Luigi D'alonzo - La Differenziazione Didattica Per L'inclusione - Riassunto
Luigi D'alonzo - La Differenziazione Didattica Per L'inclusione - Riassunto
Luigi D'alonzo - La Differenziazione Didattica Per L'inclusione - Riassunto
Introduzione
In questo libro parleremo di differenziazione didattica, ossia come riuscire a proporre percorsi
educativi e didattici efficaci. La cosiddetta “didattica tradizionale” ormai non basta. Bisogna
proporre una soluzione qui e ora, ovvero essere in grado di gestire la classe, di possedere abilità per
presentarsi agli allievi con la propria personalità e intenzionalità educativa. La differenziazione
didattica è un’impostazione metodologica che propone piani di lavoro idonei per ogni allievo,
fondata sulla convinzione che tutti in aula presentano i propri bisogni, i propri problemi e hanno le
loro personali potenzialità. Bisogna considerare tutte le personalità diverse presenti in un contesto
classe. La differenziazione diventa così una scelta pedagogica necessaria perché vincolata alla
realtà. Di fronte alla proposta della differenziazione didattica si manifestano generalmente due
reazione : la prima di perplessità e la seconda di avversità. La perplessità nasce dal termine
“differenziazione”, troppo simile all’aggettivo che segue la parola classe : “differenziale”;
immediato è il riferimento alla Legge n.1859 del 31 dicembre 1962 in cui, all’articolo 12, si
stabiliva che : “possono essere istituite classi differenziali per gli alunni disadattati scolastici : esse
possono avere un calendario speciale con appositi programmi e orari di insegnamento.” Invece, la
differenziazione favorisce l’inclusione e vuole rispondere ai bisogni di ogni allievo in classe. La
seconda reazione è, come abbiamo detto, di avversità, basata soprattutto sull’opinione che la
differenziazione sia una bella proposta pedagogica, ma inattuabile nelle nostre scuole perché
mancherebbe un’adeguata formazione degli insegnanti. In educazione non dobbiamo avere timore
delle novità, occorre piuttosto rinnovare continuamente le nostre idee e le nostre strategie.
Insegnare è sempre più problematico. Le insegnanti ammettono le loro fatiche nel mettere in atto
iniziative didattiche che siano minimamente in grado di riscuotere interesse negli studenti.
Raramente si incontrano insegnanti che fanno il proprio mestiere con serenità e si soffre sempre più
spesso di fenomeni di burn out.
La complessità
Complessità è la parola che attualmente meglio riassume le ragioni delle difficoltà della nostra
scuola. Le classi omogenee non sono mai esistite. La classe, o meglio la vita di classe, diventa per
alcuni un ambiente inadeguato ad aiutarli, all’interno del quale non riescono a superare la fase della
propria vita che avvertono pesante e priva, a volte, di speranza. La crisi finanziaria globale sta
producendo i suoi effetti e le sue ricadute, soprattutto con il declino economico e sociale di questi
ultimi anni. La disoccupazione giovanile in Italia è un vero dramma : oltre il 40% dei giovani non
ha lavoro.
Il ruolo della scuola, al riguardo, è decisivo : rimane l’unica agenzia educativa in grado di
promuovere cultura e cittadinanza. Ci sono delle fragilità interne all’interno della società. La
Chiesa, per esempio, faro indispensabile non solo spirituale, ma anche sociale e culturale, è sempre
meno percepita dalla comunità sociale. Siamo spesso testimoni di scelte educative chiaramente
sbagliate. Le TIC, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sono sempre più
utilizzate dalle giovani coppie come strumento pedagogico essenziale per tranquillizzare e
rasserenare bambini e ragazzi, che altrimenti, avrebbero bisogno di attenzioni e cure educative da
parte di adulti sempre meno disposta alla relazione e all’impegno formativo intenzionale. Tutto ciò
ha delle conseguenza, e gli insegnanti si accorgono di come sia difficile a scuola catturare
l’attenzione degli studenti.
Molto interessante è una ricerca condotta dal Centro Studi e ricerche sulla Disabilità e Marginalità
dell’Università Cattolica di Milano, che analizzeremo in modo approfondito nel secondo capitolo, i
quali ci mostrano in che cosa gli allievi siano cambiati negli ultimi anni. La ricerca analizza in
quale aspetto è stato notato il cambiamento degli alunni. Con il 68% vi è un comportamento
irrispettoso verso le regole. Poi in ordine di decrescenza abbiamo la fragilità emotiva, disattenzione,
irrequietezza, scarsa tenuta sul lavoro, facilità ad annoiarsi, demotivazione all’approfondimento,
comportamento irrispettoso versi gli adulti ed infine, con il 22% abbiamo comportamento
irrispettoso verso gli insegnanti e comportamento irrispettoso verso i compagni. Se le norme non si
rispettano in classe e a scuola, è impossibile esercitare un’azione educativa e didattica efficace. La
vita comunitaria si regge sul rispetto di regole condivise che tracciano percorsi sicuri per tutti e la
loro violazione comporta, da parte degli insegnanti, sforzo e fatica per cercare di favorire il clima in
classe. La fragilità emotiva dei ragazzi è il secondo aspetto in cui si è maggiormente riscontrato il
cambiamento degli alunni. Questo è dato anche dalla globalizzazione. Osserviamo questi dati :
Possediamo 168 telefoni cellulari per 100 abitanti. Siamo di fronte ad incessanti esposizione agli
strumenti multimediali. L’irrequietezza in aula emerge come caratteristica trasversale ad ogni grado
scolastico, logicamente legata alla scarsa consuetudine a sopportare e a subire anche le più piccole
imposizione del mondo esterno. Viene dato poco spazio al pensiero sulle conseguenze dell’agire
impulsivo, al ragionamento ponderato sulle proprie azioni. I ragazzi sono maldisposti a tollerare gli
insuccessi. Le strade più comuni che emergono e che spessissimo sono scelte da questi allievi sono :
I gruppi classe hanno gruppi molto eterogenei. Secondo differenti studi qui sotto scriviamo l’elenco
di coloro che turbano e mettono in crisi :
Per gli allievi difficili sono necessari molta pazienza e impegno continuo per infrangere un muro,
una barriera che rende il lavoro in classe improbo e talvolta mortificante. I soggetti maleducati,
ossia educati male perché poco abituati a lasciarsi guidare nell’assunzione di comportamenti
opportuni e corretti. Infatti, si riconoscono per l’utilizzo di intercalari verbali scurrili e
atteggiamenti scortesi. Poi abbiamo gli allievi con disabilità. È dagli anni 70’ che il nostro paese ha
fatto una scelta precisa : tutti devono andare a scuola, tutti devono frequentare le istituzioni
educative. I docenti devono attivare percorsi educativi e didattici idonei. L’insegnante di sostegno è
una risorsa. Il punto è che bisogna progettare una vita di classe veramente inclusiva dove ogni
allievo, al di là dei suoi bisogni specifici, al di là dei suoi disturbi e delle sue problematiche, possa
trovare un ambiente pregno di intenzionalità educativa. Tutto questo porta ad un grande impegno
progettuale per la costruzione di un buon clima educativo, tenendo conto delle esigenze dei soggetti.
Le diversità riguardano :
Siamo di fronte ad una fragilità del sistema di valori e siamo attraversati da una sensazione di
stanchezza e di malessere.
La scuola è una comunità educante, che accoglie ogni alunno nello sforzo quotidiano di costruire
condizioni relazionali e situazioni pedagogiche tali da consentire il massimo sviluppo, non solo
attraverso il conseguimento di competenze o di abilità specifiche, ma soprattutto mediante
l’acquisizione delle norme civili e degli abiti morali che sono alla base di ogni società democratica.
È fondamentale che la scuola sia pensata come sistema in grado di accogliere e fare integrare
istanze e bisogni diversi con l’obiettivo prioritario di realizzare il pieno sviluppo della persona e
della sua formazione. Si punta alla promozione del benessere. Vivere la scuola non può e non
dovrebbe rappresentare un problema : né per gli studenti, né per i docenti, né per le famiglie. La
scuola è uno spazio sociale in cui prendono corpo e si sviluppano nuove e differenti forme di
disagio. Infatti, gli alunni vivono con fatica il rapporto con l’istituzione scuola e con un sistema di
apprendimento basato sulla logica della valutazione. Bisogna costruire relazioni umane autentiche,
improntate sulla fiducia e al rispetto reciproco.
Si avverte una maggiore difficoltà nel riuscire a comprendere ed educare i ragazzi che sembrano
diventati particolarmente problematici sul piano emotivo, comportamentale o relazionale. Le classi
sono sempre più complesse ed è difficile instaurare con i propri allievi un legame di valore. Emerge
come le difficoltà esperite dagli insegnanti non possano essere ricondotte, tout court, alla gestione di
una singola condizione di disabilità o di disagio dello studente, ma siano intrinseche alla natura
stessa di un gruppo. Il grido di aiuto di molti docenti di oggi si declina dunque nella possibilità di
gestire questa eterogeneità, rispettando i bisogni educativi di tutti e di ciascuno, soprattutto laddove
essi siano nascosti o difficilmente interpretabili.
La ricerca
Un contributo verso la comprensione di tale complessità è offerto dalla già citata ricerca Gli alunni
a scuola sono sempre più difficili? La percezione degli insegnanti, condotta dal Centro Studi e
Ricerche sulla Disabilità e la Marginalità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
L’indagine ha avuto due fasi : settembre 2012 e maggio 2014. I questionari raccolti sono stati 754,
sino a raggiungere nella fase conclusiva un campione complessivo di 915 docenti di vari ordini,
dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di II grado. La finalità del progetto è consentire,
attraverso la somministrazione di uno strumento semplice e immediato, la partecipazione di un
numero significativo di docenti, con lo scopo di conoscerne la percezione in merito alle difficoltà
sperimentate in aula nella gestione quotidiana degli alunni. Il questionario era composto da 21
domande, di cui 16 a risposta chiusa e 5 a risposta multipla, suddivise in sei aree : caratteristiche del
campione, composizione delle classi, cambiamento degli alunni nel tempo, clima di classe e
percezione del docente circa la distanza che intercorre tra le cosiddette “eccellenze” e la media dei
compagni.
La percentuale di coloro che sono in servizio da quasi e oltre venti anni risulta essere abbastanza
elevata. Vi è un forte divario generazionale.
È stato chiesto al docente l’individuazione di alcune possibili categorie : presenza di alunni con
disabilità, con disturbi specifici dell’apprendimento, stranieri, con disagi personali e educativi,
allievi maleducati e ancora alunni ansiosi, pigri, scansafatiche, ma anche coloro che si distinguono
per le eccellenti capacità sul piano degli apprendimenti e che richiedono, anch’essi, attenzioni e
interventi educativi specifici. Le classi sono mediamente composte : 22 alunni, dei quali 1 con
disabilità, da 1 a 2 con DSA, da 3 a 4 ragazzi stranieri, da 2 a 3 con problematiche personali ed
educative marcate, da 2 a 3 maleducati, da 3 a 4 ansiosi, pigri e scansafatiche e 3 allievi eccedenti
sul piano degli apprendimenti. Possiamo notare come la disabilità intellettiva rappresenta la
tipologia più diffusa. L’alunno straniero costituisce una presenza importante nelle classi.
Analizzando, infine, le altre condizioni problematiche, si osserva con il passaggio agli ordini di
scuola superiori, un incremento significativo di studenti percepiti come fragili o particolarmente
problematici sul piano umano, emotivo e relazionale.
La gestione dei ragazzi è sempre più difficile, anche per coloro che hanno una recente formazione e
che dovrebbero riuscire a proporsi come motore di rinnovamento. Nell’indagine realizzata dalla
Fondazione Giovanni Agnelli si cerca di comprendere il profilo dei nuovi insegnanti. Bisogna
promuovere la motivazione all’apprendere, mantenere la disciplina e ottenere dagli studenti risultati
soddisfacenti di apprendimento. Sono presenti anche degli elementi positivi come la gratificazione
che l’insegnante ricava dal rapporto personale con lo studente. I docenti neoassunti sono anche
consapevoli del ruolo prioritario assunto dalle relazioni umane e dalle dinamiche che esse portano
con sé nella costruzione di un positivo clima di lavoro, condizione indispensabile ai fini
dell’apprendimento. Da una lato si vogliono rendere i bambini autonomi il più presto possibile, fin
dal nido e dalla scuola dell’infanzia, mentre dall’altro si fatica a trovare le strategie educative per
aiutare i ragazzi più grandi a sganciarsi da dinamiche di dipendenza che li rendono sempre più
fragili e passivi. Alcuni docenti affermano : “ I ragazzi non hanno sogni, né obiettivi da
raggiungere” e “ Mancano di interesse per qualunque argomento”. Analizzando nel dettaglio le
risposte fornite a tale quesito in relazione all’anzianità di servizio si rivela una notevole discrepanza
in termini di valori percentuali tra i due estremi, ossia tra docenti che hanno meno di 5 anni e più di
20 anni di insegnamento, soprattutto in corrispondenza di alcuni item. Se da un lato i veterani
indicano nelle successive posizioni la scarsa tenuta sul lavoro, la fragilità emotiva e la
demotivazione all’apprendimento, dall’altro i più giovani evidenziano il comportamento irrispettoso
verso gli insegnanti e verso gli adulti in generale. A pagina 34 e 35 del libro notiamo in alcune
tabelle il trend temporale relativo al tempo necessario all’inizio dell’anno per creare un adeguato
clima in classe. Oggi viene utilizzato più tempo per crearlo, più di otto settimane rispetto alle quasi
tre settimane utilizzate 20 anni fa. La seconda tabella analizza la suddivisione per ordini scolastici.
Notiamo che oggi viene sempre utilizzato più tempo con maggiore riguardo per la Scuola
Secondaria di primo grado. Nella terza tabella notiamo che oggi viene dato maggiore spazio alla
creazione del clima in classe nella prima ora di lezione. Per raggiungere questo traguardo oggi si
utilizzano circa 11,5 settimane, mentre venti anni fa venivano utilizzate solo poco più di 6
settimane. Infine, notiamo nell’ultima tabella, che viene data maggiore importanza alla Primaria per
costruire un buon clima di classe nella prima ora di lezione, esattamente con un tempo di lavoro di
quasi 12 settimane.
Sembrerebbe scontato sottolineare come la felicità di un gruppo sia l’esito del benessere di ogni suo
singolo componente e come tale valore rappresenti, per ciascuno, l’obbiettivo ultimo in grado di
donare significato ai gesti e agli impegni quotidiani. Bisogna riscoprire la centralità del ruolo
docente, della qualità delle relazioni che riuscirà ad attivare e a mantenere, e ancor di più delle
risorse emotive e affettive, le uniche in grado di trasformare una trasmissione di nozioni in una reale
esperienza di apprendimento. È fondamentale il legame autentico, di fiducia, che si instaura a
livello umano tra l’allievo e il suo insegnante. Gli studenti sono più felici di andare a scuola quando
hanno buone relazioni con i loro docenti. Si chiama in causa il valore del tempo. Il riconoscimento
della persona, e non solo della sua identità di studente, ma anche della sua presenza, della
disponibilità e della lealtà con la quale l’insegnante educatore riesce a porsi nei confronti dei suoi
allievi. Lo stesso Papa Francesco afferma che non bisogna ridurre tutto alla sola trasmissione di
conoscenze tecniche, ma bisogna puntare a costruire una relazione educativa con ciascun studente.
Bisogna raggiungere la mente e i cuori di tutti.
Il rapporto della commissione dell’UNESCO coordinata da Jacques Delors pubblicato nel 1996, dal
bellissimo titolo Learning : the treasure withim, metteva al centro della sua analisi l’apprendimento,
rivolgendo massima attenzione alla persona che apprende nella sua integralità. Venivano, infatti,
individuati i pilastri : “ sapere, saper fare, saper essere e saper vivere insieme”. Oggi si preferisce
insistere su altri concetti : “conoscenze, abilità e competenze”. La competenze viene definita alla
stregua di una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti appropriati al contesto. Con le
Indicazioni Nazionali s’intendono fissare gli obbiettivi generali, gli obiettivi di apprendimento e i
relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini e ragazzi per ciascuna disciplina o
campo di esperienza. Le competenze chiave per l’apprendimento permanente definite dal
Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea che sono : comunicazione nella
madrelingua, comunicazione nelle lingue straniere, competenza matematica e competenza di base in
scienza e tecnologia, competenza digitale, imparare ad imparare, competenze sociali e civiche,
spirito di iniziativa e di imprenditorialità e consapevolezza ed espressione culturale. Bisogna notare
la diversità di obiettivi specifica in una prospettiva di educazione permanente.
Cos’è la differenziazione
Sono più di quarant’anni, dalla Legge 118 del 1971, che la scuola italiana ha aperto le sue porte alla
differenziazione, ovvero alla costruzione di :
Se un docente vuole offrire un vero aiuto progetta un percorso differenziato specifico, si adopera
per conoscere le abilità dello studente, si attiva per comprendere le sue potenzialità, adotta metodi e
procedure volte a incontrare le sue esigenze speciali. È un alibi sostenere di portare fuori dall’aula
l’allievo affinché possa apprendere e consolidare meglio ciò che è stato prima presentato in classe a
tutti, disconoscendo un principio pedagogico ormai assodato : l’apprendimento significativo si
realizza quando la proposta didattica viene adeguatamente e preliminarmente preparata offrendo
all’allievo con difficoltà opportuni anticipatori che gli consentano di affrontare prima i passaggi
nodali nella costruzione degli apprendimenti. L’8 ottobre 2010 segna l’inizia di qualcosa di molto
importante nella scuola italiana : viene emanata la Legge n.170. L’allievo con DSA può essere
aiutato ad affrontare l’esperienza scolastica attraverso la predisposizione di un ambiente educativo
in cui vengono soddisfatti i suoi bisogni specifici. Occorre progettare un piano didattico
individualizzato per il soggetto con disabilità, ma anche procedere a un piano personalizzato per gli
allievi con DSA. Di conseguenza si adottano metodi e strategie educativo- didattiche in linea con le
necessità degli allievi. Importante anche la direttiva del MIUR del 27 dicembre del 2012 “Strumenti
di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione
scolastica”. Si afferma che : in ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale
attenzione per una varietà di ragioni : svantaggio culturale e sociale, disturbi specifici di
apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della
cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse. Ci sono i BES che vengono
compresi in tre grandi sotto-categorie : quella della disabilità, della dei disturbi evolutivi specifici e
quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale. Il termine BES come abbiamo visto
è un acronimo ombrello.
Il problema enorme, però, è come fare per rispondere ai diversi bisogni individuali degli allievi
presenti in aula. Il programma di studio ministeriale, scandito in sequenze di obbiettivi che gli
alunni dovevano raggiungere, è stato superato alla logica del curricolo, grazie alla quale la scuola ha
capito che a livello centrale si possono offrire solamente indicazione nazionali generali, ma poi, ad
avere la responsabilità diretta della proposta formativa sono gli insegnanti che quotidianamente
incontrano i loro allievi in classe. Con la presenza dei soggetti con disabilità, con la novità degli
allievi con DSA e la normativa dei BES gli insegnanti più accorti e sensibili hanno compreso che
occorre proporre in classe attività che possano incontrare le istanze di questi allievi, riconoscendo di
fatto che è fondamentale impostare in modo diversi il proprio modo di fare scuola. Questi
insegnanti, però, si sono resi conto che esiste anche il problemi di quei soggetti che in breve tempo
riescono a completare il piano di lavoro rimanendo poi con le mani in mano, in attesa che il resto
del gruppo concluda l’attività. Il grave rischio è trovarsi a fine anno con ragazzi delusi o
insoddisfatti della scuola. La soluzione che appare evidente è la differenziazione didattica.
La Tomlinson ritiene che sia necessario adottare il modello della differenziazione in un mondo in
continuo cambiamento, impostato su un clima sociale e culturale fondato sulla risposta ai bisogni
individuali di ciascuno. Bisogna fare scuola tenendo conto di tre ambiti : contenuto, processo e
prodotto. È essenziale differenziare il contenuto, quindi la comunicazione scritta, la forma orale, la
modalità iconica, il linguaggio non verbale, gli strumenti informatici e altro ancora. Differenziare il
processo è la fase più strettamente legata alla didattica e riguarda cosa il docente mette in atto per
promuovere negli studenti l’apprendimento. In terzo luogo, occorre differenziare il prodotto atteso.
Possiamo citare il compito autentico : possiamo definire i compiti autentici come problemi
complessi e aperti posti agli studenti come mezzo per dimostrare la padronanza in un dato ambito di
competenza. Un prodotto non è qualcosa che gli studenti producono dopo una sola lezione o come
esito di una o due attività, è piuttosto una ricca valutazione finale in cui si chiede agli studenti di
applicare e di estendere ciò che hanno appreso lungo un periodo di tempo. La Tomlinson basa il suo
modello di differenziazione sulla conoscenza approfondita degli allievi. Per un insegnante è
doveroso conoscere i propri allievi e accompagnarli nella loro zona di sviluppo prossimale, occorre
capire il profilo personale d’apprendimento dei nostri allievi. È poi molto importante comprendere
bene le caratteristiche dell’intelligenza dei nostri ragazzi. Seguendo la teoria delle intelligenze
multiple di Gardner, occorre considerare l’intelligenza verbale-linguistica, quella logico-
matematica, quella musicale, l’intelligenza spaziale, quella corporeo-cinestesica, quella
naturalistica, quella interpersonale, quella intrapersonale ed infine l’intelligenza esistenziale.
Riassumendo la mappa concettuale di Tomlinson presente a pagina 60, possiamo affermare che : la
differenziazione didattica è la risposta dell’insegnante ai bisogni dello studente. È guidata dai
principi generali di attività rispettose delle esigenze degli allievi, gruppi flessibili e monitoraggio e
revisione continui. Gli insegnanti possono differenziare il contenuto, processo e prodotto in accordo
con la prontezza dello studente, gli interessi dello studenti e il profilo di apprendimento dello
studente.
Quali sono i punti di riferimento scientifici che sorreggono il modello della differenziazione
didattica?
1. La teoria della zona prossimale di sviluppo (Vygotskij), secondo cui esistono due stadi dello
sviluppo delle funzioni: prima una fase embrionale e successivamente una loro maturazione. La
zona di sviluppo prossimale è rappresentata dalla distanza che intercorre tra sviluppo potenziale e
sviluppo effettivo dell’individuo. Considerando che lo sviluppo potenziale possa essere determinato
attraverso il problem solving sotto la guida di specializzati, è chiaro che questi debbano mirare a
ridurre la distanza inserendosi in una zona prossimale dove gli alunni possano attivarsi e affrontare
l’apprendimento con la consapevolezza che si possiedano tutte le competenze necessarie per farlo.
2. La teoria delle intelligenze multiple (Gardner), che considera l’idea che lo sviluppo umano
possieda contemporaneamente plasticità e flessibilità, entrambe modulate da costrizioni genetiche
che guidano e orientano lo sviluppo stesso. I principi scientifici che interessano l’individuo nel suo
sviluppo sono: la canalizzazione, secondo cui ogni organismo vivente segue determinate linee di
maturazione; la predisposizione, ovvero l’attitudine di ogni organismo a passare attraverso
determinate vie di sviluppo; e infine la plasticità, la capacità di ogni organismo di adattarsi e di
modificarsi in base alle proprie esigenze personali e ambientali. Ogni individuo si sviluppa in base
ai propri ritmi di crescita e ai “periodi critici”, che altro non sono che una riduzione cellulare
causata dalla morte selettiva di cellule in eccesso, in seguito ad una produzione sovrabbondante di
fibre neuronali. Nel cervello si distinguono due livelli: il livello molecolare, composto da moduli di
cellule nervose che danno origine a funzioni indipendenti; e il livello molare, che identifica aree
maggiori nella zona corticale come gli emisferi. Il cervello è dunque suddiviso in regioni specifiche,
ognuna funzionante in modo autonomo, ma capace di cooperare. Ognuna ha il suo iter di crescita e i
suoi periodi critici, e si sviluppa secondo una propria velocità e in modi differenti. Si deduce che
esistano diverse intelligenze (linguistica, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinetica,
interpersonale, intrapersonale, naturalistica e esistenziale) e che ognuna di queste funzioni in modo
autonomo, come un insieme di procedimenti di know-how. Ciascun individuo dispone di tutte le
intelligenze, ma si differenzia per il profilo intellettivo che presenta aree di forza e aree di
debolezza. Questo concetto è di importanza rilevante nel progettare un sistema educativo
differenziato.
4. La teoria dei 4 stili di apprendimento (Silver, Strong, Perini) secondo cui esistono quattro
stili di apprendimento: 1. stile di padronanza (percettivo-riflessivo) caratterizzato da una sensibilità
verso i dettagli, l’attività fisica e abilità nell’organizzare, relazionare e pianificare; 2. stile
comprensivo (intuitivo-riflessivo) caratterizzato da una sensibilità verso le questioni, le idee e una
capacità di analisi e di argomentazione; 3. stile autoespressivo (intuitivo-sensibile) caratterizzato da
una disposizione all’innovazione, alla creatività e abilità nel pensiero metaforico e nell’ideare
soluzioni originali; 4. stile interpersonale (sensibile-coinvolgente) caratterizzato da una
inclinazione per i sentimenti, le relazioni e da attitudini verso l’espressione delle emozioni e la
costruzione di rapporti relazionali empatici. Ogni nostri allievo possiede un proprio stile
d’apprendimento e da ciò deriva la necessità di comprenderlo quanto prima.
5. Le ricerche sulla differenziazione che si sono approntate in questi anni per capire quanto
efficacemente questo modello didattico possa corrispondere ai bisogni di una scuola che desideri
essere di valore per i propri allievi. La ricerca del National Research Council evidenzia le
caratteristiche che una scuola o una classe deve possedere: 1) la centralità degli studenti, tenendo
conto delle esigenze personali e sociali dei ragazzi; 2) la preoccupazione per la conoscenza, infatti
una scuola deve agire per favorire un corretto apprendimento e incrementare la conoscenza dei
propri allievi e le abilità ritenute indispensabili; 3) la capacità di considerare la valutazione come
strumento formativo utile per indirizzare e promuovere l’apprendimento; 4) la comunità di
apprendimento, il gruppo classe e la comunità scolastica non sono variabili trascurabili, il contesto
dove si promuovono le potenzialità dei singoli allievi deve essere comunitario e sociale, e richiede
grande investimento per la costruzione del gruppo. nella ricerca di Hattie vengono sintetizzati 15
anni di ricerche, coinvolgendo milioni di allievi e rappresentando il più grande repertorio di
evidence-based research su ciò che realmente si rivela efficace per incrementare l’apprendimento: i
traguardi di apprendimento sono chiari; i feedback sono frequenti; gli insenanti esprimono passione
per le attività proposte; gli allievi sono rispettati dall’insegnante; è promossa la partecipazione degli
allievi. Interessante è il collegamento tra l’impegno dell’insegnante nel promuovere
l’apprendimento e la capacità dell’allievo di autoalimentare la propria voglia di imparare,
accompagnato dalla consapevolezza dell’importanza di automonitorarsi, di autovalutarsi e di
autoapprendere. La ricerca conferma che l’insegnante fa la differenza, un docente capace ha un
impatto talmente notevole che i ragazzi maturano con forte anticipo abilità e competenze. Le
seguenti capacità identificano un insegnante capace: 1) essere in grado di utilizzare le modalità
migliori per presentare l’oggetto dell’insegnamento, introdurre bene le attività favorisce i
collegamenti necessari con le conoscenze già in possesso degli allievi, padroneggiare un ampio
bagaglio di strategie didattiche permette agli alunni di imparare e di raggiungere le mete previste; 2)
essere capace di creare un ottimo clima di classe per l’apprendimento, promuovendo le corrette e
opportune modalità relazionali e collaborative utili per impostare un lavoro di classe basato sul
rispetto reciproco, sull’attenzione dell’altro, sull’accoglienza delle diversità, sulla capacità di
risolvere conflitti, sulla gestione delle emozioni, sull’autocontrollo, sul dialogo e sulla
comprensione; 3) essere costante nel monitorare e nell’offrire feedback, comprendendo le necessità
e intervenendo per aiutare gli allievi; 4) essere convinti che ogni allievo può raggiungere la metà
prefissata, con tutta la fiducia necessaria verso le potenzialità dei suoi studenti perché tutti possano
incrementare in proprio bagaglio di conoscenze, abilità e competenze; 5) essere consapevoli che il
proprio operato influenzerà in gran parte i risultati degli allievi, la qualità del loro apprendimento
dipende strettamente dal suo impegno e dalla sua competenza. La programmazione è considerata
molto importante, Hattie evidenzia 4 aspetti critici che il bravo insegnante deve considerare nel
pianificare: le acquisizioni pregresse (livello iniziale dello studente), l’apprendimento mirato
(livello che si desidera raggiungere), la progressione (la serie sequenziale di step dell’attività) e la
collaborazione dell’insegnante nel favorire il successo formativo. Nella programmazione è molto
importante capire il punto di partenza dei ragazzi perché occorre avere ben chiaro cosa si desidera
raggiungere e quando si pensa che tale obiettivo sarà raggiunto. È necessario impostare attività
didattiche capaci di prendere il via dai diversi punti di partenza, dai diversi livelli di padronanza e
dalle diverse posizioni. Hattie ha anche evidenziato quali siano le strategie che abbiano più o meno
influenza sugli apprendimenti a scuola, partendo da una bassa efficacia ritroviamo la bocciatura,
passando per una efficacia media dell’ambiente familiare, fino ad arrivare al massimo grado che
corrisponderebbe alle aspettative degli studenti. Marzano rivisita 35 anni di ricerche arrivando a
sintetizzare quali strategie di insegnamento hanno un impatto positivo per gli allievi. Ne ricava 9
categorie di strategie: identificare similitudini e differenze, fare sintesi e prendere note, rinforzare
gli sforzi e fornire riconoscimento, compiti per casa, rappresentazioni non linguistiche, cooperative
learning, pianificare obiettivi e fornire feedback, ideare e testare ipotesi, questionari e organizzatori
anticipati. La ricerca Olson illustra come le esperienze scolastiche possano incidere profondamente
nell’animo delle persone, considerando i dolori insanabili che la scuola può provocare: la perdita
del piacere di apprendere; la convinzione che non si è intelligenti o capaci; la convinzione che le
capacità non possano migliorare con lo sforzo; la rabbia verso gli insegnanti etc. Tali lacerazioni
posso tuttavia essere ricucite da insegnanti capaci. La ricerca Brimijoin, Narvaez e Tomlinson
descrive come la differenziazione didattica porti a risultati favorevoli nelle performance scolastiche.
Dopo tre anni di sperimentazione, si sono ottenuti risultati superiori al livello di partenza di circa il
30%.
Gli allievi sono sempre più difficili e spesso manifestano in aula comportamenti poco gestibili.
Impongono senza remore i propri bisogni con atteggiamenti oppositivi, provocatori e sfidanti,
trasgredendo talvolta alle regole di civile convivenza e ponendo all’attezione degli insegnanti le
proprie marcate diversità personali. La differenziazione didattica può essere l’unica opzione per
condurre in porto un’esperienza di insegnamento-apprendimento valida per tutti gli allievi. Gestire
la classe significa includere tutto ciò che un insegnante deve fare per promuovere il coinvolgimento
e la cooperazione dell’allievo stabilendo un produttivo ambiente di lavoro.
- incominciare con una proposta formativa articolata che agganci gli interessi degli studenti
rispettando i loro differenti bisogni;
- progettare un piano di lavoro adattandolo alle esigenze degli studenti differenziando contenuti,
percorsi e prodotti da realizzare;
- far percepire che l’apprendimento si fonda sulla collaborazione fra insegnanti e allievi.
Per offrire processi formativi idonei è indispensabile conoscer bene gli allievi. È noto a tutti come
l’apprendimento avvenga in modo significativo solamente se tra discente e educatore esiste una
relazione scambievole di stima e fiducia reciproca. L’educando deve trovare nel proprio docente un
educatore vero, una persona che desidera il suo bene e mostra nell’incontro relazionale la passione
per il proprio mestiere. Un giovane, nel pieno della sua evoluzione, ha l’opportunità di incontrare
educatori, docenti capaci di incidere profondamente nel suo intelletto, nelle sue emozioni, e di
portare allo scoperto doni e abilità che non pensava di possedere. Per impostare una corretta azione
formativa è, quindi, necessario creare un legame educativo, un rapporto intenzionale alla base del
quale c’è inevitabilmente la comprensione profonda dell’allievo. Ma come fare?
3. Proporre lavori volti alla conoscenza dei singoli: si possono proporre questionari per
favorire la conoscenza personale, l’interesse per specifiche attività, i metodi di studio preferiti.
Capire le peculiarità dei nostri allievi significa inaugurare prospettive di lavoro utili alla
soddisfazione dei loro bisogni personali e, quindi, a incrementare motivazione e interesse per le
attività proposte. È necessario considerare tre aspetti: lo stile di apprendimento di ciascun allievo, le
peculiarità che presentano sul piano intellettivo, le condizioni ambientali in cui si esprime al meglio.
Lo stile di apprendimento costituisce delle vere abitudini mentale che l’allievo utilizza in modo
prevalente. Le peculiarità intellettive sono abilità intellettive specifiche che, se vengono utilizzate
efficacemente nelle attività, consentono il raggiungimento del successo formativo. Infine le
condizioni ambientali e sociali sono rilevanti: alcuni bambini preferiscono lavorare da soli, altri
prediligono la coppia e altri ancora si impegnano solo se inseriti in gruppo.
La conoscenza dei singoli allievi dovrebbe sfociare nella compilazione di un profilo di classe che
evidenzia punti di forza e punti di debolezza di ciascun allievo, al fine di importare al meglio
un’azione educativa valida.
Il clima positivo
Per agire con successo è altresì importante creare un clima d’aula idoneo all’apprendimento, capace
di avvolgere la singola persona in un’atmosfera costruttiva, collaborativa e affettiva. È preferibile
lavorare in un contesto sociale rispettoso della persona e stimolante sul piano culturale.
L’insegnante deve investire tempo ed energie nel creare le condizioni che favoriscano un clima di
classe positivo per tutti gli allievi, con la consapevolezza che esso condiziona il processo di
insegnamento/apprendimento. Un clima di classe positivo aiuta ogni allievo a vivere con impegno e
fiducia la proposta formativa, mentre un clima di classe negativo, inadeguato, può provocare
chiusure e difese che condizioneranno sfavorevolmente l’impegno nell’apprendimento. Gli elementi
su cui costruire un clima di classe positivo sono: atmosfera invitante, atmosfera serena, atmosfera
comprensiva, atmosfera coesa, atmosfera di sostegno. L’allievo si impegna e dà il meglio di sé solo
se respira un clima educativo di fiducia e serenità, di accettazione e di rispetto. In tale ambiente egli
affronta i compiti senza essere condizionato dai risultati e dalle valutazioni conseguenti, egli sa che
il proprio insegnante lo aiuterà nei momenti di difficoltà e che i propri compagni sono una risorsa
cui può attingere, essendo anch’egli pronto ad aiutare gli altri. I risultati ottenuti, anche se negativi,
non rappresentano un problema, ma un elemento decisivo per avanzare nell’acquisizione delle
abilità. Il gruppo classe è un valore aggiunto e i traguardi raggiunti sono il risultato del lavoro
unitario dell’intero gruppo piuttosto che la somma dei singoli successi. Il questo clima positivo, tutti
sono consapevoli che l’insegnante propone obiettivi importanti, perché ha stima negli studenti e
fiducia nelle loro capacità e desidera che essi si impegnino. Quando le mete sono stimolanti e la
situazione è positiva, i ragazzi investono perché si rendono conto che alla fine la soddisfazione
personale e comunitaria sarà grande a appagante. Un clima di classe negativo, invece, provoca
sensazioni emotive spiacevoli, induce alla deresponsabilizzazione, all’ostilità. In un’atmosfera
simile nessuno può dare il meglio di sé, nemmeno i docenti, e i ragazzi sopravvivono mostrando
atteggiamenti e comportamenti inadeguati e provocatori. La differenziazione didattica si fonda sulla
creazione di un clima di classe promozionale all’apprendimento ed è impostato su tre principi
(Roberts e Inmann): rispetta la diversità, mantiene alte le aspettative, promuove apertura verso gli
altri. Il rispetto per le differenze e le diversità è un valore indiscutibile nelle classi inclusive.
L’insegnante agisce per promuovere un clima di classe in cui si accresca la consapevolezza che la
diversità è un dato di fatto ineludibile e prezioso. L’uomo nasce diverso dai suo simili e la sua
individualità è cosi marcata che lo rende unico. Nelle classi, inoltre, convivono allievi appartenenti
a paesi. Comunità e culture assai differenti. Nella scuola italiana sono spesso presenti anche
diversità certificate, come le disabilità o i disturbi specifici dell’apprendimento. Fin dal primo
giorno la diversità deve essere conosciuta, abbracciata e celebrata da tutti gli attori scolastici. Per
raggiungere tali obiettivi, i passi possono essere:
1. Iniziare subito: fin dal primo giorno affrontare il tema della diversità sottolineando il fatto
che non esiste un unico modo per apprendere;
2. Mettere in situazione: gli studenti hanno bisogno di vedere concretamente cosa significhi
affrontare compiti e attività in modo differente. È importante che loro possano riflettere sulle loro
abilità, sui loro interessi specifici e sulle loro difficoltà, costruendo la consapevolezza delle proprie
e altrui capacità e dei propri e altrui limiti.
4. Comunicare: la comunicazione è essenziale per creare un buon clima di classe, è la base per
far maturare relazioni personali e rapporti sociali. Fondamentale il ruolo dell’insegnante che ha la
capacità di lanciare messaggi idonei, la sua esigenza di essere compreso da ogni allievo provocherà
nei bambini analoghe modalità comunicative.
Nel modello della differenziazione didattica non si tratta di limitarsi ad offrire agli allievi proposte
basate sui loro interessi, sulle loro abilità, ma di conquistare mete educative e didattiche molto
elevate, nel rispetto delle potenzialità di ciascuno. Ogni allievo deve percepire che la
differenziazione didattica è uno strumento grazie al quale raggiungere quell’eccellenza personale
che lo porta ad esprimere al massimo le proprie potenzialità. L’insegnante deve dimostrare
costantemente di conoscere: cosa i bambini dovrebbero sapere, cosa dovrebbero capire ed eseguire,
cosa dovrebbero essere in grado di fare una volta terminate le fasi di apprendimento. Gentry e co.
indicano quali caratteristiche dell’insegnante favorirebbero la motivazione all’impegno per
l’eccellenza: mostrare interessa per i propri studenti, stabilire alte aspettative per se stessi e per gli
studenti, presentare contenuti e apprendimenti significativi, dimostrare passione per l’insegnamento.
I materiali e i compiti dovrebbero essere accattivanti, pertinenti e dovrebbero sollecitare un
apprendimento attivo. I pilastri su cui costruire la progettazione di una proposta formativa
accattivante sono:
1. Essere attenti alle urgenze personali dei nostri allievi: un insegnante non può operare senza
considerare i loro vissuti, le loro gioie e i loro dolori. Non si può pretendere che un alunno sia
interessato alle questioni culturali in classe se a casa vive un’esperienza familiare devastante che gli
sottrae le energie. Maslow sottolinea che è controproducente avere pretese sui bambini che hanno
bisogni di mancanza (fisiologici, di stima, di sicurezza). Infatti i problemi di crescita diventano
importati solo una volta che i problemi di mancanza vengono soddisfatti.
2. Considerare che gli allievi amano avere successo: gli allievi agiscono e operano solo se
intravedono una prospettiva di successo nel loro operare. Se questa aspettativa non esiste, se i
risultati positivi non ci sono, se il confronto con i compagni è pesante, lo studente può effettuare dei
comportamenti problematici volti ad evitare l’insuccesso.
3. Vigilare sulle giustificazioni personali che si danno gli allievi dei risultati: l’insuccesso può
inficiare l’impegno scolastico, infatti se i risultati ottenuti non corrispondono alle attese, lo studente
può decidere che non vale la pena dedicarsi allo studio, può costruirsi l’idea che l’insegnante non lo
capisca, che altri compagni sono più bravi etc. Se le cause ricercate dallo studente escludono una
sua personale responsabilità, potrebbe avere ripercussioni sul piano motivazionale. Non si può
risolvere il problema degli allievi demotivati stigmatizzando il loro comportamento (non si
impegna, è maleducato…), occorre comprendere le ragioni dei suoi atteggiamenti. Deci e co. sono
convinti che esistano tre bisogni fondamentali, che se soddisfatti, possano favorire adeguatamente
un corretto sviluppo della motivazione intrinseca: il bisogno di autodeterminazione, il bisogno di
relazione e il bisogno di competenza.
6. Sfruttare il grande volano della relazione: le numerose indagini che dagli anni Settanta se
sono svolte hanno confermato che l’insegnante può avere una profonda influenza
sull’apprendimento dello studente. Le conclusioni della ricerca di Wright, Horn e Sanders
dimostrano che i docenti possono essere per gli allievi altamente significativi e in qualche caso
determinanti. L’azione del docente, per questa ragione, deve basarsi su solide basi scientifiche, le
quali non hanno nulla a che vedere con le caratteristiche della personalità del docente. Una relazioni
efficace è caratterizzata da specifici comportamenti come l’esibire livelli appropriati di dominanza,
cioè atteggiamenti sicuri, decisi, capaci di comunicare autorevolezza. Mostrando una personalità
forte, il docente rappresenta per l’alunno una guida e un punto di riferimento. Per esibire una
dominanza valida è però necessario: stabilire aspettative e conseguenze chiare; delineare chiari
obiettivi di apprendimento; esibire un comportamento positivo. È importante informare sulle
aspettative perché i bambini devono sapere ciò che è bene fare e ciò che non lo è, quello che
l’insegnante si aspetta da loro in termini di risultati di apprendimento e di atteggiamenti maturi.
Questo avviene attraverso due modalità: fissare regole e procedure chiare; avvisare gli allievi delle
inevitabili conseguenze dei loro atteggiamenti. È importante dunque definire le regole che vadano a
disciplinare il comportamento generale il comportamento generale all’interno dell’aula, nei lavori di
gruppo, nei momenti ricreativi. Ed è qui che il docente può coinvolgere i propri alunni nel fissare le
norme che devono regolare la vita del gruppo classe, attraverso discussioni volti a favorire un
generale consenso e l’assunzione di responsabilità. L’insegnante deve essere ferreo e applicare i
giusti atteggiamenti nei confronti di quelle persone che non rispettano i patti e le regole stabilite.
Per strutturare un rapporto solido e valido in classe è necessario, infine, progettare una vita di
gruppo a forte impatto cooperativo. Ciascun allievo deve essere coinvolto nella vita degli altri,
mentre la presenza attenta del docente non deve escludere la cooperazione ma supportarla
adeguatamente.
Per programma il piano delle attività è necessario prendere in esame suggerimenti che possono
guidare l’azione della differenziazione didattica.
1. Organizzare l’ambiente della classe scegliendo gli elementi che è possibile diversificare,
utili per aiutare tutti gli allievi a raggiungere risultati eccellenti: è necessario organizzare l’aula in
modo flessibile, adattarla alle varie necessità a seconda delle scelte didattiche. I banchi e gli arredi a
disposizione possono essere spostati e utilizzati a seconda delle varie esigenze: per lavori in piccoli
gruppi, per incontri assembleari dove solo le sedie sono utili etc. Occorre considerare che qualche
allievo può avere la necessità di lavorare da solo e progettare uno spazio utile a questo scopo. La
disposizione dei banchi a isole permette di creare spazi versatili e polifunzionali: lo spazio per la
lettura, quello per le attività ordinarie etc. Anche le pareti dell’aula si prestano ad essere utilizzate
per appendere cartelloni di sintesi dei lavori, immagini che evocano regole etc. Anche le tecnologie
rappresentano una risorsa, infatti non è più possibile esercitare un’azione didattica ordinaria senza il
loro impego. La LIM è uno strumento di grande interesse, ma anche tutti i dispositivi come
computer, tablet, software, include le tecnologie assistive sempre più capaci di aiutare gli allievi con
disabilità, rappresentano alleati preziosi per la differenziazione didattica.
2. Progettare con chiarezza: è importante che i docenti sappiano fin dall’inizio cosa proporre
agli alunni. La chiarezza degli intendimenti, dei contenuti degli obiettivi e delle procedure è alla
base della differenziazione didattica. Un insegnante è chiamato a rispondere ai quesiti: cosa voglio
che gli studenti apprendano? Come saprò che l’hanno appreso? Come progetterò l’insegnamento e
la valutazione per aiutarli nell’intento?
5. Non pianificare una sola attività ma prevederne due o tre: spesso non basta pianificare una
sola attività in relazione a un determinato contenuto, potrebbe essere necessaria una molteplicità di
modi, stili, comunicazioni compiti per appropriarsi dell’apprendimento.
6. Utilizzare contemporaneamente varie attività differenziate: è bene segmentare la proposta in
varie attività in modo che ogni allievo possa trovare soddisfazione per i propri bisogni personali. La
flessibilità è alla base della differenziazione e offre l’opportunità di poter variare il proprio compito.
7. Modificare il piano di lavoro creando delle alternative: occorre avere ben presenti le
diversità di stili di apprendimento nel gruppo e cercare alternative che incrocino e soddisfino i
differenti bisogni.
8. Coinvolgere emozionalmente gli studenti: le proposte devono esser presentate con enfasi ,
con passione, in modo che i bambini possano comprenderne il valore ed essere colpiti anche
emozionalmente dal vigore che vedono nel loro insegnante.
9. Usare la differenziazione didattica per lavorare in modo inclusivo: l’allievo con problemi è
conosciuto, è rispettato in quanto le proposte formative vengono progettate a tal fine. Inoltre, il
soggetto con deficit non viene mortificato da un’azione educativo-didattica differenziata solo per
lui, ma rientra all’interno di una più vasta prospettiva progettuale in cui è consuetudine
personalizzare e differenziale percorsi e attività per tutti.
10. Prevedere alcune lezioni di tipo tradizionale: le rigidità non sono contemplate, perciò anche
alcune modalità della didattica tradizionale sono compatibili con una vita di classe basata su questa
metodologia.
1. Le stazioni: nella classe si creano diversi spazi di lavoro in cui gli allievi siano invitati a
operare su attività differenti. Queste aree operative e dedicate a particolari attività possono essere
fisse per tutto l’anno scolastico oppure organizzate solo un periodo specifico. In questa strategia è
importante che ogni studente possa avere esperienze dirette in tutte le stazioni previste, in quanto
nel pianificare l’attività il docente prevede un tratto flessibile per tutti, ma anche obbligatorio per
ciascuno. Lo scopo delle stazioni è permettere agli allievi di effettuare esperienze diverse di lavoro,
di riflessione, ma sempre in una dimensione comunitaria. Nelle stazioni si lavora in gruppo che
necessariamente sono flessibili, così come la permanenza nelle diverse zone di lavoro è variabile, a
seconda delle volontà del bambino. Possiamo avere: la stazione con l’insegnante, in cui vi è un
contatto diretto col docente; la stazione di prova, in cui vengono messi in pratica determinati
apprendimenti; la stazione progetto, dedicata alla pianificazione comunitaria delle attività; la
stazione dello studio, idonea allo studio individuale o collettivo; la stazione delle verifiche, dove gli
allievi si confrontano sui propri risultati.
3. Utilizzo di tabelle a scelta: hanno lo scopo di dare l’opportunità agli allievi di scegliere un
percorso di apprendimento autonomo su un piano di lavoro prefissato. Viene presentata agli allievi
delle attività su una struttura visiva, una tabella visiva divisa in celle, su cui sono indicati diversi
compiti che possono essere scelti a proprio piacimento.
4. Uso degli organizzatori grafici: l’uso di organizzatori grafici, mappe concettuali, diagrammi
portano enormi benefici agli allievi con disturbo specifico dell’apprendimento perché consentono di
dare dei punti di riferimento e di raggiungere livelli di padronanza non indifferenti. Permettono agli
alunni di sistematizzare e organizzare le informazioni, di visualizzarle e di comprendere più
facilmente nessi e relazioni esistenti tra i concetti. Abbiamo: il diagramma di Venn, che rappresenta
visivamente la relazione tra insiemi; il modello di Frayer, utile alla comprensione e
all’apprendimento consapevole con l’aggancio alle preconoscenze; il KWL Chart, che aiuta
l’allievo a determinare cosa conosce dell’argomento presentato, cosa desidera apprendere e cosa
effettivamente ha appreso; e infine il diagramma di flusso, che descrive graficamente un processo.
Attività esemplificate
Il percorso di apprendimento di un anno scolastico può essere scandito in tappe, funzionali alla
costruzione dei saperi e utili all’acquisizione, alla maturazione e all’utilizzo di strategie. In queste
tappe è opportuno considerare la metacognizione e la riflessione su ciò che si è imparato e su come
si è lavorato. Ciascuna tappa comprende quattro aree di competenze: imparare insieme, lavorare con
metodo, abilità in gioco, rifletto. Le prime due indicano come operare gradualmente per la
costruzione sociale dell’apprendimento e per l’interiorizzazione del metodo di studio. La finestra
rifletto alterna riflessioni centrate esclusivamente sul compito e riflessioni che riguardano il lavoro
di gruppo.
Differenziare stratificando
1. Prima fase, favorire la responsabilità: prevede che gli allievi maturino sul piano della
responsabilità personale, è necessario permettere di sperimentare un’esperienza globale di
partecipazione affinché si capisca quanto la vita di classe dipenda da ciascuno. Periodicamente
l’insegnante prospetta a tutta la classe il programma che intende realizzare in un certo periodo,
coinvolgendo così gli allievi nella proposta formativa.
2. Seconda fase, la proposta di apprendimento viene divisa in tre strati (A,B,C): ognuno di tali
strati presenta piani di complessità differenti. Il livello C è quello più basso ed è raggiungibile da
tutti gli allievi. Questo strato prevede molteplici attività: compiti per coloro che hanno una
predisposizione pratico-manuale, filmati per gli studenti con attitudini visive etc.
3. Terza fase creare il secondo livello: agli studenti viene richiesto di elaborare o applicare ciò
che hanno appreso nello stadio C. Gestendo le informazioni e le acquisizioni, le utilizzano e le
applicano a vari contesti anche nella risoluzione di problemi.
4. Quarta fase, raggiungere il livello finale (A): gli allievi devono impiegare le capacità
cognitive più elevate e raffinate, soprattutto quelle relative al pensiero critico. Qui i contenuti non
possono essere semplicemente accademici, ma devono focalizzarsi su argomenti e temi di attualità.
Il prodotto finale può sintetizzarsi in un articolo di giornale da pubblicare o può essere presentato
oralmente a tutta la classe.
5. Quinta fase, valutazione del compito: è la fase in cui il lavoro svolto dall’allievo viene
valutato con un confronto diretto, orale, con l’insegnante.