»
che impediscono che tutti i fattori e risorse produttive si trovino pienamente occupati. Da qui la
necessità di un mercato flessibile che permetta l’esercizio della funzione imprenditoriale tendente a
scoprire i dissesti esistenti, e a coordinarli in un processo che non ha mai fine. Ciò che la teoria,
esattamente, mette in evidenza è il modo in cui questo processo coordinatore dei dissesti esistenti si
interrompa e aggravi in conseguenza dell’espansione creditizia che realizza la banca40.
Ciò che insegna la teoria del ciclo economico è che lo stimolo ad un cattivo investimento delle
risorse produttive originato dall’espansione creditizia senza copertura di un aumento del risparmio
reale si verificherà sebbene esista un volume significativo di risorse oziose e, in concreto, di lavoro
disoccupato. Cioè, contrariamente a ciò che molti critici della teoria hanno sostenuto, non è
necessario partire dall’ipotesi di pieno impiego affinché le distorsioni microeconomiche
dell’espansione creditizia abbiano luogo. Se l’espansione creditizia si verifica, appaiono redditizi
progetti economici che in realtà non lo sono, ed è irrilevante che questi siano portati a compimento
con risorse che in precedenza erano o non erano disimpiegate. L’unica cosa che succede è che,
forse, il prezzo in termini nominali dei fattori originari di produzione non sarà così alto come lo
sarebbe stato se fosse partito da una situazione di pieno impiego. Ma il resto degli effetti che danno
luogo al cattivo investimento e in modo spontaneo all’inversione degli errori commessi sotto forma
di crisi e recessione finiscono col prodursi, dato che è irrilevante che gli errori commessi si siano
materializzati con risorse che originariamente si trovavano disimpiegate.
Quando ha inizio un boom artificiale basato su un’espansione creditizia bancaria che riassegni
fattori originari di produzione precedentemente non impiegati, accade solo che si interrompa il loro
processo di riassestamento che non era ancora terminato, sovrapponendosi un cattivo investimento
generalizzato delle risorse ad un altro che aveva avuto luogo in precedenza e che ancora non ha
potuto esser liquidato e riassorbito dal mercato.
Un altro effetto che può avere l’utilizzazione di risorse precedentemente oziose è che,
indipendentemente dal fatto che il loro prezzo in termini assoluti non aumenti ad un ritmo così
rapido, non è necessario nel breve periodo rallentare la produzione di beni e servizi di consumo.
Tuttavia, continua a prodursi una cattiva assegnazione delle risorse, in quanto queste sono investite
in progetti non redditizi, e gli effetti del ciclo non appariranno più quando le entrate monetarie che
conseguono i fattori originari di produzione precedentemente non impiegati inizino ad essere spese
in beni e servizi di consumo, i cui prezzi relativi, all’aumentare più velocemente del prezzo dei
prodotti degli stadi più lontani dal consumo, faranno sì che i salari relativi reali inizino a diminuire e
39
«The Austrian theory does not, as is often suggested, assume ‘Full Employment’. It assumes that in general, at any
moment, some factors are scarce, some abundant. It also assumes that, for certain reasons connected with the production
and planned use of capital goods, some of these scarcities become more pronounced during the upswing. Those who
criticize the theory on the ground mentioned merely display their inability to grasp the significance of a fundamental
fact in the world in which we are living: the heterogeneity of all resources. Unemployment of some factors is not merely
compatible with Austrian theory; unemployment of those factors whose complements cannot come forward in the
conditions planned is an essential feature of it.» Ludwig M. Lachmann, Capital and its Structure, op. cit., pp. 113-114.
40
Così, Mises, già nel 1928 affermava che: «At times, even on the unhampered market, there are some unemployed
workers, unsold consumers’ goods and quantities of unused factors of production, which would not exist under ‘static
equilibrium’. With the revival of business and productive activity, these reserves are in demand right away. However,
once they are gone, the increase of the supply of fiduciary media necessarily leads to disturbances of a special kind.»
Ludwig von Mises, On the Manipulation of Money and Credit, op. cit., p. 125. Questa citazione è la traduzione inglese
di quella che compare a p.49 del libro originariamente pubblicato a Jena nel 1928 da Mises con il titolo
Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik, che abbiamo già citato. Hayek, da parte sua, espose la sua teoria del ciclo
economico partendo dall’esistenza di risorse oziose in Profits, Interest and Investment, op. cit., pp. 3-73, dove ricorda
espressamente che già dallo sviluppo iniziale della teoria del ciclo realizzato da Mises nel 1928 si partiva dal
presupposto dell’esistenza di disoccupazione e altre risorse non impiegate (si veda la nota 1 a piè di p. 42).
23
si mettano in moto l’«Effetto Ricardo» e il resto degli effetti già studiati che danno luogo alla crisi e
alla recessione. In ogni caso, l’espansione creditizia darà sempre luogo, per cominciare, a un
aumento più che proporzionale del prezzo in termini relativi dei prodotti degli stadi più lontani dal
consumo, che ha la sua origine nella nuova domanda monetaria che arriva ad essi provenendo dal
credito e nella diminuzione artificiale del tasso di interesse che rende più attraenti tali progetti. Ciò
determina un allungamento della struttura produttiva che alla lunga non potrà essere mantenuto e
che è completamente indipendente dal fatto che una parte di tali progetti si sia materializzata con
risorse precedentemente oziose.
Si può, pertanto, concludere che l’argomento che si è spesso sentito che la teoria sviluppata da
Mises, Hayek e la Scuola Austriaca si basa sull’esistenza della piena occupazione delle risorse è
fallace, in quanto, anche ipotizzando un importante volume di risorse non impiegate, il processo di
espansione creditizia darà, inevitabilmente, luogo alla comparsa della recessione41.
12) La necessaria contrazione del credito nella fase di recessione: critica della teoria della
«depressione secondaria»
Consideriamo tre diversi tipi di deflazione, intesa come ogni diminuzione della quantità di moneta
in «circolazione»42. La deflazione consiste in una diminuzione dell’offerta monetaria o in un
aumento della domanda di moneta e tende a produrre, a parità di circostanze, un aumento del potere
d’acquisto dell’unità monetaria (o, se si preferisce, una diminuzione del «livello generale dei
prezzi»). Tuttavia, non bisogna confondere la deflazione con il suo effetto più tipico ed evidente (la
diminuzione del livello generale dei prezzi), in quanto esistono casi in cui i prezzi dei beni e servizi
diminuiscono senza che si sia prodotta alcuna deflazione. Ciò succede, come abbiamo già visto, nel
sano processo di crescita di un’economia che aumenti la sua produttività grazie all’incorporamento
di nuove tecnologie e all’accumulazione di capitale che è frutto dello spirito imprenditoriale e del
naturale aumento del risparmio volontario dei suoi agenti. Questo processo, che abbiamo studiato
nel precedente paragrafo 9, dà luogo, senza che si produca una diminuzione della quantità di
moneta in circolazione, a un aumento generalizzato della produzione di beni e servizi di consumo
che si possono vendere solo a prezzi più ridotti. In questo modo, si produce un aumento in termini
reali dei salari e dei restanti redditi dei fattori originari di produzione, perché, sebbene si
mantengano in termini nominali le loro remunerazioni, si riducono significativamente i prezzi dei
beni e servizi di consumo che acquistano i lavoratori. L’origine della diminuzione del livello
generale dei prezzi si trova, in questo caso, non dal lato monetario ma dal lato reale
dell’economia43, ed è dovuta all’aumento generalizzato della sua produttività. Questo fenomeno,
41
«Thus it becomes obvious how vain it is to justify a new credit expansion by referring to unused capacity, unsold —
or, as people say incorrectly, ‘unsalable’— stocks, and unemployed workers. The beginning of a new credit expansion
runs across remainders of preceding malinvestment and malemployment, not yet obliterated in the course of the
readjustment process, and seemingly remedies the faults involved. In fact, however, this is merely an interruption of the
process of readjustment and of the return to sound conditions. The existence of unused capacity and unemployment is
not a valid argument against the correctness of the circulation credit theory.» Ludwig von Mises, Human Action, op.
cit., p. 580. Hayek, da parte sua, grunge a una conclusiones simile, anche se utilizando un ragionamento leggermente
diverso, quando afferma che «If the proportion as determined by the voluntary decisions of individuals is distorted by
the creation of artificial demand, it must mean that part of the available resources is again led into a wrong direction and
a definite and lasting adjustment is again postponed. And, even if the absorption of the unemployed resources were to
be quickened in this way, it would only mean that the seed would already be sown for new disturbances and new crises.
The only way permanently to ‘mobilise’ all available resources is, therefore, not to use artificial stimulants —whether
during the crisis or thereafter— but to leave it to time to effect a permanent cure by the slow process of adapting the
structure of production to the means available for capital purposes.» F.A. Hayek, Prices and Production, op. cit., pp.
98-99 (p. 77 dell’edizione italiana). Sono anche molto opportune in questo senso le considerazioni di Mark Skousen nel
suo The Structure of Production, op. cit., pp. 289-290.
42
Questa forma di esprimerci, sebbene molto grafica, non è teoricamente rigorosa, in quanto la moneta non è mai «in
circolazione», ma fa sempre parte dei saldi liquidi di qualcuno.
43
Si veda il paragrafo intitolato «Variazioni del potere d’acquisto della moneta provenienti dal lato monetario e dal lato
delle merci», del capitolo XVII di Ludwig von Mises, L’azione umana, op. cit., pp. 401-404.
24
pertanto, non ha nulla a che vedere con la deflazione così come l’abbiamo definita, e non è altro che
la manifestazione del processo più sano e naturale dello sviluppo economico.
Ora ci interessa, tuttavia, studiare in dettaglio tre tipi diversi di deflazione (intesa, in senso stretto,
come ogni diminuzione dell’offerta o aumento della domanda di moneta), che hanno una causa e
danno luogo a conseguenze radicalmente diverse. Analizziamole in dettaglio44:
a) Innanzitutto dobbiamo analizzare in dettaglio le politiche deliberatamente intraprese dai
poteri pubblici per diminuire la quantità di moneta in circolazione45. Queste politiche, che
sono poste in essere in diverse circostanze storiche, danno luogo a un processo attraverso cui
tende ad aumentare il potere d’acquisto delle unità monetarie. Inoltre, questa diminuzione
forzata della quantità di moneta in circolazione produce, in un primo momento, una
diminuzione della concessione di prestiti e l’aumento artificiale del tasso di interesse di
mercato che genera un appiattimento forzato della struttura produttiva per cause strettamente
monetarie (e non per il vero desiderio dei consumatori). In conseguenza di ciò,
erroneamente si dà l’impressione come se non fossero redditizi molti stadi di beni di capitale
della struttura produttiva che in realtà invece lo sono (specialmente quelli più lontani dal
consumo e più intensivi di capitale). Inoltre, in tutti i settori la minore domanda monetaria
non è accompagnata allo stesso ritmo da una diminuzione parallela dei costi, per cui si
generano perdite contabili e si generalizza il pessimismo. D’altra parte, l’aumento del potere
d’acquisto dell’unità monetaria e la diminuzione del prezzo di vendita dei prodotti fanno sì
che si produca un importante aumento del reddito reale dei fattori originari che, nella misura
in cui i loro prezzi siano rigidi e non diminuiscano allo stesso ritmo di quello dei prezzi dei
beni di consumo, tenderanno a rimanere non impiegati. Ha inizio, pertanto, un doloroso
periodo di adattamento che termina solo quando tutta la struttura produttiva e tutti i fattori
originari si siano adattati alle nuove condizioni monetarie. Tutto questo processo di
deflazione deliberata non apporta nulla e l’unica cosa che produce è sottomettere a una
tensione non necessaria il sistema economico, ed è deprecabile che l’ignoranza teorica dei
politici li abbia indotti in diverse circostanze storiche a iniziarlo deliberatamente46.
44
Ci proponiamo, insomma, di coprire un importante gap teorico, della teoria economica della deflazione, che aveva già
messo in evidenza Ludwig von Mises nel 1933 affermando che «unfortunately, economic theory is weakest precisely
where help is most needed - in analyzing the effects of declining prices... Yet today, even more than ever before, the
rigidity of wage rates and the costs of many other factors of production hamper an unbiased consideration of the
problem. Therefore, it would certainly be timely now to investigate thoroughly the effects of declining money prices
and to analyze the widely held idea that declining prices are incompatible with the increased production of goods and
services and an improvement in general welfare. The investigation should include a discussion of whether it is true that
only inflationistic steps permit the progressive accumulation of capital and productive facilities. So long as this naive
inflationist theory of development is firmly held, proposals for using credit expansion to produce a boom will continue
to be successful.» Ludwig von Mises, «Die Stellung und der nächste Zukunft der Konjunkturforschung», pubblicato in
Festschrift in onore di Arthur Spiethoff (Duncker & Humblot, Munich 1933, pp. 175-180), tradotto in inglese con il
titolo «The Current Status of Business Cycle Research and its Prospects for the Immediate Future», e pubblicato in On
the Manipulation of Money and Credit, op. cit., pp. 207-213 (la citazione è presa dalle pp. 212-213).
45
Così, per esempio, il 13 maggio 1925 Winston Churchill, al tempo Cancelliere dello Scacchiere (Ministro delle
Finanze) del Regno Unito, decise che la libra sterlina ritornasse alla parità con l’oro che aveva prima della Prima Guerra
Mondiale. Cioè, a quella che aveva mantenuta dal tempo in cui Sir Isaac Newton, nel 1717, la fissò al rapporto di 1 libra
per ogni 4,86 dollari di oro.
46
Gli esempi più tipici di deflazione deliberatamente iniziata dai governi sono quelli portati avanti nel Regno Unito,
prima dopo le guerre napoleoniche, e poi, come abbiamo già citato, sotto gli auspici di Winston Churchill nel 1925,
quando, nonostante la tremenda inflazione di libre sterline in carta moneta che si era verificata durante la Prima Guerra
Mondiale, si decise di tornare alla parità libra-oro esistente prima dell’inizio del conflitto. Churchill, insomma, ignorò
palesemente il consiglio dato da Ricardo quando 100 anni prima si era prodotta una situazione molto simile dopo le
guerre napoleoniche: «I should never advise a government to restore a currency which had been depreciated 30 per cent
to par.» Lettere di David Ricardo a John Wheatley, datata 18 settembre 1821, The Works of David Ricardo, Piero Sraffa
(ed.), Cambridge University Press, Cambridge 1952, vol. IX, p. 73. Ludwig von Mises, commentando questi due casi
storici, dice quanto segue: «The outstanding examples were provided by Great Britain’s return, both after the wartime
inflation of the Napoleonic wars and after that of the first World War, to the prewar gold parity of the sterling. In each
case Parliament and Cabinet adopted the deflationist policy without having weighed the pros and cons of the two
25
b) Il secondo caso di deflazione, che dobbiamo distinguere chiaramente dal precedente, è
quello che si verifica quando gli agenti economici decidono di risparmiare, cioè, smettere di
consumare una parte significativa dei loro redditi, ma destinando totalmente o parzialmente
l’importo monetario di ciò che è risparmiato a aumentare i loro saldi liquidi (cioè, a
tesoreggiare47). In questo caso, l’aumento della domanda di moneta dà luogo ad una
tendenza affinché aumenti il potere d’acquisto dell’unità monetaria (o, se si preferisce,
affinché diminuisca il «livello generale dei prezzi»). Tuttavia, questo caso è radicalmente
diverso dal precedente nella misura in cui apporta qualcosa, in quanto ha la sua origine in un
aumento del risparmio da parte degli agenti economici che in questo modo liberano risorse
sotto forma di beni e servizi di consumo che restano invenduti. Si mettono così in funzione
gli effetti che già studiammo quando analizzammo il caso dell’aumento del risparmio
volontario nel capitolo V, e in particolare l’«Effetto Ricardo», che risulta dalla diminuzione
del prezzo relativo dei beni di consumo che a sua volta dà luogo a un aumento, ceteris
paribus, della remunerazione reale dei lavoratori e del resto dei redditi dei fattori originari di
produzione. Pertanto, si scatenano i processi che spingono a un allungamento della struttura
produttiva, che diviene più intensiva di capitale, grazie ai nuovi progetti di investimento che
sono intrapresi e potrà concludersi grazie alla liberazione di risorse produttive negli stadi più
vicini al consumo. L’unica differenza fra questo caso e quello dell’aumento volontario che
immediatamente è investito direttamente nella struttura produttiva o attraverso i mercati di
capitali è che adesso, in conseguenza dell’aumento dei saldi liquidi in cui si traduce il
risparmio, il processo esige una diminuzione del prezzo dei beni e servizi di consumo, dei
prodotti degli stadi intermedi e del reddito dei fattori originari di produzione e salari per
adattarsi al fatto che il potere d’acquisto dell’unità monetaria è aumentato. Tuttavia, non si
tratta, come nel caso precedente di un processo doloroso che non apporta nulla, ma in questo
caso realmente esiste un risparmio effettivo che dà luogo a un aumento della produttività
della società. L’allungamento della struttura produttiva e la nuova riassegnazione dei fattori
di produzione si verifica nella misura in cui si produce un mutamento dei prezzi relativi dei
prodotti degli stadi intermedi e dello stadio finale di consumo nelle stesse direzioni che
abbiamo spiegato nel capitolo V, indipendentemente dal fatto che, in termini assoluti e
nominali, gli uni e gli altri debbano ridursi (in misura diversa) in conseguenza del maggiore
potere d’acquisto dell’unità monetaria48.
methods open for a return to the gold standard. In the second decade of the nineteenth century they could be exonerated,
as at that time monetary theory had not yet clarified the problems involved. More than a hundred years later it was
simply a display of inexcusable ignorance of economics as well as of monetary history.» Ludwig von Mises, Human
Action, op. cit., pp. 567-568 e anche p. 784. F.A. Hayek, da parte sua, si riferisce al grave errore che aveva implicato il
ritorno alla parità che esisteva precedentemente alla Prima Guerra Mondiale fra l’oro e la libra, e anche al fatto che tale
politica si concludesse in modo lento e graduale, invece che tramite uno shock rapido, come si era fatto negli Stati Uniti
dal 1920 al 1921, concludendo che: «Though the clear determination of the government to restore the gold standard
made it possible to do so as early as 1925, internal prices and wages were then still far from being adapted to the
international level. To maintain this parity, a slow and highly painful process of deflation was initiated, bringing lasting
and extensive unemployment, to be abandoned only when it became intolerable when intensified by the world crisis of
1931 - but, I am still inclined to believe, just at the time when the aim of that painful struggle had been nearly
achieved.» F.A. Hayek, 1980s Unemployment and the Unions: The Distortion of Relative Prices by Monopoly in the
Labour Markets, The Institute of Economic Affairs, 2.ª edizione, Londra 1984, p. 15. Esiste una traduzione in spagnolo
di questo articolo pubblicata nelle mie Lecturas de Economía Política, vol. II, Unión Editorial, Madrid 1987, pp. 54-88.
Si veda ugualmente la nota 43 del capitolo VIII.
47
È anche teoricamente e praticamente possibile che gli agenti economici aumentino i saldi liquidi (domanda di
moneta) senza variare in nulla il loro volume di consumo monetario, disinvestendo in risorse produttive e vendendo
beni di capitale. Questo fenomeno dà luogo ad un appiattimento della struttura produttiva e produce un impoverimento
generalizzato della società attraverso un processo che è esattamente il contrario di quello analizzato nel capitolo V in
relazione all’allungamento della struttura produttiva finanziata a carico del risparmio volontario.
48
«Whenever an individual devotes a sum of money to saving instead of spending it for consumption, the process of
saving agrees perfectly with the process of capital accumulation and investment. It does not matter whether the
individual saver does or does not increase his cash holding. The act of saving always has its counterpart in a supply of
26
c) Il terzo tipo di deflazione che considereremo è quello che si produce in conseguenza della
contrazione creditizia che normalmente si verifica nello stadio di crisi e recessione che
segue ogni espansione creditizia. Abbiamo già commentato questo processo nei capitoli IV e
V, analizzando come, allo stesso modo che l’espansione creditizia moltiplica la quantità di
moneta in circolazione, la restituzione massiccia dei prestiti e la perdita di valore degli attivi
dei bilanci delle banche che motiva la crisi dànno luogo a un inevitabile processo
cumulativo di contrazione creditizia che diminuisce la quantità di moneta in circolazione e
genera, pertanto, una deflazione. Questo terzo caso che stiamo analizzando sorge quando nel
processo di comparsa della crisi, non solo si arresta la crescita dell’espansione creditizia, ma
di fatto si sperimenta una contrazione del credito e, pertanto, una deflazione o diminuzione
dell’offerta monetaria o quantità di moneta in circolazione. Tuttavia, questa deflazione è
diversa da quella analizzata nel punto a) precedente e possiede una serie di effetti positivi
che è necessario considerare. In primo luogo, questa deflazione prodotta dalla contrazione
creditizia non dà luogo ai dissesti non necessari menzionati al comma a), ma facilita e
accelera la liquidazione dei progetti di investimento erroneamente iniziati negli stadi
espansivi. Pertanto, non si tratta di una deflazione che artificialmente faccia apparire come
non redditizi progetti di investimento che in realtà invece lo sono, ma anzi al contrario, è la
reazione naturale del mercato necessaria per liquidare acceleratamente i progetti di
investimento erroneamente intrapresi nello stadio espansivo. Un secondo effetto positivo di
questo terzo tipo di deflazione creditizia è che, in qualche modo, inverte gli effetti
redistributivi del reddito che si erano prodotti nello stadio espansivo del boom
inflazionistico. Infatti, l’espansione inflazionistica mise in moto una tendenza a diminuire il
potere d’acquisto della moneta che aveva ridotto i redditi reali di tutti i titolari di redditi fissi
(risparmiatori, vedove, orfani, pensionati) a favore di quelli che, relativamente, avevano
ricevuto per primi i redditi del sistema bancario e avevano visto aumentare i loro redditi
monetari. Dunque, ora, nello stadio di contrazione creditizia, questa redistribuzione forzata
del reddito si inverte a favore di quelli che erano stati danneggiati nella fase espansiva, di
modo che finiranno col guadagnare i titolari di redditi fissi (vedove, orfani, pensionati) a
spese di coloro che maggiormente si erano avvantaggiati nella fase precedente. E in terzo
luogo, la deflazione creditizia fa sì che, in generale, le diverse attività appaiano meno
redditizie, contabilizzando i loro costi storici con una unità monetaria il cui potere
d’acquisto era minore e computando poi le loro entrate contabili con un’unità monetaria il
cui potere d’acquisto è più alto. Ciò fa sì che dal punto di vista contabile si riducano in
modo artificiale i profitti imprenditoriali, il che spinge gli imprenditori a risparmiare di più e
a redistribuire meno sotto forma di dividendi (esattamente il contrario di ciò che avevano
fatto nella fase espansiva). Questa tendenza a favore del risparmio è molto positiva di fronte
al nuovo inizio della ripresa economica49. La diminuzione della quantità di moneta in
circolazione a cui dà luogo la contrazione creditizia tenderà ad interessare, senza alcun
goods produced and not consumed, of goods available for further production activities. A man’s savings are always
embodied in concrete capital goods ... The effect of our saver’s saving, i.e., the surplus of goods produced over goods
consumed, does not disappear on account of his hoarding. The prices of capital goods do not rise to the height they
would have attained in the absence of such hoarding. But the fact that more capital goods are available is not affected
by the striving of a number of people to increase their cash holdings... The two processes —increased cash holding of
some people and increased capital accumulation— take place side by side.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit.,
pp. 521-522.
49
Un’analisi brillante degli effetti positivi di questo terzo tipo di deflazione prodotta dalla contrazione creditizia nella
fase recessiva del ciclo si può vedere in Murray N. Rothbard, Man, Economy, and State, op. cit., pp. 863-871. E anche
in Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., pp. 566-570. Mises indica inoltre che, nonostante i suoi effetti negativi, la
contrazione deflazionistica non è mai così dannosa come l’espansione creditizia, perché «contraction produces neither
malinvestment nor overconsumption. The temporary restriction in business activities that it engenders may by and large
be offset by the drop in consumption on the part of the discharged wage earners and the owners of the material factors
of production the sales of which drop. No protracted scars are left. When the contraction comes to an end, the process of
readjustment does not need to make good for losses caused by capital consumption» (op. cit., p. 567).
27
dubbio, il potere d’acquisto dell’unità monetaria, che aumenterà. Ciò esige che i salari e i
redditi dei fattori originari di produzione diminuiscano, anche se al principio questa
riduzione sarà più rapida della riduzione del prezzo dei beni e servizi di consumo, qualora
questa si produca. In conseguenza di ciò, in termini relativi, i salari e redditi dei fattori
originari di produzione si ridurranno, il che porterà a contrattare più lavoratori invece di
macchinari e a un trasferimento massiccio di questi verso gli stadi più vicini al consumo.
Cioè, la contrazione creditizia rafforza e accelera il necessario processo di «appiattimento»
della struttura produttiva che ha luogo durante la recessione. È imprescindibile che i mercati
del lavoro siano flessibili in tutti gli aspetti, al fine di rendere più facili i trasferimenti
massicci di risorse produttive e manodopera. Quanto prima termini il riassesto e si elimini
l’effetto dei crediti concessi ai progetti di investimento erroneamente intrapresi, prima
saranno messe le fondamenta del recupero susseguente, che sarà caratterizzato da un
recupero del prezzo relativo dei fattori originari di produzione; cioè, da una diminuzione del
prezzo dei beni e servizi di consumo, maggiore, in termini relativi, di quella che si produrrà
nei salari, risultato di un aumento del risparmio generale della società che possa favorire di
nuovo una crescita degli stadi più intensivi di capitale con la speranza di potere essere
portati a termine (in quanto hanno la loro origine nel risparmio volontario). Come conclude
bene Wilhelm Röpke, questo terzo tipo di deflazione (contrazione creditizia che si produce
dopo la crisi) «is the unavoidable reaction to the inflation of the boom and must not be
counteracted, otherwise a prolongation and aggravation of the crisis will ensue, as the
experiences in the United States in 1930 have shown.»50
Bisogna immaginare che, in determinate circostanze storiche, l’intervento dei governi, dei
sindacati, e la rigidità istituzionale dei mercati possano impedire i riassesti necessari che sono
precedenti a ogni recupero dell’attività economica. Se i salari sono inflessibili, le condizioni di
contrattazione del lavoro molto rigide, il potere dei sindacati molto grande, e i governi cadono nella
tentazione della spesa pubblica e dell’interventismo protezionista, allora è possibile che sia
mantenuto in modo indefinito un grande volume di disoccupazione, senza che i fattori originari di
produzione siano risistemati in accordo alle nuove condizioni economiche (caso del Giappone
durante il periodo 1992-2002). In queste circostanze potrebbe anche essere che si producesse un
processo cumulativo di contrazione, nel quale la crescita massiccia della disoccupazione desse
luogo a una diminuzione generalizzata della domanda e questa, a sua volta, a nuove dosi di
disoccupazione, e così di seguito. Alcuni teorici hanno denominato questo processo, che non deriva
dalle forze spontanee del mercato ma dall’intervento coercitivo dei governi sui mercati del lavoro,
sui prodotti e sul commercio internazionale, depressione secondaria. In alcuni casi, i teorici della
«depressione secondaria» hanno considerato che la mera possibilità che essa si produca è un
argomento prima facie per giustificare l’intervento del governo favorendo di nuovo l’espansione
creditizia e la spesa pubblica. Tuttavia, l’unica politica efficace per evitare che appaia una
«depressione secondaria» o che questa sia grave è, come già abbiamo indicato precedentemente,
quella di liberalizzare in modo generalizzato i mercati ed evitare di cadere di nuovo nelle politiche
di espansione creditizia, abbandonando ogni politica tendente a mantenere alti i salari e a rendere
rigidi i mercati, che avrebbero l’unico effetto di allungare e rendere duraturo e doloroso il processo
di riassestamento, fino ad arrivare a renderlo anche politicamente insopportabile51.
50
Wilhem Röpke, Crises and Cycles, William Hodge, Londra 1936, p. 120. La traduzione in italiano è: «Questa
deflazione è la reazione inevitabile alla precedente inflazione del boom e non bisogna agire contro di essa, in quanto se
ciò avvenisse si prolungherebbero e aggraverebbero gli effetti della crisi, come le esperienze degli Stati Uniti degli anni
Trenta hanno dimostrato.»
51
Il principale teorico della «depressione secondaria», Wilhelm Röpke, riconosce, nel suo oscillante e a volte
contraddittorio trattamento di essa, che in ogni caso esistono forze spontanee nel mercato che impediscono che, in
assenza di interventi e rigidità esteriori, questa sorga e si sviluppi. E anche quando sorge e si sviluppa in conseguenza
della rigidità del mercato del lavoro e dello sviluppo di politiche protezionistiche, il mercato finisce sempre con lo
28
Che fare se, in determinate circostanze, sembra politicamente «impossibile» prendere misure
necessarie per rendere flessibili i mercati del lavoro, abbandonare il protezionismo e favorire il
riassestamento che è la condizione preliminare e necessaria di ogni recupero? Questo è un
interessantissimo problema di politica economica, la cui decisione deve essere lasciata alla corretta
valutazione della gravità delle circostanze che si producano in ogni momento storico. Quindi anche
se la teoria dimostra che ogni politica di espansione artificiale del consumo e dell’espansione
creditizia è controproducente, nessuno nega che, nel breve periodo, è possibile assorbire qualsiasi
volume di disoccupazione semplicemente aumentando la spesa pubblica o l’espansione creditizia,
anche se a costo di bloccare il processo di riassestamento e di rendere più grave la recessione
quando questa riappaia. Tuttavia, lo stesso Hayek riconobbe che le situazioni storiche potevano
divenire, in certe circostanze, così disperate che politicamente non rimaneva altra via di uscita che
quella di intervenire nuovamente «dando all’ubriaco più alcool». Vediamo come Hayek, già nel
1939, si esprimeva in questo senso: «... it has, of course, never been denied that employment can be
rapidly increased, and a position of ‘full employment’ achieved in the shortest possible time by
means of monetary expansion. All that has been contended is that the kind of full employment
which can be created in this way is inherently unstable, and that to create employment by these
means is to perpetuate fluctuations. There may be desperate situations in which it may indeed be
necessary to increase employment at all costs, even if it be only for a short period - perhaps the
situation in which Dr. Brüning found himself in Germany in 1932 was such a situation in which
desperate means would have been justified. But the economist should not conceal the fact that to
aim at the maximum of employment which can be achieved in the short run by means of monetary
policy is essentially the policy of the desperado who has nothing to lose and everything to gain from
a short breathing space.»52
Supponiamo ora che i politici trascurino le raccomandazioni dell’economista e che le circostanze
siano tali che sia possibile liberalizzare l’economia, per cui si estende la disoccupazione, il
riassestamento non ha mai termine e si entra in una fase di contrazione cumulativa. Supponiamo,
inoltre, che sia politicamente impossibile prendere qualsiasi misura adeguata e che la situazione
rischi di sboccare anche in una rivoluzione, che tipo di espansione monetaria sarebbe quella meno
perturbatrice da un punto di vista economico? In questo caso, la politica meno negativa, sebbene
stabilire spontaneamente un «fondo» al processo cumulativo di depressione. Cfr. Wilhelm Röpke, Crises and Cycles,
op. cit., pp. 128-129.
52
F.A. Hayek, Profits, Interest and Investment, op. cit., nota 1 a piè di pp. 63-64. La traduzione in italiano è: «Non si è
mai negato, quindi, che l’occupazione possa essere aumentata rapidamente raggiungendo una posizione di piena
occupazione nel più breve spazio di tempo possibile mediante l’espansione monetaria. L’unica cosa che si è sostenuto è
che il tipo di piena occupazione che si può creare mediante questo procedimento è inerentemente instabile, e che creare
occupazione per questa via significa perpetuare le fluttuazioni economiche. Può darsi che esistano situazioni disperate
in cui sia necessario aumentare l’occupazione ad ogni costo, sebbene si possa riuscire a farlo solo durante un breve
periodo di tempo – forse la situazione in cui si trovò il dottor Brüning nella Germania del 1932 potrebbe essere una
situazione che giustificasse questo tipo di procedimento disperato. Tuttavia, l’economista non deve nascondere il fatto
che la pretesa di ottenere il massimo di occupazione che si possa raggiungere nel breve periodo mediante la politica
monetaria sia essenzialmente la politica del disperato che non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare se ottiene un
breve respiro.» In seguito Hayek allargò le sue idee al riguardo, indicando come negli anni Trenta si era opposto alla
politica espansiva in Germania, scrivendo anche un articolo che, tuttavia, non riuscì a pubblicare, ma che inviò al
professore Röpke con una nota personale nella quale indicava quanto segue: «Apart from political considerations I feel
you ought not —not yet at least— to start expanding credit. But if the political situation is so serious that continuing
unemployment would lead to a political revolution, please do not publish my article. That is a political consideration,
however, the merits of which I cannot judge from outside Germany but which you will be able to judge.» E conclude
Hayek che «Röpke’s reaction was not to publish the article, because he was convinced that at that time the political
danger of increasing unemployment was so great that he would risk the danger of causing further misdirections by more
inflation in the hope of postponing the crisis; at that particular moment this seemed to him politically necessary and I
consequently withdrew my article.» F.A. Hayek, «The Campaign Against Keynesian Inflation», cap. XIII di New
Studies in Philosophy, Politics, Economics and the History of Ideas, op. cit., p. 211. In ogni caso, come abbiamo messo
in evidenza nel testo, questo tipo di misure disperate può conseguire solo un corto respiro, posponendo nel frattempo la
soluzione di problemi, che diventano molto più gravi nel tempo. Infatti, nonostante la decisione conseguente di Röpke,
la situazione tedesca continuò a deteriorarsi e non fu possibile impedire l’avvento di Hitler al potere nel 1933.
29
senza alcun dubbio continuerebbe ad avere i suoi effetti molto negativi sul sistema economico,
sarebbe la realizzazione di un programma di opere pubbliche che desse lavoro ai disoccupati a salari
relativamente ridotti, di modo che i lavoratori potessero poi trasferirsi rapidamente ad altre attività
più lucrative e comode non appena le circostanze migliorassero. In ogni caso, bisognerebbe evitare
la concessione diretta di prestiti e crediti alle imprese degli stadi produttivi più lontani dal consumo.
Una politica, pertanto, di sussidio ai disoccupati, con basse remunerazioni e in cambio della
realizzazione effettiva di lavori di contenuto sociale (col fine di evitare di generare incentivi per
mantenersi cronicamente disoccupati) sarebbe quella meno dannosa nelle circostanze estreme che
abbiamo appena descritto53.
La comparsa ricorrente di crisi economiche prodotte dall’espansione creditizia ha, a sua volta, altre
conseguenze che, sebbene più sottili, non sono meno dannose per la cooperazione armoniosa fra gli
esseri umani e il loro sviluppo economico e sociale54. In concreto, è necessario mettere in risalto che
l’attuale sistema monetario basato sull’espansione creditizia ha reso abituale che lo sviluppo
economico si produca a colpi di boom e crisi. Cioè, sembra come se l’economia di mercato dovesse
avere per forza un comportamento che potremmo qualificare come «maniaco-depressiva».
Infatti, gli imprenditori, giornalisti, politici, sindacalisti e agenti economici in generale si sono
abituati a considerare che gli stadi dell’espansione artificiale propria del boom sono lo stadio
normale della prosperità, che deve essere ricercata e salvaguardata con tutti i mezzi. Al contrario, si
ritiene che le inevitabili conseguenze dell’espansione, cioè la crisi e la recessione, costituiscano uno
stadio molto negativo che bisogna evitare ad ogni costo55. Non si rendono conto che la recessione è
la conseguenza inevitabile dell’espansione artificiale, e che ha la virtù di porre in evidenza gli errori
commessi e di rendere possibile il recupero e il riassestamento della struttura produttiva.
L’espansione creditizia forza inoltre, in modo sproporzionato e indebito, la capacità di reazione e il
ritmo di lavoro degli agenti economici. Finché dura, si spinge al limite la capacità di lavoro degli
53
Lo stesso F.A. Hayek sostiene che, in queste circostanze, la politica meno dannosa consisterebbe nel fornire
«employment through public works at relatively low wages so that workers will wish to move as soon as they can to
other and better paid occupations, and not by directly stimulating particular kinds of investment or similar kinds of
public expenditure which will draw labour into jobs they will expect to be permanent but which must cease as the
source of the expenditure dries up.» F.A. Hayek, «The Campaign against Keynesian Inflation», in New Studies, op. cit.,
pp. 211-212. Una versione in spagnolo di questa tesi di Hayek si può trovare alle pp. 66-67 del libro di F.A. Hayek
¿Inflación o Pleno Empleo?, op. cit. Il rischio, tuttavia, di questo tipo di concessioni è che, negli attuali sistemi
democratici, è quasi inevitabile che siano utilizzate in modo poco rigoroso dai politici per giustificare le loro misure
interventistiche in ogni situazione di recessione economica. Forse una possibile soluzione sarebbe includere come
articolo costituzionale il principio del bilancio in equilibrio degli scienziati delle finanze classici, il quale, esigendo
l’accordo di tutte le forze politiche affinché venga modificato dinanzi alla valutazione unanime di fronteggiare una
situazione «critica», potrebbe diminuire il rischio di realizzazione ingiustificata di misure artificiali di espansione in
periodi di crisi.
54
L’apparizione ricorrente, ad ogni numero determinato di anni, di nuove crisi rivela che esse hanno la loro origine nel
processo di espansione creditizia che per forza scatena i riassestamenti spontanei che abbiamo studiato. In assenza di
espansione creditizia, le crisi economiche sarebbero fatti isolati e puntuali che si produrrebbero solo in conseguenza sia
di fenomeni straordinari di tipo fisico (cattivi raccolti, terremoti, ecc.), sia di tipo sociale (come possono essere le guerre
o le rivoluzioni), ma non apparirebbero con la regolarità né con l’estensione geografica con cui siamo abituati a
sperimentarle.
55
«The boom is called good business, prosperity, and upswing. Its unavoidable aftermath, the readjustment of
conditions to the real data of the market, is called crisis, slump, bad business, depression. People rebel against the
insight that the disturbing element is to be seen in the malinvestment and the overconsumption of the boom period and
that such an artificially induced boom is doomed.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 575. Perciò è un grave
errore pensare che il crash borsistico che annuncia la crisi distrugga ricchezza reale. Al contrario, come già sappiamo, la
distruzione economica si era prodotta molto prima, sotto forma di cattivo investimento generalizzato durante il
precedente stadio del boom creditizio. La caduta di Borsa indica solo che gli agenti economici finalmente si sono resi
conto di questo fenomeno. Si veda inoltre il paragrafo 14.
30
esseri umani e si perverte il loro spirito imprenditoriale, generandosi uno stress e un logoramento
psichico molto dispendioso in termini umani e personali. Inoltre, la creazione di nuova moneta
mediante la concessione espansiva di crediti finanzia ogni tipo di operazioni speculative, offerte
pubbliche di acquisto di azioni, e guerre di tipo commerciale e finanziario, nelle quali prevale la
cultura della speculazione a breve, diffondendosi pericolosamente l’idea che sia possibile e
conveniente ottenere una notevole quantità di profitti con sorprendente facilità e rapidità. Si
demoralizza così il lavoro ben fatto e la cultura imprenditoriale tradizionale, basate sullo sviluppo
prudente di attività con uno spirito di permanenza e di prosieguo di obiettivi nel lungo periodo. A
questa realtà ci riferiamo quando parliamo della demoralizzazione generalizzata a cui dà luogo
l’espansione artificiale di origine creditizia, e che è particolarmente devastante e dannosa per le
generazioni più giovani e dinamiche della società56.
Il problema si aggrava se, come hanno messo in rilievo i teorici che hanno analizzato il ciclo dal
punto di vista politico57, i protagonisti delle decisioni politiche prendono le loro decisioni
unicamente ed esclusivamente nel breve periodo e con il fine di ottenere appoggi immediati che
garantiscano loro la rielezione nelle seguenti elezioni, per cui non hanno alcun dubbio nel momento
di iniziare, spingere e favorire le politiche di espansione monetaria che maggiori benefici possano
apportare loro nel breve periodo. Inoltre, poiché qualsiasi deviazione dall’espansione artificiale e
l’eccesso di ottimismo a cui la stessa dà luogo si considera come qualcosa di negativo ed è
immediatamente denunciata dai mezzi di comunicazione e utilizzata come arma politica scagliata
dall’opposizione, i sindacati e le organizzazioni imprenditoriali, nessuno osa denunciare i mali della
politica creditizia. Tutto ciò genera un ambito di irresponsabilità monetaria che fa sì che i problemi
tendano ad aggravarsi, e diventi molto difficile la loro soluzione mediante un riassestamento e
liquidazione sensati che stabiliscano le basi per un recupero sostenuto non fondato sull’espansione
creditizia.
Infine, dobbiamo riferirci a un altro grande danno che all’economia di mercato e ai principi della
libertà di impresa procura la comparsa ricorrente e successiva di crisi economiche provocate
dall’espansione creditizia. Infatti, ogni processo di espansione è inesorabilmente seguito da una fase
di doloroso riassestamento, che rappresenta il momento ideale per giustificare l’ulteriore intervento
dello Stato nell’economia, e affinché si argomenti a livello popolare che proprio la recessione
economica mette in evidenza le insufficienze dell’economia di mercato e «prova» che è necessario
che lo Stato intervenga di più nell’economia a tutti i livelli per evitare che si riproducano le crisi e
attenuare le loro conseguenze. La recessione è, pertanto, il momento ideale in cui risorgono le
proposte di protezionismo commerciale, intervento nei mercati, aumento del deficit pubblico, e
regolamentazione dell’economia. Queste politiche interventiste, come già sappiamo, riescono solo a
prolungare e aggravare la recessione, rendendo più difficile il necessario recupero. E la cosa triste è
che, quando il recupero timidamente inizia, le pressioni del pubblico a favore di una nuova
espansione creditizia sono tali, che questa inizia nuovamente, ripetendosi di nuovo in tal modo tutto
56
L’effetto dell’espansione creditizia è tanto più dannoso quanto più gli agenti economici siano abituati ad un’economia
austera, la cui crescita sostenuta sia dovuta unicamente ed esclusivamente al risparmio volontario. È in queste
circostanze che l’impatto negativo dell’espansione artificiale è maggiore. Tuttavia, nelle attuali circostanze, nelle quali
le espansioni artificiali e le depressioni si succedono le une dopo le altre, gli agenti economici iniziano ad apprendere
dall’esperienza e gli effetti espansivi della concessione di crediti sono sempre minori o si ottengono solo ed
esclusivamente a costo di iniettarli ad un ritmo e volume sempre maggiori.
57
William D. Nordhaus, «The Political Business Cycle», Review of Economic Studies, vol. 42, n. 130, aprile 1975, pp.
169-190 (esiste una versione spagnola, pubblicata con il titolo «El ciclo político», Revista española de economía, vol.
VIII, n. 2, pp. 479-509). E anche Edward R. Tufte, Political Control of the Economy, Princeton University Press,
Princeton 1978; e C. Duncan MacRae, «A Political Model of the Business Cycle», pubblicato in Journal of Political
Economy, vol. 85, anno 1977, pp. 239-263 (tradotto in spagnolo con il titolo «Un modelo político del ciclo económico»,
Hacienda pública española, n. 52, anno 1988, pp. 240-255).
31
il processo. Come bene conclude Mises: «But the worst is that people are incorrigible. After a few
years they embark anew upon credit expansion, and the old story repeats itself»58.
La Borsa valori è il mercato in cui si scambiano titoli di valore rappresentativi di prestiti realizzati
ad imprese. I titoli di valore sono, pertanto, l’incarnazione giuridica delle partecipazioni nelle
operazioni di concessione di beni presenti, da parte di risparmiatori o capitalisti, ai richiedenti di
beni che sono disposti a utilizzarli nei processi produttivi in cambio della consegna futura a
risparmiatori o mutuanti una quantità maggiore di beni futuri. Questi titoli di valore possono a loro
volta materializzarsi ed avere natura giuridica molto diversa, secondo che si trattino di azioni,
obbligazioni, ecc. In ogni caso, l’esistenza di un mercato di valori offre l’importante vantaggio di
rendere più facili gli scambi di proprietà di tali titoli e, pertanto, della proprietà dei corrispondenti
beni di capitale che essi rappresentano in modo frazionario. Un altro importante vantaggio del
mercato di valori è che consente di ottenere una rapida liquidità nel caso che i proprietari di titoli
desiderino disfarsi di essi59. E rende anche possibile l’investimento di tipo temporaneo degli eccessi
di fondi liquidi che credano di avere gli agenti economici e che, grazie al mercato di valori, possono
investire nell’acquisto di titoli che, sebbene rappresentino e si materializzino nel lungo periodo,
possono conservarsi durante periodi più brevi ed essere venduti in qualsiasi momento60.
In un’economia in crescita sana e sostenuta, il flusso di risparmio volontario arriva alla struttura
produttiva attraverso due procedimenti: o l’autofinanziamento delle imprese, oppure il mercato dei
valori (chiamato anche «di capitali»). Ciononostante, l’arrivo del risparmio attraverso il mercato di
valori si effettua lentamente e gradualmente senza che si producano i booms né le euforie
borsistiche61.
58
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 578. La traduzione di questa citazione è la seguente: «Ma la cosa
peggiore è che la gente è incorreggibile, dopo pochi anni si imbarca nuovamente in un’espansione creditizia e la vecchia
storia si ripete di nuovo.»
59
Un’altra delle funzioni essenziali della Borsa valori e del suo mercato di options e futures è stata messa in evidenza,
all’interno della più illustre tradizione della Scuola Austriaca da Ludwig M. Lachmann, per il quale «the Stock
Exchange by facilitating the exchange of knowledge tends to make the expectations of large numbers of people
consistent with each other, at least more consistent than they would have been otherwise; and that through the continual
revaluation of yield streams it promotes consistent capital change and therefore economic progress.» Ludwig M.
Lachmann, Capital and its Structure, op. cit., p. 71.
60
È importante mettere in risalto come il settore bancario si sia appropriato, in larga misura, di questo ruolo
importantissimo della Borsa valori, in quanto, potendo espandere il credito, generare depositi e remunerarli, si è
convertito nello strumento più utilizzato per collocare gli eccessi temporanei di saldi liquidi. Questo è molto dannoso, in
quanto permette una crescita ancora maggiore dell’espansione creditizia con gli effetti negativi che già conosciamo. Se
gli eccessi di saldi liquidi fossero collocati nella Borsa valori darebbero luogo, al contrario, a un aumento effettivo del
risparmio volontario, che permetterebbe di allungare i processi di investimento senza che questi fossero costretti ad
essere sospesi da un’inevitabile ulteriore crisi (anche se i risparmiatori non avrebbero mai la garanzia di ricevere in caso
di vendita dei loro titoli lo stesso importo monetario impiegato al momento del loro acquisto). Inoltre siamo ora in
condizione di comprendere perché non sia giustificata la critica spesso rivolta al mercato dei valori indicando che la sua
piccola dimensione e scarso sviluppo rendano inevitabile l’estensione del ruolo delle banche al momento di finanziare i
progetti produttivi. La realtà è, piuttosto, esattamente il contrario: è la possibilità che le banche finanzino progetti di
investimento mediante espansione creditizia non coperta da risparmio reale quella che esattamente dà loro un maggiore
protagonismo nei piani di investimento, a danno, esattamente, del mercato dei valori, che perde importanza nel processo
di investimento e si converte in un mercato secondario che segue, nel corso del ciclo, le linee maestre stabilite dal
sistema bancario.
61
Solo quando si verifichi una rapida diminuzione (poco probabile) della preferenza temporale della società, gli indici
borsistici in assenza di espansione creditizia, effettueranno un salto fino a raggiungere un nuovo livello (consolidato) a
partire dal quale al massimo si produrrà una crescita borsistica lenta e graduale. Perciò i boom e le euforie borsistiche
prolungate in modo continuo sono sempre artificiali e sono alimentati dall’espansione creditizia. Queste euforie
borsistiche incoraggiano, inoltre, il pubblico a posporre il suo consumo nel breve periodo e investire i suoi saldi liquidi
in Borsa, di modo che, finché durino le aspettative di forti rialzi borsistici, alimentate dall’espansione creditizia, può
essere ritardata temporalmente l’arrivo della recessione. Questo è quello che successe nei principali mercati borsistici
americani alla fine del 1997.
32
Solo quando ha inizio da parte del settore bancario una politica di espansione creditizia non coperta
da un precedente aumento del risparmio volontario si produce una crescita generale continua e
molto importante degli indici borsistici. Infatti, la creazione di nuova moneta sotto forma di crediti
bancari arriva subito alla borsa valori e produce un movimento verso l’alto delle quotazioni che è
puramente speculativo, e che, in modo generale, in misura maggiore o minore, interessa la
maggioranza dei titoli, e può continuare a crescere finché duri l’espansione creditizia e questa si
mantenga ad un ritmo accelerato. Infatti, l’espansione creditizia, non solo dà luogo ad
un’importante e artificiale diminuzione relativa dei tassi di interesse, con effetto al rialzo che ciò
comporta sempre sulle quotazioni di Borsa, ma inoltre permette che i titoli di valore il cui prezzo
continua ad aumentare siano utilizzati come garanzia per richiedere nuovi prestiti in un processo
che si retroalimenta con rialzi borsistici continui e speculativi, e che non si arresta finché duri
l’espansione creditizia. Come spiega Fritz Machlup: «If it were not for the elasticity of bank credit,
which has often been regarded as such a good thing, the boom in security values could not last for
any length of time. In the absence of inflationary credit the funds available for lending to the public
for security purchases would soon be exhausted.»62 Pertanto, e questa forse è una delle conclusioni
più importanti cui possiamo giungere, ogni fase di espansione ininterrotta della Borsa valori non
indica che le circostanze economiche siano favorevoli, ma esattamente al contrario: è la
manifestazione più inequivocabile che si sta verificando un’espansione creditizia senza copertura di
risparmio reale che alimenta un boom artificiale che inevitabilmente finirà con lo sfociare in una
grave crisi borsistica.
D’altra parte, come Hayek ha messo in evidenza, le notevoli plusvalenze e guadagni di capitale che
si ottengono in Borsa durante la fase di espansione, nella misura in cui siano considerati come
maggiore ricchezza da parte degli agenti economici e spesi nell’acquisto di beni e servizi di
consumo, implicano un notevole consumo dello scarso stock di capitale, che finirà, in ultima
istanza, impoverendo la società63.
Anche se analiticamente sono molto chiari i processi che tendono ad invertire i progetti di
investimento che sono erroneamente intrapresi in conseguenza dell’espansione creditizia, è
impossibile conoscere a priori in che momento e attraverso quali circostanze specifiche si metterà
in evidenza nel mercato borsistico che l’espansione è artificiale, scatenandosi, in ultima istanza, una
crisi borsistica. Ciò che certamente possiamo affermare è che la Borsa valori sarà il primo
indicatore che mostrerà che l’espansione è artificiale e «ha piedi di argilla», dato che è possibile
che, dinanzi al più insignificante detonatore, si produca un crash borsistico64. Ciò si verificherà non
appena gli agenti economici perdano la fiducia nella continuazione del processo espansivo,
constatino che l’espansione rallenta o si arresta, e si convincano, insomma, che gli effetti della crisi
e recessione appariranno in un futuro molto lontano. A partire da questo momento il mercato
borsistico è condannato.
62
Fritz Machlup, The Stock Market, Credit and Capital Formation, op. cit., p. 92. Quest’opera di Machlup è
assolutamente essenziale per comprendere l’influenza del ciclo sulla Borsa valori. La traduzione di questa citazione
potrebbe essere la seguente: «Se non fosse per l’elasticità del credito bancario che spesso si è considerato come
qualcosa di molto positivo, il boom dei valori borsistici non potrebbe mantenersi indefinitamente. In assenza del credito
inflazionistico, i fondi disponibili per essere prestati al pubblico col fine di comprare titoli di valore, si estinguerebbero
presto».
63
«Stock Exchange profits made during such periods of capital appreciation in terms of money, which do not
correspond to any proportional increase of capital beyond the amount which is required to reproduce the equivalent of
current income, are not income, and their use for consumption purposes must lead to a destruction of capital.» F.A.
Hayek, «The Maintenance of Capital», Economica, vol. II, agosto de 1934. Questo capitolo è incluso come capitolo III
in Profits, Interest and Investment, op. cit., pp. 83-134. La citazione appena riportata si trova a p. 133.
64
Indipendentemente dal detonatore storico concreto che la scateni, la crisi borsistica si produrrà a partire dal momento
in cui diminuisca l’espansione creditizia, in quanto come indica Fritz Machlup, «The most probable result in this case is
a quick recession of security prices. For higher stock prices will invite a new supply of securities, and the corporations,
which want to take advantage of the higher prices in order to draw funds from the stock exchange and use them for real
investment, will find that there are no additional funds to be had.» Fritz Machlup, The Stock Market, Credit and Capital
Formation, op. cit., p. 90.
33
I primi sintomi di crisi borsistica spaventano molto i politici, responsabili economici e pubblico in
generale, dato che abitualmente si produce un clamore generale a favore di un’espansione di nuovo
del credito nella misura necessaria a mantenere e consolidare gli alti indici borsistici. Si pensa,
erroneamente, che l’alto livello raggiunto dal prezzo dei titoli sia una manifestazione della buona
«salute» dell’economia e che, pertanto, bisogna fare tutto il possibile per evitare che la Borsa
crolli65. Infatti, non si vuole comprendere, né da parte del pubblico né della maggioranza degli
specialisti66, che la caduta della Borsa è il primo avviso dell’inevitabile crisi e che gli indici
borsistici non possono mantenersi inalterati, eccetto mediante nuove dosi di credito che
riuscirebbero soltanto a ritardare la crisi a costo di rendere molto più grave la recessione quando si
manifesterà.
Dopo la crisi borsistica, il mercato dei valori agisce anche come un indicatore della sua evoluzione.
Così, a parità di circostanze, gli indici corrispondenti ai titoli rappresentativi delle imprese che
esercitano la loro attività negli stadi più lontani dal consumo soffrono con maggiore virulenza la
caduta delle quotazioni di quelli riguardanti le imprese di beni e servizi di consumo. Questa è la
constatazione borsistica del fatto che i maggiori errori imprenditoriali sono stati commessi negli
stadi più intensivi di capitale e che è necessario liquidarli, salvare il possibile e trasferire i fattori
originari di produzione verso altre imprese più vicine al consumo.
Una volta iniziata la recessione, l’atonia della Borsa si manterrà finché duri il processo di
riassestamento, indicando con ciò non solo che questo sta ancora dolorosamente proseguendo, ma
che i tassi di interesse di mercato si sono portati al livello che avevano nello stadio precedente
all’inizio dell’espansione creditizia (o anche, come già sappiamo, a un livello superiore, se come è
solito incorporano un premio aggiuntivo per il rischio e l’inflazione)67. In ogni caso, la atonia
borsistica durerà finché duri il riassestamento, ed è possibile che si mantenga indefinitamente se
questo non si completa a causa della continua concessione rotatoria di nuovi crediti alle imprese
interessate in un ambito di mercati del lavoro e di ogni tipo molto regolati e rigidi (caso
dell’economia giapponese nel 1995-2001).
Quando il riassestamento si sarà concluso può iniziare il recupero, nel caso in cui gli agenti
economici recuperino la fiducia e aumentino nuovamente il loro tasso di risparmio volontario. In
65
Non menzioniamo il fatto indiscutibile che l’interesse privato di molti possessori speculatori di Tivoli risiede dietro
una grande parte del «pubblico clamore» a favore dell’appoggio istituzionale alla Borsa. Ugualmente è molto
significativo che quando si produce una crisi borsistica, in modo praticamente unanime, si lanciano sempre attraverso i
mezzi di comunicazione messaggi «tranquillizzanti» che insistono sul carattere passeggero e «ingiustificato» del
fenomeno, e consigliano al pubblico non solo di non disfarsi delle loro azioni ma che di approfittare dell’occasione per
acquistare più titoli a buon prezzo. Le voci discordanti di coloro che vedono la situazione in altro modo e credono che la
cosa migliore sia vendere (e che, nelle situazioni di crisi sono esattamente la maggioranza di coloro che ricorrono al
mercato) sono sempre discretamente e convenientemente passate sotto silenzio.
66
Così, per esempio, esattamente prima del crash borsistico del 24 ottobre 1929, il medesimo Irving Fisher affermava
con fiducia il 17 ottobre 1929 che «we are in a ‘higher plateau’ of stock exchange prices», già pienamente consolidato e
che non dovrebbe mai scendere. Si vedano le sue dichiarazioni alla Commercial & Financial Chronicle, pubblicate il 26
ottobre 1929, pp. 2618-19. Citato da Benjamin M. Anderson, Economics and the Public Welfare: A Financial and
Economic History of the United States, 1914-1946, Liberty Press, Indianapolis, 1979, p. 210. Lo stesso errore di Fisher
fu commesso da Wesley C Mitchell, R.G. Hawtrey e lo stesso John Maynard Keynes. Si veda Mark Skousen «Who
predicted the 1929 crash?», op. cit., pp. 254-257 (si veda, ugualmente, la nota 99).
67
«This is clearly seen on the Stock Exchange which discounts future yield streams on the basis of the present rate of
interest. A sensitive and well-informed market witnessing the spectacle of a strong boom will of course in any case
sooner or later have its misgivings about future yields and the cost of present projects. But we need not doubt that where
this is not so, a rising rate of interest would strongly reinforce the discounting factor and thus damp excessive
optimism.» Ludwig M. Lachmann, Capital and its Structure, op. cit., pp. 124-125. Lachmann spiega la grande
importanza che le istituzioni della Borsa valori e i mercati di futures hanno nel momento di estendere la conoscenza e
l’informazione dispersa dei diversi agenti economici, aumentando il coordinamento inter ed intratemporale fra essi. In
modo tale che sia la Borsa valori sia il mercato di futures hanno l’effetto di rendere più facile il coordinamento e la
stabilità dell’economia, funzione che adempiono finché non siano distorti dagli impatti inflazionistici dell’espansione
creditizia. In ogni caso i mercati di futures prevederanno prima di nessun altro le successive fasi del ciclo economico, e
sebbene questo non sia così, la realtà stessa degli eventi (aumento dei tassi di interesse, perdite contabili nelle industrie
di beni di capitale, ecc.) finirà col porre termine al boom borsistico, generando l’inizio della crisi economica.
34
questo caso, il prezzo di beni e servizi di consumo tenderà a ridursi in termini relativi rispetto ai
salari e redditi dei fattori originari di produzione, il che determinerà l’entrata in funzione
dell’«Effetto Ricardo», divenendo nuovamente proficuo intraprendere nuovi piani di investimento
per allungare ed allargare gli stadi della struttura produttiva più intensivi di capitale. Questo
aumento del risparmio darà luogo ad una crescita dei titoli di valori, che indicherà che il recupero è
iniziato e che si sta ritornando a intraprendere nuovi processi di investimento in beni di capitale.
Tuttavia, la crescita degli indici borsistici non ritornerà ad essere spettacolare finché non abbia di
nuovo inizio una nuova espansione creditizia68.
Sebbene esistano molte altre considerazioni complementari che si potrebbero fare in relazione
all’evoluzione del mercato di valori durante il ciclo economico, l’idea più importante è che,
generalmente, ogni aumento importante e continuo del prezzo dei titoli di valore non può essere
spiegato da un miglioramento delle condizioni di produzione né da un aumento del risparmio
volontario, ma può mantenersi in modo indefinito solo grazie alla crescita inflazionistica
dell’espansione creditizia. Il miglioramento sostenuto dell’economia e l’aumento del risparmio
volontario generano una maggiore affluenza monetaria al mercato di valori, ma questa è più lenta e
graduale ed è rapidamente assorbita dalle nuove emissioni di titoli delle imprese che desiderino
finanziare i loro nuovi piani di investimento. Solo una crescita continua e sproporzionata della
offerta monetaria sotto forma di espansione creditizia può alimentare il rogo speculativo che
caratterizza ogni boom borsistico69.
Arrivati a questo punto della nostra analisi, deve essere facile comprendere quali siano gli effetti e
le relazioni che esistono fra il ciclo economico e il settore bancario. Innanzitutto, bisogna
riconoscere che il ciclo economico ha la sua origine nell’espansione creditizia che il settore
bancario realizza grazie al privilegio giuridico che consente di poter stipulare contratti di deposito di
moneta a vista con un coefficiente di riserva frazionaria. Nel capitolo IV vedemmo, inoltre, come
questo privilegio spieghi la tendenza alla concentrazione bancaria, in quanto secondo che le banche
abbiano nel mercato una dimensione più grande in termini relativi, saranno maggiori le loro
possibilità di espansione creditizia senza che siano limitate dalla corrispondente camera di
compensazione interbancaria. Inoltre, la concentrazione bancaria rende possibile una migliore
«gestione» delle riserve frazionarie di tesoreria, permettendo di far fronte a ritiri normali delle
medesime con minori saldi centrali di cassa.
Nel capitolo V abbiamo visto come il processo di espansione creditizia dia luogo, ciononostante, ad
un’ineludibile crisi e fase di riassestamento, durante la quale evapora una parte consistente dei
valori contabili dell’attivo dei bilanci, in un periodo in cui inoltre la domanda di moneta e il ritiro
dei depositi aumenta in modo generalizzato. Ciò spiega, pertanto, perché i banchieri abbiano spinto
per la creazione di un’istituzione pubblica, denominata «banca centrale», con il fine di agire,
fondamentalmente, come prestatore di ultima istanza nelle fasi di recessione economica, che sono le
68
Non ci deve meravigliare, pertanto, che nella fase di ripresa si combini una diminuzione in termini relativi dei prezzi
dei beni e servizi di consumo e, pertanto, dei valori borsistici corrispondenti alle imprese più vicine all’ultimo stadio
della struttura produttiva, insieme ad un aumento del prezzo dei titoli di valore corrispondenti alle imprese che
lavoravano più lontano dal consumo. Come indica Fritz Machlup, «a shift of demand from consumers’ goods to
securities is ‘saving’. It is usually assumed that a significant price shift takes place not only between consumers’ goods
and securities but also between consumers’ goods and producers’ goods. It may seem strange that the price fall in
consumers’ goods should correspond on the other side to price rises in two categories of things at the same time. But
there is nothing complicated about this, for the rise in price of titles to capital goods may actually involve the rise in
prices of the capital goods themselves.» Fritz Machlup, The Stock Market, Credit and Capital Formation, op. cit., pp.
70-71.
69
«A continual rise of stock prices cannot be explained by improved conditions of production or by increased voluntary
savings, but only by an inflationary credit supply. A lasting boom can result only from inflationary credit supply.» Fritz
Machlup, The Stock Market, Credit and Capital Formation, op. cit., pp. 99 e 290.
35
più pericolose per essi. Inoltre, le difficoltà e pesi che i banchieri sopportano in conseguenza della
morosità e ritiro dei depositi nella fase di riassestamento e recessione economica rafforzano, ancor
di più se possibile, la tendenza verso la concentrazione bancaria. Infatti, in questo modo possono
dare un trattamento più uniforme ai non pagati, ottenendo importanti economie di scala nella
gestione della morosità ed evitando di trovarsi nella situazione marginalmente più insolvente del
settore, in quanto sperimentano una percentuale di crediti morosi più elevati e/o una minore fiducia
da parte del pubblico.
La conclusione, pertanto, è che esiste una tendenza endogena nell’esercizio privilegiato della banca
con riserva frazionaria che spinge verso la concentrazione bancaria e affinché le banche sviluppino
e mantengano intime relazioni con la banca centrale come unica istituzione che possa garantire la
loro sopravvivenza nei momenti di crisi, che esse stesse generano regolarmente e in modo
ricorrente. Inoltre, la banca centrale agisce, orchestrando e organizzando l’espansione creditizia,
vigilando che le banche espandano più o meno all’unisono e che nessuna di loro si allontani troppo
dal ritmo stabilito.
16) Marx, Hayek e la considerazione delle crisi economiche come inerenti all’economia di
mercato
È curioso constatare come, nella sua analisi delle realtà economiche del sistema capitalista, Marx
fondamentalmente si concentri sullo studio dei disequilibri e dissesti che si producono nel mercato.
Ciò spiega perché la teoria marxista sia innanzitutto, una teoria del disequilibrio del mercato, che, in
alcuni casi, presenta delle coincidenze notevoli con l’analisi dinamica dei processi di mercato
sviluppata dagli economisti della Scuola Austriaca in generale, e dagli stessi Mises e Hayek in
particolare. Uno dei punti di una certa coincidenza più curiosi si presenta, esattamente, in relazione
alla teoria delle crisi e recessioni che devastano con regolarità il sistema capitalista. Così, è
interessante porre in risalto che autori di tradizione marxista, come l’ucraino Mijail Tugan-
Baranovsky (1865-1919), giunsero alla conclusione che le crisi economiche fossero causate da una
tendenza alla mancanza di proporzionalità fra i diversi rami della produzione che, nella sua
opinione, è consustanziale al sistema capitalistico70. Per Baranovsky la crisi si produce perché «la
distribuzione della produzione non è più proporzionale: i macchinari, gli utensili, le tegole, la legna
da costruzione, sono richiesti meno che in precedenza, dato che le nuove imprese non sono così
numerose. Ma i produttori dei mezzi di produzione non possono ritirare il loro capitale dalle loro
imprese, e, d’altra parte, l’importanza del capitale impiegato sotto forma di edifici, macchinari, ecc.,
obbliga a continuare la produzione (altrimenti il capitale inattivo non produrrebbe interesse). C’è,
pertanto, un eccesso di produzione nei mezzi di produzione»71. Come si vede, parte del
ragionamento economico che soggiace a questa analisi è molto simile a quello della teoria austriaca
del ciclo economico. E c’è di più, lo stesso Hayek cita Tugan-Baranovsky come uno dei precursori
della teoria del ciclo che espone in Prices and Production72.
70
Mijail Tugan-Baranovsky, «Crisis económica y producción capitalista», incluso in Lecturas de economía política,
Francisco Cabrillo (ed.), Minerva Ediciones, Madrid 1991, pp. 190-210. Alla nota 86 del capitolo VII si riportano tutte
le opere di Tugan-Baranovsky pubblicate in Spagna.
71
Ibidem, p. 205 (i corsivi sono miei).
72
«In the German literature similar ideas were introduced mainly by the writings of Karl Marx. It is on Marx that M.v.
Tougan-Baranovsky’s work is based which in turn provided the starting point for the later work of Professor Spiethoff
and Professor Cassel. The extent to which the theory developed in these lectures corresponds with that of the two last
named authors, particularly with that of Professor Spiethoff, need hardly be emphasised.» F.A. Hayek, Prices and
Production, op. cit., p. 103. E anche The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 426. Su Tugan-Baranovsky e il contenuto
della sua tesi dottorale su «Le crisi industriali in Inghilterra», si deve consultare l’articolo biografico su questo autore di
Alec Nove, pubblicato in The New Palgrave: A Dictionary of Economics, op. cit., vol. IV, pp. 705-706. L’errore di tutte
queste dottrine della «sproporzionalità» è che ignorano la sua origine monetaria e interventista (sotto forma di
attuazione privilegiata del sistema bancario), non riconoscono la tendenza imprenditoriale a individuare e correggere i
dissesti (in assenza di interventi statali) e pensano, ingenuamente, che le autorità economiche del governo possiedano
36
Inoltre, è interessante segnalare come lo stesso Hayek, in una fase, arrivasse a pensare, come Marx,
che le crisi economiche fossero qualcosa di endogeno e inerente al sistema economico capitalista,
anche se le valutava come il costo necessario che bisognava assumere se si desiderava mantenere un
sistema monetario e creditizio elastico, la cui espansione «garantisse», in ogni momento, lo
sviluppo economico. In concreto, Hayek affermò che le crisi economiche sorgono «from the very
nature of the modern organization of credit. So long as we make use of bank credit as a means of
furthering economic development we shall have to put up with the resulting trade cycles. They are,
in a sense, the price we pay for a speed of development exceeding that which people would
voluntarily make possible through their savings, and which therefore has to be extorted from them.
And even if it is a mistake —as the recurrence of crises would demonstrate— to suppose that we
can, in this way, overcome all obstacles standing in the way of progress, it is at least conceivable
that the noneconomic factors of progress, such as technical and commercial knowledge, are thereby
benefitted in a way which we should be reluctant to forgo.»73
Orbene, questa prima tesi di Hayek, coincidente in parte come abbiamo già visto, con quella di
Marx, sarebbe corretta solo se la stessa teoria austriaca del ciclo non avesse messo in evidenza che
le crisi economiche causano un grave danno sulla struttura produttiva e un consumo generalizzato
del capitale accumulato che sono molto dannosi per lo sviluppo economico ed armonioso della
società. Inoltre, e ciò è ancora più importante, l’analisi teorica, giuridica ed economica che abbiamo
sviluppato in questo libro ha cercato di dimostrare che le crisi economiche non sono un risultato
una conoscenza superiore a tal fine rispetto alla rete di imprenditori che agiscono liberamente nel mercato. Cfr. Ludwig
von Mises, Human Action, op. cit., pp. 582-583.
73
F.A. Hayek, Monetary Theory and the Trade Cycle, op. cit., pp. 189-190. Quest’opera fu tradotta in spagnolo da Luis
Olariaga nel 1936. In italiano la traduzione è: «Le fluttuazioni economiche nascono dalla natura stessa
dell’organizzazione monetaria del credito. Finché faremo uso del credito bancario come strumento per favorire la
crescita economica, dovremo subire le crisi economiche che ne risulteranno. In certo senso sono il prezzo che paghiamo
per un ritmo di crescita più accelerato di quello che la società renderebbe possibile volontariamente con i suoi risparmi,
e che bisogna imporglielo con la forza. E anche se fosse un errore – come la periodicità delle crisi dimostrasse –
supporre che in questo modo possiamo vincere tutti gli ostacoli che si oppongano al progresso, è per lo meno
concepibile che i fattori non economici del progresso, come le conoscenze tecniche e commerciali, sarebbero con ciò
beneficati in una forma cui non dovremmo rinunciare senza ripugnanza.» Il giovane Hayek del 1929 aggiunge che,
secondo lui, un sistema bancario rigido riuscirebbe ad evitare le crisi, ma «the stability of the economic system would
be obtained at the price of curbing economic progress», concludendo che «It is no exaggeration to say that not only
would it be impossible to put such a scheme into practice in the present state of economic enlightenment of the public,
but even its theoretical justification would be doubtful» (ibidem, p. 191). Lo stesso Hayek riconosce che la sua
conclusione si basa più sull’intuizione e su ragioni extraeconomiche che su un’analisi teorica rigorosa, per cui non desta
meraviglia che, pochi anni dopo, in Prices and Production e in Monetary Nationalism and International Stability,
cambiasse opinione, proponendo di mantenere costante l’offerta monetaria e aderendo alla proposta di esigere un
coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca. Una critica molto acuta di queste erronee affermazioni del giovane
Hayek del 1929 si può vedere in Walter Block e Kenneth M. Garschina, «Hayek, Business Cycles and Fractional
Reserve Banking: Continuing the De-Homogenization Process», The Review of Austrian Economics, Vol. 9, n. 1
(1996), pp. 77-94. Successivamente mi sono reso conto che, dato che già nel 1925 Hayek aveva proposto come
soluzione radicale al problema dei cicli economici ritornare alle prescrizioni della Legge di Peel del 1844 che stabiliva
un coefficiente di cassa del 100 per cento per i depositi bancari a vista, le sue affermazioni del 1929 in La teoria
monetaria e il ciclo economico forse dovranno piuttosto essere comprese nel contesto di una conferenza dinanzi al
Verein für Sozialpolitik che ebbe luogo a Zurigo nel settembre 1928 nel rigoroso «esame di abilitazione» che fu
giudicato da professori poco proclivi ad accettare conclusioni troppo originali o rivoluzionarie. Questa prima
prescrizione di Hayek a favore del coefficiente di cassa del 100 per cento si trova alla nota 12 del suo articolo su «The
Monetary Policy of the United States after the Recovery from the 1920 Crisis», pubblicato in Money, Capital and
Fluctuations: Early Essays, Roy McCloughry, op. cit., p. 29 (si veda anche la prossima nota 94). Dobbiamo far notare,
infine, che in questa erronea e passeggera concessione di Hayek relativa al carattere presumibilmente benefico
dell’espansione creditizia sull’innovazione tecnologica risuona l’ingenuo inflazionismo implicito in J. A. Schumpeter,
La teoria dello sviluppo economico, op. cit., specialmente le pp. 129 e ss. Una brillante valutazione critica del carattere
eterodosso di Schumpeter all’interno della teoria austriaca del capitale e dei cicli è stata realizzata da José Antonio de
Aguirre nella sua «Introduzione» all’edizione spagnola di Eugen von Böhm-Bawerk, Teoría positiva del capital,
Ediciones Aosta/Unión Editorial, Madrid 1998, pp. 19-22 (Di quest’opera esiste una traduzione italiana con il titolo
Teoria Positiva del capitale ed excursus, UTET, Torino, 1957).
37
inevitabile dell’economia di mercato, ma che, al contrario, sono il risultato della concessione da
parte dei governi di un privilegio affinché le banche agiscano fuori dai principi tradizionali del
diritto di proprietà, che così vitali sono per l’economia di mercato, in relazione al deposito a vista di
moneta. Si tratta, pertanto, di un fallimento forzato istituzionalmente del diritto di proprietà
nell’ambito concreto del contratto di deposito bancario di moneta quello che dà luogo
all’espansione creditizia e ai cicli economici, per cui non si può considerare in alcun modo che le
crisi siano inerenti al sistema capitalistico né che sorgano inevitabilmente in un’economia di
mercato sottoposta, senza alcun privilegio, ai principi generali del diritto che costituiscono il suo
imprescindibile quadro giuridico di attuazione.
Potremmo menzionare una seconda connessione tra il marxismo e la teoria austriaca del ciclo.
Infatti, se c’è un’ideologia che ha giustificato e sostenuto la lotta di classe, alimentando la credenza
popolare che sia necessario regolare e intervenire fortemente nei mercati del lavoro per
«proteggere» il lavoratore di fronte alla capacità di sfruttamento dell’imprenditore, questa è stata
proprio l’ideologia marxista. Di modo che il marxismo – forse senza volerlo deliberatamente74 – ha
giocato un ruolo da protagonista nel momento di giustificare e favorire la rigidità dei mercati del
lavoro e, pertanto, di rendere molto più lunghi e dolorosi i processi di riassestamento che
inevitabilmente fanno seguito a ogni fase di credito bancario espansivo. Come sappiamo, se i
mercati del lavoro fossero molto più flessibili, il che sarebbe possibile politicamente solo quando il
pubblico in generale si rendesse conto del danno che la regolamentazione del lavoro comporta, i
necessari processi di riassestamento posteriori all’espansione creditizia sarebbero molto meno
duraturi e dolorosi.
In ultimo, esiste un possibile terzo punto di connessione fra la teoria austriaca del ciclo e il
marxismo, che si riferisce all’assenza di crisi economiche nei sistemi di «socialismo reale» tanto
lodata da molti autori. Tuttavia, l’argomento dell’assenza di crisi economiche nei sistemi nei quali
non esiste proprietà privata dei mezzi di produzione e il coordinamento di tutti i processi economici
si porta a termine dall’alto mediante un piano coercitivo e deliberatamente imposto dai poteri
pubblici, manca di fondamento. Ricordiamo che in un’economia di mercato la depressione appare
proprio perché la struttura produttiva, a causa dell’espansione creditizia, si separa da quella che
volontariamente desidererebbero mantenere nel medio e lungo termine i consumatori. Perciò, lì
dove i consumatori non abbiano libertà di scelta e la struttura produttiva sia loro imposta dall’alto,
non è che non si possano sperimentare fasi successive di espansione e depressione, ma con ogni
base teorica si può dire che tali economie si trovino continuamente e permanentemente in una
situazione di crisi e recessione, in quanto la struttura produttiva è imposta dall’alto fuori da quella
desiderata dai cittadini ed è teoricamente impossibile che il sistema esca dal dissesto e dallo
scoordinamento75. Perciò, sostenere che un’economia di socialismo reale abbia il vantaggio di
eliminare le crisi economiche è equivalente ad affermare che il vantaggio di essere morti consiste
nel non poter più contrarre malattie76. Infatti, quando in seguito alla caduta dei regimi del
socialismo reale dell’Est dell’Europa si è data di nuovo l’opportunità affinché i consumatori
74
Infatti, Marx ritenne che le versioni interventiste e sindacaliste del socialismo fossero «utopiche», e manifestò anche
che la legislazione sociale e del lavoro a favore dei lavoratori non avrebbe potuto conseguire i suoi risultati, accettando
pienamente in questo modo gli argomenti della Scuola Classica contro la regolamentazione dell’economia di mercato.
Questa posizione di Marx non sminuisce di una virgola la realtà che il marxismo, suo malgrado, fu il principale motore
ideologico dei movimenti «riformisti» che giustificarono l’intervento nel mercato del lavoro.
75
Per dimostrare l’impossibilità del sistema di socialismo reale, anche nelle condizioni più favorevoli, di dare un
contenuto di coordinazione ai suoi comandi ho dedicato tutto il mio libro su Socialismo, cálculo económico y función
empresarial, op. cit.
76
«A dictator does not bother about whether or not the masses approve of his decision concerning how much to devote
for current consumption and how much for additional investment. If the dictator invests more and thus curtails the
means available for current consumption, the people must eat less and hold their tongues. No crisis emerges because the
subjects have no opportunity to utter their dissatisfaction. Where there is no business at all, business can be neither good
nor bad. There may be starvation or famine, but no depression in the sense in which this term is used in dealing with the
problems of a market economy. Where the individuals are not free to choose, they cannot protest against the methods
applied by those directing the course of production.». Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., pp. 565-566.
38
stabilissero liberamente la struttura produttiva più consona ai loro desideri, si è subito evidenziato
che gli errori di investimento commessi nel passato erano di dimensioni tali che il processo di
riassesto diventava molto più profondo, duraturo e doloroso di quello abituale nella fase di
recessione di un’economia di mercato. Infatti, si è messo in evidenza che la maggior parte della
struttura di beni di capitale che esisteva nelle economie socialiste era completamente inservibile al
cospetto degli obiettivi e necessità che sono proprie di un’economia moderna. Insomma si può
considerare che il socialismo provochi un cattivo investimento generalizzato, intenso e cronico dei
fattori produttivi e beni di capitale della società, molto peggiore anche di quello che genera
l’espansione creditizia. Per cui si può concludere che il «socialismo reale» è immerso in una
profonda «depressione cronica» o, se si preferisce, in una costante situazione di cattivo
investimento delle risorse produttive, fenomeno questo che in realtà si è manifestato anche con
caratteristiche cicliche di aggravamento ricorrente, e che è stato studiato con un certo dettaglio da
diversi teorici delle antiche economie dell’Est77.
Le gravi difficoltà economiche che hanno sperimentato le economie degli ex paesi di socialismo
reale sono la conseguenza di molti decenni di errori economici commessi a un ritmo e con
un’intensità molto maggiori di quelle che regolarmente si sono prodotte in Occidente per colpa
dell’espansione creditizia del sistema bancario e della politica seguita dalle autorità monetarie.
In diverse circostanze storiche l’espansione creditizia è stata utilizzata come strumento per aiutare a
finanziare il deficit nei bilanci dello Stati. Ciò si può portare a termine sia mediante l’istruzione data
alle banche affinché acquistino, con una parte dell’espansione creditizia che generano, titoli di
debito pubblico, oppure divenendo lo Stato direttamente debitore delle banche. In questi casi,
sebbene tecnicamente ci troviamo dinanzi ad espansione creditizia, essa agisce senza incidere
direttamente sul mercato dei prestiti, ma piuttosto come sostituto perfetto della creazione di moneta.
Infatti, questa espansione creditizia equivale alla semplice creazione di moneta per finanziare il
deficit pubblico e produce i tradizionali effetti di ogni processo inflazionistico: un primo effetto di
redistribuzione del reddito identico a quello a cui dà luogo ogni processo inflazionistico; e un
secondo effetto, distorsivo della struttura produttiva, nella misura in cui sono finanziati dallo Stato
spese ed opere pubbliche che temporaneamente modifichino la struttura produttiva e poi non
possano essere mantenuti permanentemente mediante la spesa corrente in beni e servizi di consumo
degli agenti economici della società. In ogni caso, è necessario distinguere l’espansione creditizia
propriamente detta, che dà luogo al boom artificiale e al ciclo, da quella che è solo un processo per
creare nuova moneta e metterla nelle mani dello Stato, e i cui effetti sono quelli tipici dell’imposta
da inflazione78.
La seconda considerazione finale che dobbiamo fare è relativa al carattere internazionale dei cicli
economici. Economie così integrate da un punto di vista internazionale come quelle moderne sono
solite iniziare i processi di espansione creditizia simultaneamente e i loro effetti si contagiano
rapidamente a tutti i mercati del mondo. Finché prevalse il gold standard, esisteva un limite
automatico alla capacità di espansione creditizia che poteva essere effettuato all’interno di ogni
paese e che era determinato dalle fuoriuscite di oro che inesorabilmente si producevano nelle
economie relativamente più inflazionistiche. Con l’abbandono del gold standard, l’avvento dei tassi
di cambio flessibili e il trionfo del nazionalismo monetario, ogni paese poté intraprendere
77
Così, fra altri, da Tomask Stankiewicz nel suo articolo «Investment under Socialism», Communist Economies, vol. I,
n. 2, 1989, pp. 123-130. E anche da Jan Winiecki, nel suo libro The Distorted World of Soviet-Type Economies,
Routledge, Londra 1988 e 1991.
78
L’aumento massiccio dei deficit di bilancio è stato una caratteristica comune nel decennio degli Ottanta del secolo
scorso (specialmente in Spagna e in Italia) ed è servito a prolungare i periodi espansivi, ritardando e rendendo più grave
la recessione susseguente. Gli effetti negativi di questi deficit indirettamente monetizzati si sono sovrapposti a quelli
dell’espansione creditizia, generando dissesti ancora più gravi nell’assegnazione delle risorse e ritardando l’inizio del
necessario riassestamento.
39
liberamente politiche di espansione creditizia, iniziando una concorrenza inflazionistica di «tutti
contro tutti». Solo un’area economica molto ampia e integrata di diverse nazioni che abbiano
rinunciato all’espansione creditizia e mantengano fra loro tassi di cambio fissi potrà liberarsi,
relativamente (e non del tutto), degli effetti negativi di un’espansione creditizia generale che abbia
avuto origine fuori dalle sue frontiere. Tuttavia, gli effetti dell’inflazione potranno sentirsi anche
all’interno di quest’area nel caso in cui non si stabilisca un tasso di cambio flessibile fra essa e il
resto delle monete che fuori da essa subiscano un processo di espansione monetaria. È certo che i
tassi di cambio fissi agiscono come un sostituto (imperfetto) dei limiti che il gold standard stabiliva
alla possibilità che ogni paese, indipendentemente, espandesse la sua offerta monetaria sotto forma
di crediti. Perciò è compatibile con il fatto che l’effetto negativo di un’espansione esterna sulle
nazioni che mantengano politiche monetarie più prudenti può solo essere ridotto mediante lo
stabilimento di tassi di cambio flessibili.
In ogni caso, l’eliminazione definitiva delle crisi economiche esigerà una riforma a livello
mondiale del sistema monetario, le cui principali linee sono esposte nel capitolo IX ed ultimo di
questo libro.
In questa sezione studieremo come la teoria del ciclo economico che abbiamo esposto nelle sezioni
precedenti si inquadri nella storia degli avvenimenti economici. Si tratta di studiare se l’analisi
teorica realizzata fornisca o no uno schema interpretativo adeguato dei fenomeni di espansione e
recessione che sono stati sperimentati ed ancora sono sperimentati nella storia. Studieremo,
pertanto, in che modo gli avvenimenti storici, sia quelli lontani come quelli più vicini nel tempo,
illustrino o si inquadrino nella teoria che abbiamo sviluppato.
È necessario, tuttavia, iniziare con parole di cautela intorno a quest’obiettivo relativo
all’interpretazione storica dei cicli economici. Ciò è così perché, contrariamente a quanto sostiene la
scuola «positivista», non consideriamo che l’evidenza empirica basti, da sola, a confermare o
confutare una teoria scientifica nel campo dell’economia. Deliberatamente abbiamo appena detto
che il nostro obiettivo sia studiare in che modo i fatti storici «illustrino» o «si inquadrino» con le
conclusioni teoriche raggiunte nella nostra analisi, ma non che il nostro obiettivo sia effettuare una
verifica empirica che consenta di falsificare, confermare, verificare o dimostrare la loro validità.
Effettivamente, sebbene non sia questo il luogo appropriato per riprodurre tutta l’analisi critica
sull’insufficienza logica della «metodologia positivista»79, è chiaro che l’esperienza del mondo
79
Un riassunto dell’analisi critica Della metodologia positivista, così come della sua bibliografia più rilevante, si trova
contenuto nel mio articolo «Método y crisis en la Ciencia Económica», Hacienda pública española, n. 74, 1982, pagine
da 33 a 48, riprodotto in Jesús Huerta de Soto, Estudios de economía política, Unión Editorial, Madrid 1994, cap. III,
pp. 59-82. Le idee metodologiche della Scuola Austriaca si formano in parallelo a mano a mano che si sviluppa il
dibattito sul calcolo economico socialista, e la critica della metodologia positivista si può considerare come uno dei
sottoprodotti più interessanti di tale dibattito, in quanto di fatto ed esattamente per le stesse ragioni per le quali il
socialismo è un errore intellettuale (impossibilità di procurarsi l’informazione pratica necessaria in modo centralizzato),
in economia non è possibile osservare direttamente fatti empirici, né verificare empiricamente nessuna teoria, né
effettuare, insomma, predizioni specifiche di tempo e luogo su ciò che dovrà accadere. Ciò avviene in quanto l’oggetto
della ricerca della Scienza Economica è costituito dalle idee e dalla conoscenza che gli esseri umani hanno e creano su
ciò che fanno, e questa informazione è in costante mutamento, è molto complessa e non si può misurare, osservare né
imparare da parte di uno scienziato (neanche da parte di un organismo centrale di pianificazione). Se fosse possibile
misurare i fatti sociali e verificare empiricamente le teorie economiche, il socialismo sarebbe possibile, e viceversa,
sono le stesse ragioni che rendono impossibile il socialismo quelle che rendono inapplicabile la metodologia positivista.
I fatti della realtà sociale possono solo, pertanto, dato il loro carattere «spirituale», essere interpretati storicamente, e a
tal fine è sempre necessario disporre di una precedente dottrina. Su questi interessantissimi e polemici aspetti si devono
consultare le 33 citazioni bibliografiche del mio articolo sul «Metodo» già citato e, specialmente, i lavori di Mises,
Theory and History, Yale University Press, Yale 1957 (esiste una traduzione in spagnolo di Rigoberto Juárez Paz,
Unión Editorial, Madrid 1975); e di Hayek «The Facts of the Social Sciences», in Individualism and Economic Order,
op. cit., pagine da 57 a 76, e The Counter-Revolution of Science, Free Press, Glencoe, Illinois, 1952 (esiste una
magnifica riedizione pubblicata ad Indianapolis da Liberty Press en 1979, e una traduzione in spagnolo della Unión
40
sociale è sempre un’esperienza di tipo «storico», cioè, riferita a fatti molto complessi nei quali
intervengono un’infinità di «variabili» che non è possibile osservare direttamente, ma che è solo
possibile interpretare alla luce di una precedente teoria. Inoltre, sia i fatti, con la loro infinita
complessità, sia la loro specifica struttura, variano da una situazione all’altra, di modo che, sebbene
si possa considerare che le forze tipiche sottostanti di maggiore importanza siano le stesse, tuttavia
la loro specificità storica varia molto da un caso particolare all’altro.
Secondo che la teoria del ciclo sia l’una o l’altra, la selezione e interpretazione dei fatti storici sarà
anche diversa, per cui assume un particolare rilievo stabilire in precedenza, attraverso altri
procedimenti metodologici che non siano quelli positivisti, le teorie corrette che permettono di
interpretare la realtà in maniera adeguata. Non esiste, pertanto, un’evidenza storica
incontrovertibile, né ancor meno una che consenta di confermare o no se una teoria sia vera o falsa.
Perciò, dobbiamo essere molto prudenti ed umili quanto alle nostre speranze di corroborare
empiricamente una teoria. Al massimo, dobbiamo conformarci con l’elaborazione di una teoria
logicamente coerente, quanto più libera possibile da vizi logici nella corrispondente concatenazione
di ragionamenti analitici e che si basi sui principi essenziali dell’agire umano («soggettivismo»).
Con questa teoria a nostra disposizione, il passo successivo consisterà nel comprovare fino a che
punto essa si inquadri o no con i fatti storici, e ci permette di interpretare in un modo più generale,
preciso e corretto di altre teorie alternative ciò che viene accadendo nella realtà.
Queste considerazioni sono particolarmente rilevanti per la teoria del ciclo. Così, come ha messo in
evidenza F.A. Hayek, l’attitudine «scientista» che è prevalsa finora nella Scienza Economica ha
fatto sì che si considerassero solo le teorie economiche che sono state formulate in termini empirici
e riferite a grandezze misurabili. Come dice Hayek: «Difficilmente si può negare che una simile
pretesa, totalmente arbitraria, limita i fatti che si devono ammettere possibili cause degli
avvenimenti del mondo reale. Questo punto di vista, che frequentemente si accetta ingenuamente
come se obbedisse ad un’esigenza di metodo scientifico, ha delle conseguenze abbastanza
paradossali. Ovviamente, per quanto riguarda il mercato ed altre strutture sociali simili, conosciamo
molti fatti che non possono essere misurati e dei quali possediamo solo un’imprecisa e generale
informazione. E posto che gli effetti di questi fatti in un caso determinato non possano essere
confermati mediante un’evidenza quantitativa, sono semplicemente svalutati da coloro che
ammettono solo ciò che considerano evidenza scientifica procedendo, pertanto, ingenuamente, con
la finzione che siano rilevanti solo i fattori che sia possibile misurare. La correlazione fra domanda
globale e piena occupazione, per esempio, può essere solo approssimata; ma siccome è l’unica sulla
quale possediamo dati quantitativi, l’accettiamo come l’unica connessione causale che conti.
Seguendo questa linea, possiamo trovare maggiore evidenza “scientifica” in una teoria falsa, la
quale sarà accettata a partire dal momento in cui appaia come più “scientifica”, che in una
spiegazione corretta, rifiutata per mancanza della sufficiente evidenza quantitativa»80.
Tenendo in conto le avvertenze e considerazioni precedenti, vedremo in questa sezione come la
conoscenza dei dati storici di cui disponiamo in relazione ai cicli di espansione e recessione che si
sono verificati in passato, si inquadri in modo eccezionale con la teoria del ciclo che abbiamo
Editorial, Madrid 2003; e anche una traduzione italiana di Rubbettino, Soveria Mannelli 2008). Una favorevole e
spassionata spiegazione del paradigma metodologico austriaco si trova in Bruce Caldwell, Beyond Positivism:
Economic Methodology in the Twentieth Century, George Allen and Unwin, Londra 1982, 2.ª edizione, Routledge,
Londra 1994, specialmente le pagine da 117 a 138.
80
Queste importanti osservazioni di Hayek sulla difficoltà della verifica empirica nella nostra scienza e in particolare in
relazione alla teoria del ciclo furono espresse nel suo discorso per il ricevimento del Premio Nobel l’11 dicembre del
1974. Si veda il suo articolo «La pretesa della ragione», la cui edizione spagnola fu pubblicata come capitolo I del libro
¿Inflación o pleno empleo?, Unión Editorial, Madrid 1974, pp. 9-32. La citazione del testo principale l’abbiamo presa
dalle pp. 12-13 e i corsivi li abbiamo aggiunti noi e non si trovano nel testo originale. Hayek conclude nello stesso
luogo (p. 20) che «il pregiudizio scientista ha fatto sì che la maggioranza degli economisti si siano disinteressati di ciò
che generalmente costituisce la vera causa della disoccupazione massiccia, dovuto al fatto che la suddetta causa non
poteva essere confermata da relazioni direttamente osservabili fra grandezze misurabili. Al contrario, la quasi esclusiva
attenzione a certi fenomeni superficiali quantitativamente misurabili ha prodotto una politica di effetti negativi.»
41
esposto. Tratteremo, ugualmente, alla fine di questa sezione, degli studi realizzati con l’obiettivo di
verificare empiricamente la teoria austriaca del ciclo economico.
a) È impossibile esporre qui una trattazione (quantunque ridotta) di tutti i cicli di espansione e
depressione che si sono prodotti nelle economie del mondo prima della Rivoluzione
Industriale. Tuttavia, siamo sufficientemente fortunati da disporre di una crescente serie di
lavori di storia economica che gettano una luce importante sull’applicazione della teoria del
ciclo economico a fatti economici concreti del passato. Così, bisogna menzionare, in primo
luogo, i lavori di Carlo M. Cipolla, sulle crisi accadute nell’economia fiorentina a metà del
secolo XIV e nel secolo XVI che abbiamo già citato nel capitolo II81 di questo libro. Infatti,
vedemmo che Cipolla, seguendo gli studi di R.C. Mueller82, aveva documentato come le
banche di Firenze espandessero significativamente il credito dagli inizi del XIV secolo83, il
che generò un importante boom economico che convertì Firenze nel centro dell’attività
finanziaria e commerciale del Mediterraneo. Tuttavia, una serie di eventi, come la
bancarotta inglese, il ritiro di fondi napoletani e il crollo dei titoli del debito pubblico di
Firenze, agirono come detonatori specifici dell’inizio dell’inevitabile crisi, che si manifestò
con un fallimento generalizzato di banche e una forte contrazione del credito nel mercato (o,
come allora la si chiamava, mancamento della credenza). In conseguenza della crisi, Cipolla
indica che una grande massa di ricchezza fu distrutta, crollando i prezzi della proprietà
immobiliare, che in precedenza erano aumentati in modo esagerato, al 50 per cento del loro
precedente valore, non essendo possibile, neanche con una tale riduzione, trovare facilmente
dei compratori. Infine, il nostro autore conferma che ci vollero trent’anni (dal 1349 al 1379)
per cominciare un recupero in quella che, secondo lui, ebbe un ruolo da protagonista il
disastro della peste, che «ruppe il circolo vizioso della deflazione che da anni soffocava
l’economia fiorentina. Riducendosi drammaticamente di colpo il numero degli abitanti, la
disponibilità media di moneta per capita dovette aumentare proporzionalmente. Inoltre,
quelli che sopravvissero alla peste spesero la moneta allegramente. Di conseguenza i prezzi
e i salari aumentarono»84. Nel capitolo II abbiamo già avuto l’opportunità di riferirci
criticamente all’uso da parte di Cipolla della teoria monetarista che soggiace alla sua
interpretazione dei processi monetari fiorentini.
b) La seconda crisi economica che è stata studiata in profondità da Cipolla è pienamente
applicabile anche in termini della teoria austriaca del ciclo economico. Si riferisce
all’espansione creditizia realizzata nella seconda metà del XVI secolo a Firenze. In concreto,
Cipolla ha spiegato come «le direttive della banca Ricci usassero i fondi pubblici come base
monetaria per una politica di espansione pubblica, favorita dalla situazione europea, dove il
credito tramite lettere di cambio era entrato in una lunga fase di crescita febbrile, sempre più
svincolato dalle operazioni commerciali. La politica di espansione creditizia della banca
Ricci, che dominava la piazza fiorentina, finì col trascinare le restanti banche sulla stessa
strada»85. Cipolla indica che durante gli anni sessanta l’economia fiorentina sperimentò un
livello elevato di attività economica spinta dall’euforia creditizia. Tuttavia, all’inizio degli
81
Carlo M. Cipolla, El Gobierno de la moneda: ensayos de historia monetaria, Editorial Crítica, Barcelona 1994. La
versione originale in italiano è Carlo M. Cipolla, Il Governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli XIV-XVI, Il
Mulino, Bologna 1990.
82
R.C. Mueller, «The Role of Bank Money in Venice: 1300-1500», pubblicato in Studi Veneziani, Giardini Editore,
Nizza 1980, pp. 47-96.
83
Come afferma Cipolla: «La banca dell’epoca si era già evoluta al punto da creare moneta e aumentare la velocità
della sua circolazione». Carlo M. Cipolla, Il governo della moneta, op. cit., pp. 19-20.
84
Carlo M. Cipolla, Il governo della moneta, op. cit., p. 53.
85
Carlo M. Cipolla, «La moneta a Firenze nel secolo XVI», in Il Governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli
XIV-XVI, op. cit., p. 246.
42
anni settanta del secolo XVI la situazione sboccò in una grave crisi di liquidità di tutto il
sistema bancario. I banchieri, nella pittoresca espressione dei cronisti, «pagavano solo con
inchiostro». La crisi si aggravò gradualmente finché scoppiò in tutta la sua virulenza a metà
degli anni settanta, producendosi nella città una «grande scarsità di moneta» (deflazione) e
una contrazione creditizia. Cipolla afferma che «immediatamente, il moltiplicatore del
credito iniziò a funzionare in modo perverso, al contrario. La piazza di Firenze affogò a
causa di una crisi di liquidità del sistema bancario e di restrizione del credito che una gravità
eccezionale, sia per la sua intensità che per la sua durata. Nelle pagine dei cronisti, nelle
carte dei mercanti e nei bandi dell’epoca ci sono riferimenti costanti e angosciati alla
“stretta” creditizia e monetaria del mercato, alle banche che non “contavano”, alla mancanza
di moneta contante i sabati per il salario degli operai.»86 Pertanto, all’espansione creditizia e
all’euforia economica seguì una depressione che fece sì che il commercio decadesse
rapidamente e i fallimenti fossero frequenti, entrando l’economia fiorentina a partire da
allora in un lungo processo di decadenza.
c) Anche nel capitolo II di questo libro abbiamo menzionato altri processi di espansione
creditizia che inevitabilmente diedero luogo a successive crisi economiche, come fu il caso
di quella intrapresa dalla banca dei Medici a Venezia, che finì col fallire nell’anno 1494.
Abbiamo ugualmente studiato, seguendo Ramón Carande, i processi di espansione e
fallimento bancario che interessarono le banche della piazza di Siviglia all’epoca di Carlo V.
E anche la grande depressione in cui sboccò l’espansione speculativa e finanziaria che aveva
creato John Law nella Francia degli inizi del XVIII secolo e che è stata analizzata in
dettaglio da vari autori, tra cui lo stesso Hayek87.
A partire dalle guerre napoleoniche, con l’inizio della Rivoluzione Industriale e la generalizzazione
del sistema bancario basato sulla riserva frazionaria, i cicli economici iniziano a riprodursi con una
grande regolarità, acquisendo già i caratteri tipici più significativi che stabilisce la teoria che
abbiamo esposto. Di seguito commenteremo brevemente le date e le caratteristiche dei cicli più
importanti che si sono succeduti dall’inizio del XIX secolo.
1. Il panico del 1819. Riguardò specialmente gli Stati Uniti ed è stato studiato, soprattutto, da
Murray N. Rothbard in un libro divenuto un classico in materia. Il panico fu preceduto da
un’espansione del credito e dell’offerta monetaria, sia sotto forma di biglietti bancari che sotto
forma di depositi, entrambi senza copertura di risparmio reale. In questo processo, la Banca degli
Stati Uniti da poco creata agì da protagonista. Ciò produsse una grande espansione economica
artificiale che fu bruscamente interrotta nel 1819, quando la suddetta banca non espanse più il
credito e reclamò il pagamento dei biglietti emessi dalle altre banche che essa aveva in suo potere.
In seguito si produsse la tipica contrazione del credito, e una larga e profonda depressione
economica che arrestò i piani di investimento iniziati durante il boom e generò un aumento della
disoccupazione88.
86
Carlo M. Cipolla, Il governo della moneta, op. cit., pp. 17-18.
87
Si veda l’articolo di F.A. Hayek, «First Paper Money in Eighteenth Century France», pubblicato come capitolo X del
libro The Trend of Economic Thinking: Essays on Political Economists and Economic History, The Collected Works of
F.A. Hayek, vol. III, Routledge, Londra 1991, pp. 155-176 (edizione spagnola: La tendencia del pensamiento
económico, vol. III delle Opere Complete di F.A. Hayek, Unión Editorial, Madrid 1995). E anche, Charles B.
Kindleberger, Historia financiera de Europa, Editorial Crítica, Barcelona 1988, pp. 130 e ss (tradotto in italiano come
Charles B. Kindleberger, Storia della finanza nell’Europa occidentale, Laterza, Bari 1987, pp. 134-138).
88
Si veda Murray N. Rothbard, The Panic of 1819: Reactions and Policies, Columbia University Press, Nuova York e
Londra 1962. Un altro contributo importante di questo libro di Rothbard consiste nell’aver messo in evidenza come la
crisi abbia dato luogo a una polemica di alto livello teorico sul ruolo della banca, mettendo in risalto la nascita di un
nutrito gruppo di politici, giornalisti ed economisti che erano stati capaci di prevedere correttamente le origini della crisi
43
2. La crisi del 1825. Fu una crisi essenzialmente inglese. Fu caratterizzata da un’importante
espansione creditizia che aveva finanziato un allungamento degli stadi più lontani dal consumo,
fondamentalmente sotto forma di investimenti nelle prime linee ferroviarie e nello sviluppo
dell’industria tessile. Nel 1825 si produsse la crisi, iniziando una nuova depressione che si estese
fino al 1832.
3. La crisi del 1836. Di nuovo le banche intraprendono un’espansione creditizia e ha inizio un
boom nel quale si moltiplicano le società dedite alla banca e le società per azioni. I nuovi crediti
finanziano le ferrovie, la siderurgia e il carbone, sviluppandosi la macchina a vapore come nuova
fonte di energia. All’inizio del 1836 i prezzi cominciano ad aumentare in maniera vertiginosa, e la
crisi si arresta quando le banche decidono di non aumentare più i loro crediti in previsione di
un’ulteriore perdita delle loro riserve auree, che escono dal paese dirette, principalmente, agli Stati
Uniti. A partire dal 1836 i prezzi crollano e le banche falliscono o sospendono i pagamenti, avendo
inizio una profonda depressione che durerà fino al 1840.
4. La crisi del 1847. A partire dal 1840 ha inizio di nuovo l’espansione creditizia nel Regno
Unito, e si estende ugualmente alla Francia e agli Stati Uniti. Si costruiscono migliaia di chilometri
di ferrovie e la Borsa inizia una crescita inarrestabile che favorisce, soprattutto, le azioni delle
imprese ferroviarie. Ha inizio così un movimento speculativo che dura fino al 1846, quando si
scatena la crisi economica in Gran Bretagna.
È curioso segnalare che il 19 luglio del 1844 l’Inghilterra aveva già adottato, sotto gli auspici di
Peel, il Bank Act, che rappresentava il trionfo della scuola monetaria di Ricardo (Currency School)
e che proibiva l’emissione di biglietti che non avessero una copertura al 100 per cento di oro.
Tuttavia, tale provvisione non era stata stabilita in relazione ai depositi e crediti, il cui volume in
soli due anni si era moltiplicato di cinque volte, il che spiega la speculazione e la gravità della crisi
prodottasi a partire dal 1846. La depressione si estese anche alla Francia e nelle diverse Borse crolla
il prezzo delle azioni delle compagnie ferroviarie e in generale diminuiscono i profitti, specialmente
delle industrie più intensive di capitale, aggravandosi la disoccupazione, soprattutto nel settore della
costruzione ferroviaria. È in questo contesto storico che deve essere inserita la rivoluzione, di tipo
nettamente operaio e socialista, che si produsse in Francia nel 1848.
5. Il panico del 1857. Il suo schema è simile ai precedenti. Ha la sua origine in una precedente
espansione che dura cinque anni, dal 1852 al 1857, e che si basa su un’espansione generalizzata di
tipo creditizio che interessa tutti. Aumentano i prezzi, i profitti e i salari nominali, mentre si produce
un notevole aumento borsistico, che favorisce soprattutto le società minerarie e le società
costruttrici di ferrovie (le industrie più intensive di capitale che esistevano allora). Inoltre la
speculazione si diffonde. I primi segni che indicano la fine dell’espansione appaiono quando
iniziano a diminuire i profitti delle mine e delle linee ferroviarie (stadi più lontani dal consumo); e
l’aumento dei costi di produzione fa sì che diminuiscano ancor di più i profitti. In seguito, le
industrie del carbone e della siderurgia ricevono l’impatto della decelerazione e ha inizio la crisi,
che si propaga rapidamente, producendosi una depressione in ambito mondiale. Il 22 agosto del
1857 è un giorno di vero panico a Nuova York e molte banche sospendono le loro operazioni.
6. La crisi del 1866. Lo stadio espansivo inizia a partire dal 1861 e in esso svolgono un ruolo da
protagonista lo sviluppo delle banche in Inghilterra e l’espansione creditizia iniziata dalla Crédit
Foncier in Francia. In conseguenza dell’espansione aumenta il prezzo dei beni di produzione, della
costruzione e delle industrie relative al cotone. L’espansione continua in modo accelerato finché
sorge il panico del 1866, caratterizzato da una serie di fallimenti spettacolari, di cui il più celebre è
quello della famosa casa Overend Gurney di Londra. In questa data, così come avvenne nel 1847 e
e di proporre misure adeguate per evitare che si riproducessero in futuro, tutto ciò anni prima che Torrens e altri in
Inghilterra sviluppassero i principi essenziali della Currency School. Fra i personaggi più famosi che identificarono
nell’espansione monetaria l’origine dei mali economici, emergono Thomas Jefferson, Thomas Randolph, Daniel
Raymond, il Senatore Condy Raguet, John Adams e Peter Paul de Grand, che giunse finanche a difendere l’esigenza
che le banche seguissero il modello della Banca di Amsterdam e mantenessero sempre un coefficiente di cassa del 100
per cento (op. cit., p. 151).
44
1857, è sospesa temporalmente il Bank Act di Peel, al fine di iniettare liquidità e difendere le riserve
auree della Banca d’Inghilterra. In Francia, la prima banca di affari, il Crédit Mobiliaire, fallisce. Ha
inizio così una depressione che, come sempre, interessa particolarmente il settore della costruzione
ferroviaria, estendendosi la disoccupazione soprattutto in relazione alle industrie di beni di capitale.
In Spagna dopo una forte espansione creditizia durante gli anni 1859-1864, che favorì un cattivo
investimento generalizzato soprattutto nelle ferrovie, si produsse a partire dal 1864 una recessione
che raggiunse il suo culmine nel 1866. Gabriel Tortella Casares ha studiato dettagliatamente e
brillantemente tutto questo processo e, sebbene alcune delle sue conclusioni interpretative debbano
essere mutate alla luce della nostra teoria, i fatti esposti nei suoi lavori si inquadrano pienamente in
essa89.
7. La crisi del 1873. Il suo schema è anche molto simile a quello delle precedenti. L’espansione
inizia negli Stati Uniti a causa delle spese consistenti cui diede luogo la Guerra di Secessione. Si
estende enormemente la rete ferroviaria e si sviluppa molto la siderurgia. L’espansione si contagia
al resto del mondo e in Europa si produce una forte speculazione borsistica nella quale i valori del
settore industriale aumentano vertiginosamente. La crisi scoppia prima sul continente europeo a
maggio del 1873 e, dopo l’estate, negli Stati Uniti, quando la depressione è già evidente e fallisce
una delle grandi case americane, la Jay Cook & Co. Stranamente, la Francia, che non aveva
partecipato all’espansione creditizia anteriore, evita questo panico e la grande depressione
successiva.
8. La crisi del 1882. L’espansione creditizia ha inizio di nuovo a partire dal 1878 negli Stati Uniti
e in Francia. In quest’ultimo paese si produce una crescita spettacolare dell’emissione di paesi
industriali e ha inizio un importante programma di opere pubbliche. Le banche svolgono un ruolo
molto attivo nell’attrarre il risparmio delle famiglie e nella concessione moltiplicata di prestiti
all’industria. La crisi scoppia nel 1882 quando si produce il crack dell’ Union Générale, essendo sul
punto di fallire anche il Crédit Lyonnais, che sperimentò un ritiro massiccio di depositi (circa la
metà). Negli Stati Uniti falliscono più di 400 banche su un totale di 3.271, e la disoccupazione e la
crisi si estendono a tutte le industrie più lontane dal consumo.
9. La crisi del 1890-1892. L’espansione creditizia si estende in tutto il mondo sotto forma di
prestiti che arrivano, soprattutto, all America del Sud. Si sviluppa molto anche il settore della
costruzione navale e il settore delle industrie pesanti. La crisi inizia nell’anno 1890, e la depressione
prosegue fino al 1896. I tradizionali fallimenti di compagnie ferroviarie, la caduta della Borsa, la
crisi dell’industria metallurgica e la disoccupazione appaiono in tutta la loro virulenza, come è
tipico in tutti gli anni di depressione posteriori ad una crisi.
10. La crisi del 1907. Ha di nuovo inizio l’espansione creditizia a partire dal 1896, e dura fino al
1907. In questo caso, i nuovi crediti creati dal nulla, sono investiti in energia elettrica, telefonia,
ferrovie metropolitane e costruzioni navali. Le ferrovie non giocano più il ruolo di traino, e sono
sostituite dall’elettricità. Inoltre, per la prima volta l’industria chimica partecipa ai crediti concessi
dalle banche e fanno la loro apparizione le prime automobili. Nel 1907 arriva la crisi, che è
particolarmente dura negli Stati Uniti, e sono molto numerosi i fallimenti di banche.
Dopo la crisi del 1907 ha inizio una nuova espansione, che ha termine con la crisi del 1913 con
caratteristiche molto simili alle precedenti, che a sua volta si interrompe con l’avvento della Prima
Guerra Mondiale, che mette a soqquadro la struttura produttiva praticamente di tutti i paesi del
mondo90.
89
Tortella ci ricorda, citando Vicens, come la crisi spagnola del 1866 «sia l’origine della proverbiale sfiducia dei
commercianti catalani nei confronti delle banche e delle grandi imprese». Cfr. Gabriel Tortella Casares, Los orígenes
del capitalismo en España: banca, industria y ferrocarriles en el siglo XIX, Editorial Tecnos, Madrid 1973 (versione
inglese pubblicata da Arno Press, Nuova York 1977), p. 339. Su questo periodo dell’economia spagnola si può anche
consultare Juan Sardá, La política monetaria y las fluctuaciones de la economía española en el siglo XIX, Ariel,
Barcelona 1970 (1.ª edizione, C.S.I.C. Madrid 1948), specialmente le pp. 131-151.
90
Uno schizzo storico delle crisi e dei cicli economici avvenuti a partire dall’inizio della Rivoluzione Industriale fino
alla Prima Guerra Mondiale si può vedere con più dettagli, per esempio, in Maurice Niveau, Historia de los hechos
económicos contemporáneos, traduzione di Antonio Bosch Doménech, Editorial Ariel, Barcellona 1971, pp. 143-160.
45
I «felici» anni Venti e la Grande Depressione del 1929
Gli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale furono caratterizzati dall’importantissima
espansione creditizia che ebbe inizio negli Stati Uniti. Quest’espansione creditizia fu orchestrata
dalla Riserva Federale appena creata (fondata nel 1913) e si basò sui programmi di stabilizzazione
del valore dell’unità monetaria che, sostenuti da teorici come Irving Fisher ed altri monetaristi,
erano divenuti più popolari a partire da questo periodo. Siccome gli anni Venti furono un decennio
di grande aumento della produttività, nel quale erano state introdotte molte tecnologie nuove e si era
accumulata una grande quantità di capitale, in assenza di questa espansione dell’offerta monetaria
sotto forma di crediti si sarebbe prodotta una significativa diminuzione del prezzo dei beni e servizi
di consumo e, pertanto, un importante aumento reale (non nominale) dei salari reali. Tuttavia,
l’espansione creditizia fece sì che i prezzi dei beni di consumo si mantenessero costanti lungo tutto
il periodo (si veda il precedente paragrafo 9) e che i salari nominali continuassero a crescere.
Benjamin M. Anderson, nella sua importante storia finanziaria ed economica di questo periodo
degli Stati Uniti, spiega in dettaglio il volume di espansione creditizia creato dal sistema bancario
americano. Così, in poco più di cinque anni, i crediti creati dal nulla dal sistema bancario passarono
da 33 mila milioni di dollari a più di 47 mila milioni. Anderson afferma espressamente che
«between the middle of 1922 and April 1928, without need, without justification, lightheartedly,
irresponsibly, we expanded bank credit by more than twice as much; in the years which followed
we paid a terrible price for this.»91
Murray N. Rothbard, da parte sua, ha calcolato che l’offerta monetaria degli Stati Uniti crebbe da
37 mila milioni di dollari nel 1921 a più di 55 mila milioni a gennaio del 192992. Queste cifre sono
molto simili a quelle stimate da Milton Friedman e Anna J. Schwartz per i quali l’offerta monetaria
passò da 39 mila milioni di dollari a gennaio del 1921 a 57 mila milioni nell’ottobre del 192993.
Lo stesso F.A. Hayek fu un qualificato testimone di eccezione della politica espansionista del
credito seguita dalla Riserva Federale durante gli anni Venti. Infatti, nel 1923-1924 dedicò quindici
mesi a studiare in situ la politica monetaria della Riserva Federale degli Stati Uniti dopo la crisi del
192094. In questo articolo Hayek analizza criticamente la politica della Riserva Federale, secondo il
91
Benjamin M. Anderson, Economics and the Public Welfare: A Financial and Economic History of the United States,
1914-1946, Liberty Press, Indianapolis 1979, cap. 18, pp. 145-157. La citazione in inglese, che si trova a p. 146, si può
tradurre nel seguente modo: «Fra la metà del 1922 e aprile 1928, senza alcuna necessità, senza giustificazione, in modo
frivolo e irresponsabile, si espanse il credito bancario a un ritmo di più del doppio, e negli anni seguenti pagammo per
questo un prezzo terribile.»
92
Murray N. Rothbard, America’s Great Depression, op. cit., p. 88 (p. 92 dell’edizione italiana), colonna 4. Rothbard
analizza in dettaglio tutte le peculiarità del processo inflazionistico, e in concreto come esse risposero a una politica
deliberata della Riserva Federale difesa, fra altri, dal Segretario del Tesoro William G. McAdoo, per il quale «The
primary purpose of the Federal Reserve Act was to alter and strengthen our banking system that the enlarged credit
resources demanded by the needs of business and agricultural enterprises will come almost automatically into existence
and at rates of interest low enough to stimulate, protect and prosper all kinds of legitimate business» (p. 113). Si veda,
ugualmente, George A. Selgin, «The ‘Relative’ Inflation of the 1920’s», in Less Than Zero: The Case for a Falling
Price Level in a Growing Economy, IEA, Londra 1997, pp. 55-59.
93
Milton Friedman e Anna J. Schwartz, A Monetary History of the United States, 1867-1960, Princeton University
Press, Princeton 1963, pp. 710-712 (tabella A1, colonna 8). Friedman e Schwartz, nel capitolo dedicato al decennio
degli anni Venti, evidenziano che una delle novità più importanti di questo periodo è che, per la prima volta nella storia,
si sia deciso di usare «central-bank powers to promote internal economic stability as well as to preserve balance in
international payments and to prevent and moderate strictly financial crises. In retrospect, we can see that this was a
major step toward the assumption by government of explicit continuous responsibility for economic stability» (p. 240).
Sebbene Friedman e Schwartz mettano il dito nella piaga quando fanno questa osservazione, l’insufficienza dell’analisi
monetarista con la quale interpretano i loro dati li induce a considerare che la Grande Depressione del ’29 fu dovuta agli
errori della politica monetaria commessi dalla Riserva Federale a partire da quella data e non, come mette in risalto la
teoria della Scuola Austriaca, all’espansione creditizia degli anni Venti, la cui influenza sulla struttura produttiva
Friedman e Schwartz trascurano completamente e non sono capaci di comprendere.
94
F.A. Hayek, «The Monetary Policy of the United States after the Recovery from the 1920 Crisis», cap. I di Money,
Capital and Fluctuations, op. cit., pp. 5-32. Quest’articolo è un estratto di una versione in tedesco molto più ampia che
46
quale «any rise in the index by a definite percentage is immediately to be met with a rise in the
discount rate or other restrictions on credit, and every fall in the general price level by a reduction
of the discount rate.»95 Hayek segnala che la proposta di stabilizzare il livello generale dei prezzi
ebbe la sua origine con Irving Fisher negli Stati Uniti, e in J.M. Keynes e Ralph Hawtrey in
Inghilterra, e fu duramente criticata da diversi economisti, capeggiati da Benjamin M. Anderson.
L’obiezione teorica essenziale che Hayek fa al piano di stabilizzazione è che questo, in un contesto
di diminuzione del livello generale dei prezzi, finisca col materializzarsi in un’espansione creditizia
che per forza deve causare un boom, in cattivo investimento nella struttura produttiva e poi una
profonda depressione, come di fatto avvenne.
Infatti, l’obiettivo di stabilità del livello generale dei prezzi dei beni di consumo fu conseguito nel
corso degli anni Venti con un grado di approssimazione abbastanza grande, in cambio
dell’espansione del credito in misura, come abbiamo visto, molto alta. Questo originò un boom che,
d’accordo con quanto previsto dalla teoria, interessò soprattutto le industrie di beni di capitale. Così,
il prezzo dei titoli di valore si quadruplicò in Borsa e, mentre la produzione di beni di consumo
crebbe nel corso del periodo del 60 per cento, la produzione di beni di consumo duraturo, di ferro,
di acciaio e di altri beni di capitale fisso aumentò del 160 per cento96.
Un’ulteriore illustrazione della teoria austriaca del ciclo è che durante gli anni Venti i salari
soprattutto aumentarono nelle industrie di beni di capitale: circa il 12 per cento di aumento in
termini reali in un periodo di otto anni, di fronte ad una media di un 5 per cento di aumento reale
per i salari delle industrie di beni di consumo. La crescita in determinate industrie di beni di capitale
fu anche più alta, raggiungendo il 22 per cento nell’industria chimica e il 25 per cento nell’industria
del ferro e dell’acciaio.
A parte J.M. Keynes e Irving Fisher, un altro economista particolarmente influente nel momento di
giustificare l’espansione creditizia con l’obiettivo presumibilmente benefico di mantenere inalterato
il livello generale dei prezzi fu Ralph Hawtrey, direttore di studi finanziari del Tesoro britannico.
Secondo Hawtrey, «the American experiment in stabilization from 1922 to 1928 showed that early
treatment could shake a tendency either to inflation or to depression in a few months, before any
serious damage have been done. The American experiment was a great advance upon the practice of
the 19th century.»97
era stata pubblicata nel 1925 nello Zeitschrift für Volkswirtschaft und Socialpolitik (n. 5, 1925, vol. I-III, pp. 25-63, e
vol. IV-VI, pp. 254-317). È importante mettere in risalto che alla nota 4 di questo articolo (pp.27-28) si espone per la
prima volta l’argomento essenziale che, partendo da Mises, Hayek avrebbe sviluppato più avanti in dettaglio in Prices
and Production. Ugualmente alla nota 12 di questo articolo si trova la prima affermazione esplicita di Hayek a favore
del ristabilimento del coefficiente di cassa del 100 per cento nelle banche, quando conclude che: «The problem of the
prevention of crises would have received a radical solution if the basic concept of Peel’s Act had been consistently
developed into the prescription of 100 percent gold cover for bank deposits as well as notes» (p. 29).
95
F.A. Hayek, Money, Capital and Fluctuations, op. cit., p. 17. La traduzione in italiano è: «Ogni aumento dell’indice
in una percentuale determinata deve essere immediatamente seguito da un aumento del tasso di sconto o da altre
restrizioni del credito, mentre una caduta del livello generale dei prezzi deve dare luogo a una riduzione del tasso di
sconto.»
96
Cioè, in termini più popolari, si verificò, certo, durante il periodo una grande «inflazione», ma si manifestò nel settore
degli attivi finanziari e dei beni di capitale, non in quello dei beni di consumo (Murray N. Rothbard, America’s Great
Depression, op. cit., p. 154; p.170 dell’edizione italiana). Un appassionante racconto di come si formasse la politica
della Riserva Federale americana dal 1913 al 1930, insieme ad un’analisi dell’intima cooperazione che in onore
dell’espansione creditizia mantennero il governatore della Riserva Federale, Strong e il Governatore della Banca
d’Inghilterra, Montagu Norman, e che si concretizzarono nelle importanti operazioni di mercato aperto degli anni Venti,
intraprese col fine di gonfiare l’offerta monetaria nordamericana per aiutare il Regno Unito nella sua autoprovocata
situazione di deflazione, si può leggere nell’articolo di Murray N. Rothbard, «The Federal Reserve as a Cartelization
Device: The Early Years: 1913-1930», cap. IV di Money in Crisis: The Federal Reserve, The Economy and Monetary
Reform, Barry N. Siegel (ed.), Pacific Institute, San Francisco 1984, pp. 89-136. Esiste una traduzione in spagnolo di
questo articolo pubblicata con il titolo di «La creación de la Reserva Federal de los Estados Unidos, como instrumento
para restringir la competencia en la industria financiera: los primeros años 1913-1930», pubblicato nella rivista Reporte,
Centro de Estudios en Economía y Educación, n. 22, estate 1993, Monterrey, Messico, pp. 14-44.
97
«L’esperimento americano di stabilizzazione dal 1922 al 1928 mostrò che misure prese per tempo avrebbero potuto
arrestare una tendenza all’inflazione o alla deflazione in pochi mesi e prima che si fossero prodotti danni gravi, e
47
Il boom che fin dall’inizio generò la politica deliberata di espansione creditizia intrapresa per
mantenere stabile il livello generale dei prezzi, insieme alla mancanza di strumenti analitici
necessari per comprendere che si stava preparando una profonda depressione, fecero sì che si
proseguisse con questa politica, che, come si sa, terminò inevitabilmente in uno strepitoso
fallimento98.
L’avvento della crisi colse di sorpresa i teorici monetaristi (Fisher, Hawtrey, ecc.) che, imbevuti di
una concezione meccanicistica della teoria quantitativa della moneta, pensavano che, una volta
aumentata l’offerta monetaria, il suo impatto sui prezzi diventava stabile e irreversibile, in quanto
non erano in grado di distinguere come l’aumento espansivo dei crediti interessasse la struttura
produttiva e i prezzi relativi in modo molto diseguale. Fra altre, emergono in quest’epoca le
manifestazioni di colui che forse era l’economista americano più famoso, il professore Irving
Fisher, il quale ostinatamente sostenne la teoria che la Borsa valori avesse raggiunto un livello (high
plateau) al di sotto del quale non sarebbe mai più scesa. La crisi del 1929 lo colse di sorpresa, e
praticamente si rovinò in essa99.
Il disastro della Borsa di Nuova York si produsse in due tappe. Dal 1926 al 1929 l’indice delle
quotazioni si era più che duplicato, passando da 100 a 216. La prima avvisaglia si verificò il giovedì
24 ottobre del 1929, nel quale ci fu un’offerta di 13 milioni di azioni e una domanda quasi nulla,
con un crollo dei prezzi. Le banche intervennero riuscendo ad arrestare momentaneamente la
caduta, producendosi una discesa delle quotazioni situata fra 12 e 25 punti. Sebbene si pensasse che
alla fine della settimana si sarebbe arrestato il panico, il lunedì 28 ottobre iniziò con un nuovo
disastro che non fu possibile frenare, mettendosi in vendita più di 9 milioni di azioni e scendendo la
Borsa di 49 punti. Il giorno più disastroso fu martedì 29 ottobre, in cui furono offerti 33 milioni di
titoli e nuovamente la Borsa cadde di 49 punti.
A partire da questo momento inizia la depressione con le caratteristiche che già sappiamo essere
tipiche del processo. Più di 5.000 banche fallirono o sospesero i pagamenti fra il 1929 e il 1932 (su
un totale di 24.000)100. Inoltre, si produsse una drastica contrazione creditizia, con una diminuzione
dell’investimento privato lordo da più di 15.000 milioni nel 1929 a 1.000 milioni scarsi nel 1932, e
raggiungendosi un volume di disoccupazione la cui quota più alta sfiorò il 27 per cento della
popolazione attiva nell’anno 1933.
La durata e la particolare gravità della Grande Depressione del ’29, che si estende per un intero
decennio, può essere compresa solo a partire dagli errori di politica economica e monetaria
commessi specialmente dall’Amministrazione del Presidente Hoover, che era stato rieletto
implicò un notevole progresso rispetto alla pratica del XIX secolo». Ralph G. Hawtrey, The Art of Central Banking,
Longmans, Londra 1932, p. 300. Rothbard qualifica Hawtrey come «one of the evil geniuses of the 1920s». M.N.
Rothbard, America’s Great Depression, op. cit., p. 159 (p.309 dell’edizione italiana). L’errore più grave di Fisher,
Hawtrey e del resto dei teorici «stabilizzatori» è di non comprendere che la funzione principale della moneta è quella di
servire da veicolo per l’esercizio creativo della funzione imprenditoriale, lasciando aperte rispetto al futuro tutte le
possibilità creative dell’azione umana. Perciò la domanda di moneta e il suo potere d’acquisto non possono mai
smettere di variare. Come indica Mises, «with the real universe of action and unceasing change, with the economic
system which cannot be rigid, neither neutrality of money nor stability of its purchasing power are compatible. A world
of the kind which the necessary requirements of neutral and stable money presuppose would be a world without action»
(Human Action, op. cit., p. 419).
98
D’accordo con Phillips, McManus e Nelson, «the end result of what was probably the greatest price-level
stabilization experiment in history proved to be, simply, the greatest depression». C.A. Phillips, T.C. McManus y R.B.
Nelson, Banking and the Business Cycle, Macmillan, Nuova York 1937, p. 176.
99
In concreto, come già abbiamo indicato, il 17 ottobre 1929 Fisher affermò: «Stocks have reached what looks like a
permanently high plateau.» Benjamin M. Anderson, Economics and the Public Welfare, op. cit., p. 210. Sulla fortuna
realizzata da Fisher sviluppando una macchina, la sua incapacità a spiegare teoricamente gli eventi che visse e
prevedere il crash borsistico nel quale si rovinò, si può consultare l’appassionante biografia di Robert Loring Allen,
Irving Fisher: A Biography, Blackwell, Oxford 1993. Tutti questi gravi errori di predizione spiegano il suo discredito
accademico e popolare e il fatto che la sua successiva teoria sulle cause della Grande Depressione non fosse tenuta
molto in considerazione. Cfr. Robert W. Dimand, «Irving Fisher and Modern Macroeconomics», The American
Economic Review, vol. 87, n. 2, maggio 1997, p. 444.
100
Elmus Wicker, The Banking Panics of the Great Depression, Cambridge University Press, Cambridge 1996 e 2005.
48
nell’anno 1928, e poi dall’interventismo del democratico Roosvelt. Furono prese praticamente le
misure più controproducenti possibili per rendere più difficile il superamento dei problemi e l’arrivo
della ripresa. In concreto, fu imposta una politica di mantenimento artificiale dei salari, il che
moltiplicò la disoccupazione e rese impossibile il trasferimento delle risorse produttive e di
manodopera da alcune industrie ad altre. Un altro grande errore di politica economica fu commesso
quando la spesa pubblica esplose nell’anno 1931, crescendo dal 16,4 per cento al 21,5 per cento del
Prodotto Interno Lordo, producendosi un deficit di 2.200 milioni di dollari, e decidendo di
riequilibrare il bilancio aumentando le tasse: l’Imposta sul Reddito aumentò dall’1,5-5 per cento al
4-8 per cento, scomparendo molte delle deduzioni e aumentando i tassi marginali di imposizione sui
redditi più alti. Ugualmente, l’Imposta sulle società aumentò dal 12 a quasi il 14 per cento,
raddoppiandosi l’imposta sulle successioni e donazioni, la cui aliquota massima rimase fissa al 33,3
per cento.
Inoltre, il finanziamento delle opere pubbliche che furono ritenute necessarie per attenuare i
problemi di disoccupazione fu realizzato tramite importanti emissioni di debito pubblico che, in
ultima istanza, assorbirono la scarsa offerta di capitale disponibile, danneggiando gravemente il
settore privato.
Tutte queste politiche dannose furono proseguite e aggravate dal successore di Hoover, Franklin D.
Roosvelt, che vinse le elezioni nel 1932.101
Le recessioni economiche della fine degli anni Settanta e dell’inizio degli anni Novanta
La caratteristica più tipica dei cicli economici posteriori alla Seconda Guerra Mondiale è che essi
hanno avuto la loro origine in politiche deliberatamente inflazionistiche dirette e coordinate dalle
banche centrali. Così sotto l’ispirazione della teoria keynesiana, durante i decenni successivi al
conflitto e fino alla fine degli anni Sessanta, si ritenne che mediante una politica fiscale e monetaria
«espansiva» si potesse evitare l’avvento di qualsiasi crisi. La dura realtà si manifestò con la grave
recessione degli anni Settanta, recessione inflazionistica (stagflation) che gettò al suolo e screditò
teoricamente i postulati keynesiani. Inoltre, è proprio a partire dagli anni Settanta che, in
coincidenza con il sorgere delle recessioni inflazionistiche, cominciano a essere studiate e
apprezzate di nuovo le teorie della Scuola Austriaca, ricevendo Hayek il Premio Nobel per
l’Economia nell’anno 1974, proprio per i suoi studi sulla teoria del ciclo. Infatti, la crisi e recessione
inflazionistica degli anni Settanta fu una «prova del fuoco» che i keynesiani non riuscirono a
superare, e rappresentò un grande riconoscimento per i teorici della Scuola Austriaca, che da molto
tempo la stavano annunciando. L’unico aspetto nel quale sbagliarono riguardò la durata del
processo inflazionistico che, come riconosce Hayek, non essendo limitato dalle esigenze dell’antico
sistema del gold standard, poté essere prolungato tramite dosi aggiuntive di espansione creditizia
nel corso di due decenni, finché apparve un fenomeno fino ad allora sconosciuto: una profonda
depressione con alti livelli, simultaneamente, di inflazione e disoccupazione.102
101
Murray N. Rothbard conclude la sua analisi della Grande Depressione nel modo seguente: «Economic theory
demonstrates that only governmental inflation can generate a boom-and-bust cycle, and that the depression will be
prolonged and aggravated by inflationist and other interventionary measures. In contrast to the myth of laissez-faire, we
have shown how government intervention generated the unsound boom of the 1920’s, and how Hoover’s new departure
aggravated the Great Depression by massive measures of interference. The guilt for the Great Depression must, at long
last, be lifted from the shoulders of the free market economy, and placed where it properly belongs: at the doors of
politicians, bureaucrats, and the mass of ‘enlightened’ economists. And in any other depression, past or future, the story
will be the same.» Murray N. Rothbard, America’s Great Depression, op. cit., p. 295 (p. 517-518) dell’edizione
italiana). Non ci siamo riferiti al lato europeo della Grande Depressione, la cui analisi si può trovare nel libro di Lionel
Robbins The Great Depression, Macmillan, Londra e Nuova York 1934 (Di quest’opera di Robbins esiste una
traduzione italiana con il titolo Di chi la colpa della grande crisi?, Einaudi, Torino, 1935). Una buona esposizione della
crisi del sistema bancario austriaco (con una teoria sottostante che a volte lascia molto a desiderare) è stato pubblicato
da poco da Aurel Schubert, The Credit-Anstalt Crisis of 1931, Cambridge University Press, Cambridge 1991.
102
Milton Friedman, in un articolo nel quale esamina i dati delle crisi avvenute dal 1961 al 1987, sostiene di non
rinvenire una correlazione tra il volume dell’espansione e la posteriore contrazione e conclude che questi risultati
49
Lo studio dettagliato della crisi della fine degli anni Settanta appartiene alla storia economica
recente e su di esso non ci dilungheremo. Vogliamo solo evidenziare qui che risultò molto costoso
l’aggiustamento che fu necessario realizzare a livello mondiale. E forse dopo quest’amara
esperienza si sarebbe potuto richiedere ai responsabili finanziari ed economici dell’Occidente che,
una volta iniziata la fase di ripresa, si prendessero le misure di precauzione necessarie onde evitare
un’altra futura espansione creditizia generalizzata e, con essa, una futura depressione. Purtroppo,
non fu così, e nonostante tutti gli sforzi e i costi implicati dalla ristrutturazione e dal riassestamento
delle economie occidentali, dopo la crisi della fine degli anni Settanta, nella seconda metà degli
anni Ottanta iniziò, di nuovo, un’amplissima espansione creditizia che, cominciata negli Stati Uniti,
si estese al Giappone, all’Inghilterra e al resto del mondo. Nonostante le «avvisaglie» date dal
mercato borsistico, fra le quali emerse il collasso della Borsa di Nuova York il «lunedì nero» del 19
ottobre del 1987 (nel quale l’indice di Borsa di Nuova York cadde di un 22,6%), le autorità
monetarie reagirono nervosamente iniettando nuove dosi massicce di espansione creditizia per
mantener il livello raggiunto dagli indici borsistici.
W.N. Butos, in uno studio empirico sulla recessione dell’inizio degli anni Novanta,103 ha messo in
evidenza come, dal 1983 al 1987, il tasso medio di crescita annuale delle riserve fornite dalla
Riserva Federale al sistema bancario americano fosse aumentato del 14,5 per cento all’anno (cioè,
da 25 mila milioni di dollari nel 1985 a più di 40 mila milioni tre anni dopo); ciò generò una
tremenda espansione creditizia e dell’offerta monetaria che, a sua volta, alimentò un importante
boom borsistico e ogni tipo di movimenti finanziari speculativi. Inoltre, l’economia entrò in una
fase di grande espansione con un notevole allungamento degli stadi più intensivi di capitale e un
aumento spettacolare della produzione di beni di consumo duraturo, che è stata denominata «fase
d’oro degli anni di Reagan e Thatcher», e che in gran parte fu costruita sulle basi di argilla
dell’espansione creditizia104. Questi effetti sono confermati da un altro studio empirico dovuto a
Arthur Middleton Hughes, che inoltre studiò l’impatto della espansione creditizia e della recessione
sui diversi settori appartenenti a diversi stadi della struttura produttiva (più o meno lontani dal
«would cast grave doubt on those theories that see as the source of a deep depression the excesses of the prior expansion
(the Mises cycle theory is a clear example)». Cfr. Milton Friedman, «The ‘Plucking Model’ of Business Fluctuations
Revisited», Economic Inquiry, vol. XXX1, aprile 1993, pp. 171-177 (la citazione è a p. 172). Tuttavia, l’interpretazione
che Friedman dà dei fatti e il suo adattamento alla teoria austriaca non è corretto per i seguenti motivi: a) Friedman usa
come indicatore dell’evoluzione del ciclo le grandezze del PIL che, come già sappiamo, occultano quasi la metà del
reddito sociale lordo totale, che include il valore dei prodotti intermedi e che è ciò che più oscilla nel corso del ciclo; b)
la teoria austriaca del ciclo stabilisce una correlazione fra espansione creditizia, conseguente cattivo investimento e
recessione e non fra l’espansione economica e la recessione, entrambe misurate dal PIL; c) il periodo di tempo
considerato da Friedman è molto corto (1961-1997) e durante esso ogni segno di recessione fu seguito da politiche
espansive energiche che accorciarono la successiva recessione, eccetto nei casi che abbiamo commentato nel testo (crisi
di fine anni Settanta e di inizio anni Novanta) in cui si entrò nella via senza uscita della recessione inflazionistica.
Ringrazio Mark Skousen per avermi fornito la sua abbondante corrispondenza privata con Milton Friedman su questo
tema. Si vedano, inoltre, le considerazioni di Roger W. Garrison (Time and Money: The Macroeconomics of Capital
Structure, op. cit., pp. 222-235) che dimostra come i dati empirici presentati da Friedman siano pienamente compatibili
con la teoria austriaca del ciclo.
103
W.N. Butos, «The Recession and Austrian Business Cycle Theory: An Empirical Perspective », in Critical Review,
vol. VII, nn. 2-3, primavera e estate 1993. Butos conclude che la teoria austriaca del ciclo economico rappresenta una
buona spiegazione analitica dell’espansione del decennio degli anni Ottanta e la successiva crisi economica dei primi
anni Novanta. Un altro interessante articolo che applica la teoria austriaca all’ultimo ciclo economico è quello di Roger
W. Garrison, «The Roaring Twenties and the Bullish Eighties: The Role of Government in Boom and Bust», Critical
Review, op. cit., pp. 259-276. In Spagna, la crescita dell’offerta monetaria durante la seconda metà del decennio degli
anni Ottanta è stata ugualmente molto sostenuta, passando da 30 a quasi sessanta miliardi di pesetas, dal 1986 al 1992,
anno in cui si manifesta la crisi in quel paese in tutta la sua virulenza (Banca di Spagna, Bollettino statistico, agosto
1994, p.17).
104
La stessa Thatcher, nella sua autobiografia, ha finito col riconoscere che tutti i problemi economici della sua
amministrazione sorsero quando la moneta e il credito si espansero troppo rapidamente e aumentarono vertiginosamente
i prezzi dei beni di consumo. Margaret Thatcher, Los años de Downing Street, El País-Aguilar, Madrid 1993, pp. 565-
566. (Il libro è stato tradotto in italiano: Margaret Thatcher, Gli anni di Downing Street, Sperling & Kupfer, Milano
1993).
50
consumo), e il suo lavoro empirico basato sulle serie storiche confermò le conclusioni più
importanti della nostra teoria del ciclo105. Inoltre, l’ultima recessione si è accompagnata a
un’importante crisi bancaria che negli Stati Uniti si manifestò con il fallimento di varie banche
importanti e, soprattutto, con il crollo del settore delle cooperative di risparmio (savings and loans
associations) la cui analisi è stata oggetto di studio in un’abbondante e recente letteratura106.
Di nuovo, l’ultima recessione ha sorpreso i teorici della scuola monetarista, che non si spiegano
perché sia potuta accadere una tal cosa107. Tuttavia, le caratteristiche tipiche dell’espansione,
l’avvento della crisi e la recessione posteriore rispondono tutte a quanto previsto dalla teoria
austriaca del ciclo.
Forse uno degli elementi di differenziazione più interessanti nell’ultimo ciclo è stato il ruolo
importante che in esso ha giocato l’economia giapponese. Questa sperimentò una tremenda
espansione monetaria e creditizia, specialmente nei quattro anni che trascorsero tra il 1987 e il
1991, espansione che interessò, come indica la teoria, fondamentalmente le industrie più lontane dal
consumo. Infatti, sebbene i prezzi dei beni di consumo aumentassero praticamente solo fra uno 0 e
un 3 per cento secondo il computo annuale durante questo periodo, il prezzo degli attivi fissi, e
specialmente della terra e dei fabbricati, delle azioni e delle opere d’arte e gioielleria aumentò
straordinariamente, moltiplicando di molte volte il suo valore e entrando i rispettivi mercati in un
boom speculativo. La crisi iniziò a partire dal secondo trimestre del 1991, ed è proseguita per molti
anni, essendosi manifestato un cattivo investimento generalizzato delle risorse produttive che finora
era sconosciuta in Giappone e che ha obbligato l’economia giapponese ad iniziare un doloroso
processo globale di ristrutturazione in cui continua ad essere implicata ancora nel 1997108.
Quanto all’effetto dell’ultima crisi economica mondiale sulla Spagna, è necessario segnalare che si
fece sentire in tutta la sua virulenza nell’anno 1992, essendo durata la recessione meno di cinque
anni. Di nuovo, tutte le caratteristiche tipiche dell’espansione, crisi e recessione si sono verificate
nel suo ambiente economico circostante, forse con la peculiarità che l’espansione artificiale fu
ancora più esagerata in conseguenza degli effetti prodotti dall’entrata della Spagna nella Comunità
Economica Europea. Inoltre, la recessione arrivò in un contesto di sopravvalutazione della peseta,
che dovette essere svalutata tre volte di seguito lungo un periodo di dodici mesi. La Borsa fu molto
colpita e si produssero le note crisi di natura finanziaria e bancaria, in un ambito di cultura
105
Arthur Middleton Hughes, «The Recession of 1990: An Austrian Explanation», The Review of Austrian Economics,
10, n. 1 (1997), pp. 107-123.
106
Così, fra altri, Lawrence H. White, «What has been breaking U.S. banks?», in Critical Review, op. cit., pp. 321-334,
e Catherine England, «The Savings and Loans Debacle», in Critical Review, op. cit., pp. 307-320. In Spagna, si segnala
il lavoro di Antonio Torrero Mañas, La crisis del sistema bancario: lecciones de la experiencia de Estados Unidos,
Editorial Cívitas, Madrid 1993.
107
In questo senso è molto illustrativa la conclusione di Robert E. Hall, per il quale «established models are unhelpful in
understanding this recession, and probably most of its predecessors. There was no outside force that concentrated its
effects over the few months in the late summer and fall of 1990, nor was there a coincidence of forces concentrated
during that period. Rather, there seems to have been a cascading of negative responses during that time, perhaps set off
by Irak’s invasion of Kuwait and the resulting oil-price spike in August 1990.» È scoraggiante che un autore di questo
prestigio sia così tanto depistato quanto alla genesi e sviluppo della crisi degli anni Novanta, e questa situazione è molto
indicativa per ciò che concerne il lamentevole stato attuale della povertà teorica e confusione della macroeconomia.
Robert E. Hall, «Macrotheory and the Recession of 1990-1991», The American Economic Review, maggio 1993, pp.
275-279 (la citazione si trova alle pp. 278-279).
108
L’indice Nikkei 225 della Borsa di Tokio si ridusse di più di 30.000 yen all’inizio del 1990 a meno di 15.000 yen alla
fine del 1997, essendosi verificata una serie di fallimenti di banche e agenzie di Borsa (come quella del Hokkaido
Takushoku, Sanyo e Yamaichi Securities e altre) che hanno minato gravemente la credibilità del sistema finanziario del
paese, che richiederà molto tempo per ristabilirsi. Inoltre le crisi bancarie e borsistiche giapponesi hanno conteggiato
gravemente il resto dei mercati asiatici (ed emergono così i fallimenti del Pegrine Bank di Hong Kong, del Bangkok
Bank of Commerce e del Bank Korea First, fra altri), nel momento in cui scriviamo queste linee (1997) minacciano di
estendersi al resto del mondo. Sull’applicazione della teoria austriaca alla recessione giapponese si deve consultare
l’interessante articolo di Yoshio Suzuki, presentato alla Riunione Regionale della Mont Pèlerin Society, che ebbe luogo
dal 25 al 30 settembre 1994 a Cannes, Francia; così come le opportune considerazioni di Hiroyuki Okon, Austrian
Economics Newsletter, Ludwig von Mises Institute, Auburn University, Alabama, inverno 1997, pp. 6-7.
51
speculativa e arricchimento facile dal quale ci vorrà molto per riprendersi. E ancora oggi non sono
state prese le misure di flessibilizzazione dell’economia in generale e del mercato del lavoro in
particolare che, insieme ad una politica monetaria prudente e una diminuzione della spesa e deficit
pubblici, sono imprescindibili affinché si consolidi quanto prima in Spagna un processo di recupero
stabile e sostenuto.109
Altri lavori di verifica empirica della teoria austriaca del ciclo economico
Sono stati realizzati di recente diversi lavori di grande interesse che danno un importante sostegno
empirico alla teoria austriaca del ciclo economico. E ciò nonostante le difficoltà di verifica di una
teoria che, come già sappiamo, si basa sull’impatto dell’espansione creditizia sulla struttura
produttiva e nel modo diseguale in cui tale espansione interessa i prezzi relativi dei prodotti dei
diversi stadi della produzione. Questi processi economici sono difficilmente verificabili in termini
empirici, soprattutto finché si pretenda di continuare ad utilizzare le statistiche raccolte dalla
Contabilità Nazionale, che eliminano dal loro computo la maggior parte del valore prodotto da tutti
gli stadi intermedi del processo produttivo. Fra questi studi empirici emerge quello realizzato da
Charles E. Wainhouse110. Wainhouse presenta una lista di nove proposizioni che si deducono dalla
teoria austriaca del ciclo e che sottopone a verifica empirica separatamente.111 Le principali
conclusioni del lavoro di Wainhouse sono le seguenti: in primo luogo, la prima proposizione che
sottopone a verifica empiricamente è che i cambiamenti dell’offerta del risparmio volontario sono
indipendenti dai cambiamenti che si verificano nel credito bancario. Wainhouse, utilizzando serie
statistiche che vanno da gennaio del 1959 a giugno del 1981, trova che in tutti i casi, con un’unica
eccezione, l’evidenza empirica conferma questa prima proposizione. La seconda proposizione di
Wainhouse è che le modifiche nell’offerta del credito danno luogo a cambiamenti del tasso di
interesse, essendo gli uni e gli altri inversamente rapportati. Anche l’evidenza empirica è molto in
relazione alla seconda proposizione. La terza proposizione di Wainhouse è che i cambiamenti nel
tasso di concessione dei crediti danno luogo a aumenti dell’output dei beni di produzione, il che
anche considera che sia sostenuto dall’evidenza empirica che analizza. Finalmente, in relazione alle
tre ultime proposizioni che ha verificato empiricamente, cioè, che la relazione fra il prezzo dei beni
di produzione e i beni di consumo aumenterà dopo che sia iniziata l’espansione creditizia, che il
prezzo dei beni più vicini al consumo finale tenderà a diminuire in relazione al prezzo dei beni di
produzione nel processo di espansione, e, in ultimo, che nello stadio finale dell’espansione il prezzo
dei beni di consumo crescerà più rapidamente di quello dei beni produzione, invertendo, pertanto, la
tendenza iniziale, ritiene anche che si adeguino, in termini generali, ai dati empirici, per cui
Wainhouse conclude che essi danno sostegno alle proposizioni teoriche enunciate dalla Scuola
109
Non possiamo fare riferimento qui, ulteriormente, all’effetto demolitore che la crisi economica e bancaria ha avuto
sui paesi sottosviluppati (per esempio, Venezuela) e alle ex economie di socialismo reale (Russia, Albania, Lettonia,
Lituania, Repubblica Ceca, Romania, ecc.), che con grande ingenuità ed entusiasmo si sono lanciate sulla strada
dell’espansione creditizia sfrenata. Così, per esempio, in Lituania alla fine del 1995 scoppiò, dopo un periodo di euforia,
la crisi bancaria, che condusse alla chiusura di 16 delle 28 banche esistenti, all’immediata contrazione del credito, la
diminuzione degli investimenti e la disoccupazione e malessere popolare. Lo stesso si può dire del resto dei casi citati
(molti dei quali anche più gravi).
110
Charles E. Wainhouse, «Empirical Evidence for Hayek’s Theory of Economic Fluctuations», cap. II di Money in
Crisis: The Federal Reserve, the Economy and Monetary Reform, Barry N. Siegel (ed.), op. cit., pp. 37-71. E anche il
suo «Hayek’s Theory of the Trade Cycle: The Evidence from the Time Series» (Ph.D. dissertation, New York
University, 1982).
111
Come indica Wainhouse: «Within the constellation of available tests of causality, Granger’s notion of causality —to
the extent that it requires neither the "true" model nor controlability— seems to offer the best prospects for practical
implementation.» Charles Wainhouse, op. cit., p. 55. I lavori di Granger ai quali si riferisce Wainhouse e sui quali si
basa la sua verifica empirica della teoria austriaca sono i seguenti: C.W.J. Granger, «Investigating Causal Relations by
Econometric Models and Cross-Spectral Methods», Econometrica, 37, n 3, 1969, pp. 428 y ss., e anche C.W.J. Granger,
«Testing for Causality: A Personal Viewpoint», in Journal of Economic Dynamics and Control, 2, n. 4, novembre 1980,
pp. 330 e ss.
52
Austriaca di Economia. Wainhouse non ha sottoposto a verifica tre proposizioni aggiuntive,
indicando che, pertanto, resta ancora un campo aperto per il lavoro futuro degli econometristi in
quest’area112.
Un altro lavoro empirico di rilievo per la teoria austriaca del ciclo lo dobbiamo a Vladimir Ramey,
dell’Università della California in San Diego113. Ramey ha sviluppato un modello intertemporale in
cui sono disaggregati in diversi stadi gli inventari corrispondenti ai beni di consumo, i beni
all’ingrosso, i beni di equipaggiamento manufatti e i prodotti intermedi manufatti, arrivando alla
conclusione che il prezzo degli inventari sia tanto più volatile quanto più essi si allontanano dallo
stadio finale del consumo. Gli inventari più vicini al consumo sono quelli più stabili e quelli che
sperimentano minore variazione nel corso del ciclo.
A una simile conclusione è giunto Mark Skousen nella sua analisi dell’evoluzione dei prezzi dei
prodotti di tre stadi distinti della produzione: quella dei prodotti finali di consumo, quella dei
prodotti intermedi e quella dei fattori materiali di produzione, ponendo in evidenza, come abbiamo
già menzionato alla nota 21, che, così come nel periodo dal 1976 al 1992 gli stadi più lontani dal
consumo variarono il loro prezzo fra un -10 per cento e un +30 per cento, nello stesso periodo i
prodotti intermedi variarono solo fra un +14 per cento e un -1 per cento, e i beni finali di consumo
sperimentarono una variazione fra +10 e -2 per cento.114 Inoltre, lo stesso Mark Skousen ha
calcolato che nella crisi degli inizi degli anni Novanta il Reddito Sociale Lordo degli Stati Uniti,
includendo nel suo computo tutti i prodotti degli stadi intermedi, si ridusse fra un 10 e un 15 per
cento, e non nella percentuale notevolmente inferiore (fra l’1 e il 2 per cento) che indicano le cifre
tradizionali della Contabilità Nazionale, che utilizzano una grandezza che, come il Prodotto
Nazionale Lordo, esclude dal suo computo tutti i prodotti intermedi e, pertanto, esagera
enormemente l’importanza relativa che sullo sforzo produttivo nazionale ha il consumo finale.115
Speriamo che nel futuro questi interessanti studi storico-empirici sulla teoria austriaca del ciclo
economico siano realizzati con maggiore abbondanza e assiduità, utilizzando a tal fine i dati
corrispondenti alle tavole input-output, e permettendo che la teoria austriaca sia utilizzata per
riformare la metodologia della Contabilità Nazionale, rendendo possibile la raccolta di dati statistici
sulle variazioni di prezzi relativi che costituiscono l’essenza microeconomica del ciclo economico.
Col fine di semplificare e facilitare in futuro questo tipo di ricerche empiriche, nella Figura VI-1
112
Un altro studio empirico di interesse centrato sugli anni della Grande Depressione del ‘29 è quello condotto da
Frederick C. Mills nella sua opera Prices in Recession and Recovery (National Bureau of Economic Research, Nuova
York 1936), dove Mills comprova empiricamente che l’evoluzione dei prezzi relativi durante il periodo della crisi,
recessione e ripresa che fece seguito al crash borsistico del ‘29 segue molto da vicino lo schema previsto dalla teoria
austriaca del ciclo economico. In concreto, Mills conclude che durante la depressione «raw materials dropped
precipituously; manufactured goods, customarily sluggish in their response to a downward pressure of values, lagged
behind». E in ciò che si riferisce ai beni di consumo, questi «fell less than did the average of all commodity prices». In
quanto alla ripresa del 1934-36, Mills segnala che «the prices of industrial raw materials, together with relatively high
prices of finished goods, put manufacturers in an advantageous position on the operating side». Mills, op. cit., pp. 25-
26, 96-97, 151, 157-158 y 222. Una buona valutazione dei lavori di Mills può trovarsi in Skousen, The Structure of
Production, op. cit., pp. 58-60.
113
V.A. Ramey, «Inventories as Factors of Production and Economic Fluctuations», American Economic Review, luglio
1989, pp. 338-354.
114
Mark Skousen, «I like Hayek: how I use his model as a forecasting tool», presentato alla riunione generale della
Società Mont Pèlerin che ebbe luogo dal 25 al 30 settembre 1994 a Cannes, Francia, pp. 10-11.
115
Anche altri recenti lavori empirici stanno mettendo in evidenza il carattere non neutrale della crescita monetaria e
come il suo impatto sia relativamente maggiore nelle industrie più intensive di capitale o che producano beni di più
lunga durata. Si veda, per esempio, Peter E. Kretzmer, «The Cross-Industry Effects of Unanticipated Money in an
Equilibrium Business Cycle Model», Journal of Monetary Economics, marzo 1989, n. 23 (2), pp. 275-296; e Willem
Thorbecke, «The Distributional Effects of Disinflationary Monetary Policy», Jerome Levy Economics Institute
Working Paper n. 144, George Mason University, 1995. Tyler Cowen, commentando questi e altri lavori, conclude che
«the literature on sectoral shifts presents some of the most promising evidence in favor of Austrian approaches to
business cycles. The empirical case for monetary non-neutrality across sectors is relatively strong, and we even see
evidence that monetary shocks have greater real effects on industries that produce highly durable goods.» Tyler Cowen,
Risk and Business Cycles: New and Old Austrian Perspectives, Routledge, Londra 1997, capitolo 5, p. 134.
53
sono riprodotte, in modo riassuntivo e comparato, le diverse fasi dei processi di mercato che si
mettono in funzione, in primo luogo quando si produce un aumento del risparmio volontario della
società e, in secondo luogo, quando si verifica da parte del settore bancario un’espansione creditizia
senza che essa sia coperta da un aumento precedente del risparmio volontario.
Conclusione
Sembra sorprendente che, verso la fine del XX secolo, dopo l’analisi teorica effettuata e
l’esperienza storica accumulata, continuino ad esistere dubbi rispetto al carattere recessivo delle
espansioni creditizie. Abbiamo visto come, con grande regolarità, si ripetano le fasi di espansione,
crisi e recessione e abbiamo spiegato in che modo in esse svolga un ruolo da protagonista
l’espansione creditizia iniziata dal sistema bancario. Nonostante tutto ciò, una parte notevole di
teorici si ostina ancora a negare che le crisi economiche rispondano a una causa teorica sottostante.
Non si rendono conto che, nell’analisi stessa che effettuano (e non importa che questa sia
keynesiana, monetarista o di qualsiasi altra variante), stanno implicitamente assumendo che i fattori
monetari in relazione al credito svolgano un ruolo da protagonista. Infatti, senza di loro, non è
possibile comprendere né l’espansione né il boom iniziale, l’aumento sproporzionato che si produce
sempre in modo continuo nella Borsa valori e, quando arriva la crisi, l’inevitabile contrazione
creditizia e recessione, che in modo particolare colpisce le industrie di beni di capitale.
Inoltre, dovrebbe risultare evidente che la ripetizione continua di questi cicli dovesse avere
un’origine istituzionale, che fosse in grado di spiegare perché l’economia (regolata) di mercato
endogenamente si comporti in questo modo. La causa risiede, come abbiamo argomentato dal
capitolo I di questo libro, nel privilegio concesso ai banchieri affinché, in violazione dei principi
tradizionali del diritto, possano prestare la moneta che ad essi si depositi a vista, esercitando,
pertanto, la loro attività con un coefficiente di riserva frazionaria. Privilegio questo di cui hanno
approfittato anche i governi per ottenere un finanziamento facile nei momenti di difficoltà, e poi,
attraverso le banche centrali, per garantire una facilità di credito e una liquidità inflazionistica che
finora si riteneva fossero molto necessarie e favorevoli come stimolo per lo sviluppo economico.
La «legge del silenzio», cui generalmente è stata sottoposta la teoria austriaca del ciclo economico,
e l’ignoranza che il pubblico ha del funzionamento del sistema finanziario sono molto significative.
Sembra come se entrambe rispondessero a una strategia implicita di lasciare le cose come stanno,
che ha la sua possibile ragion d’essere nel desiderio di molti teorici di avere una giustificazione per
l’intervento del governo nei mercati finanziari e bancari, insieme al timore reverenziale che alla
maggioranza della popolazione produce l’affrontare la banca. E adesso dobbiamo concludere
mettendo in risalto con Mises come «ciò che è fondamentale, per le spiegazioni non monetarie del
ciclo economico, è la reiterata comparsa delle depressioni economiche. I difensori di tali dottrine
sono, tuttavia, incapaci di segnalare, nelle loro raffigurazioni dei successi economici, alcun fattore
al quale spettasse l’origine e la paternità di questi disordini così misteriosi. Ricorrono, di
conseguenza, a qualsiasi spiegazione arbitraria che, come meglio possono, imbastiscono le loro tesi
per dare ad esse l’apparenza di autentiche spiegazioni dei cicli economici. Non succede lo stesso
con la teoria monetaria o del credito circolatorio. Le moderne ricerche hanno dimostrato
l’inesattezza di quelle teorie che si basino su una presunta condizione di neutralità della moneta. È
stata chiarita e resta fuori da ogni dubbio l’esistenza nell’economia di mercato di realtà inspiegabili
per ogni pensiero che non ammetta che la moneta goda di una forza impulsiva propria. Nessuna
spiegazione di carattere non monetaria dei cicli economici può fare a meno di ammettere che
l’espansione non possa mai apparire se non si produce il corrispondente aumento delle esistenze di
moneta o di mezzi fiduciari. Il fanatismo con cui i difensori delle suddette dottrine non monetarie si
oppongono al riconoscimento del loro errore è, quindi, dettato da considerazioni politiche. Gli
interventisti hanno interesse a dimostrare che l’economia di mercato sia di per sé sola incapace di
eludere le reiterate depressioni. A loro importa soprattutto contestare la teoria del credito
54
circolatorio, ogni volta che il dirigismo monetario e creditizio sia l’arma principale su cui gli attuali
governanti anticapitalisti contano per imporre l’onnipotenza statale.»116
Figura VI-1
Riassunto delle fasi
1) Aumento del risparmio volontario 2) Espansione creditizia senza aumento del risparmio
F1 Diminuisce il ritmo del consumo. I Espansione F1 Non diminuisce il consumo.
prezzi dei beni di consumo diminuiscono →
F2 Diminuiscono i profitti contabili nel F1 La banca concede massicciamente
settore del consumo nuovi prestiti e si riduce il tasso di
interesse.
F2 Tendono ad aumentare in termini reali i F2 Aumenta il prezzo dei beni di
salari (stesso importo nominale con prezzo capitale.
dei beni di consumo più bassi)
F2 «Effetto Ricardo»: si sostituiscono F2 Aumenta la Borsa.
lavoratori con equipaggiamento di capitale
F2 Diminuisce il tasso di interesse F2 Si allunga artificialmente la struttura
(risultato dell’aumento del risparmio). produttiva.
Aumenta la Borsa moderatamente.
F2 Aumenta il prezzo dei beni di capitale F2 Si realizzano importanti profitti
(risultato dell’aumento della loro domanda contabili nel settore dei beni di capitale.
– Effetto Ricardo – e della riduzione del
tasso di interesse).
F3 Aumenta la produzione di beni di Boom F3 Il settore dei beni di capitale
capitale. → domanda più lavoratori.
F3 Sono congedati lavoratori nel settore F3 Aumentano i salari dei lavoratori.
del consumo e sono contrattati nelle
industrie di beni di capitale.
F4 Si allunga in modo permanente la F3 Si generalizza il boom espansivo e
struttura produttiva. borsistico. Speculazione sfrenata.
F5 La produzione di beni e servizi di Crisi F4 Inizia ad aumentare la domanda
consumo aumenta molto, il loro prezzo si → monetaria di beni di consumo (maggiori
riduce (maggiore offerta con minore redditi salariali ed imprenditoriali sono
domanda monetaria). Aumentano i salari e dedicati al consumo).
il reddito nazionale in termini reali in F4 Ad un certo punto si arresta il ritmo
modo permanente. di espansione del credito: aumenta il
tasso di interesse. Cade la Borsa. (crash)
F4 I prezzi dei beni di consumo iniziano
ad aumentare più dei salari
F4 Il settore del consumo sperimenta
profitti contabili (aumenta la sua
domanda)
116
Ludwig von Mises, «Fallacies of the Nonmonetary Explanations of the Trade Cycle», in Human Action, op. cit., pp.
580-582.
55
Figura VI-1 (continuazione)
1. Tutti i riferimenti a «aumenti» e «diminuzioni» di prezzi devono essere intesi come riferiti a
prezzi relativi, e non a prezzi nominali né a grandezze assolute. Di modo che quando si menziona,
per esempio, un «aumento dei prezzi» dei beni di consumo, si vuole indicare che essi variano in una
direzione tale che, in termini relativi, aumentano rispetto al prezzo dei beni di produzione.
2. È facile introdurre le modifiche necessarie nelle fasi dei processi teorici riassunti nella Figura per
includere le peculiarità storiche di ogni ciclo. Così, nel caso dell’aumento del risparmio volontario,
se inoltre si produce un aumento del tesoreggiamento o domanda di moneta, le fasi saranno le
stesse, salvo che si produrrà una diminuzione nominale del prezzo dei beni di consumo maggiore, e
56
un aumento del prezzo nominale dei fattori di produzione più basso. Ciononostante, tutte le
relazioni fra prezzi relativi si mantengono così come si indica in Figura. Nel caso dell’espansione
creditizia, se si parte dall’esistenza di «capacità oziosa», all’inizio non aumenterà in termini
nominali sia il prezzo dei fattori produttivi e beni di capitale, anche se il resto delle fasi si succederà
così come abbiamo segnalato, sovrapponendosi dei cattivi investimenti ad altri.
3. Sebbene il carattere successivo delle fasi abbiamo voluto indicarlo con numero che segue alla
lettera «F», in alcune occasioni la numerazione e classificazione di una fase come corrispondente a
un gruppo o a un altro è relativamente arbitraria, dipendendo da ogni situazione storica concreta il
fatto che le fasi si sviluppino o no, più o meno simultaneamente.
4. Come sappiamo, nella vita reale il processo potrebbe mantenersi indefinitamente in ogni fase, nel
caso in cui l’intervento dei governi faccia sì che i mercati siano molto rigidi, e in concreto si
manipolano con successo i prezzi dei beni intermedi, i salari o la legislazione sul lavoro. Inoltre, un
aumento progressivo dell’espansione creditizia può ritardare l’arrivo della crisi, a costo di renderla
molto più profonda e dolorosa quando scoppi.
57
questo punto di vista, la nascita dell’istituzione della banca centrale appare nella storia come una
conseguenza inevitabile del privilegio in virtù del quale si permette che le banche prestino la
maggior parte della moneta che ricevono sotto forma di depositi mantenendo un coefficiente di
riserva frazionaria. Ed è evidente che fino a che non si ristabilisca il principio tradizionale del diritto
e, pertanto, il coefficiente di riserva del 100 per cento, sarà impossibile prescindere dalla banca
centrale e instaurare un vero sistema di banca libera sottoposta al diritto e che non danneggi
l’andamento dell’economia generando regolarmente stadi destabilizzanti di espansione artificiale e
di crisi economica101.
matematica dell’equilibrio neoclassico e non studiare gli effetti delle crisi finanziarie sul lato reale dell’economia. Cfr. Douglas W.
Diamond e Philip H. Dybvig, «Bank runs, deposit insurance, and liquidity», Journal of Political Economy, n.º 91, pp. 401-419; e più
di recente Itay Goldstein e Ady Pauzner, «Demand-Deposit Contracts and the Probability of Bank Runs», The Journal of Finance,
vol. LX, n.º 3, giugno 2005, pp. 1293-1327, e tutta la bibliografia lì citata.
101
La banca centrale rappresenta, pertanto, la più palpabile prova storica del fallimento pratico e teorico dell’intento di assicurare il
ritiro dei depositi mediante la riserva frazionaria. Che si consideri necessario un prestatore di ultima istanza per creare e fornire la
liquidità necessaria nei momenti di imbarazzo bancario mette in evidenza che tale garanzia è impossibile, e che l’unica maniera di
eludere le inesorabili conseguenze negative dell’istituzione della banca con riserva frazionaria è mantenendo un’istituzione che tenga
il controllo assoluto sul sistema monetario e possa creare in qualsiasi momento la liquidità necessaria. Cioè, il privilegio della riserva
frazionaria è anche il responsabile, in ultima istanza, del grande interventismo della banca centrale nel sistema finanziario, che
rimane così situato al margine dei processi del mercato libero sottoposto ai principi tradizionali del diritto. Si capisce ora,
perfettamente, il perché di questa nostra affermazione effettuata al principio di questo libro, relativa al fatto che la principale sfida
teorica e pratica dell’economia di fronte al secolo che sta per cominciare consiste, precisamente, nel farla finita con l’intervento e la
coercizione sistematica dello Stato e con i privilegi nel sistema finanziario, che deve essere sottoposto agli stessi principi tradizionali
del diritto che si esigono senza eccezione alcuna dal resto degli agenti economici che operano in un mercato libero.
87
Capitolo VII
Nel presente capitolo analizzeremo gli sviluppi teorici alternativi che sono stati elaborati per
spiegare i cicli economici e, in concreto, le teorie delle scuole economiche con maggiore
radicamento: quella dei monetaristi e quella dei keynesiani. Benché a volte si ritenga che i due
approcci presentino spiegazioni alternative dei fenomeni economici che a loro volta concorrono tra
loro, dal punto di vista dell’analisi svolta in questo libro soffrono di difetti simili e, pertanto,
possono essere criticati utilizzando gli stessi argomenti. Dopo un’introduzione nella quale
spigheremo qual è, dal nostro punto di vista, l’elemento unificante degli approcci macroeconomici,
studieremo prima la posizione monetarista (con alcuni riferimenti alla cosiddetta «nuova
macroeconomia classica» e la corrente delle «aspettative razionali»), e poi commenteremo la
posizione keynesiana e neoricardiana. Dato che col presente capitolo si conclude la parte analitica
più importante del presente libro, alla fine si incorpora, come Appendice, uno studio teorico di una
serie di istituzioni finanziarie periferiche che sono estranee al settore bancario, e i cui diversi effetti
sul sistema economico siamo ora pienamente in grado di comprendere.
1) Introduzione
Sebbene la maggior parte dei libri di testo di economia e di storia del pensiero economico affermino
che la rivoluzione soggettivista iniziata da Carl Menger nel 1871 sia stata già pienamente assorbita
dalla moderna teoria economica, è certo che in grande misura queste dichiarazioni non sono altro
che mera retorica. La scienza economica è ancora molto influenzata dall’antico approccio
«oggettivista» della Scuola Classica che dominò l’economia sino alla rivoluzione marginalista. E
sono svariati e importanti i diversi ambiti della teoria economica che sinora sono rimasti in gran
parte sterili come conseguenza della imperfetta recezione e assimilazione della «concezione
soggettivista»1.
Forse uno degli ambiti più importanti dell’economia nel quale l’influenza della rivoluzione
marginalista e del soggettivismo ancora non si sia fatta notare è quella riferita alla moneta e a quella
parte della disciplina che in modo più o meno preciso si suole indicare con il nome di
«macroeconomia». Infatti, ad eccezione delle dottrine dei teorici della Scuola Austriaca, in generale
i cultori della macroeconomia, finora non sono stati capaci di ricondurre tutte le proprie teorie e
ragionamenti alla loro vera origine o punto di partenza: l’azione umana individuale. E,
concretamente, non hanno incluso nei loro modelli questa idea essenziale sviluppata da Menger,
secondo cui ogni azione implica una serie successiva di stadi che deve compiere nel tempo un
agente fino a raggiungere nel futuro il fine proposto. La teoria dei beni economici di diverso ordine
(beni economici di consumo o di «primo ordine» e beni economici di «ordine superiore»), nella
quale beni economici di ordine superiore si formano in una serie successiva di stadi sempre più
1
Possiamo menzionare, per esempio, la teoria neoclassica del socialismo che, sviluppata da teorici come Oskar Lange e
altri, pretese applicare il modello di equilibrio generale walrasiano per risolvere il problema del calcolo economico
socialista, ritenendosi per molti anni dalla maggioranza della professione che questo problema fosse stato risolto con
successo, finché recentemente si è reso evidente che tale credenza non era giustificata. Questo errore sarebbe stato
evidente se la maggioranza degli economisti avesse compreso fin dal principio il senso vero e la portata della
rivoluzione soggettivista e si fosse impregnata completamente di essa. Infatti, se tutti i desideri, le informazioni e le
conoscenze sono create e procedono dall’essere umano quando liberamente esercita la sua interazione con altri agenti
nel mercato, deve essere evidente che nella misura in cui lo si costringa sistematicamente (e in questa coazione
istituzionale consiste l’essenza del sistema socialista) il libero agire degli agenti economici, la sua capacità di creazione,
di scoperta di nuova informazione e di coordinamento della società si vedrà inficiata, diventando impossibile la scoperta
da parte degli attori dell’informazione pratica che è necessaria per coordinare la società e calcolare economicamente. Si
veda in tal senso Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit. cap. IV-VII,
pp157-411.
1
lontani dal consumo finale, fino ad arrivare allo stadio iniziale nel quale l’agente proietta e pianifica
tutto il proprio processo di azione, è questa l’idea economica più importante di Menger, sulla quale
si costruisce tutta la teoria del capitale e dei cicli che abbiamo presentato in questo libro. Si tratta,
insomma, di un concetto semplice e facile da comprendere, in quanto ogni essere umano, per il
semplice fatto di esserlo, comprende nella propia vita che questo concetto della azione umana
coincide con quella che giorno per giorno in pratica realizza in tutti i contesti nei quali attua.
Insomma, ciò che i teorici della Scuola Austriaca hanno conseguito è elaborare la teoria del
capitale, della moneta e dei cicli, che è implicita nella concezione soggettivista che rivoluzionò
l’economia nel 1871.
Tuttavia, la reazione contro il soggettivismo da parte dei modi arcaici di pensare è stata molto forte
e ancor oggi la si nota. In questo senso, non desta meraviglia, che uno degli autori più
rappresentativi di una delle due scuole «oggettiviste» che studieremo criticamente in questo
capitolo, Frank H. Knight, abbia affermato che, secondo lui, l’idea di Menger dei beni economici di
diverso ordine sia uno dei suoi apporti meno importanti e rilevanti per la scienza economica!2
In seguito studieremo in che misura i modi di pensare della Scuola Classica abbiano continuato a
prevalere nelle due scuole, quella monetarista e quella keynesiana, che finora si sono sviluppate
ignorando la rivoluzione soggettivista iniziata nel 1871. Inizieremo la nostra analisi spiegando gli
errori nel concetto di capitale proposto da J.B. Clark e F.H. Knight, per analizzare poi criticamente
la versione meccanicista della teoria quantitativa della moneta che utilizzano i monetaristi. Dopo
una breve digressione sulla scuola delle aspettative razionali, studieremo in che modo l’economia
keynesiana, oggi in crisi, condivida molti degli errori teorici della concezione macroeconomica
monetarista3.
In generale, la scuola neoclassica ha seguito una tradizione precedente alla rivoluzione soggettivista
e che considera un sistema produttivo nel quale i diversi fattori di produzione danno luogo, in modo
omogeneo e orizzontale, a beni e servizi di consumo, senza tenere minimamente in conto la
situazione di quelli nel tempo e nello spazio lungo una struttura di stadi della produzione di natura
temporale. Questo, con maggiori o minori sfumature, ha rappresentato il quadro di riferimento della
ricerca degli economisti classici da Adam Smith, Ricardo, Malthus, e Stuart Mill fino ad arrivare a
2
«Perhaps the most serious defect in Menger’s economic system is his view of production as a process of converting
goods of higher order to goods of lower order». Frank H. Knight, Introduzione alla prima edizione inglese del libro di
Carl Menger, pubblicata con il titolo Principles of Economics, tradotta da James Dingwall e Bert Hoselitz, Free Press of
Glencoe, Illinois, 1925, p.25(Traduzione italiana di quest’opera già citata).
3
Una buona prova che la rivoluzione soggettivista iniziata dalla Scuola Austriaca costituì il corpo più importante nello
sviluppo della Scienza Economica fino all’avvento della «controrivoluzione» neoclassico-keynesiana è rappresentata
dalle seguenti parole di John Hicks: «I have proclaimed the «Austrian» affiliation of my ideas; the tribute to Böhm-
Bawerk, and to his followers, is a tribute that I am proud to make. I am writing in their tradition; yet I have realized, as
my work has continued, that it is a wider and bigger tradition than at first appeared. The «Austrian» were not a peculiar
sect out of mainstream; they were in the mainstream; it was the others who were out of it.» John Hicks, Capital and
Time: A Neo-Austrian Theory, Clarendon Press, Oxford, 1973, p.12. E’ curioso osservare l’evoluzione scientifica di Sir
John Hicks, che iniziò fortemente influenzata dalla Scuola Austriaca con la prima edizione del suo libro The Theory of
Wages, Macmillan, Londra 1932 e i cui capitoli IX e XI sono molto influenzati da Hayek, Böhm-Bawerk, Robbins e
altri autori austriaci, i quali cita spesso (si vedano le pp. 190, 201, 215, 217 e 231). In seguito, Hicks si converte in uno
dei protagonisti più importanti della sintesi dottrinale fra la scuola neoclassico-walrasiana e la scuola keynesiana,
finché, nell’ultima tappa della sua carriera di economista, ritorna con un certo peso di coscienza alle sue origini
soggettiviste molto radicate nella Scuola Austriaca e che culminano con la sua ultima opera sulla teoria del capitale,
dalla quale abbiamo estratto la citazione all’inizio di questa nota. Ancor di più, se possibile, è la seguente affermazione
di John Hicks nel 1978: «I now rate Walras and Pareto, who were my first loves, much below Menger.» John Hicks,
«Is Interest the Price of a Factor of Production?», incluso in Time, Uncertainty and Disequilibrium: Exploration of
Austrian Themes, Mario J. Rizzo (ed.), Lexington Books, Massachusetts, 1979, p.63.
2
Marshall4, essendo, in ultima istanza, fatto proprio da John Bates Clark (1847-1938) professore di
economia all’Università di Columbia a Nuova York, la cui forte reazione antisoggettivista nel
campo della teoria del capitale e dell’interesse continua ad essere, al giorno d’oggi, la base su cui si
appoggia tutto l’edificio neoclassico monetarista5. Infatti, per Clark la produzione e il consumo
sono simultanei, senza che esistano stadi nel processo produttivo né la necessità di attendere del
tempo affinché si ottengano i corrispondenti risultati del processo di produzione. Clark considera
che il capitale è un fondo permanente che in modo «automatico» genera rendimenti in forma di
interesse. Per Clark, quanto maggiore sarà questo fondo sociale che costituisce il capitale, tanto
minore sarà il tasso di interesse, senza che quest’ultimo sia per nulla modificato dal fenomeno della
preferenza temporale.
E’ facile rendersi conto che la concezione del processo produttivo di Clark altro non è se non la
trasposizione nel campo della teoria del capitale della concezione dell’equilibrio generale di Walras.
Come è noto, Walras sviluppò una concezione dell’economia in equilibrio generale descritta
attraverso un sistema di equazioni simultanee che pretende spiegare la formazione dei prezzi di
mercato dei diversi beni e servizi. La principale carenza della modellizzazione di Walras è che in
essa si interrelazionano congiuntamente, attraverso un sistema di equazioni simultanee, grandezze
(variabili e parametri) che non sono simultanee, ma che si susseguono in modo sequenziale nel
tempo all’avanzare del processo produttivo mosso dalle azioni degli agenti che partecipano nel
sistema economico. Insomma, il modello di equilibrio generale di Walras è un modello strettamente
statico che non dà conto del trascorrere del tempo e che descrive in modo sincronizzato mutue
interrelazioni tra le diverse variabili e parametri che non sorgono mai in modo simultaneo nella vita
reale.
Come è logico, è impossibile spiegare i processi economici reali utilizzando una concezione
dell’economia carente di dimensione temporale e nella quale lo studio della generazione
4
Alfred Marshall è, senz’alcun dubbio, il principale responsabile del fatto che i teorici di entrambe le scuole,
monetarista e keynesiana, che sono i suoi eredi intellettuali, non abbiano potuto comprendere i processi attraverso cui
l’espansione creditizia e monetaria interessano la struttura produttiva. Infatti, Marshall non fu capace di integrare nel
mondo dell’economia anglosassone, e fino alle sue ultime conseguenze, la rivoluzione soggettivista iniziata da Carl
Menger nel 1871, impegnandosi al contrario ad elaborare una sintesi «decaffeinata» fra i nuovi apporti marginalista e il
contenuto della Scuola Classica anglosassone che ha segnato la Scienza Economica neoclassica fino ad oggi. Per tanto,
è curioso, mettere in risalto che, per Marshall, come per Knight, la distinzione soggettivista chiave tra beni economici di
primo ordine o beni di consumo e beni economici di ordine superiore «is vague and pehaps not of much practical use»
(Alfred Marshall, Priciples of Economics, Macmillan, VIII edizione, Londra 1972, p.54. Esiste una traduzione italiana
di quest’opera dal titolo: Principi di economia, a cura di Alberto Campolongo, Utet, Torino, 1972). Inoltre, Marshall,
non riuscì a sbarazzarsi dei modi arcaici e presoggettivisti di pensare secondo cui sono i costi che determinano i prezzi e
non viceversa. Infatti, per Marshall, sebbene l’utilità marginale fosse la responsabile della domanda dei beni, la loro
offerta, in ultima istanza, viene determinata da fattori «reali», senza rendersi conto che i costi non sono se non la
valutazione soggettiva che l’agente dà ai fini ai quali rinuncia nell’agire, per cui le due parti della sua famosa «forbice»
hanno la stessa essenza soggettivista basata sull’utilità (Murray N. Rothbard, Man, Economy and the State, op.cit., pp.
301-308). Nel consolidamento delle dottrine marshalliane hanno giocato un ruolo importante i problemi linguistici (le
opere dei teorici austriaci furono tradotte in inglese solo in modo parziale e tardivo), a parte l’evidente sciovinismo
intellettuale di molti economisti britannici. Ciò spiega perché la maggioranza degli economisti di influenza
anglosassone sia, non solo molto diffidente degli austriaci, ma si sia anche impegnata nel mantenere nei propri modelli
Marshall e, pertanto, Ricardo e il resto degli economisti classici (si veda, per esempio, la lettera di H.O. Meredith a John
Maynard Keynes datata 8 dicembre 1931 e pubblicata alle pp. 267-268 del vol. XIII di The Collected Writings of John
Maynard Keynes: The General Theory and After, Part I, Preparation, Donald Moggridge (ed.), Macmillan, Londra
1973). Si ricordino, inoltre, i commenti critici di Schumpeter su Marshall inclusi in Joseph A. Schumpeter, Historia del
análisis económico, versione spagnola di Manuel Sacristán, José A. García Durán e Narcís Serra, con un «Prologo» di
Fabian Estapé, 3° edizione, Editorial Ariel, Barcellona 1994, pp. 1004-1009.
5
I lavori più importanti di J.B. Clark sono i seguenti: «The Genesis of Capital», Yale Review, n.2, novembre 1893, pp.
302-315; «The Origin of Interest», The Quarterly Journal of Economics, n. 9, aprile 1895, pp. 257-278; The
Distribution of Wealth, Macmillan, Nuova York 1899, riedito da Augustus Kelley, Nuova York 1965; «Concerning the
Nature of Capital: A Reply», The Quarterly Journal of Economics, maggio 1907.
3
sequenziale dei processi è palesemente assente6. Risulta sorprendente che una teoria come quella
difesa da Clark sia stata, tuttavia, quella che in modo più generalizzato si sia radicata nella Scienza
Economica fino ai nostri giorni, entrando a far parte della maggioranza dei libri di testo introduttivi
che studiano i nostri alunni. Infatti, in quasi tutti essi si inizia spiegando il «flusso circolare del
reddito»7, nel quale si descrive l’interdipendenza che sussiste tra la produzione, il consumo e gli
scambi fra i diversi agenti economici (economie domestiche, imprese, ecc.) astraendo
completamente dal ruolo che svolge il tempo nel corso degli avvenimenti economici. Cioè, in
questo modello si suppone che tutto succede nello stesso tempo, ipotesi «semplificatrice» falsa e
carente di fondamento che, oltre ad impedire di dar risposta ai problemi rilevanti che hanno luogo
nell’economia reale, costituisce un ostacolo quasi irrimediabile affinché questi siano scoperti e
analizzati da parte degli studiosi della nostra scienza. Frutto di questa stessa concezione è che Clark
e i suoi seguaci considerino che l’interesse sia determinato dalla «produttività marginale» di questo
misterioso fondo omogeneo che essi considerano sia il capitale, chiarendosi ora perché concludano
che all’aumentare del capitale inteso come fondo, il tasso di interesse tenderà a ridursi8.
6
Forse il teorico che più brillantemente ha criticato i diversi tentativi di spiegare funzionalmente la teoria dei prezzi
tramite i modelli statici di equilibrio (generale o parziale) è stato Hans Mayer nel suo articolo «Der Erkenntniswert der
funktionellen Preistheorien», publicato in Die Wirtschaftstheorie der Gegenwart, Verlag von Julius Springer, Vienna
1932, vol. II, pp. 147-239b. Quest’articolo è stato recentemente tradotto in inglese da Israel M. Kirzner e pubblicato con
il titolo di «The Cognitive Value of Functional Theories of Price: Critical and Positive Investigations concerning the
Price Problem» cap. XVI di Classics in Austrian Economics: A Sampling in the History of Tradition, vol. II, The Inter-
War Period, William Pickering, Londra 1994, pp. 55-168. Hans Mayer conclude che «In essence, there is an immanent,
more or less disguised, fiction at the heart of mathematical equilibrium theories: that is, they bind together, in
simultaneous equations, non-simultaneous magnitudes operative in genetic-causal sequence as if these existed together
at the same time. A state of affairs is synchronized in the «static» approach, whereas in reality we are dealing with a
process. But one simply cannot consider a generative process «statically» as a state of rest, without eliminating
precisely that which makes it what it is.» Hans Mayer, op.cit. p. 92 dell’edizione inglese. In seguito Mayer rivide ed
espanse considerevolmente il suo saggio su richiesta di Gustavo Del Vecchio: Hans Mayer, «Il concetto di equilibrio
nella teoria economica», in Economia pura, Gustavo Del Vecchio (ed.), Nuova Collana di Economisti Stranieri e
Italiani, Unione Tipografica- Editrice Torinese, Torino 1937, pp. 645-799.
7
Un’esposizione standard del modello di flusso circolare del reddito e del suo tradizionale «organigramma» può
consultarsi, fra altri, in Paul A. Samuelson e William D. Nordhaus, Economía, 14° edizione, McGraw-Hill, Madrid
1993, p.508.
8
Sebbene non sia necessario prendere qui posizione sulla teoria dell’interesse che si consideri corretta difronte
all’analisi degli effetti che l’espansione creditizia ha sulla struttura produttiva, dobbiamo indicare, tuttavia, che le teorie
che basano l’interesse sulla produttività del capitale furono già confutate da Böhm-Bawerk. Infatti, per questo autore i
teorici che credono che l’interesse venga determinato dalla produttività marginale del capitale non possono spiegare fra
altri aspetti, perché la concorrenza fra i diversi imprenditori non fa sì che il valore dei beni di capitale tenda ad esser
identico a quello del suo corrispondente prodotto, per cui non resterebbe alcuna differenza di valore fra costi e prodotto
durante il periodo di produzione. Ed è che, come a ragione indica Böhm-Bawerk, le teorie basate sulla produttività non
sono altro che un residuo della concezione oggettivista del valore, secondo la quale essa verrebbe determinata dal costo
storico incorso nel processo produttivo dei diversi beni e servizi. Tuttavia sono i costi ad esser determinati dai prezzi e
non al contrario. Cioè, si incorre in costi perché gli agenti economici pensano che potranno ottenere un valore per i beni
di consumo che producono superiore a quelli. Lo stesso accade in relazione alla produttività marginale di ogni bene di
capitale, che viene determinata in ultima istanza dal valore futuro dei beni e servizi di consumo che esso contribuisca a
produrre, e che attraverso un processo di sconto, dà luogo al valore attuale di mercato del bene di capitale in questione.
L’interesse deve avere, pertanto, un’esistenza e una genesi autonome rispetto ai beni di capitale che si radica, come già
sappiamo, nelle valutazioni soggettive di preferenza intertemporale degli esseri umani. Infine, è facile comprendere
perché i teorici della scuola di Clark-Knight siano caduti nell’errore di considerare che il tasso di interesse venga
determinato dalla produttività marginale del capitale, dalla semplice osservazione che l’interesse e la produttività
marginale del capitale si uguagliano se si verificano le seguenti circostanze: 1) un contesto di equilibrio perfetto nel
quale non si verifichino cambiamenti; 2) una concezione del capitale come fondo mitico che si riproduce da solo,
senza necessità di prendere decisioni specifiche in quanto all’ammortamento dello stesso; e 3) una concezione della
produzione come processo istantaneo che non implica il tempo. Se si verificano queste tre circostanze, tanto assurde
come lontane dalla realtà, il rendimento del bene di capitale è sempre uguale al tasso di interesse. Si spiega adesso,
perfettamente, perché i teorici , imbevuti del concetto sincronico e instantaneo di capitale, si siano lasciati ingannare
dall’uguaglianza matematica tra rendimento e interesse che si verifica sotto tali ipotesi irrealistiche, e a partire di lì
abbiano fatto il salto teorico per affermare che è la produttività che determina il tasso di interesse (e non al contrario,
come indicano gli austriaci). Su tale argomento si deve consultare Eugen von Böhm-Bawerk, Capital and Interest, vol.
4
Dopo John Bates Clark, anche un altro economista americano, Irving Fisher, l’esponente di maggior
rilievo della versione meccanicista della teoria quantitativa della moneta, difese, nella sua opera,
The Nature of Capital and Income9, la tesi che il capitale sia un «fondo», allo stesso modo che il
reddito sia un «flusso», sostenendo con ciò il punto di vista marcatamente «macroeconomico» e di
equilibrio generale che aveva iniziato Clark.
Infine, la concezione oggettivista e statica del capitale di Clark fu difesa ugualmente da Frank H.
Knight (1885-1962), fondatore dell’attuale Scuola di Chicago. In effetti, Knight ritiene, seguendo
Clark, che il capitale sia un fondo permanente che produce reddito in modo automatico e
sincronico, e che il «processo» produttivo sia instantaneo e non sia costituito da diversi stadi di
dimensione temporale10.
Gli economisti della Scuola Austriaca in seguito reagirono contro una concezione del processo
produttivo così erronea e oggettivista come quella di Clark e Knight. Così, Böhm-Bawerk qualificò
come mistico e mitologico il concetto di capitale di Clark, indicando che ogni processo produttivo
giunge a termine non in conseguenza della partecipazione a un misterioso fondo omogeneo, ma
come risultato della cooperazione di beni di capitale concreti che devono sempre esser
precedentemente concepiti, prodotti, selezionati e combinati dagli imprenditori all’interno del
processo economico. Böhm-Bawerk afferma che, per Clark, il capitale è una specie di «value jelly»,
ossia concetto fittizio, e avverte con notevole premonizione che all’essere utilizzato darà luogo ad
errori fatali nello sviluppo futuro della teoria economica11.
I, cap.VII, pp. 73-122 (tradotto in spagnolo da Carlos Silva, Capital e Interés: historia y crítica de las teorías sobre el
interés, FCE, Messico 1986, pp.132-213); e, anche, l’articolo di Israel M. Kirzner «The Pure Time-Preference Theory
of Interest: An Attempt at Clarification», pubblicato come capitolo IV del libro The Meaning of Ludwig von Mises:
Contributions in Economics, Sociology, Epistemology and Political Philosophy, Geoffrey M. Herbener (ed.), Kluwer
Academics Publishers, Dordrecht, Olanda, 1993, pp. 166-192; riedito come saggio IV di Israel M. Kirzner, Essays on
Capital and Interest, op. cit. pp.134-153; e il libro di Frank Albert Fetter, Capital, Interest and Rent, Sheed Andrews &
McMeel, Kansas City 1977, pp.172-316.
9
Irving Fisher, The Nature of Capital and Income, Macmillan, Nuova York 1906, e anche il suo articolo «What is
Capital?», pubblicato in Economic Journal, n.6, dicembre 1896, pp. 509-534.
10
Un altro autore della Scuola di Chicago che fatto tutto il possibile per appoggiare la concezione mitica del capitale di
Clark e Knight è George J. Stigler. Infatti, Stigler, nella sua tesi dottorale (scritta, precisamente, sotto la supervisione di
Frank H. Knight nel 1938) attacca veementemente la concezione soggettivista di Menger, Jevons e Böhm-Bawerk. In
concreto, per Stigler, e riferendosi all’apporto seminale di Menger relativo ai beni di diverso ordine, «the
classificationof goods into ranks was in itself, however, of dubious value»; criticandolo per non aver sviluppato una
concezione del «processo» produttivo nella quale i beni di capitale forniscano «a perpetual stream of services
(income)». George J. Stigler, Production and Distribution Theories, Transaction Publishers, Londra 1994, pp. 138 e
157. Come è logico, Stigler conclude che «Clark’s theory of capital is fundamentally sound, in the writer’s opinion».
Stigler, op. cit. p. 314. Stigler non si accorge che nel mitico fondo di carattere astratto che si riproduce da solo non si dà
conto degli imprenditori, in quanto tutti gli avvenimenti economici si ripetono senza cambiamenti in modo ricorrente.
Tuttavia, nella vita reale, il capitale può continuare a mantenere la sua capacità riproduttiva solo ed esclusivamente
come risultato di azioni umane concrete soggette all’errore o successo imprenditoriale e relative al come, quando, dove
e in che cosa si investa, ammortizzi o consumi gli elementi specifici del complesso del capitale.
11
Eugen von Böhm-Bawerk, Professor’s «Clark’s Views on the Genesis of Capital», The Quarterly Journal of
Economics, IX, 1895, pp. 113-131, riprodotto alle pp. 131-143 di Classics in Austrian Economics, Israel M. Kirzner
(ed.), vol. I, op.cit. Böhm-Bawerk in concreto segnala con notevole prescienza che, se fosse prevalsa la visione statica
di Clark, sarebbe di nuovo sorte le dottrine del subconsumo da tempo rifiutate dagli economisti, come poi di fatto
sarebbe successo con il keynesismo, che affonda le sue radici nel neoclassico Marshall: «When one goes with Professor
Clark into such an account of the matter, the assertion that capital is not consumed is seen to be another inexact, shining
figure of speech, which must not be taken at all literally. Any one taking it literally falls into a total error, into which for
sooth, science has already fallen once. I refer to the familiar and at one time widely disseminated doctrine that saving is
a social evil and the class of spendthrifts a useful factor in social economy, because what is saved is not spent and so
producers cannot find a market» (ibidem, p.137). Mises, da parte sua, arriva esattamente alla stessa conclusione quando
critica Knight per le sue «chimerical notions such as «the self-perpetuating character» of useful things. In any event
their teachings are designed to provide a justification for the doctrine which blames oversaving and underconsumption
5
Successivamente a Böhm-Bawerk, un altro autore austriaco, Fritz Machlup, criticò energicamente la
teoria di Clark-Knight sul capitale concludendo che «there was and there is always choice between
maintaining, increasing, or consuming capital. Past and «present» experience tell us that the
decision in favour of consumption of capital is far from being impossible or improbable. Capital is
not necessarily perpetual.»12 E anche Hayek, rendendosi conto che la discussione fra le due
posizioni non è un puro bizantinismo, ma che in essa si scontrano l’essenza di due concezioni
dell’economia radicalmente incompatibili (quella soggettivista contro quella oggettivista basata
sull’equilibrio generale), criticò allo stesso modo la posizione di Clark e Knight, che considerò
basate sul seguente errore essenziale: «This basic mistake – if the substitution of a meaningless
statement for the solution of a problem can be called a mistake – is the idea of capital as a fund
which maintains itself automatically, and that, in consequence, once an amount of capital has been
brought into existence the necessity of reproducing it presents no economi problem.»13
Hayek insiste sul fatto che la discussione sulla natura del capitale non sia una semplice disputa
terminologica. Al contrario, mette in risalto che la mitica concezione del capitale come fondo che si
automantiene da sé, in un processo produttivo che non comporta tempo, impedisce che i teorici che
la difendano siano capaci di rendersi conto, in generale, di quali siano i problemi economici
rilevanti nella vita reale, e in particolare in che modo la struttura produttiva vari al cospetto di un
amento o decremento del risparmio volontario e venga modificata in conseguenza della espansione
creditizia. O, detto in altro modo, la concezione mitica del capitale impedisce che i suoi teorici
comprendano le intime relazioni che esistono tra il lato micro e il lato macro dell’economia, in
quanto la connessione tra i due è costituita esattamente dai piani temporali di imprenditori creativi
che, per definizione, sono eliminati dal modello walrasiano del sistema economico che Clark e
Knight incorporano nella loro teoria del capitale14.
for all that is unsatisfactory and recommends spending as a panacea.» Human Action, op. cit. p.848. Altre critiche di
Böhm-Bawerk a Clark si trovano, soprattutto, nei suoi lavori «Capital and Interest Once More», pubblicato in The
Quarterly Journal of Economics, novembre 1906 e febbraio 1907, specialmente alle pp. 269, 277, 280-282; «The
Nature of Capital: a Rejoinder», The Quarterly Journal of Economics, novembre 1907, così come nel suo Capital and
Interest già citato. D’altra parte, il fatto che il concetto di «periodo medio di produzione» di Böhm-Bawerk non fosse
adeguato – così come riconobbero tra altri gli stessi Menger, Mises e Hayek – non giustifica in alcun modo la
concezione mitica del capitale che Clark e Knight propongono. I teorici della Scuola Austriaca hanno segnalato
unanimemente lo «scivolone» commesso da Böhm-Bawerk nell’introdurre nella sua analisi il «periodo medio di
produzione», in quanto tutta la teoria del capitale può costruirsi, senza alcun problema, in modo prospettico, vale a dire,
tenendo conto dei periodi di tempo futuri che, in modo soggettivo, gli agenti considerano che le proprie azioni
dureranno. Infatti, come dice Hayek, «Professor Knight seems to hold that to expose the ambiguities and inconsistencies
involved in the notion of an average investment period serves to expel the idea of time altogether. But it is not so. In
general it is sufficient to say that the investment period of some factors has been lengthened, while those of all others
have remained unchanged.» F.A. Hayek, «The Mythology of Capital», The Quarterly Journal of Economics, febbraio
1936, p.206.
12
Fritz Machlup, «Professor Knight and the «Period of Production», pubblicato in Journal of Political economy, ottobre
1935, vol.43, n.5, p.580, riedito da Israel M. Kirzner (ed.), Classics in Austrian Economics, op. cit. vol. II, cap. 20, pp.
275-315. Questa citazione potrebbe tradursi nel seguente modo: «Esiste ed è sempre esistita la possibilità di scegliere
fra mantenere, aumentare o cunsumare il capitale. L’esperienza passata e presente ci dice che la decisione in favore del
consumo del capitale non è né impossibile né improbabile. Il capitale non è necessariamente perpetuo».
13
F.A. Hayek, «The Mythology of Capital», The Quarterly Journal of Economics, febbraio 1936, pp. 199-228. La
citazione l’abbiamo presa da p. 201 e potrebbe tradursi nel seguente modo: «Quest’errore di fondo – se sostituire la
soluzione di un problema con un’affermazione senza senso può denominarsi equivoco – è l’idea che il capitale sia un
fondo che si mantiene da sé in modo automatico, e che, di conseguenza, una volta che la quantità di capitale sia stata
prodotta, la necessità di riprodurla non presenti alcun problema economico». Alcuni anni dopo Hayek aggiunse che «I
am afraid with all due respect to Professor Knight, I cannot take his view seriously because I cannot attach any meaning
to his mystical «fund» and I shall not treat his view as a serious rival of the one here adopted», F.A. Hayek, The Pure
Theory of Capital, op. cit. p.94.
14
Le conseguenze negative per la teoria economia di astrarre dalla dimensione temporale e dagli stadi che comporta il
processo dell’azione furono messe in risalto da Hayek già nel 1928, quando affermava che «It becomes evident that the
customary abstraction from time does a degree of violence to the actual state of affairs which casts serious doubt on the
utility of the results thereby achieved.» F.A. Hayek, «Intertemporal Price Equilibrium and Movements in the Value of
Money», originalmente pubblicato in tedesco nel 1928, cap. IV, Money, Capital and Fluctuations, op.cit. p. 72.
6
Dopo Hayek, anche Ludwig von Mises si inserisce nella polemica criticando le «new chimerical
notions such as the «self-perpetuating character» of useful things»15. Mises, seguendo Böhm-
Bawerk16, segnala che queste concezioni, in ultima istanza, finiscono con l’essere utilizzate per
giustificare le dottrine basate sul mito del «subconsumo» e sul supposto «paradosso del risparmio»,
dando così fondamento teorico a misure di politica economica consistenti nel fomentare
l’incremento della spesa per il consumo a discapito del risparmio. Mises spiega che tutta la struttura
attuale dei beni di capitale esiste come conseguenza di decisioni imprenditoriali specifiche, prese
nel passato da persone concrete in carne ed ossa, che decisero, in alcune occasioni, di investire in
determinati beni di capitale, in altri casi, rimpiazzarli da altri o raggrupparli in modo distinto, e
incluso, in altri casi, di abbandonare o consumare i beni di capitale già prodotti. In modo che «we
are better off than earlier generations because we are equipped with the capital goods they have
accumulated for us»17. Sembra falso che, in questi tempi, sia ancora necessario ripetere principi
teorici così evidenti.
Infine, più recentemente, Israel M. Kirzner, nel suo libro An Essay on Capital, ha indicato che nella
concezione di Clark e Knight non si lascia alcuno spazio alle decisioni imprenditoriali che
assumono gli esseri umani nel processo produttivo. Non si considerano per nulla i diversi piani
degli individui riguardanti i possibili beni di capitale concreti che possono decidere di elaborare e
utilizzare nei loro processi produttivi. Insomma, nella concezione di Clark e Knight si stima che il
corso degli eventi fluisca «da solo», che il futuro sia qualcosa di oggettivo e dato che, più che «da
fare», è semplicemente di là «da venire» al margine delle decisioni microeconomiche degli agenti
individuali, che in tal modo si considerano predeterminate in modo inesorabile. E conclude che
nella concezione di Clark e Knight si ignora «the planned character of capital goods maintanance» ,
aggiungendo inoltre che essa suppone che si accetti la nozione che «the future will take care of
itself so long as the present sources of future output flows are appriopriately maintained. The
Knightian approach reflects perfectly the way in which this misleading and unhelpful notion of
«automaticity» has been developed into a fully articulated and self contained theory of capital»18.
Critica della versione meccanicista della teoria quantitativa nella scuola monetarista
I monetaristi non solo ignorano il fattore tempo e gli stadi della struttura produttiva dell’economia,
come abbiamo visto nella sezione precedente, ma inoltre hanno adottato una visione meccanicista
della teoria quantitativa della moneta, che basano su un’equazione che pretende dimostrare
l’esistenza di un nesso causale diretto tra la quantità totale di moneta in circolazione, il livello
generale dei prezzi e la produzione totale. Tale equazione è la seguente:
MV=PT
15
«Nuove concezioni chimeriche sul carattere auto-perpetuantesi delle cose utili». Ludwig von Mises, Human Action,
op.cit. p. 848.
16
Si veda la precedente nota 11.
17
«Stiamo meglio delle generazioni precedenti perché siamo dotati dei beni di capitale che queste accumularono per
noi.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit. p. 492.
18
«Il futuro si prenderà cura di sé stesso finché le fonti attuali dei flussi futuri si mantengano in modo appropriato.
L’approccio di Knight riflette alla perfezione il modo in cui questa erronea e inutile nozione di «automaticità» si è
sviluppata in una teoria del capitale totalmente articolata e completa.»Israel M. Kirzner, An Essay on Capital, op. ci.
P.63.
19
Questa è l’equazione dello scambio nella sua «versione transattiva», che può anche essere rappresentata, seguendo
Irving Fisher (The Purchasing Power of Money: Its Determination and Relation to Credit Interest and Crises [New
7
Supponendo che la «velocità di circolazione» della moneta sia relativamente costante nel tempo, e
che il prodotto nazionale lordo sia prossimo a quello che corrisponde a una situazione di «pieno
impiego», i monetaristi credono che nel lungo periodo la moneta sarà neutrale, per cui
un’espansione dell’offerta monetaria (M) tende ad aumentare proporzionalmente il corrispondente
livello generale dei prezzi. Vale a dire che, sebbene in termini nominali i diversi rendimenti dei
fattori e prezzi di produzione aumentino nella stessa percentuale dell’aumento dell’offerta
monetaria, in termini reali gli stessi restano inalterati nel tempo. Per i monetaristi, pertanto,
l’inflazione monetaria interessa in maniera uniforme e proporzionale tutti i settori dell’economia,
per cui non incide scompigliando o scoordinando gli stadi della struttura produttiva. Come si può
notare, il punto di vista monetarista è puramente macroeconomico e ignora gli effetti
microeconomici della crescita monetaria sulla struttura della produzione. In conclusione,
quest’approccio si deve, come abbiamo visto nella sezione anteriore, alla carenza di una teoria del
capitale che non elimini dall’analisi il fattore tempo.
Le difficoltà teoriche del monetarismo si appalesano nella posizione, fra altri, dell’economista
inglese R.G. Hawtrey, uno dei principali esponenti della scuola monetarista durante il primo terzo
del secolo. Infatti, Hawtrey, nella sua recensione al libro di Hayek Prices and Production, che
apparve nel 1931, manifestava la sua «incapacità» ad intendere tale libro. Questa affermazione di
Hawtrey può comprendersi solo tenendo presente che, come già sappiamo, la trattazione di Hayek
presuppone una teoria del capitale che manca ai monetaristi, carenza che impedisce loro di
intendere in che modo l’espansione creditizia interessi la struttura produttiva20. Inoltre, e
contrariamente ad ogni evidenza empirica, Hawtrey afferma che i primi sintomi di ogni depressione
compaiono in forma di diminuzione delle vendite nel settore dei beni finali di consumo, sorvolando
sul fatto che in precedenza si verifichi sempre una caduta di gran lunga superiore del prezzo dei
beni di capitale; di modo che le oscillazioni nei prezzi dei beni di consumo sono relativamente
piccole lungo il ciclo se le confrontiamo con quelle che si verificano in relazione ai beni di capitale
prodotti negli stadi più distanti dal consumo. Inoltre, e in coerenza con la sua posizione monetarista,
Hawtrey ritiene che l’espansione creditizia dia luogo a un eccesso di domanda monetaria
uniformemente distribuito allo stesso modo tra tutti i beni e servizi della società21.
York: Macmillan, 1911 and 1925], p. 48 nella nuova edizione del 1925. Esiste una traduzione di quest’opera contenuta
in Opere, a cura di Anna Pellanda, Utet, Torino, 1974) dissociando nel membro di sinistra l’offerta (M’) e velocità (V’)
della moneta corrispondenti ai depositi bancari:
MV+M’V’=PT
È stata anche proposta una «versione del reddito nazionale» per l’equazione dello scambio, in cui si considera che T è
una «misura reale» del reddito nazionale (per esempio, il Prodotto Nazionale Lordo «reale») che come si sa include solo
i beni e servizi di consumo e i prodotti finali (si veda, per esempio, Paul A. Samuelson e William D. Nordhaus,
Economia, 14a edizione della versione spagnola, op. cit., p. 376). Questa versione è specialmente criticabile, in quanto
lascia fuori dal suo computo tutti i prodotti degli stadi intermedi della struttura produttiva, e che sono anche oggetto di
scambio in unità di offerta monetaria M, riducendosi così a meno della metà, il vero importo reale di T su cui per
ipotesi incide MV.
Infine, la «versione dei saldi di tesoreria di Cambridge» è rappresentata nel modo seguente:
M=kPT
dove M è l’offerta monetaria (sebbene possa anche essere rappresentata come il volume desiderato di saldi di tesoreria)
e PT è una misura del reddito nazionale. Si veda Milton Friedman, «Quantity Theory of Money», The New Palgrave: A
Dictionary of Economics, op. cit., vol. 4, specialmentep.4-7.
20
Hatrey affermò, letteralmente, che il libro di Hayer era «so difficult and obscure that it is impossible to understand.»
Si veda R.G. Hawtrey, «Review of Hayek’s Prices and Production», Economica 12 (1932): 119–25. Hawtrey era un
funzionario del Tesoro inglese e un teorico monetarista che, negli anni Trenta, rivaleggiava con Keynes quanto a
reputazione e influenza sulla politica economica del governo. Lo sconcerto che la teoria austriaca del ciclo genera nei
monetaristi continua fino ai nostri giorni. Così, recentemente, Alan Meltzer è ritornato a ripetere la boutade di Hawtrey,
quando riferendosi al libro di Hayek, Prices and Production, ha detto che: The book is obscure and incomprehensible.
Fortunately for all of us, and for political economy and social science, Hayek did not spend his life trying to explain
what Prices and Production tried to do. (Allan Meltzer, «Comments on Centi and O’Driscoll, » manuscript presented at
the General Meeting of the Mont Pèlerin Society, Cannes, France, September 25–30, 1994, p. 1).
21
R.G. Hawtrey Capital and Employment (London: Longmans Green, 1937), p. 250. Le critiche puntuali di Hayek a
Hawtrey si trovano nella sua rassegna del libro di Hawtrey Great Depression and the Way Out, in Economica, n° 12,
8
Più di recente, anche altri teorici monetaristi hanno evidenziato la loro carenza di una adeguata
teoria del capitale e, quindi lo stesso sconcerto, di Hawtrey dinanzi a studi che analizzano gli effetti
che l’espansione monetaria ha sulla struttura produttiva. Ad esempio, Milton Friedman e Anna J.
Schwartz, riferendosi ai possibili effetti della moneta sulla struttura produttiva, considerano che «we
have little confidence in our knowledge of the transmission mechanism, except in such broad and
vague terms as to constitute little more than an impressionistic representation rather than an
engineering blueprint»22. Inoltre, sorprendentemente, questi autori sostengono che non esiste alcuna
evidenza empirica che sostenga la tesi che l’espansione creditizia interessi in modo diseguale la
struttura produttiva, ignorando, per tanto non solo, l’analisi teorica già presentata in questo libro, ma
anche i diversi studi empirici che abbiamo passato in rassegna nel capitolo precedente e che, d’altra
parte, coincidono grosso modo, nei suoi tratti tipici di natura empirica, con quelli che si sono
osservati di volta in volta in tutti i cicli dacché essi iniziarono storicamente.
Friedrich A. Hayek ha sostenuto che la sua principale obiezione alla teoria monetarista è che, «data
la sua indole macroeconomica, si concentra solo sul livello generale dei prezzi e soffre di
un’incapacità di fondo a scoprire gli effetti che un’espansione dei mezzi di pagamento disponibili
produce sulla struttura relativa dei prezzi. Non tiene conto, pertanto, delle conseguenze più gravi del
processo inflazionistico: il cattivo investimento delle risorse e la generazione della corrispondente
disoccupazione.»23
E’ evidente perché una teoria come quella dei monetaristi, costruita in termini strettamente
macroeconomici, e senza un’analisi delle realtà microeconomiche sottostanti, si veda costretta a
trascurare non solo gli effetti che l’espansione creditizia ha sulla struttura produttiva, ma, in
generale, il modo in cui le variazioni nel «livello generale dei prezzi» interessano la struttura dei
prezzi relativi.24 Questa incapacità di apprezzare in che modo le variazioni nel credito più che
produrre aumenti o diminuzioni di un «livello generale dei prezzi», costituiscano una rivoluzione
1932, p.126-127. Inoltre, in questo stesso anno Hayek, nel suo articolo su «Il destino del Gold Standard» («Das Schiksal
der Goldwährung», pubblicato su Deutsche Volkswirt 20 (Febbraio 1932): 642–45, e no. 21, pp. 677–81; traduzione
inglese resa come «The Fate of the Gold Standard», capitolo 5 di Money, Capital and Fluctuations, pp. 118–35), criticò
duramente Hawtrey perché era, insieme a Keynes, uno dei principali difensori e artefici del programma di
stabilizzazione dell’unità monetaria che, basandosi sull’espansione creditizia e in un contesto di un aumento della
produttività, secondo Hayek dovrebbe generare ineludibilmente un «discoordinamento» della struttura produttiva e
un’importante recessione. Hayek conclude che: «Mr. Hawtrey seems to be one of the stabilization theorists referred to
above, to whose influence the willingness of the managements of the central banks to depart more than ever before from
the policy rules traditionally followed by such banks can be attributed». (Hayek, Money, Capital and Fluctations, p.
120).
22
Si veda Milton Friedman, The Optimum Quantity of Money and Other Essays (Chicago: Aldine, 1979), p. 222, and
the book by Milton Friedman e Anna J. Schwartz, Monetary Trends in the United States and United Kingdom:
Their Relation to Income, Prices and Interest Rates, 1867–1975 (Chicago: University of Chicago Press, 1982),
specialmente pp. 26–27 e 30–31. La citazione del testo potrebbe tradursi così: «abbiamo poca fiducia nella nostra
conoscenza del meccanismo di trasmissione, eccetto in termini così vaghi e ampi da costituire poco più di una
rappresentazione impressionistica invece di un vero piano di ingegneria». Il riferimento all’«ingegneria» e al
«meccanismo di trasmissione» denota la forte inclinazione scientista di questi due autori.
23
F.A. Hayek, Inflazione o Pieno Impiego?, op.cit. pp.68-69 (ed. spagnola). Nella stesso senso si espresse Fritz
Machlup poco prima di morire, quando affermò che: I don’t know why a man as intelligent as Milton Friedman doesn’t
give more emphasis to relative prices, relative costs, even in an inflationary period. (Joseph T. Salerno e Richard M.
Ebeling, «An Interview with Professor Fritz Machlup», Austrian Economics Newsletter 3, no. 1, estate, 1980, 12).
24
The main fault of the old quantity theory as well as the mathematical economists’ equation of exchange is that they
have ignored this fundamental issue. Changes in the supply of money must bring about changes in other data too. The
market system before and after the inflow or outflow of a quantity of money is not merely changed in that the cash
holdings of the individuals and prices have increased or decreased. There have been effected also changes in the
reciprocal exchange ratios between the various commodities and services which, if one wants to resort to metaphors, are
more adequately described by the image of price revolution than by the misleading figure of an elevation or sinking of
the «price level» (Mises, Human Action, p. 413). Il traduttore dell’edizione spagnola de L’Azione Umana, Joaquín Reig
Albiol, ha utilizzato molto opportunamente la seguente metafora in un contesto di critica dell’equazione dello scambio
monetarista: «Non si tratta di una marea, che inesorabilmente sale o scende, ma di un terremoto che scovolge tutti i
prezzi», Ludwig von Mises, L’Azione Umana, 5a edizione, Unión Editorial, Madrid 1995, nota del traduttore p.1049.
9
che interessa tutti i prezzi relativi, generando, eventualmente, la crisi e la recessione, è ciò che
indusse l’economista nordamericano Benjamin M. Anderson a sostenere che il principale difetto
della teoria quantitativa della moneta è che, semplicemente, nasconde al ricercatore i fenomeni
sottostanti di natura microeconomica che sono coinvolti in conseguenza delle variazioni del livello
generale dei prezzi. Infatti, con la formula di scambio della teoria quantitativa della moneta che
abbiamo esposto, i monetaristi si considerano soddisfatti, ritenendo che tutti i problemi rilevanti
ricevano un adeguato trattamento, e che non sia necessatrio effettuare ulteriori analisi di tipo
microeconomico25.
Si comprende ora perché i teorici monetaristi manchino di un’adeguata teoria del ciclo economico e
considerino che le crisi e le depressioni siano dovute solo a una «contrazione monetaria», diagnosi
ingenua e superficiale che confonde la causa con l’effetto, in quanto, come già sappiamo, le crisi
economiche sono il risultato della distorsione generata precedentemente dall’espansione creditizia e
dall’inflazione sulla struttura produttiva, lungo un processo complesso che in seguito si manifesta in
forma di crisi, contrazione di tipo monetario e recessione. Attribuire le crisi a una contrazione
monetaria è così erroneo come attribuire il morbillo alla febbre e all’eruzione cutanea che esso
produce, e si può comprendere che si mantenga questa spiegazione dei cicli solo a causa della
metodologia scientista, ultraempirica e carente della teoria intertemporale del capitale che è propria
della macroeconomia monetarista26.
Inoltre, i teorici monetaristi non solo sono incapaci di spiegare le recessioni economiche, salvo far
ricorso agli effetti della contrazione monetaria, ma non hanno potuto presentare nessun argomento
teorico valido contro la teoria austriaca del ciclo economico: la hanno semplicemente ignorata o,
come Friedman, l’hanno menzionata solo di sfuggita, sostenendo senza fondamento che mancava di
una base «empirica». E così, di recente, David Laidler nel commentare criticamente la teoria
austriaca del ciclo, non ha saputo far altro che ricorrere ai vecchi e logori argomenti keynesiani
basati su supposti effetti positivi della domanda effettiva sul reddito reale. Di modo che un aumento
della domanda effettiva poteva dar luogo in ultima istanza a un aumento del reddito e, pertanto,
ipoteticamente, del risparmio, grazie al quale un allargamento artificiale basato su un’espansione
creditizia poteva mantenersi in forma continua, senza che il processo di cattiva allocazione delle
risorse dovesse necessariamente invertirsi in una recessione.27 L’errore fondamentale
dell’argomento di Laidlerfu già chiaramente esposto da Hayek nel 1941, quando spiegò che l’unica
possibilità che i processi produttivi finanziati da espansione creditizia potessero sostenersi senza che
si producesse una recessione consisteva nel fatto che la totalità del nuovo reddito monetario creato
dalle banche e utilizzato per finanziare tali processi fosse, in ultima istanza, integralmente
25
«The formula of the quantity theorists is a monotonous ‘tic-tat-toe’ —money, credit, and prices. With this explanation
the problem was solved and further research and further investigation were unnecessary, and consequently stopped—
for those who believed in this theory. It is one of the great vices of the quantity theory of money that it tends to check
investigation for underlying factors in a business situation.» Concludendo Anderson che: «The quantity theory of
money is invalid... We cannot accept a predominantly monetary general theory either for the level of commodity prices
or for the movements of the business cycle.» Benjamin M. Anderson, Economics and the Public Welfare, op. cit., p. 70
71.
26
Così, fra gli spagnoli, il professore Pedro Schwartz ha messo in rilievo che: «Non esiste una teoria dei cicli definitiva:
è un fenomeno che non riusciamo a comprendere. Tuttavia col denaro che diventava elastico e le espansioni e recessioni
che ci lasciavano senza parole, si comprenderà che noi macroeconomisti acquisissimo una cattiva fama». Pedro
Schwartz, «Macro y Micro», Cinco Días, Madrid, 12 aprile 1993, p. 3. È lamentevole che i monetaristi siano
disorientati quanto agli effetti che il carattere «elastico» del credito ha sull’economia reale, e continuino a ignorare che
disponiamo di una teoria, la teoria austriaca dei cicli economici, che non solo integra gli aspetti «micro» e «macro»
dell’economia, ma spiega pure in che modo l’espansione del credito, che ha la sua origine nel sistema bancario con
riserva frazionaria, dà luogo ineludibilmente a una cattiva assegnazione generalizzata delle risorse in termini
microeconomici, che necessariamente finisce col generare, come già sappiamo, una recessione macroeconomica.
27
«It is now a commonplace that, if saving depends upon real income, and if the latter is free to vary, then variations in
the rate of investment induced by credit creation, among other factors, will bring about changes in the level of real
income and therefore the rate of voluntary saving as an integral part of the mechanisms that re-equilibrate intertemporal
choices.» Si veda David Laidler, «Hayek on Neutral Money and the Cycle», pubblicato in Money and Business Cycles:
The Economics of F.A Hayek, M. Colonna e H. Hagemann (ed.), op. cit., vol. I, p. 19.
10
risparmiata in modo volontario dagli agenti economici. Pertanto, la teoria austriaca del ciclo,
affinché questo si produca, esige soltanto che almeno una parte del nuovo reddito monetario,
appena creata dalle banche sotto forma di crediti e che giunge alla struttura produttiva, sia spesa
sotto forma di beni e servizi di consumo dai proprietari dei fattori originari di produzione e dei beni
di capitale. E’ necessario, dunque, che tale frazione, come è più normale, venga consumata, affinché
inizino in modo spontaneo i processi microeconomici già analizzati e che conducono
irrimediabilmente alla crisi e alla recessione. Con parole dello stesso Hayek: «All that is required to
make our analysis applicable is that, when incomes are increased by investment, the share of the
additional income spent on consumers’ goods during any period of time should be larger than the
proportion by which the new investment adds to the output of consumers’ goods during the same
period of time. And there is of course no reason to expect that more than a fraction of the new
income, and certainly not as much as has been newly invested, will be saved, because this would
mean that practically all the income earned from the new investment would have to be saved.»28
E’ curioso constatare che uno dei maggiori teorici monetaristi contemporanei, David Laidler, si
vede costretto a ricorrere ad argomenti di stampo keynesiano per cercare, infruttuosamente, di
criticare la teoria austriaca del ciclo economico. Tuttavia, lo stesso autore correttamente riconosce
che, dal punto di vista della teoria austriaca, le differenze tra monetaristi e keynesiani sono più
apparenti, e di dettaglio, che reali, in quanto la metodologia «macroeconomica» che entrambi
utilizzano nelle loro analisi è molto simile.29
Le precedenti considerazioni sui monetaristi (carenza di una teoria del capitale e uso di una
concezione macroeconomica che nasconde i problemi di reale interesse) devono esser completate
con una critica all’equazione o relazione di scambio, MV=PT, sulla quale essi si basano da che fu
proposta da Irving Fisher nella sua opera The Purchasing Power of Money.30 E’ evidente che questa
28
Cioè, nel Grafico V-6, dove in modo ombreggiato abbiamo raccolto la parte della struttura produttiva che si allungava
e allargava in conseguenza dell’espansione creditizia, sarebbe necessario che gli agenti economici risparmiassero la
totalità del reddito monetario equivalente a tale aerea ombreggiata, cosa che come si può comprendere, è quasi
impossibile che accada in alcun caso reale. La citazione in inglese potrebbe esser tradotta così: «L’unica cosa che si
richiede per poter applicare la nostra analisi è che, quando i redditi aumentano a causa dell’investimento, la quota di
reddito addizionale spesa in beni di consumo in ogni periodo di tempo dovrebbe essere maggiore della proporzione in
cui i nuovi investimenti fanno aumentare la proporzione dei beni di consumo durante lo stesso periodo di tempo. E,
naturalmente, non c’è alcun motivo per attendersi che più di una frazione del nuovo reddito, e certamente non così tanto
quanto il nuovo investimento, sarà risparmiata, in quanto ciò significherebbe praticamente che tutto il reddito
guadagnato dal nuovo investimento dovrebbe esser risparmiato.» Insomma, l’espansione creditizia produce uno
squilibrio nel comportamento dei diversi agenti produttivi, che si può rimediare solo se si produce un aumento del
risparmio volontario e una diminuzione degli investimenti artificialmente allungati dal credito, affinché gli uni e gli altri
possano di nuovo coordinarsi. Come ben indica Lachmann: «What the Austrian remedy —increasing voluntary
savings— amounts to is nothing but a change of data which will turn data which originally were purely imaginary —
entrepreneurs’ profit expectations induced by the low rate of interest— into real data.» Ludwig M. Lachmann, «On
Crisis and Adjustment», Review of Economics and Statistics, maggio 1939, p. 67.
29
David Laidler, The Golden Age of the Quantity Theory, Philip Allan, Nuova York 1991. In concreto, Laidler conclude
che: «I am suggesting, more generally, that there is far less difference between neoclassical and Keynesian attitudes to
policy intervention, particularly in the monetary area, than is commonly believed. The economists whose contributions I
have analyzed did not regard any particular set of monetary arrangements as sacrosanct. For most of them, the acid test
of any system was its capacity to deliver price level stability and hence, they believed, output and employment stability
too». Laidler aggiunge che: «The consequent adoption of Keynesian policy doctrines, too, was the natural product of
treating the choice of economic institutions as a political one, to be made on pragmatic grounds» (p. 198). Il libro di
Laidler è essenziale per conoscere l’evoluzione e il contenuto attuale delle teorie monetariste.
30
Irving Fisher, The Purchasing Power of Money, op. cit., specialmente le pp. 25 e ss dell’edizione del 1925. Mises,
con la sua abituale perspicacia, segnala come i difensori della teoria quantitativa della moneta abbiano arrecato ad essa
più danni dei suoi nemici.Ciò è dovuto al fatto che, in grande misura, essi siano caduti nella forma meccanicista
dell’equazione dello scambio che, nel migliore dei casi, esprime semplicemente una tautologia, cioè: le entrate e le
spese di tutte le transazioni devono essere uguali. Inoltre, i difensori dell’equazione dello scambio vorrebbero spiegare i
fenomeni economici in modo aggregato, sommando prezzi corrispondenti a beni e servizi che si scambiano in periodi
diversi di tempo e supponendo che il valore dell’unità monetaria venga determinato, fra altre cose, dalla «velocità» di
circolazione della moneta. Non si rendono conto che l’origine del valore della moneta si trova nelle valutazioni
soggettive degli esseri umani concernenti il loro desiderio di mantenere determinati saldi reali, e che, concentrandosi
11
«formula o equazione di scambio» non è altro che un semplice ideogramma che esprime in termini
abbastanza banali la relazione che sussiste tra la crescita dell’offerta monetaria e la diminuzione del
potere d’acquisto della moneta. Infatti, la «formula» ipotizzata, più che un’equazione, parte da
un’identità o tautologia che esprime il fatto che la totalità della moneta spesa nelle transazioni che
giungono a conclusione nel sistema economico durante un periodo di tempo deve essere identica
alla quantità di moneta introdotta in tali transazioni durante lo stesso periodo (MV=∑pt). Orbene,
successivamente si dà un salto nel vuoto nel considerare che il secondo membro può esser
rappresentato da PT, dove «T» è un assurdo «aggregato» che esige che si sommino quantità
eterogenee di beni e servizi scambiati durante un periodo di tempo, cosa che è impossibile da
realizzare in quanto non esiste la necessaria omogeneità tra di essi.31 Anche Mises ha criticato come
assurdo il concetto di «velocità della moneta», che si definisce solo come la variabile dipendente
dalle altre che è necessaria per mantenere l’identità della formula di scambio, e che manca di senso
economico nella misura in cui, per gli agenti economici individuali, è impossibile agire secondo le
indicazioni della formula citata.32
La mancanza, dunque, di senso matematico ed economico dell’equazione di scambio monetarista fa
sì che essa, al massimo, abbia il valore di un semplice ideogramma, che il Dizionario della Real
Academia Española definisce come «l’immagine convenzionale o simbolo che rappresenta un
essere o un’idea, ma non parole o frasi fisse che gli conferiscano significato».33 Ideogramma che
implica un indiscutibile fondo di verità, nella misura in cui esprime l’idea che le variazioni
nell’offerta monetaria finiscano con l’interessare il potere d’acquisto della moneta. Ma il cui uso,
come equazione ipoteticamente esplicativa dei processi economici, si è dimostrato altamente
pregiudizievole per il progresso della nostra scienza, impedendo l’analisi delle realtà
microeconomiche sottostanti, imponendo un’interpretazione meccanicista della relazione esistente
tra l’offerta monetaria e il livello generale dei prezzi e, infine, nascondendo i veri effetti di tipo
microeconomico che le variazioni monetarie hanno sulla struttura produttiva reale, implicando la
esclusivamente su concetti aggregati e medie come la velocità della moneta, induce a ritenere che questa adempia alla
sua funzione solo quando si effettuino transazioni e non quando rimanga «oziosa» sotto forma di saldi reali degli agenti
economici. Tuttavia, la domanda di moneta da parte degli agenti economici si compone sia di saldi reali in loro possesso
in ogni momento sia di quei saldi che in forma addizionale domandano quando effettuano una transazione. Di modo che
la moneta svolge la sua funzione in entrambi i casi, ed è sempre proprietà di qualcuno, cioè fa parte dei saldi reali di
qualche agente economico, indipendentemente dal fatto che che questi, in un periodo più o meno vicino, programmi di
aumentare o diminuire tale saldo. Infine, Mises segnala che un altro grande difetto dell’equazione dello scambio
consiste nell’occultamento degli effetti che le variazioni della quantità di moneta hanno sui prezzi relativi e in che modo
la nuova moneta arrivi al sistema economico in luoghi ben determinati, distorcendo la struttura produttiva e favorendo
certi agenti economici a danno del resto. Ludwig von Mises, «The Position of Money among Economic Goods»,
pubblicato originariamente in Die Wirtschaftstheorie der Gegenwart, Hans Mayer (ed.), vol. II, Julius Springer, Vienna
1932. Quest’articolo è stato tradotto in inglese da Albert H. Zlabinger e pubblicato nel libro Money, Method and the
Market Process: Essays by Ludwig von Mises, Richard M. Ebeling (ed.), Kluwer Academic Publishers, Dordrecht,
Olanda, 1990, pp. 55 y ss.
31
Murray N. Rothbard, da parte sua, sostiene che il «livello genrale dei prezzi», P, si calcola come media ponderata dei
prezzi dei beni la cui qualità e quantità varia nel corso del tempo e dello spazio, e nel cui denominatore si pretende di
incorporare, ugualmente, la somma di quantità eterogenee che vengono fissate in unità differenti (la produzione totale
dell’esercizio in termini «reali»). Il trattamento critico che Rothbard fa dell’equazione dello scambio dei monetaristi è
molto acuto e brillante e si trova in Man, Economy and State, op. cit., pp. 727-737.
32
«For individual economic agents, it is impossible to make use of the formula: total volume of transactions divided by
velocity of circulation.» Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 154. Il concetto di velocità
della moneta avrebbe senso solo se si volesse misurare il livello generale dei prezzi durante un determinato periodo di
tempo, la qual cosa è, sicuramente, assurda. Ciò aviene perché non ha senso considerare i prezzi di beni e servizi
durante un periodo, per esempio, di un anno, durante il quale sia la quantità sia la qualità dei beni e servizi prodotti,
come pure il potere di acquisto dell’unità di moneta, cambia. Il fatto è che dal punto di vista individuale i prezzi si
determinano in ogni transazione, con la consegna e la ricezione di una determinata quantità di moneta, senza necessità
di concepire in nessun modo una «velocità media di circolazione» della moneta. Allo stesso modo dal punto di vista
«sociale», al massimo, si potrebbe considerare un «livello generale dei prezzi» in un momento (e non in un periodo)
determinato, nel cui caso il concetto di «velocità della moneta» comunque non avrebbe senso.
33
Dizionario della Lingua Spagnola, Real Academia Española, 21.ª edizione, Madrid 1992, p. 804.
12
perniciosa idea della neutralità della moneta. E, tuttavia, già dal 1912, Ludwig von Mises dimostrò
che ogni aumento della quantità di moneta in circolazione dà luogo, per forza, a una variazione
nella struttura dei prezzi relativi di beni e servizi. Eccetto il caso ipotetico in cui la moneta fosse
distribuita proporzionalmente in parti uguali fra tutti gli agenti economici, e nella misura in cui
sempre si inietta nel sistema economico in modo sequenziale e in determinati luoghi concreti
(mediante la spesa pubblica, l’espansione creditizia, o la scoperta di nuovi giacimenti di oro in
alcuni luoghi), soltanto determinate persone riceveranno in primo luogo le nuove unità monetarie,
godendo pertanto della possibilità di comprare nuovi beni e servizi a prezzi ancora non interessati
dall’espansione monetaria. Si mette in moto in tal modo un processo di redistribuzione del reddito
in cui alcuni, quelli che ricevono per primi le unità monetarie, risultano favoriti a spese del resto
degli agenti economici, che vedono in che modo iniziano a salire i prezzi dei beni che acquistano,
senza che le unità monetarie di nuovo conio siano arrivate ai loro portafogli. Questo processo di
redistribuzione del reddito dà luogo inevitabilmente a una variazione della struttura e del peso delle
scale di valore dei diversi agenti economici che, per forza, deve tradursi in una variazione della
struttura di tutti i prezzi relativi della società, le cui caratteristiche speciali, se la crescita della
moneta ha la sua origine nell’espansione creditizia, già sono state studiate dettagliatamente nei
capitoli anteriori di questo libro.34
Quale politica consigliano i monetaristi per prevenire e contrastare le crisi e le recessioni
economiche? In generale si limitano a prescrivere e raccomandare politiche che unicamente ed
esclusivamente affrontano i sintomi delle crisi ma non le loro cause ultime. Vale a dire, la loro
ricetta è di incrementare la quantità di moneta in circolazione, inflazionando l’economia per
contrastare la contrazione monetaria che, in misura maggiore o minore, si produce sempre dopo la
crisi. Non si rendono conto che questa politica macroeconomica rende più difficile la liquidazione
dei progetti erroneamente intrapresi, prolungando la recessione e può concludersi in una fase di
recessione con inflazione (stagflation) che abbiamo già analizzato.35 Nel lungo periodo, come già
sappiamo, la concessione di nuovi crediti durante una crisi può ottenere soltanto, al massimo, di
posporre l’inevitabile arrivo della recessione, facendo sì che il successivo riaggiustamento divenga
ancor più grave. Come Hayek aveva già indicato in modo molto chiaro: «Any attempt to combat the
crisis by credit expansion will, therefore, not only be merely the treatment of symptoms as causes,
but may also prolong the depression by delaying the inevitable real adjustments.»36
Infine, neache la ricetta di alcuni monetaristi a favore di una regola costituzionale con una crescita
prefissata dell’offerta monetaria, che «garantisca» la stabilità monetaria e la crescita economica,
sarebbe in grado di impedire il sorgere delle crisi economiche se le nuove dosi di offerta monetaria
continuano ad iniettarsi nel sistema, in misura maggiore o minore, sotto forma di un’espansione
creditizia. Inoltre, come già sappiamo, ogni qual volta un aumento della produttività generale
34
Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 162 y ss. Mises conclude che: «The prices of
commodities after the rise of prices will not bear the same relation to each other as before its commencement; the
decrease in the purchasing power of money will not be uniform with regard to different economic goods» (p. 163).
Prima di Mises, Cantillon, Hume e Thornton, fra altri, misero già chiarissimamente in evidenza la stessa idea. Così, ad
esempio, si veda il saggio di Hume «Of Money» nei suoi Essays: Moral, Political and Literary, Liberty Classics,
Indianapolis 1985, p. 286 y ss.
35
Hans F. Sennholz, Money and Freedom, Libertarian Press, Spring Mills, Pennsylvania, 1985, pp. 38-39. Sennholz
spiega che Friedman non dispone di una vera teoria del ciclo, e il modo in cui tratta di occultare questa carenza
disegnando una politica che pretende semplicemente di uscire dalla recessione per via monetaria, senza spiegare come
si sia arrivati ad essa. Questo libro è stato tradotto in spagnolo e pubblicato nella rivista Libertas, n.º 7, ottobre 1987,
anno 4, pp. 3-77.
36
F.A. Hayek, «A Rejoinder to Mr. Keynes», Economica, vol. XI, n.º 34, novembre 1931, pp. 398-404. Riedito come
capitolo V di Friedrich A. Hayek: Critical Assessments, John Cunningham Wood and Ronald N. Woods (ed.),
Routledge, Londra e Nuova York 1991,vol. I, pp. 82-83; e anche in Contra Keynes and Cambridge: Essays,
Correspondence. The Collected Works of F.A. Hayek, op. cit., pp. 159-164 (pp. 179-184 dell’edizione spagnola del
1996). La traduzione di questa citazione è: «Ogni tentativo di combattere la crisi tramite l’espansione creditizia, si
rivelerà non solo un semplice trattamento dei sintomi invece delle cause, ma inoltre potrà anche prolungare la
depressione ritardando gli inevitabili aggiustamenti reali.»
13
dell’economia «esigesse» una maggiore espansione creditizia per mantenere stabile il potere di
acquisto della moneta, si scatenerebbero più gravemente tutti i processi che inesorabilmente
conducono agli errori di investimento e alla crisi, e che i teorici monetaristi sono incapaci di
comprendere per colpe delle evidenti carenze dello strumento analitico di tipo macroeconomico che
utilizzano.37
L’analisi che stiamo conducendo in questo libro serve, similmente, per criticare sia l’ipotesi delle
aspettative razionali sia altri apporti che si sono sviluppati all’interno della denominata «nuova
macroeconomia classica». Come è noto, secondo l’ipotesi delle aspettative razionali, gli agenti
economici tendono a realizzare previsioni corrette utilizzando adeguatamente tutta l’informazione
rilevante, così come la conoscenza scientifica disponibile grazie alla teoria economica. In accordo
con tale ipotesi, si sostiene che a lungo termine sono infruttuosi i tentativi dei governi di influire
sulla produzione e l’occupazione per mezzo delle politiche monetaria e fiscale. In tal modo, le
politiche tradizionali, nella misura in cui i loro effetti tendono ad esser previsti dagli agenti
economici, si dimostrano incapaci di alterare la produzione reale o l’occupazione.38
Tuttavia, tali sviluppi analitici della nuova macroeconomia classica soffrono di seri difetti di logica
economica. In primo luogo, è necessario considerare l’impossibilità che gli agenti economici
dispongano di tutta l’informazione rilevante, sia riguardo alle circostanze specifiche del ciclo in cui
vivono (conoscenza pratica), sia per quanto concerne la corretta teoria economica che spieghi il
corso degli eventi (conoscenza scientifica). Cio avviene non solo perché non esiste una completa
unanimità, né tanto meno, per ciò che concerne la teoria che spiega i cicli: sebbene, in accordo con
quanto sostenuto in questo libro, la spiegazione corretta sia quella della teoria austriaca del ciclo
economico, pur non essendo accettata unanimemente e in generale dalla comunità scientifica, non
c’è nessun motivo perché essa sia utilizzata come spiegazione adeguata dal resto degli agenti
economici.39 Inoltre, e per le stesse ragioni per le quali la teoria economica del socialismo ha
dimostrato che è impossibile che un ipotetico dittatore-scienziato benevolente potesse disporre di
tutta l’informazione pratica rilevante dei cittadini, è parimenti impossibile che ogni agente
economico possa disporre di tutta l’informazione pratica del resto dei suoi consimili nella società,
così come di tutta la conoscenza scientifica disponibile in ogni momento.40
D’altra parte, e questo è l’argomento più importante contro la teoria delle aspettative razionali,
anche ammettendo, solo per motivi dialettici, che gli agenti economici possano disporre di tutta
l’informazione rilevante, e fossero nel giusto quanto alla spiegazione teorica del ciclo (intendendo e
37
Si veda l’epigrafe 9 del capitolo VI de questo libro, dove abbiamo già discusso gli effetti perniciosi delle politiche di
stabilizzazione del potere di acquisto della moneta.
38
Una buona sintesi del processo di formazione di queste dottrine e della loro relazione con le altre scuole
macroeconomiche è stata pubblicata di recente in Spagna da Carlos Usabiaga Ibáñez e José María O’Kean Alonso con
il titolo di La nueva macroeconomía clásica: una aproximación metodológica al pensamiento económico, Ediciones
Pirámide, Madrid 1994.
39
Come ha messo bene in evidenza Leijonhufvud: «When theorists are not sure they understand, or cannot agree, it is
doubtful that they are entitled to the assumption that private sector agents understand and agree.» A. Leijonhufvud,
«What Would Keynes Have Thought of Rational Expectations?», UCLA Department of Economics Discussion Paper
No. 299, UCLA, Los Ángeles 1983, p. 5.
40
L’argomento, pertanto, è simile a quello che ho utilizzato nella mia opera Socialismo, cálculo económico y función
empresarial per spiegare l’impossibilità teorica del socialismo e che si basa sulla differenza radicale che esiste tra
informazione o conoscenza pratica (soggettiva) e informazione o conoscenza scientifica (oggettiva). I teorici delle
aspettative razionali commettono, pertanto, lo stesso errore dei teorici neoclassici che cercavano di mostrare la
possibilità del socialismo, solo che, invece di supporre che è lo scienziato o il dittatore colui che può ottenere tutta
l’informazione pratica rilevante di coloro che sono osservati, adesso i «nuovi macroeconomisti classici» partono
dall’ipotesi che siano gli stessi osservati coloro che possono ottenere tutta l’informazione rilevante, sia quella pratica del
resto degli agenti economici sia quella che si riferisce alle teorie scientifiche corrette sull’evoluzione del ciclo. Si veda
Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 52-54 y 87-110.
14
comprendendo essi tutti gli elementi essenziali della teoria della circolazione del credito), non è
corretta la conclusione dei teorici delle aspettative razionali, secondo cui le politiche fiscali e
monetarie sarebbero incapaci di produrre effetti reali. Ciò è così, in quanto pur disponendo di una
conoscenza «perfetta» di quello che accadrà, gli imprenditori non possono sottrarsi agli effetti di
una espansione creditizia, in quanto il loro desiderio di realizzare profitti li indurrà, inevitabilmente,
ad approfittare della nuova moneta messa in circolazione. Infatti, sebbene comprendano i pericoli
che comporta un’espansione della struttura produttiva non basata sul risparmio reale, possono
perfettamente ottenere nuovi profitti accettando i prestiti di nuova creazione e investendo in nuovi
progetti se sono capaci di tirarsi indietro tempestivamente dal processo, vendendo i nuovi beni di
capitale prodotti a prezzi alti senza che si produca la caduta del prezzo di mercato degli stessi che
caratterizza l’arrivo della crisi.41 Il fatto è che i profitti imprenditoriali si generano a partire da
conoscenze specifiche di tempo e luogo, e gli imprenditori possono scoprire molto bene l’esistenza
di importanti opportunità di profitto in ogni processo storico di espansione creditizia, a margine
della loro conoscenza teorica dei processi che danno luogo inesorabilmente alla depressione, e alla
quale possono legittimamente pensare di sottrarsi grazie alla loro migliore conoscenza circa il
momento in cui inizieranno a manifestarsi i sintomi recessivi. In un senso simile si pronunziano
Gerald P.O’Driscoll e Mario J. Rizzo, affermando che «though entrepreneurs understand this theory
at an abstract (or macro-) level, they cannot predict the exact features of the next cyclical expansion
and contraction. That is, they do not know how the unique aspects of one cyclical episode will
differ from the last such episode or from the «average» cycle. They lack the ability to make micro-
predictions, even though they can predict the general sequence of events that will occur. These
entrepreneurs have no reason to foreswear the temporary profits to be garnered in an inflationary
episode. In the end, of course, all profits, are purely temporary. And each individual investment
opportunity carries with it a risk. For one thing, other entrepreneurs will be quicker. Or so many
may have perceived an opportunity that there is a temporary excess supply at some point in the
future»42.
41
Le precedenti considerazioni giustificano il fatto che ci sembri un po’ esagerata la seguente osservazione di Ludwig
von Mises (si veda il suo articolo «Elastic Expectations in the Austrian Theory of the Trade Cycle», pubblicato in
Economica, agosto 1943, pp. 251-252): «The teachings of the monetary theory of the trade cycle are today so well
known even outside of the circle of economists, that the naive optimism which inspired the entrepreneurs in the boom
periods has given way to a greater scepticism. It may be that businessmen will in the future react to credit expansion in
another manner than they did in the past. It may be that they will avoid using for an expansion of their operations the
easy money available, because they will keep in mind the inevitable end of the boom. Some signs forebode such a
change. But it is too early to make a positive statement.»
Sebbene sia evidente che le aspettative «corrette» quanto all’evoluzione degli eventi faranno sì che questi si realizzino
prima e che «l’efficacia» dell’espansione creditizia sia minore di quello che sarebbe in altre circostanze, è certo che così
come abbiamo argomentato nel testo, anche con una conoscenza «perfetta» delle caretteristiche tipiche del ciclo, gli
imprenditori non possono rinunciare ai profitti che a breve termine l’espansione creditizia offre loro, specialmente se si
reputano capaci di prevedere il momento giusto per vendere in tempo i loro beni di capitale, evitando le corrispondenti
perdite. Lo stesso Mises, in un altro passo (Human Action, op. cit., p. 871) chiarisce che «what the individual
businessman needs in order to avoid losses is knowledge about the date of the turning point at a time when other
businessmen still believe that the crash is farther away than is really the case. Then his superior knowledge will give
him the opportunity to arrange his own operations in such a way as to come out unharmed. But if the end of the boom
could be calculated according to a formula, all businessmen would learn the date at the same time. Their endeavors to
adjust their conduct of affairs to this information would immediately result in the appearance of all the phenomena of
the depression. It would be to late for any of them to avoid being victimized. If it were possible to calculate the future
state of the market, the future would not be uncertain. There would be neither entrepreneurial loss nor profit. What
people expect from the economists is beyond the power of any mortal man» (i corsivi sono miei).
42
Gerald P. O’Driscoll e Mario J. Rizzo, The Economics of Time and Ignorance, 1.ª edizione, Basil Blackwell, Oxford
1985, 2.ª edizione, Routledge, Londra 1996, p. 222. Questa citazione potrebbe tradursi nel modo seguente: « Sebbene
gli imprenditori comprendano la teoria a un livello astratto o macro, non possono predire gli aspetti concreti e esatti del
prossimo ciclo di espansione e contrazione. Cioè, non sanno in che modo gli aspetti unici di un episodio ciclico
differiranno da quelli dell’ultimo episodio, o del ciclo normale. Non hanno l’abilità di fare micropredizioni, sebbene
siano capaci di predire la sequenza generale degli eventi che si verificheranno. Questi imprenditori non hanno alcun
motivo per rinunciare ai profitti temporali che possano conseguire da un episodio inflazionistico. Infine, quindi, tutti i
15
Inoltre, i teorici delle aspettative razionali continuano a non comprendere la teoria austriaca del
ciclo e mancano, similmente ai monetaristi, di un’adeguata teoria del capitale. Non comprendono,
in concreto, in che modo l’espansione creditizia interessi la struttura produttiva e come ciò conduca
necessariamente a una recessione, sebbene esistano aspettative perfette quanto al corso generale
degli eventi. Il punto è che gli imprenditori non possono smettere di esserlo rinunciando alla
possibilità di ottenere profitti nel breve periodo in un mercato in cui abbia avuto inizio un processo
espansivo, se, soggettivamente, ritengono di disporre di maggiore informazione (soggettiva) del
resto degli agenti economici, e si reputano capaci di ritirarsi dal processo prima che si generino
delle perdite. O, detto altrimenti, nessuno rinuncerà a ottenere moneta creata dal nulla, sapendo che
ciò dà luogo a una recessione, «A caval donato non si guarda in bocca», soprattutto se uno pensa di
disfarsi del cavallo prima che giunga l’ecatombe43.
Il ruolo delle aspettative durante i cicli è, d’altra parte, molto più delicato di quello che presentano i
teorici della nuova macroeconomia classica, come è stato posto in rilievo dalle trattazioni che Mises
e Hayek diedero della teoria austriaca del ciclo e che già abbiamo commentato nel precedente
capitolo VI. Infatti, Mises ha spiegato come, in molte occasioni, esista un certo lag temporale tra
l‘inizio dell’espansione creditizia e lo sviluppo delle aspettative concernenti i suoi effetti. E in ogni
caso, lo sviluppo di aspettative adeguate è solo in grado di accelerare i processi che scatenano la
crisi ed esigere, affinché la politica di creazione del credito possa continuare ad avere i propri effetti
espansivi, l’adozione di un ritmo progressivamente crescente di concessione di nuovi crediti.
Perciò, si può dire che, a parità di circostanze, a seconda di come gli agenti economici si siano
abituati a vivere in un ambiente istituzionale più stabile, l’espansione creditizia sarà più dannosa e
produrrà maggiori disequilibri negli stadi del processo produttivo (così come avvenne
nell’espansione degli Anni Venti precedenti la Grande Depressione). E similmente, ceteris paribus,
quanto più si siano abituati gli agenti economici all’espansione creditizia, maggiori saranno le dosi
di essa che sarà necessario iniettare nel sistema economico per generare un boom, senza che si
producano gli effetti di inversione che già conosciamo. (In ciò consiste l’unico fondo di verità che
può apprezzarsi nell’ipotesi delle aspettative razionali, o, secondo una felice espressione di Roger
W. Garrison, «the kernel of truth in the rational expectations hypothesis»44). Tuttavia, anche in
queste circostanze ci incontreremmo molto distanti dalle assunzioni stabilite dalle ipotesi delle
aspettative razionali, in quanto gli imprenditori non potranno mai evitare di approfittare
completamente delle opportunità immediate di profitto che genera la nuova creazione di moneta che
benefici sono puramente temporali. E ogni opportunità individuale di investimento comporta un rischio. Il fatto è che
altri imprenditori possono essere più rapidi. Oppure può essere che molti imprenditori abbiano percepito un’opportunità
che esista un eccesso temporale di offerta in qualche punto distante del futuro.»
Un’altra trattazione critica della teoria delle aspettative razionali si può trovare in Gerald P. O’Driscoll, «Rational
Expectations, Politics and Stagflation», cap. VII del libro Time, Uncertainty and Disequilibrium: Exploration of
Austrian Themes, Mario J. Rizzo (ed.), Lexington Books, Massachusetts, 1979, pp. 153-176. Roger W. Garrison più di
recente ha sostenuto, sulla stessa linea, che «feedback loops, multiple alternative for inputs, and multiple uses of
outputs... are complexities [that] preclude the hedging against crisis and downturn on a sufficiently widespread basis as
to actually nullify the process that would have led to the crisis. The idea that entrepreneurs know enough about their
respective positions to hedge against the central bank is simply not plausible. It all but denies the existence of an
economic problem that requires for its solution a market process.» Si veda Roger W. Garrison, «What about
Expectations?: A Challenge to Austrian Theory», articolo presentato nella seconda Austrian Scholars Conference,
Auburn University, 4-5 aprile 1997, manoscritto non pubblicato, p. 21, e anche Time and Money, op. cit., pp. 15-30. Sia
chiaro che la nostra posizione riguardo alle aspettative razionali è ancora più radicale di quella di O’Driscoll e Rizzo, in
quanto, come abbiamo sostenuto nei paragrafi precedenti, consideriamo che sebbene gli agenti economici conoscano
non solo la forma tipica del ciclo ma anche gli importi e i momenti concreti in cui si produrranno i cambiamenti più
importanti, continuerà ad interessare loro accettare la moneta di nuova creazione per poter approfittare del ventaglio di
opportunità di guadagni che sorgono in tutta la struttura di beni di capitale a seconda di come si sviluppi il processo di
mercato lungo i diversi stadi del ciclo.
43
Sulla possibilità di approfittare di una «bolla finanziaria» e uscirne per tempo, si veda Peter Temin e Hans-Joachim
Voth, «Riding de South Sea Bubble», The American Economic Review, vol. 94, n.º 5, dicembre 2004, pp. 1654-1668, e
specialmente la p. 1666
44
Roger W. Garrison, «What about Expectations?: A Challenge to the Austrian Theory», op. cit., p. 1.
16
si pone nelle loro mani, per cui, anche con aspettative «perfette», l’espansione creditizia produrrà
sempre effetti distorsivi sulla struttura produttiva45.
Insomma, ciò che i teorici delle aspettative razionali stanno considerando con le loro ipotesi è che la
moneta sia neutrale, dato che gli agenti tendono a prevedere perfettamente il corso degli eventi46.
Non si rendono conto che, come molto correttamente spiegò Mises, la nozione di moneta neutrale è
una contraddizione in termini: «The notion of a neutral money is no less contradictory than that of a
money of a stable purchasing power. Money without a driving force of its own would not, as people
assume, be a perfect money; it would not be money at all.»47 In tali circostanze, non desta
meraviglia che i teorici della nuova macroeconomia classica manchino, così come i propri
predecessori monetaristi, di un’adeguata teoria del ciclo, e siano in grado di spiegare quest’ultimo
solo in base a impredicibili e misteriosi shocks di tipo reale48, la cui regolare reiterazione e
apparizione con le stesse caratteristiche non sono, in ultima istanza, capaci di spiegare49.
45
«The crucial question devolves around the source of errors in cyclical episodes. In Hayek’s analysis, misallocations
and errors occur as economic actors respond to genuine price signals... Entrepreneurs are being offered a larger
command over the real resources in society; the concommittant changes in relative prices make investing in these real
resources genuinely profitable. There is surely nothing ‘irrational’ in entrepreneurs grasping real profit opportunities.»
Gerald P. O’Driscoll, «Rational Expectations, Politics and Stagflation», in Time, Uncertainty and Disequilibrium,
Mario J. Rizzo (ed.), ob. cit., p. 166.
46
Si veda la recente, puntuale e sintetica esposizione di Robert E. Lucas nel suo «Nobel Lecture: Monetary Neutrality»,
Journal of Political Economy, n.º 4, vol. 104, agosto 1996, pp. 661-682. Lucas ha spiegato i cicli come risultati reali di
shock monetari non anticipati dagli agenti economici e ciò ha indotto diversi autori a segnalare similitudini fra la Scuola
Austriaca e i teorici della Nuova Macroeconomia Classica. Tenendo conto che i macroeconomisti classici non
dispongono di una teoria del capitale, e che per gli austriaci il modello di equilibrio, l’agente rappresentativo
massimizzatore e gli aggregati che utilizzano i loro colleghi della nuova macroeconomia classica non sono realisti e/o
non hanno senso, si arriva facilmente alla conclusione che le «similitudini» sono più apparenti che reali. Si veda in tal
senso Richard Arena, «Hayek and Modern Business Cycle Theory», in Money and Business Cycles: The Economics of
F.A. Hayek, M. Colonna e H. Hagemann (ed.), op. cit., vol. I, cap. 10, pp. 203-217; e fra gli spagnoli, Carlos Usabiaga
Ibáñez y José María O’Kean Alonso, La nueva macroeconomía clásica, op. cit., pp. 140-144. Le profonde differenze tra
l’approccio austriaco e il paradigma neoclassico che costituisce il fondamento microeconomico di Lucas sono
analizzate in dettaglio in Jesús Huerta de Soto, «La Methodenstreit, o el enfoque austriaco frente al enfoque neoclásico
en la ciencia económica», op. cit.
47
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 418. La citazione potrebbe tradursi nel modo seguente: «La nozione di
moneta neutrale non è meno contraddittoria di quella di una moneta con potere d’acquisto stabile. La moneta senza una
forza impulsiva propria non sarebbe, come le persone credono, una moneta perfetta. Non sarebbe moneta in alcun
modo.» Bisogna insistere sul fatto che, nemmeno nel lungo termine, la moneta sia neutrale per gli austriaci, in quanto la
struttura produttiva che rimane nel lungo termine, dopo che si sono prodotti tutti i riequilibri indotti dall’espansione
creditizia, non ha nulla a che vedere con quella che si sarebbe formata in assenza di inflazione.
48
Così, per esempio, Finn E. Kydland e Edward C. Prescott, «Time to Build and Aggregate Fluctuations»,
Econometrica, n.º 50, novembre 1982, pp. 1345-1370; e anche «Business Cycles: Real Facts and Monetary Mith»,
Federal Reserve Bank of Minneapolis Quaterly Review, n.º 14, 1990, pp. 3-18; queste e altre spiegazioni del ciclo
economico non basate sugli effetti di espansione creditizia, devono riconoscere, per quanto solo implicitamente, che
essa è un elemento che interviene sempre e senza la quale non sarebbe possibile spiegare, in alcun modo, la crescita
sostentuta del boom espansivo. Si confronti Ludwig von Mises, «Gli errori delle spiegazioni non monetarie del ciclo
economico», L’azione umana, op. cit., pp. 556-561.
49
Inoltre, se i teorici delle aspettative razionali hanno ragione, e ogni attuazione economica del governo è «inutile», che
senso ha che si intraprendano di volta in volta delle politiche espansive? La risposta si trova negli effetti nel breve
periodo, apparentemente proficui, che finiscono sempre danneggiando l’economia nel medio e lungo termine.
17
punto di vista dell’analisi proposta in questo libro, e dunque della Scuola Austriaca di Economia,
sono notevoli le similitudini metodologiche e di approccio che esistono tra monetaristi e keynesiani.
Così in Keynes, come nei teorici della scuola monetarista, manca completamente una teoria del
capitale che gli consenta di comprendere la divisione in stadi produttivi dei processi economici e il
ruolo svolto in essi dal tempo. Similmente, e con riferimento alla sua teoria macroeconomica della
determinazione dei prezzi, questa si basa su concetti come il livello generale dei prezzi, quantità
globale di moneta in circolazione, e anche velocità di circolazione della moneta50. Tuttavia, ci sono
degli aspetti peculiari dell’analisi keynesiana che vale la pena commentare.
Innanzitutto, conviene ricordare che le conoscenze di economia di Keynes erano, certamente, molto
limitate. F.A. Hayek ha indicato che il suo bagaglio teorico si limitava quasi esclusivamente
all’economia di Alfred Marshall e che era incapace di comprendere libri di economia scritti in
lingua straniera (con eccezione, forse, dei libri in francese). Concretamente, Hayek ci dice che:
«Keynes was not a highly trained or very sophisticated economic theorist. He started from a rather
elementary Marshallism economics and what had been achieved by Walras and Pareto, the
Austrians and the Swedes was very much a closed book to him. I have reason to doubt whether he
ever fully mastered the theory of international trade; I don’t think he had ever thought
systematically on the theory of capital, and even in the theory of the value of money his starting
point—and later the object of his criticism—appears to have been a very simple, equation-of-
exchange-type of the quantity theory rather than the much more sophisticated cash-balances
approach of Alfred Marshall.»51 Queste carenza nella formazione, soprattutto con riferimento ai
libri scritti in tedesco, fu riconosciuta anche dallo stesso Keynes quando, riferendosi ai lavori di
Mises nel suo Treatise on Money, si vide costretto a riconoscere che non aveva potuto assimilare il
contenuto di essi come avrebbe desiderato a causa della sua scarsa conoscenza della lingua tedesca;
50
John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, Macmillan, Londra 1936 e 1970,
cap. XXI, pp. 292-309. John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, Macmillan,
Londra 1936 e 1970, cap. XXI, pp. 292-309. Esiste una traduzione in italiano di Alberto Campolongo, pubblicata con il
titolo di Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta da UTET, Torino, 1953, p. 263. Che per
Keynes la teoria macroeconomica dei prezzi non è che una variante della concezione monetarista è qualcosa di evidente
nella sua Teoria generale, nella quale esplicitamente afferma che «the Theory of Prices, that is to say, the analysis of the
relation between changes in the quantity of money and changes in the price-level with a view to determining the
elasticity of prices in response to changes in the quantity of money, must, therefore, direct itself to the five complicating
factors set forth above». John Maynard Keynes, The General Theory, op. cit., p. 296-297 (i corsivi sono miei). La
migliore trattazione moderna del pensiero keynesiano è quella di Roger Garrison (Time and Money, op. cit., cap. 7-9)
che dimostra come Keynes, in ultima istanza, non era altro che un socialista che non credeva nella capacità
coordinatrice del mercato nel campo dell’investimento. Lo stesso Keynes riconobbe questo fatto quando scrisse che le
sue teorie, in ogni caso, erano «more easily adapted to the conditions of a totalitarian state» (Collected Writings,
volumen VII, Macmillan, Londra 1973, p. xxvi). Questa affermazione compare nel prologo dell’edizione tedesca di La
teoria generale (scritto da Keynes il 7 settembre 1936) con le seguenti parole: «Trotzdem kann die Theorie der
Produktion als Ganzes, die den Zweck des folgenden Buches bildet, viel leichter den Verhältnissen eines totalen Staates
angepasst werden als die Theorie der Erzeugung und Verteilung einer gegebenen, unter Bedingungen des freien
Wettbewerbes und eines grossen Masses von Laissez-faire erstellten Produktion.» Si veda John Maynard Keynes,
Allgemeine Theorie der Beschäftigung, des Zinses und des Geldes, Dunker & Humblot, Berlíno 1936 e 1994, p. ix. Il
riconoscimento esplicito da parte di Keynes riguardo alla sua carenza di una adeguata teoria del capitale si può leggere
nella prossima nota 75.
51
F.A. Hayek, A Tiger by the Tail: A 40-Years’ Running Commentary on Keynesianism by Hayek, compilato ed edito
da Sudha R. Shenoy, The Institute of Economic Affairs, Londra 1972, p. 101. Questa citazione di Hayek potrebbe
tradursi nel seguente modo: «Keynes non era un economista teorico di alta formazione o molto sofisticato. Partì da una
conoscenza elementare dell’economia marshalliana e dai risultati di Walras e Pareto, gli austriaci e gli svedesi
rappresentavano grosso modo un libro chiuso per lui. Ho ragioni di dubitare che abbia mai compreso la teoria del
commercio internazionale. Non credo abbia mai riflettuto sistematicamente sulla teoria del capitale e anche in ciò che si
riferisce alla teoria della moneta, il suo punto di partenza, e successivamente oggetto di critica, sembra esser stata una
versione molto semplicistica dell’equazione di scambio della teoria quantitativa più che il punto di vista, molto più
raffinato, dei saldi reali di Alfred Marshall.»
18
aggiungendo che: «In German I can only clearly understand what I know already!—so that new
ideas are apt to be veiled from me by the difficulties of language.»52
La legge di Say
John Maynard Keynes inizia la sua Teoria Generale criticando la legge di Say come principio
essenziale sul quale si basa l’analisi classica. Tuttavia, Keynes ignora che l’analisi sviluppata dai
teorici della Scuola Austriaca (Mises e Hayek) aveva già messo in evidenza che i processi di
espansione creditizia e monetaria davano luogo, in ultima istanza, a una distorsione nella struttura
produttiva che temporaneamente squilibrava il sistema economico facendo sì che l’offerta di beni di
capitale e di beni e servizi di consumo non coincidesse con la domanda che di essi effettuavano gli
agenti economici53. Infatti, tutta la teoria austriaca del ciclo economico non è altro se non una
spiegazione del perché, in determinate circostanze, in modo ricorrente, e in conseguenza
dell’espansione creditizia, la legge di Say non si applica; spiegando parimenti come si producano
alcuni effetti spontanei di inversione che fanno sì che il sistema tenda di nuovo a coordinarsi
mediante il manifestarsi di una crisi e la necessaria recessione o riequilibrio del sistema produttivo.
Per questo Hayek, ricevendo dal suo autore una copia di La Teoria Generale, aveva già manifestato
a Keynes che, sebbene «I fully agree about the importance of the problem which you outline at the
beginning, I cannot agree that it has always been as completely neglected as you suggest»54.
Orbene, la comprensione del processo di disadattamento della struttura produttiva divenne possibile
solo grazie allo sviluppo della teoria del capitale da parte della Scuola Austriaca, che per la prima
volta, consentì quali erano i processi microeconomici grazie ai quali un aumento del risparmio si
materializzava in un allungamento ed allargamento della struttura produttiva di beni di capitale.
Non desta meraviglia, pertanto, che la carenza di un’elaborata teoria del capitale nella tradizione
marshalliana, insieme alla sua scarsa familiarità con gli apporti della Scuola Austriaca, inducesse
Keynes a criticare tutti gli economisti classici per aver supposto che «automaticamente l’offerta
creasse sempre la propria domanda». Infatti, per Keynes, i classici «are fallaciously supposing that
there is a nexus which unites decisions to abstain from present consumption with decisions to
provide for future consumption; . . . whereas the motives which determine the latter are not linked
in any simple way with the motives which determine the former.»55 Sebbene questa affermazione di
Keynes potesse giustificarsi con lo stato dell’economia neoclassico del suo tempo, non è in alcun
modo applicabile allo stato di sviluppo che aveva raggiunto la teoria austriaca del capitale e dei cicli
quando venne pubblicata La Teoria Generale. Keynes, pertanto, sbagliò nel qualificare Hayek come
52
John Maynard Keynes, A Treatise on Money, vol. I, The Pure Theory of Money, in The Collected Writings of John
Maynard Keynes, vol. V, Macmillan, Londra 1971, nota n.º 2 al piè di p. 178. « In tedesco posso comprendere
chiaramente solo ciò che già conosco! Le nuove idee mi restano velate dalle difficoltà della lingua». (Cfr. la p. 151
dell’edizione italiana di Feltrinelli). Haberler, nell’ultima cosa che pubblicò prima di morire, si riferì ironicamente alla
scarsa validità dei commenti critici nei confronti di Mises che Keynes scrisse nella sua recensione al libro Theorie des
Geldes und der Umlaufsmittel, pubblicato in The Economic Journal (settembre 1914), e riprodotto alle pp. 400-403 del
volume XI dei Collected Writings. Si confronti Gottfried Haberler, «Reviewing A Book Without Reading It», Austrian
Economics Newsletter, inverno 1995, n.º 8; e anche The Journal of Economic Perspectives, vol. 10, n.º 3, estate 1996, p.
188.
53
«Say’s law is violated in the short run by fiat credit inflation. Of course, the short run may take some time to work
itself out! True, the larger supply created by the fiat money also creates its own excessive demand, but it is the wrong
kind of demand in the case of a business credit expansion, an ephimeral demand which cannot last.» Mark Skousen, The
Structure of Production, op. cit., p. 325.
54
Lettera di F.A. Hayek a John Maynard Keynes datata 2 febbraio 1936 e pubblicata a p. 207 del vol. XXIX di The
Collected Writings of John Maynard Keynes: The General Theory and After: A Supplement, Macmillan, Londra 1979,
p. 207.
55
John Maynard Keynes, The General Theory, op. cit., p. 21. Gli economisti classici «suppongono erroneamente che vi
sia un nesso che unisca le decisioni di astenersi dal consumo presente con le decisioni di provvedere al consumo futuro;
laddove i motivi che determinano le seconde non sono affatto legati in modo semplice ai motivi che determinano le
prime». (p. 19 dell’edizione italiana).
19
autore «neoclassico»56, in quanto questi non solo proveniva da una tradizione soggettivista molto
diversa da quella neoclassica di Marshall, ma, inoltre, grazie allo sviluppo austriaco della teoria
soggettiva della moneta, del capitale e dei cicli, aveva già studiato e analizzato dettagliatamente
sotto quali condizioni la legge di Say perdesse la sua validità e il sistema economico uscisse
dall’equilibrio, in conseguenza delle aggressioni di carattere creditizio a cui era sottomesso.
Merita molta attenzione il modo in cui Keynes cerca di eliminare ogni ruolo del credito bancario
come fattore di perturbazione che possa interessare la relazione esistente tra risparmio e
investimento. Infatti, al tempo in cui Keynes pubblicò La Teoria Generale aveva già avuto bastanti
polemiche con Hayek per rendersi conto che l’argomento principale di questi era che l’estensione
espansiva del credito generava nel tempo una separazione nel lungo periodo insostenibile tra
l’investimento effettuato dagli imprenditori e il risparmio reale volontario della società. Se la teoria
di Hayek era vera, la teoria di Keynes crollava su di sé. Di qui la grande importanza per Keynes di
inficiare l’argomento hayekiano. Ma, tuttavia, gli argomenti keynesiani, essendo confusi e fallaci,
non furono in grado di confutare la teoria hayekiana. Analizziamoli uno alla volta.
Dunque, in primo luogo, Keynes afferma che il credito bancario «non possiede» effetti espansivi
sull’investimento aggregato, basandosi sul peregrino argomento contabile che le corrispondenti
posizioni creditizie e debitorie che esso genera «si cancellino mutuamente»: « We have, indeed, to
adjust for the creation and discharge of debts (including changes in the quantity of credit or money);
but since for the community as a whole the increase or decrease of the aggregate creditor position is
always exactly equal to the increase or decrease of the aggregate debtor position, this complication
also cancels out when we are dealing with aggregate investment»57. Tuttavia, quest’affermazione di
Keynes non è sufficiente ad occultare la grande influenza distorsiva che l’espansione creditizia ha
sull’investimento. Infatti, è certo che colui che riceve il prestito è debitore della banca per l’importo
del prestito e creditore per la quantità del deposito. Tuttavia, come indica B.M. Anderson, il debito
che ha contratto con la banca non è moneta, mentre il suo credito è una quantità di deposito a vista
che realmente è moneta (sostituto monetario perfetto). Quando colui che riceve il prestito decide di
spendere il suo importo per acquistare beni di capitale e servizi dei fattori produttivi, allora utilizza
la moneta, che la banca ha creato dal nulla, per aumentare l’investimento in una quantità che non
corrisponde a nessun aumento del risparmio volontario, e senza che ciò modifichi in nulla la
stabilità del suo debito con la banca58.
In secondo luogo, quando Keynes si rende conto che il suo «argomento contabile» è molto debole,
ne presenta un altro che è ancora più peregrino. Infatti, in accordo con Keynes, la creazione e la
concessione di nuovi crediti bancari non finanziano un nuovo investimento oltre il risparmio
volontario, in quanto la nuova moneta creata dalla banca che arriva nelle mani dei prestatari sarebbe
potuto esser stato utilizzato per l’acquisto di beni di consumo. Nella misura in cui non si utilizzi per
comprare beni e servizi di consumo, si produce una specie di «risparmio» implicito della nuova
moneta creata che, nell’essere investita, fa sì che l’importo di tale investimento coincida
esattamente con un risparmio «previo e genuino». Vediamo come Keynes spiega questo
«argomento» con le sue proprie parole: «The savings which result from this decision are just as
56
John Maynard Keynes, The General Theory and After, Parte II, Defence and Development, in The Collected Writings
of John Maynard Keynes, vol. XIV, Macmillan, Londra 1973, pp. 24 e 486, dove Keynes si riferisce a «recent figures
like Hayek, whom I should call ‘neoclassicals’» (p. 24) ed a «the neo-classical school of Professor Hayek and his
followers» (p. 486).
57
John Maynard Keynes, The General Theory, op. cit., p. 75 (I corsivi sono miei). «Dobbiamo tuttavia tener presenti la
creazione e l’estinzione di debiti (comprese le variazioni della quantità di credito o di moneta); ma siccome per la
collettività in totale l’aumento o la diminuzione della posizione creditrice complessiva è sempre esattamente uguale
all’aumento o alla posizione debitrice complessiva, anche questa complicazione viene ad annullarsi quando si tratta
dell’investimento complessivo». (p. 68 dell’edizione italiana citata).
58
B.M. Anderson, Economics and the Public Welfare, op. cit., p. 391.
20
genuine as any other savings. No one can be compelled to own the additional money corresponding
to the new bank-credit, unless he deliberately prefers to hold more money rather than some other
form of wealth»59. E’ evidente che Keynes pretenda di appoggiarsi sull’identità ex-post tra
risparmio e investimento per scongiurare gli effetti negativi che l’espansione creditizia ha
sull’investimento e la struttura produttiva60. Tuttavia, ogni risparmio presuppone una disciplina o
sacrificio rispetto al precedente consumo di beni e servizi, non una rinunzia al consumo potenziale
che potrebbe prodursi con le nuove unità monetarie create dal nulla per l’espansione creditizia. La
tesi contraria equivarrebbe a considerare che ogni aumento dell’offerta monetaria tramite
un’espansione creditizia fosse uguale a un «aumento del risparmio», cosa palesemente assurda61.
Tuttavia anche ammettendo a fini dialettici che si possa considerare che ogni investimento
finanziato con crediti di nuova creazione sia stato immediatamente e simultaneamente risparmiato,
ciò non cambia minimamente il fatto che se, quando la moneta di nuova creazione arriva al
portafoglio dei suoi possessori finali (lavoratori e proprietari dei beni di capitale e fattori originari di
produzione), questi decidono di consumarlo in beni e servizi di consumo in maggior o minor
misura, diventerà evidente di per sé che la struttura produttiva è a troppo alta intensità di capitale e
sorgerà una recessione. Il fatto è che nonostante i giochi dialettici di Keynes, questi è incapace di
negare l’evidenza che un’espansione artificiale del credito non garantisce che si possa costringere la
volontà degli agenti economici né obbligarli a seguire un comportamento (più favorevole al
risparmio e all’inversione) da quello che avrebbero seguito liberamente62. Inoltre, risulta
paradossale che Keynes insista sul fatto che il risparmio volontario non garantisca che si produca un
maggior investimento, ma che tuttavia affermi tranquillamente che ogni investimento certamente
presuppone un precedente risparmio. Se si ammette che gli agenti che risparmiano e investono non
sono gli stessi e che possano prodursi scoordinamenti tra le loro decisioni che impediscano
l’equilibrio, si dovrà per forza ammettere che un tale scoordinamento si possa verificare non solo da
parte del risparmio volontario (più risparmio volontario senza investimento) ma anche dal lato
dell’investimento (più investimento senza precedente risparmio). Il primo caso è quello
dell’aumento della domanda di moneta che, come abbiamo visto nel precedente capitolo, si
sovrappone agli effetti propri di ogni risparmio volontario (modificazione nella struttura dei prezzi
relativi che porta a un allargamento dei processi di investimento) con gli effetti derivanti
59
John Maynard Keynes, The General Theory, op. cit., p. 83. Questa citazione è tradotta nell’edizione italiana nella
seguente maniera: «Inoltre, i risparmi che risultano da questa decisione sono genuini precisamente quanto un qualsiasi
altro risparmio. Nessuno può essere costretto a possedere il denaro addizionale corrispondente al nuovo credito
bancario, a meno che preferisca deliberatamente possedere più denaro piuttosto che qualche altra forma di ricchezza».
(p. 74).
60
Benjamin M. Anderson, riferendosi a questa teoria di Keynes secondo cui l’espansione creditizia non dà luogo a una
sproporzione fra investimento e risparmio volontario, in quanto la nuova moneta investita potrebbe esser stata
consumata e, pertanto, è stata previamente «risparmiata», conclude che: «One must here protest against the dangerous
identification of bank expansion with savings, which is part of the Keynesian doctrine... This doctrine is particularly
dangerous today, when we find our vast increase in money and bank deposits growing out of war finance described as
‘savings’, just because somebody happens to hold them at a given moment of time. On this doctrine, the greater the
inflation, the greater the savings!» Benjamin M. Anderson, Economics and the Public Welfare, op. cit., p. 391-392.
61
Questo secondo argomento di Keynes è quello che in sostanza usa (senza citarlo expresamente) George Selgin per
fondare tutta la sua dottrina sull’equilibrio monetario, che avremo occasione di analizzare criticamente in dettaglio nel
capitolo successivo. Risulta, senza dubbio, paradossale che un economista di matrice austriaca come Selgin sia caduto
nella rete delle dottrine keynesiane per giustificare che l’espansione creditizia creata da un sistema di banca libera
sarebbe innocua per il sistema economico, e forse questo è la più palpabile dimostrazione che la vecchia scuola bancaria
si sia reincarnata oggigiorno nei teorici che, come Selgin, difendono una banca libera con riserva frazionaria. Si
confronti George A. Selgin, The Theory of Free Banking: Money Supply under Competitive Note Issue, Rowman &
Littlefield, Totowa, Nuova Jersey, 1988, specialmente le pp. 54-55.
62
Cioè, sebbene ex post ogni investimento sia stato risparmiato (I=S), ciò che Keynes ignora è che, da un punto di vista
microeconomico, le risorse risparmiate possono investirsi bene o male e che, di fatto, l’espansione creditizia, inducendo
in errore gli imprenditori rispetto al vero ritmo di risparmio volontario esistente, porta a che lo scarso risparmio della
società venga investito malamente in processi con una eccessiva intensità di capitale che non possono giungere a
termine né mantenersi in vita e che, pertanto, la impoveriscono (si ricordi ciò che diciamo alle pp. 297-300 del Capitolo
V).
21
dall’aumento del potere d’acquisto della moneta. Il secondo caso è quello che genera una struttura
produttiva artificiale che non può mantenersi indefinitamente, in quanto gli agenti economici non
sono disposti a risparmio a sufficienza, ed è ciò che spiega il sorgere della crisi e recessione dopo
un periodo di espansione creditizia63.
Il terzo ed ultimo argomento che Keynes presenta per cercare di neutralizzare la tesi austriaca sugli
effetti negativi dell’espansione creditizia è che questa, in ultima istanza, serve a finanziare un
aumento dell’investimento che dà luogo a un incremento del reddito che, pertanto, anche finirà con
aumentare il risparmio. In tal modo, secondo Keynes, è «impossibile» (!) che gli imprenditori
investano le risorse che hanno percepito sotto forma di prestiti a un ritmo più veloce di quello col
quale il pubblico decida di aumentare i propri risparmi. Vediamo come ragiona Keynes: «The
notion that the creation of credit by the banking system allows investment to take place to which
«no genuine saving» corresponds can only be the result of isolating one of the consequences of the
increased bank-credit to the exclusion of the others. If the grant of a bank credit to an entrepreneur
additional to the credits already existing allows him to make an addition to current investment
which would not have occurred otherwise, incomes will necessarily be increased and at a rate which
will normally exceed the rate of increased investment. Moreover, except in conditions of full
employment, there will be an increase of real income as well as of money-income. The public will
exercise a «free choice» as to the proportion in which they divide their increase of income between
saving and spending; and it is impossible that the intention of the entrepreneur who has borrowed
in order to increase investment can become effective . . . at a faster rate than the public decide to
increase their savings»64. E’ evidente come Keynes affermi che il ritmo dell’investimento sia
superiore a quello del risparmio, perché come abbiamo visto precedentemente, considera
tautologicamente che l’investimento e il risparmio sono sempre uguali, e ciò gli impedisce di
apprezzare l’effetto distorsivo che sulla struttura produttiva ha l’investimento finanziato con credito
di nuova creazione. Resterebbe, tuttavia, il dubbio se l’ipotetico aumento del reddito reale che
potesse esser causato da un aumento dell’investimento potrebbe generare o meno un aumento del
risparmio che rendesse possibile sostenere permanentemente i nuovi investimenti inizialmente
finanziati con l’espansione creditizia.
63
Jacques Rueff ha indicato che, in un’economia basata sul gold standard, un incremento nella domanda di moneta (o
del «tesoreggiamento»), lungi dall’avere l’effetto di generare disoccupazione, dirige, in accordo con lo stesso
funzionamento del sistema dei prezzi, una maggiore proporzione delle risorse produttive della società (lavoro,
equipaggiamento, capitale e fattori originari) verso l’estrazione, produzione e distribuzione di un maggior numero di
unità monetarie (oro), in quanto il mercato reagisce in modo spontaneo, come è naturale, al nuovo desiderio degli agenti
economici di disporre di maggiori saldi reali. Non è pertanto necessario che si instauri un programma di opere
pubbliche (per quanto, come ironizzava Keynes, si dedicasse a scavare e riempire le buche), in quanto in modo
spontaneo le risorse produttive della società sarebbero impiegate nello scavare le mine e estrarre oro, soddisfacendo con
ciò più efficientemente i desideri dei consumatori e agenti economici di disporre di saldi reali più elevati. È, dunque,
impossibile che si produca una situazione permanente di equilibrio con disoccupazione, che sia dovuta a un aumento
della preferenza per la liquidità. L’unica possibilità che si arrivi a una situazione di equilibrio con disoccupazione è
quella che emerge quando si instaura un mercato del lavoro rigido in cui venga impedito dalla forza coattiva dello stato,
dei sindacati od entrambi, la flessibilità dei salari e del resto delle condizioni dei contratti e mercati del lavoro. Si
confronti l’articolo di Jacques Rueff «The Fallacies of Lord Keynes’ General Theory», pubblicato in The Critics of
Keynesian Economics, Henry Hazlitt (ed.), Arlington House, Nuova York 1977, pp. 239-263, e specialmente la p. 244.
64
John Maynard Keynes, The General Theory, op. cit., p. 82-83 (i corsivi sono miei). La traduzione nell’edizione
italiana è la seguente: «L’opinione che la creazione di credito da parte delle banche permetta che abbia luogo un
investimento senza un corrispondente risparmio «genuino» può esser dovuta soltanto all’aver isolato una delle
conseguenze dell’aumento del credito bancario, escludendo le altre. Se la concessione di credito bancario a un
imprenditore, in aggiunta ai crediti già esistenti, lo mette in grado di apportare un aumento ai suoi investimenti correnti
che non si sarebbe verificato altrimenti, i redditi saranno necessariamente aumentati, e per un ammontare, per unità di
tempo, che di norma supererà la quota di aumento dell’investimento. Inoltre, tranne che in condizioni di piena
occupazione, si verificherà un aumento del reddito reale oltre che del reddito monetario. Il pubblico sarà libero di
scegliere la proporzione in cui ripartire l’aumento di reddito tra risparmio e spesa; ed è impossibile che l’intenzione
dell’imprenditore che ha preso denaro a prestito per accrescere gli investimenti si realizzi con maggiore rapidità di
quella con la quale il pubblico decida di aumentare i suoi risparmi». (pp. 74).
22
Tuttavia, ricordiamo come Hayek dimostrò che fosse praticamente impossibile che l’aumento del
reddito causato da un investimento finanziato con una nuova espansione creditizia potesse, in ultima
istanza, generare un risparmio volontario capace di sostenere l’investimento inizialmente intrapreso.
Infatti, se tale investimento potesse sostenersi con un ulteriore aumento del risparmio volontario
esigerebbe, come già abbiamo indicato anteriormente, che la totalità del reddito monetario derivato
da esso fosse, in ultima istanza, interamente risparmiato dagli agenti economici. Cioè, nel Grafico
V-6, ciò equivarrbbe a che la parte di reddito lordo ombreggiata che rappresenta l’allungamento e
allargamento della struttura produttiva artificialmente realizzati sulla base di nuovi crediti creati dal
nulla dalla banca, quando giungessero al portafoglio degli agenti economici, fosse interamente
risparmiata da questi. Come è logico, tale circostanza non si verificherà quasi mai, in quanto almeno
una parte (e in generale una parte relativamente importante) del nuovo reddito monetario creato
dalle banche sarà spesa in beni e servizi di consumo, il che, in accordo con la teoria che
dettagliatamente abbiamo esposto nei due capitoli anteriori, per forza farà sì che si invertano i nuovi
processi di investimento di origine monetario dando luogo alla comparsa della crisi e della
recessione. Con parole dello stesso Hayek: «So long as any part of the additional income thus
created is spent on consumers’ goods (i.e. unless all of it is saved), the prices of consumers’ goods
must rise permanently in relation to those of various kinds of input. And this, as will by now be
evident, cannot be lastingly without effect on the relative prices of the various kinds of input and on
the methods of production that will appear profitable». E in un altro punto della stessa opera, Hayek
conclude che: «All that is required to make our analysis applicable is that, when incomes are
increased by investment, the share of the additional income spent on consumers’ goods during any
period of time should be larger than the proportion by which the new investment adds to the output
of consumers’ goods during the same period of time. And there is of course no reason to expect that
more than a fraction of the new income [created by credit expansion], and certainly not as
much as has been newly invested, will be saved, because this would mean that practically all the
income earned from the new investment would have to be saved»65.
E’ certo, e si tratta di qualcosa che gli economisti austriaci e Mises in particolare avevano già messo
in evidenza dal 1928, che nel caso specifico che esistano in modo generalizzato risorse inutilizzate e
disoccupazione, il processo di allungamento della struttura produttiva finanziato a carico di nuovi
crediti potrà allungarsi senza che si producano gli effetti di inversione che abbiamo già studiato,
fino a quel momento in cui inizi a scarseggiare qualcuno dei fattori complementari del processo
produttivo66. Tuttavia, nel migliore dei casi, questo farebbe solo sì che la supposta teoria generale di
65
F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., pp. 378 e 394. La traduzione è la seguente: «Finché una qualsiasi
parte del reddito nazionale, creata in questo modo, si spenda in beni di consumo (o, ciò che è lo stesso, a meno che tutto
sia risparmiato), i prezzi dei beni di consumo devono aumentare permanentemente in relazione con quelli delle distinte
classi di input. E ciò, che adesso risulterà chiaro, non può persistere continuamente senza produrre effetti sui prezzi
relativi delle diverse classi di input e sui metodi di produzione che sembreranno allora come proficui» (p. 334);
«L’unica cosa che si richiede per rendere la nostra analisi corretta, è che, quando i redditi aumentano a causa
dell’investimento, la parte di reddito addizionale spesa in beni di consumo durante un qualsiasi periodo di tempo, sia
maggiore della proporzione in cui i nuovi investimenti facciano aumentare la produzione di beni di consumo durante lo
stesso periodo di tempo. E, naturalmente, non c’è motivo per attendersi che si risparmi più di una frazione del nuovo
reddito, e sicuramente non così tanto come è stato nuovamente investito, perché ciò significherebbe che, praticamente,
tutto il reddito ottenuto sarà stato risparmiato» (p. 345). Hayek nella nota a piè di pagina 395 dell’edizione originale
inglese The Pure Theory of Capital, ribadisce con maggiore forza la propria tesi dicendo che: «the essential thing... is
that we must always compare the result of investment embodied in concrete goods with the money expenditure on these
goods. It is never the investment which is going on at the same time as the saving, but the result of past investment, that
determines the supply of capital goods to which the monetary demand may or may not correspond.»
66
Ludwig von Mises, On the Manipulation of Money and Credit, op. cit., p. 125 (p. 49 dell’edizione originale tedesca di
Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik). Per Roger Garrison la vera teoria generale sarebbe quella degli austriaci
23
Keynes fosse, in ogni caso, una teoria specifica, applicabile soltanto a quelle circostanze specifiche
in cui, dato che esiste in modo generalizzato una capacità inutilizzata in tutti i settori dell’economia,
questa si incontrasse nelle fasi più profonde di una depressione. E anche in queste circostanze, come
già abbiamo visto nel capitolo anteriore l’espansione creditizia darebbe ugualmente luogo a un
cattivo investimento generalizzato delle risorse che si sovrapporrebbero agli errori commessi
precedentemente e ancora non liquidati, a causa della rigidità istituzionale del mercato del lavoro e
del resto delle risorse produttive. Qualora il nuovo impiego generato in tali fasi di profonda
depressione cominciasse a spendere i propri redditi in beni e servizi di consumo a un ritmo più
rapido che l’afflusso di produzione finale di consumo al mercato (perché si manifestasse la scarsità
relativa di qualche fattore o contrazioni in relazione a un qualunque fattore o risorse
complementarie di produzione) si scatenerebbero i processi microeconomici già noti che tendono a
invertire gli iniziali effetti espansivi del nuovo credito bancario. E l’occupazione in tali circostanze
potrebbe essere aumentata solo se diminuissero i salari reali, fenomeno che si produce quando il
prezzo dei beni e servizi di consumo inizia a crescere più velocemente dei salari67.
Un altro esempio del fatto che la teoria di Keynes sia una teoria specifica, piuttosto che generale, si
riscontra nella sua definizione della «efficienza marginale del capitale» che tale autore concepisce
come «that rate of discount which would make the present value of the series of annuities given by
in modo che «Keynesian theory (aggiungerei anche la teoria monetarista) becomes a special case of Austrian Theory»
(Time and Money, op. cit., p. 250).
67
È curioso segnalare come Keynes definisca la disoccupazione «involontaria» nel seguente modo: «men are
involuntarily unemployed if, in the event of a small rise in the price of wage-goods relatively to the money-wage, both
the aggregate supply of labour willing to work for the current money-wage and the aggregate demand for it at that wage
would be greater than the existing volume of employment.» John Maynard Keynes, The General Theory, op. cit., p. 15.
Questa complicata definizione, in termini semplici, significa, né più né meno, che per Keynes esiste una disoccupazione
«involontaria» sempre che una diminuzione nei salari relativi dia luogo a un aumento dell’occupazione. Tuttavia, la
riduzione in termini relativi dei salari può prodursi, o accettando salari nominalmente più ridotti, oppure per via
indiretta, mantenendo i salari nominali costanti, se si accetta di lavorare in un contesto in cui aumentino i prezzi dei beni
di consumo. In ogni caso, non si può ritenere che la disoccupazione sia involontaria, ma puramente volontaria, dato che
si rimane disoccupati perché volontariamente non si desidera lavorare a salari nominalmente più ridotti, e in secondo
luogo, il lavoratore accetta di lavorare solo nella misura in cui si illude, in quanto mantiene il suo livello nominale dei
salari ma non il suo livello reale (accetta di lavorare in una situazione in cui i prezzi di beni e servizi di consumo
crescono più rapidamente dei salari). Infatti, tutto ciò che la teoria keynesiana prescrive si riduce a cercare di ridurre la
disoccupazione riducendo i salari reali attraverso la via indiretta consistente nell’aumento dell’inflazione e, pertanto, dei
prezzi dei beni di consumo, mantenendo costanti i salari nominali. Questa ricetta è fallita, non solo perché i lavoratori
non si lasciano più guidare dall’illusione monetaria e esigono aumenti nominali dei salari che quanto meno compensino
la diminuzione del potere d’acquisto della moneta, ma perché inoltre la «medicina» proposta, a parte la sua inutilità,
comporta il costo enorme dovuto allo scatenamento di crisi e recessioni economiche prodotte dall’espansione creditizia.
È inoltre necessario considerare in che misura le stesse prescrizioni keynesiane, consistenti nell’aumento della domanda
effettiva per via fiscale o monetaria, siano i principali colpevoli non soltanto del mantenimento della rigidità del
mercato del lavoro, ma anche dell’aggravio un po’ alla volta di tale rigidità, nella misura in cui gli agenti economici e in
concreto lavoratori e sindacati, si sono abituati a considerare che gli aggiustamenti dei salari reali devono prodursi
sempre attraverso un aumento del livello generale dei prezzi. In questo senso, la dottrina keynesiana piuttosto che un
«rimedio» per la malattia, si è convertita in un fattore controproducente che ha aggravato l’evoluzione della stessa.
Costerà molto in termini di sforzo e di tempo che gli agenti economici si abituino di nuovo a vivere in un contesto di
stabilità in cui il sistema dei prezzi possa ritornare a funzionare senza le rigidità che oggi lo riguardano. Si veda su
questo tema l’interessante articolo di Hans-Hermann Hoppe intitolato «Theory of Employment, Money, Interest and the
Capitalist Process: The Misesian Case against Keynes», cap. V di The Economics of Ethics and Private Property,
Kluwer Academic Publishers, Londra 1993, pp. 111-138, e specialmente le pp. 124-126. Una confusione diffusa molto
simile è sorta in ambito bancario, dove il pubblico crede che i problemi finanziari siano di pertinenza della banca
centrale e non il risultato ineludibile della banca con riserva frazionaria. Si veda, in questo senso, J.G. Hülsmann, «Has
Fractional-Reserve Banking Really Passed the Market Test?», The Independent Review, V, 7, n.º 3, inverno 2003, p.
416.
24
the returns expected from the capital-asset during its life just equal to its supply price»68. L’errore
più grande di Keynes consiste nel considerare che l’investimento è determinato dalla «efficienza
marginale del capitale», così come abbiamo appena visto che la ha definita, considerando che il
prezzo di offerta del bene di capitale è dato e non varia, sebbene si modifichino le aspettative di
profitto degli imprenditori. Infatti, Keynes, lasciandosi guidare dalla tradizione oggettivista della
scuola classica che recepì attraverso Marshall, crede che il prezzo di offerta dei beni di capitale non
debba variare all’aumentare delle aspettative di profitto degli imprenditori, in quanto considera
implicitamente che tale prezzo è determinato, in ultima istanza, dal costo storico di produzione del
bene di capitale. Si ricollega, pertanto, a un retaggio dell’antica teoria oggettiva del valore, secondo
cui questo è determinato, in ultima istanza, dal costo incorporato nelle cose, dottrina che, in palese
regressione rispetto alla teoria soggetivista sviluppata dalla Scuola Austriaca, fu parzialmente
recuperata da Marshall almeno in relazione alla componente dell’offerta dei diversi beni e servizi69.
Hayek ha messo in luce impeccabilmente che tutta la dottrina keynesiana della «efficienza
marginale del capitale» come determinate dell’investimento è ammissibile solo se si suppone che
non vi sia alcuna scarsità di beni di capitale e che, pertanto, si possa acquistare qualsiasi quantità di
essi a un prezzo prefissato. Tuttavia, eccetto nelle circostanze di una mitica economia in cui non
esista scarsità o sperimenti al massimo grado un eccesso di capacità trovandosi sprofondata in una
gravissima recessione, nella realtà esiste sempre un momento a partire dal quale almeno qualcuno
dei beni complementari necessari per produrre il bene di capitale inizierà a scarseggiare in termini
relativi, e gli imprenditori nella misura in cui sperino di poter realizzare profitti, aumenteranno la
quantità che sono disposti a pagare per il bene in questione esattamente fino al livello in cui
l’efficienza o la produttività marginale del capitale diventi uguale al tasso di interesse. In altri
termini, come indica Hayek, sarà la stessa concorrenza tra imprenditori a condurli, in definitiva, a
far aumentare il costo o prezzo di offerta dei beni di capitale esattamente fino al punto in cui
coincida col valore attuale (scontato al tasso di interesse) della produttività marginale
dell’equipaggiamento in questione, in modo che «l’efficacia marginale del capitale» tenderà sempre
a coincidere col tasso di interesse70. Esattamente in ciò consiste la teoria austriaca dell’influenza del
tasso di interesse sulla struttura produttiva che abbiamo già spiegato in precedenza nel capitolo V.
Infatti sappiamo che il tasso di interesse è il prezzo dei beni presenti in funzione dei beni futuri e
tende a manifestarsi lungo la struttura produttiva sotto forma di differenziale contabile di profitti
che sorge tra le distinte tappe del processo di produzione. Cioè per la differenza che esiste fra ricavi
e costi in cui si incorre in ogni stadio, di modo che esiste sempre una tendenza inesorabile che i
profitti in ogni stadio siano uguali al tasso di interesse (cioè il costo di produzione di ogni stadio
tenda ad uguagliarsi al valore attuale della produttività marginale o sua efficacia marginale).
Non ha pertanto alcun senso la critica che Keynes rivolge a Mises e Hayek alle pagine 192-193 di
La Teoria Generale, i quali sono accusati di confondere indebitamente il tasso di interesse con la
efficienza marginale del capitale. Come sappiamo, per gli austriaci il tasso di interesse si determina
autonomamente dalle scale valorative della preferenza intertemporale (offerta e domanda di beni
presenti in cambio di beni futuri), e la produttività o efficienza marginale del capitale interessa solo
68
John Maynard Keynes, The General Theory, p. 135. Questa citazione può tradursi come: «Definisco l’efficienza
marginale del capitale come il tasso di sconto che uguaglia il valore presente della serie di annualità data dai rendimenti
attesi dei beni di capitale, per tutto il tempo che duri, al suo prezzo di offerta.»
69
«Mr. Keynes... is presumably... under the influence of the ‘real cost’ doctrine which to the present day plays such a
large role in the Cambridge tradition, he assumes that the prices of all goods except the more durable ones are even in
the short run determined by costs.» F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., nota n.º 3 a piè di p. 375.
70
«Entrepreneurs will still tend to bid up the prices of the various kinds of input to the discounted value of their
respective marginal products, and, if the rate at which they can borrow money remains unchanged, the only way in
which this equality between the price of the input and the discounted value of its marginal product can be restored, is
evidently by reducing that marginal product.» F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 383.
25
il maggior o minor valore attuale dei beni di capitale. Questi nel mercato tendono ad acquisire un
prezzo (costo) uguale al valore scontato al tasso di interesse del flusso futuro di rendimenti, ossia la
serie dei valori della produttività marginale dell’equipaggiamento del capitale. Per questo, per gli
austriaci la produttività marginale del capitale tende a seguire il tasso di interesse e non al contrario,
e solo in equilibrio (che nella realtà non si realizza mai) l’uno e l’altra diventano uguali. L’errore di
fondo di Keynes consiste, come già abbiamo visto, nel trascurare che il prezzo di acquisto dei beni
di capitale varierà quando aumentino le attese di profitto la produttività da essi derivata, come
accade nella realtà e come gli economisti austriaci hanno sempre tenuto presente nelle loro analisi.
Pertanto, osare sostenere, come fa Keynes, che gli economisti austriaci «confondano» l’interesse
con la produttività marginale del capitale, presuppone una scandalosa distorsione dei fatti71.
Ancora una volta la causa di questi errori di Keynes ha la propria radice nella mancanza di una
teoria del capitale che gli permetta di comprendere in che modo il risparmio si converta in
investimento tramite una serie di processi microeconomici che ignora totalmente. Perciò, non desta
meraviglia che egli sia completamente incapace di intendere l’argomento hayekiano, e quando,
riferendosi alle scuole di pensiero economico, che, come quella austriaca, analizzano le
conseguenze dell’espansione creditizia sulla struttura produttiva, conclude che «I can make no
sense at all of these schools of thought»72. L’assenza di un’adeguata teoria del capitale spiega anche
perché Keynes sviluppasse la sua concezione meccanicista del moltiplicatore dell’investimento, che
definisce come l’inverso di uno meno la propensione marginale al consumo, di modo che quanto
maggiore sia la propensione marginale al consumo, tanto maggiore sarà la crescita del reddito
nazionale che si produca come risultato di un aumento dell’investimento. Tuttavia, il moltiplicatore
dell’investimento si basa su un argomento puramente matematico che è contrario alla logica
economica più elementare della teoria del capitale. Infatti, d’accordo col moltiplicatore, ogni
aumento dell’espansione creditizia darà luogo a un aumento del reddito nazionale reale in una
proporzione che sarà determinata dall’inverso della propensione marginale al risparmio (uguale ad
uno meno la propensione marginale al consumo). Di modo che, secondo la logica keynesiana,
quanto meno si risparmi, più volte si moltiplicherà il reddito reale. Noi, di contro, sappiamo che
l’automatismo matematico che sta alla base del moltiplicatore non ha nulla a che vedere coi
processi reali che si producono nella struttura produttiva. L’espansione creditizia genererà un
investimento che darà luogo a un aumento del prezzo dei fattori di produzione e, in seguito, a un
aumento più che proporzionale del prezzo dei beni e servizi di consumo. Sebbene il reddito lordo in
71
Così lo ha messo in evidenza, tra altri, Denis H. Robertson che, nel suo commento critico a La Teoria generale,
scrisse a Keynes che «I don’t think these pages (192-193) are at all a fair account of Hayek’s own exposition. In his
own queer language he is saying that the fall in the rate of interest will so much increase the demand price for machines
(in spite of the fall in the price of their products) as to make it profitable to produce more machines.» Si veda la lettera
di Denis H. Robertson a John Maynard Keynes datata 3 febbraio 1935 e riprodotta alle pp. 496 e ss. del vol. XIII già
citato di The Collected Writings of John Maynard Keynes (la citazione si trova concretamente alla p. 504). Lo stesso
Keynes riconobbe nella sua corrispondenza con Robertson (20 febbraio 1935) che aveva male interpretato Hayek nei
paragrafi menzionati di La Teoria Generale, rispondendo a Robertson: «Thanks for the reference to Hayek which I will
study. I do not doubt that Hayek says somewhere the opposite to what I am here attributing to him» (ibidem, p. 519).
Tuttavia, Keynes non ebbe la sufficiente onestà intellettuale per correggere il manoscritto prima della pubblicazione
definitiva nel 1936. D’altra parte, Ludwig M. Lachmann, commentando la critica di Keynes a Mises e Hayek inclusa
alle pp. 192 e 193 di La teoría general, in cui Keynes conclude che «Professor von Mises and his disciples have got
their conclusions exactly the wrong way round», afferma che: «In reality, however, the Austrians were merely
following Wicksell in drawing a distinction between the ‘natural rate of interest’ and the money rate, and Keynes’ own
distinction between marginal efficiency of capital and the latter is exactly parallel to it. The charge of simple confusion
of terms is groundless.» Ludwig M. Lachmann, «John Maynard Keynes: A View from an Austrian Window», South
African Journal of Economics, n.º 51 (3), pp. 368-379, e specialmente le pp. 370-371.
72
John Maynard Keynes, The General Theory, op. cit., p. 329. Questo stesso riconoscimento lo hanno espressamente
manifestato, come abbiamo già visto, autori monetaristi come Hawtrey e Meltzer.
26
termini monetari aumenti in conseguenza dell’iniezione di nuova moneta creata dal sistema
bancario, il moltiplicatore, per il suo carattere meccanico e macroeconomico, è incapace di
raccogliere gli effetti distorsivi della struttura produttiva che l’espansione creditizia genera sempre
e, di conseguenza, occulta il cattivo investimento generalizzato delle risorse che nel lungo periodo
impoverisce (e non arricchisce, come pensa Keynes) ogni società. Possiamo, pertanto, concludere
con Gottfried Haberler che il moltiplicatore «turns out to be not an empirical statement which tells
us something about the real world, but a purely analytical statement about the consistent use of an
arbitrarily chosen terminology—a statement which does not explain anything about reality. . . . Mr.
Keynes’ central theoretical idea about the relationships between the propensity to consume and the
multiplier, which is destined to give shape and strength to those observations, turns out to be not an
empirical statement which tells us something interesting about the real world, but a barren algebraic
relation which no appeal to facts can either confirm or disprove»73.
Da parte sua, Hayek, già a partire dalla sua penetrante critica che scrisse ai due volumi del Treatise
on Money (1930) di Keynes, aveva accusato quest’autore per non aver minimamente preso in
considerazione la teoria del capitale e dell’interesse, specialmente come essa era stata sviluppata da
Böhm-Bawerk e il resto dei teorici della Scuola Austriaca74. Ciò, in accordo con Hayek, spiegava
che Keynes non considerasse l’esistenza di diversi stadi della struttura produttiva (come non
l’avesse considerata Clark e non la avrebbe considerata Knight) e che, in definitiva, non si rendesse
conto che la decisione essenziale degli imprenditori non fosse se si dovesse investire in beni di
consumo o in beni di capitale, ma piuttosto se si dovesse investire in processi produttivi che
originassero beni di consumo in un periodo di tempo più o meno distante nel futuro. Pertanto,
considerare una struttura produttiva costituita unicamente da due stadi (una di beni di consumo e
un’altra di beni di capitale), senza prendere in considerazione la dimensione temporale della
seconda, né le successive tappe in cui si divide, è ciò che fa sì che Keynes cada nell’errore del
«paradosso del risparmio o frugalità», il cui erroneo fondamento teorico abbiamo già dimosrato nel
capitolo V75.
73
Gottfried Haberler, «Mr. Keynes’ Theory of the ‘Multiplier’: A Methodological Criticism », pubblicato
originariamente nello Zeitschrift für Nationalökonomie, n.º 7, anno 1936, pp. 299-305, e riedito in inglese come cap.
XXIII del libro Selected Essays of Gottfried Haberler, Anthony Y. Koo (ed.), The MIT Press, Cambridge,
Massachusetts, 1985, pp. 553-560, e specialmente le pp. 558-559. La traduzione in italiano della citazione di Haberler è:
«il moltiplicatore keynesiano non è una proposizione empirica che ci dica qualcosa di interessante sul mondo reale, ma
è una proposizione puramente analitica sull’uso coerente di una terminologia arbitrariamente scelta che non spiega nulla
sulla realtà… L’idea teorica centrale del Sr. Keynes sulle relazioni fra la propensione a consumare e il moltiplicatore,
che è destinata a dar forma e rafforzare le sue osservazioni, finisce col convertirsi non in una proposizione empirica che
ci dica qualcosa sul mondo reale, ma in una sterile relazione algebrica che nessun confronto con i fatti può né
confermare né confutare.» È curioso constatare come il monetarista Hawtrey fu un precursore di Keynes nello sviluppo
della teoria del moltiplicatore, come spiega Robert B. Dimand in «Hawtrey and the Multiplier», History of Political
Economy, vol. 29, nº 3, autunno 1997, pp. 549-556.
74
La critica di Hayek alle teorie monetarie incluse da Keynes nel suo Treatise occupa tre articoli, cioè: «Reflexions on
The Pure Theory of Money of Mr. J.M. Keynes (1)», pubblicato in Economica, vol. XI, n.º 33, agosto 1931, pp. 270-
295; «A Rejoinder to Mr. Keynes», Economica, vol. XI, n.º 34, novembre 1931, pp. 398-403; e infine in «Reflexions on
The Pure Theory of Money of Mr. J.M. Keynes (continued) (2)», pubblicato anche in Economica, vol. XII, n.º 35,
febbraio 1932, pp. 22-44. Questi articoli e le rispettive risposte di Keynes sono stati riediti in Friedrich A. Hayek:
Critical Assessments, John Cunningham Wood and Ronald N. Woods (eds.), Routledge, Londra 1991, pp. 1-86. (Questi
lavori sono stati tradotti in spagnolo e pubblicati nell’edizione spagnola del vol. IX delle Opere Complete di F.A.
Hayek, intitolato Contra Keynes y Cambridge, op. cit., pp. 137-219, nell’edizione italiana La Scuola Austriaca contro
Keynes e Cambridge, edito da Rubbettino, Soveria Mannelli, 2000, pp. 57-218) Hayek, nel primo di questi articoli
(Wood y Woods (eds.), op. cit., p. 7), conclude che il problema di fondo di Keynes è di tipo metodologico e ha la sua
radice nel fatto che gli aggregati macroeconomici su cui si basa l’analisi gli impediscono di vedere i processi di natura
microeconomica che sono essenziali per comprendere i cambiamenti che si producono nella struttura produttiva.
75
Bisogna ricordare che lo stesso John Maynard Keynes riconobbe espressamente e pubblicamente a Hayek che gli
mancava una teoria adeguata del capitale, quando affermò che: «Dr. Hayek complains that I do not myself propound
any satisfactory theory of capital and interest and that I do not build on any existing theory. He means by this, I take it,
the theory of capital accumulation relatively to the rate of consumption and the factors which determine the natural rate
of interest. This is quite true; and I agree with Dr. Hayek that a development of this theory would be highly relevant to
27
Per questo nei teorici keynesiani è assente una teoria che spieghi perché si riproducano le crisi in
un’economia di mercato con intervento statale (ossia, in quella in cui non si rispettino i principi
generali del diritto). Essi le attribuiscono a «collassi repentini» nella domanda provocati da
comportamenti irrazionali degli imprenditori o dalla perdita repentina di fiducia e ottimismo da
parte degli agenti economici. Inoltre, ignorano nelle loro analisi che le crisi sono una conseguenza
endogena dello stesso processo di espansione creditizia che precedentemente alimenta il boom. I
monetaristi, a differenza dei loro colleghi dedicatisi alla «macroeconomia», credono che l’effetto
delle politiche di espansione monetaria sia relativamente piccolo in relazione a quelli della politica
fiscale e sostengono un aumento della domanda effettiva spinto direttamente dalla spesa pubblica.
Non comprendono che tale politica rende ancora più difficile il processo di riaggiustamento della
struttura produttiva, aggravando la situazione degli stadi più distanti dal consumo, che possono
giungere a sperimentare, in conseguenza dei «rimedi» keynesiani, difficoltà ancora maggiori per
finanziarsi permanentemente a carico del risparmio volontario. E quanto alla possibilità che tramite
le politiche keynesiane possa essere riassorbita la disoccupazione, ciò alla lunga sarà possibile solo
se lavoratori e sindacati cadano vittime dell’illusione monetaria, mantenendo i loro salari nominali
in un constesto inflazionistico in cui i prezzi di beni e servizi di consumo crescano rapidamente.
L’esperienza ha dimostrato che il «rimedio keynesiano» per riassorbire la disoccupazione
(riduzione dei salari reali tramite la crescita del livello generale dei prezzi) è naufragato: i lavoratori
hanno imparato a chiedere aumenti dei salari che almeno li compensino per la diminuzione del
potere d’acquisto, cosicché l’espansione creditizia e della domanda effettiva che i keynesiani hanno
propugnato ha perso gradualmente la sua capacità di generare occupazione e tutto ciò a costo di
creare distorsioni sempre più gravi nella struttura produttiva, essendosi prodotta una situazione di
profonda depressione altamente inflazionistica (stagflation) dopo la crisi della fine degli Anni
Settanta, che rappresentò il principale evento empirico che invalidò la teoria keynesiana76.
my treatment of monetary matters and likely to throw light into dark corners.» John Maynard Keynes, «The Pure
Theory of Money: A Reply to Dr. Hayek», Economica, vol. XI, n.º 34, novembre 1931, p. 394 (p. 56 dell’edizione di
Wood y Woods già citata, e pp. 173-174 dell’edizione spagnola di Contra Keynes y Cambridge: Ensayos y
correspondencia, op. cit.).
76
Non è questo il luogo adatto per effettuare una critica esaustiva del resto delle teorie keynesiane, e in particolare della
sua teoria del tasso di interesse come fenomeno strettamente monetario determinato dall’offerta di moneta e dalla
«preferenza per la liquidità». Ciononostante, sappiamo che l’offerta e la domanda di moneta determinano il suo prezzo
o potere d’acquisto e non il tasso di interesse, come pensa Keynes concentrandosi, solo ed esclusivamente, sugli effetti
che a brevissimo termine ha un’espansione creditizia sul mercato dei crediti. (A parte il fatto che che Keynes, con la sua
teoria della preferenza per la liquidità cade in un ragionamento circolare tipico dell’analisi funzionale degli economisti
matematici: infatti, innanzitutto afferma che il tasso di interesse viene determinato dalla domanda di moneta o
preferenza per la liquidità, e poi che quest’ultima dipende a sua volta dal tasso di interesse). Una delle maggiori
assurdità della dottrina keynesiana consiste nel supporre che gli agenti economici prima decidono la quantità da
consumare e poi, da ciò che hanno deciso di risparmiare, determinano la parte che destinano ai saldi all’aumento dei
saldi di tesoreria e poi la parte che destinano all’investimento. Tuttavia, la decisione fra le tre possibilità, consumo,
investimento e aumento dei saldi reali, avviene simultaneamente. Di modo che un aumento della quantità di moneta che
venga tesoreggiata da ogni agente economico potrà procedere da ciascuna delle tre seguenti possibilità: (a) da fondi che
in precedenza erano destinati al consumo; (b) da fondi che in precedenza erano destinati all’investimento; e (c) da
qualsiasi combinazione di queste due possibilità. È evidente che nel caso (a) si produrrà una diminuzione del tasso di
interesse; nel caso (b), un aumento del tasso di interesse; e, nel caso (c), il tasso di interesse potrebbe rimanere
inalterato. Pertanto, non esiste una relazione diretta fra la preferenza per la liquidità o domanda di moneta e il tasso di
interesse; un aumento della domanda di moneta può lasciare il tasso di interesse invariato, se la relazione fra il valore
che si dà ai beni presenti e ai beni futuri (preferenze intertemporali) non varia. Si veda Murray N. Rothbard, Man,
Economy and State, op. cit., p. 690. Un inventario di tutta la bibliografia critica rilevante sulla teoria keynesiana,
insieme a diversi articoli su diversi aspetti della stessa, si può trovare in Dissent on Keynes: A Critical Appraisal of
Keynesian Economics, Mark Skousen (ed.), Praeger, Nuova York e Londra 1992. Quanto alla possibilità che la
completa socializzazione dell’investimento che preconizza Keynes possa porre fine alla disoccupazione «secolare»,
sarebbe direttamente applicabile il teorema dell’impossibilità del calcolo economico socialista e la schiacciante
presenza di cattivi investimenti accumulatisi durante i decenni dai paesi socialisti dell’Europa dell’Est, che illustra
molto bene tale teorema.
28
Per tutto ciò è inevitabile conludere con Hayek affermando che le dottrine di John Maynard Keynes
ci portano «back to the pre-scientific stage of economics, when the whole working of the price
mechanism was not yet understood, and only the problems of the impact of a varying money stream
on a supply of goods and services with given prices aroused interest»77. Infatti, I rimedi keynesiani
consistenti nell’aumento della domanda effettiva e dell’espansione creditizia, lungi dall’evitare la
disoccupazione, la aggravano irrimediabilmente, assegnando malamente i fattori produttivi e
l’occupazione lungo una serie di stadi della struttura produttiva che alla lunga i consumatori non
desiderano mantenere78.
La nostra teoria dell’impatto dell’espansione creditizia sulla struttura produttiva si basa su di una
teoria del capitale che abbiamo spiegato in dettaglio nel capitolo V. Secondo questa teoria,
l’allungamento della struttura produttiva in modo sano e permanente può conseguirsi soltanto se si
verifica un aumento del risparmio. Per questo è necessario criticare il «principio dell’acceleratore»,
sviluppato dalla scuola keynesiana, e in virtù del quale si afferma che, contrariamente a quanto
previsto dalla nostra teoria, ogni aumento del consumo genera un aumento più che proporzionale
dell’investimento.
Infatti, secondo il principio dell’acceleratore, un aumento della domanda di beni e servizi di
consumo genera un incremento molto amplificato della domanda di beni di capitale. L’argomento
77
F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., pp. 409-410. Questa citazione potrebbe tradursi nel modo seguente:
«Le dottrine di Keynes ci riportano allo stadio prescientifico dell’economia, in cui il funzionamento del sistema dei
prezzi non era ancora compreso, e meritavano attenzione solo i problemi derivati dall’impatto delle variazioni nel flusso
monetario su un’offerta di beni e servizi i cui prezzi erano dati.» E Hayek conclude: «It is not surprising that Mr.
Keynes finds his views anticipated by the mercantilist writers and gifted amateurs: concern with the surface phenomena
has always marked the first stage of the scientific approach to our subject. But it is alarming to see that after we have
once gone through the process of developing a systematic account of those forces which in the long run determine
prices and production, we are now called upon to scrap it, in order to replace it by the shortsighted philosophy of the
business man raised to the dignity of a science. Are we not even told that, ‘since in the long run we are all dead’, policy
should be guided entirely by short-run considerations? I fear that these believers in the principle of après nous le déluge
may get what they have bargained for sooner than they wish» (p. 410).
78
La critica principale di Hayek alla macroeconomia (tanto nella sua versione keynesiana come in quella monetarista) è
che, facendo uso di macroaggregati, i suoi cultori non prendono in considerazione gli effetti negativi di natura
microeconomica dell’espansione creditizia, generatrice, come abbiamo visto, di una cattiva assegnazione delle risorse e,
in ultima istanza, della crisi e della disoccupazione. Inoltre, assumendo, nel campo keynesiano, che tutti i fattori siano
disponibili in eccesso (in quanto esistono delle capacità inutilizzate e disoccupazione delle risorse) si tende a ignorare il
sistema dei prezzi, il cui funzionamento non è necessario, trasformandosi pertanto in abbondanza indeterminata e
incomprensibile. Nella misura in cui tutto sia determinato da funzioni macroaggregate, la teoria tradizionale di
determinazione dei prezzi relativi a livello microeconomico e la teoria del capitale, dell’interesse e della distribuzione,
che costituiscono l’ossatura della teoria economica, non viene più compresa. La cosa più triste è che, come indica
Hayek, un’intera generazione di economisti non ha appreso null’altro che la macroeconomia keynesiana («I fear the
theory will still give us a lot of trouble: it has left us with a lost generation of economists who have learnt nothing else»;
F.A. Hayek, «The Campaign against Keynesian Inflation», in New Studies, op. cit., p. 221). Infine, Hayek ritiene che
Keynes fosse consapevole della debolezza del suo stesso schema teorico e indica che, l’ultima volta che lo vide in vita,
gli chiese se non stesse iniziando ad allarmarsi del cattivo uso che la maggior parte dei suoi discepoli stavano facendo
delle sue teorie: «His reply was that these theories had been greatly needed in the 1930s; but if these theories should
ever become harmful, I could be assured that he would quickly bring about a change in public opinion» (F.A. Hayek,
«Personal Recollections of Keynes and the Keynesian Revolution», in New Studies, op. cit., p. 287). Hayek segnala che
dopo due settimane Keynes era morto senza aver avuto il tempo di modificare il corso degli eventi e lo accusa di aver
denominato teoria generale un errato schema concettuale che, per stessa ammissione del suo autore, era stato concepito
ad hoc con riferimento a circostanze specifiche degli anni Trenta. Oggigiorno, i cosiddetti « nuovi macroeconomisti
keynesiani» (Stiglitz, Shapiro, Summers, Romer, ecc.) si stanno concentrando sull’analisi delle rigidità monetarie e reali
che osservano nel mercato, ma non comprendono che esse stesse e i suoi effetti si creano e si aggravano in conseguenza
dell’espansione creditizia e dell’intervento statale, e non riconoscono che nel mercato esistono forze microeconomiche
spontanee che in assenza di interventi statali, tendono ad invertire, coordinare e sanare gli squilibri lungo il processo di
crisi, recessione e recupero. Sui nuovi keynesiani si veda, inoltre, la successiva nota 93.
29
considera che esiste una «proporzione fissa» fra la produzione di beni di consumo e il numero di
macchinari necessari per produrlo. In tal modo, ogni aumento della domanda di beni e servizi di
consumo dà luogo a un aumento proporzionale del numero di macchinari necessari a produrlo.
Confrontando questo nuovo numero con la domanda abituale di macchinari che si effettua per
fronteggiare il loro normale deprezzamento, si ottiene un aumento della domanda di beni di capitale
molto più che proporzionale dell’aumento della domanda di beni e servizi di consumo79.
Secondo il principio dell’acceleratore, l’aumento della domanda di beni e servizi di consumo, non
solo dà luogo ad un aumento notevolmente amplificato della domanda di beni di capitale, ma
inoltre, se si vuole sostenere la domanda di beni di capitale, sarà necessario che la domanda di beni
e servizi di consumo continui a crescere a un ritmo progressivamente accelerato. Ciò avviene
perché una domanda di beni e servizi di consumo stabile, cioè che non aumenti, produrrà una forte
contrazione nella domanda di beni di equipaggiamento, che ritornerà al suo livello di semplice
rimpiazzo. Come si vede, il principio dell’acceleratore si adatta perfettamente alle prescrizioni
keynesiane di espansione illimitata del consumo e della domanda aggregata: infatti, secondo la
dottrina dell’acceleratore, quanto maggiore è il consumo, tanto maggiore sarà l’investimento,
mentre il risparmio non conta nulla! Il principio dell’acceleratore agisce, dunque, come un falso
sostituto della teoria del capitale che manca nel modello keynesiano, tranquilliza la coscienza
teorica dei suoi cultori e li rafforza nelle loro credenze che il risparmio volontario sia
controproducente e innecessario per lo sviluppo economico («paradosso del risparmio o frugalità»).
Di qui, la grande importanza che rendiamo evidenti gli errori e le fallacie su cui si basa80.
La teoria basata sull’acceleratore, non solo non tiene conto dei principi più elementari della teoria
del capitale, ma addirittura si sviluppa secondo una concezione meccanicista e automatica che è
completamente erronea. Analizziamo una alla volta le ragioni che ci inducono ad affermare ciò.
In primo luogo, la teoria dell’acceleratore ignora il funzionamento reale del processo
imprenditoriale del mercato e presuppone che le attività imprenditoriali altro non siano che una
risposta cieca ed automatica agli impulsi momentanei che si sperimentano nella domanda di beni e
servizi di consumo. Tuttavia gli imprenditori non sono automi né agiscono meccanicamente. Al
contrario, prevedono il corso degli eventi e, al fine di ottenere profitti, agiscono in funzione di ciò
che credono possa succedere. Non esiste pertanto alcun meccanismo di trasmissione che, in modo
automatico e momentaneo, determini che, di fornte ad un aumento della domanda di beni e servizi
di consumo, si produca un aumento immediato e proporzionale della domanda di beni di capitale.
Al contrario, gli imprenditori, in previsione di possibili variazioni della domanda di beni e servizi di
consumo, dispongono di solito di un determinato volume di capacità inutilizzata sotto forma di beni
di equipaggiamento, che consente loro di far fronte a rapidi aumenti della domanda quando questi si
producono. Il principio dell’acceleratore perde gran parte della sua potenzialità se, come succede
nella vita reale, le imprese mantengono un certo volume di beni di capitale di riserva.
79
Samuelson e Nordhaus presentano il seguente esempio per spiegare il principio dell’acceleratore: «Immaginiamo
un’impresa tessile rappresentativa, il cui stock di equipaggiamento di capitale sia sempre uguale al doppio delle sue
vendite annuali di tessuto. Così, ad esempio, quando le sue vendite si siano mantenute durante un certo periodo di
tempo a 30 milioni di dollari annuali, il suo bilancio mostrerà 60 milioni di dollari in equipaggiamento di capitale,
consistente, forse, in venti macchinari di diversa età, di cui ogni anno si consuma e si sostituisce uno. Dato che la
sostituzione è esattamente uguale al deprezzamento, l’impresa non realizza né investimento netto né risparmio netto.
L’investimento lordo è di tre milioni di dollari annuali, che rappresenta la sostituzione annuale di un macchinario.
Supponiamo adesso che all’arrivo del quarto anno le vendite aumentino del 50 per cento, passando da 30 a 45 milioni di
dollari. Per mantenere il rapporto capitale/prodotto di due, il numero di macchinari deve aumentare anche del 50 per
cento, cioè, da venti a trenta. Nel quarto anno dovrà comprare undici macchinari al posto di uno; dieci nuovi oltre alla
sostituzione di quello obsoleto. Le vendite sono aumentate del 50 per cento. Di quanto è aumentato l’investimento in
macchinari? Da uno a undici, cioè, del mille per cento!» Paul A. Samuelson e William D. Nordhaus, Economia, 12.ª
edizione, McGraw-Hill, Madrid 1986, pp. 235-236.Stranamente l’analisi del principio dell’acceleratore è stata eliminata
nella 14.ª edizione dell’opera di Samuelson y Nordhaus (pubblicata nel 1992 negli Stati Uniti).
80
Antecedenti del «principio dell’acceleratore» si possono trovare nei lavori di K. Marx, Albert Aftalion, J.M. Clark,
A.C. Pigou y R.F. Harrod. Véase P.N. Junankar, «Acceleration Principle», en The New Palgrave: A Dictionary of
Economics, John Eatwell, Murray Milgate e Peter Newman (eds.), vol. 1, Macmillan, Londra 1987, pp. 10-11.
30
E’ pertanto evidente che il principio dell’acceleratore avrebbe ragion d’essere solo se esistesse un
pieno ed assoluto impiego dei beni di capitale, di modo che non potrebbe ottenersi alcun aumento
della produzione dei beni di consumo se non aumentasse il numero dei macchinari. Tuttavia, in
secondo luogo, il grande errore del principio dell’acceleratore è che si basa sull’esistenza di rapporti
fissi e immutabili fra i beni di capitale, il fattore lavoro e la produzione di beni e servizi di consumo.
Il fatto è che il principio dell’acceleratore ignora completamente che lo stesso risultato in forma di
beni e servizi di consumo può ottenersi con rapporti o combinazioni molto diversi tra capitale fisso,
capitale variabile e, soprattutto, il fattore lavoro, in quanto la combinazione specifica scelta da ogni
imprenditore dipende dalla struttura dei prezzi relativi fra gli uni e gli altri. Ipotizzare, pertanto,
l’esistenza di rapporti fissi tra la produzione di beni e servizi di consumo e i beni di capitale
necessari per elaborarli è erroneo e contrario ai principi essenziali della teoria dei prezzi nel mercato
dei fattori produttivi. Infatti, come abbiamo già visto nell’analisi dell’«Effetto Ricardo», una
diminuzione nel prezzo relativo dei fattori lavoro farà sì che i beni e servizi di consumo si
riproducano in modo da richiedere una maggiore intensità di lavoro, cioè utilizzando in termini
relativi meno beni di capitale; e viceversa, un incremento del costo relativo del fattore lavoro farà sì
che in termini relativi aumenti l’impiego di beni di capitale. Il principio dell’acceleratore,
supponendo l’esistenza di proporzioni fisse fra i fattori produttivi, ignora completatmente il ruolo
che la funzione imprenditoriale, il sistema dei prezzi e il progresso tecnologico hanno sui prezzi di
mercato.
Inoltre, in terzo luogo, anche ammettendo per ragioni dialettiche che esistano proporzioni fisse tra il
consumo e l’equipaggiamento di capitale utilizzato, e anche che non esista capacità inutilizzata dei
beni di capitale, dobbiamo domandarci, come è possibile che aumenti la produzione di beni di
capitale senza che al tempo stesso si verifichi il risparmio necessario per finanziare tale
investimento? Ma si stratta di una contraddizione logica irrisolvibile pensare che l’aumento della
domanda di beni e servizi di consumo dia luogo a un aumento automatico e istantaneo molto più
che proporzionale della produzione di beni di capitale, se tale produzione può essere portata a
compimento, in assenza di un eccesso di capacità, solo grazie a un aumento del risparmio
volontario, che necessariamente deve implicare una diminuzione momentanea della domanda di
beni di consumo (la qual cosa, evidentemente, è in contraddizione con il punto di partenza della
teoria dell’acceleratore). La teoria dell’acceleratore viola pertanto i principi più elementari della
teoria del capitale.
In quarto luogo, bisogna riconoscere che l’unica possibilità che si possa finanziare un investimento
in beni di capitale molto più che proporzionale all’aumento della domanda di beni di consumo
consisste nel fatto che si inizi e mantenga un’espansione creditizia. In altre parole, il principio
dell’acceleratore, in ultima istanza, presuppone che si verifichi l’aumento dell’espansione creditizia
necessario a dare impulso ad un investimento enormemente amplificato di beni di equipaggiamento.
E già conosciamo gli effetti che l’espansione creditizia ha sulla struttura produttiva e in che modo
inesorabile il sistema di prezzi relativi ponga un limite ad essa e comporti un’inversione che si
manifesta sotto forma di crisi e recessione81.
In quinto luogo, è assurdo pensare che un aumento della domanda di beni e servizi di consumo dia
luogo ipso facto, vale a dire istantaneamente, a un incremento della produzione di beni di
equipaggiamento. Al contrario, invece, noi sappiamo che nello stadio del boom, finanziato
dall’espansione creditizia, le imprese e i settori industriali dediti ai beni di equipaggiamento
lavorano al massimo delle loro capacità. Si accumulano le richieste e non sono in grado di
rispondere all’aumento della domanda, se non con lags temporali molto grandi e aumenti dei prezzi
dei beni di equipaggiamento molto significativi. In tal modo risulta impossibile che si verifichi un
81
«If, for the sake of argument, we were ready to admit that capitalists and entrepreneurs behave in the way that the
disproportionality doctrines describe, it remains inexplicable how they could go on in the absence of credit expansion.
The striving after such additional investments raises the prices of the complementary factors of production and the rate
of interest on the loan market. These effects would curb the expansionist tendencies very soon if there were no credit
expansion.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 586.
31
aumento della produzione di beni di capitale così veloce come presuppone la teoria
dell’acceleratore.
In sesto luogo, la teoria dell’acceleratore si fonda su un curioso ragionamento di tipo meccanicista,
in cui si pretende mettere in relazione l’aumento della domanda di beni e servizi di concumo,
valutato in termini monetari, con un aumento in termini fisici della domanda di beni di
equipaggiamento. Tuttavia le decisioni imprenditoriali non si effettuano mai confrontando
grandezze monetarie con grandezze fisiche, ma confrontando sempre costi e ricavi in termini
monetari. Altrimenti si incorrerebbe nella tesi assurda di confronatare grandezze eterogenee e ciò
renderebbe completamente impossibile il calcolo imprenditoriale.Ed è evidente che se il prezzo dei
beni di capitale inizia ad aumentare, le decisioni imprenditoriali non potranno materializzarsi
meccanicamente in «proporzioni fisse» di fattori produttivi, ma terranno in grande considerazione e
seguiranno molto da vicino l’evoluzione dei costi per determinare fino a che punto la produzione
continuerà ad effettuarsi con le antiche proporzioni, oppure inizierà a far uso di una proporzione
maggiore di altri fattori alternativi, e in concreto del fattore lavoro82.
In settimo luogo, William Hutt ha messo in evidenza che tutta la teoria dell’acceleratore si fonda
sulla scelta di un periodo di analisi puramente arbitrario83. Infatti, perché scegliere un periodo di un
anno per calcolare il supposto incremento in termini relativi della domanda di beni di capitale?
Infatti, quanto più breve sia il periodo di tempo scelto, tanto più «amplificato» sembrerà il supposto
aumento automatico della domanda di macchinari che ogni proporzione fissa fra la produzione di
beni e servizi di consumo e beni di capitale genera. Tuttavia, se si considera un periodo di tempo
più prolungato, ad esempio, quello della durata stessa stimata del macchinario, le grandi oscillazioni
che sembra derivino dal principio dell’acceleratore scompaiono completamente. Tale criterio di
prendere in considerazione periodi più lunghi è, d’altra parte, quello che prendono sempre in
considerazione gli imprenditori, che si abituano ad aumentare la loro domanda di beni di
equipaggiamento al di sopra di ciò che è strettamente necessario per produrre beni di consumo, con
l’obiettivo di poter far fronte in seguito ad aumenti momentanei della produzione se ciò risulta
necessario. Considerando, pertanto, la società nel suo insieme e le aspettative imprenditoriali, gli
incrementi della domanda di beni di equipaggiamento negli stadi più vicini al consumo sono molto
più attenuati di ciò che ci vorrebbe far credere la teoria dell’acceleratore. Insomma il principio
dell’acceleratore si basa su un argomento erroneo e meccanicista che ignora i più elementari
principi del processo economico, e specificamente la natura della funzione imprenditoriale. Il
funzionamento e gli effetti del sistema di prezzi, la possibilità di sostituire alcuni fattori produttivi
con altri, gli aspetti fondamentali della teoria del capitale e dell’analisi della struttura produttiva e,
in ultimo, i principi microeconomici che regolano la relazione tra il risparmio e l’allungamento
della struttura produttiva sono completamente ignorati dalla teoria dell’acceleratore84.
Nella sua analisi critica del capitalismo, Karl Marx adottò una concezione oggettivista della scuola
classica riguardo all’esistenza di due stadi unici del processo produttivo (quello del consumo e
quello della produzione) e due fattori essenziali di produzione (il capitale e il lavoro). Tuttavia,
nella prefazione che Friedrich Engels scrisse per il terzo volume de Il Capitale di Karl Marx, si fa
esplicito riferimento ai diversi stadi del processo produttivo, in modo simile a come gli stessi sono
considerati dalla Scuola Austriaca, sebbene sia chiaro che Engels usi questo argomento con il fine
di illustrare meglio la presunta ingiustizia del sistema economico capitalista. Infatti, Engels ci dice
che: «The capitalistic sellers, i.e., the raw material producer, the manufacturer, the wholesale trader
82
Si veda, per esempio, l’interessante lavoro di Geoffrey M. Herbener, «The Myths of the Multiplier and the
Accelerator», cap. IV di Dissent on Keynes, op. cit., pp. 63-88, e specialmente le pp. 84-85.
83
William H. Hutt, The Keynesian Episode: A Reassessment, Liberty Press, Indianapolis 1979, pp. 404-408.
84
Murray N. Rothbard, Man, Economy and State, op. cit., pp. 759-764.
32
and the retailer, make a profit in their businesses by each selling dearer than he buys, i.e., by
increasing the price that his commodities cost him by a certain percentage. Only the worker is
unable to obtain an additional value of this kind, for his unfortunate position vis-a-vis the capitalist
compels him to sell his labour for the same price that it costs him himself, i.e., for the means of
subsistence that he needs.»85
Queste considerazioni di Engels sono state in seguito ampliate e rielaborate dal teorico marxista
Mijail Ivanovich Tugan-Baranovsky per sviluppare una teoria delle crisi economiche basate sul
fenomeno della «sovrapproduzione» negli stadi dell’investimento e che, come già abbiamo indicato,
è strettamente connessa alla teoria austriaca del ciclo economico che abbiamo esposto in questo
libro. Infatti, sebbene Tugan-Baranovsky non sia capace di identificare l’origine monetaria
(espansione creditizia) che dà luogo all’eccesso di investimento e disequilibrio tra i diversi stadi del
processo produttivo, tuttavia la sua analisi nei termini della teoria del capitale è abbastanza corretta,
e come tale è stata riconosciuta come un antecedente della teoria austriaca del ciclo economico,
dallo stesso Hayek86.
Non desta, pertanto, meraviglia che un autore come Howard J. Sherman, di chiaro orientamento
marxsista, abbia sostenuto la tesi che la teoria di Hayek sulla genesi ciclica delle sproporzioni nei
diversi stadi del processo produttivo si inquadri perfettamente nello schema teorico marxista che
tradizionalmente ha fatto riferimento all’esistenza di una tendenza del sistema capitalistico a
generare importanti sproporzioni tra i diversi settori industriali, come era da attendersi, non per
dimostrare gli effetti negativi che possiede l’espansione creditizia e la politica monetaria dei
governi sulla struttura produttiva, ma con l’unico desiderio di evidenziare la presunta instabilità
evidente del sistema capitalistico87. L’errore dei marxsisti, secondo la Scuola Austriaca, non
consisterebbe nella loro diagnosi dei sintomi della malattia (abbastanza adeguata), quanto
nell’analisi delle sue cause, che per gli austriaci si riscontrano nell’espansione creditizia che deriva
dall’inadempimento dei principi del diritto nel contratto di deposito bancario di moneta
(coefficiente di riserva frazionaria).
D’altra parte, la polemica tra la scuola neoricardiana e la scuola neoclassica riguardo alle possibilità
della conversione tecnica (technique reswitching) può anche essere interpretata in un senso
favorevole alla teoria austriaca del ciclo economico. Infatti, non solo le discussioni sul reswitching
hanno insistito sul carattere eterogeneo e complementario dei diversi beni di capitale (nel solco
della più pura tradizione austriaca), di contro alla concezione del capitale come fondo omogeneo
sostenuta dalla scuola neoclassica, ma, inoltre, gli austriaci in generale e Hayek in particolare, fin da
principio, misero in evidenza che l’allungamento della struttura produttiva potrebbe dar luogo, in
molte occasioni, a casi apparentemente paradossali di reswitching che, tuttavia, interpretati in senso
85
Friedrich Engels, Prefazione all’edizione inglese del vol. III de Il capitale, riedizione di Penguin Books, Inghilterra,
1981, p. 99. La citazione del testo principale è stata tradotta da Bruno Maffi nell’edizione italiana della UTET (Torino
1974, vol. III, p. 32) nel modo seguente: «I venditori capitalisti, il produttore di materie prime, il fabbricante, il
grossista, il dettagliante, guadagnano nei loro affari in quanto qualcuno vende più caro di quanto non acquisti, dunque
eleva di una certa percentuale il prezzo di costo delle proprie merci. Solo l’operaio non è in grado di imporre un simile
incremento di valore; la sua condizione sfavorevole nei confronti del capitalista lo costringe a vendere il suo lavoro al
prezzo che gli è costato, cioè per l’importo dei mezzi di sussistenza necessari».
86
I lavori di Tugan-Baranovsky tradotti in spagnolo sono i seguenti: Las crisis industriales en Inglaterra, pubblicato da
La España Moderna, Madrid 1912; El socialismo moderno, pubblicato come Volume XIII nella Biblioteca Sociológica
de Autores Españoles y Extranjeros, Madrid 1914; e Los fundamentos teóricos del marxismo, pubblicato da Hijos de
Reus, con un Prologo di Ramón Carande, in Madrid 1915. Molto di recente, Francisco Cabrillo, nelle sue Lecturas de
economía política, ha riprodotto le parti più rilevanti dell’analisi di Tugan-Baranovsky sui cicli economici (op. cit., pp.
191-210). D’altra parte, già abbiamo indicato che il riconoscimento esplicito nei confronti di Tugan-Baranovsky da
parte di Hayek si trova in Prices and Production, op. cit., p. 103, e anche in The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 426.
Si veda, inoltre, sopra cap. VI, n.º 16, pp. 366-371.
87
Si confronti il libro di Howard J. Sherman, Introduction to the Economics of Growth, Unemployment and Inflation,
Appleton, Nuova York 1964, e specialmente la p. 95.
33
prospettico, altro non erano se non un’ulteriore manifestazione del normale processo di
allungamento della struttura produttiva88.
Il fatto è che il passaggio fra due tecniche alternative di produzione nel modificare in modo
continuo il tasso di interesse, così causando tanto malessere tra i teorici neoclassici, non pone alcun
problema alla teoria austriaca del capitale. Infatti, un aumento del risparmio, e pertanto una
diminuzione del tasso di interesse, si manifesta sempre in un allontanamento nel tempo
dell’orizzonte temporale dei consumatori, allungandosi la struttura produttiva, in modo totalmente
indipendente dal prodursi o meno cambiamenti o perfino inversioni nelle diverse tecniche concrete
di produzione. Cioè, all’interno del modello della Scuola Austriaca, il fatto che si riadotti in un
nuovo progetto di investimento una tecnica più antica al diminuire del tasso di interesse, altro non è
se non una manifestazione specifica nel contesto di un processo produttivo concreto che si è
«allungato» in conseguenza del maggior risparmio e del maggior tasso di interesse89.
Non dobbiamo, pertanto, lasciarci ingannare «dall’analisi di statica comparata» effettuata dai teorici
della scuola neoclassica che, come Mark Blaug, nel valutare la polemica sul reswitching
considerano che questa in qualche modo confuti la teoria austriaca del capitale90. Al contrario,
sappiamo che il mondo reale che analizzano i teorici austriaci si trova in costante mutamento e che
un aumento del risparmio volontario dà luogo sempre, in termini prospettici, a un «allungamento»
della struttura produttiva indipendentemente dal fatto che in determinati nuovi processi di
investimento concreti questa si materializzi nella riadozione di tecniche che erano redditizie solo
con tassi di interesse più elevati91. Dal punto di vista del singolo agente o impreditore, una volta che
si sia deciso in modo prospettico di allungare i piani di produzione (in conseguenza di un aumento
del risparmio), tutti i fattori che si impiegano in partenza (terra, lavoro e beni di capitale già
esistenti) sono considerati soggettivamente come «fattori originari di produzione» che determinano
88
«It is evident and has usually been taken for granted that methods of production which were made profitable by a fall
of the rate of interest from 7 to 5 per cent may be made unprofitable by a further fall from 5 per cent to 3 per cent,
because the former method will no longer be able to compete with what has now become the cheaper method... It is
only via price changes that we can explain why a method of production which was profitable when the rate of interest
was 5 per cent should become unprofitable when it falls to 3 per cent. Similarly, it is only in terms of price changes that
we can adequately explain why a change in the rate of interest will make methods of production profitable which were
previously unprofitable.» F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital. op. cit., pp. 388-389 (e anche le pp. 76-77, 140 e ss,
191 e ss, y 200). Augusto Graziani, da parte sua, afferma che Hayek «had shown the possibility of reswitching». Si veda
The European Journal of History of Economic Thought, vol. 2, n.º 1, primavera 1995, p. 232.
89
Gerald P. O’Driscoll y Mario J. Rizzo, The Economics of Time and Ignorance, op. cit., p. 183. (L’economia del tempo
e dell’ignoranza, op. cit., p. 326.)
90
Mark Blaug erroneamente giudica il teorema del reswitching come «the final nail in the coffin of the Austrian theory
of capital». Mark Blaug, Economic Theory in Retrospect, Cambridge University Press, Cambridge 1979, p. 552. Mark
Blaug non capisce che, una volta eliminati dalla teoria austriaca del capitale i retaggi oggettivisti che in essa aveva
introdotto Böhm-Bawerk (il concetto di periodo medio di produzione e la sua possibilità di misurarlo) e concependo il
processo produttivo in termini strettamente prospettici, la teoria austriaca del capitale si immunizza dall’attacco dei
teorici del reswitching e, inoltre, esce rafforzata in conseguenza di esso. Si veda in questo senso Ludwig M. Lachmann,
«On Austrian Capital Theory», pubblicato in The Foundations of Modern Austrian Economics, Edwin E. Dolan (ed.),
Sheed & Ward, Kansas City 1976, p. 150; e anche Israel M. Kirzner «Subjectivism, Reswitching Paradoxes and All
That», in Essays on Capital and Interest, op. cit., pp. 7-10. Kirzner conclude che «we should understand that comparing
the complex, multidimensional waiting requirements for different techniques simply does not permit us to pronounce
that one technique involves unambiguously less waiting than a second technique» (p. 10).
91
La principale insufficienza della teoria neoricardiana del reswitching è, non solo che si basa su un’analisi di statica
comparata che non considera i processi dinamici di mercato da un punto di vista prospettico, ma nemmeno spiega a che
cosa si debbano, in ultima istanza, le variazioni nel tasso di interesse che determinano le presunte inversioni delle
tecniche più redditizie. Un aumento del risparmio (e, pertanto, una diminuzione ceteris paribus del tasso di interesse)
può far sì che una determinata tecnica (l’aratro romano) sia sostituita da un’altra a maggiore intensità di capitale (un
trattore); e ciò è compatibile con il fatto che un’ulteriore riduzione del tasso di interesse permetta la reintroduzione
dell’aratro romano, in nuovi processi di produzione che in precedenza non si intraprendevano per mancanza di
risparmio (cioè, senza modificare i vecchi processi che continuano a realizzarsi con trattori). Infatti, il nuovo
allungamento dei processi produttivi può dar luogo a nuovi stadi nell’agricoltura o giardinaggio che utilizzano tecniche
che, anche supponendo un allungamento effettivo dei processi produttivi, possano sembrare, se considerate
isolatamente, in un’analisi di statica comparata, come meno intensive di capitale.
34
solo il punto di partenza del processo produttivo, essendo irrilevante che nel nuovo processo di
investimento si impieghino tecniche che, considerate individualmente, sarebbero potute esser state
redditizie a tassi di interesse più elevati92.
5) Conclusione
È chiaro che, dal punto di vista dell’analisi svolta in questo libro, le somiglianze e similitudini che
esistono fra monetaristi e keynesiani sono molto maggiori delle differenze che possano cogliersi fra
loro. Infatti, lo stesso Milton Friedman ha riconosciuto che «We all use the Keynesian language and
apparatus. None of us any longer accept the initial Keynesian conclusions»93. Peter F. Drucker, da
parte sua, constata come Miltan Friedman sia essenzialmente ed epistemologicamente un
keynesiano: «His economics is pure macroeconomics, with the national government as the one unit,
the one dynamic force, controlling the economy through the money supply. Friedman’s economics
are completely demand-focused. Money and credit are the pervasive, and indeed the only, economic
reality. That Friedman sees money supply as original and interest rates as derivative, is not much
more than minor gloss on the Keynesian scriptures»94. Inoltre, anche prima dell’apparizione de La
92
Non bisogna dimenticare che sebbene i neoricardiani siano potuti essere alleati di circostanza degli austriaci nella loro
critica alla corrente neoclassica, il loro obiettivo dichiarato è, esattamente, annullare l’influenza (a nostro avviso non
sufficientemente profonda) che la rivoluzione soggettivista iniziata da Menger ha avuto sulla scienza economica a
partire dall’anno 1871. La controrivoluzione ricardiana iniziò, inoltre, con la recensione che Piero Sraffa fece del libro
di Hayek Prices and Production (si veda «Doctor Hayek on Money and Capital», Economic Journal, n.º 42, anno 1932,
pp. 42-53; traduzione italiana inclusa in La Scuola Austriaca contro Keynes e Cambridge, op. cit., pp. 203-229), così
come segnala Ludwig M. Lachmann nel suo articolo «Austrian Economics under Fire: The Hayek-Sraffa Duel in
Retrospect», pubblicato in Austrian Economics: History and Philosophical Background, W. Grassel e B. Smith (ed.),
Croom Helm, Londra e Sydney 1986, pp. 225-242. In seguito, bisogna sottolineare il lavoro di Joan Robinson
pubblicato nel 1953 e dedito a criticare la funzione neoclassica di produzione (si veda Joan Robinson, Collected
Economic Papers, Blackwell, Londra 1960, vol. II, pp. 114-131). E su tutto il capitolo XII del libro di Piero Sraffa,
Production of Commodities by Means of Commodities: Prelude to a Critique of Economic Theory, Cambridge
University Press, Cambridge 1960 (traduzione spagnola di Oikos-Tau, Barcelona 1975; edizione italiana curata dallo
stesso Sraffa con l'aiuto di R. Mattioli: Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse ad una critica della teoria
economica, Einaudi, Torino, 1960), che in gran parte è dedito a studiare il «switch in methods of production». Dal
punto di vista neoclassico emerge il famoso articolo di Paul A. Samuelson che dichiarò la sua resa incondizionata al
teorema di reswitching di Cambridge (Cambridge Switching Theorem), pubblicato in The Quarterly Journal of
Economics, n.º 80, 1966, con il titolo di «Paradoxes in Capital Theory: A Summing Up» (pp. 568-583). Su questo tema
è interesante anche il libro di G.C. Harcourt, Some Cambridge Controversies in the Theory of Capital, Cambridge
University Press, Cambridge 1972.
93
«Tutti usiamo il linguaggio e lo strumentario keynesiani. Nessuno di noi accetta più le conclusioni iniziali di
Keynes.» Milton Friedman, Dollars and Deficits, Prentice Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, 1968, p. 15. A sua
volta, la Scuola dei Nuovi Keynesiani ha finito con l’usare i fondamenti della microeconomia neoclassica per
giustificare l’esistenza di rigidità salariali nel mercato. In concreto, si è sviluppata un’ipotesi di «salario di efficienza»
secondo cui questo tende a determinare la produttività del lavoratore e non al contrario. Si veda, ad esempio, Robert
Gordon, «What is New-Keynesian Economics?», Journal of Economic Literature, n.º 28, settembre 1990; e Lawrence
Summers, Understanding Unemployment, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1990. La nostra critica ai nuovi
keynesiani è che i loro modelli si basano, come quelli dei monetaristi, sui concetti di equilibrio e massimizzazione, oltre
al fatto che l’irrealtà dei loro presupposti (l’esperienza mostra che almeno molto spesso i salari di quei talenti che più si
richiedono sono quelli che tendono ad aumentare) è quasi così grande come quella dei nuovi macroeconomisti classici
delle aspettative razionali. Peter Boettke, riferendosi a entrambe le scuole, conclude che «like rational-expectations
theorists who developed elaborate ‘proofs’ of how the (Neo-) Keynesian picture could not be true, the New Keynesians
start with the assumption that it must be true, and then try to explain how this ‘reality’ might have come to be. In the
end, then, the New Keynesians are as ideological as the Chicago School. In the hands of both, economics is reduced to a
game in which preconceived notions about the goodness or badness of markets are decked out in spectacular theory.» Si
veda Peter Boettke, «Where Did Economics Go Wrong? Modern Economics as a Flight From Reality», Critical Review,
n.º 1, inverno 1997, pp. 42-43. Una buona panoramica delle correnti della dispersa macroeconomia moderna si può
vedere in Blanchard, O.J. e Fischer, S., Lectures on Macroeconomics, The MIT Press, Massachusetts, 1990; e anche
David Romer Advanced Macroeconomics, McGraw-Hill, Nuova York 1996.
94
«La sua economia è una pura macroeconomia, in cui il governo è l’unità e forza dinamica che controlla l’economia
attraverso l’offerta monetaria. La teoria di Friedman si concentra completamente sul lato della domanda. La moneta e il
35
Teoria Generale di Keynes, i principali teorici della Scuola di Chicago proponevano già come
rimedi contro la depressione quelli tipicamente keynesiani, e sostenevano il ricorso ad elevati deficit
di bilancio95.
Al fine di ricapitolare e sintetizzare le differenze esistenti tra la teoria della Scuola Austriaca e
quella delle grandi correnti macroeconomiche, nella Tabella VII-1, che si include di seguito,
raccogliamo dodici confronti che differenziano radicalmente entrambi gli approcci96.
Tabella VII-1
credito sono l’unica realtà che inonda ogni cosa. Il fatto che Friedman consideri l’offerta monetaria come l’origine e il
tasso d’interesse come la conseguenza non è molto più che vernice sulle scritture keynesiane.» Peter F. Drucker,
«Toward the Next Economics», pubblicato in The Crisis in Economic Theory, Daniel Bell e Irving Kristol (ed.), Basic
Books, Nuova York 1981, p. 9. Pertanto, come segnala Mark Skousen, non desta meraviglia che uno dei monetaristi più
rilevanti degli anni Trenta, Ralph G. Hawtrey, appoggiasse Keynes contro Hayek, difendendo una posizione contraria al
risparmio e adottando punti di vista molti simili ai keynesiani sulla teoria del capitale e la macroeconomia (si vedano,
fra gli altri, i libri di Ralph Hawtrey Capital and Employment, Longmans, Londra 1937, pp. 270-286, e Mark Skousen,
Capital and its Structure, op. cit., p. 263). Un’altra manifestazione dell’evidente influenza keynesiana e
macroeconomica dei monetaristi è tutta la polemica intorno alla «funzione del consumo». Infatti, Milton Friedman, con
la sua «teoria del consumo permanente», pretendeva, mantenendo tutto lo strumentario analitico e teorico keynesiano,
di introdurre in esso una variante di natura empirica che rendesse possibile modificare le conclusioni cui si giunge
attraverso l’analisi macroeconomica. Infatti, se gli agenti economici pianificano il loro consumo in funzione del reddito
permanente nel lungo periodo, non si produrranno, all’interno della logica keynesiana, aumenti più che proporzionali
del risparmio, quando il reddito aumenta, per cui i problemi di sottoconsumo analizzati da Keynes scomparirebbero.
Tuttavia, ricorrere a questo tipo di «argomenti empirici» presuppone che si riconosca implicitamente la validità delle
tesi keynesiane sugli effetti negativi del risparmio e la tendenza dell’economia capitalista al sottoconsumo, teoria i cui
errori analitici abbiamo già dimostrato basandoci sugli argomenti microeconomici che spiegano in che modo esistano
delle forze nel mercato che portino a far sì che la quantità risparmiata sia investita in modo totalmente indipendente dal
fatto che, storicamente, tale funzione del consumo sembri avere una o altra forma. Si veda Milton Friedman, Una teoría
de la función de consumo, Alianza Editorial, Madrid 1973 (originariamente pubblicato in inglese con il titolo di A
Theory of the Consumption Function, Princeton University Press, Princeton 1957).
95
«Frank H. Knight, Henry Simons, Jacob Viner and their Chicago colleagues argued throughout the early 1930’s for
the use of large and continuous deficit budgets to combat the mass unemployment and deflation of the times.» (J.
Ronnie Davies, «Chicago Economists, Deficit Budgets and the Early 1930’s», American Economic Review, n.º 58,
giugno 1968, p. 476). Lo stesso Milton Friedman riconosce che «so far as policy was concerned, Keynes had nothing to
offer those of us that had sat at the feet of Simons, Mints, Knight and Viner» (Milton Friedman, «Comment on the
Critics», incluso in Robert J. Gordon (ed.), Milton Friedman’s Monetary Framework, Chicago University Press,
Chicago 1974, p. 163). Skousen, commentando entrambi i punti di vista, dice che: «No doubt one of the reasons why
the Chicago school gained greater acceptance was that there were some things they had in common with the
Keynesians: they both used aggregate concepts; they both relied on empirical studies to support their models; and they
both favoured some form of government involvement in the macroeconomic sphere. Granted, the Chicagoites favored
monetary policy, while the Keynesians emphasized fiscal policy, but both involved forms of State interventionism.»
Mark Skousen, «The Free Market Response to Keynesian Economics», incluso in Dissent on Keynes, op. cit., p. 26 (i
corsivi sono miei). Su questo tema è anche di grande interesse l’articolo di Roger W. Garrison, «Is Milton Friedman a
Keynesian?», pubblicato come cap. VIII dello stesso libro, pp. 131-147. Da parte sua, Robert Skidelsky ha confermato
di recente che i «rimedi» keynesiani contro la recessione non rappresentarono negli anni Trenta alcuna novità per i
teorici della Scuola di Chicago. Si veda Robert Skidelsky, John Maynard Keynes: The Economist as Saviour, 1920-
1937, Macmillan, Londra 1992, p. 579; e per ultimo, e più di recente, il lavoro molto documentato di George S. Tavlas,
«Chicago, Harvard and the Doctrinal Foundations of Monetary Economics», Journal of Political Economy, n.º 1, vol.
105, febbraio 1997, pp. 153-177.
96
Questo quadro è stato precedentemente pubblicato nella mia «Nota introductoria a la edición española», F.A. Hayek,
Contra Keynes y Cambridge, op. cit., p. xii, ed è a sua volta un adattamento personale di quello presentato da F.A.
Hayek in The Pure Theory of Capital, op. cit., pp. 47-49 (pp. 39-40 della traduzione spagnola di Sánchez Arbós, op.
cit.). Allo stesso modo, si riproduce qui il quadro comparativo fra gli approcci austriaco e neoclassico che includo in
Jesús Huerta de Soto, «La Methodenstreit o el enfoque austriaco frente al enfoque neoclásico en la Ciencia
Económica», op. cit., pp. 48-50.
36
2) Il «capitale» viene concepito come un 2) Il capitale è concepito come un fondo
insieme eterogeneo di beni di capitale che omogeneo che si autoriproduce.
vengono consumati costantemente ed è
necessario riprodurre.
3) Il processo produttivo è dinamico ed è 3) Viene concepita una struttura produttiva in
disaggregato in molteplici stadi di tipo equilibrio, unidimensionale e orizzontale (flusso
verticale. circolare del reddito).
4) La moneta ha effetto sul processo 4) La moneta ha effetto sul livello generale dei
modificando la struttura dei prezzi relativi. prezzi. Non si prendono in considerazione
modificazioni dei prezzi relativi.
5) Spiega i fenomeni macroeconomici in termini 5) Gli aggregati macroeconomici impediscono
microeconomici (variazioni nei prezzi relativi). di analizzare le realtà microeconomiche
sottostanti.
6) Dispone di una teoria delle cause endogene 6) Mancano di una teoria endogena dei cicli. Le
delle crisi economiche che spiega il loro crisi si producono per cause esogene
carattere ricorrente. (psicologiche, tecnologiche e/o errori di politica
monetaria)
7) Dispone di un’elaborata teoria del capitale. 7) Mancano di una teoria del capitale
8) Il risparmio svolge un ruolo da protagonista e 8) Il risparmio non è importante. Il capitale si
determina una modifica longitudinale nella riproduce lateralmente (più dello stesso) e la
struttura produttiva e il tipo di tecnologia che si funzione di produzione è fissa ed è data dallo
userà. stato della tecnologia.
9) La domanda di beni di capitale varia 9) La domanda di beni di capitale varia nella
inversamente alla domanda di beni di consumo. stessa direzione della domanda di beni di
Ogni investimento esige risparmio e, pertanto, consumo.
una diminuzione temporale del consumo.
10) Crede che i costi di produzione siano 10) I costi di produzione sono oggettivi, reali e
soggettivi e non siano dati. si considerano dati.
11) Ritiene che i prezzi di mercato tendano a 11) Ritengono che i costi storici di produzione
determinare i costi di produzione, e non al tendano a determinare i prezzi di mercato.
contrario.
12) Considera il tasso di interesse come un 12) Considerano che il tasso di interesse tenda
prezzo di mercato determinato da valutazioni ad esser determinato dalla produttività o
soggettive di preferenza intertemporale, che si efficienza marginale del capitale, concepita
utilizza per scontare il valore attuale del flusso come il tasso interno di rendimento che uguaglia
futuro di rendimenti a cui tende il prezzo di il flusso atteso di rendimenti con il costo storico
mercato di ogni bene di capitale. di produzione dei beni di capitale (che si
considera dato e invariabile). Ritengono che il
tasso di interesse abbia un’origine
predominantemente monetaria.
Benché, dal punto di vista scelto nella Tabella VII-1, siano molto maggiori le similitudini che le
differenze esistenti tra monetaristi e keynesiani, bisogna riconoscere l’esistenza di alcune differenze
importanti tra queste due scuole. Infatti, sebbene entrambe manchino di una teoria del capitale97 e
97
«Except for the Austrian school and some sectors of the Swedish and early neoclassical schools, the contending
macroeconomic theories are united by a common omission. They neglect to deal with capital or, more pointedly, the
economy’s intertemporal capital structure in any straightforward and satisfactory way. Yet capital theory offers the
richest and most promising forum for the treatment of the critical time element in macroeconomics.» Roger W.
Garrison, «The Limits of Macroeconomics», in The Cato Journal: An Interdisciplinary Journal of Public Policy
Analysis, vol. XII, n.º 1, 1993, p. 166.
37
concepiscano con la stessa metodologia «macro» la realtà economica98, tuttavia gli uni, i
monetaristi, si concentrano sul lungo periodo e ritengono che esista una connessione diretta,
immediata ed effettiva fra la moneta ed i fenomeni reali. Al contrario, i keynesiani effettuano
un’analisi basata sul breve periodo e sono molto scettici in quanto alle possibilità che esista una
connessione fra la moneta e i fenomeni reali, che possa in qualche modo, garantire che si raggiunga
e si mantenga una posizione di equilibrio. Di fronte a queste due posizioni, l’analisi della Scuola
Austriaca che abbiamo esposto in questo libro consente di mantenere, grazie alla elaborata teoria
del capitale su cui si fonda, una sana posizione intermedia fra l’estremo monetarista e l’estremo
keynesiano. Infatti, per gli austriaci, le aggressioni di tipo monetario (espansione creditizia)
spiegano la tendenza endogena del sistema ad allontanarsi dall’«equilibriio», cioè che la struttura
dell’offerta dei beni di capitale si separi da quella che dovrebbe formarsi in funzione della domanda
di beni e servizi di consumo da parte degli agenti economici (per cui si spiega che temporalmente
non si possa compiere la legge di Say). Tuttavia, esistono forze microeconomiche inesorabili che,
spinte dalla funzione imprenditoriale, dal desiderio di lucro e dalla variazione dei prezzi relativi,
tendono a invertire gli effetti squilibranti e a raggiungere di nuovo il coordinamento. Per questo per
gli austriaci esiste una certa connessione – loose joint, nella terminologia di Hayek99 – fra i
fenomeni monetari e i fenomeni reali, che non è né completa come credono i monetaristi, né
totalmente inesistente, come reputano i keynesiani100.
Insomma, per gli austriaci, la moneta non è mai neutrale (né nel breve né nel medio né nel lungo
periodo), essendo imprescindibile che le istituzioni relative ad essa (specialmente quella bancaria) si
fondino su principi giuridici universali che rendono impossibile che si produca, per cause
strettamente monetarie, una «falsificazione» dei prezzi relativi che dia luogo a un cattivo
investimento generalizzato delle risorse e, inevitabilmente, alla crisi e alla recessione. Per questo,
per i teorici austriaci, i tre principi essenziali della politica macroeconomica sono, in ordine di
importanza, i seguenti:
1) La quantità di moneta deve rimanere il più costante possibile, evitandosi specialmente
l’espansione creditizia, e a tal fine è necessario ritornare ai principi tradizionali del diritto
98
Luis Ángel Rojo afferma che «nel complesso, il panorama attuale della macroeconomia si caratterizza per il suo
notevole carattere di confusione. La linea di pensiero precedente di Keynes attraversa una crisi profonda davanti ad
un’evoluzione della realtà che non è stata capace di spiegare soddisfacentemente e ancor meno di dominare. Le nuove
idee, da parte loro, non si sono ancora consolidate e non mancano di offrire il fianco debole di fronte all’evidenza
empirica.» Sebbene questa diagnosi di Rojo ci sembri corretta, e si riferisca alle insufficienze teoriche tanto dei
keynesiani come dei monetaristi, è da biasimare che Rojo non menzioni affatto la necessità di fondare la
macroeconomia su di un’adeguata teoria del capitale, che permetta di integrare correttamente gli aspetti «micro» e
«macro» dell’economia. Si veda Luis Ángel Rojo, Keynes: su tiempo y el nuestro, Alianza Editorial, Madrid 1984, pp.
365 e ss. In questo stesso libro Rojo fa un breve e in grande misura insufficiente riferimento alla teoria austriaca del
ciclo economico (si vedano le pp. 324-325). Un buon riassunto dello stato attuale della macroeconomia che cerca di
mettere un poco di ordine nel suo panorama confuso e dispersivo è quello di Ramón Febrero, «El mundo de la
macroeconomía: perspectiva general y concepciones originarias», in Qué es la economía, Ramón Febrero (ed.),
Ediciones Pirámide, Madrid 1997, cap. 13, pp. 383-424. Purtroppo, Febrero non rende giustizia all’approccio
alternativo austriaco che praticamente non menziona.
99
F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 408.
100
«The conception of money as a loose joint suggests that there are two extreme theoretical constructs to be avoided.
To introduce money as a ‘tight joint’ would be to deny the special problem of intertemporal coordination. At the other
extreme, to introduce money as a ‘broken joint’ would be to deny even the possibility of a market solution to the
problem of intertemporal coordination. Monetarism and Keynesianism have tended to adopt one of the two polar
positions with the result that, as a first approximation, macroeconomic problems are seen to be either trivial or
insoluble. Between these extreme conceptions is Hayek’s notion of loose-jointed money which serves to recognize the
problem while leaving the possibility of a market solution to it an open question.» Roger W. Garrison, «Time and
Money: The Universals of Macroeconomic Theorizing», pubblicato nel Journal of Macroeconomics, vol. VI, n.º 2,
primavera 1984, p. 203. Anche nell’ambito delle aspettative gli austriaci, d’accordo con Garrison, si trovano in un sano
punto intermedio, in quanto «assuming either superrational expectations or subrational expectations detracts from the
equally crucial role played by the market process itself, which alone can continuously inform expectations, and
subtracts from the plausibility of the theory in which these unlikely expectational schemes are employed.» Si confronti
Roger W. Garrison, «What about Expectations?: A Challenge to the Austrian Theory», op. cit., p. 22.
38
che regolano il contratto di deposito bancario di moneta, fissando un coefficiente di cassa
per la banca del 100%.
2) Bisogna fare tutto il possibile affinché i prezzi relativi dei diversi beni, servizi, risorse e
fattori di produzione siano flessibili. In principio, quanto maggiore sia l’espansione
creditizia e monetaria, tanto più rigidi tenderanno ad essere i prezzi relativi, tanto più
occulto permarrà per i cittadini il vero costo dell’assenza di flessibilità e tanto più si
corromperanno le abitudini degli agenti economici che giungessero a credere nell’idea
erronea che imprescindibili riequilibri economici possano e debbano effettuarsi tramite la
crescita della quantità di moneta in circolazione. In ogni caso, come abbiamo già
argomentato in precedenza, la causa mediata e di fondo degli squilibri economici risiede
nell’espansione creditizia, che produce un cattivo investimento generalizzato di risorse che
genera una disoccupazione tanto maggiore quanto più rigidi siano i mercati;
3) È necessario che nei contratti a lungo termine che si pattuino in unità monetarie, gli agenti
economici possano predire adeguatamente l’evoluzione del potere d’acquisto della moneta.
Quest’ultimo requisito è quello che sembra più facile da raggiungere, tanto in un contesto in
cui diminuisca il potere d’acquisto dell’unità di moneta, come è successo in modo
continuativo dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, come succederebbe in modo ancor più
facile in un contesto nel quale il potere d’acquisto dell’unità di moneta continuasse ad
aumentare in modo graduale e facilmente prevedibile, come succederebbe se si stabilisse
una politica di mantenimento di una quantità costante di moneta in circolazione101.
Dopo l’analisi degli ultimi quattro capitoli, siamo ora in condizione di comprendere il ruolo
importante svolto dai veri intermediari finanziari nell’economia. Come è logico, diamo la qualifica
di veri a quegli intermediari finanziari non bancari, cioè, che non creano dal nulla né i prestiti né i
loro corrispondenti depositi, ma si limitano a intermediare nel mercato in cui si scambiano beni
presenti per beni futuri. Cioè, gli intermediari finanziari si limitano a prendere con una mano il
denaro dei prestatori che offrono beni presenti e consegnarlo con un’altra ai mutuatari, ottenendo in
conseguenza della sua pura funzione di intermediazione un margine, generalmente piccolo, di
profitto. Questo piccolo margine di profitto contrasta con i guadagni sproporzionati che la banca
ottiene quando crea dal nulla denaro in forma di prestiti, grazie al privelegio giuridico che ha
ottenuto di disporre a suo proprio beneficio della maggior parte del denaro che vi si deposita a vista.
Benché si ripeta insistenetemente che le banche siano gli «inetermediari» finanziari più importanti
dell’economia, tale idea, come sappiamo, non ha fondamento e non corrisponde alla realtà. Le
banche fondamentalmente non sono intermediari finanziari. La loro attività principale consiste nel
101
Si veda l’articolo di F.A. Hayek «On Neutral Money», pubblicato come cap. VII de Money, Capital and
Fluctuations, op. cit., pp. 159-162, e specialmente la p. 161. Questo articolo è la traduzione inglese di quello
originariamente pubblicato in tedesco con il titolo di «Über ‘Neutrales Geld’» nello Zeitschrift für Nationalökonomie,
n.º 4, anno 1933, pp. 659-661. Infine, Donald C. Lavoie ha messo in evidenza che, in ogni caso, gli effetti
«discoordinatori» che una semplice variazione del livello generale dei prezzi può generare sono meno dannosi e molto
più facilmente prevedibili di quelli che si producono nella struttura produttiva in conseguenza del tipo di iniezione
monetaria che implica l’espansione creditizia delle banche: «My own judgment would be that the pricelevel effects are
less damaging and easier to adjust to than the injection effects; thus the optimal policy for monetary stability would be
as close to zero money growth as can be practically attained. In my view the gradual deflation that this policy would
permit would be preferable to the relative price distortion which would be caused by attempting to inject enough money
into the economy to keep the price level constant»; e aggiunge che: «Even gold money would undergo gradual increases
in its supply over time. Some have estimated that about a two percent increase per year would be likely. To me this
appears to be the best we can do.» Don C. Lavoie, «Economic Calculation and Monetary Stability», pubblicato in The
Cato Journal, vol. III, n.º 1, primavera 1983, pp. 163-170, e specialmente la p. 169. Nel capitolo IX si propone un
processo di riforma del sistema monetario e bancario che, se fosse attuato, permetterebbe di eliminare la necessità di
progettare e attuare ulteriori «politiche macroeconomiche».
39
creare dal nulla crediti e depositi (a margine del loro ruolo di veri intermediari finanziari che ha
un’importanza molto secondaria da un punto di vista quantitativo e qualitativo)102. Se le banche e il
sistema bancario svolgono un ruolo da protagonista nelle economie moderne, ciò si deve,
esattamente, non alla loro funzione come intermediari finanziari ma all’esercizio della tipica attività
bancaria consistente nella creazione dal nulla di prestiti e, pertanto, di depositi e di offerta
monetaria. Non desta meraviglia, pertanto, che le banche siano capaci di distorcere la struttura
produttiva e il comportamento degli agenti economici che sono enormemente attratti dalla grande
facilità relativa di ottenere beni presenti che la banca permette, a confronto con le maggiori
difficoltà di ottenere a carico di un risparmio reale volontario, che presuppone sempre un maggiore
sacrificio e una previa disciplina da parte di terzi risparmiatori, e, in confronto, è molto più difficile
da conseguire.
È perciò l’argomento, che si sente così spesso, secondo cui le banche «non hanno potuto far altro»
che acquisire un ruolo da protagonista nel finanziamento dei processi produttivi in conseguenza del
piccolo sviluppo dei mercati dei capitali e degli intermediari finanziari non bancari. La realtà è,
invece, esattamente opposta. La capacità espansiva della concessione di crediti, dal nulla, da parte
delle banche, rende inevitabile che il mercato dei capitali e gli intermediari finanziari non bancari
perdano gran parte della loro importanza e protagonismo economico, in quanto le possibilità di
ottenere crediti in ogni momento sono molto maggiori da parte di un sistema bancario che possa
espanderli, senza che, in precedenza, nessuno si veda costretto a sacrificare il proprio consumo
immediato sotto forma di risparmio volontario.
La corretta indicazione dei mali che genera il processo di espansione creditizia da parte della banca;
il fatto che questo privilegio si basi sulla concessione di un privilegio giuridico di cui non gode
nessun altro agente economico; e che tutto crei ineludibilmente cicli successivi di auge e
depressione, sono argomenti che, non appena inizino ad esser compresi dalla generalità del
pubblico, potranno indurre una riforma del sistema bancario basata sul ristabilimento di un
coefficiente di cassa del 100 per cento per i depositi a vista, cioè che le sue operazioni rispettino i
principi tradizionali del diritto. Quando ciò si verificherà, ritorneranno ad avere il protoganismo che
corrisponde loro non solo il mercato dei capitali, ma anche i veri intermediari finanziari, cioè quelli
non bancari, che per loro propria natura, sono quelli imprenditoriali che si specializzano nel
convincere gli agenti economici dell’importanza e necessità di risparmiare a breve, medio e lungo
termine, come pure mettere in contatto prestatori e mutuatari più efficientemente, diluendo i rischi e
approffitando delle corrispondenti economie di scala.
Tra i veri intermediari finanziari si evidenziano, per la loro importanza e rilevanza sociale, le
compagnie di assicurazione sulla vita. Infatti queste istituzioni offrono dei contratti che rendono
possibile che vasti settori della popolazione intraprendano, in modo molto effettivo e disciplinato, lo
sforzo genuino di risparmiare a lungo termine. Infatti, l’assicurazione sulla vita rappresenta la forma
più perfezionata di risparmio, in quanto è l’unica che garantisca, proprio in quelle circostanze in cui
l’economia domestica ne ha maggiormente bisogno (cioè in caso di decesso, invalidità o
pensionamento), l’immediata disponibilità di un importante capitale che, tramite altri processi di
risparmio, si sarebbe potuto accumulare solo dopo molti anni. Infatti una volta pagato il primo
premio, i beneficiari dell’assicurato acquisiscono il diritto, per esempio, nel caso di decesso di
102
Luis Ángel Rojo ha segnalato correttamente che l’attività più importante delle banche non è quella che svolgono
come intermediari finanziari, ma quella che effettuano in funzione della loro capacità di creare, dal nulla, crediti e
depositi. Tuttavia, continua a chiamare «intermediari» finanziari le banche e trascura il ruolo di protagonista che i veri
intermediari finanziari (quelli che lui denomina «non bancari») avrebbero in un’economia libera dai privilegi a favore
della banca. Si veda Luis Ángel Rojo, Teoría económica III, Apuntes y Programa de la asignatura, curso 1970-1971,
Madrid 1970, pp. 13 e ss. e 90-96.
40
questi, ad ottenere un importante capitale, che l’assicurato avrebbe potuto accumulare solo
utilizzando altri procedimenti di risparmio dopo un periodo molto prolungato di tempo.
Inoltre, gli assicuratori sulla vita sviluppano e mantengono importanti reti commerciali specializzate
nello spiegare alle famiglie la grande importanza di impegnarsi nel risparmio a lungo termine, non
solo per far fronte ai possibili infortuni derivanti dal decesso, l’invalidità o la malattia, ma anche per
garantirsi una pensione degna in caso di sopravvivenza a partire da una determinata età. È chiaro,
pertanto, che le compagnie di assicurazione sulla vita sono forse i «veri intermediari finanziari» per
antonomasia, in quanto la loro attività consiste, esattamente, nel fomentare il risparmio a lungo
termine delle famiglie, attuando come veri intermediari finanziari, in investimenti molto sicuri
(essenzialmente in obligazioni di prima categoria o in immobili)103. Che le compagnie di
assicurazione sulla vita non espandano il credito né creino, pertanto, moneta, si rende manifesto
soprattutto se si raffrontano i contratti che commercializzano con le operazioni di deposito a vista
che effettuano le banche.
In primo luogo, una volta convinti i propri clienti dell’importanza di intraprendere un risparmio
disciplinato a lungo termine, ottiene da essi dei premi, che inoltre si ripetono durante tutti gli anni
che durano i contratti di assicurazione sulla vita. I premi si considerano come un’entrata delle
compagnie di assicurazione e danno luogo alla seguente registrazione:
Le compagnie di assicurazione sulla vita con i premi che ricevono fanno fronte a una serie di spese
tecniche fra le quali risaltano non solo le spese di commercializzazione e amministrazione, ma
anche le spese derivanti dal pagamento dei corrispondenti sinistri, e, in generale, dalla copertura
tecnica dei rischi di decesso, invalidità o sopravvivenza che si assumono. La registrazione cui dà
luogo il pagamento di queste spese tecniche è la seguente:
Occorre segnalare che le spese tecniche assorbono solo una parte della totalità dei premi che le
compagnie di assicurazione ricevono, poiché esse devono riservare una parte importante dei premi
non solo per la copertura dei rischi futuri (che deriva dal fatto che le compagnie coprono premi
annuali costanti per la copertura di rischi la cui probabilità aumenta con l’età degli assicurati), ma
103
Da sempre gli economisti austriaci hanno riconosciuto l’enorme importanza che l’assicurazione sulla vita ha al
momento di rendere possibile il risparmio volontario di ampie fasce della popolazione. Così, Richard von Strigl si
riferisce espressamente all’«attività delle assicurazioni sulla vita, di così straordinaria importanza nella formazione del
capitale», indicando che, affinché il risparmio volontario in generale e l’assicurazione sulla vita in particolare possano
prosperare, è imprescindibile che si abbia fiducia che almeno sia salvaguardato il potere d’acquisto dell’unità monetaria.
Si veda Richard von Strigl, Curso medio de economía, Fondo de Cultura Económica, Messico 1941, pp. 201-202. Allo
stesso modo, F.A. Hayek, nel suo classico articolo sul risparmio, menziona, ugualmente, l’assicurazione sulla vita,
insieme all’acquisto della propria casa, come una delle fonti più importanti di risparmio volontario (si veda F.A. Hayek,
«Saving», pubblicato originariamente per l’edizione del 1933 della Enciclopedia delle scienze sociali, e riedito come
cap. V di Profits, Interest and Investment, op. cit., specialmente le pp. 169-170).
41
anche in relazione all’importante componente di risparmio che sogliono incorporare le modalità più
vendute di assicurazioni sulla vita. Questa parte dei premi genera delle riserve o provvigioni che si
materializzano in investimenti a lungo termine, che si riflettono nell’attività della compagnia
assicuratrice, controbilanciate nel passivo da un conto di provvigioni matematiche, che esprime il
valore attuariale degli obblighi futuri che la compagnia assicuratrice contrae con i propri assicurati.
Le registrazioni corrispondenti sono, pertanto, le seguenti:
In tal modo, il bilancio patrimoniale della compagnia di assicurazione sulla vita è il seguente:
Attivo Passivo
Come si vede, non c’è alcuna creazione di moneta, ma le provvigioni matematiche, che esprimono
il valore contabile delle obbligazioni future con gli assicurati, rispondono al fatto economico che
costoro hanno consegnato una determinata quantità di beni presenti in cambio dell’ottenimento di
una quantità maggiore di beni in un futuro più o meno lontano (quando si produca l’eventualità
assicurata, decesso, invalidità o sopravvivenza). Finché tale evento non avvenga, gli assicurati
perdono la disponibilità del proprio denaro, la quale si trasferisce ai mutuatari che ricevono il
denaro dalle compagnie di assicurazione e che sono gli emittenti dei corrispondenti titoli o
obbligazioni che queste acquisiscono. Nel caso degli investimenti immobiliari, l’investimento è
realizzato direttamente dalla compagnia assicuratrice, che si trasforma in tal modo in un’importante
immobiliaria dedita ad affittare al pubblico i suoi beni immobili.
Il conto Profitti e Perdite della compagnia di assicurazione sulla vita risulta il seguente:
Qui si osserva come il profitto contabile degli assicuratori scaturisca dalla differenza tra le entrate
(premi ed entrate finanziarie) e le spese (tecniche e per l’aumento delle provvigioni matematiche).
Si tratta di un profitto normalmente molto contenuto che deriva dai profitti dovuti ai sinistri (cioè
che l’occorrenza di sinistri previsti in base al calcolo dei premi è stata superiore a quella realmente
sperimentata dalla compagnia), dai profitti derivanti dalle spese tecniche di amministrazione (le
ricariche amministrative incluse nel calcolo dei premi sono superiori alle spese reali della società);
e, infine, dai profitti finanziari (le entrate finanziarie sono superiori al «tasso di interesse tecnico»
42
utilizzato per il calcolo dei premi). Inoltre, la stessa concorrenza di mercatto ha fatto sì che gli stessi
assicuratori sulla vita trasferiscano ai propri assicurati una parte importante dei profitti che
ottengono in ogni esercizio, essendosi diffusa in modo generale nei contratti di assicurazione sulla
vita l’introduzione di clausole di «partecipazione ai profitti», che aumentano annualmente i capitali
assicurati dei loro clienti senza che si producano aumenti nei premi. In tal modo, dal punto di vista
economico, e indipendentemente dalla forma giuridica dell’ente assicuratore (società anonima o
mutualistica), questa, in notevole misura, si converte in una specie di «società mutualistica» nella
quale gli stessi assicurati partecipano al profitto della compagnia assicuratrice.
L’istituzione dell’assicurazione sulla vita si è venuta formando nel mercato nel corso degli ultimi
duecento anni in modo spontaneo e si fonda su una serie di norme di natura tecnica, attuariale,
finanziaria e giuridica che hanno fatto sì che essa sia capace di adempiere perfettamente la sua
missione e far fronte a situazioni di crisi e recessioni economiche che altre istituzioni, specialmnte
quelle bancarie, non hanno potuto sopportare. Così, storicamente, l’elevata mortalità finanziaria
delle banche, destinate sistematicamente al fallimento e alla sospensione dei pagamenti se non
ricevono il sostegno delle banca centrale, si controppone alla buona salute e solvibilità tecnica delle
compagnie di assicurazione sulla vita (negli ultimi duecento anni, il numero delle compagnie di
assicurazione sulla vita che in Occidente sono scomparse per difficoltà finanziarie si conta sulle dita
di una mano).
I principi tecnici tradizionali nel settore delle assicurazioni sulla vita fanno riferimento, soprattutto,
al principio di valutazione degli attivi al costo storico e all’utilizzo per il calcolo dei premi di tassi
di interesse tecnico molto prudenti, che non includono mai la componente derivante dalle
aspettative inflazionistiche. In tal modo, le compagnie di assicurazione sulla vita tendono a
sottostimare i propri attivi e sovrastimare i propri passivi, acquisendo un importante livello di
solvibilità statica e dinamica che le ha rese immuni alle fasi più recessive dei successivi cicli
economici. Infatti, quando si produce un’importante caduta nei valori degli attivi finanziari e dei
beni di capitale negli stadi del ciclo più depressivi, le compagnie di assicurazione sulla vita non
sono in genere toccate, a causa del ridotto valore contabile che i loro investimenti hanno nell’attivo.
E quanto all’importo dei passivi, le loro previsioni matematiche si calcolano a tassi di interesse
molto ridotti, in confronto con quelli che si ottengono realmente sul mercato, per cui il valore
attuale dei suoi obblighi nel passivo suole esser sopravvalutato. Inoltre, gli assicurati approfittano
dei benefici che ottengono gli assicuratori, sempre e quando questi si materializzino e si evidenzino
a posteriori, grazie alle menzionate clausole di «partecipazione ai profitti», i cui importi come è
logico non possono garantirsi a priori nei contratti corrispondenti104.
Diverse modalità di contratti di assicurazione sulla vita offrono l’opzione, per iniziativa del
contraente, che la compagnia riscatti la polizza in suo potere tramite il pagamento di una
determinata quantità in contanti. Tale opzione, che suole essere inclusa in tutte le modalità di
assicurazione sulla vita, ad eccezione di quelle nelle quali si copre esclusivamente il rischio puro di
morte o sopravvivenza, può esercitarsi in qualsiasi momento lo desideri il contraente, una volta
trascorso il periodo iniziale previsto dalla polizza (generalmente da due a tre anni). Questa clausola
contrattuale potrebbe indurre a pensare che le polizze di assicurazione sulla vita potessero utilizzarsi
104
In un altro luogo ho cercato di integrare la teoria austriaca dei cicli economici con la tecnica delle assicurazioni e ho
spiegato in che modo questa si sia sviluppata spontaneamente ed evolutivamente per far fronte agli effetti negativi delle
recessioni, garantendo in ogni momento gli accordi con i propri clienti (vedove, orfani e pensionati). La mia
conclusione è che tale modo di attuare, che tanto successo ha avuto fino ad oggi, deve esser seguito ugualmente dai
«fondi di pensioni» non assicurati, se si vuole che questi stessi compiano anche la loro funzione e si immunizzino nella
misura del possibile contro le conseguenze negative del ciclo. Si veda il mio articolo «Interés, ciclos económicos y
planes de pensiones», pubblicato negli Anales del Congreso Internacional de Fondos de Pensiones che ebbe luogo a
Madrid, nell’aprile del 1984, pp. 458-468. I principi essenziali della stabilità delle compagnie di assicurazione sono stati
studiati da Jesús Huerta Peña, nel suo libro su La estabilidad financiera de las empresas de seguros, Madrid 1954.
43
anche como strumento per materializzare giuridicamente un contratto di deposito di moneta a vista
che, come già sappiamo, si caratterizza per il fatto che la sua causa essenziale si fondi sull’obbligo
di salvaguardia o custodia e sulla possibilità che il depositante ritiri in ogni momento il denaro
depositato. Tuttavia, tale possibilità manca di fondamento per i seguenti motivi105:
In primo luogo, è necessario mettere in risalto che gli assicuratori sulla vita hanno venduto
tradizionalmente i loro prodotti come strumenti di risparmio a lungo termine. Non c’è, pertanto, il
minimo dubbio che i loro clienti, quando contrattano un’operazione sull’assicurazione sulla vita, lo
facciano con il desiderio di accantonare una parte dei loro redditi, risparmiandoli a lungo termine,
per costituire un capitale per quando più lo necessiti la famiglia. Dal punto di vista della causa del
contratto, così come dei fini soggettivi del contraente, è chiaro che ciò che avviene è una consegna
di beni presenti, sui quali si perde la loro disponibilità, in cambio di una garanzia a ricevere in
determinate circostanze future (quelle nelle quali la famiglia possa averne maggiormente bisogno,
per decesso di colui che la mantiene o per sopravvivenza) un importante capitale o reddito.
In secondo luogo, bisogna segnalare che nella maggior parte delle operazioni di assicurazioni sulla
vita non esiste la possibilità di ottenere immediatamente il valore di riscatto, cioè, dal momento
stesso in cui si firma e paga l’operazione, ma suole esserci un periodo di attesa che, a seconda dei
mercati e delle legislazioni, varia tra i due e i tre anni, in modo che appena trascorso questo termine
iniziale si inizia ad avere diritto a ricevere un valore di riscatto.
In terzo luogo, è necessario considerare che i valori di riscatto non corrispondono, per nulla,
all’importo dei premi pagati alla compagnia assicuratrice, in quanto a questi bisogna sottrarre
l’importo delle spese iniziali della polizza, che si ammortizzano lungo tutta la durata della stessa e
che, per ragioni tecniche e commerciali, sono di solito abbastanza elevate e si affrontano
inizialmente al momento della loro contrattazione. Inoltre, il valore di riscatto include una
penalizzazione a favore dell’assicuratore, al fine di incentivare ancor di più il fatto che le polizze
arrivino alla loro scadenza. Per tutto ciò, è evidente che le operazioni di assicurazioni sulla vita sono
state concepite al fine di disincentivare, nella misura del possibile, il riscatto e far sì che gli
assicurati siano disposti a optare per questa possibilità solo in circostanze estreme di necessità della
famiglia o di desiderio di cambiare assicurazione, per cui, dal punto di vista soggettivo, non può
ritenersi che, per la maggioranza dei clienti, le operazioni tradizionali di assicurazioni sulla vita
mascherino un contratto di deposito106.
105
«The cash surrender values of life insurance policies are not funds that depositors and policy holders can obtain and
spend without reducing the cash of others. These funds are in large part invested and thus not held in a monetary form.
That part which is in banks or in cash is, of course, included in the quantity of money which is either in or out of banks
and should not be counted a second time. Under present laws, such institution cannot extend credit beyond sums
received. If they need to raise more cash than they have on hand to meet customer withdrawals, they must sell some of
their investments and reduce the bank accounts or cash holdings of those who buy them. Accordingly, they are in no
position to expand credit or increase the nation’s quantity of money as can commercial and central banks, all of which
operate on a fractional reserve basis and can lend more money than is entrusted to them.» Percy L. Graves,
Introduzione al libro di Ludwig von Mises On the Manipulation of Money and Credit, op. cit., pp. xlvi-xlvii (I corsivi
sono miei).
106
Sebbene gli argomenti presentati nel testo siano più che sufficienti per giustificare che le assicurazioni sulla vita
tradizionali non nascondano depositi a vista, dal punto di vista giuridico ed economico tale circostanza potrebbe essere
garantita assolutamente solo se gli assicuratori non garantissero un valore prefissato di riscatto, ma che questo abbia
come limite massimo il valore di mercato che avrebbero potuto acquisire in ogni momento gli investimenti in cui si
materializzano le riserve o provvigioni matematiche della polizza corrispondente. In questo modo, nessuno potrebbe
dire di aver diritto a un valore prefissato di riscatto, ma soltanto al valore di liquidazione della polizza ai prezzi del
mercato secondario. Tuttavia, le difficoltà in cui si trovano gli assicuratori per potere imputare determinati investimenti
ad ogni polizza, derivati dal carattere dell’assicurazione sulla vita come contratto di lunghissima durata, ha fatto sì che,
dal punto di vista giuridico ed attuariale, si sia sviluppata una serie di clausole contrattuali (periodo di attesa, penalità in
caso di riscatto, ecc.) che di fatto finiscono con l’avere lo stesso effetto di dissuasione che avrebbe l’ottenimento di un
valore ridotto ai prezzi del mercato secondario nel caso di rescissione della polizza in uno stadio di recessione
economica. Un riassunto delle clausole più tipiche di riscatto può trovarsi in Jesús Huerta Ballester, A Brief Comparison
Between the Ordinary Life Contracts of Ten Insurance Companies, Madrid 1954.
44
La corruzione dei principi tradizionali di assicurazione sulla vita
Nonostante le precedenti considerazioni, è necessario riconoscere che, negli ultimi tempi, in molti
paesi occidentali e col pretesto di effettuare una presunta benefica «deregolamentazione dei mercati
finanziari», in molti casi sono state oscurate le chiarissime frontiere esistenti fra l’istituzione
dell’assicurazione sulla vita e il settore bancario. Ciò ha permesso che siano sorte diverse
operazioni di presunte «assicurazioni sulla vita» che, invece di rispondere ai principi tradizionali del
settore, hanno preteso imitare e mascherare i veri contratti di deposito a vista in cui si vuole
garantire l’immediata e completa disponibilità a favore del contraente della moneta depositata in
forma di «premi», insieme ai suoi corrispondenti interessi107.
Questo corrompimento, che già abbiamo commentato nel capitolo III, è stato molto negativo per il
settore assicurativo nel suo insieme e ha permesso che alcune compagnie di assicurazione sulla vita
commercializzino depositi, violando i principi tradizionali del diritto e iniziando ad attuare in
misura maggiore o minore come le banche, cioè, prestando denaro che vi è stato depositato a vista.
Di conseguenza, vari assicuratori sulla vita non solo hanno iniziato a partecipare al processo
bancario di espansione creditizia che agisce a danno della struttura produttiva e genera cicli e
recessioni economiche, ma hanno anche finito, in ultima istanza, col danneggiare gravemente la
stessa istituzione assicurativa, che ha subito un sempre maggior intervento da parte dello Stato e
107
Pertanto, l’istituzione dell’assicurazione sulla vita tradizionale può anche essere corrotta, specialmente quando i suoi
principi di base siano in maggiore o minor misura abbandonati sotto il pretesto della «deregolamentazione finanziaria»
o quando l’istituzione pretenda di mischiarsi con un settore così estraneo all’assicurazione sulla vita come è quello
bancario. Un esempio storico di questo effetto corruttore sull’assicurazione sulla vita ebbe come protagonista John
Maynard Keynes durante gli anni in cui fu presidente della National Mutual Life Assurance Society di Londra e che
abbiamo già citato nel capitolo III (nota 47). Sotto la sua presidenza, non solo spinse per una politica ad hoc di
investimenti centrata sui titoli a reddito variabile, di fronte ai principi tradizionali di investimento in titoli a reddito
fisso, ma inoltre favorì l’utilizzazione di principi contabili non ortodossi, valutando gli attivi a prezzi di mercato e non
al loro costo storico, anche autorizzando la distribuzione di profitti agli assicurati a carico di plusvalenze non realizzate.
Tutte queste aggressioni tipicamente keynesiane contro i principi tradizionali dell’istituzione assicuratrice gli costarono
quasi l’insolvenza della sua compagnia quando arrivò la Grande Depressione. La negativa influenza di Keynes sul
settore britannico dell’assicurazione sulla vita si può avvertire ancora oggigiorno e, fino a un certo punto, ha riguardato
anche il mercato assicurativo nordamericano. Attualmente, il settore cerca di liberarsi di queste malsane influenze e
ritornare ai principi tradizionali che, da sempre, hanno garantito il suo buon funzionamento e la sua solvibilità. Su tutti
questi aspetti, si può consultare la seguente bibliografia: Nicholas Davenport, «Keynes in the City», pubblicato in
Essays on John Maynard Keynes, Milo Keynes (ed.), Cambridge University Press, Cambridge 1975, pp. 224-225;
Robert Skidelsky, John Maynard Keynes: The Economist as Saviour, 1920-1937, Macmillan, Londra 1992,
specialmente le pp. 25-26 y 524 (di quest’opera esiste una traduzione italiana con il titolo: John Maynard Keynes,
L’economista come salvatore, 1920-1937, Bollati Boringhieri, Torino, 1996); D.E. Moggridge, Maynard Keynes: An
Economist’s Biography, Routledge, Londra 1992, specialmente le pp. 410 e 411. Orbene, Keynes non solo ebbe un
effetto corruttore diretto come responsabile di grande influenza nel settore assicurativo britannico della sua epoca, ma,
inoltre, ebbe un effetto indiretto molto più dannoso sul settore assicurativo nella misura in cui la sua teoria economica
contribuì ad aumentare l’inflazione e a togliere prestigio e distruggere le abitudini di risparmio degli strati popolari,
secondo la sua filosofia di «eutanasia del rentier», che ebbe effetti molto negativi sullo sviluppo del mercato
assicurativo e pensionistico in tutto il mondo. In questo senso, che Keynes sia stato durante molti anni presidente di una
compagnia di assicurazioni sulla vita può considerarsi una delle ironie più lampanti della storia delle assicurazioni sulla
vita. Si veda Ludwig von Mises, «Pensions, the Purchasing Power of the Dollar and the New Economics», incluso in
Planning for Freedom and Twelve Other Addresses, Libertarian Press, South Holland, Illinois, 1974, pp. 86-93; così
come i discorsi che Keynes pronunciò nelle 17 assemblee generali (1922-1938) in cui agì come presidente della
National Mutual Life Assurance Society, e la cui appassionante lettura non è tempo perso nel momento di illustrare gli
effetti molto perturbatori che, per ironia della sorte, derivarono dal mettere una «volpe» speculativa e nemica del
risparmio come Keynes, a carico di un «pacifico gallinaio» (la sua compagnia di assicurazione sulla vita). Si veda il
volume XII di The Collected Writings of John Maynard Keynes, Macmillan, Londra 1983, pp. 114-254. Un altro
economista famoso che ebbe anche relazioni col settore assicurativo fu Hermann Heinrich Gossen che, a parte la sua
partecipazione come consigliere in una compagnia di assicurazioni agrarie e di allevamento che fallì finanziariamente,
programmò tecnicamente la creazione di una cassa tedesca di risparmio che avrebbe dovuto dedicarsi all’attività
dell’assicurazione sulla vita, progetto che non finì mai. Si veda l’articolo dedicato a Gossen di F.A. Hayek incluso nel
vol. III delle sue Opere Complete (The Trend of Economic Thinking, op. cit., p. 356; pp. 366-367 della già citata
edizione spagnola).
45
delle banche centrali e ha perso gran parte dei vantaggi fiscali di cui aveva goduto sinora e che si
giustificavano per gli effetti molto favorevoli che tale istituzione ha nel favorire il risparmio a lungo
termine di ampie fasce della popolazione108. In ogni caso, l’analisi teorica effettuata in questo libro
deve esser motivo più che sufficiente affinché gli assicuratori sulla vita recuperino la fiducia in sé
stessi e nell’essenza positiva dell’istituzione tradizionale che hanno sviluppato, separando
chiaramente la stessa dall’estraneo «negozio» bancario che, non solo manca della necessaria
legittimazione giuridica, ma che inoltre causa effetti economici molto dannosi per la società. Al
contrario, l’istituzione assicurativa gode di un impeccabile fondamento giuridico, tecnico-attuariale
e finanziario, e, essendo fedele ai suoi principi tradizionali, non solo non pregiudica una crescita
armoniosa dell’economia, ma è anche un’istituzione imprescindibile e altamente propizia a favorire
il risparmio e l’investimento a lungo termine, e di conseguenza lo sviluppo economico della società.
Altri intermediari finanziari veri: fondi di investimento e società di gestione del risparmio
Altri intermediari finanziari veri, che avrebbero un maggiore sviluppo se si eliminassero i privilegi
di cui gode la banca, sarebbero i fondi di investimento, le società di gestione del risparmio, le
società di leasing e di finanziamento, ecc. In esse si verifica una consegna di beni presenti da parte
dei risparmiatori; beni presenti che finiscono in mano dei mutuatari finali grazie alla corrispondente
opera di intermediazione dell’istituzione. Benché nessuna di queste assicurazioni goda, come quella
sull’assicurazione sulla vita, della possibilità di garantire elevati capitali dal primo momento nel
caso si verifichi un evento aleatorio (decesso, invalidità, sopravvivenza), risulta evidente che
avrebbero anche un grande sviluppo, di gran lunga superiore a quello di cui godono attualmente,
qualora la banca smettesse di concedere crediti dal nulla in quanto obbligata a rispettare un
coefficiente di cassa del 100 per cento. In concreto, i fondi di investimneto acquisirebbero un ruolo
molto rilevante, nella misura in cui si investissero per loro tramite gli eccessi di tesoreria degli
agenti economici, che potrebbero ottenere una liquidità immediata vendendo le loro partecipazioni,
tuttavia ai prezzi del mercato secondario, e mai al loro valore nominale. Lo stesso si può dire in
riferimento alle società di gestione del risparmio e altre istituzioni finanziarie le quali anche, in
molte occasioni, hanno sperimentato nel passato un processo di corruzione e aggressione molto
simile a quello sofferto dall’assicurazione sulla vita, materializzatosi in diverse forme nel tentativo
di «garantire» ai corrispettivi «investitori» l’immediata disponibilità del loro denaro, cioè la
possibilità di ottenere la restituzione dei loro «risparmi» al loro valore nominale e ad ogni momento.
Come abbiamo visto nel capitolo III, le clausole con vincolo di riacquisto a un prezzo prefissato, in
riferimento alle azioni di società di gestione del risparmio, e in altri tipi di operazioni finanziarie, si
trovano fra i trucchi giuridici per frodare la legge, che sono normalmente utilizzati per mascherare
veri contratti di «deposito a vista» in altre istituzioni completamente estranee109. Nella misura in cui
108
Questa recente «confusione» fra il settore assicurativo e quello bancario giustificherebbe, nella misura in cui gli
agenti economici inizino a considerare soggettivamente che il valore di riscatto delle loro polizze è moneta di cui
possono disporre in ogni momento, che l’importo dei valori di riscatto (normalmente inferiore a quello delle provvigioni
matematiche degli assicuratori) cominciasse a essere considerato come parte dell’offerta monetaria. Questa è la tesi
sostenuta da Murray N. Rothbard nel suo interessante articolo «Austrian Definitions of the Supply of Money», incluso
nel libro New Directions in Austrian Economics, op. cit., pp. 143-156, e specialmente le pp. 151-152. Tuttavia, non
siamo d’accordo con Rothbard sul fatto che si debba includere in modo automatico il valore di riscatto nell’offerta
monetaria, in quanto ciò dipenderà, in ultima istanza, da se, in modo generalizzato, gli attori considerino
soggettivamente che il valore di riscatto delle loro polizze faccia parte dei loro saldi reali immediatamente disponibili,
cosa che nella maggioranza dei mercati ancora non avviene. Inoltre, è necessario mettere in risalto che la tendenza a
confondere l’istituzione assicurativa con quella bancaria non è finita e che anche in quei mercati in cui la confusione era
stata maggiore si si inizia a notare una tendenza al ritorno ai principi tradizionali del settore assicurativo, basata sulla
netta separazione da quello bancario. Sulle nuove operazioni di assicurazioni sulla vita, e in che modo pretendano di
offrire operazioni molto simili ai depositi bancari, può consultarsi il libro di Thierry Delvaux y Martin E. Magnee
intitolato Les nouveaux produits d’assurance-vie, Editions de L’Université de Bruxelles, Bruxelles 1991.
109
Economicamente è facile demostrare che un’operazione finanziaria con vincolo di riacquisto garantito in ogni
momento al suo valore nominale (e non al suo oscillante prezzo imprevedibile del mercato secondario) è un deposito a
46
tali procedimenti si siano diffusi, dal punto di vista economico, i contratti e le istituzioni in
questione hanno iniziato a generare gli stessi effetti negativi cui dà luogo il negozio bancario con
riserva frazionaria. Perciò, come vedremo nei prossimi capitoli, ogni programma di riforma del
sistema bancario deve prendersi cura allo stesso modo che i diversi procedimenti giuridici che
illegalmente si possano ideare per mascherare veri contratti di deposito a vista con riserva
frazionaria, siano prontamente identificati e perseguiti in quanto contrari all’ordinamento giuridico
e al processo armonioso di coordinamento economico.
Infine, dobbiamo fare riferimento brevemente alle assicurazioni di credito che sono sorte
spontaneamente nelle economie sviluppate. Queste assicurazioni, mediante la riscossione di un
premio, garantiscono che, nell’eventualità che i clienti delle imprese commerciali e industriali
assicurate non possano pagare i loro rispettivi debiti, che di solito si materializzano a determinate
scdenze (di 30, 60, 90 giorni, ecc.) e mediante l’utilizzo di determinati strumenti finanziari (per
esempio, le cambiali), la compagnia di assicurazione corrisponderà una percentuale dell’importo del
debito corrispondente (collocato fra il 75 e il 95 per cento), sobbarcandosi l’onere e reclamandolo in
seguito al cliente moroso. L’assicurazione di credito, pertanto, risponde ad una realtà che si verifica
nei mercati e che ha la sua origine nei crediti che le diverse imprese industriali e commerciali sono
solite concedere, in modo genralizzato ai loro clienti. Tale credito risponde economicamente ad
un’operazione tradizionale attraverso cui i risparmiatori, generalmente i capitalisti proprietari
dell’impresa, anticipano le risorse finanziarie per un certo periodo di tempo ai lavoratori e ai
proprietari dei fattori originari di produzione, come pure ai loro clienti, ai quali concedono un
termine di alcuni mesi affinché facciano fronte al pagamento dei loro debiti. Come è logico, questo
credito concesso ai clienti esige sempre che, previamente, determinati agenti economici abbiano
sacrificato e ridotto il loro consumo, risparmiando le corrispondenti risorse per render possibile
questa modalità di pagamento. Pertanto, il credito al cliente, non può esser generato dal nulla, ma
presuppone sempre un precedente risparmio da parte di qualcuno (il proprietario dell’impresa
fornitrice). In assenza di distorsioni create dall’espansione creditizia bancaria, l’assicurazione di
credito svolge una funzione economica di grande valore, facilitando la classificazione dei clienti a
seconda del loro rischio, grazie alle importanti basi di dati di informazione di cui dispongono le
compagnie di assicurazione di credito, e offrendo al tempo stesso servizi giuridici di recupero, che
godono di notevoli economie di scala di cui le imprese individuali da sole non potrebbero godere.
Il problema sorge quando l’espansione creditizia di origine bancaria distorce tutti i mercati di
credito e dà luogo a cicli ricorrenti di espansione e recessione. Infatti, nello stadio del boom
alimentato dall’espansione creditizia vengono intrapresi molteplici progetti di investimento in modo
artificiale e senza base reale che in molte occasioni sono finanziati a termine e assicurati tramite la
corrispondente assicurazione di credito. Ciò fa sì che le compagnie specializzate nelle assicurazioni
di credito si assumano dei rischi sistematici che per loro propria natura, come sappiamo, non sono
tecnicamente assicurabili. Infatti, il processo espansivo dovrà prima o poi invertirsi, rendendo
evidenti in modo generalizzato gli errori commessi sotto forma di fallimenti, sospensione di
pagamenti e liquidazioni dei progetti di investimento che generano perdite. Perciò, nelle economie
moderne che patiscono gli effetti distorsivi dell’espansione creditizia, l’assicurazione di credito ha
un’importante natura ciclica, che le impedisce di far fronte agli stadi recessivi a meno di introdurre
vista che esige un coefficiente di cassa del 100 per cento. Infatti, l’unico modo in cui si può garantire in ogni momento
l’esercizio del patto di riacquisto in relazione a tutte le operazioni in cui lo si è pattuito è disponendo di una riserva di
moneta identica al valore totale che si dovrebbe sborsare se tutti i patti di riacquisto si esercitassero allo stesso tempo
(coefficiente di cassa del 100 per cento). Non verificandosi questa situazione, esisterà sempre la possibilità che non si
possa adempiere all’esercizio immediato dell’opzione di riacquisto, possibilità che si convertirà quasi in certezza
durante gli stadi recessivi del ciclo economico se non si disponga dell’appoggio incondizionato di una banca centrale
che agisca come prestatore di ultima istanza.
47
una serie di clausole di salvaguardia che evitino che gli assicuratori seguano la stessa sorte che in
generale tocca agli imprenditori che peccarono di ottimismo e allungarono indebitamente i loro
progetti di investimento nello stadio del boom espansivo. Fra queste clausole si distinguono,
soprattutto, quelle che fissano delle franchigie e dei termini di attesa per saldare l’assicurazione a
seconda dell’importo di indennizzazione, e quella che esige una dichiarazione giudiziaria di
insolvenza definitiva, che a causa della lunghezza dei procedimenti di bancarotta, di solito si ritarda
molto nel tempo, facendo sì che nel frattempo si possano effettuare i necessari recuperi e si
mantenga la necessaria stabilità finanziaria dell’assicuratore110.
I cicli successivi di espansione e depressione presuppongono sempre una sfida importante per le
compagnie di assicurazione di credito che, ai tradizionali servizi che offrono (recupero,
classificazione di clienti, ecc.), aggiungono un servizio addizionale che consiste
nell’accumulazione, collettiva e mutualistica, durante le fasi di espansione, di importanti riserve
finanziarie, per far fronte negli stadi di crisi e recessione, al pagamento sistematico degli indennizzi
molto superiori che in esse sorgono. Ad ogni modo, è necessario riconoscere che le cautele
giuridiche finora sviluppate non sono state sufficienti ad evitare il fallimento e la liquidazione di
alcuni tra gli assicuratori di credito più importanti del mondo occidentale in ognuna delle ultime
crisi che questo settore ha sperimentato, e che l’assicurazione di credito sarà sempre
un’assicurazione molto vulnerabile ai periodi di recessione, specialmente finché la banca continui a
svolgere la sua attività con coefficiente di riserva frazionario111.
110
Una buona analisi del diritto concorsuale la dobbiamo a Francisco Cabrillo, Quiebra y liquidación de empresas,
Unión Editorial, Madrid 1989.
111
Come è evidente, non è possibile che le compagnie di assicurazione di credito assicurino tecnicamente i crediti che
nella loro fase di espansione concede la banca stessa, in quanto, come già abbiamo dimostrato, non esite la necessaria
indipendenza fra l’esistenza dell’assicurazione e i risultati del fenomeno che si vuole assicurare. Infatti, la presunta
assicurazione dei crediti concessi dalla banca farebbe sì che questa espandesse questi stessi senza controllo,
producendosi così, nello stadio inesorabile di recessione a cui l’espansione creditizia dà sempre luogo, un aumento
sistematico dei morosi che renderebbe tecnicamente non fattibile l’assicurazione. Sono, pertanto, le stesse ragioni che
rendono impossibile l’assicurazione dei depositi a vista mediante la legge dei grandi numeri e il coefficiente di riserva
frazionaria quelle che rendono tecnicamente impossibile assicurare, dal lato dei crediti, le operazioni attive della banca.
48
Capitolo VIII
In questo capitolo presentiamo un’analisi teorica degli argomenti che sono stati elaborati in favore e
contro la banca centrale e la banca libera lungo la storia del pensiero economico. Passeremo in
rassegna, prima, la discussione teorica fra i sostenitori di una banca privilegiata, cioè, non soggetta
ai principi tradizionali del diritto, e capace, pertanto, di espandere il suo credito (quella che
denomineremo Scuola Bancaria), e quei teorici che hanno sempre difeso che la banca si
sottomettesse alle regole e ai principi di carattere universale (quella che denomineremo Scuola
Monetaria)1. L’analisi e la valutazione degli apporti teorici della scuola bancaria e della scuola
monetaria ci darà la base per studiare, sempre in questo capitolo, la polemica fra i sostenitori della
banca centrale e della banca libera. Vedremo come, sebbene all’inizio teorici della scuola monetaria
avessero difeso la banca centrale, e i teorici della scuola bancaria avessero sostenuto un regime di
banca libera, in ultima istanza finirono prevalendo le dottrine inflazioniste della scuola bancaria,
paradossalmente sotto l’impulso e il patrocinio della banca centrale. Infatti, una delle conclusioni
più importanti della nostra analisi è che la banca centrale, lungi dall’essere un risultato del processo
spontaneo di cooperazione sociale, sorge in modo inevitabile quando il sistema della banca privata
si basa su un coefficiente di riserva frazionaria, in quanto gli stessi banchieri privati finiscono col
richiedere la creazione di un prestatore di ultima istanza nelle situazioni di crisi e recessione
economica che tale sistema genera in modo ciclico. Continueremo questo capitolo applicando il
teorema dell’impossibilità del calcolo economico nel socialismo all’attività della banca centrale, il
quale spiega, ugualmente, le difficoltà della legislazione bancaria amministrativa così come si è
sviluppata finora. In ultimo, si argomenterà che i teorici che attualmente difendono la banca libera
sono soliti cadere nell’errore di ammettere e giustificare il coefficiente di riserva frazionaria, senza
rendersi conto che questa concessione, non solo renderebbe inevitabile la riapparizione della banca
centrale, ma inoltre produrrebbe delle crisi di natura ciclica perturbatrici per l’economia e la società.
Studieremo in questa sezione gli argomenti teorici che i difensori della banca con riserva
frazionaria hanno ideato per giustificare tale sistema. Sebbene tradizionalmente si consideri che
questi argomenti siano stati elaborati nel contesto della polemica che si era sviluppata fra la
cosiddetta «Scuola Bancaria» (Banking School) e la cosiddetta «Scuola Monetaria» (Currency
School) a partire dalla prima metà del secolo XIX in Inghilterra, è certo che i primi argomenti
relativi alla banca con riserva frazionaria e all’opposizione fra entrambi i punti di vista (quello
bancario e quello monetaria) risalgono, anche, agli apporti dei teorici della Scuola di Salamanca dei
secoli XVI e XVII.
1
Le definizioni di scuola bancaria e di scuola monetaria che offriamo nel testo sono, fondamentalmente, quelle proposte
da Anna J. Schwartz, secondo la quale i teorici della scuola monetaria difendono che la politica monetaria deve essere
disciplinata sottomettendosi a regole e principi generali del diritto, mentre i membri della scuola bancaria pretendono in
generale lasciare libertà completa affinché i banchieri (ed eventualmente la banca centrale) agiscano discrezionalmente
anche al margine dei principi tradizionali del diritto. Anna J. Schwartz evidenzia che, di fatto, tutta la polemica fra le
due scuole, si concentra sulla questione se «policy should be governed by rules (espoused by adherents of the Currency
School), or whether the authorities should allow discretion (espoused by adherents of the Banking School)». Cfr.
l’articolo di Anna J. Schwartz, «Banking School, Currency School, Free Banking School» pubblicato nel vol. I di The
New Palgrave: Dictionary of Money and Finance, Macmillan, Londra 1992, pp. 148-151.
1
Gli apporti dei teorici della Scuola di Salamanca nel campo monetario sono importanti e sono stati
studiati in dettaglio2.
Il primo trattato della nostra scolastica che si occupa di moneta fu quello pubblicato da Diego de
Covarrubias y Leyva nel 1550 con il titolo di Veterum collatio numismatum. In questo lavoro il
famoso vescovo di Segovia studia la storia della svalutazione del maravedí spagnolo, raccogliendo
una grande quantità di statistiche sull’evoluzione dei prezzi. Sebbene nel trattato di Covarrubias si
trovino già implicitamente le idee essenziali della teoria quantitativa della moneta, tuttavia gli
manca ancora una teoria monetaria esplicitamente articolata3. Bisognerà attendere alcuni anni
perché nel 1556 Martín de Azpilcueta esprima già, in forma chiara e completa, che l’aumento dei
prezzi, o se si preferiste, la diminuzione nel potere d’acquisto della moneta, è il risultato
dell’incremento dell’offerta monetaria che si stava sperimentando in Castiglia in conseguenza del
consistente afflusso di metalli preziosi procedenti dall’America.
Infatti, la relazione fra la quantità di moneta e i prezzi è espressa in modo impeccabile da Martín de
Azpilcueta, per il quale «nelle terre dove c’è una grande carenza di moneta, tutte le altre cose
vendibili, e finanche le mani e i lavori degli uomini si vendono a prezzo inferiore di dove c’è
abbondanza di moneta; come per esperienza si vede che in Francia, dove c’è meno moneta che in
Spagna, valgono molto meno il pane, il vino, le stoffe, le mani e i lavori; e anche in Spagna, nel
tempo in cui c’era meno moneta per molto meno si offrivano le cose vendibili, le mani e i lavori
degli uomini, che dopo che la scoperta delle Indie la ebbe ricoperta di oro e argento. La causa di ció
è che la moneta vale più dove e quando c’è bisogno di essa, che dove e quando ce n’è in
abbondanza.»4
Orbene, in contrasto con i profondi e dettagliati studi che sono stati portati a termine sulla teoria
monetaria della Scuola di Salamanca, molto scarso è stato lo sforzo per analizzare e valutare la
posizione degli scolastici rispetto all’attività bancaria5. Tuttavia, i teorici della Scuola di Salamanca
condussero un’analisi molto acuta delle pratiche bancarie e, in gran misura, furono precursori delle
diverse posizioni che oltre due secoli dopo si riprodussero tra i membri della cosiddetta «Scuola
Bancaria» (Banking School) e quelli della «Scuola Monetaria» (Currency School).
Infatti, nel capitolo II abbiamo già fatto riferimento alla trattazione critica dell’attività bancaria
basata sulla riserva frazionaria effettuata dal Dottor Saravia de la Calle e che è inclusa nei capitoli
2
Si confronti, soprattutto, l’indagine che Marjorie Grice-Hutchinson pubblicò sotto la direzione di F.A. Hayek con il
titolo di The School of Salamanca: Readings in Spanish Monetary Theory, 1544-1605, Clarendon Press, Oxford 1952;
Murray N. Rothbard, «New Light on the Prehistory of the Austrian School», pubblicato in The Foundations of Modern
Austrian Economics, Edwin G. Dolan (ed.), op. cit., pp. 52-74; Alejandro A. Chafuen, Economía y ética: raíces
cristianas de la economía de libre mercado, Ediciones Rialp, Madrid 1991, specialmente le pp. 85-93, tradotto in
italiano da Cristina Ruffini con il titolo Cristiani per la libertà: radici cattoliche dell’economia di mercato, Ed.
Liberilibri, Macerata, 1999, soprattutto le pp. 67-81. Su Marjorie Grice-Hutchinson si devono consultare i commenti
laudatori che fa Fabián Estapé nella sua Introduzione alla 3.ª edizione spagnola del libro de Joseph A. Schumpeter
Historia del análisis económico, Editorial Ariel, Barcelona 1994, pp. xvi-xvii.
3
L’edizione che ho utilizzato è quella delle Opera omnia, pubblicata a Venezia nell’anno 1604, e che include il trattato
sulla moneta di Diego de Covarrubias nel vol. I con il titolo completo di Veterum collatio numismatum, cum his, quae
modo expenduntur, publica, et regia authoritate perpensa, op. cit., pp. 669-710. Questo lavoro di Diego de Covarrubias
è citato spesso da Davanzati, e almeno una volta nel capitolo 2 della famosa Della moneta, di Ferdinando Galiani,
Giuseppe Raimondi, Napoli 1750, p. 26. Anche Carl Menger, nelle sue Grundsätze der Volkswirthschaftlehre, op. cit.,
si riferisce al lavoro di Covarrubias (p. 257).
4
Martín de Azpilcueta, Comentario resolutorio de cambios, edizione del Consejo Superior de Investigaciones
Científicas, Madrid 1965, pp. 74-75 (i corsivi sono miei). Nicola Copernico, tuttavia, precedette di 30 anni a Martín de
Azpilcueta nell’enunciare una versione (più embrionale) della teoria quantitativa della moneta nel suo libro De monetae
cudendae ratio (1526). Si veda Murray N. Rothbard Economic Thought Before Adam Smith, op. cit., p. 165 (p. 199
dell’edizione spagnola della Unión Editorial, Madrid 1999).
5
Si vedano, per esempio, i commentari di Francisco Gómez Camacho nella sua Introduzione a Luis de Molina, La
teoría del justo precio, Editora Nacional, Madrid 1981, pp. 33-34; di Restituto Sierra Bravo, El pensamiento social y
económico de la escolástica desde sus orígenes al comienzo del catolicismo social, op. cit., vol. I, pp. 214-237; così
come l’articolo di Francisco Belda, che commenteremo in extenso nelle pagine seguenti, e quello più recente di Jesús
Huerta de Soto, «New Light on the Prehistory of the Theory of Banking and the School of Salamanca», op. cit.
2
finali della sua Instrucción de mercaderes. Anche Martín de Azpilcueta e Tomás de Mercado
svilupparono un’analisi rigorosa sull’attività bancaria che, sebbene non raggiunga i livelli critici di
Saravia de la Calle, include un’impeccabile trattazione delle esigenze che, in accordo con la
giustizia, devono osservarsi nel contratto di deposito bancario di moneta. Possiamo considerare
questo primo gruppo di autori come costituenti parte di un’incipiente «Scuola Monetaria», che fin
da principio si sarebbe sviluppata nel seno della Scuola di Salamanca e caratterizzata per il
mantenimento di posizioni coerenti e rigorose rispetto alle esigenze giuridiche del contratto di
deposito bancario, e per esser in generale molto critica e diffidente rispetto all’esercizio dell’attività
bancaria.
Diverso da questo primo gruppo, occorre distinguere chiaramente un secondo insieme di teorici che
sarebbe capeggiato da Luis de Molina, e al quale apparterrebbero anche Juan de Lugo e in misura
minore Leonardo de Lesio e Domingo de Soto. Questi autori seguono la leadership di Molina e,
come abbiamo già menzionato nel capitolo II di questo libro, si caratterizzano per il debole
fondamento giuridico che esigono al contratto di deposito bancario di moneta e per l’ammissione
del mantenimento di una riserva frazionaria, argomentando che tale contratto, più che un deposito, è
un prestito o mutuo «precario». Non è questo il luogo per riprodurre tutti gli argomenti contro la
posizione molinista rispetto al contratto di deposito bancario che, d’altra parte, raccoglie un errore
molto diffuso da quando i glossatori lungo l’Età Media, commentarono l’istituzione del depositum
confessatum. Quello che adesso ci interessa ricordare è che questo secondo gruppo di autori della
Scuola di Salamanca fu molto più «comprensivo» rispetto all’attività bancaria, arrivando a
giustificare il suo esercizio con un coefficiente di riserva frazionaria. Non è pertanto del tutto
improprio considerare che questo secondo gruppo di autori farebbe parte di un’incipiente «Scuola
Bancaria» all’interno della Scuola di Salamanca che, al pari dei suoi successori di alcuni secoli
posteriori della scuola bancaria inglese e continentale, non solo giustificarono l’esercizio
dell’attività bancaria con riserva frazionaria, cioè, violando i principi tradizionali del diritto, ma
inoltre credettero che essa avesse effetti molto positivi sull’economia.
Sebbene il fondamento teorico di Luis de Molina sul contratto bancario sia molto discutibile e, in
certo senso, rappresenti un regresso rispetto ad altre posizioni nella Scuola di Salamanca, è, senza
dubbio, importante mettere in risalto come questo autore sia il primo membro della scuola di
tradizione bancaria capace di rendersi conto che gli assegni e documenti che ordinavano il
pagamento a vista di determinate quantità a carico dei depositi adempievano esattamente la stessa
funzione della moneta metallica. Non è, pertanto, corretta la diffusa opinione secondo cui furono i
teorici della scuola bancaria inglese quelli che per primi nel secolo XIX scoprirono che i depositi a
vista delle banche facevano parte integralmente dell’offerta monetaria, esercitando, pertanto, gli
stessi effetti sull’economia dei biglietti della banca. Luis de Molina, più di due secoli prima, aveva
già messo chiaramente in evidenza quest’idea nella disputa 409 del suo Tratado sobre los cambios.
Infatti, Luis de Molina ci indica che «ai banchieri si accredita la moneta in due modi: una, in
contanti, consegnando loro le monete; e un’altra, attraverso lettere di cambio, o qualsiasi altra
lettera che si dia loro, in virtù delle quali colui che deve pagare la lettera diventa debitore della
banca per la quantità che in essa si indica, che si accrediterà nel conto di chi porti la lettera alla
banca»6. In concreto, Luis de Molina si riferisce ad alcuni documenti che chiama in latino
chirographis pecuniarum, che si utilizzano per pagare la maggior parte delle transazioni che si
effettuano nelle fiere. E così, «benché siano molte le transazioni che si realizzano in contanti, la
maggior parte si fanno mediante documenti che accreditano, o che la banca sia debitrice nei loro
confronti, o che accetti di pagare, rimanendo la moneta all’interno della banca». Molina segnala,
inoltre, che questi assegni posseggono un valore liberatorio «a vista», indicando che «questi
pagamenti sono soliti essere chiamati “a vista”, perché la moneta deve essere corrisposta nel
momento in cui si presenti e si legga la lettera»7.
6
Luis de Molina, Tratado sobre los cambios, edizione con Introduzione di Francisco Gómez Camacho, Instituto de
Estudios Fiscales, Madrid 1990, p. 145.
7
Luis de Molina, ibidem, p. 146.
3
Tuttavia, la cosa importante è che Molina espresse, molto prima di Thornton nel 1997 e Pennington
nel 1826, l’idea essenziale che il volume totale di transazioni monetarie che si effettuano in una
fiera non potrebbe esser pagata con la quantità di contante che in essa cambia di mano, se non fosse
per l’utilizzo della moneta che generano le banche mediante le annotazioni dei loro depositi e
l’emissione di assegni a carico degli stessi da parte dei depositanti. Di modo che, grazie all’attività
finanziaria delle banche, si crea dal nulla una nuova quantità di moneta in forma di depositi che è
utilizzata nelle transazioni. Infatti, Molina ci dice espressamente che si formalizzano «mediante
documenti firmati la maggior parte delle transazioni che si fanno in precedenza; in quanto la
moneta non è tanto abbondante al punto da poter esser comprata in contante la quantità enorme di
merci che si portano lì per vendere, se si deve pagare in contanti, e nemmeno per poter portare a
termine tanti affari»8. In ultimo, Molina distingue molto chiaramente fra quelle operazioni che
implicano la concessione di un credito posponendo temporalmente il pagamento di un debito, da
quelle che si effettuano con pagamento in contante mediante un assegno, oppure caricando il suo
importo in un conto bancario, concludendo che « bisogna avvertire che non si considera che si
compra a credito se il prezzo si carica sul proprio conto bancario, sebbene al momento non si paghi
in contanti; in quanto il banchiere pagherà in contanti il saldo a debito che insorgesse, almeno alla
fine della fiera»9.
Juan de Lugo, da parte sua, segue pari pari la dottrina molinista nel considerare che il deposito
bancario di moneta non sia altro che un mutuo o prestito «precario» che permette che, finché non
venga richiesto dai depositanti, possa essere utilizzato negli affari privati del banchiere10.
Molina e Lugo sostengono una posizione così confusa nella sua fondazione giuridica, che arrivano
finanche ad ammettere che il contratto possa avere simultaneamente una natura giuridica distinta
secondo la parte che lo pone in essere (cioè, che possa essere un deposito per il depositante, e un
contratto di prestito per il banchiere depositario). Apparentemente non vedono nessuna
incongruenza in tale posizione e rispetto all’attività dei banchieri fissano solo un limite: che
agiscano con «prudenza» affinché, in virtù della legge dei grandi numeri, dispongano sempre di una
liquidità sufficiente a consentire la restituzione dei depositi che «normalmente» sono loro richiesti.
Non si rendono conto che il criterio di prudenza che enunciano non è un criterio oggettivo che possa
orientare l’azione del banchiere. Per cui non coincide con la capacità di restituzione dei depositi che
abbiano in ogni memento, e essi stessi hanno cura di porre in risalto che i banchieri incorrono in
«peccato mortale» quando utilizzano i fondi dei loro depositanti in attività imprudenti e speculative,
sebbene queste stesse abbiano un esito felice e possano restituire a tempo la moneta ai
depositanti.11 Inoltre, il criterio di prudenza non è neanche una condizione sufficiente: si può essere
molto prudenti e tuttavia poco perspicaci o anche avere sfortuna negli affari, di modo che quando
giunga il momento non si disponga di sufficiente liquidità e non si possano restituire i depositi12. In
cosa deve consistere, dunque, il criterio di prudenza? È chiaro che non può darsi una risposta
obiettiva a questa domanda che possa servire da guida nell’attività dei banchieri. Soprattutto
quando, così come abbiamo visto nei capitoli precedenti, non si può applicare all’attività bancaria
basata sulla riserva frazionaria la legge dei grandi numeri, in quanto l’espansione creditizia alla
quale essa dà luogo fa sì che si generino cicli ricorrenti di espansione e recessione che
8
Luis de Molina, ibidem, p. 147 (i corsivi sono miei).
9
Luis de Molina, ibidem, p. 149.
10
«Quare magis videntur pecuniam precario mutuo accipere, reddituri quotiscumque exigetur a deponente. Communiter
tamen, pecunia illa interim negotiantur, et lucrantur, sine ad cambium dando, sine aliud negotiationis genus exercendo.»
Cito letteralmente dalle p. 406, sezione 5, n. 60, «De Cambiis», Joannis de Lugo Hispalensis, Societatis Iesu,
Disputationum de iustitia et iure, Tomus Secundus, Sumptibus Petri Prost, Lione 1642.
11
Forse Juan de Lugo è colui che nel modo più sintetico e chiaro esprime questo principio, come già vedemmo alla nota
102 del II capitolo.
12
Cioè, si possono commettere errori imprenditoriali puri o genuini (non assicurabili mediante la legge dei grandi
numeri) che producano gravi perdite imprenditoriali, senza che sia importante il grado di prudenza col quale si è
operato. Sul concetto di «errore genuino» si deve consultare Israel Kirzner, «Economics and Error», in Perception,
Opportunity and Profit, The University of Chicago Press, Chicago 1979, cap. 8, pp. 120-136.
4
necessariamente devono mettere i banchieri in situazioni di difficoltà. Il fatto è che la stessa attività
bancaria produce le crisi di liquidità e, pertanto, le insolvenze generalizzate delle banche. Ad ogni
modo, nel momento delle crisi, è molto probabile che la banca non possa pagare, cioè che sospenda
i pagamenti, e sebbene alla fine tutti i suoi creditori riescano a riscuotere, ciò si verifica nella
migliore ipotesi solo dopo un periodo prolungato di liquidazione durante il quale verrà cambiata la
funzione dei depositanti, in quanto questi perderanno la disponibilità immediata del loro denaro, e si
convertiranno in mutuanti forzosi obbligati a posporre la riscossione dei propri depositi fino al
momento in cui si concluda la liquidazione ordinata della banca. Inoltre, durante tale periodo
l’offerta monetaria si riduce nell’importo globale di tutti questi «depositi» in tal modo
immobilizzati.
Le considerazioni precedenti sono quelle che, senza alcun dubbio, inducono Tomás de Mercado a
segnalare che i principi di prudenza enunciati da Molina e Juan de Lugo costituiscano un obiettivo
che in pratica nessun banchiere adempie. Sembra come se Tomás de Mercado fosse consapevole
che tali principi non valgano come guida pratica di attuazione per garantire la solvibilità bancaria. Il
fatto è che se tali principi sono inefficaci per conseguire permanentemente l’obiettivo di solvibilità e
liquidità, il sistema della banca con riserva frazionaria non sarà capace di adempiere i suoi impegni
in tutte le circostanze.
Recentemente, nel Novecento, due economisti gesuiti hanno studiato di nuovo la dottrina degli
scolastici rispetto al negozio bancario, uno dal punto di vista della Scuola Bancaria e l’altro dalla
posizione della Scuola Monetaria. Il primo è il gesuita spagnolo Francisco Belda, autore di un
interessante lavoro intitolato «Etica della creazione di crediti secondo la dottrina di Molina, Lesio e
Lugo»13. Infatti, secondo padre Belda è evidente che «dalla descrizione di Molina si deduce che nel
caso dei banchieri c’è una vera creazione di crediti. Grazie agli interventi delle banche si è creato un
nuovo potere d’acquisto che in precedenza non esisteva. La stessa moneta è utilizzata due volte
simultaneamente; la utilizza la banca nei suoi negozi e anche il depositante. Il risultato complessivo
è che la quantità di mezzi di pagamento in circolazione è molte volte superiore alla quantità reale di
moneta contante che la ha generata e la banca trae beneficio da tutte queste operazioni.» Inoltre,
Belda considera che per Molina «si possono lecitamente usare i depositi dei clienti, purché sia fatto
con prudenza, senza esporsi a non far fronte ai propri obblighi alla scadenza prestabilita.»14
Con riferimento a Juan de Lugo, Belda indica che questi realizza «una descrizione minuziosa delle
pratiche dei cambiavalute e dei banchieri. Qui c’è realmente un’approvazione esplicita della
creazione di credito, sebbene non sotto l’aspetto formale di credito creato. Le banche fanno affari
con i depositi dei loro clienti, i quali a loro volta non si privano dell’uso della loro propria moneta.
Si verifica un’espansione dei mezzi di pagamento prodotta dalle banche, mediante crediti, sconto di
titoli di credito commerciali e altre attività economiche realizzate con denaro altrui. Il risultato
finale è un aumento del potere d’acquisto nel mercato molto superiore alla quantità rappresentata
dai depositi in contanti che le diedero origine»15.
È evidente che Belda segnali correttamente come le dottrine di Molina e Lugo siano, fra quelle
degli scolastici, le più favorevoli all’attività bancaria. Tuttavia, dobbiamo criticare padre Belda per
non aver presentato le posizioni degli altri membri della Scuola di Salamanca, in particolare di
Tomás de Mercado e, soprattutto, di Martín de Azpilcueta e di Saravia de la Calle, che, come
sappiamo, sono molto più rigorosi e critici quando sottopongono a giudizio l’istituzione bancaria.
Inoltre, l’analisi degli apporti di Molina e Lugo da lui condotta si fonda su una concezione
keynesiana dell’economia, che non solo ignora tutti gli effetti negativi che l’espansione creditizia
provoca sulla struttura produttiva, ma che inoltre considera questa altamente benefica nella misura
in cui aumenta la «domanda effettiva» e il reddito nazionale. È, pertanto, l’analisi di Belda uno
13
Pubblicato nella rivista Pensamiento, rivista trimestrale di ricerca e informazione filosofica, pubblicata dalle Facoltà
di Filosofia della Compagnia di Gesù in Spagna, n. 73, vol. 19, Madrid, gennaio-marzo 1963, pp. 53-89.
14
Padre Francisco Belda, op. cit., pp. 63 e 69.
15
Francisco Belda, op. cit., p. 87. Il riferimento a Juan de Lugo si trova nel tomo 2, disposizione 28, sezione 5.ª, n. 60-
62 dell’opera di Juan de Lugo che abbiamo già citato.
5
studio, dal punto di vista della scuola keynesiana e bancaria, degli apporti dei membri della Scuola
di Salamanca meno rigoroso quanto alla giustificazione giuridica dell’istituzione del deposito
bancario di moneta e, pertanto, più propenso a considerare legittima l’attività bancaria basata su un
coefficiente di riserva frazionaria.
Esiste, tuttavia, un trattato di economia di un altro notevole gesuita, il padre Bernard W. Dempsey,
intitolato Interest and Usury16, in cui si compie un’analisi della posizione dei membri della Scuola
di Salamanca rispetto all’attività bancaria, che si fonda su un bagaglio di teoria monetaria, del
capitale e dei cicli, molto superiore a quello utilizzato da padre Belda17.
Stranamente, Dempsey non sviluppa la sua tesi analizzando le posizioni dei teorici della Scuola di
Salamanca maggiormente avversi all’attività bancaria (Saravia de la Calle, Martín de Azpilcueta e
Tomás de Mercado), ma si concentra sui lavori dei rappresentanti più favorevoli ad essa (Luis de
Molina, Juan de Lugo e Lesio) e conduce uno Studio esegetico dell’opera di questi autori che li
porta a concludere che, dal punto di vista delle loro proprie dottrine, l’attività bancaria basata
sulla riserva frazionaria non sarebbe legittima. La conclusione di Dempsey si basa
sull’applicazione dei principi tradizionali all’istituzione bancaria e dei suoi effetti economici che
riguardo all’usura questi autori di Salamanca difendono, che, sebbene sconosciuti all’epoca in cui
scrissero, tuttavia erano già stati svelati teoricamente da Mises e Hayek al tempo in cui Dempsey
compose la sua opera. Infatti, sebbene si debba riconoscere il trattamento più favorevole alla banca
da parte di Molina e Lugo, Dempsey indica espressamente che i prestiti che si generano dal nulla da
parte delle banche, grazie all’esercizio della loro attività con un coefficiente di riserva frazionaria,
presuppongono che si generi una capacità acquisitiva che non esige nessun risparmio volontario o
sacrificio fatto in precedenza. Questo è il motivo per cui si produce un importante danno a un
numero molto grande di terzi che vedono una diminuzione del potere d’acquisto delle loro unità
monetarie in conseguenza dell’espansione inflattiva da parte delle banche18. In accordo con
Dempsey, questa creazione di potere d’acquisto dal nulla, che non presuppone alcuna precedente
perdita di potere d’acquisto da parte di altre persone, si contrappone ai principi essenziali del diritto
così come furono intesi dagli stessi Molina e Lugo, e in tal senso sarebbe da condannare. In
particolare, Dempsey afferma che «we may conclude from this that a Scholastic of the seventeenth
century viewing the modern monetary problems would readily favour a 100 percent reserve plan, or
a time limit on the validity of money. A fixed money supply, or a supply altered only in accord with
objective and calculated criteria, is a necessary condition to a meaningful just price of money.»19
16
Bernard W. Dempsey, Interest and Usury, pubblicato nell’Introduzione a Joseph A. Schumpeter dall’American
Council of Public Affairs, Washington D.C. 1943. Bisogna segnalare che l’articolo del padre Belda sorse esattamente
come una critica, dal punto di vista keynesiano, alle tesi sostenute da Dempsey in questo libro. Ringrazio il professore
James Sadowsky, della Fordham University, che mi fornì un esemplare del libro di Dempsey, che non avevo potuto
rintracciare in Spagna.
17
La grande conoscenza teorica e la completa familiarità del padre Dempsey con le dottrine economiche di Ludwig von
Mises, Friedrich A. Hayek, Wicksell, Keynes e altri sono messe molto in evidenza nella Introduzione che Schumpeter
scrisse al libro di Dempsey. Inoltre, Schumpeter cita laudatoriamente Dempsey nella sua monumentale Historia del
Análisis Económico, si confronti la 3.ª edizione spagnola pubblicata nel 1994, op. cit., pp. 34 e 143 (Storia dell’Analisi
Economica, cfr. la 2ª edizione italiana pubblicata nel 1990, op. cit., pp. 117-118 e 127).
18
«The credit expansion results in the depreciation of whatever circulating medium the bank deals in. Prices rise; the
asset appreciates. The bank absolves its debt by paying out on the deposit a currency of lesser value ... No single person
would be convinced by a Scholastic author of the sin of usury. But the process has operated usuriously; again we meet
systematic or institutional usury ... The modern situation to which theorists have applied the concepts of divergence of
natural and money interest, divergences of saving and investment, divergences of income disposition from tenable
patterns by involuntary displacements, all these have a sufficient common ground with late medieval analysis to warrant
the expression, ‘institutional usury’, for the movements heretofore described in the above expressions». Padre Bernard
W. Dempsey, Interest and Usury, pp. 225 y 227-228 (i corsivi sono miei). Dempsey, insomma, si limita ad applicare
all’attività bancaria la tesi esposta da Juan de Mariana nel suo Tratado y discurso sobre la moneda de vellón, op. cit.
19
Bernard W. Dempsey, Interest and Usury, op. cit., p. 210. La traduzione in italiano della citazione potrebbe essere la
seguente: «Possiamo concludere da ciò che uno scolastico del XVII secolo sosterrebbe rapidamente il piano di riserve al
100 per cento, o la fissazione di un limite temporale al periodo di validità della moneta. Infatti, un’offerta monetaria
6
Dempsey afferma che l’espansione creditizia che la banca genera riduce il potere d’acquisto della
moneta, di modo che le banche tendono a restituire i depositi di moneta che sono loro richiesti in
unità monetarie il cui potere d’acquisto è sempre più ridotto. Tutto ciò lo induce a concludere che il
processo economico cui dà luogo la banca basata sulla riserva frazionaria, se il suo funzionamento e
le sue implicazioni fossero stati conosciuti teoricamente nei dettagli da parte dei membri della
Scuola di Salamanca, sarebbe stato qualificato, anche dagli stessi Molina, Lesio e Lugo, come un
vasto, dannoso e illegittimo processo di usura istituzionale.
Dopo aver analizzato le principali posizioni dei membri della Scuola di Salamanca riguardo
all’attività bancaria, vedremo come le loro idee siano state raccolte e ampliate nei secoli successivi
sia dal pensiero europeo continentale che da quello anglosassone.
Sebbene non sia questo il luogo adatto ad analizzare in dettaglio l’evoluzione del pensiero
monetario dagli scolastici fino alla scuola classica inglese20, ci interessa senz’altro commentare
brevemente come evolsero le idee riguardo all’attività bancaria con riserva frazionaria fino a quel
periodo del XIX secolo nel quale inizia ufficialmente nel Regno Unito la polemica tra la Banking
School (Scuola Bancaria) e la Currency School (Scuola Monetaria).
Il germe delle idee concepite in materia monetaria dai membri della Scuola di Salamanca passa
successivamente agli italiani Bernardo Davanzati21 e Geminiano Montanari, il cui libro La moneta
fu pubblicato nel 168322. Nel suo trattato si parte dagli apporti della Scuola di Salamanca e si
sviluppa la teoria quantitativa della moneta così come fu esposta da Martín Azpilcueta e altri
scolastici. Sebbene questa influenza monetaria si faccia sentire subito in Inghilterra,
fondamentalmente attraverso i lavori di Sir William Petty (1623-1687)23, John Locke (1632-1704)24
e altri, bisogna attendere fino agli apporti di John Law, Richard Cantillon e David Hume per trovare
riferimenti espliciti alla problematica che l’esercizio dell’attività bancaria con riserva frazionaria ha
in materia monetaria e sulla struttura economica reale.
A John Law (1671-1729) abbiamo già avuto opportunità di far riferimento nel capitolo II di questo
libro, dove mettemmo in rilievo non solo la sua inusuale personalità, ma anche il carattere
sconclusionato* e inflazionistico delle sue proposte in materia monetaria. Sebbene dobbiamo a Law
fissa o che cambi solo secondo criteri obiettivi e calcolabili, è una condizione necessaria per ogni giusto prezzo della
moneta che abbia senso».
20
Una sintesi brillante di questa storia monetaria si può trovare sotto il titolo di «English Monetary Policy and the
Bullion Debate», nei cap. 9-14 che costituiscono la III parte del volume 3 delle Opere Complete di F.A.Hayek (La
tendencia del pensamiento económico. Ensayos sobre economistas e historia económica, Unión Editorial, Madrid
1995). Si può anche consultare il cap. 6 del libro di D.P. O’Brien, The Classical Economists, Oxford University Press,
Oxford 1975, tradotto in spagnolo da Carlos Rodríguez Braun e pubblicato con il titolo Los economistas clásicos,
Alianza Editorial, Madrid 1988, pp.197-235. Esiste una traduzione italiana di O’Brien, Gli economisti classici, Il
Mulino, 1986, a cura di A. Giacomin. E anche M.N. Rothbard, An Austrian Perspective on the History of Economic
Thought, vol. II, Classical Economics, op. cit., cap. V-VII (edizione spagnola, Unión Editorial, Madrid 2000).
21
L’opera di Davanzati fu tradotta in inglese e pubblicata a Londra nel 1696 con il titolo A Discourse upon Coins, J.D.
and J. Churchill, Londra 1696.
22
Il titolo originale del libro di Montanari fu La zecca in consulta di stato, e fu riedito con il titolo La moneta in
Scrittori classici italiani di economia politica, G. Destefanis, Milano 1804, vol. III.
23
Si veda Sir William Petty’s Quantulumcumque Concerning Money, 1682, incluso in The Economic Writings of Sir
William Petty, riedito da Augustus M. Kelley, Nuova York 1964, vol. 1, pp. 437-448.
24
I lavori sulla teoria monetaria di Locke, che fu il primo ad introdurre in Inghilterra l’idea che il valore dell’unità
monetaria è determinato, in ultima istanza, dalla quantità di moneta in circolazione, sono «Some Considerations of the
Consequences of the Lowering of Interest, and Raising the Value of Money» (Awnsham y John Churchill, Londra
1692) e anche «Further Considerations Concerning Raising the Value of Money» (Awnsham y John Churchill, Londra
1695), entrambi riediti in The Works of John Locke, 12.ª edizione, vol. IV, C.& J. Rivington, Londra 1824.
*
[Il termine spagnolo arbitrista è così spiegato dal “Diccionario de la Lengua Española” della Real Academia Española,
XXI edizione: «Persona che inventa piani o progetti assurdi o empirici, per sollevare il bilancio pubblico o porre
rimedio a mali politici», N.d.T].
7
alcuni apporti originali di un certo valore, e concretamente il suo rifiuto della teoria nominalista e
convenzionalista sull’origine della moneta di Locke25, tuttavia in Law si cerca di dare, per la prima
volta, un abito teorico all’idea fallace e popolare che la crescita della quantità di moneta in
circolazione sia sempre propizia per lo sviluppo dell’attività economica. Infatti Law, dopo aver
correttamente visto che la moneta come mezzo di scambio generalmente accettato rende possibile la
moltiplicazione degli scambi e l’estensione della divisione del lavoro, inferisce erroneamente che
quanto maggiore è la quantità di moneta in circolazione, maggiormente intensi saranno gli scambi e
il livello dell’attività economica. E da ciò Law deduce l’altro errore fatale della sua dottrina, cioè,
credere che l’offerta di moneta debba adattarsi in ogni momento alla «domanda» di moneta, e in
particolare al numero di abitanti e al livello di attività economica, in modo che se la quantità di
moneta in circolazione non aumenta in proporzione allo sviluppo dell’attività economica questa
cade e l’occupazione diminuisce26. Questa teoria di Law, i cui errori saranno evidenziati da Hume e
i teorici monetari della Scuola Austriaca, è durata in un modo o nell’altro fino ai nostri giorni, non
solo attraverso i teorici della scuola bancaria del XIX secolo, ma anche gli stessi teorici della scuola
monetarista e, soprattutto, keynesiana. Insomma, Law attribuisce il basso livello di attività
economica nella Scozia del suo tempo alla «ridotta» offerta monetaria che era in circolazione in
questo paese, portando, pertanto, fino alle ultime conseguenze le idee monetarie della scuola
mercantilista. Perciò Law propone come obiettivo prioritario di ogni politica economica quello di
incrementare la quantità di moneta in circolazione, cosa che nel 1705 cerco di portare a termine
mediante l’introduzione di una carta-moneta coperta dall’attivo reale a quel tempo più importante,
la terra27. In seguito Law cambio un po’ opinione e concentrò ogni obiettivo di politica economica
sulla creazione di un sistema bancario con riserva frazionaria che, mediante l’emissione di carta-
moneta redimibile in specie, avrebbe dovuto aumentare la quantità di moneta al ritmo crescente
necessario in ogni circostanza a mantenere e sospingere l’attività economica. Non ripeteremo qui i
dettagli sul boom inflazionistico che le proposte di Law generarono nella Francia del secolo XVIII,
né il fallimento in cui ebbe termine tutto il suo sistema con grave danno economico e sociale per
tale paese.
Coetaneo di John Law fu Richard Cantillon (c. 1680-1734), anche lui speculatore e banchiere, delle
cui peripezie ci siamo già occupati in questo libro. Cantillon era dotato di grande acume per lo
sviluppo dell’analisi teorica. Particolarmente rilevante è, in questo senso, la sua analisi concernente
l’influenza che l’incremento della quantità di moneta in circolazione ha sui prezzi, con riferimento,
primo, al prezzo di determinati beni e servizi ed estendendosi, gradualmente, lungo un periodo di
tempo più o meno prolungato, a tutto il sistema economico. Da ciò poi che, per Cantillon, e in
seguito per Hume, il principale effetto delle variazioni nella quantità di moneta si manifesta sulla
struttura dei prezzi relativi, piuttosto che sul livello generale dei prezzi. Cantillon, in ogni caso, era
banchiere, e giustificava la banca con riserva frazionaria e l’uso a beneficio proprio di tutto quello
(moneta o titoli di valore) che i suoi clienti le depositassero in modo indistinguibile sotto forma di
deposito irregolare di beni fungibili. Infatti, nel capitolo VI, dedicato a «Des Banques, et de leur
crédit», della terza parte del suo notevole Essai sur la nature du commerce en général, possiamo
25
Ricordiamo che Carl Menger dice che Law fu il primo a enunciare correttamente la teoria evoluzionista sull’origine
della moneta (cfr. la nota delle pp. 456-458 dell’edizione italiana del libro di Menger Principi di Economia Politica,
UTET, Torino 1976).
26
Di Law si può consultare l’opera Money and Trade Considered, with a Proposal for Supplying the Nation with
Money, pubblicata originariamente da A. Anderson, Edimburgo 1705, e riedita da Augustus M. Kelley, Nuova York
1966. Con parole dello stesso Law, «the quantity of money in a state must be adjusted to the number of its inhabitants ...
One million can create employment for only a limited number of persons, ... a larger amount of money can create
employment for more people than a smaller amount, and each reduction in the money supply lowers the employment
level to the same extent.» Citato da F.A. Hayek in «First Paper Money in eighteenth century France», cap. X di The
Trend of Economic Thinking, op. cit., p. 158. In Spagna, una buona trattazione sull’influenza di John Law sulle origini
della teoria monetaria si può trovare nel cap. I dedicato a «Los orígenes del inflacionismo: John Law», dell’interessante
libro di José Antonio de Aguirre El poder de emitir dinero: de J. Law a J.M. Keynes, Unión Editorial, Madrid 1985, pp.
23-41.
27
Si veda John Law’s «Essay on a Land Bank», Antoin E. Murphy (ed.), Aeon Publishing, Dublíno 1994.
8
trovare la prima analisi teorica sul coefficiente di riserva frazionaria, nel quale Cantillon non solo
realizza uno studio giustificativo dell’istituzione, ma inoltre arriva alla conclusione che le banche in
condizioni normali possono operare senza problemi con un coefficiente di cassa del 10 per cento.
Infatti, Cantillon afferma che «si un particulier a mille onces à païer à un autre, il lui donnera en
paiement le billet du Banquier pour cette somme: cet autre n’ira pas peut-être demander l’argent au
Banquier; il gardera le billet et le donnera dans l’occasion à un troisième en paiement, et ce billet
pourra passer dans plusieurs mains dans les gros paiements, sans qu’on en aille de long-tems
demander l’argent au banquier: il n’y aura que quelqu’un qui n’y a pas une parfaite confiance, ou
quelqu’un qui a plusieurs petites sommes à païer qui en demandera le montant. Dans ce premier
exemple la caisse d’un Banquier ne fait que la dixième partie de son commerce.»28
Dopo Cantillon, lasciando da parte le interessanti analisi monetarie di Turgot, Montesquieu e
Galiani29, bisognerà attendere gli apporti essenziali di Hume per trovare riferimenti di un certo
interesse al settore bancario.
Gli apporti di David Hume (1711-1776) in materia monetaria si trovano inclusi in tre brevi ma
densi e molto lucidi saggi intitolati, rispettivamente, «Of Money», «Of Interest», e «Of the Balance
of Trade»30.Hume ha il merito speciale di aver smontato teoricamente gli errori mercantilisti delle
teorie di John Law, avendo dimostrato che la quantità di moneta in circolazione è irrilevante dal
punto di vista dell’attività economica. Infatti, per Hume è indifferente il volume di moneta in
circolazione, e questo, in ultima istanza, determinerà solo, così come stabilisce la teoria
quantitativa, che in generale i prezzi siano nominalmente più alti o più bassi. In concreto, usando le
sue stesse parole, Hume afferma che «the greater or less plenty of money is of no consequence;
since the price of commodities are always proportioned to the plenty of money.»31 Orbene, il pieno
riconoscimento che il volume di moneta è irrilevante non toglie che Hume riconosca correttamente
28
Cito alla lettera dall’edizione originale dell’ Essai sur la nature du commerce en général, pubblicata presumibilmente
a Londra, da Fletcher Gyles in Holborn nel 1755, pp. 399-400. La citazione del testo è stata tradotta da Sergio Cotta e
Antonio Giolitti, nell’edizione italiana Einaudi (Torino 1955, p. 171, con Introduzione di Luigi Einaudi) nel seguente
modo: «Se un privato deve pagare a un altro mille once, gli darà in pagamento un biglietto del banchiere di pari
ammontare. Quest’altro forse non andrà a riscuotere il denaro dal banchiere, ma conserverà il biglietto e lo darà alla
prima occasione in pagamento a un terzo. Il biglietto potrà pertanto passare per parecchie mani nei pagamenti in grosso
senza che nessuno per parecchio tempo vada a riscuotere il denaro del banchiere. Solo qualcuno, che non avrà completa
fiducia nel banchiere, o che dovrà pagare varie piccole somme, andrà a riscuoterne l’ammontare. In questo primo
esempio la cassa di un banchiere non rappresenta che la decima parte del suo commercio.» (I corsivi sono miei). Come
si vede si tratta della stessa analisi che più di un secolo prima avevano fatto i teorici della Scuola di Salamanca in
relazione all’attività dei banchieri a Siviglia e altre piazze che, godendo della fiducia del pubblico, potevano esercitare
normalmente le loro attività disponendo solo di una piccola frazione in cassa per far fronte ai pagamenti correnti.
29
Ferdinando Galiani continua la tradizione di Davanzati e Montanari, e il suo apporto incluso in Della moneta, op. cit.,
compete anche con i lavori di Cantillon e Hume.
30
Questi saggi sono stati recentemente riediti in modo splendido da Liberty Classics (David Hume, Essays: Moral,
Political and Literary, Eugene F. Miller (ed.) Liberty Classics, Indianapolis 1985, pp. 281-327). In Spagna ha
analizzato gli apporti di Hume Francisco Cabrillo in El nacimiento de la economía internacional, Espasa-Calpe, Madrid
1991, pp. 48-50, 54-56, 94-104 e 109-113.
31
«La maggiore o minore quantità di moneta non ha conseguenze, dato che il prezzo delle merci è proporzionale alla
quantità di moneta » (si veda «Of Money», op. cit., p. 281). Che questa idea essenziale di Hume passi inosservata anche
ai nostri giorni, a molto illustri economisti, lo dimostra la seguente affermazione di Luis Ángel Rojo, per il quale «dal
punto di vista sociale, il possesso di saldi reali di moneta da parte del pubblico dovrebbe giungere fino al livello in cui la
loro produttività marginale sociale uguagli il costo marginale sociale di fornire moneta – che è molto basso in
un’economia moderna-. Dal punto di vista privato il possesso globale di saldi reali in moneta saranno portati fino al
livello in cui la loro produttività marginale privata – che possiamo ipotizzare uguale alla loro produttività marginale
sociale, per semplicità- sia uguale al costo privato di opportunità di detenere ricchezza sotto forma di denaro. Siccome il
pubblico deciderà sulla base di criteri privati il volume dei saldi reali in moneta che desideri detenere, il volume
effettivamente detenuto tenderà ad essere inferiore a quello che risulterebbe ottimo dal punto di vista sociale.» Luis
Ángel Rojo, Renta, precios y balanza de pagos, Alianza Universidad, Madrid 1976, pp. 421-422. In questa citazione,
Luis Ángel Rojo, non solo considera la moneta come se fosse una specie di fattore di produzione, ma inoltre non si
rende conto che questa adempie perfettamente la sua funzione, sia individuale che sociale, indipendente dal suo volume
globale; così come sappiamo dai tempi di Hume, ogni quantità di moneta è ottima, indipendentemente da quale sia il
suo volume.
9
che ciò che realmente ha un effetto profondo sull’attività economica reale sono gli aumenti o
diminuzioni della quantità di moneta in circolazione, nella misura in cui questi riguardano sempre,
più che il livello «generale» dei prezzi, la struttura dei prezzi relativi. Infatti, sono sempre
determinati commercianti coloro che in un primo momento ricevono la nuova moneta (o
sperimentano una diminuzione delle loro vendite in conseguenza della diminuzione della moneta),
iniziando in tal modo un processo artificiale di espansione (o recessione) che ha una grande
influenza sull’attività economica. Hume afferma che: «In my opinion, it is only in this interval or
intermediate situation, between the acquisition of money and rise of prices, that the encreasing
quantity of gold and silver is favourable to industry.»32 Sebbene Hume non disponga di una teoria
del capitale che gli consenta di vedere in che modo gli aumenti artificiali della quantità di moneta
colpiscano negativamente la struttura produttiva, dando luogo ineludibilmente a un’inversione dei
suoi iniziali effetti espansivi sotto forma di recessione, intuisce in modo corretto questo processo,
ciò che lo conduce a dubitare che l’aumento dell’espansione creditizia e dei biglietti bancari non
abbia, alla lunga, alcun vantaggio economico: «This has made me entertain a doubt concerning the
benefit of banks and paper-credit, which are so generally esteemed advantageous to every
nation.»33 Perciò Hume respinge l’espansione creditizia in generale e in concreto l’esercizio
dell’attività bancaria con un coefficiente di riserva frazionaria, difendendo, come abbiamo già visto
nel capitolo II, il suo esercizio rigoroso con un coefficiente di cassa del 100 per cento. Hume
conclude che «to endeavour artificially to encrease such a credit, can never be the interest of any
trading nation; but must lay them under disadvantages, by encreasing money beyond its natural
proportion to labour and commodities, and thereby heightening their price to the merchant and
manufacturer. And in this view, it must be allowed, that no bank could be more advantageous, than
such a one as locked up all the money it received (this is the case with the Bank of Amsterdam), and
never augmented the circulating coin, as is usual, by returning part of its treasure into commerce.»34
Di pari valore è il saggio «Of Interest» di Hume, dedicato tutto a criticare l’idea mercantilista (oggi
keynesiana) che esista una relazione fra la quantità di moneta e il tasso di interesse. Hume ragiona
nel seguente modo: «For suppose, that, by miracle, every man in Great Britain should have five
pounds slipt into his pocket in one night; this would much more than double the whole money that
is at present in the kingdom; yet there would not next day, nor for some time, be any more lenders,
nor any variation in the interest.»35 In accordo con Hume, l’influsso della moneta sul tasso di
interesse si produce solo temporaneamente (cioè, nel breve periodo) quando quello aumenta sotto
forma di espansione creditizia, e dà luogo a un processo che, una volta giunto a termine, fa sì che il
tasso di interesse torni al suo precedente livello: «The encrease of lenders above the borrowers sinks
the interest; and so much the faster, if those, who have acquired those large sums, find no industry
or commerce in the state, and no method of employing their money but by lending it at interest. But
after this new mass of gold and silver has been digested, and has circulated through the whole
state, affairs will soon return to their former situation; while the landlords and new money-holders,
living idly, squander above their income; and the former daily contract debt, and the latter encroach
32
Ibidem, p. 286. La traduzione in italiano è la seguente: «Secondo me, è durante questo intervallo o situazione
intermedia, fra l’acquisizione della moneta e l’aumento dei prezzi, che l’aumento della quantità di oro è favorevole
all’industria.»
33
Ibidem, p. 284. «ciò mi fa dubitare riguardo al carattere benefico delle banche e della carta-moneta, ritenuti in
generale così tanto vantaggiosi per qualsiasi nazione.» (i corsivi sono miei).
34
Ibidem, pp. 284-285. La traduzione potrebbe essere: «Cercare di aumentare artificialmente il credito non può mai
essere nell’interesse di alcuna nazione commerciale; ma genera svantaggi, aumentando la sua moneta di là dalla sua
naturale proporzione fra il lavoro e le merci, e pertanto aumentando il prezzo per il mercante e l’industriale. E da questo
punto di vista, non bisogna ammettersi che alcuna banca abbia maggiori vantaggi di quello che conservi in cassa la
totalità della moneta che riceva (così come è il caso della banca di Amsterdam), non aumentando mai la quantità di
moneta in circolazione, contrariamente alla pratica usuale di far ritornare una parte dei suoi depositi al commercio.»
35
David Hume, «Of Interest», op. cit., p. 299: «Supponiamo che, per miracolo, ogni uomo della Gran Bretagna si
trovasse con cinque libre in più introdotte nel suo portafoglio durante la notte. Ciò più che raddoppierebbe la totalità
della moneta che attualmente circola nel regno. Tuttavia, al giorno seguente, non ci sarebbero né un maggior numero di
mutuanti né si produrrebbe alcuna variazione nell’interesse.»
10
on their stock till its final extinction. The whole money may still be in the state, and make itself felt
by the encrease of prices: But not being now collected into any large masses or stocks, the
disproportion between the borrowers and lenders is the same as formerly, and consequently the high
interest returns.»36 È difficile trovare un’analisi economica così concisa e corretta come quella fatta
da Hume in questi due brevi saggi, e ci chiediamo come sarebbe stato diverso il mondo della teoria
economica, e della realtà sociale, se autori come Keynes e altri avessero letto e compreso fin da
principio questi importanti apporti di Hume, immunizzandosi contro le arcaiche idee mercantiliste
che, di tanto in tanto, affiorano acquistando, in modo ricorrente, nuova popolarità37.
Confrontati con le teorie di David Hume, gli apporti di Adam Smith, devono esser considerati, in
larga misura, un regresso. Non solo Smith è molto più favorevole di Hume alla carta-moneta e al
credito bancario, ma, inoltre, difende esplicitamente l’esercizio della banca con un coefficiente di
riserva frazionaria. Infatti, per Smith: «What a bank can with propriety advance to a merchant or
undertaker of any kind, is not, either the whole capital with which he trades, or even any
considerable part of that capital; but that part of it only, which he would otherwise be obliged to
keep by him unemployed, and in ready money for answering occasional demands.»38 L’unico limite
che Smith considera quanto alla concessione di prestiti a carico della moneta che è depositata a vista
nelle banche è quello dell’uso «prudente» dei depositi, in quanto se questo è violato si perde la
fiducia e la banca interessata fallisce. Ugualmente a ciò che avveniva con i teorici della Scuola di
Salamanca più favorevoli alle concezioni bancarie (Molina e Lugo), in nessun punto Adam Smith
spiega in cosa consista il criterio di «prudenza», né si riescono a comprendere tramite questo autore
gli effetti molto nocivi che un’espansione temporanea del credito, al di sopra del livello del
risparmio volontario, ha sulla struttura produttiva39.
36
David Hume, «Of Interest», op. cit., pp. 305-306 (i corsivi sono miei). La traduzione sarebbe: «L’aumento dei
mutuanti rispetto ai mutuatari affonda il tasso di interesse. E ciò avviene tanto più rapidamente se coloro che
acquisiscono grandi somme non trovano industrie o commerci nello Stato o forme di impiego della loro moneta eccetto
che prestandolo ad interesse. Ma dopo che questa nuova massa di oro e argento sia stata digerita e abbia circolato
attraverso tutto lo Stato, le questioni presto ritornano alla loro situazione anteriore; mentre i possessori di terre e i nuovi
proprietari di moneta, che vivono oziosamente, la dilapidano al di sopra del loro reddito; e quelli contraggono debiti
giornalieri, e questi ultimi utilizzano una parte ogni volta maggiore dei loro stocks finché finalmente si esauriscano. La
quantità della moneta può permanere nello stato e farsi sentire sotto forma di aumento dei prezzi: ma dato che non si
accumula più in grandi masse o stocks, la sproporzione tra i mutuatari e i mutuanti è la stessa di prima e di conseguenza
ritornano gli alti tassi di interesse.»
37
Hayek ha fatto riferimento alle sorprendenti carenze nella conoscenza teorica di Keynes sulla storia del pensiero
economico inglese in materia monetaria dei secoli XVIII e XIX, e al fatto che, se tale conoscenza fosse stata più
profonda, ci saremmo risparmiati molto del palese regresso che nella storia del pensiero economico implicarono le idee
keynesiane. Cfr. F.A. Hayek, «The Campaign against Keynesian Inflation», in New Studies in Philosophy, Politics,
Economics and the History of Ideas, op. cit., p. 231.
38
Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, riedita in 2 volumi, R.H. Campbell,
A.S. Skinner y W.B. Todd (ed.), Clarendon Press, Oxford 1976, vol. I, p. 304. La traduzione sarebbe la seguente: «Ciò
che una banca può anticipare con prudenza a un mercante o imprenditore di qualsiasi tipo non è né la totalità del
capitale con cui commercia né una notevole parte di esso. Ma solo quella parte di esso che sotto altra forma sarebbe
stata obbligata a detenere oziosa e liquida per far fronte alle domande occasionali di ritiro dei depositi.» Sull’evoluzione
delle idee bancarie di Adam Smith si può consultare James A. Gherity, «The Evolution of Adam Smith’s Theory of
Banking», History of Political Economy, vol.26, n. 3, autunno 1994, pp. 423-441.
39
Edwin G. West ha segnalato che Perlman crede che Smith fosse consapevole del problema che implicava la
possibilità di espandere il credito al di sopra del livello del risparmio volontario, sebbene non fosse in grado di risolvere
la contraddizione esistente fra la sua tesi corretta che sia positivo per un’economia solo l’investimento effettuato a
carico del risparmio volontario, con la considerazione favorevole della banca basata sulla riserva frazionaria. Cfr.
Edwin G. West, Adam Smith and Modern Economics: From Market Behaviour to Public Choice, Edward Elgar,
Aldershot 1990, pp. 67-69. Anche Pedro Schwartz indica come «Adam Smith non si sia espresso sulle materie creditizie
e monetarie con la stessa chiarezza di Hume», e che, di fatto, «indusse in errori diversi discepoli suoi —fra loro il suo
traduttore in spagnolo, Alonso Ortiz— nel non mettere in chiaro in ogni caso i suoi presupposti istituzionali». Schwartz
allo stesso tempo segnala che Adam Smith aveva minori conoscenze sulla banca e la carta-moneta di James Steuart,
affermando anche che «alcuni dei criteri dell’esposizione di Smith potettero provenire dalla sua lettura di Political
Economy di Steuart». Si veda l’interessante articolo di Pedro Schwartz, «El monopolio del banco central en la historia
11
Dopo Adam Smith, gli autori principali che analizzano temi bancari sono Henry Thornton e David
Ricardo. In effetti, Thornton fu un banchiere che nell’anno 1802 pubblicò un libro importante
intitolato An Inquiry into the Nature and Effects of the Paper Credit of Great Britain.40 Thornton
sviluppò un’analisi molto esatta degli effetti dell’espansione creditizia sui prezzi nei diversi stadi
della struttura produttiva, arrivando fino ad intuire che, qualora il tasso di interesse delle banche
fosse inferiore al tasso medio di profitto delle diverse imprese, si incorrerebbe un’indebita
estensione nell’emissione dei biglietti di tipo inflazionistico e, a lungo termine, con effetti
depressivi. In tal modo, Thornton anticipò non solo la teoria di Wicksell sul tasso di interesse
naturale, ma gran parte della teoria austriaca del ciclo economico41.
Dopo Thornton, spiccano soprattutto i lavori di David Ricardo, la cui sfiducia verso le banche è
simile a quella che aveva David Hume, e con cui si può ritenere che inizi ufficialmente la Currency
School in Inghilterra. Infatti, Ricardo era molto sospettoso per errori commessi dalle banche della
sua epoca, e specialmente per il danno che, quando non erano in grado di adempiere ai loro
obblighi, procuravano alle classi medie e basse. Credeva che tali fenomeni fossero dovuti alla
commissione di delitti da parte dei banchieri, e sebbene non intuì nei dettagli lo sviluppo della
teoria austriaca o del credito circolatorio del ciclo economico, comprese almeno che i processi
artificiali di espansione e depressione avevano la loro origine nell’attività bancaria e,
concretamente, nell’emissione senza vincoli da parte di questa di biglietti senza la corrispondente
copertura di moneta metallica che si iniettasse nel sistema economico attraverso un processo di
espansione creditizia42. Nel paragrafo successivo faremo un’analisi dettagliata dei principi più
importanti della Scuola Monetaria che ebbe inizio con Ricardo, così come di quelli sviluppati dalla
Scuola Bancaria43.
Gli argomenti popolari a favore dell’esercizio della banca con riserva frazionaria che erano difesi
fin dai tempi della Scuola di Salamanca sono generalizzati e resi più sistematici nell’Inghilterra
della prima metà del secolo XIX, grazie ai difensori della cosiddetta Scuola Bancaria (Banking
del pensamiento económico: un siglo de miopía en Inglaterra», pubblicato in Homenaje a Lucas Beltrán, Editorial
Moneda y Crédito, Madrid 1982, p. 696.
40
Si veda l’edizione preparata da F.A. Hayek di questo libro e l’Introduzione ad esso, pubblicate da Augustus M.
Kelley, Nuova York 1978.
41
F.A. Hayek, La tendencia del pensamiento económico, op. cit., p. 200.
42
Pedro Schwartz, «El monopolio del banco central en la historia del pensamiento económico: un siglo de miopía en
Inglaterra», op. cit., p. 712.
43
Gli apporti più importanti di Ricardo su temi bancari si trovano raccolti nella sua nota opera Proposals for an
Economical and Secure Currency (1816), che è stata riedita nel vol. IV, pp. 34-106 di The Works and Correspondence
of David Ricardo, Piero Sraffa (ed.), Cambridge University Press, Cambridge 1951-1973. I riferimenti di Ricardo con
critiche alle banche si possono trovare, tra altri luoghi, in una lettera che scrisse a Malthus il 10 settembre del 1815 e
che si trova inclusa nel vol. IV delle Opere Complete edite da Sraffa, p. 177. Non possiamo non segnalare di nuovo che
Ricardo non avrebbe mai consigliato a un governo di restaurare la parità della sua moneta svalutata al livello precedente
la svalutazione, come si deduce dalla lettera che scrisse a John Wheatley il 18 settembre del 1821 (inclusa nel vol. IX
delle Opere Complete preparate da Sraffa, pp. 71-74). Lo stesso Hayek, nel 1975, scrisse che: «I ask myself often how
different the economic history of the world might have been if in the discussion of the years preceding 1925 one
English economist had remembered and pointed out this long-before published passage in one of Ricardo’s letters.» Cfr.
p. 199 di New Studies in Philosophy, Politics, Economics and the History of Ideas (op. cit.). Infatti, l’errore fatale
dovuto all’errore britannico di restaurare, dopo la Prima Guerra Mondiale, il valore della libra alla parità con l’oro che
aveva prima che, in conseguenza dell’inflazione bellica, si riducesse significativamente il suo valore, era già stato posto
in evidenza in situazioni molto simili (dopo le guerre napoleoniche) da David Ricardo cento anni prima, quando aveva
affermato che egli stesso «never should advise a government to restore a currency which had been depreciated 30
percent to par; I should recommend, as you propose, but not in the same manner, that the currency should be fixed at the
depreciated value by lowering the standard, and that no farther deviations should take place.» David Ricardo, lettera già
citata a John Wheatley del 18 settembre del 1821, inclusa in The Works and Correspondence of David Ricardo, P.
Sraffa (ed.), Cambridge, University Press, Cambridge 1952, vol. IX, p. 73. Si ricordi inoltre quanto detto nella n. 46 del
capitolo VI.
12
School)44. Infatti in questo periodo si forma un nutrito gruppo di teorici (Parnell, Wilson, MacLeod,
Tooke, Fullarton, ecc.) che raccolgono e sistematizzano quelle che costituiscono le tre tesi
fondamentali della Scuola Bancaria, cioè: (a) l’esercizio della banca con riserva frazionaria è
giustificato da un punto di vista teorico e legale ed è molto benefico per lo sviluppo dell’economia;
(b) il sistema monetario ideale è quello che facilita l’estensione dell’offerta monetaria secondo lo
esigano le «necessità del commercio» e, in concreto, la crescita della popolazione e dell’attività
economica (questa è l’idea inizialmente sviluppata da John Law); e (c) il sistema bancario con
riserva frazionaria permette, grazie all’espansione del credito e all’emissione di biglietti di carta
privi della copertura della moneta merce, di aumentare l’offerta monetaria secondo le «necessità del
commercio», senza che si producano effetti inflazionistici né distorsioni nella struttura produttiva.
Fra i teorici della Scuola Bancaria spicca, senz’alcun dubbio, John Fullarton (c. 1780-1849).
Fullarton fu uno degli autori più persuasivi della Scuola e nel 1844 pubblicò un libro intitolato On
the Regulation of Currencies45 che ottenne un’ampia diffusione. Fullarton sviluppa in questo libro
una dottrina che finirà col diventare famosa e che è nota come «teoria di Fullarton sul riflusso» dei
biglietti e crediti bancari. Secondo Fullarton, non c’è pericolo inflazionistico nell’espansione
creditizia materializzata in biglietti emessi da una banca che eserciti la sua attività con riserva
frazionaria. Ciò avviene in quanto i biglietti emessi dalle banche si introducono nel sistema
economico sotto forma di prestiti, più che sotto forma di pagamenti diretti per beni o servizi. Di
modo che, secondo Fullarton, quando l’economia «ha bisogno» di più mezzi di pagamento richiede
più prestiti, e quando ne ha bisogno di meno, i prestiti vengono restituiti e rifluiscono alla banche,
per cui l’espansione creditizia non produce alcun effetto negativo sul sistema economico. Questa
dottrina, che raggiunse grande popolarità, rappresenta un palese regresso rispetto ai progressi della
teoria monetaria che autori come Hume e altri avevano già raggiunto, e ottenne inoltre, in modo
sorprendente, il sostegno inatteso dello stesso John Stuart Mill, che in larga misura finì con
l’appoggiare le teorie di Fullarton in materia.
Noi abbiamo già analizzato in dettaglio nel corso di questo libro il motivo per cui i principi
fondamentali della Scuola Bancaria sono profondamente errati. Solo l’ignoranza dei principi
fondamentali più elementari della teoria monetaria e del capitale può portare al convincimento che
la ciarlataneria inflazionistica dei teorici della Scuola Bancaria possa aver qualche fondamento.
L’errore fondamentale della teoria del riflusso di Fullarton si radica nella sua capacità di valutare
quale sia la natura essenziale dell’emissione di crediti fiduciari. Sappiamo che quando una banca
sconta una lettera o concede un prestito, dà un bene presente in cambio di un bene futuro. Dato che
la banca che espande il credito crea dal nulla beni presenti, si deve solo ritenere che esista un limite
naturale alla quantità di strumenti fiduciari che una banca possa creare, se la quantità di beni futuri
che si offrono nel mercato in cambio di prestiti che le banche concedono fosse limitata in qualche
modo. Tuttavia, come ha ben messo in evidenza Mises46, questa circostanza non si verifica. Infatti,
le banche possono espandere illimitatamente il loro credito semplicemente riducendo il tasso di
interesse che richiedono nei prestiti corrispondenti. E dato che coloro che ricevono il credito si
44
In realtà, le principali dottrine della Scuola Bancaria erano state già elaborate, almeno in forma embrionale, dai teorici
della Scuola «Antibullonista» nell’Inghilterra del XVIII secolo. Si veda il cap. 5 («The Early Bullionist Controversy»)
del libro de Murray N. Rothbard, An Austrian Perspective on the History of Economic Thought, vol. II, Classical
Economics, Edward Elgar, Aldershot, Inghilterra, 1995, pp. 159-274 (pp. 179-213, edizione spagnola, Unión Editorial,
Madrid 2000); e anche F.A. Hayek, «La politica monetaria inglese e il dibattito sull’oro», parte III, cap. 9-14 di La
tendencia del pensamiento económico, op. cit., pp. 127-344.
45
John Fullarton, On the Regulation of Currencies, being an examination of the principles on which it is proposed to
restrict, within certain fixed limits, the future issues on credit of the Bank of England and of the other banking
establishments throughout the country, John Murray, Londra 1844, 2.ª edizione rivista del 1845. La teoria del riflusso di
Fullarton si trova inclusa nella p. 64 del libro citato. Le dottrine inflazionistiche della Scuola Bancaria nella versione di
Fullarton furono popolarizzate nel continente europeo da Adolph Wagner (1835-1917). John Fullarton era un chirurgo,
editore, instancabile viaggiatore e, (come no!), un banchiere. Sulle influenze di Fullarton su autori così diversi come
Marx, Keynes e Rudolph Hilferding, si deve consultare l’interessante saggio di Roy Green pubblicato nel vol. II di The
New Palgrave: A Dictionary of Economics, op. cit., pp. 433-434.
46
Cfr. Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit., pp. 340-41.
13
impegnano a restituire una quantità superiore di unità monetarie dopo che sia trascorso un termine
prefissato, non esiste alcun limite all’espansione creditizia, in quanto i corrispondenti mutuatari
potranno restituire i loro prestiti grazie alle nuove unità monetarie create dal nulla dal sistema
bancario stesso nel futuro. Come Mises dice letteralmente, «Fullarton overlooks the possibility that
the debtor may procure the necessary quantity of fiduciary media for the repayment by taking up a
new loan.»47
Sebbene le teorie monetarie della Scuola Bancaria fossero erronee, esiste un aspetto concreto nel
quale esse effettivamente videro giusto. Infatti, i teorici della Scuola Bancaria furono i primi a
recuperare l’antica dottrina del settore «bancario» della Scuola di Salamanca secondo la quale saldi
dei depositi bancari svolgevano una missione economica esattamente uguale a quella dei biglietti
emessi dalle banche. Il punto è che, come poi vedremo, nel corso della polemica che ebbero con i
teorici della Scuola Monetaria o Currency School, che concentravano la loro analisi unicamente ed
esclusivamente sugli effetti dannosi dell’emissione di biglietti di carta-moneta senza copertura, i
difensori della Scuola Bancaria argomentarono a ragione che, se fossero vere (come lo erano) le
prescrizioni della Scuola Monetaria, esse si sarebbero dovute applicare, allo stesso modo, a tutti i
depositi bancari, in quanto questi svolgevano come moneta bancaria un ruolo identico a quello
svolto dall’emissione di biglietti senza copertura. Sebbene, come già abbiamo visto, questa dottrina
già era stata enunciata dal gruppo più favorevole alla banca della Scuola di Salamanca (Luis de
Molina, Juan de Lugo, ecc.), nell’Inghilterra del secolo XIX era stata praticamente dimenticata e
dovette essere riscoperta dai teorici della Scuola bancaria. Forse il primo a far riferimento a questo
punto è stato lo stesso Henry Thornton, che, il 17 novembre del 1797, testimoniando dinanzi al
Committee on the Restriction of Payments in Cash by the Bank, affermò che: «The balances in the
bank are to be considered in very much the same light with the paper circulation.»48 Tuttavia,
l’affermazione più netta in questo senso la dobbiamo a James Pennington, che nel 1826 scrisse:
«The book credits of a London banker, and the promissory notes of a country banker are essentially
the same thing, that they are different forms of the same kind of credit; and that they are employed
to perform the same function ... both the one and the other are substitutes for a metallic currency
and are susceptible of a considerable increase or diminution, without the corresponding enlargement
or contraction of the basis on which they rest.»49
47
Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 307. La citazione completa nell’edizione italiana de
La teoria della moneta e dei mezzi di circolazione (ESI, 1999, p. 212) è la seguente: «Per questa ragione la teoria della
Banking School non è in grado di dimostrare che non possono essere messi in circolazione più mezzi fiduciari della
quantità determinata da circostanze fisse indipendenti dalla volontà dell’emittente. Essa ha quindi rivolto la sua
attenzione principale alla dimostrazione dell’asserzione secondo cui qualsiasi quantità eccedente di mezzi fiduciari sarà
espulsa dalla circolazione e restituita all’ente di emissione. Fullarton ci insegna che, diversamente dalla moneta, i mezzi
fiduciari non giungono sul mercato come pagamenti, ma come prestiti e devono quindi tornare automaticamente alla
banca quando il prestito è rimborsato. Questo è vero, ma Fullarton trascura la possibilità che il debitore si procuri la
quantità di mezzi fiduciari necessaria per il rimborso facendo un nuovo prestito». Sulle critiche di Mises alla Scuola
Bancaria, si devono consultare anche le pagine 118-119 di On the Manipulation of Money and Credit, così come le pp.
429-440 di Human Action (entrambe le opere già citate).
48
Riedito nei Records from Committees of the House of Commons, Miscellaneous Subjects, 1782, 1799,1805, pp. 119-
131. La citazione nel testo si può tradurre nel seguente modo: «I saldi nella banca devono considerarsi sotto la stessa
ottica della carta-moneta in circolazione.»
49
L’apporto di James Pennington è datato 13 febbraio 1826 e si intitola «On Private Banking Establishments of the
Metropolis» e fu pubblicato come Appendice all’opera di Thomas Tooke, A Letter to Lord Grenville; On the Effects
Ascribed to the Resumption of Cash Payments on the Value of the Currency, John Murray, Londra 1826; così come
nella sua History of Prices and of the State of the Circulation from 1793-1837, Longman, Londra 1838, vol. II, pp. 369
e 374. La traduzione di questa citazione di Pennington è la seguente: «I depositi annotati nel libro di un banchiere di
Londra e i biglietti di carta-moneta emessi da un banchiere di provincia sono esattamente la stessa cosa, in quanto altro
non sono che diverse forme in cui si materializza la medesima classe di credito; ed entrambi svolgono la stessa funzione
… l’uno e l’altro sono sostituti della moneta metallica, e sono suscettibili di un considerevole aumento o diminuzione,
senza che si produca il corrispondente aumento o diminuzione della base su cui essi riposano.» Murray N. Rothbard, da
parte sua, segnala che prima dello stesso Pennington, un teorico americano, della Scuola Monetaria difensore del
coefficiente di cassa del 100 per cento, il Senatore dello Stato della Pennsylvania Condy Raguet aveva già manifestato
nel 1820 l’identità esistente tra la carta-moneta e i depositi creati dalle banche nello svolgere la loro attività con riserva
14
Da parte sua, negli Stati Uniti, Albert Gallatin mise in evidenza nel 1831, in modo ancor più
esplicito dello stesso Condy Raguet, l’identità economica esistente tra i depositi e i biglietti bancari.
In particolare, Gallatin scrisse che «the credits in current accounts or deposits of our banks are also
in their origin and effect perfectly assimilated to bank-notes, and we cannot therefore but consider
the aggregate amount of credits payable on demand standing on the books of the several banks as
being part of the currency of the United States.»50
Tuttavia, indipendentemente da quest’apporto corretto della Scuola Bancaria, riguardante la
riscoperta del fatto che i depositi bancari e la carta-moneta svolgono esattamente la stessa funzione
economica della moneta metallica e danno luogo agli stessi problemi, il resto delle dottrine della
Scuola Bancaria erano, come indica Mises, molto errate. I teorici della Scuola Bancaria non furono
in grado di difendere coerentemente le loro idee contraddittorie, cercarono in vano di confutare la
teoria quantitativa della moneta e fallirono nel loro intento di sviluppare una teoria coerente del
tasso di interesse51.
A queste dottrine della Scuola Bancaria si opposero energicamente i difensori della Scuola
Monetaria, rifacendosi a una tradizione molto antica che risaliva, non solo al settore «duro» nei
confronti della banca della Scuola di Salamanca (Saravia de la Calle, Martín Azpilcueta e, in misura
minore, Tomás de Mercado), ma anche, come abbiamo già visto, a Hume e Ricardo. I principali
teorici della Scuola Monetaria nel XIX secolo furono Robert Torrens, S.J. Lloyd (più tardi Lord
Overstone), J.R. McCulloch y George W. Norman52. I teorici della Scuola Monetaria fornirono una
spiegazione corretta delle fasi ricorrenti di espansione e depressione che avevano interessato
l’economia britannica nelle decadi degli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo: i booms avevano la
loro origine nell’espansione creditizia che era originata dalla Banca di Inghilterra e ed era seguita
dal resto delle banche del sistema inglese. La fuoriuscita di oro dal Regno Unito si verificava nella
misura in cui i soci commerciali dell’Inghilterra o non espandevano il loro credito oppure lo
espandevano ad un ritmo più lento che nel Regno Unito, dove il sistema bancario basato sulla
riserva frazionaria aveva raggiunto uno sviluppo comparativamente maggiore. Tutti gli argomenti
che i teorici della Scuola Bancaria idearono per cercare di confutare la tesi essenziale della Scuola
Monetaria (secondo cui il drenaggio esterno di oro e moneta metallica che subiva il Regno Unito
era la conseguenza ineludibile dell’espansione bancaria interna inglese) fallirono miseramente.
Tuttavia, i difensori della Scuola Monetaria incorsero in tre gravi errori che, alla lunga, sarebbero
stati fatali. In primo luogo, non si resero conto che i depositi bancari svolgevano un ruolo
frazionaria. Si veda, in tal senso, Murray N. Rothbard, The Panic of 1819, op. cit., pp. 149 e la nota 52 delle pp. 231-
232, così come la p. 3 del libro di Rothbard The Mystery of Banking, già citato.
50
Albert Gallatin, Considerations on the Currency and Banking System of the United States, Carey & Lea, Philadelphia
1831, p. 31. La citazione del testo si può tradurre nel seguente modo: «I crediti in conto corrente o i depositi di nostre
banche sono, per la loro origine e i loro effetti, perfettamente assimilabili ai biglietti di banca e, di conseguenza, la
somma aggregata di tutti questi, secondo i dati contabili delle banche esistenti, è parte della moneta degli Stati Uniti.»
51
«It was the only merit of the Banking School that it recognized that what is called deposit currency is a money-
substitute no less than banknotes. But except for this point, all the doctrines of the Banking School were spurious. It was
guided by contradictory ideas concerning money’s neutrality; it tried to refute the quantity theory of money by referring
to deus ex machina, the much talked about hoards, and it misconstrued entirely the problems of the rate of interest.»
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 440.
52
Gli apporti e opere più importanti di questi autori si possono studiare nell’eccellente riassunto della polemica tra la
Scuola Bancaria e la Scuola Monetaria che dobbiamo a F.A. Hayek, e che è stato pubblicato solo di recente. Si veda
«La disputa fra la Scuola Monetaria e la Scuola Bancaria, 1821-1848», cap. XII di La tendencia del pensamiento
económico, op. cit., pp. 223-253. In particolare, si devono segnalare le opere di Samuel Jones Lloyd (Lord Overstone)
Reflections Suggested by a Perusal of Mr. J. Horseley Palmer’s Pamphlet on the Causes and Consequences of the
Pressure on the Money Market (P. Richardson, Londra 1837; in seguito riedite da J.R. McCulloch nel suo Tracts and
Other Publications on Metallic and Paper Currency, by the Right Hon. Lord Overstone, Harrison & Sons, Londra
1857); George Warde Norman, Remarks upon some Prevalent Errors with respect to Currency and Banking, and
Suggestions to the Legislature and the Public as to the Improvement in the Monetary System, P. Richardson, Londra
1838. E, soprattutto, Robert Torrens, che fu forse il miglior teorico della Scuola Monetaria, nella sua A Letter to the
Right Hon. Lord Viscount Melbourne, on the Causes of the Recent Derangement in the Money Market, and on Bank
Reform (Longman, Rees, Orme, Brown & Green, Londra 1837).
15
esattamente uguale a quello dei biglietti emessi senza la corrispondente copertura di moneta
metallica. In secondo luogo, non furono capaci di integrare la loro corretta teoria monetaria con una
spiegazione completa del ciclo economico. Toccarono solo la superficie del problema e, non
possedendo un’adeguata teoria del capitale, non furono capaci di apprezzare il modo in cui
l’espansione bancaria interessava negativamente i diversi stadi dei beni di capitale della struttura
produttiva del paese. Non analizzarono in profondità le relazioni esistenti fra le variazioni
dell’offerta monetaria e il tasso di interesse di mercato, mantenendo implicitamente l’assunto, a
volte erroneo e ingenuo, che la moneta potrebbe essere neutrale, dottrina che alla fine erediteranno i
monetaristi attuali. Bisognerà attendere, pertanto, fino alla rielaborazione delle tesi della Scuola
Monetaria effettuata da Ludwig von Mises nel 1912, affinché la teoria monetaria sia pienamente
integrata con la teoria del capitale, all’interno di una teoria generale esplicativa dei cicli economici.
Il terzo errore fatale della Currency School consistette nel considerare che, seguendo le prescrizioni
al riguardo di Ricardo, il miglior modo di mettere un limite agli abusi inflazionistici della Scuola
Bancaria era mediante la concessione di un monopolio dell’emissione di carta-moneta a una banca
centrale di tipo ufficiale53, senza rendersi conto che a lungo andare tale istituzione doveva essere
utilizzata dagli stessi teorici della Scuola Bancaria per espandere a un ritmo ancora maggiore i
crediti in forma di biglietti e depositi in circolazione.
Questi tre errori della Scuola Monetaria furono fatali: fecero sì che la famosa Legge di Peel
promulgata il 19 luglio 1844, nonostante le sue molto buone intenzioni, si dimenticasse di
eliminare, così come lo aveva fatto in riferimento ai biglietti della banca, la creazione di mezzi
fiduciari (depositi) non coperti al 100 per cento da moneta metallica. In questo modo, sebbene
l’emissione di carta-moneta a partire dalla Legge di Peel fosse monopolizzata dalla banca centrale e
teoricamente realizzata con un criterio di copertura totale di moneta metallica (coefficiente del 100
per cento), si lasciò via libera affinché le banche private espandessero la moneta mediante la
concessione di nuovi crediti e la creazione dal nulla dei corrispondenti depositi, mantenendosi in
questo modo i booms espansivi e i successivi stadi di crisi e depressione, durante i quali la Banca di
Inghilterra si vide costretta ogni volta a sospendere le misure previste dalla Legge di Peel e ad
emettere la carta-moneta necessaria a far fronte alla domanda di liquidità delle banche private,
evitando così, per quanto possibile, il loro fallimento. Pertanto, è un’ironia della sorte che la Scuola
Monetaria abbia appoggiato la creazione di una banca centrale che, a poco a poco, e soprattutto per
colpa dell’influsso negativo dei teorici della Scuola Bancaria che erano preponderanti, finì con
l’essere utilizzata per giustificare e fomentare politiche di mancanza di controllo monetario e abuso
finanziario molto peggiori di quelle a cui in origine si cercava di porre rimedio54.
Pertanto, la Scuola Bancaria, nonostante fosse stata completamente sconfitta nel campo delle idee,
finì in ultima istanza col trionfare nel campo della pratica. Infatti il fallimento delle prescrizioni
della Legge di Peel, non avendo incluso tra le sue proibizioni quella di emettere nuovi crediti e
depositi senza un coefficiente di riserva del 100 per cento, permise che i cicli ricorrenti di
espansione e depressione continuassero a susseguirsi con grave discredito delle proposte e teorie
della Scuola Monetaria. In questo modo le richieste popolari a favore dell’inflazione e l’espansione
creditizia, sostenute dalle teorie mercantiliste sempre pronte della Scuola Bancaria, trovarono un
terreno adatto nel sistema bancario basato sulla banca centrale che, in ultima istanza, finì con
l’essere utilizzato come strumento essenziale di politica interventista e pianificata del credito e della
moneta, diretta sempre verso un’espansione monetaria e creditizia praticamente senza controlli.
53
Anche se, nel caso di Ricardo, fu anticipata l’utilità di avere una banca centrale indipendente dal governo. Cfr. José
Antonio de Aguirre, El poder de emitir dinero: de J. Law a J.M. Keynes, Unión Editorial, Madrid 1985, pp. 52-62 e
nota 16.
54
Nella classificazione di Keynes (e, in misura minore di Marshall) come teorici appartenenti alla «Scuola Bancaria»,
ma difensori del sistema con banca centrale (esattamente per ottenere la massima «flessibilità» per espandere l’offerta
monetaria), sono pienamente d’accordo con Pedro Schwartz. Si veda il suo articolo già citato «El monopolio del banco
central en la historia del pensamiento económico: un siglo de miopía en Inglaterra», p. 685-729, e specialmente la p.
729.
16
Soltanto Modeste, Cernuschi, Hübner e Michaelis, seguiti poi dall’analisi molto più avanzata di
Ludwig von Mises, furono capaci di rendersi conto che le prescrizioni a favore della banca centrale
dei teorici della Scuola Monetaria era erronea, e che il migliore ed unico modo di raggiungere i
principi di solvibilità monetaria della Scuola Monetaria di cui facevano parte era attraverso un
sistema di banca libera sottomessa senza privilegi al diritto privato (cioè, ad un coefficiente di cassa
del 100 per cento). Tuttavia, questo punto deve essere studiato più dettagliatamente nel paragrafo
successivo, in cui analizzeremo la polemica tra i sostenitori della banca libera e quelli della banca
centrale.
2) La polemica fra i sostenitori della Banca Centrale e i sostenitori della Banca Libera
L’analisi della polemica fra i sostenitori della banca centrale e coloro che difendevano la banca
libera che ebbe luogo nel XIX secolo deve iniziare dal constatare il fatto incontrovertibile che
all’inizio esistette una connessione intima fra la scuola della banca libera e la Scuola Bancaria, da
un lato, e la Scuola Monetaria e i difensori della banca centrale dall’altro lato55. Infatti, risulta facile
comprendere come i teorici difensori dell’esercizio della banca con riserva frazionaria in un primo
momento avessero abbracciato, in modo generale, la causa di una banca libera da ogni forma di
interferenza affinché questa potesse continuare nell’esercizio della propria attività basata su un
coefficiente frazionario di riserva. D’altra parte, è anche naturale che i teorici della Scuola
Monetaria, sempre diffidenti dell’attività dei banchieri, fossero ingenuamente favorevoli alla
regolamentazione statale, sotto forma della costituzione di una banca centrale, che si presumeva
dovesse evitare gli abusi che la Scuola Bancaria cercava di giustificare.
Sebbene non sia questo il luogo adeguato per riprodurre in dettaglio tutta la polemica fra la scuola
della banca libera e la scuola a difesa della banca centrale, studio d’altro canto già splendidamente
realizzato da Vera C. Smith, è certamente necessario fare alcune considerazioni complementari che
riteniamo di interesse. Il primo aspetto che è importante mettere in risalto è che la maggioranza dei
teorici difensori della banca libera fondarono la loro dottrina sui ragionamenti spuri e inflazionistici
55
In riferimento alla polemica tra la scuola della banca libera e quella della banca centrale e che ora stiamo analizzando,
ha avuto particolare rilievo e importanza la pubblicazione, per la prima volta in spagnolo, del libro già divenuto un
classico di Vera C. Smith su Fundamentos de la banca central y de la libertad bancaria (Unión Editorial/Ediciones
Aosta, Madrid 1993). Sia la traduzione che la pubblicazione di questa edizione spagnola la dobbiamo all’impegno e
passione di José Antonio de Aguirre, uno dei migliori specialisti spagnoli in temi monetari. La traduzione è stata
realizzata a partire dalla 2.ª edizione inglese, comparsa nel 1990 (Vera C. Smith, The Rationale of Central Banking and
the Free Banking Alternative, pubblicata con una Prefazione di Leland B. Yeager, in una magnifica edizione, da Liberty
Press, Indianapolis 1990). La 1.ª edizione (T.S. King & Son Ltd., Westminster, Inghilterra, 1936) era esaurita già da
molti anni. Si tratta di una tesi dottorale, elaborata sotto la direzione di F.A. Hayek, da colei che sarebbe divenuta in
seguito Vera Lutz. Infatti, Hayek aveva già dedicato del tempo a scrivere un libro su banca e moneta quando, dopo aver
tenuto il famoso corso di conferenze alla London School of Economics, che originò il suo libro Prices and Production
(op. cit.), dovette interrompere le sue ricerche per aver ricevuto la cattedra in tale prestigiosa istituzione. Hayek aveva
concluso quattro capitoli del suo programmato libro, dedicati, rispettivamente, alla storia della teoria monetaria in
Inghilterra, alla situazione della moneta in Francia durante il XVIII secolo, all’evoluzione della carta-moneta in
Inghilterra, e alla controversia fra le Scuole «Monetaria» (Currency School) e «Bancaria» (Banking School), quando
decise di consegnare il lavoro che già aveva portato a termine, così come le note per un ulteriore quinto capitolo, ad una
delle sue più brillanti studentesse, l’allora signorina Vera C. Smith (poi Vera Lutz), la quale le ampliò fino a scrivere,
come tesi dottorale, il summenzionato libro. Fortunatamente, il manoscritto dei capitoli e delle note elaborati da Hayek
è stato recentemente recuperato da Alfred Bosch e Reinhold Weit, e tradotto in inglese da Grete Heinz e pubblicato
come cap. IX, X, XI e XII del vol. III delle Opere Complete di F.A. Hayek. Cfr. F.A. Hayek, La tendencia del
pensamiento económico, op. cit. La tesi della generale coincidenza fra la Scuola Bancaria e la scuola della banca libera,
e la Scuola Monetaria e la scuola della banca centrale, è analizzata da Vera C. Smith nel suo libro, fra l’altro, alle pp.
112-113 della 2.ª edizione inglese (pp. 139-140 dell’edizione spagnola). Su questo tema si veda, ugualmente, Murray N.
Rothbard, Historia del Pensamiento Económico, vol. II (op. cit.), cap. VII, pp. 251-305.
17
della Scuola Bancaria che abbiamo commentato nell’epigrafe precedente. Perciò,
indipendentemente dagli effetti che un sistema di banca libera abbia realmente sul sistema
economico, il fondamento teorico della maggior parte dei suoi difensori o era completamente
fallace oppure, nella migliore ipotesi, lasciava molto a desiderare. Sono pochi, pertanto, gli apporti
corretti dal punto di vista teorico della scuola sostenitrice della libertà bancaria in questo periodo.
Uno di questi, il corretto riconoscimento che i depositi svolgevano, dal punto di vista economico,
un ruolo identico ai biglietti emessi senza copertura, è stato già commentato anteriormente. Un
altro, di grande interesse dal punto di vista analitico, è quello dovuto a Sir Henry Parnell, che già
nel 1827 indicò che un sistema di libertà bancaria porrebbe limiti naturali all’emissione di biglietti
bancari, grazie all’effetto della corrispondente camera di compensazione interbancaria che
seguendo il modello del sistema bancario scozzese, Parnell credeva che dovesse svilupparsi in
qualsiasi ambito nel quale le banche concorressero liberamente nell’emissione di biglietti. Infatti,
Parnell sostenne che le banche di un sistema bancario completamente libero non potrebbero
espandere illimitatamente la loro base di biglietti senza che ciò desse luogo a che i loro concorrenti
richiedessero il pagamento dell’importo degli stessi in moneta metallica attraverso la corrispondente
camera di compensazione. In tal modo le banche, dinanzi al timore di non riuscire a far fronte alle
corrispondenti fuoriuscite di oro, fisserebbero, da parte loro, un limite molto stretto all’emissione di
mezzi fiduciari56. L’analisi di Parnell è molto meritoria e costituisce il cuore degli argomenti di cui
si sono valsi finora i sostenitori della banca libera, e fu utilizzata e sviluppata anche da autori che,
come Ludwig von Mises, appartenendo alla Scuola Monetaria, furono, senza dubbio, molto
diffidenti del sistema con banca centrale57.
L’argomento di Parnell fu contestato da due importanti teorici della Scuola Monetaria, McCulloch
e Longfield. Infatti, McCulloch sostenne che il meccanismo descritto da Parnell non potrebbe
ammettere un freno all’inflazione se avviene che tutte le banche di un sistema di banca libera, in
modo generalizzato, e in misura maggiore o minore, decidessero di lasciarsi trasportare da un’onda
di espansione nell’emissione di biglietti bancari58. Samuel Mountifort Longfield, da parte sua, si
spinse ancora più lontano di McCulloch argomentando che anche l’espansione della sua base di
biglietti da parte di una sola banca, in un sistema di banca libera, renderebbe inevitabile che le
restanti banche si vedessero costrette, a loro volta, a espandere l’emissione di biglietti, se non
volevano vedere ridursi la loro quota di partecipazione nel mercato finanziario e ridotti i loro
profitti59. L’argomento di Longfield contiene un importante fondo di verità, in quanto il processo di
liquidazione dei biglietti emessi in eccesso attraverso una camera di compensazione comporta del
tempo, e sorge sempre la tentazione, che in molti casi può diventare irresistibile, di emettere
biglietti in eccesso, fidandosi sul fatto che il resto delle banche presto o tardi seguiranno la stessa
politica espansiva, di modo che colui che la inizi per primo ottenga più benefici e finisca col
conseguire una situazione competitiva più favorevole.
56
Henry Parnell, Observations on Paper Money, Banking and Other Trading, including those parts of the evidence
taken before the Committee of the House of Commons which explained the Scotch system of banking, James Ridgway,
Londra 1827, specialmente le pp. 86-88.
57
Si veda, per esempio, Ludwig von Mises, «The Limitation of the Issuance of Fiduciary Media: Observations on the
Discussions concerning Free Banking», paragrafo 12 del cap. XVII di Human Action, op. cit., pp. 444-448.
58
J.R. McCulloch, Historical Sketch of the Bank of England with an Examination of the Question as to the
Prolongation of the Exclusive Privileges of that Establishment, Longman, Rees, Orme, Brown & Green, Londra 1831.
E anche il suo A Treatise on Metallic and Paper Money and Banks, A. & C. Black, Edimburgo 1858.
59
Gli apporti di Longfield furono inclusi in una serie di quattro articoli che su «Banking and Currency» fu pubblicata
nel Dublin University Magazine nel corso dell’anno 1840. Su Longfield, Vera C. Smith conclude che: «The point raised
by the Longfield argument is by far the most important controversial point in the theory of free banking. No attempt
was made in subsequent literature to reply to it.» Vera C. Smith, The Rationale of Central Banking and the Free
Banking Alternative, op. cit., p. 88.
18
Qualunque sia la base teorica degli argomenti di Parnell, da un lato, e di McCulloch e Longfield,
dall’altro, è certo che la discussione tra i due gruppi è responsabile della comparsa di una falsa
polemica fra la banca centrale e la banca libera. E diciamo che è «falsa», in quanto la discussione
teorica fra gli uni e gli altri non è in grado di isolare il vero nucleo del problema essenziale intorno a
cui essa ruota. Infatti, Parnell ha ragione quando evidenzia che, in un sistema con banca libera, il
meccanismo di liquidazione interbancaria tende a porre un limite ai casi isolati di espansione
dell’emissione di biglietti. Al tempo stesso McCulloch, e anche Longfield, hanno ragione quando
evidenziano che la tesi di Parnell non è valida se tutte le banche, in misura maggiore o minore,
iniziano una politica espansiva nell’emissione di biglietti. Tuttavia, i teorici della Scuola Monetaria
ritennero che i loro argomenti contro Parnell dessero un sostegno prima facie alla costituzione di
una banca centrale che, nella loro opinione, doveva essere la migliore garanzia contro gli abusi della
banca con riserva frazionaria. Parnell, da parte sua, si considerava soddisfatto difendendo la banca
libera con il limite che il sistema di liquidazione interbancaria doveva fissare nei confronti delle
espansioni avventate della base di biglietti bancari, senza rendersi conto che, a parte gli argomenti
presentati da McCulloch e Longfield, molto più semplice ed efficace del processo di liquidazione
interbancaria era il ritorno ai principi tradizionali del diritto ristabilendo un coefficiente di cassa del
100 per cento. Non aver tenuto conto di questa possibilità, almeno in relazione ai depositi bancari, è
anche l’errore principale del blocco della Scuola Monetaria di McCulloch e Longfield che, nel
difendere la costituzione di una banca centrale, stavano mettendo le basi per il rafforzamento futuro
delle politiche inflazionistiche che erano sostenute dalla scuola dei loro stessi oppositori60.
A partire da allora, si sviluppa una lunga polemica fra i sostenitori della banca libera e quelli della
banca centrale, concentrando questi ultimi i loro argomenti intorno ai seguenti ragionamenti contro i
teorici della Scuola Bancaria che auspicavano una banca libera.
In primo luogo, si è sostenuto che in un sistema con banca libera, per sua stessa natura, e anche
assumendo condizioni ottime quanto al suo funzionamento, si produrrebbero, ogni tanto, crisi in
determinate banche isolate, che danneggerebbero i loro clienti e i possessori di biglietti e depositi.
Si afferma che, in queste circostanze, è necessario che esista una banca centrale di carattere ufficiale
che intervenga per proteggere i possessori dei corrispondenti biglietti e depositi che sarebbero
gravemente danneggiati dalle crisi bancarie. Come si vede, si tratta di un argomento paternalista che
pretende di giustificare l’esistenza di una banca centrale, senza tener conto che il sostegno a coloro
che sono danneggiati in situazioni di crisi non ha altro effetto che peggiorare, alla lunga, il
funzionamento del sistema bancario, che esige una costante ed energica supervisione e fiducia da
parte del pubblico, supervisione che sarebbe molto ridotta e fiducia che sarebbe molto sostenuta se
il pubblico in generale scontasse a priori l’intervento della banca centrale per evitargli danni in caso
di fallimenti bancari. Inoltre, la responsabilità stessa dei banchieri tende a diminuire se questi sono
anche sicuri che la banca centrale dovrà appoggiarli in caso di necessità. È, pertanto, molto
60
Una discussione parallela a quella che stiamo analizzando si riprodusse in Belgio e Francia fra autori difensori della
Scuola Bancaria e della libertà bancaria, come Courcelle-Seneuil, Coquelin, Chevalier e altri, contro teorici della Scuola
Monetaria difensori della banca centrale, come Lavergne, D’Eichtal e Wolowsky. Allo stesso modo, in Germania si
segnala il confronto fra Adolph Wagner e Lasker, dal lato della scuola della libertà bancaria, e Tellkampf, Geyer, Knies
e Neisser, dal lato della Scuola Monetaria sostenitrice di una banca centrale. Si vedano a questo proposito i cap. VIII e
IX del libro di Vera C. Smith già citato, pp. 92-132. Alcuni dei libri di questi autori furono tradotti in spagnolo ed
ebbero una certa influenza in Spagna, come è il caso del teorico «bancario» francese Jean Gustave Courcelle-Seneuil, il
cui Tratado teórico y práctico de las operaciones de la Banca fu pubblicato in spagnolo, Bouret, Parigi 1874. Cfr.
Francisco Cabrillo, «Traducciones al español de libros de economía política (1800-1880)», Moneda y Crédito, n. 147,
dicembre 1978, pp. 71-103, e specialmente la p. 90. Il più insigne difensore della banca libera in Spagna fu Luis María
Pastor (1804-1872), specialmente nel suo libro Libertad de bancos y cola del de España, Imprenta de B. Carranza,
Madrid 1865. Cfr. José Luis García Ruiz, «Luis María Pastor: un economista en la España de Isabel II», Revista de
historia económica, anno XIV, 1996, n 1, pp. 205-225.
19
verosimile che l’esistenza di una banca centrale tenda ad aggravare le crisi bancarie, come si è
evidenziato di recente in diversi paesi occidentali in riferimento al sistema di «assicurazione di
depositi bancari» che ha avuto un ruolo da protagonista al momento di fomentare comportamenti
perversi da parte delle banche e di facilitare e aggravare le crisi bancarie. Tuttavia, dal punto di
vista politico, questo argomento può acquisire notevole peso in un contesto democratico, fino al
punto da divenire quasi irresistibile. In ogni caso, la polemica fra banca libera e banca centrale, dal
punto di vista di questo primo argomento, mette già da principio in evidenza che inizia a svilupparsi
«falsamente», nella misura in cui questo perderebbe tutta la sua potenzialità in un ambiente in cui
fossero rispettati i principi tradizionali del diritto e fosse ristabilito un coefficiente di cassa per la
banca del 100 per cento. In queste circostanze, nessun possessore di biglietti o depositi, sarebbe
danneggiato, in quanto potrebbe sempre ritirare la sua moneta, indipendentemente da quale fosse il
destino finale della banca in cui fosse depositata. Stando così le cose, non ha alcun rilievo
l’argomento paternalista che sia necessaria una banca centrale per salvaguardare gli interessi dei
danneggiati. Concludiamo, pertanto, che il primo argomento a favore della banca centrale, di
carattere paternalistico, all’interno della logica di un sistema bancario fondato su un coefficiente di
riserva frazionaria, non solo promuoverebbe le crisi bancarie, ma inoltre non ha senso se il sistema
si fonda sui principi tradizionali del diritto e agisce con un coefficiente di riserva del 100 per cento.
Il secondo argomento che è stato portato avanti a sostegno delle banche centrali si basa sulla
considerazione, che un sistema bancario controllato dalla banca centrale dà luogo a meno crisi
economiche di un sistema di banca libera. Qui, come nel precedente argomento, la polemica è
nuovamente mal posta. Sappiamo già che il sistema bancario basato sulla riserva frazionaria dà
luogo ad una crescita dell’offerta monetaria sotto forma di crediti che, inesorabilmente, distorce la
struttura produttiva dei beni di capitale e genera, in modo endogeno e ricorrente, un processo di
inversione sotto forma di recessione economica, che colpisce in modo particolarmente grave le
banche. Fu proprio il desiderio di proteggere la banca dagli effetti delle crisi che in modo ricorrente
erano generate dall’esercizio da parte di queste della riserva frazionaria ciò che diede luogo alla
richiesta da parte degli stessi banchieri di creare una banca centrale che prestasse loro in ultima
istanza. L’esperienza ha dimostrato che la creazione della banca centrale, lungi dal ridurre le crisi
economiche le ha aggravate notevolmente. Ciò si è verificato in quanto in un sistema di banca libera
con riserva frazionaria, e senza banca centrale, sebbene i processi espansivi generatori delle crisi
non si possano evitare, i meccanismi di inversione che generano il riequilibrio necessario e il
risanamento degli errori economici commessi si mettono in funzione molto prima e più rapidamente
che in un sistema basato sulla banca centrale. In effetti, non solo la perdita di fiducia da parte del
pubblico mette a rischio le banche più espansive, che vedono diminuire le loro riserve quando i
possessori di biglietti che hanno emesso ritirano il loro controvalore in moneta metallica, ma anche i
meccanismi di compensazione interbancaria in relazione ai depositi mettono un limite a quelle
banche che espandono la loro base creditizia a un ritmo più rapido delle restanti banche. E sebbene,
in modo generalizzato, cioè in maggiore o minor misura, tutte le banche simultaneamente
espandano i loro depositi e biglietti, subito si mettono in funzione i processi spontanei descritti dalla
teoria del ciclo economico, che tendono a invertire gli effetti iniziali espansivi e a far fallire le
banche marginalmente meno solvibili. Al contrario, l’esistenza di una banca centrale, prestatrice di
ultima istanza, può prolungare nel tempo molto di più il processo di espansione creditizia, in
confronto a quello che, in modo autonomo, si originerebbe in un sistema con banca libera. Non si
può dimenticare, infatti, la contraddizione inerente all’istituzione della banca centrale, creata in
teoria per frenare l’espansione monetaria, mantenere la stabilità economica ed evitare le crisi, ma in
pratica dedita a fornire in modo massiccio nuova liquidità nei momenti di crisi e di malessere della
banca. Se a ciò aggiungiamo le influenze politiche e il desiderio del pubblico a favore
dell’inflazione, comprenderemo perché si siano aggravati i processi inflazionistici, e gli effetti
distorsivi sulla struttura produttiva, generandosi storicamente delle crisi e depressioni economiche
di una gravità e profondità molto maggiori di quelle che sarebbero sorte in un sistema con banca
libera. Possiamo, pertanto, concludere che questo secondo argomento a favore della banca centrale
20
manca di fondamento, in quanto l’esistenza di essa tende ad aggravare e a rendere più difficili le
crisi e le recessioni economiche. Ciononostante, bisogna anche riconoscere che, anche in un sistema
con banca libera con riserva frazionaria, le crisi si produrrebbero, così come abbiamo già indicato
nei precedenti capitoli e dimostreremo in dettaglio più avanti, per quanto le stesse non arriverebbero
così lontano come in un sistema monetario diretto da una banca centrale. Tuttavia non dobbiamo
rassegnarci sempre a convivere con recessioni ricorrenti e crisi economiche, in quanto è sufficiente
che si ristabiliscano i principi generali del diritto (coefficiente di riserva del 100 per cento) affinché
il sistema con banca libera non colpisca più negativamente i processi economici, e possa essere
eliminato il pretesto più utilizzato per giustificare la creazione della banca centrale.
Il terzo argomento avanzato a favore della banca centrale è che, una volta che le crisi si presentino,
si crede che la migliore reazione contro di esse sia attraverso una banca centrale che fornisca la
liquidità necessaria. Ci rendiamo di nuovo conto in che modo, non avendo identificato la radice
essenziale dei problemi economici che crea la banca, si cada in importanti errori di approccio nella
polemica sviluppata fra i sostenitori della banca centrale e della banca libera. L’esistenza di un
sistema con banca libera con riserva frazionaria, sebbene attraverso i corrispondenti meccanismi di
compensazione interbancaria e il controllo continuo e la supervisione del pubblico tendesse a
limitare l’espansione creditizia, non potrebbe evitarla, dando origine inevitabilmente a crisi bancarie
e recessioni economiche. Non c’è dubbio, pertanto, che le crisi e le recessioni rappresentino un
terreno fertile ideale affinché i politici e i tecnici pretendano di esercitare un’azione deliberata
attraverso una banca centrale. È evidente che l’esistenza stessa di un sistema bancario con riserva
frazionaria conduce, inevitabilmente, alla nascita della banca centrale come prestatrice di ultima
istanza. E possiamo affermare con certezza che, finché non si ritorni ai principi tradizionali del
diritto e si ristabilisca un esercizio della banca con coefficiente di riserva del 100 per cento, sarà
praticamente impossibile la scomparsa della banca centrale (o, se si preferisce, sarà inevitabile che
questa sorga e rimanga).
D’altra parte, la costituzione di una banca centrale per far fronte alle crisi tende a sua volta ad
aggravare le depressioni economiche. L’esistenza di un prestatore di ultima istanza aggrava i
processi espansivi dando loro un ritmo ed una durata molto maggiori di quelli che avrebbero in un
sistema di banca libera con riserva frazionaria e senza banca centrale. Risulta, pertanto, paradossale
sostenere che l’esistenza e la nascita di crisi economiche e bancarie esiga per un loro corretto
trattamento l’esistenza di una banca centrale, in quanto questa, in ultima istanza, è la responsabile
principale della loro maggiore gravità e durata. Tuttavia, non può nemmeno dimenticarsi che,
sebbene le crisi riducano la loro gravità se si stabilisse un sistema di banca libera con riserva
frazionaria, le medesime non potrebbero essere eliminate totalmente, per cui è inevitabile che, in
ultima istanza, i diversi agenti economici implicati (in particolare i banchieri e i cittadini
potenzialmente danneggiati dalle crisi) facciano pressione per la creazione di una banca centrale.
L’unica possibilità di rompere questo circolo vizioso consiste nel riconoscere che l’origine di tutti i
mali risiede nell’esercizio della banca con riserva frazionaria. Infatti, il ristabilimento del
coefficiente di cassa del 100 per cento, non solo eviterebbe le crisi bancarie e le recessioni
economiche ricorrenti, ma inoltre eliminerebbe quest’argomento, che è uno dei più triti per
giustificare l’esistenza della banca centrale.
Infine, esistono altri due argomenti di carattere secondario che sono stati addotti a favore della
banca centrale. Il primo si riferisce alla presunta «necessità» di disporre di una politica monetaria
«razionale», imposta coattivamente dall’alto attraverso la banca centrale. In relazione con questo
argomento si trova quello della necessità di stabilire un’adeguata politica di cooperazione monetaria
fra i diversi paesi che, si sostiene nuovamente, esigerebbe l’esistenza di diverse banche centrali e il
coordinamento delle medesime. L’impossibilità teorica di effettuare in modo centralizzato e
coattivo una politica monetaria e bancaria attraverso una banca centrale sarà studiato in dettaglio in
un prossimo paragrafo, nel quale applicheremo la teoria dell’impossibilità del socialismo al settore
bancario e finanziario, per cui non ci dilungheremo qui nell’analisi dettagliata di questi due ultimi
argomenti.
21
La posizione dei teorici della Scuola Monetaria che difesero un sistema con banca libera
Sfortunatamente, i teorici della Scuola Monetaria (Currency School), a causa della loro incapacità
ad identificare gli effetti economici dei depositi con quelli dei biglietti bancari, e della loro
ingenuità nel momento di proporre la creazione di una banca centrale per rimediare agli abusi della
banca con riserva frazionaria, non furono capaci di prevedere che il rimedio che proponevano
doveva rivelarsi molto peggiore della malattia che avevano diagnosticato. Solo un esiguo gruppo di
teorici della Scuola Monetaria fu, ciononostante, capace di comprendere che i postulati di stabilità e
solvibilità monetaria che difendevano sarebbero stati in pericolo molto più grave se si fosse stabilita
una banca centrale e, come male minore, proposero il mantenimento o creazione di un sistema con
banca libera senza banca centrale con il fine di mettere, nella misura del possibile, un limite agli
abusi. Tuttavia, la maggior parte di questi autori della Scuola Monetaria difensori della banca libera
non caddero in inganno smettendo di riconoscere le sue possibilità espansive e ritennero sempre che
la soluzione definitiva ai problemi posti si sarebbe potuta ottenere solo con la proibizione
dell’emissione di nuovi mezzi fiduciari (cioè, con la proibizione dell’espansione creditizia non
coperta da un aumento del risparmio volontario reale). E se proposero una banca libera per
l’emissione di biglietti e depositi, fu solo con il fine fondamentale che attraverso i corrispondenti
meccanismi di compensazione e liquidazione interbancaria, controllo e supervisione del pubblico
attraverso il mercato, e fallimento immediato delle banche che perdessero la fiducia di questo, si
potesse mettere un limite più effettivo all’emissione di biglietti di deposito senza copertura61. In
questo modo indiretto pensavano di ottenere un’approssimazione effettiva all’obiettivo di stabilire
un coefficiente di riserva del 100 per cento (sia per i biglietti che per i depositi) che, d’altra parte,
doveva essere perseguito con tutti i mezzi giuridici che in ogni circostanza storica fossero
disponibili.
Questa fu l’idea difesa per primo in Francia da Victor Modeste62. E Henri Cernuschi, con il
medesimo obiettivo, il 24 ottobre del 1865, dinanzi ad una commissione dedicata all’investigazione
dell’attività bancaria, manifestò quanto segue: «Je crois que ce qu’on appelle liberté bancaire aurait
pour résultat la disparition complète des billets de banque en France. Je souhaite donner à tout le
monde le droit d’émettre des billets, de sorte que plus personne désormais n’en accepterait.»63 Gli
61
Il mio alunno del Programma Erasmus in Law and Economics, Jesper N. Katz, mi ha convinto che il futuro sviluppo
dei sistemi di pagamento e compensazione attraverso Internet e le comunicazioni informatiche renderà praticamente
immediato lo «svuotamento» di quelle banche che operano con riserva frazionaria non appena sorga il minimo dubbio
sulla loro solvibilità. In questo senso, la rivoluzione tecnologica nel campo delle comunicazioni informatiche tenderà a
favorire la banca privata con un coefficiente di cassa prossimo al 100 per cento (se questa fosse privatizzata
completamente con la scomparsa della banca centrale). Cfr. Jesper N. Katz, «An Austrian Perspective on the History
and Future of Money and Banking», Programma Erasmus in Law and Economics, estate 1997 (non pubblicato). E
ugualmente The Future of Money in the Information Age, James A. Dorn (ed.), Cato Institute, Washington D.C. 1997,
tradotto in italiano con il titolo Il Futuro della Moneta: sguardi dal cuore dell’impero da Adelino Zanini, Ed. Feltrinelli,
Milano, 1998. Quanto a quello popolarmente denominato «moneta di plastica» (carte di credito) o «elettronica»,
conviene chiarire che non sono moneta ma solo strumenti che, così come gli assegni cartacei, consentono di pagare a
carico della moneta vera (o sostituti monetari perfetti come i depositi bancari).
62
Victor Modeste, «Le billet des banques d’émission et la fausse monnaie», in Le journal des économistes, vol. III, 15
agosto 1866.
63
« Credo che ciò che è chiamato libertà bancaria avrà come risualtato la scomparsa completa dei biglietti bancari in
Francia. Desidero concedere a tutti il diritto a emettere biglietti, precisamente affinché nessuno voglia accettarli.» Henri
Cernuschi, Contre le billet de banque, Guillaumin, Parigi 1866, p. 55. È interessante anche l’opera di Cernuschi
Mécanique de l’échange, A. Lacroix, Parigi 1865. Questa tesi di Cernuschi è sottoscritta, integralmente, da Ludwig von
Mises, che non solo menziona la citazione che abbiamo riportato nel testo principale nella sua Human Action, ma
inoltre aggiunge che «Freedom in the issuance of bank notes would have narrowed down the use of banknotes
considerably if it had not entirely supressed it.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 446. A Cernuschi si
oppose la Scuola Bancaria della banca libera capeggiata in Francia da J.G. Courcelle-Seneuil. Si veda, soprattutto, il suo
libro La banque libre: exposé des fonctions du commerce de banque et de son application à l’agriculture suivi de divers
écrits de controverse sur la liberté des banques, Guillaumin, Parigi 1867. La migliore analisi delle dottrine di Modeste e
22
unici difetti della dottrina di Cernuschi furono l’essersi riferito unicamente ed esclusivamente ai
biglietti della banca, lasciando da parte i depositi bancari, e il trascurare soluzione più radicale di
Modeste che, riconoscendo il carattere fraudolento della banca libera con riserva frazionaria,
riteneva che il suo esercizio dovesse essere dichiarato, in ogni caso, illegale.
Parallelamente allo sviluppo di questa corrente della Scuola Monetaria francese a favore della
banca libera e del coefficiente di cassa del 100 per cento, la medesima è sviluppata ad un livello
maggiore di profondità teorica da una serie di economisti tedeschi, fra cui emergono Hübner e
Michaelis. Questa scuola di lingua tedesca fu molto influenzata dalla dottrina contraria alla banca
con riserva frazionaria e alla creazione di una banca centrale che si era formata in precedenza negli
Stati Uniti a partire dal panico del 1819. Infatti, abbiamo già visto come negli Stati Uniti si sviluppi
tutta una dottrina monetaria molto critica nei confronti dell’attività della banca da parte di teorici
come Condy, Raguet e altri (William M. Gouge, John Taylor, John Randolph, Thomas Hart Benton,
Martin Van Buren, ecc.)64; costoro identificarono correttamente che le crisi bancarie erano dovute
all’esercizio della banca con riserva frazionaria e che l’unico modo di porre termine ad esse era il
ristabilimento del coefficiente di cassa del 100 per cento65. Tellkampf, che aveva visitato in
gioventù gli Stati Uniti, fu testimone degli abusi del sistema bancario con riserva frazionaria in
questo paese e degli effetti recessivi molto negativi che ebbe, lasciandosi influenzare dalla rigorosa
dottrina monetaria che si era formata in America durante questi anni. Di ritorno in Germania e
quando ottenne la cattedra di economia a Breslau, difese in diversi lavori l’eliminazione
dell’emissione di mezzi fiduciari da parte della banca66. Le dottrine di Tellkampf e della scuola
Cernuschi (includendo le differenze fra i due) è quella di Oskari Juurikkala, «The 1886 False-Money Debate in the
Journal des Économistes: Déjà vu for Austrians?», The Quarterly Journal of Austrian Economics, vol. V, n. 4, inverno
2002, pp. 43-55.
64
Fu un difensore di un sistema bancario sottoposto a un coefficiente del 100 per cento anche il famoso Davy Crocket,
eroe della frontiera divenuto senatore, per il quale i sistemi bancari con riserva frazionaria erano «species of swindling
on large scale» (Mark Skousen, The Economics of a Pure Gold Standard, op. cit., p. 32). Allo stesso fronte
appartennero Andrew Jackson, il già citato Martin van Buren, Henry Harrison e James K. Polk, i quali sarebbero poi
stati col tempo tutti presidenti degli Stati Uniti.
65
Un riassunto dello sviluppo di questa scuola negli Stati Uniti nella prima metà del XIX secolo si può vedere
nell’articolo di James E. Philbin, «An Austrian Perspective on Some Leading Jacksonian Monetary Theorists», The
Journal of Libertarian Studies: An Interdisciplinary Review, vol. X, n. 1, autunno 1991, pp. 83-95. Un altro libro che
studia le diverse scuole sulla teoria bancaria e monetaria che sorsero nella prima metà del XIX secolo negli Stati Uniti è
quello di Harry E. Miller, intitolato Banking Theory in the United States before 1860, (1927), riedito da Augustus M.
Kelley, Nuova York 1972.
66
Johann Ludwig Tellkampf, Essays on Law Reform, Commercial Policies, Banks, Penitenciaries, etc., in Great Britain
and the United States of America, Williams and Norgate, Londra 1859. E anche i suoi Die Prinzipien des Geld und
Bankwesens, Puttkammer y Mühlbrecht, Berlino 1867. Mises si riferì già nel 1912 alle proposte di Tellkampf (e anche
di Geyer), facendo per questo motivo la seguente sconcertante affermazione: «The issue of fiduciary media has made it
possible to avoid the convulsions that would be involved in an increase in the objective exchange value of money, and
reduced the cost of the monetary apparatus» (Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 359;
questa citazione si trova alla p.297 dell’edizione spagnola del 1997 La teoría del dinero y del crédito, questa citazione si
trova nella p. 224 dell’edizione italiana del 1999 di La teoria della moneta e dei mezzi di circolazione). Si tratta di
un’affermazione sorprendente provenendo da Mises che, alla fine dello stesso libro, propone, in modo identico a
Tellkampf e Geyer (fra i sostenitori della banca centrale) e a Hübner e Michaelis (fra i sostenitori della banca libera), il
ristabilimento del coefficiente di cassa del 100 per cento e l’eliminazione della creazione di nuovi strumenti fiduciari.
Questa contraddizione è in parallelo a quella che nel capitolo VII vedemmo che esisteva fra il Hayek di La teoria
monetaria e il ciclo economico (1929) e quello di Prezzi e Produzione (1931), e può essere spiegata solo a partire dal
processo stesso di evoluzione intellettuale di entrambi gli autori, che all’inizio non osarono difendere con la massima
coerenza le implicazioni della loro analisi. Inoltre, si deve tener conto che, come vedremo nel prossimo capitolo, Mises
difende, seguendo lo stesso schema della Legge di Peel, la fissazione di un coefficiente di cassa al 100 per cento, ma
solo per i biglietti e depositi di nuova creazione. È, pertanto, più comprensibile che si riferisca ai vantaggi che ebbe
l’emissione di strumenti fiduciari nel passato, sebbene sia sorprendente che non spieghi perché il sistema che reputa più
adeguato in prospettiva futura non sarebbe stato anche il migliore nel passato. Secondo noi, i vantaggi dell’emissione di
strumenti fiduciari nella storia sono pochi in confronto al grave danno, sotto forma di crisi e recessioni economiche, a
cui esso diede luogo e, in particolare, alle gravi insufficienze del sistema finanziario attuale che sorge esattamente come
risultato degli errori commessi nel passato.
23
americana furono seguite da Otto Hübner, che osservò come le banche tendessero ad essere
insolventi con minore frequenza quando erano meno regolate. Per Hübner esisteva un’opposizione
fra un sistema di banche privilegiate protette e sostenute dalla banca centrale, che tendeva a favorire
il comportamento irresponsabile delle medesime, e un sistema di banca libera, senza alcuna banca
centrale che lo sostenesse né concedesse alcun privilegio, in cui ogni banca doveva essere
responsabile delle proprie azioni e, pertanto, nelle stesse circostanze, avrebbe agito in modo più
prudente e responsabile. Hübner ritiene che l’obiettivo finale dovesse essere che non si emettessero
biglietti senza una copertura del 100 per cento di moneta metallica, ma tenendo conto della
situazione in cui si era giunti, ritenne che il modo più efficace e rapido di avvicinarsi al sistema
ideale fosse attraverso la libertà bancaria, in cui si richiedesse a ogni banca di far fronte
all’adempimento rigoroso dei propri obblighi67.
Questa linea di pensiero si arricchì con gli apporti dell’importante teorico Philip Joseph Geyer, che
ebbe, inoltre, il merito di articolare, già nel 1867, una teoria esplicativa dei cicli economici-
anticipatrice di quella proposta in questo libro- che in seguito sarebbe stata sviluppata fino alle sue
ultime conseguenze da Mises e Hayek. Infatti, Geyer riassume in modo impeccabile i difetti del
sistema bancario basato sulla riserva frazionaria, spiegando in che modo generi crisi economiche
quando questo produca ciò che egli denomina un «capitale artificiale» (künstliches Kapital), che
viene rappresentato esattamente dai mezzi fiduciari generati dalla banca che non sono coperti da
una ricchezza reale proveniente dal risparmio volontario. Geyer spiega perché ciò dia luogo a un
boom che inevitabilmente finisce col convertirsi sotto forma di crisi bancarie e recessioni
economiche68. Infine, Otto Michaelis difese, così come Hübner, un sistema di banca libera come
mezzo per mettere un limite agli abusi e avvicinarsi all’ideale del coefficiente di cassa del 100 per
cento69.
La tradizione di Modeste, Cernuschi, Hübner e Michaelis fu proseguita da Ludwig von Mises, che
nel 1912 diede l’impulso definitivo ai postulati della Scuola Monetaria, non solo integrando i
biglietti bancari all’interno della teoria degli strumenti fiduciari, ma inoltre fondando la teoria
monetaria sulla teoria dell’utilità marginale e la teoria del capitale elaborata da Böhm-Bawerk,
dando luogo, per la prima volta, a una teoria coerente, completa e integrata dei cicli economici. In
tal modo, Mises si rese conto che la prescrizione a favore della banca centrale dei teorici inglesi
della Scuola Monetaria era erronea, e che l’unico e miglior modo di ottenere i principi monetari
solventi della Scuola consisteva nello stabilire un sistema con banca libera ma sottomessa senza
alcun privilegio al diritto privato (cioè, con un coefficiente di cassa del 100 per cento). Inoltre,
Mises si rese anche conto che la maggior parte dei difensori dei postulati della Scuola Bancaria
finirono con l’accettare con piacere la creazione di una banca centrale che, come prestatrice di
ultima istanza doveva garantire e perpetuare i privilegi espansionisti di una banca privata, che con
sempre maggior lena, pretendeva di non rispettare i propri obblighi e dedicarsi all’«attività»
lucrativa di creare moneta fiduciaria attraverso l’espansione creditizia, senza doversi preoccupare
eccessivamente dei problemi di liquidità, grazie al sostegno che implicava la creazione di una banca
centrale. Pertanto, non desta meraviglia che Mises fosse particolarmente critico del fatto che nella
Legge di Peel del 1844, nonostante le sue molto buone intenzioni, si dimenticasse di eliminare,
67
Cfr. Otto Hübner, Die Banken, pubblicato da lui stesso a Lipsia negli anni 1853 e 1854.
68
Philip Geyer, Theorie und Praxis des Zettelbankwesens nebst einer Charakteristik der Englischen, Französischen und
Preussischen Bank, editore Fleischmann’s Büchhandlung, Monaco 1867. È interessante anche il libro di Geyer Banken
und Krisen, T.O. Weigel, Lipsia 1865. Vera C. Smith critica la proposta di Geyer e Tellkampf di abolire l’emissione di
strumenti fiduciari e stabilire un coefficiente di cassa del 100 per cento, in quanto, secondo lei, ciò implicherebbe
iniziare un processo deflazionistico, senza tener conto che, come vedremo nel capitolo successivo discutendo del
processo di transizione ad un sistema basato sul diritto, non è necessario che si ridefinisca il rapporto tra i biglietti di
banca e la moneta metallica nella proporzione che avevano prima che iniziasse l’emissione degli strumenti fiduciari. Al
contrario, ogni sano processo di transizione esige di evitare la deflazione e ridefinire il rapporto tra strumenti fiduciari e
moneta metallica tenendo conto della quantità totale di biglietti e depositi già emessi dal sistema bancario. Non si tratta,
pertanto, di iniziare una contrazione monetaria, ma di evitare che si riproduca qualsiasi ulteriore espansione creditizia.
69
Otto Michaelis, Volkswirthschaftliche Schriften, voll. I e II, Herbig, Berlino 1873.
24
come invece era stato fatto in relazione ai biglietti bancari, la creazione espansiva di depositi
fiduciari, utilizzandosi inoltre la legge per creare e sostenere un sistema di banca centrale che, come
già sappiamo, finì con l’essere utilizzato per giustificare e fomentare politiche prive di controlli
monetari e di abusi finanziari molto peggiori di quelle alle quali originariamente si cercava di porre
rimedio.
L’apporto essenziale di Mises in materia monetaria e dei cicli economici è incluso nella sua opera
La teoria della moneta e del credito apparsa nel 191270. Dovevano ancora trascorrere otto anni fino
a che Mises, nel 1920, enunciasse il suo noto teorema dell’impossibilità del calcolo economico
socialista, che tanto avrebbe fatto discutere nella polemica che su questo tema si sarebbe sviluppata
nei decenni successivi. Sebbene non vi sia alcuna constatazione esplicita che Mises fosse cosciente
che gli argomenti essenziali sull’impossibilità del socialismo che enunciò nel 1920 fossero anche
direttamente applicabili all’esercizio della banca con riserva frazionaria e, soprattutto, alla creazione
e attività di una banca centrale, nel paragrafo successivo difenderemo la tesi che la nostra analisi
sulla banca con riserva frazionaria e la banca centrale non è altro che un caso particolare che sorge
dall’applicazione del teorema generale sull’impossibilità teorica del socialismo all’ambito
finanziario71.
70
Ludwig von Mises, Theorie des Geldes und der Umlaufsmittel, Duncker & Humblot, Monaco e Lipsia 1912 e 1924.
L’opera fu tradotta da H. E. Batson e pubblicata per la prima volta in inglese da Jonathan Cape a Londra nel 1934, per
cui se ne poté servire Vera Smith nella sua tesi dottorale che, come già sappiamo fu pubblicata due anni dopo. È
interessante rilevare come Vera Smith includa Mises, insieme a Hübner, Michaelis e Cernuschi, nella figura a doppia
entrata che riproduce alle pp. 144-145 del suo libro (p. 166 dell’edizione spagnola), nella sezione corrispondente ai
teorici più rigorosi della Scuola Monetaria che, tuttavia, difendevano un sistema con banca libera, come via migliore per
avvicinarsi, date le circostanze, al coefficiente di cassa del 100 per cento. Forse uno degli apporti più importanti del
libro di Vera Smith consiste nell’aver chiarito che non esiste una completa ed automatica identità tra Scuola Bancaria e
la scuola della banca libera, da una parte, e la Scuola Monetaria e la scuola della banca centrale, dall’altra, ma esiste,
piuttosto, un quadro a doppia entrata in cui potrebbero essere classificati quattro distinti gruppi di teorici. Per la sua
importanza e capacità chiarificatrice riportiamo di seguito in maniera rivista il riquadro di Vera Smith:
[INSERIRE FIGURA VIII-1]
Scuola della Banca Libera Scuola della Banca Centrale
Scuola Bancaria Maggioranza dei teorici della Scuola Keynesiani e la maggior parte dei
(Riserva Frazionaria) Bancaria del XIX secolo. monetaristi del XX secolo.
White, Selgin, Dowd e David
Friedman, nel XX secolo
Evoluzione naturale della Scuola Bancaria →→→
Scuola Monetaria Modeste Proposta della Scuola di Chicago
(Coefficiente di cassa del 100 per Cernuschi negli Anni Trenta
Hübner
cento) Maurice Allais
Michaelis
Mises, possibilmente Hayek nel 1925
e 1937
Rothbard,
Huerta de Soto
Joseph Salerno e
Hans-Hermann
Hoppe
Evoluzione naturale della Scuola Monetaria →→→
La classificazione in quattro scuole (scuola della banca libera con riserva frazionaria, scuola del sistema bancario con
riserva frazionaria diretto da una banca centrale, Scuola Monetaria con coefficiente di cassa del 100 per cento e banca
libera, e Scuola Monetaria con coefficiente di cassa del 100 per cento e banca centrale) è molto più esatta e
chiarificatrice della classificazione che fanno, fra gli altri, Anna J. Schwartz e Lawrence H. White, con solo tre scuole,
la Scuola Monetaria, la Scuola Bancaria e la scuola della banca libera (cfr. Anna J. Schwartz, «Banking School,
Currency School, Free Banking School», pubblicato in The New Palgrave: A Dictionary of Money and Finance, vol. I,
op. cit., pp. 148-152).
71
Sull’evoluzione in Spagna della dottrina favorevole alla banca centrale e la sua influenza sul processo di formazione
della banca che emette moneta in Spagna, si può leggere Luis Coronel de Palma, La evolución de un banco central,
Real Academia de Jurisprudencia y Legislación, Madrid 1976, e la bibliografia ivi citata; così come i lavori di Rafael
Anes, «El Banco de España (1874-1914): un banco nacional», e di Pedro Tedde de Lorca, «La banca privada española
25
3) L’applicazione del teorema dell’impossibilità del socialismo alla banca centrale
Nel capitolo II abbiamo visto come le banche centrali sorgano, nel corso della storia, non come
risultato del processo spontaneo ed evolutivo del mercato libero, ma come conseguenza
dell’intervento deliberato dei governi nell’ambito bancario. Infatti, l’istituzione della banca centrale
ha la sua origine nel fallimento dei poteri pubblici nel momento di definire e difendere
adeguatamente il diritto di proprietà dei depositanti, cioè, nel momento di mettere un limite all’uso
indebito della moneta che ricevono i banchieri sotto forma di depositi dei loro clienti. Questo
fallimento è causa dello sviluppo di un’attività bancaria fondata sul coefficiente di riserva
frazionaria che, come già sappiamo, concede un potere di lucro enorme alle banche, in quanto
consente loro di creare dal nulla i nuovi strumenti monetari. Già conosciamo gli effetti negativi che
questa attività bancaria ha sulla struttura economica, sotto forma di crisi e recessioni di notevole
gravità che, in principio, dovrebbero giustificare una cura particolarmente attenta da parte dei
governi per garantire l’adempimento dei principi tradizionali del diritto (depositi a vista con un
coefficiente di cassa del 100 per cento). Tuttavia, nel corso della storia, gli Stati, lungi
dall’aumentare il loro zelo prendendosi cura del rispetto del diritto in relazione all’attività bancaria,
sono stati i primi ad approfittare della medesima concedendole ogni tipo di privilegio. Così, con il
fine di far fronte alle difficoltà fiscali a cui di continuo sono sottomessi per la loro irresponsabilità
finanziaria, i governi non solo resero legale l’esercizio dell’attività bancaria con riserva frazionaria
mediante la concessione del corrispondente privilegio, ma nel corso della storia hanno cercato di
approfittarsi continuamente di esso, o richiedendo che gran parte dei prestiti creati dal nulla dal
sistema bancario di riserva frazionaria fossero concessi al governo stesso, oppure riservandosi in
tutto o in parte l’esercizio molto lucrativo della banca con riserva frazionaria.
Gli stessi banchieri privati, da parte loro, non smisero di considerare che, in modo ricorrente, la
loro attività era soggetta a panici e crisi di liquidità che mettevano a rischio regolarmente la
continuità della loro attività lucrativa. Ecco perché essi stessi sono stati i primi interessati a chiedere
la creazione di una banca centrale che, come prestatrice di ultima istanza, garantisse loro la
sopravvivenza nei momenti di difficoltà. In tal modo, diventano comuni gli interessi dei banchieri
privati e dello Stato e la sua banca centrale, creandosi una simbiosi tra entrambi da cui gli uni e gli
altri escono beneficati. Lo Stato ottiene un finanziamento facile sotto forma di crediti e inflazione
fiduciaria, il cui costo non viene avvertito dalla comunità, che non nota al principio maggiori carichi
fiscali. I banchieri privati accettano con piacere l’esistenza e la regolamentazione che proviene dalla
banca centrale, in quanto si rendono conto che, in ultima istanza, tutta la rete delle loro attività
verrebbe a cadere senza il sostegno di un’istituzione ufficiale che fornisse la liquidità necessaria
quando si verificassero le «inevitabili» crisi bancarie e recessioni economiche.
Possiamo, pertanto, concludere con Vera Smith che la banca centrale non è un risultato spontaneo
del processo di mercato, ma è stata imposta in modo coercitivo dallo Stato, con il fine di ottenere
alcuni obiettivi determinati (specialmente un finanziamento più facile delle loro spese e
l’orchestrazione di politiche inflazionistiche sempre più popolari), tutto ciò con l’acquiescenza e
l’appoggio delle banche private che in questo campo quasi sempre hanno agito come complici del
governo in ogni circostanza della storia72.
durante la Restauración (1874-1914)», inclusi entrambi nel vol. I di La banca española en la Restauración, Servicio de
Estudios del Banco de España, Madrid 1974. Nonostante i validi riferimenti dottrinali inclusi nei lavori precedenti, una
storia del pensiero economico spagnolo sulla polemica banca centrale-banca libera deve ancora esser fatto.
72
«A central bank is not a natural product of banking development. It is imposed from outside or comes into being as
the result of Government favours. This factor is responsible for marked effects on the whole currency and credit
structure which brings it into sharp contrast with what would happen under a system of free banking from which
Government protection was absent.» Vera C. Smith, The Rationale of Central Banking and the Free Banking
Alternative, op. cit., p. 169 (p. 186 dell’edizione spagnola già citata). Possiamo, pertanto, accettare la tesi del professore
Charles Goodhart (si veda la nota 73), per il quale l’istituzione della banca centrale viene imposta dal passaggio da un
sistema di moneta-merce a un sistema di moneta fiduciaria, sempre e quando si riconosca che tale passaggio non è un
26
In tal modo, è sorta storicamente l’istituzione della banca centrale, che si fonda sulla relazione di
complicità e sulla coalizione di interessi che tradizionalmente esiste tra governi e banchieri, e che
esplica alla perfezione le relazioni di intima «comprensione» e «cooperazione» che esistono tra
entrambi i tipi di istituzione, e che oggigiorno si osservano, con piccole sfumature, in tutti i paesi
occidentali e in quasi tutte le circostanze. Il banco centrale garantisce la sopravvivenza delle banche
private, ciò che le sottomette a una tutela completa e ad un controllo politico ed economico da parte
di questa istituzione e, in ultima istanza, del governo stesso. Inoltre la banca centrale ha la pretesa di
dirigere la politica monetaria e creditizia di ogni paese, col fine di ottenere determinati obiettivi di
politica economica. Nel prossimo paragrafo vedremo perché sia teoricamente impossibile che una
banca centrale possa reggere un sistema monetario e creditizio che non produca gravi disequilibri e
disordini economici73.
In un altro luogo74, ho difeso la tesi che il socialismo debba ridefinirsi come qualsiasi sistema di
aggressione istituzionale contro l’esercizio libero della funzione imprenditoriale. Tale aggressione
può rivestire la forma, sia dell’esercizio della violenza fisica o minaccia di violenza fisica
direttamente portato a termine dagli organi governativi, sia della concessione di privilegi a
determinati gruppi sociali (sindacati, banchieri, ecc.) affinché, con il sostegno dello Stato, possano
agire violando i principi tradizionali del diritto. Quindi, pretendere di conseguire l’obiettivo di
coordinare la società mediante la coazione istituzionale è un errore intellettuale perché non è
teoricamente possibile che l’organo incaricato di esercitare l’aggressione istituzionale possa
ottenere l’informazione di cui necessita per dare un contenuto coordinatore ai suoi ordini75; e ciò
per i seguenti quattro motivi: primo, per motivi di volume (è impossibile che l’organo di intervento
assimili costantemente l’enorme volume di informazione pratica disseminata nelle menti degli
esseri umani); secondo, dato il carattere essenzialmente non trasferibile all’organo centrale
dell’informazione di cui si necessita (per la sua natura soggettiva, pratica, tacita e non articolabile);
terzo, perché, inoltre non può essere trasmessa l’informazione che non è ancora stata scoperta o
creata dagli attori e che sorge solo come risultato del libero processo di mercato che deriva
dall’esercizio della funzione imprenditoriale soggetta al diritto; e quarto, perché l’esercizio della
risultato spontaneo del mercato, ma, al contrario, è il risultato inevitabile della violazione dei principi tradizionali del
diritto (coefficiente di cassa del 100 per cento per i depositi a vista), che esige il corretto funzionamento di ogni
mercato. Si veda in questo senso l’Annesso di José Antonio de Aguirre all’edizione spagnola del libro di Vera C. Smith
già citato, pp. 270-271. Secondo la nostra opinione, l’unico difetto importante del libro di Vera Smith si radica nel fatto
che l’autrice non si renda sufficientemente conto che il sistema della banca centrale non è altro che il risultato logico ed
inevitabile dell’introduzione lenta e surrettizia da parte dei banchieri privati, con la complicità storica dei governi, del
sistema bancario basato sulla riserva frazionaria. Nel libro di Vera Smith si rimpiange che l’autrice non dedichi nessuna
attenzione alle proposte che già allora circolavano a favore del coefficiente di cassa del 100 per cento. Se l’avesse fatto,
si sarebbe resa conto che l’unico modo per ottenere un vero sistema con banca libera era quello che ristabiliva il
principio secondo il quale era necessario mantenere in riserva il 100 per cento delle quantità ricevute sotto forma di
depositi a vista, e questo stesso difetto è applicabile, come vedremo più avanti, a molti dei moderni teorici che
oggigiorno difendono il sistema con banca libera.
73
L’opera già classica sull’evoluzione delle banche centrali è quella di Charles Goodhart, The Evolution of Central
Banks, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2.ª edizione, 1990, specialmente le pp. 85-103. Un buono e breve
riassunto sulla genesi ed evoluzione delle banche centrali si può trovare alle pp. 9 e ss. del libro di Pedro Tedde de
Lorca El Banco de San Carlos (1782-1822), Alianza Editorial, Madrid 1988. La formazione della banca centrale
sospinta dalle difficoltà finanziarie dello Stato, che continuamente si vede costretto ad approfittare dei privilegi di
creazione della moneta (sotto forma di biglietti e depositi) che permette la banca con riserva frazionaria è perfettamente
illustrata nel caso spagnolo del XIX secolo dal libro di Ramón Santillana, Memoria histórica sobre los bancos Nacional
de San Carlos, Español de San Fernando, Isabel II, Nuevo de San Fernando, y de España, riedizione del Banco de
España, Madrid 1982, e specialmente le pp. 1, 3, 132, 236 e 237, fra le altre.
74
Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., p. 87.
75
Ibidem, p. 95.
27
coazione impedisce che il processo imprenditoriale scopra o crei l’informazione necessaria a
coordinare la società.
Questo, e non altro, è il nucleo essenziale dell’argomento originariamente sviluppato da Mises nel
1920 sull’impossibilità del socialismo e, in generale, dell’intervento dello Stato nell’economia,
argomento che spiega teoricamente il fallimento storico, delle economie di socialismo reale così
come i crescenti scombussolamenti e inefficienze cui sta dando luogo lo Stato del Benessere
interventista che è proprio delle economie occidentali.
La concessione di privilegi contrari ai principi tradizionali del diritto rende impossibile, allo stesso
modo, la cooperazione coordinata fra i diversi agenti della società. Infatti, i principi tradizionali del
diritto sono imprescindibili per l’esercizio coordinato e pacifico della funzione imprenditoriale. La
sua sistematica violazione rende impossibile in misura maggiore o minore la libera creatività
imprenditoriale e, con ciò, la creazione e trasmissione dell’informazione che è necessaria per
coordinare la società. Quando si agisce al margine di questi principi non si scoprono gli squilibri
sociali e quelli esistenti non sono avvertiti e tendono ad aggravarsi sistematicamente76.
La conseguenza inevitabile dell’esercizio sistematico della coazione sulla società da parte dello
Stato e della concessione di privilegi contro i principi tradizionali del diritto è la comparsa di un
disordine generalizzato e di uno scombussolamento sociale esattamente in tutti i livelli e aree in cui
incidono la coazione e i privilegi menzionati. Infatti, l’una e gli altri favoriscono la creazione di
informazione erronea e la generazione di azioni irresponsabili, corrompendo le abitudini individuali
di comportamento soggette a regole normative (leggi in senso materiale), favorendo lo sviluppo
dell’economia occulta o irregolare e creando e mantenendo, insomma, ogni tipo di scompiglio e
conflitti sociali.
L’applicazione del teorema dell’impossibilità del socialismo alla banca centrale e al sistema
bancario con riserva frazionaria
Una delle tesi più importanti di questo libro è che il teorema dell’impossibilità del socialismo, e
l’analisi realizzata dalla Scuola Austriaca sugli effetti inesorabili del discoordinamento sociale
prodotto nella società dalla coazione istituzionale e dalla concessione di privilegi contro il diritto, si
possono direttamente applicare al sistema finanziario e bancario che è stato sviluppato nelle nostre
economie, basato sull’esercizio della banca privata con un coefficiente di riserva frazionaria, e
controllato da un’istituzione ufficiale (la banca centrale) che si è convertita in responsabile e
artefice della politica monetaria.
Infatti, ogni sistema finanziario e bancario moderno delle economie di mercato si basa, da un lato,
sull’esercizio sistematico della coazione contro l’esercizio libero della funzione imprenditoriale in
area finanziaria e, d’altra parte, sulla concessione alle banche private di privilegi contro i principi
tradizionali del diritto affinché possano operare con un coefficiente di riserva frazionaria.
Non è necessario insistere sulla natura giuridica del privilegio «odioso» che implica l’esercizio
della banca con un coefficiente di riserva frazionaria, in quanto ad essa abbiamo già dedicato
un’analisi dettagliata nei tre primi capitoli di questo libro. Quanto all’esercizio sistematico della
coazione nel campo finanziario e bancario è facile comprendere che questo è realizzato, in primo
luogo, attraverso le disposizioni del corso legale o forzoso che obbligano ad accettare come
strumento liberatorio di pagamento l’unità monetaria emessa in modo monopolistico dalla banca
centrale77. La coazione istituzionale della banca centrale si manifesta ugualmente nell’intreccio di
76
L’analisi dettagliata di tutte le conclusioni teoriche che sono riassunte nel testo si può trovare nei primi tre capitoli di
Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, opera già citata, pp. 21-155, che, pertanto,
qui sono riprodotti.
77
Così, per esempio, l’articolo 15 della Legge 13/1994, del 1° luglio, di Autonomía del Banco de España, diceva che
«spetterà alla Banca di Spagna la facoltà esclusiva di emissione di biglietti in pesetas, che, senza danno al regime legale
applicato alla moneta metallica, saranno gli unici strumenti di pagamento con corso legale all’interno del territorio
spagnolo con potere pieno e illimitato.», Boletín Oficial del Estado del 2 luglio 1994, p. 15404 (i corsivi sono miei).
28
tutta una legislazione bancaria di tipo amministrativo finalizzata a controllare dettagliatamente
l’attuazione delle entità creditizie e, a livello macroeconomico, a definire ed eseguire la politica
monetaria di ogni paese78.
Insomma, sembra inevitabile concludere che «l’organizzazione del sistema bancario è molto più
vicina all’economia socialista che all’economia di mercato»79. In materia bancaria e creditizia ci
troviamo, pertanto, nella stessa situazione in cui fino a pochi anni fa si trovavano i paesi di
socialismo reale che pretendevano di coordinare le loro decisioni e processi economici attraverso un
sistema di pianificazione centrale. Cioè, la «pianificazione centrale» ha acquisito un ruolo naturale
nel campo bancario e creditizio delle economie di mercato, per cui è naturale che si riproducano in
queste aree tutti gli effetti di discoordinamento e inefficienza che la teoria del socialismo ha messo
in evidenza. In seguito studieremo in maggior dettaglio l’applicazione del teorema
dell’impossibilità del socialismo a tre casi distinti di organizzazione interventista e/o privilegiata
dell’attività bancaria cioè: (a) il caso più generale della banca centrale che eserciti la sua tutela su
un sistema bancario con riserva frazionaria; (b) il caso della banca centrale che agisca su un sistema
bancario che operi con un coefficiente di cassa del 100%; e infine, (c) il caso di un sistema con
banca libera (senza regolamentazione e senza banca centrale) ma che eserciti la sua attività in modo
privilegiato, cioè, con un coefficiente di riserva frazionaria.
(a) Il sistema basato su una banca centrale che «tutela» una banca privata con riserva
frazionaria
Il sistema basato su una banca centrale e sull’esercizio privato della banca con riserva frazionaria
rappresenta il caso più sconvolgente di «pianificazione centrale» sul sistema finanziario80. Infatti,
questo sistema non solo si basa sulla concessione di un privilegio ai banchieri privati (esercizio
della banca con un coefficiente di riserva frazionaria), con le naturali distorsioni alle quali esso dà
luogo sotto forma di espansione creditizia e cicli ricorrenti di espansione e depressione, ma, inoltre,
tutto il sistema si trova orchestrato, diretto, e sostenuto da una banca centrale, prestatrice di ultima
istanza, che esercita in modo sistematico la coazione istituzionale nel settore bancario, finanziario e
monetario.
Come è logico, essendo la Spagna stata a partire dal 1° gennaio 2002 nell’Unione Monetaria Europea, i riferimenti alla
peseta e alla Banca di Spagna devono essere sostituiti rispettivamente dall’euro e dalla Banca Centrale Europea.
78
Si veda, per esempio, l’enumerazione delle funzioni della banca centrale incluse a carattere generale nell’articolo 7
della Legge di Autonomia della Banca di Spagna, già citata.
79
Si veda il lavoro della mia alunna Elena Sousmatzian Ventura: «¿Puede la intervención gubernamental evitar las
crisis bancarias?», Revista de la Superintendencia de bancos y otras instituciones financieras, n.º 1, Caracas,
Venezuela, aprile-giugno 1994, pp. 66-87. In questo importante lavoro Elena Sousmatzian aggiunge, inoltre, che
considerare che l’attuale sistema bancario condivida le caratteristiche di un’economia socialista o interventista, sebbene
inizialmente possa sorprendere molti, è facile da comprendere se si ricorda: (a) che tutto il sistema è organizzato sulla
base del monopolio della moneta da parte dello Stato; (b) che il sistema si fonda sul principio concesso alle banche di
creare dal nulla crediti sulla base delle riserve frazionarie dei depositi; (c) che la direzione di tutto il sistema la effettua
la banca centrale, come autorità monetaria indipendente che attua come vero organo di pianificazione sul sistema
finanziario; (d) che dal punto di vista giuridico, opera per la banca il principio di competenza proprio
dell’Amministrazione, in virtù del quale può fare solo quello che è permesso a differenza del principio giuridico di
capacità che opera per il resto delle persone private, che possono sempre fare ciò che non sia proibito; (e) che è comune
l’eccezione della banca al sistema generale di fallimenti retto dal diritto mercantile e che, in ambito bancario, si
sostituisce con un sistema proprio del diritto amministrativo, basato sull’intervento e sostituzione degli organi di
amministrazione; (f) che si impediscono i fallimenti bancari esternalizzando gli effetti delle crisi patrimoniali delle
banche, che sono suffragate dai cittadini attraverso gli apporti della banca centrale a tassi preferenziali di interesse, o
mediante apporti a fondo perso concessi da un fondo di garanzia di depositi; (g) che esiste un’estesissima e
minuziosissima regolamentazione a cui è soggetta l’attività bancaria che, in molte occasioni, si decide ad hoc, al
margine dei principi di razionalità, efficienza ed efficacia.
80
Lasciamo da parte, chiaramente, i casi, oggi poco rilavanti, di sistemi bancari totalmente nazionalizzati (Cina, Cuba,
ecc.).
29
La banca centrale, nel fornire la liquidità necessaria alle banche nei momenti di crisi, tende a
neutralizzare i meccanismi che in modo spontaneo fanno invertire nel mercato gli effetti espansivi
della banca (e che consistono, esattamente, nel fallimento rapido delle banche più espansive e meno
solvibili), per cui il processo di creazione di depositi e di espansione di crediti senza copertura di
risparmio reale volontario può estendersi indefinitamente nel tempo, diventando con ciò più gravi i
suoi effetti distorsivi sulla struttura produttiva e, pertanto, le inevitabili crisi e recessioni
economiche cui dà luogo.
Non è possibile che il sistema di pianificazione finanziaria che si basa sulla banca centrale possa
eliminare il ripetersi dei cicli economici. Al massimo può posporre il loro arrivo mediante la
creazione di nuova liquidità e il sostegno alle banche a rischio nelle situazioni di crisi bancaria, a
costo di rendere le inevitabili recessioni economiche più gravi. Infatti, il mercato tende sempre
spontaneamente, presto o tardi, a reagire e invertire gli effetti delle aggressioni monetarie alle quali
è sottomesso, di modo che gli intenti deliberati per via coercitiva (o concessione di privilegi) per
evitare tali effetti sono condannati al fallimento. Al massimo si può ottenere di posporre nel tempo,
a costo di aggravarla, la necessaria inversione sotto forma di crisi economica, ma senza riuscire ad
evitare che essa arrivi. Nel sistema con banca libera e riserva frazionaria e senza banca centrale,
l’inversione (e anche il posteriore recupero), come già sappiamo, tende a prodursi molto prima
grazie ai processi spontanei di liquidazione interbancaria (il che non impedisce che si produca un
certo effetto distorsivo sulla struttura produttiva). Con la creazione di una banca centrale che
fornisca, come prestatrice di ultima istanza, la liquidità necessaria nei momenti di crisi, i processi
spontanei di inversione del mercato tendono ad essere neutralizzati, per cui le politiche espansive
possono diventare molto più durature e i suoi effetti negativi molto più gravi e prolungati81.
Il punto è che la banca centrale, come «organo di pianificazione centrale finanziaria», è soggetta a
una contraddizione inestirpabile. Infatti, come ha messo ben in evidenza F.A. Hayek, tutte le
banche centrali si confrontano con un dilemma di fondo che rende inevitabile che la loro politica
debba esercitarsi con un ampio potere discrezionale in un ambito in cui sono privi di tutta
l’informazione di cui hanno bisogno per raggiungere i loro obiettivi. La banca centrale esercita il
suo potere sulle banche private appoggiandosi soprattutto sulla minaccia di non fornire loro la
liquidità di cui hanno bisogno. E, tuttavia, al tempo stesso, si considera in modo generalizzato che il
principale dovere e ragion d’essere della banca centrale consiste nel non rifiutare di fornire la
liquidità necessaria in quei momenti in cui si producano le crisi bancarie82.
Ciò spiega la grande difficoltà che hanno le banche centrali ad eliminare le crisi economiche,
nonostante ogni loro sforzo e dedizione, così come il controllo minuzioso e dettagliato che,
81
Inoltre, la banca centrale non può garantire a tutti i clienti delle banche private il recupero dei loro depositi in unità
monetarie che mantengano inalterato il loro corrispondente potere d’acquisto. La credenza che le banche centrali
«garantiscano» a tutti i cittadini la restituzione dei loro depositi, indipendentemente da quale sia stato il comportamento
delle rispettive banche private, è una pura finzione, in quanto, al massimo, tutto ciò che possono fare è generare dal
nulla nuova liquidità per far fronte a tutte le domande di ritiro di depositi di cui sono state oggetto le banche private,
provocando un processo inflazionistico il quale fa sì che in molte occasioni il potere d’acquisto delle unità monetarie
che sono ritirate dai corrispondenti depositi sia sensibilmente inferiore a quello che avevano al momento della consegna
dei depositi.
82
«There is one basic dilemma, which all central banks face, which makes it inevitable that their policy must involve
much discretion. A central bank can exercize only an indirect and therefore limited control over all the circulating
media. Its power is based chiefly on the threat of not supplying cash when it is needed. Yet at the same time it is
considered to be its duty never to refuse to supply this cash at a price when needed. It is this problem, rather than the
general effects of policy on prices or the value of money, that necessarily preoccupies the central banker in his day-to-
day actions. It is a task which makes it necessary for the central bank constantly to forestall or counteract developments
in the realm of credit, for which no simple rules can provide sufficient guidance.» F.A. Hayek, The Constitution of
Liberty, Routledge, Londra, 1.ª edizione 1960, riedito nel 1990, p. 336. Esiste un’edizione spagnola tradotta da José-
Vicente Torrente e pubblicata con il titolo Los fundamentos de la libertad, Unión Editorial, 5.ª edizione, Madrid 1991,
p. 410. Esiste un’edizione italiana tradotta da Marcella Bianchi di Lavagna Malagodi, rivisitata da Lorenzo Infantino e
Nicola Iannello e pubblicata con il titolo di La società libera, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, p. 677.
30
attraverso la legislazione amministrativa e la coercizione diretta, esercitano sull’attività bancaria
privata83.
Inoltre, così come capitava al Gosplan, ossia l’organo supremo di pianificazione dell’estinta
Unione Sovietica, la banca centrale è obbligata a raccogliere continuamente una vastissima quantità
di informazione statistica, relativa all’attività bancaria, e alle diverse componenti dell’offerta
monetaria e alla domanda di moneta. Questa informazione statistica non incorpora gli aspetti
qualitativi che sarebbero necessari a rendere possibile un intervento non distorsivo. E ciò non solo a
motivo dell’enorme volume di questa informazione, ma soprattutto per il suo carattere soggettivo,
dinamico e costantemente mutevole e che, inoltre, nel campo finanziario si presenta con un grado
ancora maggiore di difficoltà. Si nota così, con particolare gravità, l’impossibilità di ottenere tutta
l’informazione di cui ha bisogno la banca centrale per agire in modo coordinatore, e che altro non è
se non un’ulteriore illustrazione, in tal caso applicata all’ambito finanziario del teorema
dell’impossibilità del socialismo.
Infatti, la conoscenza delle diverse componenti dell’offerta e della domanda di moneta non è mai
disponibile ad esser raccolta in forma oggettiva. Al contrario, si tratta di una conoscenza di natura
pratica, soggettiva, dispersa e difficilmente articolabile che ha la sua origine nelle volizioni
soggettive degli agenti economici che mutano in continuazione e dipendono, in larga misura,
dall’evoluzione stessa dell’offerta monetaria. Sappiamo già che qualsiasi quantità di moneta è
ottima, nel senso che, una volta prodottisi tutti gli effetti sulla struttura dei prezzi relativi, gli agenti
economici possono approfittare pienamente del suo potere di scambio, qualunque sia il volume
assoluto di essa. Sono i cambiamenti nella quantità di moneta e nella sua distribuzione, attraverso
l’espansione dei crediti senza la copertura del risparmio, o mediante la spesa diretta delle nuove
unità monetarie in determinati settori dell’economia, quelli che producono un grave effetto
distorsivo dando luogo, in modo generalizzato, al disequilibrio o discoordinamento nel
comportamento dei diversi agenti economici.
Non desta meraviglia, pertanto, che il sistema di banca centrale che ora stiamo analizzando si sia
caratterizzato per aver dato luogo ai processi di discoordinamento intertemporale più gravi che si
siano verificati nella storia. E così, come risultato delle politiche monetarie intraprese dalle diverse
banche centrali, e specialmente da quelle dell’Inghilterra e degli Stati Uniti, con l’obiettivo di
«stabilizzare» il potere d’acquisto dell’unità monetaria, si animò ed generò un grave processo di
espansione creditizia e monetaria nel corso dei «felici» anni Venti, che diede luogo alla più grave
depressione economica del secolo scorso. E in seguito, dopo la Seconda Guerra Mondiale, in modo
più ricorrente, si sono ripetuti i cicli economici, alcuni di essi di una gravità paragonabile anche a
quella della Grande Depressione: si ricordi la recessione della fine degli anni Settanta e, in misura
minore, quella dell’inizio degli anni Novanta (entrambe del XX secolo). E ciò nonostante tutte le
dichiarazioni programmatiche intorno alla necessità di mantenere una politica monetaria stabile da
parte dei governi e delle banche centrali, e dell’immenso sforzo in termini di risorse umane,
statistiche e materiali che sono state impiegate a tal fine. Nonostante tutto ciò, il fallimento è quanto
mai evidente84.
83
I diversi sistemi e organismi di «assicurazione» di depositi che si sono creati in molti paesi occidentali tendono a
produrre un effetto che è l’esatto contrario di quello che si cercava con la loro istituzione. Questi «fondi di garanzia dei
depositi» fanno sì che la politica delle banche private sia più imprudente e meno responsabile, in quanto danno ai
cittadini la falsa sicurezza che i loro depositi siano «garantiti» e che non sia necessario, pertanto, sforzarsi di valutare e
correggere la fiducia posta in ogni istituzione, dandosi inoltre l’intima sicurezza ai banchieri che il loro comportamento,
in ultima istanza, non dovrà danneggiare molto gravemente i loro clienti diretti. Il ruolo di protagonista che i sistemi di
garanzia o «assicurazione» di deposito hanno avuto nella genesi delle crisi bancarie è stato studiato, fra altri, nel libro
The Crisis in American Banking, Lawrence H. White (ed.), New York University Press, Nuova York 1993. Risulta
scoraggiante, in tal senso che, all’interno del processo di armonizzazione del diritto bancario europeo, si sia stabilita
nell’Unione Europeo l’obbligatorietà dell’instaurazione del riconoscimento ufficiale di un sistema di garanzie di
depositi in ogni Stato dell’Unione, stabilendosi in modo obbligatorio l’affiliazione di ogni entità europea di credito a
qualcuno dei sistemi che si creino a livello statale.
84
Il più grave errore di politica monetaria che diede origine alla Grande Depressione, pertanto, fu quello commesso
dalle banche centrali europee e la Riserva Federale americana durante gli anni Venti e non, come indica Stephen
31
Non esiste alcuna possibilità che la banca centrale, come organo di pianificazione centrale
finanziaria, possa in alcun modo imitare esattamente il funzionamento che la moneta privata
avrebbe su un mercato libero assoggettato al diritto. E ciò, non solo per la mancanza
dell’informazione che sarebbe necessaria, ma inoltre perché la mera esistenza dell’istituzione della
banca centrale tende a rafforzare gli effetti distorsivi ed espansivi della banca con riserva
frazionaria, dando luogo a discoordinamenti intertemporali acuti nel mercato che nella maggioranza
dei casi neanche la banca centrale è capace di individuare prima che sia troppo tardi. Gli stessi
teorici difensori della banca centrale, come Charles Goodhart, sono stati costretti a riconoscere che,
nonostante tutti gli sforzi realizzati, e contrariamente a ciò che stabiliscono i modelli di equilibrio
che usano, in pratica è quasi impossibile che i funzionari delle banche centrali siano capaci di far
corrispondere in modo adeguato l’offerta e la domanda di moneta, dato il comportamento molto
variabile, difficilmente prevedibile, e stagionale che hanno le molteplici variabili che usano. Infatti,
è molto difficile, se non impossibile, controllare, sia la cosiddetta «base monetaria», sia qualsiasi
altro tipo di indicatori, per esempio, qualsiasi definizione degli aggregati monetari, l’evoluzione
dell’indice dei prezzi o la fissazione prestabilita di un tasso di interesse o di cambio, senza dar luogo
a politiche monetarie erratiche e destabilizzatrici. Inoltre, Goodhart riconosce che le banche centrali
sono soggette alle stesse pressioni e forze che colpiscono il resto degli organismi burocratici e che
sono state studiate dalla Scuola della Scelta Pubblica. Infatti, i funzionari delle banche centrali sono
esseri umani, sottoposti agli stessi incentivi e restrizioni che agiscono sul resto dei funzionari. Per
questo è possibile che nella loro attività si lascino trasportare, in misura maggiore o minore, dai
diversi gruppi di interesse che sono colpiti dalla politica monetaria della banca centrale, e fra i quali
i politici desiderosi di ottenere voti, le stesse banche private, e altri molteplici gruppi privilegiati di
interesse, non sono i meno importanti. Perciò, Goodhart conclude che «there is a temptation to err
on the side of financial laxity. Raising interest rates is (politically) unpopular, and lowering them is
popular. Even without political subservience, there will usually be a case for deferring interest rate
increases, until more information on current developments becomes available. Politicians do not
generally see themselves as springing surprise inflation on the electorate. Instead, they suggest that
an electorally inconvenient interest rate increase should be deferred, or a cut ‘safely’ accelerated.
But it amounts to the same thing in the end. This political manipulation of interest rates, and hence
of the monetary aggregates, leads to a loss of credibility and cynicism about whether the politicians’
contra-inflation rhetoric should be believed.»85
Horwitz, seguendo Milton Friedman, e Anna Scwartz, il fatto che la banca centrale, dopo il crollo della Borsa del 1929,
non fronteggiasse una diminuzione del 30 per cento nella quantità di moneta in circolazione. Come sappiamo, l’origine
fu nelle distorsioni della struttura produttiva a cui diede luogo la precedente espansione creditizia e monetaria, e non
nell’inevitabile deflazione che si produsse nel corrispondente processo di inversione. Questo errore di valutazione di
Horwitz, così come la sua difesa dei ragionamenti della moderna scuola della libertà bancaria basata sulla riserva
frazionaria, si può trovare nel suo articolo «Keynes’ Special Theory», pubblicato in Critical Review: A Journal of Books
and Ideas, vol. III, nn. 3 e 4, estate-autunno 1989, pp. 411-434, e specialmente la p. 425.
85
Un riassunto esatto delle insuperabili difficoltà teoriche e pratiche che deve affrontare la banca centrale per portare a
compimento la sua politica monetaria è stato realizzato da Charles A.E. Goodhart nel suo articolo «What Should
Central Banks Do? What Should be their Macroeconomic Objectives and Operations?», pubblicato in The Economic
Journal, novembre de 1994, n.º 104, pp. 1424-1436. La citazione del testo si trova alle pp. 1426-1427 e potrebbe
tradursi nel seguente modo: «Esiste la tentazione ad errore dal lato del rilassamento finanziario. Aumentare i tassi di
interesse è politicamente impopolare, e ridurli è molto popolare. Anche senza l’indipendenza politica, si troverà sempre
il pretesto per posporre gli aumenti nel tasso di interesse finché sia disponibile una maggiore informazione riguardo ai
fatti economici. I politici generalmente non vogliono essere visti come coloro che sorprendono l’elettorato con
inflazione. Invece di ciò, essi suggeriscono sempre di posporre gli aumenti del tasso di interesse sconvenienti dal punto
di vista politico, o che una riduzione (nel tasso) si acceleri “con sicurezza”. Questa manipolazione politica dei tassi di
interesse e pertanto degli aggregati monetari conduce a una perdita di credibilità e al cinismo sul fatto se debba darsi
credito o no alla retorica dei politici contraria all’inflazione.» Altri lavori interessanti di Goodhart sono i seguenti: The
Business of Banking 1891-1914, pubblicato da Weidenfeld & Nicholson, Londres 1972, e The Evolution of Central
Banks, The MIT
32
Il riconoscimento degli effetti negativi analizzati dalla Scuola delle Scelte Pubbliche quanto ai
comportamenti dei funzionari della banca centrale, e al carattere «perverso» dell’influenza che su di
essi hanno i politici, ha generato il consenso che le banche centrali dovrebbero essere il più
«indipendenti» possibile dalle decisioni politiche di ciascun momento, e che tale indipendenza
dovrebbe essere garantita per via legislativa86. Ciò, in una certa misura, rappresenta un timido passo
avanti nella riforma del sistema finanziario. Tuttavia, sebbene la retorica riguardante l’indipendenza
delle banche centrali sia garantita per via legislativa e anche costituzionale, e si manifesti nella
pratica come effettiva (cosa più che dubbiosa nella maggioranza dei casi), resterebbero ancora in
piedi, non solo molti argomenti dell’analisi della Scuola della Scelta Pubblica sul comportamento
«isolato» dei funzionari delle stesse banche centrali, ma anche, soprattutto, la causa scatenante degli
squilibri intertemporali massicci e sistematici che la banca centrale produce, anche quando
apparentemente persegue una politica monetaria più «stabile»87.
Infine, è molto strano che, all’interno del contesto della polemica sulla indipendenza delle banche
centrali, si stia riproducendo tutta la discussione relativa alla struttura degli incentivi più adeguata a
motivare che i funzionari responsabili delle banche centrali sviluppino la politica monetaria
corretta. Vediamo, pertanto, come in relazione all’«organo di pianificazione centrale finanziaria» si
sia riprodotta la sterile discussione intorno agli incentivi, che a tanti fiumi di inchiostro diede luogo
tra i teorici delle economie di socialismo reale durante gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo.
Infatti, la proposta di far dipendere la remunerazione dei funzionari della banca centrale
dall’avvicinamento a obiettivi predeterminati di stabilità dei prezzi è molto simile ai meccanismi di
incentivo che infruttuosamente si cercò di introdurre affinché i gestori delle imprese statali dei paesi
socialisti agissero nel modo più efficiente «efficiente». Questi progetti di riforma del sistema di
incentivi fallirono, come falliranno i benintenzionati desideri che attualmente stanno alla base delle
ultime proposte in tal senso in relazione alla banca centrale, in quanto partono dall’ignoranza del
fatto fondamentale che i funzionari responsabili degli organismi pubblici, si tratti di imprese statali
o di banche centrali, non possano sottrarsi nella realtà pratica quotidiana al contesto burocratico né
superare la situazione di ignoranza inestirpabile in cui si trovano. Come ha messo bene in evidenza
János Kornai in un contesto di critica ai tentativi di sviluppare un sistema artificiale di incentivi per
rendere efficiente il comportamento dei funzionari, «an artificial incentive scheme, supported by
rewards and penalties, can be superimposed. A scheme may support some of the unavowed motives
just mentioned. But if it gets into conflict with them, vacillation and ambiguity may follow. The
organization’s leaders will try to influence those who impose the incentive scheme or will try to
evade the rules ... What emerges from this procedure is not a successfully simulated market, but the
usual conflict between the regulator and the firms regulated by the bureaucracy ... Political
bureaucracies have inner conflicts reflecting the divisions of society and the diverse pressures of
various social groups. They pursue their own individual and group interests, including the interests
of the particular specialized agency to which they belong. Power creates an irresistible temptation to
make use of it. A bureaucrat must be interventionist because that is his role in society; it is dictated
by his situation.»88
Press, Cambridge, Massachusetts, 2.ª edizione, 1990. Alle inevitabili influenze di tipo politico nelle decisioni delle
banche centrali, anche più indipendenti dal potere esecutivo dal punto di vista legale, ha anche fatto riferimento Thomas
Mayer, nel suo Monetarism and Macroeconomic Policy, Edward Elgar, Aldershot, Inghilterra, 1990, pp. 108-109.
86
Un buon riassunto delle diverse posizioni e della letteratura più recente su questo tema è stato elaborato in Spagna da
Antonio Erias Rey e José Manuel Sánchez Santos in «Independencia de los bancos centrales y política monetaria; una
síntesis», Hacienda Pública Española, n. 132, 1995, pp. 63-79.
87
Sul ruolo positivo che l’indipendenza della banca centrale ha sul sistema finanziario, si deve consultare il libro di
Geoffrey A. Wood et al, Central Bank Independence: What is it and What will it do for us?, Institute for Economic
Affairs, Londra 1993; e anche il lavoro di Otmar Issing, Central Bank Independence and Monetary Stability, Institute
for Economic Affairs, Londra 1993.
88
János Kornai, «The Hungarian Reform Process», Journal of Economic Literature, vol. XXIV, n. 4, dicembre 1986,
pp. 1726-1727. Questa citazione potrebbe tradursi nel seguente modo: «Un sistema artificiale di incentivi basato su
premi e punizioni potrebbe essere imposto. Tale sistema potrebbe sostenere qualcuno degli obiettivi menzionati. Ma se
entra in conflitto con essi allora inizierà a vacillare e generare ambiguità. I capi delle organizzazioni cercavano di
33
(b) Il sistema bancario privato esercitato con un coefficiente di cassa del 100 per cento e
«controllato» da una banca centrale
In questo secondo sistema, gli effetti distorsivi e di discoordinamento che l’aggressione sistematica
della banca centrale genera sul mercato finanziario sono ridotti, nella misura in cui si elimina il
privilegio concesso alla banca privata ad esercitare la sua attività con un coefficiente di riserva
frazionaria. In questo senso, si garantisce che i crediti concessi dalla banca corrispondono al vero
desiderio degli agenti economici di risparmiare, per cui sono ridotti gli effetti distorsivi
dell’espansione creditizia non coperta da un precedente aumento del risparmio volontario reale.
Tuttavia, ciò non significa che siano eliminati completamente gli effetti discoordinatori della banca
centrale, in quanto nella misura in cui essa esista e si basi sull’esercizio sistematico della coazione
(promulgando disposizioni di corso legale o forzoso e sviluppando una politica monetaria
predefinita), saranno anche colpiti negativamente i processi di coordinamento sociale.
In questo caso il discoordinamento più grave, più che di tipo intertemporale89, sarà di natura
intratemporale, in quanto la nuova moneta creata dalla banca centrale e collocata nel sistema
economico tenderà ad interessare «orizzontalmente» la struttura dei prezzi relativi. Cioè, tenderà a
generare una struttura produttiva che a livello orizzontale non vi è motivo per cui debba coincidere
con quello che desiderino mantenere nel medio e lungo periodo i consumatori, generando così una
cattiva assegnazione delle risorse e la necessità di invertire gli effetti che le nuove iniezioni di
moneta abbiano avuto sul sistema economico90.
Inoltre, sebbene non possiamo riferirci a nessun caso reale di sistema con banca centrale esercitata
su un sistema di banche private con coefficiente di cassa del 100 per cento, questo sistema sarebbe
ugualmente sottoposto alle influenze politiche e dei gruppi di interesse che sono analizzate negli
studi della Scuola della Scelta Pubblica. Infatti, è ingenuo pensare che una banca centrale dotata del
potere di emettere moneta, sebbene operi su un sistema di banche private la cui attività si eserciti
con un coefficiente di cassa del 100 per cento, potrà e vorrà portare avanti una politica monetaria
influire su coloro che stabiliscono gli incentivi o cercheranno di sottrarsi alle rispettive regole. Quello che si genera da
questo processo non è mercato simulato con successo, ma il solito conflitto che sussiste tra il regolatore e le imprese
regolate dalla burocrazia. Le burocrazie politiche sperimentano conflitti interni che riflettono le divisioni della società e
le diverse pressioni dei distinti gruppi sociali. Perseguono i loro propri interessi individuali e di gruppo, includendo
interessi di privati e delle agenzie specializzate a cui appartengono. Il potere crea una tentazione irresistibile a farne uso.
Un burocrate deve essere interventista perché questo è il suo ruolo nella società; ruolo che è dettato dalla sua situazione
in essa.»
89
Non va neanche scartata l’ipotesi che in questo caso non sorgano distorsioni di tipo intertemporale. Queste si
produrranno inevitabilmente anche se si esigesse un coefficiente di cassa del 100 per cento alla banca, se la banca
centrale presta moneta alle banche private o inietta nuova moneta nel sistema economico mediante acquisti massicci di
mercato aperto che riguardano direttamente i mercati di titoli, il loro tasso di redditività e, infine, indirettamente, il tasso
di interesse del mercato creditizio. Nel testo principale supponiamo che nessuna di queste politiche sia portata a termine
(in quanto, in caso contrario, ci troveremmo di nuovo nella precedente sezione (a)).
90
F.A. Hayek ha spiegato che in molti casi la causa della disoccupazione si trova nell’esistenza di discrepanze
intratemporali fra la distribuzione della domanda di diversi beni e servizi di consumo e l’assegnazione del lavoro e altre
risorse produttive necessarie a produrli. Si tratta, pertanto, di un discoordinamento qualitativo che tende ad essere
prodotto ed aggravato dall’iniezione in diversi punti del sistema economico della nuova moneta creata dalla banca
centrale. Questo argomento che si specifica e diviene più rilevante nel caso della banca con riserva frazionaria, nella
misura in cui alla distorsione intertemporale si sovrappone un discoordinamento intertemporale molto più grave, si
manterrebbe anche se la banca centrale operasse su un sistema bancario che esercitasse la sua attività con un
coefficiente di cassa del 100 per cento. In questo caso, la crescita dell’offerta monetaria che la banca centrale decidesse
di generare per raggiungere i suoi obiettivi di politica monetaria dovrà distorcere sempre in modo orizzontale o
intratemporale la struttura produttiva, eccetto nel caso, impossibile da concepire nella pratica,che la nuova moneta fosse
distribuita ugualmente in modo perfettamente proporzionale fra tutti gli agenti economici. In queste circostanze,
l’aumento della quantità di moneta in circolazione non avrebbe alcun effetto, salvo di far aumentare in termini
proporzionali i prezzi di tutti i beni, servizi e fattori di produzione, lasciando inalterate tutte le condizioni reali che, in
origine, avrebbero giustificato la crescita dell’offerta monetaria. Cfr. F.A. Hayek, ¿Inflación o pleno empleo?, Unión
Editorial, Madrid 1976.
34
stabile e non distorsiva. Il potere di emettere moneta costituisce una tentazione troppo irresistibile
perché i governi e i diversi gruppi di interesse rinuncino ad approfittare di esso. Pertanto, in queste
condizioni, sebbene la banca centrale non amplifichi i suoi errori attraverso un sistema bancario con
riserva frazionaria, sarebbe continuamente sottoposto al rischio di subire influenze di tipo politico e
di diversi gruppi di interesse per approfittare del suo potere di emettere moneta, sotto il pretesto di
ottenere gli obiettivi politici che in ogni circostanza storica siano considerati più convenienti.
Insomma, è necessario riconoscere che nel modello che stiamo studiando in questa sezione, e nella
misura in cui si elimini il privilegio di poter esercitare l’attività bancaria con riserva frazionaria, si
riduce la maggior parte degli effetti di discoordinamento intertemporale che generano i cicli
economici, anche se resterebbero latenti molteplici possibilità di discoordinamento intratemporale,
prodotte dall’iniezione nel sistema economico delle nuove unità monetarie che creasse la banca
centrale, qualunque fosse il processo specifico utilizzato per iniettare la nuova moneta nella società
(finanziando parte della spesa pubblica, ecc.). Inoltre, in questi disequilibri intratemporali
giocherebbero un ruolo da protagonista gli effetti analizzati dalla Scuola della Scelta Pubblica.
Infatti, è quasi inevitabile che il potere di emettere moneta da parte della banca centrale tenda ad
essere sfruttato politicamente da diversi gruppi sociali, economici e politici, generando con ciò
distorsioni sulla struttura produttiva. Sebbene sia certo, pertanto, che la politica monetaria sarebbe
più prevedibile e meno distorsiva con un coefficiente di cassa per le banche private del 100 per
cento, i teorici che difendono il mantenimento della banca centrale in queste circostanze peccano di
ingenuità nel pensare che il governo e i diversi gruppi sociali potranno e vorranno sviluppare una
politica monetaria stabile e, per quanto possibile, «neutrale». L’esistenza stessa della banca centrale,
col suo immenso potere di emettere moneta, agirebbe anche in queste circostanze come una
calamita irresistibile attraendo ogni tipo di influenze politiche perverse sull’esercizio della sua
attività91.
Il terzo ed ultimo sistema che analizzeremo dal punto di vista della teoria dell’impossibilità del
socialismo è quello di un sistema con banca libera (cioè, senza banca centrale) ma privilegiato
affinché possa operare con un coefficiente di riserva frazionaria. La teoria della impossibilità del
socialismo spiega anche che la concessione di privilegi che consentano a determinati gruppi sociali
di violare i principi tradizionali del diritto ha gli stessi effetti di discoordinamento generalizzato che
produce il socialismo, inteso come ogni sistema di aggressione istituzionale e sistematica contro il
libero esercizio della funzione imprenditoriale. E abbiamo già dedicato una parte cospicua di questo
libro (capitoli IV-VII) a studiare in dettaglio in che modo l’inadempimento dei principi tradizionali
del diritto in relazione al contratto di deposito bancario di moneta dia luogo alla possibilità che le
banche espandano la loro base creditizia senza che a livello sociale si sia prodotto il corrispondente
aumento del risparmio volontario, il che genera un discoordinamento fra il comportamento dei
risparmiatori e investitori che inevitabilmente finisce invertendosi sotto forma di crisi bancaria e
recessione economica.
La principale sottolineatura che occorre realizzare in relazione al sistema di banca libera esercitata
con riserva frazionaria in assenza di una banca centrale, è che i processi spontanei del mercato che
invertono i processi distorsivi di espansione creditizia tendono a scatenarsi più rapidamente che nel
caso in cui esista una banca centrale, per cui gli abusi e le distorsioni non possono giungere così
lontano come spesso avviene quando esiste un prestatore di ultima istanza che gestisce tutto il
processo espansivo.
Così, è necessario comprendere che, in un sistema di banca libera, l’attitudine di vigilanza da parte
dei clienti sull’attività e solvibilità delle loro banche, la riconsiderazione costante della fiducia
91
I principali teorici difensori di un sistema bancario privato con un coefficiente di cassa del 100 per cento controllato
dalla banca centrale furono i membri della Scuola di Chicago degli anni Trenta e, attualmente, il Premio Nobel per
l’economia Maurice Allais. Nel capitolo successivo analizzeremo in dettaglio il contenuto delle loro proposte.
35
riposta in esse e, soprattutto, l’effetto delle camere di compensazione interbancaria, farà sì che in
modo relativamente agile, rapido e spontaneo si metta un limite alle iniziative isolate di alcune
banche ad espandere il loro credito. Infatti, quelle banche che in forma isolata decidano di
espandere il loro credito ad un ritmo più rapido della media del settore, o aumentino l’emissione di
biglietti ad un ritmo superiore a quello della maggioranza, vedranno in che modo, attraverso i
meccanismi di liquidazione e compensazione interbancaria, il volume delle loro riserve diminuirà
rapidamente, di modo che saranno costrette ad interrompere la crescita della loro espansione se non
vogliono essere obbligate a sospendere i pagamenti ed eventualmente a fallire92.
Tuttavia, nonostante questa indubbia reazione del mercato tenda a porre un limite agli abusi e
iniziative isolate di espansione da parte di determinate banche, non v’è alcun dubbio che il processo
operi a posteriori e non sia in grado di bloccare l’emissione di nuovi strumenti fiduciari. Come
abbiamo già visto nel II capitolo, fin dalla nascita della banca con riserva frazionaria, sebbene allora
non esistesse una banca centrale, si produsse un’importante crescita degli strumenti fiduciari, prima
sotto forma di depositi e crediti senza copertura di risparmio e in seguito, inoltre, sotto forma di
biglietti emessi senza la corrispondente copertura di riserva in moneta metallica. Questo processo ha
progressivamente distorto la struttura produttiva generando cicli successivi di espansione e
depressione che sono stati studiati e constatati storicamente almeno a partire dalle crisi bancarie ed
economiche nella Firenze del XIV secolo, e in molteplici altre circostanze storiche nelle quali le
banche private hanno operato con una riserva frazionaria in un contesto nel quale non esisteva una
banca centrale. È certo che, così come indica la teoria della banca libera, la grande maggioranza di
queste banche espansive finirono con il fallire, ma solo dopo un periodo di tempo più o meno
prolungato di emissione di strumenti fiduciari, che in nessun caso non produsse i suoi gravi effetti
negativi sull’economia reale, generando crisi bancarie e recessioni economiche93.
D’altra parte, l’esercizio della banca libera con riserva frazionaria, non solo non è in grado di
evitare le espansioni e la comparsa del ciclo, ma genera anche una tendenza affinché le banche in
generale siano tentate di espandere i loro crediti, intraprendendo una politica di espansione
creditizia nella quale tutti, in misura maggiore o minore, si lasciano trasportare dall’ottimismo nella
concessione di prestiti e nella creazione di depositi94. Infatti, come è ben noto, ogni volta che i diritti
di proprietà non sono adeguatamente definiti – e questo è il caso della banca con riserva frazionaria
che per definizione viola i principi tradizionali del diritto di proprietà dei loro depositanti – tende a
prodursi un effetto di «tragedia dei beni comunali»95; in virtù di quest’effetto, la banca che espanda
i suoi crediti ottiene (qualora non fallisca) importanti e maggiori benefici, facendo cadere il costo
della sua azione irresponsabile in modo diluito sul resto degli agenti economici. Perciò le banche
sono tentate in modo quasi irresistibile a iniziare prima degli altri una politica di espansione,
92
Questo e non altro è il processo originariamente descritto da Parnell nel 1826 e in seguito sviluppato in dettaglio da
Ludwig von Mises: «The Limitation on the Issuance of Fiduciary Media: Observations on the Discussions Concerning
Free Banking», Human Action, op. cit., pp. 434-448.
93
Charles A. E. Goodhart ha sostenuto che «there were plenty of banking crises and panics prior to the formation of
central banks» e cita i lavori di O.B.W. Sprague, History of Crises and the National Banking System, originariamente
pubblicato nel 1910 e riedito da Augustus M. Kelley a Nuova Jersey nel 1977; Cfr. Charles A.E. Goodhart, «What
Should Banks Do? What Should Be Their Macroeconomic Objectives and Operations?», op. cit., p. 1435. E anche
l’articolo di questo stesso autore intitolato «The Free Banking Challenge to Central Banks», pubblicato in Critical
Review, vol. 8, n. 3, estate 1994, pp. 411-425. Una raccolta dei principali lavori di Charles A.E. Goodhart è stata
pubblicata con il titolo The Central Bank and the Financial System, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1995.
94
Sull’ottimismo delle banche e l’«inflazionismo passivo» a cui dà luogo il timore delle banche a far abortire per tempo
un’espansione artificiale si può consultare Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., pp. 572-573. Inoltre, Mises
argomenta che i profitti derivanti da privilegi tendono ad esaurirsi (nell’ambito della banca attraverso la crescita di
succursali, spese, ecc.), generando un incentivo a reclamare nuove dosi di inflazione (ibidem, p.749).
95
L’espressione «tragedia dei beni comunali» è consacrata dall’articolo di Garret Hardin «The Tragedy of the
Commons», Science, 1968 (riedito alle pp. 16-30 di Managing the Commons, Garret Hardin and John Baden (ed.),
Freeman, San Francisco 1970); anche se il processo era stato descritto completamente 28 anni prima da Ludwig von
Mises, nella sua «Die Grenzen des Sondereigentums und das Problem der external costs und external economies»,
paragrafo VI del capitolo 10 della Parte IV di Nationalökonomie: Theorie des Handelns und Wirtschaftens, Editions
Union, Ginevra 1940, 2.ª edizione di Philosophia Verlag, Monaco 1980, pp. 599-605.
36
soprattutto se si attendono che, come succede spesso, tale politica finisca con l’esser seguita, in
maggior o minor misura, dal resto del settore bancario96.
L’unica differenza in riferimento al processo tradizionale descritto da Hardin nella sua spiegazione
della «tragedia dei beni comunali» quando non sono adeguatamente definiti i diritti di proprietà in
ambito ambientale, è che nel campo della banca libera con riserva frazionaria esiste un meccanismo
spontaneo, costituito dalle camere di compensazione interbancaria, che tende a mettere un limite
alle possibilità che arrivino a buon fine le iniziative isolate di espansione. La situazione nella quale
si trovano le banche in questo sistema potrebbe, pertanto, riassumersi analiticamente nella Figura
VIII-2.
Nel riquadro si assume che esistano due banche, la banca A e la banca B, ognuna delle quali ha due
possibilità, o non espandere il proprio credito, oppure iniziare una politica di espansione creditizia.
Nel caso che entrambe le banche inizino simultaneamente una politica di espansione creditizia (e
assumendo che non esistano altre banche nel settore) otterranno gli stessi grandi profitti derivati
dalla capacità di emettere nuove unità di moneta e strumenti fiduciari. Se una qualsiasi delle due
espande senza che l’altra espanda, allora metterà a rischio la propria solvibilità attraverso i
meccanismi di compensazione interbancaria che le faranno perdere rapidamente le sue riserve a
beneficio dell’altra banca a meno che non interrompa in tempo la sua politica di espansione
creditizia. Infine, l’ultima opzione è che nessuna delle due banche espanda, ma che mantengano una
politica prudente di concessione dei crediti, nel cui caso la sopravvivenza di entrambe è garantita,
sebbene i profitti derivanti dalla loro attività saranno piuttosto modesti. In queste circostanze, è
chiaro che esista una forte tentazione affinché entrambe le banche si mettano d’accordo e, al fine di
evitare le conseguenze negative derivanti da azioni indipendenti, iniziano una politica congiunta di
96
Selgin e White hanno criticato la mia applicazione della teoria della «tragedia dei beni comunali» all’ambito della
banca libera con riserva frazionaria, adducendo che in esso si dà una «esternalità pecuniaria» (cioè, derivante dal
sistema di prezzi) che non ha nulla a che vedere con l’esternalità tecnologica su cui si basa «tragedia dei beni
comunali». Cfr. George A. Selgin e Lawrence H. White «In Defense of Fiduciary Media, or We are Not
(Devo)lutionists, We are Misesians!», op. cit., pp. 92-93 (nota 12). Tuttavia, credo che Selgin e White non riescano a
comprendere che l’emissione di strumenti fiduciari sorge come risultato della violazione dei principi tradizionali del
diritto di proprietà in relazione al contratto di deposito bancario di moneta, per cui non sono un fenomeno spontaneo del
processo del libero mercato sottoposto al diritto. Hoppe, Hülsmann e Block, da parte loro, sono usciti a mia difesa
argomentando che: «In lumping money and money substitutes together under the joint title of ‘money’ as if they were
somehow the same thing, Selgin and White fail to grasp that the issue of fiduciary media —an increase of property
titles— is not the same thing as a larger supply of property and that relative price changes affected through the issue of
fiduciary media are an entirely different ‘externality’ matter than the price changes affected through an increase in the
supply of property. With this fundamental distinction between property and a property title in mind, Huerta de Soto’s
analogy between fractional reserve banking and the tragedy of the commons makes perfect sense.» Cfr. Hans-Hermann
Hoppe, Jörg Guido Hülsmann e Walter Block, «Against Fiduciary Media», The Quarterly Journal of Austrian
Economics, primavera 1998, vol. 1, n.º 1, pp. 22-23. Mises, inoltre, insiste sul fatto che il principale effetto economico
dei costi esterni negativi consiste nel rendere difficile il calcolo economico e discoordinare la società, fenomeni che si
verificano pienamente nel caso dell’espansione creditizia che è generata dalla banca con riserva frazionaria. Cfr.
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., pp. 655 y ss.
37
espansione creditizia, che le protegga reciprocamente dall’insolvenza e garantisca loro il
conseguimento di notevoli profitti.97
L’analisi precedente può essere generalizzata al caso che esista un gruppo numeroso di banche che
esercitino liberamente la loro attività con riserva frazionaria, e spiega perché in queste circostanze,
sebbene agiscano meccanismi di compensazione interbancaria che pongono un limite a iniziative
isolate di espansione, questo stesso meccanismo spontaneo induca a che si stabiliscano, in modo
esplicito o implicito, degli accordi fra una maggioranza di banche per iniziare congiuntamente il
processo di espansione (sia in forma attiva o «passiva», cioè, dando risposta senza restrizioni alle
maggiori richieste generalizzate di credito - «inflazionamento passivo» -). Questa situazione spiega
inoltre la tendenza nel sistema di banca libera verso la fusione delle banche, la realizzazione di
accordi espliciti o impliciti fra di esse e, in ultima istanza, la creazione di una banca centrale. Questa
di solito sorge come prodotto della petizione degli stessi banchieri privati che desiderano
istituzionalizzare il carattere congiunto dell’espansione creditizia mediante un organismo pubblico
che la orchestri e organizzi, evitando così che il comportamento «antisolidaristico» di un gruppo
significativo di banche relativamente più prudenti possa mettere in pericolo la solvibilità delle
restanti (più «allegre» nella concessione di crediti).
La nostra analisi, pertanto, ci permette di concludere quanto segue: 1) che il sistema di
compensazione interbancaria non serve a mettere un limite all’espansione creditizia nel caso della
banca libera con riserva frazionaria, qualora una maggioranza di banche decidano simultaneamente
di espandere, in misura maggiore o minore, i loro crediti senza che si sia anteriormente prodotto un
aumento del risparmio volontario; 2) che lo stesso sistema bancario basato sulla riserva frazionaria
induce le banche a mettersi d’accordo per iniziare in modo generalizzato e coordinato le loro
politiche di espansione; e 3) che le banche del sistema hanno un forte incentivo a richiedere e
ottenere la creazione di una banca centrale che istituzionalizzi, orchestri e organizzi l’espansione
creditizia da parte di tutti, garantendo inoltre la creazione di liquidità necessaria nelle fasi di
«difficoltà», che l’esperienza dimostra ai banchieri che riappaiono sempre, in modo ricorrente98.
97
Il mio ragionamento sulla «tragedia dei beni comunali» applicato al sistema della banca libera con riserva frazionaria
è simile a quello originariamente enunciato da Longfield, anche se quello di Longfield è applicato anche, senza molto
fondamento, alle espansioni isolate da parte di alcune banche, che nella nostra analisi sono senz’altro limitate dal
meccanismo di compensazione interbancaria, cosa che Longfield non riconosce. Il principio della tragedia dei beni
comunali si applica inoltre, nell’ambito bancario per spiegare le forze che inducono le banche di un sistema di banca
libera con riserva frazionaria a mettersi d’accordo, fondersi e richiedere la creazione di una banca centrale, con la
finalità di stabilire politiche generali e comuni di espansione del credito. La prima volta che ho spiegato questo processo
tipico di «tragedia dei beni comunali» applicato a questo contesto fu nella riunione regionale della Società Mont Pèlerin
che ebbe luogo a Rio de Janeiro dal 5 all’ 8 settembre 1993. In questa riunione, Anna J. Schwartz sostenne ugualmente
che i moderni teorici della banca libera con riserva frazionaria non riescono a comprendere che il meccanismo di
compensazione interbancaria che propongono non agisce come freno all’espansione creditizia se tutte le banche, in
misura maggiore o minore, decidono simultaneamente di espandere il loro credito. Si veda l’articolo di Anna J.
Schwartz, «The Theory of Free Banking», presentato alla riunione menzionata, e specialmente la p. 5 di esso. In ogni
caso, ciò che è evidente è che il processo espansivo ha la sua origine in un privilegio contro il diritto di proprietà, e che
ogni banca internalizza tutti i profitti derivanti dall’espansione del suo credito, facendo ricadere i corrispondenti costi in
modo diluito su tutto il sistema, evitando che il meccanismo di compensazione interbancaria possa mettere un limite ai
suoi abusi, se si riesce a raggiungere in modo esplicito o implicito un accordo affinché la maggioranza delle banche, in
grado maggiore o minore, si lasci trasportare dall’«ottimismo» nella creazione e concessione di crediti.
98
Per tutti i motivi presentati nel testo, non posso essere d’accordo con il mio amico Pascal Salin quando conclude che
«the problem is (central bank) monetary monopoly not fractional reverses». Si veda il suo articolo «In Defence of
Fractional Monetary Reserves», presentato alla 7.ª Conferenza di Austrian Scholars, Auburn, Alabama, 30-31 marzo
2001. Che il sistema di compensazione interbancaria che sorgerebbe nel caso della banca libera non sia in grado di
mettere un limite all’espansione generalizzata dei crediti è stato riconosciuto anche dai difensori più insigni del sistema
con banca libera con riserva frazionaria, come, ad esempio, George Selgin nel suo articolo «Free Banking and Monetary
Control», pubblicato in The Economic Journal, n. 104, novembre 1994, n.º 427, pp. 1449-1459, e specialmente alla p.
1455. Ciò che Selgin trascura è che il sistema con banca con riserva frazionaria che difende creerebbe una tendenza
irrefrenabile, non solo verso fusioni, raggruppamenti e accordi bancari, ma, e ciò è ancor più importante, verso la
creazione di una banca centrale, con il compito di orchestrare in modo congiunto le espansioni creditizie senza colpire
38
La concessione di un privilegio alla banca affinché possa far uso di una parte significativa della
moneta che le sia depositata a vista, cioè, affinché eserciti la sua attività con un coefficiente di
riserva frazionaria, ha degli effetti discoordinatori sull’economia di grande importanza, simili a
quelli prodotti dalla concessione di privilegi a altri gruppi sociali in altri contesti (sindacati nel
mercato del lavoro, ecc.). Nel caso specifico di cui ci stiamo occupando, la banca con riserva
frazionaria distorce la struttura produttiva e produce un discoordinamento intertemporale
dell’economia che, in ultima istanza, si inverte in modo spontaneo sotto forma di crisi e recessioni
economiche. Sebbene esistano processi autonomi di inversione che tendono a mettere un limite agli
abusi prima che un sistema con banca con riserva frazionaria controllato e diretto da una banca
centrale, l’effetto più negativo della banca libera con riserva frazionaria è che crea un fortissimo
incentivo affinché le banche si mettano d’accordo nel momento di espandere i loro crediti e,
soprattutto, affinché si sforzino di richiedere alle autorità la creazione di una banca centrale che li
sostenga nelle fasi di difficoltà economica e organizzi e orchestri congiuntamente l’espansione
creditizia.
isolatamente la solvibilità delle banche, e a garantire la liquidità necessaria come prestatori in ultima istanza capaci di
sostenere qualsiasi banca nei momenti di difficoltà finanziaria.
99
F.A. Hayek, Los fundamentos de la libertad, 5.ª edizione, Unión Editorial, Madrid 1990; Derecho, legislación y
libertad, 2.ª edizione, Unión Editorial, Madrid 1994 (esiste una traduzione italiana con il titolo Legge, Legislazione e
Libertà, a cura di Angelo Petroni e Stefano Monti Bragadin, traduzione di Pier Giuseppe Monateri, Il Saggiatore,
Milano 1994. E anche Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., cap. 3.
39
dell’ingegno umano, che come una violazione di un sistema di norme che danneggia gravemente la
vita nella società.
Le precedenti considerazioni sono pienamente applicabili al campo della legislazione bancaria.
Infatti, la creazione del sistema di banca con riserva frazionaria che si è generalizzata in tutti i paesi
di economia di mercato implica, innanzitutto, come abbiamo visto nel corso dei primi tre capitoli di
questo libro, la violazione di un principio essenziale del diritto in relazione con il contratto di
deposito bancario di moneta, e la concessione di un ius privilegii a determinati agenti economici, le
banche private, affinché agiscano contro tali principi giuridici e possano disporre a proprio
vantaggio della maggior parte della moneta che i cittadini depositano in esse a vista. Dunque, la
legislazione bancaria si materializza, in primo luogo, nell’abbandono dei principi tradizionali in
relazione al contratto di deposito di moneta a vista che costituisce il cuore dell’attività bancaria
moderna.
Orbene, la legislazione bancaria si manifesta, inoltre, nel groviglio di ordini e comandi
amministrativi che emanano dalla banca centrale e che pretendono di regolare in ogni dettaglio
l’attività concreta dei banchieri privati. Questo groviglio non solo è stato incapace di evitare la
comparsa ciclica di crisi bancarie, ma, e ciò è ancor più grave, ha fomentato e aggravato il sorgere
ricorrente di fasi di grande espansione artificiale e di profonda recessione economica, che hanno
colpito regolarmente le economie occidentali con un gran costo in termini economici e umani. Così
si osserva come «ogni volta che capita una nuova crisi si promulghi urgentemente tutta una nuova
legislazione o insieme di riforme delle anteriori, nell’ingenua credenza che la legge antica non fosse
sufficiente e che con la nuova, più dettagliata ed onnicomprensiva, si potranno meglio prevenire le
crisi future. Con ciò, il governo e la banca centrale giustificano la loro incompetenza a prevenire le
crisi, che tuttavia sorgono nuovamente in modo ricorrente, di modo che le nuove norme non durano
oltre la successiva crisi bancaria e recessione economica.»100
Perciò, possiamo concludere che la legislazione bancaria sarà condannata al fallimento finché non
sarà globalmente abolita e sostituita da alcuni semplici articoli inclusi nei codici mercantile e
penale, in cui si stabilisca la regolamentazione del contratto di deposito bancario di moneta in
accordo con i principi tradizionali del diritto (coefficiente di cassa del 100 per cento) e si
proibiscano tutti i contratti che, in frode della legge, mascherino l’esercizio dell’attività bancaria
con un coefficiente di riserva frazionaria. Si tratta, insomma, d’accordo con Mises, di sostituire
l’attuale groviglio di legislazione bancaria di tipo amministrativo, che non ha raggiunto i propri
obiettivi, con dei semplici e chiari articoli inclusi nei codici mercantile e penale101.
In questo senso è curioso rilevare come i moderni teorici difensori della banca libera con un
coefficiente di riserva frazionaria erroneamente considerino, dovuto tra l’altro alla loro mancanza di
formazione giuridica, che il coefficiente di riserva del 100 per cento rappresenterebbe
un’inammissibile intromissione di tipo amministrativo nella libertà individuale. Tuttavia, noi
100
Si veda p. 2 dell’articolo della mia alunna Elena Sousmatzian Ventura «¿Puede la intervención gubernamental evitar
las crisis bancarias?», op. cit. Elena Sousmatzian cita inoltre la descrizione realizzata da Tomás-Ramón Fernández del
cosiddetto ciclo di crisi-legislazione, che quest’autore spiega nei seguenti termini: «L’ordinamento giuridico bancario
ha progredito sempre a colpi di crisi. Quando queste si sono verificate hanno colto sempre in fallo l’ordinamento
preesistente, nel quale non si sono potute trovare mai le risposte e le soluzioni esatte. Ciò ha obbligato ogni volta a
“inventare” in fretta formule di emergenza, che, nonostante la loro origine, all’uscita dalla crisi che diede loro vita, sono
state fatte oggetto di un processo di assimilazione e incorporazione a una nuova normativa generale, che si è mantenuta
come tale, finché un altro colpo ha finito per metterla fuori gioco, generando un nuovo ciclo di taglio simile.» Tomás-
Ramón Fernández, Comentarios a la ley de disciplina de intervención de las entidades de crédito, Serie de Estudios de
la Fundación Fondo para la Investigación Económica y Social, Madrid 1989, p. 9. Elena Sousmatzian pone il dilemma
che, delle due l’una, o se le crisi bancarie possono essere prevenute, allora l’intervento governativo si è rivelato
incompetente a realizzarlo; oppure se le crisi non possono essere prevenute, allora non abbiamo bisogno per questi
scopi di alcun intervento governativo. Entrambe le posizioni contengono una parte di verità, in quanto, come già
sappiamo, l’esercizio della banca con riserva frazionaria rende inevitabile la comparsa delle crisi, indipendentemente,
dalla legislazione bancaria che si impegnino a realizzare i governi i quali, in molte occasioni, più che diminuire i
problemi ciclici, ciò che fanno è amplificare ancor di più la loro gravità.
101
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 443 (pp. 423-424 dell’edizione italiana).
40
conosciamo, come risultato dell’analisi dei tre primi capitoli di questo libro, che non c’è nulla di più
lontano dalla realtà. Il fatto è che questi teorici non si rendono conto che, un tale precetto lungi
dall’implicare una sistematica coazione governativa di tipo amministrativo, non è altro che la mera
applicazione al campo bancario di un principio tradizionale del diritto di proprietà. Cioè, non si
rendono conto che a una banca libera non soggetta al diritto che eserciti la sua attività con reserve
frazionarie è applicabile la famosa frase anonima di un americano raccolta dal Tooke, secondo cui
«banca libera equivale a frode libera»102. E se in ultima istanza deve esser difesa come un «male
minore» l’esistenza di un sistema con banca libera al cospetto di una banca centrale, ciò deve
avvenire, non come un mezzo di permettere lo sfruttamento delle possibilità lucrative che derivano
sempre dall’espansione creditizia, ma come mezzo indiretto per permettere di avvicinarci all’ideale
di banca libera soggetta al diritto, cioè esercitata con un coefficiente di riserve del 100 per cento
che, d’altra parte, deve essere perseguito direttamente con tutti i mezzi giuridici che in ogni
circostanza storica siano disponibili in uno Stato di diritto.
4) Analisi critica della Scuola moderna della banca libera con riserva frazionaria
Negli ultimi venticinque anni si è verificata una certa rinascita delle vecchie dottrine economiche
della Scuola Bancaria da parte di un gruppo di teorici che difendono che il sistema con banca libera
basato sulla riserva frazionaria, non solo darebbe luogo a minori distorsioni e crisi economiche del
sistema con banca centrale, ma, inoltre, tenderebbe ad eliminarle completamente. Dato che questi
teorici basano i loro ragionamenti su diverse varianti, più o meno sofisticate, degli antichi argomenti
della Scuola Bancaria, li raggrupperemo sotto la denominazione di Scuola Neobancaria o, se si
preferisce, di «moderna scuola difenditrice della banca libera con riserva frazionaria». Questa
scuola è costituita da una strana coalizione di teorici103, tra cui vanno segnalati alcuni membri della
Scuola Austriaca che hanno trascurato gli insegnamenti che in materia monetaria e di teoria del
capitale e dei cicli elaborarono Mises e Hayek, come è il caso di White104, Selgin105 e, più
102
In concreto, ciò che Tooke disse fu che: «As to the free trade in banking in the sense which it is sometimes
contended for, I agree with a writer in one of the American papers, who observes that free trade in banking is
synonymous with free trade in swindling. Such claims do not rest in any manner on grounds analogous to the claims of
freedom of competition in production. It is a matter of regulation by the State and comes within the province of
police.». Thomas Tooke, A History of Prices (3 volumi), Longman, Londra 1840, vol. III, p. 206. Siamo, pertanto,
d’accordo con Tooke nel senso che se banca libera significa libertà di esercitare la sua attività con una riserva
frazionaria, si stanno violando dei principi essenziali del diritto che lo Stato, se si ritiene che debba avere una qualche
funzione, deve prevenire e punire con la massima solerzia. Questo e non altro sembra essere stato il senso in cui Ludwig
von Mises riprende questa nota citazione di Tooke nella sua Human Action (op. cit., p. 666).
103
Come bene evidenzia David Laidler, l’interesse recente per la banca libera e lo sviluppo della Scuola Neobancaria
ebbe la sua origine nel libro pubblicato da Friedrich A. Hayek sulla denazionalizzazione della moneta (F.A. Hayek
Denationalization of Money: The Argument Refined, Institute of Economic Affairs, Londra 1978; traduzione spagnola
di Carmen Liaño: La desnacionalización del dinero, Unión Editorial, Madrid 1983; esiste una traduzione italiana a cura
di Marani W. E Finazzer Flory M. con il titolo La denazionalizzazione della moneta, Etas, Milano, 2001). Prima dello
stesso Hayek, Benjamin Klein aveva avanzato una proposta simile nel suo articolo «The Competitive Supply of
Money», pubblicato sul Journal of Money, Credit and Banking, n.º 6, novembre 1974, pp. 423-453. Il riferimento di
Laidler a questi autori si trova nel suo breve ma suggestivo articolo sulla teoria bancaria intitolato «Free Banking
Theory», The New Palgrave: A Dictionary of Money and Finance, Macmillan Press, Londra e Nuova York 1992, vol.
II, pp. 196-197. D’altra parte, come indica Oskari Juurikkala, l’attuale polemica fra i sostenitori della banca libera con
100 per cento di coefficiente di cassa e con riserva frazionaria, è un riflesso fedele di quella sostenuta da Victor
Modeste e Cernuschi con J. Gustave Courcelle-Seneuil nella Francia del XIX secolo. Si veda il suo articolo «The 1866
False-Money Debate in the Journal des Economistes: Déjà vu for Austrians?», op. cit.
104
Lawrence H. White, Free Banking in Britain: Theory, Experience and Debate, 1800-1845, Cambridge University
Press, Londra e Nuova York 1984; Competition and Currency: Essays on Free Banking and Money, New York
University Press, Nuova York 1989; e anche gli articoli scritti insieme a George A. Selgin, «How would the invisible
hand handle money?», Journal of Economic Literature, vol XXXII, n.º 4, dicembre 1994, pp. 1718-1749; e più di
recente «In Defense of Fiduciary Meida - or, We are Not Devo(lutionists), We are Misesians!», The Review of Austrian
Economics, vol. 9, n.º 2, 1996, pp. 83-107. Un riassunto dei lavori di White è offerto da José Antonio de Aguirre alle
pp. 247-251 dell’Annesso alla edizione spagnola del libro di Vera C. Smith Fundamentos de la banca central y la
41
recentemente, Horwitz106; membri della scuola inglese soggettivista, come Dowd107; e, infine,
teorici provenienti dal campo monetarista, come Glasner108, Yeager109 e Timberlake110. Anche
Milton Friedman111, sebbene non si possa considerare che faccia parte di questa nuova scuola, è
divenuto simpatizzante di essa, soprattutto constatando il suo fallimento nel momento di convincere
le banche centrali che devono mettere in pratica la sua famosa proposta di regola monetaria.
I moderni teorici della scuola della banca libera con riserva frazionaria hanno sviluppato un’analisi
economica di un cosiddetto «equilibrio monetario» che, utilizzando elementi tipici dell’analisi della
Scuola Monetarista e della Scuola Keynesiana112, pretende di dimostrare che una banca libera con
riserva frazionaria si limiterebbe ad accomodare la creazione di strumenti fiduciari (biglietti e
depositi) su richiesta degli stessi da parte del pubblico. In questo modo si argomenta che la banca
libera con riserva frazionaria, non solo manterrebbe l’«equilibrio monetario» meglio di altri sistemi
alternativi, ma inoltre sarebbe l’istituzione che in modo più effettivo sarebbe in grado di
accomodare l’offerta di moneta alla sua domanda.
L’argomento, in modo semplificato, si basa sulla considerazione di che cosa succeda se si produce
un aumento della domanda di strumenti fiduciari da parte degli agenti economici supponendo che
rimangano costanti le riserve in metallico del sistema bancario. In questo caso, così si ragiona,
diminuirebbe il ritmo con cui esse si scambiano con le riserve delle banche, per cui esse
aumenterebbero e le banche, desiderose di ottenere maggiori profitti e rendendosi conto
libertad bancaria, op. cit. José Antonio de Aguirre è anche l’estensore della esaustiva ed estesissima «bibliografia
complementare» che sulla banca centrale e la banca libera ha incorporato alla suddetta edizione spagnola, e che qui si è
tenuta presente. Infine, Lawrence H. White ha raccolto i lavori più importanti della Scuola Bancaria in tre volumi su
Free Banking: Volume I, 19th Century Thought; Volume II, History; Volume III, Modern Theory and Policy, Edward
Elgar, Aldershot, Inghilterra, 1993.
105
George A. Selgin, «The Stability and Efficiency of Money Supply under Free Banking», pubblicato nel Journal of
Institutional and Theoretical Economics, n.º 143, anno 1987, pp. 435-456, riedito in Free Banking: Volume III, Modern
Theory and Policy, Lawrence H. White (ed.), cit., pp. 45-66; The Theory of Free Banking: Money Supply under
Competitive Note Issue, Rowman & Littlefield, Totowa, New Jersey, 1988; gli articoli scritti insieme a Lawrence H.
White, citati alla nota precedente; e «Free Banking and Monetary Control», The Economic Journal, vol. 104, n.º 427,
novembre 1994, pp. 1449-1459. Un breve riassunto e valutazione delle teorie di Selgin è stato realizzato da José
Antonio de Aguirre e incluso nel citato Annesso al libro di Vera C. Smith, pp. 255-270.
106
Stephen Horwitz, «Keynes’ Special Theory», Critical Review: A Journal of Books and Ideas, estate-autunno 1989,
vol. III, nn. 3-4, pp. 411-434; «Misreading the `Myth´: Rothbard on the Theory and History of Free Banking»,
pubblicato come cap. XVI di The Market Process: Essays in Contemporary Austrian Economics, Peter J. Boettke y
David L. Prychitko (ed.), Edward Elgar, Aldershot, Inghilterra, 1994, pp. 166-176; e anche I suoi libri Monetary
Evolution, Free Banking and Economic Order, Westview Press, Oxford 1992 e Microfoundations and
Macroeconomics, Routledge, Londra 2000.
107
Kevin Dowd, The State and the Monetary System, Saint Martin’s Press, Nuova York 1989; The Experience of Free
Banking, Routledge, Londra 1992; e Laissez-Faire Banking, Routledge, Londra e Nuova York 1993.
108
David Glasner, Free Banking and Monetary Reform, Cambridge University Press, Cambridge 1989; «The Real-Bills
Doctrine in the light of the Law of Reflux», History of Political Economy, vol. 24, n.º 4, inverno 1992, pp. 867-894.
109
Leland B. Yeager y Robert Greenfield, «A Laissez-Faire Approach to Monetary Stability », Journal of Money,
Credit and Banking, n.º XV(3), agosto 1983, pp. 302-315, riedito come capitolo XI del volume III di Free Banking,
Lawrence H. White (ed.), op. cit., pp. 180-195; Leland B. Yeager y Robert Greenfield, «Competitive Payments
Systems: Comment», American Economic Review, n.º 76(4), settembre 1986, pp. 848-849; Leland B. Yeager, «The
Perils of Base Money», The Review of Austrian Economics, 14:4, 2001, pp. 251-266; The Fluttering Veil: Essays on
Monetary Disequilibrium, Liberty Fund, Indianapolis 1997.
110
Richard Timberlake, «The Central Banking Role of Clearinghouse Associations», Journal of Money, Credit and
Banking, n.º 16, febbraio 1984, pp. 1-15; «Private Production of Scrip-Money in the Isolated Community», Journal of
Money, Credit and Banking, n.º 4, ottobre 1987, (19), pp. 437-447; «The Government’s Licence to Create Money», The
Cato Journal: An Interdisciplinary Journal of Public Policy Analysis, vol. IX, n.º 2, autunno 1989, pp. 302-321.
111
Milton Friedman y Anna J. Schwartz, «Has Government any Role in Money?», Journal of Monetary Economics, n.º
17, anno 1986, pp. 37-72, riedito come cap. XXVI del libro The Essence of Friedman, Kurt R. Leube (ed.), Hoover
Institution Press, Stanford University, California, 1986, pp. 499-525.
112
Così, lo stesso Selgin dice che «despite ... important differences between Keynesian analysis and the views of other
monetary-equilibrium theorists, many Keynesians might accept the prescription for monetary equilibrium» che egli
offre nel suo libro. Cfr. George A. Selgin, The Theory of Free Banking: Money supply under Competitive Note Issue,
op. cit., pp. 56 y 59.
42
dell’aumento sperimentato dalle loro riserve, espanderebbero il credito e l’emissione di biglietti e
depositi, dando luogo a un aumento nell’emissione di strumenti fiduciari che tenderebbe ad adattarsi
al precedente aumento della loro domanda. Il contrario avviene nel caso in cui si verifichi una
diminuzione nella domanda di strumenti fiduciari: gli agenti economici ritireranno maggiori
quantità di riserve per disfarsi di quelli, per cui le banche vedranno messa a rischio la loro
solvibilità e saranno costrette a contrarre il credito e a diminuire l’emissione di biglietti e depositi.
In tal modo la diminuzione dell’offerta di strumenti fiduciari seguirà alla precedente diminuzione
sperimentata nella loro domanda113.
Questa analisi del cosiddetto «equilibrio monetario» possiede evidenti risonanze della teoria del
riflusso di Fullarton e, soprattutto, dei vecchi argomenti della Scuola Bancaria relativi alle
«necessità del commercio», secondo i quali la creazione di strumenti fiduciari da parte della banca
privata non sarebbe dannosa se essa rispondesse ad un aumento delle «necessità» dei commercianti.
Tutti questi argomenti sono nuovamente elaborati e prendono forma nella «nuova» teoria
dell’«equilibrio monetario», secondo cui la creazione di strumenti fiduciari sotto forma di biglietti e
depositi da parte della banca privata non genererebbe cicli economici se rispondesse ad un aumento
della domanda di tali strumenti da parte del pubblico. Sebbene questa versione riformata della
dottrina delle «necessità del commercio» si trovi già in embrione sviluppata nel libro di Lawrence
H. White sulla banca libera in Scozia114, tuttavia, non è stata elaborata teoricamente da questo
autore, ma da uno dei suoi discepoli più significativi, George A. Selgin. In seguito studieremo in
dettaglio l’analisi di Selgin sull’«equilibrio monetario», analizzando criticamente la versione rivista
delle vecchie dottrine inflazionistiche della Scuola Bancaria che egli assume.
Selgin inizia la sua analisi considerando la domanda di moneta sotto forma di strumenti fiduciari
come una variabile esogena al sistema, che aumenta o diminuisce secondo i desideri degli agenti
economici, di modo che la missione principale del sistema con banca libera è accomodare
l’emissione di depositi e biglietti di banca agli aumenti e diminuzioni della loro domanda115.
Tuttavia, questa domanda non è qualcosa di esogeno al sistema, ma si determina, endogenamente,
dal sistema stesso.
Non è un caso che i teorici della scuola della banca libera con riserva frazionaria inizino la loro
analisi concentrandosi su delle misteriose variazioni nella domanda di strumenti fiduciari la cui
origine o eziologia non spiegano116. Sembra come se si fossero resi conto che, da parte dell’offerta
113
L’analisi dettagliata si può vedere, per esempio, in George A. Selgin, The Theory of Free Banking: Money Supply
under Competitive Note Issue, op. cit., cap. IV, V e VI, e specialmente la p. 34 e le pp. 64-69.
114
Stephen Horwitz sostiene che Lawrence White «explicitly rejects the real-bills doctrine and endorses a different
version of the ‘needs of trade’ idea. For him the ‘needs of trade’ means the demand to hold bank notes. On this
interpretation, the doctrine states that the supply of bank notes should vary in accordance with the demand to hold notes.
As I shall argue, this is just as acceptable as the view that the supply of shoes should vary to meet the demand for
them.» Stephen Horwitz, «Misreading the Myth: Rothbard on the Theory and History of Free Banking», op. cit., p. 169.
Il punto esatto in cui White sembra esporre la sua difesa della nuova versione della dottrina della vecchia Scuola
Bancaria sulle «necessità del commercio» è alle pp. 123-124 del suo libro Free Banking in Britain già citato. Contro la
tesi di Horwitz, Amasa Walker ci dice che, in relazione agli strumenti fiduciari, «the supply does not satisfy the
demand: it excites it. Like an unnatural stimulus taken into human system, it creates an increasing desire for more; and
the more it is gratified, the more insatiable are its cranings.» Amasa Walker, The Science of Wealth: A Manual of
Political Economy, Little, Brow & Co., Boston 1869, 5.ª edizione, p. 156.
115
«Free banking thus works against short-run monetary disequilibrium and its business cycle consequences.» George
A. Selgin e Lawrence H. White, «In Defense of Fiduciary Media, or, We are Not Devo(lutionists), We are Misesians!»,
op. cit., pp. 101-102.
116
Joseph T. Salerno segnala che per Mises gli aumenti della domanda di moneta non pongono alcun problema di
coordinazione, sempre e quando la banca non cerchi di accomodarsi ad essi mediante la creazione di nuovo credito.
Così, anche nel caso che si verifichi un aumento del risparmio (cioè, una diminuzione del consumo) che si materializzi
integralmente in un aumento dei saldi liquidi (tesoreggiamento) e non nel prestito che dà luogo alla spesa in beni di
43
monetaria, l’analisi austriaca ha dimostrato che l’espansione creditizia produce importanti
distorsioni nell’economia, ciò che sembra giustificare, in ogni caso, un sistema monetario rigido117
che impedisca le espansioni e contrazioni monetarie che sono proprie di ogni sistema bancario con
riserva frazionaria. Dal lato dell’offerta, pertanto, sembra che gli argomenti teorici sostengano la
creazione di un sistema monetario relativamente inelastico come può esserlo il gold standard puro
con un coefficiente di riserva del 100 per cento per i depositi a vista della banca118. Perciò, se i
difensori della Scuola Neobancaria desiderano giustificare un sistema di banca con riserva
frazionaria che possa dar luogo a importanti aumenti e diminuzioni nell’offerta di moneta sotto
forma di strumenti fiduciari, devono far ricorso autonomamente al lato della domanda, con la
speranza di poter giungere a dimostrare che queste modifiche nell’offerta di strumenti fiduciari,
quando esse si verifichino (e devono verificarsi per forza in un sistema con banca con riserva
frazionaria) è perché rispondono a variazioni precedenti della domanda che riescono a soddisfare
ristabilendo un ipotetico «equilibrio monetario» che esisteva precedentemente.
Gli aumenti dell’offerta monetaria sotto forma di espansione creditizia distorcono la struttura
produttiva e danno luogo a un boom economico e successivamente a una fase recessiva durante i
quali si esperiscono importanti variazioni nella domanda di moneta e di strumenti fiduciari.
Pertanto, l’evoluzione degli eventi non inizia, come presuppongono nella loro analisi i moderni
teorici della moderna scuola della libertà bancaria, con movimenti autonomi e originari della
domanda di strumenti fiduciari, ma con la manipolazione della loro offerta che, sotto forma di
espansione creditizia, in misura maggiore o minore, genera ogni sistema bancario con riserva
frazionaria.
È certo che, esistendo una molteplicità di banche libere non sostenute da una banca centrale,
l’espansione creditizia si arresterà molto prima che in un ambito in cui la banca centrale orchestri
l’espansione generalizzata e inoltre sostenga con la sua liquidità quelle banche che sono in pericolo.
Questo è l’argomento a favore della banca libera originariamente sviluppato da Parnell e poi
corretto come second-best da Mises119. Tuttavia, una cosa è affermare che una banca
investimento, si produrrebbe un risparmio effettivo di beni e servizi di consumo della comunità e un processo per il
quale si allungherebbe la struttura produttiva divenendo più intensiva di capitale. In questo caso, l’aumento dei saldi
liquidi darebbe luogo semplicemente a un aumento del potere d’acquisto della moneta e, pertanto, a una diminuzione
dei prezzi nominali dei beni di consumo e dei servizi dei diversi fattori di produzione che, tuttavia, genererebbero fra
loro in termini relativi le disparità che sono proprie di uno stadio nel quale aumenta il risparmio e la struttura produttiva
diventa più intensiva di capitale. Cfr. Joseph T. Salerno, «Mises and Hayek Dehomogenized», pubblicato in The Review
of Austrian Economics, vol. VI, n.º 2, anno 1993, pp. 113-146, e specialmente le pp. 144 e ss; e anche Ludwig von
Mises, Human Action, op. cit., pp. 520-521. Salerno, in questo stesso articolo, critica dettagliatamente White per la sua
difesa della tesi che Mises fosse il prototipo dei moderni teorici della scuola della banca libera, senza rendersi conto che
Mises aveva sempre criticato i postulati essenziali della Scuola Bancaria, e se aveva difeso la banca libera fu come
processo per conseguire l’obiettivo finale di ottenere un sistema bancario con un coefficiente di cassa del 100 per cento.
Si vedano le pp. 137 e ss. dell’articolo citato, così come la prossima nota 119.
117
Si ricordi che l’obiettivo di Hayek in Prices and Production era esattamente «to demonstrate that the cry for an
‘elastic’ currency which expands or contracts with every fluctuation of ‘demand’ is based on a serious error of
reasoning.» Si veda la p. xiii della «Prefazione» di Hayek alla prima edizione di Prices and Production, Routledge,
Londra 1931.
118
Mark Skousen ci indica che un sistema di gold standard puro con un coefficiente di cassa del 100 per cento per la
banca sarebbe più elastico del sistema proposto da Hayek nella nota precedente e non avrebbe il difetto di rispondere
alle «necessità del commercio»: la diminuzione dei prezzi stimolerebbe la produzione di oro generando un’espansione
moderata dell’offerta monetaria che non avrebbe effetti ciclici. Skousen conclude che «based on historical evidence, the
money supply (the stock of gold) under a pure gold standard would expand [annually] between 1 to 5 percent. And,
most importantly, there would be virtually no chance of a monetary deflation under 100 percent gold backing of the
currency.» Mark Skousen, The Structure of Production, op. cit., p. 359.
119
Lo stesso Selgin riconosce che «Mises’s support for free banking is based in part on his agreement with Cernuschi,
who (along with Modeste) believed that freedom of note issue would automatically lead to 100 percent reserve
banking»; e ugualmente che Mises «believed that free banking will somehow lead to the suppression of fractionally-
based inside monies.» Cfr. George A. Selgin, The Theory of Free Banking: Money Supply under Competitive Note
Issue, op. cit., pp. 62 y 164. Lawrence H. White tenta di dare un’interpretazione diversa dalla posizione di Mises,
presentandolo come il prototipo del moderno difensore della banca libera con riserva frazionaria. Cfr. Lawrence H.
44
completamente libera troverà prima i suoi limiti all’espansione del credito e un’altra, molto diversa,
che in nessun caso l’espansione creditizia generata da un sistema con banca libera con riserva
frazionaria distorcerà la struttura produttiva, in quanto tenderà sempre a ristabilire un presunto
«equilibrio monetario». Infatti lo stesso Mises espose in modo molto chiaro che ogni espansione
creditizia distorce il sistema produttivo, rifiutando così l’essenza della moderna teoria
dell’equilibrio monetario. Infatti, Mises afferma che «the notion of ‘normal’ credit expansion is
absurd. Issuance of additional fiduciary media, no matter what its quantity may be, always sets in
motion those changes in the price structure the description of which is the task of the theory of the
trade cycle.»120
Il principale difetto dell’analisi dell’«equilibrio monetario» di Selgin è che non riconosce che
l’offerta di strumenti fiduciari genera, in larga misura, la sua propria domanda. Cioè, la moderna
teoria della banca libera condivide l’errore essenziale dell’antica Scuola Bancaria che si radica,
come venne messo bene in evidenza da Ludwig von Mises, nel non essersi reso conto che la
domanda di credito da parte del pubblico è una grandezza che dipende, esattamente,
dall’inclinazione della banca a prestare. Pertanto, quelle banche che da principio non si
preoccupano eccessivamente della loro solvibilità futura si trovano in condizione di espandere il
credito e collocare nel mercato i nuovi strumenti fiduciari riducendo semplicemente l’interesse che
richiedono per la nuova moneta che creano e aumentando le agevolazioni contrattuali e di ogni tipo
che normalmente esigono per concedere i crediti121. Orbene, non è solo che, contro ciò che
ritengono Selgin e i teorici della sua scuola, le banche possano iniziare un’espansione creditizia in
un regime con banca libera se trascurano per una qualche ragione la loro solvibilità,
indipendentemente dal fatto che in precedenza si sia verificata o no una variazione della domanda
di strumenti fiduciari, ma, inoltre, durante un periodo iniziale, l’aumento di moneta cui dà luogo
questa espansione creditizia tende ad aumentare la domanda stessa di strumenti fiduciari. Infatti,
tutti quegli agenti economici che non siano consapevoli che è iniziato un processo espansivo di
natura inflazionistica, che in ultima istanza dà luogo a una relativa diminuzione del potere
d’acquisto della moneta e poi a una recessione, vedranno come i prezzi di determinati beni e servizi
inizino a crescere relativamente più velocemente, e attendendo invano che tali prezzi si riducano
ritornando al loro livello «normale», è molto probabile che si decidano ad aumentare la loro
domanda di strumenti fiduciari. Citando di nuovo Mises: «This first stage of the inflationary process
may last for many years. While it lasts, the prices of many goods and services are not yet adjusted
White, «Mises on Free Banking and Fractional Reserves», in A Man of Principle: Essays in Honor of Hans F. Sennholz,
John W. Robbins y Mark Spangler (ed.), Grove City College Press, Grove City, Pennsylvania 1992, pp. 517-533.
Salerno, d’accordo con Selgin, ha contestato a White che «to the extent that Mises advocated the freedom of banks to
issue fiduciary media, he did so only because his analysis led him to the conclusion that this policy would result in a
money supply strictly regulated according to the Currency Principle. Mises’s desideratum was... to completely eliminate
the distortive influences of fiduciary media on monetary calculation and the dynamic market process.» Joseph T.
Salerno, «Mises and Hayek De-Homogenized», The Review of Austrian Economies, op. cit., pp. 137 e ss. e p. 146.
120
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., p. 442, nota 17 (i corsivi sono miei). Questa citazione si può tradurre
così: «Il concetto di espansione “normale” è assurdo. L’emissione di strumenti fiduciari addizionali, non importa quale
sia la sua quantità, scatena sempre i cambiamenti nella struttura dei prezzi la cui descrizione è compito della teoria del
ciclo.» Mises, inoltre, aggiunge che «Free banking ... would... not hinder a slow credit expansion» (Human Action, op.
cit., p.443). Credo che qui Mises pecchi offrendo una visione troppo ottimistica della banca libera con riserva
frazionaria, specialmente se confrontiamo questa affermazione con ciò che aveva scritto anni prima nella sua Teoria
della moneta e del credito (1924): «It is clear that banking freedom per se cannot be said to make a return to gross
inflationary policy impossible.» Ludwig von Mises, Theory of Money and Credit, op cit., p. 408 dell’edizione tedesca.
121
«The Banking School failed entirely in dealing with these problems. It was confused by a spurious idea according to
which the requirements of business rigidly limit the maximum amount of convertible banknotes that a bank can issue.
They did not see that the demand of the public for credit is a magnitude dependent on the banks’ readiness to lend, and
that banks which do not bother about their own solvency are in a position to expand circulation credit by lowering the
rate of interest below the market rate.» Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., pp. 439-440. Si ricordi, inoltre, che il
processo si alimenta in forma espansiva nella misura in cui i prestiti cocessi sono restituiti dai debitori a carico dei
crediti di nuova creazione.
45
to the altered money relation. There are still people in the country who have not yet become aware
of the fact that they are confronted with a price revolution which will finally result in a considerable
rise of all prices, although the extent of this rise will not be the same in the various commodities and
services. These people still believe that prices one day will drop. Waiting for this day, they restrict
their purchases and concomitantly increase their cash holdings.»122
Le banche di un sistema con banca libera con riserva frazionaria, non solo possono iniziare
unilateralmente un’espansione creditizia, ma inoltre durante un periodo di tempo prolungato, tale
incremento dell’offerta di strumenti fiduciari (che può essere collocata sempre nel mercato
riducendo in modo appropriato il tasso di interesse) tende a produrre all’inizio un aumento della
loro domanda, che durerà finché il pubblico, lasciandosi trasportare dal loro ottimismo, non inizi a
perdere fiducia nella situazione di «prosperità» economica né preveda che si verificherà un aumento
generalizzato dei prezzi, seguito da una crisi e una profonda recessione economica.
Possiamo, pertanto, concludere che se, come abbiamo argomentato, l’origine dei cambiamenti
monetari si trova sul lato dell’offerta, questa può essere manipolata dalle banche del sistema con
banca libera, e le corrispondenti emissioni di strumenti fiduciari generano nel breve e medio
periodo la loro propria domanda; cade dalla base la tesi di Selgin secondo la quale è l’offerta di
strumenti fiduciari quella che si adegua semplicemente alla loro domanda. Infatti, è la domanda di
strumenti fiduciari, quella che almeno durante un periodo di tempo significativo, si adegua alla
maggiore offerta che le banche generano sotto forma di crediti123.
Possibilità che una banca libera con riserva frazionaria inizi unilateralmente espansioni
creditizie
Sono diverse le possibilità che un sistema con banca libera con riserva frazionaria inizi espansioni
creditizie che non corrispondano a un precedente aumento della domanda di strumenti fiduciari. In
primo luogo, bisogna constatare che l’analisi dell’equilibrio monetario dei moderni teorici della
banca libera condivide in larga misura le limitazioni dell’analisi tradizionale neoclassica che, sia
negli ambiti macro come in quelli microeconomici, si limita ad analizzare lo stato finale dei
processi sociali (equilibrio monetario) che si presuppone si raggiunga come risultato del
comportamento razionale e massimizzatore degli agenti economici (banchieri privati). L’analisi
economica della Scuola Austriaca, al contrario, più che sull’equilibrio si concentra sui processi
dinamici di tipo imprenditoriale. Ogni atto imprenditoriale coordina e stabilisce una tendenza verso
l’equilibrio che, ciononostante, non si raggiunge mai, in quanto durante il processo stesso si
producono dei mutamenti nelle circostanze e si genera nuova informazione per gli imprenditori. Da
un punto di vista dinamico non può essere accettato, quindi, un modello statico che, come quello
122
Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., pp. 427-428 (i corsivi sono miei). La traduzione sarebbe: «Questo primo
stadio del processo inflazionistico può durare molti anni. Finché dura, i prezzi di molti beni e servizi ancora non si
aggiustano al nuovo rapporto monetario. Esistono ancora persone nel paese che non si rendono conto del fatto che si
stanno confrontando con una vera rivoluzione dei prezzi che alla fine risulterà in un loro considerevole aumento,
sebbene la quantità di questo aumento non sia la stessa dagli uni agli altri beni e servizi. Queste persone ancora credono
che i prezzi qualche giorno scenderanno. In attesa di questo giorno, restringono i loro acquisti e simultaneamente
aumentano i loro saldi liquidi.» Inoltre, in questo stadio, gli strumenti fiduciari di nuova creazione di solito finiscono
con l’essere temporaneamente investiti in titoli di borsa e beni di capitale il cui aumento di prezzi accelerato è una delle
manifestazioni iniziali più caratteristiche del boom inflazionistico.
123
È strano osservare che i moderni teorici della scuola della banca libera, così come i keynesiani e i monetaristi, sono
ossessionati da presunti mutamenti immediati e unilaterali della domanda di moneta. Non si rendono conto del modo in
cui tali mutamenti si producano di solito endogenamente nel corso del ciclo economico che, in precedenza, ha inizio
come risultato di mutamenti dell’offerta di nuova moneta creata dal sistema bancario sotto forma di crediti. A parte
questi casi, solo circostanze eccezionali come guerre e disastri naturali possono produrre un aumento immediato della
domanda di moneta. Le variazioni di tipo stagionale sono comparativamente meno importanti e un sistema di banca
libera con coefficiente di cassa del 100 per cento potrebbe far fronte ad esse con movimenti stagionali dell’oro e leggere
variazioni dei prezzi.
46
dell’equilibrio monetario, presuppone che si producano adeguamenti immediati e perfetti tra la
domanda e l’offerta di strumenti fiduciari.
Nella vita reale, ogni banchiere, dotato della sua personale perspicacia e creatività imprenditoriale,
interpreta soggettivamente l’informazione che gli giunge dal mondo esterno, sia in ciò che si
riferisce alla sua valutazione ottimista o no del corso degli eventi economici, sia in ciò che concerne
il livello di riserve che reputa «prudente» per mantenere la sua solvibilità. In questo modo ogni
banchiere, in un contesto di incertezza, decide ogni giorno il volume di strumenti fiduciari da
emettere. È chiaro che nel processo imprenditoriale descritto i banchieri commetteranno molti errori
che si ripercuoteranno nell’emissione unilaterale di strumenti fiduciari che distorcono la struttura
produttiva. È evidente che lo stesso processo tenderà a scoprire ed eliminare gli errori che si
commettano, ma solo dopo un periodo di tempo, più o meno prolungato, non potendosi evitare nel
frattempo che la struttura produttiva reale sia già stata danneggiata. Se a ciò aggiungiamo che,
secondo quanto abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’offerta di strumenti fiduciari tende a
creare la loro domanda, si comprenderà la grande difficoltà che un sistema con banca libera con
riserva frazionaria (così come qualsiasi altro mercato) raggiunga il tanto desiderato «equilibrio
monetario». Infatti, nel migliore dei casi, i banchieri privati tenteranno, mediante un processo di
«tentativo ed errore», di adattare la loro offerta di strumenti fiduciari a una domanda di essi che, in
primo luogo, non conoscono, e, in secondo luogo, tende a variare in conseguenza dell’emissione
stessa di strumenti fiduciari. Si potrà, pertanto, dibattere se il processo imprenditoriale di
coordinamento permetterà che i banchieri raggiungano il tanto desiderato «equilibrio monetario»,
ma ciò che non può essere negato è che nel corso di tale processo si commetteranno innumerevoli
errori imprenditoriali sotto forma di emissione indebita di strumenti fiduciari che, inevitabilmente,
tenderà a interessare la struttura produttiva generando crisi e recessioni economiche, così come ci
spiega la teoria austriaca del ciclo economico124.
Lo stesso può dirsi, in secondo luogo, riguardo alle possibilità che un gruppo maggiore o minore di
banchieri orchestri simultaneamente un’espansione di strumenti fiduciari, o decida di arrivare a
accordi o fondersi fra di loro per condividere e «gestire» meglio le sue riserve, aumentando così la
sua capacità di espandere il credito e aumentare i suoi profitti125. A meno che i teorici della banca
libera con riserva frazionaria vogliano proibire questo tipo di strategie imprenditoriali (cosa di cui
dubitiamo), è evidente che esse permetteranno espansioni creditizie che generano recessioni
economiche. Può darsi che le espansioni spontanee fatte di concerto tendano ad autocorreggersi, in
quanto, secondo Selgin, l’aumento totale di compensazioni interbancarie a cui tali espansioni danno
luogo aumenterà la varianza nella compensazione fra debiti e crediti126. Tuttavia, a parte il fatto che
Selgin assume che il volume totale di riserve in metallico del sistema bancario è costante e che
molti autori dubitano che il suddetto meccanismo di Selgin sia effettivo127, anche ammettendo, per
ragioni puramente dialettiche, che Selgin abbia ragione, bisogna argomentare nuovamente che
l’equilibrio non sarà mai perfetto né immediato, di modo che le espansioni e le fusioni potranno
dare luogo a significativi aumenti dell’offerta di strumenti fiduciari che scatenino i processi che
danno luogo ai cicli economici.
In ultimo, e terzo luogo, il sistema con banca libera con riserva frazionaria genera aumenti
nell’emissione di strumenti fiduciari che non corrispondono a precedenti aumenti nella loro
domanda, ogni volta che si produce un aumento dello stock globale di moneta metallica (oro) usata
dalle banche come «riserva prudenziale». Se rammentiamo che lo stock mondiale di oro è
aumentato ad un tasso annuale situato tra l’1 e il 5 per cento128, in conseguenza dell’aumento della
124
Cfr. Jörg Guido Hülsmann, «Free Banking and Free Bankers», The Review of Austrian Economics, vol. 9, n.º 1,
1996, specialmente pp. 40-41.
125
Si ricordi l’analisi delle pp. 517-522. Si veda inoltre David Laidler, «Free Banking Theory», The New Palgrave
Dictionary of Money and Finance, op. cit., vol. II, p. 197.
126
George A. Selgin, The Theory of Free Banking Money Supply under Competitive Note Issue, op. cit., p. 82.
127
Si veda, per esempio, Anna J. Schwartz, «The Theory of Free Banking», manoscritto presentato alla Riunione
Regionale della Mont Pèlerin Society, p. 3.
128
Mark Skousen, The Structure of Production, op. cit., cap. 8, p. 269 e p. 359.
47
produzione mondiale di oro, è evidente che, solo per questo motivo, i banchieri privati potranno
emettere strumenti fiduciari a un ritmo dall’1 al 5 per cento all’anno, senza alcuna connessione con
la domanda di essi (e, pertanto, con effetti pienamente espansivi prima e recessivi poi)129.
Possiamo, pertanto, concludere che in ogni sistema con banca libera con riserva frazionaria
potranno prodursi importanti processi inflazionistici130 e gravi recessioni economiche131.
Bisogna mettere in evidenza che l’analisi dei moderni teorici della banca libera trascura gli effetti
di natura microeconomica che si verificano in conseguenza degli aumenti e diminuzioni dell’offerta
e domanda di strumenti fiduciari che genera il sistema bancario. Cioè, anche ammettendo, per
motivi puramente dialettici, che l’origine di tutti i mali si radichi, come essi suppongono, in
mutamenti inattesi della domanda di strumenti fiduciari da parte degli agenti economici, è evidente
che l’offerta di strumenti fiduciari generata per ipotesi dal sistema bancario per adeguare i
cambiamenti della loro domanda non arriva istantaneamente in modo esatto a quegli agenti
economici le cui valutazioni rispetto al possesso di nuovi strumenti fiduciari si siano modificate.
Inoltre tale offerta fluisce al mercato attraverso dei punti molto concreti, e in modo molto
particolare: sotto forma di crediti concessi riducendo il tasso di interesse e ricevuti, in prima istanza,
da determinati imprenditori e investitori che tendono, in questo modo, a iniziare nuovi processi, più
intensivi di capitale che distorcono la struttura produttiva.
Non meraviglia, pertanto, che i moderni teorici della scuola della banca libera ignorino la teoria
austriaca del ciclo economico, in quanto questa teoria non si inquadra nella loro analisi
dell’emissione di strumenti fiduciari in un sistema con banca libera con riserva frazionaria. Ecco
perché si rifugiano in un’analisi esclusivamente macroeconomica (monetarista o keynesiana,
secondo i casi), nella quale al massimo usano strumenti che, come quello dell’equazione dello
scambio, o quello del «livello generale dei prezzi», tendono ad occultare proprio i fenomeni
microeconomici di vero interesse che si producono in un’economia quando si espande il credito e
aumenta la quantità di strumenti fiduciari (variazione nei prezzi relativi e discoordinamento
intertemporale nel comportamento degli agenti economici).
Nei processi normali di mercato, l’offerta di beni e servizi di consumo tende a variare in
consonanza con la loro domanda, arrivando inoltre la nuova produzione di questo tipo di beni nelle
mani, esattamente, di quei consumatori la cui valutazione soggettiva dei medesimi è aumentata.
129
Non bisogna neanche scartare l’ipotesi che si producano espansioni creditizie anche maggiori in caso di shocks
dell’offerta di oro, sebbene Selgin tenda a diminuire la loro importanza. George A. Selgin, The Theory of Free Banking:
Money Supply under Competitive Note Issue, op. cit., pp. 129-133.
130
Ricordiamo come, per Mises (nota 120 precedente), «It is clear that banking freedom per se cannot be said to make a
return to gross inflationary policy impossible», specialmente se prevale l’ideologia inflazionistica fra gli agenti
economici: «Many authors believe that the instigation of the banks’ behavior comes from outside, that certain events
induce them to pump more fiduciary media into circulation and that they would behave differently if these
circumstances failed to appear. I was also inclined to this view in the first edition of my book on monetary theory. I
could not understand why the banks didn’t learn from experience. I thought they would certainly persist in a policy of
caution and restraint, if they were not led by outside circumstances to abandon it. Only later did I become convinced
that it was useless to look to an outside stimulus for the change in the conduct of the banks ... We can readily
understand that the banks issuing fiduciary media, in order to improve their chances for profit, may be ready to expand
the volume of credit granted and the number of notes issued. What calls for special explanation is why attempts are
made again and again to improve general economic conditions by the expansion of circulation credit in spite of the
spectacular failure of such efforts in the past. The answer must run as follows: According to the prevailing ideology of
businessman and economist-politician, the reduction of the interest rate is considered an essential goal of economic
policy. Moreover, the expansion of circulation credit is assumed to be the appropriate means to achieve this goal.»
Ludwig von Mises, On the Manipulation of Money and Credit, Percy L. Greaves, Jr. (ed.), Free Market Books, Nuova
York 1978, pp. 135-136
131
«Crises have reappeared every few years since banks... began to play an important role in the economic life of
people.» Ludwig von Mises, On the Manipulation of Money and Credit, Percy L. Greaves, Jr. (ed.), op. cit., p. 134.
48
Tuttavia, la situazione in relazione con gli strumenti fiduciari di nuova creazione è radicalmente
diversa: la crescita dell’offerta di strumenti fiduciari non giunge mai immediatamente e
direttamente nelle tasche di quegli agenti economici la cui domanda di questi strumenti potrebbe
essere aumentata, ma dopo un processo temporale lungo e tortuoso, passando prima per le tasche di
molti altri agenti economici e distorcendo in questa fase di transizione tutta la struttura produttiva.
Quando i banchieri creano nuovi strumenti fiduciari non li consegnano direttamente agli agenti
economici che, eventualmente, possono voler richiedere più strumenti fiduciari. I banchieri, al
contrario, concedono crediti agli imprenditori che ricevono la nuova moneta e la spendono
interamente in investimenti senza tener in conto per nulla la proporzione in cui i possessori finali di
strumenti fiduciari desidereranno consumare e risparmiare o investire. E così è perfettamente
possibile che i nuovi strumenti fiduciari, emessi in principio per accomodare la maggior domanda di
essi, siano in ultima istanza parzialmente utilizzati per acquisire beni di consumo, dando luogo a un
aumento del loro prezzo relativo. Abbiamo già visto (capitolo VII, pag [INSERIRE NUMERO
PAGINA p. 429 originale]) che per Hayek «so long as any part of the additional income thus
created is spent on consumer’s goods (i.e. unless all of it is saved), the prices of consumer’s goods
must rise permanently in relation to those of various kinds of input. And this, as will by now be
evident, cannot be lastingly without effect on the relative prices of the various kinds of input and on
the methods of production that will appear profitable.»132 Hayek chiariva ancor meglio la sua
posizione quando concludeva che «all that is required to make our analysis applicable is that, when
incomes are increased by investment, the share of the additional income spent on consumer’s goods
during any period of time should be larger than the proportion by which the new investment adds to
the output of consumer’s goods during the same period of time. And there is of course no reason to
expect that more than a fraction of the new income [created by credit expansion], and certainly not
as much as has been newly invested, will be saved, because this would mean that practically all the
income earned from the new investment would have to be saved.»133
Con il fine di illustrare graficamente il nostro argomento, supporremo che si produca un aumento
della domanda di strumenti fiduciari senza che si modifichi la proporzione in cui gli agenti
economici desiderano consumare e investire134. Se si verificano queste condizioni, gli agenti
economici saranno costretti e ridurre la loro domanda monetaria di beni di consumo, a vendere
obbligazioni e altri attivi finanziari e, soprattutto, a ridurre il volume di reinvestimento nei diversi
stadi del processo produttivo finché siano in grado di accumulare il maggior volume di depositi
bancari che desiderino mantenere. Supponendo, pertanto, che il tasso sociale di preferenza
intertemporale non sia cambiato, e utilizzando (in modo stilizzando) i diagrammi triangolari che
abbiamo introdotto nel capitolo V per raffigurare la struttura produttiva reale della società, vediamo
come, nel Grafico VIII-1, l’aumento della domanda di strumenti fiduciari faccia sì che l’ipotenusa
del triangolo si sposti verso sinistra. Ciò indica che diminuisce la domanda monetaria sia dei beni di
consumo sia dei beni di investimento, in quanto la proporzione fra entrambi (preferenza
intertemporale) non è mutata. In questo grafico, la superficie «A» rappresenta la nuova domanda (o
«tesoreggiamento») di strumenti fiduciari che desiderano gli agenti economici (cfr. Grafico VIII-1).
132
F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 378 (la traduzione di questa citazione si trova alla nota 65 del
capitolo VII).
133
F.A. Hayek, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 394 (la traduzione di questa citazione si trova ugualmente alla
nota 65 del capitolo VII). Questo sembra essere il caso estremo di aumento del risparmio che si materializza nella sua
totalità in maggiori saldi di strumenti fiduciari e che Selgin e White adoperano per illustrare la loro teoria. Cfr. George
A. Selgin e Lawrence H. White, «In Defense of Fiduciary Media - or, We are Not Devo(lutionists), We are Misesians!»,
op. cit., pp. 104-105.
134
Questa ipotesi è perfettamente possibile così come riconoscono gli stessi Selgin e White quando sostengono che «an
increase in savings is neither necessary nor sufficient to warrant an increase in fiduciary media». George A. Selgin e
Lawrence H. White, «In Defense of Fiduciary Media - or, We are Not Devo(lutionists), We are Misesians!», op. cit., p.
104. Leland Yeager, da parte sua, considera che ogni possessore di strumenti fiduciari (inside money) sta
«risparmiando» cadendo nell’errore che tratteremo nella sezione seguente. Cfr. il suo articolo «The Perils of Base
Money», op. cit., p. 261.
49
La conclusione essenziale della teoria dell’equilibrio monetario in un sistema con banca libera con
riserva frazionaria è che le banche risponderanno a questo aumento della domanda di strumenti
fiduciari espandendo la loro emissione con un volume identico a quello della nuova domanda
(rappresentato dalla superficie «A»), di modo che la struttura produttiva, così come appare nel
Grafico VIII-2, rimarrebbe intatta (cfr. Grafico VIII-2).
Ciononostante, dobbiamo ora ricordare che il nuovo volume di strumenti fiduciari che creano le
banche non è consegnato direttamente ai loro utenti finali (gli agenti economici che aumenteranno
la loro domanda di strumenti fiduciari per il volume rappresentato dalla superficie «A» del Grafico
VIII-1), ma è offerto come garanzia dei crediti concessi agli imprenditori, che li spendono in beni di
investimento, dando luogo inizialmente a una struttura più intensiva di capitale che raffiguriamo nel
Grafico VIII-3.
Tuttavia, questa struttura produttiva più intensiva di capitale non può esser mantenuta nel lungo
periodo, giacché quando gli strumenti fiduciari di nuova creazione siano giunti ai loro utenti finali
(che già avevano accumulato la moneta bancaria di cui avevano bisogno fin da principio così come
vedemmo attraverso la superficie «A» del Grafico VIII-1), questi li consumeranno, d’accordo con la
nostra ipotesi che la preferenza intertemporale non sia cambiata, in beni di consumo e investimento
in una proporzione identica a quella riflessa nei Grafici VIII-1 e VIII-2. Quindi, se sovrapponiamo
il Grafico VIII-3 sul Grafico VIII-2 (si veda il Grafico VIII-4) diventa manifesta la distorsione che
si è verificata nella struttura produttiva. La superficie ombreggiata «B» rappresenta i progetti di
investimento intrapresi erroneamente come conseguenza del fatto che tutti gli strumenti fiduciari
emessi per accomodare l’aumento della loro domanda sono stati concessi sotto forma di crediti
all’investimento135. L’area ombreggiata «C» (la cui superficie è uguale a quella di «B») rappresenta
la parte dei nuovi strumenti fiduciari spesa dai suoi possessori finali nei beni più vicini allo stadio
finale del consumo, lasciando la struttura produttiva nelle stesse proporzioni di quelle del Grafico
VIII-1, ma solo dopo essere terminati gli inevitabili e dolorosi riaggiustamenti che sono spiegati
dalla teoria austriaca del ciclo economico e che il sistema con banca libera, come abbiamo appena
visto, non è in grado di evitare. Dobbiamo concludere, pertanto, che, contrariamente a ciò che
Selgin e White suggeriscono136, anche nel caso che l’espansione degli strumenti fiduciari si adegui
integralmente ad un aumento precedente della loro domanda, si produrranno i tipici effetti ciclici
previsti dalla teoria del credito circolatorio.
L’intenzione di recuperare almeno l’essenza della vecchia dottrina delle «necessità del commercio»
e di giustificare che un sistema con banca libera con riserva frazionaria non darebbe luogo a cicli
economici ha indotto George A. Selgin a difendere una tesi simile a quella esposta da John
135
Selgin e White implicitamente riconoscono questo punto quando affermano che «benefits accrue to bank borrowers
who enjoy a more ample supply of intermediated credit, and to everyone who works with the economy’s consequently
larger stock of capital equipment». George A. Selgin e Lawrence H. White, «In Defense of Fiduciary Media - or, We
are Not Devo(lutionists), We are Misesians!», op. cit., p. 94.
136
«We deny that an increase in fiduciary media matched by an increased demand to hold fiduciary media is
disequilibrating or sets in motion the Austrian business cycle.» George A. Selgin e Lawrence H. White, «In Defense of
Fiduciary Media - or, We are Not Devo (lutionists), We are Misesians!», op. cit., p. 102-103.
50
Maynard Keynes nella sua trattazione dei depositi bancari. Infatti, ricordiamo come, per Keynes,
chiunque detenga qualche saldo di moneta addizionale procedente da un credito si ritiene che stia
«risparmiando»: «moreover, the savings which result from this decision are just as genuine as any
other savings. No one can be compelled to own the additional money corresponding to the new
bank-credit, unless he deliberately prefers to hold more money rather than some other form of
wealth.»137
Dunque, George Selgin mantiene una posizione parallela a quella di Keynes e considera che la
domanda del pubblico di detenere saldi liquidi sotto forma di biglietti di banca e conti di deposito
rifletta simultaneamente il suo desiderio di offrire prestiti a breve scadenza per un importo identico
attraverso il sistema bancario. Infatti, Selgin afferma che «to hold inside money is to engage in
voluntary saving... Whenever a bank expands its liabilities in the process of making new loans and
investments, it is the holders of the liabilities who are the ultimate lenders of credit, and what they
lend are the real resources they could acquire if, instead of holding money, they spent it. When the
expansion or contraction of bank liabilities proceeds in such a way as to be at all times in agreement
with changing demands for inside money, the quantity of real capital funds supplied to borrowers
by the banks is equal to the quantity voluntarily offered to the banks by the public. Under these
conditions, bank are simply intermediaries of loanable funds.»138
Tuttavia, è perfettamente compatibile che si produca un aumento nei saldi di strumenti finanziari
che il pubblico desideri detenere con un aumento simultaneo della domanda di beni e servizi di
consumo, se il pubblico decide di diminuire i suoi investimenti. Infatti ogni agente economico può
impiegare i suoi saldi monetari in qualsiasi dei tre seguenti modi: o può spenderli in beni e servizi di
consumo; o può spenderli effettuando degli investimenti; oppure può detenerli sotto forma di saldi
liquidi. Non esistono altre possibilità. La decisione sulla proporzione che sarà spesa tra consumo e
investimento è diversa e indipendente dalle decisioni che si prendano riguardo ai saldi di strumenti
fiduciari e saldi liquidi che si desiderino detenere. Di modo che non si può concludere come fa
Selgin, che ogni saldo monetario equivalga a un «risparmio», in quanto è perfettamente possibile
che l’aumento del saldo di strumenti fiduciari si produca a discapito di una diminuzione nelle spese
di investimento (per esempio, vendendo titoli in Borsa) che consenta di aumentare la spesa finale
monetaria in beni e servizi di consumo. In queste circostanze si produrrebbe una diminuzione del
risparmio da parte del soggetto che vedrebbe aumentare simultaneamente i suoi saldi di strumenti
fiduciari. Perciò non è corretto qualificare come risparmio ogni aumento degli strumenti fiduciari.
Dire, come fa Selgin, che «every holder of demand liabilities issued by a free bank grants that bank
a loan for the value of his holdings»139 equivale ad affermare che ogni creazione di moneta, sotto
forma di depositi o biglietti, da parte di una banca in un sistema con banca libera con riserva
137
John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, op. cit., p. 83.Questa tesi che
abbiamo già commentato e tradotto nel capitoloVII, è un risultato dell’identità tautologica tra risparmio e investimento
che soggiace a tutta l’opera di Keynes e, secondo Benjamin Anderson, equivale ad identificare l’inflazione con il
risparmio.
138
George A. Selgin, The Theory of Free Banking, op. cit., pp. 54-55. La traduzione di questa citazione potrebbe essere
la seguente: «Detenere la moneta emessa dalle banche significa realizzare del risparmio volontario. Ogni volta che una
banca espanda gli strumenti fiduciari mediante la concessione di nuovi prestiti e la realizzazione di investimenti, sono i
possessori di questi strumenti quelli che in ultima istanza forniscono un credito, e ciò che prestano sono le risorse reali
che potrebbero avere acquistato se, invece di detenere i corrispondenti saldi di strumenti fiduciari, li avessero spesi.
Quando l’espansione o la contrazione dei depositi bancari si realizza in conformità alle variazioni della domanda di
strumenti fiduciari, la quantità di capitale reale offerta a coloro che la chiedono in prestito è uguale alla quantità offerta
volontariamente alle banche dal pubblico. In queste condizioni, le banche sono semplicemente intermediarie di fondi
prestabili.»
139
George A. Selgin, «The Stability and Efficiency of Money Supply under Free Banking», op. cit., p. 440. La
traduzione sarebbe la seguente: «Ogni possessore di depositi a vista emessi da una banca libera fornisce a questa banca
un prestito per il valore di detti depositi.»
51
frazionaria implichi, in ultima istanza, la concessione a posteriori di un prestito alla banca per lo
stesso importo. Tuttavia, la banca genera dal nulla crediti, e offre una capacità acquisitiva agli
imprenditori che li ricevono senza tener conto per nulla dei veri desideri, riguardo al consumo e
all’investimento, del resto degli agenti economici che, in ultima istanza, diventeranno i possessori
finali degli strumenti fiduciari che crea. E così è molto probabile che, se le preferenze sociali quanto
al consumo e all’investimento non sono mutate, almeno parte dei nuovi strumenti fiduciari creati
dalla banca siano impiegati per aumentare la spesa in beni di consumo, facendo aumentare i prezzi
relativi di questo tipo di beni.
I teorici della banca libera con riserva frazionaria considerano generalmente che ogni biglietto o
deposito emesso da una banca sia un «attivo finanziario» che corrisponde a un credito. Da un punto
di vista giuridico, questa idea presenta gravi problemi che abbiamo già studiato nei primi tre capitoli
di questo libro. Da un punto di vista economico, il suo errore consiste nel credere che la moneta sia
un «attivo finanziario» che rappresenta il risparmio volontario di un agente economico che «presta»
beni presenti in cambio del conseguimento di beni futuri140. Tuttavia, la moneta è in sé stessa un
bene presente141 e la tendenza dei saldi liquidi (o depositi) non indica nulla sui desideri dell’agente
economico riguardo alla proporzione in cui desidera consumare o investire, essendo perfettamente
compatibili aumenti e diminuzioni nei saldi monetari, con diverse combinazioni di aumenti o
diminuzioni simultanee nella proporzione in cui decida consumare e investire. Infatti, è concepibile
che l’aumento dei saldi di strumenti fiduciari si produca verificandosi al tempo stesso un aumento
nel consumo di beni e servizi, per cui è necessario solo che l’agente economico proceda a
disinvestire parte delle risorse che aveva risparmiato e investito in passato. Infatti, come segnala
Hans-Hermann Hoppe, l’offerta e la domanda di moneta determinano il suo prezzo o potere
d’acquisto, mentre l’offerta e la domanda di «beni presenti» in cambio di «beni futuri» determina il
tasso di interesse o tasso sociale di preferenza intertemporale e il volume globale di risparmio e
investimento142.
140
Come è possibile concepire che un biglietto di banca o un deposito, che sono moneta, siano anche un «attivo
finanziario» rappresentativo per il possessore della consegna a un terzo di moneta oggi in cambio di una quantità di
moneta in futuro? La credenza che biglietti e depositi siano «attivi finanziari» mette in luce la duplicazione di strumenti
di pagamento che, a partire dal nulla, genera il sistema bancario con riserva frazionaria: da una parte, la moneta che è
prestata e sfruttata da un terzo, e, d’altra parte, il presunto attivo finanziario o titolo che pone in essere l’operazione e
che anche è moneta. O, espresso in altra forma, gli attivi finanziari sono titoli o certificati che rappresentano che
qualcuno ha rinunciato a moneta presente per consegnarla a un altro in cambio di una quantità (maggiore) di moneta
futura. Se, a sua volta, risulta che l’attivo finanziario è anche moneta (per il suo possessore) si verifica nel mercato
un’evidente duplicazione inflazionistica di strumenti di pagamento e il prestito è concesso senza necessità che qualcuno
lo abbia precedentemente risparmiato.
141
La moneta è un bene presente, perfettamente liquido. Di fronte al sistema bancario nel suo insieme, gli strumenti
fiduciari non sono un «attivo finanziario», in quanto non sono mai ritirati, ma circolano indefinitamente passando di
mano in mano, in quanto rappresentano moneta (o, meglio detto, sostituti monetari perfetti). Al contrario, un attivo
finanziario rappresenta la consegna di beni presenti (generalmente sotto forma di moneta) in cambio di beni futuri (pure
normalmente unità monetarie) in una data determinata e la sua creazione risponde ad un aumento del risparmio reale da
parte dell’agente economico. Cfr Gerald P. O’Driscoll, «Money: Menger’s Evolutionary Theory», History of Political
Economy, n.º 18, 4, 1986, pp. 601-616.
142
«First off, it is plainly false to say that the holding of money, i.e., the act of not spending it, is equivalent to saving...
In fact, saving is not-consuming, and the demand for money has nothing to do with saving or not-saving. The demand
for money is the unwillingness to buy or rent non-money goods-and these include consumer goods (present goods) and
capital goods (future goods). Not-spending money is to purchase neither consumer goods nor investment goods.
Contrary to Selgin, then, matters are as follows: Individuals may employ their monetary assets in one of three ways.
They can spend them on consumer goods; they can spend them on investment; or they can keep them in the form of
cash. There are no other alternatives. ... Unless time preference is assumed to have changed at the same time, real
consumption and real investment will remain the same as before: the additional money demand is satisfied by reducing
nominal consumption and investment spending in accordance with the same pre-existing consumption/investment
proportion, driving the money prices of both consumer as well as producer goods down and leaving real consumption
and investment at precisely their old levels.» Hans-Hermann Hoppe, «How is Fiat Money Possible? - or The Devolution
of Money and Credit», in The Review of Austrian Economics, vol. 7, n.º 2 (1994) , pp. 72-73.
52
Il risparmio esige sempre una liberazione di beni reali che non siano consumati (cioè, un sacrificio)
e non sorge dal semplice aumento di unità monetarie sotto la scusa che, finché non siano spesi in
beni di consumo, «sono risparmiati». Selgin sostiene questa posizione quando critica Machlup143 in
quanto questi considera che la concessione espansiva di crediti fornisce un potere d’acquisto che
non è stato in precedenza sacrificato per il consumo (cioè, risparmiato) da nessuno. Come è logico,
il credito, affinché non distorca la struttura produttiva, deve provenire da un precedente risparmio,
che fornisca all’investitore beni presenti realmente risparmiati. Se un tale sacrificio nel consumo
non si è verificato, ma l’investimento si finanzia a carico di un credito di nuova creazione (created
credit), la struttura produttiva, come già sappiamo, si distorcerà inesorabilmente, anche nel caso in
cui gli strumenti fiduciari di nuova creazione si adeguino ad un precedente aumento della loro
domanda. Perciò, Selgin si vede costretto a ridefinire i concetti di risparmio e di creazione
creditizia. Per lui, il risparmio si produce ipso facto dal momento in cui si crea il nuovo strumento
fiduciario, in quanto il suo possessore iniziale potrebbe spenderlo in beni di consumo e non lo
spende. E l’espansione creditizia non genera cicli se tende ad accomodare un precedente aumento
della domanda di strumenti fiduciari. Insomma, ci troviamo dinanzi ad argomenti simili a quelli
esposti da Keynes nella sua Teoria Generale, e che, come abbiamo visto nel capitolo VII, erano già
stati confutati molti anni prima.
D’altra parte, la creazione di strumenti fiduciari implica un aumento dell’offerta monetaria che
tende a diminuire il potere d’acquisto della moneta, «espropriando» così il valore delle unità
monetarie dei cittadini in modo diluito e quasi impercettibile. È, senza dubbio, un sarcasmo di
cattivo gusto affermare che tale espropriazione sia un «risparmio» (volontario?) che realizzano gli
agenti economici che la patiscono. Non sorprende che queste dottrine siano state difese da autori
come Keynes, Tobin, Pointdexter e, in generale, da tutti quelli che hanno giustificato
l’inflazionismo, l’espansione creditizia e l’«eutanasia dei rentiers», in onore di politiche
economiche belligeranti dirette ad assicurare un livello «adeguato» di «domanda aggregata».
Tuttavia, risulta sorprendente che autori come Selgin e Horwitz, che per la loro appartenenza alla
Scuola Austriaca dovrebbero conoscere meglio i pericoli implicati, abbiano dovuto fare ricorso a
questo tipo di ragionamenti per giustificare il loro sistema di «banca libera con riserva
frazionaria»144.
143
La critica, secondo la nostra opinione, giustificata, che Selgin fa a Machlup, si trova alla nota 20 della p. 184 del suo
libro già citato The Theory of Free Banking. Nell’esempio dei nostri diagrammi, per Selgin, tutto il volume di credito
rappresentato dalla superficie «A» del Grafico VIII-2 sarebbe «credito transferito» (transfer credit) perché è «credit
granted by banks in recognition of people’s desire to abstain from spending by holding balances of inside money»
(ibidem, p. 60), mentre che per Machlup (e anche per me) almeno la superficie «B» del Grafico VIII-4 rappresenterebbe
«credito creato» (cioè, created credit o espansione creditizia), in quanto gli agenti economici non restringono il loro
consumo per il volume rappresentato dalla superficie «C». Questo aspetto non viene compreso neanche da Leland
Yeager nel suo articolo «The Perils of Base Money», op. cit.
144
Come vantaggio aggiuntivo del sistema proposto, Selgin spiega che gli agenti economici che detengano i loro saldi
liquidi sotto forma di strumenti fiduciari creati dalla banca libera possono ottenere una redditività finanziaria dagli stessi
e una serie di servizi bancari (di pagamento, contabilità, cassa, ecc.) «libera da costi». Selgin, tuttavia, non menziona il
costo che sotto forma di booms artificiali, cattiva assegnazione delle risorse e crisi economiche può generare la banca
libera con riserva frazionaria. E nemmeno si riferisce a quello che per noi è senz’alcun dubbio il costo più importante.
Infatti, gli effetti negativi dell’inadempimento dei principi del diritto da parte del sistema bancario libero genera una
tendenza affinché si stabilisca una banca centrale come prestatrice di ultima istanza che sostenga le banche e crei la
liquidità che assicuri ai cittadini il recupero dei loro depositi in qualsiasi momento. Quanto al presunto «vantaggio» di
ottenere interessi sui depositi e di non dover pagare per i costi derivanti da servizi di cassa e contabilità che forniscono
le banche non si può sapere se, in termini netti, gli interessi che percepirebbero gli agenti economici dai prestiti
realmente risparmiati che realizzassero in un sistema con banca con un coefficiente di riserva del 100 per cento,
diminuiti per il costo dei corrispondenti servizi di deposito, cassa, contabilità, ecc., sarebbero uguali, superiori o
inferiori agli interessi reali che attualmente percepiscono nei loro investimenti e conti correnti a vista ( al netto degli
effetti della diminuzione del potere d’acquisto della moneta che l’attuale sistema bancario genera cronicamente).
53
Nella bibliografia dei teorici della Scuola Neobancaria si dedica un grande sforzo agli studi storici
diretti nelle intenzioni a sostenere la tesi che il sistema con banca libera, grazie ai meccanismi
dell’«equilibrio monetario», renderebbe immuni le economie dai cicli di espansione e depressione.
Tuttavia, gli studi empirici finora realizzati, invece di concentrarsi sull’analisi dell’eventualità che il
sistema con banca libera evitasse l’espansione del credito, il boom artificiale e la recessione
economica, si sono limitati in pratica a studiare se le crisi e i panici bancari fossero più o meno
frequenti e gravi che in un sistema con banca centrale (il che è, ovviamente, qualcosa di molto
diverso)145.
Così, George A. Selgin, in uno Studio recente, confronta il verificarsi di panici bancari in diversi
sistemi storici con banca libera con altri sistemi nei quali le banche erano controllate da una banca
centrale, giungendo alla conclusione che, in questo secondo caso, il numero e la gravità delle crisi
bancarie fu maggiore146. E la tesi principale del libro della Scuola Neobancaria è tutta diretta ad
argomentare che il sistema bancario scozzese, relativamente più «libero» dell’inglese, era più
«stabile» ed era sottomesso a minori perturbazioni finanziarie147.
Tuttavia, come ha rilevato Murray N. Rothbard, il fatto che, in termini relativi, ci fossero meno
fallimenti nel sistema scozzese con banca libera che nel sistema inglese non significa
necessariamente che quel sistema fosse migliore148. Di fatto, il numero di fallimenti bancari è stato
eliminato quasi completamente negli attuali sistemi basati sulla banca centrale, e ciò non indica che
questi siano superiori a un sistema con banca libera soggetta al diritto, ma anzi proprio il contrario.
Infatti, l’esistenza di fallimenti bancari, lungi dall’indicare un mal funzionamento del sistema è,
senza alcun dubbio, una manifestazione del sano processo spontaneo di inversione che si produce
nel mercato di fronte all’aggressione ad esso che implica l’esercizio privilegiato della banca con un
coefficiente di riserva frazionaria. Di modo che lì dove esista un sistema con banca libera con
riserva frazionaria e non si producano regolarmente fallimenti e sospensioni di pagamento da parte
delle banche, è inevitabile sospettare che esistano ragioni istituzionali che difendono le banche
dalle normali conseguenze dell’esercizio della loro attività con riserva frazionaria, e che sono in
grado di svolgere un ruolo simile a quello che attualmente svolge la banca centrale come
prestatrice di ultima istanza. Così, nel caso scozzese, le banche avevano così tanto incoraggiato
l’uso dei loro biglietti nelle transazioni economiche, che in pratica nessuno richiedeva il loro
pagamento in oro, e quelli che occasionalmente richiedevano moneta in metallico allo sportello
delle loro banche erano fatti oggetto di generale disapprovazione e di ogni tipo di pressioni da parte
dei banchieri, che tacciavano i loro comportamenti come «sleali» e minacciavano di rendere loro
difficile l’ottenimento di credito in futuro. Inoltre, come ha mostrato il professore Sidney G.
Checkland149, il sistema con banca libera con riserva frazionaria scozzese non smise di andare
incontro a fasi ricorrenti e successive di espansione e contrazione creditizia, che diedero luogo ai
corrispondenti cicli di espansione e recessione, nel corso degli anni 1770, 1772, 1778, 1793, 1797,
1802-1803, 1809-1810, 1810-1811, 1818-1819, 1825-1826, 1836-1837, 1839 e 1845-1847. Cioè,
sebbene in termini relativi esistessero meno panici bancari in Scozia che in Inghilterra, i cicli
145
Finora sono stati studiati approfonditamente una sessantina di casi storici concreti di sistemi con banca libera. La
conclusione generale a cui si è giunti è che «bank failure rates were lower in systems free of restrictions on capital,
branching and diversification (e.g. Scotland and Canada) than in systems restricted in these respects (England and the
United States)», il che è irrilevante dal punto di vista della tesi di questo libro, in quanto i citati studi non chiariscono se
siano prodotti cicli di espansione e recessione economica. Cfr. The Experience of Free Banking, Kevin Dowd (ed.), op.
cit., pp. 39-46. E anche Kurt Schuler e Lawrence H. White, «Free Banking History», The New Palgrave Dictionary of
Money and Finance, Peter Newman, Murray Milgate e John Eatwell (ed.) Macmillan, Londra 1992, vol. 2, pp. 198-200
(la citazione letterale che abbiamo riprodotta in questa nota è alla p. 108 di quest’ultimo articolo).
146
George A. Selgin, «Are Banking Crises a Free-Market Phenomenon?», manoscritto presentato alla Riunione
Regionale della Mont Pèlerin Society, Rio de Janeiro, 5-8 Settembre 1993, pp. 26-27.
147
Lawrence H. White, Free Banking in Britain: Theory, Experience and Debate, 1800-1845, op. cit.
148
Murray N. Rothbard, «The Myth of Free Banking in Scotland», pubblicato in The Review of Austrian Economics,
vol. II, Lexington Books, anno 1988, pp. 229-245, e specialmente la p. 232.
149
Sidney G. Checkland, Scottish Banking: A History, 1695-1973, Collins, Glasgow 1975. Lo stesso White riconosce
nel suo libro che la storia di Checkland è il lavoro definitivo sulla storia del sistema bancario scozzese.
54
successivi di espansione e depressione furono ugualmente gravi, e la Scozia, nonostante il suo tanto
lodato sistema con banca libera, non fu esente dall’espansione creditizia, i booms artificiali e le
susseguenti fasi di grave recessione economica150.
Un altro caso storico che illustra l’incapacità del sistema con banca libera con riserva frazionaria di
evitare le espansioni artificiali e le recessioni economiche è quello del sistema finanziario cileno
durante il XIX secolo. Infatti, durante la prima metà di tale secolo, il Cile non dispose di una banca
centrale e usufruì di un sistema bancario con un coefficiente di cassa del 100 per cento. Nel corso di
vari decenni i suoi cittadini si opposero con forza ai diversi tentativi di introdurre un sistema
bancario con riserva frazionaria e durante questi anni godettero di una grande stabilità economica e
finanziaria. Le cose cominciarono a mutare quando nel 1853 il governo cileno contrattò Jean-
Gustav Courcelle-Seneuil (1813-1892), uno dei più importanti teorici francesi della banca libera
con riserva frazionaria, come professore di Economia Politica nell’Università di Santiago del Cile.
L’influenza di Courcelle-Seneuil in Cile, durante i dieci anni nei quali sviluppò lì la sua attività
docente fu così grande che, nel 1860, venne promulgata una legge che permise la creazione della
banca libera con riserva frazionaria e senza banca centrale. A partire da questa data scomparve la
tradizionale stabilità finanziaria del sistema cileno e si susseguirono gli stadi di espansione
artificiale basata sulla concessione di nuovi crediti e di collasso bancario e crisi economiche,
venendo sospesa la convertibilità della carta-moneta in diverse occasioni (1865, 1867 e 1879), e
iniziando un periodo di inflazione e gravi scombussolamenti economici, finanziari e sociali che
fanno parte della memoria collettiva dei cileni e spiegano perché ancora oggi continuino ad
identificare erroneamente gli sconquassi finanziari con il liberalismo dottrinario di Courcelle-
Seneuil151.
D’altra parte, il fatto che diversi studi storici sembrino indicare che nei sistemi con banca libera ci
siano stati meno panici e crisi bancarie che nei sistemi con banca centrale, non vuol dire che i primi
fossero completamente liberi da crisi e panici bancari. Lo stesso Selgin menziona almeno tre casi di
banca libera che furono devastati da gravi crisi bancarie: Scozia nel 1797, Canadà nel 1837 e
Australia nel 1893152; e se Rothbard ha ragione, e nei rimanenti casi ci furono restrizioni
istituzionali che, in misura maggior o minore, esercitarono il ruolo della banca centrale, è possibile
150
Sebbene resti ancora Molto lavoro da fare, gli Studio storici sul sistema con banca libera con riserva frazionaria, con
Molto poche (o inesistenti) restrizioni legali e carenti di banca centrale, sembrano confermare la tesi che essi fossero
capaci di scatenare importanti espansioni creditizie e di provocare recessioni economiche. Questo è quello che successe,
come già sappiamo grazie a Carlo M. Cipolla, nelle piazze finanziarie dell’Italia dei secoli XIV e XVI (si veda il
capitolo II, paragrafo 3), così come nei casi della Scozia e Cile che analizziamo nel testo.
151
Albert O. Hirschman, nel suo articolo «Courcelle-Seneuil, Jean-Gustav» (The New Palgrave: A Dictionary of
Economics, op. cit., vol. I, pp. 706-707) ci dice che i cileni sono giunti perfino a demonizzare Courcelle-Seneuil, perché
lo consideravano colpevole di tutti i mali economici e finanziari sofferti dal Cile durante il secolo XIX. Murray
N.Rothbard, da parte sua, ritiene che questa demonizzazione sia ingiusta, e si deve al fatto che il cattivo funzionamento
del sistema con banca libera che Courcelle-Seneuil aveva introdotto in Cile aveva screditato anche il resto delle
iniziative positivamente liberalizzatrici di cui Seneuil si era reso protagonista in altri campi (settore minerario, ecc.).
Cfr. Murray N. Rothbard, «The Other Side of the Coin: Free Banking in Chile», Austrian Economics Newsletter,
inverno 1989, pp.
1-4. George Selgin rispose all’articolo di Rothbard sulla banca libera in Cile nel suo lavoro «Short-Changed in Chile:
The Truth about the Free-Banking Episode», Austrian Economics Newsletter, primavera-inverno 1990, pp. 5 y ss. Lo
stesso Selgin riconosce che il periodo 1866-1874 di banca libera in Cile fu una «era of remarkable growth and progress»
durante il quale «Chile’s railroad and telegraph systems were developed, the port of Valparaiso was enlarged and
improved, and fiscal reserves increased by one-quarter.» Come è logico, tutti questi fenomeni, d’accordo con la teoria
della Scuola Austriaca, sono piuttosto un sintomo che indica che in quegli anni si stava verificando un’acuta espansione
creditizia che infine si sarebbe dovuta mutare in recessione (come poi successe). Selgin, tuttavia, attribuisce le crisi
bancarie successive, (ma non le recessioni) al mantenimento da parte del governo cileno di una parità artificiale fra l’oro
e l’argento che, quando l’oro aumentò di valore, indusse una fuoriuscita massiccia di riserve d’oro fuori dal paese (Cfr.
Selgin, op. cit., pp. 5, 6 e nota 3 di p. 7).
152
George A. Selgin, «Are Banking Crises a Free-Market Phenomenon?», op. cit., Tabella 1(b), p. 27.
55
che in assenza di esse il numero di crisi bancarie sarebbe stato ancora maggiore153. In ogni caso,
l’eliminazione completa delle crisi bancarie non può considerarsi come il criterio definitivo per
valutare quale sia il miglior sistema bancario. Se ciò fosse così, anche i teorici più importanti della
banca libera con riserva frazionaria sarebbero costretti a riconoscere che il sistema bancario
migliore è quello che esige un coefficiente di riserva del 100 per cento, in quanto, per definizione, è
l’unico che in tutti i casi impedisce che si producano crisi e panici bancari154.
Insomma, l’esperienza storica non sembra prestare sostegno alle tesi dei moderni teorici della
banca libera con riserva frazionaria. Anche nei sistemi con banca libera meno regolamentati si
riprodussero cicli di espansione e depressione che ebbero la loro origine nell’espansione creditizia
delle banche, verificandosi panici e fallimenti bancari. Il riconoscimento di questo fatto ha indotto
autori della Scuola Neobancaria come Stephen Horwitz a insistere sul fatto che l’evidenza empirica
contraria, benché avesse un certo rilievo, non potesse servire per confutare la teoria sugli effetti
benefici della banca libera con riserva frazionaria, confutazione che deve essere effettuata mediante
procedimenti strettamente teorici155.
I teorici della scuola della banca libera con riserva frazionaria tendono a lasciar fuori dalla loro
analisi le considerazioni giuridiche, senza tener conto, come facciamo noi in questo libro, che lo
studio della problematica bancaria è essenzialmente multidisciplinare e che esiste un’intima
connessione teorica e pratica fra gli aspetti giuridici ed economici di tutti i processi sociali.
Così, dunque, i teorici della banca libera ignorano, in primo luogo, che l’esercizio della banca
libera con un coefficiente di riserva frazionaria implichi un’impossibilità logica dal punto di vista
giuridico. Infatti, nella prima parte di questo libro abbiamo spiegato come, ogni volta che una banca
conceda prestiti a carico della moneta che le è stata depositata a vista, si crei una doppia
disponibilità sulla stessa quantità di moneta: una da parte del depositante originario e l’altra da parte
del mutuatario che riceve il prestito. È chiaro che due individui non possano usufruire
simultaneamente della disponibilità della stessa cosa, e che concedere una seconda disponibilità
sulla stessa cosa a un’altra persona significhi agire in modo fraudolento156. L’appropriazione
indebita e la frode sono evidenti e sono commesse almeno negli stadi iniziali di formazione del
sistema bancario moderno, come abbiamo già visto nel capitolo II.
Dopo che i banchieri ebbero ottenuto dai governi il privilegio per operare con una riserva
frazionaria, scomparve, dal punto di vista del diritto positivo, la loro condizione criminale e, nella
misura in cui i cittadini operino in un sistema protetto in questo modo dalla legge, dobbiamo
scartare l’esistenza di frode penale. Tuttavia, come abbiamo visto nei capitoli da I a III di questo
libro, questo privilegio non riesce in alcun modo a dotare di una natura giuridica adeguata il
contratto di deposito bancario di moneta. Anzi al contrario, il contratto appare nella maggior parte
153
La tesi di Rothbard sembra essere confermata da Raymond Bogaert quando indica che di 163 banche create a
Venezia dalla fine del Medioevo, esiste prova documentale che almeno 93 di esse siano fallite. Raymond Bogaert,
Banques et banquiers dans les cités grecques, A.W. Sijthoff, Leyden, Olanda, 1968, nota 513 a p. 392.
154
Così, lo stesso Selgin riconosce che «A 100 percent reserve banking crisis is an impossibility». Cfr. George A.
Selgin, «Are Banking Crises a Free-Market Phenomenon?», op. cit., p. 2.
155
In ambito metodologico, siamo pienamente d’accordo con la posizione di Stephen Horwitz (si veda il suo
«Misreading the `Myth´: Rothbard on the Theory and History of Free Banking», op. cit., p. 167). Risulta però curioso
che una scuola che sorse dall’analisi dei risultati presuntamente benefici del sistema con banca libera in Scozia sia finita
con l’abbandonare i risultati degli studi storici del sistema con banca libera. Stephen Horwitz, commentando la
revisione sul caso storico che dobbiamo a Rothbard, conclude che «If Rothbard is correct about them, we should look
more sceptically at Scotland as an example. But noting the existence of government interference cannot by itself defeat
the theoretical argument. The Scottish banks were neither perfectly free nor a conclusive test case. The theory of free
banking still stands, and its opponents need to tackle it on both the historical and the theoretical level to refute it» (p.
168). Ciò è esattamente quello che noi abbiamo cercato di fare in questo libro.
156
Hans-Hermann Hoppe, «How is Fiat Money Possible? - or, The Devolution of Money and Credit», pubblicato in The
Review of Austrian Economics, vol. VII, nº 2, anno 1994, p. 67.
56
dei casi viziato di nullità, in quanto, dal punto di vista della sua causa, gli uni, i depositanti,
realizzano il negozio considerando che si tratti di un deposito; mentre gli altri, i banchieri
depositari, lo ricevono come se fosse un prestito. E come già sappiamo, d’accordo con la tecnica
giuridica, ogni volta che ciascuna delle parti che intervengono in uno scambio ritengono che stiano
realizzando un contratto distinto, quest’ultimo è viziato da nullità.
In terzo luogo, anche se entrambe le parti, depositanti e banchieri, coincidessero nel pensare che
l’operazione che realizzano è quella di un prestito, nemmeno sarebbe risolta la natura giuridica del
contratto di deposito bancario di moneta. Ciò è così perché, da un punto di vista economico,
abbiamo visto che è teoricamente impossibile che le banche, in tutte le circostanze, possano far
fronte alla restituzione che siano stati loro consegnati per un importo superiore a quello delle riserve
che detengono. Questa impossibilità, è aggravata nella misura in cui l’esercizio stesso della banca
con un coefficiente di riserva frazionaria tende a generare crisi e recessioni economiche che
mettono a rischio la solvibilità delle banche in modo ricorrente. Dunque, ritornando al punto di vista
della tecnica giuridica, i contratti impossibili da realizzare nella pratica sono da considerare nulli.
Solo un coefficiente di cassa del 100 per cento, che garantisse la restituzione in ogni momento di
tutti i depositi ricevuti, o l’esistenza e il sostegno di una banca centrale, che fornisse tutta la
liquidità esatta nei momenti di difficoltà, potrebbero rendere possibili e pertanto fattibili questi
contratti di «prestito» con vincolo di restituzione (o riacquisto) alla pari in qualsiasi momento.
In quarto luogo, e sebbene si argomentasse che l’impossibilità di adempiere i contratti di deposito
bancario di moneta si produca solo ogni periodo determinato di anni e in circostanze estreme,
nemmeno sarebbe salvata la sua natura giuridica, in quanto l’esercizio dell’attività bancaria con
riserva frazionaria è, come abbiamo già commentato in questo libro, contrario all’ordine pubblico e
si realizza a danno di terzi. Infatti, la banca con riserva frazionaria, nel generare crediti in modo
espansivo senza copertura di risparmio reale, distorce la struttura produttiva, facendo sì che gli
imprenditori che ricevono i prestiti, ingannati dalla maggiore facilità delle condizioni creditizie,
intraprendano investimenti che in ultima istanza non saranno redditizi. Quando si produrrà
l’inevitabile crisi economica, i loro progetti di investimento dovranno essere interrotti e liquidati,
con un grande costo dal punto di vista economico, sociale e personale, inflitto non solo agli
imprenditori che hanno dato origine agli errori, ma anche al resto degli agenti economici coinvolti
nel processo di produzione (lavoratori, fornitori, ecc.).
Non bisogna, pertanto, ammettere come sostengono White, Selgin e altri, che in una società libera i
banchieri e i loro clienti debbano avere libertà per stabilire gli accordi contrattuali che reputino più
adeguati157. Infatti, gli accordi mutuamente soddisfacenti tra le parti non posseggono legittimità
quando sono realizzati in frode della legge o a danno di terzi e, pertanto, vanno contro l’ordine
pubblico. Questo è quello che succede in relazione ai depositi bancari di moneta che siano realizzati
con un coefficiente di riserva frazionaria, e in quelli che, contro ciò che suole essere abituale,
entrambe le parti siano pienamente consapevoli della vera natura giuridica e implicazioni
dell’accordo realizzato.
Hans-Hermann Hoppe158 ha spiegato come questo tipo di contratti danneggi terzi almeno in tre
forme diverse: primo, nella misura in cui l’espansione creditizia aumenta l’offerta monetaria e
diminuisce, pertanto, il potere d’acquisto delle unità monetarie del resto dei possessori di saldi
monetari, che vedono in tal modo ridotto il potere d’acquisto delle loro unità monetarie rispetto a
ciò che avrebbero se l’espansione creditizia non si fosse prodotta; in secondo luogo, i depositanti in
generale sono danneggiati, in quanto, in conseguenza del processo di espansione creditizia,
diminuisce la probabilità che, in assenza di una banca centrale, possano recuperare intatte le unità
monetarie originariamente depositate; ed esistendo una banca centrale, sono danneggiati nella
157
Si veda, per esempio, Lawrence H. White, Competition and Currency, New York University Press, Nuova York
1989, pp. 55-56, e George Selgin, «Short-Changed in Chile: The Truth about the Free-Banking Episode», Austrian
Economics Newsletter, inverno-primavera 1990, p. 5.
158
Hans-Hermann Hoppe, «How is Fiat Money Possible? —or, The Devolution of Money and Credit», op. cit., pp. 70-
71.
57
misura in cui, sebbene abbiano la garanzia di ricevere sempre la garanzia dei loro depositi, non
hanno la garanzia che tale restituzione si effettuerà in unità monetarie il cui potere d’acquisto non si
sia ridotto; e in terzo luogo, bisogna segnalare come danneggiati il resto dei mutuatari e agenti
economici che, come risultato della creazione e iniezione nel sistema economico del credito
fiduciario, vedono in pericolo tutto il sistema creditizio e il modo in cui si distorce la struttura
produttiva, aumentando il rischio che si intraprendano progetti erronei, e che falliscano nel processo
di attuazione, generandosi innumerevoli sofferenze umane negli stadi di recessione economica a cui
l’espansione creditizia dà luogo159.
Nel sistema con banca libera, quando diminuisce il potere d’acquisto della moneta in relazione a
quella che avrebbe se non fosse stato espanso il credito in ambito con riserva frazionaria, i suoi
partecipanti (depositanti e, soprattutto, banchieri) operano a danno di terzi. Infatti, tutta la
manipolazione in relazione alla moneta, che rappresenta lo strumento di scambio usato in forma
generalizzata dalla società, implica, per la stessa definizione della moneta, effetti negativi per una
generalità di terzi partecipi lungo tutto il sistema economico. Perciò, non importa il carattere
volontario degli accordi privati ai destinatari depositanti, banchieri e mutuatari, se questi, attraverso
l’esercizio della banca con riserva frazionaria, riguardano la moneta e danneggiano anche il
pubblico in generale (terzi distinti da quelli che originariamente contrattano), viziando così di
nullità il contratto in quanto contrario all’ordine pubblico160. Economicamente, gli effetti
dell’espansione creditizia sono dal punto di vista qualitativo identici a quelli che scaturiscono
dall’attività criminale di falsificazione di monete e biglietti di banca codificati negli articoli 386-389
del nuovo Codice Penale spagnolo161. Entrambe implicano la creazione di moneta, la
redistribuzione del reddito a favore di pochi e a danno del resto della società e la distorsione della
struttura produttiva. Tuttavia, dal punto di vista quantitativo l’espansione creditizia è l’unica capace
di espandere l’offerta monetaria a un ritmo e volume sufficienti ad alimentare un boom artificiale e
dar luogo ad una recessione. In confronto all’espansione creditizia della banca con riserva
frazionaria e la manipolazione monetaria dei governi e banche centrali, l’attività criminale del
falsificatore di moneta è un gioco da ragazzi con conseguenze sociali praticamente impercettibili.
Tutte queste considerazioni giuridiche hanno lasciato il segno in White, Selgin e altri teorici
moderni della banca libera che hanno proposto, come ultima linea di difesa per garantire la stabilità
del loro sistema, che le banche «libere» stabiliscano una clausola di «salvaguardia» nei loro biglietti
e depositi, informando i loro clienti che la banca possa decidere, in ogni momento, di sospendere o
differire nel tempo la restituzione dei depositi o il pagamento in moneta metallica dei corrispondenti
biglietti162. È chiaro che l’introduzione di questa clausola equivarrebbe a eliminare dai
159
Il carattere multidisciplinare dell’analisi critica del sistema bancario con riserva frazionaria e, pertanto, l’importanza
che hanno le considerazioni giuridiche, insieme alle economiche, non solo è il nucleo del presente libro, ma è stato
posto in evidenza Walter Block nel suo articolo «Fractional Reserve Banking: An Interdisciplinary Perspective»,
pubblicato come cap. III del libro Man, Economy, and Liberty: Essays in Honour of Murray N. Rothbard, Walter Block
y Llewellyn H. Rockwell (eds.), The Ludwig von Mises Institute, Auburn University, Alabama, 1988, pp. 24-32. Walter
Block segnala che è molto strano che nessuno dei teorici della moderna scuola di banca libera con riserva frazionaria
abbia realizzato alcun’analisi critica di tipo sistematico contro la proposta di creare un sistema bancario con un
coefficiente di casa del 100 per cento. Infatti, salvo alcuni commenti sconnessi di Horwitz, i teorici neobancari non
hanno ancora neanche tentato di dimostrare perché un sistema con banca con il 100 per cento di riserva non
garantirebbe un «equilibrio monetario» libero da cicli economici. Cfr. Stephen Horwitz, «Keynes’ Special Theory»,
Critical Review, vol. III, nn. 3-4, estate-autunno 1989, nota 18 a piè delle pp. 431-432.
160
In questo senso la nostra posizione è anche più esigente di quella enunciata da Alberto Benegas Lynch nel suo libro
Poder y razón razonable, Librería «El Ateneo» Editorial, Buenos Aires e Barcellona 1992, pp. 313-314.
161
«Sarà punito con pene da otto a dodici anni e multa di una percentuale sul decuplo del valore apparente della
moneta: 1° colui che fabbrichi moneta falsa», art. 386 del nuovo Codice Penale Spagnolo. Bisogna segnalare che
nell’espansione creditizia, così come nella falsificazione di moneta, il danno sociale è molto diluito, per cui sarebbe
molto difficile, se non impossibile, lasciare la persecuzione di questo delitto alla dimostrazione su istanza della parte
che ha sofferto il danno. Ecco perché la codificazione del delitto si basa sulla condotta effettuata (falsificazione di
biglietti) e non sulla identificazione specifica del danno personale a cui essa dà luogo.
162
Queste «clausole di opzione» erano già state in vigore nelle banche scozzesi dal 1730 al 1765, e si riservavano il
diritto di sospendere temporalmente il pagamento in moneta dei biglietti che avevano emesso. Così, riferendosi ai panici
58
corrispondenti strumenti una natura monetaria la cui essenza si radica esattamente nel disporre di
una perfetta, cioè, immediata, completa, e mai condizionata liquidità. In questo modo non solo i
depositanti diverrebbero, secondo la volontà del banchiere, dei mutuanti forzosi, ma inoltre i loro
depositi rimarrebbero convertiti in una forma peculiare di contratto aleatorio o lotteria, nel quale la
possibilità di ritirare moneta liquida dai corrispondenti depositi verrebbe a dipendere dalle
circostanze specifiche di ogni momento. Non può essere obiettato nulla al fatto che determinate
parti decidano volontariamente di realizzare un contratto aleatorio così atipico come quello
menzionato, ma nella misura in cui, nonostante l’esistenza di questa clausola e la sua perfetta
conoscenza da parte dei partecipanti (banchieri e loro clienti), questi e il resto degli agenti
economici agissero, dal punto di vista soggettivo, considerando i suddetti strumenti come sostituti
monetari perfetti, le clausole citate avrebbero solo la potenzialità di eliminare l’immediata
sospensione dei pagamenti o fallimento delle banche nel caso dei panici bancari. Ma non
eviterebbero la riproduzione di tutti i processi di espansione, crisi e recessione che sono tipici
dell’esercizio di una banca con riserva frazionaria (non importa quali «clausole di opzione»
incorporino nei loro contratti, se quelli sono considerati come sostituti monetari perfetti da parte
della generalità del pubblico), a grave danno di terzi e contro l’ordine pubblico. Le clausole di
opzione, pertanto, al massimo possono proteggere le banche, ma non la società né il sistema
economico dagli stadi successivi di espansione creditizia, espansione e depressione. Di modo che
l’ultima linea di difesa di White e Selgin non elimina in nessun modo il fatto che l’esercizio della
banca con riserva frazionaria implichi un grave e sistematico danno a terzi che è contrario all’ordine
pubblico163.
bancari, Selgin ci dice che: «Banks in a free banking system might however avoid such a fate by issuing liabilities
contractually subject to a ‘restriction’ of base money payments. By restricting payments banks can insulate the money
stock and other nominal magnitudes from panic-related effects.» George A. Selgin, «Free Banking and Monetary
Control», in The Economic Journal, novembre 1994, p. 1455. Che Selgin consideri di ricorrere a queste clausole per
evitare i panici bancari è tanto significativo quanto alla «solvibilità» della sua teoria come sorprendente è , dal punto di
vista giuridico, che si pretenda di basare un sistema sulla espropriazione, fosse anche parziale e temporanea, del diritto
di proprietà dei depositanti e possessori di biglietti, i quali in circostanze di crisi si cerca di convertire in mutuanti
forzosi, invece di continuare ad essere veri depositanti possessori di unità monetarie o, meglio detto, di sostituti
monetari perfetti. In ultimo, si deve ricordare che lo stesso Adam Smith, da parte sua, indica che «the directors of some
of those [Scottish] banks sometimes took advantage of this optional clause, and sometimes threatened those who
demanded gold and silver in exchange for a considerable number of their notes, that they would take advantage of it,
unless such demanders would content themselves with a part of what they demanded.» Cfr. Adam Smith, An Inquiry
into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, op. cit., Libro II, Capitolo II, pp. 394-395 (p. 418 dell’edizione
spagnola di Carlos Rodríguez Braun, e p. 422 dell’edizione italiana di Anna e Tullio Bagiotti). Sulle «clausole di
opzione» si deve consultare Parth J. Shah «The Option Clause in Free Banking Theory and History: A Reappraisal»,
manoscritto presentato alla 2nd Austrian Scholars Conference, Auburn University, 4-5 aprile 1997, in seguito pubblicato
in The Review of Austrian Economics, vol. 10, n. 2, 1997, pp. 1-25.
163
È curioso osservare come molti teorici della Scuola della Banca Libera, come White, Selgin ed altri non si rendano
conto che la banca con riserva frazionaria è illegittima dal punto di vista dei principi generali del diritto e, invece di
proporre l’abolizione del suo esercizio, propongono che essa sia «liberalizzata» e privatizzata, con l’eliminazione della
banca centrale. È certo che questa misura tenderebbe a mettere un limite agli abusi praticamente illimitati che le autorità
hanno commesso nel campo finanziario, ma non impedisce la possibilità che si commettano (su scala minore) abusi nel
campo privato. Questa situazione è simile a quella che si presenterebbe se si permettesse l’esercizio sistematico da parte
dei governi dell’omicidio, il furto o qualsiasi altro crimine. E, senza alcun dubbio, la privatizzazione di queste attività
criminali (eliminando l’esercizio sistematico delle medesime da parte del governo) tenderebbe a «migliorare»
sensibilmente la situazione, con la scomparsa del grande potere criminale dello Stato e permettendo che
spontaneamente gli agenti economici privati sviluppino processi di prevenzione e difesa al cospetto dei suddetti crimini.
Tuttavia, la privatizzazione dell’attività criminale non è una soluzione definitiva al problema che essa pone, che sarà
raggiunta solo perseguendo con tutti i mezzi possibili la commissione di crimini, sebbene siano realizzati da agenti
privati. Possiamo, dunque, concludere con Murray N. Rothbard che in un sistema economico ideale di libero mercato,
«fractional-reserve bankers must be treated not as mere entrepreneurs who made unfortunate business decisions but as
counterfeiters and embezzlers who should be cracked down on by the full majesty of the law. Forced repayment to all
the victims plus substantial jail terms should serve as a deterrent as well as to meet punishment for this criminal
activity.» Murray N. Rothbard, «The Present State of Austrian Economics», Journal des Économistes et des Études
Humaines, Vol. VI, n.º 1, marzo 1995, pp. 80-81.
59
5) La falsa polemica tra la banca centrale e la banca libera con riserva frazionaria
L’impostazione tradizionale della polemica tra i sostenitori della banca centrale e quelli della banca
libera con riserva frazionaria è erronea. In primo luogo, tale impostazione misconosce che il sistema
con banca libera con riserva frazionaria scateni tendenze praticamente inevitabili affinché sorga, si
sviluppi e consolidi la banca centrale. L’espansione creditizia a cui dà luogo la banca con riserva
frazionaria genera processi di inversione sotto forma di crisi finanziarie e recessioni economiche
che portano inevitabilmente a far sì che i cittadini esigano l’intervento pubblico e la
regolamentazione statale di detta attività. In secondo luogo, le stesse banche implicate nel sistema
scoprono immediatamente che riducono il rischio di insolvenza se giungono ad accordi fra loro, se
si fondono e richiedono anche l’istituzione di un prestatore di ultima istanza che fornisca loro la
liquidità necessaria nei momenti di difficoltà e istituzionalizzi e diriga ufficialmente la crescita
dell’espansione creditizia.
Possiamo, pertanto, concludere che l’esercizio della banca con un coefficiente di riserva frazionaria
è stato storicamente il principale responsabile della comparsa e sviluppo della banca centrale, per
cui la discussione teorica e pratica deve essere impostata non nei termini tradizionali, ma fra due
sistemi radicalmente diversi, cioè: o un sistema di banca libera soggetta ai principi tradizionali del
diritto (coefficiente di cassa del 100 per cento), nel quale, pertanto, si perseguano come illegali e
contrarie all’ordine pubblico tutte le operazioni realizzate, in seguito ad accordi volontari o no, nelle
quali si fissi un coefficiente di riserva frazionaria; oppure un sistema che permetta l’esercizio della
banca con riserva frazionaria e dal quale dovrà sorgere, inevitabilmente, una banca centrale
prestatrice di ultima istanza e che controlli tutto il sistema finanziario.
Queste due, e nessun’altra, sono le uniche alternative teoricamente e praticamente attuabili. Finora
abbiamo studiato in dettaglio gli effetti economici della banca con riserva frazionaria, orchestrata o
no da una banca centrale. Nel capitolo successivo e ultimo analizzeremo in dettaglio il sistema di
banca libera soggetta ai principi tradizionali del diritto, cioè, esercitata con un coefficiente di cassa
del 100 per cento164.
164
Credo che Leland Yeager abbia finito con l’accettare implicitamente la mia tesi sulla non fattibilità della banca libera
con riserva frazionaria quando di recente ha proposto l’abolizione di tutti i coefficienti di cassa e la proibizione (con la
forza?) dell’uso di ogni moneta (moneta-merce o di altro tipo) sorta al margine del sistema bancario (base money). A
parte il suo carattere coattivo, tale sistema di banca «libera» senza alcun coefficiente di cassa e puramente fiduciario,
continuerebbe ad essere sottomesso (in forma aggravata) a tutte le possibilità di espansione creditizia e generazione di
cicli che, abbiamo già dimostrato in questo capitolo, ogni sistema con banca libera con riserva frazionaria può generare.
Cfr. Leland Yeager, «The Perils of Base Money», op. cit. Si veda, inoltre, la nota 102 del capitolo seguente.
60
Capitolo IX
Una proposta di riforma del sistema bancario.
La teoria del coefficiente di cassa del 100 per cento
In quest’ultimo capitolo, dopo un breve ripasso dell’evoluzione storica delle proposte effettuate in
questo secolo per fissare un coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca, è presentata una
proposta di riforma del sistema bancario che si fonda sull’esercizio libero della banca, ma
sottoposto ai principi tradizionali del diritto che regolano il contratto di deposito bancario di moneta
(coefficiente di cassa del 100 per cento). Di seguito si studiano i vantaggi comparativi del sistema
proposto di fronte ai possibili sistemi alternativi in generale e, in particolare, di fronte al sistema
bancario e finanziario attuale, e di fronte al sistema con banca libera con riserva frazionaria. In
seguito sono passate in rassegna e si risponde alle critiche che da diversi punti di vista sono state
fatte contro la proposta del 100 per cento e, dopo aver presentato un programma di transizione per
stadi che renda fattibile passare dal sistema bancario e finanziario attuale al modello proposto, il
capitolo termina con una serie di commenti sulla possibile applicazione delle sue raccomandazioni
ai casi specifici del sistema monetario europeo e della ricostruzione monetaria e finanziaria che si
sta realizzando negli ex paesi di socialismo reale.. Il libro si chiude con un riassunto delle
conclusioni più importanti.
1) La storia moderna delle teorie a favore della proposta del coefficiente di cassa del 100
per cento
Sebbene, come già sappiamo, la sfiducia dinanzi all’esercizio della banca con un coefficiente di
riserva frazionaria si possa far risalire, almeno, fino ai teorici della Scuola di Salamanca dei secoli
XVI e XVII, David Hume nel secolo XVIII, i teorici della scuola di Jefferson e Jackson durante i
decenni posteriori alla fondazione degli Stati Uniti, così come l’importante gruppo di teorici
dell’Europa continentale del secolo XIX (Cernuschi e Modeste in Francia, Geyer, Tellkampf e
Michaelis in Germania), già nel nostro secolo, economisti molto celebri come Ludwig von Mises e
altri, e almeno quattro Premi Nobel dell’Economia (F.A. Hayek, Milton Friedman, James Tobin e
Maurice Allais) hanno difeso in qualche momento la fissazione del coefficiente di cassa del 100 per
cento per i depositi a vista effettuati dalle banche.
Il primo economista che propone nel XIX secolo di creare un sistema di banca con un coefficiente
di cassa del 100 per cento per i depositi a vista è stato Ludwig von Mises nella prima edizione del
libro La teoria della moneta e del credito, pubblicato nel 1912. Alla fine di questa prima edizione,
riprodotto alla lettera nella seconda edizione, pubblicata nel 1924, Mises concludeva così: Gli
strumenti fiduciari differiscono appena nella loro natura di moneta; la loro offerta riguarda il
mercato allo stesso modo che l’offerta di moneta propriamente detta; le variazioni della loro
quantità influiscono sul valore di scambio oggettivo della moneta esattamente allo stesso modo
delle variazioni della quantità di moneta. Ecco perché logicamente debbano essere soggette agli
stessi principi stabiliti per la moneta; rispetto ad essi si deve profondere lo stesso impegno che si
profonde per eliminare nei limiti del possibile l’influenza umana sul rapporto di scambio fra la
moneta e i restanti beni economici. La possibilità di originare fluttuazioni temporanee nei rapporti
di scambio fra beni di ordini superiori e inferiori mediante l’emissione di strumenti fiduciari, e le
perniciose conseguenze connesse alla divergenza fra il tasso naturale e monetario di interesse, sono
circostanze che conducono alla stessa conclusione. Orbene, è evidente che l’unico modo di
eliminare l’influenza umana sul sistema creditizio consiste nell’eliminare ogni ulteriore emissione
di strumenti fiduciari. L’idea di fondo della legge di Peel mantiene il suo valore, dovendo includere
l’emissione di credito sotto forma di saldi bancari nella proibizione legislativa in modo ancor più
1
completo che nell’Inghilterra del suo tempo» E poi Mises aggiunge: «Sarebbe un errore supporre
che la moderna organizzazione dello scambio dovesse continuare ad esistere. Porta in sé il germe
della sua propria distruzione; lo sviluppo degli strumenti fiduciari la condurrà inevitabilmente al
fallimento.»1 In seguito, Mises tratta di nuovo il modello ideale di sistema bancario nel suo libro
sulla Stabilizazione monetaria e la politica ciclica, che fu pubblicato nel 1928, dove possiamo
leggere: «The most important prerequisite of any cyclical policy, no matter how modest its goal
may be, is to renounce every attempt to reduce the interest rate, by means of banking policy, below
the rate which develops on the market. That means a return to the theory of the Currency School,
which sought to suppress all future expansion of circulation credit and thus all further creation of
fiduciary media. However, this does not mean a return to the old Currency School program, the
application of which was limited to banknotes. Rather it means the introduction of a new program
based on the old Currency School theory, but expanded in the light of the present state of
knowledge to include fiduciary media issued in the form of bank deposits. The banks would be
obliged at all times to maintain metallic backing for all notes —except for the sum of those
outstanding which are not now covered by metal— equal to the total sum of the notes issued and
bank deposits opened. That would mean a complete reorganization of central bank legislation. By
this act alone, cyclical policy would be directed in earnest toward the elimination of crises.»2
1
Ludwig von Mises, Theorie des Geldes und der Umlaufsmittel, Duncker & Humblot, Monaco e Lipsia (1.ª edizione,
1912), 2.ª edizione, 1924, pp. 418-419. I termini alla lettera usati da Mises sono i seguenti: «Es leuchtet ein, dass
menschlicher Einfluss aus dem Umlaufsmittelwesen nicht anders ausgeschaltet werden kann als durch die
Unterdrückung der weiteren Ausgabe von Umlaufsmitteln. Der Grundgedanke der Peelschen Akte müsste wieder
aufgenommen und durch Miteinbeziehung der in Form von Kassenführungsguthaben ausgegebenen Umlaufsmittel in
das gesetzliche Verbot der Neuausgabe in vollkommenerer Weise durchgeführt werden als dies seinerzeit in England
geschah... Es wäre ein Irrtum, wollte man annehmen, dass der Bestand der modernen Organisation des Tauschverkehres
für die Zukunft gesichert sei. Sie trägt in ihrem Innern bereits den Keim der Zerstörung. Die Entwicklung des
Umlaufsmittels muss notwendigerweise zu ihrem Zusammenbruch führen.» La citazione che abbiamo riprodotto nel
testo è stata tratta dalla recente edizione del libro (Unión Editorial, 1997), pp. 377-378 e 379, edizione italiana di ESI,
1999, pp.290 e 291; i corsivi sono nostri e non sono nel testo originale. Queste riflessioni si trovano, d’altra parte,
incluse alle pp. 446-448 della migliore e ultima edizione inglese del libro di Mises, The Theory of Money and Credit,
Liberty Classics, Indianapolis 1981 (traduzione di H.E. Batson originariamente pubblicata nel 1934 da Jonathan Cape a
Londra e nel 1953 da Yale University Press negli Stati Uniti).
2
Ludwig von Mises, Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik, Verlag von Gustav Fischer, Jena 1928, p. 81.
Questo libro fu tradotto in inglese da Bettina Bien Greaves e pubblicato nel 1978 nel volume di opere sulla teoria
monetaria di Ludwig von Mises intitolato On the Manipulation of Money and Credit, Percy L. Greaves (ed.),
Freemarket Books, Nuova York 1978, pp. 57-173. La citazione del testo principale si trova alle pp. 167-168, e potrebbe
tradursi nel seguente modo: «Il requisito più importante di qualsiasi politica ciclica, non importa quanto modesto sia il
suo obiettivo, consiste nel rinunciare a qualsiasi tentativo di ridurre il tasso di interesse mediante la politica bancaria al
disotto di quel tasso che si sviluppa nel mercato. Ciò significa ritornare alla teoria della Scuola Monetaria, che cercava
di sopprimere ogni espansione futura del credito e pertanto ogni creazione aggiuntiva di strumenti fiduciari. Tuttavia,
ciò non significa ritornare all’antico programma della Scuola Monetaria la cui applicazione si limitò ai biglietti di
banca. Invece di ciò, significa introdurre un nuovo programma basato sulla vecchia teoria della Scuola Monetaria, ma
ampliato alla luce dello stato attuale della conoscenza teorica per includere gli strumenti fiduciari che siano emessi sotto
forma di depositi bancari. Le banche dovrebbero essere obbligate a mantenere in ogni momento una copertura in
metallo uguale alla somma totale dei biglietti emessi e depositi bancari aperti. Mediante questa sola prescrizione, la
politica ciclica sarebbe diretta nel modo più efficace possibile verso l’eliminazione delle crisi economiche.»
L’eccezione fra trattini inclusa nella citazione in inglese e qui non tradotta per ragioni di chiarezza indica che Mises,
seguendo il cammino iniziato dalla Legge di Peel, esige il coefficiente del 100 per cento solo in relazione alla nuova
emissione di strumenti fiduciari (depositi e biglietti di banca), lasciando senza copertura metallica «lo stock di questi
che sia già stato emesso nel momento in cui abbia inizio la riforma». La proposta di Mises rappresenterebbe un grande
passo in avanti e potrebbe essere portata a termine in pratica con notevole facilità e senza produrre inizialmente
importanti mutazioni nel valore di mercato dell’oro. Tuttavia, non è perfetta, in quanto lascerebbe le banche senza
copertura di cassa in relazione al volume di biglietti e depositi emessi in passato e, pertanto, molto vulnerabili alle crisi
bancarie di fiducia che potessero prodursi. Per questo noi proponiamo in questo capitolo un programma più radicale
consistente nel fissare un coefficiente di cassa del 100 per cento in relazione a tutti gli strumenti fiduciari (già emessi o
da emettere). La proposta di Mises è stata di recente sviluppata da Bettina Bien Greaves, «How to Return to the Gold
Standard», The Freeman: Ideas on Liberty, novembre 1995, pp. 703-707.
2
Due anni dopo in un memorandum presentato il 10 ottobre 1930 a Ginevra davanti al Comitato
Finanziario della Lega delle Nazioni su «The Suitability of Methods of Ascertaining Changes in the
Purchasing Power for the Guidance of International Currency and Banking Policy», Mises espose le
sue idee, dinanzi agli esperti monetari e bancari del suo tempo, nel seguente modo: «It is
characteristic of the gold standard that the banks are not allowed to increase the amount of notes
and bank balances without a gold backing, beyond the total which was in circulation at the time the
system was introduced. Peel’s Bank Act of 1844, and the various banking laws which are more or
less based on it, represent attempts to create a pure gold standard of this kind. The attempt was
incomplete because its restrictions on circulation included only banknotes, leaving out of account
bank balances on which cheques could be drawn. The founders of the Currency School failed to
recognize the essential similarity between payments by cheque and payments by banknote. As a
result of this oversight, those responsible for this legislation never accomplished their aim.» Poi
Mises spiega come un sistema di banca con un coefficiente di cassa del 100 per cento operando in
regime di gold standard darebbe luogo a una leggera tendenza alla diminuzione dei prezzi, che
favorirebbe quasi tutti i cittadini aumentando i loro redditi reali, non attraverso un aumento
nominali delle loro entrate, ma mediante una continua riduzione dei prezzi dei beni e servizi di
consumo, rimanendo relativamente costanti le loro entrate nominali. Tale sistema monetario e
bancario sembra a Mises molto superiore al sistema attuale affetto da inflazione cronica e cicli
ricorrenti di espansione e recessione. E riferendosi alla situazione di depressione economica che
allora soffriva il mondo, Mises conclude che «the root cause of the evil is not in the restrictions, but
in the expansion which preceded them. The policy of the banks does not deserve criticism for
having at last called a halt to the expansion of credit, but, rather, for ever having allowed it to
begin.»3
Dieci anni dopo questo memorandum di Mises dinanzi alla Lega delle Nazioni, il nostro autore
ritorna a difendere il coefficiente di cassa del 100 per cento nella prima edizione tedesca del suo
trattato onnicomprensivo di economia, pubblicato col titolo Nationalökonomie: Theorie des
Handelns und Wirtschaftens, dove Mises ripete la sua tesi che le idee fondamentali della Scuola
Monetaria (Currency School) esigevano ugualmente l’applicazione del coefficiente di riserva del
100 per cento per tutti gli strumenti fiduciari, cioè non solo per i biglietti bancari, ma anche per i
depositi bancari. Mises, inoltre, difende in quest’opera l’abolizione della banca centrale, indicando
che, finché esista questa istituzione, sebbene sia strettamente proibita la nuova emissione di
strumenti fiduciari (biglietti e depositi), il sistema sarà sempre soggetto al pericolo che le difficoltà
di bilancio «di emergenza» siano utilizzate per giustificare politicamente l’emissione di nuovi
strumenti fiduciari con l’obiettivo di aiutare il finanziamento delle necessità della Stato. Mises
risponde così, implicitamente, a quei teorici della Scuola di Chicago che durante gli anni Trenta,
come vedremo più avanti, proposero la fissazione di un coefficiente di cassa del 100 per cento per la
banca, ma salvaguardando il carattere fiduciario della moneta base e la sua emissione e controllo da
parte di una banca centrale. Per Mises, questa soluzione non è la migliore, in quanto, sebbene sia
stabilito il coefficiente di cassa del 100 per cento, la moneta continuerà a dipendere in ultima
3
Questo memorandum era stato dimenticato e fu riscoperto negli archivi della Lega delle Nazioni in occasione della
preparazione da parte di Richard M. Ebeling dei materiali per il libro Money, Method and the Market Process: Essays
by Ludwig von Mises, Richard M. Ebeling (ed.), Kluwer Academic Publishers, Dordtrecht, Olanda, 1990, pp. 78-95. La
citazione del testo si trova alle pp. 90-91 e si può tradurre nel seguente modo: «È una caratteristica del gold standard di
non permettere che le banche aumentino la quantità di biglietti, senza il corrispondente sostegno dell’oro, al disopra del
totale già esistente in circolazione quando il sistema fu introdotto. La Legge di Peel del 1844 e le diverse leggi bancarie
che si basano in misura maggiore o minore su di essa, rappresentano tentativi di creare un gold standard puro di questo
tipo. Il tentativo fu incompleto perché le sue restrizioni includevano solo biglietti bancari, lasciando fuori i saldi dei
conti bancari sui quali si possono emettere assegni. I fondatori della Scuola Monetaria fallirono nel momento di
riconoscere la similitudine essenziale esistente fra i pagamenti effettuati mediante assegni e quelli effettuati mediante
biglietti bancari. Come risultato di questo errore, i responsabili di detta legislazione non furono in grado di raggiungere i
loro obiettivi... La radice del male si trova, non nelle restrizioni, ma nell’espansione che le precedette. La politica delle
banche non deve essere criticata per aver finalmente fermato l’espansione del credito, ma, al contrario, per aver
permesso in precedenza che tale espansione iniziasse» (i corsivi sono miei).
3
istanza da una banca centrale, e pertanto, sarà soggetta ad ogni tipo di pressioni e influenze e,
concretamente, al pericolo che, in circostanze di emergenza finanziaria, lo Stato utilizzi il suo
potere di emissione di moneta per autofinanziarsi. La soluzione ottima per Mises, consiste, dunque,
nel creare un sistema di banca libera, cioè, senza banca centrale, ma soggetto ai principi tradizionali
del diritto (e, pertanto, con un coefficiente di cassa del 100 per cento)4. Orbene, in questo libro
Mises, nel difendere il coefficiente di cassa del 100 per cento, non solo critica l’esistenza di una
banca centrale, ma anche il sistema di banca libera con coefficiente di riserva frazionaria, nella
misura in cui, sebbene questo sistema limiterebbe molto l’emissione di strumenti fiduciari, tuttavia,
non riuscirebbe ad eliminare completamente l’espansione creditizia né, ovviamente, i fenomeni
ricorrenti di boom e recessione economica5.
Nel 1949 viene pubblicato da Yale University Press la prima edizione inglese del trattato di
economia di Ludwig von Mises, con il titolo Human Action: A Treatise on Economics. In questa
versione inglese Mises ripete gli argomenti dell’edizione tedesca, ma riferendosi espressamente al
piano proposto da Irving Fisher per creare nella banca un coefficiente di cassa del 100 per cento. Il
giudizio che secondo Mises merita il piano di Fisher è negativo, non per la proposta del coefficiente
del 100 per cento che esso include e che egli pienamente condivide, ma per il fatto che Fisher voglia
combinarla con il mantenimento della banca centrale e l’adozione di un’unità monetaria indicizzata.
Infatti, secondo Mises, sebbene si fissi un coefficiente di cassa del 100 per cento, se continua ad
esistere una banca centrale «it would not entirely remove the drawbacks inherent in every kind of
government interference with banking. What is needed to prevent any further credit expansion is to
place the banking business under the general rules of commercial and civil laws compelling every
individual and firm to fulfill all obligations in full compliance with the terms of the contract.»6
Infine, Mises ritorna ad esporre le sue idee sul coefficiente di cassa del cento per cento
nell’Appendice che su «Ricostruzione monetaria» incorpora alla riedizione inglese pubblicata nel
1953 di La teoria della moneta e del credito, dove espressamente si legge che «the main thing is
that the government should no longer be in a position to increase the quantity of money in
4
Vediamo come Mises spiega la sua posizione letteralmente: «Wenn heute, dem Grundgedanken der Currency-Lehre
entsprechend, auch für das Kassenführungsguthaben volle-hundertprozentige-Deckung verlangt wird, damit die
Erweiterung der Umlaufsmittelausgabe auch in dieser Gestalt unterbunden werde, dann ist das folgerichtiger Ausbau
der Ideen, die jenem alten englischen Gesetz zugrundelagen ... Auch das schärfste Verbot der Erweiterung der
Umlaufsmittelausgabe versagt gegenüber einer Notstandsgesetzgebung.» Ludwig von Mises, Nationalökonomie:
Theorie des Handelns und Wirtschaftens, 1.ª edizione pubblicata da Editions Union, Ginevra 1940; ho utilizzato per
questa citazione la 2.ª edizione di Philosophia Verlag, Monaco 1980, p. 403.
5
In questo senso è particolarmente illustrativa la nota che Mises incorpora a piè di p. 402 di Nationalökonomie e che
dice così: «Für die Katallaktik ist der Begriff ‘normale Kreditausweitung’ sinnlos. Jede Kreditausweitung wirkt auf die
Gestatlung der Preise, Löhne und Zinssätze und löst den Prozess aus, den zu beschreiben die Aufgabe der
Konjunkturtheorie ist.» Questa nota fu in seguito tradotta in inglese a p. 442 della 3.ª edizione revista di Human Action,
op. cit., nel seguente modo: «The notion of ‘normal’ credit expansion is absurd. Issuance of additional fiduciary media,
no matter what its quantity may be, always sets in motion those changes in the price structure the description of which
is the task of the theory of the trade cycle. Of course, if the additional amount issued is not large, neither are the
inevitable effects of the expansion.» Questa affermazione di Mises ha prodotto un grande sconcerto fra i membri della
Scuola Austriaca difensori del sistema di libertà bancaria con riserva frazionaria (White, Selgin, Horwitz, ecc.), in
quanto mette in evidenza che il sistema che difendono, secondo lo stesso Mises, continuerebbe ad essere soggetto alle
fasi di espansione e recessione proprie del ciclo economico (anche se bisogna riconoscere con minore gravità di quella
che si sperimenta nei sistemi bancari attuali sostenuti da una banca centrale).
6
Ludwig von Mises, Human Action: A Treatise on Economics, 3.ª edizione, op. cit., p. 443. La traduzione del testo
principale è la seguente: la riforma di Fisher «non porrebbe fine agli inconvenienti inerenti a ogni tipo di interferenza
governativa nella banca. Ciò di cui si ha bisogno per prevenire qualsiasi espansione ulteriore del credito è di
sottomettere il negozio bancario ai principi tradizionali del diritto commerciale e civile, obbligando ogni impresa e
individuo ad adempiere i suoi obblighi in accordo con i termini esatti stabiliti dal suo contratto.» Come si vede, questa
affermazione di Mises ha il merito di sostenere, per la prima volta, che l’origine dei problemi che pone il sistema
bancario risiede nel fatto che i suoi partecipanti non siano soggetti ai principi tradizionali del diritto. Questa è l’idea
essenziale che successivamente sarebbe stata sviluppata da Murray N. Rothbard e che costituisce il nucleo della tesi
essenziale che sosteniamo in questo libro.
4
circulation and the amount of checkbook money not fully —that is, 100 percent— covered by
deposits paid in by the public». Inoltre, in questa stessa Appendice, Mises propone un processo di
transizione al sistema ideale che avrebbe come obiettivo che «no bank must be permitted to expand
the total amount of its deposits subject to check or the balance of such deposits of any individual
customer, be he a private citizen or the U.S. Treasury, otherwise than by receiving cash deposits in
legal-tender banknotes from the public or by receiving a check payable by another domestic bank
subject to the same limitations. This means a rigid 100 percent reserve for all future deposits; that
is, all deposits not already in existence on the first day of the reform.»7 Sebbene sul processo di
transizione verso il sistema bancario ideale avremo l’opportunità di riferirci più oltre, si osserva che
Mises, in accordo con i suoi scritti del 1928, propone l’applicazione dello stesso sistema di
transizione usato dalla legge di Peel per i biglietti bancari (il cui coefficiente del 100 per cento in
moneta metallica fu richiesto solo per i biglietti di nuova creazione).8
La prima volta che F.A. Hayek, senza dubbio il miglior discepolo di Mises, fa riferimento al
coefficiente di cassa del 100 per cento fu quando, a 25 anni, e al ritorno da un viaggio negli Stati
Uniti, pubblicò il suo articolo su «The Monetary Policy of the United States after the Recovery
from the 1920 Crisis». Infatti, in questo articolo Hayek sviluppa un’analisi molto critica della
politica monetaria che stava portando avanti la Riserva Federale americana con l’obiettivo di
mantenere stabile il potere d’acquisto del dollaro, in un contesto di grande aumento della
produttività, e che stava già generando l’importante espansione creditizia che, in ultima istanza,
avrebbe causato la Grande Depressione. In una nota a piè di pagina di questo articolo seminale,
Hayek, per la prima volta nella sua vita, si riferisce al coefficiente di cassa del 100 per cento nel
seguente modo: «As we have already emphasized, the older English theoreticians of the currency
school had a firmer grasp of this than the majority of economists who came after them. The
currency school hoped also to prevent cyclical fluctuations by the regulation of the note issue they
proposed. But since they took only the effects of the note issue into account and neglected those of
deposit money, and the restrictions imposed upon bank credit could always be got round by an
expansion of transfers through bank deposits, Peel’s Bank Act and the central bank statute modelled
7
Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, Liberty Classics, Indianapolis 1981, pp. 481 e 491.
Incomprensiblemente, entrambi i riferimenti al coefficiente di riserva del 100 per cento non sono tradotti nell’edizione
spagnola pubblicata a Barcellona dalle Edizioni Zeus nel 1961, pp. 487 e 499. L’edizione di Unión Editorial (pp. 408 e
418) traduce, correttamente, questo passaggio che in italiano è: «La questione di fondo è che il governo non dovrebbe
trovarsi nella posizione di poter aumentare la quantità di moneta in circolazione né quella dei depositi bancari a vista
senza piena copertura – cioè, al 100 per cento – per i depositi consegnati dal pubblico… A nessuna banca si deve
consentire di ampliare l’ammontare totale dei suoi depositi disponibili mediante assegni o il saldo di tali depositi di
qualsiasi cliente, sia esso un privato, o il Tesoro degli Stati Uniti, a meno che ricevano depositi in moneta contante di
corso legale o in assegni pagabili da un’altra banca nazionale sottomessa ad identiche limitazioni. Questo significa una
riserva rigida del 100 per cento per tutti i depositi futuri; cioè, per tutti i depositi che non esistessero già nel primo
giorno della riforma» (i corsivi sono miei).
8
Nonostante le chiarissime affermazioni di Mises a favore del coefficiente di cassa del 100 per cento, la sua difesa della
libertà bancaria come procedimento indiretto per avvicinarsi all’ideale di riserva del 100 per cento e, pertanto, a un
sistema bancario sottomesso ai principi tradizionali del diritto, ha indotto alcuni teorici della moderna Scuola
Neobancaria di appertenenza austriaca ad interpretare interessatamente la posizione di Mises come se questi fosse un
difensore, in primo luogo, della libertà bancaria con riserva frazionaria e, in modo secondario, dell’esercizio della banca
con un coefficiente di riserva del 100 per cento. Fra gli autori che sostengono questa posizione, bisogna menzionare
Lawrence H. White, «Mises on Free Banking and Fractional Reserves», cap. 35 di A Man of Principle: Essays in Honor
of Hans F. Sennholz, Grove City College Press, Grove City, Pennsylvania, 1992, pp. 517-533. Joseph T. Salerno, in un
interessante articolo, ha messo di recente in evidenza che la posizione di White non ha fondamento «because he
overlooks important passages in the very works of Mises that he cites, and because he ignores significant developments
in Mises’ theory of money that occurred between the publication of the first German edition of The Theory of Money
and Credit in 1912 and the publication of Nationalökonomie in 1940.» Si veda, Joseph T. Salerno, «Mises and Hayek
Dehomogenized», The Review of Austrian Economics, vol. 6, n.º 2, 1993, pp. 137-146.
5
upon it could not achieve this aim. The problem of the prevention of crises would have received a
radical solution if the basic concept of Peel’s Act had been consistently developed into the
prescription of 100 per cent gold cover for bank deposits as well as notes.»9
Dodici anni dopo, nel suo importante Monetary Nationalism and International Stability, pubblicato
nel 1937, F.A. Hayek fa di nuovo riferimento alla fissazione di un sistema bancario basato su un
coefficiente di cassa del 100 per cento. Contro la versione di questa proposta che allora era stata già
avanzata dai teorici della Scuola di Chicago, che pretendevano di fondarla sulla carta-moneta
emessa dalla banca centrale, Hayek considera che la soluzione ideale sarebbe quella di combinare la
proposta del coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca con un ritorno ad un gold standard
puro, in modo che tutti i biglietti e depositi bancari avessero una copertura del 100 per cento in oro.
In questo modo si otterrebbe un sistema monetario mondiale che eviterebbe le manipolazioni e il
«nazionalismo monetario» dei governi. Hayek conclude che: «The undeniable attractiveness of this
proposal lies exactly in the feature which makes it appear somewhat impracticable, in the fact that
in effect it amounts...to an abolition of deposit banking as we know it.»10
Infine, quasi quarant’anni dopo Hayek ritorna ad occuparsi di temi bancari e monetari nel suo
famoso lavoro su La denazionalizzazione della moneta. Sebbene questo libro sia stato utilizzato dai
moderni teorici della banca libera con riserva frazionaria per giustificare il loro modello, non c’è
dubbio che Hayke proponga il sistema di banca libera e di emissione privata di unità monetarie, con
il fine che in ultima istanza prevalga il sistema bancario con un coefficiente di cassa del 100 per
cento. Infatti, nel paragrafo dedicato al «Cambiamento di politica nella banca commerciale», Hayek
conclude che la grande maggioranza delle banche «clearly would have to be content to do their
business in other currencies. They would thus have to practise a kind of ‘100 percent banking’, and
keep a full reserve against all their obligations payable on demand.» E Hayek aggiunge un duro
giudizio sull’attuale sistema bancario: «An institution which has proved as harmful as fractional
reserve banking without the responsibility of the individual bank for the money (i.e. cheque
deposits) it created cannot complain if support by a government monopoly that has made its
existence possible is withdrawn.»11
9
F.A. Hayek, «The Monetary Policy of the United States after the Recovery from the 1920 Crisis», capitolo I di Money,
Capital and Fluctuations: Early Essays, Roy McCloughry (ed.), The University of Chicago Press, Chicago 1984, p. 29.
Questo articolo è la traduzione in inglese della parte teorica di quello originariamente pubblicato in tedesco con il titolo
di «Die Währungspolitik der Vereinigten Staaten seit der Überwindung der Krise von 1920», Zeitschrift für
Volkswirtschaft und Socialpolitik, n.º 5, anno 1925, vol. I-III, pp. 25-63 e vol. IV-VI, pp. 254-317. La traduzione in
italiano della citazione in inglese riprodotta nel testo è la seguente: «Come abbiamo già posto in risalto, gli antichi
teorici inglesi della Scuola Monetaria avevano una conoscenza più sicura della maggioranza degli economisti che
vennero dopo di loro. La Scuola Monetaria aspirò anche a prevenire le fluttuazioni economiche regolando l’emissione
di biglietti. Ma dato che presero in considerazione solo gli effetti dell’emissione di biglietti e dimenticarono quelli della
moneta costituita dai depositi bancari, le restrizioni stabilite sull’emissione di biglietti poterono sempre evitarsi
mediante l’espansione dei depositi bancari, per cui né la Legge di Peel né lo statuto della banca centrale che fu stabilito
in accordo con essa potettero raggiungere i loro obiettivi. Il problema della prevenzione delle crisi avrebbe ricevuto una
soluzione radicale se l’idea fondamentale della Legge di Peel, consistente in un coefficiente di riserve di oro del 100
per cento, fosse stato applicato coerentemente non solo ai biglietti ma anche ai depositi bancari» (i corsivi sono miei).
10
F.A. Hayek, Monetary Nationalism and International Stability, Longmans, Londra 1937, riedito da Augustus M.
Kelley, Nuova York 1971, pp. 81-84, e specialmente la p. 82 (la traduzione in spagnolo è di José Antonio de Aguirre, El
nacionalismo monetario y la estabilidad internacional, Unión Editorial e Ediciones Aosta, Madrid 1996). Hayek loda
specialmente la proposta del 100 per cento «because it goes to the heart of the problem» (p. 81). L’unico inconveniente,
a parte di essere «somewhat impracticable», che Hayek vede a questa proposta è che sembra dubbio che i depositi
bancari senza copertura non apparissero con altra forma giuridica, dato che «banking is a pervasive phenomenon» (p.
82). Più avanti risponderemo a quest’obiezione (i corsivi nel testo sono miei).
11
F.A. Hayek, Denationalization of Money, The Institute of Economic Affairs, Londra 1976, pp. 94-95, e anche la p.
55. Queste citazioni si trovano a p. 119 della 2.ª edizione rivista e ampliata, pubblicata dallo stesso Istituto nel febbraio
del 1978. (La traduzione italiana è a p. 141 di La denazionalizzazione della moneta, Etas, Milano 2001). Le citazioni del
testo principale sono tradotte nel modo seguente: «La grande maggioranza (delle banche) si dovrebbe accontentare
ovviamente di operare con altre monete. Così dunque dovrebbero agire “da banchieri al 100 per cento” e mantenere
delle riserve equivalenti a tutte le loro obbligazioni pagabili a vista. Non ci si potrebbe stupire, dati i danni prodotti dal
sistema delle riserve bancarie frazionarie – che non rende responsabile la rispettiva banca di emissione per la valuta
6
Murray N. Rothbard e la proposta di un gold standard puro con un coefficiente di reserva del
100 per cento
Nel 1962 il professore Murray N. Rothbard, nel suo ormai classico articolo intitolato «The Case for
the 100 Percent Gold Dollar», incluso nel libro edito da Leland B. Yeager intitolato In Search of a
Monetary Constitution12 (che include anche articoli di James M. Buchanan, Milton Friedman,
Arthur Kemp e altri), sviluppa, per la prima volta, la sua proposta a favore di un gold standard puro
basato su un sistema di banca libera con un coefficiente di cassa del 100 per cento. In questo lavoro,
Rothbard critica tutti quelli che pretendono di ritornare al gold standard tradizionale ancorato ad un
sistema bancario con riserva frazionaria e controllato dalle banche centrali, proponendo quella che
considera essere l’unica soluzione coerente e stabile nel lungo termine: un sistema con banca libera
con un coefficiente di riserva del 100 per cento, l’abolizione della banca centrale, e la fissazione di
un gold standard puro. In tal modo, secondo Rothbard si eviterebbero non solo i cicli ricorrenti di
espansione e recessione che genera la banca con riserva frazionaria, ma la possibilità che, sebbene
si stabilisca un coefficiente di cassa del 100 per cento come difendono i teorici della Scuola di
Chicago negli anni Trenta del XX secolo, il mantenimento della banca centrale faccia sì che tutto il
sistema sia soggetto al caso delle necessità politiche e finanziarie di ciascun momento.
Secondo la nostra opinione, il principale contributo di Rothbard, ciononostante, si radica nel
profondo fondamento giuridico che dà alla sua proposta, Infatti, Rothbard accompagna la sua
analisi economica con uno studio multidisciplinare, di natura fondamentalmente giuridica, volto
tutto a dimostrare che l’esercizio della banca con un coefficiente di riserva del 100 per cento non sia
altro che la logica conseguenza dell’applicazione dei principi tradizionali del diritto al settore
bancario, per cui, in questo punto concreto, la tesi del presente libro non è altro che lo sviluppo ed
ampliamento di quella originariamente presentata da Rothbard. In concreto, Rothbard confronta il
banchiere che esercita la sua attività con un coefficiente di riserva frazionaria con quel delinquente
che commette un delitto di appropriazione indebita perché «(he) takes money out of the company
till to invest in some ventures of his own. Like the banker, he sees an opportunity to earn a profit on
someone else’s assets. The embezzler knows, let us say, that the auditor will come on June 1 to
inspect the accounts; and he fully intends to repay the ‘loan’ before then. Let us assume that he
does; is it really true that no one has been the loser and everyone has gained? I dispute this; a theft
has occurred, and that theft should be prosecuted and not condoned. Let us note that the banking
advocate assumes that something has gone wrong only if everyone should decide to redeem his
property, only to find that it isn’t there. But I maintain that the wrong —the theft— occurs at the
time the embezzler takes the money, not at the later time when his ‘borrowing’ happens to be
discovered.»13 Sebbene Rothbard abbia esposto correttamente gli aspetti giuridici del problema, lo
(cioè per i depositi a vista) che mette in circolazione -, se venisse abolito il monopolio statale sull’emissione di moneta,
causa di tale situazione». Inoltre Hayek difende che si stabilisca una distinzione radicale tra la pura attività bancaria di
deposito (esercitata con un coefficiente di cassa del 100 per cento) e la banca di investimento, che si limiterebbe a
prestare quei fondi che in precedenza le avessero depositati i suoi clienti, concludendo che: «I expect that it will soon be
discovered that the business of creating money does not go along well with the control of large investment portfolios or
even control of large parts of industry» (p. 119-120 della seconda edizione del 1978). Un’acuta e precisa critica alle
altre proposte di Hayek sulla denazionalizzazione della moneta e l’istituzione di una moneta basata su un indice di
merci (che hanno solo un rapporto indiretto con l’oggetto di studio di questo libro) si può trovare in Murray N.
Rothbard, «The Case for a Genuine Gold Dollar», pubblicato in The Gold Standard, Llewellyn H. Rockwell (ed.),
Lexington Books, Lexington, Massachusetts, 1985, pp. 2-7.
12
In Search of a Monetary Constitution, Leland B. Yeager (ed.), Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts,
1962.
13
Murray N. Rothbard, «The Case for a 100 Percent Gold Dollar», The Ludwig von Mises Institute, Auburn University,
Alabama, 1991, pp. 44-46. La traduzione di questa citazione di Rothbard è la seguente: «Il banchiere che esercita la sua
attività con un coefficiente di riserva frazionaria è simile a colui che prende moneta dalla cassa della sua impresa per
investirla in attività proprie. Così come il banchiere, egli intravede l’opportunità di ottenere un profitto utilizzando gli
attivi di altre persone. Il delinquente sa, diciamo, che il revisore verrà il 1° giugno per ispezionare i conti; egli cerca
7
ha fatto seguendo la tradizione giuridica anglosassone e non si è reso conto che il sostegno giuridico
alla sua tesi che si trova nella tradizione giuridica dell’Europa continentale, basata sul diritto
romano, è ancora, se possibile, molto maggiore, così come abbiamo spiegato nei primi capitoli di
questo libro14.
Maurice Allais e la difesa europea del coefficiente di cassa del 100 per cento
In Europa, la difesa di un sistema bancario sottoposto ad un coefficiente di cassa del 100 per cento
è stata sbandierata dal francese Maurice Allais, Premio Nobel per l’Economia nel 1988. Infatti, per
Allais, così come si è espresso di recente, «le mécanisme du crédit tel qu’il fonctionne actuellement
et qui est fondé sur la couverture fractionnaire des dépôts, sur la création de monnaie ex nihilo, et
sur le prêt à long terme de fonds empruntés à court terme, a pour effet une amplification
considérable des désordres constatés. En fait, toutes les grandes crises des dix-neuvième et
vingtième siècles ont résulté du développement excessif du crédit, des promesses de payer et de leur
monétisation, et de la spéculation que ce développement a suscitée et rendue possible.»15 Sebbene
quindi di riporre il “prestito” prima di questa data. Supponiamo che lo faccia. È sicuro che nessuno abbia perso e che
tutti abbiano guadagnato? Io nego questa affermazione. Un furto è stato commesso e questa appropriazione indebita
dovrebbe essere perseguita e non perdonata. I sostenitori della banca ammettono che qualcosa vada storto solo se
qualcuno che decida di ritirare la sua proprietà trovi che essa non sia disponibile. Tuttavia, io sostengo che il danno – il
furto – si verifica nel momento in cui il delinquente si appropria della moneta, e non nel momento successivo quando il
suo “prestito” risulta essere scoperto.»
14
Nel settembre del 1993 esposi personalmente per la prima volta a Murray N. Rothbard il resultato delle mie ricerche
sul fondamento giuridico romano del deposito bancario e la posizione al riguardo della Scuola di Salamanca, e rimase
entusiasta. In seguito mi incoraggiò a pubblicare un breve riassunto delle mie conclusioni in un articolo per The Review
of Austrian Economics, che purtroppo non poté vedere pubblicato a causa della sua inattesa scomparsa il 7 gennaio
1995. Altre opere importanti di Rothbard dove si tratta questo tema sono What has Government done to our Money?,
Rampart College, Santa Ana, California, 1974 (riedito nel 1990 dal Ludwig von Mises Institute dell’Università di
Auburn); The Mystery of Banking, op. cit.; Man, Economy and State, op. cit., pp. 703-709; e anche i suoi articoli «The
Myth of Free Banking in Scotland», The Review of Austrian Economics, n.º 2, anno 1988, pp. 229-245, e «Aurophobia:
or Free Banking on What Standard?», The Review of Austrian Economics, n.º 6, vol. I, 1992, pp. 99-108. A parte
Murray N. Rothbard, actualmente difendono negli Stati Uniti il coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca, fra
gli altri, Hans-Hermann Hoppe, The Economics and Ethics of Private Property, Kluwer Academic Publishers,
Dortrecht, Olanda, 1993, pp. 61-93; e «How is Fiat Money Possible? - or The Devolution of Money and Credit», The
Review of Austrian Economics, vol. VII, n.º 2, 1994, pp. 49-74; Joseph T. Salerno, «Gold Standards: True and False»,
The Cato Journal: An Interdisciplinary Journal of Public Policy Analysis, vol. III, n.º 1, primavera 1983, pp. 239-267; e
anche «Mises and Hayek Dehomogenized», The Review of Austrian Economics, vol. VI, n.º 2, 1993, pp. 137-146;
Walter Block, «Fractional Reserve Banking: An Interdisciplinary Perspective», cap. III di Man, Economy and Liberty:
Essays in Honor of Murray N. Rothbard, The Ludwig von Mises Institute, Auburn University, Alabama, 1988, pp. 24-
32; e Mark Skousen, The Economics of a Pure Gold Standard, Praxeology Press, Auburn University, Alabama, 1977 e
1988. Quest’ultimo lavoro è una tesi di dottorato sul coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca, ed è
specialmente meritoria la revisione esaustiva che compie su tutta la bibliografia esistente fino a quella data sulla
materia. Questi teorici, così come Rothbard, riprendono l’antica tradizione nordamericana, che rimonta fino a Jefferson
e Jackson, a favore di una banca sottomessa rigorosamente ai principi del diritto con un coefficiente di cassa del 100 per
cento. Nel secolo scorso il teorico più importante di questo movimento è stato Amasa Walker, The Science of Wealth,
Little Brown, Boston 1867, 3.ª edizione, pp. 138-168 e 184-232.
15
Maurice Allais, «Les conditions monétaires d’une économie de marchés: des enseignements du passé aux réformes de
demain», pubblicato nella Revue d’économie politique, n.º 3, maggio-luglio 1993, pp. 319-367. La citazione è stata
presa dalla p. 326 e potrebbe tradursi nel seguente modo: «Il meccanismo del credito così come funziona attualmente e
che si fonda sulla copertura frazionaria dei depositi, la creazione di moneta ex nihilo, e il prestito a lungo termine di
fondi prestati a breve, ha come effetto quello di amplificare in modo considerevole i disordini constatati. Infatti, tutte le
grandi crisi del XIX e XX secolo sono state il risultato di uno sviluppo eccessivo del credito, delle promesse di
pagamento e della sua monetizzazione, e della speculazione che questo sviluppo ha suscitato e reso possibile» (i corsivi
sono miei). Le tesi di Maurice Allais, che furono fatte conoscere al grande pubblico con un noto articolo pubblicato su
Le Monde il 29 ottobre 1974 con il titolo «Les faux monnayeurs», sono raccolte nei cap. VI-IX del libro L’impôt sur le
capital et la réforme monétaire, Hermann Éditeurs, settembre 1989, pp. 155-257. Anche in Francia è stata pubblicata,
nel 1994, la mia valutazione critica della banca con riserva frazionaria in Jesús Huerta de Soto, «Banque centrale ou
8
Maurice Allais citi spesso Ludwig von Mises e Murray N. Rothbard, e la sua analisi economica
sull’effetto della banca con riserva frazionaria come generatrice delle crisi economiche è
impeccabile ed è molto influenzata dalla teoria austriaca del ciclo economico, di certo alla fine
propone il mantenimento della banca centrale come responsabile ultimo del controllo e della
crescita della base monetaria (a una percentuale prefissata del 2 per cento annuale16. Infatti Allais
considera che solo lo Stato, e non i banchieri, deve avvantaggiarsi dell’effetto di espropriazione che
la possibilità di creare moneta possiede. Pertanto, la sua proposta del 100 per cento, più che la
logica applicazione di principi tradizionali del diritto, come avviene nel caso di Murray N.
Rothbard, cerca di facilitare i governi nell’esercitare una politica monetaria stabile, impedendo
un’amplificazione elastica e distorsiva del credito che genera dal nulla ogni sistema bancario con
riserva frazionaria. Maurice Allais non fa altro che seguire in questo senso l’antica tradizione della
Scuola di Chicago a favore del coefficiente di cassa del 100 per cento per rendere più effettiva e
prevedibile la politica monetaria dei governi.
L’antica tradizione della Scuola di Chicago a favore del 100 per cento di riserva
La prescrizione della Scuola di Chicago a favore del coefficiente di cassa del 100 per cento iniziò
con uno scritto anonimo di 6 pagine che, col titolo «Banking and Currency Reform», il 16 marzo
1933 avevano fatto circolare Henry C. Simons, Lloyd W. Mints, Aaron Director, Frank H. Knight,
Henry Schultz, Paul H. Douglas, Albert G. Hart e altri.17 Questo piano di riforma bancaria della
Scuola di Chicago fu in seguito esteso da Albert G. Hart nel suo articolo «The ‘Chicago Plan’ of
Banking Reform», pubblicato nel 1935 in cui Hart espressamente riconosce che la paternità della
proposta spetta, in ultima istanza, come già abbiamo visto, al professore Ludwig von Mises.18 In
seguito, nel novembre 1935, James W. Angell pubblica un esaustivo articolo difendendo questa
banque libre: le débat théorique sur les réserves fractionnaires», Journal des économistes et des études humaines, Parigi
e Aix-en-Provence, vol. V, n.º 2/3, giugno-settembre 1994, pp. 379-391.
16
Si vedano, per esempio, i riferimenti a Murray N. Rothbard inclusi alle pp. 316, 317 e 320 del libro de Maurice Allais
L’impôt sur le capital et la réforme monétaire, già citato. E ugualmente i riferimenti a Amasa Walker a p. 317 e,
soprattutto, a Ludwig von Mises, il cui libro su La teoria della moneta e del credito Maurice Allais conosce
perfettamente e cita in diversi punti, fra gli altri, alle pp. 355, 307 e 317. Maurice Allais, inoltre, offre un appassionato
omaggio a Ludwig von Mises, affermando quanto segue:«Si une société libérale a pu être maintenue jusqu’à présent
dans le monde occidental, c’est pour une grande part grâce à la courageuse action d’hommes comme Ludwig von Mises
(1881-1973) qui toute leur vie ont constamment défendu des idées impopulaires à l’encontre des courants de pensée
dominants de leur temps. Mises était un homme d’une intelligence exceptionnelle dont les contributions à la science
économique ont été de tout premier ordre. Constamment en butte à de puissantes oppositions, il a passé ses dernières
années dans la gêne, et sans l’aide de quelques amis, il n’aurait guère pu disposer d’une vie décente. Une société qui
n’est pas capable d’assurer à ses élites, et en fait à ses meilleurs défenseurs, des conditions de vie acceptables, est une
société condamnée» (p. 307). Sebbene in pratica Maurice Allais coincida pienamente con l’analisi e le prescrizioni della
Scuola Austriaca in materia monetaria e dei cicli, si separa radicalmente da essa quando aderisce allo sviluppo
matematico del modello dell’equilibrio generale, il che è la causa di molti errori che ho discusso altrove (Jesús Huerta
de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 248-249). Perciò, Pascal Salin ha concluso
che Maurice Allais non può essere qualificato come un economista liberale allo stile di Hayek, essendo piuttosto un
«ingegnere sociale» che a livello individuale possiede forti connotazioni liberali, e la cui analisi matematica lo porta a
cadere spesso in utilitarismo pragmatico che Hayek, e in generale la Scuola Austriaca, qualificherebbe chiaramente
come «costruttivista» o «scientista». Cfr. Pascal Salin, «Un économiste liberal?», articolo non pubblicato p. 12. Salin ha
pubblicato un lavoro nel quale analizza la teoria austriaca del ciclo economico e le prescrizioni di politica bancaria da
essa derivanti. Cfr. Pascal Salin, «Macro-Stabilization Policies and the Market Process», Economic Policy and the
Market Process: Austrian and Mainstream Economics, Groenveld, K., Maks, J.A.H. e Muysken, J. (ed.), North-
Holland, Amsterdam 1990, pp. 201-221.
17
Cfr. Ronnie J. Phillips, The Chicago Plan & New Deal Banking Reform, M.E. Sharpe, Armouk, Nuova York 1995,
pp. 191-198.
18
Albert G. Hart, «The ‘Chicago Plan’ of Banking Reform», Review of Economic Studies, n.º 2, 1935, pp. 104-116. Il
riferimento ai professori Mises e Hayek si trova a piè di p. 104. Un altro curioso precedente del Piano di Chicago si
trova nel libro di Frederick Soddy, Premio Nobel per la Chimica, Wealth, Virtual Wealth and Debt, E.P. Dutton, Nuova
York 1927, e del quale Knight scrisse una favorevole recensione in quello stesso anno, «Review of Frederick Soddy’s
Wealth, Virtual Wealth and Debt», The Saturday Review of Literature, 16 aprile 1927, p. 732.
9
posizione e analizzando i diversi aspetti di essa, con il titolo «The 100 Percent Reserve Plan»19,
seguito da un lavoro di Henry C. Simons su «Rules versus Authorities in Monetary Policy», che
apparve nel febbraio del 1936.20
Henry C. Simons è il teorico della Scuola di Chicago che più si avvicina alla tesi che il coefficiente
di riserva del 100 per cento, più che una mera proposta di politica economica è un’esigenza del
tessuto istituzionale di regole che esige un’economia di mercato per poter funzionare correttamente.
Infatti, per Simons, «a democratic, free-enterprise system implies, and requires for its effective
functioning and survival, a stable framework of definite rules, laid down in legislation and subject
to change only gradually and with careful regard for the vested interests of participants in the
economic game.»21 Tuttavia, Henry C. Simons difende il coefficiente di cassa del 100 per cento con
il fine fondamentale di restaurare il controllo completo da parte del governo della quantità di
moneta in circolazione e il suo valore. La sua proposta in questo senso era stata effettuata un anno
prima, in un pamphlet intitolato «A Positive Program for Laissez-Faire: Some Proposals for a
Liberal Economic Policy», pubblicato nel 1934 e nel quale affermava che le banche di deposito che
mantenessero «100 per cent reserves, simply could not fail, so far as depositors were concerned, and
could not create or destroy effective money. These institutions would accept deposits just as
warehouses accept goods. Their income would be derived exclusively from service charges -
perhaps merely from moderate charges for the transfer of funds by check or draft ... These banking
proposals define means for eliminating the perverse elasticity of credit which obtains under a
system of private, commercial banking and for restoring to the central government complete control
over the quantity of effective money and its value.»22
I contributi di Simons23 furono seguiti da quelli di Fritz Lehmann24, pubblicati nel suo articolo
«100 Percent Money»,così come dall’articolo edito nel settembre del 1936 da Frank D. Graham con
il titolo «Partial Reserve Money and the 100 Percent Proposal».25
19
James W. Angell, «The 100 Percent Reserve Plan», The Quarterly Journal of Economics, novembre 1935, vol. L, n.º
1, pp. 1-35.
20
Henry C. Simons, «Rules versus Authorities in Monetary Policy», Journal of Political Economy, XLIV, n.º 1,
febbraio 1936, pp. 1-30.
21
Henry C. Simons, «Rules versus Authorities in Monetary Policy», op. cit., riedito come cap. VII del libro Economic
Policy for a Free Society, The University of Chicago Press, Chicago 1948, pp. 160-183. La citazione si trova a p. 181 e
potrebbe tradursi così: «Un sistema democratico di libera impresa esige e richiede, per il suo finanziamento e
sopravvivenza effettiva, una cornice stabile di regole definite, stabilite nella legislazione e soggette a cambiamenti
graduali e che siano effettuati considerando attentamente gli interessi particolari dei partecipanti al gioco economico.» È
molto significativo che questa analisi giuridico-istituzionale di Simons si trovi inclusa esattamente nell’articolo nel
quale presenta la sua proposta di riforma bancaria basata sul 100 per cento di coefficiente di cassa.
22
Henry C. Simons, «A Positive Program for Laissez-Faire: Some Proposals for a Liberal Economic Policy»,
pubblicato originariamente come «Public Policy Pamphlet», n.º 15, Harry D. Gideonse, University of Chicago Press,
Chicago 1934, e riedito come cap. II di Economic Policy for a Free Society, opera già citata, pp. 64-65. La traduzione
della citazione nel testo è la seguente: «Le banche di deposito, mantenendo un coefficiente di riserva, semplicemente
non potrebbero fallire, per quanto riguarda i depositanti, né potrebbero creare o distrurre moneta effettiva. Queste
istituzioni accetterbbero i depositi allo stesso modo in cui i magazzini accettano i depositi di beni. Il loro reddito
deriverebbe esclusivamente dai servizi prestati, forse solo dall’addebitamento di spese contenute per il trasferimento di
fondi attraverso assegni… Questa proposta bancaria fissa i mezzi per eliminare l’elasticità perversa del credito che
sorge sotto un sistema di banca privata commerciale e per restaurare il controllo completo del governo centrale sulla
quantità di moneta effettiva e sul suo valore.» Su Henry Simons si deve consultare Walter Block, «Henry Simons is Not
a Supporter of Free Enterprise», The Journal of Libertarian Studies, vol. 16, n.º 4, autunno 2002, pp. 3-36.
23
Henry C. Simons aggiunge nella nota 7 di pagina 320 del suo Economic Policy for a Free Society che «there is likely
to be extreme economic instability under any financial system where the same funds are made to serve at once as
investment funds for industry and trade and as the liquid cash reserves of individuals. Our financial structure has been
built largely on the illusion that funds can at the same time be both available and invested - and this observation applies
to our savings banks (and in lesser degree to many other financial institutions) as well as commercial, demand-deposit
banking.»
24
Fritz Lehmann, «100 Percent Money», Social Research, vol. III, n.º 1, pp. 37-56.
25
Frank D. Graham, «Partial Reserve Money and the 100 Percent Proposal», American Economic Review, XXVI, anno
1936, pp. 428-440.
10
Queste proposte sono raccolte sotto forma di libro da Irving Fisher nella sua opera 100 Percent
Money26, e, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono riprese con la pubblicazione nel 1948
del libro di Henry C. Simons, Economic Policy for a Free Society, e da quello di Lloyd W. Mints
Monetary Policy for a Competitive Society27, culminato nel 1959 con la pubblicazione del libro di
Milton Friedman Un programma di stabilità monetaria e riforma bancaria28. Milton Friedman, così
come i suoi predecessori, raccomanda che «il sistema attuale sia sostituito con uno che esiga il 100
per cento di riserve obbligatorie».29 L’unica differenza che propone Friedman è che si paghi un
interesse su questo 100 per cento che sia mantenuto come riserva, e in un’interessante nota a piè di
pagina menziona che un avvicinamento a quest’obiettivo potrebbe essere ottenuto, ugualmente, così
come sostiene Gary Becker, mediante un sistema con banca completamente libera.30
Lasciando da parte il caso di Henry C. Simons, che è colui che più si avvicina alle esigenze
giuridico istituzionali della proposta del coefficiente di riserva del 100 per cento,31 in generale i
teorici della Scuola di Chicago la hanno difesa esclusivamente per ragioni pragmatiche, pensando
che con questo requisito la politica monetaria del governo sarebbe stata più facile e prevedibile. I
teorici di Chicago peccavano, pertanto, di ingenuità quando ritenevano che i governi potessero e
volessero sviluppare in ogni circostanza una politica monetaria stabile.32 Quest’ingenuità è parallela
26
Irving Fisher, 100 Percent Money, Adelphi Company, Nuova York 1935.
27
Lloyd W. Mints, Monetary Policy for a Competitive Society, Nuova York 1950, pp. 186-187.
28
Milton Friedman, Un programma di stabilità monetaria e reforma bancaria, tradotto in spagnolo da Enrique Mas
Montañés, pubblicato da Ediciones Deusto, Bilbao 1970, specialmente le pp. 104-115. L’edizione inglese fu pubblicata
da Fordham University Press, Nuova York 1959. Le idee di Friedman sul coefficiente del 100 per cento furono
pubblicate per la prima volta nel 1948 nel suo aricolo «A Monetary and Fiscal Framework for Economic Stability»,
American Economic Review, vol. 38, n.º 3 (1948), pp. 245-264.
29
Milton Friedman, op. cit., p. 104.
30
Friedman non menziona Mises che, quasi cinquanta anni prima, in tedesco, e venticinque anni prima, in inglese,
aveva già esposto in dettaglio la stessa teoria. Milton Friedman, op. cit., nota n.º 10 a p. 106. La proposta di Gary
Becker è stata pubblicata solo di recente: Gary S. Becker, «A Proposal for Free Banking», cap. II di Free Banking,
Volume III: Modern Theory and Policy, Lawrence H. White (ed.), Edward Elgar, Aldershot, 1993, pp. 20-25. Sebbene
Gary Becker possa essere facilmente classificato all’interno della moderna Scuola Neobancaria difenditrice della banca
libera con riserva frazionaria, egli riconosce che, in ogni caso, la proposta del 100 per cento sarebbe di gran lunga
superiore all’attuale sistema bancario e finanziario (p. 24). La critica di Rothbard a Milton Friedman si trova in «Milton
Friedman Unraveled», The Journal of Libertarian Studies, vol. 16, n.º 4, autunno 2002, pp. 37-54.
31
Irving Fisher si occupò anche degli aspetti giuridici del coefficiente di cassa del 100 per cento, affermando che in
questo sistema «demand deposits would literally be deposits, consisting of cash held in trust for the depositor ... the
check deposit department of the bank would become a mere storage warehouse for bearer money belonging to its
depositors». Irving Fisher, 100 Percent Money, op. cit., p. 10. Purtroppo, la teoria economica sottostante in Fisher era
quella monetarista, per cui non riuscì mai a comprendere in che modo l’espansione creditizia che causa la banca con
riserva frazionaria interessasse la struttura produttiva della società. Inoltre, Fisher propose di fissare uno standard
indicizzato e il mantenimento del controllo della politica monetaria da parte del governo, il che, come abbiamo visto,
motivò un’esatta critica da parte di Ludwig von Mises (Human Action, op. cit., pp. 442-443). In concreto, l’uso nella
sua analisi dell’equazione di scambio monetarista lo indusse a commettere importanti errori di analisi teorica e di
previsione economica, non rendendosi conto che la crescita dell’offerta monetaria, oltre agli affetti macroeconomici
previsti dalla sua formula, distorceva la struttura produttiva alimentando in modo inesorabile la crisi e la recessione.
Così, nella seconda metà degli anni Venti, Fisher pensava che l’espansione economica si sarebbe mantenuta
«indefinitamente», senza rendersi conto che essa aveva una base artificiale condannata al fallimento. Di fatto, la Grande
Depressione del 1929 lo prese completamente di sorpresa, essendo sul punto di rovinarsi completamente in essa. Sulla
curiosa personalità di questo economista americano si devono consultare le opere di Irving N. Fisher, My Father Irving
Fisher, A Reflection Book, Nuova York 1956, e la recente biografia di Robert Loring Allen, Irving Fisher: A
Biography, Blackwell Publishers, Cambridge, Massachusetts, 1993.
32
Come evidenzia Pascal Salin nel suo articolo su Maurice Allais, «Toute l’histoire monétaire montre que l’État a
refusé de respecter les règles monétaires et que la source ultime de l’inflation provient de ce défaut institutionnel».
Pascal Salin, «Maurice Allais: un économiste liberal?», op. cit., p. 11. Non possiamo, pertanto, confidare sul fatto che
una banca centrale più o meno influenzata dalla politica di ogni momento possa mantenere, anche qualora lo voglia, una
politica monetaria che renda immune la società dai mali dei cicli economici, anche qualora si stabilisca un coefficiente
di cassa del 100 per cento per la banca privata. Ciò è così perché nulla garantisce che la banca centrale non possa
finanziare direttamente le spese dello Stato o che, mediante prestiti alla banca o attraverso operazioni di mercato aperto,
non possa acquistare massicciamente titoli del debito pubblico e altri in Borsa, iniettando liquidità nel sistema attraverso
11
e simile a quella che, come abbiamo già visto, manifestano i moderni teorici della Scuola
Neobancaria difensori di una banca libera con riserva frazionaria, quando confidano nel fatto che i
meccanismi spontanei di liquidazione e compensazione interbancaria possano stabilire in ogni
circostanza un freno a un’espansione simultanea e concertata di una maggioranza di banche, e nel
non rendersi conto che, sebbene con maggiori limitazioni che nel presente, il sistema di banca libera
con riserva frazionaria non evita la creazione di strumenti fiduciari né, pertanto, rende immune il
mercato di fronte alle crisi economiche. Per questo, si deve concludere che l’unica soluzione
adeguata per raggiungere una società senza privilegi e cicli economici è quella di una banca libera
ma sottoposta al diritto, cioè, esercitata con un coefficiente di riserva del 100 per cento.33
La proposta di riforma del sistema bancario che si deduce logicamente dall’analisi realizzata in
questo libro consiste, da un lato, nel sottoporre le istituzioni relative al mercato finanziario ai
principi tradizionali del diritto e, d’altra parte, nel sopprimere gli organismi governativi che finora
sono stati dedicati a controllare e dirigere il sistema finanziario. Secondo noi, se si vuole ottenere un
sistema finanziario e monetario veramente stabile che renda immune nei limiti di ciò che è
umanamente possibile da crisi e recessioni le nostre economie, sarà necessario stabilire: 1) la
completa libertà di scelta della moneta; 2) il sistema di libertà bancaria e l’abolizione della banca
centrale; e 3) ciò che è più importante, che tutti gli agenti implicati nel sistema di libertà bancaria
siano sottomessi e adempiano, in generale, le norme e i principi tradizionali del diritto e, in
particolare, quell’importante principio secondo cui nessuno deve godere del privilegio di poter
prestare ciò che gli è stato depositato a vista: cioè, che è necessario mantenere in ogni momento un
sistema bancario con un coefficiente del 100 per cento di riserve. Di seguito, commenteremo con
maggior dettaglio ognuno degli elementi della nostra proposta.
Si tratta di privatizzare la moneta, eliminando l’intervento dello Stato e della banca centrale quanto
alla sua emissione e controllo del valore. Ciò esige di agire in deroga alle disposizioni del corso
legale che obbligano per forza tutti i cittadini ad accettare, anche contrariamente alla loro volontà,
come strumento di liberazione da tutti i pagamenti, l’unità monetaria emessa dallo Stato. La deroga
alle leggi di corso legale o forzoso è, pertanto, un elemento imprescindibile in ogni processo di
liberalizzazione del mercato finanziario. Questa «denazionalizzazione della moneta», nella
terminologia di Hayek, consentirebbe agli agenti economici, dotati di un’informazione molto
superiore di prima mano quanto alle loro circostanze particolari di tempo e luogo, di decidere in
ogni caso che tipo di unità monetaria sia per loro più conveniente usare nei loro contratti.
il mercato dei capitali, distorcendo temporaneamente il tasso di interesse e la struttura degli stadi produttivi della
società, mettendo così in moto meccanismi inesorabili del ciclo economico che causano una grave depressione. Questo
è un argomento prima facie contro il mantenimento della banca centrale e che consiglia che il ristabilimento dei principi
del diritto nella banca privata sia accompagnato da una completa liberalizzazione e dall’abolizione della banca centrale.
Il tradizionale interventismo della Scuola di Chicago è discusso in «Symposium: Chicago versus the Free Market», The
Journal of Libertarian Studies, vol. 16, n.º 4, autunno 2002.
33
Anche, da parte keynesiana, James Tobin, Premio Nobel per l’Economia nel 1981, ha proposto un sistema di «deposit
currency» che incorpora molti aspetti del Piano di Chicago a favore del 100 per cento di riserve. Cfr. il suo «Financial
Innovation and Deregulation in Perspective», Bank of Japan Monetary and Economic Studies, n.º 3, anno 1985, pp. 19-
29. Si vedano inoltre i commenti che Charles Goodhart fa alla proposta del coefficiente del 100 per cento di Tobin nel
suo The Evolution of Central Banks, op. cit., pp. 87 e ss. E più di recente Alex Hocker Pollock è tornato a difendere un
sistema un po’ simile al coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca nel suo articolo «Collateralized Money: An
Idea Whose Time Has Come Again?», Durrell Journal of Money and Banking, vol. V, n.º 1, marzo 1993, pp. 34-38. Il
principale inconveniente della proposta di Pollock è che considera che il coefficiente del 100 per cento debba
mantenersi, non in moneta, ma in attivi con un valore di mercato facilmente liquidabile.
12
Non è possibile teorizzare a priori sull’evoluzione futura della moneta. La nostra analisi teorica
deve, per forza, limitarsi a constatare che la moneta è un’istituzione che sorge in modo spontaneo,
così come il diritto, il linguaggio ed altre istituzioni giuridiche ed economiche, che comportano un
enorme volume di informazione e compaiono in modo evolutivo lungo un periodo molto esteso di
tempo, nel quale partecipano generazioni e generazioni di esseri umani. Inoltre, allo stesso modo di
ciò che avviene con la lingua, esiste una tendenza affinché predominino determinate istituzioni che
nel processo sociale di tentativo ed errore rendono evidente di adempiere meglio la loro funzione.
Solo il tentativo, nel corso del processo evolutivo e spontaneo del mercato, può far sì che
prevalgano le istituzioni più adeguate per la cooperazione sociale, senza che nessuna mente o
gruppo di menti umane disponga dell’intelligenza e dell’informazione necessarie a creare ex novo
questo tipo di istituzioni.
Queste riflessioni sono pienamente applicabili alla nascita ed all’evoluzione della moneta34, per cui
in questo campo dobbiamo essere particolarmente diffidenti riguardo alle proposte di creare una
moneta artificiale, anche se mostri di avere molti vantaggi.35
Non può, pertanto, la nostra proposta di libertà di scelta della moneta essere interpretata nel senso
che, nel processo di transizione verso questa che più avanti analizzeremo, si privatizzi la moneta
attualmente esistente di modo che non sia sostituendola con quella moneta che nel corso della storia
34
Sulla teoria della nascita in generale delle istituzioni e in particolare della moneta, si deve consultare Carl Menger,
Untersuchungen über die Methode der Socialwissenschaften und der Politischen Ökonomie insbesondere, Duncker &
Humblot, Lipsia 1883; e «On the Origin of Money», Economic Journal, giugno del 1892, pp. 239-255 (traduzione
italiana, «L’origine del denaro», Sul metodo delle scienze sociali, Liberilibri, Macerata 1996, pp. 158-162; traduzione
spagnola, «Del origen del dinero», La economía en sus textos, Julio Segura e Carlos Rodríguez Braun (ed.), Taurus,
Madrid 1998, pp. 200-220). Ugualmente è necessario ricordare il teorema regressivo della moneta enunciato da Ludwig
von Mises e secondo il quale, il prezzo o potere d’acquisto della moneta è determinato dalla sua offerta e domanda,
essendo, a sua volta, quest’ultima determinata non dal potere d’acquisto di oggi, ma dalla conoscenza che si formò
l’agente sul potere d’acquisto che la moneta aveva il giorno precedente. A sua volta, il potere d’acquisto del giorno
precedente viene determinato da una domanda di moneta che si forma sulla base della conoscenza che si aveva riguardo
al suo potere d’acquisto del giorno ancora precedente; e, così, successivamente fino ad arrivare a quel momento della
storia nel quale, per la prima volta, un determinato bene iniziò ad essere domandato come strumento di scambio. Questo
teorema, pertanto, riprende la stessa scoperta di Menger sulla genesi ed evoluzione spontanea della moneta, ma
applicata indietro nel tempo. Il teorema regressivo di Mises ha un’importanza fondamentale in ogni progetto di riforma
del sistema monetario e spiega perché in questo campo non possano verificarsi «salti nel vuoto», con la pretesa di
introdurre ex novo sistemi monetari che non siano il risultato dell’evoluzione e che sarebbero, così come è avvenuto con
l’esperanto, in relazione al linguaggio, irrimediabilmente condannati al fallimento. Sul teorema regressivo della moneta,
si deve consultare Ludwig von Mises, Human Action, op. cit., pp. 409-410, 425 e 610. Non si può neanche accettare la
proposta del mio amico J.P. Centi di introdurre una costellazione di monete private di tipo «elettronico» in
competizione fra loro nel contesto (caotico) di tassi di cambio flessibili. Questa proposta ignora i fondamenti del
teorema regressivo della moneta, confonde la moneta (merce fiduciaria) con il procedimento utilizzato per trasferirlo
(assegni cartacei, carte di plastica) e, inoltre, ignora il risultato dell’evoluzione storica dell’umanità nell’ambito
monetario a favore dell’oro. Cfr. J.P. Centi, «Toward Fiat Private Competitive Moneys», in Austrian Economics Today
I, The International Library of Austrian Economics, K.R. Leube (ed.), vol. 7, FAZ Buch, Francoforte 2003, pp. 89-104.
Si veda, inoltre, la prossima nota 103.
35
La proposta più conosciuta sulla denazionalizzazione della moneta la fece F.A. Hayek nel 1976 nel suo
Denationalisation of Money: Analysis of the Theory and Practice of Concurrent Currencies, Institute of Economic
Affairs, Londra 1976 (2ª edizione del 1978); esiste una edizione spagnola pubblicata da Unión Editorial che è già stata
citata (Traduzione italiana già citata). Le velleità di Hayek a favore di standard monetari di tipo artificiale erano iniziate,
tuttavia, trenta anni prima: «A
Commodity Reserve Currency», Economic Journal, LIII, n.º 210, giugno-settembre 1943, pp. 176-184 (incluso come
cap. X di Individualism and Economic Order, op. cit., pp. 209-219). Anche se riteniamo corretta l’analisi mengeriana
che fa Hayek sull’evoluzione delle istituzioni e quanto importante sarebbe permettere anche, nel campo monetario, la
sperimentazione privata propria dei mercati, riteniamo lamentevole che Hayek, in ultima istanza, abbia proposto uno
standard completamente artificiale come nuova unità monetaria, costituito da un paniere di diverse merci. Sebbene la
proposta di Hayek si possa interpretare come un procedimento per tornare alla moneta tradizionale (gold standard puro
con un coefficiente di riserve del 100 per cento), è indubbio che Hayek si sia guadagnato le critiche di «scientista» e
«costruttivista» di quegli economisti austriaci che hanno giudicato molto severamente le sue proposte, fra i quali
emergono Murray N. Rothbard, Hans-Hermann Hoppe e Joseph T. Salerno, «Mises and Hayek Dehomogenized», op.
cit. Le stesse critiche sono applicabili a Leland B. Yeager, «The Perils of base money», op. cit., p. 262.
13
e in modo evolutivo, di generazione in generazione, è venuta a prevalere: l’oro.36 Infatti, non ha
senso cercare di introdurre di colpo una nuova unità monetaria facendo tabula rasa dei mille anni di
evoluzione in cui in modo spontaneo l’oro ha prevalso come moneta. E inoltre, in accordo con il
teorema regressivo della moneta, tal cosa sarebbe impossibile, in quanto nessuna moneta può essere
usata in una società come mezzo di scambio generalmente accettata se non si appoggia su un
processo storico molto lungo che ha la sua origine nell’uso industriale o commerciale che il bene in
questione ebbe all’inizio (così come avvenne in relazione all’oro e all’argento). La nostra proposta,
pertanto, si basa sulla privatizzazione della moneta attuale, sostituendola col suo equivalente
metallico in oro, e lasciando che il mercato riprenda la sua libera evoluzione a partire dal
momento della transizione, o confermando l’oro come moneta generalmente accettata, oppure
facendo entrare in modo spontaneo e graduale altri standard monetari.37
Con questa seconda proposta vogliamo indicare che è necessario agire in deroga alla legislazione
bancaria ed eliminare le banche centrali e, in generale, qualsiasi organismo governativo dedito a
controllare e intervenire nel mercato finanziario o bancario. Le imprese bancarie devono potersi
stabilire in completa libertà, tanto per ciò che si riferisce al loro obiettivo sociale come alla loro
forma giuridica. Come aveva già messo in evidenza il nostro grande Laureano Figuerola y Ballester
nel 1869, è necessario lasciare «la scelta delle forme bancarie all’interesse individuale, che saprà
selezionare le migliori, secondo le condizioni e circostanze di tempo e luogo».38 Orbene, la difesa
della libertà bancaria non implica l’ammissione che le banche possano esercitare la loro attività con
un coefficiente di riserva frazionaria. A questo punto dovrebbe essere completamente chiaro che
l’esercizio dell’attività bancaria deve essere sottoposto ai principi tradizionali del diritto e che questi
esigono il mantenimento, in ogni momento, di un coefficiente di riserva del 100 per cento in
relazione ai depositi realizzati a vista nelle banche. L’inadempimento di questa norma non deve,
pertanto, rifugiarsi nella libertà bancaria, in quanto implica non solo la violazione di un principio
tradizionale del diritto, ma inoltre una serie di conseguenze a catena molto negative per l’economia,
Gli aspetti giuridici ed economici sono intimamente connessi, e non è possibile violare
impunemente i principi giuridici e morali senza che si producano gravi conseguenze dannose nel
processo spontaneo di cooperazione sociale. Perciò, la libertà bancaria non deve avere altro limite
oltre quello stabilito dalla cornice dei principi generali del diritto, e in ciò consiste esattamente il
terzo elemento essenziale della nostra proposta che analizzeremo adesso.39
36
Se si preferisce, si può considerare anche l’argento come standard metallico di carattere complementario o parallelo,
che potrebbe coesistere con l’oro se così lo desiderano gli agenti economici, al tasso di cambio fluttuante con l’oro che,
in ogni momento, determinasse il mercato. È necessario riconoscere, inoltre, che la scomparsa dell’uso monetario
dell’argento fu accelerata dalla fissazione da parte dei governi del secolo XIX di tassi di cambio fissi fra l’oro e
l’argento che sottovalutavano artificialmente quest’ultimo. Cfr. Murray N. Rothbard, Man, Economy and State, op. cit.,
pp. 724-726.
37
Il gold standard che proponiamo non ha nulla a che vedere con il gold standard classico che è stato utilizzato fino agli
anni Trenta del secolo XX e che si basa sull’esistenza di banche centrali e su di un sistema bancario con un coefficiente
di riserva frazionario, o come ben vede Milton Friedman, «a real honest-to-God gold standard ... would be one in which
gold was literally money and money literally gold, under which transactions would literally be made in terms either of
the yellow metal itself, or of pieces of paper that were 100 percent warehouse certificates for gold.» Milton Friedman,
«Has Gold Lost its Monetary Role?», in Milton Friedman in South Africa, Meyer Feldberg, Kate Jowel e Stephen
Mulholland (ed.), Graduate School of Business of the University of Capetown, Johannesburg 1976. Sulla teoria
economica dell’oro si deve consultare il cap. VIII intitolato «The Theory of Commodity Money: Economics of a Pure
Gold Standard» del libro di Mark Skousen The Structure of Production, op. cit., pp. 265-281.
38
Laureano Figuerola, Escritos económicos, edizione e studio preliminare di Francisco Cabrillo Rodríguez, Instituto de
Estudios Fiscales, Madrid 1991, p. 268. Quest’affermazione, che nemmeno gli stessi Mises e Hayek potrebbero aver
espresso in modo più corretto e preciso, si trova inclusa nella memoria che Laureano Figuerola presentò alle Cortes
Constituyentes il 22 febbraio del 1869.
39
Si tratta, insomma, di sostituire l’attuale caos di legislazione amministrativa sul controllo e la disciplina degli enti del
credito con dei semplici articoli stabiliti nei codici penale e mercantile. Così, in riferimento al caso spagnolo, potrebbe
14
(c) Assoggettamento di tutti gli agenti implicati nel sistema di libertà bancaria alle norme e
principi tradizionali del diritto e, in particolare, al coefficiente del 100 per cento di riserva per
i depositi a vista
Poco possiamo qui aggiungere in relazione alla proposta di stabilire il coefficiente di riserva del 100
per cento per la banca. Tutta l’analisi di questo libro è dedicata a giustificare questo terzo elemento
della nostra proposta, che si trova intimamente e logicamente unito agli altri due. Infatti, l’unico
modo di eliminare l’organismo centrale di pianificazione statale in relazione alla moneta e al
sistema finanziario (banca centrale) consiste nel permettere che la società ritorni ad usare quella
moneta privata che in modo evolutivo è sorta nel corso della storia (l’oro e, in minor misura,
l’argento). Ugualmente, un’economia di mercato libera può funzionare solo basandosi su una
cornice costituita dalle norme del diritto materiale che, applicate al caso della banca, esigono la
creazione di un sistema bancario completamente libero, ma in cui nei contratti di deposito a vista si
rispetti sempre il principio di mantenere un coefficiente di cassa del 100 per cento.
La combinazione dei tre elementi precedenti costituisce il nucleo essenziale di una proposta per
riformare definitivamente e privatizzare il sistema monetario e bancario moderno, liberandolo dalle
travi che oggi lo perturbano, e specialmente dall’intervento della banca centrale e dai privilegi che
lo Stato ha concesso agli agenti più importanti del settore finanziario. Con questa riforma si
renderebbe possibile lo sviluppo di istituzioni bancarie veramente in accordo con l’economia di
mercato, che faciliterebbero l’accumulazione di capitale bene investito e lo sviluppo economico,
evitando i dissesti e le crisi ai quali il sistema attuale, fortemente regolamentato e centralizzato, dà
luogo.
essere abrogata tutta la legislazione bancaria e sostituita con nuovi articoli 180 e 182 del Codice del Commercio il cui
testo potrebbe essere il seguente (scriviamo in corsivo quello che è diverso dall’attuale redazione):
Articolo 180: «Le banche conserveranno in moneta nelle loro casse la totalità dell’importo dei depositi e conti correnti
e dei biglietti in circolazione.»
Articolo 182: «L’importo dei biglietti in circolazione, insieme alla somma rappresentata dai depositi e conti correnti,
non potrà eccedere, in nessun caso, l’importo della riserva monetaria di cui disponga ogni banca in ogni momento»
(scompare «la postilla» che esiste nel vigente art. 182 e che all’importo della riserva monetaria aggiunge quella de «i
valori in portafoglio realizzabili in un termine massimo di 90 giorni»).
Non è necessario fare riferimento nei nostri articoli del Codice del Commercio alle operazioni realizzate in frode della
legge per mascherare un vero contratto di deposito (operazioni con patto di riacquisto, con opzioni put americane, ecc.),
in quanto esse, per la stessa tecnica giuridica della dottrina della frode della legge, sarebbero nulle di pieno diritto.
Tuttavia, col fine di evitare la possibilità che qualche operazione finanziaria finisse col convertirsi in moneta prima
della sua dichiarazione giuridica di nullità, converrebbe aggiungere all’articolo 180 quanto segue: «Lo stesso obbligo
deve essere adempiuto da tutte quelle persone fisiche e giuridiche che, in frode della legge, realizzino negozi giuridici
che nascondano un vero contratto di deposito di moneta.»
Per quanto concerne il Codice Penale, le riforme da realizzare nel caso spagnolo sarebbero molto ridotte.
Ciononostante, col fine di chiarire ancor meglio il contenuto dell’articolo 252 del nuovo Codice Penale e renderlo
conforme alla redazione che proponiamo per gli articoli 180 e 182, quello dovrebbe esser redatto nel seguente modo:
Articolo 252: «Saranno puniti con le pene previste coloro che a danno di altri si approprino o sottraggano moneta,
effetti o qualsiasi altro mobile o attivo patrimoniale che avesse ricevuto in deposito, deposito irregolare o bancario di
moneta, commissione o amministrazione o a qualsiasi altro titolo simile che produca l’obbligo di consegnarli o
restituirli, o negassero di averli ricevuti… Detta pena sarà imposta nella sua metà superiore nel caso di deposito
necessario o miserabile, deposito irregolare o bancario di moneta o qualsiasi altro negozio che occulti, in frode della
legge, la realizzazione di un deposito irregolare di moneta.»
Queste semplici modifiche nel Codice Mercantile e in quello Penale peremetterebbero di abrogare tutta la legislazione
di controllo bancario che attualmente esiste nel nostro paese, sottoponendo ai tribunali ordinari della Giustizia la
valutazione delle condotte individuali che potessero essere sospettate di incorrere in alcune delle proibizioni menzionate
(con tutte le garanzie, come è logico, proprie di uno Stato di Diritto e che oggi sono palesemente assenti in gran parte
degli atti amministrativi di controllo bancario).
15
Seguendo Israel M. Kirzner, possiamo affermare che è impossibile giungere a sapere oggi la
conoscenza e le istituzioni che in modo spontaneo creeranno liberamente gli imprenditori che
partecipino al sistema finanziario e bancario del futuro se possono agire senza subire nessun tipo di
costrizione istituzionale proveniente dallo Stato e sottoposti, semplicemente, alla cornice
istituzionale di norme in senso materiale che esige il funzionamento di ogni mercato. La più
importante di tutte queste nell’ambito bancario è, come già sappiamo, il principio del coefficiente di
riserva del 100 per cento.40
Nonostante quanto detto in precedenza, possiamo intuire con F.A. Hayek41 lo sviluppo spontaneo
di un conglomerato di società e fondi di investimento (mutual fund banking)42 dove si
investirebbero una parte degli attuali «depositi». Questi fondi di investimento sarebbero dotati,
grazie all’esistenza di importanti mercati secondari, di grande liquidità, ma non darebbero ai loro
partecipanti, come è logico, la garanzia di ricevere in ogni momento il valore nominale dei loro
apporti. Questo sarebbe sottoposto, così come qualsiasi altro titolo nel mercato secondario dei
valori, all’evoluzione del valore di mercato delle corrispondenti partecipazioni. Di modo che un
immediato cambiamento (d’altra parte poco probabile) nel tasso sociale di preferenza
intertemporale darebbe luogo a oscillazioni generalizzate, in più o in meno, del valore delle
menzionate partecipazioni. Queste variazioni di valore riguarderebbero solo i possessori delle
corrispondenti partecipazioni e non, come avviene adesso, tutti i cittadini che sperimentano, di anno
in anno, una significativa diminuzione del potere d’acquisto delle unità monetarie di origine statale
che sono obbligati ad usare.
Insieme a questo sistema generalizzato di fondi di investimento, è molto probabile che si sviluppi
tutta una rete di entità dedite a fornire servizi di pagamento, di trasferimenti, di contabilità, e in
generale servizi di cassa per i loro clienti, che opererebbero in regime di libera concorrenza e
riscuotendo per la prestazione dei loro servizi i corrispondenti prezzi di mercato.
E infine, e senza alcuna connessione con il credito, si deve comprendere lo sviluppo di una serie di
entità private dedite all’estrazione, disegno e offerta delle diverse monete private, guadagnando
anche un margine di profitto (sicuramente piccolo) per la prestazione dei loro servizi. Diciamo
«estrazione» perché non abbiamo alcun dubbio che, in un contesto di completa libertà, dovrà
sempre prevalere una moneta di tipo metallico che, almeno, riunisca le caratteristiche essenziali che
sinora soltanto l’oro ha offerto, cioè: immutabilità, grande omogeneità e, soprattutto, scarsità, in
quanto la moneta adempie tanto meglio la sua funzione quanto più sia scarsa e più difficile risulti
40
«We are not able to chart the future of capitalism in any specificity. Our reason for this incapability is precisely that
which assures us the economic future of capitalism will be one of progress and advance. The circumstance that
precludes our viewing the future of capitalism as a determinate one is the very circumstance in which, with
entrepreneurship at work, we are no longer confined by any scarcity framework. It is therefore the very absence of this
element of determinacy and predictability that, paradoxically, permits us to feel confidence in the long-run vitality and
progress of the economy under capitalism. » Israel M. Kirzner, Discovery and the Capitalist Process, The University of
Chicago Press, Chicago e Londra 1985, p. 168.
41
F.A. Hayek, Denationalization of Money: The Argument Refined, 2.ª edizione ampliata, Institute of Economic
Affairs, Londra 1978, pp. 119-120.
42
Sullo sviluppo di questa rete di fondi di investimento mobiliare (mutual fund banking), si deve consultare l’articolo di
Joseph T. Salerno «Gold Standards: True and False», pubblicato in The Cato Journal, vol. III, n.º 1, primavera 1986, e
specialmente le sue pp. 257-258. Non è corretta la valutazione secondo cui la partecipazione in questi fondi finirebbe
col convertirsi in moneta, in quanto questi non sono altro che titoli di partecipazione nel mercato mobiliare e non
garantirebbero la possibilità di recuperare il valore nominale degli investimenti effettuati, che sarebbero sempre soggetti
all’evoluzione del prezzo delle corrispondenti obbligazioni e/o azioni. Cioè, nonostante la grande liquidità che
potrebbero riuscire ad ottenere, essa non sarebbe né immediata né si riferirebbe al valore nominale che per definizione
hanno le unità monetarie. Infatti, ogni persona che avesse bisogno di liquidità sarebbe obbligata a trovare nel mercato
un’altra persona che fosse disposta a fornirgliela pagando in oro il valore di mercato delle corrispondenti partecipazioni
nel fondo di investimento che si desiderasse vendere. I fondi di investimento non possono garantire, pertanto, né il
valore del capitale investito acquistando la partecipazione, né il tasso di interesse dell’inestimento. E se si «garantisce»
la sua liquidità, è solo nel senso che è relativamente facile vendere le partecipazioni del fondo nel mercato (sebbene non
esista neanche alcuna garanzia giuridica che la vendita possa essere portata a termine in ogni circostanza né ancor meno
un prezzo determinato).
16
che si verifichino aumenti o diminuzioni significativi del suo volume a scadenze relativamente
brevi di tempo.43
Studieremo in questa sezione i vantaggi comparativi principali che un sistema bancario libero
sottoposto al diritto, con un coefficiente di cassa del 100 per cento, e usando una moneta
completamente privata (oro), possiede di fronte al sistema di pianificazione centrale finanziaria
(banca centrale) che attualmente controlla il sistema bancario e finanziario di tutti i paesi.
1. Il sistema proposto evita le crisi bancarie. – Effettivamente, finanche i difensori più importanti
del sistema con banca libera con riserva frazionaria hanno riconosciuto che la fissazione di un
coefficiente di cassa del 100 per cento porrebbe fine alle crisi bancarie.44 Infatti, le crisi delle
banche risultano dalla inerente mancanza di liquidità di queste istituzioni quando esercitano la loro
attività disponendo sotto forma di prestiti della maggior parte della moneta che è stata depositata a
vista in esse. Se si esige, in accordo con i principi tradizionali del diritto in merito al deposito
irregolare, che colui che riceva moneta in deposito mantenga in ogni momento un tantundem
equivalente al 100 per cento della moneta ricevuta, è evidente che i depositanti potranno ritirare in
ogni momento l’importo depositato senza sottoporre ad alcuna tensione finanziaria le corrispondenti
banche.
Quindi è possibile che le banche, nell’esercizio di altre attività distinte da quella della banca di
deposito, per esempio, agendo come intermediari dei prestiti, possano arrivare ad avere problemi
economici, come conseguenza di errori imprenditoriali o di una cattiva gestione. Orbene, in questi
casi sarà sufficiente la semplice applicazione dei principi del diritto concorsuale45 per liquidare
ordinatamente questo tipo di operazioni bancarie, senza danneggiare in nulla la garanzia di
restituzione dei depositi ricevuti a vista. Questo secondo tipo di «crisi» bancarie non ha nulla a che
vedere né qualitativamente né quantitativamente, dal punto di vista giuridico ed economico, con le
tradizionali crisi che hanno colpito le banche da quando hanno iniziato ad operare con un
coefficiente di riserva frazionaria e la cui unica possibilità di evitarle si radica, precisamente, nel
porre termine a questo tipo di attività.
2. Il sistema proposto evita le crisi economiche di carattere ciclico. – Come abbiamo visto
teoricamente e storicamente, i cicli successivi di espansione artificiale e recessione economica
interessano le economie di mercato da quando le banche iniziarono ad agire con un coefficiente di
riserva frazionaria, e in modo ancor più profondo quando iniziarono a farlo legalmente dopo aver
ottenuto il corrispondente privilegio dal governo e, soprattutto, quando fu creata la banca centrale
come prestatrice di ultima istanza per fornire al sistema la liquidità necessaria nei momenti di
difficoltà. Infatti, anche se la banca centrale ha ridotto la comparsa di crisi bancarie, tuttavia non è
stata capace di porre termine alle recessioni economiche che, al contrario, in molti casi sono
diventate più gravi e profonde.
Un sistema bancario in accordo con i principi tradizionali del diritto di proprietà (coefficiente di
cassa del 100 per cento) renderebbe immuni le nostre società da crisi economiche di carattere
ricorrente. Infatti, in queste circostanze non sarebbe possibile che si producesse un’espansione
artificiale del credito senza che, previamente, si fosse verificata una crescita parallela del risparmio
volontario e reale della società. In queste condizioni, non è possibile concepire che si produca una
43
Non è, pertanto, un capriccio della storia il fatto che l’oro abbia finito col prevalere in un contesto di libertà come
moneta generalmente accettata, in quanto riunisce le caratteristiche essenziali che, dal punto di vista dei principi
generali del diritto e della teoria economica, deve avere uno strumento di scambio generalmente accettato. In questo
campo, come in molti altri, (famiglia, diritto di proprietà, ecc.), la teoria economica ha confermato i risultati spontanei
del processo di evoluzione sociale.
44
Fra gli altri, George A. Selgin per il quale «a 100-percent reserve banking crisis is an impossibility». George A.
Selgin, «Are Banking Crises a Free-Market Phenomenon?», op. cit., p. 2.
45
Si veda Francisco Cabrillo, Quiebra y liquidación de empresas: un análisis económico del derecho español, Unión
Editorial, Madrid 1989.
17
distorsione della struttura produttiva, risultato dello scoordinamento fra il comportamento degli
agenti economici che investono e quello di coloro che risparmiano. La migliore garanzia per evitare
i dissesti intertemporali nella struttura produttiva è l’adempimento dei principi tradizionali del
diritto che sono insiti alla logica più intima delle istituzioni relative al contratto di deposito
irregolare e al diritto di proprietà.46
È chiaro che, in contrasto con ciò che credevano i teorici della Scuola di Chicago (che difendevano
il coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca), l’obiettivo di porre termine alle crisi e
recessioni economiche esige, inoltre, la privatizzazione completa della moneta (gold standard puro).
Ciò è così perché se si mantiene la banca centrale come istituzione responsabile dell’emissione di
una moneta puramente fiduciaria, non potrebbe mai garantirsi che questa istituzione, mediante
operazioni di mercato aperto nelle Borse valori, non potesse riuscire a ridurre temporaneamente e
artificialmente i tassi di interesse e a iniettare nei mercati di capitale una liquidità artificiale che, alla
fine, avrebbe esattamente gli stessi effetti di scoordinamento sulla struttura produttiva di
un’espansione creditizia iniziata dalla banca privata senza copertura di risparmio reale.47 Infatti i
principali teorici della Scuola di Chicago che difesero il 100 per cento di riserve (Simons, Mints,
Fisher, Hart e Friedman), lo fecero col fine primordiale di facilitare la politica monetaria ed evitare
le crisi bancarie (punto 1 precedente), ma senza essere consapevoli, per colpa degli strumenti
analitici di tipo macroeconomico monetarista che utilizzavano, che ancor più gravi delle crisi
bancarie erano le crisi di natura ciclica ed economica che sulla struttura produttiva reale produceva
il sistema bancario con riserva frazionaria. Solo l’abolizione completa degli strumenti di corso
legale o forzoso e una completa privatizzazione della moneta statale attualmente esistente potrà
evitare che istituzioni di natura governativa provochino cicli economici quantunque si esiga un
coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca privata.
Infine, è necessario riconoscere che il sistema proposto non riuscirebbe ad evitare la totalità delle
crisi e recessioni economiche. Solo i cicli ricorrenti di espansione e depressione che attualmente
patiamo (e che costituiscono in numero e gravità l’immensa maggioranza) potrebbero essere
eliminati mediante questo sistema. Continuerebbero a non potere essere evitate quelle crisi isolate e
puntuali che ebbero origine, per esempio, in guerre, catastrofi naturali e fenomeni simili che,
riguardando immediatamente la fiducia degli agenti economici e le loro valutazioni di preferenza
intertemporale, diedero luogo a shocks sulla struttura produttiva che richiesero importanti e dolorosi
riassestamenti. Tuttavia, non dobbiamo lasciarci ingannare pensando, come fa un settore della
dottrina (fondamentalmente i teorici della cosiddetta «nuova macroeconomia classica»), che tutte le
crisi economiche siano dovute all’esistenza di shocks esterni, senza essere capaci di riconoscere
come la maggioranza di esse possiedano un’origine endogena autoalimentata, esattamente
dall’espansione creditizia prodotta dal settore bancario e orchestrata dalle banche centrali. In
assenza di questo effetto perturbatore sul credito, il numero di shocks sarebbe ridotto a un minimo,
non solo a causa della scomparsa della causa principale dell’instabilità che riguarda le nostre
economie, ma inoltre perché, come commenteremo in seguito, disciplinando molto di più il
comportamento fiscale dei governi, il sistema proposto farebbe abortire in tempo molte politiche
generatrici di irresponsabilità finanziaria, e anche di violenze, conflitti e guerre che, in ultima
istanza, sono anche, senza dubbio, responsabili della comparsa puntuale di shocks esterni che
colpiscono molto negativamente l’economia.
46
Una corretta definizione del diritto di proprietà in relazione al contratto bancario di deposito di moneta (coefficiente
di cassa del 100 per cento) e un’adeguata ed esigente difesa di tale diritto è, pertanto, l’unico requisito per raggiungere
un «sistema monetario stabile», obiettivo che lo stesso papa Giovanni Paolo II ritiene che sia una delle responsabilità
essenziali dello Stato nell’economia. Si veda Giovanni Paolo II, Centesimus annus: nel centenario della «Rerum
novarum», Promoción Popular Cristiana, Madrid 1991, p. 90. Nello stesso testo Giovanni Paolo II sostiene che
l’economia di mercato «non può svilupparsi in mezzo al vuoto istituzionale, giuridico e politico», in perfetta
consonanza con l’esigenza che abbiamo difuso in questo libro quanto all’applicazione dei principi giuridici al campo
concreto del contratto di deposito bancario di moneta.
47
Si verifica anche, come già sappiamo, che il governo scoordini in modo orizzontale (intratemporale) la struttura
produttiva nel caso in cui finanzi una parte delle sue spese con l’emissione di nuovi strumenti di pagamento.
18
3. Il sistema proposto è quello più conforme al diritto di proprietà. – La fissazione di un
coefficiente di riserva del 100 per cento nei contratti di deposito a vista realizzati con la banca
cancella il peccato originale che aveva viziato giuridicamente la nascita di questa istituzione. Come
abbiamo visto nel nostro studio storico sull’evoluzione della banca, i governi sono responsabili, in
un primo momento, di aver sottovalutato il carattere fraudolento della banca con riserva frazionaria
e, in un secondo momento, quando si resero conto meglio degli effetti del sistema, invece di aver
definito e difeso adeguatamente i principi tradizionali del diritto di proprietà, di essersi convertiti in
complici e poi in principali promotori dei corrispondenti processi espansivi, sempre con l’obiettivo
di ottenere un finanziamento più facile per i loro progetti politici. L’evoluzione dell’istituzione al
margine dei principi giuridici ha prodotto solo risultati negativi: ha indotto a commettere ogni tipo
di comportamenti fraudolenti e irresponsabili; ha generato espansioni creditizie artificiali e, in modo
ricorrente, recessioni economiche e crisi sociali molto dannose; e, in ultima istanza, ha reso
inevitabile la comparsa della banca centrale e di tutto un groviglio di regolamentazioni
amministrative su temi finanziari e bancari che non sono riusciti ad ottenere i loro obiettivi e che
sorprendentemente ancor oggi, nel XXI secolo, continua ad agire in modo destabilizzante sulle
economie del mondo.
4. Il modello proposto favorisce la crescita economica stabile e sostenuta, che riduce al massimo
le tensioni e i costi di transazione lavorativi e di altro tipo relativi allo sviluppo economico. – Più di
novanta anni di inflazione cronica mondiale ed espansione creditizia continua e in molti periodi
completamente fuori controllo hanno corrotto le abitudini di comportamento degli agenti
economici, di modo che, oggigiorno, la maggioranza pensa che l’inflazione e l’espansione creditizia
siano necessarie per stimolare lo sviluppo economico. Inoltre, si è diffusa l’opinione che quando
un’economia non sperimenta un boom economico è perché si trova in una situazione di
«stagnazione». Non si riconosce che le espansioni economiche rapide ed esagerate sono sempre
sospette di possedere una causa artificiale e che dovranno invertirsi inevitabilmente sotto forma di
una recessione. Insomma, ci siamo abituati a vivere in economie maniaco-depressive e abbiamo
adattato il nostro comportamento a uno schema instabile e perturbatore di sviluppo economico.
Tuttavia, dietro la riforma proposta, questo modello «maniaco-depressivo» di sviluppo economico
sarebbe sostituito da un altro molto più stabile e sostenuto. Infatti, non solo si eviterebbero le
espansioni artificiali, con lo stress che comportano ad ogni livello (economico, ambientale, sociale e
personale) ma si eviterebbero anche le ineludibili recessioni che giungono dopo ogni espansione.
Nel modello proposto, il sistema monetario sarebbe rigido e inelastico, sia per ciò che si riferisce
alla crescita della quantità di moneta in circolazione sia, soprattutto, per quanto riguarda le sue
possibili diminuzioni o contrazioni. Infatti, il coefficiente di cassa del 100 per cento impedirebbe
l’aumento espansivo dell’offerta monetaria sotto forma di crediti e questa aumenterebbe solo in
modo naturale, per l’ammontare in cui aumentasse ogni anno lo stock di oro. Lo stock annuale di
oro è aumentato ad una media situata tra l’1 e il 3 per cento all’anno negli ultimi cento anni.48
Pertanto, il modello di crescita economica, con un sistema monetario fondato sul gold standard puro
e un coefficiente del 100 per cento per la banca, darebbe luogo a una leggera e costante riduzione
48
Si veda Mark Skousen, «The Theory of Commodity Money: Economics of a Pure Gold Standard», in The Structure
of Production, op. cit., pp. 269-271. Skousen spiega, ugualmente, come, dato il carattere immutabile dell’oro, il suo
stock mondiale, accumulato nel corso della storia, non si riduce ma può solo aumentare, per cui, a parità di circostanze,
uno stesso volume di produzione mondiale di oro dà luogo a una crescita dell’offerta monetaria sempre più ridotta in
percentuale. Tuttavia, tale circostanza è compensata dai miglioramenti e dalle innovazioni tecnologiche nel settore
dell’estrazione, che fanno sì che il volume mondiale dell’oro sia cresciuto dall’anno 1910 a una media situata fra l’1 e il
3 per cento all’anno. Mises, da parte sua, indica che la crescita annuale dello stock mondiale di oro tende ad adeguarsi
all’aumento graduale e secolare della domanda di moneta che risulta dall’aumento della popolazione. Pertanto, se
questa cresce dall’1 al 3 per cento (ritmo simile a quello dell’aumento dell’oro), la diminuzione del livello dei prezzi
sarebbe intorno al 3 per cento e gli interssi nominali oscillerebbero tra lo 0,25 e l’1 per cento. (supponendo un aumento
medio della produttività generale dell’economia del 3 per cento). Cfr. Human Action, op. cit., pp. 414-415. Mises non
menziona il fatto che una sana deflazione secolare prodotta dall’aumento della produttività tenda a che si produca,
ceteris paribus, una graduale diminuzione della domanda di moneta che fa sì che le riduzioni nominali del tasso di
interesse non siano così accentuate.
19
nei prezzi dei beni e servizi di consumo, che non solo è perfettamente compatibile, dal punto di vista
teorico e pratico, con uno sviluppo continuo e sostenuto dell’economia, ma garantirebbe anche che
i suoi frutti favorissero tutti i cittadini sotto forma di un aumento costante del potere di acquisto
delle loro unità monetarie.49
Questo modello di aumento della produttività e sviluppo economico con un’offerta monetaria che
aumenta a un ritmo ridotto (intorno all’1 per cento) genera attraverso una diminuzione dei prezzi
(supponendo un aumento della produttività del 3 per cento e un aumento della massa monetaria
dell’1 per cento, i prezzi tenderanno a ridursi intorno al 2 per cento all’anno) un aumento dei redditi
reali dei fattori di produzione e specialmente dei salari, che ridurrebbe enormemente i costi di
transazione che attualmente derivano dalla negoziazione collettiva. In questo modello si
attualizzerebbero in modo automatico i redditi reali di tutti i fattori, e specialmente quelli dei
lavoratori, potendo così essere eliminata la negoziazione collettiva, che attualmente genera tante
tensioni e conflitti nelle economie occidentali. Infatti, questa si ridurrebbe a quei casi specifici in
cui, per esempio, producendosi un maggiore aumento della produttività o del prezzo di mercato dei
corrispondenti servizi del lavoro, fosse necessario negoziare incrementi ancora maggiori di quelli
che si produrrebbero ogni anno nei redditi reali quando diminuisce il livello generale dei prezzi. E
in questi casi non sarebbe nemmeno necessario l’intervento dei sindacati (sebbene ciò non si
escluda), in quanto le stesse forze del mercato, mosse dal desiderio imprenditoriale di ottenere
profitti, darebbero luogo in modo spontaneo agli aumenti dei redditi che in termini relativi fossero
giustificati. Di modo che, nella pratica, la negoziazione collettiva sarebbe limitata a quei casi isolati
nei quali, verificandosi un aumento della produttività inferiore alla media, fosse necessario
effettuare delle riduzioni dei salari nominali (in ogni caso, generalmente sempre inferiori alla caduta
del livello generale dei prezzi).50
Infine, è necessario menzionare che la principale virtù del carattere rigido del sistema monetario
proposto consiste nel rendere impossibile che si producano contrazioni o diminuzioni repentine
dell’offerta monetaria, così come inevitabilmente si verificano adesso nella fase recessiva del ciclo
economico che segue ogni espansione. Pertanto, forse il vantaggio più importante della riforma
proposta consiste nell’eliminazione radicale delle fasi di contrazione creditizia che si produce
sempre dopo i booms e che è una delle manifestazioni più importanti delle crisi economiche che in
modo ricorrente colpiscono le nostre economie. Lo stock mondiale di oro è immutabile e si è andato
accumulando nel corso della storia della civiltà, per cui non è possibile pensare che il suo volume si
riduca immediatamente e significativamente in qualche momento futuro. Infatti, una delle
caratteristiche più importanti dell’oro e che forse ha influito nel momento del suo prevalere
evolutivamente come moneta per eccellenza, è la sua omogeneità, immutabilità e permanenza nel
49
George A. Selgin ha diffuso di recente la tesi che la migliore regola di politica monetaria consista nel lasciare che il
livello generale dei prezzi cada in consonanza con l’aumento della produttività nel suo libro Less Than Zero: The Case
for a Falling Price Level in a Growing Economy, Institute of Economic Affairs (I.E.A.), Hobart Paper n.º 132, Londra
1997. Sebbene questa proposta ci sembri essenzialmente corretta, per le ragioni esposte nel capitolo VIII non
condividiamo interamente le tesi di Selgin e, specialmente, quella secondo cui il migliore accordo istituzionale per
raggiungerla sia di stabilire un sistema di banca libera con riserva frazionaria.
50
Mises, nel già citato memorandum che preparò per la Lega delle Nazioni, esprime in modo molto brillante e sintetico
le precedenti idee: «If all expansion of credit by the banks had been effectively precluded, the world would have had a
monetary system in which —even apart from the discoveries of gold in California, Australia, and South Africa— prices
would have shown a general tendency to fall. The majority of our contemporaries will find that a sufficient ground for
regarding such a monetary system as bad in itself, since they are wedded to the belief that good business and high
prices are one and the same thing. But that is a prejudice. If we had had slowly falling prices for eighty years or more,
we would have become accustomed to look for improvements in the standard of living and increases in real income
through falling prices with stable or falling money income, rather than through increases in money income. At any rate,
a solution to the difficult problem of reforming our monetary and credit system must not be rejected off-hand merely for
the reason that it involves a continuous fall in the price level. Above all, we must not allow ourselves to be influenced
by the evil consequences of the recent rapid fall in prices. A slow and steady decline of prices cannot in any sense be
compared with what is happening under the present system: namely, sudden and big rises in the price level, followed by
equally sudden and sharp falls.» Ludwig von Mises, Money, Method and the Market Process, op. cit., pp. 90-91. I
corsivi sono miei.
20
corso dei secoli. Perciò, il principale vantaggio del modello che proponiamo è che, da un punto di
vista della quantità di moneta in circolazione, eviterebbe che si ripetessero le repentine diminuzioni
del volume del credito e, pertanto, della moneta in circolazione che fino ad oggi hanno interessato
gli «elastici» sistemi monetari e creditizi che imperano nel mondo. Insomma, il gold standard puro
con un 100 per cento di riserve impedisce che si producano deflazioni, intese come ogni
diminuzione della quantità di moneta o credito in circolazione.51
5. Il sistema proposto porrebbe fine alla speculazione finanziaria febbrile e agli effetti negativi che
derivano da essa. – Chiudere la scatola di Pandora della creazione di moneta da parte delle banche
attraverso l’espansione creditizia implica, ugualmente, eliminare gli incentivi che generano a livello
individuale ogni tipo di comportamenti senza scrupoli e fraudolenti, e che così negativamente
colpiscono le abitudini consolidate di risparmio e lavoro ben fatto; cioè, dello sforzo economico
effettuato in modo costante, onesto, responsabile e con mire rivolte al lungo periodo.52 Allo stesso
modo si eviterebbe la sfrenata speculazione borsistica; e le offerte pubbliche di acquisto di azioni, in
sé stesse non dannose, si effettuerebbero solo in quelle situazioni in cui ci fossero vere ragioni
oggettive di tipo economico, e non come mera conseguenza della grande facilità di ottenere un
finanziamento esterno grazie all’espansione creditizia creata dal nulla dalla banca. Cioè, come
indica Maurice Allais, «les offres publiques d’achat sont fondamentalement utiles, mais la
législation les concernant doit être réformée. Il n’est pas souhaitable qu’elles puissent être financées
par des moyens de paiement créés ex nihilo par le système bancaire, ou par l’émission des junk
bonds, comme c’est le cas aux États-Unis.»53
Infatti, nel mercato, l’offerta espansiva di crediti senza copertura di risparmio attrae la sua stessa
domanda, molte volte incarnata in agenti economici senza scrupoli che cercano solo di approfittare
degli enormi vantaggi che, a danno del resto dei cittadini, li autorizza a disporre di strumenti di
pagamento di nuova creazione prima degli altri.
6. Il sistema proposto riduce al minimo le funzioni economiche dello Stato e, in
particolare,permette di eliminare la banca centrale. – Il sistema che proponiamo farebbe sì che non
fossero necessari né la Riserva Federale, né la Banca Centrale Europea, né la Banca d’Inghilterra,
né la Banca di Spagna, né in generale nessuna autorità, banca centrale o organismo di natura
ufficiale, pubblica o governativa che avesse il monopolio dell’emissione di moneta e del controllo e
direzione, come organo centrale di pianificazione monetaria, del sistema bancario e finanziario di
ogni paese. Si tratta di un’idea che anche eminenti politici, come il presidente nordamericano
Andrew Jackson nel XIX secolo, avevano inteso alla perfezione e che li portò ad opporsi
frontalmente alla creazione di qualsiasi banca centrale. Purtroppo, la loro influenza fu piccola e non
51
È necessario recordare che nella Grande Depressione del 1929 si produsse una contrazione dell’offerta monetaria
vicina al 30 per cento. Questo tipo di contrazioni sarebbe impossibile con un gold standard puro e un coefficiente di
cassa del 100 per cento, dato il carattere elastico verso la contrazione che possiede il sistema monetario che
proponiamo. Pertanto, nel nostro modello la contrazione monetaria, che molti considerano (erroneamente) che sia stata
la principale causa della Grande Depressione, non si sarebbe prodotta in nessun caso. D’altra parte, come segnala Mark
Skousen (Economics on Trial: Lies, Myths and Realities, Business One Irwin, Homewood, Illinois, 1991, pp. 133-138),
è molto improbabile che il gold standard puro con un coefficiente di riserva del 100 per cento dia luogo ad una crescita
inflazionistica dei prezzi in qualche periodo. Di fatto, dal 1492 fino ad oggi, l’offerta totale di oro in nessun anno è
cresciuta ad una percentuale superiore al 5 per cento, trovandosi la media dell’aumento, come abbiamo già indicato, tra
l’1 e il 3 per cento annuale.
52
Maurice Allais ha fatto riferimento, letteralmente, a come la «spéculation, frénétique et fébrile, est permise, alimentée
et amplifiée par le crédit tel qui fonctionne actuellement». Maurice Allais, «Les conditions monétaires d’une économie
de marchés», op. cit., p. 326. Forse non esiste un modo più sintetico ed elegante per riferirsi a ciò che, in modo più
popolare, si è venuto a chiamare da qualche anno in Spagna «cultura del pelotazo», cioè «cultura dell’arricchimento
sfrenato», e che, indubbiamente, è stata alimentata e resa possibile grazie all’espansione sfrenata da parte del sistema
finanziario.
53
Maurice Allais, «Les conditions monétaires d’une économie de marchés», op. cit., p. 347. La traduzione di questa
citazione potrebbe essere: «Le offerte pubbliche di acquisto sono fondamentalmente utili, ma la legislazione che le
riguarda deve essere riformata. Non è auspicabile che possano essere finanziate mediante strumenti di pagamento creati
ex nihilo dal sistema bancario, o dall’emissione di junk bonds (“titoli spazzatura”) come è il caso negli Stati Uniti.»
21
poté evitarsi la creazione dell’attuale sistema di pianificazione centrale nel campo bancario e
finanziario, con tutti gli effetti negativi che ha avuto e continua ad avere sulle nostre economie.54
Inoltre, è necessario ricordare che ogni sistema monetario di natura fiduciaria basato sul monopolio
dell’emissione di moneta da parte dello Stato tenderà, come spiega la Scuola della Scelta Pubblica,
ad essere sfruttato da gruppi privilegiati di interesse e dai protagonisti dell’azione politica. Infatti, il
tentativo di ottenere voti comprandoli con fondi creati dal nulla costituisce una tentazione
irresistibile per i politici, che è stata analizzata, fra altri, da teorici del cosiddetto «ciclo politico».55
Inoltre, la possibilità di espandere la moneta e il credito consente ai politici di finanziarsi senza
dover ricorrere a imposte, sempre impopolari e dolorose, al tempo stesso in cui fa sì che la
diminuzione del potere d’acquisto della moneta giochi a loro favore, grazie al carattere progressivo
che sono solite avere le imposte sul reddito. Per queste ragioni ha grande importanza trovare un
sistema monetario che, come quello che proponiamo, permetta di eliminare l’intervento dello Stato
nei campi monetario e finanziario. Mises riassume molto bene questo argomento nel seguente
modo: «The reason for using a commodity money is precisely to prevent political influence from
affecting directly the value of the monetary unit. Gold is the standard money... primarily because an
increase or decrease in the available quantity is independent of the orders issued by political
authorities. The distinctive feature of the gold standard is that it makes changes in the quantity of
money dependent on the profitability of gold production.»56 Vediamo, pertanto, come il gold
standard puro con un coefficiente di riserva del 100 per cento sia un’istituzione che, dal punto di
vista positivo, sia il risultato della scelta effettuata da milioni e milioni di agenti economici nel
mercato nel corso di un lungo processo evolutivo e, in senso negativo, permette di conseguire in
modo efficace l’obiettivo vitale di bloccare la propensione di tutti i governi a immischiarsi e
manipolare il sistema monetario e creditizio.57
7. Il sistema proposto è quello maggiormente compatibile con il sistema democratico. – Uno dei
principi più importanti del sistema democratico è che il finanziamento di attività pubbliche deve
essere oggetto di discussione e decisione esplicita da parte dei rappresentanti politici. Il sistema
attuale di monopolio nella creazione di moneta da parte di un organismo pubblico e di banca
esercitata con un coefficiente frazionario di riserve permette che si crei dal nulla un potere
d’acquisto a favore dello Stato e di determinati privati e imprese, a danno del resto dei cittadini. Di
54
Dobbiamo essere, pertanto, particolarmente critici verso quegli autori che, come Alan Reynolds, Arthur B. Laffer,
Marc A. Miles e altri, pretendono di istituire uno pseudo gold standard nel quale il protagonismo della politica
monetaria e creditizia continui ad essere conservato dalla banca centrale, ma in riferimento all’oro. Friedman ha
caratterizzato adeguatamente questo pseudo gold standard come: «a system in which, instead of gold being money, gold
was a commodity whose price was fixed by governments» (si veda Milton Friedman, «Has Gold Lost its Monetary
Role?», op. cit., p. 36). Le proposte di Laffer e Miles possono trovarsi nel libro di entrambi gli autori intitolato
International Economics in an Integrated World, Scott & Foresman, Oakland, Nuova Jersey, 1982. Una breve e
brillante critica di queste proposte si trova in Joseph T. Salerno, «Gold Standards: True and False», op. cit., pp. 258-
261.
55
Si veda, per esempio, il cap. V dedicato al «Ciclo Político-Económico» del libro di Juan Francisco Corona Ramón,
Una introducción a la teoría de la decisión pública («Public Choice»), Institución Nacional de Administración Pública,
Alcalá de Henares, Madrid 1987, pp. 116-142, e la bibliografia citata ivi e alla nota 57 del capitolo VI.
56
Ludwig von Mises, On the Manipulation of Money and Credit, op. cit., p. 22 (I corsivi sono miei). La citazione del
testo potrebbe tradursi nel seguente modo: «La ragione per l’uso di una moneta merce si radica esattamente nel
prevenire che l’influenza politica modifichi in modo diretto il valore della moneta L’oro è la moneta standard
innanzitutto perché un aumento o diminuzione della quantità disponibile di esso è indipendente dagli ordini emanati
dalle autorità politiche.La principale caratteristica del gold standard è che fa sì che i cambiamenti della quantità di
moneta dipendano dai profitti che possano ottenersi dalla produzione di oro.»
57
Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 455, dove leggiamo, «thus the sound-money
principle has two aspects. It is affirmative in approving the market’s choice of a commonly used medium of exchange.
It is negative in obstructing the goverment’s propensity to meddle with the currency system.» Consideriamo, pertanto,
la nostra proposta di gran lunga superiore a quella presentata dalla scuola del «costituzionalismo monetario», che
pretende di risolvere i problemi attualmente posti mediante l’istituzione di regole costituzionali sull’espansione
monetaria e i mercati bancari e finanziari. Il costituzionalismo monetario non è necessario se esiste un gold standard con
un coefficiente di riserva del 100 per cento, e inoltre non riuscirebbe ad evitare le tentazioni di manipolare il credito e la
moneta.
22
tale possibilità trae profitto fondamentalmente l’Amministrazione, utilizzandola come meccanismo
per finanziarsi senza dover ricorrere allo strumento più evidente e politicamente costoso consistente
nell’aumento delle imposte. Sebbene i governi cerchino di nascondere questo meccanismo di
finanziamento, esigendo retoricamente che i bilanci siano finanziati in modo «ortodosso», senza far
ricorso direttamente al finanziamento del deficit mediante l’emissione di moneta, in pratica si
produce un risultato molto simile quando una parte significativa del debito pubblico che emettono i
governi per finanziare il loro deficit è, in seguito, comprata dalle banche centrali con la moneta di
nuova creazione che emettono (processo indiretto di monetizzazione del debito pubblico). Inoltre, è
necessario mettere in risalto che l’espropriazione occulta dei cittadini che permette il processo
inflazionistico non solo benefica i governi, ma anche gli stessi banchieri. Infatti, esercitando questi
la loro attività con un coefficiente di riserva frazionaria e nella misura in cui non sono obbligati dai
governi a dedicare la totalità dell’espansione creditizia a finanziare il settore pubblico (comprando
titoli del debito pubblico), espropriano anche in modo diluito e graduale i cittadini di una parte
importante del potere d’acquisto delle loro unità monetarie, ammassando notevoli quantità di attivi
nei loro bilanci che sono il risultato accumulato di questo processo storico di espropriazione. In
questo senso, le richieste dei banchieri di non dover dedicare una frazione così importante dei loro
attivi a finanziare il deficit pubblico vanno intese come una discussione fra due «complici» del
processo di espansione creditizia effettuato a danno dei cittadini, che «negoziano» tra loro la parte
dei «benefici» ottenuti che rimarrà con ciascuno.
In contrasto con il sistema precedente, il gold standard puro con un coefficiente di riserva del 100
per cento obbligherebbe non solo gli Stati ad esplicitare completamente le loro spese e fonti di
entrate, impedendo che ricorrano al finanziamento occulto che implica l’inflazione e l’espansione
creditizia, ma inoltre impedirebbe ai banchieri privati di approfittarsi anche di una parte importante
dell’«imposta inflazionistica». Questo punto è stato rilevato in modo molto chiaro da Maurice
Allais, per il quale «comme toute création monétaire équivaut par ses effets à un véritable impôt
prélevé sur tous ceux dont les revenus se voient diminués par la hausse des prix qu’elle engendre
inévitablement, le profit qui en résulte, considérable à vrai dire, devrait revenir à l’État en lui
permettant ainsi de réduire d’autant le montant global de ses impôts.»58 Tuttavia, contro Maurice
Allais, riteniamo molto più conveniente che lo Stato rinunci al potere di emettere moneta, di modo
che sia obbligato a finanziare a carico delle imposte, e con assoluta trasparenza, tutte le sue spese,
con il fine che i suoi cittadini avvertano direttamente la totalità del loro costo e siano così
sufficientemente motivati a sottomettere al loro necessario controllo tutti gli organismi pubblici.
8. Il sistema proposto favorisce la cooperazione armoniosa e pacifica tra le nazioni. – Un’analisi
della storia dei conflitti militari degli ultimi due secoli mette chiaramente in evidenza che, se non
fosse stato per l’influenza crescente degli Stati in materia monetaria e, in ultima istanza, per il
controllo che sulla creazione di strumenti di pagamento e l’espansione creditizia hanno conseguito,
una grande parte dei conflitti militari che hanno devastato l’umanità sarebbero potuti essere evitati
nella loro totalità o avrebbero avuto uno sviluppo molto meno violento. Infatti, i governi hanno
nascosto ai loro cittadini il vero costo dei conflitti militari finanziandoli, in larga misura, con
procedimenti inflazionistici che, sotto il pretesto del carattere di emergenza bellica di ogni
58
«Dato che ogni creazione monetaria equivale per i suoi effetti ad una vera imposta che grava su tutti quelli le cui
entrate sono ridotte a causa della crescita dei prezzi che essa inevitabilmente genera, il profitto che da esso deriva, a dire
il vero notevole, dovrebbe ritornare allo Stato permettendogli così di ridurre l’ammontare totale delle sue imposte.»
Maurice Allais, «Les conditions monétaires d’une économie de marchés», op. cit., p. 331. Maurice Allais ugualmente
aggiunge nello stesso luogo che uno dei paradossi più curiosi del nostro tempo è che, sebbene l’opinione pubblica sia
giunta a sensibilizzarsi per i gravi pericoli che comporta l’uso da parte del governo della macchina per fabbricare
moneta, tuttavia rimane completamente ignorante e insensibile dinanzi agli identici pericoli che il sistema di
espansione creditizia senza copertura di risparmio reale rappresenta in relazione all’esercizio della banca con un
coefficiente di riserva frazionaria. In Spagna ha studiato l’effetto impositivo dell’inflazione, purtroppo senza far
riferimento alle conseguenze che ha l’espansione creditizia della banca con riserva frazionaria, Juan Antonio Gimeno
Ullastres, nel suo articolo «Un impuesto llamado inflación», pubblicato in Homenaje a Lucas Beltrán, Editorial Moneda
y Crédito, Madrid 1982, pp. 803-823.
23
situazione particolare, hanno utilizzato con totale impunità. Perciò, si può affermare, senza rischio
di commettere un errore, che l’inflazione ha alimentato e sospinto lo sviluppo dei conflitti bellici: se
i cittadini delle nazioni implicate in ciascuno di essi fossero stati coscienti del loro vero costo, o si
sarebbero evitati in tempo mediante i corrispondenti meccanismi democratici, oppure si sarebbe
richiesta ai governi un’uscita negoziata molto prima che si raggiungessero gli incredibili livelli di
distruzione e danno all’umanità che per disgrazia hanno generato nella storia. Perciò, possiamo
affermare con Ludwig von Mises che «one can say without exaggeration that inflation is an
indispensable intellectual means of militarism. Without it, the repercussions of war on welfare
would become obvious much more quickly and penetratingly; war-weariness would set in much
earlier.»59
D’altra parte lo stabilimento di un gold standard puro con un coefficiente di riserva del 100 per
cento implicherebbe de facto lo stabilimento in tutto il mondo di uno standard monetario unico,
senza necessità che esista una banca centrale internazionale ed evitandosi così il rischio che esso
manipoli l’offerta monetaria e il credito mondiale. Si otterrebbero in tal modo, tutti i vantaggi di
uno standard monetario unico internazionale senza nessuno degli inconvenienti che hanno gli
organismi intergovernativi relativi alla moneta. Inoltre, questo sistema non solleverebbe alcun
sospetto quanto alla perdita di sovranità dei corrispondenti Stati, in quanto tutte le nazioni e gruppi
sociali traggono beneficio dall’esistenza di una stessa unità monetaria non regolata né manipolata
da nessuno. Il gold standard puro con un coefficiente di riserva del 100 per cento stimolerebbe,
pertanto, l’integrazione economica internazionale, in una cornice giuridica armoniosa e mutuamente
soddisfacente, che minimizzerebbe i conflitti sociali, favorendo lo scambio volontario e la pace tra
le nazioni.
Sebbene non sia stata ancora elaborata alcuna critica completa, coerente e sistematica al progetto di
riforma del sistema bancario che è presentato in questo libro60, sono invece state effettuate in modo
isolato ed asistematico delle obiezioni alla proposta di creare un sistema bancario con un
coefficiente di riserva del 100 per cento, che in seguito esporremo ed analizzeremo in modo
separato.
1. «Le banche scomparirebbero perdendo la loro ragion d’essere e la loro principale fonte di
entrate». – Questa critica non ha fondamento. L’unica cosa che perderebbero le banche se si
stabilisse un coefficiente di cassa del 100 per cento è la possibilità di creare crediti ex nihilo, cioè,
non garantiti da un aumento del risparmio volontario. In questo si renderebbe impossibile che il
sistema bancario nel suo insieme espandesse artificialmente il credito, e con ciò l’offerta monetaria,
generando cicli ricorrenti di espansione e depressione.
Ciononostante, resterebbe aperta all’attività bancaria tutta una serie di classi di attività, totalmente
legittime, che potrebbero ancora essere sviluppate, soddisfacendo in modo positivo le necessità dei
59
Ludwig von Mises, Nation, State and Economy: Contributions to the Politics and History of our Time, New York
University Press, Nuova York e Londra 1983, p. 163, e anche Human Action, op. cit., p. 442. Si tratta della traduzione
di Leland B. Yeager del libro pubblicato da Mises originariamente in tedesco nel 1919 con il titolo di Nation, Staat und
Wirtschaft (Manzsche Verlags Buchhandlung, Vienna e Lipsia 1919).La traduzione della citazione è: «Uno può
sostenere senza esagerazione che l’inflazione sia uno strumento intellettuale indispensabile del militarismo. Senza di
essa le ripercussioni della guerra sul benessere diventerebbero ovvie con molto maggiore rapidità ed evidenza; il rigetto
della guerra si manifesterebbe molto prima.» Su questo importante tema si deve consultare, ugualmente, Joseph T.
Salerno, «War and the Money Machine: Concealing the Costs of War Beneath the Veil of Inflation», cap. 17 di The
Costs of War: America’s Pyrrhic Victories, John V. Denson (ed.), Transaction Publishers, New Brunswick e Londra
1997, pp. 367-387. Ciononostante, il primo ad evidenziare le relazioni intime esistenti fra il militarismo e l’inflazione
fu, di nuovo, il padre Juan de Mariana, Tratado y discurso sobre la moneda de vellón, op. cit., p. 35.
60
«Exhaustive research, however, fails to uncover any published critiques in this regard.» Walter Block, «Fractional
Reserve Banking: An Interdisciplinary Perspective», op. cit., p. 31. Le brevi critiche di Leland Yeager alla nostra
proposta sono debitamente presentate in questa sezione, «The Perils of Base Money», op. cit., pp. 256-257.
24
consumatori. Così, possiamo menzionare le attività di vera intermediazione nel credito, consistente
nel prestare con un differenziale i fondi che in precedenza siano stati prestati (non depositati a vista)
alle banche dai loro clienti. Ugualmente, e nella loro attività di banca di depositi (con un
coefficiente del 100 per cento), potrebbero fornire un servizio di sorveglianza e custodia
guadagnando il corrispondente prezzo di mercato, e combinandolo anche con la prestazione di altri
servizi di tipo periferico (di pagamenti e trasferimenti, di contabilità delle operazioni effettuate per
conto dei clienti, ecc.). Se a ciò aggiungiamo l’attività di custodia e gestione di valori mobiliari,
quella di affitto di casseforti, ecc., ecc., possiamo farci un’idea abbastanza completa
dell’amplissimo ventaglio di attività legittime che potrebbero continuare a sviluppare le banche.
Non esiste, pertanto, nessuna giustificazione per pensare che il ristabilimento del coefficiente di
cassa del 100 per cento comporterebbe la «morte» delle banche private. Si produrrebbe soltanto una
mortificazione, in larga misura evolutiva e non traumatica, della loro struttura ed operatività, ed
abbiamo già fatto riferimento a come la cosa più probabile fosse che in modo spontaneo tendesse a
svilupparsi un sistema bancario integrato da una rete di fondi investimento, di entità dedite al
deposito con un coefficiente del 100 per cento e di imprese specializzate nel fornire servizi di
contabilità e di cassa ai loro clienti. Perciò possiamo concludere con Ludwig von Mises che «it is
clear that prohibition of fiduciary media would by no means imply a death sentence for the banking
system, as is sometimes asserted. The banks would still retain the business of negotiating credit, of
borrowing for the purpose of lending.»61 Insomma, le banche potrebbero continuare ad esercitare un
gran numero di attività soddisfacendo le necessità dei consumatori e ottenendo per questo dei
legittimi profitti.
2. «Il sistema proposto diminuirebbe in larga misura il credito, facendo aumentare il tasso di
interesse e rendendo difficile lo sviluppo economico». – Questa è la critica popolare che si sente più
spesso, proveniente soprattutto da quegli agenti economici (imprenditori, politici, giornalisti, ecc.)
che si lasciano particolarmente influenzare dalle caratteristiche esterne e più visibili del sistema
economico. D’accordo con questa critica, l’azione di rendere impossibile che le banche creino dal
nulla il credito renderebbe più difficile il finanziamento di molte imprese, facendo aumentare
ceteris paribus il tasso di interesse e ostacolando lo sviluppo economico. Questa obiezione ha la sua
origine nel fatto che, oggigiorno, grazie all’espansione creditizia, praticamente ogni progetto di
investimento, non importa quanto sia avventato, può ottenere un finanziamento senza grandi
problemi, nel caso in cui ci si trovi nella fase in cui le banche non hanno timore di espandere i loro
crediti. L’espansione creditizia ha sconvolto, pertanto, le tradizionali abitudini della «cultura
imprenditoriale» che si basavano su una valutazione molto più prudente e soppesata nel momento di
decidere se intraprendere o no un determinato progetto di investimento.
In ogni caso, è un grave errore pensare che il credito scomparirebbe in un sistema bancario basato
su un coefficiente di cassa del 100 per cento. Anzi al contrario, si continuerebbe a prestare dei
fondi, ma solo ed esclusivamente quelli che precedentemente fossero stati risparmiati
volontariamente dagli agenti economici. Si tratta, insomma, di garantire che si presti solo quanto si
è risparmiato, in modo da mantenere coordinate l’offerta e la domanda di beni presenti e futuri nel
mercato, evitando i profondi squilibri che l’attuale sistema bancario produce e che, in ultima
istanza, generano le crisi e recessioni economiche.
È, inoltre, una finzione pensare che nell’attuale sistema i prestiti dedicati all’investimento possano,
in ultima istanza, superare il risparmio volontario della società. Come sappiamo, ex post, risparmio
e investimento sono sempre identici e l’unica cosa che succede è che se, ex ante, le banche hanno
prestato ad un ritmo maggiore di quello del risparmio volontario (attraverso un processo di
espansione creditizia), gli imprenditori tenderanno ad errare in massa dedicando le scarse risorse
61
Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 361. Nell’edizione italiana (ESI, 1999, p. 225) si
traduce così questa citazione: «È chiaro che la proibizione di emettere mezzi fiduciari non implicherebbe assolutamente
una sentenza di morte per il sistema bancario, come talvolta si afferma. Le banche manterrebbero ancora l’attività di
intermediazione del credito, di ottenere in prestito al fine di dare in prestito.»
25
reali risparmiate della società a progetti di investimenti sproporzionati che non potranno mai essere
portati a buon termine.
Pertanto, la critica riportata in questo punto non è giustificata: con un coefficiente del 100 per
cento, si continuerà a prestare quanto risparmiato, ma quanto risparmiato continuerà ad essere
investito in modo proporzionato e corretto. E se determinati progetti imprenditoriali trovano
all’inizio maggiori difficoltà per finanziarsi, ciò sarà la logica manifestazione del sano
funzionamento dell’unico meccanismo nel mercato capace di bloccare per tempo l’inizio di progetti
di investimento non redditizi, impedendo il suo indebito e scoordinato sviluppo che attualmente è
promosso nelle fasi di boom creditizio.
In quanto al tasso di interesse, non esiste alcuna ragione per pensare che nel lungo periodo il suo
livello sarebbe superiore nel sistema proposto che nell’attuale. Infatti, il tasso di interesse dipende,
in ultima istanza, dalle valutazioni soggettive di preferenza intertemporale degli agenti economici,
che nel nostro modello non sarebbero interessati dallo sperpero massiccio di beni di capitale che
genera la ripetizione delle recessioni economiche. Inoltre, è chiaro che, a parità di circostanze, in un
sistema come quello proposto, il tasso di interesse tenderebbe ad essere molto ridotto in termini
nominali, in quanto il corrispondente premio derivato dall’evoluzione attesa del potere d’acquisto
della moneta sarebbe nella maggioranza dei casi negativo. E quanto alla componente di rischio,
questa dipenderebbe da quella dei progetti concreti di investimento che fossero intrapresi e, dopo un
periodo di tempo senza recessioni economiche, tenderebbe ugualmente a ridursi. Possiamo,
pertanto, concludere che, per quanto concerne il tasso di interesse, non esiste alcuna base teorica per
ipotizzare che sarebbe più elevato di quello attuale. Anzi al contrario: esistono ragioni molto forti
per considerare che sia in termini reali che in termini nominali, i tassi di interesse sarebbero più
ridotti di quelli che attualmente siamo abituati ad osservare.62
Per tutto ciò, lo sviluppo economico non solo non sarebbe indebolito con un sistema di gold
standard puro e un coefficiente di cassa del 100 per cento, ma, al contrario, si creerebbe un modello
di sviluppo stabile e continuativo, libero dalle reazioni maniaco-depressive alle quali abbiamo
penosamente finito con l’abituarci e nelle quali sono regolarmente male investite, purtroppo,
ingentissime risorse scarse della società, con grave danno per la sua crescita economica e sviluppo
armonioso.
3. «Il modello proposto penalizzerebbe coloro che approfittano del presente sistema bancario e
finanziario». – A volte è stato sostenuto che il sistema proposto penalizzerebbe indebitamente tutti
coloro che traggono benefici dall’attuale sistema finanziario e bancario. Così, fra i suoi principali
beneficiari bisogna annoverare al primo posto il governo, che, come già sappiamo, riesce a
finanziarsi (direttamente e indirettamente) attraverso l’espansione creditizia senza dover ricorrere
alla misura politicamente dolorosa di aumentare le imposte. Poi bisognerebbe menzionare come
principali beneficiari del sistema gli stessi banchieri (che lucrano con i medesimi procedimenti del
governo, ma in modo diretto e privato), e anche i depositanti delle banche nella misura in cui
percepiscano un tasso di interesse sui loro depositi e non paghino per l’insieme dei servizi periferici
forniti loro dalle banche.63
Questa critica, tuttavia, non prende in considerazione che molti dei presunti «benefici» che i privati
ottengono dal sistema bancario non sono realmente tali. Infatti, non è esatto sostenere che
attualmente i depositanti percepiscano importanti prestazioni (sotto forma di cassa, pagamento e
62
Supponendo, per esempio, una crescita media dell’economia intorno al 3 per cento annuale, e un aumento dell’offerta
monetaria (stock mondiale di oro) dell’1,5 per cento, si verificherebbe una leggerissima deflazione dell’1,5 per cento
all’anno. Se il tasso di interesse di mercato è del 4 per cento (un 3 per cento di tasso naturale e un 1 per cento di
componente di rischio), il tasso di interesse nominale di mercato sarebbe situato in una banda vicina al 2,5 per cento
annuale. E nella precedente nota 48 abbiamo ipotizzato tassi di interesse nominali ancora più ridotti in un contesto di
aumento secolare della domanda di moneta indotto dall’aumento della popolazione.
63
«Under competitive conditions the benefits are partly enjoyed by the holders of fractionally-backed bank liabilities
themselves, whose gain takes the form of explicit interest payments or lowered bank service charges or a combination
of these.» George Selgin, «Are Banking Crises a Free-Market Phenomenon?», op. cit., p. 3.
26
contabilità) senza pagare per esse, in quanto di fatto il costo di queste prestazioni è interamente
sostenuto (in forma esplicita o implicita) dagli stessi depositanti.
Quanto all’interesse esplicito che spesso si può ottenere dai depositi, questa «remunerazione» si
trova nella maggior parte delle occasioni compensata dalla continua diminuzione del potere
d’acquisto dell’unità monetaria che subiscono i depositanti. Nel sistema proposto col coefficiente di
riserva del 100 per cento, il potere d’acquisto delle unità monetarie, non solo resterebbe inalterato,
ma, come già abbiamo visto, crescerebbe in modo lento e costante. Questo importantissimo
beneficio per tutti i cittadini si può considerare di gran lunga superiore al presunto «vantaggio» di
percepire un tasso di interesse esplicito che a mala pena riesce a compensare la svalutazione della
moneta, di modo che oggi nella maggior parte dei casi il tasso di interesse reale percepito sui
depositi (meno la diminuzione del potere d’acquisto della moneta) è quasi nullo o finanche
negativo.
In una società con un gold standard puro e un coefficiente di riserva del 100 per cento, tutti i
cittadini approfitterebbero del continuo e graduale aumento del potere d’acquisto delle loro unità
monetarie, percependo un interesse per i risparmi effettivamente realizzati e vedendosi obbligati a
pagare, in modo esplicito e trasparente, il prezzo di mercato di quei servizi legittimi che decidessero
di contrattare con le loro rispettive banche. La situazione nel sistema proposto sarebbe, pertanto,
molto più chiara, e sicuramente più favorevole per i cittadini in generale di quella dell’attuale
sistema bancario e finanziario.64
Quanto all’argomento che i governi e i banchieri non potrebbero continuare a beneficiare
dell’attuale sistema, più che un difetto che possa fungere da base per una critica alla nostra
proposta, è un risultato utile che giustifica, prima facie, la stessa. Infatti, è già stata valutata in
precedenza la grande importanza di impedire che i governi possano finanziarsi in modo occulto
attraverso l’inflazione e l’espansione creditizia. E non è necessario ripetere l’oscuro fondamento
giuridico e i dannosi effetti del potere di emissione di crediti e depositi della banca privata.
4. «Il coefficiente di riserva del 100 per cento è un intervento di carattere amministrativo contrario
alla libertà contrattuale». – Spesso si sente l’argomento, generalmente proveniente dai membri
della Scuola Neobancaria difenditrice della banca libera con riserva frazionaria, che è
«inammissibile», da un punto di vista «liberale», frapporre ostacoli alla libertà contrattuale delle
parti e, in concreto, al fatto che i depositanti liberamente pattuiscano con i loro banchieri di aprire
conti a vista, con un coefficiente di riserva frazionaria. Orbene, già abbiamo visto nei primi tre
capitoli di questo libro che l’esigenza di mantenere un coefficiente di cassa del 100 per cento per i
depositi a vista, lungi dall’essere un’inammissibile intromissione di carattere amministrativo
(«legislazione tramite comandi», nella terminologia hayekiana), non è altro che l’applicazione
naturale dei principi tradizionali del diritto di proprietà al contratto di deposito irregolare di moneta
(«legge in senso materiale», nella terminologia hayekiana).65 Inoltre, il fatto che volontariamente
due parti decidano di effettuare un contratto con piena conoscenza della sua causa (il che, di certo,
non avviene nel sistema finanziario e bancario attuale), è condizione necessaria ma in nessun modo
sufficiente per legittimare, secondo i principi tradizionali del diritto, l’operazione realizzata. Infatti,
64
«Il n’y a pas lieu de rendre gratuitement des services qui en tout état de cause ont un coût qu’il faut bien supporter.
Si un déposant est affranchi des frais relatifs à la tenue de son compte, la banque doit les supporter. Dans la situation
actuelle elle peut le faire, car elle bénéficie des profits correspondants à la création de monnaie par le mécanisme du
crédit. Qui en supporte réellement le coût?: l’ensemble des consommateurs pénalisés par la hausse des prix entraînée
par l’accroissement de la masse monétaire.» Maurice Allais, «Les conditions monétaires d’une économie de marchés»,
op. cit., p. 351.
65
«The free market does not mean freedom to commit fraud or any other form of theft. Quite the contrary. The criticism
may be obviated by imposing a 100 % reserve requirement, not as an arbitrary administrative fiat of the government,
but as a part of the general legal defense of property against fraud. As Jevons stated: ‘It used to be held as a general rule
of law, that any present grant or assignment of goods not in existence is without operation’, and this general rule need
only be revived and enforced to outlaw fictitious money substitutes. Then banking could be left perfectly free and yet be
without departure from 100 % reserves.» Murray Newton Rothbard, Man, Economy, and State, op. cit., p. 709 (la
citazione di Jevons è tratta da Money and the Mechanism of Exchange, op. cit., pp. 211-212).
27
se in conseguenza di tale contratto si arreca danno a terzi, lo stesso diventerà illegittimo e nullo in
pieno diritto in quanto va contro l’ordine pubblico.66 Questa mancanza di legittimità è quella che
precisamente, secondo l’analisi di questo libro, si produce in riferimento alla banca con riserva
frazionaria, che non solo dà luogo alla creazione addizionale di strumenti di pagamento a danno di
tutti i cittadini, che vedono diminuire il potere d’acquisto delle loro unità monetarie67, ma inoltre
inganna in modo generalizzato gli imprenditori portandoli ad investire dove e quando non devono,
producendo cicli ricorrenti di espansione e depressione che hanno un costo molto doloroso in
termini umani, economici e sociali.
Infine, è necessario rispondere all’argomento qualche volta sentito68 secondo il quale la prova che
gli agenti economici non siano disposti volontariamente a stabilire un sistema bancario basato sul
coefficiente di cassa del 100 per cento si radica nel fatto che attualmente potrebbero pattuire un
sistema simile con totale libertà (e, tuttavia, non lo fanno) utilizzando i servizi di cassa di sicurezza
che la banca offre nel mercato. Contro quest’argomento è necessario considerare non solo che il
servizio di casse di sicurezza non ha nulla a che vedere con il contratto di deposito irregolare di un
bene fungibile come è la moneta (in quanto quello si riferisce a un tipico contratto di deposito
regolare di cose specifiche), ma anche che solo in malo modo potrebbe considerarsi che l’attività
delle casse di sicurezza (il cui costo è necessario pagare e che non offrono dal punto di vista
soggettivo dei clienti gli stessi servizi del contratto di deposito bancario di moneta) potrebbe
concorrere a parità di condizioni con il presente sistema di depositi con riserva frazionaria. Infatti,
attualmente si è soliti concedere interessi sui depositi (come riconoscimento implicito che si sta
facendo un uso indebito di essi), e inoltre si offrono servizi di valore senza un costo esplicito, il che
rende impossibile che i contratti volontari di deposito con un coefficiente di cassa del 100 per cento
possano competere e prosperare, soprattutto in un contesto inflazionistico nel quale il potere
d’acquisto della moneta continui a diminuire. Questo contro-argomento è molto simile a quello che
si dovrebbe fare in relazione ai beni pubblici forniti dallo Stato, apparentemente senza un costo
diretto per l’utente. Ciò rende molto difficile che in un contesto di libero mercato, le imprese private
che volessero prestarli incassando il loro prezzo di mercato possano prosperare, a causa della
concorrenza sleale e privilegiata che subiscono da parte dei servizi pubblici, che offrono ai cittadini
66
Allo stesso modo, un «contratto» libero e volontario fra due parti mediante il quale l’una paga l’altra affinché questa
seconda assassini un terzo, anche se non ci fosse inganno o frode e fosse stato stipulato con piena conoscenza e
volontarietà da entrambe le parti, sarebbe un contratto nullo in quanto andrebbe contro l’ordine pubblico e sarebbe stato
effettuato a danno di terzi.
67
La diminuzione del potere d’acquisto non è in termini assoluti, ma in termini relativi rispetto al crescente potere
d’acquisto che la moneta sperimenterebbe con un sistema bancario con un 100 per cento di riserve. Inoltre, gli effetti
economici dell’attività bancaria sono, sotto questo aspetto, identici a quelli che genera la falsificazione di monete e
biglietti di banca che, anche qualora non fosse possibile identificare individualmente coloro che sono danneggiati, si
ritiene indiscutibilmente che deve essere punita in quanto contraria all’ordine pubblico.
68
Questo fu, fra altri, l’argomento critico esposto da Juan José Toribio Dávila nella sua esposizione sui «Problemas
Éticos en los Mercados Financieros», presentata agli Incontri sulla dimensione etica delle istituzioni e mercati
finanziari, che ebbe luogo a Madrid, sotto gli auspici della Fondazione BBV nel giugno del 1994. Toribio Dávila
sosteneva, inoltre, che una politica monetaria stabile potrebbe essere raggiunta con qualsiasi coefficiente di cassa senza
prendere in considerazione le ragioni relative all’impossibilità teorica della pianificazione centrale in generale, e della
sua applicazione al campo finanziario in particolare, e che non rendono possibile che le banche centrali possano né
vogliano calcolare adeguatamente la domanda di moneta né controllare l’offerta che, presuntamente, dovrebbe
accomodarsi ad essa. Inoltre, Toribio Dávila dimentica i profondi effetti di scoordinamento che ogni crescita dell’offerta
monetaria sotto forma di espansione creditizia senza copertura di risparmio reale ha sulla struttura produttiva. Infine,
sono evidenti le relazioni esistenti tra il coefficiente di cassa del 100 per cento e l’etica nell’attività delle istituzioni
finanziarie. Infatti, la connessione si manifesta, non solo nella rete dei comportamenti eticamente irresponsabili propri
della speculazione febbrile che genera l’espansione creditizia, ma, inoltre, nel fatto indiscutibile che le crisi e recessioni
economiche hanno la loro origine nella violazione di un principio etico, che esige mantenere un coefficiente di riserva
del 100 per cento in relazione ai contratti di deposito di moneta a vista.
28
le loro prestazioni «senza costo» e le cui elevate perdite sono in ultima istanza sostenute da tutti con
imposte tramite il Bilancio Generale dello Stato.69
5. «È impossibile evitare che le “innovazioni” finanziarie facciano risorgere la banca con riserva
frazionaria». – Secondo questo argomento, non importa quali siano le previsioni legislative che si
prendano per proibire l’esercizio della banca con riserva frazionaria e, pertanto, per stabilire un
coefficiente di riserva del 100 per cento per i depositi a vista, queste misure saranno sempre in
ultima istanza aggirate da nuovi negozi giuridici e «innovazioni» finanziarie che, in frode o no della
legge, per una via o l’altra, tenderanno a conseguire lo stesso fine. Così, lo stesso Hayek già nel
1937 affermava che: «It has been well remarked by the most critical among the originators of the
scheme that banking is a pervasive phenomenon and the question is whether, when we prevent it
from appearing in its traditional form, we will not just drive it into other and less easily controllable
forms.»70 Hayek metteva in evidenza, come precedente più importante, che la Legge di Peel del
1844, dimenticando di estendere il coefficiente di cassa del 100 per cento alla creazione di depositi,
fece sì che l’espansione monetaria a partire da allora prendesse prevalentemente la forma di
depositi, più che di biglietti.71
Il primo commento che dobbiamo fare a questa obiezione è che,anche qualora essa fosse
giustificata, non comporta nemmeno un minimo argomento contrario a cercare di conseguire
l’obiettivo ideale di definire e difendere adeguatamente i principi tradizionali del diritto in relazione
ai depositi a vista. Infatti, in molti altri contesti, per esempio in quelli di natura criminale, si verifica
anche la circostanza che, sebbene dal punto di vista tecnico sia in molte occasioni molto difficile da
effettuare una corretta applicazione e soprattutto una difesa dei corrispondenti principi tradizionali
del diritto, ciò non impedisce che gli esseri umani debbano mettere tutto il loro impegno per
definire e difendere la cornice giuridica.72
Ma il fatto è che, inoltre, non è neanche vero che il fenomeno dell’attività bancaria con riserva
frazionaria abbia un carattere così «onnipresente» che sia in pratica impossibile lottare contro di
esso. È certo che nel corso di questo libro abbiamo studiato diversi negozi giuridici che, in frode
della legge, sono stati ideati per cercare di «rivestire» con contratti estranei ciò che non era altro se
69
Inoltre, Jörg Guido Hülsmann ha spiegato come la Legge di Gresham impedisca che i depositi con 100 per cento di
riserva possano competere con quelli emessi con la loro riserva frazionaria. Si veda il suo articolo «Has Fractional-
Reserve Banking Really Passed the Market Test?», The Independent Review, vol. 7, n.º 3, inverno 2003, pp. 392-422 e,
specialmente, le pp. 408-409.
70
F.A. Hayek, Monetary Nationalism and International Stability, op. cit., p. 82. Nello stesso senso, si può consultare
Henry C. Simons, «Rules versus Authority in Monetary Policy», op. cit., p. 17. La traduzione della citazione del testo è
la seguente: «È stato segnalato dai più critici fra gli ispiratori della proposta che la banca è un fenomeno onnipresente e
la questione è se, qualora impedissimo che apparisse nella forma tradizionale, non staremmo facendo sì che riapparisse
sotto altre forme meno facili da controllare.»
71
Quanto diversa (e migliore) sarebbe stata la storia economica degli ultimi 150 anni se la Legge di Peel non si fosse
dimenticata di stabilire il coefficiente di cassa del 100 per cento anche per i depositi – e non solo per i biglietti di banca!
Non consideriamo pienamente adeguato l’argomento di Hayek sulla presunta impossibilità di separare radicalmente i
diversi strumenti in cui si può materializzare un «continuo» di diversi gradi di liquidità che renderebbe ancora più
difficile il problema di identificare quando si stanno o no adempiendo i principi tradizionali del diritto che si difendono
in questo libro. Al contrario, seguendo Menger, in pratica è sempre possibile distinguere adeguatamente fra ciò che è
moneta e il resto degli strumenti di grande liquidità che, tuttavia, non giungono ad essere uno mezzo di scambio
generalmente accettato immediatamente. La distinzione fra l’uno e l’altro tipo di beni si radica sul fatto che la moneta
non è solo uno strumento altamente liquido, ma è l’unico bene perfettamente liquido. Per cui gli esseri umani sono
disposti a richiederlo sebbene non percepiscano alcun interesse per il suo possesso, mentre nel caso degli altri strumenti
di frontiera che non hanno perfetta liquidità, i loro titolari pretendono di percepire un interesse per il fatto di detenerli.
La distinzione essenziale, articolata sulla base dell’esistenza o no di liquidità perfetta (cioè, di perdita o no della sua
disponibilità perfetta ed immediata), fra la moneta ed altri strumenti periferici è stata sviluppata da Gerald P. O’Driscoll
nel suo articolo «Money: Menger’s Evolutionary Theory», pubblicato in History of Political Economy, n.º 18, 4, anno
1986, pp. 601-616.
72
Così, per esempio, è perfettamente possibile assassinare un uomo usando veleni sempre più sofisticati che non lascino
alcuna traccia e che rendano molto difficile raccogliere prove rispetto alla vera origine e natura dell’omicidio
commesso, il che non impedisce che nessuno abbia alcun dubbio riguardo al fatto che l’assassinio va contro i principi
essenziali del diritto e che si deve dedicare ogni sforzo necessario per prevenire e condannare questo tipo di condotte.
29
non depositi irregolari di moneta bancaria. Così, abbiamo parlato delle operazioni con vincolo di
riacquisto al loro valore nominale, delle opzioni di vendita o puts «americane», dei cosiddetti
«depositi» a termine, che in pratica agiscono come veri depositi a vista, e anche di depositi a vista
posti in essere tramite l’istituzione, completamente estranea, dell’assicurazione sulla vita. Dunque,
tutti questi negozi giuridici, e qualsiasi altro simile che possa essere ideato nel futuro, sono
facilmente identificabili e codificabili dal diritto civile e penale, così come abbiamo proposto che
sia fatto nella sezione 2 (nota 39) di questo capitolo. Infatti, è relativamente facile per qualsiasi
giudice o osservatore imparziale analizzare se lo sfondo di un’operazione permetta il ritiro in ogni
momento dei fondi inizialmente depositati e se, dal punto di vista soggettivo, gli esseri umani si
comportano considerando che determinati titoli sono moneta, cioè, un mezzo di scambio
generalmente accettato e dotato in ogni momento di liquidità perfetta.
Inoltre, la creazione di nuovi negozi e contratti giuridici per cercare di eludere i principi giuridici
che dovrebbero regolare l’attività bancaria si è prodotta in un contesto nel quale gli agenti
economici non erano capaci di identificare fino a che punto questa attività fosse illegittima e
producesse un grave danno economico e sociale. Se a partire da adesso i responsabili giudiziari e le
autorità pubbliche identificano chiaramente i problemi che analizziamo in questo libro, sarà molto
più facile perseguire le condotte devianti che possano svilupparsi nel campo finanziario. Non desta
meraviglia, pertanto, che dopo la Legge di Peel del 1844 si espandessero sproporzionatamente i
depositi bancari, in quanto a quel tempo la teoria economica ancora non era stata in grado di
stabilire l’assoluta identità esistente, quanto alla loro natura ed effetti tra i depositi bancari e i
biglietti di banca. Se la Legge di Peel fallì nel suo obiettivo non fu per il carattere «onnipresente»
del negozio bancario con riserva frazionaria, ma, esattamente, perché gli esseri umani non furono in
grado di rendersi conto che gli uni, i biglietti di banca, e gli altri, i depositi bancari, avevano la
stessa natura e producevano gli stessi effetti economici. In cambio oggi, grazie alla teoria
economica, i giudici disporrebbero di strumenti analitici di irrinunciabile valore per orientarli nella
corretta identificazione delle condotte penalmente codificate e nell’emissione di sentenze
giurisprudenziali giuste e ponderate in relazione a tutti i casi dubbi che potessero verificarsi nella
pratica.
Infine,è necessario realizzare delle precisazioni importanti sul concetto di «innovazione» nel
mercato finanziario, e soprattutto la differenza essenziale che esiste fra le cosiddette «innovazioni
finanziarie» e le innovazioni tecnologiche che sono introdotte nei settori industriali e commerciali.
Infatti, così come in principio ogni innovazione tecnologica che si introduca con successo nel
campo del commercio e dell’industria deve essere la benvenuta, in quanto tende ad aumentare la
produttività e a soddisfare meglio i desideri dei consumatori, in ambito finanziario, che si sviluppa
sempre in una cornice immutabile di principi giuridici stabili e prevedibili, le «innovazioni» devono
essere recepiti dall’inizio con sospetto e diffidenza. Infatti, in ambito finanziario e bancario le
innovazioni possono essere considerate positive quando si riferiscano, per esempio,
all’introduzione, di nuove strutture e programmi informatici, canali di distribuzione, ecc. Ma
quando tali «innovazioni» riguardino direttamente il ruolo che svolgono i principi essenziali del
diritto che devono costituire la cornice inalienabile nella quale si muove tutta l’istituzione, le stesse
tenderanno a produrre un grave danno sociale, per cui esse devono essere perseguitate e rifiutate. È,
pertanto, un sarcasmo denominare «innovazione finanziaria» ciò che, in ultima istanza, non ha altra
pretesa che eludere i principi generali del diritto che sono vitali per il sano sviluppo e mantenimento
di un’economia di mercato.73
73
Esistono, inoltre, innovazioni finanziarie che, come le offerte pubbliche di acquisto di azioni (OPA’s), di per sé non
violano alcun principio tradizionale del diritto e svolgono una funzione positiva nel mercato, ma che si pervertono
completamente in un ambito in cui si eserciti la banca con riserva frazionaria e si possa espandere il credito senza la
corrispondente copertura di risparmio reale. Un’analisi concisa e al tempo stesso esaustiva delle «innovazioni»
finanziarie che si sono prodotte in conseguenza del mal denominato processo di «deregolamentazione finanziaria» (e
che in larga misura è consistita nel ridurre la sottomissione del settore finanziario ai principi tradizionali del diritto) si
può trovare nel libro di Luis Barrallat, La banca española en el año 2000: un sector en transición, Ediciones de las
Ciencias Sociales, Madrid 1992, pp. 172-205. Bisogna rilevare che una grande parte delle cosiddette «innovazioni»
30
I prodotti finanziari rispondono ai diversi tipi di contratti che tradizionalmente si sono formati nel
diritto, e la cui struttura essenziale non si deve modificare forzando e violentando i principi giuridici
più elementari. Ecco perché resti solo da concepire che sorga la possibilità di introdurre «nuovi»
prodotti finanziari effettuando diverse combinazioni di contratti giuridici legittimi e preesistenti,
anche se è certo che la possibilità di innovare in questo campo è molto limitata. Bisogna anche
ricordare che in molte occasioni le «innovazioni» sono forzate dalla necessità di far fronte alla
voracità fiscale dei governi così come al caos legislativo che nel campo impositivo sviluppano
questi in ogni circostanza storica, e che obbliga, con l’obiettivo di diminuire nella misura del
possibile il pagamento delle imposte, a realizzare i più strani, forzati, complicati e antinaturali
negozi giuridici.74 Di qui alla diretta violazione dei principi tradizionali del diritto c’è solo un passo
che, data la tentazione che implicano i grandi profitti che si ricavano dall’esercizio della banca con
riserva frazionaria, l’esperienza dimostra che molti non temono di percorrere. Perciò non è
imprescindibile mantenere in questo campo un atteggiamento di vigilanza e prevenzione costante e
rigorosa quanto all’adempimento dei principi tradizionali del diritto.
6. «Il sistema proposto non permetterebbe che l’offerta monetaria crescesse allo stesso ritmo dello
sviluppo dell’economia». – Gli agenti economici si sono abituati all’attuale contesto inflazionistico
e pensano che non sia possibile lo sviluppo economico senza che esista un certo tasso di espansione
creditizia e inflazione. Inoltre, varie scuole di teorici dell’economia hanno lodato la crescita della
domanda effettiva e tendono a rafforzare le sempre più popolari richieste favorevoli all’inflazione.
E, tuttavia, allo stesso modo che gli agenti economici si sono conformati a vivere in un ambiente
inflazionistico, ugualmente si abituerebbero a vivere in un ambiente in cui si verificasse un continuo
e graduale aumento del potere d’acquisto dell’unità monetaria.
Qui è importante distinguere di nuovo due concetti diversi del termine «deflazione» (e
«inflazione») che si confondono nella discussione e nell’analisi teorica. Per deflazione si può
intendere, sia una diminuzione o contrazione assoluta dell’offerta di moneta, sia la conseguenza che
generalmente (ma non sempre) tende a produrre tale contrazione, cioè, un aumento del potere
d’acquisto dell’unità monetaria o, se si preferisce, una diminuzione del «livello» generale dei
prezzi. Ciò che è evidente è che il sistema proposto di gold standard puro con un coefficiente di
riserve del 100 per cento è completamente inelastico alla contrazione e, pertanto, impedisce nella
sua totalità la comparsa della deflazione intesa come diminuzione dell’offerta monetaria, cosa che
il sistema attuale non è in grado di garantire, come si dimostra in modo ricorrente in ogni crisi
economica.75
Orbene, se per «deflazione» intendiamo una diminuzione del livello generale dei prezzi o un
aumento del potere d’acquisto dell’unità monetaria, è chiaro che nella misura in cui la produttività
generale dell’economia cresca a un ritmo superiore all’aumento dell’offerta monetaria, tale
«deflazione», così intesa, dovrebbe prodursi nel sistema monetario da noi proposto. Questo è il
modello di sviluppo economico che abbiamo spiegato in precedenza e che avrebbe il grande
vantaggio, non solo di evitare le crisi e recessioni economiche, ma anche di estendere fra tutti i
finanziarie si sviluppano nell’ambito della speculazione febbrile che alimenta l’espansione creditizia che genera il
sistema bancario con riserva frazionaria.
74
Questo è, pertanto, un altro caso che illustra perfettamente i gravi effetti corruttori che l’interventismo fiscale ed
economico dello Stato ha sul concetto di legge materiale, le abitudini sociali rispetto alla medesima e il senso della
giustizia, e che ho sviluppato in extenso in Jesús Huerta de Soto, Socialismo, cálculo económico y función empresarial,
op. cit., pp. 126-133.
75
Dopo il crash borsistico dell’ottobre 1987 si riuscì ad evitare momentaneamente la contrazione creditizia solo grazie
all’iniezione di dosi massicce di liquidità nel sistema da parte di tutte le banche centrali, anche se nelle recessioni
economiche successive (1990-1992) questi si dimostrarono impotenti a far sì che gli agenti economici prendessero in
prestito nuova moneta, anche fissando i tassi di interesse a livelli storicamente ridotti, che giunsero fino al 2-3 per cento
negli Stati Uniti. Il tasso di interesse si ridusse fino allo 0,15 per cento in Giappone senza ottenere gli effetti espansivi
attesi. Più di recente la storia si è ripetuta di nuovo dopo le crisi borsistiche del 2001-2003 e la fissazione da parte della
Riserva Federale Americana del tasso di interesse all’1 per cento (il suo livello più basso da quaranta anni).
31
cittadini i benefici dello sviluppo economico, facendo crescere in modo continuativo e graduale il
potere d’acquisto delle unità monetarie in potere di ciascuno.
Bisogna riconoscere che il sistema proposto non garantirebbe un’unità monetaria con un potere
d’acquisto immutabile. Tale obiettivo è impossibile e, inoltre, anche qualora fosse raggiunto non
avrebbe alcun vantaggio, fatta eccezione per la possibilità di eliminare il premio che nel tasso di
interesse si incorpori in funzione delle aspettative sulla futura evoluzione del potere d’acquisto della
moneta. Tuttavia, a tale scopo l’unica cosa importante è che l’evoluzione del potere d’acquisto della
moneta segua una tendenza facilmente prevedibile, che renda possibile che gli agenti economici la
prevedano nella pratica con facilità e la tengano in considerazione nel momento di prendere le loro
decisioni. Questo basta per evitare che si producano indebite e brusche redistribuzioni del reddito
fra creditori e debitori, come è successo finora ogni volta che si è verificato uno shock espansivo di
natura creditizia o monetaria, che non si è potuto prevedere in tempo da parte degli agenti
economici.
In relazione a questo punto si è sostenuto che se la crescita dell’offerta di moneta metallica si
produce a un ritmo inferiore all’aumento della produttività dell’economia, si verificherà, come già
sappiamo, un aumento del potere d’acquisto dell’unità monetaria (o diminuzione del livello
generale dei prezzi), che in alcune circostanze potrebbe anche arrivare a superare il tasso sociale di
preferenza intertemporale incluso nel tasso di interesse di mercato.76 Sebbene il tasso sociale di
preferenza intertemporale dipenda dalle valutazioni soggettive degli esseri umani e, pertanto, la sua
evoluzione non può essere conosciuta teoricamente a priori, è necessario riconoscere che se
diminuisce a livelli molto ridotti in quanto aumenta notevolmente la propensione al risparmio della
società, potrebbe arrivarsi in qualche caso a prodursi l’effetto menzionato. Tuttavia, in nessuna
circostanza i tassi di interesse di mercato sarebbero zero né, ancor meno, raggiungerebbero un
livello negativo. Infatti, in primo luogo entrerebbe in gioco il noto «Effetto Pigou», in virtù del
quale l’aumento del potere d’acquisto dell’unità monetaria darebbe luogo a un aumento dei saldi
reali liquidi degli agenti economici, che aumenterebbero in termini reali la loro ricchezza e
promuoverebbero un aumento del consumo, dando luogo, pertanto, al ristabilimento di un tasso
sociale di preferenza intertemporale molto elevato.77 In secondo luogo, si continuerebbero a
finanziare sempre mediante un tasso di interesse positivo tutti quei progetti di investimento nei quali
si ottenesse una redditività attesa sotto forma di profitti contabili superiori al tasso di interesse
positivo che in ogni momento prevalesse nel mercato, anche se fosse molto piccolo. Si deve tenere
in considerazione che le riduzioni graduali del tasso di interesse di mercato tendono ad aumentare il
valore attuale dei beni di capitale e progetti di investimento: una diminuzione dall’1 allo 0,5 per
cento duplicherà il valore dei beni di capitale di lunga durata, e lo stesso succederà di nuovo se i
tassi di interesse scendono dallo 0,5 allo 0,25 per cento. Perciò non si deve ritenere che i tassi di
interesse nominali arrivino a 0: secondo che si approssimino a questo limite, la crescita del valore
attuale dei valori dei beni di capitale sarà tale che sorgeranno grandissime opportunità di ottenere
elevati profitti imprenditoriali che garantiranno sempre un flusso inesauribile di opportunità di
investimento.
Pertanto, ciò che realmente è prevedibile è che nel modello proposto i tassi di interesse in termini
nominali raggiungano valori storicamente ridotti. Infatti, se in media si può prevedere un aumento
della produttività intorno al 3 per cento, con una crescita delle riserve di oro mondiali dell’1 per
cento annuale, la leggera «deflazione» di ogni anno oscillerà intorno al livello del 2 per cento.
Considerando ragionevole un tasso di interesse in termini reali, incorporando già la sua componente
di rischio, situata intorno al 3-4 per cento, potrebbe attendersi che il tasso di interesse di mercato
fosse situato fra l’1 e il 2 per cento all’anno, e le sue oscillazioni si produrrebbero entro margini
76
Questo è l’argomento presentato da C. Maling nel suo articolo «The Austrian Business Cycle Theory and its
Implications for Economic Stability under Laissez-Faire», cap. 48 di Friedrich A. Hayek: Critical Assessments, J.C.
Wood y R.N. Woods, Routledge, Londra 1991, vol. II, p. 267.
77
Sull’«Effetto Pigou» si deve consultare l’articolo di Don Patinkin intitolato «Real Balances», pubblicato nel vol. IV
di The New Palgrave: A Dictionary of Economics, op. cit., pp. 98-101.
32
molto piccoli intorno alla metà di un quarto di punto. Un contesto come quello appena descritto può
sembrare «di un’altra possibilità» agli agenti economici che hanno vissuto solo in contesti
inflazionistici basati sull’espansione monetaria e creditizia, ma sarebbe una situazione molto
favorevole a quella alla quale gli agenti economici si abituerebbero senza grandi problemi.78
I presunti pericoli della «deflazione» sono stati esagerati anche da diversi membri della Scuola
Neobancaria della banca libera con riserva frazionaria. Così, Stephen Horwitz obietta che nel nostro
modello si riducano i prezzi in modo graduale e continuativo e sostiene che nello stesso modo in cui
adesso si verificano cambiamenti repentini nella crescita dei prezzi, dovrebbero prodursi
ugualmente diminuzioni immediate dei medesimi (!). Horwitz non comprende che tali diminuzioni
immediate con uno standard monetario rigido rispetto alla contrazione sono praticamente
impossibili, eccetto in circostanze eccezionali di catastrofi naturali, guerre e fenomeni straordinari
di carattere simile. In circostanze normali, la domanda di moneta non ha motivo di aumentare in
nessun caso in modo traumatico, e inoltre diminuirebbe in modo graduale secondo che la crescita
del potere d’acquisto dell’unità monetaria rendesse necessario per gli agenti economici mantenere
saldi liquidi così elevati.79
Il modello di «deflazione» continua, leggera e graduale che si produrrebbe nel sistema di gold
standard puro con un coefficiente di riserva del 100 per cento, non solo non impedirebbe uno
sviluppo economico sostenuto ed armonioso, ma al contrario lo promuoverebbe energicamente.
Inoltre, questo è qualcosa che si è verificato storicamente in diverse occasioni. Così, per esempio,
già abbiamo menzionato in questo libro il caso degli Stati Uniti durante il periodo che va dalla fine
della Guerra Civile nel 1867 fino al 1879, così come si sono visti costretti a riconoscere gli stessi
Milton Friedman ed Anna J. Schwartz, per i quali questo periodo «was a vigorous stage in the
continued economic expansion that was destined to raise the United States to a first rank among the
nations of the world. And their coincidence casts serious doubts on the validity of the now widely
held view that secular price deflation and rapid economic growth are incompatible.»80
7. «Il mantenimento di un gold standard puro con un coefficiente di riserva del 100 per cento
sarebbe molto costoso in termini di risorse economiche e, pertanto, agirebbe come un freno allo
78
«In a world of a rising purchasing power of the monetary unit everybody’s mode of thinking would have adjusted
itself to this state of affairs, just as in our actual world it has adjusted itself to a falling purchasing power of the
monetary unit. Today everybody is prepared to consider a rise in his nominal or monetary income as an improvement to
his material well-being. People’s attention is directed more toward the rise in nominal wage rates and the money
equivalent of wealth than to the increase in the supply of commodities. In a world of rising purchasing power for the
monetary unit they would concern themselves more with the fall in living costs. This would bring into clearer relief the
fact that economic progress consists primarily in making the amenities of life more easily accessible.» Ludwig von
Mises, Human Action, op. cit., p. 469.
79
Stephen Horwitz, «Keynes’ Special Theory», Critical Review, vol. III, nn. 3 e 4, nota 18 a piè di pp. 431-432.
Horwitz inoltre afferma che i teorici austriaci che difendono il coefficiente di cassa del 100 per cento non sono stati in
grado di spiegare perché una diminuzione della domanda di moneta debba essere diversa, nel momento di favorire la
comparsa di crisi economiche, da un aumento della sua offerta, senza comprendere in alcun modo che è la concessione
di strumenti fiduciari senza copertura di risparmio reale, cioè, l’espansione creditizia, qualla che distorce la struttura
produttiva causando le crisi, e non la diminuzione generalizzata della domanda di moneta, il cui unico effetto, a parità di
circostanze, consiste nella diminuzione del potere d’acquisto dell’unità monetaria, ma senza riguardare,
necessariamente la creazione di crediti senza copertura di risparmio reale e, pertanto, la struttura produttiva della
società. Si deve, pertanto, respingere la conclusione di Horwitz secondo cui «100 percent reserve banking is
insufficiently flexible to maintain monetary equilibrium», in quanto si basa su un’analisi teoricamente scorretta che non
considera adeguatamente i meccanismi di scoordinamento che si producono durante il ciclo economico.
80
Milton Friedman y Anna J. Schwartz, A Monetary History of the United States, 1867-1960, op. cit., p. 15. La
traduzione di questa citazione è: «Durante questo periodo si produce una fase vigorosa di continua espansione
economica che era destinata a innalzare gli Stati Uniti al primo posto tra le nazioni del mondo E la sua coincidenza
genera seri dubbi sulla validità del punto di vista ora ampiamente sostenuto che una deflazione secolare dei prezzi e un
rapido sviluppo economico siano incompatibili.» Si confronti questa affermazione con l’identica conclusione a cui
giunge Ludwig von Mises nel suo Money, Method and the Market Process, op. cit., pp. 90-91, dove Mises spiega in
memorandum del 1930 questa stessa idea agli specialisti del Comitato Finanziario della Lega delle Nazioni. Cfr.,
ugualmente, lo Studio dettagliato del periodo 1873-1896 incluso da George A. Selgin nel suo libro Less Than Zero: The
Case for a Falling Price Level in a Growing Economy, op. cit., pp. 49-53.
33
sviluppo economico». – L’argomento che un gold standard puro sarebbe molto costoso in termini di
risorse economiche era stato già sostenuto da John Maynard Keynes, per il quale questo standard
monetario altro non era se non una «barbara reliquia» del passato. Questo stesso argomento fu
trasmesso ai libri di testo più comuni, e così, per Paul A. Samuelson, «(it) is absurd to waste
resources digging gold out of the bowels of the earth, only to inter it back again in the vaults of Fort
Knox»81. È evidente che il mantenimento di un gold standard puro, con una leggera «deflazione»,
cioè con un costante e graduale aumento del potere d’acquisto dell’unità monetaria, genererebbe un
incentivo continuativo per cercare ed estrarre quantità di oro, dedicando numerose risorse
economiche alla ricerca, estrazione e distribuzione del metallo giallo. Sebbene non esista unanimità
sulle stime realizzate riguardo al costo economico di questo standard monetario, possiamo finanche,
seguendo Leland B. Yeager, giungere ad ammettere a fini dialettici, che tali costi ruoterebbero
intorno all’1 per cento del Prodotto Interno Lordo mondiale.82 Ed è ovvio che imprimere carta-
moneta è di gran lunga più «economico» che estrarre oro dalla terra a un costo vicino all’1 per cento
del Prodotto Interno Lordo mondiale.
Tuttavia, ricorrere con Keynes e Samuelson al presunto costo del gold standard per scartare questo
sistema monetario è qualcosa di molto ingannevole. Non si tratta di confrontare semplicemente il
costo di produzione dell’oro dinanzi al costo di produrre carta-moneta, ma è necessario, in ogni
caso, confrontare i costi globali (diretti e indiretti) derivanti dall’uno e dall’altro sistema monetario.
E in questo confronto si deve considerare non solo il grave danno economico e sociale che produce
la ripetizione ciclica di depressioni economiche, ma anche i costi di ogni tipo che comporti lo
standard monetario elastico e completamente fiduciario e controllato dallo Stato. In questo senso,
non possiamo fare a meno di riferirci al lavoro di Roger W. Garrison, «The Costs of a Gold
Standard».83 In quest’articolo Roger Garrison stima i costi di opportunità che derivano da uno
standard monetario puramente fiduciario, confrontandoli con quelli propri di un gold standard puro
con un coefficiente di riserva del 100 per cento. Per Roger Garrison, «the true costs of the paper
standard would have to take into account (1) the costs imposed on society by different political
factions in their attempts to gain control of the printing press, (2) the costs imposed by special-
interest groups in their attempts to persuade the controller of the printing press to misuse its
authority (print more money) for the benefit of special interests, (3) the costs in the form of
inflation-induced misallocation of resources that occur throughout the economy as a result of the
monetary authority succumbing to the political pressures of the special interests, and (4) the costs
incurred by businesses in their attempts to predict what the monetary authority will do in the future
and to hedge against likely, but uncertain, consequences of monetary irresponsibility. With these
considerations in mind, it is not difficult to believe that a gold standard costs less than a paper
standard.»84 Aggiungerei, inoltre, l’elevato costo che deriva dal mantenere tutto il groviglio
mondiale di banche centrali e organizzazioni internazionali (Fondo Monetario Internazionale,
81
Paul A. Samuelson, Economics, 8.ª edizione, Macmillan, Nuova York 1970: «È assurdo dedicare risorse per estrarre
oro dalle viscere della terra per poi consegnarlo di nuovo alle camere blidate di Fort Knox.»
82
Leland B. Yeager, «Introduction» in The Gold Standard: An Austrian Perspective, Llewellyn H. Rockwell (ed.),
Lexington Books, Lexington, Massachusetts, 1985, p. x.
83
Roger W. Garrison, «The Costs of a Gold Standard», cap. IV del libro The Gold Standard: An Austrian Perspective,
op. cit., pp. 61-79.
84
Roger W. Garrison, «The Costs of a Gold Standard», in The Gold Standard, op. cit., p. 68. La traduzione della
citazione nel testo è: «I veri costi di uno standard monetario basato sulla carta-moneta dovrebbero prendere in
considerazione (1) i costi imposti alla società dalle diverse fazioni politiche nel loro intento di acquisire il controllo
della macchina che emette moneta, (2) i costi imposti dai gruppi di interessi privilegiati nel loro tentativo di persuadere
il responsabile dell’emissione di moneta ad usare la sua autorità per imprimere più moneta a beneficio del gruppo di
ineteresse privilegiato di cui si tratti, (3) i costi sotto forma di cattiva assegnazione delle risorse indotta dall’inflazione
che in maniera generalizzata si verifica nell’economia ogni volta che l’autorità monetaria soccomba alle pressioni
politiche dei gruppi di interessi privilegiati, e (4) i costi in cui incorrono le imprese nel loro tentativo di prevedere che
cosa farà in futuro l’autorità monetaria e di proteggersi di fronte alle azioni e conseguenze probabili ma sempre incerte
della irresponsabilità monetaria. Tenendo in considerazione questi elementi non è difficile credere che un gold standard
costi meno che uno standard basato sulla moneta fiduciaria.»
34
Banca Mondiale, ecc.) con i loro ben pagati funzionari, notevoli mezzi economici dediti alla
raccolta di informazione statistica, e al finanziamento di lavori «di ricerca», congressi e riunioni
internazionali, insieme all’elevato costo derivante dalla sovrapproduzione di servizi bancari sotto
forma di moltiplicazione esagerata di succursali bancarie, con il grande sperpero di risorse umane
ed economiche alle quali tutto ciò dà luogo.85 Non desta, pertanto, alcuna sorpresa che finanche
Milton Friedman, un autore che al principio considerò con la maggioranza che il costo del gold
standard puro fosse troppo alto, in seguito cambiasse opinione, e concludesse che dal punto di vista
economico non esistesse un problema di costo di opportunità per quanto concerne il gold standard
puro.86
Insomma, possiamo concludere considerando che un sistema monetario e bancario basato sul gold
standard puro con un coefficiente di riserva del 100 per cento per la banca è un’«istituzione sociale»
fondamentale per il corretto funzionamento di ogni economia di mercato. Le istituzioni sociali
possono essere definite come ogni schema di comportamento normato che si è formato in modo
spontaneo ed evolutivo nel corso di periodi molto lunghi di tempo, in conseguenza dell’apporto e
partecipazione nei processi sociali di molteplici generazioni di esseri umani. Le istituzioni, come il
gold standard, il diritto di proprietà o la famiglia, comportano, pertanto, un’enorme quantità di
informazione e sono state testate nei contesti storici e nelle circostanze particolari di tempo e luogo
molto varie. Perciò non si può prescindere impunemente da questo tipo di istituzioni, come
nemmeno si può prescindere, senza incorrere in costi sociali sproporzionati, dai principi morali.
Infatti, i comportamenti normati, le tradizioni e i principi morali, lungi dall’essere «repressive e
inibitorie tradizioni sociali» (così come irresponsabilmente le hanno qualificate autori come
Rousseau e, in generale, i teorici «scientisti»), non sono altro che le norme di condotta che hanno
reso possibile l’evoluzione e lo sviluppo della civiltà. Quando l’essere umano, divinizzando la sua
ragione (e nel campo della teoria economica bisognerebbe menzionare insieme keynesiani e
monetaristi come principali colpevoli di esser caduti in questo tipo di comportamento), pensa che le
istituzioni sociali possano essere «migliorate», modificate e ricostruite ex novo dall’essere umano,
questi, privo di tali vitali guide e riferimenti nell’agire, finisce inevitabilmente col razionalizzare le
sue più ataviche e primitive passioni, mettendo con ciò in pericolo i processi sociali spontanei di
cooperazione e coordinamento sociale. Il gold standard e il principio del coefficiente di riserva del
100 per cento fanno parte indivisibile delle vitali istituzioni sociali che devono servire da «pilota
automatico» o guida nel comportamento pratico degli esseri umani nei processi di cooperazione
sociale, la cui irresponsabile eliminazione genera costi sproporzionati e imprevedibili sotto forma di
tensioni e dissesti sociali che mettono in pericolo il progresso pacifico ed armonioso dell’umanità.
8. «L’istituzione di un sistema come quello proposto farebbe sì che il mondo dipendesse da paesi
che, come il Sudafrica e l’estinta Unione Sovietica, sono stati finora i maggiori produttori di oro».
– Il pericolo rappresentato dalla presunta dipendenza che potesse arrivare ad avere un gold standard
puro dalla produzione di oro del Sudafrica e delle nazioni che oggi integrano l’estinta Unione
Sovietica è stato molto esagerato. Inoltre si basa sull’errore di non prendere in considerazione che,
anche qualora questi paesi partecipino in proporzione notevole alla nuova produzione di oro di ogni
85
Roger W. Garrison ci ricorda, inoltre, che le risorse reali dedicate alla produzione e distribuzione dell’oro sono, in
larga misura, inevitabili, in quanto il metallo giallo, indipendentemente dalla sua convertibilità con lo standard
monetario, continua ad essere estratto, raffinato, distribuito e conservato, dedicandosi una notevole quantità di risorse
economiche a tutti questi tipi di attività. Cfr. Roger W. Garrison, «The Costs of a Gold Standard», in The Gold
Standard, op. cit., p. 70.
86
Cfr. Milton Friedman e Anna J. Schwartz, «Has Government any Role in Money?», pubblicato originariamente nel
Journal of Monetary Economics, gennaio 1986, pp. 37-62. È chiaro che un gold standard puro con un coefficiente di
riserva del 100 per cento dovrebbe, pertanto, attrarre fortemente i monetaristi, in quanto rappresenterebbe l’equivalente
di una regola monetaria relativamente stabile, e renderebbe possibile, dato il carattere indistruttibile degli stocks di oro,
le contrazioni immediate nell’offerta monetaria, eliminando anche in modo completo l’esercizio discrezionale
dell’autorità governativa in campo monetario. Da questo punto di vista, per ragioni di stretta coerenza, non desta
meraviglia che i teorici monetaristi come Friedman siano venuti spingendosi sempre di più in favore del gold standard
puro che, finora, avevano disdegnato.
35
anno (Sudafrica con il 34 per cento e l’estinta Unione Sovietica con il 18 per cento della nuova
produzione annuale del metallo giallo)87, tuttavia l’importanza relativa di questi nuovi volumi di
produzione in relazione agli stocks di oro attualmente esistenti nel mondo (e che, dato il loro
carattere immutabile e indistruttibile, si sono accumulati nel corso della storia della civiltà) è
praticamente insignificante (non superiore allo 0,5 per cento annuale). Di fatto, la maggior parte
dello stock mondiale di oro è distribuito fra i paesi dell’Unione Europea, America e il sud dell’Asia.
Inoltre, finita la guerra fredda, non si può comprendere che tipo di comportamenti perturbatori
potrebbero avere nazioni come il Sudafrica o l’estinta Unione Sovietica, la cui produzione annuale
di oro rappresenta una frazione così insignificante del volume totale del metallo giallo disponibile
nel mondo (a parte che essi stessi sarebbero i primi ad essere danneggiati da qualsiasi politica di
riduzione artificiale della produzione di oro).
In ogni caso, è necessario riconoscere che la transizione verso un sistema monetario come quello
proposto dovrebbe aumentare come vedremo nella sezione seguente, di molte volte (forse più di
venti) il valore di mercato che oggi ha l’oro in termini delle attuali unità monetarie. È inevitabile
che ciò dia luogo, in un primo momento e in una sola volta, a un’importante plusvalenza a favore
degli attuali possessori di oro e, in concreto, delle imprese estrattrici e distributrici di esso. Tuttavia,
il desiderio di evitare che determinati terzi approfittino in un modo ritenuto immeritato del
ristabilimento di un sistema così vantaggioso da un punto di vista sociale come quello proposto non
costituisce, in nessun modo, un argomento prima facie contro lo stesso.88
9. «Il presunto fallimento del coefficiente del 100 per cento di riserva nell’Argentina del Generale
Perón». – Nel nostro secolo esiste un caso storico nel quale, almeno retoricamente, si è cercato di
istituire per la banca un coefficiente di riserva del 100 per cento. Tuttavia, in questo caso, invece di
accompagnare la riforma con una privatizzazione globale del sistema monetario e l’eliminazione
della banca centrale, si è proceduto ad effettuare una totale statizzazione del credito, che generò un
alto volume di inflazione e profonde distorsioni di natura creditizia che devastarono l’economia
argentina. Perciò, non si può considerare questo esempio come un’illustrazione degli inconvenienti
della proposta di riforma che abbiamo presentato, ma al contrario: è una perfetta conferma storica
dei gravi effetti che ha l’intervento del settore pubblico nel campo finanziario, monetario e
creditizio. Analizziamo più in dettaglio la storia dell’«esperimento» argentino.
La riforma iniziò dopo poco che il generale Perón aveva assunto il governo dell’Argentina nel
1946, e fu portata a termine mediante il decreto legge n.º 11554, omologato dalla legge 12962. In
queste disposizioni giuridiche si stabilì la nazionalizzazione dei depositi delle banche, dichiarandosi
ufficialmente che, a partire da allora, la nazione argentina avrebbe garantito tutti i depositi.
Nell’esposizione dei motivi di questi testi legislativi, fra altre considerazioni, si diceva quanto
segue: «Infatti, da quando tutti i depositi rimangono nelle banche per conto della Banca Centrale,
che sopporta le spese finanziarie ed amministrative, e da quando non possono essere utilizzati dalle
banche riceventi salvo accordo con la Banca Centrale, questi depositi non “pesano” più, per così
87
Mark Skousen, Economics on Trial, op. cit., p. 142.
88
Come sostiene Murray N. Rothbard: «Depending on how we define the money supply —and I would define it very
broadly as all claims to dollars at fixed par value— a rise in gold price sufficient to bring the gold stock to 100 per cent
of total dollars would require a ten —to twenty— fold increase. This of course would bring an enormous windfall gain
to the gold miners, but this does not concern us. I do not believe that we should refuse an offer of a mass entry into
Heaven simply because the manufacturers of harps and angels’ wings would enjoy a windfall gain.» Murray N.
Rothbard, «The Case for a 100 Percent Gold Dollar», op. cit., p. 68 (I corsivi sono miei). In ogni caso è necessario
riconoscere, come fa Rothbard, che la crescita del valore dell’oro darebbe luogo, soprattutto durante i primi anni dopo la
transizione, a un enorme impulso dell’industria dedita all’estrazione e distribuzione di oro, modificandosi in una certa
misura in conseguenza di ciò l’attuale struttura del commercio internazionale e dei flussi migratori e di capitale. In
seguito Murray N. Rothbard cambiò opinione e, col fine di evitare che le banche approfittassero di un arricchimento
illegittimo, propose che lo scambio con l’oro fosse effettuato solo in relazione ai biglietti bancari, inducendo una
deflazione della massa monetaria corrispondente al volume totale dei depositi a vista. Nonostante questo cambiamento
di posizione in Rothbard, riteniamo che la nostra proposta (che presenteremo più avanti) sia di gran lunga superiore, in
quanto evita la non necessaria deflazione che genererebbe la sua proposta. Cfr. Murray N. Rothbard, «The Solution»,
The Freeman: Ideas on Liberty, novembre 1995, pp. 697-702.
36
dire, sulle banche e non impediscono loro di estendere di là dai limiti utili la soglia dei crediti. Sarà
possibile raggiungere, in questo modo, un credito sano, più orientato a moventi economici a lungo
raggio che a propiziare loro propositi puramente finanziari.»89
Tuttavia, nonostante questa retorica apparentemente corretta, la riforma bancaria di Perón era, fin
dall’inizio, destinata al fallimento. Infatti, la riforma si fondò su una completa statizzazione del
settore monetario e bancario, di modo che la responsabilità quanto alla concessione di nuovi crediti
fu affidata a una Banca Centrale i cui responsabili dipendevano direttamente dal governo. Cioè,
invece di privatizzarsi completamente le istituzioni finanziarie e monetarie e far sì che il credito
coincidesse in modo spontaneo con i tassi di risparmio del paese, iniziò da parte della Banca
Centrale un’avventata concessione privilegiata di crediti espansivi che arrivarono al sistema
economico, sia attraverso operazioni di mercato aperto in Borsa, sia, soprattutto, mediante la
concessione di sconti a quelle banche più favorevoli al potere politico.
Così nella riforma si stabilì che la Banca Centrale avrebbe potuto in ogni caso realizzare ogni anno
operazioni di mercato aperto fino a un 15 per cento del volume totale della massa monetaria.
Ugualmente si eliminò completamente la copertura di oro della moneta argentina, così come la
relazione preesistente fra questa e l’oro. La legge n.º 13571 del 1949 modificò, inoltre, la
costituzione del Consiglio di Amministrazione della Banca Centrale e determinò che il suo
presidente fosse lo stesso Ministro delle Finanze, convertendosi pertanto l’istituzione in una mera
dipendenza dal potere statale. E, in ultimo, nella riforma si stabilì che il credito si sarebbe concesso
a partire da allora da parte della Banca Centrale sotto forma di sconto alle diverse banche, senza
alcun limite quanto al suo volume e capacità espansiva, utilizzandosi questo enorme potere per
privilegiare le istituzioni più affini al regime politico allora vigente. In conseguenza di quanto detto
in precedenza, e nonostante la sua retorica iniziale, la riforma di Perón produsse una crescita senza
precedenti del volume del credito, un’enorme espansione degli strumenti di pagamento e una grande
inflazione che distolse enormemente la struttura produttiva del paese, causando una profonda
recessione economica dalla quale l’Argentina ha impiegato molti anni per riprendersi. Così, per
esempio, la circolazione monetaria aumentò nei nove anni della prima fase di Perón (dal 1946 al
1955) più del 970%, riducendo la copertura in oro e divise dei biglietti emessi dal 137% nel 1946 a
poco più del 3,5% nel 1955.
La riforma fu abrogata con la rivoluzione che rovesciò il generale Perón nel 1955 e che ristabilì la
privatizzazione dei depositi, anche se questa non fu in grado di porre termine al caos finanziario, in
quanto le banche private ripresero con rinnovato impulso la loro politica espansiva, continuando
così la politica iniziata dalla Banca Centrale durante gli anni di Perón, tutte queste cose
convertirono in cronica e famosa a livello mondiale la iperinflazione argentina.90
Possiamo concludere, pertanto, che l’esperimento argentino ebbe solo la pretesa di riservare
esclusivamente al governo i vantaggi dell’espansione creditizia, impedendo che le banche private
approfittassero di una parte sostanziale di essa, come avevano fatto fino ad allora. Ma non
rappresentò una riforma per privatizzare il sistema monetario e abolire la Banca Centrale. La
riforma peronista mise in evidenza il fatto, che abbiamo già commentato in questo libro, che un
coefficiente di cassa del 100% mantenendosi il monopolio da parte della banca centrale quanto
all’emissione di moneta e alla concessione di credito, può distorcere in modo ugualmente grave
l’economia nel caso in cui, per ragioni politiche, l’autorità monetaria intraprenda una politica di
89
Una breve e acuta descrizione del sistema bancario istituito dal generale Perón si può trovare nell’articolo di José
Heriberto Martínez, «El Sistema monetario y bancario argentino», pubblicato in Homenaje a Lucas Beltrán, Editorial
Moneda y Crédito, Madrid 1982, pp. 435-460. La citazione del testo è tratta dalle pp. 447-448.
90
Curiosamente, nella nuova e breve parentesi peronista del 1973 si ristabilì la nazionalizzazione dei depositi bancari,
che fu abolita il 24 marzo del 1976, quando le forze armate abbatterono il regime peronista impossessandosi del
governo. Ciò che avvenne dopo appartiene già alla storia economica, e mise in evidenza che il sistema di «libertà» e
irresponsabilità bancaria che entrò in vigore a partire da allora fu quasi tanto perturbatore quanto quello sviluppato in
precedenza da Perón. Infine, il fallimento del 2001 della cassa di conversione peso-dollaro, instaurata da Domingo
Cavallo dieci anni prima, illustra di nuovo alla perfezione un altro dei principi teorici essenziali sviluppati in questo
libro: che è impossibile un sistema bancario con riserva frazionaria senza prestatore di ultima istanza.
37
espansione creditizia (sia creando e concedendo i crediti direttamente, sia mediante acquisti di
mercato aperto nella Borsa valori). Il fallimento dell’esperimento dell’Argentina del generale Perón,
lungi dall’essere, pertanto, un’illustrazione storica contro il coefficiente di riserva del 100 per cento,
rappresenta una conferma della necessità che tale riforma sia sempre accompagnata da una
completa privatizzazione della moneta e dalla eliminazione della banca centrale.
Insomma, il sistema argentino di Perón cercò di impedire la creazione espansiva di crediti da parte
del sistema bancario privato. Ma sostituì tale attività con una creazione espansiva di crediti senza
copertura di risparmio reale ancora maggiore, che aveva come protagonista la Banca Centrale e lo
stesso Stato, per cui, in fin dei conti, il danno che arrecò al sistema monetario, finanziario ed
economico del paese fu ancora più profondo. A nulla vale, pertanto, porre termine ad un processo di
espansione creditizia (quello di una banca privata con coefficiente di riserva frazionaria) se lo stesso
è sostituito da un altro ancora maggiore realizzato direttamente dallo stesso Stato.91
10.«La riforma proposta non potrebbe essere realizzata da nessun paese isolato, ma esigerebbe un
accordo internazionale difficile e costoso». – sebbene sia certo che l’istituzione di un gold standard
puro con un coefficiente di riserva del 100 per cento converrebbe che fosse effettuato a livello
internazionale e che un accordo in questo senso faciliterebbe enormemente la transizione al nuovo
sistema, ciò non è un argomento contro il fatto che, finché tale accordo internazionale non sia
possibile, i diversi Stati in modo isolato tentino di avvicinarsi al sistema monetario ideale. Questo è,
concretamente, ciò che propose per la Francia Maurice Allais, prima che questo paese si integrasse
nell’Unione Europea nel 2002,92 indicando che l’istituzione del coefficiente di riserva del 100 per
cento e il mantenimento di una politica monetaria da parte della banca centrale molto rigorosa (che
permetta una crescita della base monetaria non superiore al 2 per cento annuale) sarebbe un primo
passo nella direzione corretta che l’Unione Europea, Giappone, Russia o qualsiasi altro paese
potrebbe percorrere da sé stesso. Quest’idea, inoltre, condiziona il giudizio riguardo ai diversi
sistemi di unificazione monetaria che in diverse aree economiche rinomate , e in concreto in quella
dell’Unione Europea, sono stati portati a termine e che avremo l’opportunità di commentare con
maggiore dettaglio nel paragrafo seguente.
Inoltre, l’istituzione di tassi di cambio fissi, ma rivedibili tra i diversi paesi, potrebbe far sì che le
nazioni di un’area economica fossero obbligate a seguire la leadership di quegli Stati che
decidessero di avanzare in modo più sicuro e chiaro nella dimensione ideale, iniziandosi in tal modo
una tendenza irresistibile verso il raggiungimento dell’obiettivo proposto.93
È necessario iniziare questo paragrafo con alcune considerazioni generali sulla problematica che
pone ogni strategia politica per portare a termine con successo qualsiasi riforma economica e non
solo nello specifico campo finanziario.
91
Insomma, ciò che l’esperimento di Perón mise in evidenza fu il fallimento della nazionalizzazione del credito, e non
del coefficiente di riserva del 100 per cento, e diede luogo a tutti gli effetti negativi che Ludwig von Mises aveva già
previsto nel 1929 nel suo articolo su La nazionalizzazione del credito: Ludwig von Mises, Die Verstaatlichung des
Kredits: Mutalisierung des Kredits, Travers-Borgstroem Foundation, Berna, Monaco e Lipsia 1929. Questo lavoro fu in
seguito tradotto in inglese con il titolo di «The Nationalization of Credit?» e pubblicato in A Critique of
Interventionism: Inquiries into the Economic Policy and the Economic Ideology of the Present, Arlington House, Nuova
York 1977, pp. 153-164.
92
Cfr. Maurice Allais «Une objection générale: la construction européenne», pp. 359-360 del suo articolo già citato su
«Les conditions monétaires d’une économie de marchés».
93
In ogni caso, l’istituzione di un gold standard con un coefficiente di reserva del 100 per cento in economie così
importanti come quella nordamericana e quella europea, richiederebbe una leadership di enorme importanza nel campo
monetario, che non potrebbe essere ignorata dal resto dei paesi, che si vedrebbero così obbligati a seguire i suoi passi in
favore della stessa riforma.
38
Alcuni principi strategici fondamentali
Il pericolo più importante di ogni strategia di riforma è quello di cadere nel pragmatismo politico
del giorno per giorno, dimenticando gli obiettivi ultimi che si cerca di raggiungere, in virtù della
presunta «impossibilità» politica del suo conseguimento nel breve periodo. Questa strategia è molto
pericolosa, e nel passato ha avuto effetti molto dannosi sui diversi programmi di riforma. Infatti, il
pragmatismo ha motivato in modo sistematico il fatto che, per raggiungere o mantenere il sistema
politico, si siano raggiunti accordi e adottate decisioni politiche ad hoc, in molti casi essenzialmente
incoerenti e contrari a quelli che sarebbero dovuti essere gli obiettivi ultimi. Inoltre, la discussione
esclusiva di ciò che era o no politicamente fattibile nel molto breve periodo, trascurando o
dimenticando totalmente gli obiettivi finali, ha impedito che si realizzasse il necessario studio
accurato e il processo di divulgazione di detti obiettivi fra i cittadini, e tutto ciò ha motivato una
perdita continua delle possibilità di creare una coalizione di interessi in favore della riforma,
essendo questa rimasta vaga e diluita da altri progetti e obiettivi che erano considerati più urgenti
nel breve periodo.
La strategia politica più adeguata per la riforma che proponiamo deve basarsi, pertanto, su un
principio di natura duale. Questa strategia consiste, da una parte, nello studio continuo e
nell’educazione del pubblico ai grandi benefici che si otterrebbero dal raggiungimento degli
obiettivi finali che si cerca di raggiungere nel medio e nel lungo termine e, d’altra parte, nella
realizzazione nel breve termine di una politica di avvicinamento graduale verso detti obiettivi che
sia sempre coerente con essi. Solo questa strategia permetterà di rendere possibile politicamente nel
medio e nel lungo termine ciò che oggi forse sembra molto difficile da raggiungere.94
Tornando ora al tema di cui ci occupiamo, cioè della riforma bancaria dell’economia di mercato,
nei paragrafi seguenti proporremo un processo di riforma delle attuali strutture che sono state
pensate tenendo conto della strategia descritta e dei principi essenziali analizzati teoricamente in
questo libro.
Nella Figura IX-1 sono raccolte le cinque fasi fondamentali di un processo di riforma del sistema
bancario e finanziario, che nel nostro schema evolvono in modo naturale da destra a sinistra, cioè da
sistemi più regolamentati (o di pianificazione centrale del settore bancario e finanziario) a sistemi
meno regolamentati (nei quali la banca centrale è stata abolita e la banca funziona in un regime di
completa libertà sottoposta al diritto – con un coefficiente di riserva del 100 per cento -).
94
Si veda il già classico lavoro di William H. Hutt, Politically Impossible...?, Institute of Economic Affairs, Londra
1971. Questo importante libro è stato tradotto in spagnolo da Juan Rincón Jurado con il titolo di El economista y la
política: ensayo sobre la «imposibilidad política» del análisis económico, Unión Editorial, Madrid 1975. Un’analisi
molto simile a quella esposta nel testo, ma in riferimento alla reforma Della Sicurezza Sociale, è sviluppata nel mio
articolo «Teoría de la crisis y reforma de la seguridad social», pubblicato in Jesús Huerta de Soto, Estudios de economía
política, Unión Editorial, Madrid 1994, cap. XVI, pp. 250-284. Infine, ho aggiornato, sviluppato ed esposto le mie idee
sul modo migliore di realizzare le riforme politiche di liberalizzazione economica in Jesús Huerta de Soto, «El
economista liberal y la política», in Manuel Fraga: homenaje académico, Fundación Cánovas del Castillo, Madrid
1997, volume I, pp. 763-788. Versione inglese, «A Hayekian Strategy to Implement Free Market Reforms», in J.B.
Backhaus, W. Heijmann, A. Nantjes e J. van Ophem (ed.), Economic Policy in an Orderly Framework: Liber
Amicorum for Gerrit Meijer, Lit Verlag, Münster 2003, pp. 231-254.
39
Figura IX-1
Schema di 5 fasi nel processo di riforma della banca centrale e del sistema bancario
Sistema con un Settore Finanziario e Sistema misto Sistema di Pianificazione Centrale del Settore
Bancario totalmente privato (sottomesso al Bancario e Finanziario
diritto)
5a Fase 4a Fase 3a Fase 2a Fase 1a Fase
1. Libertà bancaria 1. Abolizione della 1. Banca centrale 1. Banca Centrale 1. Banca Centrale
completa (sottomessa Banca Centrale indipendente. indipendente. dipendente dal
al diritto: coefficiente (libertà bancaria). Regola monetaria: Regola monetaria: governo: gestione ad
di cassa del 100%). Scambio crescita monetaria: crescita monetaria al hoc senza regola
Libertà di scelta della dell’ammontare appross. 2%. disopra dell’aumento monetaria.
moneta (prevarrà totale di moneta Coefficiente del 100 della produttività:
l’oro?). (biglietti e vecchi per cento della banca approx. 4% - 6%.
depositi) con oro. (viene convertita in
Libertà di scelta della amministratrice di
moneta. fondi di
investimento).
2. Consolidamento 2. Accordo 2. Cooperazione 2. Cooperazione 2. Nazionalismo
ed estensione internazionale per internazionale. bancaria monetario.
internazionale della adottare un gold internazionale.
riforma. standard puro con
100 per cento di
riserve.
3. Standard 3. Standard 3. Tassi di cambio 3. Tassi di cambio 3. Tassi di cambio
monetario mondiale monetario mondiale fissi (ma rivedibili). fissi (ma rivedibili) flessibili.
unico unico (equivale a
tassi di cambio fissi).
4. Assenza di 4. Assenza di 4. Assenza di 4. Espansione 4. Grande espansione
espansione creditizia. espansione creditizia. espansione creditizia creditizia più inflazionistica e
Leggera e continua Leggera e continua (la crescita monetaria moderata. Inflazione creditizia.
“deflazione”. “deflazione” finanzia una parte moderata.
(possibile shock della spesa pubblica).
inflazionistico “Stabilità” del valore
iniziale estraendosi della moneta.
più oro).
5. Crescita 5. Crescita sostenuta 5. Crisi borsistiche e 5. Crisi borsistiche e 5. Crisi borsistiche e
economica continua senza crisi recessioni recessioni recessioni
e sostenuta. borsistiche né economiche economiche economiche.
recessioni praticamente moderate.
economiche. eliminate.
Sistemi meno regolamentati ← ← ← Europa USA Sistemi più regolamentati
40
modo ricorrente una grande espansione inflazionistica e creditizia che distorce la struttura
produttiva generando fasi successive di booms borsistici ed espansioni economiche artificiali che
sono seguite da gravi crisi e recessioni economiche che tendono ad estendersi per contagio a livello
mondiale.
Nella seconda fase del processo di riforma qualcosa si muove nella direzione giusta. Si istituisce
legalmente l’«indipendenza» della banca centrale rispetto al governo e si cerca di fissare in una
regola monetaria (generalmente intermedia) quale sarà l’obiettivo di politica monetaria seguito dalla
banca centrale. Tale obiettivo è di solito stabilito sotto forma di un aumento monetario al di sopra di
un aumento della produttività (fra il 4 e il 6 per cento). Questo modello fu quello sviluppato dalla
Bundesbank nella Repubblica Federale di Germania e poi è stato adottato dalla Banca Centrale
Europea, avendo influito sui progetti ulteriori di riforma delle altre banche centrali del resto del
mondo. Questo sistema promuove un aumento della cooperazione internazionale fra le diverse
banche centrali, e l’istituzione di un sistema monetario comune, o almeno, di tassi di cambio fissi
(ma rivedibili) che pone termine all’anarchia competitiva che era propria del contesto di tassi di
cambio flessibili è perseguito finanche in ampie aree geografiche, la cui uniformità economica e
commerciale è maggiore. In conseguenza di tutto ciò, l’espansione creditizia diventa più moderata,
anche se non è eliminata del tutto, per cui le crisi borsistiche e le recessioni economiche, sebbene
meno gravi che nella prima fase, continuano a susseguirsi.95
Nella terza fase, mantenendosi una banca centrale indipendente, si compirebbe un passo decisivo
nella riforma, esigendosi la fissazione di un coefficiente di cassa del 100 per cento per la banca
privata. Questo sarebbe portato a termine da un punto di vista legale mediante le modifiche
legislative che, secondo quanto abbiamo già commentato all’inizio di questo capitolo, sarebbe
necessario porre in essere nei corrispondenti codici mercantile e penale. Queste modifiche
legislative permetterebbero di eliminare la maggior parte dell’attuale legislazione di tipo
amministrativo che ha emanato la banca centrale per controllare gli enti di credito e di deposito, di
modo che la sua unica responsabilità rimarrebbe ridotta a garantire un aumento dell’offerta
monetaria uguale o leggermente inferiore, come sostiene Maurice Allais (intorno al 2 per cento
annuale), all’aumento della produttività che fosse sperimentata nel sistema economico.
L’importanza della terza e delle successive fasi della riforma: la possibilità di approfittarne
per ammortizzare il debito pubblico o le obbligazioni del sistema pensionistico della Sicurezza
Sociale
Quanto alla riforma da effettuare nell’esercizio dell’attività bancaria, ruoterebbe intorno all’idea di
convertire le attuali banche private in mere amministratrici di fondi di investimento. In concreto,
dopo aver spiegato ed annunciato la riforma ai cittadini, si dovrebbe dare l’opportunità affinché i
titolari degli attuali depositi a vista (o i loro equivalenti) potessero manifestare in un lasso
prudenziale di tempo il loro desiderio di optare, o no, per sostituirli con partecipazioni in fondi di
investimento (avvertendoli che, nel caso in cui facessero uso di tale opzione, non avrebbero più
garantito il valore nominale dei loro depositi e, nel caso in cui avessero bisogno di liquidità,
sarebbero costretti a vendere le loro partecipazioni nel mercato borsistico, ottenendo il prezzo che
queste avessero in ogni momento).96 Ad ogni vecchio depositante che facesse uso di questa opzione
95
José Antonio de Aguirre, nell’«Allegato» che ha scritto per l’edizione spagnola del libro di Vera C. Smith intitolato
Fundamentos de la banca central y de la libertad bancaria (op. cit., specialmente pp. 280-282), ha chiarito come lo
studio e la polemica tra le diverse scuole che analizzano il processo di privatizzazione del settore finanziario, monetario
e bancario ha fatto sì che almeno sorgesse un consenso quasi generalizzato in favore dell’indipendenza delle autorità
monetarie, che si è materializzato in diverse riforme legislative che si sono realizzate in diversi paesi del mondo (inclusa
l’Unione Europea).
96
Il depositante in una banca è un possessore di «moneta» nella misura in cui sarebbe disposto a conservare i suoi
depositi anche qualora non ricevesse dalla banca nessun tasso di interesse. Il fatto che in un sistema bancario con riserva
frazionaria si siano confusi i depositi con i prestiti, secondo noi rende consigliabile che si conceda l’opzione affinché,
durante un periodo di tempo prudenziale, i titolari dei depositi decidano se li scambieranno o no in cambio di
41
si consegnerebbe un numero di partecipazioni in misura strettamente proporzionale all’importo dei
loro depositi rispetto al totale dei depositi di ogni banca, i cui attivi sarebbero trasferiti a un fondo di
investimento che ingloberebbe il totale dei beni e diritti di ogni banca (escludendo,
fondamentalmente, la parte corrispondente al loro patrimonio netto).
Trascorso il termine di opzione affinché gli attuali titolari dei depositi manifestino la loro volontà
sul fatto se desiderino continuare ad esserlo o se preferiscano scambiarli con partecipazioni nei
futuri fondi di investimento che siano creati dopo la riforma, la banca centrale, seguendo le
indicazioni di Frank H. Knight al riguardo,97 dovrà imprimere in biglietti di corso legale un importo
globale identico alla somma di tutti i depositi a vista ed equivalenti che siano contabilizzati in tutti i
bilanci delle banche sotto il suo controllo (escludendo l’importo sul quale sia stata esercitata la
summenzionata opzione di scambio). È chiaro che l’emissione di questi biglietti di corso legale da
parte della banca centrale non sarà in alcun modo inflazionistica, in quanto servirà, solo ed
esclusivamente, a consolidare l’ammontare totale di depositi a vista (e suoi equivalenti), essendo
trasferiti tali biglietti come garanzia a tutte e a ciascuna delle banche per un ammontare identico a
quello dei loro corrispondenti depositi. In questo modo, si otterrebbe immediatamente di fissare il
principio del coefficiente di cassa del 100 per cento, dovendosi proibire che le banche ritornassero a
concedere in futuro prestiti a carico dei depositi a vista, che in ogni caso dovrebbero sempre
rimanere perfettamente in equilibrio con il mantenimento di una riserva (sotto forma di biglietti in
potere delle banche) completamente uguale al volume dei depositi a vista o equivalenti.
È importante segnalare che Hart propone che la nuova moneta creata dalla banca centrale come
garanzia dei depositi sia consegnata a titolo di regalo alle banche. Orbene, se la consegna si effettua
a questo titolo, è evidente che nel bilancio delle banche si genererà un’enorme plusvalenza, di
importo esattamente uguale a quello dei depositi a vista che siano stati consolidati al 100 per cento.
Tuttavia, possiamo domandarci: a che deve corrispondere l’aggregato degli attivi contabili delle
banche che superino il loro patrimonio netto? Infatti, l’operazione che abbiamo appena descritto
lascia scoperto come le banche private, nell’esercizio della loro attività con un coefficiente di
riserva frazionaria, abbiano creato storicamente strumenti di pagamento, sotto forma di crediti creati
dal nulla, mediante i quali hanno espropriato in modo graduale e diluito una parte della ricchezza
del resto dei cittadini. L’ammontare globale della ricchezza in tal modo espropriata dalla banca
(attraverso un processo identico a quello degli effetti impositivi che l’inflazione ha per il governo),
e dopo aver tenuto in considerazione la differenza esistente tra le entrate e le uscite delle entità
bancarie in ogni esercizio, è rappresentato esattamente dagli attivi delle banche sotto forma di
immobili, succursali, equipaggiamenti e, soprattutto, dall’insieme dei loro investimenti in prestiti
all’industria e al commercio, in titoli di valore acquistati o no nella Borsa e in titoli del debito
pubblico emessi dal governo.98
partecipazioni nei futuri fondi di investimento che si costituiscano con gli attivi della banca. In tal modo risulterebbe
evidente quale parte dei depositi fosse soggettivamente considerata come moneta e quale fosse considerata come vero
prestito alle banche (che implica una perdita della disponibilità durante un certo periodo di tempo), evitandosi così che,
terminata la riforma, si verifichino i non necessari e perturbatori trasferimenti massicci di investimenti dai possessori di
depositi alle partecipazioni nei fondi. Infatti, come indica Ludwig von Mises: «The deposits subject to cheques have a
different purpose (than the credits loaned to banks). They are the businessman’s cash like coins and bank notes. The
depositor intends to dispose of them day by day. He does not demand interest, or at least he would entrust the money to
the bank even without interest.» Ludwig von Mises, Money, Method and the Market Process, op. cit., p. 108.
97
«The necessary reserve funds will be created by printing paper money and put it in the hands of the banks which need
reserves by simple gift. Even so, of course, the printing of this paper would be non-inflationary, since it would be
immobilized by the increased reserve requirements.» Cfr. Albert G. Hart «‘The Chicago Plan’ of Banking Reform», op.
cit. pp. 105-106, e la nota n.º 1 a piè di p. 106, dove attribuisce la paternità di questa proposta a Frank H. Knight.
98
Che i biglietti bancari e i depositi creati dal nulla dal sistema bancario con riserva frazionaria generino un patrimonio
che potrebbe essere considerato come un profitto delle stesse banche, è qualcosa che originariamente aveva messo in
evidenza Mises e che già abbiamo spiegato nel capitolo IV di questo libro quando ci siamo riferiti al carattere
permanente ed indefinito della fonte di finanziamento che tali depositi rappresentano. Il fatto che i crediti creati dal
nulla siano stati inquadrati da un punto di vista contabile con i depositi anche creati dal nulla nasconde alla maggioranza
del pubblico il fatto economico fondamentale che i depositi sono, in ultima istanza, moneta, o meglio, sostituti monetari
42
Si ha molta difficoltà nell’ammettere con Hart che la riforma debba basarsi sul regalare alle banche
l’importo di biglietti di cui abbiano bisogno per raggiungere un coefficiente di cassa del 100 per
cento, in quanto ciò equivarrebbe al fatto che l’insieme degli attivi attuali delle banche private, non
essendo più necessari da un punto di vista contabile come garanzia dei depositi, sarebbero
automaticamente considerati, dal punto di vista contabile, come proprietà degli azionisti delle
banche. Questa soluzione, che è stata anche proposta da Murray N. Rothbard,99 non sembra equa, in
quanto se qualche gruppo di agenti economici ha approfittato storicamente del privilegio di
concedere in modo espansivo crediti senza copertura di risparmio reale, questo è proprio quello
costituito dagli azionisti delle banche (nella misura in cui un’attività così lucrativa non sia stata loro
parzialmente espropriata dal governo, obbligandoli a utilizzare una parte della massa monetaria che
hanno creato per finanziare lo stesso Stato).
Infatti, l’insieme degli attivi della banca privata può e deve essere trasferito agli attivi di una serie
di fondi di investimento mobiliare la cui gestione dovrà costituire l’attività principale degli enti
bancari privati dopo che si è effettuata la riforma. Chi dovranno essere i titolari delle partecipazioni
corrispondenti a questi fondi di investimento e il cui valore nel momento dello scambio coinciderà
con l’importo totale di tutti gli attivi del sistema bancario (fatta eccezione per quelli corrispondenti
al patrimonio netto dei loro azionisti)? Noi proponiamo che queste partecipazioni ai fondi di
investimento di nuova creazione che siano costituiti con gli attivi della banca siano scambiati, in
tutti quegli Stati che siano oppressi da un’ingente quantità di debito pubblico, con i titoli in vigore
del debito pubblico che abbiano emesso. L’idea è molto semplice: i titoli in vigore del debito
pubblico saranno scambiati con le corrispondenti partecipazioni ai fondi di investimento che siano
costituiti con gli attivi della banca.100 In questo modo non solo si eliminerebbe una grande parte (o
anche la totalità) del debito pubblico emesso dallo Stato, favorendosi tutti i cittadini che, a partire
dal momento della riforma, non dovrebbero più finanziare tramite imposte il pagamento degli
perfetti, che non sono mai ritirati dal sistema bancario e che gli attivi delle banche sono un notevole patrimonio
espropriato in maniera diluita al resto dei cittadini di cui approfittano in modo esclusivo le istituzioni bancarie e i loro
azionisti. È curioso osservare come gli stessi banchieri in modo implicito o esplicito siano arrivati ad essere consapevoli
di questo fatto, così come ci indica Karl Marx: «Nella misura in cui emette banconote non coperte dalla riserva
metallica contenuta nei suoi forzieri, la Banca crea segni di valore che costituiscono per essa non semplicemente mezzi
di circolazione, ma capitale addizionale – sia pure fittizio - per l’importo nominale di quei biglietti senza copertura. E
questo Capitale addizionale le arreca un profitto addizionale. In Bank Acts, 1857, Wilson interroga Newmarch: ‘1563.
«La circolazione dei biglietti emessi da una banca, cioè, in media, l’ammontare che resta nelle mani del pubblico, forma
un incremento del capitale effettivo della banca stessa, non è vero? - Certamente». ‘1564. «Dunque, ogni profitto che la
banca ritrae da questa circolazione è, pertanto, un profitto derivante dal credito, non da un capitale realmente in suo
possesso? - Sicuramente». Conclude pertanto Marx che «le banche creano credito e capitale: primo, mediante emissione
di proprie banconote; secondo, mediante rilascio di assegni; e terzo, mediante il pagamento di cambiali scontate, la cui
capacità di ottenere credito è stata assicurata in primo luogo ed essenzialmente, almeno per il distretto in questione,
dalla girata della banca». Karl Marx, Il capitale, traduzione di Bruno Maffi, UTET, Torino 1974, vol. III, pp. 679-680
(i corsivi sono miei).
99
Sul processo di transizione per istituire un coefficiente di cassa del 100 per cento si debe consultare Murray N.
Rothbard, The Mystery of Banking, op. cit., pp. 249-269. In generale, siamo pienamente d’accordo con il programma di
transizione disegnato da Rothbard, eccetto che per quanto concerne il regalo che vuole fare alle banche consentendo
loro di rimanere con gli attivi che storicamente hanno espropriato ai cittadini e che, secondo me, sarebbe pienamente
giustificato usare per altre finalità che spieghiamo nel testo. Lo stesso Rothbard riconosce questo punto debole della sua
argomentazione quando dice che: «The most cogent criticism of this plan is simply this: Why should the banks receive a
gift, even a gift in the process of privatizing the nationalized hoard of gold? The banks, as fractional reserve institutions
are and have been responsible for inflation and unsound banking» (p. 268). Rothbard sembra orientarsi per la soluzione
che propone nel suo libro col fine di evitare che lo scambio al 100 per cento si effettui solo in relazione ai biglietti e non
ai depositi, il che sarebbe, evidentemente, deflazionistico. Ma sembra che non gli passasse per la mente l’idea che noi
proponiamo nel testo. Inoltre, si deve ricordare, come già abbiamo ricordato alla fine della nota 87, esattamente prima
della sua morte Rothbard cambiò idea e propose di scambiare con l’oro solo i biglietti in circolazione (lasciando a
margine i depositi bancari).
100
L’ideale sarebbe che il suddetto scambio si effettuasse ai rispettivi prezzi di mercato, dei titoli del debito pubblico e
delle partecipazioni nei corrispondenti fondi di investimento, per cui è necessario che questi siano creati e siano quotati
per un certo periodo (soprattutto con il volume di quei depositanti che in precedenza avessero optato di non esserlo più
convertendosi in titolari di fondi) prima di procedere ad effettuare lo scambio corrispondente.
43
interessi sul debito, ma inoltre non si pregiudicherebbero gli attuali titolari del debito pubblico, che
vedrebbero scambiati o sostituiti i loro titoli a reddito fisso con partecipazioni in un fondo di
investimento che, dal momento della riforma, avrebbero un valore di mercato riconosciuto e una
redditività determinata.101 Inoltre, esistono altre possibili obbligazioni dello Stato (per esempio nel
campo delle pensioni della Sicurezza Sociale pubblica) il cui scambio con le corrispondenti
partecipazioni nei fondi di investimento creati con gli attivi della banca potrebbe anche essere
effettuato alternativamente e in modo complementario e con effetti economici molto benefici.
Figura IX-2
Nella figura IX-2 si presenta in modo schematico come sarebbero le diverse masse patrimoniali
dell’attivo e del passivo contabili del bilancio aggregato della banca, una volta consolidati tutti i
suoi depositi con un coefficiente di riserva del 100 per cento e create con i suoi attivi i
corrispondenti fondi di investimento. A partire da questo momento l’attività della banca
consisterebbe fondamentalmente nella gestione dei fondi di investimento costituiti coi loro attivi,
potenod ottenere nuovi prestiti (direttamente o sotto forma di partecipazioni nei suddetti fondi) e
investirli ottenendo una piccola percentuale per l’intermediazione e/o gestione di questo tipo di
negozi. Ugualmente potrebbero continuare a realizzare lo stesso tipo di attività (legittime) che
avevano esercitato finora (prestazione di servizi di pagamento, trasferimenti, cassa, contabilità, ecc.)
riscuotendo per questi servizi i corrispondenti prezzi di mercato.
101
Come esempio, è necessario segnalare che l’importo globale dei depositi a vista ed equivalenti esistenti in Spagna
nel 1997 ruotava intorno ai 60 mila miliardi di pesete, avvicinandosi a 40 mila miliardi l’importo del debito pubblico
vigente nelle mani di privati alla stessa data. In questo modo, lo scambio che proponiamo potrebbe essere effettuato
senza grandi traumi e permetterebbe di ammortizzare di colpo la totalità del debito pubblico senza danno per i suoi
possessori e senza creare tensioni inflazionistiche non necessarie. D’altra parte, è necessario ricordare che le banche
sono titolari di una parte importante del debito pubblico vigente, per cui nel loro caso, invece di effettuarsi uno scambio,
questo sarebbe sostituito da una semplice cancellazione contabile. La differenza fra i 60 mila miliardi di deposito a vista
ed equivalenti che sarebbero consolidati con un coefficiente di cassa del 100 per cento e i 40 mila miliardi del debito
pubblico, potrebbe essere utilizzato per realizzare parzialmente uno scambio simile in relazione ad altre obbligazioni
finanziarie dello Stato (nell’ambito delle pensioni publiche della Sicurezza Sociale, per esempio). In ogni caso,
l’importo disponibile per realizzare questo tipo di scambio è quello che resterebbe dopo aver fatto fronte agli importi
corrispondenti a quei titolari di depositi che avessero liberamente optato di rinunziare ad essi, decidendo di scambiarli
con partecipazioni di valore equivalente nei suddetti fondi di investimento.
44
In ogni caso, in questa terza fase sarebbe mantenuta la cooperazione internazionale (e i tassi di
cambio fisso ma rivedibili) e a partire dal consolidamento dei depositi con un coefficiente di riserva
del 100 per cento, sarebbe eliminata completamente l’espansione creditizia. La banca centrale si
limiterebbe, come abbiamo indicato, ad aumentare la quantità di moneta in circolazione di una
piccola percentuale, utilizzando tale aumento per finanziare una parte delle spese delo Stato, come
propone Maurice Allais,102 e in nessun caso per effettuare acquisti di mercato aperto o espandere
direttamente il credito, come avvenne senza alcun controllo nel fallito tentativo di riforma bancaria
nell’Argentina del generale Perón. In conseguenza delle precedenti riforme, le crisi borsistiche e le
recessioni economiche sarebbero praticamente eliminate, in quanto a partire da allora il
comportamento nel mercato di risparmiatori ed investitori si coordinerebbe in modo molto preciso.
Secondo noi, la fissazione di un coefficiente di cassa del 100 per cento è una condizione
realizzabile e precedente all’abolizione definitiva della banca centrale che sarebbe da realizzare in
una quarta fase. Infatti, dopo aver sottomesso la banca privata al diritto, si dovrebbe esigere la
completa libertà bancaria, potendosi eliminare i resti della legislazione proveniente dalla banca
centrale e anche questa stessa istituzione. Ciò esigerebbe la sostituzione dell’attuale moneta
fiduciaria emessa in modo monopolistico dalla banca centrale con una moneta privata che, a causa
dell’impossibilità di fare un salto nel vuoto stabilendo uno standard monetario artificiale che non sia
sorto in modo evolutivo, dovrebbe essere costituito da ciò che l’Umanità ha considerato
storicamente esser la moneta per antonomasia: l’oro.103
Murray N. Rothbard ha studiato in dettaglio il processo di scambio con l’oro della totalità dei
biglietti che avrebbe emesso la banca centrale americana (Riserva Federale) e che si sarebbe dovuto
effettuare dopo aver stabilito un coefficiente di cassa del 100 per cento per tutti i depositi bancari.
Con dati dell’esercizio del 1981, giunge alla conclusione che il prezzo per oncia dell’oro in dollari
che consentirebbe di fare questo scambio sarebbe di 1.696 dollari per oncia. Nei passati 15 anni il
102
Maurice Allais non solo esige che la crescita monetaria sia usata per finanziare le spese correnti dello Stato
(diminuendosi in tal modo le imposte dirette e concretamente l’imposta sul reddito), ma che si separino radicalmente
l’attività della banca di deposito (con un coefficiente di riserva del 100 per cento) da quella della banca di investimento,
dedita a prestare a terzi la moneta che in precedenza le abbiano prestato i suoi clienti . Cfr. Maurice Allais, «Les
conditions monétaires d’une économie de marchés», op. cit. Un esame dettagliato delle misure di transizione proposte
da Maurice Allais si può trovare alle pp. 319-320 del libro L’Impôt sur le capital et la réforme monétaire,
op. cit. La separazione radicale fra la banca di deposito e la banca di investimento è difesa, ugualmente, da F.A.Hayek
nella sua opera su La denazionalizzazione della moneta, edizione italiana, op. cit., pp. 140-142.
103
L’impossibilità di sostituire l’attuale moneta fiduciaria con standard monetari privati di natura artificiale è una
conclusione teorica del «teorema regressivo della moneta» che abbiamo spiegato alla precedente nota 34. Per questo
Murray N. Rothbard è particolarmente critico verso autori che, come Hayek, Greenfield o Yeager, ad un certo punto
hanno proposto di creare un sistema monetario artificiale basato su un «paniere di merci». Secondo Rothbard, «it is
precisely because economic history is path-dependent that we don’t want to foist upon the future a system that will not
work, and that will not work largely because such indices and media cannot emerge ‘organically’ from individual
actions on the market. Surely, the idea in dismantling the government and return (or advancing) to a free market is to be
as consonant with the market as possible, and to eliminate government intervention with the greatest possible dispatch.
Foisting upon the public a bizarre scheme at variance with the nature and functions of money and of the market, is
precisely the kind of technocratic social engineering from which the world has suffered far too much in the twentieth
century.» Murray N. Rothbard, «Aurophobia: or Free Banking on what Standard?», The Review of Austrian Economics,
vol. VI, n.º 1, anno 1992, nota 14 a piè di p. 107. Lo strano titolo di questo articolo ha come fine di mettere in risalto la
mania di molti teorici di prescindere dall’oro (che è la moneta storica per antonomasia) quando realizzano le loro
elucubrazioni mentali intorno a quale sarebbe la moneta privata ideale. Sulla critica al teorema regressivo della moneta
realzzata da Richard H. Timberlake (si veda il suo articolo «A Critique of Monetarist and Austrian Doctrines on the
Utility and Value of Money», The Review of Austrian Economics, n.º 1, 1987 pp. 81-96), si deve consultare l’articolo di
Murray N. Rothbard «Timberlake on the Austrian Theory of Money: A Comment», pubblicato in The Review of
Austrian Economics, vol. II, anno 1988 pp. 179-187. Rothbard segnala in modo esatto come Timberlake consideri che
la moneta possieda, come qualsiasi altro bene, un’utilità soggettiva indiretta, senza rendersi conto che, a differenza dei
beni di consumo e di produzione, l’unica utilità che fornisce la moneta è come mezzo di scambio, per cui è irrilevante il
suo volume assoluto di fronte all’adempimento della sua funzione. È, pertanto, ineludibile ricorrere al «teorema
regressivo della moneta» (che non è altro che una versione retrospettiva della teoria di Menger sulla genesi evolutiva
della moneta) per spiegare in che modo gli agenti economici valutino il loro potere d’acquisto in funzione di quello
avuto nel passato, evitando così di cadere in un circolo vizioso.
45
prezzo dello scambio è aumentato sensibilmente, per cui, tenendo in conto che il prezzo dell’oro si
aggirava nel 1997 intorno a 350 dollari l’oncia, è chiaro che la privatizzazione completa della
moneta fiduciaria e il suo scambio con l’oro, in un paese con un’economia così importante come
quella degli Stati Uniti, richiederebbe di aumentare il valore dell’oro a circa venti volte il suo valore
corrente a prezzi di mercato.104 Questo notevole aumento del prezzo dell’oro causerebbe,
inizialmente, un importante aumento della sua offerta, il che provocherebbe uno shock
inflazionistico, difficile da quantificare, che, tuttavia, si verificherebbe una sola volta e non avrebbe
gravi effetti distorsivi sulla struttura produttiva reale.105
Una volta che le condizioni relative alla produzione di oro si fossero stabilizzate, potremmo
considerare che ci troviamo nella quinta e ultima fase del processo di privatizzazione del sistema
finanziario e bancario, che si caratterizzerebbe per l’assoluta libertà bancaria (sottomessa al diritto e
pertanto con un coefficiente di riserva del 100 per cento in relazione ai depositi a vista) e l’esistenza
di un gold standard unico mondiale con un 100 per cento di riserve, in un contesto di leggera e
graduale «deflazione» e di crescita economica continua e sostenuta. In ogni caso, il processo
evolutivo di sperimentazione nel campo monetario e finanziario continuerebbe e non è possibile
prevedere se l’oro continuerebbe ad essere indefinitamente la moneta scelta dal mercato come
mezzo di scambio, o se nel futuro il mutamento delle circostanze e condizioni della società darebbe
luogo a qualche altro standard alternativo (bimetallico o no).
In questa quinta ed ultima fase, nella quale un unico gold standard deve essere esteso a livello
mondiale, sarebbe conveniente arrivare ad un accordo internazionale fra i diversi paesi che, col fine
di evitare che la summenzionata transizione produca effetti reali non necessari (a parte l’inevitabile
shock iniziale di tipo inflazionistico prodotto dalla maggiore affluenza di oro sul mercato avendo
questo un valore superiore), si dovrebbe esigere previamente la fissazione di una struttura di tassi di
cambio fissi fra tutte le valute. In questo modo sarebbe possibile valutare in modo omogeneo tutta
l’offerta mondiale di strumenti fiduciari, redistribuendosi la quantità esistente di oro delle banche
centrali di tutto il mondo tra gli agenti economici e le banche private dei diversi paesi in una
proporzione esatta all’importo dei depositi e biglietti di ciascuno di essi.
Così terminerebbe l’ultima fase del processo di privatizzazione del settore bancario e finanziario e
si intraprenderebbe di nuovo il processo spontaneo di sperimentazione del mercato nell’ambito
monetario e finanziario che era rimasto bruscamente interrotto con la nazionalizzazione della
moneta e la creazione e il consolidamento delle banche centrali.
L’applicazione della teoria della riforma del sistema finanziario e bancario al processo di
unificazione monetaria ed europea e alla costruzione del settore finanziario nelle antiche
economie di socialismo reale
46
potenzialità di indicare in ogni momento quale sia la direzione adeguata che deve prendere il
sistema monetario europeo e i pericoli che è necessario evitare. Così, sembra chiaro che bisognava
allontanarsi sia da un sistema di monete nazionali monopoliste in concorrenza tra sé in un contesto
caotico di tassi di cambio flessibili, sia dal creare e mantenere una banca centrale europea che
impedisse la concorrenza fra monete in un vasto spazio economico, non affrontasse le sfide della
riforma bancaria (coefficiente di cassa del 100 per cento), non garantisse una stabilità monetaria,
almeno così grande come quella che avrebbe avuto la moneta nazionale più stabile in ogni momento
storico e implicasse, insomma, un ostacolo definitivo per effettuare ulteriori riforme consistenti
nell’eliminazione dell’organo centrale di pianificazione finanziaria (banca centrale). Perciò, forse si
potrebbe sostenere che il modello più praticabile ed adeguato nel breve e medio periodo sarebbe
stato quello di introdurre in tutta Europa una completa libertà di scelta di monete pubbliche e
private all’interno e all’esterno dell’Unione Europea, portando le monete nazionali, che per motivi
di abitudini storiche fossero state ancora utilizzate, a un sistema di cambi fissi107 che disciplinasse il
comportamento della politica monetaria di ogni paese in conformità a quello che la esercitasse, in
ogni momento, con maggiore solvibilità e stabilità. In questo modo almeno sarebbe rimasta aperta
la porta affinché nel futuro qualsiasi Stato-nazione dell’Unione Europea avesse avuto la possibilità
di avanzare secondo le tre linee della riforma monetaria e bancaria essenziali (libertà di scelta,
libertà bancaria e coefficiente di cassa del 100 per cento per i depositi a vista), forzando con ciò,
come ci indica Maurice Allais, a proseguire nella giusta direzione della sua leadership monetaria il
resto dei suoi soci dell’Unione.
Come si è proceduto lungo il percorso della creazione di una Banca Centrale Europea, dobbiamo
insistere sul fatto che le critiche ad esso e alla moneta unica europea debbano basarsi sulla
mancanza di avvicinamento all’ideale del gold standard puro con un coefficiente di riserva del 100
per cento, e non, come si sente fra molti teorici liberali (principalmente della Scuola di Chicago),
sul fatto che renda impossibile la sopravvivenza del vecchio nazionalismo monetario con tassi di
cambio flessibili. Infatti, uno standard monetario unico per tutta Europa e quanto più rigido
possibile, oltre ad implicare un salutare avvicinamento al gold standard puro, può portare a termine
la cornice istituzionale del sistema di libero scambio europeo impedendo le interferenze e
manipolazioni monetarie di ogni paese membro e obbligando quelli con strutture più rigide (per
esempio, la Spagna) a realizzare le riforme che introducano la flessibilità necessaria a competere in
un contesto nel quale il ricorso a una politica monetaria nazionale inflazionistica per sopperire alle
proprie rigidità strutturali non sia più possibile.
Considerazioni molto simili alle precedenti potrebbero essere fatte in riferimento alla neccessaria
istituzione di un sistema bancario e finanziario per le antiche economie di socialismo reale dell’Est
europeo. Anche se è necessario riconoscere che la situazione di partenza di queste economie sia
molto sfavorevole dopo decenni in un sistema di pianificazione centrale, è certo che l’attuale
situazione di transizione verso un’economia di mercato costituisca un’opportunità unica di
straordinaria importanza per evitare i gravi errori che in Occidente abbiamo commesso finora in
questo campo e cercare di avanzare di colpo almeno fino alla terza o quarta fase che abbiamo
descritto nel nostro progetto di riforma. Il salto diretto alla quarta fase sarebbe, d’altra parte,
107
Sulle diverse idee di Europa e il ruolo delle sue nazioni si può consultare Jesús Huerta de Soto, «Teoría del
Nacionalismo Liberal», in Estudios de Economía Política, op. cit., cap. 18, pp. 197-213. La prescrizione a favore dei
tassi di cambio fissi è tradizionale fra i teorici della Scuola Austriaca che la considerano come un second best di
avvicinamento al sistema monetario ideale di gold standard puro nel quale i flussi economici sarebbero liberi da
perturbazioni non necessarie di tipo monetario. L’analisi più esaustiva sui tassi di cambio fissi nella Scuola Austriaca si
trova inclusa nel libro di F.A. Hayek Monetary Nationalism and International Stability, opera già citata. Anche Mises,
da parte sua, difende i tassi di cambio fissi (si veda il suo libro Omnipotent Government: The Rise of the Total State and
Total War, Arlington House, Nuova York 1969, p. 252; traduzione spagnola di Pedro Elgóibar, Gobierno Omnipotente
(en nombre del Estado), Unión Editorial, Madrid 2002 (opera tradotta anche in italiano a cura di W. Marani con il titolo
Lo stato onnipotente, Rusconi, Milano 1995; e anche in Human Action, op. cit., pp. 750 -791). Una buona analisi dal
punto di vista austriaco della teoria economica a favore dei tassi di cambio fissi si può trovare nel libro di José Antonio
de Aguirre La moneda única europea, Unión Editorial, Madrid 1990, pp. 35 e ss.
47
facilmente realizzabile nel caso dell’estinta Unione Sovietica, le cui notevoli riserve di oro
permetterebbero lo stabilimento di un gold standard puro che sarebbe molto benefico per questo
paese. In ogni caso, se non si impara dall’esperienza e si pretende, copiando scioccamente
dall’Occidente, di stabilire un sistema bancario di riserva frazionaria diretto da una banca centrale,
le difficoltà finanziarie di ogni momento faranno sì che si intraprendano politiche sfrenate di
espansione creditizia, con un danno enorme sulla struttura produttiva, che favoriranno la
speculazione febbrile, creando un clima di malessere sociale che può anche mettere in pericolo la
transizione globale di queste società verso una piena economia di mercato.108
La teoria della moneta, del credito bancario e dei mercati finanziari costituisce la sfida teorica più
importante per la Scienza Economica alle soglie del XXI secolo. Di fatto, non è azzardato affermare
che, coperto il «gap teorico» rappresentato dall’analisi del socialismo, forse il campo più
sconosciuto e al tempo stesso più importante sia stato finora quello monetario. Infatti, come
abbiamo cercato di mettere in evidenza in dettaglio nel corso di questo libro, in quest’area
dominano dappertutto gli errori metodologici, la confusione teorica e, in conseguenza di tutto ciò, la
coazione sistematica di origine governativa. Le relazioni sociali nelle quali è implicata la moneta
sono, di gran lunga, le più astratte e difficili da comprendere, per cui la conoscenza sociale generata
attraverso di esse è la più vasta, complessa e non apprendibile. Questo ha reso possibile il fatto che
la coazione sistematica esercitata da governi e banche centrali in questo campo sia di molto la più
dannosa. E in ogni caso, il ritardo intellettuale della teoria monetaria e bancaria ha continuato ad
avere gravi effetti sull’evoluzione dell’economia mondiale, come lo prova il fatto che, già in pieno
secolo XXI, le economie di mercato continuino ad essere affette da gravi cicli ricorrenti di
espansione e recessione.
E, tuttavia, il pensiero economico concernente i problemi bancari è molto antico e può rimontare
anche, come abbiamo visto, fino ai teorici della Scuola di Salamanca. Già più vicina a noi si trova la
polemica tra la «Scuola Bancaria» e la «Scuola Monetaria», nella quale si misero le basi dello
sviluppo dottrinale posteriore. D’altra parte, ci siamo sforzati di dimostrare che non esiste una
completa coincidenza tra la scuola che difende la libertà bancaria e la Scuola Bancaria, da una parte,
e la scuola che difende la banca centrale e la Scuola Monetaria, dall’altra. Infatti, sebbene molti dei
difensori della libertà bancaria fondassero la loro posizione sugli erronei e difettosi argomenti
inflazionistici della Scuola Bancaria, e la maggioranza dei teorici della Scuola Monetaria
pretendessero di raggiungere i loro obiettivi di solvibilità finanziaria e stabilità economica mediante
la creazione di una banca centrale che mettesse un limite agli abusi, esistettero, fin da principio,
autorevoli teorici della Scuola Monetaria che considerarono impossibile e utopistico pensare che la
banca centrale non fosse destinata ad aggravare ancor di più i problemi posti. Questi studiosi furono
consapevoli che il modo migliore di porre un limite alla creazione di strumenti fiduciari e di
ottenere la stabilità monetaria fosse attraverso un sistema di banca libera ma sottoposta, così come il
resto degli agenti economici, ai principi tradizionali del diritto civile e mercantile (cioè ad un
coefficiente di cassa del 100 per cento per i depositi a vista). D’altra parte, paradossalmente, quasi
tutti i difensori della Scuola Bancaria finirono con l’accettare con piacere la creazione di una banca
108
Nel capitolo VI (nota 108), abbiamo già fatto riferimento alle gravi crisi bancarie in Russia, Repubblica Ceca,
Romania, Albania, Lettonia e Lituania in quanto non hanno seguito le raccomandazioni esposte nel testo. Si veda,
inoltre, Richard Layard e Andrea Richter, «Who Gains and Who Loses from Russian Credit Expansion?», Communist
Economies and Economic Transformation, vol. 6, n.º 4, 1994, pp. 459-472. Sui diversi problemi che si trovano ad
affrontare i progetti di riforma monetaria nei paesi ex-comunisti si deve consultare, fra altri, The Cato Journal, vol. XII,
n.º 3, inverno 1993; e ugualmente il lavoro di Stephen H. Hanke, Lars Jonung e Kurt Schuler, Russian Currency and
Finance, Routledge, Londra 1993, dove gli autori propongono l’istituzione di un sistema di «cassa di conversione»
come modello ideale di transizione monetaria per l’estinta Unione Sovietica, progetto di riforma che, per le ragioni
indicate nella nota 89, riteniamo molto meno adeguato di quello della nostra proposta di stabilire con le ingenti riserve
di oro russe un gold standard puro con un coefficiente di cassa del 100 per cento.
48
centrale che, come prestatrice di ultima istanza, garantiva e perpetuava i privilegi espansionistici di
una banca privata che, con sempre maggiore brama, pretendeva di dedicarsi al «negozio» di creare
strumenti fiduciari attraverso l’espansione creditizia, senza doversi preoccupare troppo dei problemi
di liquidità, grazie alla copertura che in ogni momento era rappresentata dall’esistenza di una banca
centrale come prestatrice di ultima istanza.
Inoltre, i teorici della Scuola Monetaria (Currency School), sebbene fossero nel giusto in quasi tutti
i loro contributi teorici, furono ciononostante incapaci di valutare che gli stessi difetti che
correttamente attribuirono alla libertà di emissione di strumenti fiduciari sotto forma di biglietti da
parte delle banche private, si ripetevano interamente in forma identica, ma in modo più occulto e
astuto e, pertanto, molto più pericoloso, in relazione al «negozio» della concessione di crediti in
forma espansiva a carico dei depositi a vista delle banche. Questi teorici sbagliarono anche nel
proporre come politica più adeguata lo stabilimento di una legislazione che metteva fine solo alla
libertà di emissione di biglietti senza copertura di oro metallico, così come l’istituzione di una banca
centrale per difendere i principi monetari più solvibili. Solo Ludwig von Mises, seguendo la
tradizione di Modeste, Cernuschi, Hübner e Michaelis, fu in grado di rendersi conto che la
prescrizione a favore della banca centrale dei teorici della Scuola Monetaria era erronea, e che il
migliore ed unico modo per conseguire i principi di solvibilità della Scuola era attraverso un
sistema di banca libera sottomessa senza privilegi al diritto privato (con un coefficiente di cassa del
100 per cento).
Il fallimento della maggioranza dei teorici della Scuola Monetaria fu fatale, in quanto non solo fu il
motivo per cui la Legge di Peel, nonostante le sue buone intenzioni, dimenticasse di eliminare,
come invece aveva fatto in relazione ai biglietti di banca, la creazione del credito fiduciario, ma,
inoltre, in ultima istanza, sostenne la creazione di un sistema di banca centrale che, in seguito, e
soprattutto per colpa della negativa influenza dei teorici della Scuola Bancaria, finì con l’essere
utilizzata per giustificare e promuovere politiche monetarie senza controlli e sregolatezza
finanziaria molto peggiori di quelle alle quali originariamente cercò di porre rimedio.
Per tutto ciò non si può ritenere che la banca centrale, intesa come organo di pianificazione nel
campo bancario e monetario, sia un prodotto naturale dello sviluppo dei processi di mercato, ma
che, al contrario, sembra coattivamente imposta da fuori come risultato dell’azione dei governi per
approfittare a proprio vantaggio delle possibilità molto lucrative che ha la banca con riserva
frazionaria. È vero che i governi hanno tradito la loro funzione essenziale, non definendo né
difendendo più in modo adeguato il diritto di proprietà dei depositanti delle banche e approfittando
a proprio vantaggio delle possibilità praticamente illimitate di creazione monetaria e creditizia che
l’introduzione di un coefficiente di riserva frazionaria (per biglietti e depositi) mise loro a
disposizione. I governi, pertanto, in larga misura hanno trovato nella violazione dei principi del
diritto di proprietà in relazione ai depositi a vista questa tanto desiderata pietra filosofale che
consentisse loro di finanziarsi illimitatamente, senza la necessità di dover ricorrere alle imposte.
La creazione di un vero sistema di banca libera deve essere inevitabilmente accompagnata dal
ristabilimento del coefficiente di riserva del 100 per cento delle quantità ricevute sotto forma di
depositi a vista, e la cui violazione iniziale è l’origine di tutti i problemi bancari e monetari che
hanno dato luogo al sistema finanziario attuale, fortemente regolamentato e controllato dagli Stati.
Si tratta, in ultima istanza, di applicare al campo bancario e monetario l’importante idea seminale
di Hayek, secondo la quale, ogni volta che si violi una regola tradizionale di condotta, sia attraverso
la coazione istituzionale del governo, sia mediante la concessione da parte di questo di privilegi
speciali a certe persone o enti, dovranno sempre, prima o poi, manifestarsi delle conseguenze molto
dannose e indesiderate a grave danno del processo spontaneo di cooperazione sociale.
Come abbiamo visto nei tre primi capitoli di questo libro, la norma tradizionale di condotta che si
viola nel caso del negozio bancario è il principio del diritto, secondo il quale nel contratto di
deposito di un bene fungibile (per esempio, la moneta), l’obbligo tradizionale di custodia, che è un
elemento essenziale del deposito non fungibile, si materializza nell’esigenza che, in ogni momento,
si mantenga un coefficiente di riserva del 100 per cento del bene fungibile (moneta) ricevuta in
49
deposito, di modo che ogni atto per disporrre di tale moneta, e in concreto la concessione di crediti a
suo carico, rappresenti sempre una violazione di questo principio e, pertanto, un atto illegittimo di
appropriazione indebita.
Nel corso della storia, i banchieri iniziarono presto ad essere tentati di violare la summenzionata
norma tradizionale di condotta, usando a proprio beneficio la moneta dei loro depositanti. Ciò
avvenne, in un primo momento, in modo vergognoso e segreto, in quanto i banchieri ancora
avevano coscienza di agire male, solo in seguito i banchieri ottennero che la violazione del principio
tradizionale del diritto si effettuasse in modo aperto e legale, quando ottennero dal governo il
privilegio di utilizzare la moneta dei loro depositanti, quasi sempre sotto forma di crediti spesso
concessi in un primo momento al governo stesso. In tal modo inizia il rapporto di complicità e la
coalizione di interessi che è ormai tradizionale tra governi e banche, e che spiega le relazioni di
«comprensione» e «cooperazione» che esistono fra entrambi i tipi di istituzioni e che oggigiorno
sono riscontrate, con piccole diverse sfumature, in tutti i paesi occidentali e in quasi tutte le
circostanze. Infatti, i banchieri si resero conto presto che la violazione del principio tradizionale del
diritto menzionato dava luogo ad un’attività finanziaria altamente lucrativa per loro, ma in ogni
caso esigeva l’esistenza di un prestatore di ultima istanza, la banca centrale, che fornisse la liquidità
necessaria nei momenti di difficoltà, che l’esperienza dimostrava che sarebbero sempre, prima o
poi, arrivati in modo ricorrente. Inoltre, la banca centrale si sarebbe fatta carico di orchestrare in
modo congiunto e organizzato la crescita dell’espansione creditizia, imponendo a tutti i cittadini il
corso legale o forzoso della moneta monopolista da essa emessa.
Le conseguenze sociali negative di questo privilegio concesso ai banchieri (ma a nessun altro
individuo o ente) non furono, tuttavia, interamente comprese fino allo sviluppo, da parte di Mises e
Hayek, della cosiddetta teoria austriaca del ciclo economico e che, fondata sulla teoria monetaria e
del capitale, abbiamo analizzato nei capitoli da V a VII di questo libro. Insomma, ciò che i teorici
della Scuola Austriaca hanno dimostrato è che l’impegno a perseguire l’obiettivo teoricamente
impossibile (dal punto di vista giuridico-contrattuale e tecnico-economico) di offrire un contratto
costituito da elementi essenzialmente incompatibili tra sé, che cerca simultaneamente di combinare
elementi propri dei fondi di investimento (e specialmente quello consistente nella possibilità di
ottenere un interesse dai «depositi» realizzati) con i contratti tradizionali di deposito (che per
definizione devono consentire il ritiro del loro valore nominale in qualsiasi momento), presto o
tardi, ma sempre in modo inesorabile, deve produrre inevitabili riassestamenti spontanei, sotto
forma, in un primo momento, di espansioni sfrenate dell’offerta monetaria, inflazione, cattiva
assegnazione delle risorse produttive e livello microeconomico e, in ultima istanza, recessione,
liquidazione degli errori indotti dall’espansione creditizia sulla struttura produttiva, e disoccupzione
di massa.
È necessario rendersi conto che il privilegio concesso alla banca per potere esercitare la sua attività
con un coefficiente di riserva frazionaria implica un evidente attentato alla corretta definizione e
difesa dei diritti di proprietà dei depositanti da parte delle autorità governative e che sono
imprescindibili per il corretto funzionamento di ogni economia di mercato.
Ciò genera inevitabilmente, come succede ogni volta che non sono definite e difese adeguatamente
i diritti di proprietà, un tipico effetto di «tragedia dei beni comunali», in virtù del quale le banche
sono specialmente favorevoli ad espandere, prima e più dei loro concorrenti, la loro corispondente
base creditizia. Perciò il sistema bancario basato sulla riserva frazionaria tende sempre
all’espansione più o meno sfrenata, anche se «vigilata» da una banca centrale che, contrariamente a
ciò che è normalmente avvenuto finora, si proccupi seriamente (e non solo retoricamente) di
mettergli limiti.
Dobbiamo essere, d’altra parte, molto critici con la maggior parte della letteratura che, a partire
dalla pubblicazione alla fine del decennio degli anni Settanta del XX secolo del libro di Hayek su
La denazionalizzazione della moneta, è sorta intorno alla difesa di un modello di banca libera con
riserva frazionaria. La conclusione più importante in relazione a tutta questa letteratura è che, con
troppa frequenza, i suoi autori sembrano non rendersi conto che spesso cadono nei vecchi errori
50
Indice delle materie
51
Indice degli Autori
Abrams, M.A.:
Adamiak R.:
Adriano:
Aftalión, A.:
Aguirre, J.A. de:
Albácar López, J.L.:
Albaladejo, M.:
Alchian, A.A.:
Alderfer, E.B.:
Allais, M.:
Allen, R.L.:
Allen, W.R.:
Alonso Neira, M.A.:
Al-Qayrawání:
Anderson, B.M.:
Andreu García, J.M.:
Anes, R.:
Angell, J.W.:
Antistene:
Apollonio:
Aquino, St. T. d’:
Aranson, P.H.:
Aranzadi, J.:
Archetrato:
Ardu-Nama:
Arena, R.:
Aristoloco:
Arrow, K.J.:
Austero:
Aviola:
Azpilcueta, M. de:
Backhaus, J.:
Baden, J.:
Bajo Fernández, M.:
Barella, A.:
Barnes, H.E.:
Barrallat, L.:
Bartley, W.W.:
Basáñez, F.:
Batarney, Y. de:
Batson, H.E.:
Becker, G.S.:
Bel-Abal-Iddin:
Belda, F.:
Bell, D.:
Bell, G.M.:
Beltrán, J.:
Beltrán, L.:
Benegas Lynch, A.:
Benham, F.:
Benton, T.H.:
Berenguer, J.:
Birner, J.:
Blanchard, O.J.:
Blaug, M.:
Block, W.:
Boccaccio, G.:
Boettke, P.J.:
Bogaert, R.:
Böhm Bawerk, E.v.:
Bonardell Lenzano, R.:
Bonet Ramón, F.:
Bonnet, V.:
Boorman, J.D.:
Borch, K.H.:
Borromeo, C.:
Bosch Doménech, A.:
Bosch, A.:
Bresciani Turroni, C.:
Broc, J.:
Brüning, Dr.:
Buchanan, J.M.:
Butos, W.N.:
Cabrillo, F.:
Cagan, P.:
Caldwell, B.:
Calisto I:
Campbell, R.H.:
Campos, J.G.:
Cánovas del Castillo, A.:
Cantillon, R.:
Caracalla:
Carande, R.:
Carlo I:
Carlo II:
Carlo V:
Carpoforo:
Casas Pardo, J.:
Casio, D.: 46
Castañeda Chornet, J.:
Castello, F.:
Catone, L.:
Celso:
Centi, J.P.:
Cernuschi, H.:
Chafuen, A.A.:
Checkland, S.G.:
Chevalier:
Churchill, W.:
Churruca, J. de:
Cicerone, M.T.:
Cipolla, C.M.:
Claramunda Bes, J.M.:
Clark, J.B.:
Clark, J.M.:
Clough, S.B.:
Cohen, E.E.:
Colmeiro, M.:
Colonna, M.:
Colunga, A.:
Commines, P. de:
Commodo:
Comón:
Copernico, N.:
Coppa-Zuccari, P.:
Coquelin:
Corona, J. F.:
Coronel de Palma, L.:
Costouros, G.J.:
Cotteham, Lord:
Courcelle Seneuil, J.G.:
Covarrubias y Leyva, D. de:
Cowen, T.:
Crick, W.F.:
Crocket, D.:
Cubeddu, R.:
Cuello Calón, E.:
D’Eichtal:
D’Ors, A.:
Dabin, J.:
Datini, F.:
Davanzati, B.:
Davenport, H.J.:
Davenport, N.:
Davies, J.R.:
Delvaux, T.:
Demostene:
Dempsey, B.W.:
Denson, J.V.:
Diamond, D.W.:
Diego, F.C. de:
Díez-Picazo, L:
Dimand, R.W.:
Dingwall, J.:
Director, A.:
Dobb, M.H.:
Dolan, E.E.:
Dorn, J.A.:
Douglas, P.H.:
Dowd, K.:
Drucker, P.F.:
Duncan Macrae, C.:
Durbin, E.F.M.:
Dybvig, P.H.:
Eatwell, J.:
Ebeling, R.M.:
Elgóibar, P.:
Engels, F.:
England, C.:
Eraclide:
Erias Rey, A.:
Escarra:
Estapé, F.:
Estey, J.A.:
Estrada, J.:
Febrero, R.:
Feito, J.L.:
Feldberg, M.:
Felipe de Orleans:
Felipe el Hermoso:
Ferdinando I:
Fernández, T.R.:
Ferrer Sama, A.:
Fetter, F.A.:
Figueroa, E. de:
Figuerola, L.:
Filippo II (Felipe II):
Filippo II:
Fischer, S.:
Fisher, I.:
Fisher, I.N.:
Fontán, A.:
Formione:
Fraga Iribarne, M.:
Francisquín, C.:
Franco, G.:
Fraser, H.F.:
Frasieride:
Friedman, M.:
Fuentes Aca, B.:
Fullarton, J.:
Funes, J.:
Galiani:
Gallatin, A.:
Gándara, E.:
García del Corral, I.L.:
García Durán, J.A.:
García Garrido, M.J.:
García Pita y Lastres, J.L.:
García Ruiz, J.L.:
García Villaverde, R.:
Garrigues, J.:
Garrison, R.W.:
Garschina, K.M.:
Gayo:
Gellert, W.:
Gesù Cristo:
Geta:
Geyer, P.J.:
Gherity, J.A.:
Gil Peláez, L.:
Gimeno Ullastres, J.A.:
Giovanni Paolo II:
Giuliano: 28, 30,
Giustiniano:
Glasner, D.:
Godofredo, D.:
Goldstein, I.:
Gómez Camacho F.:
González-Haba, M.:
Goodhart, C.A.E.:
Gordiano:
Gordon, R.J.:
Gorgia:
Gossen, H.H.:
Gouge, W.M.:
Graham, F.D.:
Grand, P.P. de:
Granger, C.W.J.:
Grassel, W.:
Graves, P.L.:
Graziani A.:
Graziani, A.:
Greaves, B.B.:
Greaves, P.L.:
Green, R.:
Greenfield, R.:
Gregory, T.C.:
Gresham, T.:
Grice Hutchinson, M.:
Groenveld, K.:
Gullón, A.:
Gurdiel, M.:
Guyot, Y.:
Guzmán Hermida, J.M.:
Haberler, G.:
Hagemann, H.:
Hahn, L.A.:
Hall, R.E.:
Hanke, S.H.:
Harcourt, G.C.:
Hardin, G.:
Harrison, H.:
Harrod, R.F.:
Hart, A.G.:
Havrilesky, T.M.:
Hawtrey, R.:
Hayek, F.A.:
Heijmann, W.:
Heinz, G.:
Herbener, J.M.:
Hernández-Tejero Jorge, F.:
Hey, J.D.:
Hicks, J.R.:
Higgs, H.:
Hilferding, R.:
Hilprecht:
Hirschman, A.O.:
Hollander, J.:
Hoppe, H.H.:
Hornedo, E.:
Horwitz, S.:
Hoselitz, B.:
Hübner, O.:
Huerta Ballester, J.:
Huerta de Soto, J.:
Huerta Peña, J.:
Hülsmann, J.G.:
Hume, D.:
Hutt, W.:
Ibn Abí Zayd (Al-Qayrawání):
Iglesias, J.:
Imbert, J.:
Ingram, J.K.:
Iñiguez, J.:
Ippolito:
Isocrate:
Issing, O.:
Jackson, A.:
Jefferson, T.:
Jevons, W.S.:
Jhering, R.v.:
Jonung, L.:
Jouvenel, B. de:
Jowel, K.:
Juárez Paz, R.:
Junankar, P.N.:
Juurikkala, O.:
Kaldor, N.:
Katz, J.N.:
Kemp, A.:
Keynes, J.M.:
Keynes, M.:
Kindleberger, Ch.P.:
Kirzner, I.M.:
Klein, B.:
Knies, K.:
Knight, F.H.:
Kornai, J.:
Kresge, S.:
Kretzmer, P.E.:
Kristol, I.:
Kustner, H.:
Kydland, F.E.:
Lachmann, L.M
Lacruz Berdejo, J.L.:
Laffer, A.B.:
Laidler, D.:
Lalumia:
Lange, O.:
Lasker:
Lavergne:
Law, J.:
Layard, R.:
Lee, G.A.:
Lehmann, F.:
Leijonhufvud, A.:
Leoni, B.:
Lessines, A.:
Lessio:
Leube, K.R.:
Lewin, P.:
Liaño, C.:
Linage Conde, J.A.:
Lindo, A.:
Lipsey, R.G.:
Lizarrazas, D. de:
Lloyd, S.J. (Lord Overstone):
Locke, J.:
Longfield, S.M.:
López Amor, M.:
López García, L.A.:
López-Ballesteros, L.:
Lord Overstone:
Lucas, R.E.:
Lugo J. de:
Lumpuy, L.:
Machlup, F.:
Macleod, J.R.:
Magnee, M.E.:
Maino, J. de:
Málik:
Maling, C.:
Malthus, T.:
Manso, R.:
Mant, L.:
Manzanares, R.:
Marcello:
Marduk-Bal-at-Irib:
Mariana, J. de:
Márquez, J.:
Marshall, A.:
Martín Aceña, P.:
Martínez Meseguer, C.:
Martínez, D.:
Martínez, J.H.:
Marx, K.:
Mata Barranco, N.J. de la:
Mayer, H.:
Mayer, T.:
McCloughry, R.:
McCulloch, J.R.:
McManus, T.F.:
Médicis, J.A. de:
Meijer, G.:
Meltzer, A.:
Menduiña, A.:,
Menéndez Ureña, E.: Véase Ureña, E.M.
Menger, C.:
Mercado, T. de:
Meredith, H.O.:
Michaelis, O.:
Michel, H.E.:
Middleton Hughes, A.:
Miles, M.A.:
Milgate, M.:
Mill, J.S.:
Miller, E.:
Mills, F.C.:
Milnes Holden, J.:
Mints, L.W.:
Mises, L. v.:
Mitchell, W.C.:
Modeste, V.:
Modestino:
Moggridge, D.:
Molay, J. de:
Molina, L.:
Montanari, G.:
Montchrêtien, A. de:
Montemar, C. de:
Montesquieu, C.:
Morga, P. de:
Morgan, J.P.:
Moss, L.:
Mueller, R.C.:
Mulholland, S.:
Muñoz, F.:
Murillo, J.:
Murphy, A.E.:
Nantjes, A.:
Negrón, O. de:
Neisser:
Nelson, R.B.:
Newman, P.:
Newmarch:
Newton, I.:
Nichols, D.M.:
Niveau, M.:
Nordhaus, W.D.:
Norman, G.W.:
Norman, M.:
Nove, A.:
Nuez, P.:
O’Brien, D.P.:
O’Driscoll, G.P.:
O’Kean Alonso, A.:
Olariaga, L.:
Ophem, J. van:
Ortiz, A.:
Ozcáriz Marco, F.:
Pacioli, L.:
Papiniano:
Pareto, V.:
Parker, R.H.:
Parnell, H.:
Pasión:
Pastor, L.M.:
Patinkin, D.:
Paulo:
Pauly, M.V.:
Pauzner, A.:
Pedraja García, P.:
Peel, R.:
Pelsmaeker, F. de:
Pemberton, R.L.:
Pennington, J.:
Pérez Manzano, M.:
Perlman, R.:
Perón, J.D.:
Petty, W.:
Philbin, J.P.:
Phillips, C.A.:
Phillips, R.J.:
Pigou, A.C.:
Piquet, J.:
Pirenne, H.:
Platone:
Plauto:
Pointdexter:
Polk, J.K.:
Pollock, A.H.:
Pomponio:
Powell, E.T.:
Prados Arrarte, J.:
Prescott, E.C.:
Presedo Velo, F.J.:
Price, B.:
Principe, A.:
Prychitko, D.L.:
Rae, J.:
Raguet, C.:
Ramey, V.A.:
Randolph, J.:
Randolph, T.:
Rappaport, A.:
Raymond D.:
Reagan, R.:
Recarte, A.:
Reig Albiol, J.:
Reig Albiol, L.:
Reisman, G.:
Reynolds, A.:
Riaño, A.:
Ricardo, D.:
Richter, A.:
Rico Seco, A.:
Rincón Jurado, J.:
Riosalido, J.:
Ritter, L.S.:
Rizzo, M.J.:
Robbins, L.:
Robertson, D.H.:
Robinson, J.:
Roca Juan, J.:
Roces, W.W.:
Rochar, C.:
Rockwell, L.H.:
Rodríguez Braun, C.:
Rodríguez, A.:
Rojo Duque, L.A.:
Romer, D.:
Roosevelt, F.D.:
Roover, R. de:
Röpke, W.:
Rostovtzeff, M.:
Rothbard, M.N.:
Rousseau, J.J.:
Rubio de Urquía, R.:
Rubio Sacristán J.A.:
Rueff, J.:
Ruiz Martín, F.:
Sadowsky, J.:
Sáez, A.: 17,
Salerno, J.T.:
Salin, P.:
Samuelson, P.A.:
Sánchez Albornoz, N.:
Sánchez Arbós, A.:
Sánchez Ramos, F.:
Sánchez Santos, J.M.:
Sánchez Sarto, M.:
Santillana, R.:
Santos Briz, J.:
Saravia de la Calle, L.:
Sardá, J.:
Sátiro:
Savigny:
Say, J.B.:
Scaramozzino, P.:
Scevola, Q.M.:
Schubert, A.:
Schuler, K.:
Schultz, H.:
Schumpeter, J.A.:
Schwartz, A.J.:
Schwartz, P.:
Segura, J.:
Selgin, G.A.:
Sempere, J.:
Sennholz, H.F.:
Serrera Contreras, P.L.:
Severo, A.:
Severo, S.:
Shah, P.J.:
Shapiro, E.:
Shenoy, S.:
Sherman, H.J.:
Siegel, B.:
Sierra Bravo, R.:
Silber, W.L.:
Silva, C.:
Silvestre Pérez, P.:
Simons, H.C.:
Skidelsky, R.:
Skinner, A.S.:
Skousen, M.:
Smith, A.:
Smith, V.C.:
Socrate:
Soddy, F.:
Sosínomo:
Soto, D. de:
Sousmatzian, E.:
Spadaro, L.M.:
Sprague O.B.W.:
Sraffa, P.:
Stankiewicz, T.:
Steuart, J.:
Sticho:
Stigler, J.G.:
Stiglitz, J.E.:
Strigl, R.v.:
Suárez González, C.:
Summers, L.:
Suzuki, Y.:
Tamames, R.:
Taussig, F.W.:
Taylor, J.:
Tedde de Lorca, P.:
Tellkampf, J.L.:
Temin, P.:
Tenorio, P.:
Teodoro:
Teodosio II:
Teramene I:
Terenzio:
Termes, R.:
Thatcher, M.:
Thies, C.F.:
Thorbecke, W.:
Thornton, H.:
Tierno Galván, E.:
Timberlake, R.H.:
Timodemo:
Tobin, J.:
Todd, S.C.:
Todd, W.B.:
Tooke, T.:
Toribio Dávila, J.J.:
Torre Saavedra, E. de la:
Torrens, R.:
Torrente, J.V.:
Torrero Mañas, A.:
Torres López, J.:
Tortella, G.:
Trautwein, H. M.:
Triboniano: 28
Trigo Portela, J.:
Tucker, A.W.:
BIBLIOGRAFIA