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LEZIONE 1 PATOLOGIA CLINICA 15/11/2021

SBOBINATORI: Gaia Scamarcio, Ilaria Del Prete, Francesca Napoli, Jemine Shima
REVISORE: Marialicia Fenu

MEDICINA TRASFUSIONALE

La medicina trasfusionale ha registrato grossi sviluppi in quanto si è passati dalla semplice


somministrazione del flacone di sangue raccolto in vetro, portato da un tecnico e successivamente
trasfuso, ad una terapia mirata e sofisticata.
La terapia trasfusionale rappresenta l’azione mediante la quale un paziente, che possiede un
emocomponente in quantità insufficiente, riceve per via endovenosa l’unità di sangue di cui
necessita. Gli emocomponenti sono i componenti del sangue: globuli rossi, globuli bianchi,
piastrine e plasma; questi vengono prelevati da un donatore volontario in condizioni di sterilità.
Si può apprezzare un’importante differenza tra la somministrazione di farmaci e la
somministrazione di emocomponenti: nel primo caso le ditte farmaceutiche producono in
continuazione farmaci senza alcun limite, invece nel secondo caso la produzione di
emocomponenti è limitata in quanto deriva e dipende dal ristretto bacino di donatori disponibili.
La quantità di sangue che viene prelevata al donatore è pari a 450 ml; si è constatato che questa è
la quantità di sangue che un individuo sopra i 50 kg può perdere senza subire danni, pertanto
questo valore rappresenta la perdita di volume ematico tollerata.

Bisogna tenere a mente che non tutti possono donare il sangue, infatti, il donatore deve essere
una persona in salute e deve soddisfare dei parametri standard:
− Il peso del donatore deve essere superiore a 50 kg; questo è necessario in quanto il prelievo di
450 ml di sangue a un soggetto con un peso inferiore a 50 kg potrebbe comportare il collasso
del soggetto stesso.
− La volemia (cioè la quantità complessiva di sangue nell’organismo) in relazione alla massa
corporea deve essere sufficiente.
− Il livello di emoglobina deve essere monitorato tramite un test rapido pungi dito che permette
di analizzarne il valore da una goccia di sangue.
− La pressione arteriosa deve avere dei valori compresi in un range accettabile.
− Il donatore deve avere regolari pulsazioni del polso e ritmo cardiaco regolare.
− Il donatore non deve aver avuto crisi epilettiche in passato perché la sottrazione di 450 ml di
sangue potrebbe provocare convulsioni.
− Il donatore deve condurre uno stile di vita sano e non avere abitudini sessuali correlate alla
possibilità di contrarre infezioni sessualmente trasmissibili con la trasfusione.
La malattia che si trasmette più facilmente tramite trasfusione è l’epatite, invece, difficile è la
trasmissione del virus dell’HIV.

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Prima di procedere alla trasfusione si effettuano dei test per poter escludere la presenza di
malattie trasmissibili, nonostante i test risultino negativi è possibile che le malattie siano
presenti e successivamente trasmesse. Questo dipende dal periodo finestra dell’infezione, ossia
il periodo durante il quale l’agente patogeno è penetrato all’interno dell’organismo ma il
soggetto non presenta ancora sintomi. Se il sangue infetto viene trasfuso da un donatore a un
soggetto con un sistema immunitario forte, difficilmente il soggetto contrarrà una qualche
malattia, invece, se il soggetto ricevente sangue infetto ha un sistema immunitario debole
(come ad esempio i neonati o persone che hanno subito recentemente un trapianto) avrà
possibilità elevate di contrarre malattie.
Il rischio che si corre durante una trasfusione è detto rischio trasfusionale.

Come si effettua il prelievo di sangue? Il soggetto dona 450 ml di sangue che vengono raccolti
all’interno di un sistema formato da sacche di plastica. All’interno di una sacca, detta sacca madre,
è raccolto il sangue prelevato da un ago, le altre sacche prendono il nome di sacche satelliti e
queste sono collegate da tubuli di plastica in modo tale da poter permettere la lavorazione del
sangue.
Nel momento in cui la sacca è completamente riempita, l’ago viene sfilato e l’infermiera salda il
tubo immediatamente. Il sangue contenuto nel circuito sterile sigillato rimane tale.
La sacca madre contiene una soluzione anticoagulante necessaria a evitare la coagulazione del
sangue. La sacca viene poi posta su una bilancia basculante che grazie al suo movimento
oscillatorio consente al sangue e all’anticoagulante di mescolarsi continuamente.

LAVORAZIONE

La lavorazione avviene per forza centrifuga: le sacche vengono messe in dei cestelli. Se
sottoponiamo il sangue a centrifugazione, i componenti si separeranno in base al peso, quindi
avremo sul fondo una parte corpuscolata (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e in superficie la
parte liquida (plasma). In particolare, procedendo dal basso verso l’alto della provetta, avremo i
globuli rossi, i globuli bianchi, una zona di plasma ricca di piastrine (non si forma un vero e proprio
agglomerato di piastrine perché sono troppo piccole e pesano poco), infine avremo il plasma senza
cellule.
I globuli bianchi possono essere polimorfonucleati (granulociti) o linfomonociti: i primi pesano di
più, quindi si separano subito dopo i globuli rossi; i linfomonociti pesano di meno, quindi si
troveranno più in superficie. Questa distinzione è importante perché ci permette di capire che se
vogliamo conoscere il numero di globuli bianchi polimorfonucleati di un paziente, questi saranno
fortemente contaminati dai globuli rossi, mentre possiamo sperare di avere una conta più veritiera
dei linfomonociti.
L’anello biancastro formato da globuli bianchi e piastrine che quindi si forma tra i globuli rossi
sedimentati (che si trovano sul fondo della provetta) e il plasma, è detto buffy coat.

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È anche importante ricordare le diverse proporzioni degli elementi corpuscolati: i globuli rossi sono
circa 5 milioni per microlitro di sangue, i globuli bianchi sono circa 5000-10000 per microlitro di
sangue, le piastrine sono 150000-400000 per microlitro ma, essendo molto piccole, si trovano più
in superficie rispetto ai globuli bianchi.
Da una donazione di sangue intero avrò sempre un concentrato eritrocitario, un’unità di plasma e
un concentrato piastrinico random (random= non so quante piastrine ci sono perché vengono da
un donatore che non so quante piastrine ha, visto che l’unico esame che ha fatto è il pungidito per
l’emoglobina), quindi sono tre emocomponenti che vanno a tre persone diverse con tre patologie
diverse.
Si è iniziato a lavorare sui concentrati piastrinici a partire dagli anni ’60-’70 ed è stato visto che, se
trasfondo un concentrato piastrinico ogni 10 kg di peso del ricevente, ho un effetto terapeutico
positivo; cioè se un adulto di circa 60 kg prende sei concentrati piastrinici random, l’emorragia in
atto, se causata da piastrinopenia, si ferma. A confermare questo dato clinico, c’è l’esperienza:
infatti mentre prima di iniziare a trasfondere concentrati piastrinici nella leucemia acuta c’era una
mortalità dell’80% per emorragie, dopo l’introduzione della trasfusione con piastrine, questa
percentuale è scesa al di sotto del 20%.
Il concentrato eritrocitario va tenuto ad una temperatura di 4˚C e dura 40 giorni, mentre il
concentrato piastrinico va tenuto a temperatura ambiente ma in agitazione continua, perché le
piastrine tendono ad appiccicarsi, e dura 5 giorni. Per questo motivo, il concentrato piastrinico
viene chiamato “emocomponente labile”.
Fino ad ora abbiamo parlato di concentrato piastrinico random, ma il prelievo
dell’emocomponente, oltre che con il sangue intero, posso farlo anche mettendo il sangue del
donatore in una circolazione extracorporea, in cui il sangue viene centrifugato in continuazione e in
cui c’è sempre un sistema che preleva soltanto l’emocomponente che mi interessa, il resto viene
reinfuso al donatore. Ad esempio, se mi interessano le piastrine, il sangue gira in questo circuito
extracorporea spinto da una pompa, viene centrifugato in continuazione e quindi viene separato;
se con un dispositivo inizio a prelevare piastrine, in questo modo posso prelevare un numero
molto elevato di piastrine. Questo macchinario è detto “separatore cellulare” e la procedura che
effettua è detta aferesi, attraverso kit monouso. Il sangue viene prelevato da un braccio del
donatore, va a riempire il circuito, entra nella parte di circuito con la centrifuga dove il sangue
viene separato nelle sue emocomponenti e quelle che non mi servono ritornano al donatore
attraverso un altro ago controlaterale, mentre una pompetta preleva piano piano
l’emocomponente che mi serve.
Da una donazione di sangue intero si può estrarre solo un piccola quantità di piastrine, insufficienti
a coprire il fabbisogno di un malato adulto. In aferesi invece si riesce a isolare una quantità di
piastrine che va a coprire la dose terapeutica per due malati adulti. Inoltre la donazione in aferesi è
ripetibile con maggiore frequenza, in quanto plasma e piastrine si rigenerano in soli 14 giorni.

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Abbiamo un ago in un braccio e tutto un sistema di tubi che parte dal braccio e questo sistema di
tubi termina con un altro ago dal braccio. Tutta questa apparecchiatura fa circolare il sangue nel
circuito con queste pompe peristaltiche. Una pompa peristaltica agisce come una peristalsi
fisiologica, cioè si comprimono i tubi contenenti il sangue e il sangue viene compresso. Quindi il
sangue nel circuito non circola perché pompa il cuore, ma perché ci sono queste pompe.Dopo che
il kit è stato assemblato, prima si riempie di soluzione fisiologica con anticoagulante. Questo
riempimento è importante per valutare l’integrità del kit, perché se non lo fosse, la soluzione
fisiologica schizzerebbe dappertutto. Quindi si controlla se funziona la centrifuga, se le pompe
girano. Alla fine quando il circuito è riempito di soluzione fisiologica con anticoagulante, la
macchina si blocca e testa la pressione dentro ai tubi: se la pressione è quella giusta vuol dire che il
circuito è integro;
➔ se la pressione è inferiore, vuol dire che c’è qualche perdita;
➔ se la pressione è maggiore vuol dire che c’è stato un errore nel montaggio del macchinario
e qualche tubo è piegato.
Oltre ad avere una importanza tecnica, vedere se è stato montato bene, serve per accertarsi che il
volume di sangue in entrata sia equivalente al volume della soluzione fisiologica in uscita. Dentro
tutti quei tubi ci sono circa 200 ml di sangue. Questa è una forma di donazione ancora più sicura di
quella di sangue perché mettiamo in extracorporea 200 ml e non 500 ml. Il mio donatore sta
sempre in isovolemia: una volta trovato il donatore e questi ha il peso nei limiti della norma, la
pressione nei limiti della norma e l’emoglobina nei limiti della norma, ma sono tutti e tre bassi, se il
donatore se la sente, sono più sicuro con questo tipo di donazione che con quella del sangue..
Se il donatore ha un numero alto di piastrine nei limiti della norma posso fare una doppia
piastrinocateresi e invece di lavorare in una certa quantità di sangue (in genere si lavora in una
volemia (5L)), posso proporre di fare una volemia e mezzo e raccogliere più piastrine. Con questo
kit si può controllare quante piastrine si hanno, c’è un sacchetto laterale dove si fa fluire il
concentrato piastrinico, si salda, si stacca, si buca e si mette nella provetta facendo l’esame
emocromocitometrico alla macchina che conferma la presenza di 2-3 miliardi di piastrine per
millimetro cubico. Quindi ho una dose terapeutica per un paziente con un donatore.
Il macchinario per rilevare quale tipo di cellule del sangue prendere si basa sul loro colore: il
computer della macchina sposta la pompa di rilievo ad un livello piuttosto che un altro. Nel caso in
cui voglia considerare delle piastrine il computer si imposterà su un ‘giallo carico’, nel caso dei
globuli rossi sul ‘rosso’ e per il plasma invece ‘giallo canarino’.
Come vengono conservati i vari componenti del sangue una volta che vengono separati?
Gli eritrociti sono conservati a 4 gradi, le piastrine a temperatura ambiente(in genere intorno ai 20
gradi)e ad agitazione continua, il plasma si congela a -40 gradi e viene congelato subito dopo la
donazione perché altrimenti perde i fattori della coagulazione.
L’agitazione termica delle piastrine come viene garantita?
L’agitazione delle piastrine viene garantito perché c’è un apparecchio che oscilla in continuazione
che si trova all’interno dell’incubatore dove sono conservate, mantenendo in questo modo una
temperatura costante evitando i vari sbalzi di temperatura. Tutte queste apparecchiature hanno un

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sistema di registrazione della temperatura per evitare sbalzi. Se il plasma, per esempio, non viene
mantenuto ad una certa temperatura a causa di un guasto del congelatore, tutta la quantità di
plasma verrà buttata. Si prendono fino a 600 ml di plasma e per evitare che la viscosità aumenti
(perché viene tolta la parte liquida) si impongono in 500 ml di soluzione fisiologica. Più tempo
passa dopo una donazione e più i fattori ‘labili’ della coagulazione decadono e per questo il
congelamento deve essere fatto entro poche ore dalla donazione.
Domanda: questa apparecchiatura e’ la stessa che si usa per l’emodialisi?
No, sono due diverse. Ciò che hanno in comune è la circolazione extracorporea. Nel caso della
aferesi la lavorazione del sangue avviene tramite centrifugazione per la separazione. Nella dialisi ci
sono altri principi.In alcune apparecchiature ci sono dei filtri per esempio.
Questo significa che alcuni componenti possiamo averli puri, altri invece contaminati.
(Guarda lo schema)
Se devo prendere ad esempio i globuli rossi, saranno puri al 100%, se invece guardo i
polimorfonucleati, che sono attaccati ai globuli rossi la contaminazione eritrocitaria sarà alta. Con
la forza centrifuga infatti, non si riuscira’ a separarli bene. La differenza di peso tra un globulo rosso
ed un polimorfonucleato c’è, ma non è così netta come per esempio globuli rossi e piastrine. Per
cui mentre il concentrato piastrinico può essere separato dai globuli rossi a differenza di un
concentrato di polimorfonucleati che risulta contaminato.
La forza centrifuga riesce a separare in modo netto due pesi diversi, (emazie e plasma), mentre
quelli con peso vicino no.

TERAPIA TRASFUSIONALE

Abbiamo visto come si ottengono gli emocomponenti, vi ricordo che emocomponente e’ cio’ che si
ricava dalla lavorazione del sangue intero presso i centri trasfusionali, quindi il concentrato di
globuli rossi, piastrine. Emoderivato invece, è un prodotto dell’industria a partire da un plasma,
quindi albumina umana e i fattori della coagulazione. La sorgente sarà sempre il sangue umano.

Terapia trasfusionale vuol dire che il medico si assume la responsabilita’ di trasfondere un


emocomponente, e verra’ scritta su ricetta. Nelle ricette del paziente si scrivera’ NOME COGNOME
, PR (prendi)…
Il paziente deve essere identificato con il cartaceo, dove si scrive nome, cognome e data di nascita,
in quanto arriveranno solo provette. è abbastanza difficile che nello stesso ospedale e nello stesso
giorno ci sia un prelievo di sangue per due malati che abbiano lo stesso nome, cognome e data di
nascita. Non è impossibile ma è difficile. Ci sono molti casi di omonimia (stesso nome e cognome)
ma grazie alla data di nascita riusciamo ad identificare una singola persona. Questo schema non lo
abbiamo inventato noi ma è oggetto di una normativa ossessiva in quanto noi diamo il plasma
all’industria e l’industria ha una tracciabilità precisa e particolare e una procedura industriale per
cui allo stesso modo che devono dimostrare che quel vaccino viene da quel lotto di laboratorio ed

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è stato trattato in quel certo modo, allo stesso modo noi quando diamo il plasma all’industria
traccia l’albumina con fattori di coagulazione dobbiamo garantire la stessa tracciabilità che
l'industria ha nel suo processo industriale. Dobbiamo garantire tutti i passaggi altrimenti l’industria
non si prende più il plasma, se non ci prende il plasma noi non abbiamo l’albumina. Ci fù un
esperienza negli anni 80 del sangue artificiale, lo studiarono parecchio i giapponesi con delle
soluzione dei fluoro carburi che riescono a moltiplicare l’ossigeno ma non lo rilasciavano. Quindi la
molecola dell’emoglobina che riesce a catturare ossigeno e rilasciarlo , non si riesce a sintetizzare
in laboratorio in più erano delle soluzioni instabili a volte funzionavano a volte no. Questa ricerca
fu abbandonata.
La medicina trasfusionale è il soggetto di tutta questa normativa particolare per cui la donazione di
sangue deve avvenire secondo un certo modo, secondo dei parametri , non deve durare più di un
determinato tempo in quanto se dura di più non va bene per l’industria perchè il plasma non
andrebbe più bene per estrarre i fattori della coagulazione. La medicina trasfusionale lavorerà
diversamente dal cardiologo. La normativa ci dice come deve essere la richiesta. Mi interessa la
diagnosi perché a seconda della diagnosi posso incominciare a capire se è una situazione grave
oppure no. La richiesta la fa un medico da un reparto e viene inviata a medicina trasfusionale. Le
informazioni importanti sono : i valori di emoglobina (dove Hb sta per emoglobina); numero delle
stime; Pt e Ptt. Se il collega mi chiede una trasfusione di globuli rossi, perché pensa sia anemico,
deve dirmi quanto è anemico. Se vuole trasfondere piastrine mi deve dire quante piastrine ha il
paziente. Se vuole il plasma mi deve dimostrare che ne ha bisogno. Pongo maggior attenzione
soprattutto sul plasma perché in passato c’era la tendenza di alcuni chirurghi a trasfondere plasma
dopo un intervento chirurgico perché pensavano che facesse stare meglio il paziente. Non c’è
nessun dato che però supporti questa tesi. Il plasma si trasfonde solo quando la coagulazione è
alterata e non è disponibile in commercio il fattore di cui il paziente è carente. Se viene trasfuso
plasma senza alcuna esigenza e il paziente si becca l’epatite i parenti faranno causa.
Ci sono delle situazioni congenite in cui mancano alcuni fattori della coagulazione, per esempio
l’EMOFILIA, in cardiochirurgia si realizza una circolazione extracorporea, quindi il soggetto che ha
un problema di valvola cardiaca, non di coagulazione, si trova ,per un nostro artefatto, con questi
fattori diluiti più bassi. Avendo quindi il sangue diluito avrà un livello più basso di piastrine e anche
un’anemizzazione. Altre situazioni in cui al giorno d’oggi di trasfonda plasma non ne abbiamo. È da
bandire il plasma postchirurgico.

L’unità autologa predepositata è una strategia terapeutica che è stata molto utilizzata negli anni 80,
quando c’era molta paura della trasfusione, per cui tra le varie strategie proposte ci fu quella di
evitare di dare il sangue dal donatore, cercando di usare, in interventi di elezione, il sangue del
paziente stesso. C’erano, tuttavia, due punti critici: da una persona, circa venti giorni prima
dell’intervento, potevano essere prelevate solo poche unità di sangue, quindi 1) se l’intervento
fosse saltato il sangue sarebbe andato perso; 2) se invece durante l’intervento la perdita di sangue
fosse stata maggiore, sarebbe stato inutile l’utilizzo di questa tecnica. Per questi motivi, qualche
anno fa questa pratica è stata abbandonata, tuttavia è ancora consentito farla in casi particolari:
soltanto se il paziente ha un fenotipo eritrocitario particolarmente raro o con alloimmunizzazioni
complesse per i quali è impossibile reperire emocomponenti compatibili (ad esempio se devo fare
un intervento di ortopedia ad un paziente di un’etnia molto rara –ad esempio eschimese- con un

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fenotipo molto raro che non ho, gli darei sangue compatibile per il sistema AB0, ma incompatibile
per tutti gli altri antigeni, quindi lo andrei ad immunizzare. Solo in questi casi è permesso fare
un’autotrasfusione).
Quando parleremo dei gruppi sanguigni, vedremo che la disposizione di alcuni antigeni è più
frequente in alcune etnie piuttosto che in altre, quindi è possibile che una persona che appartenga
ad un’etnia diversa abbia un fenotipo molto diverso da quello del donatore.
Quando si rilasciano concentrati eritrocitari, si recepiscono questi campioni su cui vengono fatte
alcune indagini tra cui un test di compatibilità, cioè devo testare il sangue del paziente contro il
sangue del donatore. Quindi prendo uno dei segmenti della sacca di sangue (concentrato
eritrocitario con il tubicino pieno di sangue), eseguo una saldatura, stacco un segmento con dei
tubicini aggiuntivi, lo taglio, faccio colare il sangue in una provetta, preparo una sospensione al 5%
di eritrociti del donatore. Questa sospensione la vado ad incubare, quindi la mescolo in una
provetta insieme al plasma (o al siero in base alla tecnologia) del paziente. Quindi la reazione è tra i
globuli rossi del donatore –che ho tirato fuori dal segmento- e plasma o siero del paziente e così
posso vedere se il paziente ha degli anticorpi irregolari che possono reagire con i globuli rossi del
donatore. Se non li ha, la reazione è negativa, se invece è positiva vuol dire che non posso usare
quella sacca di quel donatore per trasfonderla al paziente; non saprò di che anticorpo si tratta, ma
so che c’è un anticorpo che reagisce contro qualche antigene dei globuli rossi del donatore.
Ma che differenza c’è tra un intervento urgente e uno urgentissimo?
La distinzione la fa il medico richiedente qualora ritenga che il paziente abbia o non abbia il tempo
che al servizio trasfusionale occorre per eseguire test di compatibilità.
➔ Urgentissima vuol dire che il medico del reparto del paziente, capisce che non ha il tempo
di provare le varie terapie rianimatorie perché il paziente ha perso troppo sangue, è già
collassato, non si riesce più a sentire il battito, quindi ritiene che sia opportuno trasfondere
sangue immediatamente. In questo caso chiede la “urgentissima” e la prima cosa da fare è
assicurarsi, se conosciamo il gruppo sanguigno, che sia lo stesso; oppure, se non
conosciamo il paziente, diamo lo 0.
➔ Urgente vuol dire che bisogna dare il tempo di fare il test di compatibilità (circa un’ora).
Questa è un’indicazione specifica e vincolante, vuol dire che il tecnico di laboratorio deve
dedicarsi per un’ora solo a quel test di compatibilità. Il medico ritiene che il paziente sia
ancora vigile, cosciente e ha ancora tempo per poter sperimentare le varie terapie
preoperatorie, per esempio ha tempo per dare liquidi, per vedere l’effetto degli steroidi
ecc.
La differenza tra urgente e urgentissima è molto importante, Ad esempio a Roma un paziente si è
presentato in seguito ad un incidente stradale e, in seguito ad una visita, gli viene dato un codice
giallo: il paziente non aveva fratture e non presentava danni visibili. Dopo poco tempo, il paziente
collassa e cade a terra. Il primo sospetto è stato che si trattasse di emorragia interna, in particolare
la lesione della milza. Questo è il sospetto classico, quando non si hanno danni visibili in seguito ad
un incidente stradale e si ha un collasso. Con questo sospetto, il medico ha subito richiesto sangue e
una TAC, per valutare se il suo sospetto diagnostico fosse esatto e, appena avuta la conferma, ha
immediatamente prenotato la sala operatoria per eseguire una splenectomia. Il medico aveva fatto
la richiesta alle ore 9:00, mentre è arrivata al servizio trasfusionale dopo le 10:00 perché il

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portantino ha prima portato il paziente a fare la TAC, poi l’ha portato in sala operatoria e infine ha
portato la richiesta al servizio trasfusionale.
Ora passiamo a qualcosa di più interessante: le emazie, che possono essere rilasciate in regime di
urgentissima o urgenza (chiarito precedentemente); possono essere anche programmate per il
giorno ovvero quando si richiedono per un intervento chirurgico; in questo c’è oramai una buona
intesa tra i chirurghi a livello internazionale, nel senso che per ogni intervento in tutto il mondo si
ha come previsione una scelta preventiva degli esami. Infatti per esempio, per una colectomia non
servono esami del sangue, e neanche per un’ernia; per una epatectomia invece servono gli esami
del sangue.

Ci sono dei criteri internazionali per cui in base al tipo di intervento ci sarà una certa terapia di
sangue e che quindi grossomodo il numero di unità di sangue che devono assegnare.

Per quanto riguarda la richiesta del plasma e delle piastrine, essa è la situazione più semplice; il
plasma si da soltanto quando i fattori di coagulazione sono diminuiti in numero o di funzione e
quindi il sangue non riesce a coagulare; le piastrine, vi anticipo, che il livello deve essere basso, da
10mila a 20mila; se il valore normale invece è 150/450 mila si trasporta solo su questi valori e poi
vedremo a fondo su questo.

Come abbiamo detto ci sono dei valori di emoglobina, i valori (in medicina i numeri sono dei
riferimenti) che ci danno le macchine sono importanti come valori di riferimento indicativi e viene
integrato in base al paziente, per cui vedete che c’è scritto HB<7 gr/dl ( ci sono dei medici che
prendono come riferimento 8 gr/dl ma noi usiamo 7) associato a terapia necessaria; al di sopra dei
10 gr/dl raramente è necessaria; con HB compreso tra 7 e 10 gr/dl terapia da valutare, cioè per
andare a valutare essenzialmente le condizioni del paziente. Le condizioni del paziente stanno a
significare soprattutto la funzionalità HB e le condizioni del muscolo cardiaco e dei tessuti.
(HB=emoglobina)

Se un paziente ha 10,5 di emoglobina, che è un valore abbastanza piccolo, però ha una frazione di
eiezione ridotta al 20 % vuol dire che si contrae ed esce fuori, quindi espelle il sangue non al 100%
ma al 20%; non riesce a farlo circolare, quindi la cessione di ossigeno ai tessuti è molto bassa è
soltanto in questi casi trasformiamo anche con dei valori superiori a 10; è una situazione molto
rara ma ci sono dei pazienti che possono avere questa situazione, cioè la frazione di eiezione molto
bassa.

La frazione di eiezione è il sangue che quando pompa eietta un certo volume, quindi una certa
frazione; se la frazione è al 100% vuol dire che il cuore funziona bene e pompa energia. Mentre se
il cuore è malato per tanti motivi, e quindi può spingere in avanti, eiettare soltanto una piccola
parte tipo 20%; ne segue che i globuli rossi siano pieni , e quindi non c’è un ricambio continuo per
cui non c'è una cessione continua di ossigeno, i tessuti soffrono, e soffre anche il miocardio; in
questi casi trasformiamo anche se i globuli sono numericamente non idonei.

Lo stesso vedremo per esempio con meno di 7 mg di emoglobina, in un argomento preciso, pz con
6 grammi di emoglobina che stanno bene, perchè non hanno sintomi.

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Per questo va inquadrato il paziente osservando anche questi numeri di riferimento, che però non
sono dei numeri assoluti e vanno presi solo indicativamente, per esempio non bisogna mandare
una paziente che ha una emoglobina un po’ più bassa e che non può donare, ma che sta bene, non
serve a niente perchè non ha sintomi.

( passa ad una slide successiva in cui parla delle complicanze)

Complicanze immediate
- La prima complicanza è AB0 = cioè quando abbiamo dato dei globuli rossi incompatibili,
abbiamo sbagliato ad attaccare un’etichetta, cioè l’etichetta viene messa su una sacca di
qualcun altro, e in questo caso lo sbaglia l’essere umano, che può essere il tecnico o
medico; ma le macchine con cui noi operiamo identificano un codice a barre che
corrisponde ad un paziente e quindi l’etichetta messa su provetta o sacca sbagliata causa
un danno enorme.
- Quando c’e qualche problema si tratta di EMOLISI INTRAVASCOLARE ACUTA, cioè la morte
del paziente ed accade che i globuli rossi hanno un antigene verso il quale sono presenti gli
anticorpi, questi anticorpi si fissano sui globuli rossi, attivano il complemento e distruggono
i globuli rossi in ambito intravascolare. C’è interazione di emoglobina, che passa sui reni e si
può intasare il filtro renale, quindi il soggetto può andare incontro a insufficienza renale, e
poi alla morte. Quindi come si fa per evitare questo? innanzitutto per la legge italiana
bisogna controllare che l’etichetta corrisponda al paziente; la legge prevede che ci siano
due soggetti che siano presenti durante la trasfusione, in piedi, e si chiede al paziente come
si chiama e quanti anni ha , se il paziente non è vigile si controlla nella cartella clinica se
tutto coincide, e si comincia a trasfondere, si apre il gocciolatore e si fanno scendere le
gocce di sangue. Almeno per i primi dieci minuti il sangue deve scendere a gocce lente,
perchè se c’è una reazione di questo tipo, il paziente se è vigile vi può avvertire di iniziare a
sentire i primi sintomi. Quali sintomi? innanzitutto il paziente vi dirà che comincia a
respirare male, questo in medicina si chiama dispnea, è una respirazione difficoltosa e
indice di angoscia verso il paziente, e va dato come prima cosa la maschera d’ossigeno. Poi
può essere che il paziente andrà in contro al collasso cardiocircolatorio , vuol dire che la
pressione da normale crolla a 90/80 quindi bisogna rimediare dando steroidi ad alto
dosaggio. Si stanno iniziando a distruggere i globuli rossi quindi bisogna evitare che ci sia
un danneggiamento renale, allora bisogna dare tanti liquidi al paziente in modo rapido; Se
siamo stati responsivi in tempo il paziente sopravvive, se trasfusione non arriva in tempo il
paziente non ce la fa; infatti un esempio è un paziente deceduto un paio d’anni prima del
covid, in coma in dialisi, sono stati chiesti un paio di unità di sangue, l’infermiera ha chiesto
al medico di il permesso di continuare la trasfusione è così e stato fatto; dopo mezz’oretta
ripassa l’infermiere e vede dal catetere che il paziente era in diuresi e che l’urina non era
gialla ma era diventata rossastra, la interpreta come una perdita di sangue , quindi una
EMATURIA; fortunatamente in ospedale si fanno controlli al paziente ogni tot di ore e
quindi il medico riesce a monitorare la situazione , e a non dare più di una unità di sangue

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al paziente, perché sta perdendo sangue. il paziente è morto perché non aveva avuto una
unità di sangue compatibili, probabilmente l’infermiere non avevo controllato le sacche di
sangue e il paziente essendo in coma non poteva riferire i sintomi che provava nei 10
minuti iniziali della trasfusione e aveva erroneamente interpretato il colorito delle urine;
non era ematuria ma era EMOGLOBINURIA, il medico non era presente per correggere
l’errore e quindi il paziente è morto.

Quindi siccome questi errori non possono capitare, in questo è stato interpretato male, se invece la
trasfusione viene realizzato a gocce lente si ha tutto il tempo per osservare e correggere eventuali
errori, si ha tutto il tempo per capire che la quantità totale di globuli rossi che vengono trasfusi sia
minima da 30 a 40 ml. Bisogna riuscire a capire in ospedale come agire, e per la trasfusione
raccomando sempre di stare vicino al paziente durante la trasfusione.

- REAZIONE FEBBRILE NON EMOLITICA = questa reazione non esiste più nei paesi come in
italia, in quanto per il sangue ci sono già dei kit con all’interno dei filtri per intrappolare i
globuli bianchi, perchè questi scatenano una reazione dovuta ad anticorpi contro gli
eritrociti; le sacche di sangue per la trasfusione composte da globuli rossi e plasma dove
all’interno del plasma ritroviamo i globuli bianchi producono anticorpi che quando vanno a
reagire possono dare queste reazioni. Adesso non le vediamo più queste reazioni per la
presenza del kit per la donazione di sangue che contengono il filtro, e tutti i concentrati che
usiamo sono linfocitopenici, che non vuol dire che assenza di linfociti ma che sono sono
stati tolti.
- REAZIONE ALLERGICA ORTICARIOIDE = è la più semplice; come quando veniamo punti da
una zanzara, si forma una bolla che è pruriginosa che si gonfia; e con l’antistaminico il
gonfiore si riduce e torna tutto allo stato normale.
- CONTAMINAZIONE BATTERICA = molto rara, per questo se vi ricordate prima abbiamo visto
la diapositiva della dottoressa che infilava l’ago al donatore, dopo che noi andiamo a sentire
la vena e con il polpastrello si cerca la vena, si passa e si passa la garza per per disinfettare
l’area e dopo non ripassiamo il dito perchè andiamo poi a portare i germi che abbiamo noi
sulla nostra pelle o sul nostro guanto, per cui se non stiamo attenti possiamo passare sulla
sacca di sangue i germi che stanno nella cute e quindi contaminare l’unità di sangue che
non è più sterile. Però abbiamo soltanto un caso riportato a livello nazionale di
contaminazione batterica, di un’unità di sangue raccolta non in ospedale ma sul territorio,
la non lavorava bene perchè il liquido usato per la disinfezione era un brodo di cottura dei
germi che cresceva la serazia, tutta la sacca era un concentrato di patogeni, ed è chiaro che
quando l’unità è stata trasfusa ha ammazzato il ricevente perché sviluppa una sepsi
micidiale che porta a morte-
- TRALI ne parleremo in un momento in cui saremo più lucidi, ed è un argomento che
bisogna affrontare a parte.
- EDEMA POLMONARE = In questa slide vediamo che in parte si riferiscono a casistiche
vecchie e in parte a casistiche più recenti: alcune complicanze erano rare prima e sono rare
ora, erano importanti prima e sono importanti anche ora. Adesso vediamo un caso in Italia,
che è diverso da altri stati e quindi se andate a lavorare in altri paesi dovete stare attenti ad
osservare il tipo di emazie concentrate, se sono deleucocitarie o no, perchè altrimenti si
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LEZIONE 1 PATOLOGIA CLINICA 15/11/2021

potrebbero avere reazioni molto violente. 20 anni fa o 10 anni fa erano estramamente


violenti e questo era il terrore di ogni giovane medico perché davano come sintomi febbre,
brividi, cefalea, nausea , vomito; il paziente seduto mentre staba chiacchierando durante la
trasfusione cominciava a balbettare e a battere i denti. Questa non è una situazione
piacevole e bisogna considerare anche che le conseguenze su un paziente, che ha già un
sistema cardiocircolatorio compromesso, sono abbastanza gravi; si va a ledere la
muscolatura liscia e questa può interessare l’albero bronchiale, versare il liquido sui
polmoni, il polmone non funziona, il cuore pompa su un polmone che non è alleato ma
solido, impregnato di liquido. Questa situazione si chiama EDEMA POLMONARE è un
motivo per cui si muore quando si hanno problemi cardiocircolatori.
- REAZIONI ANAFILATTICHE ( è presente nella slide ma il prof non l’ha nominata.)

Complicanze ritardate:
- EMOLISI EXTRAVASCOLARE = Noi abbiamo trasfuso, il risultato immediato ottenuto il
giorno dopo ci soddisfa ma dopo 3/4 giorni l’emoglobina comincia a scendere perchè un
anticorpo irregolare che non abbiamo potuto determinare precedentemente perché
presente ad una concentrazione troppo bassa, al di sotto della sensibilità della macchina.
Quindi gli anticorpi c’erano ma non hanno fatto la crisi emolitica immediata da errore
emolitico AB0, però essendoci lo stesso gli anticorpi che si legano ai globuli rossi, il globulo
rosso viene ricoperto e aggredito dagli anticorpi, si irrigidisce e rimane incastrato nei vasi e
quindi distrutto in sede extravascolare. In pratica si ha una resa trasfusionale che sembra
buona all’inizio ma poi successivamente da complicanze. Questo vi spiega il perché della
complicanza RITARDATA, vuol dire che c’era un anticorpo che io non sono riuscito a
determinare per un problema di metodica, ed eventualmente va tenuto in osservazione il
paziente nei giorni successivi.
- SOVRACCARICO DI FERRO = Questo lo abbiamo nei pazienti che vengono trasfusi
costantemente per tutta la vita, per esempio i tasselemici, che subiscono circa un paio di
trasfusioni al mese per tutta la vita, quindi basta immaginare la quantità di ferro che
possono assorbire tutta la vita. (Ne parleremo in modo più dettagliato dei tasselemici.)

Quello che mi interessa sono le altre due importanti :

1. TRASMISSIONE AD AGENTI INFETTIVI= se il donatore è in fase di finestra di qualsiasi


infezione, il ricevente può avere l’infezione o fare l’infezione quindi non soltanto ricevere la
carica patogena ma sviluppa una malattia.
2. GVDH CORRELATA ALLA TRASFUSIONE (GVDH = Graft versus host disease)= Allora cos’è
GVDH? Sono malattie contro l'ospite, cioè contro il ricevente, quindi malattia del trapianto
verso l’ospite ma associato alla trasfusione.

Il GVDH è una malattia fatale, dovuta alla presenza di linfociti nella sacca di sangue che costituisce
il trapianto; questi linfociti sono in grado attaccare gli antigeni presenti sui tessuti del ricevente e
quindi possono danneggiare il ricevente. Questi linfociti sono presenti sui concentrati leucocitari,
se questi sono presenti nella trasfusione di globuli rossi e piastrine, in un paziente
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LEZIONE 1 PATOLOGIA CLINICA 15/11/2021

immunocompromesso, darà un quadro simile a quello che il trapiantato quando lui sceglie un
trapianto allergenico, quando sceglie un donatore estraneo, diverso.
La sintomatologia è simile ma la diversità enorme è che l’unità di concentrato leucocitario o
piastrinico quando lo trasfondo in un paziente immunocompromesso che ha già ricevuto un
trapianto; o un altro caso in cui l’unità di concentrato la trasfondo ad un feto, quindi faccio una
trasfusione intra fetale; questi linfociti saranno attivi e aggrediscono il ricevente. Come posso fare a
danneggiare i linfociti che stanno nel concentrato leucocitario o piastrinico? i linfociti sono delle
cellule, hanno un nucleo e quindi sono attivi perché hanno nucleo con DNA, e quindi c’è un modo
efficace per danneggiare il DNA, ovvero esponendo il DNA alle radiazioni gamma, per cui questi
emocomponenti nei concentrati piastrinici o leucocitari, quando vengono trasfusi vengono sempre
irradiati, in modo che i linfociti se vengono irradiati non possono fare danni, non possono
aggredire i tessuti. Come funziona un irradiatore? è semplicemente una sorgente di cesio
radioattivo: la sacca viene esposta, il tutto avviene dentro un armadio di piombo per non
danneggiare l’operatore; la sacca in questione viene posta dentro un cestello che viene fatto
ruotare in modo da esporre la sacca alla sorgente di cesio, ma tra la sacca e l’operatore scorre una
lastra di piombo che ci protegge; è un po come la ruota degli esposti nella chiesa che ruotava ma
non ci si poteva avvicinare.

A parte i meccanismi, quello che bisogna è che in EMATOLOGIA il trapianto non è un organo come
il rene, ma si trapianta delle cellule staminali.
Le cellule staminali fondamentalmente stanno nel sangue midollare, quindi il sangue midollare
viene trapiantato, ed è una sacca di sangue che contiene: globuli rossi, una frazione di globuli
bianchi, piastrine, plasma e cellule staminali che sono quelle che servono per fare il trapianto, ci
sono anche pochi linfociti periferici.
Quando noi effettuiamo il trapianto da donatore a ricevente se la compatibilità non è proprio
perfetta e allora le cellule staminali attecchiscono e il trapianto in qualche modo riesce; ma i
linfociti del donatore, siccome riconoscono gli antigeni del ricevente come estranei aggrediscono le
strutture del ricevente.
Il caso è di questa malattia GVDH, che può portare a morte, proprio perché io non posso irradiare il
sangue che trasfondo perché danneggerebbe i linfociti e anche le cellule staminali e ammazzerei il
paziente. Mentre la GVDH di per sé rimane molto grave, perché anche oggi porta a morte i pazienti
che ricevono il trapianto (ne parleremo più avanti): basti pensare ad una persona che ha una
leucemia e ha la possibilità di fare un trapianto allogenico, quindi trova il donatore compatibile,
quindi sopravvive alla chemioterapia, che ha il 50% di mortalità, e dopo il trapianto viene
attecchito bene che c’è anche il grasso che può anche bollire; é una situazione che c’è tuttora ,
perché non abbiamo modo di acchiappare i linfociti, abbiamo provato diversi metodi che non
risolvono il problema al 100%.
Il problema si risolve nell’ambito della semplice terapia trasfusionale, quindi quando il medico
trasfonda, ad esempio si trasfonda ad un feto, dove il sistema immunocompetente si deve ancora
formare, quindi i linfociti che contaminano la trasfusione, andrebbero a fare una patologia simile
alla GRAFT associata alla trasfusione e non trapianto e quindi posso andare a irradiare il nucleo dei
linfociti contenenti il DNA Con questo metodo è abbastanza efficace infatti GVDH associati alla
trasfusione non se ne vedono più, mentre i GVDH associato al trapianto è ancora grave.

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LEZIONE 2 PATOLOGIA CLINICA 16/11/2021
Sbobinatori: Alessia Posteraro, Elena Natissi, Daniele Martiradonna, Marilena Di Vico

Revisore: Laura Radice Lissoni

Prof: Adorno

Cosa dobbiamo ricordare di questa slide?


Il concetto è che la deleucocitazione (riduzione del numero dei leucociti in un concentrato
leucocitario o piastrinico) non è mai assoluta. Questo è anche un principio abbastanza chiaro in
laboratorio perché non si ha mai un risultato al 100%.
La filtrazione che dà luogo alla diminuzione dei leucociti è una metodica per cui il sangue già
concentrato viene fatto passare attraverso un filtro che non è altro che una rete di fibre Nylon a cui i
linfociti aderiscono e rimangono intrappolati. I globuli bianchi e in particolare i linfo-monociti
rimangono sempre.

1
Ma quali sono gli effetti indesiderati della
presenza dei linfo-monociti? Reazioni
febbrili e anche la possibilità di trasmettere
infezioni da patogeni presenti nei globuli
bianchi, un esempio è quello associato al
Citomegalovirus perché presente nei globuli
bianchi.

Associato alla trasfusione abbiamo anche la Graft Versus Host Desease (da fare bene per l’esame
perché spesso gli studenti confondono questa malattia con la Graft Versus Host Desease associata a
trasfusione) che è una malattia associata ad elevata mortalità a seguito di trapianto di cellule
staminali allogeniche e non si riesce ad eradicare ma solo a rallentare. Perché? Non ne conosciamo
la fisio-patologia essendo molto complessa. La Graft Versus Host Desease associata a trasfusione
non la vediamo più da circa 50 anni perché è sempre causata dai linfo-monociti dei donatori che
aggrediscono i tessuti del ricevente che non è in grado di difendersi, ma non si tratta dei linfociti del
donatore di cellule staminali bensì si tratta di linfociti presenti nei vari emocomponenti che noi
trasfondiamo. Quindi questi emocomponenti devono essere irradiati in modo da danneggiare il
DNA, per cui gli acidi nucleici dei linfociti dei concentrati leucocitari e piastrinici, essendo
danneggiati, impediscono alla cellula di aggredire i tessuti del ricevente. E’ ovvio che la sacca
contenente le cellule staminali non può essere irradiata perché se io vado a irradiarla distruggo le
staminali.
Perché si è propensi ad utilizzare concentrati leucocitari privi della componente monocitca? Perché
danno reazioni febbrili molto importati, infatti si raggiungono temperature di 38/40 Co con una
ripercussione sistemica. Si può arrivare ad un edema polmonare acuto se il paziente è compromesso
dal punto di vista cardio-vascolare. Quindi l’indicazione per questo tipo di concentrati dove non sia
già prevista una filtrazione al momento della donazione stessa come avviene attualmente in Italia è
di adoperare al momento della trasfusione dei filtri. Ad oggi in vendita ci sono i ‘’set da
trasfusione’’ che consistono in un lungo tubo di plastica che da una parte si collega alla sacca e
dall’altra all’ago che viene inserito nel paziente. Questo tubo presenta un filtro per evitare il
passaggio di coaguli e un filtro per intrappolare i monociti. Non andrete mai a usare sacche filtrate
nel corso di un intervento chirurgico con una persona che non è mai stata sottoposta a trasfusione a
meno che non abbia condizioni particolari.

2
Che cosa hanno in comune trapianto,
immunodeficienze congenite, trasfusione
intrauterina? Vi ricordo che a causa della
chemioterapia ad un soggetto che viene
sottoposto a trapianto, soprattutto
allogenico, le difese immunitarie sono
compromesse: l’immunità cellulo-mediata
è assolutamente inabile. Quindi queste 3
condizioni hanno in comune l’instabilità
delle difese immunitarie:
l’immunodeficienza congenita è una
deficienza del sistema immunitario
presente sin dalla nascita e nella necessità
di una trasfusione intrauterina devo
considerare che il feto non ha una risposta
immunitaria totalmente sviluppata. Altre
condizioni sono rappresentate da eventuali
terapie che abbiano un effetto altrettanto
grave sulla risposta immunitaria, un
esempio è la Fluodarabina che è un
farmaco utilizzato in tanti schemi
terapeutici che dà una soppressione immunitaria estremamente forte e ciò significa che chi è trattato
con questo farmaco dovrà ricevere emocomponenti irradiati in modo da danneggiare il DNA dei
monociti.
Questi sono dati di 10 anni fa. I
pazienti che nel 2011 ricevettero
concentrati piastrinici erano 64.000
su territorio nazionale, 600.000
invece chi ricevette concentrati
leucocitari. Il numero dei concentrati
leucocitari trasfusi è molto maggiore
perché i concentrati leucocitari si
danno non solo a pazienti che
devono essere trattati
ematologicamente, ma anche nel
corso di interventi chirurgici e in
traumatologia.

3
Nel caso di reazione avversa a concentrati leuocitari o piastrinici vediamo che la reazione più
comune è un attacco febbrile. Ci sono anche altre condizioni che sono molto più rare però
importanti per il medico come una condizione di dispnea (85 casi). I morti per errori trasfusionali
sono 3, per Graft Versus Host Desease 0. Vi ricordo che un concentrato eritrocitario è 200 ml e
nell’arco di 24 ore è normale che il paziente riceva 1,5 L di liquidi e di solito si somministra 1 L di
soluzione fisiologica e 0,5 L di soluzione glucosata.
Il professore ha messo insieme delle review di 20 anni fa e altre più recenti (10/15 anni fa) per
evidenziare che alcune complicanze sono rimaste tali e altre sono nel tempo diminuite. Ad esempio
reazioni avverse dovute alla contaminazione di linfo-monociti erano estremamente comuni, ad oggi
sono molto più rare. Anche le reazioni allergiche che sono dovute alla liberazione di istamina sono
abbastanza comuni ma possono essere risolte con un antistaminico somministrato endovena.
Reazioni come la dispnea fortunatamente sono molto più rare. La contaminazione batterica è
possibile ma limitata grazie all’utilizzo di disinfettanti; in Italia qualche anno fa un paziente è morto
per la contaminazione batterica perché gli infermieri che hanno fatto il prelievo dal donatore
avevano utilizzato un disinfettante a base di iodio che evidentemente era diventato un ‘’brodo di
coltura’’, quindi la cute non è stata disinfettata bensì infettata e la sacca infettata che venne trasfusa
causò sepsi e morte. Un’altra situazione è il mancato utilizzo della frigoemoteca che porta ad un
danno della sacca di sangue causato dal calore (emolisi meccanica). Quando viene consegnato il
plasma per essere trasfuso, solitamente viene scongelato al centro trasfusionale mettendolo a bagno
maria, se capita un’emergenza si consegna l’unità congelata e penserà il reparto a scongelarla
lasciandola a temperatura ambiente per qualche ora e alcune volte succede che le unità di plasma
vengono a messe sopra i termosifoni e quindi quel plasma a uso CLINICO viene danneggiato e non
sarà più utile (diventa un concentrato di albumina).

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Vedete che mentre l’infezione da Epatite C è presente (proporzione 1:100.000), quella da HIV è
molto più rara perché non c’è un’adeguata scelta del donatore. Ovviamente questi dati di letteratura
fanno riferimento a situazioni in cui il donatore non è stato visitato bene.

Queste sono invece evidenze più recenti e l’incidenza per l’HIV rimane molto bassa soprattutto se
confrontato con l’epatite (69,1 contro 1,9). Vedete anche che la possibilità di diffondere l’epatite è
differente da nazione a nazione ma anche da regione a regione; sicuramente quello che abbiamo
osservato nel corso degli anni è che c’è stata una diminuzione da regione a regione di propagazione
dell’Epatite C probabilmente per una maggiore accuratezza a livello degli studi dentistici.

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‘’TRALI’’ è l’acronimo di Trasfusion Related Acute Lung Injury ed è un affezione acuta che
colpisce il polmone. E’ causato da anticorpi che stanno nel vaso del donatore, quindi è associato alle
trasfusioni di plasma. La sintomatologia è dispnea, tachipnea, febbre, ostruzione delle basse vie
aeree, febbre, ipotensione ed edema polmonare e questi sintomi ci ricordano quelli di una reazione
trasfusionale. Di solito, a seguito di trasfusione, il paziente si presenta con febbre e spossato quindi
si somministra cortisone e lo si controlla dopo circa mezz’ora, soltanto se la crisi respiratoria è
grave si pensa ad una radiografia perché i polmoni generalmente sono di colore nero (perché passa
l’aria) ma in radiografia appaiono bianchi come in foto (mancano di aria) e questo ci mostra che c’è
un danno acuto polmonare.

Quindi cosa c’è da fare? Bisogna chiamare il centro trasfusionale e dire di richiamare il donatore
(più spesso donatrice) per sottoporla alla ricerca di anticorpi contro i granulociti. Questi anticorpi
compaiono soprattutto nelle donne che hanno avuto molte gravidanze, infatti in molti centri
trasfusionali c’è l’abitudine di separare nei frigoriferi in cui si tiene il sangue le sacche dei donatori
di sesso maschile e donne che non hanno mai partorito da donne che hanno partorito. Tutto questo
per dire che questa entità patologica è da tenere presente però è molto difficile anche fare diagnosi
essendo rara e il centro trasfusionale deve avere un laboratorio dove poter far queste ricerche.
Questa patologia è stata descritta negli anni 90’ da alcuni colleghi che hanno la possibilità di fare un
ottimo lavoro di laboratorio.

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La medicina è una scienza che evolve nel tempo: non giorno dopo giorno, ma negli anni; alcune idee
che avevamo 40 anni fa sono state un po’ modificate perché abbiamo fatto altre esperienze, di
laboratorio o cliniche.

Nell’immagine si vede l’incidenza dell’epatite C, B e da HIV nel corso degli anni: in basso, nel 1984
fino al 2002, si ha una curva costante di abbassamento per quanto riguarda l’infezione da HCV; lo
stesso vale per HBV, che causa l’epatite B, spesso correlata a condizioni igienico-ambientali; la curva
dell’infezione da HIV (per cui ancora non esiste una terapia consolidata) presenta invece un picco,
che in passato aveva scatenato il panico collettivo (paragonabile a quello che si è creato con la
pandemia: sembrava che non si potesse andare neppure a prendere un caffè o dal barbiere).
L’infezione da HIV, infatti, è comparsa intorno agli anni ’80 e prima non si conosceva, ma per lungo
tempo il personale sanitario non ha potuto donare il sangue presso alcune associazioni, perché ritenuto
a rischio, come effettivamente è, ma presto ci si è resi conto che è anche quello più attento:
l’infermiere di sala operatoria o il chirurgo, quando arriva un paziente HIV positivo, stanno
particolarmente attenti a non farsi schizzare il sangue addosso. È quindi abbastanza ovvio che il
personale sanitario, per quanto esposto all’infezione, è anche quello più sensibilizzato alle
precauzioni; infatti poi, questa norma di alcune associazioni è ampiamente rientrata.
Anche questa infezione è scesa mano a mano, sia per il progredire delle terapie, che hanno facilitato
la ricerca dei positivi, sia per le donazioni di sangue ci ha permesso di escludere quelli che potevano
farci correre rischi.

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Questi nell’immagine sono dati ufficiali della Società Italiana di Medicina Trasfusionale, da cui si
vede che nel corso degli anni le infezioni da HIV, HCV e HBV si sono mantenute entro valori bassi.
Quindi qual è il messaggio? Che almeno per quanto riguarda il territorio nazionale il sangue è sicuro.
Questa grande sicurezza deriva dalle metodiche più recenti (risalenti a più di 10 anni fa) per cui
l’infezione va ricercata con la biologia molecolare, che è la più sicura e azzera totalmente il rischio
di contrarre infezioni con la trasfusione. Fino a 4 anni fa, in Albania, erano ancora presenti i donatori
pagati dallo stato: questa è una situazione rischiosa, perché un donatore pagato è un donatore che
vuole ricevere soldi, quindi tende a non dire se in famiglia c’è qualcuno con l’epatite, se anche lui
può aver corso il rischio di contrarre l’epatite o l’HIV: non lo dice perché vuole essere pagato. C’è
poi un problema di metodiche, sempre in Albania, che fino a qualche anno fa erano ancora abbastanza
vecchie, quindi le possibilità che delle positività non fossero rilevate era ancora costante e
preoccupava i colleghi del centro di Tirana. La rete trasfusionale in Albania è fatta in modo tale che
la lavorazione del sangue (quindi la centrifugazione, ecc..) avvenga al centro trasfusionale di Tirana
(all’interno dell’attuale Policlinico Universitario), i prelievi invece vengono fatti nei vari ospedali o
da associazioni sul territorio (ad esempio, a Durazzo c’è un centro trasfusionale dove avvengono i
prelievi, le donazioni di sangue e i test di compatibilità).
Si tratta di un’organizzazione in parte simile a quella che c’è in Italia: si tende a fare la lavorazione
in pochi ospedali, in modo da avere una maggiore standardizzazione, perché altrimenti, se (come in
passato) la lavorazione viene lasciata ai vari centri trasfusionali, ognuno ha le sue piccole variazioni
che alla fine non danno molta uniformità sul territorio.
Ce ne siamo accorti anche noi quando abbiamo fatto il centro di produzione a Tor Vergata: abbiamo
messo insieme e lavorato le sacche di altri ospedali del Lazio e abbiamo visto che delle volte c’erano
delle differenze nelle modalità di raccolta, quindi si aprivano delle discussioni con i colleghi per
quanto riguardava la lavorazione. Ovviamente erano dei chiarimenti riguardo piccoli dettagli tecnici,
però, su grossa scala, c’è poi la grande soddisfazione di poter dire che in tutta la regione Lazio si sta
lavorando meglio rispetto a 40 anni fa: tutte le unità di sangue pesano più o meno un tot, tutte le unità
di plasma sono fatte più o meno in un certo modo ecc..
Quando ero studente c’era la possibilità di prelevare meno sangue di quello massimo possibile con la
sacca, per cui il classico atteggiamento era: se si presentava una ragazza giovane, con la pressione

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bassa e che pesava 50 kg scarsi, le venivano presi 300 ml di sangue così da non farla sentire male.
Ottima cosa, però accanto a questa sacca vi era quella del giovanotto palestrato a 400-450 ml piene,
quindi il concentrato di velocità era diverso (?).
Avevamo quindi il buon senso di riservare le unità di sangue più piccole ai soggetti di più piccola
taglia, così da compensare le differenze. Queste sono però soluzioni pioneristiche, perché si
cominciava a parlare di trasfusioni di piastrine ei filtri per deleucocitare erano una novità derivata
dall’America.

Vi sono molti dati, sempre della Società Nazionale, relativi alle reazioni allergiche, febbrili,
emolitiche, i quali evidenziano che queste sono rare, quindi sono un’ulteriore conferma della
sicurezza. Vediamo dall’immagine che per TRALI c’è un’ampia forbice: 1 ogni 5.000/ogni 200.000
trasfusioni, quindi dipende da molte cose (abbiamo parlato prima della difficoltà obiettiva di fare
diagnosi). Un dato che sembrerebbe discordante riguarda qualche caso di craft associato alla
trasfusione, in cui evidentemente non c’è stato colloquio tra il reparto e il centro trasfusionale, per cui
un paziente che avrebbe dovuto ricevere concentrato irradiato perché ha fatto una terapia
particolarmente intensa, non l’ha ricevuto (magari anche perché aveva una sintomatologia sfumata).
Generalmente in questo caso si ha una sintomatologia cutanea, con delle lesioni cutanee, che
evidentemente ad una prima osservazione ispettiva suggerivano la possibilità di una craft, della quale
però non è stata fatta una conferma istologica; ecco perché la società italiana dei centri trasfusionali
parla di “casi sporadici”, a confermare che questa patologia è praticamente debellata.
Vi ho poi riportato il rischio per gli errori trasfusionali, e anche questo è basso.
Vi ho accennato di 3 morti: una del paziente in coma che aveva ricevuto 2 unità di sangue, un’altra
causata da un errore infermieristico (l’infermiere ha somministrato la sacca al paziente a sinistra,
invece che a quello destra) e l’altra è un caso analogo che si è verificato nel reparto di urologia.
Una situazione simile è capitata a noi un anno fa circa, ma il paziente è stato molto fortunato perché
l’infermiera al mattino gli ha prelevato il campione di sangue per le prove di compatibilità, noi
abbiamo consegnato il sangue in mattinata (generalmente lo si fa il pomeriggio quando non è urgente,
ma quel giorno c’era poca attività e lo abbiamo consegnato verso le 12, anziché le 16). A
mezzogiorno, quindi, ha ricevuto il sangue la stessa infermiera che aveva fatto il prelievo al mattino,
la quale si è accorta che il nome sull’etichetta della sacca di sangue era diverso dalla persona a cui
aveva prelevato il sangue al mattino, e in effetti aveva sbagliato, perché l’etichetta riportava “Mario
Bianchi”, ma aveva prelevato a Rossi.

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Sempre riguardo agli errori trasfusionali, notate in questa slide che 22-32 sono dei numeri molto
simili e fanno riferimento a dove è avvenuto l’errore, reparto o centro trasfusionale, responsabilità
che si dividono a metà. Questo perché l’errore lo compie l’essere umano, che interviene a livello
infermieristico (quando si fa il prelievo o si monta il sangue) e a livello di tecnico o di medico quando
si fanno le prove dell’incompatibilità. Poi, le macchine, che stabiliscono il gruppo sanguigno, non
possono sbagliare, per il semplice fatto che lavorano il campione con il codice a barre, con la stessa
logica dei supermercati: se comprate una scatola di piselli, sullo schermo del cassiere compare
“piselli”; se doveste comparire fagioli se ne accorgono. Purtroppo, non possiamo fare la stessa cosa
con il sangue, perché le sacche di sangue sono tutti uguali.
Abbiamo parlato della terapia trasfusionale in genere, andiamo a vedere una situazione un po’
particolare che riguarda la terapia trasfusionale nei talassemici. Vi ricordo che la talassemia è una
malattia genetica (diffusa sia in Albania che in Italia), diagnosticata nei primi mesi di vita soprattutto
nei casi più gravi, in cui il paziente è destinato ad una terapia trasfusionale a vita. Quindi, abbiamo 3
complicanze:
1. Sovraccarico di ferro, perché ogni unità di sangue contiene eritrociti, gli eritrociti hanno
l’emoglobina, l’emoglobina contiene ferro;
2. Immunizzazione, quando nella trasfusione non sono stati rispettati tutti gli antigeni.
Rispettare l’antigene, in campo trasfusionale, vuol dire trasfondere il paziente con emazie di
un donatore che abbia gli stessi antigeni del ricevente. Rispettare l’antigene D vuol dire che il
donatore deve avere l’antigene D, presente anche nel ricevente. Rispettare l’antigene Duffy-A
vuol dire che il ricevente ha l’antigene Duffy-A e il donatore ha l’antigene Duffy-A. Quindi,
rispettare vuol dire usare un fenotipo eritrocitario che è quasi identico a quello del ricevente,
e questo è abbastanza difficile;
3. Rischio di infezioni, perché c’è il periodo finestra. Considerate che, in tutto il mondo, viene
testata l’epatite, l’HIV e la sifilide. Tuttavia, per la sifilide possiamo anche non preoccuparci
tanto, perché il Treponema Pallidum dopo qualche giorno a 4° C non funziona più, quindi è
quello che preoccupa di meno. Infatti, se non facessi il test per la sifilide a un soggetto infetto,
il sangue appena prelevato, fino a 2/3/4 giorni potrebbe infettare il ricevente, ma il sangue che
è stato prelevato e conservato per giorni, non infetterebbe più; quindi, in questo senso è
l’agente patogeno che ci preoccupa di meno. Gli altri, invece, sono virus, più resistenti, e
possono infettare.
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Quindi, quando vi chiedo la terapia trasfusionale dei talassemici non fate come qualche collega che
parla della genetica, altrimenti mi sorge il sospetto che non abbiate studiato e stiate tirando fuori le
nozioni dei precedenti esami.

Andando con ordine, per evitare l’accumulo di ferro dobbiamo usare delle sostanze che aggancino il
ferro e ne facilitino l’eliminazione, generalmente attraverso il filtro renale. Queste sostanze sono dei
chelanti e per decenni è stata usata la deferoxamina.
La via di somministrazione della defeoxamina è parenterale, ovvero va somministrata attraverso un
ago per via sottocutanea o endovenosa. Primo problema: i talassemici sono bambini, quindi lavoriamo
in ambito pediatrico. Secondo voi è facile mettere un ago a un bambino e farglielo tenere h24? Si
tratta di una grande difficoltà, infatti nella colonna a sinistra vedete quello che sarebbe il farmaco
ideale, con una somministrazione orale. Tuttavia, la deferoxamina si somministra solo per via
parenterale, quindi vi è la difficoltà a convincere il bambino non solo a farsi infilare un ago nella
pancia, ma soprattutto a sopportare un apparecchio attaccato alla cintura: un conto è farlo con un
adulto, un altro con un bambino. Questo già vi fa capire come, nell’ambito della terapia trasfusionale
dei pazienti talassemici, vi siano molti aspetti che vanno considerati, non è una cosa banale.
Il bambino va aiutato ad accettare la sua condizione, motivo per il quale nei grandi centri che seguono
i talassemici c’è sempre un gruppo di psicologi che possano supportare i genitori, che a loro volta si
ritrovano con un problema difficile da gestire e che hanno bisogno anch’essi di sostegno.
Altra caratteristica della deferoxantina è che l’emivita è abbastanza breve, il che signifca che va
somministrata di continuo (non basterebbe, ad esempio, una dose al mattino e un’altra alla sera), ecco
perché è necessario che l’apparecchio sia costantemente attaccato.
Inoltre, non dà effetti collaterali importanti (infatti lo abbiamo usato all’incirca una ventina d’anni),
ma ha un’alta capacità di agganciare il ferro, quindi funziona molto bene. Tant’è che in altre
condizioni che non hanno a che fare con la talassemia, ma in cui per altri motivi il paziente ha un alto
livello di ferro libero nel sangue, generalmente si somministra subito deferoxamina a infusione
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continua per 24/48/72 ore e i risultati sono straordinari. Si tratta quindi di un farmaco estremamente
potente ed è stato anche l’unico per molti anni. Da una decina d’anni circa (e qui sono un po’ vago
perché a Tor Vergata non seguiamo i talassemici, quindi sono le informazioni che mi vengono dagli
altri gruppi), è comparso un altro farmaco che è a somministrazione orale, quindi è stato molto ben
accetto, in quanto è molto più facile far assumere una pillola a un bambino una volta al giorno, infatti
ha anche un’emivita più lunga (ecco perché basta una sola pillola al giorno).
In realtà all’inizio (un po’ come i vaccini che sono comparsi) era una cosa nuova e quindi hanno
spaventato molto gli effetti collaterali: a parte la granulocitosi (questa, la si trova in tutti i bugiardini
di tutti i farmaci -compresa l’aspirina- perché le ditte non vogliono responsabilità ed è sufficiente che
abbiano osservato un solo caso di leucopenia per scriverla subito), aveva preoccupato soprattutto la
presenza di forti dolori addominali nei primi soggetti. Anche qui, se fate il paragone con le situazioni
poi enfatizzate dai giornali riguardo ai vaccini, è un po’ la solita storia: quando un farmaco è nuovo,
gli effetti collaterali vanno studiati dopo parecchio tempo per capire se uno è molto raro, un altro
troppo frequente e quindi il farmaco viene messo da parte.
Adesso, i colleghi che seguono i talassemici mi hanno confermato che questi disturbi addominali
sono transitori, minimi, e incidono in percentuale molto bassa, quindi il farmaco piace molto, sebbene
all’inizio fossimo tutti preoccupati proprio perché non si sa se uno 0,1% resta uno 0.1% o dopo sei
mesi diventa un 10%.
È importante mantenere il livello di ferro ai valori fisiologici perché altrimenti esso si accumula nei
tessuti e l’esempio più importante, che porta anche a morte il paziente, è l’accumulo di ferro nel
muscolo cardiaco: il talassemico non muore per anemia acuta, anche se vive in modo trascurato
(quindi anche se ha 6/7 grammi di emoglobina e tutte le alterazioni possibili immaginabili), ma muore
perché arriva in pronto soccorso a cuore fermo, perché il muscolo cardiaco, ormai “imbevuto” di
ferro, non riuesce più a contrarsi. Arrivavano quindi con il cosiddetto “cuore a scarpa”, un cuore
ingrandito, sformato e incapace di contrarsi.
Esistono tante altre complicazioni, perché si ha a che fare con un bambino che cresce e si sta
sviluppando: si ha, ad esempio, accumulo di ferro nel pancreas (potrebbe sviluppare diabete), nelle
ghiandole sessuali (che potrebbero portarlo ad uno sviluppo sessuale ritardato) e altre alterazioni che
dopo approfondiremo. Tra queste, la classica è l’epatosplenomegalia, dal momento che fegato e milza
sono sedi di emopoiesi, quindi vi è un tentativo dell’organismo di compensare questa emolisi.
Vi è poi l’aumento della spugnosa dell’osso, per cui ci sono delle deformazioni scheletriche molto
evidenti soprattutto a livello del massiccio facciale e l’impressione di avere un soggetto di etnia
cinese.
Se dovesse capitarvi in futuro di fare diagnosi di talassemia di un soggetto di età pediatrica,
mandatelo immediatamente in un centro grande e specializzato, perchè la gestione è molto
complessa.
Ad esempio, per la terapia trasfusionale occorre che l’ospedale abbia tanti donatori (di cui dispongono
solo i grandi centri); per la gestione del paziente occorrono cardiologi, endocrinologi che conoscano
i problemi dei talassemici; o come dicevo prima sono importanti gli psicologi, anche per i genitori
che devono sopportare la pressione della gestione di una situazione difficile.
Un bambino talassemico che cresce in un ambiente in cui è possibile questa multidisciplinarità e in
cui sono disponibili tutti questi strumenti per una terapia trasfusionale corretta, è un paziente che, non
dico vive la sua vita tranquillamente perché fare due trasfusioni al mese non è facile, ma, come
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riscontrato nei pazienti che abbiamo iniziato a trattare appena nati e che ora hanno 40/50 anni, riesce
ad essere perfettamente inserito nella società.
Al contrario, se un talassemico cresce in un paese in cui queste condizioni complesse non possono
essere garantite, quindi viene trasfuso quando e se è possibile, diventerà un soggetto che va incontro
a morte entro poco tempo. In queste situazioni, è etico proporre un trapianto allogenico, nel caso vi
siano un fratello, una sorella o un parente compatibile. Perché è etico per loro e non per quelli che
crescono nei centri? Perché il trapianto allogenico ha una mortalità al 50%, quindi è etico proporlo
ad una coppia se vive in un paese dove questa assistenza così complicata non è garantita, perché in
ogni caso il bambino morirebbe entro pochi anni, mentre non è etico se quella stessa coppia vive in
un paese in cui questa assistenza è possibile, perchè sull’altro piatto della bilancia c’è vita, che si
svolgerà normalmente, con quei problemi di appuntamento di terapia trasfusionale, ma che per il resto
vivranno normalmente, quindi non corrono il rischio al 50% di morire.
Anche a Tor Vergata abbiamo avuto pazienti provenienti dai posti più lontani e disagiati sia
dell’Europa che dell’Asia, in cui non era possibile effettuare neppure la terapia trasfusionale. Ricordo
un bambino egiziano arrivato con 5 grammi di emoglobina (sempre, non in fase acuta), perché veniva
trasfuso solo quando il parente compatibile era al villaggio e poteva donargli il sangue. Continuando
così, la sua massima prospettiva di vita sarebbe stata di 1/2 anni: in questi casi, quindi, ha senso fare
il trapianto, perché quando riesce la malattia è eradicata. Certo, con il rischio di morire, ma se
dall’altra parte c’è la sicurezza, allora tanto vale rischiare. È stata una soddisfazione quando, qualche
anno fa, è tornato il padre di uno di questi bimbi talassemici che aveva accompagnato il figlio per
fare dei controlli perché si doveva sposare.
Immunizzazione eritrocitaria
La prima cosa che fa un centro quando prende in carico un talassemico è eseguire il fenotipo
eritrocitario completo, dove “completo” non vuol dire andare a ricercare 200 antigeni, ma solo gli
antigeni significativi dal punto di vista trasfusionale, cioè quelli più immunogeni (cioè quelli che, se
non vengono rispettati nel corso della trasfusione, con grande frequenza danno luogo ad anticorpi).
Quando ero studente, potevamo rispettare il sistema AB0 obbligatoriamente (e poi vedremo perché),
mentre degli altri antigeni potevamo rispettare solo il D, l’antigene per il quale siamo classificati in
Rh positivi e negativi. L’incidenza di immunizzazione, all’epoca, era superiore al 20%, pertanto era
molto alta. Quando invece si è iniziato a rispettare l’antigene K e gli antigeni più importanti del
sistema Rh, l’immunizzazione è crollata al 4%, cosa che è confermata da tanti lavori.

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Ad esempio, Blood nel 2000 (a sinistra): i numeri più grandi fanno sempre riferimento all’antigene
K, c, E, mentre si osserva che gli altri (a scendere) sono meno significativi dal punto di vista
trasfusionale.
Anche nel lavoro del 2003 (a destra), la parte maggiore è determinata dal sistema Rh con i suoi
antigeni, che sono appunto gli antigeni immunologici.
La cosa fondamentale, quindi, è che al paziente cui è stata fatta diagnosi di talassemia e che deve
essere trasfuso (perchè ci sono anche talassemie con livelli di emoglobina del tutto accettabili e che
quindi non devono essere trasfusi) bisogna fare il sierotipo prima di cominciare la terapia
trasfusionale, in modo da potergli dare sempre delle unità di sangue compatibili, rispettando quanti
più antigeni possibili.
A Roma, in accordo con i servizi trasfusionali, la politica è sempre stata questa: accettiamo un
paziente, gli facciamo il sierotipo, andiamo a ricercare nella nostra banca dati quanti donatori abbiamo
con quel sierotipo e quei donatori li riserviamo a quel paziente. Quindi, i donatori sono motivati,
perché vengono informati che con il loro sangue avrebbero trasfuso un bambino (ovviamente, i
genitori ignorano l’identità dei donatori e i donatori quella del paziente), quindi sono motivati sia a
donare sia a segnalare eventualmente dei problemi, perché sanno che da loro dipende la normalità
della vita un bambino che sta crescendo. Questo vuol dire però che il centro trasfusionale deve
disporre di tanti donatori: ecco perché vi dico di non mandare mai un bambino talassemico in un
ospedale provinciale, perché non avrà tutte queste risorse, e se si inizia a trasfondere senza rispettare
gli antigeni più importanti, il bambino inizia a sviluppare gli anticorpi. Questo cosa implica? Che poi
bisogna trovare il sangue compatibile, privo di quegli antigeni, e la ricerca diventa sempre più
restrittiva, quindi difficoltosa: potrei quindi finire col trasfonderlo senza rispettare quegli antigeni,
ma avrò una trasfusione inefficace, quindi si innesca una cattiva gestione, che al giorno d’oggi non è
accettabile, visto che è possibile risolverlo con un altro approccio.
In conclusione, è importante puntare sul donatore volontario e periodico:
• volontario perché, non essendoci compenso economico, tende a non negare la presenza di
situazioni che potrebbero impedirgli di donare e quindi ricevere denaro (problema che invece
hanno in America, dove i donatori sono pagati)
• periodico perché un donatore che dona, ad esempio, due volte l’anno, fa gli esami sierologici
per epatite, infezione da HIV e sifilide 2 volte l’anno, quindi si ha a che fare con una
popolazione estremamente selezionata, in cui a ogni donazione viene fatto automaticamente
il controllo (quello che gli anglosassoni chiamano lookback), che serve a controllare,
attraverso l’anamnesi, se il donatore al momento della donazione è in un periodo finestra.
Consideriamo ad esempio un donatore che ha donato a gennaio, il cui sangue è stato utilizzato
e che viene riconvocato a luglio. Se in quel lasso di tempo ha sviluppato delle problematiche
(quali nausea o fegato ingrossato), potrebbe esserci il rischio che stia sviluppando un’epatite.
Quindi, si contatta il ricevente (se è ancora vivo) e si verifica se sta bene o se anche lui ha
avuto delle complicazioni. Un controllo di questo tipo è ovviamente possibile solo con un
donatore periodico, perché un donatore occasionale diventa più complicato da controllare e
monitorare.

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Sono evincibili delle manifestazioni cliniche che, prese singolarmente sono prive di significato, ma
in particolari contesti possono rappresentare un campanello d’allarme per il processo di
anemizzazione.
In queste foto è possibile vedere i segni dell’anemizzazione sulle mani:

EMOGLOBINOPATIE
Dall’immagine è possibile notare la diffusione delle Emoglobinopatie nelle varie aree geografiche:

Nella fascia Gialla è evidente il grado di diffusione della Talassemia.


Nella fascia verde è evidente la diffusione dell’Anemia Falciforme. Contrariamente ai territori del
nord Europa, questa patologia è maggiormente diagnosticata nel territorio Africano. L’anemia
Falciforme è correlata alla presenza di emoglobina patologica (HBH) che cristallizza inducendo il
globulo rosso ad assumere una struttura rigida a forma di falce. A causa delle sue caratteristiche
appena citate, il globulo rosso, quando giunge nei vasi di diametro più piccolo, può comportare
l’insorgenza di problemi vascolari con conseguente crisi emolitica improvvisa.
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La crisi emolitica improvvisa si verifica quando l’emoglobina patologica supera un certo valore
soglia.
A tal proposito, il paziente deve essere:
-Ricoverato;
-Idratato, per evitare l’insorgenza di insufficienza renale;
-Sottoposto alla somministrazione di Morfina, per ostacolare l’insorgenza dei forti dolori;
-TRASFUSO IN URGENZA: somministrato sangue non rispettando gli antigeni, perché non ho la
possibilità di scegliere il giusto gruppo sanguigno, portando alla formazione di anticorpi.
A differenza dei Talassemici, nei quali è presente una diagnosi iniziale con la rispettiva via
terapeutica, al termine della crisi emolitica il paziente riacquisisce un buono stato di salute. Per tale
ragione, una delle principali difficoltà consiste nell’ostilità del paziente nella cura/trattamento
preventivo, al fine di evitare l’insorgenza di crisi emolitiche fatali.
COME PREVENIRE UNA CRISI EMOLITICA?
Il paziente deve essere sottoposto continuo dosaggio dell’Emoglobina H (patologica). Quando i valori
di quest’ultima si avvicinano ai valori soglia è possibile percorrere due possibili vie:
1. Paziente viene trasfuso, non in urgenza, evitando crisi emolitiche
2. Sostituzione dei globuli rossi malati con quelli sani compatibili.
NB: In entrambi i casi, il paziente è trattato prima che insorga la crisi emolitica.
Nell’immagine qui sotto, è possibile notare le anomalie morfologiche degli eritrociti presenti su uno
striscio di sangue periferico di un paziente affetto da Anemia Falciforme

Nel caso di pazienti affetti da Talassemia, si verifica una spinta da parte del sistema emopoietico con
conseguente aumento della produzione di globuli rossi.

Ricorda che, il meccanismo di emopoiesi è


attuo alla sintesi degli elementi figurati del
sangue e avviene principalmente
all’interno del midollo osseo. 16
In questi pazienti, si verifica un continuo tentativo da parte del sistema ematopoietico di compensare
questo deficit morfofunzionale dei globuli rossi, comportandone la distruzione a livello epatico e
splenico, e aumentando la sintesi dei globuli rossi a livello osseo (tra cui il cranio).
A tal proposito è evidente nelle immagini qui sotto, diverse anomalie morfologiche di varie
componenti anatomiche tra cui troviamo:

1) Il cranio con evidenti spigolature, In


seguito ad un continuo meccanismo
emopoietico attuato nella spugnosa
cranica. Questo fenomeno prende il
nome di Morbo di Cooley (o cranio
a spazzola);

2) Epatosplenomegalia:
Milza (normalmente palpata al di sotto
dell’arco costale sinistro) e fegato
(normalmente palpato sotto l’arco costale
destro) aumentano spropositatamente di
dimensione, comprimendo sugli organi
posti inferiormente;
3) Ridotto sviluppo gonadico

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4) Cuore a scarpa: cuore eccessivamente
dilatato, non riesce più a svolgere
correttamente le proprie funzioni.

RACCOLTA DELLE CELLULE STAMINALI


Nel caso del trapianto d’organo solido, come ad aesempio accade nel caso del rene, il chirurgo deve
“sostituire” l’organo con uno appena donato, per intero o parzialmente.
Le fasi che portano al trapianto d’organo solido sono:
-Determinazione del fenotipo del paziente (hr)
-Ricerca un possibile donatore compatibile nel registro
-Trapianto dell’organo nel paziente ricevente
Nel caso di un trapianto in Ematologia, la situazione diventa più complessa ed è racchiusa nelle
seguenti fasi:
1) CHEMIOTERAPIA
Distruzione delle cellule tumorali (nel caso di Linfomi, Leucemie, Mielomi ecc…) per mezzo
dell’ausilio di farmaci chemioterapici.
L’effetto della chemioterapia, si riperquote sulle cellule tumorali, ma anche sulle cellule
staminali presenti nel midollo osseo.

2) PERIODO DI APLASIA
La distruszione di queste ultime, comporta la cessazione della produzione di globuli rossi,
globuli bianchi e piastrine, comportando l’insorgenza di ANEMIA, ostacolata con le
trasfusioni, PIASTRINOPENIA, contrastata con la somministrazione di concentrati
piastrinici ed, infine, GRANULOPENIA.
Quest’ultima simboleggia una grave carenza di granulociti nel sangue. rappresentando un
grave problema in quanto simboleggia la difesa immunitaria dell’organismo.
Questo periodo prende il nome di APLASIA, durante il quale il paziente è fortemente
suscettibile ad infezioni.

3) ANALISI DELLO STRISCIO DI SANGUE:

Se il paziente supera il periodo di APLASIA, dopo qualche settimana incomincia la


produzione degli elementi figurati del sangue, grazie alla sopravvivenza di una piccolissima
quantità di cellule staminali, sfuggite al trattamento chemioterapico.
Analizzando uno striscio di sangue non compaiono i Blasti, questo non significa che non ci
siano ma, probabilmente, sono presenti in piccolissime quantità non visibili.

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4) TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI:

Le cellule staminali sono cellule presenti nel sangue periferico, midollare e placentare. A
questo punto, si procede con:
In Italia si fa riferimento
all’ospedale di Genova.

• Ricerca nei registri internazionali di un possibile donatore compatibile, che verrà


contattato per confermare la disponibilità precedentemente data e sottoporlo a
visite di controllo antecedenti alla donazione;

• Una volta trovato il donatore, dati i lunghi tempi di attesa, il paziente è nuovamente
sottoposto a chemioterapia.

• Infusione di cellule staminali nel periodo di Aplasia, successivo alla seconda


somministrazione del chemioterapico.

5) FASE DI ATTECCHIMENTO:
Il grado di attecchimento delle cellule trapiantate è direttamente proporzionale al livello di
compatibilità dell’HRA.
A tal proposito distinguiamo:
- Attecchimento completo: avviene in tempi rapidi ed interessa tutte e tre le linee cellulari (globuli
rossi, globuli bianchi e piastrine). Convoglia il paziente verso la risoluzione della malattia.
- Attecchimento Incompleto: è molto più lento, il paziente rimane in aplasia per settimane aumentando
sensibnilmente il rischio di morte.
Stiamo usando il termine attecchimento che è molto importante, se il soggetto ha un attecchimento
completo, avviene in tempi rapidi e soprattutto interessa tutte e tre le linee, se l’attecchimento è
lento il paziente rimane in aplasia settimane e muore, se l’attecchimento non è pieno il paziente
rimane per settimane e settimane, se invece è completo e pieno entro poco stiamo verso la
risoluzione.

In questo caso stiamo parlando di un donatore che dona sangue dal midollo o da sangue periferico.
Per quanto riguarda il midollo occorre il ricovero perché il donatore sta male e dobbiamo aspirare
un litro di sangue e questo avviene pungendo le vie posteriori e superiori , non andiamo a toccare
quelle anteriori perché potremmo bucare l’intestino. È un intervento che si fa con i normali aghi che
penetrano nella corticale dell’osso, arrivano fino alla spugnosa , si aggancia la siringa e si aspira.

Con l’aspirazione però non abbiamo fatto tutto, perché le aspirazioni in genere sono un paio di
millilitri, quindi bisogna lavorare un oretta circa in due e aprirare fino a raggiungere il litro di
sangue. Si fa ovviamente in anestesia generale , quindi il donatore accetta di rimanere ricoverato un
giorno e il giorno dopo viene dimesso. Quello del sangue periferico è la cosa più semplice ma non
ci dilungheremo. In entrambi i casi dobbiamo trovare il donatore, quindi è una procedura un po’
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lunga. Dobbiamo trovare il donatore giusto , poi vedere se è disponibile , dobbiamo chiamarlo,
quindi posti letto , viaggi in aereo sono tutti fattori che devono essere presi in considerazione.

Si è scoperto che nel sangue placentare ci sono delle cellule staminali , non sono grandissime pero
alla fine hanno delle caratteristiche immunologiche molto interessanti e sopratutto come numero
vanno bene per effettuare un trapianto in ambito pediatrico. Il neonato nasce , è attaccato al cordone
ombelicale , si taglia il cordone ombelicale e la donna può espellere il complesso placenta cordone ,
si osserva per la salute della madre che la placenta è esplulsa tutta , perché se un pezzo è rimasto
dentro può dare infenzioni, setticemia e la donna muore.

Questo complesso viene spostato in un’altra parte della stanza, ci allontaniamo dal neonato e dalla
donna e andiamo ad espirare il sangue dai tronchi venosi della parte del cordone più spessa, in
genere si riesce ad espirare sui 70/80ml . Si mette tutto in delle sacche e si esaminano queste sacche
in laboratorio per alcuni parametri( se ci sono globuli bianchi a sufficienza), se il numero di questi
parametri e soddisfiacente allora quella unità viene immediatamente congelata e dopo che si
aspettano i risultati viene messa in banca.

Questa donazione è vincolata dal consenso della madre. Placenta e cordone sono definiti
transnullius che dal latino vuol dire qualcosa che non appartiene a nessuno, non appartiene ne alla
madre ne al neonato. Perché serve il consenso della madre? Perché la madre deve dare il consenso
per poter fare gli esami sierologici , dobbiamo chiedere di rifare le analisi 6 mesi dopo , dobbiamo
chiedere si riferire se la crescita del neonato è normale , e serve anche il consenso del coniuge,
perché può essere che il coniuge non sia d’accordo con la donazione e voglia conservare questo
sangue placentare e congelarlo per poterlo usare solo per mio figlio( in Italia questo non è
consetito).

Il vantaggio di questo sistema è che ho una banca con tutto pronto, non devo perdere tempo a
chiamare, non devo chiedere consensi.
Quindi è diversa la strategia terapeutica di un trapianto d’organo da quella di un trapianto
allogenico di cellule staminali.

Dobbiamo parlare ora di AUTOTRAPIANTO


Abbiamo un paziente affetto da leucemia acuta , prelevo il suo sangue e lo congelo e uso alla
prima recidiva le sue stesse cellule quindi non ho nessun problema.
I francesi avevano dimostrato che la mortalità dei paziente affetti da leucemia acuta ecc era
collegata alla durata dell’aplasia.

Si prendono le cellule staminali del paziente in apparente guarigione , le trasfusiamo quando


faremo un secondo ciclo di terapia , quindi avremo un periodo di aplasia ridotto, probabile che ci
sopravviva dall’intenzione e che non ci muori. Loro puntarono su questo e dopo qualche anno le
statistiche erano molto significative, perché da un lato viene paragonata la mortalità dei pazienti che
avevano fatto il trapianto allogenico (quello più giusto come trapianto) e risultò che era più alta.

Al contrario i pazienti invece sottoposti a questa trafila di autotrapianto avevano una sopravvivenza
maggiore perché riuscivano a fare più cicli di chemioterapia. L’autotrapianto è uno dei però attuali
di una strategia per cui il paziente che arriva con leucemia, linfoma fa prima chemioterapia e poi si
iniziano ad analizzare tutte le possibilità che il paziente ha.

Devo stare attento a non staccarmi dal protocollo internazionale, ma devo effettuare una terapia
personalizzata. Devo evitare degli errori grossolani, dia qui la personalizzazione.

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Stiamo parlando di cellule staminali, questa non ha delle caratteristiche morfologiche particolari,
come si fa ad identificarla?
I modi sono due:
- si allestisce una coltura cellulare, dopo 14gg andiamo a vedere se sono cresciute delle colonie
cellulari, se sono cresciute allora vuol dire che abbiamo seminato le cellule staminali. La lettura ,
la valutazione di questi gruppi di cellule dipende da chi la legge.

- metodica di laboratorio che si focalizza sul fatto che la cellula staminale abbia degli antigeni.

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Lezione 3-Patologia Clinica
Sbobinatori: Eugenia Di Rigo, Noemi Greco, Elsaida Mustafa, Valentina Puglisi
Revisore: Sara Messa
Data: 17/11/21
Prof: Adorno

Ieri ci siamo lasciati con 2 concetti fondamentali:


il concetto di trapianto di cellule staminali in ematologia, il quale consiste non in un trapianto di
organo ma di una sacca di sangue midollare, di sangue periferico o di sangue placentare. E che
differenza c’è tra questa sacca e una sacca di sangue intero?
Se facciamo riferimento per esempio al sangue midollare, mentre in una sacca di sangue ci sono
globuli rossi, bianchi, piastrine e plasma in una certa proporzione, nel sangue midollare ci sono
globuli rossi, bianchi, piastrine ecc. ma nella frazione dei globuli bianchi ci sono le cellule staminali
che popolano il midollo e che si occupano dell’emopoiesi.
Questo sangue è quello che si usa per il trapianto, mentre in un trapianto d’organo ovviamente si usa
l’organo danneggiato ed è un processo molto più semplice.

Abbiamo spiegato anche che cos’è l’autotrapianto, il quale è una particolare strategia terapeutica che
c’è soltanto in ematologia: dopo la prima revisione completa dalla malattia ematologica a seguito del
ciclo di chemioterapia, si prendono le cellule del sangue midollare di questi vasetti e si congelano per
poi rinfonderli in questi pazienti nella successiva terapia. Qual è il fine di questo discorso? Abbreviare
l’aplasia e quindi diminuire la possibilità di morte per sepsi. Il motivo per cui l’autotrapianto dagli
anni ’80 continua ad essere sempre usato è dovuto al fatto che in questo modo si può sottoporre il
paziente di qualsiasi età, con qualsiasi genere di complicanze cardiologiche o altro, a diversi cicli di
chemioterapia e quindi permette di allungargli la vita.
Quindi con questa terapia non si risolve il problema, perché ancora non è risolto, però diciamo che si
riesce a curare il paziente perché invece di sei mesi potrà vivere anche 3-4-5 anni.

Poi citofluorimetria… eravamo rimasti al concetto che ci sono due modi sostanzialmente per
determinare se in una sospensione cellulare sono presenti cellule staminali o meno: il primo è quello
classico, cioè far crescere questa sospensione cellulare in un terreno di coltura e andare a vedere
quanti clusters cioè quante colonie forma, quanti grappoli di cellule compaiono dopo 15 giorni.
Questo è proprio un saggio di vitalità (esempio: come se hai seminato un chicco e dopo un po’ spunta
la pianta e la pianta spunta perché sì c’è il chicco, ma perché c’è il terreno fertile, se il terreno non è
fertile la pianta non germoglia). Questo processo però ha grossi difetti: il conteggio di questi
grappoli/colonie di cellule non è dato dalla macchina ma da un tecnico, dall’essere umano, quindi,
c’è una variabilità da lettura a lettura, da operatore a operatore, una variabilità che è molto accentuata
e in più il risultato si ha dopo 14-15 gg. Per cui è indubbiamente un test di grandissimo valore ma che
nel tempo sta un po’ diminuendo, non come importanza ma diciamo che si usa sempre di meno perché
l’abbiamo sostituito con l’autotest(?) che è un test automatico con una macchina. Da questo si evince
che la staminalità, quindi la capacità di una cellula di riprodursi, è strettamente collegata a un antigene
“CD34” e questo antigene è stato a lungo studiato perché l’industria ci fornisce in laboratorio proprio
gli anticorpi contro il CD34. Allora capite che a questo punto il passo è stato molto breve, è stata
elaborata da ormai 40 anni questa macchina che si chiama citoforimetro(?).

Come funziona il tutto? Le cellule vengono messe a incubare con un anticorpo anti CD34 sul quale
viene caricato il fluorocromo quindi questo anticorpo emette un colore. La macchina in questione, il
citoforimetro(?), non fa nient’altro che contare quante emissioni di colore vengono fatte passare
attraverso, per cui la macchina mi può dire che in questo campione che ho messo ho potuto contare
300 volte il colore verde e il colore verde sta attaccato all’anticorpo anti CD34 e quindi questo vuol
dire che ho contato 300 cellule CD34 positive. Quindi è di una semplicità unica ma ti da un risultato
preciso, numerico, incontrovertibile, perché è lo stesso numero a Milano, Roma, Tirana ecc, le
variazioni ci sono ma sono minime (usiamo tutti la stessa apparecchiatura fornita dalla stessa ditta,
gli stessi parametri, le stesse modalità di esecuzione).
In più, questa è una cosa molto importante, ci ha permesso di fare il trapianto di cellule staminali del
sangue periferico, il risultato ce lo abbiamo in tempo reale, tempo reale che non vuol dire che metto
la provettina e immediatamente ho il risultato, ci vuole sempre una mezz’oretta/tre quarti d’ora, però
questo vuol dire che se io mando un campione in laboratorio alle 8, io alle 9-9:30 ho il risultato, non
ce l’ho 12 gg dopo ed in più è un numero preciso. Questo è molto importante perché su questo si basa
tutto il nostro lavoro che è appunto quello di raccogliere le cellule staminali nel sangue periferico.

Allora vediamo un po’ di capire quando e come farlo. Sappiamo che, come l’emopoiesi, getta nel
sangue periferico gli eritrociti giovani immaturi cioè i reticolociti, allo stesso modo getta nel sangue
periferico anche le cellule che ancora non sono maturate cioè cellule staminali; queste cellule per cui
hanno un preciso valore basale che è fisiologicamente uno 0.1% delle cellule totali, ma è un numero
che ci basta per poter raccogliere le cellule staminali necessarie a fare un trapianto.
Ora si è visto che dopo la chemioterapia, quando il midollo viene fuori dal periodo di aplasia e
comincia a riprodurre cellule staminali, le cellule staminali già buttate in circolo aumentano di molto,
anche di 50 volte (questi sono dati del 2005, dati consolidati di anni fa..). Sappiamo quindi che dopo
la chemioterapia aumentano, va bene, quindi che cosa vuol dire questo? Vuol dire che se devo
raccogliere cellule staminali, devo mettermi a ridosso della fine della terapia quindi devo mettermi a
controllare “dunque ieri il paziente aveva 0 bianchi, oggi ce ne ha 500, il giorno dopo ne avrà 700, il
giorno dopo ancora ce ne avrà 1000”, questi sono proprio i giorni in cui io devo capire quando devo
cominciare a raccogliere. (Per cui, quali sono i valori minimi che ci devono essere dei globuli bianchi
affinché la macchina riesca a leggere il contenuto delle cellule staminali? 1000 leucociti; se se ne
prelevano di meno è impossibile la lettura.).
30 anni fa non avevamo questa macchina a disposizione ed era tutto molto più difficile ma andiamo
ad oggi, quand’è che cominciamo a raccogliere l’emocateresi(?) ?

Ci sono due scuole di pensiero: quando nel sangue periferico abbiamo un > di 50 cellule cd34 per
microlitro oppure quando ne abbiamo > di 20.
Quindi che cosa facciamo noi? C’è questo paziente che giornalmente, dopo la fine dell’aplasia, viene
controllato, viene controllato cioè il numero di CD34 e nel momento in cui supera il range di
microlitro, si comincerà a eseguire la raccolta.
Vi ricordo che le cellule staminali si separano nella frazione dei linfomonociti quindi in pratica che
cosa devo levare? Devo impostare la macchina a prelevare i linfomonociti, la macchina lavora in
base alla densità ottica per cui dovrà prelevare delle sospensioni cellulari che devono essere non rosse
scuro (globuli rossi) o gialle (plasma) ma di un colore intermedio diciamo color “mattoncino
romano”; la macchina riconosce il colore esatto in modo automatico in quanto c’è un lettore a densità
ottica; quindi, la macchina è impostata a raccogliere ciò che corrisponde a quel determinato colore.

Vediamo un po di diapositive..
Queste sono le dosi che noi dobbiamo raggiungere per la riuscita della raccolta di cellule staminali
CD3+, sono dei numeri abbastanza importanti che dovete tenere a mente perché sono il frutto di tanti
anni di lavori: dobbiamo raggiungere 2 milioni per kilo di peso di cellule CD34 (quindi non globuli
bianchi totali ma solo cellule CD34) per poter effettuare un trapianto autologo, mentre dobbiamo
prenderne il doppio (4 milioni/kg) se vogliamo fare un trapianto allogenico.
Questi numeri li abbiamo presi andando a vedere nella letteratura, andremo a vedere in quanti
trapianti avremmo avuto un arricchimento rapido e completo (full engraftment(?)) e quali no. Quelli
che avevano avuto il full engraftment(?) avevano ricevuto delle dosi di CD34 maggiori di quei valori
che abbiamo visto prima, quelli che invece avevano avuto un arricchimento stentato avevano ricevuto
delle dosi minori.
I 2 punti che ci preoccupano di più sono:
-quando l’arricchimento viene dopo troppo tempo, dopo 2-3-4 settimane, perché cosa vuol dire
questo? Che il paziente sta sempre in aplasia, non produce niente e se è aplasia è probabile che muoia
di sepsi(?),
-oppure, che è un segno meno brutto ma sempre pesante, il paziente rimane piastrinopenico per
diverse settimane perché la linea megacariocitaria che produce le piastrine non parte.
Quindi questi sono i 2 punti che ci preoccupano di più ed è quello che succede quando la dose non
viene raggiunta al momento della raccolta delle cellule staminali.

Come faccio a raccogliere queste cellule staminali?


Tramite i separatori cellulari. Con il sangue midollare basta che prendo1 litro di sangue e so che al
suo interno ci sono sicuramente delle cellule CD34, ma nel sangue periferico le devo andare a contare
e poi dopo le devo prelevare con il separatore.
Il separatore cellulare però non prende solo le cellule staminali ma prende tutte le cellule che si
stratificano nell’ambito di quel buffy-coat che ha un certo colore e quindi prende i globuli bianchi
totali e, a seconda poi della percentuale, mi consente di prelevare più cellule staminali quindi più
cellule che hanno CD34.
Però c’è un problema di base: nel sangue periferico di una persona in stato di riposo (non sottoposta
a chemioterapia o altra stimolazione) la percentuale delle cellule staminali è 0.1% su circa 5000
bianchi, cioè un valore molto basso, allora bisogna incrementare questo numero. In che modo?
Aggiungendo dei fattori di crescita (GMCSF, G-CSF, IL3) che stimolino la proliferazione delle
cellule staminali cosicché noi poi riusciamo a raccoglierle.
Questa diapositiva ve la faccio vedere perché mostra che il tempo passa e le cose cambiano, qui per
esempio vengono citati alcuni fattori di crescita:
Interleuchina 3: questa c’era stata proposta dai farmacologi come il miglior fattore di crescita, avrebbe
dovuto dare i risultati migliori, ma l’abbiamo bloccata subito dopo i primissimi casi; noi al
Sant’Eugenio abbiamo avuto un caso in cui dopo la somministrazione di IL-3 un paziente stava
morendo di edema polmonare acuto e da lì l’IL3 non si usa più.
Ora se ne usano altri e soprattutto il G-CSF che è quello più maneggevole.

Importante da sapere è che il modo di definire la cellula staminale in coltura cellulare CFU-GM(?) e
il modo di determinazione citofluorimetrica CD34+ sono due modi differenti, quindi ci devono dare
necessariamente due risultati differenti: infatti se vedete al primo dosaggio minimo del fattore di
crescita G-SCF aggiunto(5 microg/kg/die) la determinazione citofluorimetrica e quella con le colture
cellulari vanno di paro passo, però basta aumentare il dosaggio da 5 a 10 microg/kg/die e i due valori
sono completamente diversi: uno aumenta quasi 30 volte e l’altro circa 20, ma questo perché?
Perché deve essere così, sono due metodiche diverse: nella coltura cellulare te vuoi andare a vedere
se quelle cellule sono vitali e se sono state in grado di moltiplicarsi, quindi è un dato biologico
importantissimo (anche se è difficile da valutare perché è operatorio-dipendente), l’altro è
semplicemente un calcolo di cellule che hanno questo determinato antigene.
Quindi avete da una parte un dato puramente numerico, strettamente collegato alla staminalità, mentre
dall’altro un dato biologico importantissimo ma più difficile da interpretare.

Vi dico è più di 40 anni che ci stiamo lavorando e oramai siamo più che sicuri che il dosaggio di
CD34 ci dia delle indicazioni molto precise sul numero di cellule staminali. Quindi la sicurezza che
ci da questo dosaggio è tale che oramai, per esempio, a Torvergata non esiste più un laboratorio di
colture cellulari in ematologia, perché con la citofluorimetria ottengo tutte le informazioni che voglio
e soprattutto sono informazioni che vengono da una macchina quindi sono precise, sono dei numeri.
Noi dobbiamo raccogliere un certo numero di cellule staminali per aver quel numero sufficiente al
trapianto, altrimenti il trapianto non si garantisce.
In pratica noi con altri reparti ci organizziamo insieme visto che noi non sappiamo quando inizieremo
a raccogliere perché non sappiamo quando quel paziente produrrà un livello utile di cellule staminali.
C’è una cooperazione tra l’ematologia e il trasfusionale: esempio, abbiamo un paziente che deve
essere “mobilizzato” (cioè fare in modo che possa produrre cellule staminali in circolo) per
raccogliere cellule staminali da congelare e conservare per il futuro; quindi, loro vengono da noi e ci
dicono: ok sottoponiamo questo paziente a questo ciclo di chemioterapia e con questo ciclo noi
sappiamo che circa dopo 10 giorni esce fuori dall’aplasia e comincia a produrre cellule staminali.
Bene, allora ci mettiamo d’accordo e facciamo in modo che la chemioterapia inizi in modo che il 10’-
11’ giorno della terapia corrisponda con il lunedì. Perché lunedì? Perché in questo modo c’è tutta la
settimana per poter lavorare. Quindi per esempio lunedì scorso ci hanno mandato dei campioni per
vedere se un certo malato aveva già raggiunto una quota di CD34 sufficiente per cominciare la
raccolta, non l’ha raggiunta ma sicuramente la raggiungerà il giorno dopo o mercoledì o giovedì o
venerdì.
Sono 5 giorni massimi perché in questo modo possiamo raccogliere, e la raccolta è un’operazione
complessa perché serve il laboratorio di citofluorimetria, la sezione di aferesi che fa l’aferesi e la
sezione di crioconservazione(?) che va a congelare queste cellule e tutti questi non sono laboratori
che funzionano di sabato, domenica o nelle festività per cui in questo modo si concentra il lavoro,
che è semplice però parecchio complesso dal punto di vista logistico, nella giornate feriali e quindi
in pratica riusciamo raccogliere sempre perché se non raccogliamo il primo giorno, lo faremo martedì
o massimo mercoledì. E tutto questo è frutto di una lunga esperienza in modo da ottimizzare i tempi,
per consentire al paziente di essere sottoposto a una serie di analisi(?).
Questa è una bellissima diapositiva che ha fatto la storia e ci ha dato tanta tranquillità: è un’esperienza
di un gruppo ..(?), vedete nella parte alta ci sono 2 pazienti A e B che sono stati sottoposti a
chemioterapia (per mieloma) con un farmaco “ciclofosfamide” che oltre ad avere capacità
chemioterapiche di distruggere le cellule tumorali, dopo un’aplasia da questo farmaco, si hanno
tantissime cellule staminali. Quindi questo farmaco è un farmaco “altamente mobilizzante”. E se voi
vedete c’è un picco e la quantità di cellule staminali dura qualche giorno e proprio questo nei primi
tempi non era scontato perché i dati che venivano da esperienze varie erano contrastanti, qualcuno
era convinto che addirittura il picco delle cellule staminali fosse una cosa sfuggente, che durava si e
no una sola giornata.
Ma quello che ci ha permesso di stare tranquilli sono state queste 2 situazioni in cui, non soltanto il
farmaco mobilizzante era stato usato, ma era stato aggiunto a questo anche il fattore di crescita per
cui vedete che la quantità di cellule CD34 è cresciuta in scala, è enorme e inoltre dura diversi giorni.
(Perché pensate: con l’aferesi non è detto che tu metti l’ago, la cannula, e va tutto bene, ci possono
essere molti problemi e all’epoca con i separatori cellulari vecchi ce ne erano molti per cui si doveva
interrompere l’aferesi e quindi di conseguenza non si poteva più raccogliere.)
Quindi capite che prima l’ansia era forte perché non sapevamo quanto durava la gittata di CD34, con
questa esperienza però ci siamo tranquillizzati perché ora sappiamo con estrema sicurezza che con il
fattore di crescita il valore in questione dura diversi giorni per cui io ho il tempo di risolvere il
problema con il mio paziente e di raccogliere in ogni caso.
FATTORE DI CRESCITA

Parliamo ora del fattore di crescita a dosaggio normale che è quello che si usa nei nostri pazienti per
raccogliere le cellule staminali. La leucocitosi è una delle prime conseguenze dell’aggiunta del fattore
di crescita ed è un dato che mi serve, più alto è il numero dei globuli bianchi, più alto è il numero di
cellule staminali (in percentuale sono 0.1% di 50000 e 0.1% di 80000(?)).
Ci sono però tutti degli altri sintomi che si possono vedere e ci fanno meno piacere: dolori ossei e
muscolari, cefalea, febbre. Secondo voi se uno si presenta da voi dicendo che ci sono questi sintomi,
quale diagnosi gli fate? Direste influenza.
Questa sintomatologia però non è sempre presente, varia da soggetto a soggetto: ci sono persone che
arrivano alla raccolta delle cellule staminali frustati, stanchi, hanno dolori forti, la febbre è presente,
mentre ci sono altri che non presentano nulla di tutto ciò.

Ma dolori ossei perché? La spugnosa si espande per produrre più cellule staminali ma l’osso che la
delimita è rigido per cui il tentativo di espansione stimola e comprime le terminazioni nervose e i
dolori ossei sono causati e dovuti proprio a questa espansione del midollo. Comunque diciamo che
questi sono sintomi che scompaiono alla fine della somministrazione dei fattori di crescita. In genere
questi fattori venivano somministrati per 4 gg circa, di solito si inizia il venerdì in modo tale che il
lunedì abbiamo il picco delle cellule staminali e così possiamo iniziare a prelevare.
Può avvenire inoltre anche rottura della milza e infarto (ischemia cardiaca): questi sono eventi
eccezionali.
La rottura della milza viene descritta per la prima volta da un gruppo di Perugia che però la
osservarono nell’ambito di un particolare protocollo di trapianto apoidentico(?): in questo protocollo
si prevedeva e prevede tutt’oggi una somministrazione di alte dosi di fattori di crescita perché si
prevedeva la raccolta non di quei valori detti prima (2 milioni e 4 milioni) ma fino a 10 milioni, quindi
dei valori molto alti. Chiaramente a quel punto la milza, interessata come organo che fa l’emopoiesi,
diversamente della membrana spugnosa sull’osso, se si dilata non ha una cavità rigida dell’osso a
bloccarla ma ha una capsula fibrosa che si può rompere e proprio a quel punto ci sarà la rottura della
milza. In effetti per la prima volta fu descritta la rottura della milza in adozione di alte dosi di fattori
di crescita. Ma come si aderisce a questi protocolli di dosaggi così alti? E come ci si regola?
Il paziente viene ricoverato e prende giornalmente (?), in modo da poter controllare giornalmente se
la milza si sta espandendo troppo oppure no. È più semplice dell’approccio dell’ischemia(?) perché
dal momento che ho i globuli bianchi che aumentano da 10000 a 80000, aumenta anche la viscosità;
quindi, se il paziente ha dei problemi cardiaci bisogna valutarli bene, bisogna analizzare bene se c’è
già una sofferenza ischemica, una difficoltà di irrorare il muscolo cardiaco perché poi dopo noi li
andiamo a aggravare.

Un aumento di globuli bianchi porta ad incrementare la viscosità del sangue; quindi, se il paziente
ha dei problemi cardiaci bisogna valutare bene che non ci sia ischemia miocardica.
Se il donatore ha malattie cardiovascolari ed iperleucocitosi (legata ad uno squilibrio dei fattori di
crescita) viene escluso da questo tipo di donazione: può donare solo sangue midollare e non sangue
periferico perché non tollererebbe l’effetto collaterale dei fattori di crescita.
Caratteristiche dei donatori di cellule staminali del sangue periferico e di midollo osseo per i
pazienti trapiantati.

I fattori di crescita non interferiscono nel DNA della cellula, ma si limitano ad agire sull’ancoraggio
della cellula staminale allo stroma, favorendo quindi il distacco della stessa.

In un trapianto aploidentico, dove il termine aplo significa «per metà», vengono trapiantate le cellule
staminali del sangue di un membro della famiglia – generalmente un genitore o un fratello o una
sorella – le cui caratteristiche tissutali corrispondono per metà con quelle del ricevente.
In questa tipologia di trapianto non si possono usare fattori di crescita per raccogliere granulociti
perché non c’è una situazione di irreversibilità.

Il numero di leukaphereses nella tabella va ad indicare come bastino due sedute di aphereses per
raccogliere le cellule staminali che servono (39% prima seduta, 45% seconda seduta). Questi dati si
riferiscono a circa 15 anni fa, oggi bastano 1-2 giorni per raccogliere tutte le cellule staminali che
servono.
Vengno processati 15-16 litri di sangue, per farlo bisogna ricorrere a dei cateteri venosi centrali, che
risultano essere più sicuri del prelievo classico che andrebbe a danneggiare le pareti dei vasi, poichè
questi pazienti vengono esaminati più volte al giorno.

Per infondere una terapia è sufficiente un catetere in un vaso piccolo come la giugulare, che presenta
una fascia muscolare sottostante da poter comprimere in caso di ematoma.
Un catetere posto sulla succlavia, invece, risulterebbe più pericoloso perché nella porzione sottostante
è presente il polmone che rischierebbe di essere bucato.
Questi due cateteri sono fatti con materiali plastici morbidi che permettono i vari movimenti del capo.
Se si ha però un catetere di piccolo diametro con le pareti morbide inserito in un vaso più grande
come la vena femorale, non si riesce ad aspirare nulla, quindi in questo caso verrà utilizzato un
catetere rigido.
Per non avere effetti collaterali vengono effettuate al massimo 3 volemie con i cateteri venosi centrali
(15-16 litri di sangue).
Una certa percentuale di cateteri tendono a dare origine a trombosi, perché è impossibile una perfetta
manutenzione di questi strumenti. Alla fine di ogni prelievo i cateteri devono essere lavati con
soluzione fisiologica e anticoagulante in modo che dentro non ci sia più sangue. Se ciò non avviene
in maniera corretta il sangue rimasto può dare origine a trombi nel prelievo successivo.
La soluzione più semplice, che è stata sempre adoperata, è una soluzione fisiologica sterile con
eparina a basso peso molecolare, questa però è stata abbandonata con i nuovi separatori che eseguono
una lettura ottica e denotano la formazione di agglomerati di piastrine, che vengono letti erroneamente
e il separatore non trovava il punto di prelievo.
Un altro anticoagulante usato era il citrato che funziona legando il calcio, dopo 6-7 ore i pazienti
riscontravano i seguenti sintomi: ipocalcemia, insorgenza di formicolii, torpore, parestesia che si
allarga alle labbra. Se non viene avvertito in tempo il medico o l’infermiere (che somministra
prontamente il calcio gluconato), la parestesia si diffonde e rischia di scendere alle via aeree superiori,
andando in contro ad uno spasmo della glottide. Con le moderne procedure che si mettono in atto al
PTV possiamo misurare in corso di aferesi il livello di calcio e somministrarlo direttamente durante
la terapia e alla fine dell’aferesi.

CRIOPRESERVAZIONE DI CELLULE EMOPOIETICHE STAMINALI


Il sangue midollare viene prelevato dalle creste iliache superiori posteriori perché sono ossa grandi
e in caso di errore nell'affondare l'ago da biopsia al massimo viene fatto un ematoma sul muscolo
psoas.
Una volta prelevate, le cellule staminali devono essere congelate all’interno di grossi contenitori che
contengono azoto liquido con temperatura di -190° C, solo a queste temperature le cellule riescono a
rimanere integre fino a 10 anni.
Inizialmente come metodo di conservazione si usavano sacche in plastica rigida e per inserire al loro
interno la sospensione cellulare e la soluzione di congelamento bisognava rinfilare siringa e ago
dentro, rischiando di bucare la parete della sacca. Quando si doveva saldare la sacca per inserirla
nell’azoto liquido, la saldatura rischiava di non essere perfetta facendo entrare azoto liquido
all’interno. Dagli anni ’80 sono state inserite in commercio sacche in plastica morbida facili da
maneggiare.
Le cellule staminali vengono congelate per effettuare in seguito autotrapianto nel paziente da cui sono
state prelevate.
Com’è la procedura del congelamento?
Riflettiamo un po’ quando noi congeliamo qualche cosa nel frigorifero, che cosa facciamo?
Quando ci serve noi andiamo a toglierlo dal frigorifero la mattina per poi usarlo nella sera. E vedrò
che il gusto è lo stesso di quello di cibo fresco. Con le cellule è un po’ diverso perché dovrò
mantenerle a -190 gradi. Prima, quando abbiamo preso il sangue dal donatore era alla temperatura
corporea 37 e poi quando lo abbiamo preso e portato al laboratorio era a temperatura ambiente 20
gradi e poi bisogna portarlo in -190 gradi.
Dagli anni ’60 le possibilità di congelamento sono due: lento e veloce.
Una discesa della temperatura lenta fa formare dei cristalli di ghiaccio al di fuori della cellula; una
discesa rapida fa sì che quei cristalli si formino dentro la cellula.
In tutti e due i casi, quindi, la cellula decade.
Con le cellule staminali dobbiamo verificare l’abbasamento della temperatura grado dopo grado per
vedere che cosa succede con queste cellule staminali, non posiamo solo mettere in azoto liquido e
vedere cosa succede. Si segue la discesa della temperatura.
A me serve un congelatore a discesa programmata. Il nostro congelatore meccanico può andare fino
ad -40 gradi però se prendiamo questo congelatore automatico, formato da camere e con un tubo che
è legato con azoto liquido. Quando si raccolgono questi vapori dell’azoto allora anche la temperatura
della cellula andrà a scendere. Questa procedura è regolata anche dal computer.
Come deve scendere? Abbiamo queste sacche con cellule staminali che deve essere congelata e
mescolata con una sostanza protettiva.
Una sostanza che protegge le cellule staminali e anche globuli rossi.
Nel caso di questi ultimi io posso avere metodi e sostanze che sono totalmente diverse.
Nelle cellule staminali io ho la DMSO, altamente diffusibile e le protegge ma non protegge i globuli
rossi.
Allora per il congelamento dei globuli rossi, che avviene in modo meccanico, si utilizza come crio-
protettore il glicerolo, mentre per le cellule staminali, dopo molti tentativi, si è adoperato il
dimetilsulfosside(DMSO).

Il dimetilsulfosside ha le due caratteristiche: legare l’acqua e di essere altamente diffusibile, inoltre,


è altamente tossico.

Quando noi andiamo a congelare un concentrato di cellule staminali, in cui non dobbiamo fare
processi di eritrodeplezione, la sacca da circa 200ml deve essere sospesa in una soluzione di
criopreservazione costituita da albumina e DMSO. Quindi noi, abbiamo due sacche sotto l’acqua: la
sacca di cellule staminali e la sacca di albumina con DMSO, che ci siamo preparati mettendo su un
panetto di ghiaccio, in modo che quando abbiamo aggiunto il DMSO all’albumina il calore generato
dalla reazione sia stato assorbito. Quando abbiamo queste due soluzioni pronte, le mescoliamo l’una
con l’altra: preleviamo le cellule staminali e le inseriamo nella sacca da criopreservazione e dopo
aggiungiamo la soluzione di criopreservanti.

Da questo momento inizia la tossicità verso le cellule staminali, per cui da questo momento non
dobbiamo perdere tempo. Non abbiamo molto da fare, dobbiamo solo aggiungere, mescolare, aspirare
i campioni per dei controlli successivi. Quando i campioni sono stati prelevati si fa uscire tutta l’aria
dalla sacca, un particolare importante altrimenti nel congelamento la sacca si spacca; si salda la sacca
e si mette nel congelatore automatico con discesa programmata. Cos’è?
È una grossa valigia in cui c’è una cella termica in cui noi possiamo raffreddare la temperatura
semplicemente immettendo dell’azoto liquido (da un bombolone, collegato, di 2-3.00 litri di azoto
liquido). In questa valigetta c’è un programma per cui delle valvole elettromeccaniche aspirano azoto
liquido immettendolo nella cella abbassando progressivamente la temperatura.
Per prima la temperatura scende molto velocemente, per via di una notevole immissione di azoto, per
permettere il passaggio di fase dalla fase liquida a quella solida. Poi abbiamo il momento di
transizione dalla fase liquida alla fase solida, c’è una reazione esotermica, con sviluppo di calore,
dura molto poco, se durasse di più la temperatura scenderebbe ancora di più e avremmo anche la
morte delle cellule.
La soluzione si surriscalda e io dovrò programmare il computer per garantire una maggiore
immissione di azoto liquido per contrastare il riscaldamento e garantire l’abbassamento della
temperatura. Perché tutta questa attenzione? Perché la fase di transizione è un momento cruciale,
non deve durare più di tanto.
Delle esperienze degli anni ’60 riportano che se il passaggio di stato è compiuto in più di un quarto
d’ora, la vitalità scende al 20%. Con una fase di transizione che duri meno di due minuti io mantengo
la vitalità a un livello del 90%.
Come avviene lo scongelamento?
Noi abbiamo quindi queste cellule staminali congelate; nel momento in che si fa la chemioterapia, il
soggetto va in aplasia e in quel momento il paziente riceve le proprie cellule staminali
precedentemente prelevate e conservate. Lo scongelamento viene effettuato a bagno maria, in
una vasca con una temperatura di circa 37 °C, monitorata. In genere, questo procedimento viene
svolto accanto al letto del paziente. Questo deve essere in normalità. Perché? Perché dobbiamo
infondere subito! Se io scongelo a Tor Vergata e infondo al San Camillo, prima che arrivo al San
Camillo le cellule sono tutte morte. Per cui il modo migliore, il modo classico descritto anche in
letteratura, è scongelate al letto del malato.
La tossicità di DMSO è molto grande in ambito pediatrico, quest’ultima si consiglia di non darla ad
un bambino perché esempio l’effetto collaterale è molto grande in un bambino di soli 30 kg mentre
nell’adulto gli effetti collaterali sonno meno presenti.

Quando le sacche se si sciolgono si devono usare immediatamente se no vanno incontro ad apoptosi.


I globuli rosi si spaccano, emoglobina passa nella parte renale e mi da insufficienza renale.

Due metodi affinché questa cosa non succeda:


1- Paziente viene idratato. Vuol dire che deve avere una soluzione fisiologica.
2- Nel sangue midollare dobbiamo allontanare i globuli rossi e non li congeliamo.

Quando in laboratorio dovete avere una sospensione di cellule in un campione di sangue voi
sottoponete il campione a centrifugazione dopo aver aggiunto un gradiente che permette di separare
bene i globuli rossi.
STRATIFICAZIONE
Metodo principe che si usa in laboratorio da sempre quando bisogno lavorare con sospensione di
linfomonociti; lo usano nei laboratori HLA, perché?
Perché questi linfociti sono ricchi di antigeni HLA.
Per cui quando uno vuole studiare l’antigene HLA si deve procurare una sospensione di granulociti
che sono ricchi di HLA non di cellule come globuli rossi, bianchi ecc.

Semplicemente se avete una provetta nel vostro campione, viene fatto un prelievo di sangue e
mandato in laboratorio di analisi.
Il laboratorio prende le provette e le riveste di globuli bianchi e sopra questo sangue anticoagulante
versa e deposita delicatamente 2/3 ml di ficoll.

Il ficoll è una sostanza che ha densità maggiore della soluzione fisiologia e del sangue stesso, per cui
quando andiamo a sottoporre la provetta a centrifugazione vediamo che i globuli rossi si staccano
lentamente.

Nel senso che con l’aiuto di questo grandemente di densità, i globuli rossi andranno in basso e il filcol
andrà subito dopo, al di sopra di tutto ci sarà il plasma ricco di lindo-monociti.

Il vantaggio qual è? non vediamo globuli rossi, sopra vedremo linfomonociti, piastrine e plasma ma
senza globuli rossi.

N.B. Ricordate che le cellule staminali stanno tra i linfomonociti.

Per il laboratorio è splendido perché avremo la concentrazione di linfomonociti che saranno ottimi
per effettuare altre analisi.

Purtroppo, questa metodologia non va per il trapianto di midollo, perché? Dov’è il punto critico?

Abbiamo preso i campioni di sangue con una provetta e abbiamo aggiunto del ficoll. Perché non va
bene nel trapianto di midollo? Quando liquido abbiamo preso? 1 litro.

In totale noi abbiamo un 1 litro di liquido in una provetta, noi non possiamo utilizzare 70/80 provette
con tutti questi litri.
Non è una metodologia di laboratorio che permette di fare osservazioni.
In più c’è anche il problema che il ficoll è tossico.

Il problema fondamentale però è che noi non possiamo proporre una metodica in cui un operatore
anche in ambiente esterno può maneggiare 60/50 provette. Sono tantissime.
Non è una procedura che possiamo proporre ai laboratori nazionali ed internazionali.
Si possono fare il doppio degli errori con tutte queste provette che devono essere sempre girate.

Quindi sono state utilizzate altre metodiche. Per esempio, si è pensato di utilizzare questa metodica
con l’utilizzo di separatori cellulari.
Il separatore cellulare mi preleva, mi isola lo strato linfomonocitario dal sangue periferico di un essere
vivente. I risultati non sono però entusiasmanti e non si è capito se si può utilizzare ancora questa
metodica.

Per anni si è lavorato facendo sedimentare la sacca dopo aver aggiunto L’ ESMAN/AMIDO
IDROSSIETILICO che favorisce la sedimentazione dei globuli rossi.
Per cui noi Prendiamo la sacca, mettiamo ESMAN, e dopo un ora vediamo che la separazione dei
globuli Rossi e plasma è ricco di linfomonociti.

È una separazione netta e siccome la parte inferiore è ricca di globuli rossi arriva prima, prendiamo
questi globuli rossi e li buttiamo e prendiamo ciò che ci serve. (?)

È una metodica che comporta una perdita di cellule staminali però si riesce ad avere un rendimento
standard ed un recupero intorno all 80%.

Per anni è stata utilizzata ma adesso non tanto perché non si è capito quanta concentrazione di amido
idrossietilico utilizzare e quale soluzione ci sia in commercio.

Il farmaco per essere usato deve essere approvato.


Se per caso risulta coinvolto in qualche decesso, il commercio del farmaco viene bloccato.
Quando capita che ci sia un decesso che non si capisce se è dovuto al paziente o al farmaco come in
questo caso l’amido idrossietilico viene bloccato.
Quando io ero studente non si poteva utilizzare, poi si è potuto utilizzare per 30/40 anni, poi c’è stata
un'altra segnalazione e di nuovo bloccato.

Una cosa che voglio farvi vedere e che possiamo commentare.

Il problema iniziale è che l’organismi nell’autotrapianto andiamo a ricorrere a cellule tumorali.


Diciamo che l’obbiettivo dei colleghi era volto all’eliminazione di queste cellule tumorali.

Queste cellule di linfoma e mieloma sono sensibili a questo farmaco, se le trattiamo con i farmaci?
(?)

Approccio interessante ma il risultiamo no.


A livello nazionale solo il gruppo di Pavia ricevette dei risultati accettabili per cui il sangue totale
veniva trattato con chemioterapici.
Però c’è stata una grossa difficoltà perché non c’erano gli stessi risultati con altri laboratori.

Si provò allora a capovolgere il problema.


Non riusciamo a distruggere tutte le cellule tumorali ma se avessimo un metodo che permette di
concentrare e selezionate le cellule staminali?
Idea ottima anche erano già scoperte gli anticorpi CD34.

Se noi organizzavamo un sistema in cui separiamo le cellule con CD34 dalle altre si può risolvere il
problema.
In effetti il problema fu approcciato in modo così semplice perché si disponevano questi anticorpi.
In laboratorio c’erano questi sistemi in cui la sospensione cellulare in cui c’erano le cellule staminali
e le cellule tumorali venivano messe ad incubare con degli anticorpi anti CD34.

In questo caso gli anticorpi erano caricati non con un colorante come nella citocrometria bensì
gli anticorpi anti-CD34 venivano caricati con la BIOTINA che è una sostanza che si lega
all’AVIDINA.

In questo modo noi facevamo prima coniugare l’anticorpo caricato con la biotina (l’anticorpo con
specificità contro CD34 quindi vuol dire che agganciava le cellule staminali).

Questa soluzione veniva fatta “colare” su una colonna di avidina e quindi l’anticorpo che aveva
specificità contro CD34 e che si era agganciato alle cellule con CD34, siccome l’anticorpo veniva
caricato con biotina, rimaneva attaccato alla colonna di avidina mentre tutto il resto scorreva via nella
sacca di scarto.
Quindi scorreva via soltanto i globuli rossi ma soprattutto le cellule tumorali che non avevano CD34z
Poi si lavava il tutto e si raccoglievano le cellule con CD34.

Metodo elegante e molto semplice.

Abbiamo risolto il problema? No.


Perché? perché si è scoperto che facendo i trapianti con questo tipo di concentrazione di cellule
staminali c’erano vantaggi e molti svantaggi.

(Poi lo vedremo più affondo più avanti.)

Altre esperienze molto interessante, anche se trattata solo in 15 pazienti, però è un’esperienza molto
elegante.
Questa dimostrava che identificando cellule tumorali con quel marcatore con traslocazione 14-18
questo era presente nella quasi totalità delle cellule larvali (?????) e la percentuale da 10 su 11
scendeva a 4 su 11 dopo la selezione.
Questo concentrato è un dato per concentrare la contaminazione delle cellule tumorali.

Altra esperienza con il marker neoplastico era presente in 8 su 14 dopo la selezione 3 su 14.

Cosa vuol dire? Che noi avevamo 14 pazienti con remissione completa con esame morfologico.
Se facciamo fare il ciclo genetico si vedere che in questi 14 pazienti solo 8 avevano un marcatore
tumorale.
Cosa non buona.
Dopo la selezione e procedura il marcatore era solo 3 su 14.
Non usando un chemioterapico che andava a distruggere le cellule ma abbiamo fatto una selezione
andando a concentrare le cellule sane.
È proprio ribaltare la moneta dall’altro lato= visto che non riesco a distruggere le cellule tumorali,
quelle cattive, vado a concentrare quelle sane.
Però in questo modo riesco a fare una differenza delle cellule tumorali con le cellule sane.

Il sistema dimostro di funzionare ma quello che è più interessante è che dopo la selezione il numero
di globuli bianchi, era solo una striscia con CD34 (granulociti/ linfociti ecc).

Quindi questo cosa vuol dire?


Da 1 litro di passava ad una qualità minima; nei primi momenti si poteva concentrare tutto il trapianto
in una siringa di pochi ml.

Piastrine hanno sempre dato fastidio nello scongelamento perché formano agglomerati che
intrappolano le cellule tumorali invece qui le piastrine non c’è niente.

La cosa più spettacolare era vedere che L’ematocrito era 0.

Era una sacca bianca senza un globulo rosso.

Come faccio a trattenere e identificare un trapianto correttamente una siringa? Con solo un
contenuto bianco? no, non so neanche se è fisiologico.

Va in una sacca con 50 ml e la consegno al reparto e dopo la sacca di concentrazione si gestiva bene
anche perché la sacca veniva congelata.
LEZIONE 4 - PATOLOGIA CLINICA – 18/11/2021

Sbobinatori: Eleonora Bernardini , Stefania Gentile , Marinella Russi.


Revisore: Federica Lupo.
Professore: Adorno.

Parliamo di aferesi terapeutiche, ne abbiamo già parlato ed in particolare di quella produttiva, la


produzione di emocomponenti quindi aferesi da donatore, ne abbiamo parlato essenzialmente per
quanto riguarda la produzione di piastrine e di plasma , un importante lavoro che si svolge a Tor
Vergata.
In particolare ci interessiamo delle piastrine ma a uso compassionevole, ovvero senza sapere se
funzioni realmente e al di fuori di qualsiasi risultato scientifico e protocollo, durante il periodo
covid, abbiamo chiesto il plasma per appunto valutare gli anticorpi delle persone non affette da
covid e il possibile utilizzo di questo.
Non sappiamo se la trasfusione di granulociti può salvare il paziente però male non gli fa, vale
quindi lo stesso discorso.
Può aver senso trasfondere il plasma immune quando il paziente si trova in condizioni ancora
discrete, quando intubato non ce la fa più e quindi non ha senso, queste sono le nostre esperienze,
quello che noi sappiamo ora, se poi funzioni o non funzioni noi non lo sappiamo.
C’è una certa logica nel trasfondere plasma immune perché rilascio al paziente una situazione
immunitaria che in quel momento non possiede, la cosa importante è avere gli stessi requisiti sia per
i donatori che per i riceventi, i donatori devono aver effettuato un test per verificare la presenza di
anticorpi e entrambi ovviamente devono essere d’accordo.
Vi rendete conto della complessità perché all’inizio noi non sapevamo quali anticorpi ricercare,
contro quale antigene e con quale metodica, quando abbiamo iniziato a valutare le metodiche
abbiamo scoperto che erano state create settimane prima, i colleghi quindi hanno dovuto
sperimentare e ora le idee sono più chiare ma non tali da dire se funzioni o meno.
Quindi per concludere il discorso di aferesi produttiva sappiamo che si occupa della produzione
essenzialmente di piastrine e di plasma.

1
Quella macchina che vi ho fatto vedere una volta che separa il sangue nei suoi emocomponenti
non nacque per fare le donazioni piastriniche ma per curare il paziente in ambito terapeutico
permettendoci appunto di prendere lo stesso emocomponente di quello patologico.
L’aferesi terapeutica non è una terapia mirata ma una terapia d’attacco in fase acuta e grossolana.

Immagine sulla cintura della centrifuga e di come funziona.

Cosa andiamo a fare?


Anzitutto bisogna dire se invece di avere 400.000 mila piastrine il mio paziente ne ha 2 milioni fino
a qualche anno fa era imperativa, categorica e adesso non è più cosi obbligatorio perché ci sono dei
farmaci che molto più rapidamente possono ridurre in pochi giorni la conta piastrinica da questi
valori patologici a valori normali.
Quindi l’aferesi terapeutica è stata declassata, non è più da fare immediatamente ad ogni costo,
però la faccio per vedere ugualmente , perché le indicazioni che le società internazionali danno
circa l’adottare l’aferesi terapeutica cambiano ogni anno e dopo vedremo sulla base di quali criteri,
ci si basa quindi sulla letteratura, sull’esperienza internazionale di quel momento.
Ovviamente ci si può accorgere con il tempo che quel farmaco non è efficace sempre e quindi gli
approcci cambiano.
Piastrinoaferesi che non si fa più?
Sono perfettamente d’accordo però guarda caso 2 settimane fa l’abbiamo fatta a una giovane
collega con 2 milioni di piastrine per mm3, l’abbiamo fatta perché questa paziente non rispondeva
ai farmaci che le venivano dati, tante piastrine vuol dire che sono piastrine che non funzionano e
non può durare a lungo questa condizione allora abbiamo fatto prima una aferesi e poi siamo passati
a 1,4 milioni e a distanza di giorni, circa di 10, dopo altre aferesi, è iniziato a scendere il numero
di piastrine e ha cominciato a funzionare la terapia a differenza di altri pazienti che ci mettono solo
un paio di giorni.
Quindi le linee guida sono una cosa, ma in certi casi bisogna valutare da paziente a paziente.

2
Un’altra situazione di 2 anni fa fu quella in cui si presentò un’anziana signora con problemi di
aterosclerosi perché prendendo delle pillole , “perché non ci stava molto con la testa”, aveva
raggiunto 2 milioni di piastrine, in quel caso abbiamo iniziato la terapia con aferesi.
La cosa che posso dirvi è che ovviamente nel 2021 c’è meno entusiasmo nello svolgere aferesi
terapeutica perché ovviamente ci sono molti farmaci che possono agire presto e sono meno
invasivi, dare una pillola invece è molto più semplice.
Attualmente quindi la piastrinoaferesi terapeutica non rientra nelle indicazioni assolute , è un tipo di
approccio terapeutico che in particolari tipi di condizioni si può fare.

Per cercare un po’ di capire quando fare un’aferesi terapeutica o no , le società internazionali hanno
delineato alcune categorie, come ragionare?
La prima categoria vuol dire che si deve fare punto e basta, la categoria 4 è sperimentale cioè
si deve valutare, si firmano i consensi se ne parla con il collega ecc.
La seconda e terza categoria, cosa le differenzia? La massa di evidenza nel mondo scientifico, le
evidenze osservate e gli studi su quella determinata patologia; sono quindi le fasi più fluide perché,
basta che la letteratura si interessi di meno ad una patologia e cominci addirittura a contestare la
procedura che una patologia cade dalla seconda categoria alla terza ma può succedere anche il
contrario ovviamente.
Tra le prime aferesi che sono state effettuate c’è quella dove si realizza uno scambio plasmatico
(plasmaexchange) è uno scambio plasmatico, se io prelevo plasma il paziente non ne avrà più, avrò
un aumento dell’ematocrito e ammazzo il paziente , perciò deve esserci uno scambio plasmatico; la
macchina è impostata in modo tale che per ogni millilitro di plasma prelevato, viene infuso un
millilitro di albumina o di plasma normale, per cui il volume di plasma scartato è pari al volume
di albumina o plasma del donatore trasfuso, il volume rimane uguale.
In questo modo se ci sono delle proteine patogene nel plasma del nostro malato noi le allontaniamo
perché il plasma contenente queste proteine patogene viene scartato e il plasma buono viene infuso.
Abbiamo perciò trovato la soluzione alle malattie autoimmuni, invece di imbottirli di cortisone si
fa la plasma aferesi e si allontanano gli anticorpi, però l’entusiasmo con il tempo scese perché
come terapia di mantenimento aveva qualcosa che non andava, la plasma aferesi la puoi utilizzare
come terapia d’urto per qualche giorno non per sempre.
Il concetto di base è che se io scarto il plasma contenente anticorpi del paziente e lo scambio con
albumina o plasma del donatore , allora ho un vantaggio per il paziente ; tuttavia non è così
semplice perché il concetto tecnico c’è, però magari non è quello l’anticorpo della malattia ma uno
simile e quindi il paziente non subisce nessun effetto.
Il plasma a meno che non sia inattivato c’ha sempre il rischio di trasmettere una malattia
infettiva, l’albumina no perché viene prodotta dal plasma , ma viene sottoposta dall’industria ad un
processo di inattivazione, quindi come liquido di rimpiazzo utilizziamo o il plasma o l’albumina,
qual è il criterio?
3
Anzitutto andiamo a vedere la coagulazione del nostro paziente, perché se nel nostro paziente la
coagulazione del fibrinogeno è buona, ce n’è una quantità sufficiente, cominciamo a fare la prima e
la seconda aferesi con l’albumina , in seguito avrò due litri di plasma del paziente e due litri di
plasma di rimpiazzo infuso, in questo modo con l’albumina evito eventuali reazioni dal plasma,
sicuramente dalla terza aferesi dovrò ricorrere al plasma perché a quel punto il fibrinogeno si è
abbassato troppo e rischierebbe di non coagulare bene.
Altro concetto è che non è che si fa una seduta e basta, in media se ne fanno 5 e dopo il terzo
giorno si vede l’efficacia della terapia.
L’aferesi o ha effetto nelle prime procedure oppure non ha effetto, proprio perché è una
terapia grossolana cioè non è una terapia fine.

L'ASPAG (Associazione Internazionale della Genesi Terapeutica) aggiorna periodicamente queste


categorie, dove per certe patologie, nel corso degli anni, si passa da una categoria all'altra.
Considerate che il primo separatore cellulare che abbiamo avuto in Italia, quindi i primi esemplari
di radio erano due, uno forse all'istituto superiore di sanità e l'altro lo avevamo in ematologia ed era
esattamente grande come la cattedra. Andava montato tutto a mano, in particolare, la parte più
sensibile, la centrifuga, non era un pezzo di plastica che si incastrava, ma era una centrifuga in
maiolica che andava ogni volta a sterilizzare in sala operatoria , e sopra veniva montata una parte in
plastica che veniva avvitata con 16-18 viti.
Inoltre, cosa che non capita più, dopo 10-11 procedure, il cestello in ceramica avrebbe dovuto
essere cambiato, ma non essendoci la possibilità di farlo da quel cestello in ceramica cominciavano
a partire sostanze pirogene che provocava nel paziente febbre.
E questo vi fa capire la differenza da 40anni fa ad adesso.

4
Quand'è che ha ancora senso fare una "leucoaferesi depletiva"?
"Depletivo" significa privazione.

Una "aferesi" terapeutica può essere:


- uno scambio (togliendo il plasma e dandone dell’altro plasma)
- oppure può essere "Depletivo", ovvero, togliendo qualcosa e non dandone nulla, questo perché
quel qualcosa che si toglie è in eccesso.

Quindi quand'è che si fa una "leucoaferesi"?


Si fa quando, grosso modo, i leucociti sono in eccesso.

Questo si verifica in diverse situazioni:

LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA :


È una malattia per la quale oggi questa procedura non si fa più, perché adesso c'è una terapia
precisa e per cui il numero dei globuli bianchi decade rapidamente.
La leucemia mieloide cronica è un aumento dei globuli bianchi in circolo, fino a valori importanti
(da 5.000 a 10.000 normali arriviamo a 100.000-300.000), però i globuli bianchi sono normali e
sani.
Il midollo getta nel sangue periferico tutte le serie intermedie di maturazione del globulo bianco,
fino al globulo bianco maturo.
Questa è una leucemia perché all'esordio si comporta in questa forma "benigna" (benigna perché è
un numero alto, che ci può dare problemi di viscosità sanguigna, però le cellule non solo blasti, ma
normali).
{Esempio clinico: c'erano contemporaneamente due pz: uno con la leucemia mieloide cronica e
l'altro che stava morendo per una sepsi: si prendevamo i leucociti sani in eccesso dal primo pz.
(leucoaferesi) iniettandoli al secondo il pz che stava morendo per sepsi, con risultati eccezionali}
Tuttavia dopo qualche anno la malattia entra in "crisi blastica", cioè il paziente comincia a
produrre nuove cellule tumorali blastiche, inoltre la "crisi blastica" si cura molto più difficilmente
della leucemia acuta di per sé (perché sono blasti molto più resistenti).
Adesso la prospettiva è cambiata, perché con un'adeguata terapia orale, scoperta di recente (ultimi
10-15 anni), per cui il numero dei leucociti si riduce e il soggetto affetto da questa patologia, messa
sotto stretto controllo, comincia a mostrare qualche accenno di guarigione.

Quand'è che c'è l'indicazione di fare una leuco aferesi in un paziente all'esordio?

Quando il numero di globuli bianchi è tale da produrre una viscosità elevata che può dare una
certa sintomatologia al paziente (per esempio si possono avere danni cerebrali: disorientamento
nel tempo e nello spazio, risposte non corrette a semplici domande; questa sofferenza cerebrale
indica che il sangue non circola bene come dovrebbe, i globuli rossi cedono ossigeno ma stanno lì
fermi e quindi non vanno a ricaricarsi di altro ossigeno).
Tuttavia, date le nuove conoscenze, solitamente il paziente arriva in ematologia con un numero di
globuli bianchi ancora relativamente basso (100.000-150.000), quindi il sangue non è ancora
eccessivamente viscoso, per cui non è necessario fare questa procedura (l'aferesi), ovviamente
se non hanno già sintomatologie.
Prima si faceva questa procedura perché la terapia all'epoca non consentiva di controllare la
malattia e in ogni caso la riduzione dei globuli bianchi è piuttosto lenta, quindi c'era la paura che il
pz. potesse andare in contro ad una sofferenza cerebrale nei giorni successivi.
5
Quindi adesso non c'è più una indicazione assoluta perché c'è una terapia più che adeguata, su cui
hanno contribuito parecchi ricercatori di Roma.

RICAPITOLANDO :
Si effettua una leucaferesi definitiva SOLO quando c'è una sintomatologia.
Vi anticipo che i globuli bianchi di un pz affetto da leucemia non possono essere più usati a scopo
trasfusionale, perché la legge ora lo impedisce (50 anni fa questa legge non c'era e si poteva fare).

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LEUCEMIA LINFOIDE CRONICA :
È un'altra forma di leucemia cronica, compare soprattutto negli anziani.
È caratterizzata da un aumento modico (30.000-40.000) di globuli bianchi che nella maggior parte
sono linfociti (80-90%, contro il normale 40%), ciò vuol dire che è più suscettibile ad una
infezione.

Qual è l'approccio terapeutico?

Anni fa si prevedeva una blanda chemioterapia per tenere a bada questi globuli bianchi, però alla
fine questi poveri pazienti morivano a causa delle complicanze della chemioterapia, che abbassava
le difese immunitarie e creava vari problemi, quindi questa pratica non si è più utilizzata (in accordo
con vari ricercatori francesi).
Quindi oggi questa è il tipo di patologia che non prevede terapia.
L'unica cosa che il pz fa è tenere sotto stretto controllo il valore di questi leucociti e comunicarli al
medico.
Questo controllo viene fatto perché in certi casi molto rari (quanto si trovano si pubblicano), da
40.000 si può passare a 200.000-600.000 mila.
Si interviene con una linfocito-aferesi (fare un prelievo di leucociti, in modo da abbassarne il
numero) solo con questi valori perché i linfociti sono molto piccoli e per avere un aumento della
densità tale da provocare problemi di sofferenza cerebrale o di altro genere, non sono sufficienti
100.000-200.000 leucociti (a meno che il pz non sia già sintomatico).
Quindi in questo caso si aspetta così tanto e si valuta se è il caso di attuare questa procedura perché
essendo molto piccolo il leucocita ce ne vuole un numero molto grande per raggiungere i livelli di
viscosità critici del sangue.
A questo punto la vita del pz cambia radicalmente: si passa dall'avere un soggetto che
tranquillamente vive la sua vita e lavora e chiama il proprio medico, ad un pz con anemia che deve
andare in Day-hospital per essere trasfuso, deve cominciare una terapia cortisonica, probabilmente
ha anche una splenomegalia, quindi condizioni tali che si passa da pz che sta bene a pz che va
seguito.
Quindi non c’è una vera e propria terapia, semplicemente il pz. deve stare attento a non prendere
infezioni, perché ha pochi granulociti.
Solitamente il pz. è anziano e può anche andare in contro ad anemia per un altro anticorpo, quindi
ad oggi non c’è una terapia perché si è visto che il tasso di mortalità, con o senza terapia, non
variava, ma aumentava l’insorgere di ulteriori complicanze e quindi sofferenza per il pz.

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LEUCEMIA ACUTA IPERLEUCLCITARIA

o Leucemia significa che tutto il sangue midollare viene sostituito da "blasti".


o Blasti in ematologia significa "cellule tumorali".
o Acuta vuol dire che compare in maniera acuta e che nel sangue periferico compaiono
questi blasti, che sostituiscono in maniera totale o parziale la normale popolazione presente,
per cui nello striscio di sangue periferico troviamo i globuli rossi, le piastrine granulociti ecc e
questi blasti.
Sulla base delle cellule mobili , ma soprattutto quello che ci interessa non sono soltanto i parametri,
ma il fatto che hanno un alto grado di adesività che vuol dire che il numero già indicato
ovvero 150.000 di blasti vi danno un aumento della viscosità ad alto rischio , 400.00-
500.000 nella mieloide cronica, nella mieloide cronica le cellule sono normali, qui invece sono
tumorali e risultano grandi e adesive, per cui la sintomatologia è molto più frequente, quindi il
paziente in leucemia acuta e sindrome leucocitaria si presenta molto spesso già con un
interessamento neurologico, proprio perché le cellule sono grandi e sono adesive.

Quindi che tipo di paziente cerchiamo?

Assunto che nel pz: tutto il sangue midollare è sostituito, il sangue periferico è inondato da questa
valanga di cellule tumorali, in circolo oltre alle cellule tumorali
troviamo qualche neutrofili, qualche piastrina, globuli rossi vecchi. Quindi il paziente arriva già a
seguito di una sintomatologia o nefralgica, o delle piastrine, o neurologica quindi accompagnato dai
parenti che riscontrano un qualche problema in lui o si può presentare con una sintomatologia
emorragica o presenta febbre alta e non si capisce il perché, e si va al pronto soccorso che verifica
la non presenta sintomi come ad esempio una gastroenterite o una polmonite e proprio al pronto
soccorso esce fuori questa situazione tragica.
Quindi avremmo a che fare con un paziente che nella peggiore delle ipotesi può presentare un
interessamento neurologico, con un’emorragia cutanea diffusa e magari pure anemico (anche se è
l’ultima delle cose perché ci sono i globuli rossi vecchi in circolo quindi se l’anemia c’è è
modesta più o meno 8g) e in questi casi il paziente con sintomo emorragico poi andrà ad
attraversare un’aferesi depletiva perché bisognerà eliminare tutti i blasti, e durante l’aferesi
depletiva si dà, proprio l’anticoagulante. Che si cerca di contrastare, dando in
continuazione ACD,il calcio gluconato, però capite che ad un emorragico dare l’anticoagulante un
po’ il medico un po’ esita.
È un paziente che può morire mentre voi fate l’aferesi, è rimasto uno dei pochi casi in cui l’aferesi
depletiva va fatta d’urgenza in qualsiasi momento.
Non abbiamo altre soluzioni al momento.
8
La chemioterapia è una terapia che il collega ematologo suggerisce subito, però prima che faccia
effetto può passare anche una settimana, e se il paziente si presenta con 800.000 blasti, il
pz non supererà i primi 7 giorni.
In più se il numero dei blasti è proprio enorme, tanto che sono presenti, non soltanto nel sangue
periferico, ad esempio, ci sarà anche la presenza di una dispnea, che il sintomo peggiore, rispetto
all’interessamento neurologico, che è quello che vi indica dal punto di vista clinico che il numero è
tanto alto da “straboccare” dal letto vascolare e andare a finire addirittura ne polmoni.
Ce ne si può accorgere, andando ad eseguire il giorno dopo la seconda l’aferesi, si osserverà,
che se durante la prima aferesi il pz respirava peggio in confronto al giorno dopo in cui respira un
po’ meglio, e se il giorno prima si presenta 300.000 blasti, il giorno dopo presenterà 300.010 perché
saranno stati richiamati quelli dai tessuti periferici ed è proprio per questo che respira meglio.
È una situazione di grandissima drammaticità e c’è il rischio che il paziente muoia perché magari
l’interessamento neurologico è troppo importante, perché magari ci sarà un’emorragia che compare
all’improvviso.
L’unica altra indagine che viene fatta, è vedere se per caso, soprattutto in presenza di una sofferenza
celebrale importante, se c’è la presenza di un’emorragia celebrale in atto, ciò facendo una tac, e se
ciò risulta, ormai il danno è fatto quindi il medico non può fare nulla, gli avrà tolto i bianchi ma il
paziente muore lo stesso.
Quindi c’è un approccio diverso che poi deciderà il medico trasfusionale insieme ad altri colleghi,
capite perfettamente che se l’emorragia celebrale non c’è e il disorientamento è dovuto
dall’aumento di viscosità e non da un’anemia.
C’è anche l’attenzione a non trasfondere, quando è possibile, i globuli rossi, perché facendolo si
darebbero altre cellule, quindi aumenterebbe la viscosità e si danneggerebbe l’individuo. (è
responsabilità del medico valutare caso per caso con esperienza e buon senso) quindi se il paziente
ha 7g di emoglobina, però resite, il circolo regge e va tutto bene si eviterà di trasfondere.
Se invece, un altro pz ha 7g di emoglobina ma ha un interessamento neurologico a causa dei blasti ,
allora che succede?

Ci si ragiona sempre con la responsabilità da medico, prima gli si fa l’aferesi e gli abbassassando i
blasti e poi lo trasfondo, sperando che on ci siano complicanze.
Il medico si deve prendere la responsabilità di fare una cosa alla volta, in scienza e coscienza come
si soul dire, è il criterio più giusto, cioè si fa quello che si sa fare e si cerca di confrontarsi sempre
con i colleghi, perché l'esperienza di uno è data da 100 o 1000 casi nella tua carriera ma
l’esperienza internazionale e data da molti più casi e quindi può dare delle informazioni aggiuntive
importanti.

DOMANDE AL PROF

1) La leucemia acuta è un problema è un problema genetico o infettivo?

Non si sa, non ci sono state grosse novità nell’ultimo decennio.


Pero vale l’impostazione che ci è sempre stata data ovvero che: un tratto genetico c’è sempre però
c’è un qualcosa che fa scattare questa anomalia genetica in una persona anziché in un’altra.
Si è sempre fatto l’esempio del carcinoma del polmone con i fumatori, in cui c’è una stretta
correlazione, infatti di chi presenta il carcinoma la maggioranza sono fumatori, ma non tutti quelli
che fumano presentano il cancro al polmone.

Allora dov’è la differenza se tutti fumano?

9
Vuol dire che in alcuni scatta qualcosa, un meccanismo genetico ma non si riesce a capire perché
alcuni presentano il tumore e altri no.
Quindi c’è sempre questa interazione tra la causa, che in questo caso è indotta dal nostro
comportamento, in altri casi dall’ambiente, e il patrimonio genetico, in cui in un soggetto è
predisposto a scattare in un modo mentre in un altro scatterà in un altro modo ancora.
Comunque no, a quanto sa il prof, non ci sono teorie che spieghino la correlazione tra leucemia e
patrimonio genetico, i colleghi ematologi si sono concentrati di più sulla terapia, quindi in pazienti
con leucemia acuta all’inizio si fa chemioterapia poi quando vanno in remissione completa si
cominciano a fare gli esami per autotrapianto, trapianto allogenico, chemioterapie, immunoterapie
ecc...
Quindi il discorso verte più sulla terapia che sul tipo genetico, almeno attualmente.

Che differenza c’è fra la leucemia acuta e la leucemia acuta iperleucocitaria ?

Nella ACUTA i blasti compaiono in modo acuto quindi nell’esame leucocito metrico di due
settimane prima il periferico è perfetto poi no.
Quindi nell’acuta ci sono i blasti in circolo, il numero totale ci può dare un primo campanello
d’allarme, però quando andiamo a vedere la formula cominciamo a pensarci... Se un paziente ha
15/20.000 bianchi ma sono tutti granulociti vuol dire che c’è un’infezione quindi poi andiamo a
vedere se ha le tonsille gonfie. Se invece di quella percentuale una certa parte sono blasti, cellule
enormi e mostruose, allora si andrà a controllare il sangue midollare facendo ovviamente l’esame
dell’aspirato midollare, prelevandone 1cc a scopo diagnostico e quindi per esempio molte volte più
che sulla cresta iliaca si effettua sullo sterno, aspirandone una piccola quantità in anestesia locale,
per vedere se il sangue midollare ha una normale emopoiesi oppure è un tappeto di blasti.
Nella IPERLEUCOCITARIA questo numero è enorme, quindi non solo ci sarà il sangue midollare
totalmente sostituito da blasti e ne saranno talmente tanti che andranno anche nel sangue periferico
e addirittura potrebbero strabordare nei polmoni.
Queste sono le leucemie con prognosi peggiori, sono quelle che più difficilmente rispondono alla
chemioterapia.
In altri termini, un paziente con leucemia acuta iperleucocitaria è abbastanza difficile che vada in
remissione completa, e se ci va è molto probabile che entro poco tempo abbia una recidiva perché la
cellula tumorale di base è stata così potente e aggressiva da produrre non 10-20 mila cellule ma
centinaia di migliaia di cellule.
Nel periodo in cui queste leucemie sono all’esordio, in cui si presentato tutti i segni, quindi
l’interessamento neurologico, emorragie, infezioni i motivi connessi sono tanti.
Non è un paziente che viene a fare lo scambio plasmatico per la malattia autoimmune o di altre
malattie in cui si presenta con una ricetta e poi torna a casa, questo paziente arriva al pronto
soccorso e può morire lì.
È successo in qualche occasione che due ore dopo l’aferesi il paziente sia morto.

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2) Dopo che un pz. affetto da leucemia linfatica acuta ha fatto chemioterapia e i medici sostengono
che il pz. necessita di un trapianto, per quanto tempo il pz. può rimanere in vita senza il
trapianto?

Dipende dal pz., dipende se necessita di un autotrapianto o un trapianto allogenico.


Con il trapianto allogenico, ovviamente, bisogna ricercare un donatore nei registri.

3) Anche dopo il trapianto, è possibile che ci sia una recidiva dello stesso tipo di malattia?

Si è possibile, nessuno lo può escludere, ovviamente, più tempo passa dalla remissione completa
più si abbassano le probabilità di recidiva, ed è per questo che al giorno d’oggi per questa malattia,
si può parlare di “guarigione” e il pz. viene definito “lungo sopravvivente”.
Il pz. in questione dovrà comunque essere sotto controllo costante

4) C’è un motivo per cui la leucemia cronica si osserva più negli adulti che nei bambini, mentre la
leucemia acuta è il cancro pediatrico più comune?

Non si sa, però il professore conosce attraverso i dati epidemiologici classici:


-La LINFATICA ACUTA: in abito pediatrico è la più comune e trattabile
-La LINFATICA CRONICA: maggiormente presente nell’anziano (in cui non è presente la
mieloide cronica)
-La MIELOIDE CRONICA: è più presente in età media (30-40 anni)

MEMO
Il medico è tenuto sempre a mantenere il segreto professionale nei confronti dei suoi pz.

11
LA LEUCOSTASI

È quella che ci impone di intervenire nel caso di una sindrome iperleucocitaria, quindi
la leucostasi data da blasti leucemici è data o da linfociti della linfatica cronica, oppure, da leucociti
della mieloide cronica.
La leucostasi da viscosità, ipossia tissutale, perché gli eritrociti restano fermi e non scambiano
ossigeno, e poi ci può essere complicazioni al livello del sistema nervoso centrale o del sistema
respiratorio.
Queste sono le situazioni per cui si interviene con un’aferesi, procedura d’urgenza grossolana, i
leucociti di troppo si vedono persino ad occhio nudo e si prelevano con una pompa, attualmente non
esiste una chemioterapia tale da riuscire a distruggere in 24/48 ore tutte queste cellule.

I farmaci chemioterapici sono da tenere sotto controllo perché possono dare una lisi tale da portare
insufficienza renale, perché si distruggono altre cellule e questi elementi distrutti arrivano nei reni.
La LISI CELLULARE DA CHEMIOTERAPIA di una massa tumorale importante, è un
fenomeno che gli ematologi sanno di dover scongiurare, perché il verificarsi improvviso e massivo
di questa porta ad insufficienza renale, quindi si riduce la massa tumorale ma il pz. andrebbe in
dialisi.
Tutto questo plasma pieno di cellule tumorali, attraverso l’aferesi, deve essere prelevato dal medico
ed eliminato.
Contemporaneamente a ciò, finisce la chemioterapia, controllando sempre che non ci sia lisi
cellulare, e, ripeto, si controlla la funzionalità renale attraverso l’analisi della azotemia, la creatinina
per verificare che il rene non abbia subito danni.

12
Ci sono delle patologie ematologiche in cui c’è un numero patologico di globuli rossi: quindi
avremo l’emoglobina a 17/18/19 (invece che a 16)  questo porta ad un problema di viscosità del
sangue e soprattutto i globuli rossi possono andare a formare dei trombi.
Per questi pazienti con numero elevato di globuli rossi l’approccio terapeutico che viene adottato è
il salasso; considerate che i principi della medicina sino a metà dell’800 sono stati purga, clistere e
salasso  l’obiettivo era liberare l’organismo da qualcosa che gli dava fastidio: purga e clistere se
l’intestino era intasato e il salasso se il sangue stesso era intasato.
Questo concetto di liberare l’organismo da qualcosa che gli dava fastidio rimanda all’idea che i
greci avevano secondo la quale “un organismo è sano se tutti gli umori sono in equilibrio” , che in
effetti è la ragione per cui tutto il nostro organismo funziona: perché i vari sistemi sono in equilibrio
tra loro.

Il salasso è un approccio terapeutico che si usa ancora oggi nei pazienti con un numero di globuli
rossi superiore alla media perché è molto semplice, il sangue che viene eliminato deve andare
buttato , non può andare alla centrale del sangue, non vengono utilizzati i kit che si usano per le
donazioni di sangue: 1) si prende un ago, 2) si riempie una sacca e si decide quanto sangue
prelevare in base al paziente (età, stato di salute ecc) (n.b. non si tratta di una operazione
trasfusionale, si tratta di una sottrazione di sangue per diminuire i livelli di globuli rossi e può
essere effettuata da qualsiasi medico, mentre l’aferesi la può fare solo il medico trasfusionale)

In particolare possiamo parlare anche di eritroaferesi, mentre nel salasso noi possiamo trovare
globuli bianchi, piastrine e globuli rossi e quindi andiamo a ridurre anche i livelli di plasma e delle
altre componenti del sangue, invece, con l’eritroaferesi andiamo a sottrarre una componente del
sangue restituendo al paziente la quota che non s’intende trattene.
L’eritroaferesi depletiva andrà a:
- Ridurre volemia eritrocitaria
- Ridurre viscosità del sangue
- Incrementare l’emodinamica cardiaca
- Migliorare la cessione di ossigeno ai tessuti
- Ridurre la probabilità di incidenti trombotici intravascolare

Quindi la differenza tra salasso e aferesi è che con l’aferesi ho la possibilità di “sottrarre” solo
ciò che mi interessa nel piano terapeutico.
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Il vantaggio è che, se le condizioni lo consentono, posso togliere parecchi globuli rossi senza
togliere il plasma  maggiore efficacia terapeutica in quanto riesco a togliere più globuli rossi.
L’aferesi non si risolve in una seduta, si tratta di più giornate, o continuative (in situazioni più
gravi) o ad intervalli; in una seduta si lavorano 4-5 litri di sangue, questo va specificato quando si
espone il piano terapeutico al paziente.

Quando si opta per questo tipo di piano terapeutico si fa una valutazione del paziente: diagnosi,
indicazione al trattamento, condizioni cliniche, valutazione del rapporto rischio/beneficio e accessi
vascolari; si valuta il piano del trattamento: tipo, frequenza, numero dei trattamenti e obiettivo del
trattamento.

(legge la slide)
Per la Policitemia abbiamo
categoria II in cui il paziente può
scegliere tra aferesi e salasso ,
mentre ricordiamo che la categoria
I prevede aferesi in maniera
assoluta.

Vediamo altre patologie:


- Sindrome da iperviscosità: (categoria II) questa si ha quando nel plasma abbiamo un
aumento della viscosità quindi quando ci sono più proteine patologiche (oltre quelle che
ci devono essere fisiologicamente) , quindi avremo un aumento di densità, dal punto di vista
morfologico i globuli rossi appariranno appiccicati l’uno all’altro. Un aumento di densità lo
ritroviamo, ad esempio, nel mieloma o nella macroglobulinemia di Waldenstrom che
portano alla produzione patologica rispettivamente di IgG e IgM e quindi ad un incremento
della viscosità.
La macroglobulinemia di Waldenstrom è piuttosto rara, il paziente con mieloma è più
complesso perché, in questo caso, oltre alla produzione di IgG patologiche, avremo anche

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delle lacune ossee (  lacune osteomielitiche). In questi casi andremo ad effettuare un
plasmaexchange cioè si scambia il plasma: il plasma del paziente viene prelevato e sostituito
con il plasma di un donatore o con albumina, con un effetto di diluizione .
- Malaria: (categoria III) nella malaria il globulo rosso è malato (infettato), questa appartiene
alla terza categoria perché, nonostante sarebbe applicabile l’eritroaferesi, è diffusa in zone in
cui questa tecnica non è ancora applicabile per una serie di ragioni che probabilmente tra 20
anni saranno ormai risolte.
- Trapianto ABO incompatibile: abbiamo un ricevente, per esempio, gruppo zero (anticorpi
anti-A e anti-B), mentre, il donatore è A  se io prendo una sacca di sangue midollare da
un donatore di gruppo A (in cui ci saranno almeno 200ml di globuli rossi A) e la trasfondo
in un ricevente di gruppo 0, lo uccido; a questo punto si possono fare due cose: faccio una
sedimentazione in laboratorio agendo sul plasma prelevato e quindi abbasso il quantitativo
di globuli rossi e di conseguenza quando faccio la trasfusione avrò un minor quantitativo di
globuli rossi A, oppure agisco sul ricevente e gli faccio 1 o 2 plasma exchange (il giorno
prima), in questo modo gli abbasso la quantità di proteine patologiche. In questo caso siamo
nella seconda categoria: a seconda del paziente scelgo tra queste due possibilità.

Cosa hanno in comune tutte queste patologie?

Sono mediate da anticorpi. Nel caso della sindrome


di Guillan-Barrè si interviene il prima possibile
senza discutere con il plasma exchange prima che
intervenga una paralisi. Questa sindrome da sempre
è stata ipotizzata come possibile conseguenza dei
vaccini.
Nel caso della sindrome paraneoplastica del SNC
la situazione è diversa: si è visto che quando sono
presenti tumori possono essere presenti anche
sintomatologie neurologiche, in alcuni di questi casi si è visto che la malattia è causata anche da
anticorpi contro vari antigeni motivo per cui si ricorrere al plasma exchange.

Per quanto riguarda la plasmaferesi si tratta di una procedura sicura se si fa tutti i giorni, non è
sicura se si fa due/tre volte l’anno, l’efficacia si vede subito perché è una terapia d’attacco (se la

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paralisi della guillan-barrè non si comincia a risolvere dopo la terza aferesi continuerò a lavorare ma
so in anticipo che sarà poco efficace).

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